Brothers&Sisters

di Clockwise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Sultans Of Swing ***
Capitolo 3: *** You Can't Always Get What You Want ***
Capitolo 4: *** I Want To Break Free (in the Sound Of Silence) ***
Capitolo 5: *** Iris ***
Capitolo 6: *** All Around The World ***
Capitolo 7: *** Star Sail ***
Capitolo 8: *** Cast No Shadow ***
Capitolo 9: *** Let it Bleed, Jealous Guy ***
Capitolo 10: *** Life (or Lilac Wine) on Mars? ***
Capitolo 11: *** With a Little Help From My Friends ***
Capitolo 12: *** Under Pressure ***
Capitolo 13: *** Panic because of The Unforgettable Fire ***
Capitolo 14: *** Sonnet for my Brothers&Sisters ***



Capitolo 1
*** Intro ***





 
Brothers&Sisters


Il fatto curioso era che Chris aveva scritto quella canzone mesi e mesi prima che accadesse tutto quello, in un momento di ispirazione improvvisa, quasi per caso. Una bella canzone, senza dubbio, che adesso sembrava forse la conclusione - o l'inizio? - di quel loro momento. E Jonny scuoteva la testa, meravigliandosi. 






Qualche mese prima
 
L’accordò vibrò nell’aria. Chris guardò l’amico, dubbioso.
«No, non va» disse Jonny, confermando il pensiero dell’altro. «Prova con un Do diesis.»
«Ma così cambia tutto!»
«Appunto. Forse è meglio.»
Chris si chinò verso il tavolino e prese il foglio su cui aveva scarabocchiato il testo e gli accordi. Ne scarabocchiò altri, iniziando con quel Do diesis. Jonny, guardando da sopra la sua spalla, suonò gli accordi man mano che Chris li scriveva. Annuirono entrambi, sorridendo. Funzionava. Jonny acquistò più confidenza e prese a suonare con più energia, e Chris cantò. La sua voce malinconica si sposava perfettamente con quei quattro accordi strimpellati che creavano un’atmosfera delicata, ma che minacciava di esplodere e trasformarsi in qualcosa di molto più potente da un momento all’altro.
 
Brothers and sisters unite
 
«Forza, tutti uniti. Chris, metti un braccio sulle spalle di Julia, così. Al, inginocchiati, sei troppo alto, ragazzo mio. Stringetevi, non c’entrate. Ecco, perfetto, sorridete!» Il click della macchina fotografica, una giornata assolata con i suoi fratelli e sua sorella.
 
It's the time of your lives 
It's the time of your lives

 
«Wooh!» Un pugno nell’aria, un grido euforico, un grande sorriso sul suo volto. Una risata contagiosa, i suoi migliori amici intorno a lui. E l’indescrivibile sensazione di sentirsi giovane, e di starsi divertendo un mondo.
 
Breakdown, breakdown
 
«Non mi interessa, non possiamo mica lasciarla così. È nostra amica, e io le voglio bene.»
«Chris, lei…»
«Le voglio bene, e non ho altro modo per dimostrarglielo.»
Una mano tesa, un sorriso rassicurante, capelli rossi.
 
Gotta spread love around
Gotta spread it around.

 
«Invita tutti!» Una risata «Più siamo meglio è! Sedici anni li compi solo una volta, Chris!»
 
Quando arrivò al termine di quella prima strofa, si voltò verso Jonny.
«E io che credevo di aver studiato pianoforte, possibile che azzecchi sempre tu la tonalità giusta?» disse, fingendosi esasperato. L’altro si strinse nelle spalle ridendo.
«Un’altra volta.»
Avevano appena ricominciato che la porta si aprì e Will e Guy entrarono nell’appartamento dei due.
«Un nuova canzone! E dove credevate di andare, senza il mio fondamentale appoggio?» disse Will, avvicinandosi e prendendo il foglio con la canzone dal tavolo.
«Voi dove credete di andare, chi vi ha dato il permesso di venire, non è mica casa vostra, non si entra così in case altrui, voi…»
«Se tu lasci le chiavi attaccate al portone, Martin, non è certo colpa nostra se poi entriamo» lo interruppe pacato Guy, esaminando la canzone da sopra la spalla di Will. Jonny sorrise all’espressione indispettita di Chris.
«Ma cosa diavolo c’è scritto?» domandò perplesso Guy. «Non si capisce nemmeno il titolo.»
«Brothers&Sisters» disse Jonny.
«Secondo me l’Università gli ha dato al cervello e si è messo a scrivere canzoni in greco antico» disse Will accennando con la testa a Chris, che guardava altrove mentre Jonny rideva.
«O questo, o il troppo greco gli ha fatto scordare i caratteri latini» ridacchiò Guy, allontanandosi e tirando fuori il suo basso dalla custodia.
Chris strappò il foglio dalle mani di Will.
«O questo o voi siete due fottuti bastardi.»
«Su non scaldarti, dolce Chrissy, e facci sentire questa nuova hit» lo prese in giro Will, sedendosi su una sedia accanto a loro.
«Va bene, ma poi sarai costretto ad ammettere che sono un fottuto genio, perché con questa qui, arriveremo in alto» proclamò Chris, spiegando il foglio davanti a sé.
«Tecnicamente, sono io che ho trovato la tonalità giusta» ricordò Jonny. Will rise.
«E quindi Genio Martin ha fallito anche questa volta. No, se appallottoli il foglio, come farete a leggere, poi? Su, mettilo qui e canta, da bravo.»
Chris lo guardò con espressione assassina.
«Si può sapere che diavolo ti prende oggi? Sei irritante come pochi.»
«Sono solo di buon umore» rispose con semplicità il ragazzo, lasciandosi andare sulla sedia.
«Speriamo che ti passi presto allora. Sei meglio quando borbotti e mugugni come un babbuino.»
Continuarono a battibeccare mentre Jonny rideva e rivedeva alcuni accordi e Guy alzava gli occhi al cielo.
«Piantatela, sembrate due idioti.»
«Oh, scusaci signor Faccia-di-marmo Berryman» lo schernì Chris, sogghignando. Guy lo guardò allibito.
«Ti ci metti pure tu, non bastava Mister simpatia, qui?» disse, indicando Will con il pollice. Lui fece per ribattere, ma Jonny lo precedette.
«Io penso che stiamo solo perdendo tempo e che ormai le vostre battute non fanno più neanche ridere. Quindi se non avete nient’altro di nuovo da dire, direi che possiamo suonare.» Gli altri ammutolirono.
«Wow, Jonny. Le tue parole mi hanno colpito nel profondo. Da oggi, il tuo nome d’arte sarà Jonny il Saggio» disse solenne Chris, posando una mano sulla testa dell’amico, che lo fulminò con lo sguardo, mentre gli altri due ridevano. Chris si affrettò ad esibire un sorriso da santarellino.
«Ah, ok, iniziamo, iniziamo» sospirò Will, stiracchiandosi. Guy si sistemò il basso in grembo e Jonny attaccò a suonare. Chris lo seguì con la voce, e ben presto anche Guy e il suo basso si unirono. Will annuì soddisfatto: la canzone iniziava a prendere forma. Si alzò piano, prese la chitarra acustica di Chris che li guardava speranzosa da un angolo e si risedette. Si aggiunse agli altri tre, suonando quegli accordi scarabocchiati e sperando che fossero quelli giusti: le zampe di gallina di Chris si prestavano spesso a molteplici interpretazioni. Jonny intese e lasciò a lui quegli accordi, concentrandosi invece su una melodia per sostenere la voce di Chris e dare vitalità al brano. Il giro di basso di Guy era presente e importante, anche se il musicista aveva lo sguardo altrove e la testa altrettanto vagante. In realtà, ascoltava. Ascoltava la melodia energica di Jonny, gli accordi vibranti di Will, la voce malinconica di Chris, il suo basso forte, l’eco delle risate e delle battute che nascondevano l’amicizia che li legava e pensava che si sentiva bene. Davvero bene.

Brothers and sisters feel fine
It's the time of your lives
It's the time of your lives
There's no sound, no sound
Like this feeling you found
Like this feeling you found.






E adesso erano lì, circondati da microfoni e cavi e apparecchiatura dall'aria professionale e la loro canzone faceva vibrare gli altoparlanti. E non riusciva a capacitarsene. Jonny aveva paura di quello che sarebbe successo, della strana situazione di vetro in cui si trovavano tutti loro, ma sapeva che non vedeva l'ora di sentir vibrare di nuovo sotto le sue dita quella canzone.

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Capitolo 2
*** Sultans Of Swing ***


Sultans Of Swing
 
Tim era in ritardo. Era un fatto strano, per lui, di solito preciso e puntuale. Eppure quel giorno – giorno del concerto di uno dei suoi migliori amici, fra l’altro – era in terribile ritardo. Per cosa, poi, non lo sapeva nemmeno lui. Forse se avesse messo giù il suo libro qualche minuto prima… Guardò per l’ennesima volta l’orologio, tamburellando freneticamente il piede sul pavimento del treno. Dieci minuti di ritardo, e Delilah lo aspettava, sola, di sera, al freddo… La signora accanto a lui lo guardava con un penetrante sguardo di disapprovazione. Tim non se ne curò: era troppo impegnato a imprecare silenziosamente contro quella stupida metropolitana e il suo stupido ritardo. Scese a Camden Town, e corse fino a casa di Delilah, che per fortuna non era lontana. La ragazza lo aspettava in strada, tranquilla.
«Sei… Sei qui da molto?» ansimò Tim, piegandosi con le mani sulle ginocchia. Lei rise.
«Ma insomma, Timothy Rice-Oaxley, ti sembra questa l’ora di presentarti? Per di più tutto sudato a ansimante, dopo aver appena corso, ma dico io, che modi…» lo accolse l’amica, con un divertito tono di rimprovero che a Tim ricordò tanto sua nonna e la vecchietta in metropolitana.
«Ho… preso la metro.»
«Quindi non hai nemmeno fatto l’atto cavalleresco di correre fin qui? Sei proprio un miserabile» lo schernì di nuovo lei.
«Piantala con questi paroloni e andiamo» la esortò il ragazzo, deglutendo. Si incamminarono verso il Falcon, il locale dove Chris e i ragazzi si sarebbero esibiti.
«Gli altri?»
«Julia e Phil sono con i ragazzi, Joanna e Mark dovrebbero già essere arrivati con Guy.»
«Povero Guy» commentò Tim, sincero. Non doveva essere una bella situazione, per Guy, considerando che Joanna era la sua – iperprotettiva - ragazza e Mark suo fratello, e che Joanna e Mark non si sopportavano.
«Joanna sarebbe potuta venire con noi» mormorò il ragazzo.
«Certo, così avrebbe fatto tardi anche lei» sottolineò Delilah, sorridendo sotto i baffi.
«Spiritosa.»
La ragazza rise. Era una risata aperta e cristallina, contagiosa. Tim la guardò affascinato.
«Piuttosto, Chris mi ha detto che hanno scritto una nuova canzone, ma non me l’ha fatta sentire. Tu sai niente?» chiese la ragazza. Tim scosse la testa.
«So che hanno qualcosa di nuovo, ma non so altro. Sarà un’altra smanceria delle sue» buttò lì Tim.
«Chris non scrive smancerie» lo difese Delilah, con uno strano retrogusto amaro in bocca.
«Tu non hai mai sentito Shiver» la smentì il ragazzo «è la più dolce, malinconica e triste canzone del mondo. Al confronto, Jeff Buckley era un Beatle mancato.»
«Addirittura? Dev’essere proprio un concentrato di malinconia.» Rise piano, guardando altrove, poi si fece improvvisamente pensierosa.
«Non me l’ha mai fatta sentire. Mi chiedo poi per chi l’abbia scritta. Non sapevo avesse, ecco, una cotta» ammise, le sopracciglia corrugate. Lei e Chris si conoscevano da poco più di un anno, andavano nella stessa classe, ma erano diventati grandi amici, si confidavano di tutto. Il pensiero che a Chris piacesse una ragazza e che non gliel’avesse detto la infastidiva, la faceva sentire male. E non capiva perché.
Tim notò il turbamento improvviso della ragazza, ma non disse nulla. Arrivarono al Falcon pochi minuti dopo, e trovarono una Joanna alquanto irritata che li attendeva fuori.
«Siete in ritardo» constatò, trapassandoli con i suoi occhi freddi.
«Come mai qui fuori?» domandò Delilah, ignorando il commento. Joanna sbuffò, mal celando la sua irritazione.
Non riusciva a capire perché Guy si fosse portato dietro quell’idiota di un fratello. Era un peso inutile, oltre che un rompiscatole assurdo, sempre lì a fare battutine. Strinse i denti. La cosa peggiore, però, era che Guy non faceva nulla per difendersi - o difenderla – e lo lasciava fare. A quanto pare lui era abituato a farsi prendere in giro da qual menomato cerebrale di fratello.
«Ho già passato troppo tempo con quella sottospecie di scimmia di Mark, ne ho più che abbastanza.»
Delilah e Tim sogghignarono.
«Eppure è il tuo futuro cognato, dovrai farci presto l’abitudine» disse Tim. Joanna gli sferrò un pugno sul braccio.
«Hey!» protestò lui, massaggiandosi il punto in cui l’aveva colpito. «Fai male!»
«Dai, andiamo, si gela qui fuori» disse Delilah, desiderosa di evitare altri pugni a Tim e di vedere Chris; doveva saperne di più su quella canzone. Joanna la guardò fredda.
«Vacci tu dentro con quei due, se ci tieni, io resto qui.»
«Ci vado, non c’è bisogno di ordinarmelo» rispose, d’un tratto algida. Joanna alzò gli occhi al cielo.
«Scusate tanto, se ho ferito il vostro orgoglio. Volete che vi stenda un tappeto per entrare?»
«Si può sapere che ti prende? Hai un diavolo per capello e te la prendi con me? Che cosa…»
«Hey, hey, basta» si intromise Tim, alzando le mani fra le due ragazze: Joanna era pronta a ribattere, e aveva tutta l’aria di volergliene dire quattro. O di tirare un altro pugno.
«Calmatevi. Non c’è bisogno di litigare, su. Tu, tu entra pure» propose, rivolto a Delilah, che non se lo fece ripetere due volte.
«Tu sei sicura di non voler venire?» esitò, rivolto a Joanna. Gli dispiaceva lasciarla da sola.
«Sicura. E poi, non vorrai certo lasciare la dolce Delilah da sola» fece Joanna, sarcastica. Tim gonfiò il petto ed entrò, senza ribattere. Joanna trattenne una risata amara, mettendosi le mani fra i capelli. Perché, perché diamine si comportava così? Era sempre pronta a battibeccare, in particolare con Delilah. Bah, a volte proprio non la sopportava, non capiva nemmeno il motivo. Da quando l’aveva conosciuta, all’inizio dell’estate, non riusciva a sopportarla. Né lei, né i suoi capelli perfettamente rossi, il suo viso ovale, la sua gentilezza, la sua simpatia, o il fatto che tutti andassero così schifosamente d’accordo con lei. Forse, pensò con amarezza, perché Delilah era tutto ciò che lei non poteva essere.
 
♪♬
 
«Eccoli laggiù. Hey, Delilah!»
Guy alzò lo sguardo dalla bottiglia di fronte a lui e seguì la voce di Chris verso la porta: sulla soglia c’erano Delilah e Tim che avanzavano verso di loro. Si avvicinarono e seguirono vari minuti di pacche sulle spalle e saluti più o meno festosi, fra le scuse imbarazzate di Tim per il ritardo. Con una stretta allo stomaco, Guy notò che Joanna non c’era.
Chris si alzò e trascinò con sé una ragazza bionda dall’aria alquanto contrariata.
«Hey Lila, questa è Julia, mia sorella. Jules, lei è Delilah, una mia amica» fece Chris, gli occhi improvvisamente accesi. Delilah strinse la mano di una ragazza sui diciassette anni, con gli stessi occhi azzurri del fratello, che la guardava curiosa. Chris la presentò anche a Tim, che rise per lo sguardo rassegnato della ragazza.
«È qui soltanto per il finesettimana, domani pomeriggio riparte. Così, per il concerto, per vedere l’Università…» spiegò Chris, senza che nessuno glielo avesse chiesto. Iniziava ad agitarsi, spostando il peso da un piede all’altro, quasi saltellando: la sua solita ansia pre-concerto.
«C’è troppa gente» mormorò, scrutando il locale. Guy si guardò intorno e constatò che sì, era pieno di gente. Saranno state almeno cento persone, sicuro. Ma non Joanna. E lo stomaco gli si contrasse di nuovo. Che idiota che era.
«Sì, be’, meglio se ci muoviamo, devo parlare con il gestore, per quelli della casa discografica…» mormorò Phil, il neoeletto manager dei ragazzi.
«È vero, la casa discografica, me n’ero scordato! Ecco, e se facciamo un casino? E se…»
«No, Chris, non cominciare, ti prego» lo interruppe Will: l’ansia di Chris rischiava di contagiare anche loro.
«Andrà tutto bene, come al solito» lo rassicurò Jonny. «Ora andiamo, è già tardi. A dopo!»
«A dopo! Andrete alla grande» dissero gli altri, sedendosi al grande tavolo all’angolo, mentre Chris, Jonny, Will, Guy e Phil si allontanavano. Una cameriera si avvicinò.
«Li avete già sentiti? Come sono?» domandò Julia, curiosa, una volta finite le ordinazioni.
«Chris non ti ha mai fatto sentire nulla?» domandò Tim, incredulo; quando Chris dormiva al campus non faceva che girare con la chitarra per il dormitorio a cantare e suonare a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo. La ragazza scosse la testa.
«Vedrai» disse Delilah, sorridendo. Almeno non sono l’unica a cui Chris nasconde canzoni.
«Il mio fratellone» disse Julia, con una punta d’orgoglio, guardando il piccolo palcoscenico, dove i ragazzi non erano ancora saliti. «Se solo vedesse che sto bevendo birra.»
Tim e Delilah risero, prendendo le bibite che la cameriera porgeva loro.
«Fratello protettivo, eh?» chiese Mark, guardandola con l’aria di chi la sa lunga. Julia sorrise.
«È semplicemente più grande ed è maschio, e io sono la sua unica sorella. È convinto che il mondo sia pronto ad aggredirmi appena esco di casa» rispose tranquilla, guardando per la prima volta il ragazzo sorridente. Assomigliava molto a Guy, aveva solo i lineamenti più marcati, la mascella più squadrata, gli occhi scuri più grandi. Julia sperava che non fosse riservato come il fratello, che aveva conosciuto il giorno prima col resto della band. Quel ragazzo aveva avuto il potere di farla stare zitta con una sola occhiata, l’aveva fatta sentire fuori posto e a disagio. Lei, che era capace di chiacchierare anche con un muro. Sbuffò al ricordo.
In quel momento, Joanna rientrò nel locale e si sedette accanto a Julia, ignorando a bella posta gli altri tre. Le due si presentarono e si strinsero la mano. Delilah strinse i denti e guardò verso il palco; Mark sogghignò.
I Coldplay salirono sul palco. La folla nel locale nel frattempo era aumentata, e nuova gente continuava ad arrivare. Chris si avvicinò al microfono, augurò buona sera. E poi iniziarono, e al grande tavolo all’angolo non ci fu più molto spazio per le parole, occupato com’era dalla loro musica.
Joanna sospirò e i suoi occhi incrociarono quelli di Delilah, sognanti. Bah, che senso aveva tenere il broncio e guastarsi la serata? Certo, Delilah rimaneva una insopportabile principessina, ma riconosceva che era stata lei a cominciare e che forse, non fosse stato per il suo amabile caratterino, sarebbero anche potute andare d’accordo. Mentre la canzone entrava nel vivo, si sorrisero.
 
♪♬
 
«Sono bravi, eh?»
Domanda retorica, quella di Phil, che si guardava intorno nervosamente, alla ricerca di talent scout: tutto il gruppo dondolava a tempo di musica senza staccare gli occhi dai quattro sul palco, e un misto di euforia ed eccitazione aleggiava sul tavolo.
«Spadroneggiano sul palco come se fossero a casa loro» confermò Julia, entusiasta. «Insomma, guardate Chris: se ne sta lì, con la sua chitarra a cantare tutto convinto… Se penso che solo tre anni fa passava i suoi venerdì sera davanti alla televisione a piagnucolare davanti a Casablanca insieme a nostra madre…» Gli altri risero e la guardarono stupiti.
«Ma dai? Chris? Lo prenderò in giro a vita…» rise Delilah, guardando il ragazzo sul palco, che, beatamente ignaro, continuava a cantare con passione.
«Ah, posso raccontarvene a milioni di cose simili… ho vissuto con lui per più di quattordici anni, conosco tutte le sue stranezze meglio delle mie.»
«Racconta, racconta! Ho proprio bisogno di munizioni per le mie prese in giro» propose Delilah. Julia rise.
«No, no, aspetto che arrivi anche il resto della band, così l’umiliazione sarà più universale.»
Tim la guardò fra l’incredulo e l’ammirato.
«La dolce sorellina…» Julia rise.
«Però è vero. Sono proprio i re del palco» asserì Phil, orgoglioso, bevendo un sorso della sua birra.
«Te non dovevi vedere dei tipi della casa discografica?» gli chiese Joanna, accorgendosi della sua presenza. Phil annuì, a disagio.
«Sì, ma non li ho incontrati prima, e ora non so dove possano essere, se ci sono… » esitò.
«Beh, valli a cercare, no? È una grande occasione per Chris e gli altri» disse Delilah. Phil distolse lo sguardo dai suoi occhi accigliati e borbottò qualcosa, per poi alzarsi e cercare quei maledetti talent scout, di nuovo.
«Guardate Guy com’è rigido» disse Mark, con un ghigno beffardo.
«Smettila, sappiamo tutti che sei geloso di tuo fratello» scattò Joanna, scostandosi i lunghi capelli castani dalla spalla, senza guardarlo.
«Ooh, come siamo protettivi, eh, Jo? Guai a chi tocca il tuo piccolo Guy…» la stuzzicò Mark. Lei si voltò inviperita.
«Chiamami un’altra volta Jo e ti ritrovi con la faccia blu.»
«Ho-ho, ora sì che tremo.»
«Ragazzi!» li interruppe Tim, prima che Joanna gli sferrasse un pugno, mentre le altre ridevano.
«Voglio solo riempirgli la faccia di pugni, che male c’è?» si difese Joanna, con aria innocente.
«Oh, Jo, ammetti che esci con mio fratello solo per arrivare a me, andiamo…» la provocò ancora Mark, bevendo un sorso dalla birra della ragazza.
«Tu cerchi rogne.»
«Finitela, Chris sta parlando» li interruppe Delilah, agitando una mano verso di loro, lo sguardo rivolto al palco e un sorriso che iniziava a dispiegarsi sul suo volto. Julia e Tim si scambiarono un’occhiata sollevando le sopracciglia.
«Grazie a tutti per essere venuti, speriamo che vi siate divertiti. Ricordatevi di noi, un giorno saremo famosi. Questa è Brothers&Sisters, noi siamo i Coldplay.»
Il pubblico nel locale fumoso applaudì ed emise fischi di acclamazione; il gruppo di ragazzi al grande tavolo nell’angolo applaudì e urlò più forte di tutti.
«È la canzone nuova!» esclamò Delilah, non riconoscendo gli accordi iniziali in nessuna delle loro canzoni.
Mentre Chris attaccava a cantare e la ragazza lo fissava rapita, Tim si sporse verso Julia:
«Non pensi che quei due non ce la raccontino giusta?» mormorò.
«Ma figurati. Delilah esce con un tale Nathan Jones, me l’ha detto prima. E Chris è cotto come una pera, sì, ma è talmente idiota che si accontenta di scriverle canzoni piuttosto che chiederle di uscire. È un imbranato con le ragazze, un fallimento totale, lo è sempre stato.»
«Ma che ti ha fatto, lo stai riempiendo di pugnalate verbali alle sue spalle!» disse Tim, allibito.
«Hai ragione, povero Chris. Gli voglio un bene dell’anima, dopo tutto.»
«Pensa se non gliene volevi…» sbuffò Tim, divertito. Quella ragazza era una forza.
Julia sorrise, guardando il palco.
La canzone finì e i quattro sul palco scesero tra applausi e acclamazioni. Posati gli strumenti, si diressero al tavolo nell’angolo, euforici e sudati.
«Acqua, acqua» boccheggiò Chris, come se avesse appena corso una maratona. Mark gli allungò una lattina di Coca-Cola. Chris fece spallucce e ne tracannò quanta più possibile.
«Siete stati grandiosi!» esclamò Delilah, arrossendo.
«Grazie!» rispose Jonny, sedendosi contento. Guy venne accolto dalle braccia di una Joanna dispiaciuta ancor prima che potesse dire una parola, mentre Will si sedeva accanto a Tim.
«È stato tremendo, una corda si è scordata» disse Chris, cupo, poggiando la sua bibita.
«Quando?» chiese Julia «Io non mi sono accorta di nulla.»
«A metà di Such A Rush» borbottò il fratello. «Non ho idea di come, ma la corda del Mi era arrivata almeno al Do. Suonava orribile.»
Will ridacchiò.
«Ma dai! Solo a te capitano cose del genere!» Gli altri risero mentre Chris, scuotendo la testa, beveva un altro sorso.
«Sei un fallimento anche come musicista, insomma» lo punzecchiò Delilah, con aria noncurante.
«Come sarebbe a dire anche? Scusa, in che altro sarei un fallimento?» chiese Chris, punto sul vivo, ma con un’ombra di sorriso sulle labbra. Delilah sorrise e fece per rispondere, ma Tim la precedette.
«Con le ragazze, tanto per dirne una.» Chris arrossì e gli altri risero. Delilah abbassò gli occhi.
«Stronzi» mormorò fra i denti il ragazzo, accrescendo l’ilarità generale.
Phil arrivò trafelato al tavolo qualche minuto dopo, mentre il gruppo era impegnato in un’animata discussione su ex-fidanzati e figuracce ed esperienze correlate.
«Il contratto, io… ho, abbiamo… un contratto!» esclamò Phil, sventolando trionfante un fascio di fogli. La tavolata lo guardò sconcertata, l’atmosfera d’un tratto tesa, incredula.
«Scherzi?» chiese Guy. Phil scosse la testa, deglutendo.
«Quei tipi della Fierce Panda, la casa discografica. Domani andiamo tutti al loro ufficio e segniamo il contratto come si deve, ma oggi, adesso, mi hanno appena detto che sono interessati a produrre un disco! Un EP, ma meglio di niente…» La tavolata lo fissava ancora silenziosa.
«Parli sul serio? Un EP?» disse Chris, senza osare respirare.
«Cosa diamine è un EP?» mormorò Joanna, diretta a Guy, che le rispose senza guardarla
«Un Cd breve, tipo un singolo.»
Phil annuì.
«Domani mattina, alle undici, qui a Camden, ho l’indirizzo da qualche parte…»
«Ma è grandioso!» urlò Chris, alzandosi di scatto. «È fantastico, è stupendo, è… Oh, Phil!»
Fece il giro del tavolo e abbracciò il ragazzo, che lo guardava imbarazzato, poi si rivolse ai suoi tre compagni di band, che si erano alzati anche loro e si scambiavano occhiate stupefatte.
«Abbiamo un contratto!» esclamò, e abbracciò anche loro. «Abbiamo un contratto» mormorò Jonny, gli occhi brillanti.
«Il mio fratellone diventerà una rockstar!» gridò Julia, correndo a infilarsi fra le braccia del fratello, tra le risate degli altri. Chris la strinse a sé, mentre anche Delilah, Joanna, Mark e Tim si alzavano per complimentarsi con loro, festosi dopo lo stupore iniziale.
«Un giro di birra per tutti!» propose Tim, conscio che Chris era troppo euforico per badare alla sua sorella minorenne.
Brindarono ai Coldplay e al nuovo disco, gioiosi e pieni di energie.
«Dovremmo trovargli un titolo. Avete in mente qualcosa?» chiese Will, pratico.
«Brothers&Sisters» dichiarò Chris, tranquillo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Will si guardò intorno, fra quei volti amici e sorridenti. Chris aveva ragione.
Brothers&Sisters.
E il viaggio poteva iniziare.

 
 
 
Hello, tutti quanti! Il vostro peggiore incubo è tornato con una nuova storia in cui si divertirà a strapazzare a più non posso questi quattro poveri musicisti sfigati, yeah!
Innanzi tutto, un paio di precisazioni: ho tentato di essere il più realistica possibile con le ambientazioni e i fatti riguardanti il disco e la carriera della band, ma ditemi se c’è qualcosa che non vi quadra. Il personaggio di Julia è inventato di sana pianta: non ho idea se Chris Martin abbia davvero una sorella che si chiama Julia, o quante sorelle abbia, e non riuscivo a trovare informazioni precise su Internet (senza contare che mi sembrava piuttosto maniacale andare a cercare informazioni sulla sua famiglia, e che ormai mi sono affezionata a Julia), mentre il nome di Mark, fratello di Guy, l’ho trovato su Wikipedia senza tanti sforzi. Joanna esiste, così come Tim e Phil, mentre Delilah è un mio personaggio, assolutamente inventato, protagonista anche dell’altra mia fan fiction sui Coldplay (che fareste meglio a non leggere, dato che non ha nulla a che fare con questa). Vorrei dire inoltre che non tutti i capitoli saranno lenti come questo, e non credo così lunghi. Ogni capitolo avrà per titolo una o più canzoni di artisti che ho pensato che i personaggi avrebbero potuto ascoltare (e se i Coldplay non li ascoltavano, mi riservo di affermare che lo facevano i miei personaggi inventati u.u); in questo capitolo, ci sono i Dire Straits.
Direi che non ho più nulla da dire, scusate per queste note lunghissime e inutili, prometto che sarò più breve la prossima volta. Spero vivamente che abbiate voglia di continuare a leggere, dopo quel prologo inutile (dovrei cancellarlo?) e questo capitolo un po’ lento e, se non ne avete voglia e il capitolo non vi è piaciuto, vi prego, vi imploro di farmelo sapere. Ho davvero bisogno di capire dov’è che sbaglio.
Prima di concludere queste note più lunghe del capitolo, tengo a ringaziare Mrclean per il suo supporto e la mia Heart perché mi ha dato il suo prezioso parere per prima (anche se il capitolo è un tantino diverso da come l'hai letto tu... Scusa, ma proprio non mi convinceva). Ci vediamo (si spera) nel prossimo capitolo, bye for now,
E.
 

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Capitolo 3
*** You Can't Always Get What You Want ***


You Can’t Always Get What You Want
 
Jonny chiuse il libro, stiracchiandosi. Basta compiti per quel giorno. Lanciò un’occhiata languida alla sua chitarra, che sembrava attendere le sue mani e il suo plettro. Sospirò. Stentava ancora a credere che solo il giorno prima avesse posato la sua firma incerta su un contratto – un contratto! – con una casa discografica. Non sarebbe stato il primo EP che pubblicavano, lui e la band, ne avevano già pubblicato uno qualche mese prima, ma stavolta era diverso, stavolta la casa discografica l’avrebbe prodotto. Una gradevole scarica di eccitazione gli percorse la spina dorsale. 
Si alzò e mosse qualche passo verso la sua bellissima Fender Jaguar, quando inciampò in un paio di calzini a pallini appallottolati. Aggrottò le sopracciglia.
«Julia, sono tuoi questi calzini?» domandò, uscendo dalla sua camera con i calzini in mano e andando in soggiorno. Julia alzò lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando.
«Sì, grazie Jonny» sorrise, prendendoli. Jonny tornò in camera sua. Conviveva con Chris da quasi due anni, era abituato a trovare indumenti, libri, plettri e il resto delle sue cose in giro per tutta casa. Supponeva che fosse un vizio di famiglia.
«Chris!» chiamò la ragazza, tornando alla rivista. Il fratello venne dalla cucina con un panino in mano.
«Mettimeli in valigia» ordinò pigramente, allungando il braccio con i calzini.
«Mettili tu!»
«Dai! Fai un favore alla tua sorellina! Sono impegnata adesso» pregò lei, voltando la testa verso il fratello e sporgendo il labbro inferiore. «Ti preeego.»
«No. Muovi il culo e mettili a posto da sola, pigrona.»
Il labbro della ragazza tornò a posto.
«Razza di despota maleducato, non si dicono quelle parole davanti a una signorina» disse, con una finta aria offesa, alzandosi e andando verso la camera del fratello. Lui sorrise e addentò il panino, sedendosi al posto della sorella e sfogliando la sua rivista.
«Vi assomigliate un sacco, comunque» commentò Jonny, entrando in salotto con la chitarra in mano. «Anche tu lasci la tua roba sparpagliata in giro e ti comporti da primadonna.»
«Questo non è vero!» protestò Chris con veemenza.
«Oh, sì che è vero» contestò Julia, tornando in salotto e riappropriandosi della rivista.
«A casa eri sempre lì a suonare o leggere o studiare sostenendo che non potevi fare nient’altro, che eri un musicista e uno studioso tu, e che alzarti a prendere un bicchier d’acqua era troppo faticoso, figurarsi aiutare in casa... E ovviamente mamma ti dava ragione, eri il piccolo Chris, tu…»
Jonny rise collegando la chitarra all’amplificatore, mentre Chris si rabbuiava; sua madre gli dava anche ragione, ma c’era sempre suo padre a bacchettarlo e ricordargli i suoi ‘doveri’ di fratello maggiore e "uomo di casa".
«E poi non l’ho mai capita questa cosa: eri il più grande e a tredici anni eri più alto della mamma, ma si ostina a chiamarti “piccolo Chris” ancora adesso…»
Chris ormai mangiava il suo sandwich furioso come se gli avesse fatto un torto personale. Proprio perché era il più grande aveva sempre dovuto dividere tutti i suoi giocattoli con i fratelli minori, che puntualmente l’avevano vinta in qualsiasi disputa ingaggiassero, dato che mamma e papà erano sempre dalla loro parte perché erano “più piccoli”. E tutte quelle storie se chiedeva un favore ogni tanto…
«Be’, il lupo perde il pelo ma non il vizio: non so più quante volte mi sono sentito dire “ti prego, ti prego, Jonnyboy, portami un panino!”» ululò Jonny, imitando la voce acuta di un bambino.
Julia rise apertamente.
«Oh, ma i tuoi panini sono speciali, Jonny» affermò Chris, con un sorriso melenso. «Ed è inutile che ridi tu! Piuttosto, muoviti a raccogliere la tua roba, Will arriva a momenti per portarti alla stazione.»
«Razza di tiranno, trascorri l’ultima ora con la tua cara sorellina a darle ordini! E comunque, mancavano solo i calzini…»
«Cara sorellina» sbuffò il ragazzo, addentando il panino. «è tutto il  finesettimana che dormo su questa sottospecie di divano per te, cara sorellina, ho tutto il diritto di darti ordini.»
«Visto che è una primadonna?» esclamò la ragazza rivolta a Jonny, che scoppiò a ridere.
Suonarono alla porta, impedendo a Chris di tirare il sandwich in faccia al suo coinquilino.
Jonny si alzò ad aprire, e fece entrare Will.
«Siamo pronti?» domandò il ragazzo, facendo roteare le chiavi della macchina attorno al dito.
«Prendo le mie cose» sospirò la ragazza, posando la rivista. «Peccato, mi mancherà quest’appartamento di pazzi… Ma tanto torno per Capodanno.»
«No che non torni per Capodanno!» protestò Chris con foga. «Io non passo una settimana intera su quel divano!»
«Oh, andiamo Chris, non vuoi che la tua sorellina passi le feste con te? Che razza di fratello sei?» infierì Will, ghignando. «E poi… esistono i sacchi a pelo.»
«Allora è deciso, torno a Capodanno! Ci vediamo fra tre settimane, Jonny!» esclamò la ragazza, battendo le mani, posando la valigia e abbracciando Jonny. Chris scosse la testa e inghiottì l’ultimo boccone del suo panino. Lui, Will, Julia e la sua valigia si avviarono alla porta. Will ridacchiava ancora.
«Ah, dobbiamo passare a prendere Guy e Phil dopo che abbiamo accompagnato tua sorella, così vediamo cosa fare per il disco» annunciò Will, mentre lui e Chris sollevavano la valigia e la trasportavano giù per le scale. Chris mugugnò il suo assenso.
«Bisogna trovare un posto dove provare seriamente, non possiamo continuare a rompere le scatole ai genitori di Phil» disse, pensando a quanto diamine pesasse quella valigia.
«Lo so, ma non possiamo mica portare a spasso la batteria. Sai com’è, è enorme.»
«Possiamo affittare una sala, non lo so…»
«Potete portarla qui» suggerì Julia in tono pratico, saltellando leggera giù per gli scalini, i capelli biondi svolazzanti.
«Certo, così io e Jonny avremo la casa invasa da questi indemoniati tutti i giorni» protestò debolmente Chris.
«Non è una cattiva idea, possiamo metterla in salotto e spostare il tavolo grande» rifletté Will.
«C’è la televisione di mezzo.»
«La togli, tanto a che vi serve? E poi, meglio un po’ di sana musica che quei ridicoli programmi che passano ora in Tv…»
Chris grugnì, non trovando altro da contestare. In effetti, era l’idea migliore, così avrebbero potuto provare liberamente quando volevano, senza intrufolarsi continuamente in casa dei genitori di Phil.
Arrivarono finalmente, ansanti, al portone del pianterreno.
«Proprio al quarto piano senza ascensore dovevi abitare?» mormorò Will, strofinandosi il braccio. Chris invece, guardava in tralice la sorella.
«Chiedi a lei cosa diavolo ha messo nella valigia! Sei stata qui solo tre giorni!»
Julia sorrise serafica e fece spallucce.
«Sai com’è, bisogna essere previdenti, non si può mai sapere. Poteva capitare qualsiasi cosa: che un vestito si scucisse, che fosse troppo caldo, troppo freddo… Era lo stretto necessario, in fondo.»
«Devi proprio venire a Capodanno?» supplicò Chris. La sorella allargò il sorriso.
«Oh, sì, penso di venire subito dopo Natale. Mi è piaciuta troppo l’aria di Londra. E i suoi abitanti.»
Will fissò allibito il suo sorriso angelico per poi rivolgersi all’amico.
«Hai capito la sorellina…»
 
♪♬
 
Jonny suonava. E quando Jonny suonava, poteva cadere una bomba, poteva atterrare una navicella aliena, lui sarebbe rimasto lì al suo posto a suonare con gli occhi chiusi e la testa altrove, in un mondo tutto suo. Magari avrebbe potuto socchiudere un occhio, così, tanto per constatare se gli alieni fossero verdi o grigi.
Quando Jonny suonava si perdeva in quel mare di note galleggianti che lui, lui stesso produceva con la sua chitarra - a dir poco un miracolo, ai suoi occhi. Le dita si muovevano da sole, scivolavano sulle corde dorate e note infinite scaturivano dal loro toccarsi. Note che poi, libere, vibravano, fluttuavano in quel mare azzurro, giocavano le une con le altre, finché non si spegnevano, per forza di cose, quando il mare trovava la costa. Ma finché Jonny era lì con loro in mezzo all’oceano, non c’era nulla che potesse tirarlo fuori.
Non c’era da stupirsi, quindi, se non aprì la porta quando Chris suonò il campanello. Alzò gli occhi, frastornato, solo quando i suoi compagni di band e Phil gli si pararono davanti.
«Oh. Cia-ciao» balbettò, con l’aria di uno che si è appena svegliato. Chris lo guardava da vicino, preoccupato.
«A volte mi chiedo se tu non stia bene.»
Jonny rise.
«Sto bene, stavo solo suonando.»
«Questo spiega tutto» mormorò Will, sedendosi a cavalcioni su una sedia. Phil e Guy lo salutarono, pensierosi, entrando in soggiorno. Jonny stette sulla sedia dove si trovava, Guy e Chris sprofondarono nel divano e Phil rimase in piedi, iniziando a fare avanti e indietro per il piccolo soggiorno.
«Allora, abbiamo un sacco di cose da decidere. Prima di tutto, dobbiamo trovare una ditta per trasportare qui la batteria…»
«Che cosa?» Jonny spostò lo sguardo da un Chris contrariato a un Will sicuro e sorridente. Perché non era al corrente del fatto che la sua casa sarebbe stata presto invasa da una batteria e due musicisti rumorosi?
«Ne abbiamo parlato prima, è l’unica soluzione per poter provare quando vogliamo» sospirò Chris. Phil annuì, un po’ dispiaciuto.
«Insomma, per i miei genitori non è un problema, possiamo continuare a provare da loro, però ecco…» Phil spostò il peso da un piede all’altro. Per quanto desiderasse evitare fastidi a Chris e Jonny, era davvero seccante avere sua madre che bussava alla porta ogni cinque minuti chiedendo se andasse tutto bene.
«Be’, allora, va bene certo. Possiamo spostare il tavolo e mettere la tv nell’angolo, c’è spazio qui» si ritrovò a dire Jonny, indicando la parete di fronte al divano, al momento occupata dal mobile della tv, la radio e il suo amplificatore e cercando di non pensare al fatto che avessero deciso senza di lui. Pensò invece a come si sarebbe ridotta la loro casa se Guy e Will fossero stati da loro praticamente sempre: cartoni di pizza, lattine di birra, scarpe e calzini disseminati sul pavimento, plettri, sigarette, Cd, spartiti, cartacce su ogni altra superficie disponibile. Rabbrividì.
«Ok» mormorò Phil, sollevato. «Ora, il disco.»
«Brothers&Sisters» lo corresse Chris.
«Sicuri che vogliate che sia questo il titolo?» domandò Phil, esitante, fermandosi. «Vuol dire anche che Brothers&Sisters sarà il brano principale, perché in fondo è un singolo…»
Will annuì, sapendo di interpretare anche il pensiero degli altri.
«Sicuri.»
«Ok.» Phil riprese a camminare su e giù.
«Ora, per il disco, ci servono dei nuovi brani…»
«Abbiamo Brothers&Sisters» disse Chris, speranzoso.
«Sì, e poi?» domandò Guy, assente. Chris notò il suo sguardo vagante e si chiese a cosa pensasse.
«Quella nuova che abbiamo provato l’altra volta…» tentò Jonny, muovendo distrattamente le mani sulla chitarra.
«Only Superstition» completò Will, pensieroso. «è buona, ma dobbiamo finirla. E anche Brothers&Sisters è da sistemare…»
«Ce ne serve almeno un’altra» disse Phil. Chris notò il suo nervosismo. Cavoli, ci teneva davvero a questo Ep, non era da lui agitarsi a quel modo…
«Rilassati Phil, possiamo scriverne un’altra. La casa ci ha dato tempo fino a febbraio per i brani, no? Oggi è il nove di dicembre…» disse Chris, rassicurante. Phil sospirò e si sedette.
«Ok, ok, abbiamo la situazione sotto controllo. Possiamo farcela.»
Guy sogghignò a situazione sotto controllo, pensando istantaneamente a Star Trek, Guerre Stellari e compagnia bella.
«Sì, la situazione è sotto controllo, quindi rilassiamoci e guardiamoci un film» disse, sventolando una videocassetta. Chris allungò il collo per leggere il titolo.
«Matrix? Ma dai, non possiamo vedere nient’altro? Da qualche parte ho un film nuovo…» tentò, alzandosi.
«Che cosa, Titanic?» lo provocò Will. Chris lo guardò in tralice.
«E se provassimo? Così sistemiamo Brothers&Sisters e Only Superstition, sinceramente non mi convince ancora…» li interruppe Phil.
«Sì, buona idea» convenne Jonny, sistemandosi la chitarra a tracolla e alzandosi in piedi. Chris e Guy acconsentirono borbottando. Presero i loro strumenti e raggiunsero gli altri nel soggiorno.
«Direi di provarle un po’ tutte» disse Phil, sedendosi su una sedia accanto a Will con un block notes.
Chris annuì, terminando di accordare la sua chitarra acustica e frugandosi nelle tasche alla ricerca di un plettro. Guy gli porse uno dei suoi, rassegnato, alzando gli occhi al cielo. L’altro sorrise riconoscente.
 
