Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime

di MusicDanceRomance
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime ***
Capitolo 2: *** Sulle sue labbra ***
Capitolo 3: *** Bacio di morte ***
Capitolo 4: *** Lento - Sotto la neve che cade ***
Capitolo 5: *** Memorie di un lento - Dove va a finire il sole ***
Capitolo 6: *** Sentimento del mare - In punta di piedi ***
Capitolo 7: *** Kreacher - Margherite ***



Capitolo 1
*** Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime ***



 
Nda:
Questa è una semplicissima raccolta di flashfic scritte in periodi diversi, le ho volute riunire qui in un’unica shot. Non sono collegate tra di loro, ma in teoria un filo logico e una continuità temporale ci possono stare tranquillamente. Le prime due sono ambientate durante il sesto anno ad Hogwarts, le ultime due durante la ricerca degli Horcrux.
La terza flashfic è tutta quanta per roxy_xyz, che mi ha assegnato il prompt da seguire, uno dei prompt scelti dal gruppo su facebook “Cercando chi dà la roba alla Rowling”, ed è la frase “Vieni, posa la testa sul mio petto e io t’acqueterò con baci e baci”. Un gran bel soggetto, molto romantico.
Il titolo proviene da una frase di Byron.
Spero che vi piaccia, consideratela una raccolta di bozze scribacchiate nei momenti più improbabili.
 
 
 
 
 
Di anelli e catene
Harry/Hermione
 
Si era sempre considerata l’anello debole della categoria femminile.
Hermione aveva contemplato con astiosa superiorità gli intrecci amorosi di Lavanda, Calì, Cho, Daphne e Astoria, che si prodigavano nel ruolo di conquistatrici di Hogwarts e sembravano ambire alla cattedra di “Seduzione istantanea tra i banchi”.
Poi aveva guardato Harry e gli aveva confessato di non sentirsi pronta per superare l’esame di Antiche Rune. Lui doveva vedersi con Ginny, ma ancora una volta si era soffermato a tranquillizzarla e a sostenere che lei non aveva motivo di preoccuparsi.
Hermione avrebbe scoperto solo due giorni più tardi che Ginny aveva atteso il fidanzato per quaranta minuti in Sala Comune, e che mentre la piccola Weasley aspettava il suo legittimo ragazzo quest’ultimo invece aveva preferito intrattenersi con lei e ascoltare per un’ora intera le sue traduzioni impeccabili. Giusto per confortarla per l’esame.
Una frase tradotta da Hermione bollava una sentenza crudele: “Dal morso della timidezza ti devi guardare, con occhi di vanità il cuore degli altri potrai interpretare”.
Che sciocca era stata. La verità le sfuggiva perché troppo evidente. E perché lei non si reputava vanitosa, non lo aveva mai capito, non era capace di decifrare l’alfabeto degli innamorati ritrosi.
Ma tutto appariva ormai evidente, compresa la sua condanna taciuta: tra le mille piccole seducenti intriganti di Hogwarts lei era senza dubbio la peggiore.
Perché nell’umiltà si accecava, non sapeva di essere l’ostacolo più grande all’amore della sua cara amica.
Sarebbe potuta essere di Harry in un battito di voci, spezzando il cuore a quella che era come una sorella per lei. Avrebbe potuto rivendicare lo scettro della donna innamorata, della principessa che strappa via alla sua dama di compagnia il cavaliere valoroso.
Hermione lo comprendeva solo adesso. Lei non era l’anello debole della categoria femminile, ma la catena che si rifiutava di agire e si appoggiava ai rozzi anelli affiliati per non crollare mai.
La catena regina che si nascondeva dietro la vanità dei suoi sottoposti.
La fanciulla che conquistava senza volerlo, senza saperlo, senza chiederlo.
 
 
Il mondo dei matti
Ron/Luna
 
Quella era tutta matta, lo si sapeva da un pezzo.
Lui ci aveva riso sopra a non finire.
Ma lui in fondo non era altro che un Weasley, no? E quanti lo denigravano e avevano spesso riso di lui?
L’avrebbe anzi dovuta capire, per non dire compiangere.
Lui stava male se rifletteva sulle considerazioni, sui bisbigli, sulle battutine affrettate dei Serpeverde che lo pedinavano per i corridoi con la speranza di umiliarlo.
Lei viveva benissimo tra le occhiate storte e le risate beffarde dell’intera Hogwarts: ci aveva ricamato il suo stile di vita.
Perché mai Ron Weasley avrebbe dovuto provare interesse per una biondina che camminava a piedi scalzi e leggeva libri al contrario definendosi assolutamente normale?
Perché mai, dopo la battaglia diretta coi Mangiamorte e la loro incursione al Ministero, lui aveva cominciato improvvisamente a distinguere nei suoi tratti e nella sua personalità gli schizzi di una guerriera?
Una valchiria che combatteva nel suo mondo, certo. Che magari quando dormiva sfidava teste di Gorgosprizzi con una spada fiammeggiante e durante le lezioni escogitava piani per scovare i nascondigli delle Vipere Dormienti, che diceva fossero i fiori più profumati del globo. E che poi avrebbe resistito alle torture di un Mangiamorte e non avrebbe esitato nello scagliare una Maledizione Senza Perdono a un avversario assetato di sangue.
Luna e il suo coraggio invisibile, Luna e la sua fantasia sfrontata, Luna e le sue contraddizioni armoniose. Stretta nella sua fortezza inaccessibile, lei andava predicando che era uno spasso sopravvivere in mezzo a mille matti. E si deliziava delle sue stesse parole quando dava a Ron del matto.
E lui per ripicca le dimostrava di essere gioiosamente meno insano di lei mentre inventava nomi di folletti e insettini sconosciuti e lei scriveva poesie sulle foglie per divertimento.
Le altre ridevano di Luna, ma Ron aveva smesso di ridere di Luna da un pezzo.
Anzi, con Luna rideva sempre di più.
Che male c’era a fingersi matti e a rintanarsi in un’illusione comune, se loro due sapevano mantenere da soli il segreto?
 
