Come il cielo di luglio di Isangel (/viewuser.php?uid=77623)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Come il cielo di luglio
1.
Marianna
Bruno si perde nei suoi pensieri in riva al mare.
Pietro
Ripamonti decide di partire
Marianna
guardò la barca in
lontananza, ammirando le leggere increspature dell’acqua al
suo passaggio.
Sorrise appena, rapita da uno spettacolo di così grande
bellezza.
Aveva vent’anni, eppure la sua
ingenuità era rimasta tanto intatta da stupirsi per ogni
piccola cosa. Da un
fiore che sbocciava, alla bellezza del mare in tempesta, dalla
gentilezza dei
siciliani, alla grandezza di palazzo Ripamonti. Marianna aveva sempre
sognato
di poter sbirciare la vista da quegli enormi balconi, ma ovviamente era
un
sogno proibito. Quella era la casa del padrone assoluto, colui che
amministrava
l’enorme latifondo su cui si estendevano i campi e il piccolo
villaggio di
Santoro. Spesso sognava di visitare quella roccaforte fissa sulla
scogliera,
stagliata dai raggi lunari o da quelli mortiferi del tramonto.
Ricordava quanto alla mamma
sarebbe piaciuto abitare in quella casa sfarzosa e parte integrante
della
roccia. Si rattristò appena al pensiero della madre.
Marianna aveva perso Lucia da
quando aveva dodici anni e, nonostante fosse ormai passato un bel
po’ di tempo,
le mancava moltissimo. Assomigliarle come una goccia d’acqua
era stata una
prova ardua per Michele Bruno, suo padre. In quel periodo, le persone a
lei più
care erano perennemente turbate e scosse.
Probabilmente l’unica persona
inflessibile a quel cambiamento era stato Calogero, il suo padrino.
Abile
pescatore e amante dei paesaggi marini, Calogero Sabbati era la persona
più
tranquilla che Marianna avesse mai conosciuto. Spesso si chiedeva come
un uomo
così calmo e metodico avesse potuto sposare Pinuzza, donna
attiva e scattante.
Aveva almeno venticinque anni più di Marianna, ma era
sveglia e infaticabile.
Marianna adorava Tiziana, la loro
ultima figlia. I primi tre maschi erano andati via da Santoro in cerca
di
fortuna, sentendosi condannati a quella vita così misera.
Calogero non protestò
come fece spesso Pinuzza. Mentre quella sbraitava che servivano braccia
forti
per mandare avanti il latifondo Ripamonti, quelli la salutavano per
sempre
sull’uscio di casa.
Tiziana aveva sei anni meno di
Marianna, ma la sua indole era talmente dolce e comprensiva, quasi
malinconica,
da averla resa più matura di quanto si potesse sperare. Era
riflessiva e
obbediente, l’esatto opposto di Marianna, tanto da averla
invidiata spesso in
passato.
“Sei così irruente, Marianna.
Ti
invidio assai”, sospirava, giocherellando con i capelli
castani.
Marianna non aveva mai saputo
dire se la sua indipendenza fosse un pregio o un difetto. Lucia non
aveva fatto
che incoraggiare questo suo aspetto, ma Michele non fu altrettanto
d’accordo.
Temeva che nessuno avrebbe voluto sposare una donna indisciplinata e
dalla
lingua lunga.
Marianna inspirò appieno il vento
salmastro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sua morbida
carezza.
Adorava la Sicilia, l’isola in cui era nata. E anche se la
vita le aveva
riservato la fatica nei campi, non le importava. Per lei vivere era
già il più
bel miracolo che Dio potesse offrirle. Senza di esso, non avrebbe
potuto
assaporare l’affetto o la gioia, la felicità e il
miracoloso paesaggio marino.
Spesso il giardino primordiale che tanto la Bibbia descriveva lo
immaginava
proprio come la spiaggia di Santoro.
“Marianù!”,
chiamò una voce
conosciuta.
Marianna aguzzò la vista allo
sventolio di una mano. Calogero stava appena rientrando nel ristretto
porto del
paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano l’acqua con
un remo. Il
vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per poi
uscirvi con un agile
salto.
Marianna si alzò in piedi e gli
andò incontro, sorridendo gentilmente. “Ciao,
Calogero”, salutò gaia, le mani
incrociate sul petto.
Il vento le scostò impetuoso i
folti capelli ricci e scuri, coprendogli la visuale.
Ridacchiò appena e li
trattenne con entrambe le mani.
Calogero sorrise, sospirando
appena. Marianna sapeva a cosa stava pensando, ma non osava chiedergli
niente
per la paura che confermasse i suoi sospetti. Non voleva sentirsi
ripetere nuovamente quanto fosse simile a sua
madre. “Che stavi facendo, Marianù?”,
chiese allora il vecchio, avvicinandosi e
circondandole le spalle con un braccio.
Marianna fece una smorfia
annoiata, guidata dallo stanco dondolio di Calogero verso le modeste
casupole
di Santoro. “Niente di che, guardavo semplicemente il
mare”
Calogero scosse la testa,
divertito. “Quando tu guardi il mare, pensi. E in questo
periodo stai pensando
troppo, Marianna”
“Almeno dimostro di essere un
essere pensante”, ribatté prontamente la ragazza,
salutando con la mano una
persona di sua conoscenza.
“Come è andato il
lavoro?”,
chiese Calogero, accigliato.