♪♬
 
«Ok, basta, direi che è abbastanza» mormorò Phil, strofinandosi gli occhi. «Only Superstition va abbastanza bene, dobbiamo solo sistemare quell’ultima parte, ma ci serve la batteria.»
«Anche Brothers&Sisters è a posto, mi sembra» fece Guy, senza alzare gli occhi dal basso. Gli altri annuirono.
«Appena sistemiamo la batteria finiamo di provarla. E dobbiamo pensare ad una canzone nuova» disse Will, alzandosi dalla sua sedia e stiracchiandosi.
«Ve ne andate? Non proviamo anche Shiver?» domandò Jonny, guardando i suoi compagni. Gli altri convennero con lui e si disposero a provare la canzone. Will si risedette sbuffando.
Piano, Chris iniziò a suonare i primi accordi, tentennante; dopo un paio di battute, Jonny e Guy lo seguirono, movimentando la canzone. Il ragazzo cantò, cercando disperatamente di rimanere concentrato sugli accordi e le note, scacciando l’immagine di quella ragazza sorridente…
Capitolò dopo la seconda strofa.
«Non va» disse, improvvisamente sfinito. Will sollevò la testa dalle braccia incrociate.
«Perché? Non mi sembrava così male. Con la batteria sarebbe stata a posto.»
L’altro scosse la testa.
«Non mi convince, non va, non c’è energia.»
Will roteò gli occhi.
«Non abbiamo la batteria, ovvio che non c’è energia.»
«Anche con la batteria farebbe schifo lo stesso. C’è qualcosa nel ritmo…» disse Chris, frustrato, muovendo distrattamente le mani sulla chitarra, quasi accarezzandola. Will alzò le braccia al cielo.
«E allora smetti di lamentarti e lavoraci su, a quanto pare non è un problema nostro!»
«No, siamo una band, ci lavoriamo insieme…» tentò Jonny, pacifico.
«Se lui non riesce a fare bene la sua parte, non vedo come possiamo aiutarlo noi!»
«Grazie del sostegno» mormorò Chris. Era alquanto frustrato, non riusciva ad esprimere bene quello che sentiva, ma sapeva che quella canzone non andava bene così, lo sapeva e basta.
«Si può sapere cosa vuoi, Chris? Se non ti piace, suonala e cerca di sistemarla, l’hai scritta tu, l’hai composta principalmente tu, non possiamo metterci le mani noi. E poi, è a te che non piace, per me non era male…» disse Will, alzandosi dalla sedia. Non sopportava quando Chris iniziava a fare il preciso, era una cosa che lo mandava fuori dai gangheri.  
«Davvero un buon amico, sei! Ti sto chiedendo una mano, se non te ne sei accorto!» attaccò Chris, alterandosi. Will si voltò verso di lui.
«No, Chris, non stai chiedendo aiuto, ti stai solo lamentando senza alcuna considerazione per  il lavoro degli altri, ecco cosa! Hai deciso tu di occuparti della chitarra, del pianoforte, di cantare, non sei tu quello che ha dovuto iniziare a suonare un altro strumento da zero. Ora non lamentarti del peso della responsabilità, per favore, te la sei scelta da solo. E ricordati che il mondo non gira intorno a te, siamo una band, non la tua orchestra.»
Anche dopo tutto quel tempo, gli bruciava ancora il fatto che avesse dovuto imparare a suonare la batteria per entrare nel gruppo, pur suonando sia basso che chitarra che pianoforte, e detestava sentire lamentele ingiustificate. Se Chris aveva la luna storta non era un problema suo.
Chris abbandonò sconfortato le braccia lungo i fianchi, aprendo e chiudendo la bocca senza trovare le parole. Una fastidiosa voce dentro di sé gli diceva che Will aveva ragione, sovrastando l’ondata di rabbia ribollente.
«Be’, direi che Shiver non va nel disco. Ma tanto possiamo scriverne un’altra, no? Abbiamo tempo…» tentò Jonny, sorretto subito da Phil, mentre Will continuava a guardare in cagnesco il cantante.
«Ok, basta così, è ora di andarcene. Riproviamo quando avremo la batteria» concluse Guy, sfilandosi il basso e spingendo Will da parte mentre andava verso la porta.
«Sempre se il signor Martin è d’accordo» sputò Will, voltandogli le spalle. Chris strinse i denti.
«Oh, Will, andiamo, non prendertela! È il frontman, è nella sua natura comportarsi da primadonna!» scherzò Jonny, posando la chitarra.
«Dai, Chris, ora chiedi scusa e vivremo tutti felici e contenti!» sdrammatizzò Phil, alzandosi.
Chris guardò da un’altra parte mormorando le sue scuse. Will sogghignò.
«Non preoccuparti, amico. Anzi… primadonna Martin. Suona anche bene, potremmo scriverci su qualcosa…»
Chris sorrise, trattenendosi dal rispondere per le rime. Lo aveva appena perdonato, in fondo. Non si era reso conto di aver stretto i pugni.
«Andiamo, andiamo!» li esortò Guy, il basso in spalla. Salutarono Chris e Jonny e uscirono.
Nel silenzio improvviso, Jonny si voltò verso l’amico che riponeva la chitarra.
«Tutto bene? Cos’è che non va con Shiver
Chris si lasciò andare sul divano, seppellendo il viso fra le mani.
«Io… non riesco a cantarla. Penso a lei, e mi fa male e…»
«Chris.»
Jonny si sedette accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla. Chris lo ringraziò mentalmente per il supporto.
«Devi dirglielo, non puoi andare avanti così.»
«Sì, e poi? Lo sai che per lei sono “solo un amico”. Se glielo dicessi, non potremmo continuare ad essere nemmeno amici» disse, riesumando il volto dalle dita. Jonny sospirò, abbandonandosi sullo schienale.
«Non so come aiutarti, Chris, mi dispiace. Ma per qualsiasi cosa, sono qui, lo sai.»
L’altro sorrise, rivolgendogli un’occhiata riconoscente.
«Ora non pensarci. Pensa piuttosto che fra tre settimane torna tua sorella… Serve un sacco a pelo.»
«Oh, Dio!» rise Chris. «E dei tappi per le orecchie e un arsenale di pazienza…»
«Guarda che è tale e quale a te.»
«Non è vero, traditore!»
Jonny lo guardò ridere, il fantasma della discussione, e di quella ragazza, lontano dai suoi occhi. Per fortuna. Voleva davvero bene a quella ragazza, come tutti gli altri, ma diventava sempre più difficile sapendo che riduceva in quello stato il suo migliore amico, anche se involontariamente. Pensò che comunque, Chris era fortunato: aveva qualcuno a cui rivolgere i pensieri la sera, qualcuno da amare, qualcuno che lo facesse sentire vivo. Chris non sentiva alcuna voragine lì, sul petto, la sera prima di addormentarsi.
Resosi conto del pensiero che aveva formulato, si rimproverò mentalmente. Che razza di amico era, a pensare certe cose? Doveva essere soddisfatto della vita che aveva, dei suoi amici, di Chris, senza torturarsi con inutili perché e per come. Non si può avere sempre tutto, ormai lo sapeva, ci aveva fatto l’abitudine, figurarsi desiderare di soffrire per amore.
Basta, cacciò quei pensieri dannosi dalla mente e cercò di rilassarsi. Doveva cambiare la corde alla chitarra. E Julia sarebbe tornata per Capodanno. Sorrise.
«Danno Armageddon stasera» lo informò Chris, sfogliando la rivista che la sorella aveva lasciato lì. Il suo viso era tranquillo. Jonny annuì.
«Serve della birra.»
 


***
Salve a tutti! Grazie per aver letto, spero abbiate apprezzato. In caso contrario vi prego, di nuovo, di farmelo sapere. Alcune parti non mi convincono molto, vorrei sapere cosa ne pensate voi. Che poi, io do per scontato che ci sia un voi, ma non è affatto detto. Ugh. 
Comunque, in questo capitolo ci sono i Rolling Stones, per chi non avesse riconosciuto la canzone (che ho scelto in mancanza di altro, e perché quando ho aperto il lettore musicale è stata la prima che è comparsa. Non stonava troppo.)
Bene, grazie a tutti quelli che leggono (se ce ne sono), e al prossimo capitolo! 

E.

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Capitolo 4
*** I Want To Break Free (in the Sound Of Silence) ***


I Want To Break Free (in the Sound Of Silence)
 
Aprì la porta e puntò dritta al bancone, ma Guy non si vedeva. In compenso, c’era suo fratello seduto al bancone con un caffè davanti.
«Dov’è Guy?» domandò, una volta accanto a lui, reprimendo l’istinto di ignorarlo. Lui la guardò sorpreso.
«Ciao, Jo! Qual buon vento?»
«Non sono fatti tuoi. Dov’è Guy?»
Mark sorrise alla solita socievolezza della ragazza.
«Di là in cucina. Posso offrirti qualcosa?»
«Non dovevi tornartene in Scozia, tu?» chiese lei, seccata, sedendosi.
«Guarda che ci lavoro qui a Londra» sospirò il ragazzo, con uno strano sorriso amaro. Si affrettò a recuperare la sua faccia di bronzo.
«Comunque, raccontami, Jo, come va la vita?» chiese con un sorriso smagliante.
«Fatti un favore, Mark, vattene prima di dover raccogliere i tuoi denti.»
Il ragazzo sorrise, appoggiando l’avambraccio al bancone.
«Ma che ti ho fatto? Sempre così scontrosa… Secondo me, nutri una passione segreta nei miei confronti…»
«Mark, non ripetere quelle parole se ci tieni alla vita» suggerì la voce pacata e stanca di Guy, emerso dalla cucina con delle bottiglie di latte in mano. Joanna sorrise e si sporse per baciarlo oltre il bancone. Il ragazzo sorrise debolmente. Joanna notò le sue occhiaie e la barba mal rasata, accigliandosi.
«Tutto bene? Sembri stanco.»
«Cos-? Oh, sì, tutto bene. Solo… Ho fatto le ore piccole. Davano Armageddon ieri sera» spiegò in fretta, fuggendo gli occhi della ragazza. Joanna lo guardava inquieta: qualcosa le diceva che non era a conoscenza di tutta la verità, e non capiva perché Guy avesse quell’aria sfinita. Si impose di cercare di comprenderlo e non diventare sospettosa quando si rese conto che Armageddon l’avevano trasmesso due sere prima.
Guy notò la sua preoccupazione e le voltò le spalle, intento a prepararle il suo solito cappuccino alla cannella.
Joanna aprì la bocca per dire qualcosa quando sentì allegre voci maschili avvicinarsi al bancone. Guy salutò con una mano Chris, Will, Jonny e Tim che si avvicinavano. I ragazzi salutarono vivacemente anche lei e Mark, per poi ordinare chiassosamente da bere. Joanna osservò Guy rispondere ai loro scherzi con la sua flemma consueta, ma i sorrisi che rivolgeva loro erano meno caldi, e la testa era completamente da un’altra parte.
Guy, perché non ne parli con me? pensò, versando lo zucchero nel cappuccino che il ragazzo le aveva porto. Se non altro non s’è scordato la cannella, constatò con un sorriso, assaporando il profumo.
Poco lontano lungo il bancone, i ragazzi discutevano su come festeggiare il Natale. Purtroppo non ci sarebbe stato granché da festeggiare insieme, visto che molti di loro sarebbero tornati dalle proprie famiglie.
«E allora organizziamo qualcosa a Capodanno! Se mia sorella scopre che non faccio niente mi prenderà in giro per il resto della vita» disse Chris, spalancando gli occhi. Gli altri risero e Tim propose di andare in un qualche pub, ma Chris protestò pensando all’incolumità di sua sorella. Alla fine, vinse la proposta di Jonny di cenare tutti a casa loro e poi di andare a fare un giro e vedere i fuochi d’artificio al London Eye. I ragazzi si voltarono verso Guy, Mark e Joanna per chiedere la loro approvazione.
«Per me va bene» alzò le spalle Guy. Anche Mark diede il suo assenso.
«Tu ci stai?» le chiese Guy, scrutandola con gli occhi scuri. Joanna lanciò un’occhiata insofferente a Mark, che abbassò gli occhi.
«Credi davvero che ti lascerò passare il Capodanno da solo? Ti starò alle costole» scherzò. Lui sorrise.
«Perfetto, allora saremo noi, Phil, Julia e Delilah, penso di invitarla. Va bene?» disse Chris, tenendo il conto con le dita e guardandosi attorno con gli occhi azzurri in cerca di approvazione. Will tossicchiò nervosamente.
«A dire il vero… C’è una mia amica che vorrei invitare, a voi non dispiace, vero?» chiese timidamente, gli occhi marroni tenacemente puntati sul suo caffè.
Joanna non sapeva se essere più stupita per la sua timidezza o per il fatto che avesse una ragazza. Sì, perché la storia dell’amica non se la beveva nessuno, e lei non aveva mai pensato a Will come a qualcuno capace di sospirare per una ragazza.
Il silenzio durò tre secondi netti, il tempo necessario ai cervelli assonnati dei ragazzi per metabolizzare l’informazione. Poi scoppiò il putiferio fra pacche sulle spalle, prese in giro, schiamazzi e risate. Si ritrovò a sorridere anche lei: la faccia di Will era ormai più rossa dei suoi capelli. Probabilmente si era già pentito di aver parlato di quella ragazza a quegli idioti dei suoi amici. Lei e Guy scossero la testa all’unisono quando Chris iniziò a cantare, spalleggiato da Jonny e Tim:
«Will e Marianne, seduti sotto un pino, si guardano negli occhi e si scambiano un bacino…»
Will aveva un’aria alquanto assassina. Guy alzò stancamente una mano verso di lui, un’ombra di sorriso sulle labbra.
«Uccidili quando uscite, se lo fai qui dentro potrei andarci di mezzo io.»
Mentre i ragazzi continuavano a torturare Will, e Mark se ne andava a lavoro in silenzio, Joanna si voltò il suo ragazzo, assorto nella contemplazione di un cornetto.
«Guy, dimmi che ti succede, per piacere. Non è da te startene zitto mentre Will viene preso in giro» disse, buttandola sul leggero. Guy alzò gli occhi su di lei.
«Va tutto bene, Jo, non preoccuparti. Ora è meglio che tu vada. Farai tardi.» Di nuovo quel sorriso mesto e stanco, sotto quegli occhi distanti, persi. Dove, Guy?
 
♪♬
 
It's strange but it's true:
I can't get over the way you love me like you do,
But I have to be sure
When I walk out that door
Oh, how I want to be free, baby…”
cantava Freddie Mercury dritto nelle cuffie che Delilah teneva alle orecchie mentre studiava nella biblioteca del College. La rilassava fare i compiti con la musica in sottofondo, paradossalmente la aiutava a concentrarsi. Anche se doveva ammettere che quel brano non era proprio l’ideale: era uno dei suoi preferiti, con quel ritmo trascinante, e non poteva fare a meno di muovere la testa qua e là, tamburellare il tempo col piede, rischiando di venire cacciata dalla bibliotecaria, oltre che di non finire mai i compiti. Non era nemmeno sicura che si potesse portare il walkman lì dentro.
Quando vide le sedie del suo tavolo spostarsi e venire occupate, alzò gli occhi verso le sue due amiche, Claire e Megan e mise in pausa la canzone.
«Ciao, ragazze. Che ci fate qui?» Da che erano a scuola, non le aveva viste una sola volta in biblioteca. Non era proprio il posto per loro, ecco.
«Ciao, Delilah. Allora… Hai qualche novità da raccontare? Qualcosa che hai fatto nel finesettimana?» chiese Claire, con uno strano tono tranquillo, in contrasto con il suo viso minaccioso.
«No-o…» Perché quella domanda le veniva fatta solo quel giorno, che era mercoledì?
«Ah, no? Che mi dici del concerto di Chris Martin a cui sei andata di nuovo?» domandò, stavolta apertamente minacciosa. Delilah si ritrasse sulla sedia.
«Dicendo a noi e a Nathan che andavi a cena dai tuoi, fra parentesi» rincarò Megan. Delilah deglutì. Come diavolo avevano fatto a scoprirlo?
«Ora, non c’è molto da discutere: ormai è ovvio che ti piace Martin, altrimenti non saresti andata al suo concerto per la millesima volta e non ci avresti mentito» affermò Claire in un sussurro furioso, incrociando le braccia.
«No, non mi piace, siamo solo buoni amici, smetti di fare queste insinuazioni» sospirò invece Delilah, stanca, incrociando le braccia a sua volta. A dire il vero, non aveva mai nemmeno pensato a Chris in quei termini, per lei era un amico e basta. Ok, un grande amico. Ma pur sempre un amico.
Claire la osservò per un momento.
«Bene, meglio così. Non avrai problemi a uscire con me e Nathan oggi pomeriggio, allora» la sfidò, con un sopracciglio alzato.
«Ci sono anch’io» pigolò Megan. Claire agitò una mano verso di lei, aspettando la risposta di Delilah.
«Devo studiare con Chris oggi pomeriggio, abbiamo un esame fra due settimane» rispose secca. Claire lo sapeva benissimo, gliel’aveva detto il giorno prima. Iniziò a tamburellare nervosamente il piede sul pavimento.
«E allora?» spalancò gli occhi Claire. «Non è il tuo ragazzo, puoi dargli buca per una volta. E poi, saranno almeno due settimane che non esci con Nathan. Poi si stufa.»
Delilah lasciò vagare lo sguardo intorno e l’occhio le cadde sul lettore Cd, dove il disco aveva ormai smesso di girare. Un moto di rabbia le invase il petto. Era ora di dire basta.
«Non me ne frega niente. Non è il mio fidanzato, peggio per lui se si stufa» rispose, la voce pacata vibrante di rabbia. «E voi due avete smesso di dirmi con chi devo uscire e chi non devo vedere. Con Nathan me la vedo io, è una faccenda fra noi due.»
Claire aprì e richiuse la bocca più volte, senza trovare le parole.
«Be’, il mare è grande e pieno di pesci, peggio per te, Delilah» disse alla fine Megan, alzandosi con sussiego seguita dall’altra. Se ne andarono senza un’altra parola. Delilah aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa diavolo avesse voluto dire. Poi rimise le cuffie e il disco tornò a girare.
Oh, how I want to be free…
Ma ormai non riusciva più a concentrarsi. Diede un’occhiata all’orologio, poi ripose libri e walkman nella borsa, e si diresse verso la mensa, quell’inusuale sensazione di rabbia che ancora le opprimeva il petto.
Quando incrociò Chris in corridoio, lo stomaco le si contrasse. Cosa…? Nah.
Di sicuro la fame.
Oh, how I want to break free.
 
♪♬
 
«Λεξετε da dove viene?» chiese Delilah, tentando di concentrarsi. Sapeva di sapere da dove veniva quel verbo, era facile, ma la sua mente svolazzava indomita lontano dalla versione di greco. Semplicemente, pensava ad altro: Natale si avvicinava, stava studiando a casa di Chris, e per la prima volta erano soli, senza alcun Jonny, Guy o Will che ronzasse intorno. E questo la rendeva inspiegabilmente felice.
«Futuro attivo di λεγω, mi pare» rispose Chris, continuando a sfogliare il vocabolario.
E aveva una fame da lupi, ma non voleva dirglielo. Erano a casa sua, non poteva fare la maleducata chiedendogli di mangiare. Il suo stomaco, però, decise per lei.
Chris alzò gli occhi su di lei, ghignando.
«Fame?»
«No-o» mentì.
«Allora dev’essere stato un tuono quello che ho sentito» ghignò il ragazzo. Si alzò e andò in cucina, seguito dalla ragazza gongolante. Finalmente si mangiava!
Chris aprì il frigo e sparì dietro l’anta.
«Ehm… Ho paura che non ci sia molto… Forse è meglio se faccio un salto al market di sotto…»
«Dai, non c’è bisogno, ci arrangiamo.»
«Ok» acconsentì Chris, esitante. «Be’ qui c’è… Latte… No, è scaduto. Però… C’è dell’insalata.» disse, riemergendo dall’anta. Delilah sbatté le palpebre un paio di volte.
«Insalata? Siete due ragazzi, maschi, ventenni, a Londra, e tutto quello che avete in frigo è dell’insalata
«E della birra!» sorrise Chris, tirando fuori una lattina dai recessi del frigo, trionfante.
«Ci piace mangiare sano» si giustificò sotto lo sguardo incredulo della ragazza. Lei sollevò un sopracciglio.
«Will e Guy non hanno avuto una buona influenza su di voi, a quanto sembra.»
Chris rise. Delilah non sapeva del quintale di lattine, cartoni di pizza, involti di fish and chips e di altre porcherie varie che aveva dovuto nascondere in tutta fretta sul balcone prima che lei arrivasse.
«Meglio se andiamo a fare la spesa.»
 
♪♬
 
Osservò la vetrina per qualche istante, chiedendosi se valeva la pena di entrare. Sollevò le spalle, riflettendo che tanto non aveva altro da fare ed era meglio mettersi al caldo. Spinse la porta ed entrò. Nel negozio, l’aria era calda e polverosa. Un uomo dai lunghi capelli brizzolati gli diede la buonasera da dietro una pila di vinili. Guy ricambiò il saluto, affrettandosi a smarrirsi fra i dischi. C’era il mondo in quel negozio. 45 giri, 33 giri, 7 pollici, ogni tipo di vinile in commercio, assieme a più moderni Cd. Curiosando, prese fra le mani un 7 pollici polveroso.
The Sounds Of Silence. Dove l’aveva già sentito? Poi ricordò: gliene aveva parlato Chris, gli aveva prestato anche una cassetta con la canzone. Gli era piaciuta, ma probabilmente l’aveva persa. Si guardò intorno, ma non c’era alcun giradischi. Ripose il disco e continuò a girovagare canticchiando il motivo del brano.
Con una morsa d’angoscia al petto, si chiese se loro sarebbero mai finiti su quegli scaffali. Ecco. Era questo il dubbio che lo tormentava da tutto il fine settimana. Ce l’avrebbero mai fatta? Chris, scherzando, una volta aveva detto che “dobbiamo assolutamente diventare delle rock-star, o io e Jonny passeremo la vita a pulire i bagni del campus”, lavoro che lui e Jonny svolgevano per pagarsi l’affitto. Ma era solo uno scherzo: se anche la musica non fosse diventata il loro lavoro, Chris, Jonny e Will avrebbero comunque avuto una laurea in tasca, la possibilità di trovare un buon lavoro, non avrebbero continuato a pulire bagni. Lui, Guy, cos’aveva? Il diploma di scuola superiore e un paio di anni sconnessi di università. Ah, e la sua provata esperienza di barman. Sospirò, leggendo la track-list del nuovo Cd dei Radiohead. A Chris sarebbe potuto piacere?
Era stata una buona idea abbandonare la scuola? Quando l’aveva fatto, qualche mese prima, aveva pensato che era inutile continuare a sgobbare inutilmente, se poi sarebbe diventato un musicista professionista. Che poi, era solo un bassista, e il bassista veniva sempre ignorato, a meno di non essere Paul McCartney. Chris poteva continuare a ripetere quanto voleva che sarebbero diventati famosi solo per il bel faccino di Guy, lui restava un bassista sfigato. Posò il Cd - non aveva tutti quei soldi – e passò ai Pink Floyd. La sua attenzione vagante venne attratta da un cartello che indicava ‘Musical Room’. Vi si diresse e, oltre una porta, trovò il paradiso in una stanza straripante di chitarre, bassi, violini, flauti, sax e decine di altri strumenti musicali. Curiosò fra le chitarre e i bassi, prendendone alcuni e provando alcune note, esitante, come ogni volta che prendeva in mano uno strumento nuovo. Un’elegante Fender nera lo guardava amorevolmente da un angolo, ma si trattenne. Si diresse invece verso un espositore oscurato da tutte quelle meraviglie, scovando confezioni di plettri. Ecco, quelli gli servivano, dato che Chris continuava a perdere i suoi.
Era dalla sera del concerto che aveva iniziato ad arrovellarsi con quei dubbi. Il contratto. Non sapeva perché, ma non l’aveva reso particolarmente entusiasta. Se fosse stato un buco nell’acqua? Avrebbero superato la delusione? Lui l’avrebbe superata?
Prese una confezione da dieci plettri medi, poi si soffermò su un plettro con l’immagine di Jimi Hendrix. Jonny lo adorava. Vide il prezzo, e constatò che era piuttosto caro per trattarsi di un comune plettro, quindi avrebbe potuto usarlo come regalo di Natale. Ne scovò anche uno con Bob Dylan per Chris, mentre per Will scelse i Beatles. Rimase affascinato da uno nero metallizzato con una miniatura di The Dark Side Of The Moon, che Joanna adorava, e pensò che avrebbe potuto farci un buco, infilarci una cordicella e regalarglielo. Magari avrebbe chiesto aiuto a Delilah. E magari avrebbe preso anche un Cd a Jo, perché no, lei era importante, non poteva presentarsi solo con un plettro… Mentre si riempiva le mani di altri plettri per i suoi amici, ripensò agli sguardi preoccupati che gli aveva rivolto quella mattina. Forse avrebbe dovuto parlarle, o lei avrebbe potuto insospettirsi e andare a pensare chissà cosa, ormai la conosceva bene, aveva una fervida fantasia. Ma poteva fidarsi di lei. Sorrise inconsapevolmente.
Dieci minuti dopo, pagò la sua ventina di plettri assortiti e un 7 pollici polveroso. L’uomo al banco lo guardò sorridente e stupito.
«Mica tutti per te?»
Guy scosse la testa.
«Regali per degli amici.»
«Ah, be’, devono essere dei grandi amici se si accontentano solo di plettri» scherzò bonariamente l’uomo, prendendo i soldi che il ragazzo gli porgeva ridendo.
Uscendo, Guy vide di sfuggita Chris e Delilah andare verso il supermercato dall’altra parte della strada, ridendo e chiacchierando. Sì, l’uomo aveva ragione: aveva dei grandi amici, era fortunato. Non avrebbe più dovuto pensare a quelle cose, era sbagliato, doveva credere in loro. Forse, proprio grazie a loro sarebbe riuscito a liberarsi di quei dubbi, quei fantasmi tormentati.
 
♪♬
 
Delilah osservò scettica il contenuto del carrello.
«Non puoi seriamente pensare di comprare dodici pacchi di brownies e biscotti al cioccolato.»
«Perché no? Sono buoni» argomentò Chris, spalancando gli occhi. A Delilah ricordò tanto un bambino.
«Non puoi nutrirti solo di biscotti! Devi mangiare anche cibo vero!»
«Guarda che ho un metabolismo fantastico, posso mangiare tutti i biscotti che voglio e non mettere su nemmeno un etto.»
«Questo lo vedo» constatò la ragazza, punzecchiandogli la pancia piatta. «Ma un paio di chiletti non starebbero male sopra questi ossicini…»
Lui rise, tentando di schivare le sue dita sottili.
«Lila, non stuzzicare il cane…»
Per tutta risposta la ragazza rise e prese a solleticarlo, ma Chris la schivò e la prese da dietro, bloccandole le braccia e facendole il solletico ovunque. La ragazza soffocava fra le risate e i deboli tentativi di liberarsi.
«Te la sei cercata» disse Chris, ridendo anche lui. Aveva il cuore che batteva a mille, e il profumo di fiori dei suoi capelli rossi non lo lasciava pensare lucidamente.
Quando una signora anziana disse loro che erano una coppia bellissima, stavano davvero bene insieme e avrebbero avuto tanti bambini biondi, arrossirono e Chris la lasciò andare.
«Ok, hem… Allora, io vado di là a prendere della verdura e del pane, tu vedi di disfarti di quella roba, sì» mormorò Delilah, ancora rossa in viso, sistemandosi la borsa di tela in spalla, per poi allontanarsi. Chris ripose disordinatamente alcuni pacchi di dolci e si affrettò a seguirla. Si ripresero lentamente dall’imbarazzo e, battibeccando allegramente come loro solito, arrivarono al reparto dei surgelati con un carrello ragionevolmente pieno di alimenti di vario genere, e non solo biscotti.
«Hey, che giorno è oggi?» chiese improvvisamente Delilah, esaminando una confezione di pizza surgelata.
«Dodici» rispose Chris. Si illuminò improvvisamente.
«The Twelve Days Of Christmas!» esclamò, poi prese le mani della ragazza e improvvisò una danza cantando la popolare canzone natalizia, sebbene si riferisse ai dodici giorni dopo Natale, sotto lo sgomento dei passanti. Delilah rise come una bambina.
«… and a partridge on a pear tree! E poi basta, non me la ricordo più» disse Chris, fermando all’improvviso la sua danza saltellante, ma senza lasciare le mani fredde di lei.
«Tu sei tutto matto» sorrise lei.
«Lo so.»
Rimasero a fissarsi per qualche istante. Delilah si perse nei suoi puliti occhi chiari, che le ricordavano tanto i cieli invernali della sua Glasgow. Si sentì improvvisamente bambina, in una giostra come quelle delle fiere che si tenevano prima di Natale, la voce di Chris che si sovrapponeva alla sua quando cantava quella carola con i bambini del vicinato. L’odore di cannella, canditi e pudding si insinuò nelle sue narici dai meandri della memoria e davanti agli occhi sfavillarono le luci della candele della chiesa.
Quasi inconsapevolmente, si avvicinò a lui, ai suoi occhi celesti, il battito del cuore che accelerava. Voleva solo scoprire se anche lui profumava di cannella…
«Delilah!»
L’esclamazione irata la fece sobbalzare. Si voltò e vide Claire, Megan e Nathan avvicinarsi. Lasciò le mani di Chris.
«Oh, ciao! Io…Che ci fate qui?» chiese, senza guardare Chris. Nathan alzò le bottiglie di birra che aveva in mano come risposta.
«Tu che ci fai qui, Delilah?» le chiese, una vibrazione autoritaria nella voce baritonale. Megan non le diede il tempo di rispondere.
«Non te l’abbiamo detto, Nathan? Doveva studiare con il suo amico Chris. Anche se a me non sembra affatto che stiano studiando» disse, guardando maliziosa i due. Delilah strinse i pugni.
«Allora sei tu Chris, il musicista. Io sono Nathan» si presentò il ragazzo, allungando la mano libera verso Chris e scrutandolo con i suoi freddi occhi marroni dall’alto della sua figura ben piantata. «Esco con Delilah.»
Chris deglutì un piccato ‘lo so, idiota, siamo solo amici’ e gli strinse la mano mormorando il suo nome. Non poté fare a meno di notare la sua stretta vigorosa, i suoi capelli perfettamente lisci e scuri, il viso regolare dalla mascella squadrata. Aveva paura a fare il confronto con se stesso.
Il silenzio si dilatò scomodo, finché Claire non prese l’iniziativa.
«Nathan, perché intanto non fai la fila alla cassa? Noi e Delilah dovremmo parlare un momento» fece, spingendolo verso le casse. Lui salutò freddamente Chris e Delilah e si allontanò.
«Non ti dispiace se te la rubiamo, vero?» disse Claire rivolta a Chris, e senza attendere una risposta, la trascinò un metro più lontano.
Claire incrociò le braccia, notando compiaciuta che il ragazzo non le guardava ma era abbastanza vicino da poter sentire, e disse, con piglio beffardo:
«Le mie congratulazioni, Delilah, hai preferito passare il pomeriggio a saltellare per il supermercato cantando canzoni per bambini che uscire con Nathan. Davvero, complimenti»
Chris sperò che Delilah rispondesse qualcosa, qualsiasi cosa, ma, con una stretta al cuore, la vide voltare il viso verso Nathan alle casse poco distanti.
«Anzi, saltellare per il supermercato con Martin: un musicista sfigato da quattro soldi, alto e secco come un lampione, con dei vestiti insensati, una zazzera indefinita in testa e i denti storti. Ottima scelta.»
Delilah, mortificata, alzò gli occhi verso Chris, che guardava a terra. Come facevano a notare quei particolari assurdi e non vedere invece i suoi grandi occhi, le sue belle mani, la sua voce calda e morbida?
«Non fa proprio per te, Delilah, noi lo diciamo per il tuo bene. Tu e Nathan siete molto più belli insieme» rincarò Megan.
Come potevano fermarsi solamente all’apparenza? Chris era una persona meravigliosa, un grande amico, chi se ne importava se non era bello? Che poi, quelle erano opinioni opinabili, la vecchietta aveva detto che ‘erano una coppia bellissima’
Ma davvero era amica di persone così superficiali?
Fermo accanto al carrello, Chris aveva stretto i pugni e fissava la schiena di Nathan.
Quando se ne accorse, per Delilah fu come ricevere uno schiaffo da una mano gelida. Chiuse gli occhi. Basta.
«È vero, il più bello del gruppo sono io, senza ombra di dubbio. Purtroppo non so cantare, quindi dobbiamo accontentarci di questa pertica bionda, ma anche come bassista, sono sufficientemente bello per attirare l’attenzione anche sugli altri tre.»
Guy era emerso dagli scaffali con un pacco di cioccolatini e, non visto, aveva osservato la scena e ascoltato la conversazione. Ora guardava trionfante le due ragazze sgomente, con un braccio intorno alle spalle di un Chris imbarazzato. Era piuttosto orgoglioso di se stesso: di solito non parlava facilmente con estranei, né faceva battute, ed era in assoluto la prima volta che scherzava sulla sua presunta bellezza. In effetti, era la prima volta da giorni che scherzava.
«Quindi ora vorrei pregare le signore di smettere di dire che questo qui è uno sfigato, altrimenti si demoralizza e non canta più, ma a noi serve, perché è anche grazie alla sua voce se facciamo concerti. Ovviamente, il resto del merito, è del mio bel faccino» continuò, accennando prima all’amico, poi a se stesso con la scatola di cioccolatini. Le due ragazze si imporporarono.
«Se questi sono gli amici che ti sei scelta Delilah…» mormorò Claire, poi prese l’amica sottobraccio e si allontanarono, tentando di darsi un contegno.
«Bene» sospirò Guy, mollando le spalle di Chris. Era una posizione piuttosto scomoda, considerando che il ragazzo era molto più alto di lui.
«Ora devo andare, vado a fare una sorpresa a Jo. I ringraziamenti a Natale: voglio regali belli e costosi. Ci si vede» disse, salutò i due e sparì nella fila per le casse, improvviso com’era venuto, con un’energia che non aveva da giorni.
«Quel ragazzo è un mistero» mormorò Chris, senza osare guardarla. «Però non aveva tutti i torti…»
«Chris, mi dispiace così tanto»
Aveva le lacrime agli occhi. Lui sorrise mestamente.
«Non importa. Non è la prima volta che mi dicono che mi vesto male.»
Delilah deglutì, incerta su cosa dire.
«Meglio se andiamo» la anticipò il ragazzo cercando di suonare rassicurante, di mostrarle che non le importava di come lo avevano definito le sue amiche.
Delilah lo seguì con lo sguardo a terra. Si sentiva una vigliacca, una codarda. Avrebbe dovuto impedire che dicessero quelle cose, avrebbe dovuto fermarle e mandarle via. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così difficile liberarsene, senza contare che non era sicura di esserci riuscita.
Ricacciò le lacrime e prese fiato.
«Io penso che siano soltanto delle oche, non penso quello che hanno detto, non esco con Nathan da due settimane, perché non mi piace, non mi è mai piaciuto veramente, penso tu sia un ottimo musicista, e abbia una voce bellissima e io sto bene con te» disse tutto d’un fiato, guardandolo timorosa come se avesse appena combinato una marachella. Lui sorrise piano, rinfrancato.
«Però una spuntatina a quei capelli potresti dargliela…» scherzò allora lei, arruffandogli i ricci biondi. Lui rise e, tornando a chiacchierare allegramente, prendendo in giro il tono baritonale di Nathan o i modi affettati di Megan e Claire, pagarono la spesa e uscirono. Era ormai buio, l’aria gelida sferzava loro i volti.
Chris si perse nei ribelli capelli rossi di lei, svolazzanti, mentre camminavano fianco a fianco nel silenzio inusuale della sera.
Noi non cambiamo mai, vero, Lila? Ci hai provato, lo capisco, ma ribellarti a te stessa non è facile. Stai provando a liberarti, ma cambierai veramente mai? E finiamo sempre qui, così: io incapace di dirti quello che provo, e tu troppo lontana da me per accorgertene, perché ancora non sai bene chi sei e dove devi andare. Con chi devi andare. Non cambieremo mai, Lila, perché io non riuscirò mai a dirti nulla di tutto questo.
Sospirò, mentre salivano le scale del suo palazzo, in silenzio. Se non altro, ho una nuova canzone.




***
Salve gentaglia! Grazie di cuore per aver letto fin qui! Mi rendo conto che il capitolo è lungo in maniera quasi indecente, ma non sapevo come accorciarlo, tutto mi sembrava importante. Giudicate voi, ditemi se va bene. Basta, non voglio annoiarvi oltre. Ah, per titolo ho scelto una sorta di medley (sì, pensarla così mi fa sentire importante u.u): Queen e Simon & Garfunkel. Lo so, non avrei potuto scegliere due artisti più incompatibili, ma qui la scrittrice sono io e decido io! Umpf. (No, non andatevene! ç_ç)
Ok, me ne vado. Ah, no, prima tanti auguri al nostro Jonnyboy! Chi canta con me? *cri cri*
Stavolta vado sul serio. Ciao ciao!
E.

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Capitolo 5
*** Iris ***


Iris
 
Finì di drappeggiare le luci sul muro dietro la batteria, intorno alle stampe e le cornici che ornavano la parete, canticchiando. Dato che Chris e Jonny non avevano un albero di Natale, e avevano entrambi passato le feste con le loro famiglie, le decorazioni erano rimaste in mano sua, che cercava di arrangiarsi come poteva con rami di abete, candele, qualche pallina di Natale scovata in giro e un grande festone con su scritto “Happy New Year!”. Ah, se non ci fosse stata lei…
Fece un passo indietro e rimirò il risultato, soddisfatta. Poi si voltò verso suo fratello, chino sul pavimento a raccattare cartacce e altre schifezze nascoste in giro per la stanza.
«Hey, Chris, senti… Ma, insomma… Quando hai intenzione di dichiararti a Delilah?» domandò, odiandosi per essere risultata così diretta. Quando il ragazzo alzò lo sguardo sconvolto su di lei, distolse gli occhi.
«Come… Perché… Chi te l’ha detto? Jonny? Io lo sapevo, andate troppo d’accordo voi due…» borbottò.
«Sono una ragazza, Chris. Pensi davvero che non mi accorga che mio fratello è innamorato?» chiese, scettica, guardandolo negli occhi. Lui chinò la testa, fingendosi troppo occupato a raccogliere le cartacce sotto il divano per ascoltarla. Poi, d’improvviso, abbandonò le braccia lungo i fianchi e lasciò cadere le spalle.
«Si nota così tanto?»
«Che ti piace? Sei cotto come una torta, lo vedrebbe anche un cieco» lo sbeffeggiò. Si sedette sul tappeto accanto a lui.
«Perché non glielo dici? Non tirare fuori la scusa che siete troppo amici, e la vostra amicizia si rovinerà, perché non ci credo. Proprio perché siete amici devi dirglielo. Non puoi tenerle segreti, se è tua amica. E poi, come fai a vivere così? Non hai un peso?»
Lui alzò timidamente gli occhi. Julia non li aveva mai visti così fragili. Gli posò la mano sulla spalla.
«Guarda che dovresti essere tu a dire a me cosa fare, sei tu il fratello grande. Possibile che non ti abbia insegnato niente?» scherzò. Lui rise, arruffandole i capelli.
«Fermo, fermo, sei pieno di polvere, mi sporchi i capelli!» protestò la ragazza, ridendo. Si alzò e tornò alle sue decorazioni.
«Hey… Grazie, Jules.»
Si voltò verso il fratello, i suoi occhi vividi e determinati.
«Non c’è di che. Ma poi basta, non sono capace a fare la sorella maggiore, devo essere viziata e coccolata io!»
Chris le tirò un cuscino.
 
