*Vuoi proprio saperlo? Be', ti ODIO!* di HuGmyShadoW (/viewuser.php?uid=38035)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *CAPITOLO 1* ***
Capitolo 2: *** *CAPITOLO 2* ***
Capitolo 3: *** *CAPITOLO 3* ***
Capitolo 4: *** *CAPITOLO 4* ***
Capitolo 5: *** *CAPITOLO 5* ***
Capitolo 6: *** *CAPITOLO 6* ***
Capitolo 7: *** *CAPITOLO 7* ***
Capitolo 8: *** *CAPITOLO 8* ***
Capitolo 9: *** *CAPITOLO 9* ***
Capitolo 10: *** *CAPITOLO 10* ***
Capitolo 11: *** *CAPITOLO 11* ***
Capitolo 12: *** *CAPITOLO 12* ***
Capitolo 13: *** *CAPITOLO 13* ***
Capitolo 14: *** *CAPITOLO 14* ***
Capitolo 15: *** *CAPITOLO 15* ***
Capitolo 16: *** *CAPITOLO 16* ***
Capitolo 17: *** *CAPITOLO 17* ***
Capitolo 18: *** *CAPITOLO 18* ***
Capitolo 19: *** *CAPITOLO 19* ***
Capitolo 20: *** *Capitolo 20* ***
Capitolo 1 *** *CAPITOLO 1* ***
*1*
**Improvvisamente,
qualcosa arrestò la sua disperata corsa.
La
ragazza si voltò di scatto facendo roteare con un morbido
movimento di frusta quei suoi lunghi capelli biondi.
Con
il fiatone, tutto sudato e dai capelli scompigliati dal vento, ma
proprio per questo, forse, bello e impossibile come mai era stato, Bill
la tratteneva con decisione per un braccio.
Non
servivano parole, tranne un flebile
‘Scusa…’ scivolato quasi per caso da
quelle labbra gonfie e seducenti. Oltre a questo, bastò uno
sguardo fra i due perché tutto fosse chiarito.
Tutti
quei dubbi, tutte quelle angosce, tutti quegli assurdi
sospetti… In un attimo svanirono, portati lontano e subito
dimenticati grazie a un provvidenziale alito di vento che sapeva di
viole e vaniglia. Il suo profumo…
Il
tempo e il mondo si erano fermati oltre quel tramonto rosso e arancione
che dipingeva con caldi pennelli ogni cosa su cui si posavano i suoi
delicati raggi color pesca. Tutto questo solo per loro. Solo per loro
due…
Lei,
purificata ora dalle lacrime e dai sospetti che avevano sfigurato il
bel viso color avorio, si fece avanti, un po’ timorosa. Lui
le prese le mani e se le avvicinò al viso per baciarle
dolcemente. E non era a causa del sole, stavolta, se il viso di lei
aveva preso una tenera sfumatura scarlatta!
I
loro visi e i loro occhi fremevano, troppo desiderosi
dell’altro per solo provare a rimanere immobili. In
un’esplosione di scintille e lampi colorati, infine, i loro
sguardi si fissarono con un’intensità quasi
dolorosa l’uno nell’altro: ghiaccio e fuoco.
Azzurro e nocciola.
Mentre
la distanza tra di loro si annullava a zero, le loro labbra finalmente
si schiusero, tremanti e ardenti di desiderio, pronte a **
-Naaaa, troppo
sdolcinata!-.
Un dito
dall’unghia mezza smangiucchiata calò con forza e
brutalità su quel piccolo ed indifeso bottone della
tastiera. Immediatamente, come per magia, quelle ordinate file di
parole, simili a brulicanti formichine, vennero risucchiate dal bianco
della carta di quel foglio digitale, che soddisfatto, sembrò
rilucere di felicità.
Camilla si
portò una mano alla bocca, e nascondendo le dita
nell’incavo del palmo per non sfogare il suo nervoso su di
esse, sbuffò di impazienza, concentrandosi completamente
sullo schermo del suo nuovissimo PC portatile della Apple. Le
era stato regalato per il suo compleanno da una nonna fin
troppo affettuosa. A lei, di certo, non era dispiaciuto!
Allontanò
quegli inutili pensieri, e aspettò con gli occhi serrati e
il corpo teso l’ispirazione, ma... Dopo cinque minuti
abbondanti non si era ancora fatta vedere, il che non era un buon
segno. Camilla sbatté con un mugolio di disappunto il pugno
sulla scrivania: se non le fosse venuta qualche buona idea nei prossimi
due secondi sarebbe ammattita!
All’improvviso,
come colpita da un mattone lanciatole sulla schiena,
sussultò sulla sedia, il suo sguardo si accese e mentre il
suo viso si apriva ad un sorriso, le sue agili dita cominciarono a
volare sulla tastiera, schiacciando ora qui, ora lì,
apparentemente a caso.
Soddisfatta, rilesse
il tutto con attenzione, ma per la seconda volta storse il naso e
quelle romantiche frasi fecero la fine delle precedenti.
“No,
così non va, non va proprio! Uff... Dai bella, puoi farcela!
Non è difficile, ricordi quante volte l’hai fatto?
Devi solo mettere in moto quel cervellino geniale che ti ritrovi,
svegliare Ubaldino... Sì, lo sai che è il tuo
unico amico neurone!, e provare a comporre quattro frasi di senso
compiuto! Che rabbia, e dire che mi manca così poco! No, no,
non lasciarti abbattere! Forza e coraggio!”, pensava con decisione.
Speranzosa,
levò entrambe le mani e le tenne sospese sopra la tastiera,
come delle insolite ghigliottine, indecisa su quale sarebbe stata la
sua prossima vittima di plastica.
Aspettò
fiduciosa, sicura di star per avere un’idea geniale,
spettacolare, mozzafiato, che avrebbe sicuramente colpito e affascinato
le utenti del suo forum, le bastava concentrarsi solo un altro
pochino…
Un minuto dopo,
Camilla fissava con un’aria imbambolata e la classica bava
alla bocca il cielo limpido e pulito intrappolato fuori dalla sua
finestra.
“Com’è
chiaro... E quelle nuvolette, che carine!”. Sorrise, inebetita. Oggi, la
sua forza di volontà era pari ai brutti voti sulla sua
pagella: zero. “Ma
aspetta, stanno assumendo una qualche forma...
Cos’è? ... Sì, ecco un orologio a
pendolo... O forse una clessidra...”. Inclinò la testa
di lato, accigliandosi. “Orologio...
orologio... Mi ricorda qualc...”.
I suoi occhi si
dilatarono improvvisamente dietro gli occhiali di Dolce&Gabbana
per poi correre alla radiosveglia a forma di orsetto sul comodino.
-Oh santa paletta dal
manico arrugginito!!!-. strillò alzandosi in piedi come una
furia. Chiuse frettolosamente il suo PC e uscì caracollando
fuori dalla stanza.
Da quel momento,
iniziò un pazzo andirivieni di stanza in stanza, recuperando
ora un paio di calzini, ora il gatto, finitole chissà come
fra i piedi mentre si allungava a recuperare il portafogli da uno
scaffale.
-Poutpourri!-,
sibilò al micio bianco e marrone scaricandolo poco
gentilmente sul letto. Quello la fissò con rimprovero
socchiudendo gli occhi gialli e agitando minacciosamente
l’estremità della coda piumosa color caffelatte.
-Oh, non guardarmi
così!-, lo rimbrottò la ragazza estraendo da
sotto il letto un paio di scarpe da ginnastica leggermente impolverate.
–Sai che ho fretta, e tu non dovresti cercare di farmi cadere
dalle scale ogni volta che mi vedi! Specialmente ora!-.
Detto questo,
girò i tacchi e corse a prepararsi.
Nella seguente
mezz’ora, accaddero in successione le seguenti cose:
> Si
ficcò lo spazzolino in un occhio schizzando di dentifricio
tutto lo specchio.
> Rischiò
di rompersi una gamba a causa di una piega del tappeto
dall’animo omicida.
> S’infilò
per due volte consecutive la maglia al contrario.
> Rischiò
di investire il gatto, gli pestò la coda e quello rispose
con una zampata sul polpaccio.
> Cercando
la cassetta del pronto soccorso rovesciò nella vasca tutti i
Cotton-fiocc e si ritrovò ad imprecare anche in aramaico per
dei buoni minuti.
> Finalmente
pronta e truccata (non senza qualche incidente) uscì di
casa, ma dimenticò la borsa, e quando fece per tornare
trovò la porta chiusa. Ovviamente, non aveva le chiavi.
> Dopo
numeri da circo degni di una scimmia del Burundi, recuperò
tutto l’armamentario (anche le chiavi, stavolta), ma tentando
di inoltrarsi nel mondo esterno per la seconda volta si accorse di
avere le scarpe di due colori diversi.
Insomma, tutto
filò liscio e senza contrattempi.
Controllando ogni
particolare per l’ennesima volta, infine, chiuse con una
buona mandata il portone della sua villetta, e lanciandosi alle spalle
i corti e morbidi capelli castani respirò profondamente,
pronta alla sua più grande avventura.
Schermandosi gli occhi
nocciola con una mano bianca e ingioiellata da tintinnanti
braccialetti, iniziò a marciare verso una lussuosa limousine
nera che l’aspettava, complice, dall’altra parte
della sua nuova vita.
***
Salve a tutti! Grazie per aver letto!
Se ora voleste lasciarmi qualche recensioncina, mi fareste moooolto
felice (:P), e inoltre mi aiutereste a capire se andare avanti e come
regolarmi! Danke in anticipo! ^^
|
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Capitolo 2 *** *CAPITOLO 2* ***
*2*
Salii,
non con qualche difficoltà, sul macchinone austero e
importante. D’altronde, quante altre volte avevo avuto la
possibilità di scarrozzare in giro con una limousine? Uhmm,
fatemi pensare... Be’... nessuna! Normale quindi che mi
sentissi un po’ impacciata.
Il decrepito (e
probabilmente bicentenario) autista aspettò che mi
sistemassi per benino sul chilometrico sedile posteriore, poi, con un
impercettibile cenno della testa, mi chiuse la portiera, e un attimo
dopo era già attaccato al volante e ingranava con furia
inaspettata la marcia. Partimmo con uno scatto da Formula Uno, ed io,
ancora a bocca spalancata, sbalordita dalla vastità
dell’auto, mi morsi accidentalmente la lingua!
Lacrimando e tentando
di non imprecare come uno scaricatore di porto, iniziai a sventolarmi
una mano davanti alla bocca per placare il bruciore, e alzando gli
occhi luccicanti allo specchietto retrovisore, notai lo sguardo
scandalizzato dell’autista che mi fissava quasi fosse una
malata di mente.
Sorrisi, ancora con la
lingua dolorante tra i denti, ma probabilmente ottenni
l’esatto effetto contrario di rassicurare l’uomo
sulla mia totale assenza di disturbi psicologici, perché
quello mi guardò ancora peggio. Rossa d’imbarazzo,
mi voltai velocemente dall’altra parte.
Il paesaggio correva
rapido oltre il trasparente finestrino dell’elegante macchina
scura, e i miei pensieri con lui. Fino ad un mese fa non avrei mai
pensato di poter solo sognare una simile fortuna! Eppure, ero io, ora,
che stava per incontrare i miei idoli, io che
avrei passato una giornata coi Tokio Hotel!!! Che impressione avrei
dato loro?
Tentai di guardarmi da
fuori con sguardo oggettivo...
Sono abbastanza bassa
per la mia età. Una scatoletta di fagioli e un biscotto,
diceva sempre mamma, cioè un metro e sessanta scarso per
quindici, banali anni. Madre Natura avrebbe potuto impegnarsi di
più, diciamocelo...
Non sono né
anoressica né obesa, faccio parte della “classica
via di mezzo”, più tendente al paffuto, a dir la
verità: le mie “guanciotte da criceto”
sono diventate la mia condanna, perché, chissà
come mai, sono sempre state il passatempo preferito di nonne e parenti
vari! Che stress!
Nonostante gli
ipocriti complimenti di mia madre durante le mie infinite e logorroiche
litigate con lo specchio, non assomiglio in alcun modo a quelle attrici
hollywoodiane, bionde, dagli occhi azzurri, senza mai un grammo di
troppo che cita lei, anzi! I miei capelli sono banalmente castani,
impossibili da districare se la notte hanno baruffato col cuscino o se
solo gli girano... Sono abbastanza particolari! Tutti la padrona
cioè...
Forse (e almeno questo
me lo concedo!), i miei occhi sono la più bella parte del
mio corpo: marroni, ma marrone intenso, quasi nocciola col brutto tempo
e di una sfumatura dorata col sole! Una piccola nota di imprevedibile
nella mia vita completamente
prevedibile...
Insomma, non sono
assolutamente nulla di speciale.
Distolsi lo sguardo
dal riflesso abbagliante di una vetrina, che luccicava invitante
dall’altro lato della strada. Ora, sicuramente, i miei occhi
sarebbero stati di un brillante color miele d’acacia.
Eravamo fermi ad un
semaforo da qualche minuto, e la mia impazienza cresceva di secondo in
secondo. Mi sporsi avanti e battei leggermente con le nocche sullo
spesso vetro che mi separava dall’autista. Niente. Quello non
si voltava.
Riprovai, un
po’ più decisamente. Ancora niente. Mi schiarii la
voce e provai a chiamare:
-Scusi... Mi scusi! Sa per caso
quanto ci vorrà ancora…? Scusi!!-.
Alla fine, rinunciai.
Probabilmente era mezzo sordo.
“L’importante
è che non sia anche mezzo cieco, se no siamo proprio messi
bene...”, pensai sarcasticamente, incrociando
gambe e braccia.
Per scaramanzia,
però, quando scattò il verde, feci per bene
attenzione che infilasse la corsia giusta e non salisse per qualche
marciapiede, seminando il terrore tra gli innocenti pedoni. Una vera
scena da film horror... “L’autista
pazzo”...
Rabbrividii e mi tolsi
dalla testa quei pensieri cinematografici poco educativi.
Mi riappoggiai al
sedile di pelle e chiusi gli occhi, massaggiandomi le tempie. Cercai di
convincermi ancora una volta ad accettare la realtà: stavo
veramente per conoscere i Tokio Hotel. Proprio quei Tokio
Hotel. Bill, Tom, Georg e Gustav. Oddio.
Ma cosa gli avrei
detto? Come? E se mi avessero sbattuto la porta in faccia? O mi
avessero trovato antipatica, petulante, puntigliosa, bisbetica, noiosa,
ributtante...?
No, be’, ora
non esageriamo! Tutto, ma ributtante no!!! Vabbé che potevo
anche avere una forte somiglianza con una pelosa scimmia lillipuziana
del Congo, ma a quello ancora non ci arrivavo!
Totalmente immersa nei
miei assurdi e affatto consolanti pensieri, non mi accorsi di essere
arrivata a destinazione finché non ci sbattei contro, nel
vero senso della parola!
Arrivati davanti
all’elefantesco albergo dove mi avrebbero ricevuta i Tokio
Hotel (sì, proprio loro!),
l’autista, dando modo di dimostrare ancora una volta la sua
leggendaria finezza, diede in una frenata colossale, che mi
spiaccicò la guancia contro il finestrino.
Dolorante, gemetti
debolmente, mi scollai e mi misi a massaggiare la mascella: che male!
Un attimo dopo, il
“vecchiaccio” si materializzò alla mia
portiera, che immediatamente aprì, e con un mormorato “prego”
mi invitò a scendere.
Inviperita, barcollai
fuori senza ringraziarlo, ma quello non ci fece caso.
Mi scoccò
un’occhiata significativa, dopodiché si
avviò tranquillamente verso l’entrata.
Gli trotterellai senza
indugi.
Una volta varcate le
maestose porte di legno massiccio, mi lasciai sfuggire un fischio
sommesso: quel posto era enorme!
I ragazzi si trattavano bene, non c’è che dire!
L’ometto non
mi lasciò nemmeno il tempo per riprendermi dallo shok,
troppo abituata alla piccole cose, che mi incitò a seguirlo
su per una maestosa rampa di scale.
Un tappeto color
bordò ricopriva gli eleganti gradini di marmo, e un
corrimano avorio scivolava accanto a me. Mi sentivo tanto Cenerentola!
Dopo la scalinata, che
l’autista superò senza sforzo e che a me
troncò il respiro e la milza, passammo attraverso un paio di
stanze vuote, qualche corridoio e uno sgabuzzino, fino ad arrivare
davanti alla porta di quello che aveva tutta l’aria essere un
salottino dei ricevimenti. Perfetto...
L’uomo, con
un elegante gesto della mano, mi fece segno di entrare, ma io
impallidii:
-Oh!
Lei... lei non viene?-.
Quello scosse la
morbida testa lanuginosa. Forse dovevano pagargli gli straordinari se
apriva bocca.
Incominciai a sudare
freddo e a tormentare con le dita il borsone che avevo portato da casa.
Ah, giusto! Non potevo
certo andare lì dentro così!
Mi schiarii debolmente
la voce.
-Mi scusi... Ehm... Io dovrei
cambiarmi... Non c’è un bagno qui?-,
chiesi guardandomi attorno. Avevo preferito portarmi da casa i vestiti
eleganti, perché odiavo viaggiare in auto con qualche abito
da sera: mi prudevano da morire! Tanto, appena arrivata avrei avuto un
sacco di tempo per la mia abituale
“trasformazione”, pensavo.
Illusa.
-I signorini la vogliono vedere
ora!-, gracchiò infine con una vocetta acuta
l’autista.
Sobbalzai, presa alla
sprovvista, e deglutii, completamente nel panico.
-Ma... No-non sono truccata, i
miei capelli sono proprio... guardi come sono vestita!-,
strillai istericamente, indicandomi.
L’ometto
sembrò passare attentamente ai raggi X la mia semplice
maglietta di cotone azzurro pallido, i jeans scuri, lunghi alla
caviglia e le mie vecchie scarpe da ginnastiche, soffermandosi un
momento di più sul mio viso, senza una traccia di rimmel,
matita o lucidalabbra, e sui miei capelli, sciolti e spettinati come
sempre.
Un sorrisetto gli
attraversò il volto rugoso, stendendogli la pelle sulle
guance, e nuovamente parlò:
-Oh, andrà
più che bene abbigliata così. Adesso deve proprio
entrare...-, e ghignando, abbassò la maniglia,
rivelando uno scorcio raffinato di poltrone, tavolini e... piedi!
Paralizzata dalla
rabbia, arrossii come una rapa bollita, ma dando ascolto al mio
orgoglio, strinsi forte fra le dita le cinghie del mio inutilizzato
borsone e marciai verso la porta aperta a testa alta. Passandogli
accanto, alzai il dito medio all’autista, che mi
guardò scandalizzato prima di chiudere la porta.
“Beccati
questa!”, pensai. Almeno avevo avuto la mia
rivincita.
La stanza in cui mi
trovavo era circolare, e quasi totalmente foderata di un polveroso
velluto rosso. Tavolini rotondi dalle gambe corte erano sparsi qui e
lì, accompagnati da sedie imbottite, ugualmente basse. Volsi
lo sguardo tutt’intorno, e per poco non ebbi un infarto dalla
sorpresa.
Abbarbicati su quattro
di quelle minuscole poltroncine, le lunghe gambe che spuntavano da
sotto le tovaglie, i Tokio Hotel prendevano beatamente il the,
conversando amabilmente tra di loro.
I. Tokio. Hotel.
La borsa
atterrò con uno schianto secco sul pavimento, soffocato
appena dalla moquette.
Quattro paia di occhi
si voltarono all’istante a guardarmi, curiosi.
Arrossii
violentemente, e non poté non tornarmi in mente
l’espressione beffarda di quell’odioso autista...
“Cazzo!”.
***
Che ne pensate? Se
volete (e potete) recensite, così posso capire cosa vi
è piaciuto di più o di meno... Danke!
Baciotti! :*
|
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Capitolo 3 *** *CAPITOLO 3* ***
*3*
“Cazzo!”
Fu questa
l’unica e l’ultima parola di senso
compiuto che riuscii a pensare.
Poi, blackout.
Vidi come con gli
occhi di qualcun altro i quattro ragazzi posare
biscotti e tazzine, alzarsi all’unisono e avanzare verso di
me.
Ma sicuramente
doveva
trattarsi di un sogno!
Ok, allora,
fermiamo
tutto un attimo e facciamo mente locale...
Dunque, sono
vestita
come per una allegra rimpatriata con gli amici del
liceo, avrò probabilmente l’espressione di una
appena fuggita da un carcere di massima sicurezza, ho appena fatto una
figura di merda ( e probabilmente ne sto per fare un’altra
decina, almeno), e...
Oh, sì!
I
miei capelli sembrano si siano appena fatti un
giro dentro una lavatrice impazzita!
Tutto a posto,
insomma...
Mi riscossi da
quella
breve escursione nella mia mente con un leggero
sussulto, e mi resi finalmente conto dell’allarmante
situazione: Bill Kaulitz era davanti a me, e mi stava guardando con un
sorriso da morte istantanea teso su quel bel visino d’angelo
che si ritrovava. Sembrava aspettasse qualcosa...
Abbassai gli
occhi, e
arrossii di nuovo, diventando di un brutto color
porpora.
Rimisi velocemente
in
moto il cervello, chiusi la bocca, spalancata
nella più idiota del mio campionario di espressioni, e
finalmente gli strinsi tremando la mano, tesa davanti a me
già da un bel po’.
“Ecco,
seconda
figuraccia del giorno: una peggio dell’altra!”
In qualche modo, i
muscoli sul mio viso si tesero a formare una
sottospecie di sorriso.
L’effetto
fu
inaspettato: il suo sorriso si
allargò ancora di più!
“Oddio!
Oddio!
Oddio! Non c’è un medico? Sto per fare un
infarto!!!”
Poi, la bocca di
Bill
si aprì, e come se avesse appena
ingoiato mezzo barattolo di miele, sussurrò:
-Hallo...-.
Bill Kaulitz mi ha
salutato. Sarebbe carino rispondere... Ma dove ho
messo il cervello?
Deglutii,
lasciandogli
la mano, finalmente, (ma era così
calda e morbida!), e risposi al saluto:
-Gh...nghne!-.
Egh... Più o meno...
La sua espressione
di
perfetta circostanza si incrinò appena.
-Ehm...
Cosa?-.
Mi tappai la bocca
con
tutt’e due le mani e desiderai con
tutte le mie forze di sprofondare in una voragine nel pavimento.
“E
siamo a
tre, figure di merda!!!”
Chiusi gli occhi,
respirai profondamente e con un sorriso a 83 denti
stampato in faccia, ci riprovai:
-H...
Ha-hallo!-.
Già
meglio.
Stavolta aveva capito, e il suo sorriso
tornò ad abbagliarmi.
-Tu
devi essere...-.
-...Ca-Camilla!-,
balbettai in suo aiuto.
-Sì,
la
scrittrice! La vincitrice del concorso sulle fan fiction, no? ...
L’abbiamo letta, la sua storia?-,
domandò il ragazzo rivolgendosi ai compagni, poco dietro di
lui.
Alcuni scrollarono
le
spalle, Gustav invece annuì:
-Sì,
quella su
di te e quella ragazza...-.
Bill si
batté una mano ingioiellata sulla fronte, provocando
un forte tintinnio di braccialetti, e si volse di nuovo verso di me.
-Ti
prego di scusarmi,
non so dove ho la testa, oggi!-, esclamò
grattandosi teneramente la nuca.
Ecco. Sono andata.
Salutatemi il mio corpo, ditegli che mi ha fatto
piacere comandarlo, e che la mia mente è completamente in
tilt, ormai!
-Be’,
complimenti! Te lo meritavi pienamente il premio! Mi ha davvero
emozionato!-, si congratulò Bill (ma deve parlare sempre e
solo lui?!).
-Gra...
grazie...-,
mormorai, stupita.
Il silenzio
calò nella stanza praticamente insonorizzata, e
sembrò schiacciarmi ancora più
dell’ansia.
“Qualcuno
dica
qualcosa!”,
pensai disperatamente fissando con
interesse un buchino nel tappeto.
-Ehm...
Cosa... cosa
abbiamo in programma di fare con lei, questo pomeriggio?-,
domandò con un finto sorriso Georg. La mia salvezza!
-Oh,
pensavamo...-,
cominciò Bill, tutto felice, ma venne subito interrotto da
Tom, che fino a quel momento non aveva fatto altro che scrutarmi,
dall’ombra.
-...
Per la notte direi
che posso occuparmene io, no?-, affermò
fissandomi ostentatamente e leccandosi piano le labbra.
Sgranai gli occhi,
la
mascella mi cadde. Inutile dire che la mia faccia
diventò di un bel colore papavero brillante.
-C-cosa?!-,
balbettai, terrorizzata.
Tom rispose con un
sorriso strafottente, e mi si avvicinò
lentamente.
-Non
importa se non hai
il pigiama... tanto non ti servirà...-,
bisbigliò con fare estremamente seducente a pochi centimetri
dal mio viso.
Che cafone!
Stavolta, arrossii
di
rabbia.
Bill fece per
rimproverarlo, già stava per partire in quarta
con il suo solito sopracciglio alzato e il ditino minaccioso levato in
aria, ma io gli troncai la ramanzina sul nascere.
-Ma
chi ti credi di
essere?!-,
esclamai con foga, le mani sui fianchi.
Quattro paia di
occhi
sorpresi si fissarono su di me, perforandomi la
fronte. Li ignorai. La mia attenzione e la mia furia erano tutte per il
rastone.
-Solo
perché
sei Tom ‘sono-il-più-figo’ Kaulitz,
credi di avere il diritto di comportarti come ti pare? Credi di poter
trattare le ragazze come spazzatura? O come divertenti giocattolini per
passare il tempo? Be’, io non sono la tua Barbie! E non
gradisco nemmeno un po’ queste battutine che, secondo te, da
sbruffone egocentrico quale sei, dovrebbero essere divertenti! No, caro
mio! Tu sei esattamente il contrario del “die
besten” che tutti credono! Per me, sei solo un imbranato
cafone presuntuoso!-,
sbraitai avvicinando il viso a
quello esterrefatto del rasta.
Mi voltai, fumante
di
rabbia, raccolsi velocemente la mia borsa e
guadagnai in un attimo la porta.
-Se
siete tutti di questa
razza, non voglio avere niente a che fare con voi!-,
strillai prima che le mie scarpe svanissero oltre l’entrata.
Nella stanza di
velluto rosso, i quattro ragazzi erano rimasti senza
parole, completamente attoniti. Fissavano il vuoto, incapaci di credere
a ciò che avevano appena assistito. Mai era accaduto loro
che una fan diventasse quella specie di toro impazzito per una
battutina di Tom! Mai! Di solito, si limitavano ad arrossire, a
ridacchiare, ad ocare un “Ma
cosa dici?!”...
Era un avvenimento
assolutamente insolito!
Dopo qualche
secondo,
un rumore infranse quella bolla di
incredulità che avvolgeva il gruppo, rumore che cresceva
sempre di più.
No, non era un
rumore,
era un risata. Quella forte e chiara di Tom.
Gli amici si
voltarono
a guardarlo, preoccupati, mentre quello
finalmente respirava e si asciugava gli occhi.
Si
sistemò
il cappello e infilò le mani in tasca,
fissando con un sopracciglio alzato la porta chiusa. E un mormorio,
rivolto più che altro a se stesso, scivolò tra le
sue labbra:
-Forte,
quella
ragazza...-.
***
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Capitolo 4 *** *CAPITOLO 4* ***
*4*
Scovai quasi subito un
bagno, poco dopo la stanza di velluto, sulla destra.
Quel maledetto
vecchiaccio si era proprio divertito a prendermi in giro!
Cercai la pesante
maniglia d’ottone a tentoni, accecata dalle lacrime.
Spalancai la porta di pregiato mogano e subito me la chiusi alle
spalle.
Nascondendo il viso
fra le mani, scivolai a terra.
Singhiozzai forte, e
le lacrime bollenti mi scorsero veloci sulle guance, una dopo
l’altra.
Perché
l’ho fatto?
Non lo so.
Perché
ho buttato all’aria il più bel sogno di tutta la
mia vita?
Non chiedetemelo.
Perché
me la sono presa così tanto per una semplice battuta,
probabilmente da copione? Non trovo la risposta.
Nella mia mente si
ripeteva continuamente una sola, rabbiosa parola.
“Stupida...
Stupida... Stupida... Stupida... Stupida...”.
Mi alzai di scatto, e
con la mente offuscata da rimorso e lacrime, presi violentemente a
calci la parete dietro di me.
Ormai lo stavo
strillando istericamente:
-Stupida!
Stupida! Stupida! Stupida! Stupida!-.
Quando i miei piedi
sembrarono aver provato abbastanza dolore, passai alle mani.
Mi scagliai con tutta
la mia forza contro le innocenti piastrelle verdine, ignorando i palmi
incandescenti.
-...
Stupida! Stupida! Stu...!-.
Mi bloccai.
Il mio riflesso, dal
grande specchio sopra il lavandino di marmo bianco, mi rimandava la mia
immagine. Sconvolta, tremante, le guance e gli occhi arrossati, le mani
in fiamme, i piedi doloranti.
Con una mano spazzai
via le lacrime dal mio viso, e confusa, mi avvicinai alla mia sosia
immateriale.
Accigliata, allungai
una mano e sfiorai delicatamente le dita fredde della mia gemella di
vetro.
Dalle mie labbra
tremanti, un incredulo bisbiglio si staccò, leggero, e
volteggiò qualche istante nell’aria, prima di
venire inghiottito dalla mia mente e dalle mie orecchie.
-...
Questa... non sono io...-.
Altre lacrime. Troppe,
per essere contenute in silenzio dentro di me.
Mi accasciai
nuovamente a terra, accanto al pulito lavandino, e gemetti, forte.
Non so dire quanto
tempo passò. So solo che, ad un certo punto, qualcuno, da
fuori, bussò proprio a quella porta.
***
Rimasi ad osservare la
porta chiudersi con uno schianto rimbombante, dopo che quella strana
ragazza mi aveva praticamente sputato addosso minacce su minacce. Ma
che avevo fatto di male?!
-Caspita...-, borbottai.
-Già...-, ribattè mio
fratello.
Mi voltai verso Bill.
-Non...
non ho esagerato, giusto?-.
Quello si
girò, sbalordito quanto me, e borbottò:
-Non
mi pare...-.
Alzai le spalle e mi
sistemai nervosamente il cappello. E adesso?
Espressi il mio
pensiero ad alta voce.
Gustav, il
Ragionevole, suggerì:
-Forse
dovremmo andare a vedere dov’è... Come sta...-.
Lei, come stava?! E io? Ero praticamente stato
traumatizzato permanentemente da una pazza maniaca e bisognava andare a
vedere come stava lei?!
Non ci pensavo
nemmeno!
-Sì,
Gustav ha ragione-.
Lanciai
un’occhiata di puro fuoco al ragazzo piastrato accanto a me.
Quello
sembrò non accorgersene, e con un sorrisetto, chiese:
-Perché
non ci vai tu, Tomi? Sai, vorrà che ti scusi e tutto il
resto...-.
Georg
l’Impavido.
Alzai le braccia la
cielo, allontanandomi subito da quella massa di eretici. Io, Tom
Kaulitz, l’immutabile SexGott, sarei dovuto andarmi a scusare
con una ragazza? Andava totalmente contro la mia religione, il mio
stesso essere!
-E
perché non ci va uno di voi?-, suggerii, immusonendomi.
Il mio adorato
gemellino mi si avvicinò con un’espressione poco
rassicurante.
-Perché
non siamo noi che abbiamo fatto imbufalire una gentile donzella!-.
Ed infine, ecco Bill
l’Antico.
Mancavano Frodo, Sam e
l’Anello, poi potevamo andare tutti a fare una allegra
scampagnata sulle accoglienti montagne di Mordor!
I miei cari compagni,
verso i quali provavo ora più che mai una pressante
tentazione omicida, mi fissavano, impazienti, a mani giunte.
Non avrei ceduto, no,
non avrei mai ceduto...
Sospirai.
-E
va bene! Ci vado, ci vado...-.
Gridolini di trionfo
percorsero la band. Me escluso, ovvio.
“Al
diavolo tutti!”.
Mi calcai sulla fronte
il cappello con un gesto brusco, e fumante di rabbia, mi avviai a
grandi falcate verso la porta.
-Tooomiiii!-.
Rimasi immobile con
una mano sulla maniglia, serrai gli occhi e contai fino a dieci.
Poi mi girai
indossando il mio più finto sorriso che mi stirava quasi
grottescamente le labbra, e chiesi:
-Sììììì,
Bill caro?-.
Lui si premette una
mano sulla bocca, incapace di trattenere le risate. Mi
indicò.
-Mppff...
F-forse è meglio se togli il cappello...-.
-Perché?-, domandai confusamente.
-Be’,
è rosso, no? Sai, forse, se lei lo vedesse, potrebbe
caricarti...-.
Risate generali.
Alzai gli occhi al
cielo e ridacchiai sarcasticamente.
-Ah...
ah... ah... Sì, molto… molto divertente, Bill,
davvero... Ora è meglio che vada, o perderò la
mia corrida… ehm, corriera!-.
Varcai la soglia con
ancora le grasse risate di mio fratello e dei miei amici che mi
risuonavano nelle orecchie.
Amici... Se lo fossero
stati davvero non mi avrebbero buttato in pasto al leone... O al toro,
in questo caso...
Mi ritrovai nel
corridoio.
“E
ora?”,
pensai, indeciso.
Decisi di seguire
l’istinto... e la mia esperienza personale.
Dunque... dove va una
ragazza turbata, sconvolta, bisognosa di sfogarsi e, forse, di
piangere? Nel primo bagno che trova, ovviamente!
Ricordavo che ce
n’era uno, due porte più avanti.
Avanzai lentamente con
la mia solita andatura da papera, forse più ballonzolante
del solito per lo sforzo di limitare le mie lunghe falcate:
più tardi io e la “Belva” ci
rincontravamo, più a lungo i miei timpani sarebbero
sopravissuti!
Se fosse stato per me,
avrei fatto dietro front dal primo passo. Purtroppo però,
alla fine, la pesante porta di mogano mi si parò cinicamente
davanti. Sospirai, a lungo, molto a lungo, ma proprio mentre alzavo il
pugno per bussare, degli strilli dall’interno mi fecero fare
un salto di due metri.
Mi imposi di non
urlare a mia volta, e con una mano sul cuore impazzito, arretrai di
qualche metro.
Come sempre accade,
però, la curiosità vinse sulla paura.
Perciò,
sudando freddo e sentendo il sangue che mi rollava nelle vene,
appoggiai cautamente un orecchio alla porta.
-...
upida! Stupida! Stupida! Stu...!-.
Scostandomi,
sogghignai fra me e me. Almeno, si era accorta di aver commesso il
più grande errore della sua vita!
Colpi, di qualcosa
contro il muro probabilmente, ancora strilli, poi,
all’improvviso, calò il silenzio.
Bene, si era calmata.
Aspettai comunque
qualche secondo per evitare una ricaduta ancora più grave,
includente magari lanci di oggetti taglienti e/o di marmo contro la
prima persona che apriva la porta.
Ancora silenzio.
Allora potevo rischiare...
Mi schiarii
rumorosamente la voce, e preparandomi mentalmente e psicologicamente ad
essere il più comprensivo e accondiscendente possibile,
bussai.
Nessuna risposta. Era
un buon segno, forse.
Ridacchiai
silenziosamente immaginandomi incredibilmente bene
l’espressione sorpresa ed imbarazzata della ragazza quando mi
avrebbe visto entrare. Mi ricomposi e finalmente abbassai quella
maledetta maniglia ed entrai.
***
La porta si
aprì e da dietro di essa fece capolino la testa di Tom.
Sbalordita, non
riuscii a reagire mentre quello se la chiudeva seccamente alle spalle e
prendeva a fissarmi con un’ aria... strafottente?
Dispiaciuta? Non riuscii a capirlo. Forse tutt’e due...
-Ciao...-, esordì piano,
avvicinandosi.
Sussultai al suono
della sua voce.
Il suo sguardo
nocciola scivolò sui miei occhi gonfi e sulle mie guance,
rosse dalle ripetute strusciate.
Arrossii, imbarazzata
del mio aspetto e del fatto che fossi raggomitolata a terra come una
poppante. Mi alzai il più in fretta possibile rischiando di
battere la testa contro il lavabo.
-Credo
non ci sia bisogno di domandarti come stai...-, affermò
ironicamente Tom indicandomi con un cenno del mento mentre continuava
ad avvicinarsi.
-N-no,
infatti...-,
balbettai asciugandomi frettolosamente il viso.
-Senti...-. Adesso il rasta era davvero
a pochi centimetri da me. Diventai immediatamente color papavero quando
sentii il suo respiro sul mio viso graffiato. –Perché
ti ha dato così fastidio quella battuta?-.
Abbassai gli occhi,
accigliata. Ecco, proprio l’unica domanda a cui non trovavo
risposta!
-Non
lo so...-,
risposi a mezza voce, riflettendo. –Forse
ero un po’ stressata per il lungo viaggio... E poi, sai, la
tensione e il nervosismo per aver incontrato delle persone famose che
fino a quel momento avevo solo sognato...-, azzardai.
Un sorriso si
disegnò sul volto dai tratti leggermente infantili di Tom.
Scherzò:
-Scommetto
che erano tutti i tuoi sogni erotici quelli concentrati su di me,
vero?-.
M’infiammai.
Lo vidi impallidire,
resosi conto di ciò che aveva appena detto.
Cominciò ad arretrare scompostamente, balbettando e tentando
di crearsi una protezione dietro le mani sollevate.
Attese con le palpebre
serrate il fiume di minacce e, forse, di meritate legnate, ma questo
non avvenne.
Invece, mi avvicinai
tranquillamente a lui sfiorandogli piano il viso con un dito, e con un
sorriso furbetto stampato in volto, ribattei sorniona:
-Veramente
i miei sogni proibiti sono tutti si Bill... Tu sei il mio peggiore
incubo...-.
E ridacchiando della
sua espressione esterrefatta, presi a spintonarlo fuori:
-Mi
devo lavare la faccia e rendermi presentabile di nuovo!
Perciò... fuori!-.
-Ma...
ma...!-.
Gli chiusi la porta in
faccia. Ci ripensai e la spalancai di nuovo: Tom aveva la stessa
identica espressione ebete.
Sorrisi luminosamente
e mandandogli un bacio sulla punta delle dita, esclamai:
-Mi
farò perdonare, da te e dagli altri! A fra poco!-.
Sbam.
Sbattei le mani
l’una contro l’altra, soddisfatta.
Il mio sguardo cadde
sullo specchio.
La mia gemella di
vetro ora sorrideva radiosa, e quasi non si vedevano le tracce recenti
del pianto.
Mi ravvivai
allegramente i capelli, sospirai, e dirigendomi verso il lavandino,
pensai decisa:
“All’opera!”.
Salve
a tutti/e!!!
Capitolo lunghino, eh? Complimenti se siete arrivate fin qui, allora!
XD Scherzo... Spero non abbiate fatto confusione, perchè ci
sono stati dei cambi di narratore... La prima era Camilla, il secondo
Tom e poi ancora Camilla... Nel caso non sia stato chiaro... (a
proposito, ditemi se vi piace di più la narrazione
da parte di una sola persona o la "staffetta" fra personaggi! ^^
Grazie!)
Allora... Finalmente vi posso parlare! Può sembrare
inceredibile, ma
ogni volta che sto per postare, mi tocca fare le corse
perchè mia mamma si sta sgolando a chiamarmi, o per andare a
danza o perchè semplicemente "la devo smettere"...
Be', ma adesso mi sono
ritagliata un angolino di privacy, e perciò vi
potrò ringraziare tutti per bene...
(L'ordine è
puramente casuale)
> dasys: Sì, in effetti era
un po' poco per dare un giudizio... Grazie comunque! ^^
> elli_kaulitz: Praticamente mi sono ispirata
a me stessa per le peripezie della Cami... in versione un pelino
più catastrofica, ma...
> piscula: Sono felice che ti abbia
fatto ridere! ^^ Continua a seguirla e... ne vedrai delle
belle!
> Camuz: Toh, guarda il caso! Io, x
questa fic, mi sono ispirata ad una mia amica che sogna di incontrare
Tom! ^///^ Sono felice ti piaccia questa storia! Vedrai che presto
scioglierò i tuoi dubbi!
> Malaelena: Anch'io mi stufo di quelle
ficcy "da copione", difatti la mia intenzione principale era quella di
scrivere una storia un po' "fuori dagli schemi", e che facesse almeno
sorridere... Spero di essere riuscita nel mio intento! ^^
> billatommina: ti ringrazio per il
complimento sulla scrittura! Sono davvero lusingata che ti piaccia il
mio stile!
> selina89: Che bello! Mi fai davverio
contenta! Non immaginavo potesse far così scompisciare la
mia fic! ^///^
> CAMiL92: Danke! ^^ Vedrai, vedrai...
La tua omonima ne combinerà di tutti i colori! (Ho cercato
di darle un carattere dai tratti "comuni", però ha anche una
sua bella personalità!)
