danger days

di Holly_Shit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Peggio di prima, ma ancora qui ***
Capitolo 2: *** Rivelazioni ***



Capitolo 1
*** Peggio di prima, ma ancora qui ***


Avevo messo su le mie calze in pizzo preferite per la serata. Le più sexy che avevo. L’avevo fatto per rimorchiare, si. O unicamente per lui.
Erano passati 7 mesi, all’inizio calcolai che il dolore mi avrebbe dovuto abbandonare intorno ai due o tre mesi. Quanto mi sbagliavo.
Dai, quella sera potevo permettermelo. Avrei potuto pomiciare con tre o quatto ragazzi, anche davanti ai suoi occhi. Per divertimento o per vedere la sua reazione.
Mi trastullavo in pensieri del genere mentre guardavo dal finestrino, con le cuffiette che vomitavano assoli di chitarra nelle mie orecchie. Ero parecchio cambiata in quei mesi, chi mi avrebbe visto ora di sicuro non si sarebbe capacitato della trasformazione. Ero diventata sfacciata, ambigua. Avevo aperto la mia mente e il mio cuore ad un altro genere musicale, punk rock che ben preso sarebbe sfociato in hard rock, me lo sentivo. Ormai non mi truccavo più, ma avevo i capelli in frantumi dalle dozzine di tinte e rasature.
Si, ora mi piacevo. Mi sentivo più sicura e me stessa in quelle creepers e nei maglioni sformati.
Ma il cuore non si può rivestire di abiti nuovi. Ero diventata molto realista, avevo imparato a vedere le cose prima dal loro lato oggettivo e poi con cautela a costruirci sopra le mie opinioni. Ormai non aspettavo più il colpo di fulmine o il ragazzo perfetto. Vivevo alla giornata e amavo morbosamente quella vita. Vivevo come se non ci fosse stato un domani. Avevo preso anche brutte abitudini, di quelle che una strigliata dei genitori, non riesce a far passare. Ero diventata finalmente la io che sempre aspettavo, e cominciavo a farmi anche una filosofia di vita. Dio era presente e non nelle mie giornate, ero giovane, avevo bisogno di sperimentare prima di decidere a cosa affidare lo straccio di anima che avevo in corpo.
Così dopo l’ultimo acuto di Gerard, chiusi il lettore musicale e aprii la portiera. Io ed Helena arrivavamo sempre verso quell’orario: undici e mezza,mezzanotte. Non amavamo aspettare fuori l’apertura dei locali, e poi ammassarci per raggiungere l’entrata.
Noi due non andavamo a genio un po’ a tutta Giulianova, parlo delle ragazze. Per i maschi era tutto diverso, conoscevamo pochi gruppi di lì, ma di certo non mancavano i fischi quando ne incontravamo uno per strada.
Quella sera uscii di casa con l’intento di divertirmi e non pensare a niente. Se poi tra le due parole ci scappava qualche cicchetto, non mi sarebbe dispiaciuto.
Dentro ci aspettavano amici di amici, di cui non ricordavo né il nome, né l’esistenza. Fremevo dal fare nuove conoscenze, ma in quanto a memoria zoppicavo un po’. Aprimmo la porta del tanto rinomato ‘Punto G’ e una calca di gente ci spinse indietro. Che cazzo di nervoso. Odio quando la gente mi tocca.
Raggiungemmo il nostro gruppo e dopo una bevuta collettiva, il movimento era d’obbligo. Cominciammo a ballare, e ne tralascio i dettagli, un ragazzo davvero carino mi afferrò la mano e mi strinse a sé. Tra il tremolio dei fari a led riconobbi quei due occhi giganti che tante volte mi soffermavo a guardare nelle foto.
Federico, se non ricordo male. Comunque uno dei soliti vippetti di questa città del cazzo. Era davvero bello, nonostante quei due suoi occhi azzurrissimi, che non desideravo proprio in un ragazzo. Preferivo di gran lunga il nocciola o il nero, ma quel colore accecante no. Però sul sorriso, un piccolo pensierino si poteva fare. E’ vero non mi piace essere toccata, ma nei punti giusti lo trovo più che piacevole. Federico scorreva le mani sui miei fianchi, ma non osava scendere più in basso, segno che ne indicava l’apparente sobrietà.
Da lui mi piaceva essere toccata, si muoveva bene, avvicinava la sue labbra al mio collo, e mi faceva rimanere così. Con il desiderio ancora vivo sottopelle. Poi cambiarono canzone e in quel momento maledii il dj, che anche lui era un gran figo.
Helena mi tirò per un braccio e feci in tempo a dire a quell’ affascinante moretto solo ‘ci sai fare’. La mia amica mi parò davanti un ragazzo alto, il che già non mi piaceva. Ero spudoratamente attratta dai ragazzi di bassa statura. Portava i capelli più in alto raccolti in un codino, la barba bionda appena accennata e un anellino lì dove avrei preferito un dilatatore. Occhi chiari, ancora.
Nel complesso un gran bel ragazzo ma l’ispirazione non mi giungeva. Tutto dipendeva dalle prime parole che mi avrebbe pronunciato in assoluto.
‘Manuel, Alexis. Ora fate quello che vi pare io vado a vomitare.’ Helena sparì tra la folla bracollando. Era già su di giri e neanche mezz’ora che eravamo lì dentro.
Manuel mi strinse la mano, notando il tatuaggio che avevo sull’avambraccio. Si avvicinò al mio orecchio.
‘Danger Days è il migliore, non trovi?’

"Okay, stasera sei mio" pensai.