♪♬
 
Si lisciò il colletto della camicia e tirò giù il maglione, poi passò ai capelli. Cercò di pettinarli con le dita come poteva, non voleva arrivare al gel. Diamine, era proprio ora di tagliarli, sembrava un barboncino biondo. Volse la testa per guardarsi da angolazioni diverse. Bah, sì, potevano andare. Ok. Fece un grande respiro guardandosi negli occhi riflessi allo specchio, imponendosi di stare calmo e di godersi la serata. Che sarebbe venuta Delilah non doveva significare niente, non doveva agitarsi. Sì. Poteva farcela. Annuì risoluto e marciò fuori dal bagno.
«Era ora, Cristo santo, cosa stavi facendo? Non diventi più bello guardandoti allo specchio» lo accolse Jonny impaziente, saltellando su un piede solo, e occupando a sua volta il bagno.
«Spiritoso…»
Sentì Jonny ridere, prima di andare in soggiorno a controllare per l’ennesima volta che non ci fossero calzini dimenticati in giro. Il divano era stato spostato davanti alla libreria, così si era creato uno spazio piuttosto ampio, nonostante la batteria e il grande tavolo su cui avrebbero cenato. Avevano dovuto aggiungerci la scrivania di Jonny, altrimenti non ci sarebbe stato spazio per tutti, e metterci sopra due tovaglie. Il risultato era piuttosto strano.
«Ci vorrebbero più luci…»
«Parlare da soli è il primo segno di pazzia, fratellone» disse Julia, entrando nella stanza con dei bicchieri che dispose sul tavolo. Il ragazzo rise, ma il trillo del campanello gli impedì di rispondere. Si diressero nell’ingresso, dove Jonny aveva già aperto la porta a Guy, Joanna, Delilah e Tim. I ragazzi salutarono anche Chris e Julia, ridendo e liberandosi di cappotti e sciarpe, che Chris lasciò in camera sua.
«Allora, quando si mangia?» chiese Tim, sfregandosi le mani.
«Quando Guy si mette a cucinare» rispose Chris, mentre entravano in cucina.
«Perché io?» protestò il ragazzo, con un’aria ingenua poco credibile.
«Devo ricordarti che a Natale ci hai regalato solo plettri?» gli fece notare Jonny, incrociando le braccia. Guy si strinse nelle spalle.
«Ho portato la birra e lo spumante, siamo pari!»
«Plettri!» rincarò Tim, mentre le ragazze ridevano. Guy sbuffò mentre si avvicinava ai fornelli.
«Ho il pudding!» disse Delilah, facendosi avanti con un grande recipiente di plastica. «L’ha fatto mia nonna, dovremmo metterlo a bagnomaria…» disse, mentre con Julia e Tim scopriva l’involto e lo sistemava in una pentola. Quando la fiamma si accese, un delizioso aroma di spezie e canditi si diffuse nella piccola cucina. I ragazzi sospirarono.
«Bene, il cibo c’è, la mia presenza non è più richiesta, andiamo di là» tentò Guy, andando verso la porta. Chris lo riacciuffò per il retro della felpa.
«Dove credi di andare? Tu ora resti qui, fai la brava massaia e ci prepari la cena! Plettri, ricorda…» disse, riportandolo davanti ai fornelli. Guy su liberò della presa dell’amico e si sistemò la felpa, stizzito.
«Aspettate, manca qualcosa…» mormorò Jonny. Aprì un cassetto e ne trasse fuori un grembiulino azzurro che si affrettò a legare intorno ai fianchi di Guy prima che potesse accorgersene. Il ragazzo tentò di divincolarsi, ma le dita svelte di Jonny avevano già stretto i lacci. Gli altri avevano le lacrime agli occhi dal ridere, tranne Tim, che armeggiava con la macchina fotografica di Guy.
«Aspetta, aspetta!» esclamò Joanna e posò un berretto da Babbo Natale trovato su una sedia sulla testa di un Guy rassegnato e irritato, con le mani sui fianchi. Tim si affrettò a scattare una foto, mentre i ragazzi si asciugavano le lacrime.
«Con questa potremmo ricattarti a vita, Guy, altro che plettri…» rise Chris, dando una pacca sulla spalla del ragazzo. Per poco non ci lasciò la mano.
 
♪♬
 
«Posso aiutare?» chiese, guardandola speranzoso.
«Vuoi far scoppiare i fuochi d’artificio in cucina?» lo fulminò Julia, al di sopra dei fumi provenienti dalle numerose padelle e pentole sui fornelli. «Devo ricordarti i tuoi esperimenti culinari a casa, quando per poco non abbiamo dovuto chiamare i pompieri?» rincarò, tornando ad occuparsi del pudding. Guy rise.
«Vai di là ad affrontare Delilah, Chris, smetti di svicolare qui…» lo stuzzicò Tim.
«Non sto mica fuggendo! Chiedevo solo se…»
«Sì, ok, smettila, vai di là, bacia Delilah, sparisci! C’è troppa gente in questa cucina!» esclamò Julia, spintonandolo verso la porta, mentre Guy, Tim e Joanna, ciascuno occupato con una diversa pietanza, ridevano. «E tu smetti di ridere e sbrigati con quelle patate!» abbaiò Julia, rivolta a Guy, che abbassò subito gli occhi tornando a cuocere i suoi tuberi con un sommesso “Sissignora”.
In salotto, Chris trovò Jonny, Delilah, Phil, Mark, Will e la sua amica, una ragazza minuta dai capelli scuri, Marianne, arrivati da poco, a chiacchierare allegramente del Natale appena trascorso. Si diresse alla radio e la accese, cambiando stazione finché non trovò il nuovo singolo degli Oasis, sapendo che non sarebbe dispiaciuto a nessuno. Lui lo adorava.
«E tu, tutto bene a Natale?» gli chiese Delilah, incerta. Chris fece spallucce sedendosi a cavalcioni su una sedia.
«Come al solito.»
Non sapeva bene perché, ma calò lentamente il silenzio. Delilah dondolava il piede a tempo di musica, guardando il tappeto, a disagio.
«Allora, hum… Come va con il disco? Avete nuove canzoni?» chiese timidamente. Jonny annuì entusiasta e le parlò della nuova canzone che avevano scritto, We Never Change, e di come, il tre Gennaio, sarebbero andati in radio.
«A Radio One, ti rendi conto? La BBC!» esclamò, infervorato. Erano tutti e quattro molto eccitati all’idea di andare in radio, con così tante persone all’ascolto. Delilah guardò Chris, che fissava il tappeto, pensoso. Le aveva accennato della radio, ma non sapeva nulla di questa nuova canzone – di nuovo.
Mentre gli altri riprendevano a parlare, Delilah si voltò verso di lui.
«Sei silenzioso. Non dici niente?» tentò, timidamente. Lui si strinse nelle spalle.
«Non ho molto da dire.»
Lei lasciò cadere le spalle, scoraggiata. Fu tentata di lasciarlo nel suo mutismo e farsi i fatti suoi, ma vinse quel sentimento e provò di nuovo.
«Quando riparte Julia?»
«Il sette.»
«Ah.»
Cos’aveva? Dov’erano i suoi sorrisi, le sue battute, i suoi occhi? Non era certo la prima volta che si parlavano, diamine. Rifletté che, in effetti, non avevano parlato moltissimo in quelle ultime settimane. Nemmeno quella sera avevano parlato molto, da quando era arrivata. Che la stesse evitando? Scacciò quel pensiero doloroso. Nah, perché mai avrebbe dovuto?
Scrutò i suoi occhi, di solito così chiari. Cos’hai?
Un delizioso profumino annunciò l’entrata di Julia, Guy, Tim e Joanna, ciascuno con un piatto fumante in mano. Furono accolti con acclamazioni e sospiri mentre tutti prendevano posto. Chris tentò di sedersi fra Jonny e Tim, ma Delilah si infilò delicatamente fra lui e Jonny. Merda. E ora di che avrebbe parlato per tutta la cena?
«Insomma, cos’è questa storia che andate in radio?» chiese Tim, servendosi di patate, per poi passare il piatto a Julia.
«Ah-ah, sei geloso perché tu e la tua band continuate a girellare per locali, mentre noi abbiamo un contratto?» lo stuzzicò Will, ghignando. Tim aprì la bocca più volte, ma non riuscì a rispondere, il che fece nascere risate intorno al tavolo.
«Tieni, mangia, non pensarci» gli suggerì Joanna, passandogli le verdure.
«Comunque, trasmetteranno tre o quattro nostre canzoni, su Radio 1, la sera» spiegò Jonny, contento.
«Come funziona, andate lì e le suonate?» chiese Mark, addentando la carne. Will scosse la testa.
«Andiamo lì e le registriamo, poi ci mandano in onda» spiegò, godendosi lo sguardo ammirato di Marianne.
«È fantastico, ce la state facendo davvero!» sussurrò Delilah, sorridendo. Alzò gli occhi scintillanti verso Chris, che sorrise. Provava una dolce sensazione di caldo, lì in mezzo al petto. Diamine, Julia aveva ragione, era cotto come una torta. Distolse rapido lo sguardo.
«Sì, sì, ora basta parlare di quanto siate fantastici, cambiamo argomento» propose Tim, vagamente invidioso. Gli altri ridacchiarono, prima di passare a parlare d’altro, ma senza stuzzicarlo oltre.
 
♪♬
 
Sentiva lo sguardo della ragazza puntato su di sé, mentre il suo era impegnato ad osservare il bicchiere con cui stava giocherellando. I ragazzi parlavano delle canzoni che avrebbero suonato alla radio, molte delle quali lui non le aveva mai fatto sentire. Forse era uno sguardo vagamente irritato quello di Lila. Decise che bisognava cambiare argomento in fretta.
«Hey, che ore sono? Quando andiamo?» domandò, interrompendo la conversazione. Jonny lo guardò confuso.
«Andare dove, scusa?»
«Non lo so, a fare un giro, a vedere i fuochi al Big Bang» si strinse nelle spalle il ragazzo. Guy strinse gli occhi per mettere a fuoco il quadrante dell’orologio. Forse aveva bevuto un po’ troppo…
«Sono nemmeno le nove… Aspettiamo un po’ prima di uscire?» disse, poggiando di nuovo il braccio sulle spalle di Joanna. Finse di non notare lo strano sguardo di suo fratello. L’alcol faceva strani scherzi, a volte…
I ragazzi annuirono, per poi alzarsi e sparecchiare. Sistemate le stoviglie in precario equilibrio dentro il lavandino - «Domani vi voglio tutti qui a lavare!» borbottava Julia -, si ritrovarono in soggiorno, seduti sparsi qua e là. Pian piano, il chiacchierio si spense.
«Anno nuovo… Buoni propositi?» chiese Joanna, poggiando la testa sulla spalla di Guy. Chris alzò una mano.
«Tagliarmi i capelli.»
«Andare in Islanda» disse Jonny. I ragazzi lo guardarono perplessi.
«Perché in Islanda?» domandò Will.
«Perché sarebbe fantastico fare un concerto in mezzo al ghiaccio, non trovate?» chiese Jonny, lo sguardo sognante.
«Quanto hai bevuto? Dov’è il nostro Jonny?» ironizzò drammaticamente Will.
«Farmi un tatuaggio.»
«Tu non ti farai mai un tatuaggio finché io sono in vita!»
«Razza di despota, perché? Non c’è niente di male» si giustificò Julia. Chris la guardò con gli occhi spalancati, ma Jonny gli posò una mano sul braccio per trattenerlo dal rispondere. La ragazza gli rivolse uno sguardo vittorioso, fra le risate degli altri. Non avevano mica dato birra anche a lei, vero?
«Comprare il nuovo album dei Radiohead» fece Phil, guardando il soffitto.
«E quello degli Oasis, appena ne fanno un altro» aggiunse Phil.
«Comprare un kilt» mormorò Guy, sovrappensiero.
«Uh, dovresti venirci in concerto: sarebbe sold-out con Guy in gonnella…» sogghignò Chris, beccandosi un cuscino in faccia, fra le risate degli altri.
«Crescere.»
Tutti puntarono gli sguardi allibiti su Delilah, che cercò di farsi più piccola che poteva.
«Un paio di pollici… Giusto per arrivare al ripiano alto del bagno…» tentò di spiegare, imbarazzata. «O per non sfigurare troppo quando sto con voi, siete del tali giganti…» Come aveva fatto ad uscirsene con una frase del genere? Stupida birra, le impediva di riflettere. Chris sorrise, pensando che era maledettamente bella, così, nel suo maglione rosso scuro un po’ troppo grande, imbarazzata, con ciocche ribelli di capelli che sfuggivano alla crocchia disordinata.
«Prendere la patente.»
«Non hai ancora la patente, Jo?»
La ragazza scosse la testa.
«Una ragazza» mormorò Mark, lanciando una fugace occhiata attraverso il soggiorno. Joanna sollevò un sopracciglio.
«Che ragazza, Mark? Ti sei preso una cotta?» gli chiese, sarcastica. Lui la guardò negli occhi, e per un attimo sembrò davvero fragile, prima che il suo solito ghigno gli mascherasse i lineamenti. Assomigliava così tanto a Guy…
«Pensi davvero che lo dica a te, Jo?»
«Sarebbe bello anche finire questi stramaledetti esami…» sospirò Chris, piegandosi all’indietro, poggiato alle braccia tese.
«Non cominciare con la scuola, per favore!» esclamò Delilah, schiaffandogli in testa il berretto da Babbo Natale. Chris sorrise da sotto il berretto storto.
«Incidere un disco» mormorò Will. I ragazzi sorrisero.
«Accadrà davvero…» disse piano Jonny. «E andremo in radio, e faremo un disco…»
«E dobbiamo ancora sistemare Shiver! La proviamo?» fece Phil. I ragazzi mugugnarono e gli tirarono cuscini. Chris fuggì lo sguardo di Delilah. Sapeva che lo stava guardando, poteva sentire i suoi occhi perforarlo. Ok, piantala con le pagliacciate, prendila da parte e diglielo, diamine!
Ah, fosse stato così facile alzarsi…
«Ho bisogno di un po’ d’aria fresca… Chris vieni con me?» chiese calma Delilah, senza guardarlo. Lui annuì e la seguì sul balcone, togliendosi il berretto. Gli altri fecero gentilmente finta di nulla.
Fuori faceva un freddo cane. Non potevano parlare dentro?
«Chris, che cos’hai? Va tutto bene? È tutta la sera che sei un po’ strano» iniziò la ragazza, appoggiando gli avambracci alla ringhiera. Il suo sospiro formò nuvolette bianche. Chris deglutì, perdendosi fra i tetti attorno a loro.
Nel silenzio, sentiva i battiti del suo cuore più forti di quelli di una grancassa.
«Perché non me le hai fatte sentire?»
«Cosa?»
«Le canzoni nuove. Questa We Never Change, questa Shiver… Perché non me le hai mai fatte sentire?»
Quando notò il disappunto nella sua voce, Chris si sentì male. Avrebbe voluto tirarsi un pugno.
«Lila…»
«Parlami chiaro, Chris, dimmi cosa c’è che non va. Cos’hai, che ti succede. È per quella sera al supermercato?»
Lo guardava preoccupata, adesso, si era allontanata dalla ringhiera. Teneva a lui.
«Senti, mi dispiace, non avrei mai voluto che accadesse, è stato terribile, loro… Ma non ci parliamo più molto, insomma…»
Continuava a stare in silenzio. Non sapeva che dire. Tutto quello che voleva fare era stringerla forte. Sospettava fosse colpa dell’alcol.
«Lila…»
Vacillò davanti a quegli occhi, sgranati, in attesa, pieni di apprensione, affetto. Aveva fiducia in lui. L’avrebbe delusa, forse?
«Le ho scritte per te quelle canzoni.»
Appena un sussurro.
«Perché?»
Altro sussurro, nella notte. Si erano fatti più vicini. Delilah vedeva ogni ciglio dei suoi occhi sfuggenti. Poteva quasi sentire i loro cuori battere forte.
«Non indovini?» sorrise amaramente. Delilah seppe che non avrebbe mai scordato i suoi occhi, quando finalmente li alzò su di lei, grandi e azzurri e fragili, come se avessero potuto frantumarsi ad una sua minima parola.
Realizzò dopo qualche istante la portata delle sue parole, anzi, di ciò che nascondevano, che la investì come un’onda tutto d’un tratto.
Fine dei giochi.





***

Yep, buona sera =) Scusate il ritardo vergognoso, ma ho avuto poco tempo e altrettanta ispirazione. In effetti, il capitolo non mi convince moltissimo... Il riquadro qua sotto è fatto per tutti gli eventuali dubbi e domande (riempitelo). Altro da dire? Title track Iris, dei Goo Goo Dolls. Spero non averla offesa infilandola quassù. 
Basta, grazie di aver letto, un bacio a chi segue, e ditemi che ne pensate!
E.

 

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Capitolo 6
*** All Around The World ***


All Around The World
 
Luci, facce, suoni vorticavano confusamente nella sua testa. Julia chiuse gli occhi e appoggiò la schiena alla ringhiera dietro di sé con un gemito. Ecco, tutto ciò era colpa di Chris: se lui non le avesse proibito di bere per tutta la settimana, forse ora non si sarebbe presa una sbornia tale… Parlando di Chris, chissà dove s’era cacciato: da quando erano usciti non l’aveva visto né sentito. Eppure era con loro… No? Si portò una mano alla tempia, dove il mal di testa iniziava a pulsare, non invitato. Sentì che qualcuno la chiamava, ma era come se la voce venisse da lontano, lontano… Quando sentì una mano scuoterla per la spalla, aprì gli occhi per incontrare quelli verdi e preoccupati di Jonny.
«Tutto bene?»
Come no, ho la testa che fra un po’ esplode, sto per vomitare l’anima, direi che va tutto benissimo.
Annuì con un’espressione sofferente. Jonny sorrise e le porse una bottiglietta d’acqua.
«Bevi, ti sentirai meglio.»
La ragazza la prese e bevve avidamente, con la sensazione che la sua testa andasse pian piano svuotandosi, fermandosi. Leggermente meglio.
«La prima sbornia, eh?» domandò Jonny, impacciato, sedendosi accanto a lei e abbracciandosi le ginocchia. Julia notò – per quanto riusciva a discernere con la testa ancora galleggiante – che sembrava distante.
«E tu? Neanche tu stai tanto bene. È Capodanno e sei sobrio» biascicò. Lui rise piano, e il suo sguardo corse a Chris; il ragazzo poggiava la schiena alla ringhiera, ma era quasi dall’altra parte della colonna rispetto a loro. Nella luce dei lampioni, Julia colse il baluginio di una bottiglia. Era solo.
«Guarda, pure quell’altro: cosa diavolo fa da solo? È Capodanno, dovrebbe stare con i suoi amici e divertirsi, perché sta solo con una bottiglia?» esclamò, improvvisamente furiosa.
Jonny si rivolse a lei, stupito.
«Tu non… Lui non ti ha detto…?»
«Detto cosa?» si accigliò la ragazza. Sinceramente, non aveva voglia di perdersi fra segreti e silenzi, era già piuttosto difficile restare concentrati sulla realtà. Jonny lasciò vagare gli occhi sulla piazza, imbarazzato, combattuto fra il desiderio di non tradire il suo amico, ma di non lasciare all’oscuro la ragazza. Dopotutto, era sua sorella…
Julia seguì il suo sguardo. Ah - ah, adesso capiva!
Poco lontano da loro, proprio nel mezzo della piazza, stavano tutti gli altri, e ridevano e parlavano ad alta voce, tutti un po’ brilli. Delilah era fra loro, anche se non rideva forte quanto gli altri. Mentre Chris era solo. Chris, che era tutto pappa-e-ciccia con Delilah. Realizzò in un istante che prima di uscire, dopo cena, erano andati a “parlare” sul balcone. Aveva pensato che non avrebbero parlato affatto e Chris avrebbe colto l’occasione per baciarla una volta per tutte o qualcosa del genere, ma a quanto pareva no, dovevano aver parlato sul serio. Quel coglione. Adesso capiva, era tutto chiaro. O no? No, c’era un passaggio logico che mancava, ma era certa di conoscere la soluzione finale…
La spalla di Jonny era davvero morbida. Anche lui era morbido. Non nel senso che era grasso, nel senso che era comprensivo, dolce, alla mano, come il pan di Spagna. Morbido. Suo fratello invece era pieno di spezie, di sapori diversi. Come quel dolce tedesco, lo strudel. Anche se Chris di tedesco non aveva un bel niente. Mentre Guy era un indiscutibile cioccolato fondente nero e amaro che più amaro non si può. Will, Will era un cheesecake. E Tim un biscotto grande con le gocce al cioccolato. Poi, vediamo… Delilah un pudding, Joanna… perché Joanna si allontanava? E chi era quell’altro ragazzo con lei, Phil? No, no era Mark, il fratello del cioccolato fondente. Anche lui poteva essere un cioccolato, magari con le nocciole. Si stava così bene sulla spalla di Jonny. La testa non le girava nemmeno più molto, anche se continuava a vedere strano. Aveva voglia di ridere, chissà perché.
 
♪♬
 
Si lasciò cadere di peso a terra, appoggiandosi alla ringhiera. Portò una mano alle palpebre chiuse, tentando di calmarsi. Merda merda merda merda. Fece un gran respiro. Riaprì gli occhi. Accanto a lui, quasi addormentata sulla spalla di Jonny, c’era Julia, la sorella di Chris. Sollevò un angolo della bocca. Jonny era pietrificato, osava a malapena respirare. Il chitarrista volse la testa verso di lui, per poi riabbassare subito gli occhi. Aveva sicuramente visto cos’era successo: aveva compassione di lui, forse? Jonny? Jonny che, perdinci, non vantava una ragazza dal San Valentino delle elementari? Per piacere. Lui, almeno, ci aveva provato, aveva agito, non se ne stava in disparte a guardare gli altri vivere. Quel Jonny non parlava quasi mai. Guardava, sorrideva, suonava e basta. Merda. Come faceva a non annoiarsi a morte?
Voltò la testa in giro, notando Chris da solo dall’altra parte della colonna. Lo sguardo andò a Delilah. Oh - oh. Serata sbagliata per l’amore, quella, a quanto pareva. Merda.
Julia si drizzò e si guardò intorno, spaesata. Sorrise. Era davvero carina, con quell’aria da Alice nel Paese delle Meraviglie. Era la prima cosa che aveva pensato, appena l’aveva vista, così dissonante in mezzo a tutti loro, eppure così indiscutibilmente a suo agio, a posto: un’Alice.
«È il nuovo anno?» domandò, la voce impastata. Jonny le mormorò una risposta. Avvertì all’improvviso che c’era qualcuno di troppo. Voleva rimanere da solo con quella ragazza. Era lui lo Stregatto, Jonny era solo un coniglio bianco qualsiasi, se ne tornasse nel suo buco. Ne aveva abbastanza di gente che arrivava prima di lui e gli prendeva il posto. Prese una sorsata dalla bottiglia che si era portato appresso. Tanto, una in più o una in meno…
«Sai, stavo pensando che tu sei un pan di Spagna. Morbido, dolce, con lo zucchero a velo. Sul serio. E tu sei un cioccolato, ma uno buono, con le nocciole. Non fondente, il fondente è Guy, lui è scuro e amaro…» stava farfugliando la ragazza, quando sintonizzò le orecchie su di lei. Jonny rideva. Anche lui sorrise.
«E tu cosa sei?» le domandò, guardandola dritto negli occhi. La ragazza parve confusa.
«In questo momento un budino» mormorò, trafitta dai suoi occhi scuri. Poi scosse la testa e sembrò riaversi. «Cristo, l’ho detto davvero? Sono proprio fusa…»
Mark le fece segnò di no con un dito, sogghignando.
«No, cara mia, dicevi sul serio: mai sentito dire in vino veritas
«E che vorrebbe dire? Guarda che il secchione è Chris, non io.»
«Vuol dire che l’alcol ti fa dire quello che veramente pensi. E cioè che io sono un figo assurdo.»
«Sbruffone.»
Mark rise, riempendosi i polmoni dell’aria fresca della sera, mentre Jonny abbassava gli occhi. Prese un’altra sorsata di birra. Jonny si alzò lentamente.
«Io… Vado da Chris, vi lascio soli» mormorò, allontanandosi. Mark sogghignò. Uno a zero per lo Stregatto.
 
♪♬
 
Per quel che poteva saperne, i lampioni potevano benissimo essere lucciole giganti, se non per il fatto che non si illuminavano a intermittenza. Ma si muovevano, oh come si muovevano, ogni volta che voltava la testa. E aveva un freddo assurdo a starsene lì seduta a terra.
«Alziamoci, il sedere mi si sta appiccicando al pavimento» bofonchiò, tentando di rimettersi in piedi. Barcollò, ma Mark la sorresse prima che potesse cadere. Non la lasciò subito andare, e Julia si rannicchiò meglio fra le sue braccia calde.
«L’amore non è una grandissima cazzata?» chiese il ragazzo. La mente era annebbiata, ma gli occhi inevitabilmente fissi sulla schiena di quella ragazza, fra le braccia sbagliate.
«Non lo so, non sono mai stata veramente innamorata» mormorò Julia. Era improvvisamente così piccola fra le sue braccia, i suoi capelli così chiari.
Julia non seppe come era finita a baciarlo, seppe solo che trovò le sue labbra calde sulle proprie, e che stava davvero bene. Era invasa da una sensazione di caldo infinito, dolce e avvolgente, esattamente come quando il cioccolato ti si scioglie in bocca. E non capì nemmeno bene perché, ma fu bruscamente tirata indietro da lui, e un turbine di voci e immagini invase la sua mente.
Lentamente, focalizzò Chris, fra lei e Mark, che urlava qualcosa... Le giungevano solo stralci di grida, separati dall’intera conversazione, che sembrava così distante, come se stesse guardando un film.
«Non toccare mia sorella, razza di bastardo!»
Non aveva mai sentito suo fratello urlare così forte, con una tale violenza. La sua voce di solito era così delicata e musicale…
«Ha solo diciassette anni! Non puoi giocare con lei e sbaciucchiartela come ti pare, le stavi infilando le mani sotto la maglietta, ti ho visto!»
«Smettila con queste cazzate, non è vero. E poi che ne sai te, eh? Non le ho fatto niente, era solo un bacio. Solo perché tu sei così vigliacco da non riuscire nemmeno a baciare una ragazza come si deve…»
Anche Mark alzava la voce, lo sguardo dolorosamente cattivo.
«Non ti azzardare, tu…»
«Chris, calmati, non è successo niente.»
Era arrivato anche Guy, insieme a Jonny, che tentavano di separarli e non far degenerare la discussione, ma Chris e Mark continuavano a urlarsi contro. E il suo cuore, per quello che riusciva a percepire, era stranamente dilaniato. Faceva male.
«Smettila, Mark, sei ubriaco.»
Il commento secco di Joanna la colpì come uno sparo.
«Devi dirmi cosa devo fare? E chi sei, sentiamo? Tu hai cessato di esistere, per me, esattamente come io non sono mai esistito per te. Siamo pari, ora, no?»
Ebbe un’immagine fugace di Joanna scossa, con le lacrime agli occhi.
«No, Jonny, non mi calmo, è mia sorella!»
«Piantala, bambinone che non sei altro, è grande abbastanza per decidere da sola. Può fare tutto quello che vuole.»
Will era intervenuto, le braccia incrociate.
«No, Will, non lo è, è mezza ubriaca, è piccola, è… Io sono suo fratello!»
«Ok, ok, basta, calmatevi, tutti. Chris, tua sorella è abbastanza grande per decidere da sola, qualunque cosa tu dica.»
«Stava approfittando di lei, Phil!»
«Potete risolvere la questione come persone civili senza urlarvi contro?» domandò calma Delilah, come se stesse cortesemente chiedendo l’ora. I ragazzi ammutolirono, inspirando profondamente.
«Mi dispiace.»
«Anche a me. A posto.»
Chris e Mark si strinsero la mano, gli occhi bassi. Qualcuno propose di dirigersi verso il ponte, da dove avrebbero potuto vedere i fuochi d’artificio. Si incamminarono in silenzio, rotto da qualche frase imbarazzata.
Chris mise un braccio intorno alla vita di Julia e si incamminò. Che razza di fratello, era stato così preso da sé stesso da non rendersi conto che sua sorella aveva bevuto così tanto, che era sola, che aveva bisogno di lui. Non vedeva l’ora che quella serata finisse.
«Jules, mi dispiace tanto, sono stato un idiota. Dovevo tenerti d’occhio, non lasciarti ubriacare. E non aggredire Mark. Guy ci sarà rimasto male» mormorò, guardando la schiena rigida di Guy, poco avanti a loro.
Julia non rispose.
«Ok, non mi parlerai per il resto della vita, ti capisco, però sappi che mi dispiace, ok, Jules? È che sono andate storte così tante cose stasera… Lo so, sono un fratello pessimo. Ero così impegnato a piangermi addosso che mi sono dimenticato di te. Mi dispiace, davvero.»
Julia incontrò il suo sguardo mortificato. Il suo fratellone, era sempre stato così friabile.
«Sei proprio un piagnone.»
«Ma mi vuoi bene lo stesso, vero?»
Sorrise, all’espressione angelica del ragazzo. Appoggiò la testa sul suo petto.
Camminarono in silenzio ancora un po’, prima di venire raggiunti da Delilah. Gli occhi di Chris si abbassarono all’istante. La ragazza avvampò, ma rimase con loro.
«Per quello che è successo prima… Julia, mi dispiace, ma… Joanna l’aveva appena respinto.»
«Cosa?» domandò Chris, spalancando gli occhi. Anche Julia volse i suoi occhi stanchi verso la ragazza.
«Prima, quando siamo arrivati alla piazza. Lui l’ha presa da parte e le ha parlato, non so cosa le ha detto, insomma, ma deve aver cercato di baciarla o qualcosa, perché lei gli ha dato uno schiaffo. Sai, Joanna fa male quando ci si mette. Comunque, è da tempo che a Mark piace Joanna» rivelò tutto d’un fiato Delilah, guardando altrove.
«E Guy?» Chris non osava nemmeno pensare che tremenda situazione dovesse essere quella del trio Joanna-Mark-Guy adesso. Quasi una telenovela di second’ordine.
«Non lo so, adesso staranno parlando. Abbiamo bevuto tutti un po’ troppo, stasera.»
L’aria era fredda, pesante, immobile. Julia si sentì a disagio, scomodamente fuori posto. Intravide le schiene di Tim e Jonny davanti a loro. Senza sapere se fosse la scelta giusta o meno, si allontanò discretamente da Chris e Delilah, affiancandosi agli altri due.
«Che serata da schifo» esordì Chris, guardando il fiume. Era un pensiero ad alta voce, non era veramente diretto a lei, eppure sembrò ferita, quando alzò gli occhi su di lui.
«Ti prego, non dire così. Ti prego. E poi… Non è ancora finita. Sono solo le undici e mezza. Anzi, fra mezz’ora si può definitivamente dire che inizierà tutto daccapo. No?»
La voce le tremava, ma lo sguardo era fermo. Era forte, lei, non certo come lui.
Sarebbe iniziato tutto d’accapo anche fra loro, tutti loro? Chris non lo sapeva, ma decise che non se ne sarebbe preoccupato, non ora almeno. Era il momento di raddrizzare quella serata.
«Certo.»
 
♪♬
 
Mentre il cielo veniva invaso da meraviglie pirotecniche, i ragazzi sul ponte si abbracciarono festosi, brindarono, risero, le menti leggere.
«Quella canzone, quella canzone scozzese, come fa? Andiamo, voi due, Highlanders, come fa?» chiese Will, stringendo la sua Marianne.
«Auld Lang Syne?» chiese Delilah, per poi iniziare ad intonarla, seguita presto dagli altri.
Julia non ricordava di aver mai visto fuochi d’artificio più belli. Vorticavano festosamente nel cielo scuro, accesi di mille colori, illuminavano tutti loro. L’atmosfera era stata tesa, ma quei fuochi sembravano averla squartata, si erano fatti prepotentemente posto fra loro e ora li rischiaravano, li facevano ridere. All’improvviso, tutte quelle stupide discussioni non avevano più significato, appartenevano al passato: stavano vivendo i primi istanti di un nuovo anno, dovevano ridere, cantare al mondo che sì, loro erano giovani, forti, si stavano buttando a capofitto nella vita, e chissà dove sarebbero atterrati, ma non avevano paura, solo curiosità. E tutto sarebbe andato bene, alla fine.   
Chris la strinse in un abbraccio protettivo. Lo sentì mormorarle qualcosa fra i capelli, e lo strinse più forte. Mark abbracciò Guy. Due Gatti del Cheshire. Gesù, dove diavolo li pescava pensieri simili? Eppure era stranamente vero. Chissà com’era il cioccolato fondente con le nocciole. Esisteva? Be’, bisognava inventarlo. Era un gran bel posto, quel ponte. Quei fuochi erano fantastici, non finivano più. Jonny l’abbracciò augurandole buon anno. Le luci si rifletterono nei suoi gentili occhi chiari. Nah, lui non era un misero pan di Spagna. Jonny era quella torta morbida, dolce, ricoperta di zucchero a velo e farcita di crema pasticciera che sapeva fare solo sua nonna, ricetta segreta, zitta piccola Julia. Sorrise. 
Quella melodia antica sembrava legarli indissolubilmente lì, sotto quel cielo caleidoscopico.





***
Io non commento, commentate voi. Ma avrei una domanda: i personaggi vi sembrano credibili? 
Parlando d'altro, la canzone citata alla fine è una popolare canzone scozzese, cantata proprio a Capodanno, mentre il titolo è un brano degli Oasis. Non so se sia veramente adatta, a dire il vero, comunque... 
Buonanotte, vado a ritirarmi in un angolino. I pomodori preferibilmente non marci, grazie.
E.

 

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Capitolo 7
*** Star Sail ***


Star Sail
 
Jonny aveva sempre voluto fare l’astronauta. Fin da bambino, si perdeva in melodie nascoste ogni volta che alzava gli occhi al cielo notturno. Aveva attaccato delle stelline fluorescenti al soffitto e iniziato a sognare. Perché nella grande tela scura dello spazio poteva sognare qualsiasi cosa, usare quelle stelle come il pennello di un pittore, le parole di uno scrittore, l’archetto di un violinista.
Forse era proprio questo il problema: perso nell’etere, fra quelle stelle silenziose, ogni tanto tendeva a perdere la cognizione del mondo che lo circondava. A volte, faceva davvero fatica a scendere giù, perché quelle stelle erano così maledettamente affascinanti.
 
♪♬
 
Bussò alla porta del bagno.
«Ne hai per molto?»
Chris mugugnò una risposta che Julia interpretò come un sì. Maledicendo il fatto che ci fosse un solo bagno in quella casa sovraffollata, si diresse in soggiorno dove stavano provando i ragazzi e sprofondò nel divano.
«Ok, sentite questo allora» stava dicendo Will, prima di esibirsi in un energico assolo alla batteria. Guy annuì.
«Ma io e Jonny entriamo subito.»
«Sì, praticamente insieme. Prima c’è la chitarra, fa i suoi due accordi, poi entriamo tutti quanti…» ricapitolò Will, gesticolando con le bacchette. Guy e Jonny annuirono.
«Va bene, ma stavo pensando di sistemare un po’ l’assolo…» disse Jonny, la testa china sulla sua chitarra.
«Perché? A me sembra vada bene» fece Guy, mentre Will annuiva. Il chitarrista si passò una mano sulla nuca.
«Hey, voi ragazzi avete intenzione di provare tutto il pomeriggio?» li interruppe la voce di Julia dal divano. I ragazzi si voltarono verso di lei con aria colpevole.
«Non ti stai divertendo, eh?» scherzò Will. Lei sorrise.
«Oh no, sentire le vostre interessantissime discussioni su un Sol è davvero divertente, scherzi? è solo che… Andiamo, Londra è così bella, è una bella giornata, insomma…» disse con fare allusivo, sbattendo le palpebre. Jonny rise, poi guardò gli altri due.
«Ok, ok, ci hai convinti, finiamo questa e poi usciamo» acconsentì, sorridendo. La ragazza alzò i pugni al cielo.
«Però finiamola» impose Will, rimettendosi in posizione. Batté quattro tempi e poi attaccarono a suonare. Julia muoveva la testa a ritmo. Erano bravi, erano davvero bravi, le dita di Jonny erano così veloci su quella chitarra…
Un urlo seguito da un tonfo portò il silenzio nel piccolo soggiorno. I ragazzi si guardarono.
«Cos’è stato?» chiese Will, corrugando le sopracciglia. Guy gli fece segno di fare silenzio. Dal bagno provenivano strani suoni soffocati. Julia si avvicinò rapida alla porta.
«Chris? Tutto bene?»
L’orecchio vicino alla porta, distingueva solo un vago mormorio.
«Sì, sì, tutto… Siamo su NME!»
«Che cosa?» gridarono a un tempo tutti quanti, radunandosi attorno alla porta. Chris la aprì qualche secondo dopo, reggendosi i pantaloni e con una rivista in mano. Gli occhi spalancati, la allungò a Jonny.
«Guarda, guardate, guardate» mormorò, uno sorriso incredulo che gli illuminava il viso. Si raccolsero tutti attorno a Jonny, che teneva aperta la rivista con mani tremanti sulla pagina delle “nuove band del ‘99”. Nel mezzo della prima pagina figurava il nome “Coldplay”.
«C’è quella band… abbiamo suonato con loro. Insomma, ci sono… Woah» farfugliò Guy, scioccato. Chris annuì con enfasi, finendo di allacciarsi i pantaloni.
«Se non lo vedessi non ci crederei» mormorò Will scuotendo la testa mentre un sorriso andava dipanandosi sul suo viso.
«NME! Ma vi rendete conto? Siete già su un’importantissima rivista musicale e avete fatto sì e no dieci concerti! Siete già grandi, è quasi ingiusto!» esclamò Julia. Presa coscienza del fatto, i ragazzi iniziarono a ridere e a lasciarsi andare ad esclamazioni sorprese e pacche sulle spalle, mentre Jonny declamava l’articolo a gran voce.
«Oh, mio Dio, dobbiamo festeggiare. Tutti fuori, dai, offre Julia!» propose Guy. La ragazza lo guardò risentita fra le risate degli altri.
«Come sarebbe? Che razza di galantuomo sei?»
«Non ci credo, siamo già su una rivista…» mormorò Will, scuotendo la testa sorridente, seguendo gli altri che prendevano giacche e sciarpe e si avviavano fuori. Decisamente un bel modo di iniziare l’anno nuovo.
«Ah, sei stato tu prima? A fare quel rumore?» chiese Jonny rivolto a Chris. Il ragazzo lo guardò interdetto per un momento, poi annuì.
«Ah, sì, io… Sono caduto.»
«Da dove?»
«Dal gabinetto.»
I ragazzi lo guardarono basiti.
«Ti porti le riviste in bagno?» chiese curioso Guy.
«Questa è la prima volta che veniamo citati in una rivista e tu quando la leggi caschi dal cesso?» domandò incredulo Will. Chris annuì candidamente. Julia, Jonny e Guy scoppiarono a ridere, trascinando anche Will e un Chris leggermente imbarazzato.
«Oh, mio Dio, devo raccontarlo a qualcuno. Siete testimoni voi tre, o non mi crederà mai nessuno» disse Julia, asciugandosi le lacrime. Chris la guardò allarmato.
«No, no, hey, non devi dirlo a nessuno! Sarebbe la fine!»
«Scherzi? Questa sarà una di quelle storie che tramanderò a figli, nipoti, nipotini, amici, figli di amici e chiunque ti conosca quando sarai famoso. Sarà la tua rovina, nessuno ti prenderà mai più sul serio.»
«Ma che ti ho fatto?» protestò il fratello, fra le risate dei suoi amici. Julia scoppiò a ridere e lo abbracciò. Si scostò un poco, sospettosa.
«Ti sei lavato le mani, sì?»
 
♪♬
 
Jonny capiva la matematica.
Chris diceva che la matematica non aveva senso, ma Jonny scuoteva la testa sorridendo: la matematica era la cosa più sensata del mondo. Forse l’unica. Perché in matematica ogni cosa aveva la sua funzione, ogni cosa era governata da qualche legge, ogni incognita trovava, alla fine, la sua soluzione. Non c’era da capire, era così e basta. Ecco cosa Jonny capiva.
Ma quando Jonny diceva che quel greco era assurdo e che non c’era verso di cavarne fuori qualcosa, era il turno di Chris di ridere. Secondo lui, bastava capire il meccanismo e fatto, la versione era tradotta. Ogni tanto saltava su e faceva notare a Jonny qualche parola, esaltandone la stupenda corrispondenza fra significato e suono, spiegandogliene l’origine. Jonny spesso si perdeva. Le parole lo disorientavano, perché non erano chiare e semplici come i numeri, ma dipendevano da migliaia di cose: e l’intonazione, e il contesto, e il destinatario, e il tono. Insomma, un “I love you” poteva significare tanto “ti voglio bene” quanto “ti amo”, e questo spiazzava Jonny. Perché i numeri non possono mentire; le parole sono lo strumento della menzogna, gli esseri umani i loro artefici. In fondo, a chi appartengono di più gli uomini, ai numeri o alle parole?
 
♪♬
 
«Pronto? Oh, hey, ciao… Sì, sì…»
Spostò lo sguardo dallo schermo intercettando quello di Chris. Corrugò le sopracciglia in una muta domanda. Chris sillabò “Lila”, voltandosi leggermente, la cornetta attaccata all’orecchio. Jonny sorrise e tornò al suo film, cercando di impedire che le sue orecchie ascoltassero.
«Ah, davvero? Come… Oh, sì. Lila… Ok.»
Il silenzio si protraeva. Jonny lasciò perdere il suo riserbo e cercò di intuire cosa stesse dicendo la ragazza dall’espressione di Chris, ma l’amico teneva la testa bassa. Forse non era un buon segno…
«Lila… Te l’ho detto, io… Oh.»
Chris sorrise e Jonny con lui.
«Sì. Sì, certo, va bene. Ok, ok. Va bene. Ciao.»
Jonny puntò gli occhi su di lui non appena finì di parlare.
«Allora? Che ha detto?»
Chris sorrise e allargò le braccia.
«Che ha ascoltato la radio l’altro giorno e che vuole parlare. Dici che è una cosa buona?» chiese, improvvisamente preoccupato.
«Penso di sì, certo che è una cosa buona. È da Capodanno che non vi parlate, sono quasi due settimane.»
Chris annuì, pensoso.
«Hai ragione. Oh be’, allora è meglio che vada, è già tardi.»
«Andare dove, scusa?» domandò Jonny, corrugando le sopracciglia. Pensava sarebbero rimasti a casa a suonare quella sera. Aveva già pronto il block notes nuovo sul tavolino. Chris sembrò imbarazzato.
«Vado da Lila, no? Voleva parlare…» disse, sentendosi in colpa.
«Ah, intendeva stasera, non avevo capito…»
«Sì, stasera…»
«Pensavo che…»
«No, stasera.»
«Be’, allora vai, no?, che aspetti?, vai.»
«Sicuro? Mi dispiace lasciarti solo, però…»
«Ma piantala e sbrigati ad andartene!» rise Jonny, una risata forzata che non gli illuminò gli occhi. Chris sembrò non vederlo.
«Oh, grazie Jon, sei un amico. A dopo» disse allegro, correndo a prendere la giacca.
«Non devo aspettarti alzato, vero?» ghignò Jonny, tornando a vedere la televisione.
«Cosa insinui, Jonnyboy? Non mettere in dubbio la mia purezza e quella della mia Lila» rise Chris in risposta, uscendo con un ultimo “Buonanotte!”.
Jonny sentì il proprio sorriso spegnersi lentamente, afflosciarsi. Non capiva bene perché gli desse tanto fastidio il fatto che Chris fosse uscito senza pensarci neanche due volte. Sì, insomma, era innamorato di Lila dal primo giorno in cui l’aveva vista, era ovvio che volesse cogliere al volo l’occasione di mettere le cose a posto, eppure lui, Jonny, era il suo migliore amico, e ora avrebbe passato la serata da solo. E non era nemmeno la prima volta...
No, non da solo.
Voltò la testa di lato e sorrise. Ah, lei sì che sapeva come prenderlo.
Spense il televisore e si alzò. Attaccò il cavo all’amplificatore, regolò il volume e gli effetti e si sedette imbracciando la sua fida chitarra. Iniziò a suonare.
Le dita scivolavano sulle corde dorate, le note vi scrivevano i suoi pensieri.
Andiamo, Jonny, qual è il problema?
Il problema era che non sapeva quale fosse il problema. Avvertiva solo questo diffuso malessere, questa serpeggiante malinconia che lo opprimeva. Come quando si trovava nel mezzo di un’equazione e non sapeva più cosa fare, dove andare.
Suonò di nuovo la sequenza che aveva appena fatto, concentrato. Bella, tranne per l’ultima nota. Riprovò di nuovo, cambiandola con una più alta. Bene. Si allungò sul tavolino e scarabocchiò le note su un foglio.
Era geloso di Chris? No, non credeva. Insomma, non era mica il suo ragazzo. Lui non… No! Chris era innamorato di Lila, e lui, Jonny, non poteva che essere felice per lui.
Sicuro, Jon?
Sicuro. Era solo il suo migliore amico e Delilah era perfetta per lui, se solo si fosse decisa a capirlo. E non era nemmeno lei il problema, prima di chiedere.
E allora non c’è un problema, Jon.
C’era, ma non sapeva quale fosse! Era proprio questo il punto. Un pensiero improvviso lo punse, alzò la testa di scatto. Se non per la chitarra, per quelle note, lui era solo. Non solo quella sera, ma anche di solito, di giorno, per strada, al college. Sì, certo, aveva i suoi amici, Guy e Will e Phil e Tim, e ovviamente Chris, ma non riusciva a scacciare quella fastidiosa vocina che gli diceva “No, no, sei solo soletto.”
No, Jon, non è vero, lo sai.
E invece sì. Andiamo, quand’era stata l’ultima volta che aveva parlato veramente con qualcuno? Veramente, a cuore aperto, senza freni, senza paure? Quand’era stata l’ultima volta che lui e Chris si erano seduti a parlare, a suonare come una volta? Sì, parlavano, ma parlavano principalmente di Lila, o di Julia, o di altri. Quand’era stata l’ultima volta che avevano parlato di loro, dei loro sogni, delle loro vite, come una volta? Quand’era stata l’ultima volta che qualcuno gli aveva chiesto come stava? Ecco, allora, perché la sera, prima di addormentarsi, si sentiva così inspiegabilmente vuoto e dolorante, sentiva il cuore pesante. Perché quella sera l’unica con cui potesse veramente parlare era la sua chitarra.
 