> tesorinely: sau a te! Grazie davvero!
Prometto che cercherò di aggiornare il prima possibile! ^^
Be', qui ho finito! Al
prossimo chappy, popolo! E se volete essere ringraziate
pubblicamente... COMMENTATE! :*
|
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Capitolo 5 *** *CAPITOLO 5* ***
*5*
Sospirai profondamente desiderando ardentemente di trovarmi in
tutt’altro posto, esibii un sorriso a 83 denti ed entrai
nella stanza di velluto rosso.
I ragazzi erano tutti lì, stravaccati mollemente sulle
soffici poltroncine pigmee. Non appena mi chiusi la pesante porta alle
spalle quattro paia di occhi ruotarono a fissarmi. Di nuovo!
Sempre sorridendo e sentendomi completamente fuori posto, avanzai con
leggerezza fino al centro della soffocante stanzetta. Almeno stavolta
ero truccata e pettinata! Il vestito l’avevo lasciato a
malincuore nella borsa perché con tutte le torture subite,
era diventato tutto una piega.
Bill si mise a sedere meglio in un tintinno di collane, ed
esclamò:
-Wow, ti sei truccata!
Stai benissimo così...-.
Imbarazzata, mi portai una ciocca dietro l’orecchio e annuii
teneramente. Lo sguardo mi corse automaticamente al ragazzo vicino al
moretto e la mia mascella si irrigidì appena: Tom,
abbandonato indifferentemente su una di quelle odiose poltroncine di
velluto, pareva non essersi accorto minimamente della mia presenza, e
se ne stava beatamente intento a costruire un pericolante castello di
carte.
La Camilla nella mia mente, forse identificabile come il mio unico
neurone, fece il broncio e incrociò capricciosamente le
braccia.
Grazie tante Mr. Indifferenza...
Riacciuffai il mio smagliante sorriso non appena distolsi lo sguardo
dal pulsante collo di Tom, affidando mentalmente alla Camilla nella mia
testa le più cruente idee su come strangolare quel dannato
rasta. “Per uso futuro” ci scrisse sopra.
Bill si alzò sistemandosi maniacalmente le pieghe della
giacca (la Camilla-neurone alzò gli occhi al cielo), subito
imitato dagli altri due, e sorridendomi mi si avvicinò.
Okay bella. Puoi momentaneamente dare una pedata al tuo stupido
orgoglio e chiedere scusa per esserti comportata da pazza. Anzi, no,
devi!
“Oddio, sembra
quasi abbiano paura ad avvicinarsi!”, pensai con
orrore nel constatare che i tre ragazzi si mantenevano a distanza. Mi
schiaffeggiai mentalmente, meditando un’adeguata punizione.
Mi avvicinai con cautela.
-Okay... Ehm,
be’... Io... V-volevo scusarmi per il mio comportamento di
poco fa. Non so cosa mi sia preso, ho avuto una reazione davvero
esagerata. Be’, io ho sempre reazioni assurde, ma prima non
volevo essere così brusca... Cioè,
io...-.
Presi fiato, rossissima in viso.
-Insomma... mi dispiace!
Spero possiate perdonarmi e dimenticare tutto l’accaduto...-.
Abbassai la testa e attesi, mordendomi a sangue le labbra. Per un
secondo, ma solo per uno, mi era sembrato di vedere il lampo degli
occhi di Tom distogliersi dai miei. E parevano dispiaciuti...
Dopo vari secondi di silenzio la voce calda e offesa di Bill mi invase
le orecchie.
-Stai scherzando?!-.
Ecco, lo sapevo. E tanti saluti alla giornata più bella
della mia vita.
Rischiando di scoppiare a piangere da un momento all’altro,
mi raddrizzai, pronta ad andarmene, e... l’ampio sorriso
incredulo di Bill mi abbagliò.
Battei le palpebre scacciando le lacrime, confusa.
Sorridendo comprensivamente, Bill riprese dolcemente:
-Non crederai che daremo
peso a questa cosa? O che ti manderemo via solo per una sciocchezza?
Diciamo che è stato... un incidente di percorso. Immagino
fossi molto nervosa... Insomma, non capita a tutte di incontrare le sue
star preferite, no?-. Ridacchiò. – E poi ci sono ragazze
nei meet&greet che si comportano molto peggio! Una volta, per
esempio, una ragazza, non appena ci ha visti, ha cominciato a strillare
ed è saltata in braccio a Tom, e non si staccava
più! E un’altra, la sua amica, credo, si
è avvicinata tranquillamente e mi ha strappato una ciocca di
capelli. Non sai che male! Le avrei volentieri tirato uno schiaffo! E
un’altra volta...-.
-Bill, dacci un taglio!
La ragazza ha capito!-.
Ringraziai con un sorriso Georg, il mio eterno salvatore, il quale
rispose e mi fece l’occhiolino.
Mi schiarii la voce.
-Ehm-ehm... Possiamo...
ricominciare tutto da capo, allora?-.
Tesi la mano verso il moretto davanti a me.
-Io sono Camilla, molto
piacere, ma potete chiamarmi semplicemente Milla. Ho 15 anni, scrivo
fan ficiton, faccio danza da sei anni e... ah, sì, vi adoro
da morire!-.
Bill ridacchiò stringendomi calorosamente la mano.
-Molto piacere...
Milla... Io sono Bill, ho 18 anni e canto nella band dei Tokio Hotel.
Mi piace curare unghie e capelli-.
-Piacere!-.
Gli sorrisi e passai al prossimo.
-Bel nome... Io sono
Georg. Ho 21 anni e sono il bassista della band. Mi piastro i capelli e
mi piace collezionare peluches-.
-Felice di conoscerti!-,
flautai mentre la Camilla-neurone se la rideva della grossa. Scivolai
leggiadramente di lato.
-Sono Gustav. Ho 20 anni
e sono il batterista. Mi piace suonare la batteria-, si
presentò telegraficamente quello, toccandosi il cappellino
da baseball in segno di saluto.
-L’avevo
capito...-, confermai disegnando con gli occhi il contorno
delle muscolose braccia del ragazzo. –Piacere...-.
Mi spostai ancora con il cuore che batteva forte, pensando a cosa
avrebbe detto il prossimo ragazzo, a come mi sarei sentita
stringendogli la mano, ma...
Davanti a me vidi solo un’intricata costruzione di carta. Da
dietro i suoi infiniti meandri, una voce profonda e scocciata si
levò, chiara e limpida:
-Tutto questo
è stupido...-.
Sbuffai portandomi le mani ai fianchi.
-E va bene, Signor
‘Io-Sono-Superiore’! Farò finta di non
sapere chi sei...-, esclamai con la voce in falsetto.
Un paio di irritati occhi nocciola fecero capolino fra un re e un asso.
-Non trattarmi come un
idiota!-.
Sghignazzai.
-Io non ti tratto in
nessun modo! Tu sei
un idiota!-.
Stu-tump! Flapsflap.
Silenzio. E tensione.
Le carte ora giacevano abbandonate sul tavolino. Quattro paia di occhi
erano fissi su di me (ma è un’abitudine?!).
Tom era in piedi, il viso livido, i pugni serrati poggiati sul
tavolino.
Faceva quasi paura. Un brivido involontario mi attraversò la
schiena.
Lentamente, levò un dito tremante verso di me.
-Te ne pentirai... Non
puoi trattarmi così... Te la farò pagare, brutta
stronz...-.
-...EEEEEHI! Avete visto
che bella giornata di sole?-, si intromise fra di noi Bill
a voce altissima.
Si avvicinò al fratello, che non distoglieva lo sguardo dal
mio. Io, ovviamente, lo sostenni orgogliosamente fino alla fine.
-Su Tom, non fare
l’idio... ehm, cioè, calmati! Lascia perdere...
ecco, vieni...-.
Con riluttanza, il rasta lasciò liberi i miei occhi e si
fece trascinare da Bill verso gli amici in modo totalmente passivo.
Sbuffai. Non lo sopportavo. Non lo sopportavoooo!!!
E dire che dai forum Tom sembrava una persona così
simpatica... Invece era odioso. Odioso, pieno di sé,
borioso, antipatico, arrogante... Ne avrei avute da dirne!
-Dunque, siamo pronti?-,
domandò allegramente Bill guardandosi attorno.
Mi voltai, curiosa.
-Pronti per cosa?-.
Tom, dall’angolo nel quale si era autoconfinato, mi
scoccò un’occhiata piena di odio. Lo ignorai.
Un sorriso furbesco si tese lentamente sul viso di Bill. Il ragazzo
alzò intrigantemente un sopracciglio, e sussurrò:
-Per il tuo piccolo
concerto privato, no?-.
***
Salve a tutte! ^^ Grazie per i
commenti, mi fanno davvero molto piacere!
Allora, procediamo con i ringraziamenti...
>selina89:
Caspita, quanto entusiasmo! Sono contentissima che ti piaccia tanto
questa ff! ^^ Grazie anche per averla messa nei preferiti!
>avuzza:
Idem, grazie a te per aver messo la storia nei preferiti! Ti ringrazio
per i complimenti sullo stile di scrittura ( a me non piace
tantissimo...) e per l'originalità della trama! Ci sto
mettendo tutta me stessa in questa fic! Ah, la battuta di Bill
è davvero uscita per caso! xD
>tesorinely:
Grazie per i consigli! Avevo in mente tutt'altro proseguimento, ma...
non si può mai dire! ^^ Continuerò a scrivere a
staffetta, comunque.
>CAMiL92:
Oddio, grazie! Non pensavo che il mio modo di scrivere piacesse
davvero! Sì, Camilla è un mito anche per me, e
sono contenta che i personaggi siano simil-verosimili. xD Li "studio"
molto tutti i giorni, sai!
>Quoqquoriquo: Intanto,
sono contenta che apprezzi la trama. Poi, per la protagonista... visto
che questa fic è un "regalo" ad una mia amica che ha sempre
voluto incontrare Tom (si chiama Camilla davvero) ho voluto che il
carattere della ragazza nella storia rispecchiasse il suo: difatti, lei
è ESAGERATISSIMA in tutto, e completamente pazza! Ok, forse
mi sono lasciata un po' trasportare qui, lo ammetto...
Rimedierò! ^^
Grazie per avermelo fatto presente! ^^
Ok, sistemato tutto! Nel prossimo capitolo... il concerto!!! ^^
Kussen,
Kimiko.
|
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Capitolo 6 *** *CAPITOLO 6* ***
*6*
Rimasi a bocca aperta.
-Co...
concerto privato?!-.
Bill mi
guardò con un punto interrogativo stampato in fronte.
-Sì,
non te l’hanno detto?-.
Lo fissai, sconvolta,
e scossi lentamente la testa.
Lui sorrise e
allargò le braccia.
-Sorpreeeesaaaa!-.
Scoppiai sonoramente a
ridere, contagiando tutto il gruppo con la mia allegria. Tutti tranne
uno, ovvio. Indovinate chi? Precisamente.
Non appena riuscii a
riprendere l’uso della parola (e delle vie respiratorie), mi
asciugai gli occhi e chiesi:
-Dove
si va? Suonate qui?-.
-No,
abbiamo ricavato una saletta insonorizzata in una camera qui
vicino...-. Bill
mi si avvicinò con aria complice e una mano a lato della
bocca.
-Anche
se, con tutto questo velluto alle pareti, non ce ne sarebbe stato
affatto bisogno...-.
Sorrisi, condividendo
non poi così tanto segretamente la sua opinione.
-Bene!-. Bill si fregò le
mani.
–Andiamo?-.
Georg e Gustav si
alzarono arzilli dalle poltroncine e si avviarono subito verso la
pesante porta, lasciandola aperta dietro di sé.
Bill rimase indietro e
mi porse cavallerescamente un braccio.
-Madame,
permette che l’accompagni?-.
Io lo fissai,
scandalizzata.
-Stai
scherzando, vero?-.
Lui fece spallucce e
sorrise.
-Sì,
hai ragione-.
Alzai un sopracciglio,
osservando il moretto incamminarsi praticamente saltellando fuori dalla
stanza.
Decisamente, doveva
trattarsi di un orsetto gommoso fuggito da GummiLand e capitato per
caso sulla terra sottoforma di Bill. Ridacchiai. Ogni secondo che
passava la mia teoria prendeva più corpo.
Con il sorriso sulle
labbra, feci per guadagnare la porta, quando un qualcuno mi si
parò davanti. Stupita, mi bloccai.
-Non
crederai che ti lascerò perdere dopo il modo in cui mi hai
trattato?-.
Sbuffai, alzando gli
occhi al cielo.
-Ti
prego, Tom! Ancora con questa storia? Sei peggio di una bambino!-.
La sua espressione,
prima ghignante e strafottente, si indurì improvvisamente.
-Un
bambino, forse, ma abituato ad avere sempre ciò che vuole...-.
Si leccò
lentamente il piercing facendosi più vicino. Il mio cuore
prese a battere forte. Deglutii, e ribattei sfacciatamente .
-Accidenti,
che paura... Mi sa che avrebbero dovuto educarti meglio i tuoi...
Insomma, avrebbero dovuto saperlo che non si viziano i b...-.
Non riuscii a finire
né la frase né il pensiero.
Potei solo rimanere
immobile, immersa fino al collo nella mia gelante sorpresa a lasciarmi
baciare da Tom Kaulitz.
***
La rabbia pulsava come
una vena invisibile sulla mia tempia. Non la sopportavo più!
Lei e la sua stupida risata. Sbuffai silenziosamente, restio a dovermi
alzare dalla comoda poltroncina. Ai miei lati, Georg e Gustav balzarono
in piedi al richiamo di mio fratello, e in pochi secondi svanirono
oltre la porta. Lei li guardò andare via con il sorriso
sulle labbra. Dio, ma perché non la smetteva?
Quando Bill le porse
gentilmente il braccio e lei rifiutò ridacchiando, sentii
come qualcosa di fastidioso incastrato in gola, e subito dopo non ci
vidi più.
Non appena Bill
uscì dalla stanza, mi alzai velocemente in piedi e guadagnai
la porta appena prima di lei. La ragazza si fermò di botto
per non venirmi addosso, stupita. Mi appoggiai allo stipite, tentando
di non prenderla subito a schiaffi, ed esclamai:
-Non
crederai che ti lascerò perdere dopo il modo in cui mi hai
trattato?-.
Quasi non sentii la
sua risposta, mi bastò vederla sbuffare e alzare gli occhi
al cielo, copia dell’esasperazione più totale.
Bambino, ecco come mi aveva definito. Un po’ della mia
pazienza si disgregò sotto i miei occhi.
-Un
bambino, forse, ma abituato ad avere sempre ciò che
vuole...-. Mi
avvicinai, cominciando a respirare il suo profumo. Dolce, fresco.
Persino quello mi disgustava in qualche modo. La vidi in
difficoltà mentre il mio petto quasi la toccava, eppure
trovò il coraggio di ribattere. Ancora! Ma non stava mai
zitta e buona? Ah, no, ora basta!
I suoi occhi mi
bruciavano, il suo profumo mi soffocava, la sua bocca...
Inconsciamente, la
baciai.
“Oh,
cazzo! Ma che diavolo ho fatto?”, pensai disperatamente,
sentendo fra le mie le sue sorprese labbra morbide. Serrai le palpebre
cercando di non farle capire quanto io fossi sorpreso del mio stesso
gesto.
Strozzandomi
mentalmente, infine, mi staccai piano da lei.
Camilla aveva la bocca
aperta e lo sguardo fisso. Mi leccai le labbra, sapendo di darle
fastidio, e rimasi a fissarla ostentatamente, mentre il mio cervello
fumava nel tentativo di trovare una risposta logica al mio avventato
gesto. Cioè, io sono Tom Kaulitz! Non esiste che mi metta a
sbaciucchiare una ragazza senza un secondo fine!
In un nanosecondo,
prima di permettere che Camilla si riprendesse, le girai attorno e le
mormorai sensualmente all’orecchio:
-Almeno
adesso starai zitta...-.
Dopodiché,
mascherando con un finto sorriso sornione il mio sbalordimento, uscii
dalla stanza.
***
E va bene. Tom mi ha
baciata. Avrei potuto riuscire ad accettarlo, dopo quasi dieci minuti
che ci pensavo. Eppure niente, la mia mente si rifiutava di
collaborare. Perfino il neurone-Camilla sembrava un vegetale apatico.
Svegliaaa!
Mi guardai
nervosamente intorno. La stanzetta in cui ci trovavamo era piuttosto
grande, vuota tranne che per la grande batteria che troneggiava al
centro e per la panca su cui ero seduta io. Il mio sguardo corse alle
pareti: stavolta, vi erano appiccicati tutt’attorno i cartoni
delle uova.
Ad un improvviso
movimento fuori dal mio campo visivo riportai la mia attenzione ai
quattro ragazzi davanti a me. Gustav si era già sistemato
dietro la batteria e si scaldava muovendo le bacchette a ritmo
nell’aria; Georg stava sistemandosi la tracolla del suo
fedele basso a scacchi bianchi e neri; Bill regolava l’asta
del microfono e faceva dei ridicoli vocalizzi; Tom invece pizzicava
già le corde della sua Gibson, ascoltandone il suono,
assaporandolo, vivendolo. Lo fissai. Possibile che, dopotutto, anche
lui possedesse un cuore?
Infine, Bill si
schiarì la voce sorridendo:
-Milla,
da che canzone preferisci iniziare?-. La sua voce potente venne
subito assorbita dai cartoni delle uova. In difficoltà, mi
ritrovai a balbettare qualcosa tipo:
-Ma
non lo so... Fate voi... Mi piacciono tutte...-.
Il mio sguardo si
posò involontariamente su Tom. Mi guardava, neutro,
apparentemente indifferente. Socchiusi gli occhi. Sogghignai, e senza
distogliere gli occhi dal nocciola colpevole del ragazzo, esclamai,
forte e chiara:
-Perché
non mi suonate “Reden”?-.
|
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Capitolo 7 *** *CAPITOLO 7* ***
Sono
arrivataaa!! Scusate sempre le luuuunghe attese *me scansafatiche*.
Spero vi piaccia il nuovo titolo, mi sembra decisamente più
appropriato per il caratterino della nostra Milla! ^^
Vabbè,
buona lettura!
*7*
Il suono. Che ti
invade completamente, che ti investe come un’improvvisa
marea, che ti fa vibrare persino l’anima. Come vibravano le
corde della mia Gibson. Oh sì, non c’è
niente di più emozionante. Avevo gli occhi chiusi. Erano le
mie mani a vedere per me.
La tracolla pesava
dolcemente sulla mia spalla, le corde, abituate ai miei calli,
sembravano morbidi e docili come non mai.
Le note ed io. Il
suono ed io. La chitarra ed io. Una cosa sola.
Un mezzo sorriso mi si
disegnò sulle labbra mentre riaprivo lentamente gli occhi e
il mio mondo si riempiva di nuovo del Mondo.
La voce di Bill, non
affaticata, fluida e vellutata, mi scivolava dentro come miele.
-Reden... Reden...
Reden...-.
Le mie dita saltavano
sicure da una nota all’altra, senza scossoni, naturalmente.
Risi fra me e me. Era
indubbiamente la mia canzone preferita!
Scambiai un sorriso
con mio fratello, praticamente un tutt’uno con
l’asta del microfono. Poi, quasi involontariamente, i miei
occhi corsero a lei. Digrignai i denti. Lei. Con una mano davanti alla
bocca, immobile su quella panca di legno, apparentemente estasiata.
Mi leccai le labbra
osservandola, soprappensiero. Aveva delle belle gambe e un viso carino
anche se un po’ paffuto. I capelli le riposavano morbidamente
sulle spalle e lei ne attorcigliava una ciocca con un dito affusolato.
Deglutii. La sua bocca rosata era socchiusa, piccola e fresca come un
bocciolo di rosa, con un sapore così buono...
Sbagliai un accordo e
Bill mi lanciò un’occhiataccia. Mi scusi tanto,
Mister Perfezione!
Aspettai qualche
secondo, tanto per assicurarmi di aver ripreso il ritmo, e riportai la
mia attenzione a Camilla.
Oh, scheisse!
Un curioso nocciola
ambrato mi stava togliendo il respiro.
Sentivo la mia bocca
improvvisamente secca e per quanto mi inumidissi le labbra quelle non
volevano riprendere vita. Sentivo caldo, su per il collo e sulle guance
e sulle orecchie.
Non resistei. Mi
azzardai ancora una volta a sbirciarla di sottecchi. Mi stava ancora
osservando. Cazzo!
-Reden... Redeeeen...-.
Con un sospiro, Bill
allontanò il viso dal microfono e sorrise a Camilla, che
ricambiò luminosa. Il mio plettro scivolò ancora
una volta sulle ultime note. La mia mano fermò le corde. Il
mio cuore saltò un battito quando lei si alzò
leggiadramente per venire a farci i complimenti.
Che accidenti mi hai
fatto?!
***
La canzone era finita.
Un sorriso mi si aprì inevitabilmente quando Bill mi rivolse
uno sguardo così orgoglioso, così soddisfatto...
Mi alzai per andare a
congratularmi con i quattro ragazzi.
-Wow! Siete ancora
più bravi di quanto immaginassi! I CD sono tutta
un’altra cosa!-.
-È un
complimento?-, scherzò Bill.
-Fai tu-, ribattei
facendo apposta la smorfiosa.
-Allora? Ci vogliamo
muovere? O dobbiamo aspettare i comodi della principessina qui in
eterno?-.
Chiusi gli occhi
emanando un sospiro tremante. Stavo seriamente cominciando a detestare
con tutto il cuore quella voce.
Io ignorai
deliberatamente quello scocciato Tom che si sistemava impazientemente
la tracolla della chitarra. Bill fece galantemente finta di niente.
-Per me, possiamo
continuare! Gustav, Georg, pronti?-.
-Ovvio!-, risposero in
coro i due interpellati.
-Ok, cosa ti suoniamo
adesso?-.
Rimasi a pensarci
seriamente. Le loro canzoni mi piacevano tutte.
-Be’, dato
che per me è indifferente, seguite pure la scaletta dei
concerti-.
Bill rise.
-Adoro questa ragazza!
Non sai quanto ci stai semplificando le cose! Temevamo proprio di
beccare una di quelle fan capricciose e viziate che cominciano a dire
‘Suonate questa! No, questa! No, aspettate,
quest’altra!’-, esclamò Bill in falsetto
gesticolando forsennatamente. –Sai, quelle proprio non le
sopporto! Non t’immagini una volta...!-.
-Bill...-.
Il ragazzo si
voltò. Tom, Georg e Gustav lo fissavano a braccia
incrociate.
-Ah, sì,
giusto...-, borbottò il moretto agguantando subito il suo
adorato microfono.
Da parte mia, mi stavo
spanciando dalle risate! Dio, che tipi!
Il pomeriggio
volò incredibilmente in fretta in loro compagnia, fra una
canzone e una coca, con qualche risata e un immancabile litigio.
Alla fine,
calò profumata la sera.
-Uff... Basta, sono
distrutto...-, si lamentava Gustav, tutto indolenzito. Georg accorse
prontamente a sciogliergli i muscoli delle gambe.
-Già, a chi
lo dici...-, commentò leggermente Bill, comodamente seduto
su una molle poltroncina, intento a sorbirsi rumorosamente una lattina
di Red Bull.
Quattro paia di occhi
scettici si puntarono su di lui.
Il ragazzo
abbassò la bibita.
-Oh, da quando
è stata vietata la libertà di parola, qua
dentro?-.
Risate generali.
Con le lacrime agli
occhi diedi ancora una volta uno sguardo attorno a me (che volete
farci, sono un’osservatrice!).
Dopo il concertino ci
eravamo spostati in un’ariosa saletta al piano terra, vicino
al ristorante. Il mio stomaco brontolò. Eh sì,
era proprio ora di cena.
Preferii non esprimere
il mio pensiero ad alta voce e tanto per fare qualcosa presi il mio
inseparabile maxiborsone. La zip filò via sotto le mia dita.
Immersi le mani al suo interno e mi misi a rivedere uno per uno i CD
autografati da ognuno dei Tokio Hotel. Le mie amiche sarebbero
schiattate d’invidia! Quella giornata era stata un vero e
proprio meet&greet, ma solo per me. Dieci volte più
indimenticabile!
La mia pancia si fece
sentire un’altra volta. Georg, intento a sistemare nella
custodia il suo basso lì vicino, mi sorrise.
-Abbiamo fame, eh?-.
-Sì, da
morire!-, ammisi arrossendo.
-In effetti
è da un po’ che anch’io sento un certo
languorino...-, confessò il bassista lisciandosi con le dita
i suoi già piastratissimi capelli.
-Mangiamo qui?-,
chiesi indicando con il pollice alle mie spalle, verso la sala
ristorante.
I quattro ragazzi si
scambiarono degli sguardi indecisi.
-A me mette tristezza
cenare in questi ristoranti ultra chic... Mi passerebbe
l’appetito!-, mugolò Bill facendo il faccino da
cucciolo sotto la pioggia. Aaah, me lo sarei mangiatooo!
Repressi i miei poco
civili istinti primordiali e domandai, sporgendo capricciosamente in
fuori le labbra:
-E allora dove si va?
Neanche a me piacciono i ristoranti...-.
Silenzio
concentrato. All’improvviso, Bill alzò la testa.
Ci girammo a guardarlo.
-Bill...
Lo sai che
non possiamo. Non ce lo permetterà mai!-, avvertì
cautamente un perspicace Gustav. Il moretto, infatti, stava esibendo
uno stuzzicante sorrisetto furbetto.
-E su, Gus-Gus!
L’abbiamo già corrotto una volta, e stasera mi
sento irresistibile! Cederà presto ai miei occhioni da
Bambi! Posso fargli fare tutto quello che voglio, se lo voglio!-.
Modesto il ragazzo, eh?
-Scusate-,
m’intromisi io. Non ci capivo niente. –Cosa non
potete fare e chi dovete corrompere?-.
Bill
sghignazzò.
-State a vedere...-.
Prese fiato gonfiandosi tutto e... -SAAAAKIIII!-.
I passi pesanti della
guardia del corpo cominciarono a risuonare sopra le nostre teste ancora
prima che Bill finisse il suo acuto da cantante di opera lirica.
Ci fece
l’occhiolino.
-McDonald va bene per
tutti?-.
***
Scusate, non ho il tempo di ringraziarvi tutte! Perciò, un D A N K E generale!
La prossima volta mi farò perdonare! ^^
Baciotti!
:*
|
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Capitolo 8 *** *CAPITOLO 8* ***
*8*
-Forza, tutti dentro!
Muovetevi prima che cambi idea!-.
I quattro ragazzi e io
ci affrettammo ad obbedire agli ordini scocciati di Saki, e uno dopo
l’altro scivolammo dentro la spaziosa limousine. Io,
l’ultima della fila, chiusi la porta. Un momento dopo Saki
partiva con uno scatto arrabbiato, borbottando fra sé:
-Ancora non capisco
come abbia fatto a cedere... Non è possibile che ogni volta
finisca così...-.
Mi girai a guardare il
moretto accanto a me, fintamente sorpreso, ed entrambi ghignammo
soddisfatti. Automaticamente, nella mia mente si formò
l’assurda immagine di pochi minuti fa: Bill che sbatteva
provocantemente le ciglia a quella sottospecie di gorilla vestito da
bodyguard, che rispondeva al nome di Saki. L’uomo aveva
resistito per i primi “Per favore!”,
“Dai!” e “Ti prego!”, ma dopo
una serie di abbracci, bacetti sulle punte delle dita e
inginocchiamenti, stava per cedere. Allora volli anch’io fare
la mia parte. Mi misi in controluce in modo da far risaltare i riflessi
nei miei capelli, inumidii gli occhi e facendo una vocina-ina-ina,
avevo mormorato:
-Per favore, signor
Saki! Io non ho mai visto un fast food... Cioè, non ci sono
mai andata con i miei idoli... Sarebbe davvero molto importante per
me...-. L’uomo sembrava indeciso. Ripartii, passando per le
lusinghe. –Sono sicura che non ci succederà
assolutamente niente con lei vicino! È così
forte, così imponente... Saremo al sicuro...-. E alla fine,
il classico, timido sorrisino di incoraggiamento.
Non so se fossi stata
proprio io a convincere l’arrendevole guardia del corpo,
fatto sta che dieci minuti dopo sfrecciavamo come Schumacher per le
strade ben illuminate di Berlino. Guardavo fuori dal finestrino,
riconoscendo ogni tanto con un misto di gioia e nostalgia la mia
vecchia scuola, o il mio vecchio cinema, o ancora l’odiata
biblioteca puzzante di vecchio, e inondando ogni volta di aneddoti
esilaranti i miei “compagni di limousine”.
Adesso vivevo
“più in là”, in un pesino
sperduto in mezzo alle capre, per capirci, e la frenesia lucente di
quella città mi era sempre mancata moltissimo. Durante i
primi dieci anni della mia vita, i marciapiedi affollati e le persone
frettolose sempre al cellulare avevano rappresentato il mio mondo.
Avevo sofferto tanto per l’abbandono di quel mio piccolo
universo chiassoso...
Una frenata
spiaccica-mascella spazzò via di colpo tutta la malinconia
infiltratasi nel mio cuore.
-Arrivati! Su,
scendete, presto!-, sbraitò Saki.
Un po’
stordita, caracollai fuori, finendo per poco lunga distesa a terra. La
grande, autorevole, dorata “M” troneggiava sopra di
noi. Il mio paradiso.
Accanto a me Bill
prese a saltellare e a battere le mani.
-Che bello! Che bello!
Che bello!-.
Il mio stomaco,
immancabile rompiscatole, brontolò ancora più
forte.
-Allora entriamo prima
che qualcuno ci svenga per strada-, disse ironicamente Georg
sorpassandomi.
Appena dentro, un
odore celestiale di fritto mi assalì al naso. Annusai
tutt’intorno. Oddio, sì!
Sistemandosi tutti
cappelli e occhiali scuri, i ragazzi si precipitarono ad ordinare,
sorvegliati da lontano dall’occhio vigile di Saki.
Prima di raggiungerli,
mi costrinsi a fare una discorsetto alla Camilla-neurone.
“Allora
bella, ci siamo. Sappiamo entrambe quanto delizioso e tentatore sia
questo posto, ma non possiamo permetterci di fare ancora brutta figura.
Missione: prendere solo il minimo indispensabile! Perciò,
anche se prenderemmo a morsi anche i tavoli, dobbiamo limitarci. Tutto
chiaro? Domande?”. La Milla nella mia mente scosse la testa.
“Molto bene! Andiamo!”. Oh, sì, li avrei
lasciati senza parole dalla mia finezza ed eleganza. Sarebbero rimasti
a bocca aperta!
***
Ero a bocca aperta.
-Ma la mangi tutta
quella roba?-, chiesi alla montagna di confezioni rosse e gialle
davanti a me.
Da dietro il bicchiere
della Coca Cola fece capolino Camilla. Prima si rispondermi diede un
sorso e strappò un morso dal suo Big Mac.
-Ouio! ‘osa
‘edi?-.
Scambiai
un’occhiata incredula con mio fratello, sbalordito quanto me.
Intanto, Milla
inghiottì un boccone immenso, e mi puntò contro
ciò che restava del suo hamburger.
-Pensi forse che
essendo una ragazza debba sempre restare a dieta? Be’, ti
sbagli! Ho fame anch’io!-.
Deglutii. Mi faceva
paura a volte quella ragazza.
Lentamente, tirai
fuori dalla scatola anche il mio hamburger e presi a masticarlo piano,
osservando con sincero interesse i panini sparire uno dopo
l’altro nella bocca famelica di quella specie di tritatutto.
Prima che potessi
finire la mia birra, Milla aveva fatto fuori anche l’ultimo
Big.
-Uff, sono piena...-.
-E ci credo, neanche
Georg si abbuffa così!-, rise Bill. Lui era divertito da
quella ragazza. Quanto mi sarebbe piaciuto fargli vedere il suo vero
aspetto...
-Ho mangiato tanto?-,
chiese lei preoccupata.
-Mai visto nessuno fra
sparire così tanti panini!-, confermò Georg,
addentando il suo terzo e ultimo hamburger.
-Oh, no!-, gemette
Milla battendosi una mano sulla fronte.
Ghignai. Oltre che
fastidiosa, era anche stupida!
-Eri a dieta per
caso?-, chiese preoccupato mio fratello abbassando la sua birra.
-No, no, lasciate
stare!-, fece cadere il discorso.
Quando anche Gustav
spazzolò l’ultimo panino, ci alzammo e pagammo.
Fuori l’aria era piuttosto fresca e mi dovetti stringere di
più nel giubbotto per scacciare i brividi di freddo. Saki
intanto andò ad avviare la limousine, aspettandoci
nell'ombra. Finché gli altri chiacchieravano, mi accesi una
sigaretta. Il fumo che soffiai fuori si confuse con le nuvole
grigiastre attorno alla luna. Almeno una cosa buona di tutta quella
stressante giornata c’era: era finalmente finita. La
rompipalle se ne tornava a casa, e io non avrei mai più
sentito parlare di lei. Malgrado tutto, sorrisi. Odiavo gli addii, ma
questo sarebbe stato decisamente piacevole.
-Tomi!-.
Mi voltai verso Bill.
Un sorriso gli illuminava il volto, ancora più pallido alla
luce biancastra della luna. Era decisamente un brutto segnale.
-Abbiamo pensato...
Che ne dici se Milla resta a dormire da noi per stanotte?-.
La sigaretta mi cadde
di bocca.
-Sì,
insomma, ormai è tardi, qualche ora in più o in
meno non farebbe la differenza...-, continuò mio fratello,
ignaro della bestia furiosa che mi si agitava nel petto.
Ad aggravare il tutto,
la sua voce, argentina e squillante come dei campanelli nella notte.
-Davvero? Dite sul
serio? No, oddio, non ci credo!-.
E si era messa a
saltellare, con gli occhi lucidi e le mani sulla bocca. Quella cosa nel
mio stomaco si contorse dolorosamente. Stavo per scoppiare! Mi
avvicinai reprimendo il fastidioso istinto di prendere a schiaffi il
bel visino della ragazza e con voce un po’ tremante,
obiettai:
-Ma non avete pensato
a David? E poi dove starà lei? No, no, non
c’è posto! E se poi si mette a russare?! Mi
sveglierebbe! Io in camera non ce la voglio!-.
Bill mi
guardò scandalizzato. Avevo detto qualcosa di strano?
-Nessuno ha detto che
dormirà da te... La ospito io volentieri!
C’è un divano comodissimo nella mia stanza, non ci
sarà nessun...-.
-Tranquillo Bill. Non
voglio crearvi fastidio. Torno a casa-. Una voce fredda, inespressiva,
vuota si intromise.
Il sorriso sul volto
del mio gemello si spense, ma quasi nessuno se ne accorse.
La magra figura di
Camilla pareva essere stata spinta improvvisamente sotto un riflettore.
Quando aveva lasciato scivolare addosso a noi quelle parole glaciali e
offese non stava guardando Bill. Stava guardando me. Inaspettatamente,
mi sentii a disagio. Senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel
nocciola quasi nero mi passai la lingua sulle labbra, deglutendo. Con
solo la luce del negozio a rischiarare l’atmosfera di
surreale gelo fra noi, il tempo e lo spazio parevano essersi dilatati.
Poi, la mia voce partì in automatico.
-Vedo che hai capito.
Ci fai solo un grande favore ad andartene. Non te l’abbiamo
mai detto per non sembrare scortesi, ma ora voglio che tu lo sappia:
sei la peggiore fan che io abbia mai incontrato, e spero di non
rivederti più-.
Ancora più
freddo. Ancora più arrabbiato. Ancora più
stupido.
Milla
arretrò di qualche passo, come ferita, e i suoi occhi si
riempirono di lacrime. Abbassò il capo e rimase in silenzio,
senza voler darmi anche quella soddisfazione. Inspiegabilmente
però, invece di sentirmi potente e trionfante come avevo
creduto, mi sentii una merda. Ero lì, davanti a una ragazza
che piangeva a causa mia e la mia bocca e le mie braccia parevano
essere atrofizzate.
Non ebbi il tempo di
dire nè di fare nulla perchè Bill mi si
parò davanti incenerendomi con uno sguardo disgustato per
poi inginocchiarsi davanti a lei e abbracciarla. Il vuoto si fece
spazio nel mio cuore, sostituito subito dopo dalla rabbia: mio fratello
la stava proteggendo. Da me. Dal suo secondo io. Le sussurrava parole
di conforto, invitandola a smettere di piangere, di non badarmi, che
ero uno stupido babbuino, mentre lei si asciugava gli occhi e
sorrideva, un po' imbarazzata, felice alla fine di quelle attenzioni.
Una strega travestita da fatina, ecco che cos'era. Strinsi i pugni.
Picchiare proprio il mio gemello non sarebbe stata affatto una mossa
saggia... oppure sì?
In quel momento, un
clacson non troppo lontano mi distrasse dai miei non proprio fraterni
rimuginamenti.
-Vi volete muovere?
Dovete tornare in albergo prima che David scopra che siete usciti, che
poi quello che finisce nei casini sono io!-, sbraitò Saki.
Bill si alzò, cinse un'ultima volta la schiena di Camilla e
prima di avviarsi con gli altri due alla limousine nera, le diede un
buffetto su una guancia. Lei ridacchiò, ancora un po'
singhiozzante, e si asciugò le ultime lacrime, guardando
malinconicamente le tre figure svanire nella notte. Io, invece, rimasi
lì come un'idiota, non sapendo bene che fare, cosa dire e se
andare oppure no. Lei, d'altro canto, m'ignorava deliberatamente. La
limousine si fermò sgommando davanti a noi.
-Kaulitz, monta su
prima che ti trascini per i rasta!-, sbottò Saki indicandomi
il retro dell'auto. Anche oltre i vetri oscurati sentivo lo sguardo
accusatore di mio fratello. Ma che diavolo volevano tutti da
me?!
Mi misi le mani in
tasca e feci per salire quando...
-Oh cazzo! Il
portafogli! Dove ho messo il portafogli?-, urlai tastandomi i jeans, la
maglia, il cappello.
Il finestrino si
abbassò. Un viso bianco e delicato spuntò fra
tutto quel nero.
-L'avrai lasciato nel
fast food, Tomi-, propose mio fratello. Oh, giusto! Forse avevo pensato
di essermelo messo in tasca e invece era scivolato a terra!
Prima di girarmi, nei
suoi occhi intrvidi un che di sornione, ma preso dall'agitazione
com'ero, non ci feci caso. Avevo cinquanta verdoni là
dentro, porca trota!
-Aspettatemi, torno
subito!-, esclamai correndo verso il McDonald. Sulla mia nuca, sentii
bruciare ancora gli occhi di Camilla.
Entrai come una furia,
e ignorando la cameriera che stava per chiudere, presi a zampettare
sotto tutti i tavoli modello scarafaggio con l'insonnia. Mentre
ispezionavo con attenzione il contenuto non proprio appetitoso di un
vassoio dimenticato, una sgommata proprio lì vicino mi fece
dirzzare le orecchie. Guardai fuori. La limousine era scomparsa.
Caracollai subito
fuori investendo la cameriera e da lontano vidi i fanali posteriori
dell'auto scomparire a tutta velocità oltre la curva.
-Bastardi! Tornate
indietro, bastardi!-, urlai agitando le braccia.
-Se ne sono
già andati, cretino, che urli?-.
Mi voltai, stupito.
Appoggiata al muro del McDonald, a braccia incorciate, Milla mi
guardava quasi con curiosità.
-Sei stata tu a farmi
questo scherzo del cazzo?-, sbottai rivolto alla moretta. Lei mi
trafisse con il nero petrolio dei suoi occhi.
-Certo che no! Se
fossi stata io l'artefice sarei rimasta qui a sorbirmi le tue insulse
filippiche?-, chiese retorica strascicando la voce. Si
staccò dalla parete e venne morbidamente verso di me, ogni
traccia del pianto svanita. Ora c'era solo desiderio. Di vendetta.
-A proposito...-, e mi
si piazzò proprio davanti, il viso verso l'alto,
orgogliosamente verso il mio. -Il tuo portafogli ce l'ha Bill. Non
serve più che ti agiti tanto, anche se è stato
divertente vederti scorrazzare per tutto il fast food come un pony
impazzito-, ridacchiò.
-Maledetto bastardo...
Gliela farò pagare...-, borbottai a denti stretti. Poi mi
ricordai di una cosa.
-Come mai tu non sei
andata con loro?-, chiesi a Camilla.
Lei alzò le
spalle con sufficienza.
-Saki mi ha detto di
aspettare qui. Avrebbe accompagnato i tre all'albergo e poi avrebbe
recuperato il vecchiaccio... cioè, l'autista di questa
mattina, per portarmi a casa...-.
La guardai. La guardai
sul serio per una volta. Non una sbirciata e via, come per paura di
essere contaminato da un suo particolare se fissato troppo a lungo.
Stavolta, la osservai.
