Il Mondo Attraversabile

di young_blood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Nella caverna ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Alter mundus ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Give me a reason why ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Absolution ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Lost home ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Fragile bones ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Hidden regrets ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Bloodlines ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Under your skin {part 1} ***



Capitolo 1
*** Prologo - Nella caverna ***


 


 

PROLOGO - NELLA CAVERNA

 

Paper stava camminando da ore. Aveva percorso il pavimento di quella stanza già trenta o quaranta volte. Teneva le mani dietro la schiena e continuava a premere con il tallone la mattonella che sporgeva dal lucido parquet. Era nervosa e l’agitazione che le metteva quella stanza chiusa, non faceva altro che accrescere le sue paure. Erin era stata presa o no? Sarebbero andate a fare quell’adorata gita nel bosco che sognavano da mesi o avrebbe dovuto subirsi le lamentele dell’amica sul fatto che i giudici erano stati corrotti per tutto l’ultimo mese delle vacanze estive? La sua migliore amica Erin era una bravissima cantante ed era straordinaria, perché era una sua dote di natura. Aveva preso lezioni da un insegnante privato per un paio di mesi, ma era già molto dotata. Dopo aver vinto un paio di concorsi canori, dato che ormai aveva compiuto la maggiore età, aveva deciso di tentare la sorte per entrare a far parte di un noto programma televisivo in Inghilterra, X Factor. Suo padre conosceva un uomo che era il fratello di un altro che aveva un amico che faceva il giudice del programma. Così, quel pomeriggio del 2 agosto 2008, Paper stava aspettando la sua amica nella stanza appena fuori quella in cui si stava svolgendo il provino. Aveva sentito la voce di Erin, acuta ed apparentemente sicura, presentarsi e parlare come se avesse di fronte una platea di amici, ma c’era dentro una lieve nota di timore che poteva avvertire solo lei. Si stropicciò le mani più volte, sbuffando e continuando a camminare avanti ed indietro. Drizzò le orecchie, fermandosi al centro della stanza, facendo sbattere i tacchi delle scarpe contro il pavimento di legno. Erin aveva appena cominciato a cantare. La sua voce era indescrivibile, somigliava tanto a quella di un usignolo con una tonalità più umana. Spesso le piaceva vantarsi di questo suo dono, non perché fosse particolarmente egocentrica, ma solo perché non amava molto se stessa. Sentì un breve applauso, così tornò a tormentarsi le dita, saltellando sul posto per cercare di mantenersi calma. Si fermò appena sentì Erin salutare i giudici con una risatina nervosa.

La porta si aprì con uno scatto secco. Paper si voltò e rimase immobile, in attesa del responso. Erin, la ragazza bassina che le stava di fronte, aveva la frangetta dei lunghi capelli castani che le copriva il viso. Paper capì subito che probabilmente era andata male.

<< Erin, mi dispiace così tanto… Vedrai che la prossima volta andrà meglio. >> disse, muovendo una mano verso di lei, ma ritraendola subito dopo. Le spalle di Erin si muovevano su e giù e sembrava che stesse sorridendo. << Erin? >>

<< Mi hanno presa! Ho passato il provino! Sarò una cantante! >> esultò, improvvisando un balletto della vittoria. Gli enormi occhi verdi brillavano alla luce del sole.

<< Mi hai fatta preoccupare! >> esclamò Paper, cominciando a ridere anche lei.

<< Scusa, ma dovevo farti assolutamente uno scherzo! Sembravi più preoccupata di me! >>

<< Perché ti voglio bene! >>

<< Lo so, >> replicò, mettendole un braccio attorno alle spalle, << lo so. >>

<< Immagino che domani… >> cominciò Paper, con uno scintillio negli occhi azzurri.

<< …andremo nel bosco! >> finì Erin, scompigliandole i capelli biondi.

 

***

 

<< Hai preso tutto? >> chiese sua madre, cercando qualche crema contro le zanzare o le scottature.

<< Sì, mamma. >> rispose Paper, spazzolandosi i capelli. Un paio di occhi azzurri ricambiarono il suo sguardo allo specchio.

<< La crema contro le zanzare? >>

<< Sì. >>

<< Il cellulare? >>

<< Sì. >>

<< La torcia? >>

<< Sì. >>

<< La testa? >>

Paper si girò e le andò incontro sorridendo, accarezzandole le braccia.

<< Vedrai che andrà tutto bene. >> la rassicurò.

<< Non hai risposto alla mia domanda. Hai preso la testa? >>

<< Mamma, quella l’ho persa quando ero in quinta elementare, non ricordi? >> chiese, ricordandosi di quando era tornata a casa da sola e si era dimenticata le chiavi dentro.

La donna le fece la linguaccia, prima di abbracciarla.

<< Mamma, stasera sarò di nuovo qui. >>

<< Troppo presto, per i miei gusti! >> esclamò una voce maschile, affacciandosi alla porta. Paper lanciò un’occhiataccia al fratello maggiore.

<< Sai che ti mancherò, Steve. >>

<< Per una giornata? Non credo proprio. Papà ti saluta, era in ritardo per il lavoro. Ha detto di stare attenta. >>

<< Va bene. >>

Il clacson di un’automobile suonò. La madre di Paper si affacciò alla finestra e vide Erin alla guida della sua Mini, senza tettuccio, con la bandiera della Gran Bretagna sopra. La ragazza stava tamburellando le dita sullo specchietto a lato dell’automobile.

<< Dev’essere Erin! A stasera! >> disse Paper, prendendo la borsa e dando alla madre un bacio sulla guancia.

Scese di fretta le scale, aprì la porta ed uscì fuori. Erin le sorrise, raggiante.

<< Sali sfigata, andiamo nel bosco. >> disse, facendo specchiare Paper nelle lenti dei suoi occhiali da sole neri.

<< Hai appena citato Mean Girls. >> replicò, prima di prendere posto accanto all’amica.

<< Eccome. >> rispose Erin, ingranando.

 

Lasciarono l’automobile con il finestrino alzato a pochi metri dalla radura, così che fosse riparata ma allo stesso tempo non troppo esposta alle fauci degli animali selvatici. Suo padre l’avrebbe messa in punizione a vita, se fosse tornata con l’auto ammaccata. Erano benestanti, certo, ma non significava che poteva sperperare tutti i soldi come le pareva.

<< Mia madre ha detto che stasera prepara il tortino di spinaci. Vieni da me? >> chiese Erin, mentre si incamminavano verso il bosco.

<< Non posso, mia madre deve vedermi sana e salva. >> rispose Paper, aggiustandosi la tracolla. Erin rise.

<< Allora, cosa credi che troveremo? >>

<< Un sacco di frutti di bosco e fragole! >>

<< A me piacerebbe trovare un bel ragazzo smarrito. >>

<< Lo immagino già: capelli ricci, occhi chiari, non troppo alto, figo… >> la prese in giro. Erin le diede una spallata.

<< Non sfottermi! >>

Ridendo e scherzando, le due ragazze erano arrivate al confine tra la foresta e la campagna. Dietro di loro c’era Londra, un sole cocente e tante case dai tetti scuri. Di fronte, invece, un bosco pieno di alberi altissimi e di cui non si vedeva la fine. Paper prese un bel respiro.

<< Hai paura? Vuoi tornare indietro? >> le chiese Erin, preoccupata.

<< No. Andiamo. >> rispose determinata, sorridendole.

Dentro, i raggi del sole s’infilavano a stento tra le fessure delle foglie. Non si vedeva niente, oltre la fitta boscaglia che si stagliava di fronte a loro. Erin si era portata un cestino per raccogliere le fragole, di cui suo padre era ghiotto, così, mentre lei era intenta a mangiarne un po’, Paper scattava foto su foto. Era bello poter stare all’aria aperta, dimenticarsi di tutti i problemi e sentire solo il calore del sole sulla pelle o l’erba che le solleticava le caviglie. Si soffermò a cerare di immortalare un coniglietto bianco che vagava accanto a loro. Si inginocchiò dietro ad un tronco a terra e stette per fargli una fotografia, ma, per un attimo solo, credette di aver intravisto un paio di occhi straordinariamente chiari che la stavano fissando. Cacciò un urlo acuto, scivolando e sbattendo con la schiena contro il terreno. Si rialzò subito e vide solo il coniglio che scappava via.

<< Paper! Stai bene?! Hai visto un lupo? Il sindaco aveva detto che non ce n’erano più! >>

<< Io… credevo solo… Non importa. >>

Erin l’aiutò ad alzarsi ed a pulirsi. Ripresero le borse e continuarono nel loro cammino. Paper continuò a guardarsi intorno, agitata. Una mano le sfiorò la spalla.

<< Erin! Ma sei impazzita?! >>

<< Paper, cos’hai visto, prima? >>

<< Ma niente, era solo uno scoiattolo… >>

<< Paper. >>

<< Ho creduto di aver visto qualcuno che mi stava fissando, ma non è possibile. Me lo sarò immaginato. >> disse, frettolosa.

<< Se lo dici tu. >> disse l’amica, non convinta.

Il crepuscolo arrivò entro poco tempo. Il bosco si estendeva per chilometri e ne avevano visto solo una piccola parte. La giornata era trascorsa velocemente, sembrava che fossero lì da pochissimo tempo. Avrebbero preferito rimanervi un altro po’, ma in realtà c’era ben poco da vedere, se non alberi e cespugli pieni di fragole rosse.

<< Torniamo indietro. >> propose Paper.

<< Sì. Da che parte? >>

<< Credo… ehm… a sinistra? >> chiese, insicura. Erin la guardò, i suoi occhi sembravano sporgere da sotto le palpebre.

<< Ci siamo perse?! Sai che soffro di claustrofobia! No, no, no, no… non può esserci successo per davvero… >> continuava a dire Erin, ormai nel panico più totale.

<< Calmati, andrà tutto bene. Torniamo sui nostri passi. >>

Tornarono indietro. Paper sorrideva incoraggiante, ma ogni volta che Erin si voltava, la paura prendeva il sopravvento e la portava a pensare al peggio. E se fossero rimaste lì? E se i cellulari si fossero scaricati? E se quegli occhi di ghiaccio fossero stati quelli di un assassino? Un brivido freddo le percorse la spina dorsale e si bloccò all’istante, in mezzo alla radura.

<< Che c’è? Cos’è successo? >> chiese Erin, agitata.

<< Niente, niente... Ehi, ma quella caverna? Non l’abbiamo vista, prima. >>

<< No. Paper, sta piovendo. Andiamo dentro! >>

<< Cosa?! >>

<< Paper! >>

<< D’accordo, d’accordo… >>

Si addentrarono nella caverna oscura. Paper prese la torcia dalla borsa, ma non funzionò: si era dimenticata di metterci dentro le pile. Il cuore le sprofondò sotto i piedi. Che sbadata! Era tutta colpa sua. Adesso sarebbe stato più difficile tornare indietro. Erin le diede un pizzicotto.

<< Qui è buio pesto! Mi sento male… >>

<< No, stai tranquilla, ce la caveremo. Prendi il telefono. >>

Erin non fece in tempo a prendere l’iPhone dalla borsa, che la luce del sole illuminò tutto. Si trovarono di fronte ad una casupola consumata dal tempo, ingiallita. Paper si avvicinò tremante alla porta ed afferrò il pomello. Erin prese un ombrellino dalla borsa, come difesa. Paper aprì la porta ed un’anziana signora rivolse loro un sorriso, con i capelli legati sulla nuca in uno chignon grigio chiaro. Era uno di quei sorrisi strani, falsi, che nascondevano qualcosa di terribile o di fantastico. Paper si soffermò a lungo sui dettagli di quel viso, un tempo affascinante, ma ora deturpato dalle rughe e dai tanti denti mancanti.

<< Benvenute. >> disse, con voce roca.

<< Dove siamo? >> domandò Erin.

<< Lo scoprirete presto. Per entrare, però, dovete bere questo filtro e fidarvi di me. >> disse, alzandosi piano e prendendo una boccetta contenente del liquido rosa. << Vi servirà. Voi non parlate la nostra lingua. >>

<< Ma lei parla la nostra. >> osservò Paper.

<< Perché io posso farlo. Bevete, così potrete parlare e capirete. >>

<< Non mi fido. >> sussurrò Erin a Paper.

<< Non avete altra scelta, perché non vi farò tornare indietro. >>

Erin si voltò e vide che un grosso cane, simile ad un lupo, la stava fissando. Ringhiò, i denti affilati come quelli di uno squalo, in grado di squarciare in un attimo la carne più tenera. Deglutì piano, girandosi. La donna la guardò intensamente.

<< Come avete detto di chiamarvi? >>

<< Non l’abbiamo detto. Io sono Paper, lei è Erin. >>

Un lampo, uno di quelli impercettibili, trapassò gli occhi grigi della donna, riportando un po’ di colore nelle iridi. Paper deglutì, impaurita, mentre Erin stringeva le dita ai jeans, cercando di allentare in quel modo la tensione.

<< Bevete. >> ordinò, dura.

Paper buttò giù per prima e poi Erin. Le due si guardarono e non videro nessun cambiamento fisico in loro.

<< Mi brucia la gola. >> disse Paper.

<< Vecchia fattucchiera! Ci hai ingannate! Cosa ci hai fatto?! >>

<< Vuol dire che sta facendo effetto. Tu non senti niente? >>

<< Io? No… >> rispose Erin, confusa.

<< Farà effetto dopo. Appena uscite, andate dritto e non voltatevi. >>

<< Ci dica che possiamo tornare indietro. >> disse Paper, seria.

<< Vi dico solo che potete andare avanti. >>

La vecchia signora scomparve e la casa si scompose come un fiore fatto della stessa sostanza di un castello di carte. Erin e Paper camminarono lentamente, con le orecchie ben aperte. Il bosco che avevano attraversato fino a poco prima, si mostrò di nuovo a loro e sembrava ancora più immenso. Si addentrarono ancora, mentre Erin stringeva forte la mano di Paper. Vagarono per ore ed erano sicure che fosse tardi. Qualche goccia cominciò a farsi largo tra le fronde degli alberi, come piccole lacrime. Gli occhi di Erin, stanchi e lucidi, cominciarono a cedere.

<< Ho sonno, Paper. >>

<< Ho un giubbotto. Possiamo coprirci e ripararci sotto quell’albero grande, che ne dici? >> propose, indicando un punto lontano.

<< Neanche per sogno! E se ci trova quel cane? No, arrampichiamoci su di un albero e facciamola finita. >>

<< Cosa?! Non lo farò mai! >>

<< Non lamentarti con me se verrai sbranata da un orso! >>

<< Erin! >>

Un rumore sinistro fece rizzare i capelli ad entrambe. Paper si voltò, ma non vide nulla. La pioggia diventò più forte e cominciò a battere incessantemente sulle sue spalle. Erin rabbrividì.

<< Hai freddo? >> chiese Paper, mettendo da parte la piccola arrabbiatura di prima.

<< No. >> mentì l’amica.

<< Tieni. >> disse, porgendole il giubbotto, appena preso dalla borsa. << Indossalo. >>

<< E tu? >>

<< Sto bene. Sai che non soffro il freddo. >>

<< Non è vero. >> ribatté Erin. Paper alzò le spalle. << Grazie. Scusami, per prima. >>

<< Non è vero, sono stato io ad essere orribile. Facciamo così: tu dormi sul ramo di quell’albero enorme ed io ai piedi, così saremo più sicure. Ed io non avrò il torcicollo. >> disse. Erin sorrise.

<< Ne sei sicura? >> chiese.

<< Sì. >>

Fecero come avevano detto e la mattina arrivò fortunatamente in anticipo. Paper si svegliò per prima, alzandosi piano e stropicciandosi gli occhi. Poggiò la schiena contro il tronco dell’albero, ma la ritrasse subito. Sembrava che fosse stata appena punta da uno spillo affilato. Toccò la maglietta a fatica, dietro, ma non sentì nulla.

<< Paper! Sei sveglia? >> urlò al voce di Erin, dalla cima dell’albero.

<< Sì! Scendi! >>

<< Arrivo! >>

Erin scese di sotto piano, a fatica, strofinando i palmi delle mani contro la corteccia per evitare di cadere. Quando i suoi piedi toccarono il suolo, per poco non baciò la terra sotto ai suoi piedi. Paper prese le borse e s’incamminarono di nuovo nella foresta non più buia.

<< Mia madre avrà già allertato la polizia. >> disse Erin, mordendo una fragola.

<< La mia di sicuro! >> esclamò Paper, rifiutando l’offerta di un mirtillo da parte di Erin.

<< Devi pur mangiare qualcosa, Paper! >>

<< Non mi piace quella roba. Aspetterò. >>

<< Cosa? Che ci vengano a prendere? La nostra morte? >>

<< Non dire così! >>

<< Ma è vero! È la cruda realtà! Potremmo rimetterci la pelle, qui dentro! >> esclamò Erin, infuriandosi. << E ci siamo perse di nuovo! >>

<< Non… >> stava per dire Paper, ma quando vide che in effetti, il bosco sembrava tutto uguale, si bloccò, << Hai ragione. >>

<< Lo so. Maledizione! Voglio tornare a casa. Quella vecchia megera…! Me la pagherà cara! >> urlò.

<< Abbassa il tono, E… >> stava dicendo Paper, ma la voce le morì in gola. Il cuore prese a battere freneticamente.

<< Paper. Paper! >>

<< Quel ragazzo… quel ragazzo, l’ho già visto. >>

<< Di chi stai parlando? Paper, aspettami! >>

Paper corse nella boscaglia, inseguendo il ragazzo dagli occhi chiari, ma lo perse di vista e riuscì solo cadere con le ginocchia a terra come una bambina che insegue una farfalla troppo veloce. Guardò in avanti, con gli occhi lucidi, desiderando solo di tornare a casa.

<< Stavi cercando me? >> chiese una voce maschile, soffiandole sul collo. Il corpo s’irrigidì.

Paper si voltò di scatto ed il ragazzo di prima sogghignò. Erin, da lontano, non poteva credere ai suoi occhi.






Salve gente!
Ebbene sì, questa è la nostra prima storia, nata dalle menti malate di due sedicenni classiciste troppo sognatrici per la realtà in cui sono costrette.
Speriamo che questa storia possa emozionarvi, commuovervi e appassionarvi almeno quanto lo ha fatto con noi mentre la scrivevamo.
Enjoy!

E. & B.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Alter mundus ***


Prima di leggere, consigliamo di ascoltare le canzoni messe prima dei capitoli. Enjoy!


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Capitolo 1
Alter mundus


“They scream
The worst things in life come free to us
And we're all under the upper hand
And go mad for a couple grams
And we don't want to go outside tonight
And in a pipe we fly to the Motherland
Or sell love to another man
It's too cold outside
For angels to fly
For angels to die”.
{A team, Ed Sheeran}


Il dito del ragazzo le sfiorò la schiena. 
<< Stai sanguinando. >> disse.
Paper si alzò di scatto, toccando un punto quasi impossibile dietro di lei. Notò che il polpastrello era rosso.
<< Dove ti sei ferita, straniera? >> chiese, penetrando le sue iridi con quei profondi occhi color ghiaccio. I capelli scuri mandavano bagliori argentei, alla luce del sole. Doveva avere più o meno la loro età, quindi diciotto o al massimo, diciannove anni.
<< Paper! PAPER! >> la chiamò Erin, correndo verso di loro. << Cosa ti ha fatto?! Cos’è tutto quel sangue?! >>
<< Non è niente, devo essermi fatta male prima, contro l’albero. >> rispose, apparentemente tranquilla.
<< Quale? >> chiese il ragazzo, incuriosito.
<< Quello alto, in mezzo alla radura. >>
<< Ah. >> replicò, annuendo. << Allora stai morendo. >>
Erin strabuzzò gli occhi, mentre Paper impallidiva.
<< Cosa? >> le uscì solo, con voce flebile.
<< Ci sono delle gemme avvelenate che pungono come spilli, su quell’albero e sono velenose. >> spiegò. 
<< Stai mentendo! >> lo accusò Erin, furiosa.
<< No. >> rispose tranquillo. Poi la guardò con interesse. << Sei davvero affascinante, straniera. >> disse, facendo un passo in avanti per sfiorarle i capelli con le dita. Erin indietreggiò. 
<< Perché non te ne vai a… >>
<< Erin, >> la interruppe Paper, << taci. >> disse. Si rivolse al ragazzo. << Puoi portarci fuori di qui? >>
<< Ovviamente. Seguitemi. >>
Erin la strattonò per un braccio, portandola a qualche passo da quello. Non le piaceva affatto. Aveva un modo di muoversi sinuoso come quello di una serpente, un sorrisetto sarcastico ed un paio di occhi così chiari, da affogarci dentro. 
<< Non fidarti di lui. >> scandì sottovoce. << Non mi piace. >>
<< Deve solo darci una mano ad uscire e poi, se è vero ciò che dice, devo curarmi. >>
<< Come fai ad essere così tranquilla? >>
<< Perché il veleno rende più forti! >> esclamò quello seccato, alzando un sopracciglio, continuando a camminare di fronte a loro. << Vi sento benissimo. Andiamo. >>
<< Se ti tocca di nuovo… >> cominciò Erin.
<< Ci sarai tu a proteggermi, giusto? >> chiese Paper, sorridendo. Erin la guardò interdetta, in seguito annuì, senza aggiungere altro.
Seguirono il ragazzo ed Erin rimase a fissarlo attentamente per tutto il tempo, controllando che non giocasse loro qualche brutto tiro. Paper aveva un’aria strana. Un attimo prima stava bene, un attimo dopo era bianca come un lenzuolo. Si muoveva barcollando, con la vista che sembrava annebbiata, mentre continuava a strizzare gli occhi per guardare meglio la strada. Il bosco li inghiottiva sempre di più, mentre si addentravano. C’erano degli alberi alti quanto le nuvole. Alcuni cespugli pieni di fragole erano la meta preferita di alcuni animali selvatici più piccoli ed Erin li ammirava, sorridendo come una bambina che vede qualcosa per la prima volta.
Il ragazzo si fermò a pochi metri da loro, dondolando la testa sul collo come in preda ad una melodia. Si voltò e sorrise loro, scompigliandosi i capelli scuri. 
<< Siamo arrivati. Sai bella mora, mi hai tenuto d’occhio per un’ora. Ti piaccio o è solo che non ti fidi di me? >> chiese, prendendo il suo mento fra le dita. Erin si scansò in malo modo.
<< La seconda che hai detto. >> 
Quello sogghignò, poi si voltò. Uscirono dal bosco e si ritrovarono di fronte ad un’alta cancellata. L’enorme cittadina che si intravedeva di fronte a loro, dietro alle mura ricoperte dall’edera, era formata da case basse e con i tetti ricoperti dalla paglia. Lo stile somigliava a quello della Londra vittoriana, per certi versi, ma molto simile alla città com’era adesso per loro. Era arretrata o sviluppata? A giudicare dagli abiti del ragazzo, che stava entrando nella città con passo elegante, era più una Londra ancora cavalleresca. Egli portava una maglia bianca come quella dei pirati, una giacca nera di pelle, dei pantaloni neri come la notte ed un paio di stivali bassi. Paper ed Erin si scambiarono un’occhiata, sorprese di vedere alla luce, che nel fodero al fianco del ragazzo stava una spada. S’incamminarono per le vie, sentendosi tremendamente fuori posto, vestite con un paio di jeans ed una maglietta per ciascuna. 
<< Non ci siamo ancora presentati. Io sono Dan, tanto piacere. >> disse, sfoderando il suo primo vero sorriso. Se non fosse stato che non si fidava di lui, Erin l’avrebbe persino trovato affascinante.
<< Io mi chiamo Paper e lei è Erin. >> disse la ragazza. Dan guardò Erin così intensamente, che sembrava consumarla solo con gli occhi. Lei deglutì, cercando di guardarlo dall’alto in basso con superiorità.
<< Be’, direi che possiamo andare via, adesso, eh? >> chiese Erin, spazientita da quello sguardo.
<< No, non potete di certo. >> rispose Dan, senza scomporsi minimamente. << Dovete perlomeno fare un tour. L’altro Mondo non è bello quanto il nostro. >>
<< Vuoi ucciderci?! >> chiesero in coro, spaventate.
<< Cosa? No, si chiama così. Il vostro mondo prende il nome di: “L’altro Mondo”. È così che lo differenziamo dal vostro. Noi abbiamo avuto origine dopo. Siamo stati fortunati, però, perché possiamo sviluppare tutto prima, dato che voi avete già scoperto molto che noi non conosciamo. >> spiegò. << Date pure un’occhiata alle bancarelle. >>
Le due amiche, ancora sotto gli occhi indagatori della folla, si fiondarono fra i banchetti per cercare di nascondersi. Paper fu attirata da una maschera dipinta a mano, bianca con degli intarsi in argento. Erin vagava fra alcuni vasi, notando solo in quel momento la vetta di un castello che spiccava lontano, dietro le case. Somigliava tanto al castello della Disney, quello che lei e Paper avevano visto a sette anni a Disneyland. Le era sempre piaciuto fantasticare su di una lei diversa, magari in un modo parallelo, un mondo che avrebbe potuto attraversare quando voleva. Una lei che aveva una corona sul capo ed un bel vestito verde, lungo, pieno di pietre preziose ed uno splendido principe al suo fianco. Sospirò, scuotendo la testa. Favole. Non erano che favole. 
Qualcuno le sfiorò una spalla e si girò, irritandosi.
<< Non ho mai visto una ragazza più bella di te, Erin. >> disse Dan, sinceramente colpito dalla sua bellezza. Erin gli tirò uno schiaffo bello forte sulla guancia.
<< Spero che tu capisca che questo è un rifiuto. >> disse dura. Dan la fissò con uno sguardo improvvisamente di fuoco e gli occhi chiari come il ghiaccio cambiarono il colore in un grigio tempesta, mentre si teneva la guancia rossa. 
<< Perché non ti fidi di me? Non mi conosci nemmeno. >>
<< Non sei stato molto gentile. >>
<< Nessuno è gentile a questo mondo, Erin. Nemmeno tu, né tantomeno la tua santa amica Paper. >> replicò, indicando l’amica con lo sguardo, mentre girava per le bancarelle con aria assente. Sembrava fosse in preda a delle allucinazioni. << In questo regno, non puoi permetterti di essere gentile o ti schiacciano. Hai riconosciuto questa città? Siamo a Londra, bellissima straniera. La Londra del nostro mondo, il Mondo Attraversabile. È sacra come un tempio e venerata come i quadri dei Santi. Non puoi sperare di sopravvivere qui, se non sei cattivo, almeno un po’. >> 
Erin lo guardò a lungo, chiedendosi perché le stesse parlando di tutto ciò. Forse aveva solo bisogno di confidarsi su qualcuno riguardo ai suoi pensieri o cercando di darle un consiglio per altri fini, ben più malvagi. Illuso, lei non avrebbe mai abboccato. Però, per la prima volta, riuscì a vedere qualcosa riflesso nei suoi occhi. La voce non tradiva alcuna emozioni, ma i suoi occhi stanchi e vispi allo stesso tempo lo contraddivano. Era solo. Era solo ed aveva bisogno di qualcuno che condividesse il suo dolore con lui.
<< Dan, non credo di essere la persona che può aiutarti in questo momento. >>
Lui annuì.
<< Certo che no. Sei troppo perbene, per poter essere amica di un orfano cresciuto per strada come me, non è vero? L’Altro Mondo ha degli abitanti molto altezzosi, non credi anche tu, dolcezza? >> domandò, percorrendo lentamente il suo viso con lo sguardo. La ragazza si sentì arrossire.      
Dietro di loro, una donna stava parlando concitatamente con un’altra su quanto fosse aumentata la criminalità di quei tempi e di come fosse possibile che, in un mondo con nuove tecnologie prese da un altro mondo affine a quello, fossero così arretrati su certi aspetti come la difesa del popolo o i vestiti da vendere. Nel 1659 sarebbe stato preferibile essere più acculturati, non come ai suoi tempi, in cui non si studiava nemmeno, ma si andava direttamente a lavorare nella vecchia miniera ormai chiusa, a soli otto anni. Erin si fermò alla bancarella accanto per ascoltare, facendo finta di essere interessata ad alcuni vasi di terracotta chiara. Dan la seguì con le mani dietro la schiena, stranamente silenzioso. Erin abbassò lo sguardo verso di lui e notò che Dan aveva in tasca una collanina e pochi metri dietro di lei, quella stessa donna si stava lamentando del fatto che qualcuno le avesse rubato qualcosa. Stette per dirgli qualcosa, ma Dan si mosse velocemente verso i vasi e li ruppe tutti con un colpo di spada, scappando subito dopo veloce come una lepre, facendole l’occhiolino prima di fuggire a gambe levate. Erin si rese conto troppo tardi di quello che stava accadendo. Paper corse verso di lei e la donna di prima si avvicinò loro a grandi passi.   
<< AL LADRO! AL LADRO! >> gridò. 
Si formò subito una gran folla attorno a loro ed Erin raccolse la maschera da terra, incrinata. Era la stessa bancarella che aveva guardato Paper all’inizio. Strinse le palpebre, maledicendo quel farabutto. Un paio di uomini con l’armatura presero lei e Paper per le braccia.
<< Cosa volete?! Non abbiamo fatto niente! TOGLIMI LE MANI DI DOSSO! >> urlò Erin, dimenandosi.
<< Vi porteremo dal re, siamo le guardie reali. >>
<< Mi hanno rotto i vasi e rubato una maschera! >> esclamò la donna grassa, mentre la bandana scivolava fra i corti capelli biondi.
<< Seguiteci senza fare troppe storie. >> disse uno dei due. 
Paper ed Erin li seguirono in silenzio. Se solo avesse potuto averlo fra le mani, Erin avrebbe ridotto Dan in brandelli. Paper si guardava i lacci delle scarpe, non sapendo cosa dire. In realtà, aveva la bocca impastata, le palpebre che le cadevano sugli occhi. Rischiò di cadere diverse volte. Erin la guardava preoccupata. Si sentiva la testa pesante e le gambe bloccate, come se fossero state due pezzi di legno. La vista le andava insieme e poi tornava. Il veleno la stava uccidendo lentamente. Poteva sentire il battito del cuore che piano piano diventava sempre più veloce e poi rallentava di botto, quasi stoppandosi. O era solo tutto frutto della sua immaginazione?
Il castello era molto alto, dipinto d’un giallo chiaro, con i tetti delle torri d’un blu chiaro, pieno di stanze e ben curato sia dentro sia fuori. Appariva come un castello rinascimentale, pieno di arazzi e di tende rosse ed oro, spade appese alle pareti, un salotto non molto grande, una piscina, una sala da ballo enorme, una cucina che affacciava sul soggiorno per la famiglia ed una sala da pranzo grande quanto una casa intera. I giardini profumavano di rose e dentro splendeva e sapeva di pulito. Il profumo di limone perforava le narici. 
<< Aspettateci qui. >> disse l’uomo. 
Erin e Paper si mossero nella Sala del Trono, sorridendo. Era tutto così meraviglioso e colorato, che non potevano crederci. La vista dalle finestre era mozzafiato e Paper avrebbe voluto scattare una foto, se solo non avesse avuto le mani legate dietro la schiena. Non appena ci ebbe pensato, la parte alta della schiena bruciò e sentì un dolore lancinante, come se la stessero trapassando con la punta di un coltello.
<< Paper, che ti succede? >> chiese Erin, accorgendosi della sua espressione sofferente. 
<< Sto bene. >>
<< Stai sudando! >>
<< Sto bene, ti dico. >> replicò dura, con gli occhi lucidi.
La porta si aprì e Paper perse un battito. Fece il suo ingresso un bel ragazzo, alto nella media, con i lineamenti dolci, i capelli castani ed un paio di occhi verdi che brillavano, un passo elegante come quello di un principe aristocratico. Paper ne rimase incantata per un attimo, ma si riprese in fretta. Le raggiunse a passo veloce.
<< Mio padre non c’è, mi hanno appena chiamato da un allenamento con la spada. >> disse. In effetti, delle macchie rosse spiccavano sulla sua maglia bianca. << Io sono il principe di Londra, mi chiamo Noah Corwin, molto piacere. Non vorrei accusarvi signorine, ma, andando al dunque: mi hanno detto che avete rubato e rotto dei vasi. >>
<< Non è vero. >> si difese subito Erin. << Vedi, è stata tutta colpa di un ladro, si chiama Dan e questo tizio… >> stava dicendo, ma per qualche motivo, lo sguardo di Noah aveva qualcosa di familiare. Quel verde le ricordava tanto i prati in cui si rotolava da piccola, pieni di bocche di leone. Le ricordava il verde del braccialetto che i suoi genitori le avevano regalato per il suo decimo compleanno. Verde smeraldo. Il suo colore preferito.
<< Vai avanti. >> replicò, accarezzando l’elsa della spada con la mano. Paper notò che non l’aveva rimproverata per avergli dato del “tu”.
<< Sì, dicevo… Ah! Dan, quel brutto idiota maledetto d’un… Insomma, ci ha ingannate, perché io l’ho respinto e ci hanno dato la colpa! Credimi Noah, non abbiamo fatto assolutamente niente. >> 
Noah si morse il labbro inferiore, poi sorrise. 
<< Come avete detto di chiamarvi? >>
<< Erin. >>
<< Paper. >> rispose l’altra. Noah la guardò ed il suo viso si rabbuiò all’istante. Deglutì. << Bene. Siete libere di andare. Vi credo. Potete tornare nel vostro mondo il prima possibile. >>
<< Come? >> chiese Erin. Paper sentì una stretta allo stomaco.  Lasciare quel ragazzo sembrava un rimpianto troppo rischioso da aggiungere a tutti quelli che aveva. Ma non era per quello che il respiro le stava venendo a mancare. Si sentì cadere. << PAPER! >> gridò, inginocchiandosi accanto all’amica.
<< Vado a chiamare aiuto. >> disse Noah, esitando.
<< Vai! Vai! >> lo incitò Erin. Noah rimase per un attimo a guardarle, poi corse via. << Paper, che hai? >>
<< La schiena… mi fa male… Non vedo più nulla… Forse sto morendo… >>
<< Tu stai delirando, Paper! Dan ci ha mentito, è poco ma sicuro! >>
<< E se non fosse così? >> chiese, mentre le gocce di sudore le solleticavano la schiena. Erin rimase incerta su cosa dire. Paper le rivolse una specie di sorriso, prima di chiudere gli occhi.