♪♬
 
Jonny aveva sempre voluto fare l’astronauta. Solo che poi aveva incontrato la musica.
Il legame fra matematica e musica lo aveva sempre affascinato. Potevano sembrare due cose opposte, invece erano legate saldamente. I rapporti fra le note erano, appunto, rapporti. La musica era la più intima espressione dell’anima, ed era governata da leggi matematiche. Jonny ne era affascinato e arrivava a chiedersi, allora, se anche l’essere umano non potesse essere legato con la matematica. Magari, applicando qualche particolare regola quando ci si trovava in una data situazione, come con le equazioni. Eppure qualcosa dentro di lui gli diceva che, forse, l’uomo era la più grande incognita di tutte, e non sarebbe mai riuscito a capirlo. Tanto valeva rifugiarsi fra le stelle con una buona chitarra.  
 
♪♬
 
«Allora, qual è la scaletta di oggi?» chiese Will, facendo roteare una bacchetta.
«La solita» rispose Jonny, collegando la chitarra all’amplificatore. «Brothers&Sisters, Only Superstition, Shiver, Bigger Stronger
Will annuì.
«Hey, Guy, sei fra noi?»
Il bassista alzò di scatto la testa su di loro.
«Cos-? Sì, certo» mormorò, la testa altrove.
«Ah - ah» fece Will, poco convinto. «Dai, a che pensi? Oscuri piani per dominare il mondo?» rise, deliziandosi dell’occhiataccia che gli rivolse il ragazzo.
«Hey, non scherzare, Will, o Guy ci ruberà tutti i fan col suo bel faccino e finiremo sotto i ponti» rincarò Jonny, accordando il suo strumento. Will rise, tamburellando sul timpano.
«Ma chi è al telefono? Delilah?» domandò, marcando di più il suono. Erano ormai cinque minuti che Chris era al telefono, nell’altra stanza. Di solito voleva dire Delilah. Le ragazze parlavano un sacco al telefono.
«No, Phil» rispose Jonny. Will annuì distrattamente, ripetendo il passaggio e aggiungendoci una sequenza di piatti alla fine. Mmh. Molto scenico.
«Ieri ho completamente sbagliato un passaggio. Si è notato?» chiese Guy con aria noncurante, facendo distrattamente scivolare le dita sulle corde. Will lo guardò corrucciato.
«Quando? In Bigger Stronger? Avevo sentito qualcosa di strano…» mormorò. «Ma non preoccuparti, non se ne sarà accorto nessuno: metà del pubblico erano ragazze che non avevano occhi che per te, a nessuna di loro importava veramente del basso» scherzò, allarmato dallo sguardo sconfortato del bassista. Si rese conto che la sua battuta non aveva risollevato il morale del ragazzo, anzi, forse l’aveva addirittura riabbassato, ma fu salvato dall’entrata di Chris in soggiorno.
«Ah, finalmente! Che diceva il grande Phil? Era un po’ strano ieri sera.»
Il cantante scosse le spalle, imbracciando la chitarra.
«Ha detto che domani incontriamo quelli della casa discografica. Dovremmo iniziare a registrare il dieci febbraio» disse, atono. Will strabuzzò gli occhi. Mancava meno di un mese.
«Di già? Oh, man
Jonny sorrideva e anche Guy aveva stiracchiato un sorriso.
«Che c’è, non va bene?» domandò il batterista, spiazzato dallo sguardo assente e quasi triste di Chris.
«No, è che… Non siamo pronti» mormorò il ragazzo, gli occhi sulla chitarra.
«Sì che siamo pronti, abbiamo ottime canzoni, sono mesi che suoniamo insieme, siamo bravi» contestò Will, portandosi ai fianchi le mani che ancora impugnavano le bacchette.
«Ma ci manca una canzone! Ne serve una nuova, quelle che abbiamo non vanno…» disse Chris, spostando il peso da un piede all’altro. Sentiva di aver già fatto quel discorso.
«Perché non vanno, cos’hanno che non ti soddisfa?» chiese l’altro, marcando ironicamente la parola soddisfa. Chris scosse le spalle.
«Non lo so, io… Non vanno bene, non sono giuste. E non riesco a scrivere nient’altro! Sono settimane che ci provo, davvero, ma fanno tutte schifo, non riesco a combinare niente di buono, sono tutte noiose e uguali!» si sfogò, liberando quelle sensazioni che si era tenuto dentro per settimane. Jonny lo guardava con un misto di delusione e risentimento. Chris scosse di nuovo le spalle, come per allontanare quello sguardo.
«E scusa, ma noi le abbiamo mai sentite queste canzoni? O solo perché non piacciono a te vuol dire che non devono piacere nemmeno a noi?» fece Will, la voce pericolosamente sarcastica.
«Non ho detto questo!» tentò di difendersi Chris, alzando le mani. «Ma fanno davvero schifo…»
«È anche vero che tu ti sottovaluti molto, Chris. Non sei proprio un giudice imparziale, dato che parti convinto che qualsiasi cosa tu faccia sia schifosa» disse pacato Guy. Chris spalancò gli occhi.
«Non è vero, non sono imparziale, ma davvero…»
«Siamo in una band, Chris, una dannatissima band. Ed essere in una band vuol dire lavorare insieme, non esiste che tu scrivi canzoni e non ce le fai sentire. Non siamo i vicini della porta accanto, nel caso tu non te ne sia accorto» lo aggredì Will, alzandosi e puntandogli contro una bacchetta. Chris drizzò la schiena.
«So benissimo che cos’è una band, grazie, ma se dico che una canzone fa schifo, fa schifo, è inutile che ve la faccia sentire…»
«Ah, certo, perché il tuo giudizio è più importante di quello di tutti noi messi insieme, vero?» lo sbeffeggiò il batterista, spostandosi da dietro il suo strumento.
«Non ho detto questo, non mettermi in bocca parole non mie!» si difese il ragazzo, puntandogli un dito contro. Jonny e Guy seguivano lo scontro spostando lo sguardo dall’uno all’altro, incapaci di intervenire.
«È quello che vuoi dire! Che sei più importante di noi.»
«Ora stai esagerando, non ho mai detto né pensato una cosa simile, per piacere piantala di sparare cazzate» sputò il ragazzo, aspro.
«Oh, quindi ora sono io quello che spara cazzate, certo. Dimenticavo, tu sei il nostro meraviglioso frontman, non puoi sparare cazzate, tu…»
«Will…» tentò di placarlo Jonny, notando che sia lui che Chris si stavano alterando troppo.
«Tu sei quello che sa fare tutto, che suona tutto, che canta, che scrive, quello che dovrebbe guidarci, e poi salti fuori che non riesci a scrivere una fottutissima canzone. Cosa vuoi, compassione? Vuoi che ti stiamo tutti costantemente vicini, pronti ad aiutarti e coccolarti?»
«Will, quello che dici non ha senso, non ho mai detto niente….»
«E invece sì. Ti comporti come se dovessimo starti sempre appresso, come se non sapessi camminare con le tue gambe, quando sai farlo benissimo. Piantala di piagnucolare e scrivi questa fottuta canzone.»
Gli rivolse un’ultima occhiata di rimprovero e fece per tornarsene alla batteria, ma la voce di Chris lo bloccò.
«Ma vaffanculo, che problema hai? Hai qualcosa contro di me, Will? Vuoi cantare tu, che problema hai? Ho solo detto che non riesco a comporre una buona canzone, vi ho chiesto aiuto…»
Il batterista si voltò di scatto, fronteggiando il ragazzo.
«Aiuto, eh? Fottiti, Chris.»
Jonny trattenne il respiro, aspettando la reazione dell’amico. Apriva e chiudeva la bocca, cercando le parole, stringeva i pugni. Stava per scoppiare.
«Ok, hai vinto tu, Champion. Vado subito a comporti una schifosissima canzone su una teiera, così sei contento, va bene?» fece Chris, sarcastico. «Comandi tu, qui, giusto, siamo tutti ai tuoi ordini, quindi signorsì, vado a scriverti una bella canzone di merda.»
Will portò indietro la schiena.
«Tu sei un fottutissimo idiota, se pensi che io…»
«Ok, dai, basta, calmiamoci» disse Jonny, ora seriamente allarmato. Non era certamente la prima volta che discutevano, ma non erano mai arrivati ad insultarsi così. Si fece avanti tendendo le braccia in fuori, dato che Chris e Will si guardavano con astio palpabile ed erano pericolosamente vicini.
«Calmarsi un corno, Jonny, se il signor Champion vuole una canzone, avrà una canzone, è così che funziona, no? Che faccia schifo non importa, giusto?» lo sbeffeggiò Chris, guardando il batterista da oltre la spalla di Jonny. Will, rosso in viso, fece per andare avanti, ma Jonny gli posò le mani  sulle spalle, fermandolo.
«Seriamente, diamoci una calmata. Sediamoci e parliamone…»
«Cosa c’è di cui parlare, eh? Will comanda, io non conto, a chi importa…»
«Ma sei serio? Sei tu quello pieno di sé, qui dentro, tu…»
«Non ho fatto niente!» esplose il ragazzo, allargando le braccia. «Non ho fatto assolutamente niente, non capisco cosa…»
Guy incrociò le braccia dietro il basso.
«È proprio questo il punto, Chris. Non hai fatto niente.»
Il silenzio calò intorno a lui, gli occhi dei ragazzi puntati sulla sua figura, tesi.
«Non ci hai fatto sentire niente. Ma noi dovremo essere i tuoi migliori amici, se non ti fidi di noi abbastanza da farci sentire qualsiasi cosa tu stia componendo, è inutile che stiamo qui.»
Le sue parole sembrarono risuonare dentro il ragazzo, che si sentì improvvisamente svuotato.
«Io…»
Impotente, vide Will lanciargli un’ultima occhiata di fuoco e poi uscire, senza un’altra parola. Guy ripose con calma il basso nella custodia, poi andò via con un flebile “Ci vediamo.” Il soggiorno rimase dolorosamente silenzioso.
Jonny staccò la chitarra dall’amplificatore e la posò sul divano, poi si dispose a raccogliere le bacchette di Will e sistemare il groviglio di cavi sul pavimento. Chris rimase in piedi dove si trovava, lo sguardo fisso sulla parete di fronte.
«Sono stato un idiota, ho combinato un disastro, Jon» mormorò. Non sapeva cosa si aspettasse - forse una pacca sulla spalla, un “non preoccuparti, sistemeremo tutto”, un sorriso rassicurante di quelli che solo Jon sapeva fare – certamente non:
«Sì, sei stato un idiota. E uno stupido, un egoista e un egocentrico. Ma siamo in una band, Chris, nessuno è più importante, siamo tutti fratelli. Almeno credo.»
Non avrebbe mai pensato che la voce dolce e pacata di Jonny avrebbe potuto fare così male.
Jonny uscì silenziosamente e silenziosamente discese le scale del condominio. Gli sembrava di non sentire nemmeno i suoi passi. C’era solo silenzio, fuori come dentro di lui. Ovattato, grigio silenzio. Nulla. Come nello spazio.
Fuori sulla strada, le mani in tasca, diretto chissà dove, Jonny si rese conto che ora era a tutti gli effetti un astronauta: solo, circondato soltanto dal vuoto cosmico. Jonny aveva sempre voluto fare l’astronauta, ma poi aveva incontrato la musica e non avrebbe mai pensato di sentire la mancanza della sua chitarra, lassù nello spazio. 








***
Buonasera =)
Poca voglia di parlare stasera, spero solo che il capitolo vi piaccia, mi sono impegnata parecchio, tenevo molto che riuscisse bene. Spero che i vaneggiamenti di Jonny abbiano un senso per voi. 
Il brano è Star Sail dei The Verve: vi consiglio sopratutto di leggervi il testo, io l'ho adorato. Avevo pensato anche a Starsailor di Tim Buckley, ma l'altra la conosco da più tempo e ho avuto l'ispirazione per il capitolo ascoltandola. Se avreste preferito l'altra, ditemelo. 
Me ne vado, buonanotte.
Ah, Chris Martin è davvero caduto dal gabinetto quando ha letto il nome dei Coldplay nella rivista.

E.

 

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Capitolo 8
*** Cast No Shadow ***


Cast No Shadow
 
Mise giù il ricevitore e si passò una mano sugli occhi. Non ci voleva, non ci voleva…
Si voltò e uscì dalla cabina telefonica, poi si diresse verso la metropolitana.
Aveva appena parlato con Chris, dopo due giorni che non si faceva vedere al college. All’inizio aveva pensato che si fosse ammalato, anche se ciò non spiegava perché Will e Jonny la evitassero. Poi aveva parlato con Tim che le aveva raccontato del litigio.
Mai, in tante conversazioni che aveva avuto con Chris, aveva sentito la sua voce così stanca, scoraggiata, spenta. Lui, con quella voce calda e soave, vivace alle volte, o tremendamente malinconica, che sapeva giocare con il suo cuore come nient’altro… Si riscosse bruscamente dalle sue fantasie quando un treno le sfrecciò davanti, alzandole i capelli. Entrò appena in tempo, un istante prima che le porte si chiudessero.
Ancora non capiva bene che cosa stesse succedendo fra lei e il ragazzo, né tantomeno dentro di sé; ogni tanto si scopriva a guardargli intensamente gli occhi, o le mani, diverse volte l’aveva sognato.
Il treno partì bruscamente e la ragazza si aggrappò ad un sostegno per non cadere.
Ma perché, allora, la sua confessione a Capodanno l’aveva spiazzata tanto? Si era sentita imbarazzata, in colpa, a disagio per la prima volta da quando l’aveva conosciuto. Però, stargli lontano si era rivelato così difficile, la perseguitava nei suoi sogni sempre più spesso…
Il treno fermò a Camden Town e la ragazza scese, dirigendosi svelta in strada.
Le cose sembravano tornate come prima, dopotutto, ma c’era qualcosa negli occhi del ragazzo che le ricordava costantemente quella sera e non riusciva più a sciogliersi completamente. Era semplicemente confusa, forse. Aveva bisogno di tornare indietro, a quando potevano parlare senza freni, senza paure, quando poteva guardarlo negli occhi senza sentirsi un verme.
Sospirò, spingendo la porta del negozio. Decisa, si diresse subito verso lo scaffale dei classici: aveva perso la sua copia del Ritratto di Dorian Gray, ma aveva voglia di rileggerlo. Si fermò all’improvviso. Era Jonny quel ragazzo laggiù, con una copia di 1984 in mano? Delilah piegò la testa di lato, strizzando gli occhi. Sì, era proprio lui. Sorrise, incamminandosi nella sua direzione. Il ragazzo poteva aiutarla a mettere in atto un’idea bislacca su cui meditava da un po’. Per dirla come sua nonna, capitava proprio a fagiuolo.
 
♪♬
 
Quando uscì dalla sua camera andò quasi a sbattere contro Jonny, che usciva dal bagno. I due mormorarono scuse impacciate, senza guardarsi negli occhi, poi Chris si diresse in cucina e Jonny in camera sua. Il ragazzo strinse la mascella, prendendo una tazza e riempendola di latte. Era una situazione assurda, davvero assurda. Valutò se farsi un uovo strapazzato – non pensò nemmeno di farlo anche per l’altro –, ma si accorse di non avere nemmeno fame. Trangugiò il suo latte senza nemmeno sedersi, poi diede un’occhiata all’orologio. Diamine, rischiava di fare tardi se non si dava una mossa. Si passò una mano sulle guance; avrebbe dovuto radersi, detestava quella barbetta ispida, ma non c’era più tempo. Solo un paio di giorni a casa ed aveva completamente perso il ritmo della sua routine. Avrebbe anche potuto risparmiarseli quei tediosi giorni a casa, ma non si sentiva in vena di andare a scuola, affrontare domande, silenzi, il mondo esterno. Si diresse in bagno a lavarsi i denti. Sentiva distintamente lo scroscio dell’acqua e i rumori sommessi che venivano dalla camera di Jonny. Quel silenzio era innaturale a casa loro, pesante. Si sciacquò la bocca e tornò nell’ingresso. Jonny era ancora in camera sua. Strano, di solito non era così lento. Prese giacca e borsa ed uscì, lanciando un veloce “Io vado, a dopo”. Chiuse la porta prima di poter sentire la risposta del ragazzo e corse veloce giù per le scale, i passi pesanti. Si sentiva tutto pesante, oppresso, lento. Chissà che merda doveva sembrare da fuori, pensò: pallido, il viso tirato e la barba sfatta. Un mostro. Eppure sarebbe uscito con Lila nel pomeriggio. Il solo pensiero gli distese il viso. Decisamente una bella prospettiva, loro due soli, senza nemmeno qualche compito in mezzo. Sì, be’, forse non così bella, considerato lo strano rapporto che avevano negli ultimi tempi. Ecco, un’altra dimostrazione di che idiota colossale fosse. Quella serata... Scosse la testa per non pensarci, aprendo il portone del palazzo. Non fu investito dalla solita folata di vento gelido; al contrario, l’aria era insolitamente fresca, quasi piacevole. Alzò la testa. C’era addirittura un pallido sole e nemmeno una nuvola. Sì, tutto sommato forse sarebbe potuta essere una bella giornata.
 
♪♬
 
«Dove andiamo?» domandò, allacciata la cintura. Delilah sorrise con fare misterioso, mettendo in moto.
«Non te lo dico. Lo vedrai.»
Chris sbuffò divertito, roteando gli occhi.
«Ma devo sapere dove stiamo andando! Metti che succede qualcosa e ci separiamo e io non so dove sono?»
La ragazza gli rivolse un’occhiata divertita e non rispose. Chris sbuffò e si sistemò meglio sul sedile, tentando senza successo di distendere le gambe.
«A chi hai rubato la macchina?»
«Alla mia compagna di stanza. In realtà non è nemmeno sua, è del suo ragazzo, ma comunque. Non sono riuscita a trovare una carrozza migliore, perdonami.»
«Puzza anche un po’ di fumo…» scherzò il ragazzo.
«Pretenzioso.»
Il silenzio iniziò a dilatarsi scomodo. Chris sentiva una forte pressione opprimerli, tutte le cose non dette, i pensieri zittiti. Delilah si affrettò ad alleggerire l’atmosfera.
«C’è una cassetta, nella mia borsa, vuoi prenderla? Sta dietro» disse, inserendo la marcia. Chris si voltò verso il sedile posteriore, allungando il braccio finché non afferrò la borsa di tela di Delilah. Lo sguardo gli cadde sulla custodia di una chitarra posata tranquillamente sul sedile. Si voltò verso Delilah.
«Dove hai trovato una chitarra?»
«È la tua.»
«La mia?»
La ragazza annuì tranquilla, fermandosi al semaforo. Gli sorrise.
«Me l’ha portata Jonny stamattina.»
Chris spalancò gli occhi.
«Ecco perché era così lento stamattina ed è uscito per ultimo! Era tutto un piano per rapirmi, una congiura!» Guardò meravigliato la ragazza ridente, poi incrociò le braccia con aria infastidita. «Cos’è, una trovata per farci fare pace? Ci rinchiuderai tutti in una stanza e aspetterai che ci sbraneremo?»
Lei gli rivolse un’occhiata penetrante.
«Chris…»
«Be’, è inutile, stavolta non ho fatto proprio niente, e almeno Jonny poteva restarmi vicino, invece di voltarmi le spalle, l’amico…»
«Chris…»
«Ma non ho nessuna intenzione di discuterne, non ho voglia di un’altra lavata di capo, ci hanno già pensato Phil e Tim, grazie tante…»
«Chris!»
Il ragazzo ammutolì e si voltò a guardarla.
«Non ho alcuna intenzione di discutere della band, se non vuoi. E non è una congiura, ho solo pensato che, ecco, avessi bisogno di un po’ di tempo per svagare, stare tranquillo, lontano dal mondo per un po’…» mormorò la ragazza. Tentò una fugace occhiata di lato. Non aveva mai visto uno sguardo più pieno di gratitudine e affetto in vita sua.
«Se hai anche del cioccolato, ti sposo.»
Lei arrossì.
«Scemo…» mormorò. Chris, gli occhi brillanti, frugò nella borsa traendone poi una barretta di cioccolato, trionfante.
«Sììì! Cioccolato!» esclamò il ragazzo, al pari di un bambino, per poi sporgersi dal sedile e abbracciarla con foga. La ragazza strabuzzò gli occhi e lo scostò in fretta con il gomito.
«Sto guidando, idiota!» lo rimproverò, ridendo. Chris rise con lei e fece per scartare la barretta, poi si fermò.
«Posso?»
Lei fece una smorfia.
«L’avrei tenuta per dopo… Guarda che il pomeriggio è lungo.»
«Ti preeego!» implorò lui, spalancando gli occhi.
«Che bambino… Va bene, ma solo un quadrato» rispose, fingendosi esasperata. Ma non poté fare a meno di ridere alle sue esclamazioni di gioia e al suo viso contento mentre mangiava. In fondo, non faceva altro che nascondere la sua frustrazione, la sua rabbia e tristezza dietro gli occhi innocenti e giocosi di un bambino. Il piccolo Chris…
Il ragazzo sospirò soddisfatto, quando anche l’ultima scia di cioccolato svanì dalla sua bocca. Niente lo rimetteva più di buon umore del cioccolato. Ripose il restante della tavoletta nella borsa e frugò all’interno fino a tirarne fuori una cassetta.
«English Stars» lesse, dando un’occhiata ai titoli delle canzoni che Delilah aveva diligentemente scritto sulla custodia. «Wow. Cos’è questo titolo patriottico, ragazza scozzese?» scherzò, inserendola nel lettore. Delilah si strinse nelle spalle.
«Buona musica tutta inglese. Avete fatto qualcosa di buono.»
La tenue melodia di Yesterday riempì il vuoto. Il senso di quelle parole colpì Chris violentemente. Chiuse gli occhi, lasciando cadere il capo sul poggiatesta. Delilah gli lanciò un’occhiata fugace.
«Ha ragione, eh? Yesterday, all my troubles seemed so far away. Come cambia tutto in un attimo» mormorò, concentrata sulla strada. Chris aprì gli occhi.
«Lila…  Ho pensato molto a quello che ci siamo detti l’altra volta. Io… Non voglio che tu ti senta in colpa, né niente. Voglio che le cose siano normali, che vada tutto come prima, senza pressioni, ti prego. Io… Voglio soltanto rimanere tuo amico, Lila, e sono disposto a tutto, anche a smettere di scrivere canzoni sdolcinate. Che ti ricordo, comunque, fanno la mia fortuna: all’ultimo concerto, sabato, gli applausi per Shiver non finivano più.»
Non la guardò negli occhi, perché sapeva che non avrebbe retto il suo sguardo. E forse non voleva nemmeno sapere che cosa ci avrebbe letto.
«Però, davvero, basta con tutte queste storie: rimaniamo due amici che si godono il pomeriggio, eh?» disse timidamente, azzardando un’occhiata. Colse un fugace movimento della mano della ragazza che scendeva dal viso e tornava a posizionarsi sul volante. La vide annuire mordendosi il labbro, lo sguardo fisso davanti a sé. Ma quando finalmente lo guardò, sorrideva. Anche Chris sorrise, sentendosi più leggero, mentre una brillante canzone degli Oasis gli riempiva le orecchie.
 
♪♬
 
«Manca ancora molto? Diamine, ma Hyde Park non andava bene? Per forza questo parco sperduto nel nulla?» sbuffò il ragazzo, arrancando fra gli alberi, la chitarra in spalla. Delilah, qualche metro avanti a lui, sorrise giocosa.
«Manca poco, pigrone, siamo quasi arrivati. E ad Hyde Park non avresti mai avuto un posto così» disse, oltrepassando la fine del boschetto e procedendo attraverso una spianata erbosa. Chris le trotterellò dietro, borbottando.
Camminarono ancora per qualche minuto, finché Chris non vide la testa rossa di Delilah scomparire. Si affrettò in avanti. Delilah era appena scesa giù per il fianco di quella che sembrava una collinetta, ed ora lo aspettava qualche metro più in basso, sorridente. Chris si affrettò a scendere, senza badare troppo a dove metteva i piedi, troppo affascinato dallo spettacolo che aveva davanti. Uno piccolo specchio d’acqua scintillava al bianco sole di quel giorno, incastonato lì in mezzo al nulla; la riva era sabbiosa, lunga una trentina di metri, inframmezzata di arbusti, un piccolo molo di legno si protendeva sull’acqua. Quella era praticamente l’unica sponda dove ci fosse un po’ di spiaggia: per quel che poteva vedere Chris, il resto del lago era circondato da rocce e bosco, lo stesso, probabilmente, da cui lui e Delilah erano appena usciti. Non c’era un suono. Chris sorrise.
«Allora? Che ne dici?»
«Avevi ragione. È un gran bel posto» ammise il ragazzo, posando la chitarra a terra, rivolgendo finalmente gli occhi alla ragazza sorridente.
«Ora qual è il piano? Facciamo un tuffo?»
«Ah, veramente preferirei non ammalarmi, sai com’è, fa un po’ freddino… Ma tu fai pure» scherzò la ragazza, posando la borsa e un plaid arrotolato a terra. Chris si strinse nelle spalle.
«Come vuoi.»
Delilah lo osservò basita chinarsi e togliersi scarpe e calzini.
«No, aspetta, vuoi entrare davvero?»
Chris rivolse un’occhiata calcolatrice all’acqua, prima di tornare a guardare la ragazza.
«Mh, forse fa un po’ freddo, non dovrei bagnarmi la testa.»
Delilah lo fissò esterrefatta, gli occhi spalancati.
«Non vorrai veramente… è il venti di Gennaio!»
Chris contrasse il viso tentando di rimanere serio, ma scoppiò a ridere.
«Andiamo, pensi davvero che sia così stupido? No, che non mi tuffo» sorrise. «Però una passeggiata la farei. Vieni?»
Delilah tirò un sospiro di sollievo e annuì, poi passò a togliersi scarpe e calze a sua volta, arrotolando poi il bordo dei jeans. Chris intanto era già entrato con i piedi in acqua, le dava le spalle. Lei lo raggiunse lieve, insieme si incamminarono lungo il perimetro del lago, parlando piano. L'acqua era piacevolmente tiepida.
«Pensavo di trasferirmi, prima dell’estate. Ho trovato un buon appartamento lì a Camden, qualcosa come tre strade dopo casa vostra, altrimenti a Maple Street, un bell’appartamento… Devo trovare solo una coinquilina, non posso pagare l’affitto da sola.»
Chris annuì, tentando di localizzare Maple Street, senza successo.
«E devo trovare un lavoro» sospirò la ragazza, affondando le mani nelle tasche della giacca.
«Hai pensato a cosa vuoi fare dopo? Dopo gli esami?» domandò il ragazzo, guardando l’acqua. Lei si strinse nelle spalle.
«Mia mamma vorrebbe che tornassi a Glasgow, dice che le manco» sorrise, nostalgica. «Ma io non lo so, non ho molta voglia di tornare, non saprei cosa fare. E poi, Londra mi piace, ha così tante possibilità…»
«E quindi?» incalzò il ragazzo, guardandola. «Qual è il tuo sogno?»
Lei spostò lo sguardo dal suo viso all’acqua, poi di nuovo al suo viso, riflettendo.
«Ho scelto lettere classiche perché mi piace la letteratura, ma non voglio passare la vita a tradurre versi o fare l’insegnante. Mi piacerebbe scrivere, sai. Non so cosa, ma in fondo è l’unica cosa che so fare veramente» disse, allargando le braccia e guardandolo. Lui sorrise teneramente.
«Qualunque cosa farai, la farai bene, ne sono certo» disse, fermandosi. Lei gli sorrise riconoscente.
«Ah, e comunque, hai presente quella libreria vicino alla metropolitana? Proprio vicino alla fermata di Camden Town?»
Lei annuì. Conosceva benissimo quella libreria.
«Cercano un assistente. Ho visto l’annuncio stamattina.»
La ragazza spalancò gli occhi.
«Perfetto! Ci andrò subito domani. Grazie, Chris.»
«Figurati» sorrise lui, riprendendo a camminare. La ragazza pensò di domandargli che cosa pensava di fare lui, finito il college, ma la risposta le giunse da sola quando vide la custodia della chitarra sulla spiaggia. Inoltre, era una questione leggermente spinosa quella della band, al momento, meglio non infierire.
«Da quanto tempo conosci questo posto?» le chiese intanto il ragazzo, scrutando il fondale ai suoi piedi. Lei arrossì.
«C-ci sono venuta un paio di volte. Tempo fa» spiegò in fretta. Non gli sembrava il caso di dirgli che ci era venuta con un ragazzo, al primo anno.
Chris annuì distrattamente, poi si chinò e raccolse un sasso piatto e liscio.
«Sta’ a vedere» disse spavaldo, per poi chinarsi e lanciare il sasso.
«… Tre, quattro, cinque signore e signori!» esultò, alzando i pugni al cielo. Delilah lo guardò con aria di sfida, per poi chinarsi a prendere un sasso a sua volta.
«Quello era un bel lancio? Sta’ a vedere, pivello.»
Il sorriso di Chris si afflosciò poco a poco, mentre contava ben sei rimbalzi.
«Come diavolo hai fatto? Hai imbrogliato, non è possibile!» protestò, mentre la ragazza rideva.
«Anni di pratica. C’est la vie, che vuoi farci, io son brava e tu no» disse con aria di sufficienza, per prenderlo in giro. Scoppiò a ridere nel vedere l’aria pateticamente scoraggiata del ragazzo, si sporse verso di lui e gli diede un bacio veloce su una guancia, con l’aria adorabile e impertinente di chi ha appena fatto una marachella ma sa che verrà perdonato.
«No, no, niente compassione, voglio soltanto cioccolato adesso» protestò il ragazzo, fingendosi offeso e marciando verso la spiaggia, dove avevano lasciato i loro averi. In realtà voleva solo nascondere la forte emozione che si era impadronita di lui al tocco delle sue labbra. Sentiva la guancia bruciare, le mani formicolanti.
Ridendo, la ragazza lo seguì, ignorando la strana sensazione allo stomaco. Distesero il plaid a terra, ci si sedettero sopra e si divisero la barretta di cioccolata.
«Ora devo rifarmi con qualcosa che io so fare e tu no» annunciò Chris, una volta divorata la sua cioccolata, alzandosi in piedi con un balzo. Aprì la custodia e ne trasse fuori la sua chitarra, si risedette al fianco della ragazza a gambe incrociate e si posò la chitarra in grembo.
«Allora, ma’am… Richieste particolari? Suono qualunque cosa, tranne country e Spice Girls» annunciò, accordando lo strumento. Lei sorrise, portandosi la ginocchia al petto e incrociandovi le braccia.
«Puoi suonare quelle canzoni che non hai voluto far sentire agli altri» suggerì tranquilla, come se avesse fatto il nome di una canzone qualunque. Chris smise di accordare e la guardò. Delilah vedeva un leggero rimprovero nei suoi occhi, ma si sforzò di sostenerli.
«Voglio solo sentire. Io non sono la tua band, non devo giudicare nulla» si difese.
Chris non staccò gli occhi dai suoi, cercando di capire che cosa voleva veramente, poi, senza dire altro, li abbassò e attaccò a suonare. Erano giusto pochi accordi, strimpellati delicatamente sul momento, ma potevano essere una buona base. Il problema erano le parole. Aveva una sorta di confusa nube di parole che gli fluttuava in testa da giorni, ma non riusciva a vederle bene o riordinarle. Si interruppe presto e alzò lo sguardo su di lei, con aria polemica.
«Ecco tutto ciò che sono riuscito a fare in più di un mese, spero ti piaccia.»
Lei alzò la testa dalle braccia dove l’aveva appoggiata, accigliata.
«Guarda che non era male. Poteva diventare qualcosa di buono. Con le giuste parole…»
«È proprio questo il punto! Non riesco a trovare le parole! E quei… grandi amici mi hanno subito dato addosso, non hanno nemmeno provato ad aiutarmi, quei…»
«Chris.»
Il ragazzo chiuse gli occhi, mordendosi il labbro. Incredibile come bastasse solo il suo nome, pronunciato da quella voce, a trasmettergli tante cose. Calmato, riaprì gli occhi.
«Vieni, camminiamo» suggerì la ragazza, già in piedi, tendendogli una mano. Lui l’afferrò e posò la chitarra, alzandosi. Scalzi com’erano, si incamminarono lungo il limitare dell’acqua. Chris sentiva la rabbia e la frustrazione che aveva represso per tanti giorni riaffiorare ad ogni passo, colmandolo. Finché non straripò all’improvviso.
«Davvero non capisco dove ho sbagliato! Ok, avrei dovuto fargliele sentire, ma non ero sicuro, non piacevano nemmeno a me! Ho soltanto chiesto aiuto, nient’altro. E Will non fa che darmi addosso, ce l’ha con me perché io canto, ci scommetto… E Jonny! Io mi fidavo di Jonny, porca miseria, è il mio migliore amico! E invece sono quattro giorni che non mi parla, da domenica! Io ci ho provato, ti giuro, ho provato a scusarmi, ma niente, sta zitto e mi ignora, o sparisce. Di solito lo vedo la mattina e la sera. Will mi evita nei corridoi, Guy non so più che fine abbia fatto, Phil mi odia perché ho distrutto la band… Non so più dove andare a sbattere la testa, davvero.»
Delilah rimase in silenzio, fissando la sabbia che i loro piedi andavano a calpestare. Arrivarono al molo e vi salirono. Non si tenevano più per mano.
«Capisco cosa ti frustra, ma anche loro hanno ragione. Avresti dovuto fidarti e fargliele ascoltare, Chris, così ti avrebbero aiutato. Non possono certo leggerti nella mente e capire quando hai bisogno di loro se tu stai in silenzio.»
Lui la guardò. Aveva ragione, aveva maledettamente ragione. Lasciò cadere la testa.
«Sono stato un idiota.»
«No, Chris» sospirò lei, sorridendogli, anche se lui non poteva vederla. Delicatamente, sfiorò la sua grande mano e la strinse, intrecciando le sue dita con le proprie. Una piacevole sensazione si impadronì di entrambi.
«Sei solo difficile da accontentare.»
Lui si fermò improvvisamente, girandosi a fronteggiarla.
«No» sussurrò, accigliato. «No, io non sono difficile da accontentare. Davvero, io non ho queste grandi ambizioni. Insomma, voglio che le cose siano fatte per bene, ma non mi sembra di chiedere troppo. E in fondo, in generale, nella vita, so che sarei felice con poco, mi basterebbe poter dividere la vita con la persona giusta, vivere tutte quelle piccole cose che ti rendono vero e vivo, e basta. Non mi interessa la fama, i soldi, niente, nemmeno la laurea, veramente. Vorrei solo…» si bloccò, gli occhi persi in quelli della ragazza. Eppure non la guardava veramente, piuttosto vedeva nei suoi occhi il riflesso dei suoi desideri.
Lei gli si avvicinò, tesa, cercando di capire cosa veramente volesse dire.
Erano fermi sul limitare del molo. Le ombre si perdevano nell’acqua. Fronteggiavano il sole.
«Quelle piccole cose che ti rendono vivo…» ripeté lei, la voce spezzata.
«Sì, quelle cose della vita di tutti i giorni, perché in loro c’è tutto. Dare un bacio, cantare una canzone, sorridere, guardare il sole, io…» disse il ragazzo, alzando gli occhi da quelli della ragazza.
«Sei semplice da accontentare, allora.»
Lui annuì, perso. Easy to please.
Annuì con sempre più foga, un sorriso che iniziava a dispiegarsi sul suo volto.
«Easy to please» mormorò, per poi voltarsi e correre verso la spiaggia, senza lasciare la mano della ragazza, che lo seguì stupita. Arrivato al plaid, si mise a tracolla la chitarra, le mani tremanti di eccitazione. Chiuse gli occhi e deglutì. Poi aprì le labbra e cantò, la voce vibrante.
«Love… I hope we get old.
I hope we can find a way… a way of living… no, seeing it all, .
Love… I hope we can… be.
I hope you can… I hope I can find a way… of making… letting you see
La voce era incerta, ogni tanto ripeteva qualche parola, cercando quella giusta. Arrivato alla fine della strofa, strizzò gli occhi, teso, concentrato, le sopracciglia corrugate, si alzò in punta di piedi.
«That I’m… so… Easy to please.
So… Easy.»
La sua voce si tendeva al massimo, toccava note altissime, cercando di esprimere, forse, quanto il suo animo credesse in quelle parole.
Accarezzò ancora un altro paio di accordi, per chiudere il giro, poi smise, lasciando che l’ultimo suono vibrasse nell’aria. Deglutì e riaprì gli occhi, timoroso, il respiro corto.
Delilah, in piedi davanti a lui, aveva la testa bassa. Quando alzò gli occhi, scintillavano di lacrime. Chris incontrò quegli occhi e capì che lei aveva capito. Aveva capito che si sarebbe accontentato di poco, anche solo di un bacio, ma che sarebbe dovuto essere il bacio più puro e vero del mondo, niente mezzi termini, niente compromessi. Vivere la pienezza nelle piccole cose. Ed era esattamente ciò che anche lei voleva, nel profondo del suo cuore, per un attimo la sua voce gliel’aveva fatto capire chiaramente. Ma ora, che il silenzio aveva di nuovo preso il sopravvento, sentiva solo una grande confusione.
«Io… Non so che dire, è…» delicata, sensibile, toccante, meravigliosa, stupenda. «Chris, è bellissima.»
Il ragazzo sorrise e un’ondata di sollievo sommerse tutti e due.
«Grazie» mormorò. Poi si sedette, la chitarra in grembo. «Carta e penna, per favore.»
 
♪♬
 
La risata riecheggiò ancora un po’ nell’aria. Delilah si asciugò gli occhi, portandosi contemporaneamente una mano alla pancia dolorante. Gesù, erano secoli che non rideva così, non sapeva nemmeno bene per cosa. Eppure era così naturale e giusto, starsene semplicemente così, sdraiati a pancia in su su quel plaid, le teste vicine, a parlare di tutto e niente. Si portò una mano agli occhi per schermarli dai raggi obliqui del sole.
«Si sta facendo tardi, forse è meglio andare. Fra meno di un’ora fa buio» mormorò.
«No, non ne ho voglia» protestò il ragazzo. Non aveva alcuna voglia di tornare nel mondo caotico e trafficato, era mille volte meglio starsene lì, solo con la sua Lila. Non ricordava di aver mai passato un pomeriggio così.
«Ah-ah, allora ho fatto bene a portarti fin qui, ammettilo!» disse la ragazza, trionfante, voltando la testa verso di lui. Lo vide sorridere, senza staccare gli occhi dal cielo sopra di loro.
«Intendi dopo un’ora e passa di viaggio in quel catorcio, con un solo quadrato di cioccolata come sostentamento? Sì, hai fatto bene» scherzò, poi volse la testa verso di lei.
«Grazie, Lila.»
Il suo sorriso si allargò, mentre, incatenata a quegli occhi, si sentiva pervadere tutta da un mare di sensazioni nuove per lei ma antiche come il mondo, che la scombussolarono e le fecero perdere il senso dell’orientamento, ma la riempirono di un calore e un benessere indescrivibili.
«Non c’è di che.»





***
'Sera a tutti! Sì, sono già qui con un altro capitolo appena una decina di giorni dopo quello prima, non è da me, ma m'era presa una frenesia di scrivere mai vista, giustificatemela con delle recensioni, su =) E' stato difficile, comunque, scrivere su Chris, non riuscivo ad entrare bene nella sua testa e non penso di esserci riuscita per bene, alla fine. Comunque, la canzone è la meravigliosa Cast No Shadow degli Oasis: consiglio di ascoltarla, è favolosa. Il brano che Chris compone è Easy To Please (ma va?), che vuol dire, appunto "facile da accontentare". Ok, basta, tolgo le tende. Alla prossima gentaglia! (che potrebbe arrivare molto presto come molto molto tardi. Più probabile la seconda, forse.)
E.  