La luna dipingeva
d'oro e argento la sua pelle, rendendola più morbida di
quello che sapevo già fosse. Era di profilo, e sosteneva
coraggiosamente lo sguardo contro la notte. Sulle sue guance, l'ombra
arcuata delle ciglia le dava un tocco di misterioso. Aveva un naso
dritto, fiero, collina rosata che si incurvava molto dolcemente, e poi
esplodeva più giù, in un vortice di profumo e
tenerezza sensuale, le sue labbra.
Distolsi lo sguardo.
Quando mai si era visto Tom Kaulitz fissare per più di dieci
secondi una ragazza prima di spogliarla e portarsela a letto?!
Appunto. E in mezzo
alla strada non sarebbe stato conveniente.
Finalmente, un lontano
eco si fece strada nella mia mente e riuscii a registrare le sue
parole.
La limousine sarebbe
tornata presto a prenderlo. Ma nel
frattempo...
Scoccai un'occhiata da
sbieco a Camilla. Lei si voltò e in un momento prese
possesso dei miei occhi. Sorrise. E mi gelò le vene. Avevo
già visto quella smorfia in tutto simile a un sorriso. Era
il sorriso della voglia di rivincita, di riscatto; un'avvertimento
lampeggiante a luci fosforescenti che recitava diabolicamente "Te la
farò pagare". Deglutii.
...
che sarebbe successo con Milla?
***
Eccomi! Allora, passo subito
ai ringraziamenti...
> _pikkola
stella_ : Wow, una nuova lettrice! ^^ Spero che continuerai a seguirmi,
non ti deluderò!
> valux91:
Grazie mille! Sono contenta di averti fatto divertire! La storia
continuerà sempre con questa punta di ironia, spero ti
farà bene.
> CAMiL92: Non
sai quanto piacere mi fa leggere i tuoi commenti! ^^ Sono stupendi, mi
fai sempre tantotanto felice! Un bacione! :*
> tesorinely:
Mi piace da morire lasciare tutto in sospeso! xD Così faccio
un po' di "saspens"! ^^
> Eliana Titti:
Sissì, continua a seguirmi, prometto grandi svolte! ^^
Bacioni!
> billa 483:
Però! Grazie! Hai recensito ogni capitolo! ^///^ Per
rispondere alla tua domanda... no, non ho mai vinto un concorso del
genere, ma se ci fosse parteciperei subito! :P Continua a seguirmi, Fan
Numero 1! xD
Finito! Sono sempre di
fretta, ma la prossima volta ci metterò di meno a
continuare! Promesso! Bacioni a tutte! ^^
|
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Capitolo 9 *** *CAPITOLO 9* ***
*9*
Sbadigliai. Mi stavo annoiando a morte. Tom non era proprio la persona
con cui avrei voluto capitare ad aspettare la mia limousine. Lo
sbirciai di sottecchi, lì, accanto a me. Le mani in tasca,
il peso ossessivamente spostato da un piede all'altro, lo sguardo
sfuggente... Oddio, possibile che fosse in imbarazzo?! No, lui, Tom
Kaulitz a disagio? Impossibile! Scossi la testa e ridacchiando fra me e
me ripresi ad ammirare in tutte le sue sfumature il buio di fronte a me
dall'altra parte della strada. Il tempo non passava più, e
io e una star di fama praticamente mondiale ce ne stavamo come due
cretini a guardare il nulla. Strano, no? Incrociai le braccia al petto
e sbuffai. Chissà se avrei potuto divertirmi un po'...
-È fresco stasera...-. Pessimo tentativo di conversazione,
Tom, davvero pessimo.
-Sì-. Neanche lo guardai.
Un sospiro. Suo e mio.
-Stanno tardando, a quanto pare...-.
-Sì-.
Percepivo quasi il lavorio del cervello del rasta sotto il cappello. Da
parte mia, io non volevo dargli alcun suggerimento.
-Era da un po' che non guardavo il cielo... Quante stelle...-. Eh, no!
Anche sul romantico ti butti! Se credo di intaccarmi il cuore con un
po' di poesia ti sbagli di grosso, caro il mio rastone!
-Sì-.
Lo ammetto. Mi stavo divertendo a prenderlo per il culo in quel modo!
Lo vedo aprire bocca in un altro patetico tentativo di far passare
quegli interminabili minuti, ma lo precedo.
-Senti, non ti sforzare, davvero! Lascia perdere. Anzi, sai cosa puoi
fare? Torna dentro al Mc e comprati una banana, te la offro io, se
vuoi-. Tom mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
-Cosa?-.
-Banana... Quel frutto che piace tanto alle scimmie, presente?-. Mimai
una mezzaluna nell'aria con gli indici.
-Perché dovrei comprarmi una banana?!-. Sogghignai.
-Perché da scimmia a babbuino c'è poca
differenza, avrete gli stessi gusti, no?-. In un nanosecondo le guance
gli andarono a fuoco. Oh-oh. Colpito nel segno.
-Come ti permetti?!-.
-Ok, ok, ho capito. Scusa-. Tornai seria e distolsi lo sguardo, ma fu
solo un attimo.
-Il grappolo intero è in offerta speciale, oggi-, gli
sussurrai fintamente complice.
-Adesso basta!!!-.
Ridendo, presi a correre di qua e di là tentando di schivare
come meglio potevo le zampe (ops! mani!) del rasta, che ormai
scatenato, saltava come una capretta cercando di prevedere le mie mosse
e contemporaneamente di non ruzzolare a terra inciampando nella coda.
Finii in un vicolo cieco. Dietro di me, il muro, davanti, lui. Me ne
accorsi troppo tardi e in un battito di ciglia mi ritrovai stretta fra
le sue braccia. Rideva.
-Ah-ha! La scimmietta è finita in trappola! Chi è
il babbuino che si è fatto fregare, adesso?-.
-Tu!-. Gli feci una linguaccia e con un'agile mossa che non so ancora
capacitarmi di come mi sia riuscita, scivolai verso il basso e sgusciai
via.
Leggermente frastornata, barcollai. Poi proruppi in una risata
sguaiata.
-Tah! Hai visto? James Bond in confronto a me è un
pivellino... oppure tu hai i riflessi più lenti di una
tartaruga con l'artrosi!-.
-Modesta, eh? E poi perché fai sempre paragoni con gli
animali?-.
-Mah, non lo so... Guardando te mi viene spontaneo...-.
-Stai forse insinuando che assomiglio a un animale?-.
-Nooo, affatto! Tu sei un animale. Una scimmia col berretto,
per la precisione direi-.
-Ma sei sempre così gentile?-.
-No, sono di buonumore oggi-.
-E quando sei incazzata invece?-.
-Diciamo che è meglio non avermi vicino...-.
-Oh, che paura!-.
-Dovresti... Attento, ti cade il pelo se ti arrabbi-.
-Ancora con questa storia?! Sei ripetitiva forte, sai!-.
-Senti chi parla, Mr Battutina... Maiale ti s'addice di
più?-.
-Stronza-.
-Porco-.
-Si può sapere perché ce l'hai tanto con me?!
Neanche ti avessi fatto chissà che torto...-.
-Ah, sì? Be', allora diciamola così... Tu hai
rovinato, intaccato, sgretolato la giornata più bella della
mia vita! Se non ci fossi stato tu, sempre lì a berciare
come uno gnomo eremita, questo sarebbe stato il giorno che avrei
ricordato per sempre, ne avrei parlato ai miei nipotini come il momento
più magico della mia vita. E invece hai infranto questo mio
sogno come niente...-.
-Tutto qui? Sei un tantino esagerata, no?-.
-Tutto qui? Tutto qui?! Io-ho-incontrato-i-Tokio-Hotel!!! Non so se te
ne rendi conto, ma io ho realizzato il Desiderio della mia vita! Non mi
pare di esagerare, ma tu... tu...-.
-Io cosa? Continua-.
Sbuffai con forza e presi a marciare furiosamente verso la zona d'ombra
all'altra parte della strada.
-Oh, ho capito! Bene, scappiamo dalla realtà! È
così che affronti la tua vita? Nascondendoti?-, mi urla
dietro Tom.
-Sono stanca di discutere con te! Tanto non mi capirai mai!-, strillai
senza voltarmi, lasciando che il buio mi avvolgesse.
I fruscii morbidi di jeans troppo larghi decisamente di fretta
cominciarono a seguirmi. Neanche mi voltai e accelerai.
-Dove stai andando? Vuoi fermarti?!-, ansimò Tom poco dietro
di me. Voltandomi appena e camminando di sbieco, ribattei gelida:
-No! Smettila tu di seguirmi! Su, torna indietro, sali su un albero e
comincia a spulciarti, almeno non darai più fastidio a
ness...-.
Uno strattone violento al braccio. L'aria che mi sferza la faccia e un
dolore fortissimo alla nuca, subito seguito dall'esplosione di tante
stelle bianche davanti a miei occhi. Poi, il paradiso si fuse con
l'inferno.
***
Basta. Non ce la facevo più.
Quando Milla si voltò un po' per lanciarmi una sua ennesima
frecciatina, qualcosa nel mio cervello scattò, la vista mi
si appannò d'un tratto e nel buio fitto vidi solo rosso. Mi
slanciai in avanti e velocissimo la agguantai per un braccio. Lei non
fece nemmeno in tempo a rendersene conto. Un vicolo stretto e umido
capitò quasi per caso. Con un buffo volteggio la trascinai
lì e la sbattei prepotentemente contro il muro sudicio. Una
smorfia di dolore incurvò le sue labbra e per un attimo ne
fui dispiaciuto. Un attimo solo, però.
Sogghignai divertito da come si era messa quella situazione e mi passai
lentamente la lingua sulle labbra. Milla gemette, serrando forte le
palpebre. Mi stavo eccitando. Le poggiai una mano sul petto e vi
spostai quasi tutto il mio peso, stringendola così, fra me e
il muro. Mi avvicinai al sul viso e chiudendo gli occhi posai
delicatamente le mie labbra sulle sue. Un bacio leggero, deciso,
esperto, forte, morbido. Non un come tanti.
Quando presi a mordicchiarle gentilmente la bocca lei trattenne
bruscamente il fiato e si addossò ancora di più
al muro tentando di divincolarsi, ma la mia mano restava lì,
irremovibile, e le impediva di scappare. Wo sind eure Hände?
Ben presto, il mio bacio divenne più appassionato,
più spinto. Mi insinuai con prepotenza nella sua bocca,
tracciandone prima i contorni con la lingua, poi esplorandola con
meticolosa attenzione. Milla era immobile, quasi non respirava, e
partecipava passivamente. L'altra mia mano scivolò veloce
più in basso della gemella e prese ad accarezzare
morbidamente la pelle vellutata della ragazza sotto la maglietta, fino
ai suoi seni. Milla ebbe un fremito e io mi feci più
addosso. La attirai a me avvolgendola forte con le mie braccia,
abbracciandola, quasi sollevandola in aria. Ehi, ci stavo prendendo
gusto!
Ecco, finalmente la ragazza si rilassò un poco e dischiuse
le labbra, rispondendo al mio bacio. Sorrisi fra me e me, immaginando
già a come si sarebbe approfondita la cosa, quando...
-Ahia!-.
Immediatamente la lasciai e mi portai una mano alla bocca. Sanguinava.
Quella stronza mi aveva imbrogliato, mi aveva praticamente azzannato il
labbro!
Ansimante di fronte a me, Milla rimase a guardarmi, in disordine e
barcollante. Succhiandomi la ferita, ancora sorpreso, avanzai verso di
lei, che contemporaneamente arretrò. Il muro
fermò di nuovo la sua fuga. Lessi la paura nei suoi occhi,
eppure non piangeva, non correva via. Mi fissava. Mi venne da ridere, e
ancora una volta fui veloce come il lampo. Un secondo e... La ragazza
boccheggiò, rimasta senza fiato, spinta per la seconda volta
contro la parete. La mia mano, stretta attorno alla sua gola, contro il
muro. Non pensavo più, agivo solo d'istinto, come un
animale.
Milla si aggrappò disperatamente alle mie braccia tentando
di farmi allentare la presa e vedendo le lacrime cominciare a spuntarle
dagli angoli degli occhi, allargai un po' le dita. Poi mi sporsi in
avanti e mossi rapido le labbra in un sussurro al suo orecchio.
-Te l'ho già detto... Io ottengo sempre ciò che
voglio... Ci rivedremo...-.
E lasciandole un ultimo prepotente bacio a stampo, lascia cadere la
mano che la imprigionava e la feci scivolare in tasca. Milla
inspirò avidamente l'aria fresca della notte e totalmente
svuotata da ogni energia si accasciò a terra come una
bambola di pezza. Quell'immagine mi fece un po' pena, ma il
Tom nella mia mente diede una pedata a quei pensieri non da duro.
Sghignazzai fra me e me, agitai una mano in segno di saluto e mi avviai
tranquillamente verso l'albergo, a piedi. Risi forte verso le stelle
quando l'urlo un po' roco di Milla -Sei un porco! Ti odio!-, mi
raggiunse, poi mi strinsi nelle spalle e svanii nella notte.
***
Non so per quanto tempo rimasi a terra. Forse ore, forse secondi. Solo,
rimasi lì, scossa da tremiti violenti, a piangere. La nuca
mi faceva un male cane dove avevo sbattuto per due volte, avevo freddo,
la gola bruciava, ma più di tutti sanguinava il cuore. Non
riuscivo a credere a quello che era accaduto, non potevo crederci! Da
Tom non me lo sarei mai aspettata. Non fino a questo punto...
Tirai su col naso e barcollante mi alzai. Respirando a pieni polmoni
l'aria ghiacciata della sera che mi asciugava le guance, scossi via
tutto dalla mia testa e trattenni un unico pensiero: tornare al
McDonald, salire su quella dannata limousine e lasciarsi alle spalle
tutto. Mi aggiustai maglia e giacca di traverso e un po' insicura sulle
gambe m'incamminai nella direzione dalla quale ero venuta. Le ultime
parole di Tom continuavano a risuonarmi nel cervello, stordendo
completamente la sua inquilina, la Milla-neurone: “...ottengo
sempre ciò che voglio... Ci rivedremo... rivedremo...
rivedremo...”.
Scossi la testa, scacciando quel brutto pensiero, immersi il mento nel
colletto del giubbotto e marciai con più decisione
nell'oscurità. Mi sentivo debole, molto debole, e tutto
ciò che desideravo era infilarmi nel mio letto, dormire e
dimenticarmi di Tom von Tokio Hotel. Non sapevo invece quanto avrebbero
significato per me quelle parole, oh no...
E svoltando un angolo, capii che i miei guai per quella sera non
sarebbero affatto finiti.
***
Eccomi qua! ^^ Scusate
il ritardo! Hallo a tutti! Che dite, sono stata troppo cattiva? Tom ha
veramente maltrattato la povera Milla... ma, come ha detto lei, i suoi
guai non finiranno ancora...
Ringrazio tutti quelli che hanno letto fino a qui, quelli che hanno
messo la mia storia fra i preferiti (27!!!) e, ovviamente, i
recensitori:
> Eliana Titti: Grazie
mille per aver messo la mia storia fra i preferiti, sono contenta di
essere riuscita ad incuriosirti! ^^ E grazie ovviamente per i
complimenti sulla scrittura (eppure, a me non piace proprio...)
>CAMiL92:
Ed ecco la mia recensitrice preferita, che anche questa volta non
poteva mancare! xD Che dirti... Milla è il mio mito, e senza
di lei in classe non sarebbe la stessa cosa. Bill è sempre e
comunque un grandUOMO in qualunque occasione, mentre Tomi... forse
dovrebbe applicarsi di più xD Spero questo capitolo ti abbia
intrigato ben bene, perchè aspetta a vedere cosa
succederà nei prossimi! Ghihihihii << risatina
diabolica. Un bacio!
>billa483:
E nemmeno lei manca mai! Grazie per i complimenti sulla storia, mio
fanno molto piacere! ^^ Ma cos'è che avevi sospettato? E'
successo quello che ti aspettavi o ho sconvolto tutte le tue
supposizioni( seh, come no...) *me curiosa*
>valux91:
Ah ah ah! Per me i Tokio Hotel sono proprio così, ben
lontano da come si mostrano all'apparenza, tutti seri e tenbrosi! xD
Per me sono solo 4 ragazzi che si comportano da ragazzi, niente di
così 'anormale' (eeeh, come no!! XD) Cercherò di
aggiornare il prima possibile! Baxi.
>tesorinely: Adoro
lasciare la suspance! *me spietata* Ti ringrazio tantissimo per il
"fantastica scrittrice" *me arrossisce*. La vendetta della Milla
c'è stata, ma solo all'inizio... Non finirà certo
qui, però... ^^
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, se no scrivetemi per segnalarmi
cosa non va o non vi è piaciuto. Alla prossima!!! Kussen :*
________________________________________________________________________________________
ANTICIPAZIONE:
Axel. Chi
si cela dietro questo nome? E come farà ad intervenire nelle
(disastrose) vicende della Milla?
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Capitolo 10 *** *CAPITOLO 10* ***
*10*
Ero totalmente immersa nei miei pensieri. Ero totalmente immersa nei
miei pensieri e vagavo sola. Ero totalmente immersa nei miei pensieri e
vagavo sola di notte. Combinazione vincente.
Ancora scossa dall'accaduto galleggiavo di qua e di là come
una bolla di sapone senza navigatore. Insomma, cercate di capirmi, Tom
Kaulitz mi aveva baciata, e per la seconda volta!
Passai sotto un lampione e automaticamente mi massaggia la nuca
dolorante. Be', a dire la verità, prima mi aveva anche fatto
sbattere la testa e tentato di soffocarmi... Ma erano particolari
trascurabili, no?
Zigzagando un po', diedi un calcio ad una lattina vuota mentre sentivo
la rabbia e l'indignazione montare dentro di me. Particolari trascurabili?!
Ma che stavo dicendo? Ero impazzita? Aveva quasi tentato di
violentarmi! Altro che bacio! Porca paletta, potevo anche denunciarlo!
La luce di un lampione mi abbagliò.
Sovrappensiero, feci una curva stretta e... SDENG! La mia testa,
già abbastanza provata per quella sera, si
scontrò con qualcosa di morbido.
-Ahiii...-, gemetti piano massaggiandomi la fronte. Alzai lo sguardo e
subito arretrai.
“Signore, perché ce l'hai tanto con me?!”,
pensai esasperata.
Il ragazzo sui 20 anni, nero, ben piazzato, con addosso diverse catene
e collane teschiate a cui ero andata addosso mi fissava più
che scocciato. Dietro di lui, come in un assurdo gioco di luci e ombre,
comparvero subito altri quattro o cinque titani. I loro muscoli
parevano più che mai gonfi sotto la luce biancastra del
lampione, e i loro occhi brillavano sinistramente.
Deglutii, e chissà perché, mi sentii come un
dolce pettirosso circondato da falchi furbi e affamati...
Sì, ok, avete ragione, forse dovrei smetterla con questi
stupidi paragoni sugli animali... Sappiate che comunque non era affatto
una bella sensazione. Il ragazzo contro cui avevo penosamente
rimbalzato come una pallina antistress non mi mollava gli occhi di
dosso. L'atmosfera si stava facendo decisamente pesante. La
Milla-neurone mi diede uno scossone al cervello. “Muoviti,
vattene!”, mi strillò. Sì, certo,
andarmene... Una parola! Quelli sembravano di pietra, non si muovevano,
ma ero sicura che se solo avessi provato a passare accanto a uno di
loro mi avrebbero afferrata e... Rabbrividii. No, non volevo nemmeno
pensarci! Be', rimanersene lì paralizzata sotto un lampione
che pareva un riflettore non avrebbe fatto altro che ritardare le cose.
Tanto valeva provarci, a questo punto. Biascicai uno
-Scusate- e senza perderli di vista presi ad aggirarli.
Quello a cui ero andata addosso, una specie di pugile americano,
scoprì i denti bianchi e storti in un malandato tentativo di
sorriso.
-Come va, fiorellino. Tutta sola?-.
-Ehm...-. Il mio cervello aveva qualche problema di connessione quella
notte. Avrei dovuto reclamare. -Sì... cioè, no!
No, no, io stavo... stavo... il mio ragazzo! Ehm, è venuto a
prendermi! Sì, proprio lì, eccolo!-, esclamai
indicando dietro di loro, verso il Mc. Non avevo progettato un vero e
proprio piano di fuga, ma speravo in questa patetica distrazione per
darmela a gambe. Non avevo tenuto conto però che i miei
amici giganti conoscevano anche loro qualche trucchetto. Disposti a
semicerchio, bicipite contro bicipite, non si mossero. Solo il tipo
nero, forse il capo, si voltò di poco indietro. Quando
tornò a fissarmi il suo sorriso si era fatto più
largo.
-Là non c'è proprio nessuno-.
Era vero. La strada era deserta. Maledissi mentalmente in arabo e
ostrogoto quel rimbambito decrepito di un autista. Come minimo, stava
ancora tentando di accendere il motore... Bah!
Cominciavo a sudare freddo ormai, e molto probabilmente tremavo come un
trapano elettrico. Il cuore mi rimbombava nelle orecchie facendo il
doppio del lavoro. La salivazione era assente. Cazzo, cazzo, cazzo,
cazzooo! Ma perché proprio a me? Perché stasera,
perché qui, perché?! Persa nei miei deprimenti
pensieri, non mi accorsi che il semicerchio si stava lentamente
avvicinando. Oh no, oh no, oh no! Che fare, che fare, che fare?
Un movimento diverso dal lento avanzare di Mr.Muscolo
calamitò all'istante la mia attenzione e mise in stand by il
lavorio frenetico delle mie meningi. Qualcuno emerse dalla cortina
d'ombra oltre il lampione. Io, che ero proprio sotto la luce, dovetti
strizzare gli occhi per distinguerlo. Fra i ragazzi corse un mormorio
di stupore, quasi riverenziale.
-Ehi Luke! Che succede?-, salutò il nuovo venuto. Era poco
più di un contorno per me, ma sentivo che aveva una voce
calda, profonda, piacevole. Un altro ragazzo, dunque...
Con due falcate l'ombra affiancò 'Luke', il mio nero
personale. I due si salutarono amabilmente con un complicato
scontro di pugni.
-Ciao bello! Che si dice?-, rise Luke.
-Mah, il solito-. Il ragazzo scrollò le spalle. Ora che era
più vicino lo distinguevo bene, e mi accorsi con sorpresa
che non era affatto male! Se solo fosse stato dalla mia parte...
I suoi occhi sfrecciarono velocissimi ai miei, facendomi sussultare,
poi scivolarono di nuovo all'amico. Erano azzurri, chiari e profondi.
In qualche modo mi rassicurarono.
-Lei chi è?-, domandò sottovoce
“Occhi-belli” indicandomi con un cenno della testa.
-Oh! Nessuno... noi... io volevo solo...-, balbettò il
titano, chiaramente in difficoltà.
-Luke-, chiamò il ragazzo. Freddo, glaciale. Era
più basso di almeno una spanna e molto meno muscoloso dei
componenti della banda di strada, eppure quell'ammasso di muscoli
abbronzati sembrò impallidire.
-Lasciala stare-. Non era una richiesta. Era un ordine.
Un colpo al cuore, un pugnale di miele che mi trafiggeva il petto. Gli
occhi mi si inumidirono. Mi stava difendendo...
“Che figo!”, esclamò la Milla-neurone.
...Be', era vero!
Luke sembrava combattuto. Provò a buttarla sul ridere.
-E su! Non vuoi che ci divertiamo? Non le avremmo fatto niente di male,
lo sai!-.
Per poco non gli sbuffai in faccia. A chi voleva darla a bere?!
Il mio salvatore soppesò con lo sguardo l'amico.
-Farò finta di crederti-, scandì alla fine.
-Però devo dire che hai pessimi gusti nel divertirti. Ora
andatevene-.
-Ma...!-.
-Fuori dai piedi-. Il suo sguardo era tagliente come ghiaccio e perfino
io rabbrividii.
Con sbuffi e mugugni soffocati, i miei piccoli amici muscolosi girarono
i tacchi, e strascicando i piedi scomparvero nella notte. Quando anche
l'ultimo eco dei loro passi pesanti si spense, il mio salvatore si
degnò di avvicinarsi. Il suo viso era illuminato da un
sorriso abbagliante.
-Milla! Sei proprio tu?-.
Cosa?! Mi aveva chiamata per nome? Oddio, ma chi era? Lo conoscevo?
Strizzai gli occhi schermandomeli con una mano nel tentativo di capire
chi fosse quel ragazzo per conoscere il mio nome. Lo scrutai
intensamente per qualche secondo.
-Axel...?-, provai titubante. Lui si aprì in un sorriso
ancora più bianco.
-Sì, sono proprio io! Non mi avevi riconosciuto, eh?
Vabbé, ti perdono...Tu invece sei rimasta sempre la stessa-.
Sorrisi anch'io senza riuscire a trattenere un gridolino di sorpresa e
corsi ad abbracciare il mio vecchio amico d'infanzia, o meglio,
travolgerlo!
-Sono così contenta di vederti! È passata una
vita dall'ultima volta che ci siamo visti-.
Lui mi accarezzò teneramente i capelli.
-Cinque anni... E non sei ancora cresciuta-. Rise. Mi era mancata la
sua risata.
Mi scostai un poco facendo la finta scocciata e dovetti inclinare la
testa all'indietro per incontrare i suoi occhi.
-Tu invece sei diventato ancora più alto-, affermai con una
punta d'invidia.
Lui abbassò gli occhi lasciando che ciuffi neri della lunga
frangetta gli nascondessero il viso. L'avevo sempre adorato quando
faceva così!
-O diciamo che sei tu che ti sei abbassata!-.
-Finiscila! Guarda che sono cresciuta dall'ultima volta che ci siamo
visti, e di ben dieci centimetri!-. Ridacchiò.
-Solo dieci?! Ah ah, sei sempre la solita nana- e rise scompigliandomi
i capelli. La sua allegria spontanea mi aveva fatto dimenticare di
tutto, e mi sentivo completa dopo tanto tempo.
Mi prese le mani.
-Allora, come stai? È tutto a posto? Tranne quello che stava
per succedere stasera, intendo... Successo qualcosa di interessante
negli ultimi tempi?-.
La mia mente schiacciò REWIND veloce e mi trovai a rivivere
il giorno appena passato, dalla disastrosa mattinata di preparativi,
passando per il pomeriggio ricco di emozioni condito di musica e
finendo ancora una volta lì, in quel vicolo, fra le braccia
di Tom. Un tiepido rossore mi si spanse dal collo alle orecchie.
-Mmmnno, niente di interessante... Raccontami un po' di te, dai!-, e
trascinandolo per un braccio lo incitai a passeggiare pacificamente con
me lungo i marciapiedi deserti. Io e lui, amici, quasi fratelli,
identici a cinque anni fa. In quel momento di quieta pace, l'albergo, i
Tokio Hotel e soprattutto Tom era ben lontano dai miei pensieri.
***
Starnutii. Nel silenzio rotto solo dallo strascicare dei miei jeans
parve quasi come un sparo.
-Aaaat... ciùù!-.
Tirai su col naso e mi rimisi le mani in tasca. Qualcuno mi aveva
pensato. O almeno, questo diceva Bill. Sciocchezze, quindi.
Era da un bel po' che camminavo, sarei dovuto arrivare ormai... Ad un
incrocio lessi la via dell'hotel e sospirai scorgendone la figura
appena più avanti. Non vedevo l'ora di farmi una bella
doccia calda e poi infilarmi a letto. Prima magari avrei fatto un giro
di Play con Georg, e messo qualcosa sotto i denti: avevo una
fama da lupi tutto a un tratto!
Le pesanti porte dell'albergo mi si spalancarono davanti come una
profumata promessa di comodità e ristoro. Sospirai. Casa.
Presi a salire lentamente le scale.
Be', una specie
di casa, sempre diversa ma comunque un luogo di ritrovo, una sorta di
tana per me e il gruppo...
Cazzo, stavo di nuovo ricadendo nel sentimentalismo! Su, Tom,
concentrati e fa il duro!
La porta della mia stanza mi balzò davanti di colpo. Da
dentro si udivano risate e schiamazzi. E ti pareva, i miei cari amici
stavano festeggiando alle mie spalle! Tipico. Mi schiarii la voce,
raddrizzai il cappello e bussai con tutta la forza che avevo. Le voci
si zittirono all'istante. Dopo un rumore di chiave fatta girare in
fretta, la porta si aprì di uno spiraglio minuscolo.
-Sìììì?-, chiesero
leziosamente un paio di birbanti occhi nocciola.
-Bill, razza di coglione, fammi entrare!-, sbottai invece io.
-Parola d'ordine?-, ridacchiarono le due gocce di cioccolato contornate
di nero. Sbuffai, seriamente irritato, e poggiando tutto il mio peso al
pannello di legno, spinsi via mio fratello che sbatté contro
la parete interna. Piombai dentro come una furia.
Erano tutti lì, Georg e Gustav (Bill era ancora spalmato la
porta), seduti per terra, con i cuscini del divanetto disposti a
cerchio in un'imitazione di una ridicola seduta spiritica.
Cristo, li avrei volentieri soffocati tutti con quei dannati cuscini
pur di non vedere più la finta sorpresa che aleggiava sui
loro volti! Comparendo barcollante da dietro la porta, Bill mi si
avvicinò ridacchiando.
-Ma che ci fai qua Tomi?-, esclamò appoggiandosi alla mia
spalla.
-Sono venuto a buttare fuori tre deficienti dalla mia stanza, ecco
cosa!-. Me lo scrollai di dosso e rivolsi occhiate di fuoco al bassista
e al batterista.
-Suuuu, quanta rabbia! Dovresti fare anche tu un po' di yoga, rilassa,
sai? E la nostra affascinante amichetta, dove l'hai lasciata?-, chiese
Bill guardandosi attorno.
“Contro un
muro”, pensai divertito.
-Be'... L'autista stava per arrivare... Ho preferito andarmene prima...
Tanto era davanti al Mc...-, risposi scrollando le spalle.
Gustav sgranò gli occhi.
-L'hai lasciata da sola?!-.
-Sì, perché? Stava per arrivare l'autista... E
poi sapete che non la sopporto!-, protestai.
Georg mi si avvicinò preoccupato.
-Ma... lei è una ragazza!
Non pensi che potrebbe succederle qualcosa? Le strade a quest'ora sono
molto pericolose!-.
Arretrai avvertendo un vago senso di malessere allo stomaco.
Perché mi volevano far sentire in colpa per qualcosa di cui
non ero responsabile? Io non c'entravo nulla, giusto?
-Vi ho ripetuto che era davanti al fast food...-.
-... che stava chiudendo-, concluse col rimprovero nella voce Gustav.
-Stava arrivando l'autista, cazzo! Probabilmente sarà
già arrivata a casa sana e salva!-, esclamai gesticolando
furiosamente.
-Ehm...-.
Mi voltai squadrando con rabbia mio fratello.
-Che vuoi tu?-, ruggii.
Bill non rispose, e senza parlare, mi indicò la porta,
aperta senza che me ne accorgessi al richiamo di un timido bussare
dall'altra parte. Sbattei le palpebre.
Un omino bassissimo e decisamente anziano mi fissava di sotto in su
timidamente. Si tormentava nervosamente le mani rugose e ogni tanto
lisciava una manica della sua giacca da chauffeur. I
capelli soffici e bianchi formavano una sorta di aureola luminosa sotto
la luce delle lampade in corridoio, notai.
Distogliendo lo sguardo dai miei occhi sgranati e colmi di senso di
colpa, alla fine,
l'autista si rivolse a tutti e a nessuno in particolare
pigolando piano.
-Signori... Ehm, credo ci sia qualche problema...-.
***
Haloa a tutti! ^^ Alla nostra Milla ne succedono sempre di tutti i
colori! Un po' mi dispiace... Però l'autista mi fa un po'
pena adesso...
Dunque, passo subito a rinnovare i ringraziamenti a tutti coloro che
hanno messo la mia storia fra i preferiti e chi ha anche solo letto.
Per chi ha commentato, invece, ecco il "grazie personalizzato". DANKE
SHON a:
>billy_72: Accontentata
(anche se non proprio presto! :P)... Spero continuerai a seguire le
avventure della Milla, che, non credo, finiranno tanto presto! Kussen.
>billa483:Be',
anche se ti aspettavi quello che sarebbe successo non credo di averti
delusa, no? ^^ E comunque la Milla è la Milla e lei non si
è sentita di "lasciarsi andare" con lui, anche se credo che
un pensierino ce l'abbia fatto... xD Baci
>Eliana Titti:
La "furia Tom" probabilmente colpirà ancora! xD Almeno
fnchè Milla resterà nei paraggi... E
chissà che non si abbia un finale diverso, stavolta... Ma
non anticipo nulla! Grazie 1000 per i complimenti sulla scrittura
(cerco sempre di migliorarmi, anche se non so se si veda).
Cercherò di aggiornare il prima possibile, blocco dello
scrittore e impegni permettendo. Kisses!
>Quoqquoriquo:
Tranquilla, capisco benissimo! Come devo aver detto (se la memoria non
mi fa cilecca), le critiche sono sempre ben accettate, e non me la
prendo affatto! Intanto, sono lusingata che tu abbia messo nei
preferiti la mia ff perchè mi sembri una che se ne intende,
e il tuo "tenere sott'occhio" non può che farmi piacere e
spronarmi a cercare di migliorare ancora. Questa è
la mia terza fic, quindi sono la prima ad ammettere di non avere ancora
"l'esperienza necessaria", né tutta la pratica che possono
avere scrittori più maturi e più capaci. In
questo capitolo spero che i miei personaggi siano sembrati
più normali... Grazie per avermi fatto notare questa cosa e
continua a seguirmi per segnalarmi i miei errori più
eclatanti! ^^
>CAMiL92:
E lei è sempre qui!! La mia recensitrice più
fedele! xD Ti dirò, il "bellissimo" davanti ad animale
rivolto a Tom non ci sta affatto male... ^///^ Non lasciare sola la tua
piccola omonima, ne avrà bisogno nei prossimi capitoli... Ma
non ti vogli far intendere nulla, per ora! Besos, recensitrice
n° 1!
>tesorinely:Danke
mille bella! Felice che ti sia sembrato "fantasticherrimo"!
Cercherò di aggiornare presto, ma ho tante abbastanza cose a
cui badare ultimamente, in primis la scuola, purtroppo... Kuss kuss! ^^
E qui ho finito. Per qualunque appunto o correzione non fatevi problemi
e scrivetemelo sinceramente. Le critiche sono sempre le benvenute (non
troppo crudeli, però... ç__ç). Al
prossimo capitolo, donne!
ANTICIPAZIONE: Tom e Axel... Se si incontrassero, che potrebbe
succedere?
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Capitolo 11 *** *CAPITOLO 11* ***
*11*
-Non ci posso
credere!-. Sbarrai gli occhi e mi fermai.
-E invece è
vero! Guarda, questa è una sua foto...-.
Mi avvicinai
sinceramente curiosa e sbirciai lo schermo illuminato del cellulare.
Sorrisi.
-Che carina! Come hai
detto che si chiama?-.
-Martina-.
Rimasi ancora qualche
secondo a fissare quei vivaci occhi scuri e la regolare curva morbida
delle guance, intrappolati in un freddo display, pensando.
Sorrisi di nuovo e mi
riappropriai della mano di Axel, euforica. Riprendemmo a camminare per
le vie buie di Berlino.
-State insieme da
tanto?-.
-Due anni fra qualche
giorno-.
-Però!-,
esclamai sorpresa. Ma d'altronde, perché mi stupivo? Axel
era un bel ragazzo, era normale che Martina si fosse innamorata di
lui... Però due anni mi sembravano quasi un'esagerazione, se
pensavo al vedere una stessa persona tutti i giorni. Chissà
cosa provavano quelli sposati da oltre cinquant'anni nel vedere lo
stesso viso per una vita...
-A che pensi?-, mi
chiese lui d'un tratto.
-Ai pensionati-.
La sua risata forte e
sonora risuonò per tutta la strada, rimbalzando qua e
là, sempre più smorzata finché non si
spense del tutto.
-Certo che sei
veramente strana! Mi vuoi dire che con me che cammino al
tuo fianco, il tuo migliore amico che non vedi da cinque anni, sempre
affascinante se non di più, oserei dire...-.
Gli lanciai
un'occhiataccia.
-... ti ritrovi a
pensare a dei vecchietti stipendiati dallo stato?-, continuò
imperterrito.
-È proibito
anche pensare, adesso?-.
-Esagerata! Lo trovavo
strano, ecco tutto-.
-Perché,
tu a che pensavi?-.
-Agli spaghetti-.
-... E vieni a dire a
me che sono strana!-.
-È proibito
avere fame, adesso?-, ribatté facendomi il verso.
Finsi di offendermi a
morte e gli lasciai la mano, accelerando per distanziarlo il
più possibile.
-Milla! Dove vai?
Aspettami!-.
Non risposi e tentai
di allungare il passo, arrivando quasi a correre. Inutile. In due
falcate delle sue lunghissime gambe mi fu subito dietro. Qualcosa mi
strattonò per il giubbotto, arrestando la mia corsa, e prima
che potessi protestare, due mani mi presero per la vita e mi
sollevarono ad un'altezza... ehm... non nei miei standard.
-Axel! Ma sei pazzo!?
Mettimi subito giù!-, strillai agitandomi come un'anguilla.
Guardai in basso. Il marciapiede era mooolto lontano! Porca paletta! E lui rideva! Rideva
come un matto, sentivo la sua guancia tremante contro la mia scapola. E
non è che mi dispiacesse poi tanto...
Dopo appena qualche
secondo che mi sembrò eterno, Axel mi riappoggiò
delicatamente a terra. Chissà se fu solo un caso che mi
avesse tenuta stretta contro il suo petto prima di permettere che mi
allontanassi... Mi risistemai sbrigativamente la maglietta, rossa
d'imbarazzo, e lui rimase ad osservare con interesse i miei gesti prima
di riprendere a sfottermi.
-Lo sai che sei
proprio pesante? Caspita, non credo ce l'avrei fatta a tenerti su un
secondo di più! Quanto pesi, una tonnellata?!-.
-Non costringermi a
usare la forza per farti rimangiare questa affermazione, mister
peso-piuma...-.
-Forza? Ma quale
forza?-.
Velocissima, gli
sferrai una gomitata in pieno stomaco.
-Questa. Che
dici, devo usarla tutta?-.
La sua risposta,
stranamente soffocata, mi fece incredibilmente piacere.
-No, grazie. Basta
così-.
Sbuffò
silenziosamente massaggiandosi la pancia mentre riprendevamo a
camminare mano nella mano, e non me lo feci sfuggire.
-Ti ho fatto tanto
male?-.
-Ma va! Sono una
roccia io!-.
-... di plastilina...
Be', lasciamo perdere. Non siamo ancora arrivati?-.
-All'hotel? Mmh...
Dovrebbero mancare pochi isolati...-.
Gemetti, piagnucolando
esageratamente.
-Camminare ancora?! Ma
sono stanca!-.
Lui
ridacchiò, tutto uno sfavillare di denti bianchi fra pelle
abbronzata a contatto col buio. Un risultato da paura.
-Se vuoi ti porto in
braccio io! ... o noleggio una gru-.
-Ho già
avuto la mia esperienza “ai piani alti”, e mi
è bastata! Cammino-, assicurai in fretta.
Axel rise ancora e mi
abbracciò impetuosamente, facendomi barcollare in modo
preoccupante.
-Ax... el...
'asciami!-, soffiai decisamente a corto di fiato. Lui mollò
la presa.
-Scusami, Milla.
È che sono felice! Era da tanto che non ti vedevo... Mi sei
mancata...-.
Arrossii, stupita da
quell'inaspettata confessione, e mi aspettai un seguito, di qualunque
tipo, a ciò che mi aveva appena detto. Axel però
rimase in silenzio a fissare il marciapiede, evidentemente imbarazzato,
mentre io attendevo. Quando tornò a fissarmi di
nuovo con quegli zaffiri lucenti che si trovava al posto degli occhi mi
sentii quasi mancare. Lui accennò solo un sorriso prima di
accogliere la mia mano fra le sue grandi dita.
-Andiamo?-. Una
semplice domanda, nascondiglio di chissà quali proposte...
-Sì-. Una
semplice risposta, diretta, chiara, incapace di qualunque sotterfugio
proprio per la sua innocenza. La strada si spalancò di nuovo
davanti ai nostri passi mentre io e il mio Segreto riprendevamo ad
avanzare, legati da potenti lacci di seta, impossibili da spezzare.
E chissà
se, dopotutto, sarei mai arrivata davvero a quell'albergo dove
prendevano vita i miei Sogni.
***
Mi girava la testa e
mi sentivo la fronte appiccicosa di sudore freddo. Forse avevo la
febbre, no, l'influenza! Mi aggrappai al primo oggetto orizzontale e
stabile che riuscii a trovare e mi ci lascia cadere sopra
perché, per mia fortuna, era una comoda poltroncina.
-In che senso la
limousine non parte?!-, strillò Bill, la voce più
alta di qualche ottava a causa dell'ansia. L'autista, tormentandosi le
dita nodose, tentò di pigolare qualcosa, invano.
-Non c'è
molto da capire, temo... La limousine non parte-, affermò
cupamente Georg.