 
Nella notte dei baci
Harry/Hermione
 
 Vieni, posa la testa sul mio petto e io t’acqueterò con baci e baci.
Avrebbe richiesto troppo, lei, la sovrana della solitudine e del sacrificio personale, nel recitare la frase ad alta voce, nello scandire quelle parole che ardevano di pace e serenità e che si discostavano totalmente dal loro vero obiettivo.
Un bacio casto sulla fronte, tre abbracci. Una lacrima, mezzo sorriso.
La foresta di Dean, la morte in agguato, lo spettro di una missione che scemava contro il loro destino.
Era quasi l’ombra di un gioco. Lottavano sul filo della scacchiera ed erano giunti alla casella finale. L’ultimo anello della catena, il fulcro della partita, il mattone di vetro di un amore che stentava ad esplodere.
Hermione non aveva  cercato altro che un rifugio personale, e la sua barriera di cristallo che la proteggeva dai conflitti del mondo corrispondeva alle braccia di Harry.
C’erano unicamente loro, in quella tenda, in quella notte, in quella foresta buia che non aveva mai coperto l’indecisione di due, quattro, venti baci roventi che non chiedevano altro se non di esistere e concedere tregua ai sogni frenati di una ragazzina troppo crudele con se stessa e con le regole del reame femminile.
Hermione era accanto a lui, poteva ascoltare i suoi palpiti regolari, si sarebbe potuta dannare per vivere in quel modo, lasciandosi cullare dai battiti di quella paura nascosta. E dal suono di quel respiro sommesso.
E dalla tensione incrostata di desideri che cominciava a scatenarsi e infuriare dentro di loro.
Soli, sempre loro. In lotta col mondo, ma mai contro loro stessi.
Vieni, posa la testa sul mio petto e io t’acqueterò con baci e baci.
Era una poesia magica che amava. L’aveva tradotta appositamente, si trattava del verso di una canzone che si intonava durante la preparazione dell’Amortentia. E adesso la ripeteva fievolmente solo per lui, nelle note di un azzardo represso.
Harry le accarezzava i capelli, lei si sentiva al sicuro. Erano svaniti i problemi della guerra ed era andato dissolvendosi il ricordo tartassante dei suoi genitori che erano salvi grazie ad una menomazione dei ricordi.
Le mancavano. Ma sapeva che le sarebbero mancati di più i baci di Harry. Era l’unica cosa di cui avesse bisogno. I baci di Harry, anche se avessero potuto respirare per una notte a termine, le sarebbero potuti bastare per sempre.
Per questo Hermione era avanzata fino alle spalle del ragazzo, la testolina abbattuta e i capelli scompigliati avevano raggiunto il collo e infine le sue labbra avevano chiesto di sfiorargli la pelle.
Che la guerra andasse nel dimenticatoio, almeno per quella notte.
Quella che sarebbe stata ricordata come la notte dei baci.
 
 
Ciò in cui credi
Ron/Luna
 
Certe volte Luna sapeva diventare imperdonabile.
Imperdonabile perché rimaneva indimenticabile.
Ron vagava tra le strade di un villaggio poco abitato, fioccava una lenta danza di neve contro di lui. Pensava ad Harry ed Hermione che erano insieme e alla gelosia che lo aveva travolto spesso in passato quando li aveva visti seduti troppo vicini. Una gelosia ormai sbiadita, spenta, inconcludente.
Lui aveva abbandonato amici e Horcrux perché diceva di avere qualcuno da cui tornare. E forse sapeva che non si riferiva alla sua famiglia.
La sua attenzione era scivolata in fretta su un ciondolo che portava al collo: un cuore dentro un cerchio, che gli aveva regalato Luna al matrimonio di Bill e Fleur, dicendogli che se avesse portato il ciondolo all’orecchio vi avrebbe udito all’interno le risate dei Girrifrilli.
Cosa fossero i Girrifrilli non aveva importanza, ma si trattava pur sempre di creature alle quali Luna credeva.
E Ron credeva a Luna.
E insieme si credevano a vicenda.
Aveva teso l’orecchio per cercare disperatamente di udire un mormorio confuso provenire dal cuore del ciondolo, ma dal suo interno non si era diffuso alcun suono, neppure un'eco.
Perché i Girrifrilli non esistevano, e nella tomba della guerra il mondo fantasticato con Luna non aveva spessore, cantava muto.
E anche i giochi cantavano muti, ma lui ne poteva rammentare la piacevolezza. E sorrideva.
Imperdonabile. Per non dire indimenticabile.
Luna aveva inventato i Girrifrilli perché lui comprendesse, nei momenti di difficoltà, che pensare a lei e a ciò che creavano insieme avrebbe potuto sostenerlo.
Perché Ron non credeva ai Girrifrilli e neppure Luna ci credeva, ma sapevano entrambi ormai che bastava credere in loro due per sopravvivere.
Forse quello era il tempo delle lacrime. Eppure Luna aveva dichiarato una volta che chi si impegnava con forza in qualcosa non aveva attimi da perdere dietro ai pianti e alle lamentele. Appunto, chi aveva da fare non poteva badare anche alle proprie lacrime.
E Ron in quel momento aveva la possibilità di concentrarsi su una serie di promesse: sorrideva e realizzava di avere qualcosa di immensamente importante da recuperare.
Era consapevole di stare per ricominciare ad aver fiducia in ogni essenza, per lei.
Avrebbe ripreso la marcia e non avrebbe interrotto più nulla per sé o per gli altri.
Harry ed Hermione gli mancavano, erano i suoi migliori amici. Avrebbe trovato loro, e avrebbe poi cercato e raggiunto di nuovo Luna.
Ron Weasley aveva molte persone che confidavano nel suo ritorno.
E quando si affrontava una battaglia non ci poteva essere spazio per le lacrime.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Sulle sue labbra ***





Un giorno Dio disegnò la bocca di Jun Rail. È lì che gli venne quell'idea stramba del peccato. –  Alessandro Baricco, Castelli di rabbia 
 