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Capitolo 9
*** Let it Bleed, Jealous Guy ***


Let it Bleed, Jealous Guy

Più leggeva, meno capiva. Porca miseria, metà di quello stramaledetto testo era in latino! Perché mai dovevano usare il latino? Non era abbastanza l’inglese? Stupidi scrittori… Sbuffò, chiudendo seccato il libro. Lo spostò da parte e ne aprì un altro.
Ci vorrebbe Chris per capire ‘sta roba, si ritrovò a pensare.
Con il piccolo problema, cervello, che io con Chris non ci parlo da tutta la settimana, dato che è uno stronzo dalla testa ai piedi.
Strinse i denti e cercò di focalizzarsi sulla pagina che aveva davanti. Quando finalmente riuscì a concentrarsi abbastanza da leggere in pace, vide dei libri atterrare con un tonfo davanti a lui. Alzò lo sguardo pronto a fulminare lo scocciatore, ma incrociò gli occhi determinati di Delilah.
«Ciao, Will.»
Si sedette davanti a lui tranquilla, a proprio agio.
«Ciao» la salutò circospetto, corrugando le sopracciglia. Che intenzioni aveva? Non parlando con Chris, per estensione, non parlava nemmeno con lei. Quindi cosa voleva, perché era venuta a cercarlo? C’erano decine e decine di tavoli in biblioteca, e a quell’ora avrebbe sicuramente trovato posto altrove. Quindi?
La ragazza ignorò la sua occhiata indagatrice e vagamente irritata e aprì il suo libro, per poi iniziare a leggere. Anche Will, allora, tornò sulla pagina che stava leggendo, ma non riusciva a concentrarsi. La presenza della ragazza lo infastidiva. Lasciò andare le mani sul tavolo, esasperato.
«Ok, cosa c’è? Cosa vuoi?»
Lei alzò lentamente gli occhi dal libro, puntandoli in quelli scuri del ragazzo.
«Io? La pace nel mondo, un nuovo paio di calze e l’ultimo disco dei Beatles in vinile. Ah, e che tutti i miei amici tornino ad essere tali. Ma forse questo è chiedere troppo» disse, piegando la testa di lato, il volto calmo e tranquillo. Will sentì una lieve ondata di rabbia infrangersi nel suo stomaco.
«Senti, non sono fatti tuoi, Delilah, è una cosa fra me e la band…» rispose, tentando di rimanere calmo. Ma a Delilah non sfuggì la vibrazione di rabbia nella sua voce.
«Sì, ma Chris fa parte della band, ed è mio amico, quindi sono anche fatti miei. Altrimenti perché avresti evitato di parlare anche con me?»
Non fa una piega, pensò Will, lasciandosi sfuggire un sorriso sarcastico.
«Benissimo, allora. Parla» disse, incrociando le braccia e appoggiandosi indietro allo schienale.
«Io non ho nulla da dire. Tu piuttosto» rispose calma lei, accennando un sorriso cordiale.
«Sei venuta tu qui!»
«Perché tu hai bisogno di parlare. E io di capire il pensiero della controparte. Quindi coraggio, vuota il sacco» disse, in un tono sicuro che non ammetteva repliche, pur rimanendo gentile. Will la guardò stupito e irritato.
«Non ho bisogno di parlare, sono a posto, grazie.»
«Come vuoi» rispose serafica lei, tornando a leggere il suo libro. Will rimase sconcertato, poi abbassò la testa sul suo volume. Dopo diversi minuti passati a fissare le stesse parole, chiuse di scatto il libro e alzò lo sguardo sulla ragazza, che sobbalzò, impreparata.
«Ok, visto che ci tieni, ne parliamo. Cosa vuoi sapere, perché non parlo con Chris? Perché è uno stronzo, ecco perché. E poi, perché diamine dobbiamo parlare sempre solo di Chris? Non c’è soltanto lui, porca puttana, siamo in quattro in quella band, quattro! E non ci chiamiamo “Chris Martin e gli allegri compagnoni” siamo i Coldplay, tutti insieme. Però la gente continua a guardare solo a lui. E va bene, ha una bella voce, scrive belle canzoni, ma ci siamo anche noi, non stiamo mica lì a fare niente. Anzi, direi che Chris, senza di noi, non andrebbe proprio da nessuna parte. Il problema, adesso, è che lui sta cominciando a montarsi la testa, o a credere di essere un direttore d’orchestra, e non ci reputa al suo livello, forse. Ok, da quando abbiamo cominciato a suonare canzoni nostre, Chris ha sempre scritto i testi, sempre, perché è quello che scrive meglio e bla bla bla. E ok, scrive lui, chi contesta? Le melodie anche di solito le compone lui, le arrangia in un paio di accordi alla chitarra, e poi ci fa sentire il tutto e noi sistemiamo, tutti insieme. È lavoro di squadra, e ha sempre funzionato fino ad ora. Magari fa sentire i suoi abbozzi di canzone prima a Jonny, perché gli è più vicino, sono quasi fratelli, ma subito dopo li fa sentire anche a noi. E ora invece che fa? Scrive e non ci fa sentire niente! Si sente così al di sopra di tutti da pensare che non siamo degni delle sue canzoni. È così bravo, lui, che riesce benissimo a scrivere canzoni tutto da solo, magari scrive anche le nostre parti, perché no? E così, visto che si ritiene tanto bravo, e noi siamo tanto indegni delle sue canzoni, se le tiene per sé. Bene, bravo. Ma ecco il problema: lui non riesce a combinare niente da solo, e allora viene a piagnucolare da noi. E io, se permetti, ne ho abbastanza, sono stufo di venire bacchettato da Chris, che non si fida nemmeno di noi. Di’ quello che ti pare, ma è lui quello in torto.»
Respirava pesantemente, finito di parlare. Delilah aveva abbassato lo sguardo, ora fissava i ghirigori che scarabocchiava con la matita sul margine del libro. Will abbassò a sua volta gli occhi, sentendosi vulnerabile. Deglutì, cercando di sedare l’ondata di rabbia che ancora imperversava dentro di lui.
«Non hai mai pensato che Chris potesse aver paura del vostro giudizio? Che forse temeva di non essere all’altezza delle vostre aspettative?»
«Ma non è la prima volta che scrive qualcosa! Ha sempre…»
«Signor Champion!»
Will e Delilah voltarono la testa, trovandosi davanti la bibliotecaria con l’indice puntato contro Will e un’aria alquanto irritata.
«Sono cinque minuti che strepita, siamo in biblioteca! Un’altra parola e la caccio fuori!»
Will annuì, mormorando qualche scusa, mentre Delilah si mordeva le labbra per non ridere.
«Forse è meglio se ne parliamo davanti ad un tè?» suggerì la ragazza, mentre la bibliotecaria si allontanava.
«No, scusa, ma devo andare adesso» rifiutò in fretta Will, alzandosi. Le parole della ragazza l’avevano scosso, gli avevano inculcato una strisciante sensazione di disagio, senso di colpa e consapevolezza di aver sbagliato.
«Va bene» disse la ragazza, sorpresa. «Ma pensa a quello che ti ho detto, prova a metterti nei panni di Chris. È molto più insicuro di quanto credi.»
«Ma è il nostro leader, è quello che dovrebbe guidarci…» protestò debolmente Will, raccogliendo le sue cose.
«Ma forse non se l’è scelto lui, il ruolo…»
Gli occhi di Delilah erano straordinariamente vividi, decisi, quando Will li incontrò. Lei aveva fiducia in Chris, e anche in lui. Will abbassò gli occhi.
 
♪♬
 
 
«Permesso… E fatemi entrare… Scusate, permesso…»
C’era una calca assurda sull’autobus. Joanna non c’era abituata, di solito a quell’ora stava mangiando il suo pranzo da qualche parte, ma quel giorno si era trovata a girare per Londra, per il suo progetto di design. Si aggrappò ad un sostegno mentre l’autobus partiva sgommando, ma venne ugualmente sbalzata in avanti, andando a scontrarsi con una ragazza dai capelli rossi che le volgeva la schiena.
«Scusa.»
«Nulla, non preoccuparti» rispose la ragazza, voltandosi. «Oh, ciao Joanna.»
«Ciao, Delilah» mormorò l’altra, mal celando l’irritazione. Una volta che prendo l’autobus e me la ritrovo fra i piedi…
«Quanta gente, eh?» disse Delilah, aggrappandosi alla sbarra mentre l’autobus svoltava bruscamente.
«Già» rispose l’altra, voltando la testa dall’altra parte. Avrebbe guardato fuori dal finestrino, se fra lei e il finestrino non ci fossero state almeno tre persone. Stupidi autobus. Lo sapeva che avrebbe dovuto prendere la metro…
«Sai di Chris e i ragazzi, immagino.»
Tornò a guardarla. La conversazione iniziava a vertere su pianeti interessanti.
«Certo, Guy me l’ha raccontato.»
«Anche tu pensi sia tutta colpa di Chris?»
Joanna sollevò un sopracciglio, incuriosita.
«Vuoi davvero che inizi a sparare sentenze sul tuo fidanzatino?»
Delilah avvampò e abbassò lo sguardo.
«Non è il mio fidanzato» mormorò.
«Ah, già, dimenticavo, siete in questo assurdo limbo… Sei tu che non vuoi metterti con lui, a quanto ne so io, non è così?»
«Ti sbagli, è più complicato di così…» tentò di scolparsi Delilah, placando un’ondata di irritazione.
«Ah, sì? A me non sembra complicato, non capisco perché la tiri tanto per le lunghe: o ti piace o non ti piace. Se non ti piace, lascialo perdere e gli fai un favore; se ti piace…»
«Non capisci, noi siamo amici da tanto. Io non… non sono sicura di quello che provo davvero, ma ho paura a buttarmi. Se poi non dovesse funzionare, non torneremmo più amici.»
Joanna si trattenne dal roteare gli occhi.
«Delilah, lasciatelo dire, sei patetica. Era già abbastanza patetico Chris quando andava in giro sospirando e chiedendosi se doveva dichiararsi a te o meno, ma tu batti tutti i record.»
Delilah alzò la testa risentita e fece per ribattere, ma l’altra la precedette.
«Che ne sai se tornereste amici o no? Che ne sai se funzionerà o no? Potrebbe funzionare e finireste per sposarvi e fare tanti bambini biondi e rossi, o potreste lasciarvi ma rimanere amici, come fai a saperlo?» disse, guardandola con intensità. «Ti rendi conto che stai sprecando tempo prezioso a sospirare e farti dilemmi, quando potresti essere molto più felice? Guarda che non si torna mica indietro, la vita è una.»
Delilah deglutì e distolse lo sguardo. Una vocina nella sua testa applaudiva a gran voce Joanna, un’altra continuava a dire che provarci con Chris sarebbe stato rischioso, un’altra proclamava orgogliosa che non si sarebbe mai messa con lui tanto per provare, e una quarta dichiarava che Joanna era solo una starnazzante sputa sentenze.
«In ogni caso, non voglio parlare di Chris. Mi chiedevo soltanto se sapessi che cosa pensa Guy, che cosa hanno intenzione di fare. C’è qualche speranza che facciano pace?» tagliò corto, senza guardare Joanna negli occhi.
Lei sospirò, notando l’improvviso cambio di argomento, ma decidendo di non infierire oltre.
«Ho parlato ieri sera con Guy. È davvero giù, questa storia lo sta deprimendo da morire, fuma molto più del solito. E pensare che hanno litigato per una sciocchezza in fondo… Bah, non parlo, non vorrei insultare il tuo Chris davanti a te…» disse con aria quasi indifferente, tenendo d’occhio gli scorci di strada che intravedeva fra una spalla e l’altra. «Devo scendere, è la mia fermata. Ci si vede in giro.»  
Delilah la salutò distrattamente e Joanna si fece largo fino all’uscita. L’aria di Londra era ancora più pungente dopo il caldo soffocante dell’autobus. Intravide per un momento il viso pensieroso di Delilah ad un finestrino e non poté trattenersi dal sorridere amaramente. Avrà avuto anche mille qualità più di lei – bastava pensare che tutti i ragazzi stravedevano per lei,  conquistava chiunque con quei modi gentili, amabili e quel visetto disgustosamente carino – ma Joanna si sentì improvvisamente fiera di chi era, e soprattutto di sentì orgogliosa di saper vivere. A quanto sembrava, nemmeno miss-perfezione Delilah ne era capace. Sorrise, dirigendosi svelta verso l’appartamento di Guy.
 
♪♬
 
Riportò i bicchieri vuoti in cucina e li mise nel lavello, decidendo che li avrebbe lavati più tardi. Tornò in soggiorno e fece per prendere il posacenere da svuotare, quando notò un oggetto violaceo sul divano. Lo prese in mano. Il braccialetto con cui Joanna stava giocherellando, l’aveva dimenticato lì. Rifletté se fosse il caso di correrle dietro e ridarglielo, ma era già uscita da cinque minuti, probabilmente era sulla metro. Se lo mise in tasca, pensando che gliel’avrebbe ridato il giorno dopo. Dimenticò il suo proposito di svuotare il posacenere, afferrò sigarette e accendino e si diresse alla finestra - Joanna detestava che fumasse in casa.
Buttò fuori il fumo, ripensando a quello che la ragazza gli aveva detto. Con la mano che teneva in tasca, si rigirava fra le dita il braccialetto viola. Forse era davvero ora di ricominciare…
Squillò il campanello. Si diresse calmo alla porta, pensando che forse Joanna si era ricordata del bracciale.
«Mark?»
«Ciao anche a te, fratellino» sorrise il ragazzo, oltrepassando il fratello stupito ed entrando senza cerimonie nell’appartamento.
«Che ci fai qui?»
«Vengo a visitare il mio fratellino, perché? Sembra così strano?» disse con aria innocente, togliendosi il cappotto, che lasciò sul divano, su cui poi si sedette comodamente.
«Hai una sigaretta da offrirmi?»
Guy gli allungò il pacchetto e gli lanciò l’accendino, il viso oscurato.
«Che ci fai qui?» ripeté, in piedi di fronte all’altro, sulla difensiva. Il fratello si accese tranquillamente la sigaretta, la portò alle labbra e ne trasse un tiro. Soffiò lentamente il fumo.
«Non ti siedi? Volevo solo parlare.»
Guy socchiuse gli occhi, ma non si mosse. La mano in tasca, accarezzava le perline del braccialetto. Mark sorrise.
«Ho visto Joanna alla metro. Quant’è bella…»
«Hai bevuto?»
«Mmmh? Oh, no. No, non credo. Ma lo penso sul serio. È davvero bella, sei fortunato fratellino. Proprio fortunato.»
Ancora quel sorriso. Sornione, irriverente e sottilmente inquietante.
«Pensavo che è davvero ingiusto che a te capiti tutto il meglio. Sai, ha chiamato mamma prima. Voleva parlare con te veramente, non so perché non ti abbia chiamato. Ha chiamato me, ma parlava di te. Diceva di salutarti tanto, le manchi tanto, ti vuole tanto bene, il piccolo Guy, voleva conoscere Joanna, e non vedeva l’ora di rivederti. Ah, sì, voglio bene anche a te, Mark. Già, se avanza tempo, rimane anche qualcosa per Mark, certo.»
«Di che cosa stai parlando?» domandò Guy, la sigaretta che ormai si stava consumando fra le sue dita, dimenticata. Sentiva solo un lento dolore nel cuore, alle parole di suo fratello, al suo sguardo.
«Di che sto parlando? Sto parlando del fatto che sei un emerito idiota. Tu, e quei coglioni dei tuoi amici. So che avete litigato, me l’ha detto mamma. Era anche molto in pensiero per questo. Siete degli idioti, e sai perché? Perché non riuscite a capire che grande opportunità avete, quanto cazzo siete fortunati, ad avervi, a stare vivendo tutto questo, e che fate? Riuscite solo a litigare come ragazzine per delle stupidaggini. Quant’è che non vi parlate, eh? So più di quanto credi, Guy, mi preoccupo per te più di quanto credi. Ma tanto che ottengo? Una sigaretta, magari.»
Aspirò il fumo, lasciando vagare lo sguardo per la stanza.
«Gli Stones in vinile. Buono, dove l’hai trovato?»
Guy non rispose. Era suo fratello quello lì davanti a lui? Quel ragazzo con quel sorriso da disperato, quegli occhi rasseganti, quel fumo fra le labbra? Quel ragazzo che riusciva a volergli bene nonostante fosse il preferito della mamma – che cosa terribile! –, nonostante avesse ciò che lui desiderava? Quel ragazzo con cui aveva giocato a pallone per tutta la sua infanzia, che l’aveva portato al cinema per la prima volta, che gli aveva regalato il suo primo disco? Quel ragazzo che gli assomigliava così tanto.
«Mi dispiace.»
Mark voltò la testa al suo sussurro. Guy sostenne il suo sguardo, stringendo il pugno intorno al bracciale.
«Mi dispiace, davvero. E grazie. Di tutto.»
«Non c’è di che, fratellino, non c’è di che. In fondo, a che serve un fratello maggiore altrimenti?» sorrise, di un sorriso strano, un po’ sghembo. Chiuse gli occhi e quando li riaprì sorrideva davvero.
«Metti su quel disco, va.»  
 
♪♬
 
Aveva appena fatto in tempo a gettare la borsa dei libri da un lato che squillò il telefono. Si precipitò a rispondere, senza nemmeno controllare se conosceva o meno il numero.
«Will? Sono Guy.»
Dalla voce sembrava tranquillo, Will deglutì e impose anche a sé stesso la calma.
«Ciao, Guy.»
Chiedergli come stava gli sembrava ipocrita, per cui attese che fosse il ragazzo a parlare.
«Ho parlato con Joanna, che ha parlato con Tim, che ha parlato con Jonny, che ha parlato con Julia, che ha parlato con Delilah, che ha parlato con Chris, che… merda, mi sono dimenticato che dovevo dire…»
Will sorrise. Poteva quasi vedere Guy dall’altra parte della cornetta strizzare gli occhi e portarsi una mano al fianco, come ogni volta che era seccato.
«Ah, sì. Sembra che Chris abbia una nuova canzone.»
«Qualcuno l’ha già sentita?» domandò Will, il sorriso scomparso, la mascella serrata.
«Delilah. A quanto ho capito, l’ha composta con lei, gliel’ha cantata o qualcosa del genere.»
«Ha in mente di farcela sentire? O intende tenersela per sé, magari mollarci tutti e incidere il disco da solo?» esplose Will, incapace di trattenersi.
«Non so che cosa abbia in mente di fare, non ci ho parlato, ma sarebbe anche ora di farlo. Tutti quanti, riunirci e parlare come si deve, magari davanti a una bella birra. Anzi no, facciamo abbastanza danni anche senza birre. Insomma, che giorno è oggi, giovedì? Ecco, perché domani sera non andiamo tutti al Bull And Gate e parliamo come si deve?»
«Non ho nessuna intenzione di parlare con quel… tipo come se niente fosse! Penserebbe di essere stato perdonato, e non mi va bene.»
«Will, non sarebbe anche ora di essere maturi e smetterla con queste storie da bambini? Guarda che rischiamo di mandare a puttane il disco e tutto quanto perché tu e Chris – perché in fondo siete voi due che avete alzato tutto questo polverone – avete avuto una discussione.»
«Quindi vuoi dire che sono io che devo andare a chiedere scusa a quel pezzo di…»
«No, Will, non scaldarti» lo fermò Guy. «Perché ho come il sospetto che tu sia geloso?»
«Geloso? Io? E di chi scusa, di Chris? Per favore, Guy, non dire cazzate.»
«Come vuoi» sbuffò divertito il ragazzo dall’altra parte della cornetta. «Pensi di venire domani?»
Will sospirò, abbassando la testa.
«Non lo so. Devo pensarci.»
«Come vuoi, io te l’ho detto. Io e Jonny saremo lì alle sette e mezza. Dovrebbe esserci anche Chris, Jonny ha detto che l’avrebbe avvertito. Tu fai come vuoi. Ci vediamo» disse brevemente Guy, improvvisamente stanco di quella conversazione, per poi riattaccare. Will schiaffò irato la cornetta al suo posto. Il rumore non era stato abbastanza forte per l’irritazione che improvvisamente gli scorreva nelle vene. Avrebbe voluto avere la sua batteria, allora sì che si sarebbe sfogato a dovere. O forse l’avrebbe fatta in pezzi. Marciò fino in cucina, aprì l’anta dell’armadietto.
Geloso, lui? Che cretinata. Sapeva benissimo di non aver nulla da invidiare a Chris.
Prese il bollitore, lo riempì d’acqua e lo mise sul fuoco.
Non era geloso, allora, eh? Assolutamente no. In fondo, Chris non componeva belle canzoni, non era innamorato – e quasi certamente ricambiato – di un bellissima ragazza, non era un bravo musicista, non aveva una bella voce, non sapeva cantare. Ah – ah.
Constatò con stizza che il suo gusto preferito, i frutti rossi, era finito, così dovette accontentarsi di un banale tè bianco. Aprì un altro sportello e prese una tazza blu.
E pensare che lui, Will, sapeva suonare benissimo sia la chitarra, che il basso, che il pianoforte – sì, forse addirittura meglio di Chris stesso! – e che fine aveva fatto? Si era ridotto a dover imparare a suonare la batteria! Non che fosse un brutto strumento, né aveva avuto grandi difficoltà, ma si chiedeva se ne fosse valsa la pena. Aveva imparato quello strumento per poter suonare con la band, con quelli che erano presto diventati i suoi migliori amici. Sì, aveva sacrificato anni di spartiti e insegnamento per poter suonare con quei tre, e adesso si ritrovava a dover sottostare all’umore ballerino e alle insicurezze di quella tredicenne complessata che era Chris… La quale tredicenne, fra parentesi, sembrava infischiarsene allegramente, e credeva di poter fare il bello e il cattivo tempo come voleva.
Andò verso il frigo e prese una bottiglia di latte, che appoggiò accanto alla tazza e alla bustina di tè. Lo zucchero…?
In fondo, la cosa che più l’aveva infastidito e amareggiato, era che Chris sembrava non avere fiducia in loro. Non solo pensava di essere superiore o più importante – perché era così, qualsiasi cosa potesse dire Delilah – ma non si fidava nemmeno di quelli che sarebbero dovuti essere i suoi migliori amici. Ripensò alla conversazione che aveva avuto con Delilah quella mattina. Aveva detto che forse Chris aveva paura del loro giudizio.
Nel tentativo di prendere un piattino, urtò la tazza, che si ruppe sul pavimento. Will digrignò un’imprecazione fra i denti, chinandosi a raccogliere i cocci.
Paura del loro giudizio, perché avrebbe dovuto avere paura di loro? Jonny era il suo migliore amico in assoluto, bastava pensare che condividevano l’appartamento da più di due anni, praticamente da quando si erano conosciuti. E Guy… perché avrebbe dovuto aver paura di Guy? Guy di solito non giudicava mai, si limitava a dire ‘sì’ o ‘no’, e di solito era irremovibile sulle sue decisioni, ma non l’aveva mai sentito dire una cattiva parola su nulla, tranne forse i loro vestiti. Rimaneva soltanto lui.
In uno spasmo involontario, strinse troppo la mano che teneva i cocci della tazza, e si ritrovò con una ferita sul palmo. Mugugnando di dolore e trattenendo un’altra imprecazione, si affrettò a gettare i cocci nella pattumiera e a mettere la mano sotto l’acqua gelida del lavandino.
Era così allora, Chris aveva paura del suo giudizio, era spaventato da lui. Che razza di amico era se induceva i suoi amici a non fidarsi di lui? Merda.
Il bollitore iniziò a fischiare, ma il taglio sulla mano non smetteva di sanguinare.
Cosa doveva fare ora?
Rendersi conto di essere in torto era terribile, non aveva mai pensato che il senso di colpa, che finora era stato nascosto dall’orgoglio e la testardaggine, potesse essere così doloroso. Si sentiva un essere schifoso, avrebbe voluto potersi togliere la pelle di dosso e diventare una persona migliore. Forse era per questo che quel taglio non smetteva di sanguinare, era un angolino da dove cominciare a tirar via la pelle, un inizio. Sorrise. Da dove diavolo le tirava fuori certe idee? Scosse la testa e chiuse l’acqua, poi corse via a cercare un cerotto. Il bollitore fischiava ancora, ma Will aveva rinunciato al tè. Piuttosto, avrebbe fatto uno squillo a Guy; improvvisamente, l’idea di una birra al Bull and Gate la sera dopo gli andava molto più a genio. Se solo avesse trovato un cerotto, era assurdo come quel taglietto continuasse a sanguinare…





***
Ridardo assurdo, chiedo umilmente perdono, ma la colpa è stata principalmente della scuola e dell'ispirazione - quella furba! non viene mai quando la cerchi. Ho avuto difficoltà prima di scrivere il capitolo, fondamentalmente perché non sapevo cosa scrivere. Poi però ho parlato con la mia H e il risultato l'avete appena letto (ti ho ringraziato abbastanza, ti sarai anche stufata - niente Chris e Jonny, lo so, scusami... Non aspetterai troppo per loro, promesso). Altro da dire? Ditemi perché non vi piace.
Rolling Stones e John Lennon. Una più bella dell'altra.
Passo e chiudo.
Love ya all, chiunque voi siate.
E.

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Capitolo 10
*** Life (or Lilac Wine) on Mars? ***


A Bea


Life (or Lilac Wine) on Mars?

Era terribilmente deprimente, ma non aveva voglia di mettersi a cercare altro o alzarsi e fare qualcosa, per cui si accontentò. Tirò su col naso e strinse di più le ginocchia al petto, sprofondando ancora nel divano. E dire che nemmeno gli erano mai piaciuti, i Simpsons. Fortuna che era solo a casa.
Sentì una chiave girare nella toppa.
Seriamente?
La porta d’ingresso si aprì e si richiuse, dei passi avanzarono.
«Chris? Sei tu?»
«Sono in soggiorno» mugugnò. La testa di Jonny fece capolino dalla porta, insieme ad un timido saluto, per poi sparire subito. Chris sentì un’altra porta aprirsi e chiudersi. Probabilmente Jonny era in camera sua. Tornò a guardare il film, le orecchie involontariamente tese a captare qualsiasi rumore proveniente dalla camera.
«I Simpsons?»
Voltò la testa in tempo per vedere Jonny entrare in soggiorno alzando gli occhi al cielo. 
«Sì, perché?»
Jonny ignorò il suo tono polemico e si sedette dall’altro lato del divano, senza guardare Chris.
«Non li odiavi?»
«Sì, e allora?»
Jonny abbassò lo sguardo sul televisore, senza guardarlo veramente. Sbuffò.
«Non possiamo vedere nient’altro?»
Chris strinse i pugni, pensando, piccato, che c’era venuto prima lui, su quel divano. Si rese conto di stare pensando come un bambino di cinque anni, quindi scovò il telecomando e lo tese al ragazzo, sempre senza guardarlo.
«Tieni, fa’ quello che vuoi.»
«No, io…»
«Prendi questo telecomando, cambia, fai quello che ti pare» scattò Chris, lanciandoglielo. Jonny lo afferrò al volo e lo puntò al televisore. Anch’io so comportarmi da bambino, sai, pensò, furioso, e cambiò canale. Sullo schermo si susseguirono un gioco a premi, una vecchia canzone, un telegiornale, un film, finché Jonny non decise di fermarsi.
«Mamma ho perso l’aereo? Seriamente?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«È divertente» si giustificò, ignorando l’occhiata incredula di Chris, che scosse la testa e tornò a guardare la tv. Il silenzio venne a poco a poco riempito dai colori e dal chiacchierio dei personaggi, che in quel momento discutevano su cosa avessero dimenticato prima di partire. Un sorriso riluttante iniziò a dispiegarsi sui volti dei ragazzi, prefigurandosi le scene successive.
«Ho dimenticato di chiudere il garage, ecco cos’è.»
«No, sono sicura che è qualcos’altro…»
La telecamera si avvicinò al volto della donna, che spalancò gli occhi quando capì che avevano dimenticato…
«KEVIN!» urlarono a un tempo Chris, Jonny e la mamma di Kevin. I ragazzi si sorrisero.
«Dovrebbero darle un Oscar solo per quell’urlo» disse Chris, appoggiando la testa alla mano, il gomito sul bracciolo del divano. Jonny rise, sistemandosi più comodamente. Guardarono il film in silenzio per qualche minuto.
«Tutto bene, oggi?» domandò Chris, con aria apparentemente noncurante.
«Al solito. Siamo al Bull and Gate, domani sera. Guy viene. Ci sei?»
«Uscivo con Lila domani, ma magari vengo più tardi.»
«Ok.»
«Che ora?»
«Sette e mezza.»
«Magari ce la faccio. Ci vediamo alle sette, non so se ceniamo insieme.»
«Ti ha invitato lei?»
«No, io.»
C’era una domanda che premeva tanto a Jonny, ma non riusciva a decidersi a porla. Chris lo anticipò.
«Ho una canzone» mormorò, rivolto al pavimento. Jonny non rispose, attese. Sapeva che non aveva finito di parlare.
«Ieri, sai, con Lila…»
«Ah, è vero. Non so nulla, che avete fatto? Perché mi ha chiesto di portarle la tua chitarra?»
«Mi ha rapito e portato in un parco sconosciuto fuori Londra. Un bel posto, c’era un laghetto, gli alberi. Siamo stati davvero bene. È davvero fantastica» rispose Chris, sognante.
«E…?» incalzò Jonny, riportandolo alla realtà.
«Ah, e parlavamo, e ci tenevamo per mano e… Avevo questa melodia in testa, e all’improvviso ho sentito tutte le parole che venivano una dopo l’altra, le avevo tutte lì, e sono corso a suonare. E poi l’ho scritta sul suo diario.»
«Suonala.»
Chris guardò Jonny negli occhi, inviandogli una muta domanda. Se avrebbe potuto perdonarlo, se sarebbero potuti tornare gli amici di una volta. Se davvero voleva sentire quella canzone appena nata. Jonny sbatté lentamente le palpebre, una volta.
Chris si alzò e prese la chitarra dal suo posto nell’angolo, mentre Jonny toglieva il volume alla tv.
C’era un silenzio perfetto, irreale, mentre Chris suonava e cantava; Jonny poteva sentire il borbottio della televisione del vicino, le macchine che passavano sotto la finestra, il suo cuore battere ad ogni vibrazione di quelle corde, la vita correre sulle strade di Londra.
Chris alzò gli occhi su di lui, una volta finito, chiedendogli silenziosamente cosa ne pensava. Jonny chiuse gli occhi e annuì sorridendo. Quando li riaprì, anche Chris sorrideva di un sorriso sollevato e felice, come non ne faceva da giorni.
«Grazie, Jon.»
 
♪♬
 
L’unica definizione che gli veniva in mente era assurdamente incantevole. Sembrava venuta dalla luna, o da qualche stella sconosciuta ai margini dell’universo. Si torceva le mani, i capelli sciolti intorno al viso, scarlatti contro la stoffa blu notte del vestito, e gli occhi splendenti puntati in basso, quasi che si vergognasse di essere così bella. E Chris non riusciva nemmeno a capire perché fosse così bella. In fondo, non aveva molto trucco, né abiti particolarmente elaborati, non che lui ci facesse mai caso. Eppure… Assurdamente incantevole.
Ma poi si dice assurdamente?
Deglutì e si sforzò di sorridere.
«Stai… davvero bene, stasera.»
«Oh, grazie! Anche tu stai bene. O almeno, hai dei vestiti della tua misura acquistati in tempi relativamente recenti» scherzò lei, infilandosi la giacca.
«Simpatica! Scommetto che ci hai messo trent’anni a prepararti, buttando all’aria tutta la camera e mandando ai pazzi la tua povera coinquilina.»
Delilah strabuzzò gli occhi, pregando di non arrossire, e gli diede una borsettata.
«Faresti meglio a portarmi fuori di qui in un posto incantevole prima di subito.»
Lui sorrise aprendo la porta e seguendola fuori, e mormorò:
«Non un posto troppo incantevole, perché ci sei già tu. Poi, ci sarebbe troppa incantevolosità
Lei si voltò stupita, cercando i suoi occhi, che si sollevarono dal pavimento. La luce del lampione, l’aria fredda della sera che li sferzava lì sul pianerottolo. Capodanno. E quegli occhi…
«Incantevolosità? È il tuo modo di fare un complimento, gentleman?» lo prese in giro, sorridendo. Lui rise e si allontanarono insieme. Entrambi dovettero fare ben più di un paio di respiri per calmare il battito furioso dei loro cuori.
 
♪♬
 
Uno, due, tre squilli risuonarono per tutto l’appartamento, solitari.
Quattro, cinque, e nessuno rispose. Entrò la segreteria telefonica.
«Ciao, siamo Chris e Jonny, e come avrai capito a meno che non sia un totale idiota, ora non ci siamo o non vogliamo risponderti. Lascia un messaggio che quasi sicuramente non ascolteremo e mangia cioccolato. Beep!»
«Chris, Jon, sono Will. Non posso venire stasera, ho avuto un imprevisto, sono dai miei. Magari riesco a passare per le nove, o lì intorno. Va bene? Ci vediamo, allora, ciao.»
Jonny finì di abbottonarsi la camicia con calma, accanto al ricevitore. Senza sapere bene come sentirsi, premette un bottone e cancellò il messaggio.
 
♪♬
 
Entrarono dentro quasi di corsa, bagnati e ridenti.
«Una volta che usciamo deve piovere, non è giusto!» esclamò il ragazzo, scrollandosi e passandosi una mano fra i capelli fradici.
«Colpa tua che non porti l’ombrello! Puoi portare fuori una ragazza e farla bagnare sotto la pioggia? Poi dici perché la tua vita sentimentale è più triste di quella di uno scoiattolo in letargo… sei un fallimento totale!» lo prese in giro lei, cercando di sistemarsi i capelli.
«Questo era un colpo basso» disse lui, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «E comunque sono io quello messo peggio, ti ho coperta con la giacca…»
«Oh, sì, molto galante da parte tua…» sogghignò Delilah, togliendosi il cappotto. Chris si sfilò la giacca a sua volta e la precedette nel locale.
«Hey, ma è un pub, questo, non un ristorante…» mormorò Delilah, guardandosi intorno. «Cosa? Ma l’insegna… Mi sembrava un ristorante» mormorò il ragazzo, perplesso, guardandosi attorno. Poi si strinse nelle spalle.
«Tanto meglio. Spenderò di meno.»
Lei lo guardò divertita.
«Questo sì che è lo spirito di un vero gentleman
 
♪♬
 
Era molto indeciso. Molto, molto indeciso. Sentiva l’indecisione rodergli le viscere e creargli una voragine interiore, dove tutte le possibili varianti della sua scelta andavano a perdersi. Sentiva quasi un male fisico, laggiù nello stomaco…
«Fortuna che non avevi fame! Io dico che prendiamo un bel panino e la facciamo finita…» disse Guy, abbassando il menù. Jonny si agitò a disagio sulla sedia.
«Non voglio mangiare, aspettiamo. Ah, Will non viene, ha avuto un imprevisto. Chris ha detto che forse veniva un po’ più tardi…»
«Certo, certo. Ordiniamo, intanto, su. Scusi?»
Una cameriera si avvicinò sorridente al loro tavolo.
«Buonasera, allora… Io prendo una Tennant’s, mezza pinta, per ora. Te, Jon?»
«Oh, hem… Non so, io…» gli occhi corsero furiosamente da una riga all’altra del menù, finché non decise di affidarsi al caso. «Una Guinness, mezza pinta. Grazie.»
«Bene. Nulla da mangiare? Abbiamo delle patatine, dei crostini…»
«Sì, ok, quelli. Grazie mille» la liquidò Guy, affrettandosi a sorridere. La cameriera andò via sdegnata.
«Guinness? Ma dai, non vuoi provare niente di nuovo? Hai visto che lista di birre avevi?»
Jonny si strinse nelle spalle, borbottando qualche scusa. Guy scrollò la testa e appoggiò gli avambracci al tavolo, guardandosi intorno. C’era un palco nella parete di fondo.
«Ci suonano, qui?»
«Ci suona Tim con la sua band.»
«Stasera?» domandò Guy strabuzzando gli occhi. Jonny aggrottò le sopracciglia.
«Non mi pare. Sapevo domani…»
«Ah, ok.»
La cameriera si avvicinò con un vassoio con le loro ordinazioni, che poggiò in fretta sul tavolo, per poi andarsene subito. Guy prese la sua birra sorridendo e la alzò verso Jonny, che guardava la sua con sospetto, chiedendosi se avesse fatto la scelta giusta.
«A noi due, alla faccia di quei pigroni che non sono venuti.»
Jonny sorrise e alzò a sua volta il boccale. Contemporaneamente, si portarono i boccali alle labbra e bevvero un gran sorso. Guy mise giù il suo boccale e schioccò le labbra soddisfatto. Jonny gli sorrise, avvertendo un piacevole tepore nella pancia.
«Non sarebbe proprio un bel posto dove fare un concerto?» disse, prendendo delle patatine. Guy si strinse nelle spalle.
«Se mai faremo un altro concerto.»
 
♪♬
 
Mentre osservava Delilah ridere, Chris dovette riconoscere che era stata una bella serata. Prima di approdare in quel locale sconosciuto, avevano gironzolato per Camden Town, si erano infilati in un minuscolo negozio di dischi e strumenti musicali e quando erano usciti erano stati colti da quell’assurda pioggia inaspettata. Avevano parlato di tutto e niente, avevano riso, scherzato, preso in giro i Backstreet Boys. Si erano divertiti, insomma.
«Mi dispiace soltanto per quella povera ragazza. Come ha fatto a sopportarti per due intere settimane, lo sa solo lei» lo prese in giro, ancora sorridente.
«È stata la mia prima ragazza, due settimane sono già un bel traguardo!» si difese lui, sorridendo. Lei scosse la testa.
«Poverina. Ha tutta la mia compassione.»
Il ragazzo rise, appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Andiamo, non sono così male!»
«Spero che sia stata anche l’ultima, per il bene delle ragazze della Gran Bretagna.»
«Piantala! E comunque diceva che baciavo bene.»
«Ah-ah, se riuscivi a portarla in un posto decente, e non ad uno spettacolo di Punch e Judy.»
«Non erano Punch e Judy!»
Lei scosse la testa con fare rassegnato, un sorriso divertito sul viso.
Stava bene, si stava divertendo, eppure non era soddisfatto. Non sapeva bene se era colpa del mezzo bicchiere di quel liquore della mamma di Jonny che aveva bevuto prima di uscire, ma si sentiva strano. Voleva di più. Si sentiva più grande, quella sera, più forte. Sentiva che avrebbe potuto fare ciò che voleva. E in quell’esatto momento, quello che voleva era avvicinarsi a quella ragazza e baciarla. Così lo fece.
 
♪♬
 
Guy alzò un braccio per richiamare l’attenzione della cameriera.
«No, no!» lo fermò Jonny, mettendogli una mano sul braccio, ridacchiando.
«Guarda quante ne abbiamo già bevute!» gli fece notare, senza tuttavia rimproverarlo sul serio. Guy scostò il braccio.
«Sono ancora sobrio!» protestò, sorridendo. Tornò a rivolgersi alla cameriera, che faceva finta di non notarlo. «Scusi!»
Jonny seppellì fra le mani la testa, continuando a ridacchiare. Era così divertente, no? Tutte quelle birre, e Guy che ne ordinava ancora… E si era lasciato convincere, ne aveva provate anche di diverse dalla solita Guinness… Anche quella fortissima tremenda brodaglia irlandese…
Sobbalzò e alzò la testa quando la cameriera sbatté due boccali – altri! – sul tavolo. Il sorriso di Guy si allargò mentre ne prendeva uno.
«Sicuri di non averne avuta abbastanza? Forse dovreste andarvene a casa…» tentò la ragazza, aggrottando le sopracciglia.
«Stiamo benissimo, non lo vedi? Perfettamente lucidi. Ok, forse lui no, ma io sto benissimo. Non sono un paio di birre a buttarmi giù…» si difese Guy, ostentando spavalderia. La ragazza si allontanò contrariata, mentre Jonny afferrava il suo boccale.
«A… a chi brindiamo stavolta?» chiese, alzandolo. Guy alzò il suo boccale, assottigliando gli occhi.
«Brindiamo a… Marte.»
«Marte?»
«Marte. Bel pianeta» disse, annuendo. Jonny annuì a sua volta. Marte. Perché no?
«A Marte!»
Strizzò gli occhi e deglutì. Anche questa era forte. Un po’ amara.
«Dici che David Bowie era gay?»
«Eh?»
Alzò lo sguardo su Guy, che fissava le luci soffuse sul soffitto del locale.
«Secondo me, sì. Lui e Mick Jagger. Carini.»
Jonny ridacchiò e bevve un altro sorso, scuotendo la testa. Guy lo guardò storto, estremamente serio.
«Perché ridi, scusa? Hai qualcosa contro i gay?»
«Cos-? No, io non ho niente…» balbettò. Guy si rilassò e si appoggiò allo schienale.
«Ah, ecco. Anche perché ho sempre sospettato che fra te e Chris… Però poi è arrivata Delilah, e insomma… Ma sappi che avreste il mio appoggio. Siete carini insieme.»
Jonny strabuzzò gli occhi.
«Di che diamine stai parlando? Guarda che io… Non sono mica gay, che vai a pensare?»
Ridacchiò, una spiacevole sensazione di caldo nello stomaco. La birra, ovviamente.
Guy si strinse nelle spalle.
«Mah, è che tu e Chris siete sempre stati così… uniti. Bah, lascia perdere.»
Jonny abbassò lo sguardo sulla sua birra.
«Già. O almeno, eravamo.» Ormai sentiva che l’argomento che aveva evitato per tutta la sera stava per saltare fuori, e le viscere gli si contorsero in una spiacevole morsa.
«Che schifo, eh?»
Jonny alzò gli occhi sull’altro.
«Davvero, siamo così idioti, così egoisti. Tutti quanti, eh. E guarda adesso. Dov’è Will? Dov’è Chris?»
«Will ha avuto un problema, ha chiamato prima, e Chris era con Delilah…»
«Certo, perché la sua ragazza è più importante dei suoi cosiddetti migliori amici, giusto?»
«Aveva detto che forse sarebbe venuto più tardi…»
«Sono quasi le dieci, Jonny.»
Erano duri gli occhi di Guy, e più scuri di quanto li avesse mai visti. Jonny ne era spaventato. Erano troppo veri, perforanti e onesti, quegli occhi, troppo esposti. Abbassò la testa e bevve un altro sorso.
«Ma allora, sai che c’è? Chi se ne frega. Se questa è la considerazione che loro hanno per noi, che vadano a quel paese. Non sono disposto a stare con persone del genere.»
«Dai, adesso stai esagerando…»
«No, per niente, sono serissimo.» E lo era davvero. Jonny se ne stupì. Solo lui si sentiva tutto strano?
«Penso che… Che non siamo veramente amici. Perché gli amici si fidano gli uni degli altri, noi… no. Chris no. Tu non parli mai di nulla, con nessuno. Will dà ordini e basta. Non siamo amici, non possiamo andare avanti così.»
E Jonny si rese conto che la cosa peggiore era che aveva maledettamente ragione.
 