***

La stanza dove si trovava era illuminata di una fioca luce solare, quando Paper riaprì gli occhi. Il letto, sotto ai suoi palmi, era soffice al tatto e si accorse di indossare una maglietta diversa dalla sua e non sporca di sangue. La schiena le recava ancora qualche fastidio, ma tutto sommato, neanche tanto. Si alzò piano, pensando che era ancora viva. 

Un paio di occhi verdi. 
Sembra che voglia parlarti. Ha le labbra socchiuse, morbide come petali di rose, strane per essere quelle di un ragazzo. Ti guarda come se volesse toccarti.
Lui si gira, quasi come se tu gli provocassi una spirale di elettricità che gli percorre la spina dorsale. 
Erin, a te sembra lentamente ma non è così, si passa le mani sul viso, tornando a guardarti, preoccupata.
Una donna, non sai chi, passa un unguento all’altezza della colonna vertebrale.
Perché lui non vuole guardarti?

La porta si aprì, cigolando piano. 
<< Paper? >>
<< Sono sveglia, Erin. Entra. >>
<< Ero così preoccupata! >> esclamò, ma Paper non si lasciò abbracciare, per paura che potesse provocarle del dolore alla ferita.
Si sedettero sul letto e parlarono di quella strana avventura fino all’ora di cena.
<< Non mi piace. Ha degli occhi stupendi, ma non è il mio tipo, lo sai. Anche se, quelle sopracciglia folte, gli danno uno sguardo più profondo, intenso. >> disse Erin, sorridendo.
<< Non lo so. Era così strano… Sembrava che avesse qualcosa contro di me. >>
<< Anche io ho avuto questa sensazione. Oggi mi lanciava certe occhiate, mentre mi faceva visitare il castello! Non ti dico, per un attimo ne ho avuto davvero paura. >>  
<< Sembra un’anima dannata! Intrigante! >> esclamò Paper, scherzando.
<< Però, è molto dolce. Non con me, ma quando parlava con i suoi sottoposti era straordinariamente comprensivo per qualsiasi cosa. Niente a che vedere con Dan. >> pronunciò, calcando il nome del ragazzo con rabbia. << Noah ha promesso di catturarlo al più presto. Gli sputerei in faccia! >>
Paper rise. La porta si aprì per una seconda volta.
<< Ah, ti sei svegliata. >> disse la voce di Noah, facendo capolino.
<< Sì. >> replicò Paper, muovendosi nel letto a disagio.
<< Come stai? >>
<< Meglio, grazie. >>
Si sentiva imbarazzata e lo sguardo di Noah, distaccato, la allontanava. Non aveva mai visto nulla di simile, nemmeno in Erin, che conosceva da dieci anni ed era una di quelle persone che tende a tenere certi segreti per sé ed a nascondere le proprie insicurezze in ogni modo con tutti.
<< Volevo solo dirvi che potete accomodarvi di sotto per la cena. Per stanotte sarete mie ospiti. >> disse, abbassando la testa come se stesse facendo un inchino.
<< Grazie, Noah. >> disse Paper. << Grazie davvero. Grazie di tutto. Ti prometto che domani torneremo a casa. Scusaci per il disturbo. >>
Noah rimase a guardarla per un po’, poi abbozzò un sorriso, richiudendosi la porta alle spalle. Erin si grattò la nuca.
<< Non vuoi andartene. >> disse.
<< Eh? >>
<< Non vuoi lasciarlo. Vuoi aiutarlo. >>
<< Come hai fatto a…? >>
<< Avanti Paper, te lo si legge negli occhi. >> l’interruppe Erin. << Tu hai l’animo della crocerossina, vuoi sempre fare del bene. Potresti essere una santa. >>
<< Ma non lo sono. Domani torniamo a casa. >>
<< Va bene. Come vuoi tu. >>
Dopo cena, Paper ed Erin si ritirarono ognuna nella propria stanza. Erin si addormentò dopo poco tempo, ripensando alla giornata appena trascorsa. Non era stata sincera con Paper, perché se così fosse stato, le avrebbe detto che non voleva andare via. C’era qualcosa, una luce lontana, che la teneva aggrappata a quel mondo. Sentiva di doverlo scoprire, ma se questo significava far soffrire Paper, allora era meglio lasciar perdere.
Paper, invece, non riusciva a dormire. Si era rigirata più volte nel letto, prima di decidere di andare a farsi un giro. Il castello di notte faceva paura, così buio e silenzioso. Salì le scale fino all’ultimo piano ed uscì sulla terrazza, alla fine della torre più alta. Si poteva ammirare tutta Londra, da lì. La vista era fantastica.
<< Non riesci a dormire? >> chiese qualcuno, dietro di lei. 
Si voltò. Noah teneva le mani in tasca, vestito leggero. Il vento gli scompigliò i capelli, scomponendogli il ciuffo.
<< No. E tu? >>
<< Nemmeno io. >> rispose. Si sedete sulla ringhiera, dondolando le gambe e sospirando.
<< Posso… Posso chiederti una cosa? >> domandò Paper, stropicciandosi le dita. Noah la guardò, poi portò lo sguardo verso Londra.
<< Certo. >>
<< Hai qualcosa contro di me? >>
<< Perché dovrei? >> chiese, leggermente irritato.
<< Non lo so… è tutto il giorno che mi guardi storto. E anche Erin. Mi dispiace di averti disturbato, davvero, ma non è colpa nostra. Siamo finite qui per caso e... >>
<< Mi avete già raccontato la storia, >> la interruppe Noah, << non c’è bisogno che tu la ripeta. >>
Paper non parlò più, delusa. Non credeva che Noah fosse così intrattabile. Le era sembrato un bravo ragazzo, ma non era altro che una facciata.
<< Grazie per avermi salvato la vita. È stata una magia. Era tardi, per riportarmi indietro. Lo sentivo. >>
<< Non esiste la magia, >> ribatté Noah, << esiste solo la voglia di vivere. >> 
Paper lo guardò a lungo e riuscì ad intravedere un’ombra scura trapassargli gli occhi. Quel verde, così intenso, adesso era spento e nascosto dal grigio di un paio di nuvole l’una sull’altra, che si specchiavano nelle sue pupille. Paper, sfiorandogli i capelli in un gesto inconsulto, non poté fare a meno di pensare che voleva rimanere lì più di ogni altra cosa al mondo. Noah si scostò da lei, piano e Paper non seppe mai se fu per non cadere o perché non era vero che la trovava antipatica.
<< Credo che sia ora di andare a dormire. >> disse, alzandosi. << Dovresti metterti qualcosa addosso, fa troppo freddo qui fuori, stasera. >>
Paper annuì.
<< Buonanotte, Noah. >>
<< Buonanotte. >>
Noah si allontanò a testa bassa, tenendo sempre le mani nelle tasche. Paper guardò il cielo per l’ultima volta e poi tornò dentro anche lei. Provò una sensazione strana alla bocca dello stomaco, eppure, purtroppo per lei, così dannatamente familiare.


Angolo autrici:
Dunque, finalmente siamo arrivati nel Mondo Attraversabile! 
Cosa pensate del principe Noah? E di Dan?
Molte cose su questo mondo verranno spiegate più avanti, per adesso è avvolto da una nebbia misteriosa.
Alla prossima!
E. & B.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Give me a reason why ***


Capitolo 2
Give me a reason why

 
 photo 764177__dark-forest_p_zps90e61d39.jpg
No kiss, no gentle word could wake me from this slumber
Until I realize that it was you who held me under
No more dreaming of the dead as if death itself was undone
No more calling like a crow for a boy, for a body in the garden
No more dreaming like a girl so in love with the wrong world”.
{Blinding, Florence & the Machine}

 
<< Allora… ciao. >> disse Erin a Noah, dondolandosi sui talloni.
<< Ciao. >> replicò l’altro, indifferente.
Paper gli strinse la mano, insicura. La stretta di Noah fu molto debole. Nei suoi occhi non riuscì a vedere nient’altro che un’enorme freddezza. Sembrava che stesse vagando da anni da solo in un campo pieno di neve. C’era qualcosa, non sapeva esattamente cosa, ma la portava a fermare ogni suo pensiero, gesto, parola, di fronte a lui per paura di sbagliare e di farlo allontanare. Quando le lasciò la mano, sentì un nodo formarsi alla bocca dello stomaco. Era come se, in qualche modo, Noah le ricordasse qualcuno. Più lo guardava, più sentiva di essere collegata a lui per qualche motivo. Tutto questo era inspiegabile, dato che non lo conosceva davvero. Eppure, l’idea di lasciarlo le provocava uno strano senso di disagio e di errore. Guardò i suoi occhi, mentre lui ordinava alla guardia di aprire il cancello. Erano completamente vuoti e distaccati. Sembrava che stesse provando un’emozione forzata. Per un attimo pensò di abbracciarlo, ma l’urlo improvviso di Erin la distrasse.
<< Paper! Corri! È quel farabutto di Dan! >> strillò, indicando un ragazzo poco lontano da loro.
<< Cosa?! Scusa, Noah! >>
Si lanciarono entrambe al seguito del ragazzo con gli occhi chiari. La risata malevola di Dan fluiva per le strade, mentre si teneva la spada al fianco con la mano destra. Erin era più che determinata ad acciuffarlo ed a fargliela pagare per tutto quello che aveva fatto loro.
E c’è qualcosa che rimescola le carte in gioco.
Era sempre stata più veloce di Paper, per questo motivo non si stupì di vederla fermarsi ansimante, dietro di lei, con le mani sulle ginocchia. Lei continuò a correre, cercando di essere più rapida di Dan e più flessibile nei riflessi, scansando le persone che le intralciavano la strada.
E questo verde così brillante non l’hai mai incontrato da nessuna parte.
E tu l’hai cercato, l’hai cercato tanto.
Ma tua madre ha gli occhi castani.
Ma tuo padre ha gli occhi neri.
Sfiorò un vaso d’argilla, facendo lo slalom fra le bancarelle. Voleva gridargli di fermarsi, di smettere di fare il vigliacco e di tornare indietro con lei per pagare tutto, tutto. Cos’era quella rabbia che occupava il fegato? Cos’era tutta quella voglia di fargli del male che sentiva dentro? Forse era perché era tutta colpa sua. Sì, di sicuro. Allora, perché suonava tanto come una scusa?
Lo sguardo di Paper, così strano e triste, non l’aveva mai visto.
Aveva guardato Noah, pensando come si dovesse sentire lei,
ma solo quella mattina, l’aveva capito veramente.
Aveva intravisto, invisibile, quel sottile filo che legava anche lei.
Due linee di pensiero, nella sua testa, mentre correva veloce e vedeva di nuovo la cima del castello svettare oltre case. La prima era che non poteva tradire la sua migliore amica, la seconda era che anche lei aveva il diritto di essere felice. Rallentò, senza sapere perché. Ricordò un disegno, uno strano, che aveva fatto quando aveva cinque anni. Un’aquila gialla, con sotto una scritta nera in grassetto che non si ricordava, perché l’aveva sognata e basta. Perse la cognizione del tempo per un attimo, mentre capiva che in realtà, era solo a metà del percorso che avevano compiuto la sera prima per arrivare al castello. Aveva corso a rallentatore, come quando nei film passano sequenze lunghissime che in realtà durano poco più di un secondo.
Ti stai innamorando di lui?
Si fermò di botto. Dan era ormai lontano dal suo raggio visivo. Sentì gli occhi bruciare. Si morse il labbro inferiore con violenza, cercando di trattenere le lacrime. Quello che più odiava, era non capire perché si sentiva così triste.  
 
<< Non vuoi andartene. >>
<< Eh? >>
<< Non vuoi lasciarlo. Vuoi aiutarlo. >>
<< Come hai fatto a…? >>
<< Avanti Paper, te lo si legge negli occhi. Tu hai l’animo della crocerossina, vuoi sempre fare del bene. Potresti essere una santa. >>
<< Ma non lo sono. Domani torniamo a casa. >>
<< Va bene. Come vuoi tu. >>
 
Forse era lei che non voleva andarsene.
<< Erin! Ehi! Erin! >> la chiamò la voce di Paper, raggiungendola. << Stai bene? >> chiese, preoccupata. << Erin. >>
<< Dammi una ragione. >>
<< Cosa? >>
<< Dammi una ragione. >> ripeté, voltandosi verso di lei. << Dammi una ragione per restare. >>
<< Perché? >> chiese Paper, confusa. << Sei sicura di sentirti bene? Dan ti ha fatto qualcosa? >>
<< Dammi una ragione per restare qui! >> sbottò. << Io devo restare qui, ma non so perché! Dammi una ragione. Ti supplico. Voglio restare. >>
Paper rimase per un attimo a guardare i suoi occhi, lucidi. Le mise una mano sulla spalla e sospirò, rivolgendole un sorriso dolce.
<< Non ti sembra che questa sia già una ragione per rimanere? >>
La spiazzò. Era tutto così semplice, adesso. Fu lì che sentì un vuoto che la trascinava come un buco nero. Strinse la maglia all’altezza della pancia.
<< Devo confessarti una cosa. >>
<< Va bene. >> disse Paper, sorpresa, togliendo la mano dalla sua spalla. << Dimmi. >>
<< Forse mi sto innamorando di Noah. >>
Paper fece un sorriso strano, a metà fra la rabbia e lo sbigottimento.
<< Hai detto che non è il tuo tipo. >>
<< Lo so, ma quegli occhi… Hanno un colore che non ho mai visto, così simile al mio. Forse siamo predestinati, non lo so. >>
Paper annuì.
<< Forse è così. >>
<< Dimmi che non ti stai innamorando di lui anche tu. >>
Lo sguardo di Paper, così duro e freddo, non l’aveva mai visto. Quel mondo le stava cambiando ed Erin ebbe paura, per la prima volta, che non avrebbe più riconosciuta se stessa allo specchio e neanche Paper.
<< Certo che no, Erin. >> rispose, sorridendo. << Lo conosco da appena un giorno. Esattamente come te. >> disse, calcando l’ultima frase.
<< Non sei mai stata brava a dire le bugie, amica. >>
<< Vuoi che ti dica che mi piace? Be’, è così! Per una volta, mi piace un ragazzo e allora? L’unico problema è che piace anche a te! Cosa dovrei dirti? Lasciamelo? Lasciami qualcosa, per una volta? >>
<< Per una volta? Non ti ho mai rubato niente! >>
<< Non è vero e lo sai anche tu! >>
<< Ci conosciamo da dieci anni e non abbiamo mai discusso per un argomento così futile! >>
<< Perché io ti ho sempre lasciata vincere! Ti ricordi di Léon, in terza media? Mi piaceva da un anno! Un anno! E poi sei arrivata tu e te lo sei portato via senza tanti complimenti! >>
<< Non me l’hai mai detto! >>
<< Perché non potevo! >>
<< Avresti dovuto, invece! Non mi sarei mai messa insieme a lui, se avessi saputo che ti avrei fatto del male! Solo ieri sera ho deciso di andare via, solo perché a te avrebbe fatto male rimanere! >>
<< Be’, non ti servirà questo sacrificio, perché io me ne vado lo stesso. >> sentenziò, incrociando le braccia. << Tu resta pure qui, vedrai che Noah si innamorerà di te. Lo fanno tutti, prima o poi. >>
<< Adesso ho capito, sì. Tu sei solo invidiosa! >> esclamò Erin, puntandole un dito contro. << Sei gelosa di tutto quello che ho avuto! >>
<< Certo, perché fai di tutto per mettermi in ombra! Ogni maledettissima volta! >> urlò, scandendo le ultime parole. << Prenditi anche Noah, prenditi tutto, prenditi anche la mia vita, tanto non mi hai lasciato nient’altro. >> disse, ansimando. << Credo che non ci sia altro da dire. >>
Erin annuì.
<< Bene. >>
Paper tornò sui suoi passi, passandosi una mano nei capelli, stanca. Era da anni che non litigava così pesantemente con Erin, da quando l’aveva fatta cadere con la faccia sulla torta alla panna del suo sedicesimo compleanno. Erano migliori amiche dall’età di dieci anni e lei era sempre stata quella tranquilla, fra le due, mentre Erin era energica e piena di idee nuove ogni giorno. Per una volta, una sola, che si era interessata ad un ragazzo, lei aveva dovuto intromettersi! La faceva imbufalire.
Arrivò di fronte al cancello, mentre il tempo stava cambiando e portava il vento e le nubi. Noah stava parlando con una guardia, quando la notò. Congedò l’uomo e le andò incontro.
<< Allora? >> chiese.
<< Ho litigato con Erin. >> rispose. Noah alzò un sopracciglio, come a dire che non gli interessava granché quella notizia.
<< Avete trovato Dan? >>
<< No. Puoi far aprire il cancello? Voglio tornare a casa. Ho già avuto troppi problemi, qui. >>
<< Sì. Chase! Apri il cancello! >>
<< Subito, signore! >> urlò il poliziotto, di rimando.
<< Scusami ancora. Ti abbiamo scombussolato tutti i piani. >>
<< Non importa. >> replicò, con il suo solito tono seccato e sbrigativo. Sembrava che volesse cacciarla via a tutti i costi. << Erin? >>
<< Non lo so e non mi interessa. Addio. >>
Paper prese la borsa da terra e fece per avviarsi verso il cancello, ma una stretta la bloccò per un braccio. Si ritrovò faccia a faccia con Noah.
<< Non dirmi addio. >> disse. Tutte le certezze di Paper su di lui vacillarono all’istante. << Non si dice mai addio. >>
La ragazza deglutì.
<< Va bene. >>
Dammi una ragione per restare.
Noah la lasciò, indicandole il cancello con un gesto della mano.
<< Allora, arrivederci. >> disse Paper.
<< Arrivederci. >>
Si voltò di nuovo, pensando a quanto stava perdendo, quando il giorno prima era solamente a due passi dall’avere tutto. Aveva perso Erin a causa di un ragazzo ed aveva perso Noah. Il ricordo della notte prima le esplose nella testa come un fuoco d’artificio. Noah le era sembrato così solo ed allo stesso tempo, così strano rispetto a quell’atteggiamento che soleva usare con lei. Non poteva pensare di non poter più rivedere i suoi occhi verdi. Non poteva credere di averlo lasciato andare.
Sentì una voce che la chiamava e si girò, sorpresa come non mai.
<< Straniera! Ehi, straniera! >>
<< Dan?! >>
<< Cosa? >> chiese Noah, guardando nella direzione del ragazzo. << Lui è il ladro? >>
<< Ladro? Neanche per sogno! Credo che tu abbia una cosa che mi appartiene, straniera. >>
<< Come, scusa? >> chiese, confusa.
<< Guarda nelle tasche. >>
Paper frugò nelle tasche e non trovò nulla, ma Noah si abbassò e poi si alzò, porgendole qualcosa appena preso da terra.
<< Un… Una moneta d’oro? >>
<< Non è una semplice moneta d’ora, sciocca! Bisogna sempre spiegare tutto, a voi de L’Altro Mondo. >> borbottò. << Vale un sacco di soldi. Ora dammela, senza fare storie. >>
<< No. >> disse, decisa. Chiuse la mano per proteggerla. Gli occhi grigi di Dan si voltarono in malvagi.
<< Significa che facciamo a modo mio. >>
<< Cosa? >>
Dan si slanciò velocemente verso di lei e Paper si voltò, stringendo le mani chiuse al petto. Sentì delle urla infantili e poi un rumore di spade, seguito da un gemito di Dan. Non si era nemmeno accorta di avere chiuso gli occhi stringendo fortissimo le palpebre. Si girò e non credette ai suoi occhi.
<< Guardie, arrestatelo. >> ordinò Noah, facendo scivolare la punta insanguinata della spada verso il suolo. Una donna poco dietro le guardie stava coprendo gli occhi ad una bambina. Paper si portò le mani alla bocca. Non volle guardare. Noah l’aveva quasi ucciso per colpa sua? Era stata una stupida, non si era nemmeno accorta della mano di un farabutto da quattro soldi che aveva infilato una moneta nella sua tasca dei jeans!
<< Cosa sta succedendo? >> chiese Erin, arrivando in quel momento. << Dan! >> esclamò, vedendo il ragazzo semi svenuto che veniva portato via dalle guardie.
<< Va tutto bene? >> chiese Noah a Paper, gentilmente. Lo sguardo della ragazza cadde sulla lama dell’arma, colpevole. << Non preoccuparti, la ferita si rimarginerà in pochi giorni. Nemmeno si vede. >> disse, rivolgendole un lieve sorriso. Era il primo che le rivolgeva. Sembrava che qualcosa si fosse incrinato. La sua maschera di ghiaccio si stava lentamente piegando verso di lei.
Sfiorò la sua guancia con un dito, notando un graffio. Il cuore le batteva forte, minacciando di uscirle fuori dal petto.
<< Sto bene, davvero, non è niente. >>
Paper annuì, non riuscendo a parlare.
<< Paper, cos’è successo? >> chiese Erin, affiancando Noah. Un moto di gelosia le afferrò la gola.
<< Dan mi ha messo una moneta di valore in tasca. Noah mi ha protetta. >>
<< Dammi la moneta. Penso a tutto io. >> disse Noah. Paper fece come le aveva detto.
Il rumore di un tuono ruppe il silenzio.
<< Sta per piovere. >> disse Erin, prendendo la sua borsa.
<< Non potete andare via adesso. Rimanete per un’altra notte. >> propose Noah, dando la moneta ad un suo ufficiale. << Che ne dite? >>
Paper lanciò uno sguardo ad Erin.
<< Va bene. >> disse Erin. << Un’altra notte. >>
Noah sorrise.
Forse sei tu, il mio perché.
 
***
 
Sotto di lui, quello che sembrava un corridoio fatto di mattonelle. Cominciò a camminare, senza staccare gli occhi da terra. non sapeva dove stesse andando, ma qualcosa gli diceva che, se si fosse voltato, avrebbe visto il vuoto.
Ad un tratto, notò che stava lasciando delle orme rosse dietro di lui. Si guardò sotto ai piedi, ma non c’era nulla. Riprese a camminare, ma il rosso del sangue, non liquido, continuava a rincorrerlo. Sembrava colore lasciato da una matita lasciato sui suoi piedi. In lontananza, vide due figure sedute in riva al mare, con l’orizzonte come sfondo. Il ragazzo sulla destra si levò la felpa scura per porgerla a lei, mentre la ragazza continuava a gesticolare furiosamente. Lui rise, poi le diede un bacio sulla fronte. quel ragazzo gli somigliava. Lei posò la testa sulla sua spalla, stringendosi nella felpa, indicando lontano. Noah abbassò lo sguardo, dolorante, fermo nel bel mezzo della passerella.
Quel ragazzo era lui.
Venne risucchiato in un vortice, urlando senza voce. Sotto ai suoi piedi c’erano ora quelle stesse mattonelle, ma stavolta riconobbe l’ambiente all’istante. Non era la spiaggia. Il rumore volento di uno sparo e poi, di nuovo il vuoto.
 
Si svegliò di soprassalto, grondante di sudore. Si sfilò la maglietta ed andò in bagno a farsi una doccia.    
 