-Ma perché
non parte?!-.
-Bill, calmati!-,
sbuffò Gustav sfrecciandomi davanti con una bracciata di
giacche e felpe fra le braccia. Poco dopo tornò indietro con
quattro paia di scarpe e tre di calzini. I suoi li aveva già
infilati ai piedi, ovviamente.
-Ma non può
non partire! È una
limousine!-.
-È un'auto
come tante, con un motore che può rompersi!-.
-Ma... ma...
è una limousine!-.
-Bill, sappiamo con
che modello di caffettiera scarrozziamo in giro!-.
-Invece di “fanfarare”
[licenza poetica
dell'autrice ù_ù] perché
non cominciate a vestirvi?-, s'intromise Gustav allacciandosi le scarpe
e interrompendo il delirante scambio di battute tra il cantante e il
bassista. I due interpellati si voltarono a guardare il biondo con gli
occhi fuori dalle orbite.
-Perché?!-,
domandarono in coro cascando clamorosamente dalle nuvole.
Il batterista
scaricò loro in braccio praticamente tutti i loro effetti.
-Dobbiamo salvare una
fanciulla in pericolo, no?-, trillò sorridendo.
-Ehm...-, rantolai io.
Tutti si voltarono a fissarmi, vecchietto compreso.
-Vi... dispiace se io
resto qui?-, mormorai. La voce mi si spezzò sulla prima
parola e dovetti schiarirmela sonoramente. Silenzio. Spostai gli occhi
dall'uno all'altro, sempre più ansiosamente. Almeno
smettetela di fissarmi così, cazzo!
-Perché,
Tomi?-, mi chiese Bill con una manica della giacca nera già
infilata. Già, perché non ci vuoi andare, Tom?
“Sta',
zitta!”, ordinai alla mia coscienza.
-Be'... io non... mi
sento tanto bene...-, azzardai sfruttando il pallore che ero sicuro di
ostentare in viso.
-In effetti non hai un
bel colorito... Però se stai a casa tu, sto a casa io!-.
Eccolo, il paladino
dei deboli...
-Ma no, Bill! Vai!
Tranquillo, è solo un po' di... indigestione,
passerà presto. È meglio che andiate anche con
Saki, non si sa mai. Su, portate a casa quella ragazzina,
così la finiamo con questa storia...-. Presi fiato e
stiracchiai un sorriso poco convincente.
Bill mi fissava ancora
un po' dubbioso.
-Ancora là
sei?! Muoversi! Raus!-, e cercai di cacciarlo con grandi gesti delle
braccia.
Lui mi
continuò a fissare imperscrutabilmente mentre finiva di
infilarsi la giacca. Infine, il piccolo gruppo (vecchietto compreso...)
fu impacchettato in giubbotti più o meno costosi e pesanti.
-Prendiamo la
fuoriserie di Saki, non ci metteremo molto, torneremo presto. Ciao
Tomi-, mi salutò tristemente Bill. Neanche partissero per
l'Alaska...
-Ciao ciao!-, salutai
con la manina, forse troppo allegramente, e finalmente quella maledetta
porta si chiuse. Attesi qualche minuto, con le orecchie spasmodicamente
tese. Voci che si accavallavano in spiegazioni concitate. Silenzio di
chi ha accettato, vinto. Passi per le scale, porte che venivano aperte
solertemente, rumore di tacchi e scarpe da ginnastica. Quattro porte di
un auto che sbattevano. Un motore che si avviava senza troppi
tentativi. E un'auto che svaniva dietro l'angolo.
Sospirai di sollievo.
Se n'erano andati. Mi avevano lasciato solo, finalmente. Solo, con i
miei pensieri come unici compagni.
“Chefare chefare
chefare?!”, mi chiedevo ossessivamente con la
testa fra le mani. Ormai il senso di nausea e l'appiccicatura stavano
svanendo... Ma non potevo tornare là fuori da lei, no,
assolutamente!
Mi alzai e mi diressi
verso la finestra aperta, permettendo alla fredda brezza notturna
odorante di Berlino di asciugarmi la fronte e far cedere le mie difese.
Sospirai, stanco. Un'immagine balenò davanti ai miei occhi
chiusi. Lei. Una mania, un chiodo fisso, una possessione diabolica
della mia mente e dei miei sensi, col suo profumo delicato, i suoi
difetti, perfetti nella loro imperfezione; i suoi occhi, la sua bocca,
la sua pelle, morbida, dannatamente piacevole; la sua risata, il suo
broncio, il suo muoversi, felice della vita e della sua vita. Lei. Lei,
lei, lei. Lei, la mia
ossessione.
Mi massaggiai la
fronte, infuocata e pulsante, allontanandomi da quel veritiero occhio
sul mondo. E allora, che fare?
Il mi sguardo cadde su
un barattolo di cioccolata lasciato mezzo aperto sul tavolo. Un
coltello lì vicino, gocciolava placidamente la dolce
sostanza sul ripiano, già sporco. E fu allora che mi decisi.
Senza un vero motivo, senza un vero perché, forse neanche
per merito del barattolo di Nutella.
Afferrai la giacca e
mi lanciai fuori dall'albergo, senza fare a meno di chiedermi se fossi
impazzito, e soprattutto... come diavolo sarei riuscito a trovare Milla
in pieno centro Berlino?!
***
Salve! Dopo millenni di assenza mi sono
rifatta viva ancora. Scusate per il ritardo mostruoso, ho avuto una
crisi mistica spaventosa, tanto che avevo pensato addirittura
di abbandonare questa storia... Ma lasciamo perdere! ^^ Passo ai
ringraziamenti:
allora, intanto 1 milioni di grazie a chi ha messo la mia storia fra i
preferiti e a chi l'ha letta anche senza commentare (è una
soddisfazione lo stesso); e come al solito, ringraziamente
personalizzati per i recensitori!
>SusserCinderella:
Grazie mille! Ti stai leggendo tutte le mie ficcy, e non sai quanto
sono felice di questo! Spero di continuare a trasemtterti emozioni con
ogni capitolo di ogni mia storia! ^^ Baci
>billa483:
*fiuuuu* sono contenta che non ti abbia deluso l'altro capitolo, e
spero che anche questo sia stato all'altezza... Non assicuro il
"presto" per l'aggiornamento, ma farò del mio meglio! Besos
>ElianaTitti:
Questo significa "entrare nella storia"! xD Sapere che sono stata io a
farti rabbrividire e ridere mi fa sentire... realizzata!
(perchè, io non ne sparo di cazzate?! XD). Ancora non si sa
se Milla sia davvero destinata ad un Tokio Hotel... Non anticipo nulla,
però Axel potrebbe diventare decisamente... pressante.
Grazie per gli incoraggiamenti sulla scrittura, fanno sempre piacere.
Cercherò di aggiornare il prima possibile! :*
>_Glossy_:
Hai ragione, anch'io sarei rimasta pietrificata dove mi trovavo se mi
si fossero avvicinati dei tipi così... altro che scappare!
Axel è un tesoro, e Tom... be', è Tom! Non ci sa
proprio fare con le ragazze! Bah... Kisses
>CAMiL92:
Cami, se ti dico che mi hai commossa mi credi? Be', te lo dico lo
stesso. Mi hai fatto spuntare la lacrimuccia. E non è
facile, per me! Non so nemmeno come trasmetterti a parole quello che tu
mi hai fatto provare con la tua recensione. Forse felicità,
ma sarebbe riduttivo. Forse soddisfazione, ma so di non meritarla
appieno. Più semplicemente, potrei dire emozione,
quella che, da quanto ho capito, provi tu ogni volta che leggi di me
(perchè questa storia, in fondo, è un pezzo del
mio essere). Per una scrittrice, anche scadente come la sottoscritta
(xD), è questa la cosa che più le fa sentire di
aver fatto un buon lavoro: l'aver regalato qualcosa di proprio
ai lettori. Non mi dilungherò troppo perchè
potrei diventare così smielata da farti passare la voglia di
mangiar dolci per un mese, voglio solo dirti GRAZIE! Per tutto,
in particolare per la tua simpatia e la tua dolcezza. A presto,
Fedelissima. Kussen!
>_ToMSiMo_:
Wow, una nuova lettrice! ^^ Cercherò di aggiornare presto,
continua a seguirmi! <3
Finito! Non ho dimenticato nessuno vero? Scusate per i
micro-ringraziamenti, ma devo sbrigarmi perchè se mia mamma
torna a casa... Brrrr! Altro che Luke e quei brutti ceffi! xD. Va
beeene, evaporo!
A presto! <33
|
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Capitolo 12 *** *CAPITOLO 12* ***
A
grande richiesta, il capitolo...
*12*
-Allora? Allora?!-.
Saki alzò
gli occhi allo specchietto retrovisore incontrando un preoccupato
sguardo nocciola.
-Bill, stai calmo! Non
le succederà niente, la troveremo-, scandì con la
sua voce calda e profonda.
-Non posso stare
tranquillo! Lei... è là fuori, Saki!
Là fuori! Non oso immaginare cosa potrebbe esserle
successo...-. L'ultima parola si spezzò fra le labbra rosee
di Bill Kaulitz, impegnato in una missione di salvataggio, costretto ad
affrontare con la sua tipica tranquillità e compostezza
anche il viaggio in auto più lungo della sua vita...
-Oddio, quanto ci
vuole?! Bastaaa! Voglio scendere!!!-.
Era una descrizione
ironica, ovviamente.
Georg e Gustav furono
costretti a sedersi sopra (letteralmente) all'isterico cantante per
bloccare i suoi tentativi di fuga, il quale si costrinse a calmarsi.
La berlina scura
sfrecciava silenziosa per le strade ancora affollate di una Berlino
sprizzante calore e sicurezza. Osservando il cupo alternarsi di vicoli
oscuri e palazzi illuminati, Bill rabbrividì. Sapeva
benissimo che non era vero.
Con le gambe bloccate
da Gustav e un gomito di Georg piantato nello stomaco, Bill osservava
sempre più ansiosamente il paesaggio monotono.
Pennellate di luce e
ombre di buio dipingevano il suo viso pallido, alternandosi
schematicamente- Luce. Ombra. Luce. Ombra. Se li ripeteva mentalmente.
“Luce. Luce. Ombra.
Luce. Ombra. Ombra”. Improvvisamente,
avvertì un senso di vuoto allo stomaco alla vista di un
particolare edificio e preda della sorpresa, sgranò gli
occhi.
-Ombra!!!
Cioè, il McDonald!!!, strillò sbracciandosi.
Batté come un forsennato la mano sul sedile del guidatore
intimando di fermarsi.
-Che succede?-, chiese
Saki dopo aver accostato frettolosamente.
Senza fiato, Bill
cercò di spiegarsi a gesti e frasi sconnesse.
-Lì! Il...
'storante! Milla... 'food!!!-.
I tre lo guardavano
con gli occhi fuori dalle orbite. Bill alzò gli occhi al
cielo e sbuffando si districò frettolosamente da
Georg e Gustav che gli bloccavano la respirazione. Finalmente libero
dal dolce (si fa per dire) peso dei due compagni, prese fiato e
ripeté tutto con più coerenza.
-Il ristorante, il
fast food! È quello lì!-, lo indicò
con una mano, fuori dal finestrino.
-Ne sei proprio
sicuro?-, domandò Georg studiandolo a sua volta.
-Sì,
sì, ne sono più che certo! Presto, dobbiamo
andare!-.
-Aspetta!-
gridò Saki.
-Non è
più il tempo di aspettare, merda!-, strillò di
rimando Bill armeggiando con la maniglia della portiera. Prima che
potesse aprirla, si udì uno scatto e le sicure calarono
traditrici. Il ragazzo si voltò come una furia verso
la guardia del corpo, colpevolmente ostentante un'espressione
irremovibile.
-Che cazzo fai?-,
esclamò, furioso.
-Andrò solo
io, voi no. È troppo pericoloso-, sentenziò
l'uomo.
-E
perché?-, chiese l'apprensivo Gustav.
-Ho sentito dire in
giro che è proprio in questa zona che ama riunirsi la
più spietata banda di teppisti di Berlino!-. Nell'abitacolo
il silenzio calò all'improvviso. I ragazzi osservavano Saki
con gli occhi sgranati e il fiato sospeso. -Se la vostra... Milla
è rimasta lì, davanti al ristorante, quei tipacci
l'avranno sicuramente vista e... e...-. Bill serrò gli occhi
e levò una mano per interrompere la guardia del corpo. Era
troppo per lui. Conosceva la vita reale, conosceva gli orrori a cui era
soggetto il mondo appena fuori dal sicuro vialetto di casa, ma non per
questo riusciva ad accettarli.
Alla fine,
sospirò e riaprì lentamente gli occhi. Era
consapevole a cosa stava andando incontro, e l'avrebbe affrontato.
-Noi veniamo con te-.
Saki
sbuffò, chiedendosi perché diavolo
Bill avesse l'odiosa mania di fare il coraggioso moschettiere. Per
qualche secondo rimase con lo sguardo perso nel vuoto, immerso nelle
proprie riflessioni, poi tolse la sicura alla porta anteriore e
smontò dall'auto. Bill batté impazientemente sul
vetro per attirare l'attenzione della guardia del corpo, che
corse ad aprire la portiera posteriore. Bill fece per scendere ma il
bodyguard lo spinse indietro.
-Cosa...?!-,
domandò il ragazzo, indignato.
Saki scosse la testa.
-Ve l'ho
già detto, voi rimanete qua. Non posso permettere che vi
succeda qualcosa. Vado io, e se... se la trovo, vi chiamo-,
tentennò l'omone.
-Non crederai che ce
ne staremo qui buoni buoni a raccontarci le barzellette
finché tu sei fuori ad affrontare una banda di malviventi!-,
sbraitò Bill facendo un altro tentativo per sfuggire alla
presa ferrea di Saki, subito bloccato.
-Be', ci sono altri
giochetti da fare finché si aspetta in auto! Buon
divertimento-, ridacchiò, e chiuse l'auto prima di
sparire, inghiottito dal buio della notte.
Bill, rimasto senza
parole, ruggì d'indignazione e si abbandonò sul
sedile posteriore.
-Dai, Bill, non
prendertela. Saki è il migliore, la troverà
sicuramente anche senza il nostro aiuto-, esclamò Georg.
-Voi non capite...-,
piagnucolò il cantante immusonito.
-Aiutaci a capire,
allora-, sussurrò con dolcezza l'incorreggibile Gustav.
Bill rimase un momento
in silenzio, riflettendo.
-Lasciate perdere-,
mormorò cupamente. Si alzò e cominciò
a frugare curiosamente nelle tasche dei sedili, sotto il volante, negli
scomparti del cruscotto. Gli altri due lo guardavano sbalorditi.
-Bill, che cazzo stai
facendo?-, chiese con il suo particolare tatto il bassista.
L'interpellato sbuffò, come se gli fosse stata posta una
domanda più che ovvia e riprese a frugare qui e
là.
-Cerco-, rispose
distrattamente.
-Oh, giusto, come
abbiamo fatto a non capirlo... Idiota, ho capito che non stai buttando
tutto all'aria per sport, ma cosa cerchi?-, ribatté il
sarcastico Georg.
Bill sbuffò
di nuovo con rinnovata impazienza e si voltò ad incenerire
con un'occhiata di fuoco il malcapitato.
-Tu per caso hai una
forcina per capelli? Perché se ce l'hai mi faresti un grande
favore, e mi risparmieresti l'ingrato compito di cercare qualcosa per
scassinare la macchina!-, strillò istericamente il moretto.
I ragazzi erano
basiti.
-Vuoi uscire? Ma
Saki...-.
-Avevo detto a Saki
che non sarei rimasto in macchina a girarmi i pollici mentre Milla
è là fuori!-.
In quel momento, Bill
si illuminò e scomparì sotto il sedile, dal quale
riemerse pochi secondi dopo adornato di un meraviglioso cappello di
polvere. In una mano stringeva un cacciavite giallo.
-Non so come questo ci
sia arrivato, qui, ma ringrazio il Dio dei Cacciaviti!-, sorrise.
Dopodiché strinse la lingua fra i denti e prese ad
armeggiare con la chiusura della portiera, aiutato da Georg e Gustav,
arresisi a seguire anche in quell'ennesima follia quel pazzo di un
cantante.
-E poi io non le so
raccontare, le barzellette...-, mormorò pianissimo Bill.
***
E così mi
ritrovavo a percorrere di
nuovo le stesse, maledette strade. I poco frequenti
lampioni scorrevano velocemente accanto a me e il marciapiede, notai,
era diventato solo un susseguirsi di onde grigie e morbide. Strinsi
forte il volante fra le mani e tentai di rilassarmi. Almeno, adesso ero
a bordo della mia comoda auto!
Non andavo molto
forte, ma ad ogni anfratto più buio, ad ogni cono d'ombra mi
trovavo a rallentare e a combattere con quell'insolita stanchezza che
costringeva le mie palpebre a chiudersi. Ma resistevo.
Ad ogni timido
movimento, inchiodavo e mi sporgevo dal finestrino per cercare di
dividere l'ombra che avevo visto dal buio intenso.
Girai tutte le strade
che potei, ma quando mi ritrovai al punto di partenza per la seconda
volta, accostai e spensi il motore. Sospirai appoggiando la testa sul
volante e rimasi qualche minuto ad ascoltare il battito frenetico del
mio cuore.
“È colpa
mia, solo colpa mia...”, pensavo, e non trovavo
un'uscita a quella via a senso unico che la mia mente aveva imboccato.
Mi lasciai ricadere
sul sedile, preda di un piacevole torpore, ma non potevo dormire, no,
non adesso!
Decisi di scendere. Fu
una buona idea, l'aria fresca della notte mi stava rianimando. Tirai
fuori il pacchetto di sigarette e me ne accesi una. Osservavo le stelle
mentre aspiravo ed espiravo. Dentro e fuori, la sigaretta si
consumò incredibilmente in fretta.
Stavo per prenderne
un'altra quando udii dei rumori. Attento, nascosi nella tasca il
pacchetto e rimasi in ascolto col batticuore. Passi. Voci. Tesi
l'orecchio. Una voce maschile e una femminile. Si stavano avvicinando.
Sobbalzai quando sentii la ragazza strillare, e mi chiesi se dovessi
intervenire. Sembrava ridessero, ma la ragazza continuava a gridare...
Sbuffai e partii alla
carica. Per questa volta sarei stato io il supereroe e qualcun altro il
cattivo.
Svoltai un angolo
preparandomi psicologicamente ad una possibile rissa. Ci stavo
ripensando? Troppo tardi.
La via in cui ero
capitato era totalmente buia. Strizzai gli occhi e mi misi a vagare
alla cieca, cercando perlomeno di non inciampare nei miei stessi piedi!
Gli strilli e le risate si facevano sempre più vicini.
Pensai di usare l'accendino come torcia, ma non ce ne fu bisogno. Due
figure si stagliarono contro la luna bassa, spuntata d'un tratto da
dietro una casa. Sorrisi e presi a correre nella loro direzione
schermandomi gli occhi per riuscire a vedere dove andavo. Ora i due
parlavano normalmente e mi chiesi se non stessi fraintendendo tutto.
-Ehi!-, urlai.
Le figure si fermarono
e aspettarono che le raggiungessi. Con il fiatone mi fermai davanti
alla più piccola, la ragazza sicuramente. Non riuscivo a
vederla perché era in controluce, loro invece potevano
osservare per bene me, illuminato interamente dalla luna.
-Tutto a posto? Ho
sentito urlare...-, e lanciai un'occhiataccia all'ombra più
alta.
-Tom?!-,
sussurrò la ragazza.
Sussultai. Come faceva
a conoscermi?
-Come fai a
conoscermi?-, chiesi appunto.
-Ma ti sei
rincretinito? Sono io, Milla!-.
Il mio cuore
saltò parecchi battiti.
-Milla?!-.
La ragazza
sbuffò e si mise dietro di me, facendo in modo che la luna
la illuminasse in viso.
-Allora?-, chiese
allargando le braccia.
Avevo la gola secca, e
faticai a rispondere.
-Sei... ehm... proprio
tu...-, balbettai.
Milla annuì
con foga sollevando le sopracciglia delicate.
-Già! Posso
dire di conoscermi bene, dopo quindici anni di vita, quindi posso
assicurarti tranquillamente che io sono io!-. La fissai, divertito.
Indubbiamente, era proprio lei.
-Cosa ci fai qui?-,
domandai avvicinandomi.
Il tipo dietro di me
fece un colpetto di tosse. Ah, già, me ne stavo
dimenticando.
-E lui chi
è?-, chiesi sussurrando.
Milla sorrise e fece
cenno al bellimbusto di avvicinarlesi.
-Tom, ti presento
Axel, un mio carissimo
amico-.
Gli diedi la mano,
fissandolo con odio.
-Piacere-. “Amico”...
come no.
Mi raddrizzai e
dovetti alzare la testa per fissarlo negli occhi. Cazzo, era altissimo!
-Stavo accompagnando
Milla-, le sorrise – all'hotel. Sai, l'ho incontrata per caso
e l'ho... diciamo... tolta da una situazione spinosa-. Sorrise. Era
ufficiale, non mi era antipatico. Lo odiavo.
Milla gli diede una
spintarella.
-Modesto... Diciamo
pure che mi ha salvato la vita-, esclamò ridacchiando. Alzai
gli occhi al cielo, non visto. Un altro cavaliere senza macchia e senza
paura... Che palle.
Decisi di dare un
taglio a quegli sguardi a dir poco zuccherosi che si lanciavano i due.
Mi schiarii la voce e proposi ad un tono leggermente più
alto del normale:
-Milla, io sono venuto
fin qua in macchina. Ti potrei accompagnare io fino all'albergo-.
Accidenti, così mi stavo abbassando allo stesso livello del
damerino! -Ehm, cioè... Io ti lascerei anche qui,
ma poi Bill mi farebbe una testa così, quindi...-. Lasciai
cadere il discorso, soddisfatto. Così andava molto meglio!
“A proposito...
chissà dove saranno adesso Bill e gli altri...”,
pensai distrattamente. Tirai fuori il cellulare e controllai il
display. Nessuna chiamata persa. Boh. Me lo rimisi in tasca. Bill
& co. se la sarebbero cavata. Avevo una situazione
più urgente da sbrogliare adesso.
-Milla, non dirmi che
ti fidi di uno come lui?!-, stava sussurrando furiosamente Axel
all'orecchio della ragazza. -Insomma, guardalo! Non ha un aspetto molto
raccomandabile!-.
Milla lo
fissò indignata.
-Come fai a dire una
cosa del genere? Non lo conosci neanche!-.
Sorrisi. Un punto a
favore della piccoletta.
-Milla, ti prego,
ascoltami...-, proseguì Axel, convinto che non riuscissi a
sentirlo. Le afferrò un braccio e all'istante avvertii una
sensazione in tutto simile ad un pugno nello stomaco. Okay, avevo
pazientato anche troppo. Adesso basta.
Mi intromisi
letteralmente fra i due costringendo Axel a lasciare andare Milla, che
d'istinto si nascose dietro di me.
-Senti, non ti
preoccupare, accompagno io Milla a casa! Tu puoi andare. Grazie di
tutto, comunque. Vieni, Camilla-, la presi per un braccio a mia volta e
me la trascinai dietro. La sentii mormorare un “Ciao
Axel” senza ricevere nessuna risposta. Avrei pagato per
vedere l'espressione di quel coglione!
Svoltammo nella strada
più larga e illuminata nella quale avevo parcheggiato la
Cadillac. Lasciai un momento la presa per frugarmi in tasca alla
ricerca della chiave dell'auto. Milla non diceva una parola.
-Adesso ti porto a
casa. Stai tranquilla-, le sussurrai sospingendola delicatamente dentro
l'auto.
-Tom-.
Sobbalzai e mi voltai
di scatto.
-Axel!-,
esclamò Milla precedendomi nel riconoscere la provenienza di
quella voce apparsa dietro di me.
-Che ci fai ancora
qui?-, chiesi io freddo come il ghiaccio mentre il cuore mi batteva
forte. Axel, spuntato silenziosamente dall'ombra facendomi prendere un
colpo, si avvicinò, finendo dritto sotto la luce di un
lampione.
-La porto a casa io.
Non posso permettere che Camilla se ne vada con uno sconosciuto, men
che meno con uno come te-, pronunciò lentamente squadrandomi
dall'alto in basso.
-Io avrei
più paura se fosse in giro per le buie strade di Berlino con
uno come te!-, ribattei sottolineando pesantemente l'ultima parola.
Cominciò un
gioco di sguardi fra me e il bellimbusto, un gioco che non tolleravo di
perdere; se avessi distolto lo sguardo, avrei inteso
“prenditi pure Milla”. Sembrava di essere tornati
al vecchio West: i due pretendenti fuori dal saloon con le mani che
fremevano per afferrare per primi le pistole e il classico covone di
fieno che rotolava fra di loro. Se fosse partita la musichetta de
“Il Buono, il Brutto e il Cattivo” non ci avrei
trovato nulla di strano.
“Non abbassare gli
occhi, non abbassare gli occhi, non abbassare gli occhi...”,
mi ripetevo mentre fra di noi correvano vere e proprie scintille!
-Ragazzi, per favore-,
implorò una vocina dai meandri dell'interno dell'auto.
-Axel, apprezzo molto tutto quello che hai fatto per me, ma non
c'è nessun motivo per essere così protettivo! Tom
non è uno qualunque, non dovresti fidarti solo delle tue
apparenze-, disse logicamente Milla, la bella fanciulla contesa che
osservava con timore l'imminente scontro dalle finestre del saloon.
Axel non rispose
subito. Mi lanciò un'ultima occhiata sprezzante, poi si
rivolse alla ragazza. Malgrado la situazione assurda, sorrisi. Avevo vinto io!!!
-Come vuoi. Rispetto
le tue decisioni, Milla. Se vuoi che me ne vada, me ne
andrò. Ma il giorno che questo... rasta ti
farà del male, perché non potrà che
essere così, ti prego di ricordarti di me e di quello che ti
ho detto stanotte-, sibilò Axel fissando intensamente
Camilla. Mi voltai anch'io verso di lei. Teneva la testa bassa e una
mano stretta sul cuore, sicuramente preda del dolore. Axel non
sbagliava, lo sapevamo tutti e tre. E per un attimo, anch'io sentii il
suo stesso dolore, e il peso del rimorso calò su di me
prendendo possesso del mio stomaco. Scommettevo che ai cowboy del
vecchio West non succedeva di ritenersi dispiaciuti alla lieta
conclusione di una lotta. No, era tutto molto più facile:
caricavano la donzella adorante su un cavallo e si incamminavano
nell'orizzonte, acclamati dalla folla, ignorando deliberatamente il
rivale a terra con una pallottola nel petto. Feci scivolare lo sguardo
da Milla ad Axel.
Ma come si sarebbero
comportati se la fanciulla avesse preferito al vincitore tosto e
viziato il dolce e galante vinto? Si sarebbero fatto da parte
accettando la vera sconfitta o avrebbero preteso il legittimo premio
mettendo da parte la felicità della donzella?
Abbassai la testa,
riflettendo. Chissà, forse sarebbe stato meglio cominciare a
guardare i thriller al posto dei western...
-Axel...-,
mormorò Camilla facendo per scendere e andare ad
abbracciarlo.
Fu un attimo. Vidi la
scena come al rallentatore, e nonostante sia io sia Axel avessimo
provato a sorreggerla, Milla inciampò e cadde a terra con
gli occhi sbarrati dalla sorpresa, il piede ancora impigliato in
qualcosa nell'abitacolo dell'auto.
Un preoccupante “crick”
mi gelò le vene e subito dopo un urlo di dolore mi
perforò il petto.
***
E
nonostante il caldo da fondersi il cervello, sono qua! ^___^
Allora, come al solito ringrazio infinitamente i lettori, coloro che mi
hanno messo fra i preferiti e, ovviamente, i recnesitori! Partiamo:
>billa483:
Be', come avrai visto, Tom l'ha trovata, ma in compagnia di
nientepopòdimeno di Axel! Brutta sorpresa, vero? Nei
prossimi capitoli si vedrà se Axel darà del filo
da torcere a Tom e viceversa... Continua a seguirmi. Baci!
>SusserCinderella:
La mia cucciola-recensitrice! *____* Grazie mille per essere sempre
presente e per aver letto tutte ma proprio tutte le mie ficcy!
Lo so, nel capitolo precedente non succedeva molto, ma direi
che ho rimediato con questo, no? Cercherò di aggiornare il
prima possibile! Besos! P.s. Sì, ti ho aggiunta! ^_^
>billy_72:
Sugli intrighi e le gelosie non ci sono affatto problemi, come dimostra
questo capitolo; per l'AMORE dovrai aspettare ancora un po', ma alla
fine salterà fuori pure lui. Con chi, non si sa
però... :P. Kisses!
>pandina_kaulitz:
Nuova lettrice! *-* Benvenuta in questa fic piena di pazzi! xD Allora,
direi che nemmeno io tiferei per Tomi in questa storia, però
credo che in fondo bisognerebbe capirlo: sta cominciando a fare i conti
con emozioni nuove e incotrollate, e non sa come reagire... Povero
cucciolo, a me fa tenerezza! XD Seguimi ancora, chissà che
il nostro rastone preferito non si riscatti! Kussen!
>_Glossy_:
Credo che poche si aspettassero il colpo di scena della
Fidanzata-Martina, mentre era chiaro che forse i due sono qualcosa di
più che amici. Ma non si sa mai. xD.
Bill-paladino-dei-deboli non si smentisce mai (come in questo chap), e
il nostro Tommo ha avuto davvero un'intuizione... particolare! Se
però la Nutella è servita per farlo ragionare,
allora bisognerebbe che Bill ne avesse sempre uno sottobraccio, anche
se non si sa quanto resisterebbe prima di finirlo tutto! xD Sono
lusingata che a molte piaccia il mio stile di scrittura, spero di
riuscire a migliorarmi di capitolo in capitolo. Aggiornerò
il prima possibile. Baisers!
>ToMSiMo:
Wow, davvero ti piace tantissimo? *___* Che bello! Non svelo nulla su
quello che succederà fra i nostri eroi! Sarà una
sorpresa... Baciotti! <3
>valux91:
Oh, io rifletto sempre ad alta voce! Non ti dico le figuracce... Da
questo punto di vista sono simile a Milla, credo xD A proposito, ormai
credo si sia capito che Tom non rimarrà fuori
dall'affiatatissima coppia Milla-Axel, anzi! Però,
chissà come andrà a finire, eh? Uahahaha, che
cattiva che sono, ti sto tenendo sulle spine! Vabbè, nei
prossimi capitoli si vedrà... Bacinii :*
>tesorinely:
Mi dispiace per il tuo pc! Fagli tanti auguri di pronta guarigione da
parte mia!!! (è il caldo, non badatemi, è solo il
caldo!) xD. Sono contenta che ti siano piaciuti i capitoli ,
cercherò di continuare presto! Basetti!
>Arina:
Un bell'applauso alla "niu entri" (il mio inglese xD) nel clan delle
"Amiche di Milla"! ^___^ Se la fic ti piace da matti sei perfetta
per entrare nel fan club! Thank you so much per aver messo la mia ff
nei preferiti *me si inchina*. Piccola domanda, che rivolgo a te ma
vale per tutte: tifi per Tom o per Axel?
Così mi regolo e vedo quanto potrò
tradire le vostre aspettative... Muahahah! Seguimi fino alla fine, non
te ne pentirai (spero). Kussssssen
>Eliana Titti:
E chi ha detto che Milla
non è destinata a uno dei TH?! Ho detto che
ancora non si sa, ma tutto è possibile (nonostante gli Axel
di troppo)! Capisco benissimo il tuo bisogno di una bibita ghiacciata,
io sto delirando per averne una e ancora niente! Credo mi
toccherà andamela a prendere da sola... Tu scleri a volte?
Io sempre! Questa storia è un'unica. grande scleraggine! xD
Che poi a voi piaccia, è un'altra storia...
Aggiornerò il prima possibile. Adios, muchacha!
>lebdiesekunde:
Altra lettrice "recente"! Grazie mille per i complimenti, sono
lusingata che ti faccia addirittura rimanere senza fiato!
°-° Continua a seguirmi! ^_^ Baci8 <3
>CAMiL92:
(ç__ç) <-- mia faccia dopo aver letto la
tua recensione. Sì, è così che mi
riduci scodellandomi davanti i tuoi commenti chilometrici! Come tu sei
dipendente dalla mia ficcy, io sono dipendente dello zucchero di cui
trasudano le (non) poche parole che mi lasci dopo ogni capitolo. E'
bellissimo per me sapere che questa non è più una
fan ficition, ma una VERA e PROPRIA STORIA per te, non puoi nemmeno
immaginare in che modo riempie il mio cuoricino! Purtroppo devo
accontentarmi di una micro-risposta perchè mamma reclama il
mio aiuto nell'apparecchiare la tavola, ma non sai quanto vorrei dirti
GRAZIE per tutto, per le soddisfazioni che mi dai, le risate in cui mi
fai scoppiare (che lasciano sempre mamma così
>> ò__O), la dolcezza con cui mi fai capire
quanto quello che batto sulla tastiera non sono solo 4 frasi a caso...
Insomma, per me sei il mio angioletto custode! *___* In qualche modo,
sento che anche nei momenti di difficoltà sei lì
a tenermi la mano per incoraggiarmi a scrivere, nonostante il malumore
o chissà che altro. Spero proprio non mi abbandonerai mai
perchè altrimenti... che farei io senza la mia Fedelissima
Recensitrice N°1? ^__^ Scusa la brevità, ci sono
tante altre cose che ti direi ma forze maggiori impongono che io faccia
presto... Ti adoro! <3
P.S. Ti avevo mandato un messaggio, non credo ti sia arrivato... Se hai
msn vorrei mi aggiuingessi! ^^ ropadaro@hotmail.it
Ci terrei tanto! *___*
>valucciath93:
Le nuove lettrici continuano a spuntare come funghi (non che mi
lamenti, anzi!)!. Benvenuta pure a te! ^__^ Come vedi, ho
continuato, e spero che anche questo capitolo sia stato
stupendissimamente stupendo! xD Continua a seguirmi ! Baci
>Virginia91:
Grazie mille per aver messo la mia fic nei preferiti! Sono
super-contenta che ti piaccia tantissimo, mi impegnerò a
continuarla il prima possibile perchè tu non soffra troppo
nell'attesa xD. Kussennn!
Uff, quante eravate questa volta! Spero di aver risposto in modo
esauriente a tutte (mi scuso con le ultime per la sbrigatezza, ma
rischiavo il sequestro del pc!) Mi raccomando, voglio rivedere tutti
questi bei nick anche nelle recensioni di questo capitolo! Altrimenti
mi impigrisco troppo... >_<
Se volete, rispondete al sondaggio: Milla+Tom o
Milla+Axel?
Baci, abbracci e caramelle per tutte! Vi voglio bene! *__*
Alla prossima! ^__^
|
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Capitolo 13 *** *CAPITOLO 13* ***
*13*
-Tocca a te-.
Ci pensai su. Osservai
per bene tutte le mie possibilità, alquanto scarse, devo
dire, e infine tirai.
-Bel colpo...-,
commentò Tom grattandosi il naso. Si concentrò un
momento per rispondere alla mia mossa, s'illuminò e mi
mostrò un semplice cavallo, col quale
ripulì tutta la tavolata.
-Hà!
Scopa!-, esultò, e radunò il proprio bottino.
Ah, se non l'aveste
capito, io e Tom Kaulitz stavamo giocando a scopa nella sua stanza.
Ero all'ultima mano e
lui mi aveva già sconfitto quattro volte su sette. Non
tolleravo di perdere ancora. Avevo un'unica carta in mano, la strinsi
forte fra le dita sperando fosse quella giusta. Cautamente, la posai
sul tavolo e osservai di sottecchi l'espressione del mio avversario.
Tom sospirò e scosse la testa. Avevo vinto?!
Piano, pianissimo
calò la carta e con un movimento circolare spazzò
via tutto quello che era rimasto sul tavolo. Di nuovo.
-Ma...!-, tentai di
protestare. Lui alzò una mano e mi zittì.
-Hai lanciato un
cinque. C'erano un asso e un fante, io ho un sei. Ho sommato il tuo
cinque e l'asso, e visto che è l'ultima di mano e ho preso
per ultimo, mi accaparro tutto io!-, spiegò sogghignando.
Non potevo
controbattere. Le tante partite giocate contro mio nonno, in taverna,
mi avevano insegnato ad accettare anche la sconfitta. Quando ero
piccola e mi arrabbiavo perché perdevo, il nonno si
rimboccava le maniche della camicia a quadretti con due aloni di sudore
sotto le ascelle e mi ripeteva con la sua voce cupa e fonda: “Camillina mia, cosa
ti importa di vincere o perdere se poi la vita ti offre
comunque un'altra manche?”. E io mi calmavo,
perché pensavo che era vero. Che tipo, il nonno... che fosse
estate o inverno, era sempre a rimboccarsi le maniche della camicia a
quadretti, sempre ad inondarsi di dopobarba e deodorante e
invariabilmente con le ascelle sudate...
Lascia la mia infanzia
e tornai bruscamente al presente. Il misero mazzetto di carte era
lì, davanti a me. Bah, non c'era neanche bisogno di contare
i punti. Aveva vinto Tom, ovviamente.
-... e sette. Allora,
io ho i denari, la primiera, le carte e due scope-,
elencò infatti contando sulle dita. -Tu devi avere solo il
settebello. Non hai bisogno di contare le tue carte. Ho vinto io!-, e
sorrise strafottente, cominciando a radunare il mazzo.
Io sbuffai e gli
lanciai il mio allontanandomi con la sedia dal tavolo, intenzionata ad
accettare la sconfitta senza fare una piega, ma gemetti, colta da una
fitta improvvisa, e mi presi la caviglia.
Un lampo preoccupato
corse negli occhi di Tom, che moriva dalla voglia di correre ad
inginocchiarsi davanti a me, lo vedevo bene, e invece
domandò solo:
-Tutto a posto? La
caviglia, intendo...-. Prima di rispondergli, spostai accuratamente il
peso sull'altra gamba.
-Certo, tutto okay...
Basta che mi ricordi di avere solo una gamba disponibile-, bofonchiai,
seccata dalla situazione.
Un sorrisetto
divertito soppiantò per un momento la smorfia di sufficienza
del rasta, che aprì la bocca per dire chissà
cosa, ma venne interrotto dallo sbattere della porta.
Non appena il viso un
po' infantile, da bambino di Axel comparve nello spiraglio della porta,
udii Tom esalare uno spazientito sospiro tremante. Sorrisi. Mi ero
sbagliata: il bimbo era lui.
-Avete finito?-,
domandò il ragazzo avanzando a morbidi passi e
sorseggiando una lattina di Coca. Il suo sguardo si posò sul
mazzo di carte all'apparenza intatto, su Tom, deliberatamente voltato
da un'altra parte e infine su di me, ancora piegata, che mi tenevo la
caviglia. Gli sorrisi. Lui sgranò gli occhi. Me ne accorsi e
spostai subito la mano, facendo l'indifferente.
-Ti fa male...-. Non
era una domanda, ma risposi lo stesso.
-No, figurati. Mi ha
dato solo un po' di fastidio quando mi sono spostata con la sedia, non
è niente!-, mi affrettai ad assicurare. Lo osservai,
cercando di capire cosa stesse pensando. Non riuscii ad intuirlo, ma
seppi all'istante che non era convinto nemmeno un po'. Si
inginocchiò e mi prese delicatamente il piede, studiandolo
con fare critico. Be', non so se potessi definirlo
“piede” dato che in quel momento aveva un aspetto
tutt'altro che umano. Osservandolo dall'alto assomigliava ad un pallone
da calcio mummificato. Ugh...
Sempre molto
attentamente, Axel riappoggiò il mio pied... ehm...
qualunque cosa fosse sul pouf ai miei piedi. Si rialzò e
fulminò con un'occhiataccia Tom, che si era sporto a
guardare.
-Dovresti starle
vicino, e fare in modo che non si sforzi, lo sai?-.
Il rasta lo
fissò, stupito.
-Non è che
io abbia fatto finta di nulla mentre si metteva a scalare una montagna,
cristo, si è solo spostata
con la sedia!-, replicò Tom infervorato.
Axel rimase
impassibile.
-Per metà
è colpa tua se si è fatta male. Se fossi in te,
le presterei un po' più d'attenzione-.
-E perché
non te ne occupi tu, allora, signor Infermiere?!-, urlò Tom
alzandosi in piedi e marciando fuori dalla stanza col fumo che gli
usciva dalle orecchie.
-Axel!-, ruggii quando
la porta sbatté con violenza. Avrei voluto ergermi in tutta
la mia “altezza” per sembrare più
autorevole, ma la fitta costante al piede mi fece cambiare idea. Gli
strillai contro da seduta.
-Trovi così
difficile andare d'accordo con Tom?-.
-Sì-. Il
suo sguardo di mare divenne tagliente come il ghiaccio. Alzai gli occhi
al cielo.
-Non puoi almeno in
mia presenza far finta che ti sia simpatico?-.