♪♬
 
«Mi dispiace, io...»
«No, non è niente.»
Chiuse gli occhi, serrando i denti.
Era stata questione di secondi. Lei non lo aveva visto avvicinarsi, e quando se n’era accorta, lui era ormai a pochi centimetri da lei. E si era tirata indietro di scatto. Come uno schiaffo gelido in piena faccia.
«Lasciami parlare, io…»
«Non c’è da parlare.» Strinse i pugni sotto il tavolo e si schiarì la voce, guardando il locale. «Non avrei dovuto farlo, scusa. È solo che… Che stupido. Stavamo così bene stasera, che ho creduto veramente che… sì, che magari io ti potessi piacere, quanto sono idiota!»
Rise amaramente, appoggiando la fronte alla mano, il gomito sul tavolo.
«Ma va bene, non importa, lasciamo stare…»
«No, non va bene!» esclamò la ragazza, tremante, lasciando cadere le posate nel piatto. Lui sollevò la testa, e Delilah dovette sforzarsi per fronteggiare i suoi occhi e parlare nonostante quel groppo in gola.
«Io non… sono abbastanza per te, non posso…»
«Oh, per favore!» scoppiò lui, ridendo amaramente, lo sguardo lontano. «Non sei abbastanza. Senti, non c’è bisogno di scuse, capisco, ok. Finiamola qua. Io non… voglio più esserti amico e basta. Voglio baciarti, Lila, ma devi volerlo anche tu. Sono patetico, lo so…»
«Ma…»
«Senti, devo andare, Jonny e Guy mi aspettano al Bull and Gate. Ho incasinato le cose con te, vedrò almeno di metterle a posto con loro. Vuoi che ti porti a casa?» rispose secco, alzandosi. Lei rimase a guardarlo da sotto in su, incapace di pensare.
«No, Chris, aspetta, lasciami spiegare, per favore…»
«No, basta spiegare, non c’è nulla da spiegare» tagliò corto il ragazzo, infilandosi la giacca, gli occhi bassi. «Tu non pensi a me nello stesso modo in cui io penso a te. Pensavo di poterti rimanere amico, ma non è vero, non ci riesco. Fine. Quindi, vuoi che ti accompagni a casa? O che passi a prenderti più tardi, qualcosa?»
Lei scosse la testa, abbassando gli occhi.
«Bene. Buonanotte, allora.»
Lo guardò allontanarsi, andare al bancone, pagare e quindi uscire. Fissò il piatto davanti a sé. Per un attimo le sembrò di vederci il ghigno trionfante di Joanna. Sbatté le palpebre.
Si sentiva vuota, come se di lei fosse rimasto solo un involucro, e sentiva dolorosamente la mancanza di tutto ciò che l’aveva riempita. E quegli occhi...
Il solo pensiero di mangiare le face venire da vomitare. Prese la giacca e uscì.
Sollevò lo sguardo verso il cielo nero, la pioggia che le scioglieva quel poco trucco che si era applicata con tanta cura. Per lui.
Cosa aveva fatto? E soprattutto, perché? Perché all’improvviso si era sentita così sbagliata, così distante, perché si era ritratta, lontano dalle sue labbra dischiuse? E cos’erano quelle lacrime che la pioggia lavava via dal suo viso?
 
♪♬
 
Spinse la porta ed entrò nel locale caldo e affollato. Socchiuse gli occhi, cercando di intravedere Guy e Jonny. Aveva davvero bisogno di una bella bevuta. Li individuò in un tavolo all’angolo e si mosse faticosamente nella loro direzione. Aggrottò le sopracciglia. Sul tavolo c’erano troppi bicchieri vuoti, e il posato Guy e il timido Jonny ridevano sguaiatamente. Non era un asso in matematica, ma sapeva fare due più due.
«Avete bevuto.»
«Chris!» esclamò Jonny, accorgendosi di lui. Si alzò e lo strinse in un abbraccio soffocante.
«Oh, ci sei mancato così tanto Chris…» bofonchiò sognante, dondolando sul posto. Chris lo assecondò, a disagio.
«Veramente, a me non è che tu sia mancato così tanto. Però, posso dire che ti accetto, ti voglio bene, anche se penso che tu sia un po’ egoista. Ma è giusto dirlo, dobbiamo essere chiari e trasparenti e dire quello che pensiamo» lo accolse Guy, alzando un bicchiere nella sua direzione, per poi svuotarlo.
«Ok, ok, calmiamoci, basta bere… Dov’è Will?»
«E chi lo sa?» si strinse nelle spalle Guy. «E a chi importa? Tanto Will è bravo solo a fare il maestro bacchettone… gli mancherebbe solo un fottutissimo righello» borbottò, rivolto al boccale. Chris si liberò dell’abbraccio di Jonny e lo depositò sulla sedia. Jonny rimase così, seduto con un sorriso ebete e la testa leggera. Chris si lasciò cadere su una sedia a sua volta.
«Non è venuto, allora?»
«Nah. Aveva problemi a casa» spiegò lentamente Jonny, con aria saputa. A Chris ricordò sua nonna.
«Bene.»
Strinse i pugni fissando il bicchiere mezzo pieno di Jonny. Aveva una grande voglia di afferrarlo e scolarselo tutto d’un fiato.
«Comunque, cosa dicevamo?» disse Guy, con aria assente.
«Non lo so. Davvero non lo so» disse Jonny, smarrito, spalancando gli occhi. «Il fatto è che, noi non sappiamo veramente niente, e non sapremo mai niente. Non possiamo sapere niente.»
«Mh, hai ragione. Siamo delle stupide scimmie» assentì Guy, corrucciato. Jonny si appoggiò allo schienale.
«E secondo me, su Marte la vita c’è. Perché non potrebbe? Magari è un tipo i vita che non conosciamo e non possiamo percepire…» Chris alzò la testa stupito. Forse non era così ubriaco.
«Interessante.»
«Tipo… Ragni spaziali.»
Come non detto.
«Sì…»
«Ok, ragazzi, andiamo a casa» disse, deciso.
«Noo! Non vogliamo andare a casa!» piagnucolarono Guy e Jonny all’unisono.
«Un’ultima birra, dai, una sola…» implorò Jonny, afferrando Chris per la manica.
«Neanche per idea» rispose il ragazzo, scrollando il braccio e alzandosi. «Adesso paghiamo e ce ne torniamo a casa…»
«Uffa!»
«Certo, papino Chris, tutto quello che vuoi. Non ne bastava uno, adesso anche tu ti metti a dare ordini» sbuffò Guy, incrociando le braccia. Chris decise di ignorarlo e alzò una mano per attirare l’attenzione della cameriera. La ragazza si avvicinò tirando fuori in taccuino con aria rassegnata.
«Il conto per favore.»
«Di questi due? Fanno… 27 sterline e cinquanta.»
Chris strabuzzò gli occhi.
«Cosa… Da soli?» La ragazza si strinse nella spalle. Chris mormorò un’imprecazione, tirando fuori il portafogli, dove rimaneva solitaria solo una banconota da dieci sterline. Alzò lo sguardo preoccupato.
«Un minuto solo.»
Ignorando le proteste di Jonny e Guy, frugò febbrilmente nei loro cappotti, ma trovò soltanto cinque sterline in quello di Jonny e altri spiccioli in quello di Guy.
«Ok, tirate fuori i soldi.»
«Che cosa?» squittì Guy, in un acuto degno di una soprano. «Perché vuoi i nostri soldi, eh? Ci stai minacciando? Ma non funziona con noi, sai? No, non avrai mai quei soldi!» esclamò, infervorato, mettendo un braccio intorno ad un assonnato Jonny e tirandolo versò di sé.
«Attento…»
Jonny cadde dalla sedia, e subito scoppiò a ridere, seguito da Guy, che per le risate finì sul pavimento, tenendosi la pancia. La cameriera li fissava allibita.
«Mi dispiace, di solito non sono così, io…» tentò di scusarsi Chris, imbarazzato.
«S-sì, certo.»
«Però, io, ecco… Hem, è imbarazzante… Jon, dammi i soldi!» farfugliò Chris, iniziando a imporporarsi.
«Mai!» esclamò Jonny, alzando un pugno da sotto il tavolo.
«Io… Davvero non so che fare, mi dispiace…»
«Chris! Hey, Chris!»
Il ragazzo si voltò, incontrando il faccione preoccupato di Tim.
«Che ci fai qui, eri con loro?»
«No, ero con una ragazza… Che succede, hanno bevuto?»
«Sì, Will non è venuto, io ero con Delilah, non so cosa hanno combinato…» raccontò Chris, sollevato. Tim aveva sicuramente dei soldi.
«Scusate, qui qualcuno mi deve dei soldi. Oppure ordinate qualcos’altro, non posso stare qui a sentire i vostri discorsi!» fece notare la cameriera, seccata.
«Oh, sì, giusto…» mormorò Tim, tirando fuori il portafogli.
«Oh, grazie mille Tim, ci hai salvati. Te li riporto domani, promesso, anzi loro te li riportano…» iniziò Chris, riconoscente, pagando finalmente la cameriera, che se ne andò indignata quando si accorse che non c’era la mancia.
«Figurati, amico, non dirlo nemmeno. Ti serve una mano per questi due?» lo rassicurò Tim, dandogli una pacca sulla spalla. Chris rifiutò il suo aiuto e lo salutò, per poi tornare a fronteggiare Guy e Jonny, ancora sul pavimento.
«Chi era quello, il tuo ragazzo?» chiese Jonny, fissando il soffitto.
«Perché, sei geloso?» lo punzecchiò Guy, ridacchiando. Chris li ignorò e li tirò in piedi, poi li aiutò a infilarsi i cappotti. Fu difficile, considerando che Jonny si reggeva a malapena in piedi e che Guy era convinto di essere James Bond. Dovette letteralmente strappargli di mano il boccale da cui cercava disperatamente di bere l’ultima goccia di birra. A fatica, li spinse e sorresse fino alla porta del locale, pregando che avesse smesso di piovere.
Come no.
«Andiamo, dai, non è molto lontano…»
«La pioggia, guardate, la pioggia!» esclamò Jonny, aprendo le braccia in fuori e gettando indietro la testa.
«I’m siiingin’ in the rain… Siingin’ in the rain…» attaccò Guy, ondeggiando mentre camminava. Chris lo afferrò per un braccio, mentre con l’altro recuperava Jonny. Una macchina sfrecciò a pochi centimetri da loro.
«Hey, niente scemenze, camminate dritti fino a casa, non è lontano, un paio di isolati…»
Una figura solitaria veniva verso di loro, ma Chris non riusciva a distinguerla bene sotto la pioggia. Si passò un braccio di Jonny intorno al collo, tenendo Guy per l’altro braccio.
«In ogni caso, penso che tua sorella sia una gran bella ragazza, Chris. Davvero, davvero bella, infatti non ti somiglia molto. O forse sì, non lo so, sono un po’ confuso…» farfugliò Jonny, mentre Guy continuava a cantare, stonando in maniera imbarazzante e appoggiando la testa sulla spalla di Chris.
La figura iniziò a correre nella loro direzione. Chris irrigidì la schiena.
«Hey, Chris, che fine ha fatto Delilah? Ti ha mollato, eh? Ho ho, povero Chris…» lo canzonò Guy, interrompendo la sua performance. Chris si sforzò di ignorarlo. Strizzò gli occhi. Non era mica…
«Willie!» esclamò Jonny, alzando i pugni al cielo e dando inavvertitamente un pugno in faccia a Guy.
«Un attentato al mio occhio!» ululò il ragazzo, portandosi le mani alla faccia.
«Che ci fate qui, siete ubriachi? Chris?» disse Will, confuso.
«Io… Erano da soli per un paio d’ore, io ero con Lila, e li ho ritrovati così.»
«Un paio d’ore senza di me e guarda che combinano…» ridacchiò Will, afferrando un Guy ululante, mentre Chris riacchiappava Jonny.
«Andiamo a casa, lover boy» disse stancamente, incamminandosi davanti a Chris.
«Lover boy un corno…» mormorò amareggiato.
«Ah, non pensarci. Capirà prima o poi» lo rassicurò Will, senza voltarsi. Percorsero qualche metro in silenzio, senza fare caso ai vaneggiamenti di Jonny. Chris tirò su col naso.
«Will…» si schiarì la gola. «Noi… Va tutto bene, insomma…»
«Non possiamo mandare all’aria tutto per un litigio, Chris. È anche ora di crescere. Nella vita c’è di peggio. Credimi.»
C’era una strana vibrazione nella sua voce, una forza che mascherava una delicata fragilità. Forse anche lui, come Chris, avrebbe voluto solo bere e non pensare a nulla.
«I ragni su Marte esistono!» esclamò Jonny, alzando un pugno al cielo.

 




***
Sono più in ritardo di quanto credessi. Pardon.
Non ho voglia di parlare, perché non so cosa dire. Grazie di aver letto, e ancora più grazie se avete seguito la storia fin qui. 
Grazie infinite alla mia Heart, perché senza di lei, questa storia sarebbe probabilmente rimasta un documento Word dimenticato nel computer (e forse sarebbe stato anche meglio...). 
David Bowie e Jeff Buckley. Canzoni stupende, seriamente.
Love ya
E.

Se ti può consolare, io ho dimenticato gli occhiali.
Ok, non c'entrava niente, ma Mamma ho perso l'aereo sarà sempre nei nostri cuori. Amen.
 

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Capitolo 11
*** With a Little Help From My Friends ***


With a Little Help From My Friends

La luce entrava a fiotti nell’appartamento, ma Guy sembrava non curarsene e dormiva della grossa stravaccato sul divano del soggiorno. Neanche Jonny sembrava disturbato dalla luce che si infiltrava dai buchi della persiana tirata della sua camera, e continuava a dormire placidamente. E nemmeno lo squillo del telefono sembrò recare loro alcun disturbo, sebbene Guy si trovasse a nemmeno due metri dall’apparecchio e la porta della stanza di Jonny fosse aperta.
Chris, nel buio della sua stanza, grugnì, rivoltandosi. Gli squilli sembravano trapanargli la testa. Chi diamine chiamava a quell’ora? Scese brontolando dal letto e si trascinò fino alla porta. Riuscì a sconfiggere la serratura nel momento in cui entrava la segreteria.
«Chris, Jonny, sono Julia. Si può sapere perché non rispondete? Siete già usciti a camminare nel parco con i nonnetti? O state ancora dormendo sotto i postumi della sbronza del venerdì?»
Chris incrociò le braccia, sbuffando divertito. Poteva sentire il ghigno della sorella dall’altra parte della cornetta. Guy borbottò qualcosa su Joanna e dei ragni.
«In ogni caso, Chris, mamma ha detto che verremo tutti quanti fra tre settimane perché papà ha del lavoro da fare a Londra, quindi ci imbuchiamo anche noi, cioè io, mamma, papà e Al; Davie e Richard hanno dei test a scuola e non possono. Quindi ti romperemo le scatole per ben tre giorni, richiama quando hai tempo. E cambia quel messaggio di segreteria, è terribile. Salutami Jonny e compagnia cantante, ci vediamo, sfigatello. No, aspetta, aspetta, com’è andata con Delilah? L’hai baciata? Avete…»
Chris si irrigidì e stava per staccare quell’apparecchio, quando la voce di Julia si interruppe e la sentì bisticciare con qualcuno dall’altro capo del filo. Si avvicinò curioso.
«Lascia… Chris, tesoro? È la mamma.» Chris sorrise, immaginando la faccia contrariata di Julia e le sue braccia conserte.
«Julia ti ha già detto tutto, ma io volevo sentire la tua voce, non chiami mai… Cosa?»
Chris immaginò che Julia dovesse averle detto che quello era solo un messaggio vocale – fra i più lunghi della storia, per altro – perché sembrò alquanto spaesata.
«Quindi lui non c’è… Ah, ho capito. Va bene, allora ci vediamo il mese prossimo, tesoro, stammi bene. Riguardati, eh, che fa freddo e te stai sempre con la testa fra le nuvole. Ciao, amore, ciao, ti saluta anche papà. Ciao.»
Chris sorrise, cancellando il messaggio. Fece per tornarsene in camera a dormire, quando il telefono squillò di nuovo. Fece dietro front e rispose.
«Pronto?»
«Chris? Sono Delilah. Hai un momento?»
Raddrizzò la schiena e strinse le dita intorno alla cornetta.
«No, stavo uscendo» rispose atono. «è una cosa lunga?»
«Avrei bisogno di parlarti…»
«Ora non posso, mi dispiace. Ci sentiamo, ciao» disse bruscamente, attaccando senza aspettare la sua risposta. Tirò un gran respiro, osservando la figura di Guy beatamente addormentato sul divano. Aveva una sola scarpa e la bocca aperta.
«Ragni!» bofonchiò nel sonno, rigirandosi. Chris scosse la testa e si voltò, diretto in cucina, dove trovò Jonny in piedi davanti ai fornelli, con aria persa.
«’Giorno.»
«Oh, ciao Chris» mormorò Jonny, girandosi. Teneva un uovo in una mano e una padella nell’altra. «Come si fa a cuocere un uovo?»
«Penso che dovresti romperlo.»
«E poi cosa mi mangio?» sgranò gli occhi.
Chris lo guardò perplesso.
«Hai bevuto anche nel sonno?»
Jonny rise debolmente e consegnò uovo e padella nelle mani di Chris, che prese il suo posto e iniziò a friggere l’uovo – uno dei pochi pasti che sapesse cucinare senza dover chiamare i pompieri.
«Cos’è successo ieri sera? Non ricordo niente» disse Jonny, sedendosi al tavolo e passandosi una mano sugli occhi.
«Tu e Guy avete bevuto come cammelli.»
«Mh, grandioso.»
Si alzò e aprì sportelli e credenze alla ricerca di un’aspirina e un bicchiere d’acqua. Aveva la testa che martellava peggio di Will sulla sua batteria nei suoi momenti peggiori.
«Eravamo soli?»
«Sì, Will ha avuto da fare e non è potuto venire. Dovrebbe venire più tardi, però, me l’ha detto ieri sera.»
Jonny annuì. Si risedette e prese l’aspirina.
«Chi era prima al telefono?»
Chris si voltò e lasciò cadere un uovo in un piatto che gli mise davanti, poi ne prese un altro.
«Julia. Vengono fra tre settimane, lei, mamma, papà e Al. Non hai mai conosciuto mio fratello, vero?»
Jonny scosse la testa e mugugnò qualcosa con la bocca piena. Chris si volse.
«Eh?»
Deglutì rumorosamente.
«Dopo. Chi era dopo.»
«Ah.» Tornò a fronteggiare l’uovo. «Delilah.»
Qualcosa nel suo tono e nelle sue spalle tese gli suggerì che non era stato esattamente l’appuntamento dei sogni, quello della sera prima. Voleva dirgli qualcosa, ma non riusciva a pensare a nulla che non fosse banale o insignificante. Si alzò e gli andò vicino. Gli strinse una spalla. Chris sciolse le spalle e allentò la presa sul manico della padella. La mano di Jonny gli impedì di crollare del tutto.
«Cibo!» esclamò Guy con voce impastata entrando in cucina, sedendosi al posto di Jonny e iniziando a mangiare il suo uovo. Gli altri due lo guardarono perplessi e sorpresi, la mano di Jonny ancora sulla spalla dell’altro.
«Questo coso fa schifo» mugugnò con la bocca piena, senza smettere di abbuffarsi. Chris rise e tornò a cuocere il suo uovo.
«Per questo ne avrai anche un altro» disse con un sorriso sghembo. Guy alzò un pollice, vittorioso. Jonny tornò a sedersi. Le spalle di Chris erano più rilassate adesso.
 
♪♬
 
Will alzò gli occhi al cielo, sollevando le bacchette in un gesto di stizza.
«Vuoi rispondere a quel maledetto telefono una volta per tutte?»
Chris sospirò e si tolse la chitarra da tracolla, dirigendosi poi verso l’apparecchio. Si chinò e, invece di rispondere, staccò la presa. Il silenzio cadde sull’appartamento.
«Finalmente. Non se ne poteva più, squilla ogni cinque minuti» esclamò Will, esasperato. Guy roteò gli occhi.
«E tu sei qui solo da un’ora. Quel telefono squilla da tutto il giorno» gli fece notare.
«E che sei rimasto a fare se ti dava tanto fastidio? Potevi rompere le scatole a qualcun altro!» disse Chris, rimettendosi al collo la chitarra.
«Perché farmi mezza Londra a piedi in questa gelida mattina se potevo restare qui al calduccio con i fantastici sandwich di Jonny?» sogghignò l’altro, suscitando le risate di Jonny e Will. Chris si finse offeso.
«Jonny, lo senti? Guarda che quei sandwich sono esclusivamente miei, Berryman. Non ho sopportato Jonny e il suo ordine maniacale per due anni inutilmente.»
«Vuoi dire che erano solo sandwich fra noi, Chris?» fece Jonny, fingendosi drammaticamente addolorato.
«Oh, Jon…» iniziò Chris, ma la sua sviolinata venne interrotta dallo squillo di un telefono.
«Qui finisce male» minacciò Will, dardeggiando in direzione di Chris, che alzò le mani.
«Io l’ho staccato!»
Guy si fece piccolo piccolo mentre estraeva un cellulare dalla tasca dei pantaloni.
«Tu?» esclamò Will, stupefatto.
«Hai un cellulare?» domandò Jonny, gli occhi spalancati.
Guy esibì un timido sorrisino di scusa.
«Regalo di Natale.»
«Razza di spilorcio scozzese che non sei altro, a noi hai regalato soltanto plettri!» rise Jonny, fingendosi offeso.
«E non ce lo hai mai fatto vedere? Voglio giocare a Snake!» esclamò Chris, risentito. Guy si passò una mano fra i capelli, a disagio, iniziando a mormorare una scusa.
«Hai intenzione di rispondere, o vuoi farci uscire matti con quella suoneria tremenda?» disse Will, spazientito.
Guy si affrettò a premere il verde.
«Oh, ciao, Phil. Sì. No. Sì, va bene. Ok. Sì, ok. Ciao, Phil. Ti salutano.» Chiuse la telefonata e rimise il telefono in tasca, ignorando gli occhi imploranti di Chris.
«Ha detto che dobbiamo trovare una copertina per il disco. Nessuno che disegni?»
«Io!» alzò la mano Chris, entusiasmato.
«No, Chris, tu scarabocchi» lo liquidò Jonny, con un sorriso. «Però vi ricordate di John? John, da Birmingham. È un fotografo, è bravo. Può aiutarci.»
«John, John, John… Oh, John! Ho capito chi intendi, il tuo amico d’infanzia» fece Chris.
«Lui» sorrise Jonny. «Quando l’abbiamo visto l’ultima volta? Secoli fa… Settembre forse.»
«Era venuto al concerto» ricordò Chris. Jonny annuì sorridente. Guy e Will si scambiarono occhiate perplesse.
«è normale se non me lo ricordo affatto?» domandò Guy.
«Certo, certo. Con quello che hai bevuto ieri sera, poi, non mi stupisco per niente…» scherzò Chris, abbassando gli occhi sulla sua chitarra.
«Simpaticone…» sbuffò l’altro. Will abbassò gli occhi, a disagio. A Chris non sfuggì li gesto.
«Oh, Will… Perché non sei venuto ieri sera, alla fine? Non ce l’hai più detto» chiese, inclinando il capo da un lato. Will scrollò le spalle.
«Niente, a casa. Non vi riguarda, non preoccupatevi» mormorò, non azzardandosi a guardare più in là della sua batteria. Gli altri tre si scambiarono sguardi preoccupati.
«Will, siamo i tuoi migliori amici, sei il nostro batterista» disse Chris, deglutendo un “nonostante tutto”, le sopracciglia corrugate e la voce ferma. «Ci riguarda.»
Will alzò per un momento gli occhi, per poi abbassarli di nuovo. Deglutì, ma non riuscì a parlare.
«è successo qualcosa, Will? State tutti bene?» chiese Jonny, cercando di guardarlo negli occhi.
«è… Mia mamma. Lei ha… è malata, è… Cancro al seno. Guarirà, non preoccupatevi, guarirà» disse infine, schiarendosi la voce, tentando di convincere anche se stesso. Gli altri abbassarono lo sguardo, sentendosi improvvisamente così stupidi, ad aver perso tempo a litigare come galline.
Nella vita c’è di peggio, credimi, gli aveva detto la sera prima Will, con quello strano tono. Ora Chris capiva, e si sentiva un perfetto idiota.
Fece un passo verso di lui, tentennante. Era lì, d’un tratto piccolo dietro la sua batteria, con le spalle curve, stanche di reggere il peso del mondo. Guardò Jonny e Guy. Qualcuno doveva sollevare quel mondo per un po’.
«Ehi, perché non andiamo a mangiare qualcosa?» propose piano Jonny.
«Sì, ottima idea» approvò Guy, sfilandosi il basso da tracolla. «Così mi accompagnate anche al bar, ho il turno di sera oggi.»
«Non dirmi che lavori anche» scherzò Chris, fingendosi stupito.
«Tanto offri tu, bellimbusto» lo rimbrottò Guy, con la sua solita aria indolente.
«Che cosa? Ma perché?»
Un timido sorriso affiorò sul volto di Will, mentre si alzava e tutti quanti si preparavano a uscire. Chris gli si avvicinò e gli strinse le spalle con un braccio, un po’ come aveva fatto Jonny quella mattina con lui. Will abbassò il capo, mentre Guy gli dava una pacca sulle spalle e Jonny gli posava la mano sul braccio. Will si sentì un po’ più leggero, mentre dentro traboccava di gratitudine. Deglutì per scacciare quel groppo in gola e azzardò un sorriso.
«Vogliamo muoverci o no? Su, prima che Will cominci a diventare sentimentale» li esortò Guy, una mano sulla maniglia. Risero, uscendo.
 
♪♬
 
La cornetta sbatté rumorosamente contro il ricevitore. Delilah lasciò cadere la testa fra le mani.
Aveva perso il conto ormai delle chiamate e dei messaggi lasciati senza ottenere alcuna risposta. Sospettava che Chris avesse staccato il telefono.
Rialzò la testa e fissò l’apparecchio.
Che devo fare?
Quello se ne rimase immobile al suo posto, perfettamente insensibile, silenzioso. Del resto era un telefono.
Delilah si alzò e attraversò il soggiorno fino all’angolo cucina. Tirò giù dalla mensola un pacco di biscotti e tornò al suo posto sul pavimento, vicino al telefono. Erano ormai quasi le cinque, e lei non era riuscita a mangiare niente più che un uovo e un po’ di insalata a pranzo. Aprì il pacco e tuffò la mano.
Era stata tutto il giorno in questa sorta di limbo, facendo su e giù per li soggiorno, alzando il ricevitore a intervalli regolari, facendo zapping in tv, leggiucchiando qualcosa, senza combinare nulla di concreto. E con i fazzoletti di carta costantemente al naso. Dopo tutta l’acqua che aveva preso la sera precedente, prima del pub e dopo, quando aveva vagato per buoni dieci minuti prima di tornare a casa, non era una sorpresa. Soffiò il naso e prese un altro biscotto.
Limbo. Un momento di terribile nulla, quando tutto può accadere ma ancora non avviene.
E attesa. E in fondo cosa aspettava? Perché si sentiva così insicura, così spaventata? Perché si era allontanata da lui?
Forse, rifletté, appoggiando la testa al muro, ho paura a fidarmi di me stessa. Non riesco ad andare oltre il pensiero che potrei fargli del male, se mi lasciassi andare a lui, che sono troppo impura per lui, troppo pericolosa. Potrei trascurarlo, magari ferirlo senza volerlo. E lui è così sensibile, ci tiene veramente a me. Per lui sono troppo importante, vorrebbe un amore perfetto, ma forse non è con me che deve cercarlo. Se ci tenesse un po’ di meno, se non mi volesse così bene, forse sarebbe più facile lasciarmi andare…
Sul pavimento, poco distante da lei, giaceva Il ritratto di Dorian Gray. L’aveva finito di nuovo solo un’ora prima. Forse doveva essere egoista e lasciarsi andare, i giorni passavano e non sarebbero tornati indietro…
Ok, ecco che devi fare: ora ti alzi, ti vesti, torni a essere presentabile, esci da quella porta e vai dritta da lui, dovessi arrampicarti sulla scala antincendio…
Il telefono squillò. Delilah fissò per qualche secondo l’apparecchio, folgorata e incredula.
È questa la risposta?
Si sollevò sulle ginocchia e alzò la cornetta, il cuore che le batteva furiosamente.
«Pronto?»
Una possente voce baritonale rispose dall’altro capo del filo. E il suo cuore sprofondò.
 
♪♬
 
Si bloccò nel mezzo del corridoio. Era senza fiato, come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco. O lì, in mezzo al petto, sul cuore.
Lei se ne accorse, gli occhi saettarono verso i suoi, colpevoli. Si morse il labbro inferiore e piegò leggermente la testa da un lato. C’era scritto “mi dispiace” nella piega delle sue sopracciglia, ma lui le ignorò. I suoi occhi azzurri l’accusavano, feriti. “Come hai potuto?”
La ragazza allora distolse lo sguardo e abbassò il capo, soggiogata dal braccio che l’altro le aveva posato sulle spalle con fare possessivo.
Sarebbe rimasto lì per chissà ancora quanto tempo, se Jonny non fosse intervenuto, l’avesse preso per il gomito e trascinato nella prima aula alla loro portata. Nella fattispecie, trigonometria. Chris non avrebbe seguito nulla di qualsiasi lezione, ormai, tanto valeva averlo vicino nel suo corso per potergli parlare. O meglio, cercare di tirarlo su con una lunga tiritera contro le ragazze e un elogio finale di una bella bevuta in compagnia e una schitarrata. Sperando che ascoltasse almeno lui…
Delilah rialzò la testa in tempo per vederlo sparire in un’aula, ferito. Di nuovo. Per colpa sua. Tornò ad abbassare il capo mentre Nathan l’accompagnava – o meglio, la trascinava, visto che era completamente insensibile al mondo esterno in quel momento – verso la sua classe. Eppure, era questa la via che aveva scelto, per il suo bene. Sì, avrebbe fatto male per un po’, come poco prima, ma poi sarebbe passato tutto, avrebbe trovato una ragazza migliore con cui essere felice. Lo faceva per il suo bene. La cosa strana era che faceva male anche a lei.
 
♪♬
 
Premette il rosso spazientito, sbuffando. Gli occhi di Chris, alla sua sinistra, si illuminarono.
«Ora che hai finito posso giocarci?» domandò speranzoso. Guy gli allungò il telefonino e l’altro iniziò a smanettarci contento, mentre Will guardava da sopra la sua spalla.
«Tutto bene?» gli chiese Jonny, seduto alla sua destra, notando la sua aria seccata e preoccupata.
«Joanna ha chiamato, ma non l’ho sentita, e ora non risponde. Ed è la ventesima volta che ci riprovo.»
Jonny spostò lo sguardo sulla mappa della metropolitana sulla parete di fronte, in silenzio. Non c’era bisogno di domande, Guy avrebbe parlato da solo se ne avesse avuta voglia.
«è tutta la settimana che non ci vediamo, non capisco perché non risponde» mormorò. Non era un tipo geloso, eppure non riusciva ad ignorare quella serpeggiante inquietudine che si era impadronita di lui da quando aveva visto la chiamata persa di Joanna. Il treno fermò bruscamente e una voce gracchiante annunciò la fermata.
«Vai direttamente da lei» suggerì Jonny, mentre gli sportelli si richiudevano. Guy annuì.
«Farò così» sospirò. Entrambi si voltarono a guardare Chris, proteso in avanti con i gomiti sulle ginocchia e i pollici in azione sui tasti del telefonino, concentrato. Will si sporgeva per guardare da sopra la sua spalle, incitandolo a fior di labbra.
«Ho vinto!» esclamò, alzando un pugno al cielo, mentre Will esultava con lui e il resto dei passeggeri nel vagone si girava a guardarli stupita. Jonny rise.
«Non riavrai mai più questo telefono» disse Chris, iniziando una nuova partita. Guy scosse la testa tentando di reprimere un sorriso. Invano, nonostante tutto.
La voce gracchiante annunciò un’altra fermata e gli sportelli si aprirono.
«La nostra» mormorò Will, senza che ce ne fosse gran bisogno: i ragazzi si erano già alzati e avevano preso in mano le custodie dei loro strumenti. Guy picchiettò sulla spalla di Chris che, contrariato, gli consegnò il telefonino.
Scesero facendosi largo fra la folla, attenti a non sballottare gli strumenti, in silenzio, coperti da una coltre di eccitazione e nervosismo che contorceva lo stomaco di Jonny e aumentava l’iperattività di Chris fino a farlo quasi saltellare.
Gli studi erano semplici, sobri, niente di troppo spettacolare. Anche i produttori, i tecnici del suono e tutti quelli che lavoravano lì erano gente semplice e alla mano. I ragazzi si sentivano perfettamente a loro agio, e le registrazioni procedevano senza intoppi. O quasi.
 
Il problema principale, oltre l’iniziale imbarazzo e disorientamento dovuto al trovarsi in un luogo nuovo, in una giungla di cavi e cuffie e microfoni e strumenti, consapevoli di costituire il lavoro di un sacco di persone, era il costante e continuo afflusso di amici che venivano a – per dirla con le eleganti parole di Chris – “rompere le scatole a quattro poveri musicisti, peggio di un branco di sanguinolenti pulci assatanate”.
«Ma poi, le pulci possono essere sanguinolente? Insomma, non ti pungono e basta? Ti succhiano anche il sangue?» domandò Jonny, perplesso. Chris corrugò le sopracciglia, voltandosi verso di lui.
«Penso che ti mordano… Non mordono le pulci?» chiese, improvvisamente dubbioso.
«Oh, sì» sgranò gli occhi Guy, annuendo enfaticamente. «Ti mordono e ti succhiano tutto il sangue. Sono pulci-vampirooo!» disse, agitando le mani e strabuzzando gli occhi, tentando di far suonare spaventosa la sua voce. Il basso gli scivolò dalle gambe e rischiò di finire a terra. Chris e Jonny risero, ma Will si limitò a guardarlo perplesso.
«Qual è il tuo problema?»
Poi però, la risata di Guy coinvolse anche lui.
 
I summenzionati amici, in ogni caso, sembravano trovare divertente visitare i ragazzi nello studio, causando scompiglio, caos e panico, e finendo, la gran parte delle volte, cacciati via da Phil. Mark comparve per pochi minuti, il tempo di dare il cinque a Guy, impigliarsi nei cavi e rischiare di spezzarli. Tim rimase per qualche tempo, il secondo giorno di registrazioni, versando accidentalmente il caffè sui testi delle canzoni e suonando il pianoforte con i ragazzi. Marianne entrò timidamente “solo per un saluto”, e finì per rimanere metà pomeriggio, ridendo, prendendo in giro Will, inciampando nei pedali di Jonny e rischiando di finire faccia avanti sulla batteria, tempestivamente salvata da Guy. E poi John. John, il fotografo, l’amico di infanzia di Jonny, fu il peggiore. Si aggirava per lo studio armato di macchinetta fotografica, appostandosi nei punti più improbabili per trovare “l’inquadratura giusta”, poi spariva per ore e tornava con un mazzo di foto e qualche schizzo per la copertina del disco, e non smetteva di fare domande e parlare con chiunque. E ancora, compagni di corso dei ragazzi, il compagno di stanza di Will, la mamma di Phil e i suoi biscotti, clienti abituali del bar dove lavorava Guy, un’ondata di gente che entrava e usciva allegramente.
Non sorprende che i ragazzi impiegarono quattro giorni per registrare tre tracce, e Phil finì in overdose da caffè e aspirine contro il mal di testa. Nulla che una buona dose di sonno non potesse curare, alla fine. Purtroppo per lui, il divano di Chris e Jonny non era mai stato famoso per essere un divano comodo.
 
«Cosa… perché sto così male?» domandò con la voce impastata a nessuno in particolare, tentando di alzarsi, strizzando gli occhi alle acute fitte di dolore alla schiena e al collo.
«Buongiorno anche a te, il sole splende, siamo tutti felici, abbiamo finito di registrare e sto tendendo in mano il nostro disco!»
La voce allegra di Chris fu troppo per la sua debole testa, e tutto quello che riuscì a rispondere fu un grugnito. Lentamente, mise a fuoco il faccione sorridente del ragazzo e un oggetto piatto e argentato che teneva in mano.
«Che, che roba è? Oh, è… Disco. Mh. Ok.»
Disco… perché Chris teneva in mano un disco? Strizzando ancora di più gli occhi mise a fuoco la scritta scarabocchiata sopra: “Brothers&Sisters – Coldplay”. Ah, già.
 
♪♬
 
«Quindi io inizio da solo per una battuta, poi entrate tutti» ricapitolò Chris. Will annuì.
«Sicuri che l’assolo non dura troppo? A me sembra così lungo…»
«Perché lo stai suonando, Jon. Va benissimo, è il tuo momento, sfruttalo, brilla» lo incoraggiò Chris.
«Shiiine oon, you craaazy diamond… Tururutututu…»
«Guy, per favore. Non rubarmi il lavoro.»
«Scusa.»
Will scosse la testa sorridendo.
«Andiamo, allora, questa è quella buona» disse Phil, sorridendo e sparendo dietro la porta.
I ragazzi si diressero ciascuno ai propri strumenti e si posizionarono, sistemandosi cuffie, cavi e microfoni. La voce di Phil arrivò da un altoparlante all’angolo.
«Pronti, allora, quando volete.»
I ragazzi si scambiarono un’occhiata, Will annuì. Chris strinse il plettro e iniziò.
E Phil, nella stanza del mixaggio, chiuse gli occhi e sorrise. La loro musica gli riempiva le orecchie, sulla retina aveva ancora impresse le immagini di quegli ultimi giorni, immagini di sorrisi, risate, complicità, aiuto, lavoro di squadra.
La loro musica. Sorrise.
Sembrava che tutto andasse bene.
 
♪♬
 
Chris rise.
«Dai, alzati, sono le dieci e mezza, gli altri stanno già facendo colazione.»
«Altri?»
«Will, Jonny e Guy. Guy è appena arrivato, ha portato i cupcake.»
«Will ha dormito qui?»
«Sì, beh, diciamo che non poteva guidare né camminare nelle condizioni di ieri sera…» ridacchiò Chris, aiutando l’amico ad alzarsi.
«Quindi va tutto bene?»
Chris lo guardò e attese un secondo prima di rispondere.
«Certo, va tutto bene. Più o meno. Più più che meno. Mangiamo adesso!»
E forse – forse - aveva ragione. Forse.





***
'Sera. Ritardo più grande di quanto immaginassi, pardon.
The Beatles, ladies and gentlemen.
E.

 

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Capitolo 12
*** Under Pressure ***


Under Pressure

Il fumo danzava in lente volute davanti ai suoi occhi, innalzandosi pigramente. Storse il naso. Non aveva mai sopportato l’odore di fumo.
«Dovresti proprio prendere una decisione, Delilah. Anche se non capisco cosa hai da decidere.»
La voce roca e bassa le graffiava il petto, il fumo le ostruiva la gola.  Cercò di deglutire, risistemandosi la maglietta.
Lui continuò a fumare, senza smettere di guardarla. La sigaretta finì, lui la spense con un mezzo sorriso e la lasciò cadere nel posacenere sul tavolinetto accanto al divano su cui erano seduti. Lei ne approfittò per guardare la sua figura possente, i suoi capelli scuri.
Forse era per il fumo, ma aveva un terribile groppo in gola da quando lui era arrivato che non riusciva a scacciare. E c’era il loro Cd sul tavolo, che sembrava guardarla accusatore.
Diede la colpa al fumo. Perché avvolta in quelle cortine di fumo la realtà perdeva i suoi contorni, nulla era veramente ciò che era. Chi diceva che quei baci al gusto di tabacco, quelle grandi mani possenti non erano in realtà delicate mani di musico e dolci baci dal sapore misterioso – perché in fondo non conosceva il loro sapore -, chi diceva che quello che stava facendo era sbagliato, chi le assicurava che lei era lei, e non qualcun’altra? In fondo, fra le volute di fumo, tutto poteva essere. E lei lasciò che tutto fosse.
 
♪♬
 
Alzò la cornetta.
«Pronto?»
«Joanna! Sono secoli che ti cerco, che fine hai fatto? Non hai visto le chiamate?»
«No, non ero in casa, ho avuto tanto da fare.»
«Oh.»
Guy deglutì, senza sapere cosa dire. Infilò una mano in tasca e iniziò a strusciare i piedi l’uno contro l’altro. Will, dal divano dell’appartamento di Guy, alzò lo sguardo dalla rivista sportiva verso l’amico, inarcando un sopracciglio. Guy a disagio con Joanna era una novità per lui.
«Hem… Cosa fai? Va tutto bene?» tentò, titubante.
«S-sì, sì, tutto bene, certo. Cosa… cosa ti serve, Guy?»
«Niente, non mi serve niente, volevo solo sentirti, insomma…» Guardò Will in cerca di aiuto, sollevando le sopracciglia. Il ragazzo rifletté un istante poi sgranò gli occhi sillabando la parola “cinema”.
«Oh, sì, niente, volevo vederti… Cosa fai questo pomeriggio? Ti va un film?»
«Un film?»
«Sì, al cinema… Danno… Mi pare…» Guardò di nuovo Will, nel panico. Lui si alzò e prese un libro dallo scaffale, mostrandolo all’amico.
«Amleto?»
Will scosse la testa e indicò il nome dell’autore.
«No, cioè Shakespeare…»
Guy aggrottò le sopracciglia. Will suggeriva a lui e Joanna di andarsi a vedere un film su Shakespeare? Will alzò gli occhi al cielo e indicò il nome di Shakespeare, poi mimò l’atto di dedicare una canzone a qualcuno, si portò teatralmente una mano al cuore, lanciò baci, si avvolse le braccia intorno al corpo mimando un abbraccio. Guy avrebbe trovato la situazione comica se non stesse precipitando nel panico.
«Shakespeare… Cos-… Ah, sì, Shakespeare in Love
Will alzò i pugni in segno di vittoria.
«Shakespeare in Love? No, non voglio andarlo a vedere, quell’oca bionda mi dà sui nervi.»
Guy abbassò la testa.
«Ok, possiamo vedere qualcos’altro…»
«Veramente… Hem, mi sono ricordata che ho un impegno, non posso proprio questo pomeriggio, mi dispiace.»
«Cosa? Oh, ok, va bene… Vieni da Tim stasera?»
«Tim?»
«Sì, ha un concerto con la sua band al Bull and Gate, ci ha invitato secoli fa. Otto e mezza.»
«Oh, certo… Sì, sì, ci sono. A dopo allora, devo scappare. Ciao.»
Will guardò Guy abbassare la cornetta con le parole ancora incastrate in gola. Quando alzò gli occhi su di lui era ancora più preoccupato di quanto non fosse stato prima di chiamare.
«Che le è preso?» mormorò, aggrottando le sopracciglia. Will scrollò le spalle.
«Donne.»
 