Dopo cena, Paper si rintanò in una grande stanza all’interno del castello. Noah non si era presentato. Aveva mandato un cameriere anziano a scusarsi, dicendo che non si era sentito molto bene. Sperò che non fosse nulla di grave e che non riguardasse quel graffio. Si sdraiò sul letto, a riflettere. Avrebbe dovuto chiedere scusa ad Erin. In fondo, non era mica colpa sua se si era innamorata anche lei di Noah. Anche se, in ogni caso, aveva detto forse. Se Noah avesse scelto lei, Paper non avrebbe fatto una piega.
A volte certe cose devono andare in una direzione e non c’è volere che tenga.
Si aprì una porta e lei sobbalzò. Dal bagno uscì un ragazzo, che si stava asciugando i capelli con un asciugamano ed indossava un accappatoio. Era strano vederlo così, a piedi nudi per la stanza, con un accappatoio, ma poi si ricordò che loro prendevano spunto dal mondo reale per le nuove tecnologie e tutto e il resto e smise di stupirsi. Quando stette per alzarsi, il ragazzo si tolse l’asciugamano dal viso, lasciando dei ciuffi di capelli castani davanti agli occhi.
<< Paper! >> esclamò, sorpreso. << Cosa ci fai qui? >> chiese.
<< Vuoi dire che… questa è la tua stanza? >>
<< Sì. >> rispose. Paper diventò rossa fino alla punta dei capelli e si alzò di scatto. Era stata così occupata a pensare a tutto quello che le stava accadendo, che era andata a sdraiarsi proprio sul letto di Noah! Si diede mentalmente della stupida più volte.
<< Mi dispiace tantissimo! Scusami tanto! Non lo sapevo! >> si giustificò, andando a sbattere contro una lampada. Imprecò sottovoce.
<< Attenta. >>
<< Sì… Adesso me ne vado. Buonanotte. >> disse, ma la mano si soffermò sul pomello della porta. << Grazie, per oggi. Stai meglio? >>
<< Figurati. Sì, sto meglio, grazie. >> rispose, rigirandosi l’asciugamano fra le mani.
<< Mi mancherai, nell’altro mondo. >> replicò Paper di getto, triste.
Non sapeva perché aveva sentito il bisogno di esprimere quel sentimento, sapeva solo che era la cosa giusta da dire. Gli occhi verdi di Noah sembravano esprimere gioia.
<< Anche tu. >> disse, anche se non pienamente convinto.
<< Non devi dirlo, se non lo pensi davvero. >>
<< No, io… >> cominciò, ma poi sbuffò, tirandosi indietro i capelli con una mano. << Non sono bravo con le parole. Mi piacerebbe se tu ed Erin restaste ancora un po’. >> disse, stentando. Sembrava che una parte di sé si stesse ribellando a quelle parole.
<< D’accordo. Grazie. >>
Forse il cuore del principe non è fatto interamente di ghiaccio.
<< Fa freddo fuori. Mettiti qualcosa di caldo addosso. >>
<< Lo farò. >> replicò, sorridendo. << Buonanotte. >>
Dopo essere uscita, si appoggiò con la schiena sulla porta, stringendo il pomello fra le dita. Doveva ancora rimettere le cose a posto con Erin, ma si sentiva più leggera, dopo aver parlato con Noah.
Tu sei la mia ragione per restare.

Angolo autrici: 

Scusate per il ritardo, ma abbiamo avuto davvero molto da fare.
Cosa pensate di questo capitolo? Si comincia ad individuare qualche dettaglio in più su Noah.
Paper ed Erin hanno un'amicizia molto forte alle spalle e litigare per un ragazzo proprio non ci voleva. 
Cosa ne pensate?
P. s. Il prossimo capitolo sarà molto più vivo, questo era solo di passaggio.
E. & B.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Absolution ***


Angolo autrici:
Ciao a tutti! Lo sappiamo, siamo in ritardissimo, ma come sempre abbiamo avuto un sacco di impegni da portare a termine. 
Volevamo solo dire che questa storia parte in maniera lenta, come ogni bella storia che si rispetti, in fondo. All'inizio può apparire banale, piatta e senza azione, ma andando avanti, si noterà davvero la differenza. A partire da questo capitolo.
Non date niente per scontato. Niente è come appare. 
Fateci sapere cosa ne pensate!
E. & B.

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C
apitolo 3
Absolution
 
“The sweetest submission
Drinking it in
The wine, the women, the bedroom hymns
'Cause this is his body
This is his love
Such selfish prayers and I can't get enough
I'm not here looking for absolution
Because I found myself an old solution”.
{Bedroom hymns, Florence & the Machine}

 
<< Noah, sono passati quattro anni. >> disse un ragazzo alto con i capelli ricci, scuri. Stava di fronte alla finestra, a guardare la pioggia che batteva incessantemente sul vetro, con una Londra ancora più grigia del solito sullo sfondo.
<< Lo so. Il prete non ha voluto darmi l’assoluzione. Dice che sarebbe inutile. >>
<< Perché non è colpa tua. >> replicò l’altro, con il tono di voce di chi aveva ripetuto quella frase più volte in quegli ultimi tempi.
<< NON È VERO! >> urlò, dando un pugno forte alla finestra. << Sono stato io… Sono stato io… >> ripeté, tenendo la fronte contro il vetro, singhiozzando.
<< Noah, ti prego, calmati. Non possono vederti così. >>
<< Hai ragione. Sì, io sono il principe e mio padre non c’è. Devo ricompormi. >> disse, cercando di mettere in ordine i capelli. Le dita gli tremavano. L’amico sospirò, dolorante per lui, per non poter fare niente per alleviare almeno un po’ quello che stava provando Noah.
<< Dimmi solo se devo allenarla per forza. >>
<< Sì. >> rispose Noah, cercando di riprendersi. << Non vuole andarsene e preferisco tenerla d’occhio. >>
<< Perché hai paura o perché vuoi proteggerla? >>
<< Io non ho paura. >> rispose Noah, con lo sguardo puntato verso il bosco, al di fuori delle mura della città. E diceva sul serio. << Non più. >>
<< Allora vuoi proteggerla. >>
<< No. Voglio solo che nel mio regno vada tutto bene. Voglio dimostrare che sono un tipo serio e non più un ragazzino stupido. >>
<< Non lo sei mai stato. Ti conosco da vent’anni. >>
<< Non sai cos’è successo. >>
<< Ho visto il filmato della telecamera di sorveglianza e… >> stava dicendo, ma un rumore strano lo fece interrompere. << Aspetta qui. >>
Il ragazzo si diresse a grandi passi verso la porta della stanza, socchiusa, tenendo le dita che fremevano sull’elsa della spada. Aprì con violenza, ma non vide anima viva. Tornò dentro, chiudendo la porta a chiave. I due continuarono a parlare.
Paper, nascosta dietro la porta della stanza di fronte, tremava, tenendo le mani ferme sulla bocca. Chiuse gli occhi, pensando che l’aveva scampata per un pelo, maledicendo il tappeto che l’aveva fatta inciampare. Chi era quello spadaccino? Cos’aveva fatto Noah di così orribile? Chi voleva proteggere? Ascoltò le loro voci sommesse per qualche altro minuto, mentre il cuore continuava a battere all’impazzata per lo spavento di poco prima. Cercò di regolare il respiro, congiungendo le dita sul viso come per far svanire il respiro troppo veloce con una sorta di magia.
Pochi minuti dopo, sentì il cigolio della porta ed indietreggiò, sperando di riuscire a nascondersi nel buio. Il cuore ricominciò a battere freneticamente, sempre più veloce, quasi fino a scoppiarle nel petto. Se Noah l’avesse scoperta, per lei sarebbero stati guai seri.
Un paio di occhi grigi la trafissero.
<< Sapevo che c’era qualcuno. >> disse, sogghignando.
 
***
 
<< Buongiorno, Noah! >> esclamò Erin quella mattina, mettendo da parte il profondo senso di colpa che provava nei confronti di Paper. A proposito di Paper, a colazione non l’aveva vista. Si guardò intorno, ma dell’amica, neanche l’ombra. Tutto ciò era molto strano. Paper era sempre stata una tipa mattiniera, era la prima a svegliarsi persino quando facevano un pigiama – party!
<< Buongiorno. >> replicò Noah, atono. Il taglio del giorno prima spiccava ancora ben visibile sulla guancia.
<< Hai visto Paper, per caso? >> chiese. Guardò Noah di sottecchi e lo vide irrigidirsi improvvisamente. << Non la trovo da nessuna parte. >>
<< No, non l’ho vista. >> rispose. Erin cercò di guardarlo negli occhi, ma lui rifuggì il suo sguardo.
<< Come va la ferita? >> chiese allora, indicando il suo volto.
<< Bene. Robin sta arrivando. >>
<< Perfetto. Io ho già la spada. Grazie per avermi permesso di poter imparare. >>
<< Di niente. >>
<< Mi puoi dare qualche altra informazione su di lui? Così, tanto per sapere. >> chiese, sperando che fosse un bel ragazzo aitante.
<< Dunque, è il migliore spadaccino del regno, il mio migliore amico, capo delle guardie, ha vent’anni come me e lo riconoscerai perché è scontroso e ti fa lavorare come un cane. >>
<< D’accordo... È bello? >> chiese, a bruciapelo. Noah le rivolse uno sguardo sbalordito, poi sorrise. Era più bello, quando lo faceva. Spostò la testa di lato, stranita per essere riuscita finalmente a farlo sorridere. Era come se fosse nato solo per quello, per sorridere e riempire i suoi occhi verdi di luce. Un ragazzo del genere doveva aver subìto una ferita davvero profonda, per dimenticarsi di un’azione così pura e semplice. Ed a Noah apparteneva.
<< Non è il mio tipo, ma direi di sì. >>
Erin si sfregò le mani. Già il nome denotava un ragazzo affascinante. Si sarebbe divertita moltissimo con lui, poco ma sicuro. Sogghignò gongolando.
<< Eccolo, è lui. >>
Robin si diresse verso di loro con passo deciso. Indossava una maglietta bianca aderente, che faceva risaltare i muscoli e dei pantaloni marroni stretti che teneva negli anfibi neri. La mano destra stringeva l’elsa della spada. I suoi occhi rilucevano sotto la luce del sole, ma Erin notò subito che il suo viso tradiva un’emozione che non avrebbe dovuto vedere: preoccupazione.
<< Noah, ti devo parlare. >> disse subito, senza degnarla nemmeno di uno sguardo.
<< Cosa c’è? >> chiese a bassa voce, portandolo via per un braccio.
<< Ho avuto uno scatto. >>
Cosa voleva dire? Erin non capì, ma si vede che era un linguaggio in codice, perché Noah era corso subito via. Robin rimase per un attimo immobile, con lo sguardo vuoto, poi la squadrò da capo a piedi, accorgendosi di lei solo in quel momento. La guardò con sufficienza.
<< Tu sei Erin? >>
<< Sì. >> rispose, non convinta. Quegli occhi magnetici la attraevano e mettevano in soggezione allo stesso tempo.
<< Non mi sembri molto determinata. Hai paura di spezzarti un’unghia? >>
Erin sfilò la spada dal fodero, improvvisamente punta nel vivo. Si scagliò contro di lui, prendendolo di sorpresa, ma si riuscì a difendere in tempo.
<< Ehi! Non si attacca così il proprio avversario! Sei scorretta! >> sbraitò, furioso.
<< Smetti di parlare e reagisci, ragazzina! >> ribatté Erin, arrabbiata. Nemmeno si era presentato e già faceva lo sbruffone. Avrebbe voluto saltargli addosso e graffiargli la faccia con le unghie che non aveva, dato che se le mangiava sempre per la tensione.
<< È questo quello che vuoi? Allora ti accontento subito! >> esclamò Robin.
Nell’arena, un campo di sabbia recintato, cominciò ad alzarsi la polvere. Erin non era brava nemmeno la metà di quanto lo era Robin, ma riusciva a stargli dietro. Per un paio di volte la punta della spada le sfiorò il collo, ma non riuscì mai a prenderla davvero.
<< Devi essere più veloce! >> gridò Robin, allontanandola con un affondo. Erin scivolò a terra, ma si rialzò subito.
<< Sei scorretto! Stai usando tutta la tua forza! >>
<< Non è vero! Non è neanche la metà! >>
<< Cosa?! >>
Di nuovo spada contro spada. Una goccia di sudore cadde sulla lama di Erin e lei cominciò ad ansimare. Avrebbe dovuto fermarsi, lo sapeva, ma voleva dimostrargli di essere brava. Si slanciò in avanti, riuscendo a rivolgere la spada di Robin verso l’altro ed a colpirlo con un calcio, facendolo cadere a terra. Ripose la spada nel fodero e si voltò, alzando i pugni in segno di vittoria.
<< Ho vinto! Ho vinto! >> cantilenò, improvvisando un ballo della vittoria.
Ad un tratto, si ritrovò con la schiena a terra, la lama della spada di Robin alla sua gola. Il cuore cominciò a battere forte. Nei suoi occhi, riuscì a vedere la voglia di sangue che aveva. Sembrava quasi posseduto da un demone malvagio. Il suo sguardo le bloccò i muscoli al terreno. Il ragazzo ghignò.
<< Non devi mai mettere via la spada, quando sei in battaglia, a meno che il tuo avversario non sia morto. Questa è una delle prime regole, recluta. >> disse. Per un attimo, il suo sguardo di posò sul collo bianco di Erin. Le mani della ragazza, posate alla sabbia con i palmi rivolti verso l’alto, tremavano.
Robin indietreggiò deglutendo, mettendo via la spada. Le rivolse un sorriso fuggevole, aiutandola ad alzarsi.
<< Scusa, ma devo andare. Ci vediamo domani. >>
<< Va bene... >>
Robin scomparve alla sua vista, mentre lei ripensava a come sembrava essersi controllato solo qualche minuto prima. Avrebbe voluto ucciderla? E cos’era quello scatto di cui aveva parlato con Noah? Decise di volerci vedere chiaro in quella faccenda e così raggiunse il castello, cercandoli in punta di piedi.
Il silenzio regnava da padrone. Solo fuori dalle cucine era possibile sentire il personale che cantava e chiacchierava. Per le strade, rumori di sottofondo e grida di mercanti e donne alle bancarelle. Si acquattò contro i muri, respirando piano. Vicino alla stanza usata come infermeria, sentì delle voci. Una era quella di Noah.
<< Come diamine ti è saltato in mente?! >> chiese a voce alta.
<< Abbassa la voce, non voglio che ci sentano. >> disse l’altra persona che era insieme a lui, la voce attutita dai muri.
<< Sei stato uno sconsiderato! >>
<< La stavo solo interrogando e poi mi è scivolata la lama… >>
<< Non raccontarmi storie, Robin! So benissimo che hai avuto l’ennesimo scatto d’ira, me l’hai detto tu stesso solo un’ora fa! >>
<< D’accordo, mi dispiace, adesso calmati, però. >>
<< Non è a me che devi chiedere scusa! >> gridò. Noah prese un bel respiro, tenendo le mani sui fianchi, cercando di tranquillizzarsi. << Appena si sveglia, voglio che tu sia qui. Hai capito? >>
<< Sì. >> rispose Robin, guardandolo da sotto in su, piccato. Non gli piaceva prendere ordini, soprattutto da Noah.
Noah avanzò verso la porta e quando vide Erin, rimase paralizzato sul posto.
<< È Paper, la ragazza lì dentro, non è vero? >> domandò. Noah la guardò negli occhi per un secondo.
<< Vieni con me. >>
 
***
 
<< Solo un piccolo taglio sul braccio. >>
<< Sì, ma non è questo il problema. >>
<< Noah, è questo il problema! Robin è un violento! Stamattina ho avuto paura persino io! Credevo che volesse farmi del male! >>
<< Fammi indovinare, si è fermato due secondi prima di tagliarti la gola. >> replicò, sorridendo.
<< Non scherzare, Noah! Quello ha degli scatti d’ira mica da ridere! Oggi è stata Paper, domani potresti essere tu! >> lo sgridò, allungando il passo.
Noah spostò lo sguardo verso il castello, ridacchiando.
<< Robin non è un pazzo, Erin. È solo che di solito si sfoga in battaglia, per questo è un ottimo guerriero, ma stamattina ha minacciato Paper e ha perso il controllo per un attimo. È persino più lucido di me! >>
<< Perché l’ha fatto? >>
<< Perché Paper ha ascoltato una nostra conversazione e voleva sapere cos’aveva sentito esattamente. >>
<< E c’era bisogno di pugnalarla? Noha, tu sei impazzito. >> sentenziò, prima di andare via.
<< Erin! Erin, aspetta! >> esclamò, raggiungendola e parandosi di fronte a lei. Prese un bel respiro, incerto se rivelarle la verità o meno. Erin incrociò le braccia la petto, guardandolo negli occhi. Noah parlò piano. << C’è un segreto che non mi va di raccontare in giro e Robin ha solo cercato di proteggermi da un’estranea. >>
<< Credevo che fossimo diventati amici, ormai. >> ribatté Erin, acida.
<< Dopo due giorni? >> chiese Noah, incredulo. << Avanti Erin, sai anche tu che non è possibile conoscere una persona in dieci anni, figuriamoci in sole quarantotto ore! >>
<< So che sei andato a confessarti da un prete e che non ti ha assolto da quel peccato. Se non vuoi dirmi qual è, devi almeno dirmi cosa nasconde Robin. >>
Noah s’irrigidì.
<< Come l’hai saputo? >>
<< Ti ho visto. Ero al mercato. >>
<< Ah. D’accordo, lo farò. Solo… non adesso. Andiamo a vedere se Paper si è svegliata. >>
<< Dimmi un’altra cosa, allora. >>
<< D’accordo. >> replicò, anche se riluttante.
<< Le vuoi bene? >>
<< A chi? A Paper? Non… credo. >>
<< Cosa vuol dire? Sì o no? >>
<< Io non sono un tipo da bianco o nero, Erin. Io sono un tipo da grigio. >> disse, rivolgendole un sorriso appena accennato, come per scacciare altre domande inopportune. << Andiamo. >>
Erin lo seguì al castello, in silenzio.
E di colpo, sai che non è lui l’uomo che aspettavi.
 
Dalla stanza di Paper, venivano parole alte e sgozzate. Noah entrò subito, seguito da Erin.
<< Vattene via! Lasciami stare! >> urlò Paper, tirando le coperte verso il collo, in un vano tentativo di proteggersi. Robin fece un passo indietro rispetto al letto.
<< Non voglio farti nulla, voglio solo vedere il taglio. >>
<< Sei vuoi uccidermi, dovrai inventarti una scusa migliore! >>
<< Paper, non vuole farti niente. >> intervenne Noah, dirigendosi verso di lei.
<< Siete tutti d’accordo, eh? NON MI TOCCARE! >> urlò, alzandosi di scatto dal letto.
<< Paper, va tutto bene. >> disse Erin, avvicinandosi a lei con cautela, che si trovava dall’altra parte del letto, di fronte a sé.
<< Mi ha quasi tagliato un braccio! >>
<< Adesso non esagerare. >> disse Robin.
<< Tu stai zitto, eh! Io non ti perdono! Non provare nemmeno ad avvicinarti! >>
<< Hai sentito, Noah? Piano fallito. Io me ne torno giù. >>
Noah lo prese per un braccio, quando Robin era a metà della stanza.
<< Non credo proprio. >> disse duro, guardandolo dritto negli occhi. << Paper, Robin non vuole farti nulla. È sincero. Garantisco io per lui. >> replicò, dolcemente.
<< Perché dovrei fidarmi di te? Non hai fatto altro che mandarmi via dal primo momento in cui mi hai incontrata! Io non ti ho mai fatto niente di male! Qual è il tuo problema?! >> gridò. Noah deglutì, rivolgendole uno sguardo imperscrutabile. Erin non sapeva più a chi dare ragione.
<< Andrà tutto bene. Fidati di me. >>
<< No. >> disse, gli occhi lucidi. << Non posso più fidarmi di te. >>
<< Non mi sembra di averti mai toccata con un dito. >>
<< No, ma hai ucciso una persona! >> urlò. Il sangue si gelò nelle vene di Erin. Immaginò Noah con la spada in mano, che si dirigeva verso una ragazza terrorizzata, gli occhi demoniaci ed i capelli scompigliati. Alzava la lama lentamente e poi la calava rapido su di lei. Riaprì gli occhi violentemente, immobile con i piedi incollati al pavimento ed un sudore freddo che le scendeva lungo la schiena.  
<< Sapevo che aveva sentito tutto! >> esclamò Robin, con il viso ancora più pallido.
<< Allora uccidimi! Devi solo provarci! >>
<< Come vuoi tu. >>
Robin le si avvicinò, Paper però saltò sul letto e si slanciò verso la porta con un balzo, ma Noah la prese al volo e la bloccò.
<< Lasciami! Lasciami! >> gridò, cercando di divincolarsi. << Erin! Aiutami! ERIN! >>
Erin non riuscì a muoversi. Lanciò un’occhiata a Robin e non riuscì a vedere oltre il suo sguardo. Cosa le stava nascondendo? Da cosa stava difendendo Noah? Da cosa si stava difendendo lui?
<< LASCIAMI! >>
Noah la strinse più forte, un po’ per non farla andare via, un po’ perché sentiva di averne un disperato bisogno.
Chi delle due è nella tua testa, ora?
<< Non ho ucciso nessuno. Devi credermi. >>
<< Perché dovrei? >> chiese, mentre il profumo alle rose di Noah la faceva svenire.
<< Perché so che ti fidi di me. >>
E questa sarà la sua rovina.
Paper smise di lottare e rimase con le mani chiuse a pugno contro il petto di Noah, ansimando. Chiuse gli occhi e lasciò che la testa si riposasse per un attimo fra i pugni.  
 
***
 
<< Io ci rinuncio, non riuscirò mai a capirlo. >> disse Paper, indossando la maglia del pigiama.
Erin rimase a guardare la maglietta sporca di terra che si stava rigirando fra le mani da un po’. Aveva l’aria assente e la testa, in effetti, si trovava da un’altra parte.
<< Erin? >>
<< Eh? Cosa? >> chiese, ridestandosi.
<< A cosa stai pensando? >>
<< A come abbiamo fatto a fare pace. >>
<< Non lo so. Senti, mi dispiace per il casino di ieri. >>
<< Anche a me. Non parliamone più. >>
<< Pensavo davvero quelle cose, ma ho capito che tu hai sempre volute il mio bene e che non hai mai fatto niente che potesse ferirmi. Non voglio rompere l’amicizia con te, solo perché ci piace lo stesso ragazzo. >>
Erin annuì.
<< Nemmeno io. Dispiace tanto anche a me. >> disse, prima di abbracciarla. << Ti voglio bene. >>
<< Anche io. >>
<< Ehi, >> disse, staccandosi, << comunque, non mi piace Noah. È solo che ha dei bellissimi occhi. >>
Paper rise.
<< Sono solo preoccupata. Lui e Robin ci nascondono qualcosa e dobbiamo scoprire cosa. >>
<< Noi dobbiamo tornare  indietro, Erin. I nostri genitori ci staranno cercando. >>
<< Non possiamo tornare ora e lasciare le cose a metà. Dammi solo un altro giorno. >>
Paper la guardò, indecisa, poi cedette.
<< Va bene. Uno solo, però. >>
<< Uno solo basterà. >> disse, sorridendo, anche se sapeva benissimo di mentirle. E quella non sarebbe stata né la prima, né l’ultima volta.     

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Lost home ***


Capitolo 4
Lost home

 
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{Beyoncé, Pretty hurts}
 
Si svegliò con la luce che filtrava dalla finestra per via delle tende. Si stropicciò gli occhi, poi si stiracchiò, alzandosi. Rimase per un po’ seduta sul profilo del letto, sentendosi strana. Era in un posto completamente diverso da casa sua sotto molti aspetti, eppure, dopo giorni in cui stava lì, si sentiva quasi bene. Si passò una mano nei capelli, muovendo un piede ritmicamente sul pavimento. Era giusto sentirsi in colpa? Quel posto non le apparteneva, né tantomeno le persone che c’erano dentro. Doveva tornare a casa. L’Altro Mondo. Ma lo amava davvero? Voleva tornarci perché lo amava o lo amava, tutto ad un tratto, perché voleva tornarci?
Si alzò di scatto, aprì le tende e prese i vestiti di ricambio. Si fece velocemente una doccia, poi scese a fare colazione. Il primo giorno si era aspettata di mangiare ad una tavolata di quelle lunghe tutta una stanza, di ritrovarsi ad usare forchetta e coltello per tagliare un semplice toast e di rimanere in silenzio a circa trenta posti di distanza da Erin. Ma non era così, nel castello dei Corwin. Certo, c’era una stanza riservata solo alle cene dei reali o a qualche importante affare di Stato di cui parlare, ma la colazione si faceva rigorosamente in cucina. La prima volta che Noah gliel’aveva detto, era scoppiata a ridere e lui l’aveva guardata malissimo. Non era uno che scherzava facilmente. Si erano ritrovati nel soggiorno, composto da un paio di divani rossi posti ad angolo di fronte al camino, le scale alla sua sinistra che conducevano lì dal piano di sopra dove stavano le stanze, la porta per la sala da pranzo dietro di lei, la cucina alla sua destra e davanti a sé, oltre il tappeto ed i divani, la porta finestra che portava alla piscina. Il giardino era enorme, contornava tutto il castello, pieno di rose e fiori di ogni colore, un capanno per gli attrezzi e qualche lettino per prendere il sole, tutto recintato. Ci avrebbe vissuto volentieri. Era entrata nella cucina, piccola come quel soggiorno e con pochi utensili. Di fronte c’erano un tavolo da bar con degli sgabelli alti, il piano cottura dietro, accanto un tavolo rotondo con le sedie ed una porta sul retro. Il castello era pieno di stanze, ma si era accorta che Noah preferiva di gran lunga le stanze più piccole, perché così poteva rimanere da solo. Gli piaceva molto che nessuno interferisse nei suoi affari o che potesse semplicemente pensare, seduto sul divano più vicino al camino, con le dita unite sotto il mento, gli occhi chiusi e la schiena flessa in avanti. Le vennero i brividi al solo pensiero.
Zampettò sino alla cucina e salutò la cameriera con un sorriso ancora assonnato. La donna la salutò con un cenno e le mise nel piatto bacon e uova. Paper si sedette allo sgabello con un appetito sempre più crescente. Si strofinò le mani, poi allontanò il piatto da sé con un gesto, cercando di aspettare Erin.
<< Buongiorno, principe Noah. >> disse la cameriera, facendo una riverenza. Noah le fece segno di smetterla, mentre leggeva alcuni documenti. Prese posto accanto a Paper, che arrossì. Di solito cercava di parlarne il meno possibile ed ora si sedeva vicino a lei? Non riusciva proprio a capirlo.
La cameriera gli porse una tazza di caffè, che lui rifiutò.
<< Amanda, te lo dico tutte le mattine: non bevo caffè, non mi piace, non mi è mai piaciuto e non mi piacerà mai! >> esclamò con voce crescente, quasi ringhiando. La cameriera sobbalzò.
<< Mi dispiace molto, principe Noah. Mi scusi. >> disse, portando subito via la tazzina, con dita tremanti. Paper si guardò le mani, imbarazzata e dispiaciuta. Avrebbe voluto difendere la ragazza, ma non sapeva se aveva il diritto di farlo a quei tempi. Fece per redarguire Noah, ma lui si era ripreso prima che lei potesse parlare.
<< Sono stato molto maleducato Amanda, ti chiedo umilmente perdono. Sono solo nervoso. >> replicò piano. Amanda annuì più volte e lui le sorrise, poi tornò alle sue carte. La ragazza uscì dalla cucina con un inchino appena accennato, quasi fuggendo.
Paper prese a sorridere, cominciando a mangiare. Erin si era andata a cacciare chissà dove con Robin, era ovvio. Noah se ne accorse e cominciò a lanciarle degli sguardi di sottecchi, corrucciando la fronte per quei dannati fogli che non riusciva a decifrare bene.
<< Cos’hai da ridere? >> chiese alla fine, posando i documenti sul tavolo in modo stizzito. << Ti fa ridere che non sappia amministrare bene il mio lavoro, mentre mio padre non c’è? Dimmelo, mi piacerebbe molto conoscere la tua opinione. >>
Paper aggrottò le sopracciglia, posando la forchetta nel piatto. Si voltò e lo guardò intensamente negli occhi, avvertendo le guance come se le stessero salendo su per l’imbarazzo. Sembrava che la stesse sfidando, ma soprattutto, sembrava che se la stesse prendendo con lei come capro espiatorio per quello che stava passando.
<< Credo che tu abbia bisogno di aiuto. Dammi qua. >> disse, porgendogli la mano. << Dammi quei fogli. >>
<< Non saresti in grado di capirli. >>
<< Non devo mica capirli, infatti. >> replicò, prendendoli. << Li metterò via per te, così tu potrai occuparti di te stesso per cinque minuti. >>
<< Sono un principe, Paper. Non so se sai qual è il significato di questa parola. Ho affari di cui occuparmi, un’intera Nazione, che un giorno dovrò governare fra l’altro, che chiede di me. Ho molto da fare, come vedi. >> ribatté, strappandole i fogli dalle mani. << Grazie mille per l’aiuto. >>
Noah si alzò ed uscì dalla stanza. Paper tornò al suo bacon rabbiosa, colpendolo come se le avesse provocato un torto indimenticabile.
 