-Direi di no-.
Sorrise, ma la sua smorfia mi parve più un ghigno.
Esasperata, certa di star combattendo una causa persa, tentai di
alzarmi; piuttosto che tentare di far ragionare quel zuccone, avrei
passato la notte a saltellare su e giù per l'albergo. Feci
forza sulle braccia e sulla gamba sana, ma Axel mi spinse indietro e si
appoggiò ai braccioli della mia sedia.
Serrai gli occhi
invocando la Santa Pazienza. Sentivo il suo profumo e i capelli della
frangia che mi solleticavano il viso.
-Axel...-, chiamai
piano, certa che se avessi alzato i toni mi sarei messa ad urlare.
-Axel, levati...-. Lui
non si mosse.
-Axel, per piacere!-,
cominciai la frase in un sussurro e la finii urlando. Silenzio. Sentivo
solo il mio respiro farsi sempre più affannoso per la
rabbia. Infine, un suo bisbiglio, morbido come la seta, e forse per
questo più irritante che mai.
-Mi spiace Milla, ma
per la tua salute devo impedirti di...-. Ecco, adesso mi aveva proprio
rotto.
-La mia salute un
cazzo! Levati, idiota!-, strillai, e gli diedi uno spintone. Il ragazzo
barcollò, dandomi il tempo di alzarmi e saltellare come un
coniglio. La porta era sempre più vicina, eccola, eccola,
c'ero quasi, però mi stava venendo anche un po' il mal di
mare... La aprii e mi scaraventai fuori. Stump.
“Ebbastaaaaa!”,
pensai finendo addosso, anzi, tra le braccia di qualcuno.
-Ho sentito i tuoi...
ehm... dolci toni, e sono venuto a dare un'occhiata-, spiegò
Tom sorreggendomi mentre mi attaccavo alla parete come ad un'ancora di
salvezza.
-Tutto okay?-, mi
chiese piano. No, no che non era tutto okay...
-Sì, sto
bene...-, risposi. Avevo ancora il respiro accelerato e il viso
contratto, lo sentivo, ma volevo far finta di attribuire la mia
espressione al fastidio della caviglia.
-Vuoi tornare
dentro?-, mi chiese Tom preparandosi già ad aprirmi la
porta.
-No, no! Volevo farmi
un giro... Fra un po' torno, vai pure dove devi andare-, ansimai
zompettando qua e là lungo il muro del corridoio. Sperai che
Tom se ne andasse subito perché i muscoli del mio polpaccio
gridavano pietà, e volevo sedermi il prima possibile lontano
da qualunque sguardi. Mi ero stancata di fare la damigella in pericolo,
sempre pronta ad essere portata in braccio fuori dalla torre incantata.
Adesso avrei dimostrato di che pasta ero fatta. Per una volta, sarei
stata il cavaliere.
Sentivo che Tom
tentennava, dietro di me. Mi voltai. Era ancora lì, incapace
di aprire quella maledetta porta, che mi fissava in un modo strano.
Alzai un sopracciglio e lui parve riscuotersi.
-Ehm... mi chiedevo...
cioè... tu sei... hai... bisogno di una mano?-,
domandò a scatti, come un automa. Doveva costargli una
fatica pazzesca pronunciare quelle poche parole di cui non doveva
essere sicuro nemmeno lui, lo vedevo.
Sorrisi il
più naturalmente possibile.
-Tranquillo, ce la
faccio. Vai pure, non sto via tanto. Devo solo... uhm, andare al
bagno-. E ripresi la mia lenta traversata del corridoio senza
più guardarmi indietro. Solo dopo qualche secondo udii il
cigolio della porta che si chiudeva, e solo allora appoggiai la schiena
al muro e mi ci lasciai scivolare contro. Ero stanca, no, di
più, ero senza forze, prosciugata, e non a causa dell'epica
impresa di spostarmi ovunque su una gamba sola. Appoggiai la testa alle
ginocchia (anzi, al
ginocchio, l'altro dovevo mantenerlo disteso, per la caviglia) e
desiderai di rimanere per sempre lì, a diventare parte
integrante di quell'orribile tappezzeria a fiori, o magari mi avrebbero
usato come tavolino, appoggiandomi sopra vasi di fiori e penne che non
scrivevano...
Persa nelle mie
fantasticherie, mi ritrovai a ripercorrere le vicende di neanche tre
ore fa. Rabbrividii sorprendendomi a risentire con una chiarezza
inquietante il sinistro scricchiolio del mio piede, impigliato nella
traditrice cintura di sicurezza dell'auto di Tom. Davanti alle mie
palpebre chiuse, rividi come l'immagine di un proiettore, sbiadita e
confusa, il marciapiede avvicinarsi sempre di più e
l'agghiacciante sorpresa accumularsi nella mia testa. Chiusi gli occhi
e scacciai la remota sensazione di dolore, senza però poter
fare a meno di massaggiarmi la caviglia. Cazzarola, aveva fatto un male
cane!
E attraverso i
finestrini scuri della Cadillac, rivissi la corsa verso l'ospedale,
punteggiata dai frequenti battibecchi fra Tom e Axel come unici
compagni. La strada mi era sembrata un mare di sabbia, morbido e
continuo, e se non avessi avuto la continua fitta al piede come ancora
al mondo reale, sarei precipitata nel Paese delle Meraviglie.
Sorrisi mio malgrado
al ricordo del medico che mi aveva curata, il Doktor Spritze(*):
bravissimo, non c'è che dire. Ci aveva messo un attimo a
fasciarmi tutto il piede, e grazie alle sue chiacchiere non me ne ero
praticamente accorta. In meno di dieci minuti mi trovavo impomatata,
fasciata e rifasciata, a salutare dalla porta il dottore, sostenuta da
Axel, che doveva sorreggermi ad ogni passo praticamente... Tom, notai,
si era allontanato subito verso la sua adorata macchina, ma durante la
delicata operazione mi aveva tenuto sempre la mano. In fondo in fondo
non era così duro come voleva sembrare...
Avvolta com'ero
dall'abbraccio dei miei pensieri, non mi accorsi che qualcuno stava
salendo le scale finché non mi inciampò addosso,
letteralmente (be', era anche colpa mia, che avevo scelto di perdermi
nelle mie fantasie proprio in mezzo al passaggio!). Quasi non sentii le
rudi imprecazioni che sputò fuori il malcapitato, coperte
com'erano dalle mie maledizioni rivolte al malcapitato. Lacrimando,
racchiusi fra le mie braccia la gamba offesa e inveii ancora un po'
contro l'attentatore del mio arto inferiore. Porca paletta, adesso
avevo pure l'ematoma sul polpaccio, maledetto quel figlio di...
-Non ci posso credere!
Milla! Cosa fai tu qui?-. Mi morsi la lingua per fermare il fiume di
bestemmie che avrebbe fatto impallidire uno scaricatore di porto. No,
di nuovo questa scena no! Gli incontri a sorpresa tipo
“C'è posta per te” avevano portato solo
guai. Chi altri dovevo aspettarmi venisse annunciato dalla De Filippi?!
Alzai la testa e mi
cascò la mascella.
-Georg? Cosa ci fai tu
qui? Voglio dire, vivi qui, ma... Aspetta, aspetta, è stata
una domanda stupida... Dove sono Bill e Gustav? Dove siete stati? Tom
era in pensiero, anch'io naturalmente, invece penso che Axel non sappia
nemmeno chi siate, o almeno a me non l'ha mai detto...-. Georg
alzò le mani e dovetti zittirmi.
-Ferma ferma ferma...
Allora, innanzitutto noi eravamo in pensiero per te. Siamo stati finora
a cercarti in lungo e in largo, abbiamo perfino scassinato una macchina
(quella di Saki) e pensavamo al peggio. Vederti spuntare qui direi che
è stata una sorpresa più grande per me che per
te, devi raccontarci tutto! E chi è questo Axel?-.
Presi fiato, pronta a
lanciarmi nel resoconto delle ultime ore, ma alla vista di altre tre
paia di piedi che per poco non investivano la mia gamba di nuovo,
preferii aspettare la domanda che ormai era diventata un rito.
-Milla! Cosa ci fai
qui?!-.
Sorrisi fra me e me e
mi attaccai al muro come una sanguisuga per alzarmi in piedi, sotto gli
sguardi costernati di Bill, Gustav e Saki.
Sospirai e mi spostai
una ciocca ribelle dietro l'orecchio.
-Sentite, facciamo
così. Voi mi aiutate a saltellare dentro e io, Tom e Axel vi
spiegheremo tutto. Forza, datemi una mano-.
Mi abbarbicai a Georg,
mia stampella provvisoria ancora sbalordita, e mi trascinai lentamente
in direzione della camera di Tom.
Dietro di me, in un
sussurro appena udibile, sentii Bill mormorare a Gustav:
-Ma
chi è questo Axel?-.
***
(*) Dottor Siringa... I casi
della vita! xD
Sono di nuovo qui,
bimbe mie! Casi di forza maggiore mi impediscono di ringraziare tutte
le recensitrici, ma la prossima volta sbrigherò gli
arretrati, promesso! Sappiate comunque che vi abbraccio tutte per il
meraviglioso supporto morale che mi date, e vi vorrei riempire tutte di
bacetti, anche le lettrici e coloro che mettono nei preferiti. Contate
che l'abbia fatto. Vi saluto, ci rivediamo col capitolo 14!
P.S. Scusate eventuali
errori di grammatica o battitura, non ho avuto il tempo di
ricontrollare. Bacio! :*
|
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Capitolo 14 *** *CAPITOLO 14* ***
*14*
Mi sentivo strana a parlare
con sette paia di occhi curiosi puntati addosso. Forse
perché non ero abituata
ad avere un mio pubblico. Avevo l'impressione di poter perdere il
contatto col
pavimento da un momento all'altro e il rivestimento soffocante alle
pareti non
contribuiva a consentire il libero flusso d'aria al cervello.
Deglutii il fastidioso groppo
che mi bloccava la gola e mi lanciai il più disinvolta
possibile nel racconto
delle ultime ore, dalla cena al McDonald fino all'ennesima prova del
madornale
decentramento del fulcro del mio equilibrio.
Raccontai loro delle
conseguenze dello scherzo giocato a Tom (“Stupidi
noi!”, si lamentò Bill), del
fatto che io e lui rimanemmo soli ad aspettare l'auto, della breve
conversazione avvenuta fra noi e... e a questo punto mi interruppi,
imbarazzata. Dovevo raccontare loro anche ciò che era
successo nella stradina
oscura? Con gli occhi cercai quelli di Tom, per chiedere una conferma o
un
diniego. Il suo sguardo però, apparentemente disinteressato,
era concentrato su
qualcosa fuori dalla finestra, qualcosa che io non potevo scorgere
dalla
poltroncina dove mi trovavo. Mi distolsi con riluttanza dal profilo del
chitarrista e mi rivolsi di nuovo alla piccola platea che ormai pendeva
dalle
mie labbra, desideroso del mio racconto.
-Be'... noi, a un certo
punto... abbiamo... non direi proprio “litigato”,
però io sono scappata via e
Tom ha preso ad inseguirmi... e poi è capitato un vicolo
buio...-. Mi
interruppi e sussultai, trafitta dallo sguardo nocciola di Tom, quello
in carne
e ossa davanti a me, che si girò a fissarmi negli occhi con
un'intensità mai
avuta. Era uno sguardo ammonitore, quasi feroce, lo stesso sguardo che
rivolge
un assassino alla sua vittima che cerca di chiedere aiuto; “prova
a dirlo
e...”, mi dicevano quelle pupille fisse,
così penetranti, e nonostante
avessi dovuto provare timore, o almeno un brivido freddo lungo la
schiena,
sentii invece il cuore accelerare di botto e la stanza farsi sfocata ai
limiti
del mio campo visivo, concentrata com'ero solo su Tom;
perché in fondo quello
sguardo era un invito, un'esca succulenta tesa sopra la mia testa, in
alto,
dove non potevo prenderla se non saltando. Allora perché non
farlo?, mi chiesi,
ipnotizzata com'ero da quel nocciola dai riflessi ambrati.
E poi il ragazzo volse ancora
una volta altrove quelle iridi di ghiaccio e fuoco, lasciandomi
inconcepibilmente assetata di quegli occhi, affamata di uno sguardo che
avrebbe
potuto convincermi a buttarmi da un grattacielo solo per poter sentirlo
legato
al mio ancora una volta...
Un educato colpetto di tosse
che lasciava trasparire tutta la curiosità di un pubblico
impaziente e io mi
accorsi di colpo di avere un corpo e una bocca da usare. Scrutai
velocemente i
visi più o meno affascinanti che mi circondavo, in attesa,
cercando di
riprendere fiato mentre mi inventavo qualcosa da dire. All'improvviso
mi sentii
stanca, esausta, come se quello sguardo durato pochi secondi mi avesse
prosciugato.
-... e nel vicolo, noi...
ehm... abbiamo litigato. Ancora. Di brutto. Poi Tom se n'è
andato via
lasciandomi lì e poco dopo ho incontrato Axel-, indicai con
uno sventolio della
mano il ragazzo moro seduto accanto a Georg, che mi sorrise.
Sospirai e ripresi. E andai
avanti, avanti, avanti, finché gli occhi non cominciarono a
chiudermisi e
decisi di lasciar perdere i dettagli e concludere questa maledetta
storia.
-... abbiamo giocato a carte e
poco dopo siete arrivati voi. E questo è tutto-. Sorrisi
timidamente al mio
pubblico, tamburellando nervosa con le dita sui braccioli foderati, e
arrossii
violentemente quando Bill si alzò in piedi battendo le mani.
-Siediti, idiota!-, brontolò
Tom trascinando per terra accanto a sé il fratello. Bill gli
mollò uno
scappellotto dietro la nuca, al quale il rasta rispose con entusiasmo.
Rimanemmo ad osservare i due
che lottavano e ridevano per qualche minuto, poi Georg, stanco quanto
me
all'apparenza, si alzò e si stiracchiò.
-Be', io vado a nanna perché
sono distrutto. Sono contento che non ti sia fatto niente, Milla-.
Accennai con
la testa alla mia caviglia tutta fasciata e alzai un sopracciglio.
Rise. -Be',
quasi nulla! Però poteva andarti molto peggio, lo sai...
Gustav, vieni?-.
Il batterista si rizzò in
piedi agile, fresco e riposato, salutò tutti con un cenno
della mano sparendo
in un baleno oltre la porta. Georg si soffermò un momento
appoggiandosi allo
stipite e si voltò.
-Rimani qui per stanotte,
Milla?-, mi chiese osservandomi da sotto in su con i suoi occhioni
verdi.
-Ehm...- balbettai presa alla
sprovvista. Non ne avevo idea. Anzi, dopo tutto quel parapiglia mi ero
completamente dimenticata di possedere una casa che non fosse
quell'albergo;
sì, perché ormai quell'hotel ultralusso era
diventato come un rifugio, un porto
sicuro per me, e non per merito dei costosi soprammobili o degli
imponenti
soffitti...
Lanciai un'occhiata in tralice
a Bill, che immobilizzato sotto al fratello, aveva ascoltato tutto.
-Certo che rimane qui! Non la
lascio andare in giro così!-, esclamò
scrollandosi di dosso Tom (che fece una
specie di capriola all'indietro imprecando a più non posso)
e si rialzò
sistemandosi la maglia.
Gli sorrisi grata e mi rivolsi
ancora a Georg.
-Allora, se per caso stanotte
non riesci a dormire, puoi venire a fare un salto nella mia stanza...-,
mi fece
l'occhiolino il bassista. Sbuffai non riuscendo a nascondere del tutto
quanto
in realtà fossi lusingata da quelle attenzioni.
-Non contarci! Buonanotte!-,
salutai con la mano e gli soffiai un bacio.
-Notte! Ci vediamo domani
mattina-, mi strizzò un'altra volta l'occhio prima di
chiudersi la porta alle
spalle.
Già, ad una cosa non avevo
proprio pensato: dove avrei dormito quella notte?
Quasi avvertendo il mio
pensiero, Axel, che era rimasto buono e in silenzio fino a quel
momento, si
alzò e mi si avvicinò con circospezione, quasi
intimorito. Non dovevo avergli
fatto una buona impressione quando gli avevo urlato in faccia tutta la
mia
irritazione nei suoi confronti: la sua principessina di vetro
all'improvviso si
era svegliata e aveva tirato fuori degli artigli capaci di graffiare...
Un vero trauma.
-Bel discorso...-, mormorò con
gli occhi che ridevano. - Dovresti tenere delle vere e proprie
conferenze come
questa, scommetto che non si addormenterebbe nessuno!-.
Accennai un sorriso. Questo
era una sua maniera velata di chiedere di perdonarlo, ma se lo
conoscevo bene
sapevo che le vere scuse sarebbero arrivate fra poco.
-E' un bel gruppetto-,
constatò accennando a Bill, Tom e Saki che conversavano
vicino alle finestre. -
Li conosci da tanto?-.
Feci spallucce.
-Due anni circa...-. Perché ci
metteva tanto ad arrivare al sodo? Perché non si decideva a
dirmi quello che lo
tormentava?
-Ma li hai incontrati solo
oggi, vero?-.
-Sì...-.
-Grazie a un meet&greet o
cosa...?-.
-Axel-, ammonii. Ero stanca
delle sue chiacchiere vuote...
Silenzio.
-Dormi qui per stanotte?-, mi
chiese con una punta di amarezza nella voce.
-Sì, Bill ha detto che non mi
lascia tornare a casa adesso, vista la mia condizione e tutti i casini
che sono
successi oggi-.
-È carino a preoccuparsi tanto
per te-. E adesso cos'era questo tono rassegnato?
-Infatti, un vero tesoro!-. Fargli
del male, solo questo mi importava...
-Immagino ti offrirà di
dividere la sua stanza-. Rabbia.
-Se lo fa credo che potrei
perfino accettare...-. Freddezza.
-Penso che prenderò anch'io
una camera... Se Bill non si fa avanti, puoi venire a stare da me per
la notte,
magari...-. Supplica.
-Ci penso-. Pietà.
Che ci stava succedendo?
-Ah, prima, quando stavi
raccontando la storia, mi è sembrato... non so, forse
è solo frutto della mia immaginazione,
ma ho avuto il sospetto che avessi omesso qualcosa...-.
Il mio cuore saltò un battito.
-... un pezzo di puzzle
importante per riuscire a vedere il quadro generale...-.
Altro battito. Axel mi fissò
negli occhi, no, forse sarebbe più giusto dire che si infilò
nei miei
occhi.
-Che è successo davvero in
quel vicolo, prima che ti incontrassi?-.
Il cuore stavolta accelerò
all'improvviso, facendo fluire altro sangue alle guance, che mi si
imporporarono traditrici.
-Niente. Abbiamo litigato,
tutto qui-, e abbassi la testa dichiarandolo, incapace di sopportare lo
sguardo
del ragazzo che mi trafiggeva il petto con mille spilli.
-Davvero? Solo litigato,
dici? E quel succhiotto sul collo da dove spunta fuori? Te lo sei forse
fatta
da sola?-, chiese acido.
Mi portai una mano alla gola,
tastando come se fossi cieca, aspettandomi quasi di sentire la prova di
quel
piccolo peccato in risalto.
-Questi non sono affari
tuoi!-, balbettai. Ma che senso aveva mentire ormai?
Axel rimase in silenzio, la
testa bassa, i pugni chiusi, lo sguardo distante; poi si
accucciò davanti a me
prendendomi dolcemente la mano premuta sul collo e giocherellando con
le mie
dita. Mi faceva una tenerezza infinita, dannazione!
Dopo secondi interminabili,
infine il silenzio si ruppe assieme alla palla di tensione che ci
avvolgeva.
-Hai ragione... Scusa-.
-Per cosa?-, sussurrai
addolcita. Un sospiro, suo e mio.
-Per tutto. Perché mi sono
intromesso nella tua vita, perché so di non essere la
persona che cerchi,
perché non riesco ad aspettare... Ce ne sono tanti di
perché-.
-Axel, ascolta...-, cominciai,
ma le sue dita poggiate dolcemente sulle mie labbra mi interruppero.
-No, aspetta, lasciami
finire... Vedi, non so cosa mi succede, e forse sarebbe meglio se non
lo
sapessi, se facessi finta di niente, ma non sono bravo a mentire, men
che meno
a me stesso. Sto ancora tentando di convincermi che io mi sia solo
fatto
prendere dal... dall'entusiasmo, dall'adrenalina, chiamala come vuoi!,
insomma,
non ti vedevo da cinque anni! E poi all'improvviso mi sei spuntata
davanti, e
mi hai preso completamente alla sprovvista. Ti ho vista cambiata,
sempre la
Milla che conoscevo, ma diversa, più adulta, più
matura... più bella-.
Sentii le mie guance andare a
fuoco quando il suo sguardo di cielo e mare penetrò il mio.
-Hai una ragazza...-,
balbettai debolmente. Non riuscivo a credere che potesse farle questo!
Lui
rise, un frusciare di morbida seta alle mie orecchie, e mi
guardò come se fossi
una bambina, una piccola bimba ingenua.
-Non sto dicendo che la
lascerò, no! Stai tranquilla!-, e abbassò
nuovamente lo sguardo apparentemente
attento alla mia fasciatura, ma un sorriso amaro si tese sul suo volto
pallido.
-... almeno non subito...-.
Mi alzai di scatto, facendolo
sobbalzare.
-Axel, NO!-, urlai. - Non puoi
fare una cosa del genere, non per me!-.
Il silenzio era calato nella
stanza incredibilmente in fretta, come se qualcuno avesse aspirato
tutta
l'aria. Le fredde luci artificiali creavano un contrasto surreale con i
raggi
soffusi di una luna distratta che faceva capolino dalla finestra,
sorniona
spettatrice della scena in atto.
Sentivo gli sguardi di tutti i
presenti premere con violenza su di me, ma non me ne importava: volevo
solo
ritrovare gli occhi di Axel, volevo che ridesse, mi scompigliasse i
capelli
come faceva sempre quando mi prendeva in giro e mi dicesse che era solo
un
fottuto scherzo. Ma allora perché non sorrideva?
Le pareti opprimenti
cominciarono a girare all'impazzata attorno a me mentre ripetevo
mentalmente la
conversazione. Non io, non Axel! Non il mio Axel,
l'Axel dei giochi
all'aperto, sull'altalena, sullo scivolo, delle merende a base di pane
e
cioccolata a casa sua, di tutti quegli scherzi, tutte quelle
chiacchierate
innocenti prive di peso; non ci eravamo mai considerati un maschio e
una
femmina, solo dei buoni amici. Perché ora doveva rovinare
tutto, il nostro star
bene insieme, il rapporto che faticosamente avevamo costruito, tutto?!
-Ti prego...-, mi ritrovai a
bisbigliare, ignorando i rumorosi tentativi di far conversazione di
Bill per
dirottare l'attenzione da noi. - Ti prego, dimmi che non è
vero...-.
-Milla, siediti! La tua
caviglia non...-.
-Affanculo la mia caviglia,
non mi fa male!-, strillai liberandomi della sua presa gentile sulle
spalle. A
smentire le mie parole, una fitta acuta nata dal piede e corsami su
fino alla
schiena sottoforma di scossa elettrica mi fece gemere.
-Milla, per favore, siediti!-,
ordinò con fermezza Axel. Alzai la testa, sentendo gli occhi
pungere e
riempirsi di maledette lacrime.
-Non puoi farle questo, no...
Dimmi che stavi scherzando... Dimmelo, ti prego!-, mormorai
accasciandomi sulla
poltroncina come un orsetto di pezza svuotato della sua imbottitura.
Axel sospirò e si appoggiò ai
braccioli foderati della mia sedia, proprio come aveva fatto quasi
un'ora
prima. Sembrava molto più vecchio, improvvisamente... e io
mi resi conto di non
voler affatto conoscere la risposta. Mi raggomitolai su me stessa e
attesi.
-Come ti ho appena detto, io
non sono un bravo bugiardo, perciò non te lo dirò
solo perché è quello che ti
fa comodo sentire. I sentimenti non si possono appallottolare e
nascondere in
un angolo, e anche se sono scomodi e fanno male, vanno accettati...-.
Rimasi in silenzio. E dei miei
sentimenti, che ne dovevo fare?
-Da quanto te ne sei... reso
conto?-, fu il primo roco sussurro che riuscii ad articolare.
-Da quando te ne sei andata-.
-La tua ragazza dovrebbe
saperlo. Non è giusto che tu le menta così-.
-La chiamerò il prima
possibile-.
-Ti aspetti una risposta, da
me?-.
-No. Per ora mi accontento di
averti fatto capire cosa provavo nei tuoi confronti-.
-Certo... Vorrei andare a
dormire adesso, se non ti dispiace-.
Axel si scostò e mi porse un
braccio per appoggiarmi, che ignorai.
-Bill-, chiamai debolmente. Il
cantante si voltò. Non sorrideva. Aveva ascoltato tutto,
ovviamente. Quando mi
raggiunse, mi sostenni immediatamente a lui.
-Posso dormire in camera
tua?-, bisbigliai. Non avevo più voce. Ero... vuota?
-Certo! Ti cedo il mio letto,
ho un divano comodissimo che non vedevo l'ora di provare!-,
esclamò sorridendo.
-Grazie...-, e insieme,
arrivammo alla porta, un saltello e un passo, un saltello e un passo.
Non
cercai lo sguardo di nessuno, nemmeno quello di Tom. Voltai le spalle a
tutti e
poi... Fuori, finalmente.
-Aspetta un secondo qua-, mi
disse dolcemente Bill facendomi appoggiare al muro. Tornò
alla porta e l'aprì.
Non vedevo all'interno, ma potevo scommettere che ogni cosa era ancora
così
come l'avevo lasciata, come congelata.
-Saki?-, sentii chiamare piano
Bill. In pochi secondi l'omone uscì fuori e ci fu accanto.
- Potresti andare tu a
prendere la chiave della mia stanza alla reception?-,
domandò il ragazzo.
-Vado-, annuì la guardia del
corpo, e trotterellò docilmente giù per gli
scalini percorsi da un tappeto
rosso. In poco tempo, scomparve oltre il baratro delle scale.
-Andiamo a fare la nanna
adesso, ok?-, mi sussurrò amorevolmente Bill avvicinandosi e
accarezzandomi
goffamente la testa. Non appena pronunciò questa frase,
scoppiai a piangere,
liberando infine le lacrime che avevo trattenuto in presenza di Axel.
-Ehi, ehi, che succede? Va
tutto bene, calmati...-, esclamò il ragazzo a mezza voce,
stringendomi forte a
sé.
No, non andava tutto bene. Il
mio mondo, così come lo conoscevo, si era appena sbriciolato
sotto i miei
occhi. E mentre mi aggrappavo alla maglia umida di Bill come se fosse
la mia
unica ancora di salvezza, non potei non pensare che da ora niente
sarebbe mai
più stato come prima.
***
Salve a tutte, anime
perdute che leggete questa fan fiction! Prima di procedere con i
ringraziamenti, volevo avvisarmi che probabilmente fra qualche capitolo
*Vuoi proprio saperlo? Be’, ti
ODIO!* si
concluderà (si prepara al lancio di scarpe).
Grazie al sostegno di qualche
mia amica via msn, ho raccolto abbastanza idee per finire questa fan
fiction, che
spero, vi sorprenderà fino alla fine! ^___^
Non preoccupatevi, mi
avrete ancora fra i piedi per almeno altri 5-6 capitoli, poi mi
leverò
finalmente dalle scatole! Anche se starei prendendo in considerazione
l’idea di
fare un seguito... Vi avviserò nel caso! E ora, ringrazio
tutti i lettori, i “mettitori”
fra i preferiti e i recensitori, cioè:
>_Glossy_:
La Georg-stampella
bisognerebbe essere brevettata! xD Secondo me sfonderebbe il mercato!
La Milla è
sempre la Milla, Axel è un egoista (sta cominciando a essere
antipatico anche a
me °___°) e Tom... deve svegliarsi! La caviglia
comunque se l’è solo slogata, per
fortuna, niente di troppo serio, insomma, anche se secondo me Milla
sfrutterà la
situazione per essere un po’ coccolata... Ma non dico niente!
^__^
Saki è il mio mito, e non serve
dire altro. Ci vediamo nel prossimo capitolo, grazie x aver commentato!
Un bacio...
>billy_72: Sono contenta che
la mia storia ti stia piacendo sempre di più! Continua
a seguirla e ne vedrai delle belle! Per l’
“aggiornare presto”... Be’, mi sto
attrezzando! Besos!
>Virginia91: Sì,
quei tre svalvolati di Bill, Gustav e Georg ce l’hanno fatta
anche stavolta a corrompere la legge, anche se Saki è
tornato subito indietro e
li ha sgamati ancora prima che arrivassero al Mc... Ma questa
è un’altra
storia! xD Ormai
non mi spavento più perché
anch’io sono diventata così pazza (la vicinanza
con la vera Milla fa male al
cervello, ho paura... °__°). Per la statua, la strada e
la villa mi sto
organizzando... Te le recapiterò tutte al
più presto se mi dai l’indirizzo, però
la
tariffa per i trasporti pesanti te la paghi tu!
ù__ù
Ecco, sono partita... Mi
fermo qua, o non so che potrei scrivere! Grazie mille per aver
recensito, al
prossimo capitolo! Kussen...
>pandina_kaulitz: Eh
già, B,G&G hanno fatto tutta quella fatica
per niente, ma almeno non hanno combinato dei veri e propri danni
(senza
contare la macchina di Saki...)! Aggiornerò il prima
possibile! Kisses!
>billa483: La povera Milla si
è davvero sgolata per raccontare tutto da capo, e
poi hai letto che casino è successo! XD Spero che questo
chap non abbia deluso
le tue aspettativa! Alla prossima! Bacioniiii...
>CAMiL92: E non poteva
mancare lei, la Fedelissima! xD
Scuse accettate, anche perché
mi par di capire che l’uso del pc a casa tua non
dev’essere proprio permesso al
100%... L’importante è che alla fine tu
l’abbia letto (lo sai che mi fai
tantotanto felice con i tuoi commenti, no?^^), anche se mi dispiace tu
abbia
dovuto subire la F.M. (“Furia Mammesca”. Io la
conosco bene, te lo assicuro!
°-°)! Sono contentissima che il capitolo scorso ti sia
piaciuto tanto anche per
la fondamentale parte del tuo “Moritz” (sai, non
avevo neanche pensato a te, Giorgio
mi è venuto naturale da sfruttare come stampella... O_o), e
per la rivalità fra
i due baldi giovanotti (che si aggraverà di brutto nel
prossimo capitolo... Io
non ho detto niente, eh!).
Tutti quei “bravissima” non
li merito, ma grazie lo stesso, tesoro! ^///^
Al prossimo capitolo!
Besosssss... (ma a msn non ti connetti più?)
>ToMSiMo: Perché
Saki si meriterebbe di peggio?! Noo, poverino! È anche
troppo
bravo a tener dietro a quelle 4 pesti, meriterebbe un premio secondo
me! ^__^
Sono contenta comunque che ti sia piaciuto il capitolo, alla prossima
recensione! Kuss...
>Arina: Salve a te, cara mia!
^^ Ti dirò, non so nemmeno se in
Germania giocano a scopa, ma è il gioco perfetto per Tom e
non potevo non
inserirlo da qualche parte (sono una pervertita...
°-°). Non mi dispiace
affatto se anche mi ripetessi 20000 volte quanto ti piace questa storia
(a
volte il mio ego ha bisogno di qualche soddisfazione)! xD
Non credo di averci messo
tantissimo a postare, no? (seeeh...-_-‘’)
Be’, ci vediamo nel
capitolo 15! Kissssssssss...
>SusserCinderella: Ecco
perché non ti connettevi più a msn, eri
andata in vacanza? Non importa, tanto i miei capitolo sono sempre qui
ad
aspettarti (sembra più una minaccia che un affermazione...
°__°)
Comunque mi fa piacere che
ti abbia fatto ridere il capitolo... Alla prossima! Baciotto.
Dunque, un ennesimo grazie
a tutte, siete davvero dei sostegni morali per me!
Che dovevo dire...?
"Mi piace da morire questa faccina
>> °__° ”
No, non era questo... Ah,
sì!
“Informazione di servizio:
l’autrice sarà assente
durante il periodo che va dal 18 al 24 agosto, causa vacanza in
montagna con la
famiglia”.
Non faccio certo i salti
di gioia, però mi tocca andare se voglio mantenere la mia
libertà vigilata...
Durante quella settimana però probabilmente
scriverò un sacco, ed è probabile
che posti anche appena tornata a casa! ^__^
Ci vediamo nel capitolo
15! Bye bye! Vi voglio bene! <3
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Capitolo 15 *** *CAPITOLO 15* ***
*15*
Il mio respiro lento e
regolare creava un alone sempre più grande lungo la
superficie liscia e trasparente del vetro, al quale ero appoggiata da
ormai una decina di minuti. La mia città, Berlino, era
racchiusa lì fuori, oltre la finestra, con i suoi rumori, i
suoi odori e le sue luci così familiari. Sospirai,
appannando e cancellando il timido riflesso del mio viso che ricambiava
lo sguardo malinconico che rivolgevo alle stelle. La giornata
più lunga della mia vita stava finendo, ma avrebbe
strascinato nei giorni, nei mesi e forse negli anni a venire una parte
di sé che sicuramente mi avrebbe accompagnato per sempre. Il
destino sembrava proprio non darmi tregua. Sospirai chiudendo gli occhi
e rabbrividii. Avevo freddo, probabilmente a causa di qualche spiffero
dispettoso filtrato dalle fessure invisibili della finestra,
perciò mi strinsi nel pigiama troppo grande e mi spostai
verso il centro della stanza per andare a sedermi sul lettone. Era
indubbiamente una camera lussuosa, pensai guardandomi intorno, non
mancava niente. C'erano la tv, il minibar, il lettore dvd e perfino una
Playstation 3, oltre, ovviamente, al letto matrimoniale sul quale ero
seduta, un divano e una sedia a dondolo agli angoli opposti della
stanza. Si trattavano mica male, 'sti ragazzi!Di certo non avevano
paura del conto... Provai a fare un breve calcolo mentale per stabilire
quanto dovessero sborsare a notte per un trattamento così,
ma mi venne il mal di testa solo a fare una moltiplicazione e pensai
subito a qualcos'altro. Bill era appena andato a fare una doccia e
considerati i tempi che impiegava solo per truccarsi mi aspettavo di
addormentarmi prima di vederlo riapparire fra fumi e vapore.
Inquieta, incapace di
rimanere ferma ancora un solo secondo, presi a girovagare qua e
là, toccando questo o quel soprammobile e ogni tanto
gettando un'occhiata alla grande finestra sopra il divanetto come per
colpa di chissà quale strano tic nervoso. Era una notte
fresca e stellata, così bella e struggente alla mia vista
anche attraverso i vetri opachi e pieni di ditate (le mie), che mi
pareva una presa in giro del mio stato d'animo: se il cielo avesse
dovuto assecondarmi a adattarsi al mio umore, fuori si sarebbe dovuta
scatenare una tempesta coi fulmini, le saette e quei goccioloni di
pioggia che ti schizzano la porta rimbalzando sugli scalini e ti
allagano l'atrio. E invece la notte era limpida e chiara, le stelle
brillavano più che mai e nessuna nuvola sporcava la
perfezione di quel cielo di morbido velluto (a proposito di velluto,
per fortuna nella stanza di Bill non ce n'era nemmeno una strisciolina:
le pareti erano vestite di quella orrenda carta da parati a fiori del
corridoio e il divano era di soffice ciniglia). Mi risedetti impaziente
sul bordo del letto sconfinato e presi a battere il tempo col piede
seguendo il ritmo di “Beat it”, chissà
come affioratami nella mente così all'improvviso, indecisa
se mangiarmi o no l'unghia così invitante del pollice.
Il tempo passava e
stavo giusto decidendo se alzarmi per andarmi a prendere una coca cola,
quando dal bagno uscì Bill, in pigiama e coi capelli ancora
umidi e ribelli. Se li stava strofinando energicamente con un
asciugamano ma non appena mi vide se lo avvolse attorno al collo come
nel video di “Ich bin da” e venne a sedermisi
accanto.
-Hai fatto presto!-,
gli dissi, stupita. Lui rise, infondendomi dentro una calma che non
avevo mai avuto grazie al semplice suono della sua voce.
-Sì, tutte
si aspettano che persino per farmi una doccia veloce ci debba mettere
un'eternità, ma come hai potuto vedere tu stessa, quindici
minuti mi bastano e avanzano-. Sorrise, liquidando così
l'argomento, ma io non mi lasciai sfuggire una particolare parola detta
con voluta noncuranza.
-“Tutte”?
Vuoi dire che molte ragazze hanno avuto l'occasione e la fortuna di
constatare coi loro occhi che Bill Kaulitz non impiega più
di quindici minuti per farsi una doccia?-, puntualizzai con malizia.
Difficile stabilirlo nella penombra e con la luce della lampada da
comodino puntata negli occhi, ma ebbi l'impressione che Bill fosse
arrossito. Si schiarì la voce.
-Non hai sonno?-, mi
chiese allontanandomi una ciocca ribelle quasi asciutta dal viso.
Scossi la testa. La doccia calda che avevo appena fatto mi
aveva rilassata, ma ogni volta che ripensavo a ciò
che era accaduto solo poco tempo fa, ad appena un corridoio di
distanza, la mia mente si allertava e non potevo far altro che
percorrere avanti e indietro quei 4 metri di moquette, avanti e
indietro, avanti e indietro, ossessivamente. Anche adesso dovevo
sforzarmi di non balzare in piedi e consumare la moquette a forza di
trascinarmici qua e là, anche perché
probabilmente me l'avrebbero fatta rimborsare... Mi accorsi di battere
il piede ancora più forte e ancora più veloce,
provando a sfogare la mia frustrazione da animale in gabbia
sconvolgendo i ritmi di una delle canzoni che adoravo. E in fondo,
anche se non lo ero fisicamente ( in gabbia intendo), il mio cuore
sì, lo era. Intrappolato senza via di scampo fra due morse
di ugual forza, che lo stringevano, e stringevano e stringevano,
facendolo sanguinare, sfinendolo poco a poco. Era un brutta situazione
quella in cui mi trovavo e necessitavo di trovare una soluzione al
più presto, ma cosa potevo fare? Come potevo abbracciare uno
di loro e pugnalare l'altro? Non potevo, no, non avrei mai trovato la
forza per farlo... Perché tutto doveva essere sempre
così complicato?! Perché non potevo vivere da
adolescente normale,
senza incappare in ambigui chitarristi coi rasta e appiccicosi amici
d'infanzia? L'unica risposta che riuscii a darmi fu: boh.
-Tutto bene?-.
La voce di Bill mi
fece tornare alla realtà con un sussulto a dir poco
teatrale. Mi girai a guardarlo e dalla sua espressione attonita capii
di aver lasciato traboccare ancora una volta le mie emozioni. Mi toccai
le guance: come sospettavo, erano bagnate. Maledissi la mia lacrima fin
troppo facile in circa quattordici lingue compreso il kirundi (è una delle
lingue Bantu più parlate nel Burundi oltre al francese,
n.d.r.) e subito corsi ai ripari cercando di rassicurare
il ragazzo al mio fianco.
-Ah, dici per...
queste? No, figurati, non è niente, sto bene! Stavo solo...
Non... Mi è andato qualcosa nell'occhio, sì! Vado
a sciacquarmi il viso, torno subito...-. Provai ad alzarmi ma la sua
mano mi trattenne. I risedetti e attesi, mesta, osservando Bill in
tralice per paura di venire sopraffatta da quello sguardo.
-Milla...-.,
sospirò, e anche col viso rivolto al pavimento avvertii il
suo alito profumato di dentifricio. Tutto di lui emanava un odore
delizioso, e mi accorsi meravigliata di essermene resa conto davvero
caso solo in quel momento, con gli occhi appannati dalle lacrime e le
mani e i piedi intirizziti dal freddo; i suoi capelli erano dolci, di
shampoo al miele forse, i denti freschi e bianchi di acqua e menta, e
le sue mani, potevo sentirlo distintamente ora che erano posate sulle
mie spalle, sapevano di smalto, una fragranza particolare, nera e tanto
forte da farmi pizzicare il naso. E poi, ah, l'odore della sua pelle...
Impossibile da descrivere. Sentivo il suo sguardo nocciola scrutarmi,
quasi incendiarsi mentre scrutava ogni mio movimento; potevo avvertire
l'intensità bruciante con cui quei due bagliori di fuoco
racchiusi da due archi di folte ciglia scure catturavano la vera me.
Stavo per cedere, ipnotizzata com'ero dalle iridi cangianti di quel
ragazzo, a cui sentivo avrei potuto rivelare anche il mio
più intimo segreto. A un certo punto però Bill si
mosse, spostò impercettibilmente la testa facendo oscillare
i capelli e il suo aroma tornò a sferzarmi le narici. Chiusi
gli occhi, tentando di imbrigliare e identificare quell'ammaliante
essenza di cui era impregnato. Forse era vaniglia, forse cannella,
oppure menta, mela, ma anche rosa... Forse semplicemente il suo odore, il
profumo di Bill, unico, inimitabile ed estremamente attraente.