♪♬
 
Si portò una mano alla fronte, massaggiandosela, l’altra ancora posata sulla cornetta.
«Non puoi semplicemente sbucare così, all’improvviso, senza avvertire.»
«E tu puoi togliere le chiavi dalla porta» sorrise serafico il ragazzo, allungando le gambe, sistemandosi più comodamente sulla sedia della scrivania. Lei si voltò a fronteggiarlo a braccia conserte.
«Cosa vuoi, Mark? Mi sembra che abbiamo parlato abbastanza in questi giorni, non ti pare? Sai da quant’è che non vedo Guy?»
«Cosa vuoi tu da me? Non ti ho chiesto io di mentirgli e dargli buca» rispose lui, sollevando un angolo della bocca in un ghigno sornione. Lei strinse le labbra; detestava che gli altri avessero ragione.
«Non ho mentito, non mi piace quel film, e  non sopporto quell’attrice. È così perfetta, mi ricorda Delilah. Forse anche peggio.»
«Stai tergiversando» le fece notare il ragazzo, ghignando ancora di più.
«No. E non prendo ordini da te» sibilò lei, assottigliando gli occhi.
«Lo so» sorrise lui, alzandosi e avviandosi alla porta. «Infatti deciderai da sola di seguirmi, come al solito.»
Joanna attese qualche secondo dopo che la porta si fu richiusa prima di afferrare la giacca sbuffando e seguire Mark.
 
♪♬
 
«Al! Alexander Timothy George Martin, ridammi quella giacca!»
«No!»
«AL!»
Un susseguirsi di porte sbattute, richiami e schiamazzi ruppe il silenzio dell’appartamento.
«Timothy George?» chiese Jonny, sorridendo divertito. Curioso che sia Chris che suo fratello Al avessero un’infinita sequela di nomi e fossero conosciuti con una manciata di lettere ciascuno.
«I nostri genitori non sono stati buoni con noi» sospirò Julia, voltando pagina al suo romanzo. «E pensa cosa è toccato al povero Dave che è nato per ultimo.»
«E tu? Qual è il resto dei tuoi nomi?» le sorrise Jonny, posando il suo libro. Era ora di andare a prepararsi.
«Non lo saprai mai. Ma posso dirti quelli di Chris» sorrise di rimando la ragazza, alzando gli occhi su di lui. Jonny si ritrovò a pensare che erano identici a quelli di Chris, perfettamente uguali.
«Juliana Alison Cornelia Martin. La mamma si è divertita» disse Al, piombando sul divano accanto alla sorella, indossando fiero la giacca blu del fratello. Secondo per età, teneva testa fieramente al fratello maggiore per vivacità e parlantina, senza contare che era la sua copia sputata, solo con i capelli più scuri.
«Cornelia?» chiese Jonny, ghignando.
«Grazie mille» mormorò la ragazza a denti stretti, sporgendosi e dando il libro in testa al fratello, che glielo strappò fulmineamente di mano.
«Grandi Speranze? Dove l’hai trovato?»
«è di Chris» rispose lei, riprendendoselo. «Anche i suoi libri sono noiosi, porca miseria.»
«Eppure lo stai leggendo» le fece notare il fratello maggiore, spuntando in soggiorno abbottonandosi la camicia.
«Solo perché voi due avevate occupato camera e bagno e non avevo altro da fare» lo liquidò lei, chiudendo il libro e alzandosi dal divano. Il pesante romanzo finì casualmente in testa ad Al, che alzò gli occhi al cielo. Chris prese il posto della sorella scavalcando lo schienale del divano.
«Davvero pensa di poterci sconfiggere con questi giochini? Possibile che non abbia ancora imparato niente?»
«Lo so, lo so» sospirò Chris, prendendo il suo libro, chiedendosi cos’aveva mai che non andava. «Non vuole arrendersi all’evidenza: noi siamo e saremo sempre più forti e più avanti di lei. Si illude di poterci battere, povera ragazza.»
Al scosse la testa, perdendosi in ricordi.
«Ti ricordi quella volta che l’abbiamo rinchiusa nella casetta in giardino per tipo tutto il pomeriggio? Quando giocavamo a pirati, o qualcosa del genere, e lei è rimasta lì aspettando che la salvassimo.»
«Oh, sì, si era addormentata. E invece quando l’abbiamo travestita da zucca ad Halloween e ci siamo dimenticati di fare i buchi per gli occhi? Continuava a sbattere la testa ovunque…»
«Oh, e invece quando le abbiamo insegnato le parole sbagliate di Ob-La-Di, Ob-La-Da e lei ha cantato per secoli di cani che ballano il tip tap?»
«E quella era la parte pulita…» sogghignò Chris con un’occhiata d’intesa a Jonny, che rise.
«Perché, invece, quando abbiamo tagliato i capelli alle sue bambole? Non ci ha mai più giocato.»
«Per forza, che se ne faceva delle bambole, quando aveva due fratelli come noi?» disse Chris, scambiandosi un ghigno d’intesa con il fratello. Jonny si morse le labbra per non ridere, mentre Julia si avvicinava a braccia conserte dietro al divano, un’espressione niente affatto amichevole sul viso.
«Poverina. Non c’è da stupirsi che ora sia così» disse Chris, con finto tono di compatimento, puntandosi un indice alla tempia e facendolo roteare.
«Già. In fondo non è colpa sua.»
Chris e Al aggrottarono le sopracciglia quando Jonny scoppiò a ridere e continuò per più di quello che sarebbe stato normale. L’espressione di Julia era decisamente comica, adesso, e molto somigliante a quella della signora Martin quando aveva scoperto lo stato del frigo, del bagno e della camera di suo figlio.
«Jon, ok, basta, non era così divertente…»
Sobbalzarono entrambi quando Julia affibbiò loro due scappellotti in testa e trasalirono quando la videro in piedi dietro di loro.
«Jules… Sai che ti vogliamo tanto bene, vero?»
Nulla salvò Chris da un altro scappellotto.
 
♪♬
 
Aprì gli occhi, sbadigliando. L’occhio le cadde sull’orologio. Le otto e tre quarti. Di sera. Spalancò gli occhi. Avrebbe giurato di aver chiuso gli occhi solo un momento
Intontita, si alzò, tentando di ricordare cos’aveva fatto prima di addormentarsi, cercando di capire soprattutto perché il posacenere era pieno e perché fosse coperta con una felpa rossa che non riconosceva. Se la tolse dalle spalle e la alzò davanti a sé. Il logo della UCL e un forte odore di tabacco. Sotto il tavolino giacevano abbandonati un pacco di sigarette e un accendino. Dalle nebbie nella sua testa emersero un paio di occhi scuri, una spirale di fumo che usciva da un paio di labbra ben cesellate. Ora ricordava cosa aveva fatto.
Indossò la felpa, accese la luce, svuotò il posacenere nella pattumiera, prese un paio di scarpe che aveva lasciato nel mezzo della stanza e raccolse il pacchetto di sigarette e l’accendino.
Aprì la porta della sua camera, gettò le scarpe via accanto al mucchio di vestiti, accese la lampada sul comodino e si avvicinò alla finestra, scostò le lunghe tende e l’aprì. Le abbaglianti luci della strada e una folata di vento gelido la investirono. Aveva freddo, ma non se ne curò. Aprì il pacchetto e prese una sigaretta, poi lo gettò sul letto alle sue spalle; l’accese e lanciò via anche l’accendino.
Il fumo le ostruì la gola e per un attimo credette di soffocare, ma si riprese e lo soffiò via. Una sensazione familiare, a lungo dimenticata, le corse nelle vene, mista al sapore sgradevole a cui non si era mai abituata; chiuse gli occhi, lasciandosi prendere da una strana malinconia. Li riaprì e nelle volute di fumo che le uscivano dalle labbra e si perdevano nel cielo di Londra vide immagini di un passato dimenticato ma mai così vicino.
Vide le tante, troppe sigarette che aveva consumato, da sola o con quegli amici, nelle vie buie di Glasgow, quelle sere, sigarette che usava come arma e come scudo, per difendersi da tutti, da chiunque potesse vedere che la ragazza dietro quelle armi non era che una ragazzina grassottella e timorosa del giudizio degli altri, spaventata dalla solitudine e dalla possibilità di non essere accettata; una ragazzina che era stata una bambina sola, vittima di scherzi e dispetti, che faticava a combattere l’opinione degli altri, a distruggere quella bambina che le somigliava, che gli altri avevano creato, ma che non era lei; quella bambina vivace, indisponente, che si arrabbiava e rispondeva male ai bambini che per scherzo la prendevano un po’ in giro, ma è normale a quest’età, quella bambina che mangiava la sua merenda da sola in silenzio, e ne mangiava anche più del dovuto. Quando era cresciuta, aveva lottato contro quel corpo che la imprigionava, che era così grande e ingombrante e vergognoso, perché non voleva che tutti la prendessero in giro di nuovo; aveva lottato contro la sé stessa che gli altri avevano costruito, l’aveva distrutta insieme alla sua figura e se n’era creata un’altra: una ragazza forte, indipendente, un po’ anticonformista, con una piega orgogliosa nelle sopracciglia. Aveva raddrizzato le spalle, acceso una, due, tre, infinite sigarette, era uscita a ballare negli orari più impensabili, non aveva mai rifiutato da bere, nemmeno quando sapeva che il suo giovane corpo non sarebbe stato d’accordo, aveva sbattuto le ciglia e ancheggiato una volta di troppo, aveva baciato una, due, tre, forse più paia di labbra diverse, aveva fumato altro che non semplice tabacco. Doveva far vedere a tutti chi era Delilah, doveva dimostrare di essere forte. Poi era venuta a Londra, aveva capito che non sarebbero state sigarette, alcol o un buon rossetto a farla amare dalla gente, e si era calmata, era maturata; la sua spada non era più così affilata, i suoi sorrisi erano tornati veri.
Aveva conosciuto Chris, e le sue armi erano cadute con fragore davanti a lui.
Non capiva perché, non sapeva spiegarselo, eppure lui, con i suoi sorrisi strampalati, la sua voce calda, la sua essenza spumeggiante e i suoi occhi sinceri avevano vinto le sue armi e lei si era ritrovata esposta, vulnerabile. Quella Delilah bambina, gioiosa e solare che credeva di aver sepolto sotto le armi, quella Delilah che nessun altro conosceva, lui l’aveva riportata alla luce e se ne era innamorato.
Sentiva freddo, però, così. E aveva paura. Paura per sé stessa, perché si sentiva in pericolo; per lui, perché non ci sarebbe voluto molto per impugnare di nuovo la spada e fargli del male.
Ancora quel groppo in gola. Si schiarì la voce. Doveva essere il fumo. Strizzò gli occhi e deglutì.
Aveva ripreso lo scudo, però. Lui aveva abbassato lo sguardo e si era fatto un po’ più lontano. Prima o poi se ne sarebbe andato definitivamente e lei avrebbe potuto riprendere la spada. E sarebbero continuati entrambi, sarebbe andato tutto bene. Se solo avesse potuto crederci.
Si scostò dalla finestra, ma non la richiuse. C’era un libro a terra, chissà perché. Storse la testa per leggerne il titolo, espirando una boccata di fumo. Grandi Speranze. Con una strana sensazione in bocca, si chinò e fece per raccoglierlo, quando il suono del campanello la fece sobbalzare. La sigaretta le cadde accanto al libro.
La pestò distrattamente con il piede e andò a vedere chi era.
 
♪♬
 
La lancetta dell’orologio si spostò sul nove. Le nove meno un quarto. Dove diavolo era finita Joanna? Avevano detto otto e mezza. Controllò il cellulare, ma niente.
Will si accorse della sua inquietudine e gli posò una mano sul braccio.
«Rilassati, Guy, sta’ tranquillo. Arriverà.»
«è tardi…» sospirò Guy, mettendo il cellulare in tasca e afferrando la birra che Will gli porgeva, gli occhi rivolti verso il palco. Will distolse lo sguardo dall’amico e li rivolse anche lui al palco, dove Tim stava parlando. Il pubblico accolse con un applauso l’inizio della canzone che seguì.
«Sono bravi» constatò Chris, sorseggiando la sua Coca.
«Sicuramente più di te» fece Al, seduto alla sua sinistra, con aria seria. Chris spalancò gli occhi e iniziò a balbettare, combattuto fra il desiderio di far valere la sua bravura e la sua solita convinzione di non essere un granché. I ragazzi intorno al tavolo risero; perfino Guy stiracchiò le labbra, controllando di nuovo l’orologio. Alla fine, Chris risolse dando una spallata al fratello che rischiò di buttarlo giù dalla sedia.
«Delilah non viene, allora?» mormorò Julia. Jonny scosse la testa.
«L’abbiamo invitata, pensavamo che così potesse risolvere con Chris, ma non è voluta venire» mormorò in risposta, guardando sconsolato il suo bicchiere. La ragazza, accanto a lui, strinse i pugni.
«Io… Che nervoso che mi fanno venire quei due! Sono così idioti… Dimmi un’altra volta, perché non stanno ancora insieme?»
«Perché Chris ha provato a baciarla, ma lei non ha voluto e adesso esce con Nathan, il tipo di prima, e loro non si parlano più» spiegò Jonny, paziente.
«Ma è assurdo! Insomma, Chris è uno strambo e ci sono tutte le ragioni di questo mondo e quell’altro per non averci niente a che fare, ma sono perfetti l’uno per l’altra! Quanto ci metteranno a capirlo?» sbottò la ragazza, esasperata. Jonny rise piano.
«Che vuoi farci… Chris ci ha provato, lei l’ha rifiutato… Lui che altro può fare?»
«Niente, che può fare…» sospirò Julia, prendendo un sorso di Coca Cola. Aggrottò le sopracciglia, mentre un’idea arrivava ballonzolante nel suo cervello.
«Io… Scusami» mormorò con aria assente, sgusciando giù dalla sedia. Jonny la seguì con la testa mentre si faceva strada quasi di corsa nel locale affollato.
«Dove vai, Julia?»
«Lasciala perdere» fece Chris, con un’alzata di spalle, seguendo il suo sguardo. «Scappa spesso così quando deve andare in bagno perché si vergogna a dirlo ad alta voce. Piuttosto, c’è una ragazza laggiù che non la smette di fissarti…» gli fece notare, dandogli una gomitata nelle costole, con un ghigno che andava sempre più allargandosi. Jonny alzò lo sguardo e vide una ragazza dai capelli castani seduta qualche tavolo più in là, che non appena incontrò i suoi occhi voltò fulmineamente la testa. Jonny abbassò lo sguardo, rosso in viso. Chris gli diede una pacca sulla schiena, ridendo, mentre il ragazzo camuffava l'imbarazzo prendendo un sorso di birra.
«Aspetta, ha anche un’amica!» constatò interessato Chris, ravvivandosi i capelli con una mano.
Julia aprì la porta del locale e uscì quasi di corsa nella notte.
 
♪♬
 
Incrociò le braccia sul petto, sbuffando. Le nuvolette di vapore si dissolsero davanti ai suoi occhi.
«Non è un argomento di cui voglio parlare con te» disse lentamente, imprimendo fermezza ad ogni parola. Non lo guardò, ma sapeva benissimo che stava ghignando in quel modo tutto suo, e la cosa la indispettì ancora di più.
«Non vedo perché: mi riguarda, è mio fratello.»
«E allora?» sbottò la ragazza. «Le cose… Sono un po’ strane, noi non… è tutta colpa tua, in ogni caso, te che sei sempre in giro a rompere le scatole.»
«Sono io il cattivo ragazzo, quindi?»
Quanto avrebbe voluto cancellargli quel ghigno con un bel pugno!
«Perché non cambiamo argomento, prima che ti faccia finire nel Tamigi?» propose, sorridendo minacciosa. Lui si spostò dall’altra parte del marciapiede, dal lato della strada, senza togliersi quel sorriso storto dalla faccia.
Il vento della sera, l’odore del fiume, il rumore delle macchine e degli autobus, le luci dei lampioni e degli edifici. Era piena di vita quella sera.
«Vuoi dire che è stata colpa mia? Sono stato io a farvi allontanare?» chiese, senza nemmeno fingersi colpevole.
«Sicuramente venirmi a trovare ogni due per tre e trascinarmi in giro per Londra a raccontarmi la tua vita non ha aiutato.»
«Come? Gran parte della mia vita è la vita di Guy!» esclamò lui, spalancando gli occhi, ancora quella piega beffarda sulle labbra.
«Sei sempre in tempo per finire sotto una macchina.»
«Ah, ma non capisci? È proprio questo che amo di te, Jo.»
«Chiamami Jo un’altra volta…»
«Sì, sì, mi appenderai per i piedi alle lancette del Big Bang, va bene» disse, sventolando una mano con fare annoiato. Lei strinse i denti, cercando di ignorare il battito leggermente accelerato del suo cuore. Mark voltò la testa verso di lei per un momento, ancora con quel ghigno pericoloso sulle labbra.
«Cosa?» fece lei, indispettita. Mark scosse la testa per scacciare quell’amara sensazione che lo prendeva ogni volta che era con lei, quella strisciante colpevolezza che si insinuava nelle vene, ma che puntualmente mascherava sotto un ghigno sornione. Guardò la ragazza imbronciata accanto a sé, il ghigno che mutava piano in un sorriso dolceamaro.
In fondo, non faceva mica nulla di male, no?
«Niente.»
Fianco a fianco, attraversarono la strada ed entrarono al Bull and Gate.
 
♪♬
 
Spalancò gli occhi sorpresa quando riconobbe la figura al di là della porta.
«Buonasera. Si può?»
Senza aspettare oltre, fece un passo nell’appartamento con un ampio sorriso.
«Che puzza di fumo. Non sapevo fumassi.»
«Non… non sono stata io.»
Delilah la seguì, circospetta, mentre Julia si muoveva nel soggiorno, si toglieva il cappotto e prendeva posto sul divano, perfettamente a suo agio.
«Cosa… Hem, come posso aiutarti?»
«Niente, volevo solo parlare.»
Gli occhi della ragazza la trafissero e Delilah si sedette accanto a lei, vinta, lo sguardo basso.
«Dimmi.»
«Oh, andiamo, sai benissimo perché sono qui.»
Chris.
Delilah deglutì, ma non osò alzare lo sguardo.
«Non è il loro Cd, quello?» domandò Julia, indicando un Cd solitario lasciato sul tavolo senza custodia. Delilah lo raccolse e glielo porse con un fremito.
«Me l’ha prestato Tim, è la sua copia.»
«L’hai sentito?»
Delilah annuì, gli occhi incollati alla disordinata scritta del titolo e della band su un lato. Conosceva così bene quella grafia contorta, sapeva l’esatta forma di ogni lettera storta e bitorzoluta.
«Sono andati anche in radio, l’altra sera, a Radio One, con quello speaker simpatico, Steve qualche cosa…»
«Li ho sentiti» mormorò flebilmente. Eccome se li aveva sentiti; non aveva chiuso occhio tutta la notte, poi, tormentata da quella voce struggente e quelle chitarre malinconiche. Julia sospirò pesantemente.
«Allora, Jonny mi ha raccontato tutto, e anche Chris ha spiccicato qualcosa, ma io voglio informazioni di prima mano, dritte dalla fonte. Domanda uno: perché diamine hai mollato quell’idiota di mio fratello?»
«Julia, sono cose che non ti riguardano…»
«Che fiacca, Delilah, ti voglio un po’ più combattiva, altrimenti non mi diverto. Riformulo la domanda: perché hai mollato quel coglione di mio fratello quando chiaramente ti piace?»
«Non l’ho mai detto…»
«Perché non l’hai ammesso nemmeno con te stessa.»
Si piegò all’indietro appoggiandosi allo schienale.
«Diamine, Delilah, avrei giurato che sarebbe stato Chris quello complicato della coppia: è lui quello lunatico, volubile, iperattivo, logorroico, eccentrico, strano… Tu sembravi quella normale. Vuoi spiegarmi che è successo?»
La guardò dritta in viso, ma Delilah fuggì quegli occhi azzurri e lasciò vagare lo sguardo per la stanza disordinata. In fondo, non conosceva benissimo Julia, non aveva voglia di farle confidenze, eppure, si rese conto d’un tratto, forse era una delle poche persone che potesse chiamare davvero amiche. O poteva considerare amiche Claire e Megan, i loro modi affettati e ipocriti e il loro basso quoziente intellettivo?
Cercò di spiegarsi come meglio poteva, mantenendo salda la voce e fermo lo sguardo, mentre il cuore le batteva a mille. Julia non staccò per un momento i suoi occhi dalla ragazza. Quegli occhi azzurri. Uguali a quelli di Chris.
«In qualche modo, io tengo a lui, ci tengo davvero. Anzi, proprio perché ci tengo devo allontanarlo, perché potrei danneggiarlo. Ho fumato, sigarette e non solo, ho bevuto, ho baciato sconosciuti. Non sono stata angelica, pura né perfetta, anche se è così che lui mi vede. Non lo sono stata, non lo sono. Guardami. È bastato un niente e sono crollata.»
Alzò finalmente gli occhi verso la ragazza e desiderò non averlo mai fatto. Erano gli occhi di Chris, quelli, non doveva dimenticarlo.
«Non capisco cosa c’entri questo con Chris. Lui è capace di decidere se fumare o meno, almeno questo lo sa fare» obiettò Julia, incrociando le braccia.
«Sì, ma lui non merita una… Insomma guardami! Sono così… Se Chris si mettesse con me, dovrebbe fare i conti con i miei difetti, correrebbe dei rischi, sarebbe deluso di scoprire una Delilah che non aveva mai visto. E se io mi mettessi con lui… Perderei…» Corrugò le sopracciglia. «Niente. Ma vorrebbe dire…»
«…Dimenticare e distruggere per sempre questa Delilah, lasciando vivere soltanto la tua parte migliore» concluse Julia, distendendo un sorriso. «Se c’è una cosa buona che Chris sa fare è tirare fuori il meglio dalla gente. È fatto così, non puoi tenergli il muso o essere triste o arrabbiato a lungo con lui» alzò le spalle. Delilah sembrava non ascoltarla, persa chissà dove. Storse il naso. Era una sua impressione, o l’odore di fumo sembrava essersi fatto più forte? Diamine, sembrava di stare sopra una ciminiera.
«Quindi… Dici che… Chris sarebbe felice con me?» domandò timidamente, alzando gli occhi tremanti verso la ragazza. A Julia ricordò tanto una bambina, così, insicura, con quella felpa troppo grande che faceva a pugni con i suoi capelli in disordine, la schiena tesa in avanti.
«Dico che siete uno più idiota dell’altra, che state sprecando un mucchio di tempo facendovi assurdi drammi filosofici da romanzetti scritti male e che non lo so se sareste felici, ma diamine, se non ci provate, sta’ sicura che non lo sarete mai!»
Delilah sorrise per la prima volta da molti giorni, un sorriso vero, che le distese la fronte e le riempì il petto di un’emozione indecifrabile. Julia sorrise dolcemente a sua volta.
«Ora direi che puoi andare a vestirti decentemente e poi venire con me al Bull and Gate.»
L’odore di fumo stava rapidamente diventando insopportabile.





***
I Queen e David Bowie, ladies and gents, una magnifica canzone per un, hem, capitolo. Impressioni, pensieri, critiche? Lo spazietto bianco qua sotto vi attende.
Grazie ad Heart e grazie a tutti i (pochi) coraggiosi che hanno letto fin qui.
'Notte!
E.

Ah, ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale (ciao Gwynnie), ovvio. L'ha detto Joanna, mica io u.u

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Capitolo 13
*** Panic because of The Unforgettable Fire ***


Panic because of The Unforgettable Fire

Scosse la testa, incredulo. Jonny era sempre stato quello timido, fra loro, quello impacciato, che non si sbottonava mai e si lasciava andare raramente e solo con pochi amici, invece adesso eccolo lì, a parlare e ridere con una ragazza conosciuta neanche un quarto d’ora prima. Anche carina per giunta.
Abbassò la testa, dando una fugace occhiata alla ragazza bionda – tinta – , amica della mora con cui parlava Jonny, seduta accanto a lui, che lo aveva platealmente ignorato, aveva distrutto tutti i suoi tentativi di fare conversazione e adesso guardava il palco con aria annoiata. Chris sospirò, tornando a guardare Jonny e la ragazza, seduti qualche tavolo più in là.
Oh, andiamo, non sarà mica stato geloso? Scacciò subito il pensiero. Diamine, no. Si trattava di Jonny. Era ovviamente felice che il suo amico stesse finalmente imparando a lasciarsi andare; forse, rifletté, non mi va giù che lui abbia una ragazza e io no, ecco. Scosse la testa e strabuzzò gli occhi: che razza di meschino! Prese un altro sorso della sua bibita, tentando di non pensare a quale ragazza avrebbe voluto lì accanto a lui, e sintonizzò le orecchie sulle parole che stava dicendo Will.
«… Non posso proprio sabato prossimo, mi dispiace. Non possiamo fare venerdì?»
«Perché, che dobbiamo fare sabato prossimo?» domandò Chris, guardando Will e Guy.
«Stanno organizzando la tua festa di compleanno, genio» disse la ragazza bionda, continuando a guardare il palco. I ragazzi la fissarono con tanto d’occhi. Will non era nemmeno sicuro potesse parlare.
«Ma il mio compleanno è martedì.»
«Giusto, ma dato che il martedì è in mezzo alla settimana, è meglio festeggiare nel week-end, no?» disse Guy, con l’aria di chi spiega l’ovvio.
«Oh, ok» fece Chris, corrugando le sopracciglia. «E perché tu non puoi sabato?» chiese rivolto a Will. Il ragazzo si mosse sulla sedia a disagio.
«Devo andare dai miei a Southampton, per, hem… Mia madre sapete» disse, i lineamenti tesi e gli occhi fissi sul bicchiere che stringeva fra le mani, le nocche bianche. Chris e Guy si scambiarono un’occhiata.
«Be’» iniziò Chris, senza staccare lo sguardo «Potremmo festeggiare venerdì e poi andare tutti a Southampton; lasciamo te lì dai tuoi e noi ce ne andiamo al mare. Eh?»
Will alzò gli occhi verso di loro, corrugando le sopracciglia.
«E perché dovreste farvi tutta quella strada fino a lì? Non si può nemmeno fare il bagno, con questo freddo.»
Chris si strinse nelle spalle, assumendo quel suo sorriso da santarellino.
«Perché ti vogliamo tanto bene. E vogliamo andare al mare consumando la tua benzina.»
«Oh, certo» ridacchiò Will, mentre Guy scuoteva la testa. Probabilmente si sarebbero annoiati e sarebbero morti di freddo, eppure Chris seppe di aver fatto la cosa giusta quando vide le nocche di Will riprendere colore e il loro proprietario rilassarsi e tornare a parlare del più e del meno. Ovvero di cosa regalare a Chris per compleanno.
«Magari una parrucca. Quei capelli sono indecenti.»
«Calzini e mutande e la facciamo finita. Tanto quelli servono sempre» disse Guy, sfoggiando tutta la sua scozzese tirchieria.
«O un po’ di gel…»
«Sei geloso perché lui ha più capelli di te?»
Chris scosse la testa ridendo e solo allora si accorse che anche il posto accanto a quello di Jonny era vuoto. Una spiacevole sensazione si impadronì del suo stomaco.
«Hey, avete più visto Julia? è sparita, che fine ha fatto?»
Will e Guy si scambiarono un’occhiata e si strinsero nelle spalle, interrompendo la loro lista di regali.
«Non è andata in bagno?» chiese Guy.
«Quanto le ci vuole per andare in bagno? Sono quasi venti minuti che è via.»
«Chris, stiamo parlando di una ragazza» gli disse Will, mettendo una mano sul suo braccio con aria saputa. «Non si è mai vista una ragazza che è veloce al bagno.»
«Sì, ma è il bagno di un locale! È un miracolo se c’è il sapone, che dovrà mai fare? Dobbiamo andare a controllare» disse, preoccupato, alzandosi in piedi.
«Potrebbe aver trovato qualcuno con cui ballare» fece notare la ragazza bionda, gli occhi rivolti verso la pista, che altro non era che un rettangolo di spazio vuoto sotto il palco. Chris la fissò allibito, tornando a registrare la sua presenza.
«Stanno suonando una bella canzone, lei è una ragazza sola, qualcuno potrebbe averla invitata a ballare» continuò, alzando gli occhi verso Chris, vagamente accusatori. «Loro stanno ballando» sputò, indicando col pollice Jonny e la ragazza, chiaramente invidiosa. Chris spostò lo sguardo verso l’amico, dimenticando per un secondo il panico che l’aveva invaso al pensiero di Julia e uno qualsiasi dei giovanotti londinesi che affollavano il locale; Jonny aveva le mani sui fianchi della ragazza che gli stringeva la braccia al collo, e sorridevano guardandosi negli occhi. Chris sentì una strana fitta allo stomaco.
«Suppongo che con te non ci siano speranze. Dovresti davvero farti spiegare come si parla con le ragazze» disse lei, alzandosi e allontanandosi con sussiego. Chris la fissò sbalordito, mentre gli altri ridevano.
«Oh, questa sì che è una batosta!» rise Will. Chris gli rivolse uno sguardo truce. Guy sbarrò improvvisamente gli occhi, il sorriso scomparso. Chris si voltò, in tempo per vedere Joanna entrare nel locale. Mark e Joanna.
 
♪♬
 
«Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? Non ci metterò molto…»
«No, grazie, sta’ tranquilla.»
Sentì Delilah armeggiare nel bagno.
«Hanno di nuovo chiuso l’acqua, possibile? Perché? No, era il turno di Anne di pagare, si è dimenticata… Merda…» si lamentò da dietro la porta chiusa.
«Chi è Anne?» domandò Julia, piegando la testa di lato per leggere i titoli dei libri sullo scaffale.
«Mia cugina, abita qui con me. Ed è anche partita per il Galles, la furba, toccherà pagare a me un’altra volta! Giuro che appena torna…» le sue minacce si persero nei fruscii ovattati dei vestiti.
Julia finì il suo giro di ricognizione nel piccolo salotto, chiedendosi dove altro potesse curiosare senza risultare indiscreta. Adocchiò la porta della camera e vi si avvicinò, storcendo il naso. Cosa diamine c’era lì dentro, una coltivazione di tabacco? Spinse delicatamente la porta e corrugò le sopracciglia. Entrò piano, tentando di ignorare l’odore di sigaretta, e si avvicinò alla finestra. A terra giaceva un libro da cui usciva un sottile filo di fumo. Piegò la testa di lato e fece per chinarsi a raccoglierlo quando si ritrovò all’improvviso nel buio.
 
♪♬
 
«Perché io?» sibilò, seguendolo.
«Perché quando canti hai una voce acuta.»
«E allora? Tu canti in falsetto. Scusa, hai davvero bisogno di tutti e due?»
«
Will roteò gli occhi. I tre ragazzi si fermarono davanti alla porta.
«Ok, ora che si fa?» chiese Al, guardando gli altri due. Chris e Will si scambiarono un’occhiata.
«Ci serve un piano. Dobbiamo agire con prudenza, senza farci scoprire dal nemico. Potrebbero essere ovunque; nella peggiore delle ipotesi, dietro la porta. Quindi, io suggerisco di mandare qualcuno in avanscoperta, mentre un altro…»
«Chris, siamo tre ragazzi davanti al bagno delle signore, cominciano a guardarci male. Possiamo fare in fretta?» gli disse Will, mascherando il disagio sotto uno sguardo annoiato.
«Spie!» spalancò gli occhi Chris «Dobbiamo combattere contro delle spie, dobbiamo essere più furbi di loro…»
«Perché quel tipo è bagnato?» domandò Al, riferendosi ad un ragazzo appena uscito dalla toilette, bagnato da capo a piedi.
«Le Spie uscirono dall’acqua…  Si nascondono in ogni angolo…»
«Chris. Stai farneticando» gli rammentò Will, incrociando le braccia.
«No, sto componendo.»
«Una canzone sulle spie? O su noi davanti al bagno delle donne?»
Una ragazza uscì dalla porta e li squadrò sospettosa, passandogli accanto. Al e Will abbassarono la testa, mentre Chris esibiva un sorriso angelico. La ragazza affrettò il passo.
«Ok, diamoci una mossa. Al, tu fai il palo. Inventati qualcosa, non far entrare nessuno. Will, andiamo.»
«Non voglio…» piagnucolò il ragazzo. Chris lo afferrò per la manica, accostandosi alla porta. Lentamente, allungò una mano verso la maniglia, quando la porta si spalancò di colpo, prendendolo in pieno.
«Oh, Dio! Scusa, ti ho fatto male? Non ti avevo visto, io…» si scusò la ragazza che aveva aperto la porta, mortificata. Chris scosse la testa, tenendosi una mano sul naso, mentre con l’altra le faceva cenno di lasciar stare. Will e Al, dietro di lui, facevano di tutto per non ridere.
«Mi dispiace, davvero, ma… Cosa ci facevate davanti al bagno delle donne?» chiese, corrugando le sopracciglia, improvvisamente sospettosa.
«Delle donne? Oh, che scemi! Chris pensava fosse quello dei maschi! Che idiota!» improvvisò Will, con aria poco credibile, sostenuto da Al. Chris era troppo occupato a pensare al dolore sul suo naso per fare altro che annuire con veemenza. La ragazza rivolse loro un’ultima occhiata sospettosa e un po’ spaventata, poi si allontanò in fretta.
«Muoviamoci» borbottò Chris, mentre gli altri due scoppiavano a ridere apertamente. Si accostò di nuovo alla porta e la aprì di pochi centimetri. Nessuno. Afferrò Will per una manica e lo trascinò dentro. Si portò un indice alle labbra intimandogli di fare silenzio.
«Julia!» squittì nel suo migliore falsetto. Silenzio, eccetto per Will che non sapeva se scoppiare a ridere o sbattere la testa sul lavandino. Chris sventolò una mano verso di lui e si mise a carponi sul pavimento. Le porte dei gabinetti non arrivavano fino a terra, sperava di riconoscere le scarpe di Julia…
«Che scarpe aveva Julia? Rosse?» sibilò. Vuoto, stivali, vuoto, tacchi, mocassini…
«Chris…»
Con orrore, il ragazzo vide l’ultima porta aprirsi e un paio di mocassini dell’epoca di sua nonna venire verso di lui. Si sentì strattonare il retro della camicia, si tirò su e corse fuori insieme a Will, inseguiti dalle urla della signora e da un rotolo di carta igienica.
Julia non c’era.
 
♪♬
 
Joanna abbassò la testa, stringendosi le mani.
«Mi dispiace, Guy, non avrei voluto ferirti. Solo…»
«Volevi scoprire come sarebbe stato con lui? Mh? Capire cosa ha in più di me, dargli una chance, no?»
«Sei saltato subito alle conclusioni, lasciami parlare…»
«No! Non c’è niente da dire. Preferisci lui a me? Bene.» Deglutì a fatica, stringendo i pugni. Non osava alzare lo sguardo sui due davanti a lui, fissava il legno del tavolo. Curioso come, intorno a lui, Jonny continuasse a ballare con la sua ragazza, Tim e la sua band continuassero a suonare, mentre lui era lì, fermo, immobile, tutta la sua vita ridotta a niente più che schegge di vetro sul tavolo.
«Guy…»
«Sta’ zitto, Mark.»
«Senti…»
Le gambe della sedia di Guy stridettero quando il ragazzo si alzò all’improvviso. D’istinto, anche Mark e Joanna si alzarono.
«Julia è sparita!»
Il grido di Chris squarciò l’aria fra loro.
 
♪♬
 
«Sta’ tranquilla, Julia, non è niente! Sarà andata via la luce, lo fa spesso, c’è qualche problema con il collegamento, lo fa in tutto il palazzo. Fra acqua e luce, qui dentro… Aspettami, arrivo.»
Julia si raddrizzò e rimase immobile, un sottile refolo di vento che le accarezzava la nuca. La finestra, accanto a lei, era aperta. Sentì dei passi e dei rumori ovattati, dei gemiti e delle imprecazioni borbottate fra i denti: Delilah che sbatteva contro i mobili.
Finalmente, dopo quelli che parvero secoli, sentì la porta cigolare e una fiammella farsi avanti nella stanza. Delilah alzò il fiammifero che aveva in mano, tentando di fare più luce possibile, allegra, nonostante tutto. Non vedeva l’ora di poter parlare con Chris. Curiosamente non era spaventata.
«Tutto bene? Ho delle candele, qui da qualche parte…»
Julia annuì, rendendosi conto troppo tardi che l’altra non poteva vederla.
«Perché questa puzza di fumo? Io avevo lasciato la finestra aperta…» mormorò Delilah, guardandosi intorno.
«Il libro.»
«Che libro?»
«Qui… Attenta.»
La ragazza si avvicinò a Julia e piegò la testa, socchiudendo gli occhi nell’oscurità. Julia si chinò e raccolse il libro, notando distrattamente un mozzicone di sigaretta che scivolava via dalla copertina. Alla luce tremolante della fiammella, Delilah vide la copertina bruciacchiata e fumante del suo Grandi Speranze, con un grande buco nel mezzo. E la sua mano tremò.
 
♪♬
 
«Ok, ok, calmiamoci, dove può essere andata?»
«Non lo so, non lo so, non lo so! È stata colpa mia, io…»
Will poggiò le mani sulle spalle dell’amico.
«Chris, calmati. Tranquillo, ti prego. Respira e ragioniamo con calma.»
Chris indietreggiò gettando all’indietro il capo, le mani fra i capelli. Al era sbiancato, fissava il vuoto completamente paralizzato.
«Dove può essere andata?» domandò Will, guardando i ragazzi intorno a lui, tentando di mantenere la calma. Si rivolse a Jonny.
«Tu l’hai vista per ultimo. Di che stavate parlando? Perché sarebbe scappata via?»
«Noi… parlavamo di.. di Chris e Delilah» disse flebilmente Jonny, deglutendo colpevole quando l’amico gli rivolse i suoi occhi addolorati.
«Ok.» Will si schiarì la voce, cercando di distogliere gli occhi di Chris dalla loro muta accusa a Jonny. «Può essere da Delilah…»
«Non credo sappia il suo indirizzo» disse velocemente Chris, la voce dura, spostando finalmente lo sguardo.
«In effetti… E allora, non so, in albergo dai tuoi?»
«Ma perché dovrebbe?»
«Non ne ho idea, è tua sorella… Non so… Magari è sempre qui a Camden, sarà uscita per una boccata d’aria…»
«Non ha senso, non ha senso…» gemette Chris, tornando a nascondere la testa fra le mani. Guy gli posò una mano sulla spalla.
«L’unica soluzione è dividerci e cercarla. Non possiamo fare altro. Magari avvertiamo Tim, se dovesse tornare qui. E noi usciamo a cercarla» decise Will, guardando gli altri risoluto. Guy, Mark e Jonny annuirono; Chris e Al erano totalmente assenti, Joanna assorta nei suoi pensieri.
«Bene. Io, Chris e Al andiamo da Delilah; Guy, Jonny, cercatela qui a Camden, qui intorno; Mark, Joanna, voi andate ad High Street…»
Guy trattenne il fiato. Il pensiero di Joanna e suo fratello…
«Posso aiutarvi anch’io se volete.»
Tutti si girarono verso la ragazza che aveva parlato. Lunghi capelli castani incorniciavano il viso dai lineamenti decisi di Eydìs, la ragazza che Jonny aveva conosciuto quella sera.
I ragazzi la guardarono stupiti per un po’, nessuno più di Jonny.
«Sicura? Bene, allora tu vai con Jonny e…»
«Io vado con Mark e Joanna» concluse Guy. Gli altri annuirono, ciascuno perso nei propri pensieri.
«Cominciate ad andare, io avverto Tim. Ci rivediamo tutti qui fra mezz’ora» disse Will, allontanandosi. Gli altri si diressero in gruppetti verso l’uscita, scambiandosi poche parole. Chris crollò su una sedia, accanto alla figura immobile del fratello.
 
♪♬
 
Furono pochi, terribili istanti.
La piccola fiamma tremò al buio e cadde.
Julia avrebbe detto che si fosse spenta, se non che poi la tenda aveva incominciato a fumare.
Un altro istante, e un bel fuocherello divampava fra le pieghe della stoffa.
«Merda!»
«Oh, Dio.»
Le fiamme crescenti si specchiavano negli occhi sbarrati di Delilah, pietrificata.
«Spegnerlo… dobbiamo…»
«Oh, Dio, oh, Dio…»
«Dobbiamo spegnerlo, fa’ qualcosa, Delilah!»
L’urlo di Julia sembrò riscuoterla. La ragazza deglutì e indietreggiò.
«Acqua» mormorò con voce roca. Camminando a ritroso, cercò la porta a tentoni e uscì, cozzando contro i mobili nel tentativo di trovare la cucina al buio. Julia, intanto, agitata, tentò di spegnerlo soffocandolo con il libro. Si rese conto troppo tardi che la carta era estremamente infiammabile e lasciò cadere il romanzo in fiamme a terra.
«Delilah!»
Osservò immobile il disastro che si stava consumando sotto i suoi occhi, troppo sconvolta e spaventata per pensare. Il fuoco si arrampicava veloce sulla tenda, che si gonfiava sotto l’ala del vento. Merda.
«Delilah!»
 
