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di Yeelah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grecia. Prima Parte. ***
Capitolo 2: *** Grecia. Seconda Parte. ***



Capitolo 1
*** Grecia. Prima Parte. ***


Tinos, 2000
I due bambini correvano tenendosi la mano attraverso il boschetto, mentre dietro di loro il mare sussurrava infrangendosi delicatamente sugli scogli. L’odore di salsedine si mischiava a quello delle piante della macchia, la quale  piano piano si sfoltiva, conducendo a una radura verdeggiante, punteggiata di fiori gialli, bianchi e rossi.
- Smettila, Kosta!- urlò ridendo la bambina dai capelli castani, superando l’amico.
- Mai, petaloùda!- rispose l’altro.
Continuarono a rincorrersi, finché si stancarono e decisero di sedersi sotto l’ombra di un salice. Iniziarono a mangiare pane e marmellata, mentre il sole splendeva e il vento faceva muovere i rami dell’albero, che sembravano narrare una storia attraverso i loro fruscii.
La vita a Tinos era modesta, per gente che viveva senza troppe pretese: pastori, contadini, pescatori e qualche negoziante. I turisti erano attirati dalla bellezza del mare, ma non ne conoscevano i segreti, al contrario degli abitanti dell’isola. Kosta era il migliore che Sarah avesse mai incontrato: sapeva dov’erano i posti migliori per pescare, tutti i trucchi per costruire al meglio una zattera con del materiale di fortuna, ma, soprattutto, era amico degli animali: essi sembravano attratti dalla sua voce, dai suoi modi delicati, dalle sue ciglia lunghe da matrioska. I gabbiani gli si avvicinavano per farsi accarezzare, così come anche il cane più feroce del villaggio, chiamato Argo. Sarah osservava stupita il carisma del suo migliore amico, e ogni volta era una sorpresa. I genitori di Kosta possedevano una capra, ed erano poverissimi. A stento riuscivano a mandare il figlio a scuola e a dargli di che vestire. A volte la madre di Sarah li aiutava come poteva, visto che era una maestra. Insegnava alla scuola elementare dell’isola. Sarah ancora ricorda il suo profumo di rosa e di talco, i suoi capelli raccolti in una coda di cavallo, le sue scarpette con la fibbia argentata, la sua figura austera e al tempo stesso rassicurante che ha giocato un ruolo importante in tutta la sua vita. Era di origine francese, si chiamava Rosalie Bernard. Il padre di Sarah era un pescatore. Spesso si assentava per giorni, settimane, e a volte tornava a casa senza niente. “Non sempre il mare è generoso, piccola mia”, diceva a Sarah prendendola sulle ginocchia e baciandola sulla guancia, facendole pizzicare il volto. Di lui, si ricorda solo gli occhi tristi, simili a due lapislazzuli incastonati in un viso invecchiato e forgiato dal vento. Sarah sapeva che i suoi genitori non erano felici; lo capiva dagli sguardi taglienti che si lanciavano, dal fatto che papà si assentasse più a lungo negli ultimi giorni. Perché Maman voleva che parlassero sempre in francese, e si arrabbiava tantissimo se Sarah tirava fuori una parola di greco? L’atmosfera in casa era sempre più pesante, ma la bambina trovava conforto in Kosta, il suo unico vero amico. Erano nati nello stesso giorno dello stesso anno, il 20 aprile 1990. Erano come fratelli, tanto che spesso uno finiva la frase dell’altra. Passavano i loro pomeriggi a giocare e a rincorrersi, e Kosta aiutava Sarah con i compiti di matematica. Oltre ad essere carismatico, era anche molto intelligente e sveglio; spesso Sarah si chiedeva se fosse giusto che quel cervello così buono fosse destinato ad essere sprecato in una vita da contadino. Kosta era lo zimbello del villaggio, a causa dei suoi occhi. Era addirittura visto come creatura maligna dai più anziani, con quello sguardo ibrido: infatti, mentre il suo occhio sinistro era nocciola, l’altro era come fatto di vetro: l’iride trasparente lo rendeva simile ad una biglia. Il suo unico difetto, quell’occhio cieco, che gli era costato il soprannome di Polifemo. Gli altri bambini dell’isola non amavano la compagnia di Kosta e Sarah, che formavano quindi un gruppo a sé stante.
-Che ne dici di raccontarmi una storia?- esordì il bambino, rompendo il silenzio in cui la compagna si era ritirata.
-Ancora?- chiese l’altra, fingendosi contrariata. Era il suo passatempo preferito, quello di inventare racconti.
-Solo uno … - supplicò l’amico.
-E va bene … - rispose Sarah, mettendosi a gambe incrociate e intenta ad intrecciare una corona di margherite.
-Allora, c’era una volta, proprio in quest’isola, una ragazza molto brutta, che non riusciva a trovare marito. Avresti dovuto vederla! Il suo volto era sempre corrucciato, il suo corpo avvizzito e piegato a causa del suo dolore e della sua rabbia. La sua disgrazia era la causa di un maleficio, che le era stato lanciato quando era molto piccola da una strega, gelosa di sua madre, una donna conosciuta per la sua bellezza: aveva capelli simili a fili d’oro e occhi ambrati, sembrava una fata, e per questo, spesso, era stata oggetto di malelingue e di pettegolezzo. In realtà, la ragazza non era affatto brutta: l’incantesimo consisteva in una sorta di gioco, la cui regola principale era quella di scoraggiare la giovane, ripetendole che non sarebbe mai stata all’altezza del mondo al di là del mare. Sua madre la teneva segregata in una stanza all’interno della sua casa; la figlia non aveva mai messo piede al di fuori di essa. Un giorno, decise di ribellarsi. Era una notte di luna piena, la luce pallida illuminava il mare, e, proteggendo Karis (era così che si chiamava la ragazza), vegliava su quel pezzo di mondo.
Karis si imbarcò su una nave di mercanti, stando bene attenta a coprirsi il viso. Viaggiò a lungo, ma quando l’alba colorò l’acqua di rosa, intravide una spiaggia.
“Quindi questa dev’essere la Grecia …” pensò tra sé e sé, stringendosi nel suo mantello scuro. L’idea di giungere in un posto nuovo la incuriosiva, ma allo stesso tempo la spaventava. E se avesse incontrato gente cattiva, che le avrebbe fatto del male? E se … -
Sarah fu interrotta dalle urla di un ragazzo che stava arrivando nella radura con grandi falcate.
-Sarah … Sarah … - chiamava il giovane.
-Cosa c’è?- chiese la bambina, sorpresa dall’irrequietezza di quel giovane.
-Mi manda tua madre … E’ successo qualcosa a tuo padre.- sentenziò l’altro, mentre le nuvole si addensavano minacciose sopra le loro teste, portando un cattivo presagio.
 