 
 
Draco si era domandato spesso cosa lo avesse convinto ad accettare un lavoro spalla a spalla al Ministero proprio con la Granger, ma non si era lamentato della strana alchimia che era scattata tra di loro e che li aveva costretti in tempi brevi a deporre le armi per concedersi l’occasione più inaspettata.  
Come  le aveva confessato dopo il loro primo abbraccio d’amore, il dettaglio che gli era sempre rimasto più impresso di Hermione coincideva con la sua bocca; una bocca serrata, che nascondeva con imbarazzo i denti sporgenti, che sapeva zittire ogni oppositore e faceva fuoriuscire una voce petulante. Indefinibile.
Certo, per un Malfoy bambino la vocina stridula e le labbra di ferro della Mezzosangue si erano dovute considerare oltraggio e peccato, ma il Draco adulto non avrebbe potuto immaginare che Hermione sarebbe stata una tenera avversaria anche sotto le sue coperte, e quella bocca che per anni aveva disprezzato e che avrebbe voluto tappare con la magia ormai lo invitava a trasgressioni di cui non riusciva a fare a meno.
Un giorno Dio disegnò la bocca di Hermione Granger. È lì che gli venne quell’idea stramba del peccato, diceva lui.
Perché avrebbe potuto resistere a ogni indegnità, meno che al sapore delle tentazioni e all’urgenza dei baci strappati, e Dio si era servito dei suoi acquerelli migliori perché si facesse mordere il cuore proprio da lei.
Il pensiero che da piccolo avrebbe gioito nel saperla morta gli imponeva così un castigo di silenzio e orrore, perché lui con la guerra si era fatto uomo, si era creato da sé tra gli scempi dell’ultima battaglia e la visione del sangue, rosso, rosso indistinto per tutti, gli sarebbe bastata per l’intera esistenza.
Draco ne aveva il disgusto per quanto ne aveva visto versare, non si potevano fare distinzioni tra un coagulo di sangue nobile e uno spruzzo di povertà.
E rosse non erano le labbra di Hermione, labbra troppo screpolate per il freddo sopportato durante l’anno di latitanza con Potter. Rosso non era il colore dei Grifondoro, perché Hogwarts era fatta di arcobaleni, e il verde, il rosso, il giallo e il blu erano riuniti per formare un unico stemma di tonalità indivisibili. Rossa non era la sfumatura che il suo cuore andava assumendo in quei giorni, perché rosso era il prezzo di una morte feroce, dell’amore straziato e delle rose più perfide, rosso era il colore che esigeva alti tributi, e di sicuro rosso non era il colore che si addiceva ad un Malfoy.
Draco guardava Hermione nella penombra della sua stanza, le baciava quella bocca piena di segreti, tratteggiata per ispirare a Dio i peccati, e ribadiva il fatto che il colore delle labbra di Hermione era senza dubbio quello che si sposava meglio con le ombre di un algido Malfoy.
Trasparente come il mare, intensa come gli abissi da riverire, sapeva già che l’avrebbe amata per tutta la vita.
Lei e quella sua bocca timida e impertinente che sapeva conciliare l’amore e il peccato.
 
 
 
 
 
Eccomi di ritorno, questa volta con una piccola dramione. La flashfic si basa su una frase di Baricco che ho riportato all’inizio, ed è stata scritta unicamente (ringrazio per l’ispirazione) per il contest di Mme Bovary sul forum di Efp, che offre prompt sulle frasi di Baricco. Non ho resistito, l’idea mi è piaciuta troppo. Lascio qui il link del contest.
 
http://freeforumzone.leonardo.it/d/10828861/Le-parole-di-un-grande-Contest-ispirato-a-A-Baricco-/discussione.aspx/1
 
Non mi rimane che sperare che vi sia piaciuta! Kiss! ;-)
 
 

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Capitolo 3
*** Bacio di morte ***


-Li voglio tutti morti.
Bellatrix sospira, una danza di lamenti e una catena di flebili insulti piovono su di lei, ma lei ride e non se ne cura.
Sono rinchiusi nei sotterrai del maniero Lestrange i tre maghi babbanofili dati per dispersi nelle ultime settimane. Il compito è quello di strappare loro con ogni mezzo delle informazioni preziose per conto del Signore Oscuro, e Bellatrix farebbe di tutto per non deluderlo.
Tra le fiamme delle Maledizioni più crudeli e l’odore intenso della pelle bruciata, Bellatrix adora ridurre in fin di vita i suoi prigionieri.
Amavano tanto difendere i Babbani, blateravano su quante cose belle si potrebbero imparare da loro, e ormai sono solo mucchi di carne tritata che mugolano per la sofferenza. Non le resta che riflettere sul modo più spietato per sbarazzarsi di questa feccia insignificante.
-Li voglio tutti morti.- sussurra, con un filo di voce talmente sottile che a stento riesce a sentirsi da sé.
Dei passi misurati la distolgono dai suoi piani di morte: il suo Signore è arrivato.
Bellatrix si affretta ad accoglierlo nella Sala Grande del Maniero, si vede pronta ad esaudirlo in ogni sua richiesta.
-Mia cara Bellatrix.- Lord Voldemort si preannuncia chiamandola per nome -Ho una nuova missione per te. Ti piacerebbe passare a fare un saluto ai Paciock e al loro figlioletto?
La donna scatta a quell’ordine così ridefinito di fiducia:
-Cosa devo portare loro, mio Signore? Dolore o morte?
-Entrambi. Follia è un compromesso sufficiente, direi.
Bellatrix è sul punto di inchinarsi, ma il suo Signore le blocca la testa tra le mani.
-Non ora, mia cara. Non così in fretta. Tuo marito non c’è, vero? Informerai anche lui di questa missione, non è un servizio che puoi realizzare da sola.
-Come ritieni opportuno, ogni tuo ordine è un piacere per me.- le labbra si ammorbidiscono quasi per assaggiare quella delizia di parole fedeli.
-Molto bene.- sussurra ancora il suo padrone -E adesso accontentami in ben altre esigenze, più urgenti, mia cara.
Le passa le dita tra i capelli neri come la notte, neri come le loro anime, neri come saranno per sempre Bellatrix e Voldemort, ricoperti da una furia omicida che sa trasformarsi in passione feroce e implacabile appena il Signore Oscuro le fa capire quanto la desidera.
Nel loro miscuglio di corpi regna una strana alchimia: riescono ad esaudirsi a vicenda, amanti perfetti del male e amanti perfetti l’uno per l’altra.
È sotto i ricami delle lenzuola che lui traccia ancora sulla schiena della Mangiamorte prediletta dei disegni invisibili: un triangolo, un cerchio e una linea, la sua ossessione personale. La donna adora quelle piccole carezze e sospira sulle labbra del suo Signore.
-E adesso cosa vorresti?
Lui conosce già la risposta a quella domanda, ci gioca per istigare un bacio di morte che aspetta di trascinare via qualche nuova vittima.
Dalle segrete si percepiscono ancora i lamenti dei prigionieri torturati.
Bellatrix passa un dito tra la bocca di Voldemort, preme ancora il corpo contro il suo e bisbiglia:
-Li voglio tutti morti.