♪♬
 
Eydìs Óscarsdóttir era islandese, la sua famiglia abitava a Reykjavík, ma lei aveva vinto una borsa di studio per la University College di Londra – la sua stessa università -, studiava medicina, voleva specializzarsi in ricerca. Adorava gli Smiths, Björk, i Radiohead, il Grande Gatsby, 1984 – uno dei suoi libri preferiti! -, il Giovane Holden, il tè nero con un po’ di limone, i biscotti al burro di sua nonna  - un giorno glieli avrebbe fatti assaggiare – quindi si sarebbero visti di nuovo! -, i mirtilli, i lamponi, il profumo di cannella, l’aurora boreale, le estati a Reykjavík.
La conosceva da neanche un’ora ed era già lì al suo fianco.
«Eydìs, davvero, se vuoi ti riaccompagno a casa, non c’è bisogno che tu venga, davvero, posso cercarla da solo… In fondo è colpa mia, non avrei dovuto lasciarla andare così. Però, Julia è fatta così, è impetuosa, istintiva, non puoi fermarla. Quindi se vuoi…»
Aveva gli occhi scuri, penetranti. In quel momento parevano trafiggerlo.
«Pensi davvero che ti lascerei da solo? Ti perderesti, caro il mio Jonny» avvampò nel dire questo, ma il suo sguardo era fermo. E Jonny sapeva che era il momento più sbagliato, mentre tutti i suoi amici erano sparsi per Londra e la sorella del suo migliore amico era sparita chissà dove, eppure non poté farci nulla: sorrise e il suo cuore si scaldò.
«Comunque, ci lamentiamo dell’Islanda, ma non è che qui faccia così caldo, eh…» disse lei, incrociando le braccia sul petto. Jonny spalancò gli occhi preoccupato.
«Oh, hai freddo… Aspetta» mormorò, si sfilò la sciarpa che portava al collo e gliela tese, impacciato. Lei lo guardò sorridendo con un accenno di malizia, alzando impercettibilmente la testa. Lui, allora, arrossendo, si avvicinò e gliela mise al collo.
«Ora hai anche i colori del Tottenham, portali bene» disse goffamente. Lei rise; Jonny infilò le mani in tasca e continuò a camminare. Si rese conto d’un tratto che si era totalmente distratto: per diversi minuti si era completamente dimenticato di Julia. Colpevole, affrettò il passo e imboccò il vicolo alla loro destra. Si rese conto tardi di stare andando verso casa di Delilah.
 
♪♬
 
Raggiunse il lavello e aprì il rubinetto, le mani tremanti. Poche gocce caddero lente. La ragazza fissò il buio terrificata. Perché? Il black out aveva interferito con l’acqua, non aveva senso… Le sovvenne improvvisamente che le avevano tolto l’acqua! Annaspò, portandosi le mani fra i capelli. E adesso? Oh, Dio, Dio, Dio…
Sentì il suo respiro farsi più affannoso, la schiena ricoprirsi di sudore.
«Delilah!»
Aveva lasciato Julia da sola! Deglutì a fatica e arrancò verso il telefono, insensibile ai mobili contro cui sbatteva. Pigiò i bottoni sperando fossero quelli giusti, alzò la cornetta, chiamò i pompieri. Era sul punto di piangere o vomitare. Lasciò cadere il telefono e tornò in camera.
Ormai le fiamme illuminavano la stanza.
«Julia, dobbiamo andare… Julia…»
Le fiamme divoravano le sue tende con terribile grazia, brutale meraviglia; faticò a distogliervi gli occhi.
Julia era rannicchiata contro la parete, abbracciava le ginocchia con le braccia, gli occhi fissi sulle fiamme, le guance bagnate, terrorizzata oltre ogni dire. Delilah si accucciò accanto a lei e le prese le mani.
«Andiamo via, Julia…»
«Ho paura» sussurrò, senza guardarla. Le fiamme brillavano nei suoi occhi.
«Anch’io
Davvero, non aveva mai avuto tanta paura in vita sua. Terrore puro, panico: il suo mondo, il suo piccolo riparo le stava bruciando intorno. Quel romanzo, quel maledetto e adorato romanzo che Chris le aveva consigliato, dalle cui pagine lui saltava fuori in continuazione, quel libro ora ardeva, niente più che cenere.
«Dobbiamo andare, forza, è pericoloso, Julia, andiamo. Dai» disse piano, facendo forza a lei e a sé stessa, prendendole il viso fra le mani. Julia la guardò, deglutì e fece un gran respiro, ma fu costretta poi a tossire. Poi annuì, asciugandosi il viso.
Le fiamme crepitavano, danzavano sinuose, le scintille volavano, il fumo grigio nuotava nella stanza. Julia si alzò e volse loro le spalle, strinse i pugni. In quegli istanti, Julia crebbe: c’era una vibrazione nuova nella sua voce, quando disse con decisione:
«Andiamo.»
 
♪♬
 
A dire la verità, non aveva idea di quando né perché tutto quello avesse avuto inizio, o come avessero fatto ad arrivare a quel punto. Sapeva semplicemente di avere incontrato Mark per caso mentre andava a casa, un giorno, di aver cercato di evitarlo, di avergli pestato un piede nel tentativo di chiuderlo fuori, di averlo lasciato entrare riluttante e di essere finita a parlare davanti ad un tè.
“Non voglio portarti via a mio fratello” erano state le sue parole “Vorrei solo che tu… mi veda.
E da allora si erano visti. Vuoi per un tè, vuoi per qualcosa di più forte, vuoi in un locale, vuoi ad Hyde Park, Mark e Joanna avevano passato innumerevoli pomeriggi così, parlando, conoscendo l’un l’altra e sé stessi. Joanna aveva schivato come meglio aveva potuto le avances di Mark che, dopo un po’, avevano cessato di essere così pressanti. A pensarci bene, erano cessate del tutto. Non era stato nient’altro, davvero.
Eppure, le suggerì una vocina maliziosa mentre correva per tenere dietro a Guy lungo High Street, se davvero non ci fosse stato nient’altro, non avresti certo evitato Guy il più possibile, da parecchie settimane a questa parte. Una morsa spiacevole le contrasse lo stomaco.
«Guy, vuoi ascoltarmi, per favore?» ansimò Mark, cercando di stare al passo con il fratello, che camminava veloce.
«No, non c’è niente da dire.»
«Smetti di comportarti come un bambino, Guy.»
«Tu mi dici di smettere?» Guy si fermò a fronteggiarlo. «Tu, che non fai altro che comportarti come un bambino e sbattere i piedi e piagnucolare finché non hai ottenuto quello che vuoi?» disse, indicando Joanna con il pollice.
«Io non ho toccato la tua ragazza neanche con un dito» rispose freddamente Mark, assottigliando gli occhi.
«Julia.»
«Cosa?»
I due fratelli si voltarono verso Joanna, che alzò gli occhi dal marciapiede.
«è a casa di Delilah.»
Non può essere altrimenti. Julia è una che non sta ferma al suo posto e ama così tanto Chris che farebbe di tutto per vederlo felice. Anche andare a casa della sua non/quasi/forse-un-giorno fidanzata – alias Rossa Testa Bacata – da tutti nota come Delilah. Julia è lì, fine.
«E tu che ne sai?»
«Oh, andiamo, non ci vuole un genio. Basta guardare vuoi due» disse enigmatica, per poi precederli lungo High Street. Mark guardò il fratello sollevando un sopracciglio, il suo indelebile ghigno sulle labbra.
«Quella è la tua ragazza, coglioncello.»
Joanna si voltò e gli sferrò un pugno sul braccio.
 
♪♬
 
Julia corse fuori senza altra esitazione; Delilah sostò un attimo di più sulla soglia, guardandosi indietro. Poi chiuse la porta sul fuoco - il suo passato - e corse dietro Julia.
Picchiarono alle porte degli altri appartamenti sul piano, gridarono a tutti di uscire, si precipitarono giù per le scale, seguite dagli altri inquilini sbigottiti e in pantofole. Delilah e Julia corsero a rotta di collo per tre rampe di scale, una corsa che sembrò infinita come quelle degli incubi, finché finalmente non arrivarono nell’atrio, e poi fuori, nell’aria fredda che le sommerse, tolse da loro l’odore del fumo. Il resto degli inquilini uscì dalla palazzina e si raccolse intorno alle due ragazze, chiedendo spaventati che cosa fosse successo. Delilah deglutì e alzò la testa. Fumo e fiamme uscivano ancora dalla finestra della sua camera. Con un sorriso amaro, pensò che Anne l’avrebbe uccisa. Scrollò le spalle e seppellì il viso fra le mani, scossa da un riso improvviso che sapeva di disperazione. Solo un grido le fece sollevare la testa, il cuore in gola, i sensi all’erta.
Chris.
Correva verso di loro seguito da Will e un ragazzo che non conosceva, ma che gli assomigliava molto. Si fece largo tra la folla e si gettò su Julia, la seppellì fra le sue braccia, ringraziando Dio, poi la allontanò tenendole le mani sulle spalle e la riproverò, preoccupazione che grondava dalle sue parole, poi la strinse di nuovo a sé; dopo fu il turno dell’altro ragazzo di abbracciarla stretta, mentre Will si limitava a sorridere sollevato. Sembravano non averla vista. Quasi inconsapevolmente, Delilah indietreggiò, cercando di farsi piccola piccola fra la folla, ma gli occhi inquieti di Chris la scovarono e il ragazzo non esitò un secondo ad abbracciarla.
«Grazie a Dio, stai bene» mormorò sui suoi capelli, prima di lasciarla andare troppo presto. Delilah rimase lì, stordita, ricevette insensibile l’abbraccio di Will, venne avvolta in una coperta dagli infermieri che arrivarono con l’ambulanza, i pompieri e la polizia, sentì la folla disperdersi, vide Jonny arrivare correndo verso di loro, con una ragazza, poi Guy, Mark, Joanna. Si fecero tutti intorno a Julia, guardando sconvolti il fumo che ancora usciva dalla finestra. Delilah indietreggiò, non vista, si sedette sul bordo posteriore dell’ambulanza, dando loro le spalle e alzò lo sguardo al cielo. Neanche una stella.
 
♪♬
 
«Grazie al cielo stai bene, Julia!»
Julia sorrise, stretta fra le forti braccia di Jonny. Quando la lasciò andare, Guy fece capolino da dietro di lui, insieme a Mark e Joanna.
«Come stai?» le chiese, guardandola preoccupato. Con la coda dell’occhio, Julia vide le spalle di Delilah avvolte in una coperta accanto all’ambulanza poco più in là. Nessuno sembrava essersi accorto di lei, tranne Chris, i cui occhi saettavano senza sosta dalla ragazza a sua sorella, combattuti.
«Tutto bene, solo un po’ affumicata» sorrise debolmente.
«Mi dispiace così tanto, non hai idea, è stata colpa mia, non avrei dovuto lasciarti andare» si scusò il ragazzo, sinceramente preoccupato. Julia piegò gli occhi in un sorriso. Dolce Jonny. Stava per dirgli qualcosa, forse una battuta, quando notò una ragazza mora in disparte, dietro di lui, che li guardava apprensiva. Non l’aveva mai vista prima. Aveva al collo la sciarpa di Jonny. In un lampo, capì. Il ragazzo forse vide quel lampo nei suoi occhi, perché lanciò un’occhiata ad Eydìs dietro di lui e poi tornò a guardare Julia.
«Mi dispiace davvero, io…»
«Non hai nulla di cui scusarti» sorrise stanca, ma sincera. Non poteva scusarsi per qualcosa che non era mai esistito, di cui non aveva colpe, giusto? Sorrise e guardò il cielo, reprimendo uno strano groppo in gola, impedendosi in ogni modo di lasciarlo andare. Non sei più la piccola Julia, adesso.
Si liberò dell’abbraccio di Jonny e venne attorniata dagli altri, che le chiesero a gran voce cosa fosse successo, se stesse bene, se aveva freddo e chissà che altro. Vide Jonny abbassare la testa e la ragazza mora mettergli una mano sulla spalla. E vide Chris allontanarsi con discrezione.
 
Arrivò lì, dietro le sue spalle, e si fermò, senza sapere bene cosa dire o fare. Lei si alzò e si voltò, stringendosi la coperta addosso. E fu un istante, in cui Chris lesse le stelle e la musica e l’amore e il rimpianto in quegli occhi, e il dolore e l’amarezza per un passato che aveva lasciato tante cicatrici sulla schiena, e lesse paura e pena e una richiesta d’aiuto sussurrata con la voce rotta di pianto, e la disperazione del naufrago, di chi si è visto il mondo crollare intorno ed è rimasto solo. E decise, lì, in quell’istante, sotto quel cielo nero e quel fumo e i bagliori spenti di quel fuoco indelebile, che non poteva ignorare quella richiesta d’aiuto. E l’abbracciò con foga e la tenne stretta, perché voleva che si sentisse protetta e al sicuro, per quanto ne fosse capace. E lei si aggrappò forte a quei muscoli tesi, a quel grande corpo che la teneva al caldo, affondò il viso nel suo petto come se volesse farne parte e sentì il suo respiro fra i capelli e poté lasciarsi andare, piangere, sciogliere i muscoli e abbassare la guardia, e tutte le sue stupide armi andarono in frantumi.
Il suo cuore batteva forte contro l’orecchio, lo sentiva echeggiare in tutto il suo corpo, e intorno a lei e dentro di lei, come se fosse la musica stessa della terra. Fece un gran respiro tremante e fu come respirare per la prima volta, anche se, probabilmente, allora non aveva sentito quell’adrenalina correrle per le vene, quel profumo indecifrabile e dolciastro che era lui e sapeva di casa, ma si era sentita, forse, ugualmente viva e spaventata e tremante. In un fugace attimo vide i suoi occhi e i bagliori dell’indimenticabile fuoco che era stato che vi risplendevano. Ed ebbe fiducia e smise di tremare.







***
The Smiths e gli U2, due grandi, meravigliose canzoni per un capitolo infinitamente meno buono. Ma tant'è. La buona notizia è che manca poco alla fine - siamo agli sgoccioli. 
Ho davvero bisogni di pareri, non solo quelli della dolce e gentile e stupenda H, magari anche quelli di qualcun altro... Ma comunque. Grazie a chi ha letto, siete coraggiosi.
Stay tuned, non mollate proprio adesso!
E.

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Capitolo 14
*** Sonnet for my Brothers&Sisters ***


Direi di mettere le note qui, così non vi rompo le scatole dopo. 
E così, dopo tante avventure impervie (?) siamo arrivati, qui, alla fine. Sì, signore e signori, per vostra somma disperazione gioia, siamo alla fine. Io sono riuscita a finire. E non so voi, ma per me questa storia è stata una bella cosa. Non perché sia una bella storia, ma perché è stata un'opportunità per me per sfidarmi, migliorare il mio modo di scrivere e ho conosciuto un sacco di nuove canzoni e artisti nella continua ricerca di title tracks. A proposito, per questo capitolo, la meravigliosa Sonnet dei Verve. 
Grazie a chi legge, di cuore, e un abbraccio forte forte ad H (spero tu sia contenta adesso...). Senza di lei avrei cancellato tutto molto tempo fa (e saremmo stati tutti più felici probabilmente...)
Lunga vita ai Coldplay.
E.




 
Sonnet for my Brothers&Sisters

Il convoglio frenò e Chris si aggrappò ad un sostegno per non cadere. Guy, seduto su un sedile accanto a lui, fece una smorfia.
«Spies? Una canzone su delle spie? Seriamente, Chris? Non ci credo…» disse Guy, scuotendo la testa, leggendo il testo da sopra la spalla di Jonny.
«Con una buona base, una chitarra tipo Radiohead può funzionare…» protestò Chris, lanciando un’occhiata nervosa a Will. Aveva il testo dell’altra canzone in mano da quasi cinque minuti e non dava segni di vita. Oh, andiamo, non era così terribile… Ci si era impegnato, l’aveva scritta proprio con il cuore in mano, secondo lui era anche venuta abbastanza bene, perché diamine Will non diceva niente? Spostò il peso da un piede all’altro, quasi saltellando, in ansia, mentre la metropolitana ripartiva.
«Questa sembra meglio» disse Jonny, leggendo il testo di un’altra canzone, subito affiancato da Guy, che storse il naso.
«For You? Per favore, è melenso.»
«Che vuoi farci, è innamorato…»
«È dolce, idioti!»
«Bella» disse Will d’un tratto, le sopracciglia corrugate, la meraviglia ancora dipinta sul viso quando lo alzò verso Chris. Il foglio stropicciato che teneva fra le mani passò subito alle mani curiose di Jon e Guy.
«Davvero bella» ripeté, guardandolo dritto negli occhi.
Chris sorrise riconoscente, un peso che cadeva dal suo cuore. Se a Will piaceva, allora era veramente una buona canzone.
«In a telescope lens… When all you want is friends, I’ll see you soon… Ma che diavolo vuol dire? Non ha senso!» esclamò Guy, guardando in su verso Chris.
«Sono metafore…»
«C’è un senso. È davvero bella, non vedo l’ora di lavorarci su» sorrise Will, senza smettere di guardare Chris. Era incredibile come, con una sola occhiata, una sola vibrazione nella sua voce ferma, Will riuscisse ad infondergli tanta sicurezza. E Dio solo sapeva se anche Will non aveva i suoi problemi, eppure, Chris se ne rese conto in quel momento, era l’ancora del gruppo. Senza, sarebbero andati tutti alla deriva.
«Grazie.»
«E insomma» iniziò Guy, sfogliando le canzoni, deciso a non abbandonare il suo ruolo di piantagrane. «Hai composto strofe sparse per ben tre canzoni quasi accettabili in due giorni e un bel niente per tre mesi interi. Dobbiamo lavorarci su, Christopher, quest’irregolarità non mi piace…»
«Non scrivo a comando!» rise l’altro. Parlando concitati di accordi e tonalità, scesero due fermate dopo e si diressero verso un modesto albergo con una bella vista sui Jubilee Gardens.
«Dov’è che sono?» chiese Guy.
«Julia ha detto nella sala ristorante» rispose Chris, precedendoli lungo il vialetto davanti all’ingresso. Entrarono e voltarono verso la sala ristorante.
«Ben arrivati!»
La signora Martin li accolse sorridente e si alzò per salutare calorosamente il figlio, per poi passare ad un esame attento e silenzioso dei suoi amici.
«Mamma, loro sono Jonny, Will e Guy. Voi, mamma e papà» disse brevemente Chris, sedendosi al tavolo rotondo fra il padre e Julia. I tre ragazzi salutarono cortesemente i coniugi Martin e presero posto, vicini, accanto ad Al. Jonny capitò, per sua sfortuna, accanto alla signora Martin, che non perse tempo ad inquisire.
«Tu sei il ragazzo che abita con Chris, non è così?»
«Sì, signora.»
«Mh.»
Prese la ciotola dell’insalata e servì sé e, quasi senza badarci, per un gesto che compiva sempre, anche Jonny, che non osò contraddirla e si lasciò cadere una montagna di roba verde nel piatto.
«E spiega, Chris, perché se ti chiedo di invitare i tuoi amici, tu mi tiri fuori solo tre giovanotti? Non c’è nessuna ragazza nel vostro giro di amici?» chiese la donna, perforando il figlio con i suoi occhi chiari. Il signor Martin sospirò alzando gli occhi al cielo; Will guardò in giro facendo finta di niente, Guy si rabbuiò, Jonny arrossì e Chris chiuse gli occhi.
«Diciamo che le ragazze sono un argomento delicato, almeno per Chris» fece Julia, meno briosa del solito.
«Davvero non capisco cos’hai che non va, figlio mio… Insomma, tu e Al siete praticamente uguali e lui cambia ragazza ogni due settimane! Davvero…»
«No, sono rimasto con Samantha per tre mesi!» protestò il ragazzo. Chris lo guardò con tanto d’occhi.
«Samantha Bridge? Quella Samantha per cui io avevo una cotta alle superiori?»
Al si schiarì la voce, riempendosi poi la bocca di funghi.
«Traditore!» esclamò Chris, indignato. Il padre gli batté una pacca sulla spalla con fare comprensivo.
«Comunque…» tornò alla carica sua madre, impietosa. «Pensavo che venendo a Londra avresti finalmente conosciuto qualcuno…. Chris, sei sicuro di non…» guardò Jonny come se avesse appena capito qualcosa «Non è che voi… Guarda che non c’è niente di male, insomma, anche Freddie Mercury…»
«Mamma non sono gay» mormorò stancamente Chris, mentre Julia si mordeva le labbra per non ridere e Jonny avvampava. «E sono fatti miei, insomma…»
«Aspetta, aspetta, e quella ragazza con cui stavi parlando venerdì? Dopo l’incendio, con i capelli rossi…»
Ecco.
Chris chiuse gli occhi e strinse le labbra, mentre anche Will, Guy e Al iniziavano a fare smorfie per contenere le risate. Anche se non c’era assolutamente niente da ridere.
«Non c’è niente da dire, Delilah è un’amica, lasciamo perdere…»
«Ma io voglio sapere!» insisté la madre. Il signor Martin la fermò con uno sguardo degli occhi scuri.
«Non è il caso, Alison. Parliamo d’altro» disse pacato, poggiando per un istante la mano su quella del figlio. Mentre il padre attaccava a parlare con entusiasmo del campionato di calcio, Julia vide Chris sospirare di sollievo e tornare al suo colore abituale, seppure ancora turbato. Gli ci vollero alcuni istanti per riprendere la sua solita allegria e attaccare a parlare con Al di Samantha Bridge.
Julia scostò la sedia dal tavolo.
«Dove vai?» chiese Chris, allarmato.
«In bagno. Per davvero» mentì la ragazza, sorridendo piano. I presenti la seguirono con gli occhi, preoccupati, finché non la videro sparire oltre la porta. Non la videro, però, dirigersi verso i telefoni e tirare fuori dalla tasca un foglietto stropicciato.
 
♪♬
 
«E così siete andati in radio, eh? E perché non mi hai detto niente, razza di ingrato?» esclamò la signora Martin, dando un buffetto sulla mano di Jonny, pensando fosse quella del figlio, abituata com’era ad averlo vicino.
«Mi sarò dimenticato…»
«Oh, Chris… Non ti rendi conto che se ne sarebbe potuta vantare con tutte le sue amiche all’ora del tè?» fece suo padre, fingendosi accorato. I ragazzi risero, soprattutto quando la signora Martin lanciò un divertito sguardo di rimprovero al marito.
«Non parli mai e l’unica volta in cui apri bocca mi prendi in giro, proprio non capisco…»
Il signor Martin rise apertamente, guardandola con affetto. Anche lei sorrise scuotendo la testa.
Will abbassò la testa, una strana morsa allo stomaco. Forse non avrebbe dovuto accettare l’invito a pranzo dai coniugi Martin, sebbene capisse il loro desiderio di conoscere gli amici del figlio. Perché ogni volta che vedeva i due sorridere o scherzare, attorniati dai loro figli, felici, nonostante la brutta avventura di due giorni prima, non poteva fare a meno di pensare a come, a casa sua, fossero così rare le volte in cui qualcuno rideva, ormai…
«Che ore sono?»
«Jules, è la quinta volta che lo chiedi, si può sapere cos’hai?»
«Voglio soltanto sapere l’ora, che problema hai? Non mi sembra di aver chiesto chissà cosa…»
«Non bisticciate voi due; Al, dì l’ora a tua sorella.»
Al sbuffò guardando l’orologio. Chris abbassò lo sguardo sul suo piatto, ma poi lo tirò su di scatto. Gli sembrava di aver visto… No, doveva aver visto male…
«Chris, che ti prende?» disse sua madre, corrugando le sopracciglia. Jonny guardò la faccia dell’amico e poi si voltò. Sulla porta, alle spalle della signora Martin, sostava una ragazza.
«Chris, dove stai andando? Dove credi di stare, signorino? Non puoi lasciare la tavola così, tu…» iniziò sua madre, ma il signor Martin le mise una mano sulla sua per fermarla. Lei lo guardò inviperita.
«Non esiste che si comporti così da maleducato, non gli ho insegnato niente?» sibilò inviperita. I ragazzi, al tavolo, si scambiarono occhiate perplesse. Che ci faceva lei lì? Poi notarono che Julia teneva gli occhi bassi e giocherellava col cibo.
 
♪♬
 
«Ciao, cosa… Cosa ci fai qui?»
«Io… Tim mi ha chiamata, mi ha detto che Julia l’aveva chiamato e mi aspettava qui, in albergo dai suoi, non pensavo che ci saresti stato anche tu…»
«Sono a pranzo, ci sono anche Will, Jonny e Guy.»
«Oh.»
Abbassarono lo sguardo, Chris fissando i lacci delle sue scarpe rovinate e Delilah chiedendosi dove avrebbe potuto trovare un nuovo paio di scarpe come quelle nere che ora erano cenere e cuoio bruciacchiato.
«Vuoi, non so… andare fuori, parlare un po’? Mia madre potrebbe sbucare all’improvviso…»
«S-sì, sì, certo, va bene.»
«Bene.»
La precedette fuori, nel piccolo cortile. Erano gli ultimi di febbraio a Londra, eppure c’era un sole vivace. E Chris aveva altro a cui pensare che al freddo.
«Come va l'appartamento? I danni...» chiese, a disagio, schiarendosi la voce.
«Poteva andare peggio, soltanto la mia camera è danneggiata, il resto si è salvato, sono arrivati in tempo.»
«E adesso dove stai?»
«Da una mia compagna di corso, a Southwark. È una bella strada fino al college, ma è temporaneo.»
«Capisco.»
Stettero in silenzio un altro po’, desiderosi entrambi di parlare della stessa cosa, ma troppo spaventati anche solo per accettarne il pensiero.
«Sai, quella sera, se non fosse successo tutto quello… Julia te ne ha parlato?»
«Dell’incendio?»
«No, di quello che le ho raccontato…»
«Sì, me l’ha detto.»
Quando li incontrò, gli occhi di Delilah tremavano.
 
♪♬
 
«Dici che ce la fanno?»
«Nah... Per me lei gli molla uno schiaffo.»
«Dai, siete cattivi... Guardate che Delilah è buona...»
Guy e Will rivolsero un'occhiata scettica a Jonny.
«Come sei ingenuo, Jon…»
«Io non ho ancora capito chi sia questa ragazza…»
«è la tipa a cui Chris va dietro, mamma» spiegò Al, spazientito, allungando il collo per seguire il fratello e la ragazza che passeggiavano davanti alle finestre della sala, ignari di avere un pubblico.
«Sembra carina, che dici Anthony?» fece la signora Martin, rivolgendosi al marito. Questi alzò le spalle, riempendosi un bicchiere di vino.
«Un giro di birra che non combinano niente» propose Will.
«Lei si mette con un altro» disse Guy.
«Un giro di birra che si baciano!» rilanciò Jonny, baldanzoso.
«Perché vuoi perdere?» domandò Guy, impietosito.
«Andata!» accettò Will.
«Per me una Coca, grazie» fece Julia, sollevando il collo per vedere oltre i ragazzi. Avrebbe scroccato da bere in ogni caso, ma tifava segretamente per Jonny…
 
♪♬
 
«Non mi importa.»
«Ma Chris…»
«Non me ne importa niente!»
Si fermò d’impeto e la prese per i polsi, piantando gli occhi nei suoi.
«Adesso capisco, e va bene, ma non cambia niente. Tutti quanti abbiamo fatto cose di cui ci vergogniamo, pensi che io cambierei idea su di te se conoscessi chi eri e cos’hai fatto?»
Lei abbassò gli occhi, ma lui li inseguì e li costrinse a guardarlo. Non ricordava di averli mai visti così verdi, scuri, luminosi e tremanti, fiammelle di una candela che minacciava di spegnersi da un momento all’altro. Avvicinò il viso al suo.
«Non hai niente di cui aver paura, perché niente mi farebbe cambiare idea su di te. E non mi importa di chi eri, mi importa di chi sei, di me e te ora, qui. Insieme
Erano particolari gli occhi di Lila, di un verde scuro che virava al marrone. Aveva una macchia più chiara nell'occhio sinistro, Chris non l'aveva mai notato. Gridavano perdono.
«Se lo vuoi.»
E adesso poteva leggerlo nei suoi occhi, senza scendere alle labbra, il sorriso che la stava illuminando, e sorrise anche lui e gli occhi della ragazza si fecero lucidi.
«Mi sento un idiota a dirtelo un'altra volta, insomma, avrò scritto già venti canzoni così, e Jonny mi aveva anche detto di farti una serenata, ma mi sembrava esagerato e allora...»
Lei scosse la testa, mordendosi il labbro. Sarà stato quel sole inaspettato, quella tempesta di sensazioni che la investiva, la vicinanza dei loro corpi, le loro mani unite, l'erba sotto i suoi piedi, ma, per un lungo istante, le sembrò che al mondo non esistesse altro che lui, i suoi occhi vivaci, le sue sopracciglia piegate in un'espressione buffa, le sue labbra curvate in quel suo sorriso un po' sghembo e un po' matto.
«Perdonami.»
Si alzò in punta di piedi e catturò quel sorriso.
♪♬
 
  «No! L'ha presa per mano!» esclamò Guy, preoccupato. Poteva già vedere le sue banconote svolazzare sul bancone di un pub.
«Che stanno facendo? Sorridono?» domandò Will.
«Sono troppo vicini…» mormorò Guy, addolorato. Cominciava a chiedersi a quante persone avrebbe dovuto offrire da bere, e soprattutto dove…
«Oh, Anthony! Guarda, guarda…» esclamò la signora Martin, afferrando il braccio del marito. D’un tratto, la donna lasciò andare un’esclamazione, Julia si alzò in piedi portandosi le mani alla bocca e Jonny alzò il pugno in aria.
«Ah-Ah!»
Guy e Will mugugnarono abbattuti, mentre Al e suo padre guardavano dagli uni alle altre, sorridenti.
«Ma, dai...»
Johnny sorrise trionfante.
«Allora, dove vogliamo festeggiare stasera? Devo ricordarvi chi offre?»
 
♪♬
 
«E così, tu sei la ragazza di Chris. Oh, come sono contenta di conoscerti, cara, è un vero piacere!»
«Grazie, signora Martin, è molto gentile» sorrise la ragazza, leggermente a disagio, lanciando un’occhiata a Chris che sorrideva, su un altro pianeta, incurante delle pacche e delle battute che gli rivolgevano i suoi amici e i suoi fratelli. Il signor Martin sorrise placido mentre prendeva una sedia per la ragazza.
«Dovresti assaggiare la torta al limone, è deliziosa, volevo dirlo anche a Chris… Oh, che gioia…» continuò la donna, osservando la ragazza senza smettere di sorridere.
«E sei anche molto carina… Come hai detto che ti chiami?»
«Delilah, ma potete chiamarmi Lila, solo Lila.»
Chris la guardò sorpreso. Era stato lui a coniare quel nomignolo, finora solo lui l’aveva chiamata così. Lei gli rivolse uno sguardo quasi di scusa, ma lui capì cos’altro – o meglio, chi altro – si celava dietro quel nome e abbassò le palpebre, acconsentendo.
«Lila, che bel nome. Oh, mi sono appena ricordata delle foto! Devo avercele qui nella borsa…»
«Foto, che foto?» inquisì Chris.
«Ho ritrovato delle vecchie foto, l’altro giorno, volevo fartele vedere. Guarda qui, Lila…» disse la donna, frugando nella borsa e tirandone fuori una busta.
«Mamma, cos’è quella roba… Oh, no…»
«Guarda, qui aveva tre anni, prima che nascesse Al, non è carinissimo? E qui sei, il suo primo giorno di scuola!»
I ragazzi si alzarono e circondarono la signora Martin, guardando le fotografie che teneva in mano. Lila, al contrario di tutti loro, tentava di trattenere le risate il più possibile.
«E qui è in primo superiore…»
«Che diavolo avevi ai capelli?»
«Sono terribili…»
«E guarda che faccia! Sembri un idiota!»
«è sempre stato un bel ragazzo, non trovi cara? Tutto suo padre, sì… tranne gli occhi, quelli sono i miei…»
Lila si morse le labbra, guardando Chris.
«Ti ricordi quello che dicevamo prima? Niente del nostro passato cambierà mai nulla…» disse lui, supplichevole.
«Oh, no, non cambierà nulla» sorrise lei, serafica. «Ho solo un’arma per ricattarti adesso.»
Chris abbandonò sconfortato la testa fra le mani. La calda risata di suo padre pervase la sala.
 
♪♬
 
Certo che ormai la ragazza se ne fosse andata, andò in soggiorno ghignando.
«Eydìs, eh? E bravo il mio Jonny…»
Jonny voltò la testa verso l’amico, appena arrivato, poi la abbassò di nuovo, sorridendo. Chris si sedette accanto a lui sul divano, allungando le gambe. Avevano ancora un po' di tempo, prima di dover andare al Bull and Gate per il concerto.  
«Sai, sono contento per te, Jon. Insomma, mia mamma stava insinuando che noi due stessimo insieme…»
Jonny rise, lanciandogli un’occhiata veloce.
«E invece…»
«Invece ti ho tradito con Lila, mi dispiace tanto.»
Il chitarrista rise apertamente, curiosamente sollevato.
Stettero per un po’ in silenzio, ciascuno perso nei propri pensieri – che, chissà, probabilmente erano gli stessi. Chris voltò la testa verso l’amico, guardandolo.
«Sai, Jon, sei cambiato tanto. Insomma, due mesi fa non avrei mai detto che saresti riuscito a parlare per un’intera serata con una ragazza sconosciuta, figurarsi poi uscirci insieme per un mese intero, e mi fermo perché non so bene che altro avete combinato, ma insomma…»
Jonny gli diede una spallata, ridendo.
«Sei… Sei cresciuto, Jonnyboy!» esclamò alla fine Chris, guardandolo con commozione teatrale. «Anzi, non dovrei nemmeno più chiamarti Jonnyboy, ormai, ma Jonny-Lover-Boy, o qualcosa del genere, voglio dire…»
«E piantala!» rise Jonny, spingendolo scherzosamente. Chris rise, pensando che sì, era proprio felice di vedere quella nuova luce negli occhi del suo amico, e che questa Eydìs sarebbe dovuta stare bene attenta a come trattava il suo Jonnyboy… Sì, forse in fin dei conti Chris era un tipo un tantino geloso. Un tantino.
 
♪♬
 
La risata di sua madre, dall’altro capo del filo, gli scaldò il cuore. Sorrise anche lui, guardando a terra.
«Oh, tesoro, devi proprio farmela conoscere. Ma è carina?»
«Sì, mamma.»
«Oh, be’, allora la prossima volta porti anche lei! Anzi, venite da soli, dei tuoi amici ne ho abbastanza! Hanno mangiato tutto il fine settimana!» rise la donna, suscitando anche la risata del figlio.
«Siamo ragazzi, mamma…»
«Certo, certo… Va bene, tesoro, vai pure, non fare tardi. Saluta quei pazzi.»
«Va bene, mamma. Saluta papà.»
«Certo. Buon concerto, allora. E grazie di aver chiamato, Will. Mi ha fatto tanto piacere.»
Non sapeva perché, ma sentì come qualcosa infrangersi nel suo petto e un’ondata di sentimenti – affetto, amore, dolore, paura, tristezza, malinconia, pena – abbattersi sulle rive del cuore e arrivare fin sugli occhi.
Deglutì. Dannazione, lui non poteva piangere. Non poteva permetterselo, aveva una band da tenere in piedi e una famiglia da tenere unita.
«Non dirlo nemmeno. Ciao mamma.»
Rimise il ricevitore al suo posto, il cuore stretto. Poteva quasi vederla, sua madre, stringersi nello scialle che teneva sempre sulle spalle e tirare su col naso, accanto al telefono in cucina, gli occhi lucidi, una mano sulla bocca. Strizzò gli occhi, sorreggendosi con una mano sul muro accanto al telefono a gettoni.
«Hey, Will.»
Chris. Si voltò, tenendo gli occhi bassi, pregando che l’amico non si accorgesse di nulla.
«Andiamo, dai» disse gentilmente, mettendogli un braccio intorno alle spalle.
«Cheer up, Will, coraggio, abbiamo un concerto da mettere su!» scherzò con affetto. E Will sorrise.
 
 ♪♬
 
«Posso scroccarti una sigaretta?»
Il ragazzo si voltò sorpreso, le sopracciglia corrugate.
«Che ci fai qui?»
«Me l’ha detto Will.»
«Hai costretto Will a dirtelo, cioè.»
«Esatto.»
Guy sospirò, buttando fuori il fumo. Svogliato, tirò fuori un pacchetto di sigarette sgualcito dalla tasca e lo allungò alla ragazza.
«Grazie.»
Joanna accese una sigaretta, espirò e si poggiò al parapetto con gli avambracci, nella stessa posizione di Guy. Il ragazzo, stizzito, si tirò su e poggiò la schiena al parapetto, le braccia conserte.
«Gentile da parte tua non dirmi nulla del concerto, comunque.»
«Non pensavo saresti venuta.»
Gettò a terra il mozzicone di sigaretta e lo pestò col piede.
«Guy-»
«Cosa, Joanna? Vuoi ancora parlare? Non c’è niente da dire, per favore…» mormorò il ragazzo, stanco. Lei si tirò su e si volse verso di lui, decisa.
«Senti, io non sono una tipa romantica, lo sai bene. Ho sbagliato, ti ho ignorato, non so bene cosa ho fatto, ci siamo allontanati, forse è stata colpa mia, forse di nessuno. Però mi dispiace, sul serio, e sono stufa di venirti dietro, venire ignorata, non vederti, non parlarti. Non lo so, vedilo come un modo un po’ strano per dirti che a te ci tengo.»
«Ah, sì? Ci tieni sul serio? A me? Tu? Wow» fece lui, sarcastico. Joanna assottigliò gli occhi.
«Non sarei qui se non tenessi a te, Guy. Non farmelo ripetere, ti prego.»
Guy la guardò di sbieco per un lungo istante. Una chitarra in legno pregiato, in edizione limitata, con le corde ad alta tensione, i finimenti neri e un suono distorto, che andava preso per il verso giusto; bastava un po’ meno pressione per un suono sfrigolante. Una chitarra un po’ capricciosa, fiera, orgogliosa, da maneggiare con cura: questa era Joanna.
Sollevando un angolo della bocca, avvicinò il viso a quello della ragazza. Lei corrugò le sopracciglia, colta impreparata. Gli occhi scuri di Guy si facevano sempre più vicini, troppo vicini. Cosa diavolo…
«Grazie mille» sussurrò il ragazzo con voce roca e, con un gesto elegante, sfilò la sigaretta dalle dita della ragazza e se la portò alle labbra. Lei rimase interdetta per un attimo, prima di sorridere, vinta. Aveva una gran voglia di prendergli quella sigaretta e fare un altro uso delle sue labbra, adesso.
 
♪♬
 
«Delilah! Lila!»
La ragazza volse la testa, curiosa e un po’ seccata. I ragazzi suonavano Shiver, lei l’adorava. Phil arrivò correndo verso di lei, trafelato e con gli occhi spalancati.
«Non ci crederai mai» ansimò, afferrando una bottiglia d’acqua e riempendosi un bicchiere.
«Che succede?» chiese la ragazza. Phil bevve un lungo sorso prima di rispondere.
«Ci sono i direttori della casa discografica per cui abbiamo appena fatto il disco e loro hanno chiamato altre case discografiche e altri produttori e sono tutti qui, e li stanno guardando. E sono venuti a cercarmi prima, no?, e adesso…» si interruppe e prese un altro sorso d’acqua.
«Parlophone. La casa discografica dei Beatles. Un E.P.»
«Che cosa
La ragazza spalancò gli occhi, incredula.
«Non puoi dire sul serio…»
Phil annuì, gli occhi brillanti.
«Non vedo l’ora di dirglielo, appena finiscono vogliono parlarci…»
«Oh, Dio, Phil, ma è grandioso, ti rendi conto? Una casa discografica come quella! Diventeranno sul serio… Oh, mio Dio!» esclamò, saltando su e abbracciando il ragazzo, che rideva.
«Vado a cercare Joanna, lo dico anche a lei…» disse Phil, allontanandosi. Lila guardò verso il palco. Jonny suonava perso in un altro mondo, Guy pizzicava il suo basso concentrato, Will suonava preso e Chris cantava con passione. Lila si portò le mani alla bocca, nascondendo un sorriso, gli occhi lucidi, traboccanti di un’emozione indescrivibile che l’annegava.
 
♪♬
 
Tim era in ritardo. Di nuovo.
Spinse trafelato la porta e si stupì della gente che c’era. Mai vista una folla così! Se non fossero stati amici suoi, sarebbe stato invidioso. Si fece largo fra la folla, allungando il collo per cercare il tavolo di Lila, senza risultato. Del resto, in quella marea di gente... Scrollò le spalle, si voltò verso il bancone e ordinò una birra. Si appoggiò con i gomiti al banco, rivolto verso il palco, e bevve un sorso, lasciando che la musica l’avvolgesse.

La chitarra di Jonny fu la prima cosa che gli giunse alle orecchie, una corsa frenetica di note azzurre. Chiuse gli occhi. Cristo, quello sì che era un assolo. 
E poi la voce di Chris, vibrante ed emozionata. Stillava malinconia, scopriva con dolore la sua intera anima ad ogni nota. Tim rabbrividì. Non aveva paura a scoprirsi così, a lasciare che tutti vedessero il suo cuore?
E il giro di basso di Guy, sottile, quasi impercettibile ad un orecchio non allenato. Note profonde, indispensabili, come i pilastri di un castello.
E Will non si risparmiava, sulla sua batteria, con energia inesauribile, dava tutto sé stesso su quello strumento.
La chitarra gridava soffocata, Chris cantava in punta di piedi, l’altra chitarra colorava il tutto, i piatti non la smettevano di suonare e la corsa ricominciava, i cuori battevano, le note gareggiavano, più in alto, più lontane, ancora, più su…
 
Chris teneva gli occhi chiusi quando cantava, ma se li avesse aperti, se avesse potuto vedere quel momento, allora l’avrebbe vista con i suoi occhi, oltre a sentirla, l’alchimia che li legava. Era proprio lì, in loro, nei piedi che battevano lo stesso tempo, nelle vibrazioni sugli strumenti, nel riverbero che echeggiava dentro ciascuno di loro alla stessa frequenza, nelle note che ciascuno di loro creava e che si intrecciavano in armonie meravigliose e così, insieme, solo insieme, erano qualcosa.
E Tim capì, quando riaprì gli occhi e l’ultimo accordo venne inghiottito dagli applausi, che non poteva invidiare loro nient’altro se non quel legame che li univa. E non sapeva cosa sarebbe successo, dove sarebbero stati di lì a un mese, se Lila e Chris si sarebbero sposati alla fine, se lui avrebbe mai rivisto Julia, se avrebbero passato gli esami, se sarebbero rimasti a Londra, se sarebbero rimasti amici, se il giorno dopo avrebbe piovuto e se quella sera avrebbe bevuto. Tim non lo sapeva, ma sapeva, con una malinconica morsa dal rimpianto, che quel legame fra quei quattro ragazzi laggiù sarebbe rimasto. E chissà, magari un giorno li avrebbe ritrovati, barbuti settantenni, una gloriosa carriera alle spalle, e avrebbero riso dei vecchi tempi fra chitarre, birre e i vicoli bagnati della loro Londra, immortali ragazzi. 






 

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