-Milla?-. Ancora una
volta la sua voce mi trascinò fuori dal mio personale oblio.
Riaprii lentamente gli occhi e sbattei più volte le palpebre
per scacciare qualunque lacrima fosse rimasta attaccata alle mie
ciglia. Finalmente potei scorgerlo chiaramente. I suoi occhi mi stavano
ancora osservando, preoccupati, ansiosi. Dovevo averlo sicuramente
sbalordito col mio comportamento, ma al momento non m'importava. Aprii
la bocca per chiarire, spiegare, e la richiusi subito dopo.
All'improvviso mi sentii stanchissima, troppo stanca anche per
rispondere, come se la profondità di quegli occhi mi
avessero prosciugata di ogni energia. Sbadigliai, avvertendo le
palpebre farsi sempre più pesanti. La testa prese a
ciondolarmi sul collo.
-Hai un buon profumo,
Bill... Davvero buono...-, bofonchiai nella semi incoscienza. Sentii le
sue mani sorreggermi per impedirmi di cadere in avanti, stringermi
forte, farmi male. Mi sembrò di sentire un tuono in
lontananza e un gocciolare dapprima timido poi sempre più
forte. Abbandonai il mio corpo e scivolai nel buio.
***
-Cos'hai fatto?-.
Il ragazzo, accasciato
sulla poltrona come un mucchio di vecchi stracci alzò
lentamente lo sguardo su di me. Era stanco, indifferente e sulla
difensiva. Digrignai i denti. Quanto avrei voluto saper sprizzare
scintille dagli occhi... Pregai che la mia espressione e la mia postura
tutt'altro che amichevoli compensassero quella mia imperdonabile
mancanza. E come per magia, il ragazzo sulla poltrona mi
fissò con più attenzione, improvvisamente rigido,
e si sedette più dritto.
-Niente. Che ho
fatto?-, rispose Axel stupito, senza riuscire ad impedire alla sua voce
di incrinarsi e spezzarsi sull'ultima sillaba. Sì, certo.
Faceva finta di non saperlo, ma capiva esattamente di cosa stavo
parlando. Mi chinai su di lui appoggiandomi minacciosamente ai suoi
braccioli.
-Lo sai bene. A Milla.
Era sconvolta. Che le hai detto?-. Ogni frase usciva come un ringhio.
Sapevo fare il duro se mi impegnavo.
Io e Axel eravamo
rimasti soli. Dopo essere andato a prendere le chiavi della stanza di
Bill Saki non aveva più fatto ritorno, per lasciarci
discutere senza essere chiamato in causa come paciere, probabilmente. O
come arbitro.
Per di più
aveva cominciato a piovere, forte, si stava scatenando una tempesta, e
tutto quello che desideravo era schioccare le dita, chiamare qualche
decina di bodyguards e sbattere fuori dall'albergo quell'idiota
matricolato. Ma prima volevo, dovevo sapere di
Milla ed ero pronto ad estorcergli la verità con le buone o
con le cattive, se necessario...
Strinsi forte la
poltrona, immaginando di riuscire a sbriciolarla fra le dita come un
biscotto. Axel non era un colosso, ma oltre l'apparente fisico sottile
si nascondevano dei bei muscoli; avrebbe potuto darmi filo da torcere
nel caso avesse cercato di reagire. Contrassi gli addominali al solo
pensiero di essere preso a pugni da uno come lui, e un timido raggio di
speranza si fece strada nella mia mente avvertendo il bruciore
soddisfacente dei muscoli che formavano una barriera compatta: neanche
io ero così deboluccio. Le settimane di duri allenamenti in
palestra erano davvero servite a qualcosa, oltre che a rendere ancora
più eccitante il mio corpo già sovraccarico di
potenza erotica. Sogghignai in faccia al ragazzo guardingo; potevo
sconfiggerlo. E dimostrare a Milla quanto ero forte e come lei si
sbagliasse nel considerarmi un cretino pappamolle (non me l'aveva
ancora detto in faccia, ma era chiaro che lo pensava). Ripetei la
domanda, con più calma.
-Cosa-le-hai-detto?-.
Axel
sbuffò, spostando con fin troppa facilità il mio
braccio conficcato perfino con le unghie nell'imbottitura della
poltrona e si alzò dandomi le spalle.
Sembrò
studiare con attenzione qualcosa di indefinito fuori dalla finestra,
oltre la pioggia simile a una cascata, per un lasso di tempo
interminabile, e stavo x perdere la pazienza e andare a scrollarlo per
benino quando finalmente sospirò.
-Credevo avessi
sentito-, mormorò a mezza voce.
-Non ho potuto, Bill
faceva un sacco di versi assurdi e mi impediva di ascoltare-, ammisi
stuzzicando col piede un buchino nel tappeto.
Axel
ridacchiò e si girò a fissarmi con le braccia
incrociate.
-È fin
troppo corretto tuo fratello, vero?-.
-Ti ho fatto una
domanda prima io, ora sii così gentile da rispondermi se
vuoi che io faccia altrettanto-, dissi a denti stretti. Axel mi
lanciò un'occhiata gelida.
-Così vuoi
sapere cos'ho detto a Milla prima?-.
Annuii. Avevo tanto la
sensazione che quel bellimbusto mi stesse prendendo in giro...
Il ragazzo
avanzò con calma studiata fino ad osservarmi di sotto in su,
ad un palmo dal mio naso. Poi si chinò al mio orecchio e
mormorò solo:
-La
verità-.
Il rombo assordante di
un tuono spezzò l'immobilità dell'aria e un lampo
incredibilmente vicino mi abbagliò per un momento, rendendo
la scena già tetra di per sé ancora
più macabra, cosparsa di ombre nascoste nei posti
più impensabili. Un brivido freddo mi corse lungo la schiena
mentre con occhi sbarrati fissavo Axel raddrizzarsi con lentezza
studiata e scrutare la mia espressione. La vista mi si
appannò e sentii il cuore battermi nelle tempie.
Boccheggiai. Non poteva averle detto...
-Non puoi averle
detto...-.
-Invece sì.
Anch'io la amo. Da molto più tempo di te. Non potevo
continuare a tenerglielo nascosto, e poi credo che un po' di sana
rivalità non possa che farti bene, piccolo Tom-. Mi diede un
buffetto sulla guancia e si allontanò di qualche passo. Ebbi
l'irrefrenabile desiderio di correre a sfregare con acqua, sapone e
magari della varechina il pezzo di pelle che le sue dita avevano
sfiorato, invece rimasi immobile, ancora allibito.
-Non toccarmi!-,
ruggii stringendo i pugni.
-Oh, facciamo i
preziosi? La fama dà alla testa, vero?-,
ridacchiò.
-Sta' zitto-. Stavo
perdendo la calma e faticavo a smettere di tremare dalla rabbia.
Axel
sospirò scuotendo la testa.
-Povero Tom...
È brutto amare una persona senza essere ricambiati...-.
-Non ho mai detto di
amare quella...!-.
-Oh, lo so che non
l'hai mai detto, figurati, non mi aspettavo che ti abbassassi a un tale
livello-, m'interruppe. -Ma vedi, a volte le parole non sono necessarie
per farsi capire. E io riesco a comprenderti benissimo senza.
Semplicemente si vede. Proprio qui-.
Si avvicinò
rapidamente con il braccio teso e io istintivamente arretrai di un
passo. Imperterrito, Axel coprì la breve distanza che ci
separava e mi carezzò una guancia col dorso della mano,
dallo zigomo al mento. Ebbi un fremito.
-Visto? L'hai sentito
anche tu. Non puoi negarlo. Sei come un libro aperto per me. E quando
Milla saprà ciò che provi...-.
Sciaf.
Axel
barcollò all'indietro, la testa voltata sgraziatamente di
lato, le labbra arricciate in una smorfia di sorpresa e dolore. Sul suo
viso, cinque ombre rosse che erano il calco perfetto delle mie dita
spiccavano come fuoco. Abbassai la mano, ansimando: per fortuna,
all'ultimo secondo ero riuscito a schiudere le dita raggruppate
fermamente in un pugno e a frenare un po' la caduta libera della mia
mano; non volevo di certo rompergli la mascella, non avevo bisogno di
altre complicazioni.
Malgrado la situazione
tutt'altro che allegra, sorrisi fra me e me. Non gli avevo dato alcun
preavviso, non aveva saputo nemmeno alzare un braccio per difendersi.
Mi complimentai per gli ottimi riflessi che avevo acquisito. Il mio
corpo si rilassò d'improvviso, ma il battito accelerato del
mio cuore mi faceva ancora ronzare le orecchie, e in un primo momento,
quando Axel parlò di nuovo, feci fatica a separare le parole
da quel brusio fastidioso e dal gocciolio insistente del temporale
fuori dalla finestra.
-Dunque è
questa la tua risposta...-, scandì. Al solo suono della sua
voce, la rabbia montò di nuovo. Cazzo, ma come faceva a
mantenere quella freddezza?! I miei nervi si tesero di nuovo tutti
insieme.
-No, è
questa la mia risposta: vaffanculo!-,
ringhiai. Axel si raddrizzò massaggiandosi lo zigomo gonfio
e pulsante e mi squadrò con freddezza.
-Sei solo un ipocrita
egoista. Ami Camilla ma non vuoi accettarlo, e non sopporti tuttavia
l'idea che qualcuno possa portartela via. Non è un
comportamento da vero uomo-, disse a mezza voce. Mi venne da ridere.
Alzai gli occhi al cielo.
-Certo, parla il
“vero uomo”. Quello che preferisce nascondersi
dietro una storia ormai finita per far finta che tutto sia a posto,
quello che vuole far credere di essere tornato in una fiammata di
gloria e poi riprendersi la ragazza che in cinque lunghi anni sembrava
aver dimenticato... Non sei tanto migliore di me, Axel-. Vomitai queste
parole controllando a malapena la rabbia che mi premeva da dentro
contro gli occhi, le mani e la bocca. Ovviamente la mia prima
impressione di Axel si era rivelata giusta. Dietro quel bel faccino si
nascondeva un'anima da serpente!
Il ragazzo mi
guardò con tenerezza, incrociò nuovamente le
braccia al petto e prese a passeggiare per la stanza.
-Tom, Tom, Tom...
Così tu mi vedi come un'opportunista, uno sfruttatore?
Proprio tu che, a quanto ho sentito, lasci entrare nella tua stanza una
ragazza a sera per poi dileguarti e non farti più sentire?-.
Mi guardò con compassione e mi accorsi con orrore di
arrossire sotto quello sguardo.
-Stavamo parlando di
te, non della mia vita sessuale...-. Mi stavo arrampicando sugli
specchi, e il peggio era che lo sapevamo entrambi. Axel riprese a
passeggiare osservando per bene la stanza, finché non
tornò davanti a me ostentando il suo solito sorriso
condiscendente e borioso. Ebbi la spiazzante sensazione di star vivendo
un deja vu e mi riuscì faticoso concentrarmi sulle seguenti
parole del ragazzo davanti a me.
-Noi siamo molto
simili, lo sai, Tom? Certo, a differenza tua io non sono famoso, non
suono uno strumento, non ho mai messo piede fuori da Berlino e ho avuto
una relazione con una ragazza per ben più di una notte,
però... Entrambi vogliamo la stessa cosa e siamo disposti a
fare di tutto per ottenerla-.
-Io non sono come
te!-, mi schermii. - Prima di tutto...-.
-Non sto parlando
delle nostre differenze superficiali-, esclamò Axel a voce
più alta del normale, interrompendomi. -Intendo le
uguaglianze sostanziali che condividiamo. Devi guardarti dentro per
capirle anche tu, e solo allora, forse, riuscirai a renderti conto di
chi è il migliore fra noi due-.
Fissai il ragazzo a
bocca aperta.
-Ma che cazz.. Segui
un corso di yoga
spiritual-qualcosa per caso?! Stai tentando di raggiungere
il Nirvana?-, domandai ironicamente.
La risata chiara e
forte di Axel fu coperta quasi del tutto da un altro tuono. Sempre
ridendo il ragazzo si diresse alla porta. Si bloccò e si
voltò a guardarmi.
-Mi ha fatto piacere
parlare con te, Tom. Sarà divertente... competere con te!-.
Sembrò ragionare sul verbo che aveva appena usato e a quanto
pare lo trovò estremamente spassoso perché
scoppiò a ridere ancora più forte. Mi
soffiò un bacio e si chiuse la porta alle spalle.
[...]
Ormai stavo
cominciando a perdere la sensibilità del sedere,
lì accovacciato in corridoio davanti alla stanza di Bill.
Con la testa tra le mani, seduto sul mio comodo letto, avevo meditato
sulle parole così inappropriatamente vere che aveva detto
Axel (me le sarei immaginate uscire dalla bocca di un vecchio eremita
dai capelli e la barba bianchi che aveva girato il mondo per tutta la
vita, non da uno sbarbatello confinato a Berlino!), poi, quando la mia
testa rischiava l'esplosione, istintivamente mi ero diretto da mio
fratello, ansioso di condividere con lui le mie emozioni traboccanti.
Stavo già per entrare senza bussare quando mi ero ricordato
che era anche la stanza di Milla, per quella notte, e lei era l'ultima
persona che avrei voluto ascoltasse! Avevo lasciato scivolare via la
mano dalla maniglia in ottone e mi ero seduto silenziosamente contro la
porta a pensare, ancora, da solo, immobile e confuso. La conversazione
appena avvenuta si ripeteva nella mia testa all'infinito. Le mani mi
tremavano e quella destra scottava, come se il fuoco che era arso sul
viso di Axel si fosse appiccicato anche alle dita che l'avevano
colpita. Anche la mia guancia sinistra bruciava, dove Axel mi aveva
accarezzato. Rabbrividii: sapevo che stava giocando con me come il
gatto col topo, eppure ripensare a quel bacio dato apposta per
confondermi ancora di più mi gelava il sangue. Bleah!
Mi osservai le mani,
le braccia, la pancia, le gambe, i piedi... No, non ero simile a lui in
nulla. Appoggiai una mano sul cuore e lo sentii scandire regolarmente
il ritmo della mia vita. Chiusi gli occhi e provai a esplorare la mia
mente, a guardarmi dentro, come aveva detto il bellimbusto, ma dopo
qualche minuto di solo buio e silenzio sbuffai e mi alzai in piedi
saltellando qua e là per far ripartire la circolazione al
mio sedere atrofizzato. Sbadigliai. Era sicuramente molto tardi, avrei
fatto meglio a tornarmene nella mia suite e provare ad addormentarmi,
ma ero curioso... Chissà se Milla dormiva già?
Probabilmente sì, aveva avuto una giornata davvero pesante,
e l'ultima cosa che volevo era svegliarla. Tuttavia non
resistetti alla tentazione di socchiudere con cautela la porta per non
fare rumore e sbirciare nella stanza buia. La luce di cortesia del
corridoio disegnò una lama di luce lunga e affilata sul
pavimento coperto di moquette che mi permise di distinguere con
chiarezza i contorni della stanza. Scivolai nella camera silenziosa e
mi chiusi la porta alle spalle.
Milla era
là, accanto a me. Dormiva saporitamente su un fianco, gli
occhi chiusi, il respiro regolare, il braccio sotto la testa. Alla
quasi totale penombra distinguevo a malapena il suo viso a forma di
cuore, i capelli sottili sparsi sul cuscino come un'aureola e le dita
sottili chiuse in pugni delicati. Mi accucciai accanto al letto,
sbirciando con apprensione la figura di Bill che russava sul divanetto
troppo corto dall'altra parte della stanza, e carezzai la fronte alla
ragazza, scostandole un ciuffo castano dagli occhi.
-E così mi
sarei innamorato di te?-, mormorai pianissimo quasi sfiorandole la
guancia con le labbra. Milla mugolò qualcosa senza
svegliarsi e si girò a pancia in su. Sorrisi della sua
tenera ingenuità, mi sporsi ad afferrare un cuscino dalla
sedia a dondolo e mi ci sedetti sopra, osservando il lento alzarsi e
abbassarsi del petto della ragazza. Nonostante la posizione non proprio
comoda, con le ginocchia raggomitolate al petto e la durezza evidente
del pavimento anche attraverso il cuscino, mi ripromisi di rimanere
accanto a Milla tutta la notte.
Fuori, la pioggia
continuava a scrosciare e il vento infuriava contro la finestra chiusa,
annullando qualsiasi rumore, ed io, perso com'ero nella contemplazione
della ragazza, non feci nemmeno caso che il russare leggero di Bill era
scomparso e che un altro paio di occhi luccicanti mi fissavano
nell'immobilità della stanza.
***
Bene, bene, bene... Salve! I'm
here again! ^_^ Dunque, intendo subito precisare una cosa: Axel non è dell'altra
sponda. So che potrebbe risultare decisamente ambiguo in
questo capitolo, ma il suo comportamente fa parte di una strategia ben
precisa! xD
Passo subito a
ringraziare che ha messo nei preferiti e chi ha solamente letto,
grazie!, e nello specifico i recensitori che hanno avuto la pazienza di
aspettare e che mi commenteranno per bene anche questo capitoletto, vero? Cominciamo!
>JulyTHFreiheit92: Nuova lettrice! Benvenuta!
Sì, la povera Milla... Vedrai che il mondo
tornerà a sorriderle presto, non disperare... ^^ Il seguito
ormai è deciso che si farà, intanto continua a
seguirmi! Un bacio...
>felpy: Altra lettrice! Benvenuta
agli alcolisti anonimi! xD Scherzo, scherzo! Sono felicissima che la
storia ti sia sembrata super-super-super carinissima e spero ti sia
divertita anche a leggere questo capitolo! Ormai mi sa che tutte le
lettrici di questa ff si sono "intrippate" a leggerla (evviva la
modestia...), cercherò di aggiornare prestissimo! Un
bacione-one anche a te!
>CAMiL92: La mia anima gemella! *___*
Tesoro, sei troppo buona, non sai quanto piacere mi fanno i tuoi
commenti modello rotoloni Regina! In effetti credo di essere migliorata
un po' dal primo capitolo e un po' del merito va tutto a te che mi hai
sempre sostenuta tanto! Cercherò di dare spazio anche al tuo
Mortiz anche se questa storia è incentrata sul mitico
triangolo Milla-Tom-Axel (chissà che non diventi pure in
quadrilatero... Sshhhhh! Io non ho detto niente!). Purtroppo non posso
dilungarmi quanto vorrei perchè la pappa chiama, ma sappi
che Sì, il seguito ci sarà, giuro sul mio onore
che mi impegnerò a scriverlo e a rispettarlo
finchè l'ultimo capitolo non ci separi... xD Cerca di
connetterti ogni tanto a msn! Ti voglio tanto tanto bbene, fedelissima
del mio cuore! <3 Un besos! :*
>linny93: Bill, dici? Mah, non
è mai detto... xD Continua a seguirmi, kusses!
>Virginia91: A chi lo dici, cara, a chi
lo dici... Nemmeno un giorno dei miei monotoni 14 anni potrebbe
eguagliare uno di quello della Milla! Ma d'altronde le ff sono fatte
per sognare e io continuo a sperare che accada anche a me... T__T
Grazie per il consiglio sul Fastum (xD), lo
consiglierò a Milla, e chissà chi si
contenderà la pomata per spalmargliela sulla caviglia... xD
Un kiss anche a te, al prossimo capitolo1
>Arina: Axel è fin troppo
esplicito, Tommino invece è imperscrutabile *hero!, mantello
al vento e rasta aggrovigliati dal vento, in piedi su un vaso di gerani
sopra una terrazza a piano terrra* xD Anch'io qualche volta prenderei
Tom a padellate (grazie dell'idea, chissà che non la usi
nella storia!), però poi lo perdonerei anche, no? Il seguito
si farà, approssimativamente ho detto 5-6 capitoli, ma
probabilmente saranno di più... Anche tu sei una
recensitrice miticissima, e, yo fratello, speriamo sì di
beccarci! xD Basci e abbrasci... ^__^
>SusserCinderella:
Sì, quello del bacio è anche il mio
preferito (evviva la modestia 2...), e Axel non poteva non portare
guai, se non non ci sarebbe stata storia! xD Mi fa piacere sapere che
è una ff degna di me (wow... O.o) , ma
cosa intendi con "strana"? Un bacccccio!
>tokiohotellina483:
Addirittura solo dal titolo l'hai messa nei preferiti! Accidenti! Come
mai ce l'avete tutte con Axel, poverino? (in realtà sta
diventando antipatico anche a me...). Anche se non si toglie dai piedi
non ti deludo, vero? Al prossimo capitolo! Un mega bacio anche a te...
>pandina_kaulitz: Mi
spiace aver ritardato così tanto nel postaggio (esiste?),
mamma mi ha messo ai lavori forzati: ho dovuto sudare sui libri per
finire tutti i compiti e ancora mi manca qualcosina... Ma alla fine ho
postato, no? ^__^ Dai, il prossimo capitolo lo leggerai prestissimo,
ok? Baciottis.
> tesorinely:
Sono contentissima che ti piaccia tanto e ti
prometto un seguito altrettanto avvincente! ^_^ Continua a seguirmi, al
prossimo capitolo!
> billy_72: E' vero,
quando Tom fa l'indifferente dà parecchio fastidio anche a
me, e Axel... Be', è Axel! xD Ho paura che invece se Milla e
Axel si metteranno insieme Tom avrà eccome da ridire! Ma non
anticipo niente... Al prossimo capitolo!
Ecco qua! Dimenticato nessuno,
vero? Scappo perchè la pasta si raffredda (e mia mamma si
scalda i muscoli per venirmi a prendere di peso...) . Ci vediamo nel
prossimo capitolo! Un bacio a tutte... <3
|
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Capitolo 16 *** *CAPITOLO 16* ***
*16*
Stavo sognando. Mi trovavo nella suite di Bill Kaulitz, il Vero Bill
Kaulitz In Carne E Ossa, il quale mi aveva ceduto il suo letto e ora
dormiva sul divano. E suo fratello, Tom, mi era accanto e mi guardava
come mai aveva guardato nessun'altra prima, e sorrideva, e mi
accarezzava dolcemente il viso. Non poteva trattarsi che di un sogno
ovviamente, come ne facevo a centinaia da qualche mese a questa parte.
Eppure era così nitido, così dolorosamente reale
che temevo il momento in cui la sveglia avrebbe suonato e sarei stata
obbligata ad aprire gli occhi.
Quando una luce fastidiosamente bianca mi accarezzò gli
occhi ancora sentivo il calore delle dita di Tom, che avevano lasciato
una scia infuocata sulla mia pelle. Mi aggrappai a quella sensazione
per non dovermi svegliare e rotolai a pancia in su per sfuggire alla
luce...
-Agh!-.
Il materasso venne improvvisamente a mancare portando con sé
anche il mio stomaco sbalzato fuori dalla cassa toracica, e nel buio
delle mie palpebre serrate avvertii solo un dolore acuto al centro
della schiena quando colpii qualcosa di freddo e duro. Spalancai gli
occhi e mi ritrovai molto più in basso di quanto mi
aspettassi. Era un mia impressione o il soffitto si era alzato? Mi
girava la testa... Con non poca fatica e sfregandomi gli occhi per
mantenerli aperti quanto bastava per guardarmi intorno mi alzai a
sedere guardandomi intorno, spaesata.
Ero caduta dal letto. Ecco perché, confusa com'ero da quella
sveglia inaspettata, avevo creduto di essermi rimpicciolita! Non era la
prima volta che mi capitava, in verità, ma episodi simili a
questo erano accaduti esclusivamente molti e molti anni prima!
La mia attenzione venne attirata da un grumo di coperte sul divanetto
che si mosse affannosamente fino a scoprire un viso diafano,
disorientato e addolcito dal sonno.
-Che è successo?-, mugugnò Bill faticando a
scandire bene il grumo di parole che gli si impastava in bocca.
Arrossii. -Niente... Sono caduta dal letto. Scusa se ti ho svegliato-.
Mi infilai di nuovo sotto le coperte e mi appoggiai col gomito al
cuscino, sostenendomi la testa. Gli occhi mi si stavano già
richiudendo ma la mia mente era troppo vigile per rilassarsi.
Non era un sogno, pensavo furiosamente. Avevo davvero dormito nella
stessa stanza di Bill Kaulitz...
Un'altra vampata di calore mi scaldò le guance. Sperai con
tutto il cuore di avere un aspetto anche solo vagamente presentabile e
presi a lisciarmi nervosamente i capelli.
-Non riesci a stare ferma nemmeno priva di coscienza, eh?-,
bofonchiò il ragazzo accennando un sorriso. Il suo sguardo
appannato perlustrò la stanza. -Che ore sono?-, chiese.
Buttai un'occhiata stanca al cellulare sopra il comodino e risposi
lentamente, strascicando le parole: -Le sette e qualcosa-. Bill gemette
e ricadde sul divanetto tirandosi la coperta fin sopra la testa.
-È già mattina-, si lamentò da
là sotto. -Non ho voglia di alzarmi adesso. Tu vuoi
continuare a dormire ancora un po', vero?-, mi chiese riemergendo con i
capelli che, anche senza lacca, contrastavano la forza di
gravità. Non risposi. Accigliata, fissavo il mio cellulare.
Non era dove l'avevo deposto ieri sera. Mi ricordavo benissimo di
averlo posato sopra una particolare forma del centrino di pizzo, che
ora, come una bocca, mi sorrideva beffarda, tentando di suggerirmi una
soluzione che non riuscivo ad afferrare.
-Allora? Mica vorrai alzarti adesso!-.
Afferrai il telefonino, appoggiato di sbieco contro il piede della
lampada, dalla parte opposta del comodino rispetto a dove stava la
notte prima. Avvicinai agli occhi quell'oggetto a me tanto familiare e
ora così estraneo, sorreggendolo solo con la punta delle
dita come per paura di cancellare chissà quali prove
impresse sulla plastica nera. Conscia della presenza ingombrante del
ragazzo che ancora attendeva una risposta, decisi di posare l'oggettino
e rimandare le mie congetture.
-No, grazie, Bill. Devo tornare a casa-, risposi distrattamente.
-Oh... In questo caso-, si scoprì e saltò
giù dal divano rabbrividendo al contatto con la moquette
fresca di notte – sarà meglio prepararsi e andare
a fare una bella colazione, mh? Ti spiace se uso il bagno per primo?
Faccio, presto, giuro!-. Saltellò attraverso la stanza e si
infilò nel bagnetto (che tanto “- etto”
non era) canticchiando un motivo leggermente stonato. Chiuse la porta.
La riaprì.
-Dimenticavo: buongiorno!-. Sorrise, e il suo viso e i suoi occhi
risero con lui.
-Vai a lavarti, scemo!-, ribattei afferrando un cuscino e fingendo di
lanciarglielo dietro. La porta si richiuse all'istante e il cuscino
tornò al suo posto, gonfio e immacolato come prima.
Un senso di spossatezza, a cui si aggiungeva la fitta alla caviglia, mi
pervadeva gambe e braccia, contratte e rigide per scacciare il dolore
soffuso che sembrava propagarsi dagli arti stessi. Saltellai ad aprire
la finestra in equilibrio sul piede sano, e rimasi sorpresa del freddo
umido sprigionato dall'aria impregnata di rugiada; un brivido di
piacevole intirizzimento mi corse giù per la schiena, quindi
corsi a rifugiarmi il più velocemente possibile sotto le
coperte ancora calde di sonno. Posai la testa sul cuscino, assaporando
ad occhi chiusi l'aria nuova che rinfrescava la stanza e il cinguettio
di uccellini invisibili, messaggeri mattinieri di una splendida
giornata. Le mie preoccupazioni? Svanite. Il dolore al piede? Sparito
anch'esso.
L'acqua del lavandino cominciò a scorrere, colpendo con
violenza la ceramica con il suo getto potente. A tratti il suono si
addolciva e si allungava in uno sciacquio che mi ricordava
istintivamente la mattina a casa mia, i primi giorni di scuola e i corn
flakes ghiacciati inzuppati in un latte ancora più freddo.
Era un suono rilassante, confortante, piacevole. Un suono che risuonava
come “casa”, “famiglia”. Un
suono che, a ben pensarci, ricordava proprio Bill. Mi lasciai cullare
da quell'acqua dolce che mi accarezzava la mente, e sprofondai ancora
una volta nel sonno.
-Milla! Milla! Alzati, è tardi!-.
-Altri cinque minuti, mamma, per piacere-, borbottai tirandomi la
coperta fin sopra la testa, raggomitolata in un fagotto di piacevole
tepore. Peccato, il sogno era già finito, stavolta ne ero
sicura. Sapevo di aver immaginato tutto, il concorso, i Tokio Hotel,
Axel, Tom, Bill... Era troppo bello per essere vero. E ora mi toccava
tornare alla realtà, alla mia monotona realtà,
alla mia monotona e insignificante realtà.
Sentii una risatina soffocata. Strano. Non era la voce della mamma.
Gettai all'aria le coperte stropicciandomi gli occhi e una volta
riacquistato il dono della vista rimasi a bocca aperta. Un Bill
Kaulitz, identico ai poster patinati che tappezzavano la mia stanza, mi
osservava ridacchiando sotto i baffi. E io ero in pigiama. Un pigiama
che nemmeno era il mio, a dire la verità (“da
dov'è saltato fuori?”, mi chiesi), ma comunque ero in pigiama.
-Dimmi che sto ancora sognando, ti prego, dimmi che tu non sei vero e
io non sono davvero in pigiama-, implorai sprofondando nel materasso
per la vergogna.
-Mi spiace dirtelo ma questa è la realtà, io sono
vero e tu sei in pigiama, nonché in ritardo per la colazione
e per tornare a casa, se non ti sbrighi troverai traffico e io non
riuscirò a salutarti per bene, quindi alzati, vestiti,
lavati e scendi-, spiegò tutto d'un fiato il ragazzo.
Ricaddi sul cuscino, più rossa di un pomodoro maturo e mi
coprii di nuovo tutta con la coperta.
-Per piacere, potresti uscire? Prometto che adesso scendo, ma tu esci,
ti prego-, mugolai.
-Come vuoi... Fai presto però, e non lamentarti,
perché ti ho lasciata dormire altre due ore abbondanti,
anzi, ringrazia!-, ridacchiò Bill dandomi una pacchetta
sulla testa e uscendo dalla camera. Rimasi in silenzio qualche secondo
per assicurarmi di essere davvero sola, poi mi scoprii violentemente e
corsi (si fa per dire) in bagno per rendermi almeno lontanamente
presentabile.
In dieci minuti mi ero lavata, truccata e vestita, un record! Raccolsi
i numerosi effetti personali che avevo sparsi per la stanza e mi
scapicollai nel corridoio, preoccupata di averci messo troppo e di non
trovare più Bill.
Invece il ragazzo era là, appoggiato al davanzale della
finestrella che dava sul giardinetto interno dell'albergo, intento a
fumarsi placidamente una sigaretta quasi tutta consumata. Non appena mi
vide la spense e la gettò di sotto, venendomi incontro con
un sorriso.
-Ehi, adesso sì che ti riconosco! Ma che carina...-. Mi
passò attentamente ai raggi X, apparentemente colpito dalla
mia abituale trasformazione. M'imbronciai.
-Che intendi dire? Che prima ero una specie di mostro, eh?!-.
-Dai, non fare così, lo sai che ti prendo in giro! Ti
conosco quel tanto che basta per permettermelo, no?-. Mi
scompigliò i capelli e si avviò trotterellando
dabbasso, inconsapevole di avermi scombussolato anche i pensieri e
agitato il cuore. Bill era così, indipendente, fiero ed
egoista quanto bastava, ma capace di regalare una gioia e una
serenità purissime a chiunque fosse stato in grado di
coglierle nella più piccola sfumatura della sua voce. Mi
abbracciai da sola ridendo di gusto, semplicemente felice, per poi
saltellare giù per le scale, immaginando chissà
perchè una bambina avvolta in un abitino nuovo, rosso fuoco,
saltare allegramente nelle pozzanghere dopo il temporale.
-Insomma, ci siamo...-, mugugnò laconicamente Georg
passandomi il mio solito borsone. Lo accettai con un sorriso di
comprensione.
-Lo sapevamo tutti che sarebbe finita, no? E magari qualcuno
sarà più contento, ora che me ne vado...-.
Lanciai un'occhiata penetrante al ragazzo coi rasta, appoggiato al muro
più lontano da me; quello non se ne accorse nemmeno,
occupato com'era a fissare qualcosa oltre la reception.
-Non dire scemenze, Milla! Ci mancherai... Davvero. A tutti-. Anche
Bill non poté trattenersi dal voltarsi verso il fratello,
una statua di pietra immobile quanto affascinante. Una volta di
più non potei far altro che lasciarmi ammaliare dalla
perfezione che scaturiva dai lineamenti eterei di quella creatura,
troppo inumani, troppo schifosamente belli per esistere su questa
Terra. A fatica, distolsi lo sguardo per abbracciare con gli occhi gli
altri tre ragazzi che sarebbero abitati per sempre nel mio cuore.
-Su, sono rimasta solo un giorno, che volete che sia? Mi dimenticherete
presto, voi, mentre io no... ma va bene così,
perché non avrei potuto sperare in una giornata
più fortunata, neanche mettendo insieme tutte quelle della
mia vita! Insomma, quante ragazze avrebbero pagato per essere al mio
posto? -. Sorrisi per non scoppiare in lacrime come una bimba.
-In un giorno ne hai combinate, però! E sarà
piuttosto difficile dimenticarci di una capace di slogarsi la caviglia
solo scendendo da un auto, te l'assicuro-. Bill mi fece l'occhiolino.
Che pazzo bugiardo. Gli sarei saltata al collo per non lasciarlo
più andare, se solo avessi potuto...
Una figura dalla lucente chioma nera scese velocemente le scale,
saltò in un balzo gli ultimi due gradini e
atterrò davanti a me, avvicinandosi con grazia al piccolo
gruppetto.
-Buongiorno, Milla! Sei pronta a partire?-, mi chiese Axel
scompigliandomi i capelli come poco prima aveva fatto Bill. La
sensazione che provai fu assurdamente diversa, tanto che rimasi
sconcertata dalle differenti, fondamentali emozioni che il tocco dei
due ragazzi aveva scatenato in me. Non avevo dubbi a capire quale mi
avesse scaldato di più il cuore.
-Sì. Stavo salutando... i ragazzi-. Dentro di me risi per la
scioltezza con cui avevo pronunciato quel soprannome, attribuito loro
così per gioco, come se si fosse trattato di una band da
garage e non del gruppo più famoso del mondo.
-Dai pure a me la borsa-.
-Non è pesante-.
-Te la porto lo stesso-.
-Sei sicuro di volermi accompagnare fino a casa?-.
-Certo! Dai, andiamo, se no becchiamo il traffico-. Il ragazzo
sorridente si rivolse ai quattro, diventando improvvisamente formale.
-Tokio Hotel, è stato un piacere conoscervi, grazie di tutto
e tante buone cose-. Axel sfiorò la mano di ognuno, poi si
issò la borsa su una spalla, mi prese per il braccio e
tentò di trascinarmi oltre la sontuosa porta di pesante
legno. Mi ribellai.
-Aspetta un momento, cazzo! Non ho finito di salutarli!-.
Ignorando il sospiro impaziente del ragazzo, saltellai davanti a
Gustav, il più vicino, e mi ci gettai contro. Letteralmente.
-Grazie di tutto, Gusti, grazie davvero. Sei sempre il migliore, io
faccio il tifo per te!-. Semplice e concisa, come lui. Gli schioccai un
bacio sulla guancia e lo lasciai là, allibito, a toccarsi il
viso con aria stupefatta. Georg, alla destra di Gustav, mi
afferrò appena in tempo quando inciampai nei miei stessi
piedi per andarlo a salutare.
-Ecco, a te devo pure ringraziare per avermi salvata... ancora!-. Mi
misi dritta, scostandomi una ciocca impertinente dal viso. -Grazie
davvero, grande Georg, grazie per oggi e per tutte le volte che sali
sul palco. Non immagini neppure che emozioni mi dia il tuo basso... E
vedrai che la prossima volta mi batterai alla gara di chi mangia
più hamburger, forse-. Gli feci l'occhiolino e lo baciai
sulla guancia. Mi colpì molto la sensazione di solletico
provocata dal velo invisibile di una barba rasata da poco, tutt'oggi
non so ancora dire perché.
Il ragazzone mi strinse in un abbraccio gentile, che però mi
tolse lo stesso il respiro.
-Grazie a te, piccolina. Sei tu che ci hai dato emozioni
indimenticabili, e stai pure sicura che mi allenerò
duramente per vincere contro di te-. Mi liberai dalla sua stretta e gli
pizzicai lo stomaco.
-Ne avrai da lavorare!-. Ridemmo insieme. Poi, Georg si fece da parte
per lasciar avvicinare Bill, che, cavaliere fino all'ultimo, mi aveva
risparmiato l'umiliazione e la fatica di zompettare fino a lui. Non
appena le mani possenti del bassista mi lasciarono le spalle, subito
quelle delicate e fresche del cantante andarono a posarsi sui miei
fianchi, in un abbraccio molto più intimo e complice di
quello bonario, quasi fraterno, di Georg. Quando si chinò,
avvicinando le labbra al mio orecchio per non farsi sentire dagli
altri, avvertii i suoi capelli solleticarmi il naso: il profumo che
emanavano è ancora impresso a fuoco nella mia mente e credo
non lo dimenticherò mai...
-Non dire niente, d'accordo? Parlo io-, mi sussurrò
dolcemente. Già dalle prime parole non ero più
riuscita a controllarmi e le lacrime avevano preso a scorrermi
liberamente sul viso. Un groppo in gola mi impediva di deglutire,
sentivo il naso colare e gli occhi pungere, eppure trattenni il
respiro, zitta zitta, per non perdere una singola lettera di quel
tenero mormorio dedicato a me, solo a me...
-Non sei tu che devi ringraziare, ma io. E non dire che non hai fatto
niente, perché non è vero. Dopo tanto tempo ho
sentito di nuovo sulla mia pelle, nel mio cuore, l'affetto per le
ragazze e i ragazzi che ci seguono e ci supportano, l'ho sentito, dentro di
me. Tutto grazie a te. Devo confessarti che all'inizio, quando sei
arrivata, ero prevenuto nei tuoi confronti, ti credevo un'altra di
quelle fan oche che, sinceramente, non sopporto, ma mi avevano detto di
essere gentile, perciò ho recitato la mia parte. Dopo un
po', però, superata la prima impressione, quando ti ho
conosciuta di più, e soprattutto da quando te ne sei
scappata in bagno...-. Rise. -Be', me ne sono accorto pure io che non
eri come tutte le altre. Mi hai fatto ridere. Mi hai fatto innervosire.
Mi hai stupito. E affascinato. Tutto ciò in un solo giorno.
Non è cosa da tutti. Sei proprio speciale, tu. Per questo
non ti dimenticheremo, Milla. Mai-. Si scostò da me e senza
scomporsi mi asciugò le guance con i pollici.
-Ma stai sempre a piangere!-, esclamò fingendo
esasperazione. -Animo, ragazza, non conquisterai il mondo frignando
come una donnicciola!-.
Singhiozzai fra le risate. Risi fra i singhiozzi.
-Bill...-, mormorai. Il ragazzo chinò la testa da un lato.
-Dì, la verità, te lo eri preparato prima questo
bel discorsetto, vero?-.
Il cantante sorrise.
-Colpito e affondato. Mi hai scoperto. È una tecnica quasi
perfetta, però, funziona sempre, scherzò.
Risate collettive. Sguardi scintillanti, atmosfera calda e accogliente,
persone famose. Me lo dovessero chiedere ancora, sì, mi sentivo a casa.
Quando il momento di ilarità passò,
perché finì anche quello, non potei
più rimandare l'inevitabile. Finsi di non sentire i
borbottii contrariati di Axel che scalpitava per lasciare quel posto e,
aiutata da Bill, mi trascinai fino a Tom, ancora voltato dalla parte
opposta. Sorreggendomi al muro, mi posizionai con cautela proprio
davanti a lui, lontana eppure vicina, e cercai i suoi occhi. Avvertii
la presenza di Bill allontanarsi rispettosamente per concedermi la
libertà di esprimermi senza remori.
-Tom-.
Mai, mai nome avrebbe potuto essere più dolce sulla lingua.
Il nocciola incrociò l'ambra e l'ipnotizzò,
lasciandolo senza respiro.
Presi fiato e mi gettai dritta in quelle iridi di oro fuso.
-Non pretendo che tu mi ringrazi per qualcosa che di certo non ho
fatto, né che tu mi compiaccia sciorinando complimenti in
alcun modo. Voglio solo farti sapere che, anche se tra di noi ci sono
stati dei... contrasti, chiamiamoli così, mi ha fatto molto
piacere conoscerti e trascorrere una giornata con te. Mi spiace che per
te non sia stato lo stesso, ma comunque grazie, sul serio, per tutto-.