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Capitolo 2
*** Grecia. Seconda Parte. ***


CAPITOLO DUE
I tre corsero attraverso il bosco, come avevano fatto all’inizio. In quel momento, però, la vegetazione e il paesaggio non sembravano così accoglienti e invitanti come erano stati fino a qualche mezz’ora prima. Sarah era disperata, sapeva che qualcosa non andava, che era sicuramente successo qualcosa di brutto. Le facevano male i piedi, ma continuava a correre. Giunsero finalmente al villaggio, un mucchio di case di mattoni bianche, alcune ravvivate da qualche vaso di fiori sul davanzale.
La casa di Sarah era leggermente distaccata dalle altre, in una posizione quasi pericolosa, a picco sul mare, arroccata su uno scoglio aguzzo. Era stato suo padre a volerla costruire lì, si sentiva il canto delle sirene, diceva. Una piccola folla si era radunata davanti casa di Sarah, che riconobbe tra tutte quelle persone il padre di Kosta. La bambina si fece strada e varcò il portone. Il piccolo salotto era diventato all’improvviso una stanza d’ospedale. Il dottore del villaggio era chino su una figura distesa sul divano; la madre di Sarah sedeva in un angolo con la testa fra le mani. Sarah rimase un po’ distante e le parve di sentire cose come “Non ce la farà, signora” o “Probabilmente era ubriaco, perché è impossibile cadere da quel punto della scogliera senza essere spinti. Condoglianze.”.
Rosalie assisteva impassibile alla morte di suo marito, mentre fuori il mare urlava e il vento faceva sbattere gli infissi di legno delle case dell’isola. Sarah non riusciva a piangere. Suo padre era sempre stato una figura misteriosa per lei, più di sua madre. Era troppo piccola per capire il significato di quel suo gesto, che avrebbe segnato la sua vita. Al mattino sentì i singhiozzi di sua madre, e per la prima volta guardò il cadavere di suo padre. Sentì una morsa di dolore stringerla da dentro.  Era irriconoscibile. Aveva il cranio fratturato in più punti, il corpo pieno di graffi e lividi. Ma gli occhi, socchiusi, erano rimasti gli stessi . avevano la solita espressione tranquilla. La figlia gli prese la mano, piegandosi su di lui. Le parve di sentire la sua voce che la chiamava, le sue braccia forti che la sollevavano da terra. La tempesta si era calmata. Ora la casa era silenziosa. Sarah si addormentò sul petto del padre, che ormai non risuonava più dei battiti del suo cuore. Sognò i momenti felici che aveva trascorso con la sua famiglia. Una volta avevano raggiunto i nonni materni in Francia, qualche anno. Abitavano in Provenza, in una casa di campagna circondata da un prato di lavanda: sembrava immersa in un lago di sogni, quasi un miraggio in un paesaggio in cui dominavano il lilla e l’azzurro del cielo. La Grecia, Tinos, erano parsi così lontani in quel momento; Sarah era in completa sintonia con la magia di quel luogo.
Si ricordò anche di quando era morta la nonna, la madre di Rosalie.
Rivide, come in un film, sua mamma che piangeva attaccata al filo del telefono, sé stessa che la seguiva fino alla porta di camera sua. Era rimasta lì fuori ad aspettarla tutta la notte, con il sottofondo del rumore dei singhiozzi soffocati in un cuscino.
Sarah non aveva pianto, nemmeno quella volta. Era semplicemente andata sulla spiaggia, aveva scritto sulla sabbia il nome della nonna e aveva aspettato che la marea l’avesse cancellato, così come quella malattia aveva portato via la madre di Rosalie Bernard, sottraendola a questa vita e promettendo di non restituirla. Anche in quell’occasione era stato Kosta a rimanerle vicino, aspettandola qualche passo più indietro, nascosto dietro le rocce. Quando Sarah si era alzata, aveva sentito una parola tra i fruscii delle canne che danzavano accanto alle rocce appuntite. “Petaloùda”, la chiamavano, “Petaloùda, sono qui”. Kosta era saltato fuori dal suo nascondiglio, ed era corso ad abbracciare Sarah. Avevano dormito insieme, abbracciati sotto le stelle. E anche in quell’occasione, Sarah sapeva che il suo migliore amico le sarebbe stato vicino.
 