<< Cerca di non trattenere il respiro. Devi solo rilassarti, come se questo non ti rendesse nervosa. >> disse Robin, sfiorandole la pancia con la mano mentre lei espirava, dietro la ragazza. Erin si guardò intorno, a disagio. Non le era mai piaciuto essere toccata, tanto che l’unica da cui si faceva abbracciare era Paper, ma quando Robin la sfiorava… era come bruciare e diventare di ghiaccio insieme. Odiava sentirsi così vulnerabile davanti ad un ragazzo ed odiava che lui in particolare la facesse sentire in quel modo.
<< Non ci riesco, se mi tocchi. >> disse, pensando che un minuto dopo l’avrebbe presa in giro, vantandosi della sua bellezza e tutto il resto. Al contrario, Robin si allontanò e le andò di fronte.
<< Quaranta flessioni. >>
<< Cosa? >>
<< Fai quaranta flessioni. >>
<< Non se ne parla nemmeno. >>
<< Cinquanta. >>
<< No. >>
<< Adesso sono sessanta. Ti consiglio di muoverti o arriveremo a cento. >>
Erin sbuffò, poi lasciò la spada a terra e cominciò. Non era per niente semplice come poteva sembrare. Era abituata a correre, anche veloce agli allenamenti di atletica, ma non le capitava mai di dover fare molte flessioni. Dopo la terza, si lasciò cadere contro la polvere. Robin sbuffò, spazientito. Lasciò da una parte la lama anche lui e si mise di fronte a lei, cominciando a fare le flessioni, una dopo l’altra, con l’appoggio di un solo braccio. Lui era un soldato, era abituato a questo tipo di allenamenti, dopotutto. Erin si fermò a guardarlo, stando attenta ai movimenti, che la catturavano come per magia. Guardava il suo torace alzarsi ed abbassarsi per via del respiro, i suoi capelli che gli accarezzavano il viso, la vena a destra del collo che pulsava insistentemente. Un attimo dopo, Robin si era bloccato e la stava scrutando a fondo. Lei scosse la testa, ridestandosi.
<< Fallo tu, adesso. >>
Erin annuì e si mise subito in azione. Sentiva le guance ardere e lo sguardo di Robin puntato addosso non aiutava di certo. Poi si rese conto di qualcosa di strano e cominciò a sorridere, mordendosi il labbro inferiore.
<< Mi stai guardando la scollatura, per caso? >> chiese. Robin alzò un sopracciglio, senza spostare lo sguardo.
<< Assolutamente no. >> rispose. Erin rise.
<< Le mie amiche mi hanno sempre invidiata. >>
<< Sei ancora a trenta. >> disse Robin.
<< Non c’è niente di male… davvero. >> disse, fra un respiro e l’altro.
<< Trentacinque. >>
<< Non… preoccuparti. >>
<< Quarantadue. >>
<< Anche a me piacciono i tuoi pettorali. >> replicò ad un tratto. Si rese conto troppo tardi di ciò che aveva detto, così si morse il labbro inferiore con violenza e smise di parlare. Robin non contò più le sue flessioni ad alta voce, finché non arrivò a sessanta.
<< Bene. Per oggi abbiamo finito, ho da fare. >> disse, riprendendo la spada. Erin annuì, ancora in imbarazzo per poco prima. Robin la guardò di sottecchi, poi prese a tagliare l’aria con la spada. << Sai, non c’è niente di male. Davvero. >> replicò, quasi come per farle il verso. << Anche a me piacciono i miei pettorali. >>
Erin aprì la bocca per rispondergli a tono, ma lui si stava già allontanando sghignazzando forte.
 
Aveva promesso a se stessa che sarebbe tornata. Aveva promesso che sarebbe tornata a casa presto e che tutto quello che aveva passato sarebbe rimasto lì, sepolto nel Mondo Attraversabile. A volte la nostalgia di casa era così forte da farle male. Il dolore diventava insopportabile, tanto da farla stringere a sé da sola, sedendosi da qualche parte con le dita rigide, le mani brucianti, tenendo insieme i pezzi come in un grande abbraccio, chiudendo gli occhi e cercando di non piangere. Immaginava sua madre seduta ad un tavolo con uno strofinaccio fra le mani, lo sguardo vacuo e suo padre che le accarezzava la schiena, dicendole che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero trovato la loro bambina.
Quando ripensava al giorno prima, le sembrava che tutti si fossero dimenticati di quello che era successo. Robin aveva cercato di ucciderla e Noah le aveva chiesto di fidarsi di lui. Robin era un grande mistero. Quando si era guardata allo specchio, quella mattina, si era vista infinitamente piccola, infinitamente debole. Noah l’aveva liquidato come un semplice “scatto d’ira”. Aveva detto che gli capitava spesso, che non stava molto bene da molto tempo a quella parte, che lei doveva capirlo. Possibile che quella a capire dovesse essere sempre lei? Possibile che quella gentile e quindi stupida, secondo loro, dovesse essere sempre lei? E mentre nessuno se ne accorgeva, lei continuava ad andare giù.
Bussarono alla porta. Si asciugò in fretta le lacrime e poi andò ad aprire. Robin la guardò per una manciata di secondi con degli occhi freddi e tristi allo stesso tempo. Le abbozzò un sorriso, ma lei gli richiuse la porta in faccia. Robin la bloccò con piede fra lo stipite e la porta, spingendola all’indietro con un gesto della mano. Paper indietreggiò impaurita, ansimando.
<< Se mi tocchi ancora, Noah ha detto di urlare. >> disse, cercando con dita tremanti il tagliaunghie che aveva lasciato sulla coperta. Robin deglutì, abbassando lo sguardo.
<< Avrei dovuto immaginarlo. >>
<< Mi hai aggredita! Certo che avresti dovuto! >> replicò Paper con rabbia.
<< Avrei dovuto immaginare la tua paura. >> disse Robin. Paper rimase a guardarlo a lungo, rigirandosi il tagliaunghie nella mano destra. << Non sono qui per attaccarti. Voglio solo chiederti perdono. Mi dispiace per averti fatto del male, ieri. Scusami. >>
Paper oscillò, portando il peso del corpo da una gamba all’altra.
<< È stato Noah a dirti di farlo? >>
<< No, ma mi chiedo come tu faccia ancora a fidarti di lui più di me, dopo quello che hai saputo. >> rispose, alzando un angolo della bocca. << Oh, è sempre stato il nostro problema. Quel suo portamento da principe, >> cominciò ad elencare, facendo un passo verso di lei; Paper indietreggiò, << quel suo modo eloquente di parlare, quel suo viso angelico, quel suo sguardo gentile. >> disse, ormai a poca distanza da lei, che stava appiattita contro l’armadio di legno, il tagliaunghie che le tremava fra le dita. << Non hai mai avuto paura di lui, vero? Non quanto hai paura di me adesso, perlomeno. >>
<< Tu mi hai aggredita. >> replicò Paper, a stento.
<< Lo so bene, ma Noah ha fama di aver ucciso. Quanti uomini pensi che io abbia ucciso? E Non parlo di soldati, ma di amici o familiari o persone normali del popolo che dovrei difendere. >>
Paper deglutì, avvertendo il cuore che le batteva all’impazzata nel petto. Avrebbe voluto urlare appena lui era entrato in stanza, ma aveva le corde vocali bloccate. E poi, un soldato di vent’anni con la mano premuta sull’elsa della spada l’avrebbe zittita ancora prima che lei provasse ad aprire la bocca. Sperò che Erin arrivasse a momenti per salvarla.
<< Non lo so… L’hai fatto? >>
Robin le tolse delicatamente il tagliaunghie dalla mano, buttandolo a terra. Lei lo guardò con il panico riflesso negli occhi. Fece per abbassarsi e riprenderlo, ma lui mosse le dita sull’elsa della spada, così si fermò. Lui le strinse la mano per cercare di bloccare il tremolio. Paper sentì il sangue defluirle dal viso ed il battito, se possibile, accelerare ancora di più.
<< No. >> rispose asciutto, guardandola in modo diverso, quasi innocente. << No, mai. >>
Robin le lasciò la mano e si allontanò da lei di qualche passo. Paper lo guardò accennare con gli occhi al tagliaunghie per terra. Lei lo prese, accovacciandosi per tenerlo d’occhio. Poi se lo rigirò fra le mani, indecisa. Sapeva che avrebbe corso un rischio, ma tanto valeva tentare.
<< Se tu posi la spada, io lasciò il tagliaunghie. >> disse, cercando di parlare con voce ferma, invano. Robin alzò un sopracciglio, come a dire che non avrebbe comunque avuto la benché minima possibilità di proteggersi da lui con un inutile tagliaunghie, ma poi capì quello che voleva dire. Io abbasso le difese se tu abbassi le tue. E Robin si slacciò il fodero dalla cinta e lo gettò sul letto. Paper fece lo stesso con il tagliaunghie.
<< A me la prossima mossa, giusto? >> chiese il ragazzo, quasi con un ghigno.
 
Si guardò intorno con fare circospetto, sentendosi osservata. Era rimasta ad allenarsi da sola nell’arena per un altro po’ di tempo, immersa nei suoi pensieri. Paper le aveva chiesto se la nostalgia di casa era tanto forte da farle male e lei le aveva risposto che non aveva nemmeno lontanamente nostalgia di casa. Quella era la sua occasione per farsi conoscere, diventare forse famosa, crearsi un’altra vita, avere una seconda possibilità. Da piccola, tutti i bambini l’avevano derisa, dandole della strana, prendendola in giro pesantemente per essere troppo fuori dalle righe, troppo espansiva, troppo diversa. E lei ne era uscita dolorante, sconfitta, distrutta. Aveva avuto gli incubi per settimane, prima di ricominciare daccapo, prima di ripartire da zero al liceo. Paper l’aveva aiutata, aveva cercato di capirla, ma lei non ci era dovuta passare. A lei non era mai importato molto cosa pensasse la gente, le andava bene avere un paio di amiche ed un film da vedere il sabato sera. Ma Erin no, Erin non era così. Lei aveva bisogno di uscire, di andare per locali, di conoscere gente nuova che sapesse apprezzarla per quella che era. Da bambina era stato molto difficile nascondere a tutti, compresa Paper, quanto in realtà stesse male dentro. Piangeva la notte ed il giorno dopo rubava il correttore di sua madre per coprirsi le occhiaie, dagli undici anni in poi. Imparare ad essere forte era stata la cosa più ardua del mondo.
Sentì uno scricchiolio di foglie e si voltò subito, la spada di fronte a sé pronta a parare un colpo qualsiasi. Pensò che fosse Robin che volesse testarla o magari Noah, ma non vide nessuno dei due.
<< Levati di mezzo, Dan. Se Noah ti scopre sei finito. >>
Dan si passò un dito sulle labbra, fissandola dalla testa ai piedi. Erin rabbrividì, come se la stesse passando ai raggi X solo con lo sguardo. I suoi occhi chiarissimi, simili al ghiaccio, non avevano la bellezza di quelli di Robin. I suoi erano spenti, malvagi, mentre quelli di Robin erano così maledettamente tristi.
<< Allora perché non hai ancora urlato? >> chiese, incrociando le dita dietro la schiena. Erin si sentì presa in contropiede.
<< Come hai fatto a passare? Le guardie di Noah… >>
<< Ci sono molte cose che tu non sai riguardo questo mondo, straniera. >> la interruppe Dan, facendo un passo in avanti. << Sono un ladro, non mi sarebbe stato difficile sgattaiolare dentro. O forse ho corrotta una guardia. Certo, magari potrei anche conoscere due o tre passaggi segreti per entrare. Scelti tu la scusa che preferisci, ma adesso rispondimi. >> disse, prima di avanzare verso di lei a grandi passi. << Perché non hai urlato? >> scandì, parandosi di fronte a lei. Erin lo minacciò con la spada alla gola.
<< Perché non ho paura di te. >>
Dan ghignò, alzando lo sguardo verso i suoi occhi verdi.
<< No, non credo. È solo che non vuoi dimostrarti debole. >>
<< Di fronte a chi? >>
<< A Robin. >>
Erin spostò lo sguardo, indietreggiando.
<< Tu non mi conosci. >>
<< Credimi, ti conosco abbastanza da sapere che a lui tieni. Perché saresti ancora qui, se fosse il contrario? Perché la gente rimane? >> chiese, retorico. Fece una pausa. << Per l’amore. È per l’amore che rimane sempre. >>
La ragazza rimise la spada nel fodero, guardandolo a fondo. Aveva una rabbia immensa dentro di sé nei confronti di Dan, ma per qualche motivo, non riusciva ad odiarlo abbastanza da tagliarlo in due con la spada. O forse era solo che non aveva mai ferito nessuno in quel modo.
<< Che cosa vuoi? >>
<< Scusarmi. >> rispose Dan, improvvisamente serio. Erin scoppiò a ridere, incredula.
<< Davvero? >>
<< Davvero, Erin. Mi dispiace. Non avrei dovuto portarvi quei guai, scusami. Chiedo scusa anche a Paper. È quello che fanno le persone forti, no? Chiedere scusa. >>
<< Le persone forti non sono come te. Tu sei solo un ladro bugiardo. >> replicò Erin, accarezzando l’elsa della spada. << Le persone buone non si comportano così. >>
La ferita sul viso di Dan sembrava ardere sotto la luce del sole.
<< Ti sei mai chiesta quali segreti nascondano i tuoi cari, nuovi amici di cui ti fidi così ciecamente? >> domandò, sempre con le mani dietro la schiena. Erin alzò il capo fieramente, tenendogli testa.
<< Loro sono brave persone. >>
Dan ghignò.
<< Non tanto quanto credi. >> replicò. << Arrivederci, straniera. >>
Dan si voltò e si avviò velocemente verso il bosco al di là della staccionata. Erin non riusciva a crederci. Aveva superato le difese di Noah, solo per chiederle di perdonarlo dopo tutto quello che aveva fatto loro? Stava bluffando, era un bugiardo patentato. Peccato che lei fosse molto più brava di lui a questo gioco. Quando pensò di inseguirlo per dargli una bella lezione, lui si era già stranamente dileguato. Poi, spalancò la bocca, strabuzzando gli occhi. Noah l’aveva sbattuto in galera e, per quello che ne sapeva, era ancora lì dentro. Come aveva fatto ad evadere in così poco tempo? Corse verso il castello tenendo la spada, consapevole di aver commesso un gravissimo errore: far scappare Dan.
<< Noah! NOAH! >>
 
<< Non ho sentito niente, lo giuro. >> disse Paper, indietreggiando.
<< Davvero? Sei troppo innocente per mentire, lo sento dalla tua voce. >> replicò Robin, avvicinandosi a lei nel buio.
<< No, davvero, non ho sentito niente. >>
<< Puoi dirmelo, non mi arrabbierò. >>
<< Lo giuro, non ho sentito. >> disse di nuovo, andando a sbattere contro il muro. La luce proveniente da fuori fece brillare gli occhi di Robin.
<< Non giurare mai. >>
 
Paper riaprì gli occhi, seduta sul letto accanto a Robin.
<< È così che ti sei sentita? Impotente? >> chiese, sfiorandole con un movimento involontario il braccio ferito con il proprio. Paper si ritrasse istintivamente. Robin deglutì, sentendosi infinitamente in colpa.
<< Indifesa. >>
<< Ho fatto tante cose peggiori di questa in passato e, credimi, non volontariamente. So come ti senti. Una volta ho fatto del male ad una persona a me molto cara. È stato orribile. >>
<< Perché lo fai? Noah dice che non sei matto. >>
Robin sorrise.
<< No, non sono matto. Sono maledetto. >>
Paper scosse la testa.
<< Non parlare come se fossi un adolescente. Nessuno è maledetto. Nemmeno tu. >> replicò, guardandolo negli occhi. Robin ricambiò il suo sguardo per un paio di secondi, poi sospirò.
<< Non voglio essere il cattivo di questa storia, Paper. L’ho già interpretato una volta e non è finita bene. >> disse, sfiorandole la mano. La ritrasse all’istante. Paper se ne accorse. << Non volevo farti del male. Dico sul serio. Mi dispiace davvero tanto. >>
Paper alzò lo sguardo dalle loro mani ai suoi occhi. Era lo stesso sguardo di Erin. Quando le chiedeva scusa sembrava un cucciolo smarrito. Gli sorrise, annuendo. Sentiva che era sincero. O forse, era solo che lei era troppo buona.
<< Ti perdono. >>
Robin rilassò le spalle, sollevato.
<< Grazie. >>
Amanda spalancò la porta, quasi scapicollando dentro. Paper e Robin si alzarono di scatto, lui già con la spada in mano. Paper ne rimase impressionata.
<< Il principe Noah non la smette di urlare contro la ragazza. Aiutatemi. >> disse nel panico, disperata.
<< Arriviamo. >> replicò Robin, prima di correre fuori, seguito da Paper.
Nel salotto, Noah stava urlando contro le sue guardie ed Erin si stava mangiando le unghie nervosamente, in piedi dietro di lui. Paper scosse la testa, facendole segno di spiegarle cosa stava accadendo. Erin alzò le mani al cielo.
<< Noah, si può sapere cos’è successo? >> chiese Robin, preoccupato. << C’è stato un attacco al castello? >>   
<< No, peggio. >> rispose, spalancando gli occhi come un folle. << Erin dice che ha visto Dan qui fuori. >>
<< Cosa? Come ha fatto ad entrare? >> domandò Robin, molto più che sorpreso.
<< Non è questo il problema, perché Dan non è mai entrato. >> disse, mettendo le mani sulle spalle di Robin. Robin strabuzzò gli occhi e così anche Paper.
<< Io non sono matta, eh. Ci tengo a precisarlo. >> disse Erin. Robin le lanciò un’occhiataccia. << Sto zitta, sto zitta. >>
<< Ne sei sicuro? >>
<< Mi hanno riferito che Dan non è mai uscito dalla sua prigione. Le guardie qui fuori, inoltre, sono quelle che ha scelto mio padre personalmente e di cui si fida. Non sarebbe mai riuscito a varcare quella porta. >> spiegò. Robin indietreggiò, andando a sedersi sul divano, la testa fra le mani.
<< Oh, no. Pensavo che quest’incubo fosse finito. >>
<< Dan è solo un ladro, avanti. >> replicò Erin.
<< Non è di lui che sta parlando Robin. >> disse Noah, gravemente. << Sai cosa significa, Robin? Lui è tornato. >>
<< Siamo destinati ad una morte certa, questa volta. >>
<< Non ti farà del male, te lo prometto. >> ribatté Noah, deciso.
<< Scusate, ma chi è tornato? >> chiese Paper, non capendo. Robin chiuse gli occhi per la disperazione.
<< Un essere che mio padre aveva sconfitto molti anni fa, prima che io nascessi. >> rispose Noah. Erin alzò un sopracciglio. Sembrava tanto una di quelle favole che le raccontava sua madre prima di andare a dormire. Ma poi, vide il terrore puro negli occhi di Robin e capì che non era solo una vecchia storia. Era vero.
<< L’entità. >>
Era reale.
 
***
 
Quel pomeriggio, mentre tutto il castello era in subbuglio per quella grave notizia, Paper ne approfittò per conoscere meglio quello che era successo circa vent’anni prima nel Mondo Attraversabile. Fra la montagna di libri che aveva preso dallo scaffale e che non credeva di poter mantenere ancora a lungo in bilico, c’era anche un vecchio archivio ingiallito. Un articolo di giornale scivolò fuori e lei cercò di riprenderlo, ma le caddero tutti i libri dalle mani. Imprecò fra i denti, poi raccolse lo stralcio.
 
L’ENTITÀ MINACCIA ANCORA LE NOSTRE VITE!
Stamattina sono stati seppelliti circa altri 120 soldati di Londra, a causa della guerra contro l’entità.
Il principe di Londra, Alexander Corwin, ci rassicura: “La guerra contro l’entità finirà presto. Abbiamo ancora un altro asso nella manica. L’ultimo”.
Non ci resta che sperare con tutto il cuore che il nostro principe riesca a salvarci.

 
<< Avresti potuto chiamare un cameriere per aiutarti. >> disse una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare. << Mi dispiace di averti spaventata. >>
Paper gli sorrise.
<< Stavo solo leggendo un articolo. >>
Noah la raggiunse, sorridendo incuriosito. L’aiutò con i libri e raccolse lo stralcio di giornale. Accennò ad una breve risata.
<< Mio padre ne era così fiero. >>
<< Non potete gestirlo da soli. Dovete richiamarli indietro. >>
<< Sì, lo stanno facendo le mie guardie. Si stanno occupando di alcuni affari in un regno qui vicino. >>
<< Oh, capisco. >> disse Paper, sedendosi sul divano. Noah fece lo stesso.
<< Mi dispiace per il tuo braccio. Robin mi ha detto che l’hai perdonato. >>
<< Sì, sto bene. >>
<< A me non sembra. >> ribatté Noah, guardandola. Paper si sentì arrossire. << Lo vedo nei tuoi occhi. >>
Il cuore di Paper cominciò a battere forte, rendendola quasi incapace di respirare. Non era tanto per quello che aveva detto, ma per il modo in cui la guardava. Nessuno l’aveva mai guardata così. La faceva sentire protetta, sicura, forte. Non sentiva più dolore.
<< Domani partiamo. >>
Noah annuì, spostando lo sguardo altrove.
<< Lo immaginavo. Ho visto le valigie nella tua stanza. >>
<< Vorrei che ti importasse. >> le uscì all’improvviso. Imprecò sottovoce, mordendosi l’interno della guancia. Noah la guardò, ma lei non sarebbe riuscita a sostenere il suo sguardo. Perché l’aveva detto? Aveva rovinato tutto. L’avrebbe cacciata. Aveva fatto tanto per avvicinarsi a lui ed ora… Idiota.
<< Mi importa. >>
Paper si voltò a guardarlo, incredula.
<< Davvero? >> chiese, con un filo di voce. Noah annuì.
<< Davvero. >> rispose, sorridendole. << Ma credo che voi dobbiate tornare a casa. Questo non è più un posto sicuro. >> disse. << Vent’anni fa l’entità ha distrutto tutto ciò a cui tenevamo, tutto ciò che ci stava più a cuore. Non possiamo lasciare che lo faccia di nuovo. >>
Paper sentì bruciarle gli occhi.
<< Ma così tu morirai. >>
Noah stette per rispondere, poi le rivolse un sorriso amaro.
<< L’importante è salvare le persone che ami di più. >>
Paper gli prese il viso fra le mani.       
<< L’importante è tornare a casa. L’importante è sempre tornare a casa. >> ribatté, con voce spezzata.
Noah sentì le guance scottare sotto il suo tocco. Nessuno si era mai preoccupato così tanto per lui, se non Robin o i suoi genitori. Di sicuro, nessuna ragazza conosciuta da così poco tempo. La loro non era una storia strana o scontata, era qualcosa di più profondo, proveniente dal cuore, da quei sentimenti che sentiamo ma non diamo mai alla luce. Invece, Paper lo stava facendo. Come aveva fatto a sentirsi così debole, se al contrario era così forte? Le prese le mani delicatamente e gliele mise in grembo, sfiorandola appena.
<< Credo che dovresti chiamare i tuoi genitori. I nostri telefoni sono stati inventati da poco, ma funzionano. Abbiamo la linea con il vostro mondo. >>
Paper annuì, ancora confusa per poco prima.
<< Sì… grazie. >>
<< Figurati. >>
Noah si voltò, facendo finta di essersi interessato ai libri. Sarebbe andato via, pur di non vederla più piangere per lui. I suoi occhi così tristi gli facevano male. Si voltò per salutarla, ma la vide con il telefono fra le dita tremanti. Le accarezzò una spalla, abbozzando un sorriso. Paper si sentì una sciocca per essere così fragile.
<< Non ci riesco. >>
<< Lo so. >>
<< Non ci riesco! >>
<< Lo so. >> ripeté Noah, abbracciandola.
Paper riuscì a frenare quasi tutte le sue lacrime, stringendolo forte, aggrappandosi a lui come se fosse un’ancora di salvezza. Gli lasciò l’impronta delle unghie nella maglietta bianca. Si era tolto il mantello la mattina. Il suo profumo di rose misto a limone le pizzicò le narici. Si calmò dopo qualche minuto, mentre lui la lasciava andare.
<< Ti ho rovinato la maglietta, mi dispiace. >> disse, cercando di asciugarsi le ultime lacrime con le dita.
<< Non importa, ne ho mille così. >> replicò Noah, sorridendo. Paper gli sorrise di rimando. << Chiamali. Digli che stai tornando. Ne saranno felici. >>
Paper annuì, poi tirò su la cornetta. Prese un bel respiro, poi compose il numero girando la rotella. Aspettò che squillasse. Guardò Noah, mentre la linea cominciava ad arrivare e lei sentiva i bip. Respirò piano, speranzosa.
Segreteria telefonica.
Chiuse gli occhi, lasciando scivolare la cornetta verso il telefono. Noah sospirò, lasciandosi scivolare contro lo schienale del divano.
<< Paper, mi dispiace. >>
Paper deglutì, in silenzio. Noah le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé.
<< Anche a me. >>




Angolo autrici:
Siamo in ritardo. Di nuovo. Non abbiamo più scuse da inventarci xD 
In questo capitolo, più lungo dei precedenti, riusciamo a vedere finalmente un avvicinamento fra Paper e Noah. 
Robin ha cominciato ad aprirsi di più ed Erin non sembra propensa ad andare via molto presto.
Ma c'è ancora un problema da affrontare: le ragazze devono tornare a casa.
Sappiamo che alcune cose sono difficile da capire, soprattutto dopo il capitolo precedente :P Ma verranno spiegate, non temete! Niente è lasciato al caso in IMA.
Diteci cosa ne pensate, anche se solo per sapere se vi piace! :)
E. & B. 



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Fragile bones ***


Capitolo 5
Fragile bones

 
“Dear lord when I get to heaven,
please let me bring my man.
When he comes tell me that you’ll let me.
Father tell me if you can..
Will you still love me when I’m no longer young and beautiful?
Will you still love me when I got nothing but my aching soul?
I know you will”.
{Young and beautiful, Lana Del Rey}
 
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<< Stai partendo? >> chiese Noah, vedendola preparare l’ultima valigia. Paper si voltò di scatto, spaventata. << Perdonami, non era mia intenzione entrare in questo modo nella tua stanza. >>
Paper annuì, sospirando.
<< Sì. Sto partendo. >> rispose asciutta.
<< Erin mi ha detto che hai anticipato la partenza a causa sua. Vi siete salutate? >>
<< Vuoi dire se le ho detto addio? >> chiese, lievemente acida. << No, io mi fido di Erin. So che tornerà sana e salva. Se vuole affrontare una guerra, che lo faccia. Io non posso rimanere. >>
<< Non dirlo. >> replicò Noah, appoggiato allo stipite della porta.
Paper si voltò.
<< Non dire cosa? >> chiese stanca, passandosi una mano sulla fronte.
<< Non dire che non sei forte. >>
Paper sembrava furiosa.
<< Cosa ne sai di me, Noah? Intendo dire, cosa ne sai davvero di me? Perché da quando sono arrivata, non hai fatto altro che squadrarmi da capo a piedi e giudicarmi. Io so che ti penti di molti errori del tuo passato e non voglio di certo farti la morale, ma tu puoi farla a me? Perché io continuo a non capire come dannazione, dannazione Noah, tu faccia a conoscermi, quando a me sembra di non sapere nemmeno chi mi sta davanti in questo momento! >> urlò, allargando le braccia, con gli occhi lucidi. Noah deglutì, limitandosi a non rispondere, evitando di guardarla. Paper scrollò le spalle, calmandosi. << Quindi sì, parto. Quindi sì, se vuoi, io ti dico addio adesso. Quindi sì, mi piacevano i tuoi occhi e mi piacevi tu. >> disse, prima di prendere il borsone e ed il bagaglio. Uscì dalla stanza sfiorandogli la spalla, senza voltarsi indietro. Noah tirò un pugno bello forte allo stipite della porta, furioso.
 