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Capitolo 4
*** Lento - Sotto la neve che cade ***


Nda: Ecco due nuove flashfic. La prima, pur non essendo una song-fic, mi è venuta in mente ascoltando la kizomba “Lento”, che quindi fa un po’ da sfondo alla storia.  
Quanto alla seconda flashfic, avviso già da ora, è un crossover totalmente folle.
 
 
 
 
Lento
 
Draco Malfoy rivolse un tacito sguardo al mare piatto e sereno, con le tinte spumose che si preparavano ad intensificare il colore sotto il sole più caldo.
Restituì  le chiavi del bungalow in cui avevano soggiornato e garantì che anche l’anno venturo l’Isola degli Smeraldi avrebbe accolto lui e sua moglie come ospiti.
Quando rimasero soli Pansy aveva già provveduto a far sparire i bagagli, si tratteneva sulla soglia del bungalow ormai sigillato come se volesse incatenare nell’eternità quelle due settimane da sogno. Toccava a loro due smaterializzarsi e darsi un rapido addio fino alla loro prossima evasione dai doveri, l’estate successiva.
Draco le si avvicinò e le strinse la mano: per un istante perfetto pensò che avrebbe potuto spendere il resto della vita insieme a lei, ma l’idea tentatrice fu debellata un attimo dopo. Lui rimaneva un Malfoy e la parola divorzio, per quanto si stesse rendendo sfacciatamente più presente nel mondo magico, non poteva ancora accostarsi ad una solida casata come la sua.
Il fragore delle onde, come da tradizione ormai, sarebbe stato l’unico dolce rumore che li avrebbe scortati fino al saluto definitivo.
Draco teneva gli occhi bassi e preparava le solite raccomandazioni nel caso si fossero incrociati in pubblico nei mesi a seguire: si sarebbero accennati un vago saluto senza insospettire Astoria o i conoscenti, nessuno.
Pansy intrecciò le dita alle sue, rassegnata all’idea che i suoi saluti erano sempre stati piuttosto frettolosi.
-Ogni volta che mi incontrerai per caso e fingeremo di ignorarci porta con te il ricordo di quest’ultimo momento.- pronunciò lui inaspettatamente, attirando a sé l’amante in un abbraccio violento.
Pansy non fece in tempo a chiedere a cosa alludesse che subito una musica lenta, sensuale, effimera ebbe il sopravvento su ogni altra voce e lei trattenne un accenno di sorriso. Quel ritmo esotico aveva fatto sempre da sfondo alle loro vacanze, ai loro giorni trascorsi nuotando  insieme nell’acqua cristallina, alle loro notti passate ad acciuffarsi e sgretolarsi d’amore al chiaro di luna.
Draco la tenne stretta a sé premendo la fronte contro la sua, così la musica lambì i baci disperati, le movenze timide, i passi imprecisi che lasciavano orme in girotondo sulla sabbia fine. Ballare il loro brano in riva al mare sarebbe stato l’ultimo ricordo che si sarebbero trascinati fino a quando non avrebbero plasmato altri momenti di felicità incondizionata nascondendosi al resto del mondo.
Era lento il calore dei raggi del sole che arrivava a pizzicare la pelle, era lento e delicato il tocco della spuma che accarezzava i loro piedi avvolti dalla frenesia del ballo, era lenta la tensione dei loro baci estremi.
Ed era lento il dolore che li avrebbe separati, lenta l’agonia di un amore costretto a sopravvivere dentro tanti inganni. Ma lenta e viva e feroce era anche la felicità che compensava ogni sofferenza e Pansy comprese che di quei brividi dettati dal suo cieco amore non si sarebbe mai potuta pentire.
Così la brezza marina li investì in un ultimo abbraccio, finché non sparirono poco alla volta e il lento continuò a cantare unicamente per una spiaggia ormai deserta.
 