Marianna si strinse nelle spalle,
questa volta cupa e imbronciata. “Solito. Noioso e faticoso,
ma meglio che
niente”
Il vecchio sospirò. Sapeva che
cosa intendesse dire la sua protetta. “Questa è la
nostra vita, picciridda.
Abituati”
Marianna non replicò.
* * *
Michele Bruno stava aspettando
impazientemente il ritorno della figlia a casa. Non gli aggradava molto
il fatto
che scorrazzasse libera e sola in paese, i tempi erano troppo brutti.
Ormai
nemmeno l’isolato villaggio di Santoro era più un
posto sicuro per una donna.
Lì si conoscevano tutti, il paese era piccolo come un
quartiere. Ma non gli
piaceva. Men che meno da quando aveva saputo chi
sarebbe arrivato di lì a poco.
Si stava così bene senza di loro.
Da quando don Stefano Ripamonti era morto, nessuno aveva più
sopportato
angherie e soprusi nei dintorni. Tutti lavoravano tranquillamente nei
latifondi, comandati e pagati da un datore invisibile. E adesso quella
bolla di
tranquillità si stava infrangendo del tutto.
Il giovane Ripamonti sarebbe
presto giunto in paese, mantenuti e comandanti al seguito. Michele
ricordava
bene l’odio che aveva sempre covato per
quell’insano Stefano Ripamonti, uomo
crudele e senza scrupoli. Chissà perché,
immaginava il figlio dello stesso
stampo. Il che non era affatto un bene.
Sospirò, passandosi una mano
sugli occhi stanchi e affaticati. Gli mancava terribilmente Lucia, sua
moglie.
Lei era tutto ciò che aveva potuto avere dalla vita. Era
dolce, gentile, onesta
e obbediente. La sua bellezza era riuscito ad incantarlo giorno per
giorno,
come un adolescente innamorato. Gli aveva donato un maschietto,
purtroppo
presto stroncato da una polmonite a tre anni. Poi era arrivata lei. Non
avrebbe
mai permesso che a Marianna, la sua unica figlia, accadesse qualcosa.
La amava
con tutta l’anima. E poi, era così simile a
Lucia…
“Michele? Michele!”. La voce
di
Pinuzza risuonò improvvisamente nella catapecchia,
accompagnata da picchi sulla
porta.
“Vieni, Pinuzza, vieni!”,
urlò
Michele, raddrizzandosi immediatamente sulla sedia.
Pinuzza apparve in tutta la sua
improvvisa vitalità, i capelli ormai grigi decisamente
sconvolti. Michele si
accigliò nel vedere la preoccupazione della moglie del suo
migliore amico
dipinta negli occhi scuri. Gli giunse alla mente solo una cosa. Lei
sapeva.
“Chi te l’ha
detto?”, domandò
semplicemente, facendo un cenno allo sgabello di fronte a lui.
Pinuzza colse l’invito. Si sedette
immediatamente di fronte a lui, ravvivandosi i capelli per sistemarli
il meglio
possibile. “Me lo ha detto stamattina Carmela, quella che
vive vicino alla
spiaggia. Dice che è questione di un giorno”.
Pinuzza deglutì a forza,
seriamente allarmata. Quella notizia piaceva quanto a lui.
“Sai come si chiama?”, si
informò
Michele, pensieroso.
Pinuzza annuì, facendo una
smorfia. “Pietro. Si chiama Pietro. Avrà il nome
di un apostolo, ma sicuramente
come il padre è! Cattivo sangue non mente!”,
esclamò infervorata.
Michele assentì, completamente
concorde. “Già. Un giorno…
chissà com’è il figlio del
padrone”
Pinuzza sospirò, gli occhi
improvvisamente fissi sul tavolo tarlato che li divideva.
“Dicono che è davvero
bello, ma non è né sposato né promesso
a qualcuno. Ha appena preso le redini
delle rendite di famiglia, il padre è morto da poco. Mi
hanno anche riferito
che sia solo come un cane: la madre è morta quando era un
bambino, il fratello
si è rotto l’osso del collo cadendo da cavallo e
la sorella è morta di parto.
Dio, speriamo che la sfortuna della sua famiglia ricaddi anche su di
lui!”
Michele le lanciò un’occhiata
severa da sotto le lunghe ciglia. “Dio non voglia, Pinuzza!
Magari questo
Pietro Ripamonti è diverso dal padre, magari più
buono. Non dico per aumentarci
la paga, ma perlomeno per lasciarci in pace. La morte non si augura a
nessuno,
questo la mia Lucia diceva sempre”
Entrambi si rabbuiarono al
ricordo di Lucia.
“Hai ragione”,
sussurrò Pinuzza,
le mani nodose che torturavano insistentemente il grembiule.
“Speriamo in bene”
“Abbiamo un giorno di preghiera,
Pinuzza. Speriamo che sia un giovane buono e magnanimo”,
ribadì Michele.
Si congedarono così, con poche
parole, la morte nel cuore.
* * *
“Solo mio padre poteva avere un
latifondo in un posto dimenticato da Dio”. Pietro Ripamonti
sbuffò
rumorosamente alla vista del documento che il notaio gli aveva
consegnato.
Lamanna lo osservava attentamente
al di sopra dei sottili occhiali, concentrato sulle espressioni
facciali
dell’uomo.
Un nuovo sospiro irritato gli
fece sospendere il respiro. Studiò con attenzione i suoi
lineamenti dritti e
spigolosi. Le sopracciglia folte e arcuate erano crucciate per
l’attenzione e
gli occhi nocciola, risaltati innaturalmente dalle braci morenti nel
caminetto,
scorrevano alla lunga sul foglio. Era bello Pietro Ripamonti. Bello
quanto
terribile. D’altronde, era figlio di suo padre. Lamanna
sorrise tra sé e sé per
la sua sciocca battuta.