<< Perché non l’hai fermata? >> chiese Robin, avvicinandosi a lei con le mani in tasca. Erin si voltò per guardarlo, poi tornò ad osservare Paper che camminava veloce verso la cancellata. Sospirò, abbassando le spalle.
<< Perché non potevo. Lei ha rispettato la mia scelta, come io ho rispettato la sua. Non potevo costringerla. >>
<< Ma avresti voluto dirle qualcos’altro, non è vero? >>
Erin abbassò lo sguardo, deglutendo. Sì, avrebbe voluto chiederle di rimanere con lei, per rifarsi una nuova vita, per essere la persona che avrebbe voluto diventare nel loro mondo. Ma come avrebbe potuto? Paper le aveva rinfacciato di voler rimanere per Robin, ma non era così. Conosceva Robin da troppo poco tempo per poter dire di essersi innamorata di lui o roba simile. Non era superficiale fino a quel punto. Sentiva come un peso sul cuore, come un’ancora che la pungeva sempre di più, intimandole di rimanere. Perché? Era questo il problema, lei aveva scelto di rimanere, però non ne aveva ancora capito completamente il motivo. Paper avrebbe salutato i suoi genitori da parte sua. Si chiese cosa ci spinge a prendere le decisioni che scegliamo di prendere. Si chiese se fosse giusto lasciarla andare via in quel modo. Si chiese cosa ci fosse ancora da dire, se non tutto quello che non avrebbero più potuto dirsi, perché diciamocelo francamente, la lontananza uccide i rapporti. E loro si sarebbero uccise a vicenda. Quando Paper le aveva detto che se ne sarebbe andata a breve, ad Erin era uscito un semplice e strozzato Non andare.
Erin si strinse nelle spalle, massaggiandosi le braccia.
<< Sì. Sì, avrei voluto. >> rispose.
Un secondo dopo vide una figura passare rapida accanto a Robin e poi prendere a correre verso il cancello. Sentì una goccia caderle sulla fronte e rigarle il naso. Stava per mettersi a piovere. Assottigliò gli occhi e vide il cancello aprirsi e la figura prendere Paper per un polso, facendole cadere di mano le valigie. Erin alzò le sopracciglia, confusa e sorpresa. Robin parlò prima di lei.
<< Ma quello era Noah? >>
 
Si morse il labbro inferiore, non sapendo bene cosa dire. Aveva solo agito d’impulso, era scappato dal castello, correndo verso di lei. Voleva solamente fermarla, convincerla in qualche modo a rimanere, ma una parte di lui continuava a reprimere i suoi sentimenti. Si sentì perso, con le gambe completamente immobili e gli occhi che cercavano quelli di Paper, scattando da una parte all’altra.
Mi piacevano i tuoi occhi e mi piacevi tu.
<< Vuoi dirmi qualcosa? Vuoi dirmi le solite idiozie come ti prego, non partire, resta con me o sei una bomba sexy, non posso vivere senza di te, tesoro. >> disse, ironica. In un’altra circostanza, Noah avrebbe riso.
<< No, io volevo solo… >>
<< Cosa? Cosa, Noah? Perché se non me lo dici adesso, ti giuro che io prendo le valigie e me ne vado. >> replicò Paper. A Noah sembrò che avesse gli occhi lucidi. Lui stette per parlare e lei alzò lievemente il capo, come per fargli capire che l’avrebbe ascoltato, che voleva sentire davvero quello che lui aveva da dirle, ma poi lui richiuse la bocca, in silenzio. Paper abbassò lo sguardo, delusa, con un sorriso amaro. << È perfettamente okay, Noah. Va bene così. >>
<< No, non va bene. >> disse, scuotendo la testa. << Non va bene. >>
<< Non posso aspettare che ti sblocchi per sempre. >> replicò Paper, sfiorandogli il viso con un dito. << Dimmi che mi capisci. >>
Noah si sentì cadere. In qualche modo, lui riusciva a capirla. Si morse il labbro inferiore così forte, da riuscire a sentire il sapore metallico del sangue in bocca. Aprì e chiuse gli occhi quasi a rallentatore, mentre Paper riprendeva la valigia e si voltava.
E poi cominciò tutto insieme. Piovve. Il temporale. Li infradiciò da capo a piedi. Sentirono il rombo dei tuoni, una luce fortissima esplodere nel cielo. Paper si girò per guardarlo. Aveva la maglietta zuppa d’acqua, i pantaloncini bagnati, le scarpe fradice. Lui non era da meno, con i capelli appiccicati alla fronte e la maglia attaccata alla schiena.
<< Resta. >> disse solo, senza pensarci. Paper scosse la testa, come per cercare di convincersi che quella fosse la scelta giusta da compiere. << Resta ancora un po’, ti prego. >>
<< Possono accompagnarmi le tue guardie e poi tornare indietro. I miei genitori mi stanno aspettando. >>
<< Paper… >>
<< Loro mi stanno cercando. >> disse, passandosi le mani nei capelli bagnati. << Saranno così preoccupati… >>
<< Paper, no… >>
<< Sono spaventati, sono… loro sono… >> cominciò a dire, mentre Noah le prendeva delicatamente i polsi, avvicinandosi sempre di più a lei.
<< Sei tu ad essere spaventata. Sei tu che li stai cercando. Sei tu che li stai aspettando. >> replicò, con voce dolce. Paper aveva il trucco che continuava a colarle sulle guance e che la faceva sembrare più giovane di quello che era. Noah si sporse per darle un lieve bacio sulla fronte e lei tremò al contatto con le sue labbra. Non era sicuro che fosse solo per il freddo.
<< Principe! Principe Noah! >> lo chiamò una guardia, andando verso di loro. << Signore, dobbiamo tornare al castello. >>
Noah si staccò piano da Paper, lasciandola con delicatezza. Riprese le sue valigie, mentre lei continuava a guardarlo.
<< Sì, andiamo. >>
La guardia li scortò al castello in fretta, mentre la pioggia continuava a cadere incessantemente sulle loro teste come una mannaia. Superarono le pozzanghere e raggiunsero il castello con un paio di cavalli. Paper si strinse a Noah, posando la testa sulla sua schiena bagnata, chiudendo gli occhi. Sentì il battito del suo cuore perforarle le orecchie.
 
***
 
<< Una festa? >> chiese Paper, alzando un sopracciglio, mentre piegava una maglietta profumata di fresco.
<< Sì, una festa! Oggi compie gli anni una sua amica e così lui le organizza una festa strepitosa! >> rispose Erin, levandosi il pigiama ed indossando una canotta lunga.
<< Una sua amica? >> domandò, con una leggera nota di gelosia riflessa nella voce.
<< Ha detto chiaramente amica. >> replicò Erin accavallando le gambe, seduta sul letto, sorridendo.
<< E dovrei credergli? >>
<< Secondo me, sì. Mi è parso sincero. >>
<< Capisco. >> disse lentamente, sistemando alcune magliette all’interno dell’armadio.
<< Smetti di svuotare le valigie e vieni a fare spese con me. >>
<< Ti offendi se ti dico che non mi va? >>
<< Paper, avanti, vivi un po’! Non ti va mai di fare niente! >> esclamò Erin, saltando già dal letto.
<< Facciamo così: hai carta bianca, puoi comprarmi quello che vuoi, basta che non sia un abito troppo scollato. >>
Erin sorrise malandrina.
<< Non te ne pentirai. >>
<< Credo di sì, invece. >> ribatté.
Erin prese la borsetta ed uscì dalla stanza, canticchiando. Noah aveva dato loro dei soldi per comprarsi quello che volevano. Erin aveva avuto modo di dare un’occhiata alle bancarelle, la mattina prima e di vedere che vendevano vestiti molto simili ai loro, anche se rimaneva sempre qualcosa di appartenente a quell’epoca per i più conservatori. Vide su di un manichino un abito rosso ciliegia, arricciato sul davanti, con le spalline. Corse subito a comprarlo, prima che qualche altra ragazza avesse la sua stessa idea. Sapeva di certo che Noah e Robin avrebbero indossato una giacca, una maglietta ed un paio di pantaloni non troppo eleganti, quindi quel vestito era fatto apposta per la serata. E poi, aveva visto l’amica di Noah, non sapeva vestirsi minimamente, era già tanto se si sarebbe messa in tiro. Addosso a Paper avrebbe visto bene un abito azzurro, un po’ corto per una volta, magari anche senza spalline, con un bel fiore sul davanti all’altezza del bacino. Si diresse verso una bottega lì vicino, a passo spedito.
Paper prese a camminare per il castello senza una meta precisa. Non sapeva cosa si aspettava di trovare o di sapere, restando lì, ma attendeva un miracolo, un segno dal cielo per farle capire cosa doveva fare. Arrivò sino all’arena di combattimento e vide Noah e Robin intenti a combattere l’uno contro l’altro, senza esclusione di colpi. Notò che Noah era molto bravo, anche se continuava a dire il contrario. Appoggiò i gomiti sul recinto di legno e li osservò per un po’. Robin era portato per l’attacco, mentre Noah per la difesa. In effetti, le loro capacità in battaglia somigliavano ai loro caratteri. Robin era il tipico ragazzo definito come “una testa calda”, sempre pronto a buttarsi nella mischia, mentre Noah era un tipo più riflessivo e dolce, sebbene avesse un animo più tormentato che misterioso. C’era qualcosa, come aveva dedotto Erin e sentito lei, in ognuno dei due, che non li faceva stare tranquilli. Era un segreto o forse due e lei voleva scoprirli a tutti i costi. Non per curiosità, ma solo per tentare di aiutarli. Aiutare Noah, soprattutto.
Non si era accorta che l’allenamento si era ormai volto alla fine. Oltrepassò il recinto ed entrò nell’arena, facendo un cenno di saluto verso Robin. Noah si girò e la vide, rivolgendole un mezzo sorriso.
<< Ehi. Siete stati magnifici. >>
<< Stai parlando del miglior spadaccino del regno, Paper. >> disse Robin, vantandosi. Noah lo spintonò.
<< E finiscila, non ci crede nessuno. >>
<< Allora perché mi avresti promosso a capo delle guardie, mio principe? >> lo canzonò.
<< Vuoi essere licenziato in tronco, caro il mio pallone gonfiato? >>
Robin gli fece la linguaccia.
<< Paper, ti porgo di nuovo le mie scuse per quello che ti ho fatto. >> disse Robin, facendo salire lo sguardo verso il taglio sul suo braccio. Paper se ne accorse e si abbassò d’istinto la manica, senza però riuscire a coprirlo abbastanza. Si sentiva a disagio. << E quando ho cercato di bloccarti in quella stanza, io… ho perso il controllo. Non ho mai voluto farti del male, volevo solo bloccarti per un secondo e farti capire che, anche se posso sembrare un tipo violento, in realtà non sono cattivo. >> disse Robin, stringendo l’asciugamano che stava usando per asciugarsi il sudore fra le mani. << Non accadrà più. Io difendo la gente, non la attacco. >>
<< Grazie. >> replicò, anche se le gambe erano pronte a scappare via e si sentì stranamente in colpa, per questo. Robin sorrise. Era più carino quando lo faceva.
<< Smetti di provarci con lei e vai subito a dare gli ordini per oggi. Forza! >> disse Noah, sfregandosi l’asciugamano nei capelli, cercando di allentare la tensione.
<< Agli ordini! Spero di vederti stasera, Paper. >>
<< Ovviamente. >>
<< Ci sarà anche Erin? >>
<< Certo, in prima fila! >>
<< Bene, bene... >> disse, grattandosi la nuca in un gesto nervoso, mentre le guance tornavano ad essere d’un rosa chiaro. << Ci vediamo. >>
Una volta che fu lontano, Paper si sentì fuoriposto. Voleva rimanere da sola con Noah, era vero, ma una volta che si era avverato il suo desiderio, non sapeva cosa dirgli.
 
<< Non ho ucciso nessuno. Devi credermi. >>
<< Perché dovrei? >>
<< Perché so che ti fidi di me. >>
 
<< Paper, io volevo solo dirti che… >> cominciò Noah, guardandola. Poi abbassò lo sguardo. << Non importa. >>
<< No, mi interessa. >> disse, facendo un passo in avanti verso di lui. << Puoi parlarmi tranquillamente di tutto. >>
Noah prese un bel respiro, ma si voltò, per evitare di guardarla ancora in faccia.
<< Ci sono delle cose nel mio passato che ancora mi perseguitano. È di questo che stavo parlando l’altro giorno con Robin, quando ci hai sentiti. Però, questo non deve influire sull’immagine che tu hai di me. Quello che è passato è passato. >> disse, anche se la sua voce faceva intuire che non ci credesse veramente. << Non può tornare indietro. >>
Paper gli si avvicinò.
<< Se non hai ucciso nessuno, perché volevi l’assoluzione del prete? >> chiese a bruciapelo. Noah la guardò, allarmato.
<< Come fai a saperlo? >>
<< Non importa come, voglio solo sapere perché continui a mentirmi. >>
Noah si passò una mano nei capelli, mordendosi con violenza il labbro inferiore. Era stata Erin a dirglielo, era ovvio. Le dita strinsero l’asciugamano, impulsive.
<< Perché mi sento in colpa. >> rispose solamente, guardandola fisso negli occhi. Non aveva mai notato quanto fosse luminoso l’azzurro degli occhi di Paper. Scosse la testa, poi si allontanò. << A stasera. >>
<< A stasera. >> replicò Paper, pensando che non aveva risposto alla sua ultima domanda.
 
***
 
<< Quella! >> esclamò Erin, saltellando. << Quella è la festeggiata! Vedi la ragazza in fondo con gli occhiali e la coda di cavallo? Quella ragazza si chiama Sarah ed è l’amica di Noah. >>
<< Ma quale?! >>
<< Paper, QUELLA! >> urlò Erin, indicando una ragazza lontana.
<< Di cosa state parlando? >> chiese una voce maschile alle loro spalle. Le due ragazze si girarono e videro Robin con una bottiglia di birra in mano.
<< Stavo facendo vedere a Paper chi è la festeggiata. >> rispose Erin normalmente, nascondendo la freddezza che avrebbe voluto usare nelle parole. Ogni volta che parlava con lui avrebbe voluto urlargli addosso, ma non ci riusciva mai.
<< Sì, Sarah. Lei e Noah sono molto amici. Voleva fare qualcosa di carino per lei. >>
<< Be’, è stato un gesto dolce. >> disse Paper. Erin la guardò e lei arrossì, imbarazzata.
<< Buona serata, allora. >> replicò, portando in alto la bottiglia. Erin gli rivolse un sorriso fuggevole, poi portò via l’amica per un braccio.
<< Non mi fido ancora di lui. Insomma, ti ha aggredita due volte e ho pensato seriamente che volesse attentare alla mia vita. Non sono sicura di potermi fidare ciecamente di lui. >> mormorò Erin.
<< Non hai ancora scoperto nulla? Erin, cascasse il mondo, io domani torno a casa. >>
<< No, ti prego! Dammi ancora dell’altro tempo! Ci tengo davvero. Non voglio andare via, senza aver scoperto tutto quello che potevo su di loro. >> esclamò.
<< Te ne ho concesso già troppo. >> 
Erin si morse l’interno della guancia, scomparendo nella folla. Paper notò che Noah era intento a parlare con Sarah ed altre ragazze. Una brunetta in particolare se lo stava mangiando con gli occhi. Paper storse il naso ed uscì dalla sala addobbata a festa, andando sul balcone. Si poteva vedere tutta Londra, da lì. Il cielo era trapunto di stelle e lei non poté fare a meno di sentire la mancanza dei suoi genitori. Erano passati solo tre giorni, ma erano stati così intensi, che erano volati via in modo pesante, come quando si cade in un sonno profondo ed al risveglio non si riesce più a capire dove ci si trova.
Erin diceva di non riuscire ancora a fidarsi di Robin, perché si comportava in modo strano e così anche Noah. Dopo quello che era successo nella sua stanza, nemmeno lei riusciva a non avere paura, eppure, c’era qualcosa nello sguardo di entrambi che non le tornava. Insomma o erano due grandi attori e due grandi bugiardi o semplicemente nascondevano qualcosa, certo, ma non erano cattivi. Però, lei era stanca. Non poteva passare tutta la vita in quel mondo, dimenticandosi dei suoi affetti, della scuola, dei suoi progetti, solo per capire quale sconvolgente segreto si celava nei cuori di due perfetti sconosciuti. Chiuse gli occhi, dandosi mentalmente della bugiarda. Erano davvero due sconosciuti di cui non le importava nulla o stava mentendo spudoratamente anche lei?
<< Ah, eccoti. >> disse una voce alle sue spalle. Paper si voltò, sussultando.
<< Ehi. Dovevi parlarmi? >> chiese.
<< Sì. >> rispose Robin, mettendo le mani in tasca ed avvicinandosi a lei di qualche passo. << Non voglio sembrarti un prepotente, ma devo chiederti di lasciare stare Noah. >>
Paper sentì una botta sorda al petto.
<< Cosa? >>
<< Dimenticati di lui o vi farete del male a vicenda. >>
<< Perché mi stai dicendo questo? >> chiese, cercando di apparire indifferente, sorridendo appena.
<< Perché si vede da lontano un miglio che ti piace. >> rispose. Paper deglutì. Era stata così stupida da farsi scoprire? << Ho visto il modo in cui lo guardi e poi, diciamocelo, non lo nascondi molto. E poi sì, gioco in casa, dato che Noah è praticamente mio fratello. Mi ha raccontato di oggi. Fidati di me, sarà meglio per tutti. >>
<< COME POSSO FIDARMI DI TE?! >> sbottò, infuriata. Non erano di certo affari suoi se a lei piaceva Noah o meno. << Mi hai quasi uccisa! Due volte! >>
<< Avevi detto che mi avevi perdonato. >> ribatté, duro. I suoi occhi mandavano dei bagliori argentei.
<< Come faccio a perdonarti?! Nessuno ha mai tentato di farmi fuori per ben due volte consecutive! Non passa tutto schioccando le dita, sai? >> gridò. Cercò di riprendersi, ansimando. << Non devi intrometterti in questa storia per proteggerlo, non hai motivo di avere paura di me >> disse dopo un po’, guardandolo. Forse Robin temeva che lei gliel’avrebbe portato via o che l’avrebbe messo nei guai, perché lei non apparteneva al loro mondo. Lo comprendeva benissimo. Al contrario, Robin le rivolse un sorrisetto, rigirandosi qualcosa fra le dita. Sembrava un anello.
<< Volevo solo chiederti cortesemente di non fargli del male, perché ha già sofferto abbastanza. Ma comincio a pensare che tu sia davvero stupida. >> disse, facendosi scivolare l’anello al dito medio della mano sinistra. Paper, sotto i raggi lunari, riconobbe un marchio. << Credi che io, capo delle guardie, appartenente alla famiglia dei Lancaster, una delle famiglie che ha fondato questo mondo, tema una fragile ragazzina dell’Altro Mondo? Ti facevo più furba, Paper. >> continuò, avanzando verso di lei, con uno sguardo demoniaco. Paper indietreggiò verso la ringhiera, con il cuore che le batteva all’impazzata. Sbatté con la schiena contro il muretto, tenendosi con le mani.
<< Non voglio fargli del male. Non gli farei mai del male. >> disse spaventata, deglutendo.
<< Lo so. È per questo che ti sto chiedendo di andartene. >> replicò, facendo scintillare qualcosa nella mano destra. Paper stette per gridare, ma lui le tappò la bocca. << Non ce n’è bisogno. Finirà presto. >>
Paper sentì gli occhi bruciare.
Era lo stemma dell’aquila. Lo stemma del castello dei Corwin.
Sarebbe morta per essere rimasta. Sarebbe morta per essere rimasta per Noah ed Erin. Avrebbe pagato le conseguenze di un gesto avventato. Sua madre le aveva sempre insegnato a stare lontana dagli sconosciuti. Pregò per un miracolo. L’ultimo miracolo. Sentì la punta del pugnale pungerle lo stomaco. Chiuse le palpebre talmente forte da farle male. Non aveva la minima speranza di salvarsi, lui era mille volte più forte di lei. Avrebbe solo voluto rivedere i suoi genitori, per l’ultima volta. Robin tirò indietro il pugnale per prendere meglio la mira… ma non sentì nulla.
Lui indietreggiò con gli occhi sgranati, lasciando il pugnale. Quando lo sentì cadere, Paper riaprì gli occhi. Corse subito a prenderlo, puntandogli contro con mani tremanti, senza sapere minimamente cosa fare.
<< Io… Mi dispiace, Paper. Non volevo, sul serio. Non volevo farti niente. >>
Paper deglutì, continuando a tenere il pugnale in mano. Se le avesse giocato un altro brutto tiro, l’avrebbe trafitto in un occhio, poco ma sicuro. Sentì il sangue riprendere a scorrere nelle sue vene come fuoco.
<< Non mi fido più. Non posso. >>
<< Paper, per favore, non raccontarlo a Noah. Se sa che ho avuto un altro scatto con te lui… >>
<< Ti bandirà dal castello? >>
Robin deglutì, in silenzio.
<< Lo vedi questo? >> chiese, riferendosi all’anello. << Indica che siamo sottomessi ai Corwin. Potrei essere esiliato per sempre come nemico della corona e Noah non potrebbe farci niente. Ti prego, non dirlo a nessuno. So che non mi merito la tua pietà, ma ti supplico, non dirgli niente. >> disse, congiungendo le mani. Paper sospirò, non sapendo cosa fare. Non voleva rischiare di essere uccisa di nuovo e non voleva che Erin ci andasse di mezzo, ma non riusciva a pensare a Noah senza Robin. Quei due erano come fratelli da… sempre. Non poteva fare questo a Noah. E Robin le sembrava sincero. Ma cos’aveva? Perché si comportava in quel modo?
Si avvicinò a lui e gli porse l’arma. Robin la guardò a lungo, poi riprese il pugnale. Le baciò delicatamente il dorso della mano, come facevano i cavalieri con le damigelle. Paper si sentì a disagio.
<< Non lo saprà. >>
<< Grazie, Paper. >>
Paper annuì, guardandosi le scarpe. Persino i suoi piedi sembravano diversi, quella sera, dentro ad un paio di decolleté color carne. Si inumidì le labbra, prima di parlare.
<< Va bene. >>
<< A domani. >>
<< Non so se mi vedrai, domani. >> disse, guardandolo in viso. << Vado via. >>
<< Ah. >> replicò, lievemente sorpreso. << Allora, addio. >>
<< Non si dice mai addio. Me l’ha insegnato Noah. >>
Robin le sorrise lievemente, poi sparì dietro la tenda. Paper si voltò per guardare il cielo un’ultima volta. Avrebbe continuato a volergli bene anche nell’altro mondo o si sarebbe dimenticata di lui per sempre? Era certa solo di questo: se non avesse voluto, non l’avrebbe mai lasciato andare. Non ne avrebbe fatto parola con Erin. Doveva proteggerla, ma se gliel’avesse raccontato, non avrebbe fatto altro che aumentare le sue paure. Sarebbe rimasta comunque e lei non si sarebbe mai perdonata di un suo possibile passo falso da parte di Erin per quello che era accaduto.
Mentre Paper era intenta a rimuginare ancora su quello che era successo con Robin, Erin stava ballando al centro della stanza, attorniata da un sacco di ragazzi. Per una volta si sentiva al centro dell’attenzione e non per aver fatto una brutta figura. Tuttavia, al termine delle danze, un unico ragazzo attirò la sua attenzione. Quegli occhi grigi non riusciva proprio a toglierseli dalla testa. Forse era a causa di quel motivo che voleva rimanere a tutti i costi. Si avvicinò ai due amici. Robin stava dicendo qualcosa nell’orecchio a Noah e pochi secondi dopo lo vide correre via, verso il balcone e poi di nuovo fuori, alla ricerca di qualcuno o qualcosa.
<< Robin. Ehi. >> esordì.
<< Ciao. Bella festa, eh? >> chiese, senza la minima gioia.
<< Sì. >>
<< Vuoi ancora allenarti con me? >> chiese, evitando di guardarla. << Dopo quello che è successo, io… >>
<< Non crederai ancora che io abbia paura di te? >> domandò, sorridendo in modo malandrino. << Sì, mi sono un po’ spaventata, ma voglio allenarmi. Magari dopodomani andiamo a caccia, che ne dici? >> propose.
<< Cosa? Non vai via? >>
<< Ehm… Non lo so. Perché? >>
<< Perché Paper parte domani. >>
<< Eh?! Non me l’aveva detto! >>
<< A dire il vero, è stata colpa mia. >>
<< Perché l’hai quasi uccisa? >> chiese. Robin le lanciò uno sguardo scontroso.
<< Non volevo ucciderla. Ho solo avuto uno scatto d’ira e la seconda volta avrei solo voluto fermarla. >>
<< Avanti, non raccontarmi idiozie, Robin. Si è capito che non sai controllarti. Anche mentre allenavi me ho creduto che volessi farmi del male sul serio. >>
<< Allora cambia insegnante, nanerottola. Non sai nemmeno tenere in mano una spada. >>
<< Cosa?! Questo è un colpo basso! Sai cosa ti dico? MUORI! >> urlò. << Tu sei solo un violento! Sei un inutile capo delle guardie raccomandato, solo perché il tuo migliore amico è il principe! Hai vinto contro di me, solo perché non sono stata abbastanza attenta! >> gridò a pieni polmoni, alzandosi sulle punte e stringendo i pugni.
<< Adesso basta. >> ordinò Robin, mentre le dita avvolgevano l’elsa del pugnale che si portava sempre dietro.
<< Tu non sei il mio padrone. >> scandì Erin, con occhi fiammeggianti.
<< E tu non sei mia madre. >> replicò Robin, avvicinando il suo viso a quello della ragazza. Si rese conto solo in quel momento, mentre gli occhi saettavano a destra e a manca per incontrare quelli verdi della ragazza, che attorno a loro si era creato un silenzio inumano.
Erin si ritrasse immediatamente e Robin tolse la mano dal coltello, spaventato. Erin lo notò ed aprì la bocca, stupita, ma lui corse via prima che potesse pronunciare qualsiasi parola.
 
***
 
<< Mi sfogherò contro di te combattendo. >> disse Erin, sfoderando la spada. Robin sorrise.
<< Non vedo l’ora. >>
<< Prova ad uccidermi, se ci riesci. >>
Robin si slanciò in un attimo contro di lei, infuriato.
Come riusciva a fare finta di niente?
Se avessero potuto, le spade avrebbe emanato scintille di fuoco. Robin attaccò Erin, rabbioso, mentre lei si trovava sempre più in difficoltà e cominciava a capire che il fatto che l’avesse battuta, la volta prima, non era stato solo per un colpo di fortuna. Il sudore scendeva sulle tempie e lei cominciava a resistere sempre meno ai suoi affondi. Ad un certo punto crollò, cadendo a terra. La punta della lama di Robin era a pochi centimetri dal suo collo. Robin stava ansimando, indeciso sul da farsi. Erin serrò le palpebre.
Non farlo.
<< Alzati, non abbiamo ancora finito. >> disse il suo avversario, tornando al centro dell’arena.
Erin si alzò, titubante. Si spolverò i pantaloni, poi si ritrovò di fronte a lui.
<< Riesco a controllarmi. >> disse l’altro, aprendo e chiudendo una mano per sgranchirsi le dita.
<< Questa volta. >> ribatté Erin.
<< Stai cercando un pretesto per farmi arrabbiare? >>
<< So che mi stai nascondendo qualcosa. >>
<< Taci. Ricominciamo. >>
<< Dimmi cos’è! >>
<< Mantieni sempre la guardia! >> urlò Robin, scagliandosi contro di lei. Erin parò il colpo per un pelo e lo respinse.
Si passò una mano nei capelli, prendendo un bel respiro. Continuarono ad allenarsi per un altro po’, poi si fermarono quando videro Noah che si stava dirigendo verso di loro, con un’espressione più che irata.
 