 
Sotto la neve che cade    -   Daphne Greengrass/Tarabas

Daphne lo guardava con un brivido di impazienza mentre uno scorcio di sentimenti trafugati e messi alla rinfusa nel suo cuore accelerava i battiti all’impazzata.
-Ehi, mago senza nome, la smetti di fissare la neve che cade?
Il giovane le rivolse uno sguardo premuroso, Daphne dentro vi lesse oceani di mistero e una nota di rimorso.
Lo aveva rinvenuto sul ciglio di una strada, perso e confuso nella baraonda di un regno di cui non conosceva l’esistenza, e Daphne era stata la prima persona che lui avesse incontrato, d’altro canto lei aveva così trovato una scusa ragionevole per evitare il pranzo di Natale a Villa Malfoy.
-Scusa, dalle mie parti non ho mai assistito ad un simile spettacolo...- proclamò il giovane dagli occhi di ghiaccio.
Tentennava nel confidarsi e scrutava tutto come intorpidito dalle stranezze di un mondo nuovo. Ma Daphne ammetteva che era dannatamente bello, con gli occhi colore del cielo di vetro e i lunghi capelli corvini. La sua aria spaesata gli conferiva un aspetto più intrigante che mai, ma in quel suo sguardo tormentato lei percepiva distintamente una parola: espiazione.
Perché lui affermava di essere scappato del suo mondo per punirsi, consumarsi di vergogna e chiedere perdono per la sua magia crudele.
Lei gli strinse la mano timidamente e lo invitò a raccontarle la sua storia.
Disse di chiamarsi Tarabas, le parlò della sua terra, delle pietre e degli animali che parlavano, dei fiumi che cantavano, della maledizione di trasmutarsi in una bestia feroce nel momento in cui si fosse innamorato, di una madre oppressiva e di un’amica speciale che non aveva corrisposto il suo amore. E aggiunse in ultimo il desiderio di essere partito poiché cambiare era la sua unica prerogativa.
Non trascorsero molti giorni e non festeggiarono l’avvento del nuovo anno senza che Daphne gli rivelasse a sua volta le facce di un passato chiaroscuro: la studentessa più elegante e sfrontata della sua scuola di magia, la ragazza in età da marito che si era ribellata alle imposizioni dei genitori, la strega che amava indagare sui più grandi segreti della storia.
Tarabas fu catturato ancora una volta dalla danza della neve che cadeva sulla terra; Daphne si pose al suo fianco, soddisfatta per come aveva nuovamente litigato con Astoria.
-Non passerai la serata con la famiglia di tua sorella?- dichiarò Tarabas, che si era nutrito di solitudine per una vita intera.
-Sei stato solo abbastanza e io sono stata in compagnia dei Malfoy il tempo sufficiente per detestarli. Perciò se il più potente e redento mago di un altro mondo vuole farmi il piacere di danzare...
Tarabas si inchinò deliziosamente:
-Se la compagnia di un mago così pericoloso non la disturba troppo, signorina Greengrass, sarei ben lieto di offrirle il ballo della neve.
L’unica magia che Tarabas si concesse fu quella di far levitare ed esplodere intorno alla loro danza cristalli di neve. Entrambi si abbracciarono sorridendo: forse la solitudine era finita per entrambi, forse la via della redenzione per Tarabas non implicava più macchie di sofferenze.
 Furono sicuri che il nuovo anno sarebbe stato spettacolare, e che fuggendo da loro stessi entrambi avevano trovato un posto in cui restare.
 
 
 
 
 
 
 
Tarabas è un personaggio di “Fantaghirò”. Non so se possiate conoscerlo visto che si tratta di film dei primi anni Novanta, comunque sia… l’attore è troppo bello e il personaggio a dir poco intrigante. L’idea di creare questo crossover mi è venuta in mente rileggendo il quinto capitolo delle mie Magicomiche: lì Daphne perdeva la testa per Tarabas guardandolo in televisione, ma poi veniva a scoprire che si trattava solamente di un personaggio inventato e interpretato da un Babbano, pertanto finiva col farsi consolare da Blaise.
Dopo aver riletto quel capitolo ho sognato Tarabas e Daphne insieme e mi sono detta: “Perché non provare con un crossover?”. Nulla di che, consideratela una pazzia del momento a breve termine. :P
E ovviamente, auguri di buon anno a tutti! :D
 
 

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Capitolo 5
*** Memorie di un lento - Dove va a finire il sole ***


Memorie di un lento
 
 
Harry aveva sempre mantenuto rapporti civili con Draco Malfoy dopo la battaglia di Hogwarts e, nelle rare occasioni in cui si incrociavano, entrambi esprimevano con pochi gesti il rispetto reciproco che avevano ottenuto dopo anni di odio esasperante.
Ad una serata di gala a cui era stato costretto a partecipare incontrò nuovamente Malfoy con la moglie, ai quali rivolse uno sbrigativo saluto.
Per un eccesso di curiosità dovuto alla disperazione  per una festa così noiosa si mise ad osservare Draco da lontano ripensando alle sfide del passato. Non fece a meno di notare, forse per l’arguzia che aveva affinato col mestiere di Auror, forse perché tediato dalla prevedibilità della serata, come Malfoy e Pansy Parkinson, nonostante si tenessero a debita distanza l’uno dall’altra, si lanciassero sguardi intensi e si sorridessero in modo impercettibile.
Nel frattempo una musica sconosciuta ma assolutamente dolce e sensuale fece aprire le danze. Ginny gli spiegò che quel ritmo così languido ed esotico stava diventando un tormentone in tutto il mondo ma si trattava in realtà di un lento ancestrale che proveniva dall’Isola degli Smeraldi nel Pacifico.
Harry ammise che il brano non era male e persino i Purosangue si adattavano alla musica più innovativa: ballavano ipnotizzati come se stessero tornando tutti un po’ ragazzini. Fortunatamente Ginny non esigeva tanta sdolcinatezza e comprendeva l’avversione del marito per ogni tipo di danza.
Inavvertitamente Harry si volse ancora a cercare Malfoy, ma il suo antico nemico non badava alla moglie che invece danzava sorridente con Theodore Nott.
Anzi, Malfoy guardava in direzione della Parkinson, e lui e la Parkinson continuavano a sorridersi e poi a deviare frettolosamente lo sguardo.
E gli occhi della Parkinson non stavano diventando stranamente lucidi?
Harry se lo ripeteva sempre, il suo lavoro con le manie di osservare i dettagli gli stava dando alla testa, mica era stato così arguto ai tempi di Voldemort. Tuttavia gli avevano accennato al fatto che Malfoy era stato costretto a sposare Astoria Greengrass senza opportunità di ribellarsi.
Draco frattanto si accorse della minaccia delle deduzioni di Potter e lo fissò senza mostrargli rimorso o vergogna per un breve istante, come se volesse fargli capire di non avere avuto scelta. Harry annuì e riprese a parlare con il resto degli invitati, come se avesse già dimenticato tutto quel che aveva notato.
Draco tornò a sorridere a Pansy senza sentirsi più osservato e mantenne ancora un sontuoso distacco da lei mentre Astoria ballava con altri cavalieri. Quanto avrebbe voluto tirarla via dal divanetto in cui stava seduta sola e permetterle di ballare insieme a lui la loro canzone, il loro lento.
Ammise che quella sera si stava tradendo, non aveva resistito a sorridere alla sua amante, un errore da non rifare se non voleva farsi scoprire e divenire l’ennesimo scandalo della società Purosangue.
Tuttavia non fece a meno di pensare che tra i tanti che avrebbero giudicato, criticato e stroncato la sua relazione clandestina, Harry Potter invece poteva essere l’unico che gli avrebbe dimostrato un briciolo di solidarietà.
 