Pietro lo notò e gli lanciò
un’occhiata talmente astiosa da ammutolirlo. “A me
sinceramente non diverte,
Lamanna. Andare a Santoro è una grande scocciatura”
“Non è poi molto lontano da
Palermo, signore”, ribadì il notaio, leggermente
risentito dal tono maleducato
del giovane. “Il mio è solo un consiglio. Vostro
padre è da secoli che non si
recava lì, nemmeno per un breve controllo. È bene
fermarsi qualche mese anche
solo per vedere l’andazzo dei contadini e del lavoro.
Ultimamente le rendite
sono calate”
“Questo è vero”,
concordò Pietro,
le labbra piene strette in una smorfia.
Lamanna attese pazientemente che
Pietro uscisse dai suoi pensieri, sicuro che avrebbe ceduto. Le
statistiche non
potevano mentire.
L’enorme sibilo glielo
confermò.
“Non mi resta che andarci, allora”,
mugugnò Pietro, rilassandosi completamente
contro lo schienale della sedia.
“Scelta saggia, signore. Vedrete
che non vi annoierete. Le bellezze locali sono un vero
portento”, cercò di
consolarlo Lamanna, gli occhi scintillanti. Le poche volte che era
stato a
Santoro per conto di don Ripamonti, non aveva di certo sdegnato la
vista di
bellissime e provocanti fanciulle.
Pietro sollevò le sopracciglia,
scettico. “Si, come no. Tutte contadine analfabete e prive di
sensualità.
Quelle non fanno che darla a tutti, credetemi”
Il notaio sobbalzò a così
poco
tatto ed arrossì violentemente non appena
incrociò lo sguardo divertito di
Pietro Ripamonti. Si schiarì la gola, cercando di
dissimulare l’imbarazzo
crescente. “Quando avete intenzione di partire?”,
domandò.
Pietro ghignò, scettico.
“Immediatamente”
________________________________________________________________________________
Tutta
la vicenda è ambientata nella Sicilia dopo
l’unificazione di
Italia.
Il
villaggio di Santoro è immaginario. Ogni singolo personaggio
e ogni
avvenimento, eccetto quelli storici, è frutto della mia
fantasia.
Sono
contenute alcune parole in dialetto siciliano, penso di facile
comprensibilità a tutti.
Spero
che questa storia vi piaccia come è piaciuto a me scriverla.
Mi
sono affezionata tantissimo ai miei personaggi, ai paesaggi immaginari
di
Santoro e al calore della Sicilia. Non sono mai stata in questa
magnifica regione,
ma conto che un giorno riuscirò a visitarla.
Se
questi personaggi riusciranno ad entrarvi nel cuore, saprò
di essere
riuscita a descriverli e a renderli umani a tutti gli effetti.
So
che la sezione “Originali” non è molto
frequentata, quindi sarò
felicissima di ricevere alcuni commenti,anche di critica costruttiva.
Non
temete, altrimenti la cestino, non c’è problema!
Se
volete seguirmi in questo viaggio denso e tortuoso di sentimenti,
aspetto un vostro commento e la vostra presenza nel prossimo capitolo!
Un
abbraccio e un bacio a tutti!
|
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Capitolo 2 *** 2. ***
Come il cielo di luglio
2.
Marianna Bruno
è bramata inconsapevolmente da Pietro Ripamonti
L’estate era una delle
stagioni che Marianna preferiva in assoluto. Canticchiando fra
sé un dolce canto popolare, alzò gli occhi al
cielo. Osservò gioiosa lo sfondo turchese, limpido e sereno,
senza alcuna nuvola che potesse minacciare il suo dolce equilibrio. Un
leggero venticello cominciò a diffondersi per il latifondo,
portando un udibile sollievo tra i contadini.
Eppure,
nonostante il tempo fosse meticoloso, Marianna avvertiva che qualcosa
non andava. Stranamente, non udiva nessuna signora spettegolare,
né gli uomini intonare una filastrocca con le loro voci
forti e allegre. Tutto era cupo e minaccioso. Si accigliò,
decisamente in ansia.
“Marianna!”,
tuonò Tiziana, correndo verso di lei.
Marianna si
distrasse dai pensieri sempre più complessi e pose tutta la
sua attenzione sull’amica. “Che
c’è? Mi sembrava di averti già salutata
e accompagnata questa mattina”, scherzò,
concentrandosi sul mais da raccogliere.
“Appunto!
Mi sono dimenticata di chiederti che cosa ti metterai
stasera!”, disse Tiziana, quasi urgentemente.
Marianna si
bloccò, totalmente presa alla sprovvista.
“Perché, stasera che
c’è?”
Tiziana
sbuffò, spazientita. “Ma come, Marianù!
La festa del raccolto, ricordi?”, chiese, retorica.
Marianna quasi
avvertì il meccanismo che fece scattare il suo cervello.
“Non ricordavo che ci fosse la festa del raccolto”,
disse, corrucciata.
Tiziana
ridacchiò appena, scostandosi una lunga ciocca corvina dal
viso. “Sei sempre la solita distratta, Marianna. È
impossibile che non te ne ricordi, non si parla d’altro da
una settimana!”