<< Non andartene. >> disse, una volta che l’ebbe raggiunta. Paper lo guardò per un attimo, poi continuò a fare la valigia. << Paper, ti prego, rimani. Non so cosa ti abbia detto Robin, ma non riesco a lasciare che tu vada via. >>
<< Dimmi perché. >> replicò, bloccandosi a metà. << Ho bisogno di saperlo. >>
Il labbro inferiore gli tremò. Non sapeva cosa dirle. Paper scosse la testa, prima di prendere le ultime cose dall’armadio.
<< So che è un tuo diritto, ma io davvero non… posso. Comprendimi. >>
<< Io sono stata fin troppo comprensiva, con te, Noah. C’è qualcosa che continui a nascondermi e non voglio conoscere questo segreto per curiosità, ma solo perché così forse sarei in grado di aiutarti. Ma tu non me ne dai nemmeno l’occasione! >> gridò, gli occhi lucidi. << Mi dispiace, ma credo di meritarmi una ragione valida per rimanere. >>
<< Non voglio perderti. Ho già perso troppo. >>
<< Non basta. >>
Paper prese la borsa e la giacca ed uscì velocemente dalla stanza.
C’è l’altra nella tua testa, adesso.
Le gambe non accennavano a muoversi, ma il cuore continuava a battere freneticamente, sempre più rapido. La testa gli faceva male, aveva bevuto troppo, quella sera. Si affacciò alla finestra e si diede dello stupido, vedendo che Paper stava uscendo correndo per la strada. Pensò che non sarebbe mai riuscita a raggiungerla, pensò che quella era la giusta punizione per lui, per quello che non aveva fatto. Eppure, quando la sua fronte si poggiò sul vetro freddo della finestra e la vide scomparire nel buio, dalla sua bocca uscì un singhiozzo.       
No.
 
<< Sei un IDIOTA! >> urlò Noah, spintonando Robin.
<< EHI! Cos’è successo?! >>
<< Mi chiedi che cos’è successo?! Be’, è successo che tu non sai comandare bene le tue guardie! >>
<< Perché?! >>
<< Perché DAN È EVASO! >> gridò. Erin ebbe un colpo al cuore. Avevano già discusso sulla presunta apparizione di Dan ed avevano trovato un’opinione concordante, ovvero che l’entità avesse spie dappertutto e che avesse mandato quel fantasma solo per spaventarli. Come aveva fatto a scappare? Prima Paper, adesso lui… Cos’altro sarebbe dovuto andare storto, quel giorno?
La mancanza dell’amica le aveva fatto nascere un buco nero al centro dello stomaco. Non aveva nemmeno avuto l’occasione di salutarla... Non sapeva neanche cos’era accaduto la sera prima per farla andare via in quel modo. E poi, quello che meno la convinceva, era il comportamento furioso di Noah. Era completamente fuori di sé e guardandolo bene, riuscì persino ad intravedere il rossore nel bianco dei suoi occhi. Era solo stanco o aveva pianto tutta la notte? 
<< Calmatevi, ragazzi. >> disse, frapponendosi tra i due. << Rimetteremo tutto a posto. >>
Noah si girò, scompigliandosi i capelli in un gesto d’ira. Urlò, con un tono di voce che Erin non aveva mai sentito prima. Sembrava frustrazione. Se quella fosse stata una musica e lei avesse abbassato il volume fino a zero, avrebbe comunque sentito l’eco del suo dolore trapanarle i timpani.
Anche se non lo vuoi ammettere, so che è perché ti manca lei.
<< Noah… >> cominciò Robin, mettendogli una mano sulla spalla. << Non è per questo che sei arrabbiato con me, vero? >>
<< L’HO LASCIATA ANDARE! L’ho lasciata andare senza fare niente! Non ho mosso un dito, per lei! E non sono nemmeno capace di tenere un criminale in cella! >>
<< Lascia perdere Dan, di chi stai parlando? >>
<< Di Paper, è evidente. >> disse Erin. Per lei era così ovvio. Lo sguardo di Noah era vuoto e distante. << Stai parlando di lei, giusto? >>
Chi delle due è nella tua testa, adesso?
<< Sì. >>
Erin vide una figura riflessa nei suoi occhi e la bocca semi aperta per lo stupore. Robin si voltò e così anche lei.
<< Paper! >>
La ragazza sorrise, mentre gli occhi le si inumidivano.
<< Sono tornata. >>





Angolo autrici:
D'accordo, lo sappiamo, siamo in ritardo come al solito. Ci dspiace moltissimo, ma abbiamo avuto davvero un sacco di cose da fare e... Basta scuse. Passiamo al capitolo, che è meglio.
Robin è sempre più impulsivo e la situazione sta peggiorando a vista d'occhio, ma siete riusciti a capire perché si comporta in questo modo? In IMA i riferimenti sono sottili, ci sono tracce dappertutto, ma molto difficili da capire subito. No, state tranquilli, non abbiamo ancora svelato il motivo. In realtà si scoprirà molto più avanti, ma lasciamo stare xD
Le ragazze continuano a voler rimanere, ma in qualche modo, non si fidano più di Noah e Robin come all'inizio. I segreti fra di loro stanno distruggendo questo quasi - rapporto fra i quattro, ma manca davvero pochissimo ed uno dei tanti verrà svelato.
E poi il finale? Ve lo aspettavate? Le cose stanno cominciando a movimentarsi.
E nel frattempo, l'ombra dell'entità continua ad avanzare.
Ci piacerebbe davvero sapere una vostra opinione sulla storia e sui personaggi! Ce n'è uno che vi ha colpito di più? Cosa ne pensate?
Alla prossima! Speriamo presto... xD
E. & B.

 


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Hidden regrets ***


Capitolo 6
Hidden regrets

 
“I don’t know when I lost my mind,
maybe when I made you mine.
I don’t know when I lost my mind,
maybe it was everytime.
You said, that I miss you,
more than I let on, I kissed you
for far too long,
I'll let go as soon as you do,
see I know we're not through”.
{I miss you, Ed Sheeran}
 

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Sotto di lui, quello che sembrava un corridoio fatto di mattonelle. Cominciò a camminare, senza staccare gli occhi da terra. Non sapeva dove stesse andando, ma qualcosa gli diceva che, se si fosse voltato, avrebbe visto il vuoto. Ad un tratto, notò che stava lasciando delle orme rosse. Si guardò sotto i piedi, ma non c’era nulla. Riprese a camminare, ma il rosso del sangue, non liquido, continuava a rincorrerlo. In lontananza, vide due figure sedute in riva al mare, con l’orizzonte sullo sfondo. Il ragazzo, sulla destra, si levò la maglietta, mentre la ragazza continuava a gesticolare furiosamente. Lui rise, poi le diede un bacio sulla fronte. Quel ragazzo gli somigliava. Lei posò la testa sulla sua spalla, lasciando che i capelli castani le scivolassero sulle spalle, indicando lontano. Noah abbassò lo sguardo, dolorante, fermo nel bel mezzo della passerella.
Quel ragazzo era lui.
Venne risucchiato in un vortice, urlando senza voce. Sotto i suoi piedi c’erano ora quelle stesse mattonelle, ma stavolta riconobbe l’ambiente all’istante. Non era la spiaggia. Si guardò le mani, poco più grandi di quelle di una donna, le dita corte tipiche di un pianista, le unghie, anch’esse corte ed i palmi, pieni di sangue che percorreva tutto il braccio. Il rumore violento di uno sparo e poi, di nuovo il vuoto.
Si svegliò di soprassalto, grondante di sudore. Si mise a sedere sul bordo del letto. Gli incubi erano tornati e stavolta erano anche peggiori dei precedenti. Lo facevano sentire più in colpa. Si passò le mani sulla faccia, cercando di scrollarsi di dosso quello strano senso di paura che lasciano a volte i brutti sogni. Poi si sfilò la maglietta ed andò in bagno a farsi una doccia.
 
<< Certo che Noah è davvero sexy quando si arrabbia, non credi? >> chiese Erin a Paper, sorridendo. Paper, con le braccia conserte, le lanciò un’occhiata di rimprovero, poi tornò di nuovo a guardare Noah che stava sgridando una guardia.
<< Be’, in effetti sì. >> disse, prima di allontanarsi. Erin scoppiò a ridere.
Il fatto che fosse tornata Paper le aveva rimesso allegria. Ogni volta che le parlava aveva sempre una faccia scura e rispondeva a monosillabi, ma pensava che tutta questa freddezza fosse dovuta a Noah. Fra di loro c’era qualcosa di ancora più strano, negli ultimi tempi. Sembrava ci fosse una scarica elettrica che partiva da uno e finiva nell’altro, ogni volta che si incontravano. E poi, quando si guardavano… Erin si chiedeva sempre da dove venisse tutta quella timidezza negli occhi di Paper e tutto quell’ardore in quelli di Noah. Erano due mondi lontani e diversi che, in qualche modo, fondendosi avrebbero potuto creare qualcosa di meraviglioso. Scosse la testa, rabbrividendo. Troppi pensieri sdolcinati e romantici non facevano per lei.
Si diresse saltellando verso Robin, che era intento a lucidare la propria spada. Non aveva ancora capito cosa provava per lui, se paura o solo pura curiosità, ma ogni volta che guardava i suoi occhi, non faceva altro che rimanerne affascinata. Accidenti, stava davvero diventando una fanatica di dolcezza e cortesia proprio come Paper. Gli picchettò un dito sulla spalla e gli sorrise.
<< Che ne dici di fare qualcosa, oggi? >>
<< Non vuoi allenarti? >>
<< No, voglio fare qualcosa di diverso. >>
<< Credevo che non ti fidassi di me, che avessi paura. >> replicò facendole il verso, tornando con gli occhi sulla lama. Erin rimase interdetta.
<< Ti ho già detto che non è così. >> ribatté, stringendo i pugni. << Forse, se mi permettessi di avvicinarmi di più a te, di conoscerti… >>
<< E se io non volessi conoscere te? >> domandò, guardandola. Il suo sguardo era distante anni luce da lei.
Erin prese un respiro profondo, prima di parlare. Voleva restare calma il più possibile o gli avrebbe urlato in faccia.
<< Robin, non volevo dirti quello che ti ho sputato addosso alla festa. Io credo che tu non abbia mai avuto intenzione di farmi del male, è solo che hai dei problemi a controllarti. Tutto qui. >> rispose tranquillamente. Robin la scrutò attentamente, poi si alzò da terra e la fissò in modo ironico.
<< Ho capito più cose di te io che in pochi giorni, che Paper in dieci anni. Stai mentendo per convincere te e me che io sia un buono, ma sappiamo entrambi che se dovessi scegliere fra salvare te e me stesso, salverei sempre me. Tu sei lunatica, sei una ragazzina ingenua che crede nella magia, sei una falsa che non fa altro che esaltare se stessa per nascondere le proprie insicurezze. E adesso, dimmi che non ho ragione. >>
Erin non riuscì a capire perché aveva dovuto farle così male. Voleva solo allontanarla per non farla soffrire, a causa del segreto che stava nascondendo? La odiava davvero e lei non se n’era mai accorta? Be’, anche lei aveva capito molte cose su di lui. Non quanto Noah, ovviamente, ma lui lo conosceva da sempre. Aveva capito che nascondeva qualcosa, aveva capito che era leale con Noah come se fosse suo fratello, aveva capito che le brutte esperienze del suo passato lo avevano cambiato radicalmente, ma succede ad ogni persona. Non era diverso da lei, da Paper, da Noah o da chiunque altro. Ma lui le piaceva perché, per quante ne avesse passate, era rimasto lo stesso un buono. E per quanto le piacessero i ragazzi un po’ ribelli ed estroversi, lei rimaneva sempre e comunque dalla parte dei buoni.  
Si passò una mano tra i capelli, annuendo.
<< Hai ragione. Questo cambia tutto fra di noi, giusto? Io non ti piaccio. Va bene, va bene così. Tu mi stai simpatico, pensa. Questo è il guaio di noi ragazze: ci piace sempre chi non ci merita. >> replicò, con un dannato groppo in gola che avrebbe preferito non avere. Robin aveva guardato da un’altra parte per tutto il tempo. << Ci vediamo. >>
Erin si allontanò e vide in lontananza Paper che cercava di calmare Noah. Le sue mani, dolci e fragili allo stesso tempo, cercavano di evitare che lui si portasse per l’ennesima volta le mani alla testa. E fu lì, mentre le immagini andavano a rallentatore, che li vide chiaramente per quello che erano. Riuscì a vederli dentro. Lui, un animo tormentato che portava un segreto gravoso sulle spalle; lei, un’anima troppo ingenua e gentile, che si piegava ai capricci del principe, solo per potergli stare più vicina. Forse anche lei avrebbe dovuto fare lo stesso, con Robin. Avrebbe dovuto stargli vicino, finché lui non si fosse accorto che lei, per lui, era diventata importante.
<< Robin… >> lo chiamò, voltandosi, ma quando lo fece, il ragazzo era già scomparso.
Abbassò il capo, sconfitta fin nelle ossa.
***
 
Era ormai pomeriggio, quando la porta della stanza di Paper si aprì. Alzò lo sguardo e notò Noah. Mise da una parte la maglietta che stava piegando e si sedette meglio sul letto. Sapeva di dover tornare indietro, nell’Altro Lato, ma non riusciva mai a farlo, quindi tanto valeva aspettare ancora un po’. Anche se una parte di lei continuava a ricordarle, con una vocina fastidiosa che le ricordava tanto quella di sua madre, che avrebbe dovuto tornare a casa presto. Di sicuro i suoi genitori avevano già chiamato la polizia e lei non aveva davvero il coraggio di darsi per dispersa per altro tempo. A giorni, sarebbe tornata a casa.
<< Ehi. >> disse. Noah le sorrise, chiudendosi la porta alle spalle.
<< Ciao. Tutto bene? >>
<< Sì. >>
<< Credevo che volessi sapere i nuovi sviluppi riguardo a Dan. >>
<< Dimmi tutto. >>
<< Le mie guardie non l’hanno ancora trovato. >> replicò. Paper ridacchiò.
<< Lo dici col sorriso. >>
<< Non so come, ma oggi mi hai fatto stare bene. >>
<< Dici sul serio? >> chiese, confusa. Noah si sedette di fronte a lei.
<< Mi hai fatto capire che è più importante ciò che siamo noi, quello in cui crediamo e quello che abbiamo. Sai, mi sono sentito davvero piccolo. Ho fatto una passeggiata per il paese e ho visto bambini giocare, donne vendere il pane per pochi soldi, ragazzi ridere… Però ho notato che da nessuna parte, su nessun viso, c’era la tua voglia di vivere. Ed io credo di essermi innamo… >> stava dicendo, ma qualcosa lo fece interrompere. Sembrava una forza invisibile, una mano che gli aveva afferrato il respiro. Ogni volta che parlava, Noah sembrava scontrarsi con una parete a rete di gelatina che non riusciva ad oltrepassare.
<< Sì? >>
Noah provò di nuovo a parlare, a stento.
<< Credo di essermi innamorato delle tue convinzioni. >> disse alla fine, deglutendo. Il cuore di Paper urtò contro il petto, cominciando a battere freneticamente.
Forse si stava sbagliando, ma gli occhi di Noah continuavano a cercare i suoi, veloci. Paper rimase senza parole, optando per sorridere semplicemente. Non era sicura di quello che provava e nemmeno di quello che avrebbe potuto fare. Forse Noah voleva solo essere gentile con lei e lei invece aveva frainteso tutto come al solito. Ma se voleva solo essere cortese, perché l’aveva fermata sotto la pioggia, rischiando di prendersi un raffreddore e non l’aveva lasciata andare via? Sentiva una scarica elettrica che si spargeva per tutto il corpo, nonostante i suoi movimenti fossero completamente bloccati. Se non l’avesse fermata prima, lei l’avrebbe fatto. Non le importava delle conseguenze, arrivati a quel punto.
Noah si sporse leggermente verso di lei e lei fece lo stesso.
Lo faccio. Lo faccio.
Sentiva il suo respiro contro le labbra, come se fosse più vicino di quanto non fosse già. Allungò la mano sino a sfiorare le sue dita e lo sentì quasi sussultare. Le venne da sorridere. La sua bocca era a poca distanza da quella di Noah… All’ultimo secondo, Noah si tirò indietro di scatto. Paper si guardò le gambe, delusa. Noah si alzò in fretta, passandosi una mano sulla nuca, imbarazzato.
<< Scusa. >> disse. Paper deglutì, guardandosi le scarpe.
<< Non fa niente. Dimmi solo… Dimmi solo se hai bisogno di una mano. Sai, per cercare Dan. >>
<< Sì… io… lo farò. Contaci. >>
<< D’accordo. >>
Noah, una mano ancora sulla porta, si voltò a guardarla. Si era tirato indietro come un vigliacco, ma qualcosa dentro di lui l’aveva fermato. Avrebbe voluto spiegarle il motivo, dirle cosa c’era che non andava in lui, perché smettesse di guardarlo ogni volta come se fosse un giocattolo rotto da dover aggiustare, ma non poteva. Non poteva dirle niente.
<< Ehi, Erin ha pensato che potremmo giocare a Paintball, più tardi. >> disse solo.
<< Ci sarò. >>
<< Bene. A dopo. >>
<< A dopo. >>
Una volta che la porta si fu richiusa alle sue spalle, Paper si stese sul letto, stringendo le palpebre e battendo un pugno sul materasso.  
Torna indietro.
 
Alle sei passate, Paper si presentò all’appuntamento. Erin la salutò raggiante, portandole l’occorrente per giocare. Aveva passato tutto il giorno nell’arena ad allenarsi da sola, tagliando l’aria con la spada e facendo flessioni. Era stato quasi rilassante ed anche, in un certo senso, consolatorio. Aveva creduto di vedere Robin spiarla dalla finestra, ma poi si era resa conto che era solo una sua fantasia.
<< C’è qualcosa che non va? >>
<< Cosa? No. >>
<< Paper, ti conosco fin troppo bene. Hai quell’espressione. >>
<< Quale? >>
<< Quella. >>
<< Questa? >>
<< Sì, quella. >>
<< Quella o questa? >>
<< PAPER! >>
Paper le sorrise.
<< Va tutto bene, non è successo niente. >>
<< Ha a che fare con Noah? >> chiese, assottigliando gli occhi. Paper abbassò lo sguardo.
<< Sì. >>
<< Cos’ha fatto, stavolta? >>
<< Ehi! >> esclamò Robin, arrivando insieme a Noah.
<< Te lo racconto dopo. >>
<< Per una volta hai avuto una bella idea, recluta. >> commentò Robin, schernendola. Erin gli fece la linguaccia.
<< Che squadre facciamo? >>
<< Io e Robin contro te e Paper. >> rispose prontamente Erin. << Non voglio sentire storie. >> aggiunse, lanciando un’occhiata a Paper, che avrebbe voluto strozzarla. << Andiamo, miei prodi! >>
Robin non riuscì a trattenersi dal ridere.
Qualche minuto dopo, Paper si stava aggiustando la maschera sul naso. Noah si mordeva il labbro inferiore, guardandola, per cercare di non ridere. Non era sua intenzione prenderla in giro, ma si vedeva che non aveva mai giocato.
<< Paper, è a posto. >>
<< Non è vero, non vedo niente! >>
<< Aspetta, ti aiuto io. >>
Noah le si avvicinò e le mise a posto la mascherina.
<< Ecco fatto. >>
Guardò i suoi occhi e sentì un nodo stringergli lo stomaco. Paper sospirò, con un’espressione davvero triste sul volto. Noah finse di non farci caso e deglutì, caricando la pistola.
<< Andiamo. >>
<< Sì. >>
Paper si nascose dietro un muro a destra, mentre Noah si diresse in un corridoio a sinistra. Di Robin ed Erin neanche l’ombra.
Come abbiamo fatto a tornare ad essere così lontani?
Paper proseguì per la sua strada. Guardò subito a destra, poi a sinistra. Niente. tutta quella tensione le dava fastidio. Aveva altro a cui pensare. Fece qualche altro passo, poi si appoggiò ad un muro e rimase in quel corridoio per un po’.
 
Dall’altra parte, Erin stava inseguendo Noah. Era successo qualcosa con Paper e voleva saperlo da lui. Non sapeva perché, ma credeva che parlare con lui le avrebbe dato una risposta più chiara. Saltò fuori all’improvviso, puntandogli la pistola in faccia.
<< Hai perso. >> disse. Noah alzò le mani. << Se mi dici cos’è successo con Paper, ti faccio vincere. >>
Noah stette per rifiutare, poi cedette.
 
Robin non riusciva a sentire nemmeno un suono. Era possibile che fossero così brave, quelle due? Arrivò in un corridoio apparentemente vuoto, ma quando si voltò, vide Paper e le sparò di
riflesso.
<< Ehi! >> esclamò. << Anzi, sai che ti dico? Non me ne frega niente. >>
<< Stai bene? Scusa, non volevo spararti alle spalle. >>
<< Non fa niente. Mi sono stufata. >>
<< C’è qualcosa che non va? >>
<< Io ho cercato di stargli alla larga, davvero, ma oggi è venuto nella mi stanza e… >> disse. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno. Robin la guardò come per spingerla a continuare. << Mi ha quasi baciata. >>
Robin chiuse gli occhi.
<< Questa non ci voleva… >>
<< Ma si è tirato indietro! Robin, parlami. Io ed Erin sappiamo che ci nascondete dei segreti. Quali sono? >> chiese Paper, spostandosi dal muro, frustrata.
<< Non posso dirti nulla. >>
Paper annuì, arrabbiata.
<< Va bene. Voglio solo che tu sappia che non ti servirà a niente, tenerli dentro. Finiranno solo per distruggerti. I segreti sono capaci di farti a pezzi. >>
E tu lo sai bene.
 
<< Perché non l’hai baciata? >>
<< Perché non mi sento ancora pronto. >>
<< Cosa vuol dire? Non hai mai baciato una ragazza? Non ci credo, un bel figo come te! >> esclamò Erin, incredula.
<< Non è per questo… >> stava dicendo, poi alzò un sopracciglio. << Mi trovi figo? >>
<< Stavamo parlando di Paper. >> replicò Erin, sviando la domanda.
<< Non ho voglia di parlarne. >>
<< Noah, smetti di tenere tutti questi segreti. Vuoi che Paper ci ripensi e che se ne vada per davvero? >>
<< No! >> urlò, poi si ricompose. << Voglio dire, certo che no. >> disse, con tono più composto.
<< Allora diglielo. Dille perché stai male, raccontale questo grande segreto che non ti fa dormire la notte. >> replicò. Noah deglutì. << Paper è la persona più buona, dolce e gentile che io conosca. Non ti giudicherà mai. Non sputa sentenze, non ti dice che hai sbagliato e che fai schifo, lei ti risolve il problema e non ti chiede nulla in cambio. Non avere paura di aprirti con lei, non la perderai. Se tieni davvero a lei, devi dirglielo o se ne andrà e tu lo rimpiangerai per sempre. >> disse. Noah sospirò, poi annuì.
<< Va bene. Lo farò. >>
<< Bravo. >>
Erin indugiò per un attimo, poi gli sparò.
<< Non vale! >> esclamò Noah, piccato.
<< Tutto è lecito, in Paintball e in amore. >>
Noah le sorrise.
<< Non fa una piega. >>
 
***
 
Quella sera, dopo cena, Paper si rintanò sulla torre più alta del castello. Non le era mai piaciuta molto l’altezza, ma stare lassù le dava un’atmosfera di pace e tranquillità. Aveva bisogno di pensare a quello che le stava succedendo e sentiva che il tempo le stava scivolando via dalle mani. Da una parte c’era ancora la voglia di tornare a casa, ma si era affievolita sempre di più, ormai. Dall’altra parte, invece, c’erano Noah, Robin, Erin e adesso anche Dan. Le sarebbe sembrato di lasciare le cose a metà, andando via il giorno dopo, ma era ancora combattuta. In fondo, chi era lei per Noah? Chi era per Robin? Cos’era quel mondo, per lei? Si divertiva molto a stare in compagnia dei ragazzi, ma a volte si chiedeva se sarebbe cambiato qualcosa, se lei se ne fosse andata e non avesse fatto più ritorno.
<< Non mi hai ancora detto perché sei tornata. >> disse una voce dietro di lei. Paper si girò.
<< Noah. >>
Noah accennò un sorriso, tenendo le mani dietro la schiena.
<< Allora? >>
<< Sono tornata per te. >> disse, alzandosi ed avvicinandosi a lui. Noah sussultò. << Basta bugie, basta sotterfugi, basta segreti. Siamo solo Paper e Noah, adesso. Sai che puoi dirmi qualsiasi cosa. >>
Noah la fissò per un attimo, poi guardò verso l’orizzonte.
<< Lo chiamiamo: “Il Mondo Attraversabile”. >> disse, con la bocca asciutta. Paper aggrottò le sopracciglia per un secondo. Lo sapeva già, perché Noah le stava ripetendo quel nome? Poi capì che forse era solo un espediente che usano i principi per spingerti a prestare più attenzione alle loro parole, come quando un professore in classe chiede qualcosa di ovvio per tenere svegli gli studenti.
<< Perché? >> chiese allora Paper.
<< Perché si può attraversare. Chiunque può entrare e chiunque può uscire. >>
<< Ma tu non esci mai. >>
<< Non ti sei mai chiesta perché? >>
Paper lo guardò, confusa.
<< Be’, credo che sia perché sei il principe. Hanno bisogno di te. >>
<< Non esattamente. Quattro anni fa, ho commesso un peccato che non mi perdonerò mai. >> rispose, sospirando. Gli pesava molto ammetterlo.
<< Cos’è successo? >>
Per un momento, Noah non rispose. Guardava lontano, osservando una stella che sembrava essere più luminosa delle altre, con occhi brillanti. Sentiva un peso sul cuore, gravoso e tanto, tanto pesante, che gli impediva di parlare. E poi c’era il solito nodo alla gola, il ricordo del sogno di quella mattina, la memoria di quell’orribile, orribile errore. E poi ripensò alle parole di Erin. Paper non l’avrebbe mai giudicato per quello che aveva fatto e ci credeva, ma poi? Lei avrebbe continuato a fidarsi di lui? Sarebbe partita? Avrebbe cominciato a guardarlo come un uomo a metà, senza spina dorsale, da allontanare e non da amare? Non era sicuro di poter superare anche quello. In realtà, l’unica sicurezza che aveva era che Paper era diventata troppo importante per poterla perdere adesso. Ma come poteva chiederle ancora di stargli accanto, senza sapere perché lui, al contrario, continuava a respingerla?
Furono i suoi occhi a guidarlo. Lei lo guardò preoccupata e forse un po’ confusa, ma non in maniera sentenziosa o intimidatoria. Le sfiorò le dita, non riuscendo a parlare. Il contatto fisico era l’unica cosa che gli rimaneva. Lei abbassò lo sguardo sulle loro mani, ma non parlò. Il cuore di Noah batteva forte, sentiva le guance accaldarsi, il sangue defluire dalle labbra, ma rimase immobile, a guardare le sue dita muoversi da sole e cercare quelle di Paper.
<< Ho bisogno di te. >> disse, non riuscendo più a trattenersi. Le parole erano uscite da sole dalla sua bocca asciutta. Paper alzò lo sguardo. I suoi occhi erano azzurri come il cielo d’estate, Noah non se lo sarebbe mai dimenticato. Riusciva a vederli brillare persino alla luce della luna.
<< Non devi avere paura di me, se hai bisogno di me. >> replicò Paper, stringendogli la mano.
Noah prese un bel respiro, prima di parlare. Non aveva paura di lei, uno scricciolo, ma della sua reazione. Forse era quello che lei intendeva. Fidarsi significa non avere paura.
<< Avevo sedici anni e mi ero fidanzato con una ragazza del tuo mondo. Ero profondamente innamorato di lei. Profondamente. Be’, un giorno siamo usciti per farci un giro e siamo entrati in una banca. Lei adorava entrare ed uscire dalla vita della gente per divertimento. Le piaceva aiutare gli animali feriti e li portava subito da un veterinario, facendogli passare un brutto quarto d’ora, perché era veramente petulante. >> disse, ridacchiando. Paper abbozzò un sorriso. << La periferia di Londra aveva un piccolo borgo, a quel tempo, in cui vivevano pochissimi abitanti. Lei riusciva a capire quando avevi un problema solo guardandoti negli occhi per un istante. Ti guardava attentamente, ti sfiorava la fronte con un dito e capiva se stavi male per la febbre o per qualcos’altro. E quasi sempre, era per qualcos’altro. Era gentile, un po’ come te. >> raccontò. Sembrava che stesse rivivendo tutto di nuovo, mentre raccontava. Sembrava che non fosse mai uscito da quel ricordo. << Be’, quel giorno ci fu una rapina. Entra una donna sui quarant’anni con un passamontagna ed un mitra. C’è poca gente, i commessi si nascondono, schiacciano il pulsante rosso per chiamare la polizia, ma non arriverà mai in tempo. Io mi barrico sotto ad una scrivania e lei, la mia ragazza, dietro ad un paio di sedie girevoli. La donna si volta ed io faccio a cambio con lei, perché la scrivania non è troppo alta e voglio proteggerla, voglio che la donna non la veda. Ho il sentore che qualcosa stia per andare storto, ma non gli do peso. Commetto un errore enorme. La donna è spaventata, va nel panico per l’arrivo della polizia e minaccia di sparare a qualcuno. Certe notti sento ancora la sua voce stridula che grida. >>
 
<< Non mi credete?! Be’, dovrete farlo! >>
 
<< Non dirmi che… >>
<< Sparò a lei. >> disse, con la voce che si spezzava. << Sparò a lei con la pistola. >>
Noah tirò su col naso, asciugandosi le lacrime.
<< Noah, io… >>
<< Le ha sparato a freddo. È colpa mia. >>
Paper si avvicinò di più a lui.
<< Non è colpa tua. >>
<< È colpa mia, perché non avrei mai dovuto fare a cambio con lei. >>
<< Non potevi saperlo. >>
<< Il prete non ha voluto darmi l’assoluzione. >>
<< Non ne hai bisogno, non dipendeva da te. >> disse, scuotendolo per le spalle. << Guardami. Non è colpa tua. >> scandì. << Non è colpa tua. >>
Gli occhi di Noah si riempirono di lacrime e la strinse forte a sé, facendole male, singhiozzando più volte.
<< Io la amavo… >>
<< Lo sapeva. Ne sono certa. >>
<< Non sono più tornato, dopo il suo funerale. Suo padre mi odiava e sua madre era distrutta dal dolore. Ho saputo che quella donna è morta in carcere, due mesi dopo. È per questo che non volevo farti entrare nella mia vita, all’inizio, perché ho odiato tutte le donne provenienti da quel mondo. Perché ognuna di loro avrebbe potuto ucciderla. E perché loro erano vive e lei, che era una povera ragazza innocente, è morta così giovane. >> disse.
Paper lo strinse ancora più forte.
<< Mi manca. >>
Voglio starti vicino.
Paper prese il suo viso fra le mani e lo guardò negli occhi.
<< Andrà tutto bene. Il tuo cuore non potrà mai dimenticarsi di lei. >>
<< Tu le somigli tanto. Non voglio che te ne vada. >>
Paper respirò piano.
<< Resterò. Tu sei la mia ragione per restare. >>
Noah le sorrise.
<< Puoi restare con me per sempre. >>
Paper lo abbracciò di nuovo.
Per anni, aveva creduto che morte di quella ragazza fosse dovuta ad una sua mancanza, che fosse stata una punizione per tutto il male che aveva procurato a qualcuno senza volerlo. Ma in quel momento, in quel lungo abbraccio con Paper, capì che non era stata colpa sua, che lui non avrebbe potuto fare niente per fermare il corso degli eventi. Si ricordò di quel giorno, di come gli aveva offerto il tè al limone che tanto amava, sorridendogli. Si ricordò di quando avevano dormito insieme, stretti e lui le aveva confessato di amarla. Ogni tanto gli mancava ancora il respiro, quando ci ripensava. Era come se gli stessero stringendo il cuore fino a farlo sanguinare e lui non potesse frenare quell’incidente, non potesse aiutarla o salvare se stesso. Si era innamorato una sola volta nella sua vita e non sapeva se ne era ancora capace. Magari, era solo che non voleva, per non fare torto alla memoria della sua ragazza. Però non poteva fare a meno di riconoscere questo a Paper, che lei era riuscita a fare e nessun altro ne era stato capace: farlo sentire protetto.
Quella notte, Noah riuscì a dormire, per la prima volta dopo quattro anni, senza sognare. Di solito faceva degli incubi pieni di sangue, che gli ricordavano sempre quel maledetto pomeriggio. Quella notte, nel letto accanto a Paper, con la sua mano, piccola, stretta nella propria ed il suo respiro lento, riuscì a chiudere gli occhi.