Sollevai una mano, incerta se posarla o no su quel viso di fredda
ceramica, solo per accertarmi della morbidezza della sua pelle, solo
per toccarlo un'ultima volta, ma dopo qualche attimo di riflessione e
un balenio di luce più duro negli occhi del rasta, la
lasciai ricadere lungo il fianco, sconfitta.
Tom non si mosse.
Con un peso sul cuore, ignorai le braccia tese di Bill e mi trascinai,
un passo e un saltello, verso la porta tenuta da Axel. Provai a non
voltarmi più ma sulla soglia la tentazione fu troppo forte.
Erano tutti là che mi fissavano, quattro musicisti, quattro
amici, quasi quattro fratelli; mi fissavano tutti, impassibili, ai
limiti della vecchia me, ai limiti della mia vecchia vita. Accennai un
gesto di saluto, esitando, al quale risposero tutti. Tutti tranne,
ovviamente, il ragazzo coi dread, che però da molto, troppo
tempo si era impigliato nei miei occhi.
La macchina di Axel, un'utilitaria blu, mi aspettava fredda e mansueta
appena fuori dall'hotel. Vuota.
Sorretta dal giovane, mi accomodai docilmente sul sedile anteriore
odorante di dopobarba, e vi abbandonai contro la testa, troppo stanca,
troppo debole, incapace di sopportare qualunque altra emozione; avevo
l'impressione che non appena l'imponente figura dell'albergo fosse
sparita alla mia vista, con essa mi sarei dissolta anch'io.
Axel fu accanto a me in un baleno. Mi fissò un momento, poi
mormorò solo poche parole, taglienti come una lama a doppio
taglio:
-Vedrai, fra poco sarai di nuovo a casa-.
Scossi la testa. Impossibile. Io me ne stavo andando, da casa
mia.
Mi accarezzò teneramente il viso, sorridendomi in un modo
che il mio cervello, in un ultimo spasmo vitale, classificò
come “rassicurante”, poi mise in moto e la mia
mente si annebbiò definitivamente.
Quasi mi aspettavo che qualcuno (Tom) corresse fuori e cercasse
disperatamente di fermarmi, mi supplicasse di rimanere, di restare con
lui... Invece, come prevedibile, le pesanti porte di legno rimasero
ostinatamente chiuse, e nessuno sbucò fuori nemmeno da
un'uscita secondaria.
Ben presto ci lasciammo alle spalle il massiccio edificio, sfrecciando
lungo una strada deserta e sconosciuta, incontro al sole.
Durante il tragitto, quando rallentammo in prossimità di un
semaforo, ebbi l'impressione di scorgere, riflessa sul finestrino, una
bimba avvolta in un cappotto rosso tutto inzaccherato venir trascinata
dalla madre lontano da un gruppetto di pozzanghere. Mentre la donna
inveiva contro di lei, la bambina si voltò a guardarmi con
uno sguardo di triste rassegnazione, poi abbassò i suoi
grandi occhioni ambrati e svanì.
***
Lo ammetto: mi sono
commossa anch'io scrivendo questo capitolo ç___ç
Povera Milla... *si ricompone*
Dunque, credo di poter
giustificare il mio consueto ritardo con la scuola e la montagna a dir
poco
preoccupante di verifiche che mi è toccata subire questo
mese, ma forse non
risulterei credibile (anche se è la verità,
giuro!). Sappiate che vi voglio
tanto ma tanto bbene, a tutti voi, recensitori e non, e
perciò passo subito a
ringraziarvi nello specifico:
>CAMiL92: Tesoroooo, papaverina miaaa!
Ma quanto tttenera sei (per
citare il tuo modo di dire)?! Possibile che mi debba commuovere ogni
volta che
mi lasci un commento? Sì! Perché ti voglio troppo
bene, io! <3
Ok, passiamo alla
risposta.
Axel si comporta davvero da gay, ma non lo è, ripeto,
perché fa parte di una
strategia ben delineata; potrebbe anche essere attratto da quel
bastardone anti-sentimentalista
e menefreghista di Tommo, non ci vedrei niente di strano,
ma… non dico nulla!
XP Poi… TU. FAI. TROPPI. COMPLIMENTI. Non me li merito! Sei
troppo buona. Anche
se fanno sempre piacere. Ah, quanti punti che sta guadagnando la mia
autostima…
ç__ç Il prossimo capitolo non posso assicurarti
che arriverà presto, sempre a
causa dei miei molteplici impegni (anche teatro adessooooH! *___*) e
della mia
testolina vuota, però per te farò il possibile.
Per msn cerca di fare anche tu
quello che puoi, intanto continuiamo a sentirci per messaggio. Quanto
adoro la
buonanotte sempre diversa che mi mandi ogni sera… Quasi
quanto adoro te!
<333
>pandina_kaulitz: Nooo, tu devi spronarmi a
continuare, se no mi
adagio troppoo! xD Cercherò di postare il prima possibile
comunque. Bacioni a
te! ^^
>Arina: Anche tu sei troppo buona
con me. Non posso credere che bellissimissimo
riferito al mio capitolo lo consideri un eufemismo °__°
Gassie, davvero *-*
Bill è un
amore, Axel lo
odio, Tom lo picchio. E sono miei personaggi, è assurdo che
mi faccia
coinvolgere da loro e dalle loro vicende anche se le invento io!
°___° Anch’io
ti adoro, te e i tuoi commenti, che tra l’altro sono
più che costruttivi! U_U
Un bacioneeeee! :*
>angeli neri: Una nuova recensitriceeee!
*-* Benvenuta nella
combriccola di pazze xD Mi fa piacere che tu seguissi la storia anche
prima di
registrarti, e ovviamente mi fa ancora più piacere che tu ti
sia registrata per
seguirla ancora e commentarla! ^^ Axel è un tipo
particolare, Tom ha
decisamente fatto un balzo avanti, nonostante in questo capitolo, col
suo
atteggiamento, ne abbia fatti almeno altri 10 indietro, Bill
è troppo
puccioloso e Georg e Gustav sono dei tesori! Vedrai che la prossima
puntata apparirà
presto, basta che incroci le dita dietro la schiena e saltelli su un
piede solo
per dieci minuti. Scherzooooo! XP Un bacio!
>valux91: Non odi Axel?
°__° Ma è insopportabile! Ok, forse dicendo
così mi scredito da sola, però, sinceramente, io
non lo sopporto... Non per
questo però uscirà di scena tanto presto, anzi...
Io non ho detto niente! ‘__’ Magari
averlo abbracciato, il Billo... Awwwww! *la Robyz si perde nel suo mondo* XP Un kussolo!
>JulyTHFreiheit92: Un’altra
anti-Axel! Stiamo diventando numerose...*_*
Potrei perfino distribuire le spillette! *rimugina*
Tom è stato
troppo
cavaliere forse, ma in questo capitolo è tornato il
bastardone di sempre...
Secsi, ma bastardone. =Q___ Al prossimo capitolo, sperando che questo
ti sia
piaciuto e accettando i complimenti! ^^ Bacioo!
>Sognatrice:
Be’, in effetti
non mi dispiacerebbe affatto fare la scrittrice, ma non credo di avere
il
talento necessario ^^ Grazie comunque!
Sì, anche
se vuole negarlo
a se stessa, a lei Tom piace (come
darle torto! *-*) e in quel vicolo c’era passione, eccome
*__* anche se Milla se
n’è resa conto un po’ dopo! XP
>tokiohotellina483:
Meno
male che non ti ho delusa... *si asciuga il sudore dalla fronte* Vedrai
anche
tu che comparirà presto il nuovo capitolo! ^^ Baso!
>tesorinely:In
effetti nel
capitolo precedente mi sono occupata molto di più dello
sviluppo delle
descrizioni perché volevo che vi figuraste bene la scena
come se ce l’aveste
davanti agli occhi. Spero di aver raggiunto almeno in parte il mio
obiettivo ^^
Complimenti per averlo notato! Ci vediamo nel prossimo capitolo! Kiss.
>SusserCinderella: Il
capitolo del bacio resterà un cult! xD Tom e Axel hanno
“chiarito”, ma ci
saranno ancora un bel po’ di dissapori tra di loro a causa di
Milla... Io non
ho detto niente! xD Un bacione!
Benebene, popolame.
Dopo
aver ringraziato per bene tutte queste belle personcine mi eclisso!
Arrivederci
al capitolo 17, numero che, tra l’altro, adoro! *_*
|
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Capitolo 17 *** *CAPITOLO 17* ***
*17*
Oh,
no. No, non di nuovo. Di nuovo no! Sbarrai gli occhi e il fiato mi si
mozzò in gola. Mi ritirai in un angolo, presi fiato e...
-Mamma,
il gatto è saltato di nuovo sul letto!- strillai.
-Sono
occupata- esclamò di rimando una voce lontana, persa nella
vastità della casa.
Sbuffai,
puntellandomi sul cuscino per scoprirmi le gambe nude, una delle
quali grottescamente sproporzionata da una fasciatura rigonfia che
arrivava a sfiorare il ginocchio. Il muoversi delle coperte non
turbò
per nulla il grosso gatto bianco e caffellatte che, entrato
tranquillamente dalla finestra, si era appollaiato in fondo al mio
letto, anzi, da sotto i baffi grigi l'animale parve sorridermi.
Sia
chiaro, non è che mi dispiacesse avercelo intorno, anzi, mi
faceva compagnia durante le lunghe mattinate sola a casa passate a
sonnecchiare, scrivere e leggere, però odiavo dormire su una
coperta di peli di gatto!
Scesi
dal letto, facendo ben attenzione ad appoggiare tutto il peso sulla
gamba sana prima di trascinare giù anche quella infortunata;
buffo come adesso dovessi essere così concentrata solo per
mettermi in piedi, dopo una vita intera passata a ruzzolare qua e
là.
Quella mattina mi ero svegliata male, ci mancava solo il gatto a
migliorare la giornata. Inspiegabilmente, da quando ero tornata a
casa ferita, il mio adorato micione tenerone mi aveva preso in
antipatia, neanche gli avessi fatto qualche torto, ed era diventato
impossibile toccarlo.
Quasi
ad aver captato i miei pensieri, il gatto mi fissò con
sfida.
Sogghignai: non sarebbe bastato certo uno sguardo cattivo per farmi
desistere dalla mia “missione”. Mi avvicinai piano,
zoppicando
circospetta.
-Avanti,
Poutpourri, fai il bravo. Perché non ti stendi su quel bel
cuscino laggiù? È il tuo preferito, no?-.
Gli
occhi gialli del felino si strinsero in due fessure pericolose.
Nemmeno seguì il gesto della mia mano rivolto al guanciale
dorato pieno di graffi e morsi. Non intendeva arrendersi? Beh,
nemmeno io.
-Per
piacere, non fare così. Lo sai che poi mamma si arrabbia-.
L'accenno a una punizione implicita non sembrò toccarlo
minimamente, come se non avessi aperto bocca. Provai la via delle
lusinghe.
-Se
scendi ti regalo un bel topolino di gomma! Che ne dici? Un altro
squitty-squitty solo per te. Lo vuoi un altro squitty-squitty tutto
per te?-.
Poutpourri
mosse le orecchie nella mia direzione e si leccò i baffi.
Non
avevo dubbi che avesse capito le mie parole. Mentre l'animale
rifletteva, provai ad avvicinarmi silenziosamente. Ormai solo pochi
passi mi separavano da lui. Tesi lentamente le braccia, le mani e la
fronte sudate per lo sforzo di camminare, pronta ad afferrarlo, ad
immobilizzare quella bestiaccia dispettosa e a scaraventarlo fuori
dalla mia stanza una volta per tutte.
-Sì,
un bello squitty-squitty tutto per te- mormorai soavemente.
Ecco,
ecco, c'ero quasi. Piano, piano...
-Pres...-.
Il
gatto si girò, fulmineo, e più veloce della luce
mi
sferrò una zampata alla mano.
Spaventata,
lanciai un grido e balzai all'indietro, riuscendo a rimanere in piedi
per miracolo. L'animale soffiò, le orecchie appiattite sulla
testa, i denti scoperti e il corpo teso.
-Stupido,
maledetto gatto!- strillai all'animale che, indispettito, si
voltò
dall'altra parte, chiuse gli occhi e si mise a ronfare
innocentemente.
Quasi
piangendo per la frustrazione e lo spavento, avvicinai la mano al
viso per stabilire l' “entità dei
danni”: per fortuna,
Poutpourri si era limitato a colpirmi senza tirar fuori gli artigli,
in una specie di avvertimento. Ciò significava anche che per
lui non rappresentavo una minaccia, bensì un giocattolino
come
il suo Squitty. La beffa quindi, oltretutto!
Ringhiai
per l'umiliazione ricevuta, lanciai l'ennesimo sguardo di fuoco al
gatto e marciai a passi pesanti, per quanto mi fosse consentito dalla
fasciatura, verso la porta, col fumo che mi usciva dalle orecchie;
fidatevi quando vi dico che essere beffeggiati dal proprio animale
domestico non fa bene, può produrre strani effetti...
-Prego,
tienti la mia stanza, tientela, è tutta tua!- ululai sulla
soglia.
...
Sì, questa è una prima conseguenza.
Il
gatto non batté ciglio, si acciambellò su se
stesso e
cominciò a sonnecchiare, emblema della pace e della
serenità.
Digrignai
i denti e mi sbattei la porta alle spalle.
La
cucina era vuota e silenziosa. Mamma probabilmente si trovava in
giardino, o in soffitta, o chissà in quale luogo oscuro e
sconosciuto alla ricerca di polvere e sporco da ripulire. Poco male,
avrei fatto colazione in santa pace, almeno per quella mattina.
Afferrai
una sedia e la sistemai sotto la dispensa. Ancora non capivo
perché
mamma si ostinasse a tenere i cornflakes così in alto,
specie
ora che ero ancora più goffa del solito (impossibile
dite?) e che anche una scatola di cereali poteva essere causa di un
ennesimo
squilibrio.
Riuscii a scendere dalla sedia senza causare disastri, cosa piuttosto
anomala dato che da quasi due settimane non riuscivo a muovermi senza
rovesciare/rompere qualcosa, però accolsi quel benevolo
cambiamento con un senso di sollievo e libertà.
Versai
il latte senza rovesciarlo e presi il cucchiaio dal
cassetto
delle posate senza chiudermici dentro le dita, mi
sedetti
senza cadere per terra e cominciai a mangiare
tranquillamente.
Solo il rumore delle mascelle che lavoravano aleggiava nella stanza
clinicamente pulita, finché...
Dling
dlong!
Suonò
il campanello, ovviamente.
Sospirai
nell'abbandonare il mio pasto e mi trascinai attraverso il
lunghissimo corridoio. Il campanello trillò di nuovo.
-Arrivo-,
borbottai tentando inutilmente di sistemarmi i capelli. Rinunciai e
optai per sistemare almeno le ciocche laterali, quelle più
disordinate, dietro le orecchie. Di nuovo una scampanellata,
più
lunga e insistente.
-Ho
detto che arrivo-, biascicai
strascinandomi dietro quel pezzo di legno che era diventata la mia
gamba. La porta sembrava allontanarsi invece che avvicinarsi!Annaspai
in avanti e finalmente mi aggrappai al pomello d'ottone. Stavo
già
spalancando l'entrata quando mi ricordai di essere in canottiera e
pantaloncini della tuta.
“Ma
sì, tanto sarà uno dei colleghi di
mamma” pensai
prima di alzare gli occhi e incontrarne un altro paio, azzurri come
la linea che unisce cielo e mare.
-Axel!-,
boccheggiai. Il ragazzo, appoggiato con disinvoltura all'entrata, mi
sorrise, e il sole sembrò illuminare l'intera casa.
-Come
stai?-, mi chiese avvicinandosi.
-Bene...
almeno credo-, mormorai, senza fiato.
-Posso
entrare?-, domandò, ridendo
della mia espressione da idiota.
-Certo-,
biascicai. Mi chiusi la porta alle spalle e mi ci appoggiai
timidamente.
-Ti
aspettavo per questo pomeriggio-, dissi a mezza voce. Lo sguardo
turchese del ragazzo corse al mio abbigliamento decisamente poco
formale e sorrise.
-Lo
sospettavo-, sussurrò dolcemente. Non c'è nemmeno
bisogno di dirlo, arrossii come un pomodoro maturo.
-Mi
spiace averti fatto questa improvvisata, ma mia madre ha bisogno di
me più tardi, e volevo venire lo stesso-,
continuò
scostandosi la lunga frangia scura.
-Non
dovevi disturbarti, per un giorno potevo resistere-, sorrisi. Bugia.
Grossa bugia. Senza di lui mi sentivo persa.
Lo
sentii studiarmi a lungo mentre facevo vagare gli occhi per la
stanza, in cerca di suggerimenti per fra proseguire la conversazione.
-Beh,
vado a prepararmi-, buttai lì. Axel annuì,
divertito da
qualcosa che a me sfuggiva.
-Vuoi
che ti accompagni?-, chiese.
-Come?-,
boccheggiai. Voleva venire in camera mia e vedere che mi spogliavo? E
pure aiutarmi, magari! Che faccia tosta!
-Intendo,
fino alla porta di camera tua-, precisò indicando il mio
gesso. -Non penso sia facile spostarsi con quel coso-.
Ecco,
come al solito avevo frainteso tutto. Possibile che potessi
interpretare la casta proposta di aiuto di un amico in modo
così
malizioso? A quanto pare sì, eccome. Una giornata con
accanto
Tom era bastata a farmi diventare così?
Mugolai
quando una fitta dolorosa ad altezza stomaco mi trafisse da parte a
parte: solo pensarlo mi faceva male. Che scema ero stata...
-Cosa?-,
mi chiese Axel sollevando un sopracciglio.
-Niente,
niente... Aiutami, dai-, e mi aggrappai al suo braccio per affrontare
al contrario la lunga rampa di scale.
Poco
dopo entrambi sedevamo al tavolo asettico della cucina con una tazza
di cereali davanti. Nessuno parlava, si sentiva solo il doppio
crocchiare della colazione sotto i denti. Axel finì prima di
me, appoggiò la tazza vuota sul ripiano in legno e si
pulì
la bocca con una manica.
-Che
vuoi fare, oggi?-, mi domandò con entusiasmo.
Presi
tempo masticando minuziosamente la mia ultima cucchiaiata, e solo
quando cominciai a mangiarmi anche i denti, deglutii.
-Partita
a scacchi? Voglio la rivincita-.
Axel
rise e mi scompigliò i capelli.
-Milla,
lo sai di non essere capace. Se vuoi perdere, sono pronto a umiliarti
ancora una volta, ma non oggi-.
-E
perché no? Dì la verità, hai paura di
perdere!-,
lo stuzzicai.
-Io?
Ma se ti ho stracciato, l'ultima volta! Dicevo che oggi non si
può
perché avevo in mente qualcosa di più...
emozionante da
fare-. Si alzò in piedi e mise la ciotola nel lavello.
-E
allora perché cavolo chiedi il mio parere se poi fai di
testa
tua?-, borbottai. Axel rise. Era una domanda retorica, ovviamente.
*
-Tom?
Tom!-.
Sbattei
le palpebre e gli occhi infastiditi di Bill incontrarono i miei.
-Tom,
sono due ore che ti chiamo! Mi stavi ascoltando? Hai capito che ti ho
detto?-, inveiva mio fratello. Scossi la testa per scacciare il
torpore dell'ennesimo sogno ad occhi aperti; questa volta era stato
così reale da sembrare proprio vero.
-No,
Bill, scusa. Credevo di aver visto...-. La mia voce si perse
più
indietro, nello stretto vicolo troppo familiare che il pulmino aveva
appena superato. Sembrava lo stesso di quella sera, due settimane fa,
forse era proprio quello. Sì, quasi potevo risentire l'odore
di muffa di cui erano cosparsi i muri sporchi, un odore sgradevole e
pungente miscelato al suo profumo. Afrodisiaco. E
la ruvidezza
della pietra greggia a contatto col suo collo morbido e liscio, con
quella pelle di pesca che chiedeva solo di essere morsa; e quelle
mani fresche che si posavano sulle mie, sul mio petto; quella bocca,
aromatica e invitante, quelle labbra profumate, morbidissime, che
m'imploravano di essere assaggiate...
-... e
la tua totale mancanza di attenzione! Non puoi andare avanti
così!-,
continuava a blaterare Bill, imperterrito. Sospirai, dolorosamente
catapultato nella realtà ancora una volta: ad ogni nuova
fantasticheria diventava sempre più difficile riemergere.
Annuii
distrattamente fingendo di assecondare la predica del mio adorato
fratellino, e permisi alla mia mente di volteggiare in
libertà
fuori dal finestrino del tour bus. Con lo sguardo sfioravo auto,
palazzi, alberi, lampioni e persone, senza soffermarmi su nulla, alla
ricerca di lei, di qualcosa che le appartenesse,
per poter
sentire il cuore battere più forte e lo stomaco torcersi.
Ecco,
quella ragazza aveva il suo stesso colore di capelli. Oh, quell'altra
muoveva le mani allo stesso modo. Era suo quel paio di jeans? E
quella borsa non apparteneva a
lei.
Lei. Lei.
La mia
vita era legata alla sua, ero diventato schiavo del suo sorriso, dei
suoi occhi. Cosa mi aveva fatto? Come aveva fatto?
Gli
occhi cominciarono a bruciare. Me li strofinai con una manica, e
finché, per un momento, la mente riposava, udii un nome. Il
suo. Ancora lei.
-...
da quando abbiamo conosciuto quella Milla ti
comporti in modo
strano-.
-Non è
colpa sua!-, scattai.
-Oh,
dai, lo sai meglio di me-.
“E
qui ti sbagli, Bill” pensai. “Non ho la
più pallida idea
di cosa mi stia succedendo, né perché”.
Preferii
tenere i miei dubbi per me: non ero sicuro di essere pronto per la
verità. Sospirai nuovamente e ripresi a guardare fuori dal
finestrino senza prestare attenzione al paesaggio, riflettendo su
cosa dire. Fu Bill, come sempre, a rompere il silenzio.
-Quasi
non ti riconosco più-, esordì con voce trista. -
Sei
così lontano...-, mormorò incrociando le braccia
sul
tavolino.
Digrignai
i denti, ringraziando che Georg e Gustav fossero andati a riposare al
piano superiore: forse non mi avrebbero sentito staccare a morsi la
testa di mio fratello.
-Bill-
cominciai, cauto, dopo aver contato fino a dieci. -Innanzitutto, ti
prego di evitare di fare il melodrammatico, non c'è alcuna
telecamera qui e sono le nove e mezza del mattino, perciò
risparmiami-. Bill mugugnò qualcosa e
s'imbronciò, però
stette in silenzio.
-In
secondo luogo, non mi pare di essere l'unico strano o diventato
irriconoscibile di punto in bianco, qua dentro. Devo forse ricordati
i tuoi numerosi voltafaccia nei confronti del tuo fratellino adorato,
due settimane fa? Io non li ho di certo dimenticati. E che dire del
tuo comportamento da Mamma Chioccia con quella... quella...-.
Come
avrei potuto mai dare un nome alla perfezione?
-Mamma
Chioccia? Ma che stai dicendo? Il latte della colazione ti ha
annacquato il cervello? A quanto pare non te ne sei accorto, ma con
Milla io stavo solo ricoprendo il mio ruolo! Mi sono sforzato-,
calcò molto sull'ultima parola -di fare la parte
del
buono, del comprensivo, per salvaguardare l'immagine del gruppo!-,
esclamò Bill tutto d'un fiato.
Mentiva,
lo sentivo. A lui era venuto spontaneo aprire le ali per accogliervi
la piccola e indifesa ragazzina e proteggerla da Tom, il lupo brutto
e cattivo. Altro che “grande sforzo”.
-Quale
ruolo? Quale immagine? Di che stai parlando?-.
-Tom,
il nostro è un gruppo, giusto? I giornali e le televisioni
parlano di noi, vogliono sapere il più possibile, e ci hanno
inquadrato in un certo modo, cosicché tutti, ormai, ci
conoscono solamente per come ci hanno presentati! Per continuare ad
essere sulla cresta dell'onda senza creare scandali non dobbiamo in
alcun modo modificare questa nostra facciata. Non lo capisci?
L'immagine è tutto. Così come tu sei passato per
il
rapper continuamente affamato di sesso, io devo continuare a
mostrarmi come...-.
-...
una checca isterica, petulante e boriosa, con irritanti manie da
primadonna?-, provocai sostenendomi la testa con i gomiti sul tavolo.
-No,
come il puro e casto verginello, dolce e sensibile, che vive solo per
la musica, il benessere del gruppo e l'eyeliner della
“Maybelline
New York”-, mi corresse pacatamente Bill assestandomi un
calcio da
sotto il tavolo.
-Non
sai quanto mi piacerebbe mostrare il tuo vero volto-, borbottai a
denti stretti mentre mi massaggiavo lo stinco dolorante.
-Il
desiderio è reciproco, ma in entrambi i casi per nulla
conveniente, a meno che la tua massima aspirazione per il futuro non
sia quella di andare a vivere sotto un ponte-, replicò
pungente.
-L'immagine...-,
biascicai con una smorfia di disprezzo.
-È
l'arma più preziosa che abbiamo-, mi rimproverò
il
moro.
-Tornando
a te-, continuò. - Hai un assoluto bisogno di distrarti. Al
concerto di ieri sera ho rimediato il numero di un paio di ragazze:
che ne dici se io e te ci prendiamo due stanze, una ragazza in ogni
stanza... hai presente, no?-, e sorrise maliziosamente. Ecco il Bill
che conoscevo, finalmente, altro che quel suo falso e smielato alter
ego che non riuscivo a sopportare. Anche dal punto di vista
scientifico, non potevamo essere così diversi: i geni sono
gli
stessi, e il buon sangue non mente.
-Non
saprei, non è che ne abbia molta voglia...-, risposi vagando
con lo sguardo per tutto il lussuoso abitacolo del pulmino. Quando
tornai a fissare Bill, già pronto ad insistere fino allo
sfinimento, ebbi un fremito che mi paralizzò. Per un
momento,
solo un momento, avevo avuto la fortissima sensazione che gli occhi
di Bill si fossero arrotondati e tinti di una sfumatura calda e
ambrata.
Brividi
freddi, in tutto il corpo. Mio Dio, anche le visioni adesso. Stavo
impazzendo! Non era possibile che la mia vita fosse controllata da
un'insignificante ragazzina, non lo tolleravo! Avevo davvero bisogno
di distrarmi, un bisogno disperato... di dimenticarla.
Sospirai,
poi la mia bocca si piegò in un ghigno.
-Sai
che ti dico? Prenota le suite per stasera alle otto. Vedrai, ci
divertiremo-.
*
Bene, bene. La vita per Milla
sta tornando normale... o forse no? Non vi svelo nulla, e, anzi, passo
subito ai ringraziamenti perchè fra poco ho il saggio di
recitazione (pauuuuraaa!) e devo sbrigarmi. Un grazie a tutti coloro
che hanno letto, messo la ff nei preferiti e ai recensitori:
> angeli neri: Mi
spiace davvero di non aver potuto aggiornare prima, ma per colpa della scuola era
già tanto se riuscivo ad accendere il pc! Hai saltato e
incrociato le dita per niente, sorry! ^^" Riguardo "A Fantastic
Life"... ehm. Mi sai che dovrai pazientare ancora un bel po'
perchè sono bloccata e ho in mente una nuova storia...
Continua a seguire la nostra Milla! Un bacio ^^
> CAMiL92:
Fragolina mia! Lo so che tu sei sempre il mio confettino adorato, e che
neanche tutti i ringraziamenti del mondo basterebbero per
dirti quanto io sia contenta di aver scritto questa ff. Altrimenti non
ti avrei conosciuta *-* Ti adoro, pasticcina! <3
> billa 483:
Nuooo, hai addirittura pianto? ç___ç Mi
dispiace... xD Su, su, vedrai che Bill non abbandonerà Milla
(al contrario di quanto potrebbe sembrare in questo capitolo) e nemmeno
Tom! Ionontihoddettonulla! ^^ A prestissimo!
> Sognatrice:
Tom è un vero coglioncello e... no, il suo numero non ce
l'ha! ^^ Troveranno altri modi per incontrarsi, però, non
temere! xD Bacioni!
> _ToMSiMo_:
Credo che "presto" non sia l'aggettivo più adatto per i miei
tempi di scrittura, anche se, ripeto, è colpa della scuola
u.u (al rogoooo!) . Nei prossimi capitoli Tom ne combinerà
delle belle! ^^ Continua a seguirmi! <3
> JulyTHFreiheit92:
Al tuo urlo disperato sono rimasta un po' così
°___° però apprezzo tantissimo che
qualcuno sia così attirato dalla mia storia ^^ Il lieto
fine... chissà se ci sarà! =P Posso
però assicurarti che Bill&Co. si riincontreranno con
la cara vecchia Milla! A presto! ^^
> pandina_kaulitz:
Ammetto che Tom non si sta comportando tanto bene, però
quest'ultimo capitolo dovrebbe averti fatto cambiare idea (almeno un
po'!) su quel povero ragazzo! ^^ Il giudizio finale spetta solo a te!
Besos!
> tokiohotellina483:
Ti aspettavi qualcosa di strano per questo capitolo: spero di non aver
deluso le tue aspettative! Ho cercato di rendere evidente il "lato
pscuro" del carattere dei gemellini che la tv e i giornali non ci
mostrano (come me l'immagino io, almeno), quindi... Fammi sapere se era
abbastanza strano! Kussen!
> Arina:
E anche il capitolo 17 è arrivato, hai visto? xD Non
è che ci siano stati grandi avvenimenti, ma qualcuno di
piccolo e strano sì! xDD Nei prossimi ne vedrai delle belle!
Bacioni! <3
Mi scuso di essere
così frettolosa nelle risposte ma l'ansia cresce e il tempo
a me rimasto è agli sgoccioli! Arrivederci al capitolo 18,
VI ADORO TUTTE!
Ah, colgo l'occasione per
segnalarvi una ff a me piuttosto cara, "L.o.c.k.e.d.": se volete e
potete, dateci un'occhiata (basta andare nel mio account e cercarla).
Grazie! ^^
|
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Capitolo 18 *** *CAPITOLO 18* ***
*18*
Il
sole splendeva, gli uccellini cinguettavano, non tirava un filo di
vento.
Le
urla squarciavano il cielo.
-Axel!
Axel! Axel!-.
Il
rumore era così forte che solo dopo molti tentativi e
diversi
strattoni il ragazzo si voltò verso di me.
-Cosa
c'è?-, urlò in risposta per sovrastare il
fragoroso brusio. Mi
aggrappai al suo braccio, traballante.
-Mi
chiedevo... È davvero questo
ciò che intendi tu per “qualcosa di più
emozionante”?-, gli strillai all'orecchio.
Il suo
sguardo cobalto si fece perplesso, e per un momento la limpidezza
sbalordita dei suoi occhi mi fece dubitare di quanto avevo appena
detto; ma poi si distolse da me per guardarsi intorno ed io riuscii a
schiarirmi la mente.
-Perché,
una gita al luna park non lo è?- domandò,
imbarazzato, mentre
tornava a fissarmi.
Prima
che potessi urlargli in risposta, un gruppo estremamente compatto di
ragazzini e genitori bercianti mi urtò, costringendomi ad
appoggiarmi alla gamba ferita per rimanere in piedi. Una fitta di
dolore mi trapassò la caviglia, che cedette sotto il mio
peso.
-Ahi!-,
gemetti.
Chiusi
gli occhi preparandomi al brusco contatto col cemento, che
però,
inspiegabilmente, non avvenne. Prima che le mie mani, con tutto il
resto della carrozzeria al seguito, potessero toccare terra, furono
frenate da un altro paio di braccia, e da un petto, e da delle
spalle.
Ancora
una volta, Axel mi aveva salvata da frattura certa. Sospirai di
sollievo recuperando l'equilibrio.
Bisognava
ammettere che quel ragazzo aveva un certo sesto senso: riusciva
sempre ad intuire quando stavo per farmi male e, cosa fondamentale,
mi salvava ogni volta. Era il mio Clark Kent personale, insomma.
-Sei
tutta intera? Perso dei pezzi?-, mi chiese una volta che mi ebbe
trascinata in uno spiazzo relativamente più vuoto e quindi
sicuro.
Scossi
piano il piede e tutta la zavorra correlata.
-La
gamba di legno c'è ancora, e sembra pure intatta-.
Rise.
-Meno
male! Ormai non ti dico più di stare attenta a dove metti i
piedi
perché ho capito che è come se parlassi al muro-,
scherzò. Feci
l'imbronciata.
-Non è
colpa mia se un branco di rinoceronti decide di passare proprio dove
sono io, povera gazzella infortunata; di posto nella savana ce
n'è!-,
esclamai sbracciandomi.
Axel
rise di nuovo, più forte e più a lungo.
-Mi
chiedo dove le andrai mai a pescare queste metafore sugli animali!-,
esclamò una volta calmatosi scompigliandomi i capelli. -Hai
subito
qualche trauma da piccola? Non so, ti è morta una tartaruga,
un
pesce rosso?...-.
Quasi
non lo sentii.
Il mio
pensiero stava sfrecciando alla velocità della luce, fra
tempo e
spazio, a due settimane prima. Era incredibile come potessi percepire
ancora i profumi, i suoni, perfino i sapori della notte, il freddo
delle stelle, e il calore di un bacio; non mi era difficile rievocare
tutta la scena, parola per parola, talmente in rilievo nella mia
mente da sorprendersi che non pensassi solo ad essa.
“-Hai
visto? James Bond in confronto a me è un pivellino... oppure
tu hai
i riflessi più lenti di una tartaruga con l'artrosi!-.
-Modesta,
eh? E poi perché fai sempre paragoni con gli animali?-.
-Mah,
non lo so. Guardando te mi viene spontaneo.-.
-Stai
forse insinuando che assomiglio a un animale?-.
-Nooo,
affatto! Tu sei un animale. Una scimmia col berretto, per la
precisione-.˶
Sentii
ancora il sangue salirmi alle guance ripensando a quanto stupida e
infantile ero stata. Per me era stata come una specie di autodifesa,
solo adesso me ne accorgevo: se non mi fossi chiusa a guscio, non
sarei riuscita a sopravvivere alle sue offensive.
Però...
come mai i suoi occhi mi bruciavano dentro ancora adesso?
Perché non
riuscivo a scrollarmi di dosso il fantasma delle sue mani lungo il
mio corpo?
Sospirai.
-Ohi,
ci sei?-, esclamò a un tratto Axel passandomi un braccio
davanti
agli occhi distanti e distogliendomi troppo presto dalle mie
fantasticaggini.
Sobbalzai,
trovando il suo viso incantevole troppo vicino al mio.
-Scusami-
balbettai frettolosamente. -Mi era tornato in mente... ho-ho
ricordato...-. Mi morsi il labbro, incapace di evocare il suo nome
che, come una piccola scheggia di vetro, mi si conficcava nel cuore.
Altri
interrogativi si affacciarono alla mia mente sovraccarica: mi aveva
già dimenticato? Aveva incontrato qualche altra ragazza?
Cosa stava
facendo? Come stava? Gli mancavo? Rinunciai a trovare una risposta.
Axel
sbuffò e si passò una mano fra i capelli.
-Ho
capito, ho capito. Ancora non sei riuscita a levartelo dalla testa,
vero?-.
-Io
non ho mica detto che stavo pensando a Tom-, bofonchiai. Ero
allibita: come riusciva ad interpretare così facilmente ogni
mio
gesto, ogni mio pensiero? Sembrava quasi riuscisse a leggermi dentro.
O forse ero io ad essere troppo sempliciona e banale
Si
girò ad osservare il tiepido cammino del sole lungo l'arco
del
cielo, mormorando qualcosa che intesi come: -Non mi servono le parole
per capirti-.
Arrossii.
-Là
c'è una panchina, vuoi che ci andiamo a sedere?-,
domandò Axel
usando un tono molto più leggero.
-Sì-.
Attorno
a noi, lo sciamare della gente era rilassante per un certo verso. Gli
strilli dei ragazzini sulle giostre e il vociare della folla erano
solo un fastidioso rumore di sottofondo alla nostra conversazione
imbarazzata (da parte mia) ed infastidita (da parte sua).
-Non
capisco proprio che possa avere di speciale un idiota così,
per
piacerti-, sbuffava Axel.
-Non è
un idiota. E non mi piace!-, arrossivo io.
-Andiamo,
si vede lontano un miglio: sei distratta, diventi rossa senza motivo,
ti animi non appena lo offendo, e lo difendi-, enunciò il
ragazzo
contando sulle dita. Fissavo le, o meglio, la mia
scarpa da
ginnastica nera e il piede deformato dal gesso, ma sentivo ugualmente
i suoi occhi trapanarmi la testa. Non era vero, Tom non mi piaceva
assolutamente; era solo un egoista, donnaiolo e cretino, non lo
difendevo, anzi, lo odiavo per tutto quello che mi aveva fatto.
Allora perché mi sembrava di mentire persino a me stessa?
-Ti
sbagli-, scossi la testa.
-Milla-.
-Ti
sbagli-, ripetei con più decisione.
-No,
Milla...-.
-Cosa
c'è?-. Alzai la testa.
Axel
stava indicando in alto. Seguii il suo dito con gli occhi non potendo
non soffermarmi sulla forma affusolata ed elegante della sua mano
prima di mandare ad infrangere il mio sguardo su una giostra.
-La
ruota panoramica?-, chiesi.
Annuì.
-Ti va
di fare un giro?-.
Esitai.
Okay.
Quando un ragazzo chiede ad una ragazza di fare un giro sulla ruota
panoramica ha, nella maggior parte dei casi, fini romantici: l'aria
più pulita, il cielo più vicino, nessuna via di
fuga, spazio vitale
quasi assente. Condizioni ottimali. Il problema ovviamente non si
presenta se il suddetto ragazzo è solo e unicamente un amico.
Ecco
perché ero così preoccupata.
In
fondo era solo uno stupido giro su una giostra innocente, sarebbe
finito presto e senza intoppi, quindi non avevo nulla di cui avere
paura...
Intrecciai
la mia mano alla sua, tesa.
-Va
bene-, sorrisi.
*
Una
cielo stellato, una sigaretta e un po' di tempo per pensare sono
delle benedizioni dopo una bella scopata.
A
petto nudo, fuori, sulla terrazza della camera d'albergo, fumavo
beato ascoltando i rombi lontani della auto; la notte era calma e
pulita, nemmeno troppo fredda per essere agli inizi di Novembre, o
forse era il mio corpo bollente che scaldava l'aria attorno a me.
Nessun
suono proveniva dalla portafinestra aperta: la ragazza dormiva ancora
profondamente. E perché non avrebbe dovuto in fondo? Si era
stancata
parecchio. Sorrisi. Mi appoggiai al davanzale rabbrividendo alle
carezze di un venticello leggero alzatosi all'improvviso e lasciai
cadere giù la sigaretta ormai consumata.
Per
una volta Bill aveva avuto una buona idea, pensai, osservando il
piccolo puntino di fuoco venir inghiottito dall'oscurità
poco sotto.
Non
era stato per niente difficile convincere le ragazze, miracolosamente
ancora in città, a raggiungerci all'albergo; quasi non c'era
stato
gusto a farci seguirci docilmente ognuno nelle rispettive stanze. Non
aveva avuto alcun sapore la breve conversazione che avevo avuto con
la bionda prima di saltarle letteralmente addosso. Forse mi ero
stupito un po' alle sue deboli proteste: era venuta al nostro
concerto e non sapeva delle mie “abitudini” alla
fine
dell'esibizione? In realtà non me ne fregava un cazzo.
Come
prevedibile, dopo poco, anche lei si era abbandonata all'istinto e
alla passione, e per qualche minuto ci eravamo illusi entrambi di
essere diventati una cosa sola, fusa, indivisibile, legata per sempre
da lacci di seta. Per qualche minuto avevo dimenticato tutto, chi
ero, dov'ero, perché lo facevo; l'unica cosa che mi
importava era
continuare a muovermi, ansimare, sudare, e rincorrere quella corsa
contro i pensieri e il tempo...
Ma
poi, all'improvviso, tutto era finito. Esausti, ci separammo,
cademmo, ci spezzammo fin troppo facilmente, fin troppo naturalmente,
e così mi ritrovai a pensare che quanto avevo creduto fino a
poco
prima non era che una fottuta illusione.
E di
colpo, tutti i pensieri erano tornati ad affollarmi la mente. Il
sollievo, la pace, non erano durati che pochi minuti. Dovevo
immaginarlo, eppure... quasi speravo di non ricordare più il
colore
dei suoi occhi, l'ondeggiare dei suoi capelli, il suo piccolo mento,
il suo sorriso, la sua bocca. Quasi speravo, pregavo,
sì,
proprio io che non sono credente, imploravo Dio di farmi voltare
pagina, e di far svanire il suo profumo dalle mie
mani. Che
idiota. Che idiota. Idiotaidiotaidiota.
Sospirai,
scrollando la testa. Cominciavo ad avere freddo, là fuori.
Feci per
tornare dentro ma mi bloccai. Davvero volevo trovare un'altra, al suo
posto, nel mio letto? Arretrai e mi portai una mano al petto,
sorpreso: faceva male. Perché faceva male? Era lei che
cercava di
farsi più spazio nel mio cuore? E il mio cuore sarebbe stato
capace
di contenerla?