Marianna si
strinse nelle spalle, facendo attenzione che il cesto di vimini non le
cascasse a terra. “Sarà, ma io non me lo
ricordavo”
Tiziana scosse
la testa, esasperata. Divertita, Marianna non poté fare a
meno di ridere alla buffa faccia dell’amica, trascinandola in
un vortice di ilarità.
“Picciridde, qua si
lavora, non si ride mica!”, le riprese Pinuzzza, che stava
passando proprio in quel momento tra le lunghe fila di granturco.
“Mamma,
diglielo a Marianna che stasera c’è la festa del
raccolto!”, esclamò Tiziana, faticando a
trattenere le risa.
Marianna
sorrise all’espressione assolutamente sorpresa della sua commara.
“Davvero non lo sapevi? Marianù, mi preoccupi
assai!”
“In
questo periodo mi sto distraendo un po’”, ammise
Marianna, una luce birichina negli occhi azzurri.
“L’ho
notato, bambina. Calogero ha ragione, pensi troppo”,
sospirò la donna, stringendo ancora di più la
falce.
“Non
credo che ci andrò”, disse Marianna, il tono
lievemente scocciato.
“Scherzi?
Stasera ci saranno tutti! Sarà divertente, dai!”,
insistette Tiziana, scandalizzata dall’affermazione
dell’amica.
“Ma…”
“Tiziana
ha ragione, Marianna. Forse è bene che ti svaghi un
po’”, notò Pinuzza, gentile.
Marianna
sbuffò, per niente amichevole. “Siete proprio
delle comari insopportabili”
Pinuzza,
sorridendo, raggiunse presto le donne della sua veneranda
età e Marianna la seguì con lo sguardo. Le donne
erano inquiete, come se fossero disturbate da qualcosa di losco e
impensabile. Sembravano un’enorme congrega politica, tutte
con gli occhi infossate e le rughe di preoccupazione stampate sul
volto. Beh, di certo non per la festa imminente. Quelle più
che altro lo sarebbero state le sue coetanee, se non fossero
già tutte sposate e con marmocchi al seguito. Marianna non
capiva e questo la irritava a morte.
“Dai,
torniamo a lavorare”, propose a Tiziana, la mente in
fibrillazione.
*
* *
Pietro
Ripamonti ammirò quasi incantato il magnifico palazzo che si
ergeva fiero sullo scoglio, dichiarando la sua perenne e invincibile
presenza. Quel paesaggio non gli era per niente famigliare, prova
schiacciante del fatto di non essere mai stato a Santoro.
Stefano aveva
fatto davvero le cose in grande, questo glielo doveva concedere.
L’abitazione,
essendo stata in disuso per molto tempo, aveva impiegato ore per
riprendere l’aspetto di una dimora calda e accogliente.
Pietro non aveva perso tempo. Aveva già assunto il mastro e
dei servitori, in modo di non perdersi in dettagli insignificanti.
Non si
aspettava niente di speciale da un villaggio dimenticato da Dio, ma
dovette ricredersi. La vista era magnifica. Lo lasciò senza
fiato, cosa alquanto impensabile per un tipo difficile come Pietro,
insensibile perfino al fantomatico panorama di Palermo.
Pietro si era
spesso chiesto perché suo padre non avesse curato quel
latifondo. Dalla sua morte, aveva scoperto ipoteche nuove e
sconosciute, addirittura mai accennate in famiglia. Probabilmente
nemmeno sua madre ne era a conoscenza.
Ma Santoro gli
piaceva, sarebbe potuto restare più del necessario. Quando
lo studio fu nuovamente abitabile, si stabilì lì
con tutti i suoi bagagli di libri. Solo, Pietro afferrò una
delle borse e cavò un piccolo ritratto. Sospirò
non appena mise a fuoco il volto etereo e sorridente di Laura.
Ricordava con precisione quegli occhi verdi come l’erba di
maggio perennemente allegri, così simili a quelli della
mamma, la voce vellutata, i soffici capelli scuri, i suoi
sbuffi… ma Laura non c’era più. Pietro
sapeva perfettamente che, se fosse stata ancora viva, avrebbe scalato
mari e monti per seguirlo e stargli vicino. Perché,
nonostante fosse più piccola di lui di appena tre anni, si
sentiva sempre in dovere di proteggerlo. Lei, forte come una tigre e
delicata come una rosa. Lei, sua sorella.
Pietro
appoggiò delicatamente il ritratto e asciugò con
violenza la lacrima che, involontariamente, aveva solcato la sua
guancia.
*
* *
Pietro apprese
della festa solo dal nuovo mastro Filippo Madantoni, assunto per la
sistemazione di villa Ripamonti sulla scogliera di Santoro. La scoperta
avvenne in modo assolutamente casuale, in una normalissima
conversazione di cortesia. Aveva cercato di distrarsi in tutti i modi
dalla tristezza che lo aveva improvvisamente assalito, ma finora nessun
metodo fu abbastanza soddisfacente. Non ce la faceva davvero
più. La testa gli scoppiava, una morsa ferrea e gelida gli
serrava la gola e le lacrime minacciavano di sgorgargli da un momento
all’altro. Se un servo lo avesse visto in quello stato
deplorevole, sarebbe morto di vergogna.
L’unica
soluzione che il suo cervello elaborò abbastanza velocemente
era di dare un’occhiata alla festa per distrarsi. Riluttante,
si costrinse a pensare che fosse la sola possibilità.