 

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Capitolo 2
*** Rivelazioni ***


Di una cosa ero certa, mi aveva colpita. Letteralmente colpita ed affondata.
La scar era stato uno dei miei primi tatuaggi, decisi di farlo proprio in bella vista. Mi piaceva da matti l’idea che tutti potessero vedere quel ragno con il dorso marchiato da una saetta. Mi piaceva anche l’idea che chi lo vedesse potesse pensare: “Diamine, questa è ribelle”, senza sapere minimamente che rappresentava l’album del mio gruppo preferito. Adoravo ascoltare la gente e osservare quanto potesse essere ingenua e manipolabile.
Ed è stato bello anche non ritrovarsi di fronte l’ennesimo superficiale.
Manuel era partito con il piede giusto, non c’era dubbio, e io non avevo nessunissima intenzione di bloccarlo.
‘Non bisogna porsi dei limiti’ mollai la presa dalla sua mano.
‘Chi ha parlato di limiti? Sono preferenze’ si voltò a guardare alle sue spalle, poi posò di nuovo il suo sguardo distratto su di me.
‘Ci sarebbe da fare un discorso su questo’
‘ E non mi trovi il tipo adatto con il quale affrontarlo’
Sollevò un sopracciglio, infilò le mani in tasca, si bagnò delicatamente le labbra e tornò a voltarsi a destra e a manca. Dondolò sul posto per un attimo. Ed io persi la cognizione del tempo.
Fascino. Ne era abbondantemente dotato.
In quel momento trovai estremamente deprimente il fatto di trovarmi in una squallida discoteca a parlare di argomenti talmente delicati per me, come la musica, con un perfetto sconosciuto, ma con il quale sarei restata tutta la notte su a parlare, ammesso che portasse con sé degli argomenti validi.
‘Ti va di prendere una boccata d’aria?’
‘Volentieri’ il suo sorriso limpido mi attraversò ne l profondo, si posò sui miei muscoli e accarezzò le mie ossa.
Profumava di fresco, di menta probabilmente. Quell’ odore mi si impregnò nelle narici, misto all’ alcool e al sudore che aleggiavano per il locale.
Dopo i classici spintoni da ‘passaggio tra la ressa del Punto G’ spinsi la porta d’entrata e subito avvertii una sensazione di sollievo.
Fuori dall’afa.
Fuori dai fiumi di vodka e dalla puzza di vomito.
Fuori, finalmente.
‘Sai cosa penso dei locali così affollati?’ farfugliò tra le labbra, impegnate già a stringere una Marlboro, e dimenandosi per cercare qualcosa nelle tasche, probabilmente l’accendino.
‘Cosa?’ gli porsi il mio.
‘Che impoveriscano il locale in sé, o meglio se un po’ tutti si impegnassero a non sbroccare dove capita, sarebbe più piacevole passare le serate qui.’ Mi fece un cenno con la testa, come per ringraziarmi e l’accese.
‘Mi leggi nel pensiero o cosa?’ aggrottai la fronte.
‘Nah, diciamo che osservo…’ fece.
Ma come fanno ad esistere certe persone? Quelle che dal millimetrico spostamento di un sopracciglio riescono a capire tutto? Che ti analizzano come in una radiografia e ti fanno sentire nudo nella tua integrità?
Sono assurde.
‘Allora, vuoi dirmelo o no qualcosa di te?’ succhiò dal filtro con quanta più forza aveva nei muscoli guanciali, li vedevi incavarsi ad ogni tiro di più.
‘Cosa vuoi sapere?’
‘Ah, non lo so. Sei tu quella che mi ha trascinato qui fuori.’
‘Non mi piace parlare di me, se vuoi conoscermi devi vivermi, io la penso così.’
‘E non la pensi per niente male.’
Quegli squarci di silenzio sono altamente imbarazzanti. Che poi silenzio, si fa per dire. Il frastuono che aveva messo su il dj faceva tremare addirittura il muretto su cui ero appoggiata.
‘E per quel viverti, quanto costerebbe?’
‘Se è di questo che ti preoccupi, non costa un bel niente. Se non pazienza.’
‘Perché?’
‘La pazienza è la virtù dei forti.’
‘E dei sottoni.’
‘Soprattutto dei sottoni.’
Sorrise.
‘Seriamente, perché?’ finì di fumare e spense il mozzicone sul cemento del muretto.
‘Perché di solito tutti se la danno a gambe.’
‘Non gli piacevi abbastanza.’
‘No, si stufano subito.’ Posai lo sguardo altrove, su una macchina, su una coppietta o su un lampione. Tutto pur di non incrociare gli occhi di Manuel, non avrei mai voluto che mi vedesse affranta.
‘Perché gli dai modo di farlo.’
‘Semplicemente perché ne hanno voglia.’
‘Posso farti una domanda?’ calciò una pietruzza.
‘Dimmi.’
‘Perché ti nascondi?’ la sua voce calorosa attenuò i brividi che per un attimo sentii affiorare.
‘Ma neanche mi conosci, come fai a dirlo!’
‘Lo vedo dai tuoi occhi, si trasmette molto più con uno sguardo che con cento parole.’
‘Ti sbagli.’ sbuffai.
‘Perché non ti riveli per chi sei veramente? Forse è questo il motivo per cui gli altri rinunciano’
Mi aveva aperto in due come una noce. Mi sentivo fragile e vulnerabile. In pochi minuti di conoscenza già aveva steso il mio profilo. Figuriamoci dopo settimane.
‘Vuoi saperlo davvero il motivo?’ lo guardai dritto negli occhi stavolta.
‘Certo’ mi sostenne lo sguardo.
‘Perché è stato quando mi sono rivelata per quello che sono, che gli altri se ne sono andati.’
E in un secondo, un freddo glaciale mi avvolse.
 

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