Si svegliò con Kosta accanto a lei.
-Buongiorno, petaloùda!- esordì lui.
-Kosta … che ci fai qui?-
-Sono venuto per te, lo sai benissimo.- rispose, guardandola negli occhi. Il contrasto tra l’iride marrone e quella azzurra era sempre più evidente, specialmente sotto quella luce mattutina. L’alba illuminava tutta la stanza, la mamma aveva portato dei fiori per preparare la casa per il funerale.
-Quanto … quanto ho dormito?-
-Sono qui da mezzanotte, quindi credo che tu abbia dormito una giornata intera.-
-Mamma?-
-L’ho mandata a dormire. Ho fatto anche un po’ di the, se ne volessi un sorso…- disse, prendendo per mano Sarah e staccandola piano dal corpo ormai rigido del padre.
-Non dovresti preoccuparti sempre per me …-
-E perché no?-
-Dovrebbe farlo mia madre. E invece non le è mai passato per la testa di …-
-Basta, petaloùda, vuoi che ti senta? Sai benissimo che tua madre ti ama.-
Kosta aveva sempre dimostrato una maturità superiore agli altri, e anche in quel momento sembrava un adulto intrappolato nel corpo di un bambino di dieci anni. Si sedettero intorno al tavolo e bevvero il the dalle vecchie tazze in ceramica. Pesca, il preferito di Sarah.
Avevano chiuso la porta dietro di loro, ma il rumore della gente che affluiva in casa passava attraverso i muri sottili.
Kosta sapeva anche che Sarah non avrebbe sopportato di vedere tutte quelle persone venute per salutare una persona per lei tanto importante e tanto insignificante allo stesso tempo. Uscendo, videro il pastore entrare con un paio di chierichetti. Sentirono i pianti di Rosalie e il profumo delle candele usate per le cerimonie funebri.
Andarono alla loro spiaggia, seguendo un viottolo che definiva una collinetta come una spina dorsale. Avevano portato un mazzetto di margherite, un rametto e una vecchia cravatta del padre di Sarah, scavarono una buca sulla sabbia e seppellirono il cimelio. Con il rametto scrissero il nome del padre di Sarah, Markos Gjonkari. Il mare lo cancellò rapidamente portando con sé anche i fiori.
Kosta strinse la mano dell’amica, che osservava la marea portare lontano i ricordi di suo padre.
Si allontanarono dal villaggio, mentre le campane suonavano e una processione di donne vestite di nero sfilava verso la chiesa.
 
Letizia’s corner
Ciao a tutti! In questo capitolo, ho, diciamo, sottolineato la tristezza
che si prova quando qualcuno a noi caro muore. Sarah e Kosta sono
l’ esempio dell’amicizia che tutti vorrebbero avere, spero che piacciano
anche a voi. Recensite, recensite, recensite! Vi  voglio bene :3

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