Chiese la
cortesia di accompagnarlo a Madantoni, tutt’altro che felice
di quella terribile compagnia. Trovava che quel Pietro Ripamonti fosse
un uomo inquietante e severo, troppo vecchio per la giovane
età che effettivamente aveva. Lui sì, che
incuteva timore.
Si
incamminarono per le strade buie e scoscese del paese, fianco a fianco.
L’imponenza di Pietro non era solo caratteriale. Il suo metro
e novanta sovrastava di gran lunga Madantoni, più basso di
almeno venti centimetri.
Pietro
udì la ballata già da diversi metri di distanza e
le sue labbra si schiusero in un ghigno. Non era di certo la musica
classica a cui era abituato, ma tutto sommato era orecchiabile.
“Che
cosa si festeggia esattamente?”, chiese, le braccia dietro la
schiena.
“La
raccolta del granturco, Voscenza”, rispose semplicemente
quello, stringendosi nelle spalle. “Da anni si festeggia
questo tipo di feste. Si svolgeva anche ai tempi in cui governava la
buonanima di vostro padre”
La mascella di
Pietro si irrigidì pericolosamente, ma Madantoni parve non
farci caso.
Buonanima…
papà era tutt’altro che una buonanima.
La via si
allargò, lasciando uno sbocco finale in una piazza
brulicante di gente. Le danze erano già state inaugurate,
motivo di sollievo per Ripamonti, che non aveva intenzione di essere
riconosciuto. Se suo padre fosse stato in vita, lo avrebbe bastonato
per essersi mescolato ad una massa di sudici contadini. Ma non lo era,
quindi tanto valeva non dare luce a certi pensieri.
I suoi occhi
scuri vagarono sulle figure aggraziate che danzavano al centro della
piazza, incoraggiate dal battito allegro e altisonante delle mani.
Fu in un
attimo.
Una ciocca di
capelli ricci, castano scuro. Un lembo di pelle dorata. Meravigliosi
occhi celesti come il cielo di luglio.
La vide. E
rimase folgorato.
La ragazza
danzava sensuale come un’odalisca, la bocca schiusa in un
radioso sorriso. Un nodo stretto e insidioso attorcigliò lo
stomaco di Pietro. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, tanto
era bella e luminosa come una dea. Era piccola, ma formosa, i lunghi
boccoli scuri che le arrivavano appena sopra il fondoschiena. I fianchi
si muovevano aggraziati e sinuosi, risvegliando in Pietro un desiderio
sordo e irrazionale, antico come il mondo.
“Chi
è quella donna?”
Madantoni
sobbalzò alla voce roca e involontariamente lasciva di
Pietro, che non distoglieva un secondo lo sguardo dalla creatura
angelica. Fissò lo stesso punto. Non appena riconobbe
l’oggetto del desiderio del suo padrone, gli venne la pelle
d’oca. “Marianna Bruno, Voscenza”
“La
conoscete?”, chiese Pietro, guardandolo attentamente.
Madantoni
annuì. “Certo, Voscenza. Conosco tutti gli
abitanti di Santoro. È sempre stata una brava picciridda, la
Bruno. È bellissima, ha preso tutto dalla buonanima di sua
madre Lucia –che Dio la benedica-, che è morta
quando avrà avuto dieci o più anni. Suo padre
Michele è uno dei contadini più lavorativi che
conosca. Gran bella donna, Voscenza, bella e buona. Allegra come poche,
la ricordo bene, non le si spegne mai il sorriso!”
Pietro
sospirò appena, intuendo perché Madantoni si
stesse dilungando così tanto sulle qualità
caratteriali e non su ciò che gli premeva di più.
“È sposata?”, domandò,
immaginandosi già la risposta. Era quasi ovvio che una donna
del genere appartenesse già a qualcuno.
Madantoni si
irrigidì, temendo il peggio. Ciò non
sfuggì a Pietro, che attese pazientemente la risposta.
Passarono dieci secondi, intervallati dalla musica spensierata,
indipendente alla loro conversazione vergognosa.
Marianna
sorrideva e volteggiava, la gonna lunga che oscillava al tempo delle
voluttuose anche.
“Allora?”,
lo spronò Pietro, minaccioso.
“No,
Voscenza”, mormorò Madantoni, talmente piano da
temere che Ripamonti non lo avesse udito. Ma ovviamente
intuì dal suo sorriso serafico che non era così.
“Che
cosa… strana. Stento a credere che una bellezza
così rara e dalle molte qualità non sia stata
ancora maritata”, osservò Pietro, incrociando le
braccia al petto.
Curioso,
davvero. Non riusciva a crederci un granché, ma sapeva che
Madantoni, se avesse dovuto mentirgli, gli avrebbe detto esattamente il
contrario.
“Non
è come sembra, Voscenza”, sussurrò
Madantoni, ancora mortificato. “Marianna Bruno ha molte
qualità, è bella, sagace e intelligente, ma sa
quello che vuole. I pretendenti non le sono mai mancati, sin da quando
è diventata una signorina a tredici anni. Eppure lei vuole
scegliere quello giusto, piuttosto rimane zitella. Non so se Voscenza
mi capisce…”
“Ho
capito perfettamente”, ribadì Pietro, ferreo. Si
umettò le labbra, in un gesto inconsapevolmente osceno.
“Non sono certo che il padre le permetta una cosa del
genere”
Pietro
pensò involontariamente a Laura.
Laura.
Sua sorella, sangue del suo sangue.
Un ricordo che
fece molto male. Di nuovo. Gli sfuggì un sospiro.
Madantoni si
strinse nelle spalle ossute, una smorfia scettica sulle labbra.