Rientrai
giusto il tempo di prendermi la felpa gigante gettata malamente a
terra ai piedi del letto; inevitabilmente, il mio sguardo si
posò
sulla ragazza addormentata. La osservai con la testa reclinata da un
lato.
Era
carina. No, era più che carina... era bella. I corti capelli
biondi
le ricadevano scompostamente sugli occhi chiusi, e la pelle candida
delle braccia e della schiena quasi si confondeva con il lenzuolo che
la avvolgeva. Emanava un che di etereo, angelico, come fosse stata
una creatura ultraterrena. Non mi sarei stupito se ad un certo punto
le fossero spuntate due ali piumate dalle scapole.
Scossi
la testa, infilai la felpa e tornai alla terrazza.
Cominciava
ad albeggiare. Mi accesi un'altra sigaretta, feci per gettare il
pacchetto sul tavolino di plastica, ci ripensai e me lo misi in
tasca.
Portai
la sigaretta alla bocca. Inspirai, espirai. Il fumo grigio e dannoso
distorse i colori che il sole si divertiva a dipingere su e
giù
lungo l'orizzonte: nero, blu, azzurro, rosa. Oro. Come i suoi occhi.
Mi
passai una mano sul viso, stanco.
Milla.
Dove
sarai adesso?, mi chiesi, distrutto. Come starai? Sarai guarita?
Sarai tornata alla vita di sempre? Avrai raccontato di noi alle tue
amiche?... Con chi sarai ora?
Il
viso di Axel mi esplose nella mente, nitido e beffardo come non mai.
Scrollai la testa per scacciarlo. Non poteva essere con lui adesso,
non poteva... non poteva?
Pensandoci,
Axel era molto più affidabile di me, più maturo,
più protettivo,
più dolce, più gentile... non ci sarebbe stato
nulla di strano se
Milla avesse deciso di mettersi con lui.
Un'altra
fitta al petto. Stavolta ero quasi certo che fossero i sentimenti che
facevano a pugni con la ragione.
Porco
cane. Ero proprio un caso disperato.
Gettai
via la seconda sigaretta della giornata e mi frugai in tasca alla
ricerca della terza. Pensandoci, Bill non aveva avuto proprio una
grande idea.
Attesi
finché il cielo non fu colorato tutto di un azzurro
uniforme, poi
tornai dentro, lasciai dei soldi e un biglietto sul comodino accanto
alla ragazza ancora addormentata, mi calcai il cappuccio in testa e
uscii, fuori, dove l'odore della notte appena trascorsa si disperdeva
e svaniva. Respirai a pieni polmoni l'aria frizzante che faceva
pizzicare il naso, poi affondai le mani in tasca e mi avviai lungo la
via, senza una meta.
Avrei
ringraziato più tardi Bill: in fondo, anche se il suo
intento non
aveva prodotto alcun risultato, la sua premura mi inteneriva, e la
ragazza non era stata poi tanto male. Magari l'avrei richiamata, un
giorno.
Svoltai
in una viuzza seminascosta, ma mi fermai di colpo, stupito: nemmeno
mi ricordavo come si chiamasse.
*
La
ruota girava, girava, girava. E io stavo per sentirmi male.
Perché
non mi era venuto in mente prima di salire che
aveva il
terrore delle altezze?
Strinsi
forte il bordo del sedile di plastica finché le nocche non
mi
diventarono bianche. Dovevo resistere. Tanto fra poco il giro sarebbe
finito... no?
Strizzai
gli occhi e pensai ardentemente di trovarmi a terra, al sicuro:
funzionò. Mi rilassai un poco e allentai la presa al sedile
con gran
sollievo delle mie dita addormentate. Ma quando sarebbe finito quel
maledetto giro?!
-Tutto
bene?-, mormorò improvvisamente una voce a pochi centimetri
dal mio
naso. Sussultai e aprii gli occhi. Axel mi fissava intensamente con
uno sguardo preoccupato. Nonostante la nausea che mi attanagliava lo
stomaco riuscii a notare anche uno scintillio strano nei suoi occhi.
Che significava?
Deglutii
e mi concentrai su un punto a caso della pericolante cabina
arrugginita. Lassù non si sentiva alcun suono che non fosse
il
cigolio degli ingranaggi e il soffiare del vento. Almeno, gli urli
dei ragazzini sulle altre giostre non potevano terrorizzarmi ancora
di più.
-Certo,
certo-, risposi. -Solo... devo ricordarmi di non salire mai
più su
uno di questi cosi-, gli sorrisi nervosamente.
-Hai
paura?-, mi chiese dolcemente il ragazzo facendosi ancora
più
vicino. Mio malgrado, annuii.
Axel
mi prese le mani ghiacciate e abbassò la testa a fissarsi i
piedi.
-Scusami...
lo so che un parco divertimenti non è il massimo per
qualcuno con
una gamba ingessata, ma la ruota panoramica mi sembrava un buon posto
per... ecco...-.
Impallidii.
Oh, no. Oh, no. Come eravamo arrivati a questo punto? Un secondo
prima parlavamo della mia paura delle altezze e adesso... oh, no,
tutto ma non questo!
Istintivamente,
cercai di ritrarre le mani ma la presa del ragazzo, tornato a
fissarmi dritto negli occhi, si fece più forte, quasi ferrea.
-Milla-,
esalò con la voce vibrante dall'emozione.
Oh,
no. Oh, no. Oh, no.
-Axel,
ti prego...-, soffiai con il respiro rotto.
Perché
non capiva come mi sentivo a disagio, in quel momento?
Perché non
potevamo rimanere amici? Perché doveva distruggere
così il nostro
rapporto?
Sentivo
le lacrime premere con forza contro gli angoli degli occhi ma le
ricacciai rabbiosamente indietro, ignorando, peraltro, la pelle d'oca
che mi pizzicava le braccia e la schiena.
Scossi
debolmente la testa, cercando di fargli capire con lo sguardo quello
che si agitava nel mio cuore. Inutilmente.
Tutto
si svolse come al rallentatore. Lo stesso scintillio di prima
balenò
negli occhi del ragazzo un attimo prima che mi attirasse
prepotentemente a sé e il suo viso mi si avvicinasse sempre
di più,
sempre di più...
Non
tentai nemmeno di respingerlo quando le sue labbra morbide si
posarono sulle mie. Non feci alcuna resistenza quando si
alzò e mi
fece alzare per stringermi fortissimo, mozzandomi il respiro. Non
trattenni più nemmeno le lacrime, libere ormai di scorrermi
sul viso
e di bagnare le nostre labbra congiunte. Ma ad Axel sembrava non
importare. Perciò chiusi gli occhi, reprimendo i singhiozzi,
e
attesi che quel maledetto giro sulla ruota panoramica finisse.
*
Chiedo
venia!
Lo so che
sono in ritardo mostruoso, ma la scuola mi sta davvero prosciugando
=___= è già una conquista se riesco a ricordarmi
come mi chiamo... -_______- Ma quando arriva l'estate?
ç______ç Uffa.
Comunque.
Scusatemi
ancora *si inchina* mi auguro che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto
{a me non
mi piace proprio tanto, comunque sta a voi giudicare ^^}!
Procedo coi ringraziamenti (pochini stavolta... come mai?
ç____ç):
> _ToMSiMo_:
E ora, purtroppo, la scuola è ricominciata =__= Prometto
però che posterò prima, ormai sono lanciata e ho
già mooolte idee per i prossimi capitoli! ^^ Anch'io spero
che Milla posso essere felice, un giorno... Alla prossima! :*
> CAMiL92:
Fragolina del mio cuoreeee! Ovvio, tutte le Camille sono
indimenticabili, specie tuuuuuH, il cuore del mio cuore! *___* Vai
tranquilla che mi fa già un piacere immenso sapere che ti
piacciono le schifezze che scrivo, non ti preoccupare di essere
ripetitiva ^^ E' da una vita che non ci sentiamo, accidenti, mi
manchiiii ç____ç maledetta la scuola
ç____ç Ti adoroH, CapaMusa del mio (L)! <3
A prestissimo :*. P.s. Buuuu, Axeeeel XDXD
> Sognatrice:
Si rincontreranno, si rincontreranno, vedrai... *ghgh* Bill
è un genio, amo quel ragazzo! *____* Al prossimo capitolo!
^^ Ah, ti ho mai detto che adoro il tuo nickname? *__*
> tokiohotellina483:
Oh, felice di aver completamente afferrato il concetto di "strano"!
Ogni tanto qualcosa la faccio giusta... xD Felicissima anche che il
capitolo ti sia piaciuto, spero che questa non sia da meno; se no me lo
farai sapere ^^ *si prepara al lancio dei pomodori* Alla prossima ^^
> Arina:
TesoVooooo! XD Sei una recensitrice ufficiale, ormai >v<
Mi scuso per tutto il tempo che lascio passare ma davvero, trovare
delle buone idee diventa sempre più faticoso *deterge il
sudore dalla fronte* Ma ce la farò! >___<
Allora, il gatto di Milla è un genio! E qua non si
discute u_u; Tom finalmente l'ha capita *ola*; Bill deve fare
sempre il rompi*eheeeheem* se non non sarebbe Bill. E anche qua non si
discute u_u xD. Per il capitolo corto mi scuso *inchino* e ritiro fuori
il motivo di prima (neuroni bruciati). Spero che almeno questo sia
stato di tuo gradimento ç____ç Accetto
il "Fantasticosa con la F maiuscola" anche se non me lo merito ma la
mia autostima è ai minimi termini quindi un po' di
complimenti non fanno mai male XD Alla prossima! ^^ P.s. Per caso...
non è che hai msn? ^^"
Bene. Dopo tutta la fatica che ho fatto per tirare fuori questo
capitolo mi aspetto almeno il doppio dei commenti; mi basta che mi
diciate che faccio schifo ç_ç
Grazie! ^^ Alla prossima, gente! <3
|
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Capitolo 19 *** *CAPITOLO 19* ***
*19*
-
Andiamo? - mormorò una voce.
Aprii
gli occhi. Axel mi stava fissando; non una traccia di un sorriso, un
luccichio scherzoso negli occhi vuoti.
Era
serio. Rassegnatamente serio.
Sospirai
e abbassai il vis0,o percorso da scie di lacrime quasi secche che mi
ustionavano il viso. Un'altra, forse non l'ultima, mi rotolò
giù
per la guancia e io la leccai via. Era amara.
-
Andiamo -, confermai, afona.
Il
giro era finito.
Quando
scesi da quella dannata ruota panoramica mi sentii stranamente
leggera, come se ciò che era successo là sopra,
dentro l'anonimo
vagoncino rosso, non fosse mai sceso con me, diventando unicamente il
ricordo di un sogno. Stavo per sentirmi sollevata e quasi serena
quando Axel apparve al mio fianco, aiutandomi meccanicamente a
fendere la folla per farmi largo.
Rabbrividii
quando mi prese la mano e mi divincolai aumentando il ritmo del
passo. Mi sentii un mostro ma non potevo comportarmi diversamente o
gli avei fornito solo altre inutili illusioni.
Nella
confusione stordente che permeava il luna park mi stupii di poter
percepire il sospiro triste del ragazzo. Probabilmente
perché il suo
viso era in linea col mio. O, più probabilmente,
perché lo era il
suo cuore...
Il
tragitto fino all'auto di Axel fu relativamente silenzioso e
imbarazzante: io mi sentivo sfinita come se avessi corso i mille
metri, eppure cercavo lo stesso di iniziare un discorso per far
tornare tutto come prima almeno all'apparenza; Axel, invece, sembrava
completamente perso dietro i propri pensieri, e una volta raggiunto
il veicolo per poco non partì lasciandomi a terra.
Il
viaggio fu lungo e pesante, l'aria intrisa di un irrespirabile senso
di colpa che mi soffocava. Mi girava la testa, affollata da pensieri
troppo ingarbugliati perché riuscissi a districarli uno alla
volta e
analizzarli per bene. Frammenti di conversazioni, brandelli
d'immagini mi passavano davanti agli occhi in un alone indistinto
facendomi sentire come in un frullatore gigante.
Come
diapositive, me lo vedevo proiettati contro le palpebre chiuse: io e
Axel, bambini, sotto la pioggia primaverile, a fare un pupazzo di
neve a Natale, a schizzarci d'acqua salata durante le vacanze estive,
a raccogliere le foglie ingiallite tornando da scuola. Sempre
insieme, sempre felici. Sempre noi.
Aprii
gli occhi e sbirciai il profilo indurito del ragazzo alla guida,
proprio accanto a me eppure così lontano. Che ci era
successo?,
pensai con il cuore gonfio di tristezza. Quando ci eravamo smarriti?
L'apparizione
in fondo alla strada di casa mia fu una sorsata di refrigerante acqua
fresca. Ancora un minuto e mi sarei messa ad urlare. La vista
dell'espressione così inumanamente distaccata di Axel mi
feriva come
se fossi stata io ad essere rifiutata, e non viceversa.
Prima
di scendere asciugai le lacrime ormai secche dalle mie guance, mi
guardai nello specchietto nell'inutile tentativo di modellarmi sul
viso un'espressione che non fosse troppo disperata e lisciai in
scatti nervosi, automatici, le pieghe dei miei jeans.
Non si
poteva dire che stessi bene, anzi, ma nel remoto caso in cui i miei
fossero a casa dovevo prepararmi a recitare la parte della
“figlia
felice et spensierata appena di ritorno da una
gita strepitosa
al luna park col suo amichetto”. Almeno una parte del mio
alibi era
vera.
Perciò,
mi stampai in faccia il mio più convincente sorriso
plastificato e
con riluttanza mi voltai verso la macchina.
-
Vieni? -, chiesi con un filo di voce. Provai a schiarirmela, con il
solo risultato di aumentare il nodo che mi ostruiva la gola e mi
spingeva le lacrime agli occhi. Con uno sforzo enorme lo mandai
giù,
e potei sentirlo raggomitolarsi in fondo alla trachea, pronto a
risalire. Cercai di non pensarci.
Axel
mi fissò con sguardo torvo qualche secondo prima di
distoglierlo e
puntarlo all'orizzonte, tamburellando nervosamente con i pollici sul
volante.
- Non
so se sia il caso -, rispose infine in un mugugno.
Deglutii,
il sorriso che cominciava a perdere di consistenza.
-Insisto!-,
esclamai con finta esuberanza aprendogli la portiera e tirandolo per
un braccio, senza però scatenargli alcuna reazione.
-
Milla...
M'impietrii.
Lasciai andare il suo braccio che andò a posarsi mollemente
sulla
sua gamba fasciata di jeans e indietreggiai.
-
Davvero... non è il caso -,
ripeté. E stavolta capii quello
che realmente intendeva dire.
-
D'accordo... -, biascicai abbassando il capo. Il nodo alla gola era
tornato e stavolta mi era impossibile mandarlo giù. - Ci
vediamo
presto, eh? -, salutai dirigendomi verso casa, rigida. Rimasi
sorpresa del tono stridulo che mi uscì. Nuovamente, mi
schiarii la
voce.
Il
ragazzo sembrò osservare con interesse, per qualche istante,
una
piccola macchia nera accanto alla sua scarpa da ginnastica, sul
marciapiede; poi, quasi riprendendosi da una riflessione
particolarmente intensa alzò gli occhi foschi su di me.
Con un
sussulto notai che erano dello stesso colore del cielo: grigi,
spenti, bui.
- Va
bene - disse soltanto prima di voltarsi a chiudere la portiera e
partire in direzione opposta rispetto quella da cui eravamo arrivati.
Non un ultimo sguardo né un movimento che tradissero il
desiderio di
vedermi ancora. Non un rapido lampo degli occhi verso di me, un
sorriso tirato, che per quanto potesse essere finto e costretto mi
avrebbe risollevato almeno un po'.
No,
niente di tutto questo. Solo una mortale indifferenza che continuava
a struggermi l'anima.
Dopo
pochi secondi la sua utilitaria blu era sparita dalla mia visuale, ma
io non riuscivo a muovermi, paralizzata in piedi accanto alla strada,
a cercare ancora con lo sguardo un altro tipo di blu diverso da
quello palesemente finto della carrozzeria, meno lucido, più
vivo,
che non sapevo se avrei mai più rivisto. A quel pensiero un
colpo al
cuore, tagliente e gelido come una coltellata mi costrinse a piegarmi
per non essere sopraffatta dal dolore. Tutto diventò sfocato
e
umido.
Finalmente,
in uno sporadico sprazzo di lucidità mi resi conto che i
miei
sarebbero potuti tornare da un momento all'altro. Il sole era quasi
tramontato. Da quanto ero lì? Minuti, ore?
Scossi
la testa, spazzai via altre lacrime che il vento stava asciugando per
me e con la schiena, il cuore e la gamba sana a pezzi entrai in casa.
“Mi
chiuderò nella mia stanza, non mi importa se verranno a
cercarmi,
voglio stare sola. Poi chiamerò Axel tutta la notte se
necessario,
se non vorrà rispondermi insisterò
finché... o forse è meglio
lasciarlo solo almeno per oggi?”, pensai tristemente
riponendo con
un tintinnio le chiavi al loro posto, sul comodino accanto alla
porta. “No, devo parlargli. In fondo non è davvero
colpa mia,
cioè, è vero, io non volevo ferirlo ma
è successo, deve farsene
una ragione e perdonarmi... ma cosa c'è da perdonare, poi?
È
diventata una colpa adesso non ricambiare i sentimenti del tuo
migliore amico? Non che mi risulti. La gamba mi fa male.
Dovrà
perdonarmi per forza. Lo chiamo. Devo sedermi. Ed è meglio
che
aspetti un po', non credo sia ancora arrivato a casa...”.
Stavo
per dirigermi in camera mia, un po' saltellando un po' aggrappandomi
al muro, quando qualcosa mi fece immobilizzare in mezzo al corridoio,
come un cervo abbagliato dai fanali di un'auto.
Lentamente,
mi voltai verso la cucina. Ero sicura di aver sentito un rumore.
Con
attenzione, misurando ogni rumore, feci dietrofront e scivolai
agilmente (per quanto la gamba ingessata me lo permettesse) lungo il
muro.
C'era
la luce accesa in cucina. Possibile che avessi dimenticato io di
spegnerla, quella mattina? Ci pensai su velocemente, mangiandomi
l'unghia del pollice per il nervoso.
No,
ero sicura di aver premuto l'interruttore subito dopo aver
scaraventato la tazza dei cereali nel lavandino, ne ero sicura. Chi
poteva averla accesa? I miei? Non avevo visto la loro auto. Axel? Era
andato via da tempo. Chi era stato?
Un
ladro?
Al
solo pensiero un brivido freddo mi corse giù per la schiena.
Che
possibilità avevo contro un uomo adulto quasi sicuramente
senza
scrupoli, io, con la mia gamba di legno e una forza fisica pari a
quella di uno scoiattolo in pensione?
Mi
maledissi per aver fatto il mio solito chiasso entrando in casa
perché di sicuro a quell'ora l'intruso aveva saputo della
mia
presenza e si era nascosto, come ogni buon film del terrore prevede.
“A
me nemmeno piacciono gli horror!” piagnucolai fra me e me
muovendomi con circospezione verso il triangolo di luce disegnato a
terra dalla lampadina penzolante del tavolo. In quella circostanza
perfino le oscillazioni più che ordinarie della luce erano
sinistre,
spaventose, e la zona d'ombra di cui ad ogni movimento disegnava i
contorni pareva nascondere chissà quali orrori.
Deglutii
a vuoto e mi asciugai il sudore freddo che mi imperlava la fronte.
Che
dovevo fare? Irrompere dentro urlando a più non posso? Forse
l'avrei
spaventato, magari avrei addirittura allertato i vicini, ma se, come
era probabile, non avesse avuto paura di me? Che mi avrebbe fatto?
E
allora che dovevo fare? Scappare? Da casa mia? E
andare dove?
Dovevo
chiamare la polizia? Avevo con me il cellulare? Mi tastai le tasche e
gemetti sottovoce. Ovviamente no.
Che
fare?
Che
fare?
Prima
che riuscissi a decidermi, involontariamente, appoggiai il peso sulla
gamba ferita che, per la seconda volta quel giorno, cedette.
Caddi
a terra molto più velocemente di quanto mi aspettassi, tanto
che non
ebbi nemmeno il tempo di urlare dal dolore.
E
mentre un'ombra scura, richiamata dal rumore, si stagliava contro la
luce tremolante della lampadina, abbagliandomi, non potei non pensare
che stavolta non c'era stato nessuno a sorreggermi e a
tranquillizzarmi coi suoi grandi, occhi azzurri.
*
-Non
mi aspettare, non so quando torno, probabilmente tardi se non
domani-, esclamai, talmente in fretta da mangiarmi metà
della frase.
Schiacciai per bene anche l'ultima t-shirt stropicciandola a regola
d'arte e mi sedetti pesantemente sopra alla valigia per chiuderla.
Dovetti ripetere per la bellezza di quattro volte la seguente
operazione: aprire la valigia, spostare qualcosa di già
messo bene
e, di conseguenza, sistemarlo male, chiuderla, sedermici sopra,
imprecare e riaprirla, ma alla fine ogni cosa era dentro e io ero
pronto.
Mio
fratello, con una tazza di caffè in mano e uno sguardo
ancora troppo
assonnato per essere solo vagamente lucido, guardava il mio frenetico
affannarmi come se stesse assistendo a una sitcom. Non sembrava
preoccupato, forse perché della mia frettolosa esclamazione
aveva
capito solo l'ultima parola.
-Domani?
Che abbiamo domani?-, biascicò pensosamente appoggiandosi
allo
stipite della mia camera d'albergo.
Scossi
la testa e sospirai. In fondo era un bene che mio fratello fosse
ancora in stato comatoso, almeno non avrebbe cercato di fermarmi. Non
subito.
Perlustrai
la stanza con lo sguardo alla ricerca di qualcosa che mi fosse
sfuggito, e infatti due secondi esatti dopo mi ricordai dello
spazzolino da denti, al sicuro e ben sistemato in un bicchiere in
bagno.
Mormorai
qualche bestemmia fra i denti e mi precipitai a recuperarlo,
stringendolo forte nella mano e scaraventandolo nella valigia il
più
bruscamente che potei, come se volessi incolparlo di non essere
spuntato fuori prima. Il borsone, almeno stavolta, si chiuse subito.
Bill
bevve un altro sorso di caffè strizzando gli occhi a causa
del
calore e solo allora parve rendersi conto che c'era qualcosa di
strano, ossia che suo fratello, vestito di tutto punto alle sette e
mezza di mattina, era intento a prepararsi per chissà quale
viaggio
che i Tokio Hotel non avevano in programma. Ed erano le sette e mezza
di mattina. C'era decisamente qualcosa di strano.
-Dove
stai andando?-, chiese, lo sguardo un po' più attento.
Alzai
gli occhi al cielo. Bill si era svegliato dal suo coma giornaliero, e
nel momento peggiore per giunta! Ero già abbastanza agitato
per due,
se si fosse messo in mezzo lui con i suoi urletti da primadonna
isterica avrei potuto gettarmi dritto dalla finestra. O gettare lui.
Scossi
la testa: i pensieri omicidi me li sarei fatti venire in mente
più
tardi, ora dovevo rimanere concentrato sul mio obiettivo, ossia
andare a trovare Milla, parlare, chiarire un paio di cosette che mi
stavano facendo diventare matto e tornarmene a casa. Niente di
più
semplice. Sì, certo. Chi stavo cercando di prendere in giro?
Rastrellare
un po' in giro e scoprire le informazioni necessarie come il suo
cognome e l'indirizzo di casa era stato facile,
decidere di
muovermi subito dopo una bella passeggiata rinfresca idea era stato
facile, anche preparare la valigia, compito odioso
che di
solito delegavo a Bill, era stato facile; ma
prendere quel
dannato treno, suonare a quel maledetto campanello e ritrovarsi
davanti il suo viso... oh, quello era tutt'altro che facile.
Eppure,
come tutte le faccende più fastidiose, anche questa per
quanto
insolita andava sistemata prima o poi, e per la mia sanità
mentale
sarebbe stato meglio risolverla prima che
poi.
-Senti...-,
esordii in risposta con il tono di voce più rassicurante che
mi
riuscì di tirare fuori, ma... non riuscii più a
continuare. Mi
mancavano le parole, la voce e i pensieri. Anche la determinazione
andava scemando di momento in momento.
Merda.
Mi diedi dello stupido: lo sapevo che il trucco era non pensarci
troppo, lo sapevo, e che stavo facendo? Ci pensavo! Dannato Bill e le
sue domande...
Mi
schiaffeggiai mentalmente, diedi un paio di pugni alla valigia per
spianare qualche sporgenza e senza soffermarmi troppo su quello che
stavo facendo me la presi sotto braccio e infilai la porta.
Quasi
investii mio fratello, impegnato com'ero a non pensare a niente.
Alzai lo sguardo su di lui per borbottare una scusa affrettata e
invece mi sentii mormorare:
- Vado
da lei.
Anche
nel mio ovattato “non-pensare” riuscii ad avvertire
una leggera
sorpresa: non era da me dire una cosa del genere. A dire il vero, di
quei tempi, c'era ben poco che mi ricordasse il caro, vecchio Tom...
come se mi fossi trasformato in un'altra persona. A causa sua.
Ops!
Non dovevo pensarci, giusto?
Barcollai
in corridoio senza voltarmi indietro, sicuro che se avessi osato dare
una sbirciata a Bill lui mi avrebbe sicuramente fermato. Allora era
stata solo un'impressione l'averlo visto annuire appena quando gli
ero passato davanti?
Sorrisi.
Certo che no. Caro, comprensivo fratellino. Dopo diciotto anni mi
trovai a benedire di aver lui come gemello. Certo, non era Mister
Macho Man, si accaparrava sempre l'ultima fetta di pizza, non
lasciava spazio agli altri nelle interviste e monopolizzava il bagno
ogni santo giorno, però, mentre quasi perdevo l'equilibrio
per il
peso della valigia e quello delle mie decisioni, non potei desiderare
fratello migliore. Sapevo che sarebbe stato sempre lì,
accanto a me,
unica costante della mia vita incasinata.
Solo
ripetendomi che non sarebbe stato un comportamento da Tom e che il
mio treno sarebbe partito senza di me se non mi fossi affrettato
riuscii a trattenermi dal tornare indietro e abbracciare
quell'adorabile checca isterica tanto forte da toglierci il respiro a
vicenda. Fu molto difficile controllarmi, quella volta.
Prima
di uscire, trafelato, afferrai il primo giaccone che trovai appeso
all'attaccapanni, senza preoccuparmi di guardare se fuori era sereno
o pioveva. Poi, per la seconda volta in quella giornata interminabile
che era appena cominciata, imboccai la via del mio destino, baciato
in viso da un sole splendente più che mai.
*
Purtroppo non ho il tempo per ringraziarvi
tutti, quindi contate che l'abbia fatto (GRAZIE!) e
rimedierò la prossima volta! ^__^
Hope you liked it. Continuate a seguirmi, siamo
prossimi a una svolta decisiva! *__*
Un abbraccio a tutti! <3
|
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Capitolo 20 *** *Capitolo 20* ***
*20*
Ecco, lo sapevo. Ero spacciata.
La mia giovane, sofferta vita era già giunta alla sua conclusione? Era così che finiva tutto? In questo modo che la mia esistenza veniva cancellata?, mi domandavo.
Sarei riuscita ad accettarlo?
Una rabbia non mia mi si accese nel petto, un'ira mai provata che mi infiammò le vene, appiccando scintille di adrenalina in tutto il mio corpo. Abbandonai ogni timore e mi rannicchiai in posizione di attacco di fronte al mio aggressore ignoto, pronta a soccombere combattendo. O almeno a provarci.
-Fatti sotto se ne hai il coraggio!- strillai con l'isterismo che traboccava da ogni sillaba. Una manciata di secondi più tardi mi pentii di aver pronunciato un tale cliché, che nella mia bocca di scrittrice in erba suonava ancor di più come un'infantile battuta di un cartone animato.
Prima che il mio orgoglio di artista mi spingesse ad apostrofare in modo più consono lo sconosciuto maniaco (incredibile come anche in un caso del genere tenessi di più alla grammatica che a tutto il resto...), il maniaco sconosciuto parlò.
- Ma che stai dicendo? -, esclamò con aria di rimprovero e una voce familiare.
Sbattei le palpebre, stupita. Che?
- E che hai fatto alla gamba? Sei inciampata come tuo solito, immagino. Aah, ma che dovrò mai fare con te?! Dai, ti aiuto ad alzarti -, continuò l'ombra porgendomi la mano. Una mano dalla pelle resa ruvida e callosa da anni di lavoro manuale e prove incessanti alla batteria. Una mano che più volte avevo stretto con la mia e dalla quale ancora di più mi ero fatta carezzare e abbracciare. Probabilmente, la mano che da tre anni a questa parte mi era mancata più di tutte.
- Sei tu... -, mormorai, senza fiato, una volta in piedi. Come se il pensiero provenisse da qualcuno accanto a me e non dal mio cervello sovraccarico mi resi conto distrattamente di aver assunto un'espressione piuttosto stupida, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, ma non riuscii a far altro che deglutire e rimanere a fissare il suo viso, segnato dal tempo, meno giovane, meno bambino, più bello.
Senza lasciare la mia mano, mi guidò sotto la luce diretta della lampada in cucina, permettendomi, finalmente, di imprimermi nella mente ogni particolare dei suoi lineamenti.
Ridacchiando, mi posò un dito sotto il mento e mi chiuse la bocca.
-Sì, sono io -, sussurrò dolcemente. E anche lui si mise a contemplarmi, scivolando su e giù lungo la mia altezza (se così, sigh, potessi dire), sfiorandomi il viso e scrutandomi intensamente negli occhi, sempre senza abbandonare quell'accenno di sorriso.
Mi accigliai. I suoi erano sempre stati così grandi e chiari? E il naso, non era più lungo? Da quando aveva i denti così bianchi e dritti?
Arretrai un po' per osservarlo nel complesso. Sì, indubbiamente, era lui, ma più... ecco, non credo esista un aggettivo per definirlo.
Risposi al suo sorriso e senza pensarci gli gettai le braccia al collo, che, essendo molto più in alto dei miei standard, riuscii solo a circondare con le mani.
Lui se ne accorse e, ridendo, mi sollevò per le gambe permettendomi di allineare gli occhi con i suoi. Ridacchiammo insieme, soprano e tenore, e io gli posai un tenero bacino sulla guancia.
-Mi sei mancato -, sussurrai contro il suo zigomo pungente. Aveva un buon odore di dopobarba. Il pensiero che si radesse abitualmente mi sconvolse un po': in fondo, nei miei ricordi lui era ancora un sedicenne dalla pelle di pesca.
Superai il pensiero senza troppe difficoltà.
- Anche tu, Milla. Però, senti... -, esordì lui con aria grave.
- Che succede? -, chiesi allarmata. Oddio. Non poteva trattenersi. Doveva andarsene. Stava male. Era nei guai. Stava fuggendo dalla legge e io dovevo nasconderlo. Si era sposato e aveva figli. E chi più ne ha più ne metta.
Col fiato sospeso lo vidi mordersi il labbro inferiore, preda di chissà quale sofferenza interiore. Infine, il suo sguardo color miele tornò a tuffarsi nel mio.
-Posso metterti giù? -, disse. - Mi sta venendo un'ernia-.
Ci guardammo ad occhi sbarrati, lui un po' affaticato, e pochi secondi dopo, anche se mi persi qualche passaggio dell'intera sequenza, eravamo entrambi a terra, piegati in due dalle risate.
Strisciando, sempre senza riuscire a respirare, mi trascinai verso di lui e mi accasciai sul suo petto, sconquassato dai singulti. Lui mi abbracciò e appoggiò la testa sui miei capelli e me li baciò.
Era troppo bello per essere vero.
- Ma che ci fai qui? Credevo di rivederti fra qualche settimana! -
- Lo so, ma come potevo rimanere lontano ancora dalla mia adorata sorellina? -, sghignazzo spettinandomi a piene mani.
- E smettila, non mi incanti! – mi scansai ridendo. – Lo so che c’è qualcosa sotto. –
Il mio fratellone mi fissò per un po’ da sotto le sue lunghe ciglia.
- E va bene, piccolo detective, ti racconto tutto. Adesso però alziamoci, così posso preparare un thè. Tu vai pure a sederti –.
Mi sospinse giocosamente al mio posto a tavola e cominciò a trafficare con bollitori e bustine. – Lo zucchero è sempre al solito posto, giusto? –
- No, mamma l’ha messo nella credenza a destra, ultimo scaffale – indicai sbracciandomi e rischiando di scivolare giù dalla sedia. – Ops! -
- Ma tu che diavolo ti sei fatta alla gamba, veramente? – si accigliò lui lanciandomi un’occhiata da dietro la spalla.
- È una storia complicata – sospirai.
L’idea di rivangare quei ricordi ancora dolorosamente freschi non mi allettava, ma mio fratello aveva il diritto di sapere. E poi, lui era più grande e maturo e avrebbe sicuramente avuto qualche buon consiglio da darmi, anche a proposito di Axel.
- Quanto ti fermerai? – chiesi non appena mi ebbe appoggiato davanti due tazze fumanti di ottimo thè alla menta.
- Qualche giorno, non ho ancora definito nulla. Ho delle cose da portare a termine col lavoro, ma una piccola vacanza non farà saltare all’aria la fabbrica – rise.
- Allora è meglio se ti metti comodo perché abbiamo davanti a noi giorni di racconti interminabili – ghignai.
*
- Ma sono liane quelle che hai in testa? -.
Sospirai e mi immersi nel cappuccio della mia felpa, nascondendo qualche dread fuggitivo. Era la quinta volta nel giro di dieci minuti che sentiva quella domanda.
- Non disturbare il signore, tesoro -, sospirò mollemente la donna seduta davanti a me, poi voltò una pagina del quotidiano e vi scomparve dietro.
- Ma ha delle piante che gli spuntano dalla testa! – proseguì imperterrito il molestatore.
Ne avevo affrontati parecchi di personaggi irritanti durante la mia carriera: reporter, stalker, intervistatori idioti, groupies assatanate… ma un bimbo di cinque anni col moccio al naso con la capacità di non sbattere le palpebre per interi minuti mentre ti fissava, be’, questa era una novità.
- Ehm, bimbo… - mormorai lanciando occhiate preoccupate da dietro gli occhiali scuri. – Perché non… perché non stai con la tua mamma e giochi con lei?
Il piccolo mostro mise in mostra la dentatura irregolare, fissandomi malignamente. – Ma tu sei mooolto più divertente! Allora, sono davvero liane? Come sono spuntate? Hai mangiato i semini delle angurie? Oppure hai bevuto una formula segreta? Da quanto sono lì? Posso toccarle? Fanno male quando crescono? Ti sono mai spuntatii dei frutti? E perché non le tagli? Posso…
“Attenzione” risuonò la voce dell’altoparlante. Emisi un gemito sollevato e alzai gli occhi al finestrino per orientarmi. “Avvisiamo i gentili passeggeri che saremo al capolinea fra cinque minuti. Ripeto…”
- Grazie al cielo – sospirai iniziando a raccogliere le mie cose. Quel maledetto viaggio al mio inferno personale stava per concludersi e mi sarei lasciato alle spalle quella piccola peste che… che… Ma dov’era finita?
Non feci in tempo a guardarmi intorno che un dolore acuto alla tempia mi punse ripetutamente.
- Ahi! – squittii con le lacrime agli occhi.
- Ehi, ma non sono liane vere! – strillò la vocetta acuta del bambino dritto nel mio orecchio. Imperterrito, continuava a tirarmi un dread, come se avesse mai potuto staccarsi!
- E molla! – esclamai tirando più forte. Mi riappropriai dei miei capelli, ma il mostro rotolò giù dal sedile, finendo a gambe all’aria.
Ebbe un momento di smarrimento, poi la sua espressione si contrasse e…
Reagii con prontezza. Un secondo prima che iniziasse a piangere strillando come un’aquila, mi alzai in fretta, afferrai la valigia e corsi fuori dallo scomparto.
Non appena mi lasciai alle spalle tutte quelle grida, mi sentii già più sollevato.
“Come mi sono ridotto… dopo aver sopportato un viaggio del genere in classe economica, spero davvero che Milla sia in casa!” brontolai tra me e me, reggendomi mentre il treno rallentava.
Mi aggiustai gli occhiali sul viso e scesi velocemente, lasciandomi trasportare dal flusso di persone verso l’uscita della stazione.
Iniziavo ad avvertire una sensazione fastidiosa e adrenalinica all’altezza dello stomaco, molto simile a quella che provavo quei dieci minuti prima di salire sul palco.
Per calmarmi, pescai nelle infinite tasche dei jeans il biglietto su cui mi ero scritto l’indirizzo della ragazza.
Sì, non era nulla di che. Sarei arrivato, le avrei parlato, mi sarei reso conto di che brutta persona in realtà fosse, l’avrei mandata a quel paese e me ne sarei tornato a casa con un peso in meno, pronto a ripartire con la mia vecchia vita senza visioni né pensieri.
Attraversai il piazzale a passo baldanzoso, trascinandomi dietro il trolley, e nella luce debole dell’ultimo sole strizzai gli occhi alla ricerca di un taxi.
Uhm. Strano che non ce ne fosse nemmeno uno.
Aspettai per dei buoni minuti, guardandomi attorno, infine mi decisi a dirigermi alla biglietteria.
- Mi scusi – esordii in tono seccato. – Si può sapere perché non si trova nemmeno un taxi? Sono venti minuti che aspetto, e… -.
- Non ha letto i cartelli? – mi interruppe la donna dietro il vetro con aria visibilmente scocciata. – Ci sono avvisi ovunque, oggi è lo sciopero dei tassisti. Fino a domani può scordarsi di trovare un singolo taxi disponibile.
- Domani? Ma… ma a me serve adesso! – protestai, sconvolto.
- Crede di essere l’unico a subire il disagio? Dovevo incontrarmi col mio amante dopo il lavoro, ma senza un taxi è troppo lontano per poterlo raggiungere, quindi mi tocca rimanere a casa con mio marito a sopportare le sue tirate sul lavoro! Ha idea di cosa significa dopo un turno di dieci ore?! – sbottò lanciando fulmini dagli occhi.
Arretrai lentamente, deglutendo. – N-no… però, io… - ritentai. La donna scoprì i denti in una specie di ringhio. – N-nulla. Ehm, grazie dell’informazione e… e auguri col suo amante - .
Arretrai ancora finché non fui fuori dal suo campo visivo, poi corsi più lontano che potei.
Trovai una panchina e mi ci accasciai, sconvolto.
“Pazzi! Sono tutti pazzi qui!” pensai, tenendo un occhio alla strada, in caso qualcun altro avesse intenzione di aggredirmi con i suoi problemi da casalinga disperata.
- E adesso, come ci arrivo da Milla? – mormorai, sentendomi come un anatroccolo sperduto.
Studiai l’indirizzo. Non conoscevo la zona e con il buio che stava calando, rischiavo di perdermi dopo neanche due incroci.
Mi abbassai il cappuccio e mi sfregai la testa a palmi aperti, riflettendo.
- Ehi, tu sei quello del treno! – esclamò una vocetta irritante. Quella vocetta irritante.
Alzai gli occhi e vidi il bimbo che mi indicava, a manina con la madre.
- Serve aiuto? – domando poco convinta la donna.
I miei occhi incontrarono quelli del bambino. Il suo sorriso sporco di cioccolata aveva un che di inquietante.
Sospirai, passandomi una mano sul viso. Ero veramente caduto in basso per arrivare a quel punto.
Mi alzai in piedi e con le mani in tasca, mi schiarii la voce. Desideravo essere ovunque tranne che lì, anche stare a sentire la bigliettaia inveire contro il marito sembrava un buon passatempo. Invece il tempo a mia disposizione cominciava a scarseggiare e quella sembrava l’unica soluzione plausibile. Almeno un tentativo dovevo farlo.
- Ecco, per la verità… sì. Non è che potreste darmi un passaggio? – bofonchiai pentendomene dopo mezzo secondo.
Il bambino scoppiò a ridere fragorosamente.
- Ma certo, non c’è problema! Dove devi andare? – sorrise la madre, adesso così gentile nel suo ruolo di ‘persona per bene che aiuta il prossimo’.
Le diedi l’indirizzo, imbarazzato.
- Oh, non è troppo lontano da casa nostra! Sali pure in macchina, io arrivo subito – disse con cortesia allontanandosi a prendere le sue valigie.
La osservai incamminarsi e non appena fu abbastanza lontana sentii qualcosa tirarmi i jeans all’altezza del ginocchio.
Abbassai lo sguardo e mi trovai a fronteggiare l’espressione furbetta della piccola peste.
- Noi due ci divertiremo un sacco insieme – ghignò beffardo ricominciando a punzecchiarmi la gamba.
Alzai gli occhi al cielo, gemendo.
“Sono un completo imbecille.”
** Surpriiiiiiiise! |
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