Angolo autrici: 
Ebbene sì, siamo ancora vive. 
Dunque, questo capitolo è interessante... La rivelazione di Noah fa finalmente capire perché si era comportato in quel modo fino ad ora! *balliamo la samba*
Erin e Robin non hanno avuto molti momenti fra di loro qui... c'è stato più spazio per Noah e Paper, ma ce n'era bisogno. Noah si fida di lei ed aveva bisogno di una persona che non l'avrebbe giudicato o deriso. Qualcuno di estraneo, che non fosse Robin.
Nel caso ve lo steste chiedendo... la ragazza nell'immagine all'inizio è la fidanzata di Noah xD
Cosa ne pensate? Vi è piaciuto il capitolo? Ed il grande segreto di Noah?
Ma questo è stato solo il primo step... il prossimo capitolo sarà quello davvero importante. Aspettate con pazienza! xD
Alla prossima!
E. & B. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Bloodlines ***


Capitolo 7
Bloodlines

 
“And I’ve been a fool and I’ve been blind
I can never leave the past behind
I can see no way, I can see no way
I’m always dragging that horse around”.
{Shake it out, Florence & the Machine}
 

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<< Sei stato abile nel corrompere quella guardia. Credevo che ormai fossero tutte fedeli al principe. >> disse la voce, lontana, che dava brividi come una matita spezzata che sfrega sulla lavagna.
<< Il cuore di un uomo può sempre essere corrotto. E se quell’uomo non è corruttibile, bisogna ricattarlo. Basta solo trovare il suo punto debole. >> replicò l’altro, spavaldo, cercando di nascondere il timore che aveva nel petto. Ma i suoi occhi, oh, i suoi occhi non erano di certo bravi in quel gioco.
<< E dimmi, hai trovato quello del principe? >> chiese la voce, quasi dolcemente, avvicinandosi.
Il ragazzo guardò di fronte a sé confuso.
<< Credevo che ci interessasse solo la ragazza. >> rispose. Sentì un grugnito provenire dall’altra parte della tenda rossa. << Volevo dire… certo. Certo che lo so. L’ho capito dal primo momento in cui l’ho potuto avvicinare. La moneta era solo una scusa. >>
<< L’avevo capito. Ebbene? Qual è? >> domandò, impaziente.
Sotto la fievole luce lunare, sul volto del ragazzo si fece strada un ghigno.
<< Una donna, ovviamente. >>
 
***
 
<< Stai zitto o ci farai beccare! >>
<< Ma figurati! AHIA! >>
<< Te l’avevo detto! >>
Paper si svegliò di soprassalto ed anche Noah cominciò ad aprire gli occhi.
<< Erin! Robin! >> esclamò Paper, tra lo spaventato e l’imbarazzato. << Cosa ci fate qui? >>
<< Siamo venuti a controllarvi, che domande! >> rispose Erin, mentre Robin metteva a posto la lampada contro cui era andato a sbattere. Erin gli lanciò un’occhiataccia.
<< Che c’è? Non è colpa mia! >>
<< Sì, certo, come no. Comunque, cos’avete fatto, stanotte? >> chiese Erin ai due, ammiccando. Noah riuscì a stento a metterla a fuoco.
<< Ma cos’è, un panda? >> chiese, ancora assonnato. Erin gli tirò un pizzicotto. << AHIA! Sono sveglio, sono sveglio! >>
Noah si alzò dal letto e così fece anche Paper.
<< Dovrei dedurre che non sia successo niente, fra di voi? >> domandò Erin, squadrandoli dalla testa ai piedi, con un ghigno malizioso sul volto. I ragazzi portavano ancora i vestiti della sera prima.
<< Eh, già. >> rispose Paper. Erin sbuffò delusa, incrociando le braccia.
Paper andò verso il bagno e così anche Noah. Erin scoppiò a ridere, mentre Paper arrossiva di botto e Noah si grattava la nuca.
<< Teoricamente è camera tua, dovresti andare prima tu. >> disse Noah, facendo un passo indietro.
<< Sì, ma tu sei il principe. >>
<< Insisto. Prima le signore. >>
<< D’accordo… Ci vediamo fra poco, vado a farmi una doccia. >> replicò Paper, imbarazzata.
<< A dopo. >> disse Noah, sorridendo. Robin sghignazzò. Adorava vederlo in difficoltà in quel modo.
<< Vieni Robin, lasciamo da soli i due piccioncini. >> disse Erin, prendendolo sottobraccio. Noah, se avesse potuto, le avrebbe fatto un occhio nero, così avrebbe avuto davvero l’aspetto di un panda.
Una volta fuori dal castello, Erin notò che Robin aveva un’espressione che non le piaceva affatto. Sapeva che non le avrebbe confidato nulla neanche sotto tortura, ma lei aveva cercato di fargli capire in tutti i modi che poteva fidarsi di lei. Non capiva da dove venisse tutta quella paura di aprirsi. Era anche vero che lei e Robin non si conoscevano affatto. Forse aveva avuto qualche trauma da piccolo che lo aveva segnato per sempre. Certo, se solo gliel’avesse detto…
<< C’è qualcosa che non va? >> chiese, con le mani dietro la schiena.
<< Sono preoccupato per Noah. Ha sofferto davvero tanto in passato e non voglio che stia male di nuovo. >> rispose. Erin non si sarebbe mai immaginata una risposta così tranquilla.
<< Paper è una ragazza a posto, Robin. >> disse Erin, rivolgendogli un sorriso dolce.
<< Sì, ma non fa parte del nostro mondo. >> ribatté. Erin si fermò di botto, punta nel vivo.
<< Cosa vorresti dire? Nemmeno io ne faccio parte, eppure sono qui. >>
<< Sto dicendo che prima o poi dovrà tornare a casa. >>
<< E se lei non volesse? >>
<< Lei o tu? >> chiese, guardandola finalmente in faccia. Erin non rispose, continuando a guardarlo negli occhi.
<< Cambierebbe qualcosa, se rimanessi? >>
<< Per me? >> domandò. Erin annuì. << No. >>
<< Credevo che fossimo diventati amici. >> disse Erin, accarezzandosi un braccio, delusa.
<< Si può sapere che cosa vuoi da me, Erin? >> chiese Robin, stanco. << Insomma, ogni volta mi chiedi se siamo amici. No, non lo siamo e forse non lo saremo mai. Io e te non siamo niente. Non mi conosciamo nemmeno! Lasciami in pace, tanto non manca molto al tuo ritorno a casa. Dimenticati di me. >> replicò, prima di voltarsi per andarsene. Erin lo bloccò per un braccio. Ci sarebbe voluto molto di più per allontanarla da lui. Avrebbe dovuto attentare a ciò che aveva di più caro al mondo.
<< Non potrò mai dimenticarmi di te. >>
Qualcosa scattò all’improvviso negli occhi di Robin. Era come se un guizzo di fiducia o forse solo di pazzia fosse sbocciato nel grigio, che ora appariva brillare come il mercurio sotto il sole. Erin non sapeva cosa, ma le dava sicurezza. Forse era finalmente riuscita a fare quel passo in più che l’avrebbe avvicinata a lui.
<< Vieni con me. >>
 
Paper guardò Noah di sottecchi, facendo finta di niente. Continuava a guardarla e poi ad aprire la bocca come per parlare, ma senza che ne uscisse un suono. Paper si fermò e lui continuò a camminare per il prato. 
<< Noah. >>
<< Uh? Ah, scusa, non mi ero accorto che ti fossi fermata. Stai bene? >>
<< Cosa succede? È tutto il giorno che non mi parli. >>
Noah si morse il labbro inferiore, non sapendo cosa dire.
<< Noah. >> disse Paper stancamente, sospirando. Lui prese a tormentarsi le dita.
<< Dobbiamo parlare di ieri sera. Ecco, non vorrei che ti facesse delle strane idee. Io non ho ancora dimenticato la mia ragazza di quattro anni fa e non voglio che tu pensi che ci sia qualcosa fra di noi. >> disse. Paper avvertì una botta sorda al centro del petto. << Perché non c’è. >>
Non era più in grado di parlare. Perché le stava facendo questo? Sembrava che si fosse fidato di lei, sembrava che la volesse accanto a sé, sembrava che si fosse innamorato di lei. Paper capiva che si sentiva ancora in colpa, capiva che avesse bisogno di tempo per superare quella morte, ma ne aveva avuto, dato che ormai erano passati quattro anni! Poi, un attimo dopo, la rabbia passò e lasciò il posto all’amarezza. Non sarebbe mai stata amata nel modo in cui voleva lei. Noah non l’avrebbe mai ritenuta degna di un principe o comunque, per quanto lei volesse continuare a farsi del male sperando, lui non l’avrebbe mai considerata all’altezza di quell’amore che aveva perso. E c’era un’unica spiegazione a quello, anche se qualcuno potrebbe dire il contrario. Gli amori giovani non si dimenticano mai. Soprattutto se sono morti. Noah non avrebbe mai dimenticato quella ragazza, nello stesso modo in cui Paper non avrebbe mai dimenticato Noah.    
<< Ah. >> riuscì a stento a dire, un minuto dopo. Noah annuì, deglutendo.
<< Già. Torniamo al castello? >>
Paper sbatté le palpebre, reprimendo le lacrime.
<< Sì. >> rispose, prima che la voce le si spezzasse definitivamente.
 
<< C’è un’entità malvagia, nel nostro mondo. Non ha un nome, non ha un aspetto, non ha una voce. O meglio, ha un aspetto suo, ma è quello del fumo. È un’ombra gigantesca e senza forma, come se non avesse un contorno, d’un viola tendente al nero. Sappiamo solo che è fatta da tutto il male che c’è in questo mondo. Lo prende dagli uomini. Ti sorprenderesti, se sapessi quanti pensieri orribili abbiamo nelle nostre menti, Erin. >> raccontò Robin, guardando lontano, verso le montagne. Erano seduti sulla collina verde dietro il castello. Robin le aveva confidato che quello era il posto preferito di Noah da sempre. << Comunque, la mia famiglia fa parte della sua setta, chiamiamola così ed io sono scappato da loro quando avevo quindici anni. Non sono d’accordo con il loro stile di vita e non credo in quello che loro danno per oro colato. Tuttavia, molti lo reputano come un’ancora di salvezza, perché va a dire in giro che sta arrivando il finimondo ed il padre di Noah, il re, riesce solo a dire che non è vero, senza mostrare loro delle prove. Il re l’aveva sconfitto molto tempo fa, quando Noah non era ancora nato. E da allora credevamo che fosse finita. Può essere sconfitta solo da un cuore puro nella sua forma originaria, ovvero un cuore senza segreti o quando si trova nel corpo di una persona, uccidendo la persona stessa come effetto collaterale. >> spiegò gravemente. Erin sospirò. << Ma ora, lui è tornato e noi non possiamo fare altro che armarci e combattere, sperando di perdere meno soldati possibili. Vedi Erin, gli uomini non fanno altro che credere qualcosa di tangibile, ma quando si tratta di credere in una religione, hanno fede. >>
Erin lo guardò con ammirazione. Era riuscito a scappare dalla sua famiglia e adesso si stava aprendo con lei, provando tristezza, lo sapeva. Poteva leggere le sue emozioni negli occhi. Era quello il grande segreto che gli pesava nel petto come un’incudine, che lo lasciava senza respiro. Adesso finalmente poteva comprenderlo.
<< Hai avuto un gran coraggio. >>
<< O una gran paura. >> disse, sorridendo appena. Erin gli strinse la mano. Robin se ne accorse, guardandola, ma non si ritrasse. Poteva essere considerata una vittoria.
Si alzarono da terra e riprese la loro passeggiata. Continuarono a camminare, in silenzio, finché il crepuscolo non li raggiunse.
 
***
 
<< Noah è un idiota, è appurato. Avanti, si vede che gli piaci da morire! >> esclamò Erin, seduta sul letto.
<< Lui non è del tuo stesso parere. >> ribatté Paper amara, stringendo un cuscino, stesa accanto all’amica.
Avevano passato la maggior parte del tempo in quel modo, parlando di Noah e di Robin principalmente, ma anche dell’Altro Mondo, dei genitori, della scuola, dei loro progetti per il futuro… Fin da quando erano piccole, Paper ed Erin avevano sempre avuto un’alchimia perfetta. Riuscivano a parlare di un argomento per soli dieci minuti, ma riuscivano ad estrapolarne la parte migliore. Durante un discorso saltavano di continuo da una storia all’altra, completando i pensieri a vicenda o le frasi, parlando talvolta molto velocemente, come fanno spesso le ragazze, lasciando persino i loro genitori sconcertati riguardo a quanto fossero amiche. Era bello avere un’amicizia del genere, semplice e senza tanti fronzoli, in cui ognuna delle due riusciva a dare qualcosa all’altra. Di solito Paper elargiva ad Erin il buonsenso o giusti consigli, mentre Erin donava a Paper la capacità di uscire fuori dagli schemi, di buttarsi in qualcosa in cui credeva. Per tutti questi motivi e per tanti altri, per loro era sempre stato arduo trovare un gruppo di amici che sapesse valorizzarle o condividere i loro interessi. Alle scuole medie erano sempre state bollate come le due migliori amiche a cui tutti cercavano di stare alla larga, perché considerate troppo originali o fuori dalle righe o ancora, strane.
Paper continuò a fissare il soffitto intensamente, come se potesse darle delle risposte. In realtà era solo un espediente per tentare di ricacciare indietro le lacrime, per non piangere di fronte ad Erin, per non piangere a causa di un ragazzo che non lo meritava. Noah si era aperto con lei, certo, ma allo stesso tempo si era anche chiuso a riccio. Perché lei ci teneva ancora? Perché non faceva le valigie e tornava a casa? Forse per masochismo, forse perché le ragazze amano correre dietro a chi non mostra per loro altro che ostilità o forse perché non credeva che si sarebbe stato qualcun altro dopo di lui. È quello che sua madre le aveva sempre detto: quando sei giovane tendi ad ingigantire tutto, credendo che ogni tuo singolo errore non sia recuperabile ma è sbagliato, perché lo è. Forse ci sarebbe stato qualcun altro dopo di lui o magari no, ma in quel momento la sua priorità era Noah.
<< Solo per quella ragazza… Insomma, sono pur sempre passati quattro anni! >> sbottò Erin, stufa dell’atteggiamento di Noah. Gli faceva certamente onore provare ancora quei sentimenti per una ragazza che ora non c’era più e la loro storia era stata a dir poco sconvolgente, adesso poteva capire il suo comportamento, ma era anche amica di Paper e voleva solo che lei fosse felice. E, per qualche motivo, credeva che la sua felicità fosse davvero stare con Noah.
<< Io lo ammiro molto per questo, ma mi chiedo… >>
<< …perché non la lascia andare? >> completò Erin la frase per lei, accarezzandole i capelli con estrema dolcezza. Paper chiuse gli occhi, reprimendo le lacrime. Erin le si avvicinò di più e la abbracciò.
<< Sì. >> rispose con voce strozzata, prima di scoppiare. 
 
<< Dammi retta, hai fatto la scelta giusta. >> disse Robin, dando una pacca sulla spalla a Noah. << Lei partirà e tu rimarrai qui per sempre. Non può funzionare. >>
<< Perché mi stai dicendo questo? >> chiese Noah, con gli occhi rossi e stanchi.
<< Perché ci credo e perché voglio solo il tuo bene. Non voglio vederti di nuovo morire. Eri diventato il fantasma di te stesso. >>
<< Voglio solo smettere di soffrire e con Paper mi sento bene. Non voglio rinunciare a lei. >>
Robin prese un bel respiro. Se gli avesse confessato quello che aveva cercato di fare a Paper, Noah non l’avrebbe cacciato dal castello, lo sapeva, ma avrebbe cominciato a guardarlo con occhi diversi ed era l’ultima cosa che voleva. Ma aveva un peso troppo pesante sulle spalle e non riusciva più a sopportarlo. Avrebbe pagato per quello che aveva fatto. Un vero soldato non si tira mai indietro.
<< Devo confessarti una cosa. >> disse Robin, respirando piano.
<< Cosa? >>
<< Sono stato io a far andare via Paper. >>
Noah lo guardò per un attimo, furibondo. Aveva quasi perso Paper per sempre a causa… sua? A causa del suo migliore amico? Avrebbe solo voluto prenderlo a pugni e fargli sputare sangue, fargli capire che stava male, fargli capire che proteggerlo non significava avere paura di Paper. Gli occhi gli bruciavano. Nelle vene sentiva pompare l’adrenalina, una scarica elettrica che si diramava per tutto il corpo. Fece un passo verso di lui, respirando a scatti, pronto a colpirlo. Robin sembrava rassegnato. Rimase immobile, chiudendo gli occhi, stringendo i pugni. Sembrava che lo volesse. Forse credeva di meritarselo. Le dita di Noah erano insensibili, come se non volessero colpirlo, ma allo stesso tempo l’avessero già fatto. Strinse la mano destra a pugno e strinse i denti, avanzando di un altro passo… ma una parte di lui non era d’accordo ed era la sua coscienza. Stranamente, ebbe la voce di Paper, quando gli chiese di non farlo. Si fermò solo un attimo prima di tirargli un pugno.
Robin aprì occhi, non capendo perché non l’avesse attaccato. Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva, ma non sarebbe cambiato nulla. Una parte di sé avrebbe solo voluto sprofondare o sparire per sempre dalla sua vista, ma l’altra era certa che rinunciare a Noah sarebbe stato come rinunciare per sempre a tutto, a qualsiasi cosa, a tutto il suo mondo, a tutto se stesso. Lui e Noah non erano solo migliori amici, erano fratelli. E lui non poteva rischiare di perderlo. Non poteva davvero.
<< Perché? >> chiese Noah, con un filo di voce. Robin abbassò lo sguardo.
<< Perché non voglio che ti faccia del male. >>
La porta si aprì con un cigolio incerto. Si affacciò una guardia magrolina con gli occhiali.
<< Signore, abbiamo trovato Dan. >>
 
<< Fammi capire: prima ti dice che non siete mai stati amici e poi ti stringe la mano? Ma è lunatico, per caso? >> chiese Paper, strabuzzando gli occhi. Erin rise. 
<< Non lo so, ma spero di sì! >>
Bussarono alla porta.
<< Avanti. >>
Il cuore di Paper sembrò bloccarsi per un attimo. Il sorriso sparì dal suo volto. Si alzò di scatto dal letto, lasciando il cuscino, avvicinandosi subito a Noah. Erin la guardò come se avesse capito solo in quel momento che lei teneva a Noah più di qualsiasi altra cosa al mondo. Era come se lui avesse costantemente bisogno di lei e lei volesse sempre stare con lui. Senza nemmeno guardarlo in faccia, Paper aveva capito subito che lui stava male. Noah infatti aveva gli occhi rossi e spossati, con lo sguardo spento e la testa che dondolava sul collo.
<< Noah, stai bene? Sei stravolto. >> chiese subito Paper, preoccupata. Gli prese il viso fra le mani. Le sue guance scottavano.
<< Ho bisogno dell’assoluzione. >> riuscì solo a dire, prima di svenire.
Se mi chiedessi di dare la mia vita per te, lo farei.
 
***
 
La stanza dove si svegliò Noah quella sera, era in penombra. La mezzanotte era quasi arrivata. La testa sembrava girare, ma il muro di fronte a sé si assestò in poco tempo. Non ricordava più nulla, solo che aveva avuto l’istinto di prendere a pugni il suo migliore amico ma, anche se non sapeva come, era riuscito a controllarsi in tempo. La mattina si era sentito riposatissimo, ma il pomeriggio, gli occhi avevano cominciato a chiudersi e più lui cercava di tenerli aperti, più diventavano rossi e gonfi. Cosa gli stava succedendo?
La porta si aprì e lasciò che una fievole luce artificiale facesse il suo ingresso nella stanza. Si guardò intorno e vide che l’unica finestra che c’era, aveva i vetri colorati.
<< Noah. >> pronunciò una voce profonda, entrando.
<< Dove sono? >>
<< In chiesa. >>
<< Cosa? >>
<< Robin mi ha detto che hai chiesto di nuovo di avere l’assoluzione. Perché? Forse nel tuo cuore c’è qualcos’altro a turbarti? >>
Noah deglutì, non rispondendo. Il prete con la barba bianca si sedette sulla sedia accanto a lui, sorridendo in modo affabile.
<< Sto cercando di dimenticarla. Il mio cuore sta scoppiando. >>
<< Perché? Non vuoi lasciarla andare? >>
<< No, è il contrario. >>
Il prete si alzò, sorridendo.
<< Da quanto tempo non fai visita alla sua tomba? >>
Noah rimase interdetto.
<< Cosa c’entra? >>    
<< Forse devi tornare da lei, per lasciarla partire. Forse è come se il suo spirito fosse ancora lì. Noah, solo quando accetterai le tue debolezze diventerai davvero un uomo. >>
<< Ma allora, perché la stanchezza? Perché ho un nodo che mi stringe lo stomaco? Perché ho tutta questa voglia di piangere? >> chiese, sull’orlo della disperazione.
<< Non lo so, Noah. A volte ci sono cose che nemmeno noi preti siamo capaci di comprendere. Quella ragazza, Paper, è molto preoccupata per te. Dille che stai bene. >>
<< Lo farò. >>
<< Ho sempre saputo che sei un bravo ragazzo, Noah. >>
<< Allora perché non mi ha dato l’assoluzione? >>
<< Perché non l’hai uccisa tu. >> rispose. << Scusa, ma adesso devo proprio andare. >>
<< Padre Sohl… >>
Senti qualcosa, dentro, che ti mozza il respiro.
Cadi con la testa sul cuscino, disteso.
È come se una forza invisibile ti stesse sgretolando il cuore.
Un buco nero risucchia tutto, stai per perdere il controllo.
Diventa tutto nero…
<< NOAH! >>
Ti risvegli.
 È come uscire dall’acqua dopo venti minuti d’apnea senza bombole d’ossigeno.
Quell’azzurro così brillante ti acceca.
<< Non lasciarmi… >> sussurrò, afferrando le braccia di Paper, prima di perdere i sensi di nuovo.
 
<< Dannazione! >> urlò, facendo tremare il pavimento. Dan saltò su. << Non sono riuscito a controllarlo! Quel maledetto ragazzino! Lo voglio morto, Dan. Portami la sua testa. >>
<< Signore, crede che l’abbia capito? >> chiese Dan avvicinandosi alla tenda, timoroso.
<< Ovviamente, razza di idiota! Ha chiesto l’assoluzione apposta per cacciarmi dal suo spirito con l’acqua santa! Stupido principe, ha un cuore troppo puro per poter essere controllato. E sai perché? Perché non ha più segreti! Li ha confessati tutti! Solo un cuore che nasconde qualcosa può essere controllato da me. È il tuo momento, Dan. Prendi la ragazza ed uccidi il principe, al resto penserò io. >>
Dan annuì e scappò via senza fare tante cerimonie.
 
***
 
<< Salvami. >>
(Dove sei?)
<< Perché mi stai pregando? >>
(A piedi nudi nel sangue. Ho paura).
<< Salvami! È colpa tua se sono qui! >>
(Non sto più cercando solo l’assoluzione).
<< Non ti ho mai dimenticata. >>
(Lacrime?)
<< Sei tu che dovresti salvare me. >>
(Con chi sto parlando?)
<< Ci sei? >>
(No).
<< Dove sei? >>
(Ho bisogno del tuo perdono).
<< Sto respirando. Dove sei? >>
(Chi delle due è nella mia testa, ora?)
<< Fa freddo. Dove sei? >>
<< Nella tua testa. >> risponde il vento. << Nel tuo cuore. Dentro di te. Fammi vedere i tuoi pensieri. Mostrami la tua anima. >>
<< No… No… >>
Ti volti, cerchi di correre, inciampi.
La tua mano è sporca.
Sangue.
(Salvami!)
Una mano cerca di afferrarti, ma ti risvegli in tempo.
 
<< Ehi, ti sei svegliato? >> chiese Paper con un sorriso dolce, stropicciandosi gli occhi. Noah continuò ad ansimare veloce, con il sudore che gli colava sulle tempie. Paper continuò a guardarlo con occhi attenti, ma anche pieni di… amore. Non si potrebbe descrivere in altro modo. Noah però non sembrò notarlo, perché continuava a guardarsi intorno come se stesse cercando qualcosa. << Andrà tutto bene, era solo un incubo. I sogni non possono farti del male. >> disse, spostandogli delicatamente il ciuffo di capelli di lato.
Noah la abbracciò di slancio.
<< Ti prego, ti prego, non lasciarmi solo. >> la supplicò, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Paper si lasciò stringere, non sapendo cosa dire.
<< Non lo farò. >> replicò. Noah la strinse più forte, serrando le palpebre.
Ho paura.
 