“Michele Bruno ha larghe vedute. E poi credo che desideri la
figlia come compagnia un domani”
“Capisco”,
disse semplicemente Pietro.
Guardò
Marianna Bruno, specchiandosi lontanamente in quegli occhi sereni come
il cielo di luglio.
La desiderava.
Pensieri
osceni gli offuscarono la mente.
I
suoi gemiti, la sua bocca sulla sua, le carni dorate che circondavano
la sua essenza con il loro calore, i ricci sparsi sul cuscino bianco,
gli occhi azzurri spalancati dal piacere che lui le
procurava…
Pietro si
eccitò. E in quell’istante capì che
Marianna Bruno doveva essere sua, solo sua.
________________________________________________________________________________
Eccomi
qua con il secondo capitolo. Perdonate la lunga attesa, ma la scuola e
lo studio continuo mi hanno impedito di postare.
Come
vedete, la situazione si sta evolvendo. Abbiamo scoperto qualcosa di
più sul misterioso Pietro Ripamonti. Ha visto Marianna
e… la desidera intensamente.
Nel
prossimo vi sarà la vera e propria svolta (che immagino
sappiate già quale XD. Addio effetto sorpresa! ;P).
Grazie
per i complimenti sulla mia scrittura, ne sono rimasta
meravigliosamente felice! Con la terza persona non sono molto pratica e
sto tirando fuori il meglio di me stessa. Sono contenta di esserci
riuscita!
Grazie
alle persone che hanno inserito questa storia tra le preferite e le
seguite! Grazie anche a yle_cullen
(ciao tesoro! Controlla tua –mail, o riposto al messaggio! ;)
E grazie mille!),
___Ivy___ (addirittura fan number one? Grazie, sono
commossa, cara!), Alice
Joy (grazie tesoro per l’incoraggiamento e per i
tanti complimenti! Carpe diem! Eh, eh ;)), _Elisewin_ (anche io
amo i romanzi storici, in particolare quelli ambientati
nell’Ottocento! Grazie mille!), lorenzablu (spero di
non averti deluso con questo capitolo!), SmartiesYO (grazie
mille, anche per i complimenti sullo stile! Io in terza persona non
è che sia molto capace di scrivere!) ed essebi (ma mi credi
che quel libro ce l’ho in casa, ma non l’ho mai
letto? Credo che dovrei iniziare. In casa ho tantissimi libri e ogni
tanto ne saltano fuori di nuovi, tanto che questo non sapevo nemmeno
che esistesse e fosse ambientato in Sicilia! Che stordita che sono! No,
mi sono ispirata solo per l’epoca e il luogo a “La
zia marchesa” di Agnello Hornby. Te lo consiglio,
è stupendo!) per aver recensito!
Un
abbraccio a tutti, e alla prossima!
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Capitolo 3 *** 3. ***
Come il cielo di luglio
3.
Marianna
Bruno si offre per lo sposalizio con don Pietro Ripamonti.
Le
tristi nozze
Il giorno dopo, riprendere il
lavoro fu molto difficile per Marianna. Aveva le membra indolenzite per
il
troppo movimento e la testa le girava ogni tre per due. Tuttavia si
fece forza.
Si preparò lentamente, per poi passare a prendere Pinuzza e
Tiziana con il
padre.
Michele camminava al suo fianco
stancamente, il volto cereo.
“Papà, ti senti
bene?”, chiese
Marianna, tremendamente preoccupata.
Michele annuì, ma Marianna non ci
cascò. “Papà, stai a casa. Ci manca che
mi svieni per strada. Farò anche il tuo
settore, a costo di starci fino a domani mattina, davvero”,
lo rassicurò,
afferrandogli la spalla.
“Non puoi capire, Marianna.
Giovane sei”, sussurrò Michele, gli occhi marrone
scuro fissi nei suoi.
Senza rendersene conto, si
fermarono in mezzo al viottolo. Si osservarono attentamente per un paio
di
secondi, l’uno di fronte all’altro, la mano di
Marianna sulla spalla del padre.
E lei comprese che c’era qualcosa di ben più grave
che minava la tranquillità
di Santoro, qualcosa di terribile e misterioso. Chissà come,
si rammentò
dell’inquietudine delle donne il giorno prima.
“Papà, non mentirmi, che diavolo
sta succedendo?”, chiese, la voce lievemente isterica.
Michele si allarmò per la
preoccupazione della figlia, e si affrettò a minimizzare.
“Niente, Marianna,
davvero”
Gli occhi chiari di Marianna si
oscurarono come il mare in tempesta. “Papà, non
sono più una bambina, ho quasi
vent’anni! Che cosa sta succedendo?”
“Marianù…”,
sospirò Michele, ma
un rumore improvviso lo ammutolì.
Marianna aguzzò le orecchie, in
allerta. Un sordo scalpiccio lontano si propagò
nell’aria come uno sciame di
api, atterrendola. Marianna era grata che nessuno dei paesani
utilizzasse
spesso i cavalli, avendone una cieca e sorda paura. Deglutì
a forza, già in
profondo panico.
Accadde in un attimo.
Michele la spinse contro il muro
di una casa vicina, il tempo per evitare che l’enorme
squadrone di cavalieri li
travolgesse. Le si bloccò la gola, incapace di urlare,
respirare o fare
qualsiasi altra cosa. Non capiva che cosa stesse accadendo, chi fossero
quelle
persone quasi più numerose dell’intero paese, ma,
soprattutto, che cosa ci
facessero lì. Si tappò le orecchie come una
bambina, le lacrime agli occhi per
la paura. Percepì a malapena l’abbraccio
rassicurante di suo padre, che tentava
di trasmetterle un minimo di conforto.