 
Dove va a finire il sole
 
Blaise/Hermione
 
Era un ricordo piccolo, pungente, che si infiltrava forse per dispetto nella sua mente negli orari più assurdi, il più delle volte le scivolava addosso quando era il momento di affacciarsi al mondo dei sogni.
Blaise, dove va a finire il sole?
Nonostante fossero passati dieci anni non aveva ancora ottenuto risposta al quesito.
 
Di Blaise Zabini sapeva ricordare tante cose, ma conservava silenziosamente nel cuore tutti i dettagli della loro amicizia. Era nata una reciproca simpatia fin dallo Smistamento, l’attrazione si era poi evoluta tra le fiale del corso di Pozioni e si era arricchita di risate durante le escursioni nella foresta con Hagrid. Si era intensificata quando Blaise aveva presentato lei, dinanzi a tutti, come sua compagna al Ballo del Ceppo e ancora aveva resistito quando l’Esercito di Silente si era radunato in gran segreto escludendo la Casa dei Serpeverde da ogni incontro.
Certo, era avvenuto anche il disastro, Blaise ed Hermione inevitabilmente negli ultimi due anni della guerra si erano odiati, disprezzati e probabilmente rinnegati, ma mai traditi. La loro amicizia speciale era sopravvissuta ai ricordi di una tortura lenta tra le colonne di Villa Malfoy, si era rinvigorita ai tempi della spettacolare battaglia di Hogwarts ed infine, con l’avvento della pace finale, si era definita a tutti gli effetti, prossima ad evolversi in un sentimento sconosciuto, febbricitante, paradossale.
Perché un Serpeverde che poco aveva avuto a che fare con la storia del mitico Potter e della sua geniale amica si era insinuato tanto facilmente, nonostante distanza e contrasti, nelle profondità del suo cuore? Perché era riuscito a ritagliarsi uno spazio geloso e il suo pensiero le faceva visita ogni notte stuzzicandole il sonno?
Cos’era il ricordo di un’amicizia, come si rivelava il vagheggiare un sentimento più forte?
Desideri mai espressi a voce le facevano visita ad ogni battito del buio, anche perché dopo il diploma si era scoperto raro incontrare i vecchi compagni di scuola. Ron ed Harry erano sempre presenti per lei, sarebbero stati gli amici di una vita, ma Blaise a quale genere di amico apparteneva se andava escluso dalla prima categoria?
 
Hermione si materializzò dinanzi a Villa Zabini senza annunciargli la sua visita. Era da poco passata l’alba, ma conosceva abbastanza Blaise da intuire che anche lui stava ammirando quei giochi di luce che indispettivano il cielo.
Infatti era appoggiato alla balaustra e ripercorreva a mente le tappe della sua amicizia con Hermione. Poteva sembrare bizzarro a pensarsi, ma dava per scontato che lei si sarebbe innamorata di quell’insulso Weasley che le faceva il filo goffamente da una vita. Lui invece... ne aveva corteggiate tante, di ragazze, durante il periodo del suo distacco da Hermione, i compagni gli avevano detto che ci sapeva fare con quelle di cui non gli importava assolutamente nulla. Già, solamente con le altre, non con lei.
Avvistò una figura lenta che avanzava verso di lui, i contorni erano definiti da un sole che sbocciava e i passi erano cauti e misurati. Subito saltò in giardino per andarle incontro.
Una volta erano stati mandati in punizione con Hagrid nella Foresta e avevano visto il sorgere del sole insieme. Hermione gli aveva domandato, con gli occhi cotti dal sonno: “Blaise, ma dove va a finire il sole?”
Zabini non le aveva risposto allora, ma dopo dieci anni di distanza aveva trovato la soluzione.
Le corse addosso e la strinse tra le braccia, rispondendole solo: “A casa mia.”
-Cosa?- fece Hermione impacciata perché non aveva trovato un valido motivo per giustificare il suo arrivo a quell’ora assurda.
-Una volta mi avevi chiesto dove va a finire il sole, ora ho trovato la risposta. A casa mia, Hermione.
 
 
 
 
 
 
 
NDA:
Et voilà, ogni tanto ritorno. La prima flashfic è il seguito di “Lento” che ho pubblicato nel capitolo precedente. Quanto alla Blaise/Hermione… io shippo Blaise con chiunque, volevo provare a buttare giù due righe su di loro. Esperimentuccio mal riuscito forse, il capitolo è decisamente sottotono ma ho lasciato ammuffire troppo nel pc queste due flashfic, spero vi siano piaciute ugualmente. 

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Capitolo 6
*** Sentimento del mare - In punta di piedi ***


Sentimento del mare
 
A Petunia il mare era sempre piaciuto.
Lei e sua sorella, quando non erano altro che due bambine innocenti e giocose, trascorrevano le loro vacanze estive sguazzando in acqua e rincorrendosi a riva, fingendo, e forse rimanendo segretamente convinte, di essere spiriti magici a loro volta, che con un paio di schiumate e due schiaffi d'acqua generati dai loro tuffi avrebbero potuto risolvere tutti i problemi del mondo.
L'eleganza dell'acqua le faceva sentire vive, potenti, invincibili. Due sorelle per una magia.