<< Dici che sta bene? >> chiese Erin, mordendosi di continuo l’unghia già inesistente del pollice.
<< Non lo so, ma lo spero. Non l’ho mai visto perdere il controllo in questo modo. >> rispose Robin, preoccupato. Erin annuì. 
Il portone del palazzo si aprì e fecero il loro ingresso un uomo sulla cinquantina o forse meno, con i capelli e la barba grigi, un naso lungo ed un paio di occhi verdi incredibili, con un immenso mantello d’oro che sembrava attraversare tutto il corridoio.
<< Robin! Che piacere, vederti. >> esclamò con voce roca ma profonda, allargando le braccia.
Robin s’inchinò per un attimo. Erin spalancò la bocca, rendendosi conto solo in quel momento che quello era il re. Oh, quelle oche delle sue compagne di classe non le avrebbero mai creduto.
La donna, bionda, alta, con gli occhi azzurri ed un portamento regale sorrise nella direzione di Robin. Quella doveva essere la regina.
Poi, guardò la ragazza ed un’espressione sconvolta si dipinse sul suo volto.
<< ERIN?! >>



Angolo autrici:
E SBAM. Il colpo di scena.
Come avevamo promesso, ecco a voi il capitolo bomba!
Non temete, verrà spiegato tutto nel prossimo capitolo :)
Solo una domanda... Avete già in mente qualcosa? Avete messo insieme gli indizi? Come fanno a conoscere Erin?
Un'ultima nota. Noi teniamo molto a questa storia e ci piacerebbe avere un vostro parere, che sia positivo o negativo, quindi fatevi sotto e recensite! :)
Speriamo di aggiornare presto xD
E. & B.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Under your skin {part 1} ***


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Capitolo 8
Under your skin {part 1}

 
“How many times can we win and lose?
How many times can we break the rules between us?
How many times do we have to fight?
How many times till we get it right between us?
Only teardrops”.
{Only teardrops, Emmelie De Forest}
 
Paper deglutì piano, metabolizzando tutte quelle informazioni che Noah le aveva appena terminato di raccontarle. Insomma, esisteva una specie di ombra enorme che suo padre aveva sconfitto una volta, ma adesso era tornata in chissà quale modo. Certo. E poi lui era quasi stato posseduto da questa cosa ed ora era davvero spaventato per quello che sarebbe potuto accadere in futuro. Sembrava quasi surreale. Da una parte era eccitante, perché insomma ad un’amante dei libri e delle storie fantasy come lei sembrava magnifico poter entrare in tutto quello che stava succedendo, ma l’altra parte, quella che aveva la voce di sua madre, le urlava di scappare di lì a gambe levate e di non fare più ritorno. Mentre suo padre, be’, le avrebbe detto di certo che stava sognando. L’unica che le avrebbe creduto sarebbe stata Erin, ma era scomparsa.
Guardò Noah sorridendo, cercando solo in quel modo di farlo andare avanti a parlare.
<< Ero venuto a dirvi che avevano visto Dan, ma adesso non ha più nessuna importanza, perché è scappato. >> disse.
<< Capisco. Quindi, quest’essere… ha cercato di controllarti? >>
<< Sì, ma mio padre me ne aveva parlato. Ci sono due modi per cercare di non perdere il controllo: uno è avere l’assoluzione dal prete, che deve per forza cospargere il tuo capo di acqua santa e l’altro, il più estremo, è ascoltare una voce che ami per tornare indietro. Quando tu hai urlato, sono riuscito a tornare in me in tempo. >>
Una voce che ami? Cosa significava? Avrebbe solo voluto che Noah smettesse di farle credere in lui o nelle sue parole o alle bugie che le sbandierava, perché lei era davvero confusa. Se lui amava la sua voce, voleva dire che amava lei? o forse quel termine era usato impropriamente, quindi il verbo amare stava per amare un amico.
Scosse la testa, smettendo di farsi tutti quei problemi. Tanto non ne sarebbe uscita fuori bene.
<< E se non succede? >> chiese.
<< Prega. >> rispose, semplicemente. Paper sorrise e così anche Noah. Anche se, dentro di lei, sapeva che non stava scherzando.
Sentirono delle urla e dei passi frettolosi avvicinarsi a loro. La porta si aprì, sbattendo. Paper non ebbe nemmeno il tempo per parlare, che Erin gridò.
<< Tu lo sapevi?! >> chiese Erin con la voce alta e gli occhi umidi, rivolgendosi a Noah. Sembrava sconvolta. Paper si alzò dal letto in simultanea con Noah.
<< Cosa? >> domandò Noah d’un tratto serissimo, la mano con l’anello dei Corwin davanti a sé. Paper non si era ancora resa conto che lo portasse anche lui. Forse solo in occasioni speciali o solo quando c’erano i suoi genitori a controllare che lo indossasse.
<< Sapevi di avere una sorella? >>
Noah si alzò di scatto, portandosi una mano alla testa. Di colpo, tutta la stanza aveva cominciato a girargli intorno. I muri si erano fatti di cartapesta e stavano cedendo, sgretolandosi come aveva fatto il suo cuore posseduto dall’entità. Era come se tutti i suoi punti di riferimenti, i suoi valori, gli insegnamenti che gli aveva importato suo padre, tutto, i suoi stessi polmoni, i suoi occhi, le sue gambe, tutto tutto tutto, tutto quello in cui aveva creduto sino ad allora si stesse rivelando falso, lontano, morto.
<< Di cosa stai parlando? >> domandò, la voce incrinata. Paper spalancò gli occhi, scuotendo la testa. Non è possibile. Non sta succedendo a noi. Non è possibile.
<< Sono tornati i tuoi genitori. La regina è quasi svenuta per il colpo. >> spiegò Erin a fatica, tirando su col naso. I suoi occhi brucianti di lacrime minacciavano di accendersi come una fiamma e bruciarla dalla testa ai piedi. << SONO TUA SORELLA! >> gridò, ma la sua voce da bambina le arrivò ovattata, distante anni luce da lei. Paper spalancò la bocca per lo stupore, coprendola con mani tremanti e Noah strabuzzò gli occhi.
<< Erin! Dimmi che non gliel’hai detto! >> esclamò la voce di Robin, entrando nella stanza tutto trafelato. Se la situazione non fosse stata così seria, tutto quello che stava accadendo avrebbe avuto una sorta di comicità.
<< Troppo tardi. >> rispose Erin come sfidandolo, lasciando scivolare la braccia lungo i fianchi, sconfitta. Robin si passò le mani sulla faccia.
<< Noah, mi dispiace, avrei voluto fermarla. Con tutto quello che hai passato… >>
<< Per questo la gola non mi bruciava! Io conosco già questo mondo, io sono di qui! Allora è vero! >> urlò, portandosi le mani alla testa. Non ci aveva mai creduto, ma adesso la verità era quella, era quella. << Non posso crederci… Sapevo di essere stata adottata, l’ho sempre saputo, era palese e poi… quegli occhi verdi… >> disse, parlando fra sé e sé, rivolgendo poi lo sguardo verso Noah. Si soffermò a lungo sui suoi occhi, del colore dell’erba appena tagliata d’estate. Erano così brillanti e belli. Un aggettivo così insignificante, ma così adatto in quella situazione. I suoi stessi occhi, solo che quelli di Noah erano più chiari. Abbassò le braccia, rimanendo immobile per qualche secondo. Era come in trance. << Allora è vero. Tu sei mio fratello. >>
Noah non sapeva cosa dire. Non si era mai immaginato come fratello maggiore. Anche se aveva sempre voluta una sorella ed un fratello per non sentirsi solo. All’età di undici anni si era arreso: per quello aveva Robin. Sentì gli occhi pizzicare ed un senso di vuoto all’altezza dello stomaco. Ma non era quel senso di nausea o caduta, era quasi… piacevole. Prima che potesse dire una parola, Erin lo abbracciò forte, singhiozzando.
<< Io ti voglio bene. Non sono arrabbiata con te. >> mormorò al suo orecchio.
Noah annuì, ancora confuso. Erin lo lasciò. Le lacrime si erano placate. Gli sorrise e poi si voltò, vedendo il re e la regina sulla porta. Il suo sguardo si trasformò di botto. Non era mai stata più furiosa in vita sua. Sentiva il cuore bruciare ed era come avere delle fiamme che ardevano al posto degli organi.
<< Perché? >> chiese solo, secca. << Credo di avere diritto ad una spiegazione. Entrambi lo abbiamo. >>
<< Davanti a tutti? >> chiese timorosa la regina. L’uomo le passò un braccio intorno alle spalle.
<< Diglielo. >> replicò con la sua voce profonda. Lei lo guardò a lungo, poi annuì.
<< Il male ci fa guerra da vent’anni. C’era bisogno di un erede ed avemmo Noah, che era anche un maschio. Quando nascesti, ci sentivamo in dovere di proteggerti. È per questo motivo che ti abbiamo lasciata in un orfanotrofio nel vostro mondo. >>
<< E questo cosa sarebbe? >> chiese. << Un mondo parallelo? La copia più avanzata del nostro? >>
<< Voi del Mondo Attraversabile! Vi credete sempre più importanti! >> esclamò Robin. 
<< No, >> rispose Noah, facendola voltare verso di lui, posando le proprie mani sulle sue spalle, << è solo la continuazione del vostro mondo. >> rispose, accennando un sorriso. Erin lo fissò per un momento, poi si girò.
<< Io non appartengo a questa famiglia. Non mi avete protetta da niente, perché questa stupida entità di cui avete tutti paura, non è altro che un’invenzione delle vostra testa! Non ci ha fatto niente, non è stata lei a portarci qui, non è stata lei a condurci da Noah! >>
<< Ha cercato di controllarmi! >> esclamò Noah.
<< Cosa? >> chiese il re, mentre la regina impallidiva. Noah si grattò la nuca.
<< Non ce l’ha fatta, però. >>
<< Non me ne frega niente, va bene? >> continuò Erin. << Io so solo che voi nascondete dei segreti che prima o poi vi uccideranno. Perché è questo che fanno i segreti, distruggono tutto. >>
Paper guardò il pavimento. In effetti era vero. I segreti sono capaci di rovinare i rapporti. Ed il suo era il peggiore, il più pericoloso di tutti. Ce n’erano di orribili ed il suo, per quanto sembrasse renderla fragile, non era poi così brutto. Avrebbe voluto urlarlo lì, di fronte a tutti, a squarciagola, ma non poteva. Sarebbe stato tutto molto più difficile, allora. Non era qualcosa di così strano, ma di abbastanza pericoloso da confessare. Lo tenne per sé, di nuovo, come lo stava facendo da un po’ di giorni a quella parte. Serrò le labbra, fingendo di stare bene. Perché prima o poi stai bene, anche se non sai mai quando. Ed è esattamente ciò che logora dello stare male. Non sai mai quando passerà.
<< Erin, per favore, calmati. >> disse Robin, facendo un passo verso di lei.
<< NO! Siete tutti contro di me! Ma riuscite a capire come mi sento? Mi sento TRADITA! Io non ho una famiglia! Io non ho più nessuno di cui potermi fidare ciecamente! Voi siete solo dei bugiardi! Tu sei un voltafaccia! Noah è un anima tormentata! E tu… >> disse, rivolgendosi a Paper. << …tu mi nascondi qualcosa. Me ne sono accorta, sai? C’è qualcosa che non mi vuoi dire. >>
Paper le si avvicinò, cercando di nascondere le sue vere emozioni.
<< Te lo dirò, ma adesso devi solo calmarti. >> replicò, accarezzandole le braccia.  
<< So che non dovrei prendermela così, ma lasciami sfogare, Paper. Almeno per oggi, fammi arrabbiare. >> disse con le lacrime agli occhi, completamente lucida.
Paper non la fermò, quando se ne andò e nemmeno disse qualcosa. Robin la seguì subito, incredulo, perché la sua migliore amica non aveva mosso un dito. Il re e la regina scomparvero per le scale e lei rimase da sola con Noah.
<< Qual è questo segreto? >>
<< Non è importante. Tu come stai? >>
<< Sono… sorpreso. Non avrei mai creduto che Erin potesse essere mia sorella. Sono arrabbiato, ma li perdono. L’hanno fatto solo per salvarla. >>
Paper annuì. Noah continuò a fissarla. Tutto quello che voleva era aiutarla, come lei aveva aiutato lui. C’era qualcosa nei suoi occhi che gli faceva capire che non stava affatto bene e che c’era qualcosa a tormentarla. Avrebbe potuto lasciar correre, ma qualcosa nella sua testa gli disse di non farlo.
<< Tutto bene? >> chiese Paper, notando che Noah non si era ancora mosso.
<< No, in effetti no. >> rispose, passandosi una mano fra i capelli. Paper prese un bel respiro, cercando di far trasparire il meno possibile sul suo viso. << Che ti sta succedendo, Paper? Non pretendo di avere la tua fiducia, ma come tuo amico, ti chiedo di dirmi perché stai male. >> disse, con le parole che uscivano piano piano dalla sua bocca.
Paper scosse leggermente la testa, come se non stesse capendo.
<< Io sto… bene, Noah. Non ho niente che non vada. >>
<< Smetti di raccontarmi bugie, per favore. Non sei brava. >> replicò Noah, quasi con durezza, per scuoterla. Paper si conficcò le unghie nella gamba, rimanendo in silenzio. Avrebbe potuto raccontargli della sua più grande debolezza, ma non le conveniva. O forse, avrebbe potuto tradire Robin e dirgli tutti. Certo, avrebbe dovuto pagare per quello, ma sempre meglio una spada nel fianco che le parole pietose di Noah.
<< Robin ha cercato di uccidermi. Davvero, stavolta. >> confessò, buttando fuori l’aria. Erin non avrebbe mai scelto di tradire qualcuno, ma in quel momento non poteva che essere egoista. Solo per una volta, forse poteva concedersi di non crollare a causa di qualcuno.
Noah si portò le mani alla bocca, mormorando qualcosa come Ti prego, no. Lo vide sbiancare, avvicinarsi al letto e sprofondarvi. Paper prese a raccontargli tutto, liberandosi da quel peso, liberandosi da tutto quello che le aveva sputato addosso Robin, liberandosi dal senso di colpa e dalla sicurezza che lui le aveva concesso di non toccarla. Sapeva che Noah non l’avrebbe cacciato, mai, ma avrebbe cominciato a guardarlo con occhi diversi. E poi, be’, lei ci sarebbe andata di mezzo, ma se lo meritava.
<< Non posso crederci. >> sussurrò Noah, fissando il pavimento. Lo stomaco di Paper si contorse. Sapeva davvero come fare del male alle persone che le importavano di più al mondo, eh?
<< Noah, per favore, non avercela con lui. Correva troppi rischi e mi ha chiesto di non dirtelo. Prenditela con me. Biasima me anche per quello che non ho fatto, me lo merito. >> disse Paper con voce spezzata, le mani tremanti. << Ti prego, non dire che mi odi. Non ce la farei a sopportarlo. >>
Tutto il suo corpo urlò Di’ qualcosa. Di’ una sola parola, ti prego. Chiuse gli occhi, cercando di respirare in modo regolare. Qualcosa dentro di lei si ruppe. No, non era il cuore. Era qualcosa di vicino come un polmone o un osso. Non aveva che ossa fragili, pronte a rompersi perché schiacciate dal senso di colpa.
<< Vorrei solo che… >> cominciò Noah, bloccandosi. Paper lo guardò, le dita che premevano contro i jeans. << Vorrei solo sapere cosa dire. Un’unica parola, una sola per fermare tutto questo inferno. Vorrei solo non essere così debole. >>
<< Se c’è qualcosa che posso fare per… >>
<< Dimmi la verità. >> rispose Noah, alzandosi. Paper indietreggiò. La guardò dritto negli occhi. << Dimmi sempre la verità. Fidati di me. Fidati sempre, di me. Hai capito? >> disse. Il verde delle sue iridi sembrò voltarsi in un blu scuro, quasi nel grigio.
Paper annuì.
<< Promesso. >>
 
Il bosco appariva così sperduto, adesso. Aveva allontanato Robin in malo modo ed era fuggita via come una principessa in pericolo. Sorrise per un attimo, pensando che in effetti, lei era una principessa. Aveva sempre sognato di avere un vestito ampio, color verde smerlando come gli occhi di Noah. Sarebbe stata una bellissima principessa, la corona sul capo e lo scettro in pugno. E poi, il suo principe. Quello vero.
C’è Robin nel tuo respiro.
Scosse la testa. Non avrebbe mai voluto allontanarlo così, ma doveva rimanere da sola. Avrebbe solo voluto essere salvata, avrebbe voluto sentire i passi pesanti di Robin dietro di lei che la inseguivano e la sua voce che urlava il proprio nome a pieni polmoni. Scoprire che i suoi genitori in realtà erano Lauren Cohen ed Alexander Harry Corwin non era stato il massimo della vita. Insomma, significava risolvere tutti i suoi problemi economici ed anche quelli di Paper, diventare un principessa amata da tutti, ma allo stesso tempo era anche capire che non poteva più rimanere dal’altra parte del Portale. Si guardò le mani, così simili a quelle di Noah. Le unghie corte, le dita piccole e tozze, le mani grandi quanto quelle di una bambina di dieci anni. Le venne da piangere, ma represse le lacrime. Non doveva essere debole, non doveva lasciarsi andare. Doveva solo accettare tutto quello che le stava accadendo intorno e pensare ad un piano B per uscirne viva.
Erin si girò di scatto, dopo aver sentito un fruscio strano. Le dita stringevano la bianca maglia lunga.
<< Robin? >> le sfuggì, impaurita.
<< No, mia cara. Sono Dan. >> rispose il ragazzo con un sogghigno, rivelandosi fra il verde degli alberi.
 
<< Sei sicuro? Vuoi farlo davvero? >> chiese Paper incerta, guardando la schiena del ragazzo.
<< Sì. >> rispose Noah, determinato.
<< Va bene. >>
<< Aprite il cancello! >>
<< Non vuoi dirlo ai tuoi genitori? >>
<< No. Devo farlo senza di loro. >>
<< Come vuoi tu. >>
 
Erin indietreggiò, stringendo di nuovo i lembi della maglietta. La schiena sbatté contro un albero, mentre Dan avanzava verso di lei, ghignando.
<< Puoi urlare quanto vuoi, tanto non ti sentirà nessuno. >>
 
<< Tu sai la strada? >>
<< Sì, non ci vorrà molto. Stammi vicina. >>
<< Sì. >>
 
<< Lasciami in pace, Dan. Non ti ho fatto niente. >> disse, con il cuore che batteva all’impazzata. Cosa le avrebbe fatto? L’avrebbe uccisa? Solo perché l’aveva rifiutato?
<< A dire il vero, tu non mi hai voluto. Dovrei essere arrabbiato con te, giusto? >> chiese, avvicinandosi sempre di più.
<< Non mi conosci nemmeno. >> disse, cercando di scappare, ma Dan la incastrò all’albero con le braccia sulla corteccia.
<< Non puoi andare via, Erin. Hai bisogno di me anche stavolta. >> replicò, guardandola in viso e poi squadrandola dall’alto verso il basso. Erin si sentì rabbrividire, disgustata. << Ti avevo avvertita di non fidarti. >>
<< Tu lo sapevi?! >> sbraitò, furiosa come non mai. << Hai giocato a fare il mio migliore amico per tutto il tempo e non me l’hai mai detto? Sei uno schifoso doppiogiochista, Dan! >>
<< Merito di non essere amato, vero? >> chiese, ma era come se non stesse parlando con lei. << Per tutte le cose che ho fatto. Perché non sono una brava persona. Perché non tratto bene nessuno. >>
Erin si sentiva spiazzata. Anche Dan aveva un’anima, in fondo. E la stava mostrando adesso. Lei credeva che volesse solo farle del male, farle capire che era sua o di nessun altro, ma non era così. Era come vedere adesso la sua vera età nei suoi occhi chiari, vedere tutto il peso del mondo sulle sue spalle, troppo per un ragazzo così giovane.
<< Non è colpa tua. Le esperienze che facciamo ci portano ad essere buoni o cattivi, ma tu puoi ancora redimerti, Dan. Puoi ancora salvarti. >> disse Erin.
Dan la osservò a lungo, specchiandosi nei suoi occhi verdi. Per un secondo vide una scintilla impercettibile nel suo sguardo, che gli ricordò tanto quella che aveva intravisto negli occhi della vecchietta. Un lampo impercettibile. Un lampo di consapevolezza e paura insieme.
<< Mi dispiace tanto, Erin. Non posso più essere perdonato. È per questo che non posso tirarmi indietro. >>
 
<< La vecchia? Dov’è? >> domandò la ragazza.
<< Non c’è. Manca poco. >>
Uscirono dalla grotta e Paper trovò strano che la casa della vecchia fosse ormai scomparsa. Si era accartocciata in due quando erano arrivate lei ed Erin e adesso non c’era più. Paper strinse la mano di Noah, preoccupata.
<< Non c’è pericolo, qui. Questo bosco è enorme. C’è una foresta prima della grotta e dopo continua ancora. Un altro po’ e poi saremo arrivati nel tuo mondo. >>
<< Noah… >> disse, ma ormai erano arrivati.
<< Sì? >>
Per un attimo pensò che dirglielo sarebbe stato giusto, non per lei ma per lui. Poi capì che non le avrebbe più sorriso o parlato in quel modo. E capì di cosa aveva paura Robin e perché le avesse chiesto di mantenere il segreto.
<< Niente. >> rispose. << Niente di importante. >>
 
***
 
<< Meno male, stai bene! >> esclamò Robin vedendola arrivare. Avrebbe voluto abbracciarla, ma una parte di sé lo costrinse a fermarsi. Erin si scansò.
<< Non certo grazie a te. Se non ci fosse stato Dan, sarei morta lì dentro. >> replicò dura, gli occhi fiammeggianti.
<< Erin, guarda che io sono venuto a… >>
<< Basta, basta. >> lo interruppe Dan con un sorrisetto odioso ad illuminargli il volto. << Basta con le scuse, Robin. Sappiamo entrambi che non te ne frega niente di lei. Perché fingere ancora? >>  
La mano di Robin scivolò sulla spada, con le labbra che formavano una linea dura come quella che produce un pennello.
<< Perché è la verità. Sono venuto a cercarti, Erin, ma Dan mi aveva detto che non ti aveva vista e mi sono fidato di lui. Non l’avessi mai fatto. >> disse, digrignando i denti.
<< Davvero? >> chiese Erin, fissando Dan.
<< Puoi anche credergli, ma io non mi fiderei. Ti ha detto della maledizione? >>
<< Cosa? Quale maledizione? >> domandò curiosa, guardando Robin.
<< Sei davvero un gran bastar… >>
<< QUALE MALEDIZIONE?! >> urlò Erin, prendendolo per il colletto. Gli occhi di Robin la fissarono, di ghiaccio.
<< Non fidarti di lui, Erin. Porta solo guai. Non ci tiene a te, altrimenti te l’avrebbe raccontato. >> replicò Dan a braccia conserte, godendo del panico che aveva contribuito a causare.
<< Lascia che sia io a decidere di chi fidarmi, Dan. >> ribatté Erin, voltandosi a guardarlo. Poi si rivolse di nuovo a Robin. << Allora? ROBIN! >>
Robin si sentì cadere in un pozzo senza fine. Nessuno sapeva di lui. Nessuno a parte Noah. Lo aveva sempre coperto, per tutto quegli anni ed ora stava venendo tutto a galla. Avrebbe potuto mentire, ma probabilmente Dan le avrebbe raccontato tutto. Non poteva rischiare di perdere Erin. Non ce l’avrebbe fatta. Tanto valeva confessarle tutto. Di sicuro le avrebbe raccontato la verità senza arricchirla di dettagli fasulli come avrebbe potuto fare benissimo Dan. Non avrebbe mai dovuto lasciar correre, lo sapeva, ma Erin era così sconvolta e lasciarla da sola sembrava la scusa migliore per proteggerla.
<< Quando sono scappato, la mia famiglia ha chiesto il perdono per me. L’entità mi ha maledetto. >> disse. Erin si sentì male per lui, guardandolo di colpa come se fosse solo un ragazzo soldato e non un colpevole. << Non posso innamorarmi e la mia rabbia si accentua e talvolta mi fa perdere il controllo. È per questo motivo che mi sfogo in battaglia. Ed è per questo che ho fatto del male a Paper più di quante volte tu sia al corrente, rischiando di ucciderla. >> spiegò. Erin scosse la testa. Si ricordò di aver pensato che Robin avrebbe potuto allontanarla da lui solo se avesse fatto del male a ciò che aveva di più caro al mondo. non credeva che sarebbe mai accaduto per davvero. << Te l’avrei detto, Erin, ma avevo paura di perderti. >> disse e per la prima volta, il suo sguardo apparve sinceramente pentito. Aveva gli occhi lucidi. << Scusami. >>
Erin lo guardò negli occhi per un attimo, poi lo lasciò malamente. Il colletto di Robin era stropicciato come le pagine di un vecchio racconto.
<< Non posso più fidarmi di te, Robin. Andiamo, Dan. >>
Se per un attimo, uno solo, aveva pensato che Robin potesse essere il suo principe, be’, adesso si accorgeva di essersi raccontata una bella favola. S’incamminò lontano accanto a Dan, senza dire una parola.
 
Il cimitero appariva scarno e grigio, sotto i primi accenni di pioggia di quel giorno. Il tempo era diverso, nei due mondi. Nel Mondo Attraversabile stavano vivendo dei giorni che nell’altro erano ormai passati da tempo. Noah le fece strada fra le lapidi. Lesse i nomi delle persone che giacevano lì e pensò se ci fosse stato Noah, lì sotto. Un brivido freddo le percorse la spina dorsale e credette di svenire per un attimo. C’erano molti fiori a colorare l’ambiente, ma l’oscurità che portava dentro di sé rimaneva. Noah le indicò una lapide bianca e si fermarono di fronte per un po’. Pregarono entrambi, mentre lei guardava la fotografia di una bella ragazza sorridente dai capelli e gli occhi castani. Aveva l’aspetto di una sedicenne.
Sentì un singhiozzo e vide che gli occhi di Noah erano diventati già rossi. Non sapeva cosa fare, così rimase in silenzio, con le dita intrecciate, pregando per l’anima del ragazzo. In realtà, era lei quella che avrebbe dovuto cercare l’assoluzione. Stava profanando questo luogo sacro con i suoi sentimenti.
<< Come si chiamava? >> chiese, rompendo il silenzio.
<< Cheryl. >> rispose Noah. E solo in quell’unica parola, Paper avvertì tutta la dolcezza con cui aveva amato quella ragazza. << Si chiamava Cheryl. >>
Noah guardò la tomba, incerto sul da farsi. Paper si allontanò di qualche passo, per lasciargli il suo spazio. La lapide, ingrigita già dopo pochi anni, sembrava essere stata lasciata a se stessa. Forse i genitori non andavano molto spesso a trovarla. O forse non ci andavano affatto. Lui, tuttavia, li comprendeva. Egli stesso non sapeva da dove aveva tirato fuori il coraggio per stare lì, in quel momento.
Prese un bel respiro, poi cominciò a parlare.
<< È strano essere qui, oggi. Sono quattro anni che manco. Volevo solo dirti che mi dispiace. Mi dispiace tanto. Avrei dovuto proteggerti. Se solo… se solo potessi tornare indietro, farei cambio di posto con te e mi sarei trovato io sulla linea di tiro di quella pazza. E c’è una cosa, un’ultima cosa che devo dirti. Devo farlo. Me l’hai sempre chiesto, non con la voce, ma con gli occhi. Io ti amo. Ti amo. >> disse, mentre la voce si incrinava. << E non te l’ho mai detto, perché non sono mai stato abituato ad esternare le mie emozioni. E adesso, come sempre, sono arrivato in ritardo. >>
Paper si voltò e si allontanò da lui. Si sentiva essere di troppo. Lo sentiva piangere e singhiozzare fin nelle ossa, facendole provare dolore per tutto il corpo, contenuto nella pelle e nel cuore che doleva piano. Aveva un’altra cosa da dire a lei. Era per quel motivo inconscio che l’aveva portata con sé in quel luogo. Un’ultima coltellata alla schiena, una punizione per quello che gli aveva fatto dicendogli di Robin. Gli aveva mentito e Noah non perdonava chi lo faceva. E, aspetto più importante della faccenda, non amava lei.
Per quanto avesse voluto, per quanto l’avesse amato, non avrebbe mai fatto parte della sua vita. 




Angolo autrici: 
E siamo tornate! *rullo di padelle*
Be', la rivelazione dei fratelli è abbastanza shock. In qualche modo Erin e Noah si sentivano collegati, ma non avevano capito che fosse quello il motivo.
Dunque, finalmente è saltata fuori la verità su Robin! Ve lo aspettavate? Probabilmente è uno personaggi più complicati del racconto, a parte Dan. Uno di quelli che, anche quando sai cosa pensano, ti sorprende comunque.
Ma è saltato fuori un altro segreto, quello di Paper. Sempre la solita xD In pratica ognuno di loro ha un segreto che si viene a sapere, in qualche modo. Lo avete già capito? Probabilmente sì, ma non verrà svelato molto in fretta.
Non pubblicheremo per un bel po', dato che andiamo in vacanza.
Grazie a tutti quelli che seguono/preferiscono/ricordano la storia ed anche ai lettori silenziosi!
Speriamo davvero di ricevere qualche vostra recensione per il capitolo!
Alla prossima!
E. & B.

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