Ma Marianna non capiva, non
avvertiva niente. Solo un brutto presagio e tanta voglia di piangere.
Mamma, dimmi che
succede… perché lo sai, vero?
“Se ne sono andati, tesoro mio.
Sono andati. Sono andati via…”. Marianna
sentì la dolce carezza di suo padre
sulla guancia e cominciò a respirare.
Non sentì nemmeno gli strilli
disperate delle donne e le grida assordanti dei contadini nelle vie. I
pianti
dei bambini non erano per la gioia di vivere. Marianna
rabbrividì, gettandosi
nelle braccia di Michele.
“Ecco che cosa sta succedendo,
figlia mia”, le sussurrò Michele in un orecchio,
disperato. “Il signore di
Ripamonti è tornato”
* * *
Passarono esattamente due
settimane dalla festa del raccolto e Marianna cadeva sempre di
più nella
depressione. Era sempre più difficile tollerare i commenti
osceni dei guardiani
di don Ripamonti, sempre più complicato lavorare con le
strilla di uomo, donna
o bambino risuonare per i campi. Marianna aveva paura. Non per
sé stessa
–probabilmente era l’ultima cosa a cui pensava-, ma
per i suoi cari. Non
avrebbe sopportato se quegli schifosi avessero messo le mani addosso a
Tiziana
o avessero maltrattato Pinuzza. O peggio, suo padre. Calogero
probabilmente era
quello che correva meno rischi, sempre all’aperto sulla sua
piccola barchetta.
Marianna immaginò di essere un
uomo. Michele le ripeteva sempre che, se fosse stata davvero un
maschio,
l’avrebbe vista bene come un soldato: forte e irruente, ma
sempre leale.
Ma, purtroppo, così non poteva
essere. Era una fimmina, e fimmina sarebbe rimasta. Ed essere una
donna, in Sicilia, alla fine dell’Ottocento, equivaleva solo
a una creatura dedita
alla procreazione. Cosa completamente raccapricciante per un tipo
romantico e
puro come Marianna. Sapeva che la vita non era una favola, ma ancora ci
sperava. Alla fine, era l’ingenuità che la fregava
sempre.
Due settimane di terrore,
angherie e frustrazione, finché non si giunse al punto di
non ritorno.
Si indisse una riunione speciale.
* * *
Pietro Ripamonti sospirò,
scocciato. Lamanna era davvero una gran perdita di tempo, lo aveva
sempre
saputo. Non aveva fatto altro che mandargli rapporti identici e privi
di tono,
noiosi solo alla loro vista apparentemente innocua nella busta gialla.
Pietro aveva ventisette anni e le
lettere non gli erano affatto sconosciute. Aveva cominciato a
maneggiarle dieci
anni fa, quando il padre cominciò a venire a meno in quella
famiglia così
disastrata. Nonostante tutto, però, non si era ancora
abituato a quella
seccante inflessione monotona. Sbuffò nuovamente.
Bussarono alla porta, motivo di
ulteriore scocciatura per il signore.
“Avanti”, ordinò,
burbero.
“Voscenza, vi devo comunicare
urgentemente una cosa”. Guido Lattuca si fece spavaldamente
avanti, i grandi
baffi sporgenti dal viso ossuto e cavallino.
Pietro si accigliò, turbato.
“Che
c’è?”
“Non sono capo guardiano da
nemmeno due settimane e questi contadini rompono perché la
smettiamo!”, si
lamentò Lattuca, allargando esasperato le braccia.
Pietro sbuffò. “Ci mancavano
pure
i contadini… starsene buoni no? Che cosa dicono?”,
chiese, la bocca piena
piegata in una smorfia.
“Dicono che vi sono troppi
soprusi, che Voscenza è un criminale, un dissoluto, un
corrotto e chi più ne ha
ne metta… che devo fare, Voscenza? Schiacciarli?”,
propose divertito Lattuca.
Pietro ghignò. Era strano essere
già giudicato come un infallibile criminale in appena due
settimane da dei
contadini cenciosi. Forse aveva stabilito un nuovo primato. Non gli
passò
nemmeno per l’anticamera del cervello che magari i suoi
provvedimenti fossero
davvero troppo drastici. Ma Pietro era convinto che quella gente aveva
bisogno
di stimoli per tornare a lavorare come si doveva e scordarsi
immediatamente la
bella e comoda vita che facevano durante il governo del padre. Dovevano
ringraziarlo, perché Stefano Ripamonti avrebbe fatto davvero
di peggio. La
rendita era calata veramente troppo. “Temo che facendo
così non ci saranno più
braccia per lavorare nei campi”
“Altri se ne trovano, Voscenza. Anche
perché qui tra un po’ scoppia una rivolta. Io non
ne posso già più!”
“Invece di lamentarti, perché
non
ti dai da fare per un accordo?”, disse Pietro, quasi
mortifero.
“In realtà, ci avevo
già pensato”
Pietro si irrigidì, alzando
lentamente gli occhi sul capo guardiano. Aggrottò le
sopracciglia, scettico, ma
curioso. “Cioè?”
Il sorriso di Lattuca parve
lontanamente inquietante. “Uno sposalizio”
L’espressione disgustata di
Pietro fu molto eloquente. “Scherzi? Dovrei sposarmi con una
contadina?”