Ma con il passare degli anni i flutti si erano smussati di freddo dietro sentimenti  che non accettavano più giochi e familiarità infantili, ed uno strato di ghiaccio nel cuore aveva represso quei pochi ricordi lieti che Petunia conservava di sua sorella.
Dopo la morte di lei, Petunia al mare non ci era mai più tornata.
Odiava il mare. Lo odiava con tutta se stessa.
Perché il mare rimaneva l’unica cosa a ricordarle che un tempo lei aveva davvero voluto bene a Lily.
 



In punta di piedi
Gellert/Ariana


Quando l’aveva incontrata per la prima volta non era altro che una bambina malata. Malata e pericolosa.
Perché Ariana a dodici anni già si era sentita troppe mani addosso, che le avevano graffiato l’innocenza, l’equilibrio, la ragione e che invano, nel girotondo dei ricordi soppressi, aveva tentato di rimuovere dall’anima.


Cammina, Ariana, su un tappeto di margherite. Le calpesta senza ritegno, perché se le altre ragazzine della sua età si divertono a fare il conto del “m’ama non m’ama” lei al contrario preferisce strappare petali e steli senza evocare alcun sentimento. In fondo non sono altro che fiori, non potrebbero sopravvivere alle spaccature del mondo, alla violenza di una stretta, ad un cuore lacerato che non sa cosa farsene di boccioli e canzoni.
Gellert è a due passi da lei e la osserva.
Ariana adesso ha sedici anni ed è tutti i sogni che una ragazzina può ancora custodire, grazie al potere nero di cui Gellert l’ha riempita.
Lui non agisce per pietà se le somministra ogni trenta giorni una pozione che gronda magia oscura per restituirle la ragione. Lo fa esclusivamente per tenere Albus allacciato a sé. Da anni Silente gliene è grato.
Ma quella piccola bambina pericolosa è cresciuta. Tra gli scatti della sua consapevolezza lo ha travolto nelle spire di una passione accecata d’innocenza.
Ariana avanza verso di lui in punta di piedi, le labbra sottili di fragola scandiscono parole di desiderio:
-Mi hai permesso di sbiadire i ricordi d’orrore del mio passato.
-Un effetto positivo del mio intruglio.- replica Gellert mantenendosi sul vago.
-Non è merito della tua pozione.
-Non c’è posto per me nei tuoi ricordi.- ribadisce, glaciale.
-Sei il mio primo pensiero appena recupero memoria e sanità. Sei la prima spina che non fa male ma con la quale mi pungerei continuamente.
-Nessuno ama le spine, Ariana.
-Le spine danno le rose. Ti prego, Gellert... non andartene così.
-No. Quella era l’ultima volta.
-Non permetterò che sia l’ultima.
Li separa un istante, muto, lacerante, che segna la fuga.
Gellert si smaterializza, scappa come fa sempre, lascia che sia il suo silenzio ad affrontare Ariana.
Forse deve raggiungere Albus, pensa Ariana. Forse deve recitare anche con lui.
Forse Gellert è troppo indeciso tra lei e Albus, e forse in verità Gellert detesta l’idea dell’amore, perché esso sarebbe un intralcio ai suoi obiettivi.
Il sentimento corrode l’affetto di Ariana e toglie a Gellert la freddezza che gli è necessaria per realizzare il suo disegno più importante.
Un disegno troppo grande, che non può trascrivere sulla pelle di Ariana con le dita, quando sotto le coperte si stringe a lei.


Sono passati due mesi.
Gellert se ne è andato per sempre, dice, le ha lasciato scorte di pozione oscura per altri due anni. Non vuole vederla, non vuole esporla a pericoli, ha un piano machiavellico da portare a termine e l’amore è un impiccio che non può inebriare un uomo come lui.
Non vuole che Ariana si perda in sé stessa per sempre, la vuole vera, viva, sana e felice.
Ma non è ciò che desidera Ariana, che non sa rinunciare al crimine maggiore di Grindelwald: il suo abbandono.
I ricordi dei suoi sedici anni si preparano a sbiancarsi nuovamente. Ariana sa che i trenta giorni sono scaduti, sa che dimenticherà ancora una volta il sapore della pelle di Gellert e i suoi baci infiammati di desiderio.
Si sfiora le labbra e comincia a danzare, in punta di piedi, perché quando la confusione tornerà a dominare nella sua mente sente che potrà controllare i deliri con immagini fasulle e ombre di desideri.
Gellert è con suo fratello? Cosa stanno facendo mentre lei sta per perdere la capacità di riflettere e dimenticherà di essere una ragazza innamorata?
Albus, lui ti tradirà. Lui ama me e fugge per questo.
Ariana sogna un mondo in cui Gellert accetta di rinunciare alla lusinga del potere, in cui le permette di recuperare la ragione per tutta la vita, in cui i suoi ricordi non affossano nello strazio del passato, in cui tutte le notti può fare l’amore con lui senza il terrore di vederlo sparire.
Ariana immagina un futuro che le hanno strappato e sogna un cuore che possa saziarsi d’amore.
E pensa che forse, se adesso il marcio della sua malattia si intromette e le fa dimenticare la sua coscienza, può sentirsi l’anima più leggera.
Perdonami, Albus.
Perché Gellert amerà sempre lei.










 

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Capitolo 7
*** Kreacher - Margherite ***


Kreacher




Kreacher è un bravo Elfo Domestico.
Kreacher sa che un Elfo fedele come lui deve obbedire con devozione ad ogni ordine impartito dal padrone.
Kreacher sta tentando con ogni mezzo e con ogni incantesimo di distruggere il medaglione potente che gli è stato affidato. Il prezzo di quell’oggetto maledetto è stato troppo alto.
Kreacher avrebbe dato la vita per il padroncino Regulus.
La padrona chiama Kreacher. Kreacher la raggiunge e le domanda di cosa abbia bisogno.
Ma la sua signora è in lacrime. Ha il cuore saturo di pianto, gli occhi tristi sembrano non ricordare più le risate dei giorni felici. Chiede se dagli informatori di Nocturn Alley siano giunte novità.
Ma Kreacher sa cosa deve rispondere: nessuno ha visto in giro il padroncino Regulus, nessuno ha saputo dare notizie di lui.
Ti ordino di mentire, se necessario. Nessuno deve sapere quello che sto facendo in questa caverna. Ti ordino di non dire nulla a nessuno, Kreacher.”
Padroncino Regulus...”
Ti ordino di salvarti! Ti ordino di farmi bere fino all’ultima goccia. Ti ordino di lasciarmi qui.”
La nobilissima signora Black è in lacrime, piange per i suoi figli. Kreacher le si avvicina e prova, con riverenza, a suggerire ancora una volta la bugia meno straziante: forse il padroncino Regulus è scappato altrove e sta bene. Forse è felice, forse ama una donna e sta danzando con lei.
Kreacher ricorda con affetto il padroncino Regulus. Lo aveva accudito quando era stato un neonato, il padroncino piangeva parecchio, ma Kreacher era bravo, schioccava le dita, dava il via a magie colorate e il padroncino nella culla sorrideva a Kreacher. Una volta erano andati in gita al lago, il padroncino Regulus aveva sei anni e aveva fatto uno scherzo a Kreacher, lo aveva buttato in acqua e poi si era messo a nuotare con lui; il padroncino aveva detto a Kreacher di divertirsi, ma non appena aveva capito che Kreacher stava male lo aveva portato a riva e si era preoccupato per lui.
“Kreacher” lo chiama con un debole lamento la nobile Walburga Black “Perché mio figlio se ne è andato? Che fine ha fatto? Io ho paura che… sia morto!”
“Il padroncino Regulus... non vorrebbe vedere la sua amata madre soffrire tanto. Kreacher pensa che il padroncino stia bene. Ne è sicuro.”
Walburga Black si soffia il naso. Si mette a camminare, andrà nella stanza di suo figlio come ogni giorno, a ricordarlo, a piangere della sua scomparsa.
“Kreacher... sai, sei un bravo Elfo Domestico.”
Kreacher fa un profondo inchino. Ama la nobile e purissima famiglia Black, per loro avrebbe dato la vita. Ma non ha potuto. Non era la sua, la vita preziosa da sacrificare.
Acqua, acqua, Kreacher, acqua.”
Padroncino Regulus, non si avvicini a quell’acqua!”
Kreacher sa che dovrà continuare a mentire alla padrona mentre la verità più atroce resterà seppellita dentro di lui.
Deve obbedire agli ordini del padroncino Regulus, lo ha visto crescere e lo ha visto morire.
Mentire, mentire.
Kreacher è un bravo Elfo Domestico.








 
Margherite




Dudley fissa con occhi lucidi la lapide. Stringe a sé il piccolo Vernon Junior, di undici anni, e comincia a raccontargli aneddoti simpatici sul nonno.
Il bambino ascolta con tenero interesse, poi sente la mano di nonna Petunia accarezzargli una guancia.
In quel momento sopraggiunge Harry Potter. Dudley sbotta e prega la madre e la moglie di badare al piccolo, che risolverà immediatamente la questione come avrebbe fatto quel grand’uomo di suo padre, pace all’anima sua.
Avanza, senza mostrare segni di tentennamenti:
“Mio figlio non sarà un anormale!”
“Dudley...” Harry parla in modo affabile e paziente “Ce lo abbiamo nel sangue. Dovete lasciarlo andare a Hogwarts.”
Dudley stringe i pugni e borbotta:
“Se mio padre non fosse morto un anno fa lo avrebbe ucciso quella dannata lettera di domenica scorsa!”
Al ricordo di zio Vernon Harry sorride tristemente: buffo come la morte porti via i ricordi peggiori e trattenga invece quelli che si aggrappano alle cose belle. Zio Vernon lo aveva trattato da estraneo e da servo, ma Harry ricorda che c’era stato per lui quando a cinque anni aveva preso una brutta influenza. Un barlume di umanità può cancellare mareggiate di momenti ostili.
Harry volge lo sguardo verso la lapide dello zio, dispersa come mille altre in quel silenzioso cimitero. Poi si sofferma sul piccolo Dursley, gracile, minuto, così diverso da Dudley che fin dall’infanzia era stato di una stazza considerevole.
“Si troverà bene ad Hogwarts. Ci sono anche i miei figli che lo terranno d’occhio, te lo prometto.”
Dudley mugugna un lamento, non intende cedere, soprattutto non di fronte alla tomba di suo padre. Poi però sposta lo sguardo in direzione della lapide e vede che suo figlio sta facendo fiorire dal nulla delle piccole margherite attorno alla tomba del nonno. Sa che le margherite hanno un significato particolare per Vernon Junior, lui e il suo amato nonno ne avevano piantate alcune insieme prima che la malattia di Vernon degenerasse.
Forse nonno Vernon avrebbe apprezzato quel piccolo, seppur anormale, omaggio del suo adorato nipotino.
Dudley scuote il capo, mastica qualche brontolio e alla fine soggiunge:
“Se mio figlio non si troverà bene in quel vostro strambo castello me lo riporterò subito a casa!”
Harry sorride e muove leggermente il capo. Avvicina una mano a quella del cugino, che viene subito stretta:
“Non siamo mai stati molto uniti. Spero che per i nostri figli sarà diverso.”
Dudley rotea gli occhi:
“Beh, una volta che sei qui potresti anche fare una preghiera per mio padre.”
Harry sa che dietro quella frase è nascosto tutto lo sforzo di Dudley di accettare che suo figlio sia un vero mago. E riconosce i tentativi che Dudley sta facendo per provare a ricucire i rapporti.
“Certo, andiamo.”
Insieme i due si avvicinano alle donne e al bambino che non smette di far crescere margheritine attorno alla tomba del suo adorato nonno.
E pensano che i difetti del passato e gli errori e i rancori possono essere finalmente messi da parte per garantire un nuovo inizio.

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