“Certo! Perché no? Almeno vi
garantite la stirpe, Voscenza! E poi, belle fimmine
ce ne sono qui a Santoro. Lo sposalizio è un rituale vecchio
come il mio
bisnonno, un modo ufficiale per garantire pace a lungo. Che ne
dite?”. Lattuca
strinse i denti, speranzoso. A dire il vero, quella era
l’unica idea geniale
che gli fosse balzata alla mente.
Pietro stette zitto. Non sapeva
come controbattere o anche solo cosa pensare. Sapeva che un rituale del
genere
non avrebbe intaccato il suo casato. Certo, lo avrebbe impoverito, ma
le
entrate erano talmente alte da non doversi preoccupare più
di tanto. Per quanto
riguardava la gente, le chiacchiere non gli interessavano. Non
più.
D’un tratto, il suo cervello gli
inviò un segnale luminoso e appariscente. Pensò a
Marianna Bruno… e la
questione si fece interessante. Le donne nubili erano davvero poche a
Santoro,
lo immaginava con certezza. E se gli fosse andata male alla prima
occasione,
avrebbe chiesto esplicitamente di volerla. “E sia. Vada per
lo sposalizio”
Lattuca annuì, seccamente.
“Certo, Voscenza”. Si voltò, marciando
come un soldato verso la porta.
“Ah, Lattuca?”,
chiamò Pietro.
“Si, Voscenza?”
Pietro chiuse con un gesto secco
le corrispondenze, gli occhi scuri resi più incavi e vivi
dalla penombra.
“Prima di inaugurare il tutto, portami il
nominativo”
* * *
Marianna osservò inquieta la
calca dell’intero villaggio di Santoro nella piazza. La folla
brulicava,
impaziente e scalpitante. I bambini piangevano affamati e stanchi, i
ragazzini
parlottavano tra di loro di cose ben più leggere, ignari
della gravità della
situazione.
Marianna era appoggiata al
lampione con il padre alla destra e Calogero alla sua sinistra.
Osservava
attentamente quel bruto capo dei guardiani, Guido Lattuca. Era rimasta
paralizzata dall’altezzosità e
meschinità concentrate in un tale individuo. Era
alto e minuto, dai lineamenti affilati e lunghi come quello di un
cavallo (e
questo bastava per intimorirla). Il mento sporgente e ossuto era
coperto
poveramente dagli enormi mustacchi neri, risaltando malamente gli occhi
neri e
liquidi.
Marianna rabbrividì.
“Contadini di Santoro, giungo qui
da un colloquio con don Pietro Trasi di Ripamonti”,
annunciò a gran voce, catturando
l’attenzione di tutti i paesani. Si schiarì appena
la gola. “Abbiamo parlato e
vi ha proposto un accordo. Obbligatorio da accettare”
“E che razza di accordo è
allora?”, protestò sottovoce Calogero, seriamente
indignato.
Michele annuì, costernato.
Gli occhi di Lattuca
perscrutarono un istante i paesani. “Voscenza offre uno
sposalizio, in modo da
garantire un vero e civile accordo con il popolo di Santoro. Questo
matrimonio
sancirà non solo l’unione di due anime, ma una
conciliazione tra dipendenti e
padrone”, tuonò, le labbra secche piegate in un
rapido sorriso.
Marianna trattenne
involontariamente il respiro. Perché sapeva qual era il
rischio che tutte
incorrevano. Sposarsi senza amore, per la carità della sua
gente. Fece un
rapido calcolo. Le uniche giovani in età da matrimonio, in
tutto il paese,
erano cinque, comprese lei e Tiziana. Venti e quattordici anni a
confronto. Le
altre, erano fidanzate con uomini di un altro paese.
Forse perfino Michele ci aveva
pensato, perché si irrigidì brutalmente e
fissò Calogero con la coda
dell’occhio.
“Chi si offre?”,
tuonò a gran
voce Lattuca, gli occhi neri scintillanti nella forte luce mattutina.
Tutti tacevano.
“Chi si offre?”
Marianna tremò appena, le mani
strette convulsamente in grembo per l’indecisione.
È questo il
mio destino, mamma? Sposarmi come una martire?
“Non lo ripeto più. Chi si
offre?”. La domanda era perentoria. E Marianna
capì che quello era il prezzo
per salvare suo padre e suoi cari.
Ora o mai più.
“Io”, urlò, alzando
la mano.
L’intera folla si voltò verso
di
lei, gli occhi talmente spalancati da sembrare gufi impazziti. Perfino
i
bambini si erano fermati per ammirare la loro Marianna Bruno che si
offriva
come un agnello al macello.
Un sorriso di approvazione balenò
sul viso del capo comandante. “Il nome?”
“NO!”. Il grido disperato di
Michele si propagò per tutta la piazza. Per poco non si
scagliò contro la
figlia, come se facendo un passo avanti potesse commettere una
sciocchezza, ma
il vecchio Calogero si affrettò presto ad afferrarlo.
Il labbro inferiore di Marianna
tremò appena, ma la sua voce fu ferma e decisa.
“Marianna Bruno, se lo segni”
“NO!”. L’altro grido
di suo padre
fu una pugnalata al petto. Chiuse gli occhi pieni di lacrime pronte a
traboccare.
Scusa, papà.
Ma l’ho fatto per te, per voi.
Lattuca segnò il nominativo su un
pezzo di foglio, per poi infilarlo nell’angolo della giacca
nera. “E sia”
* *
*
Non appena Pietro Ripamonti venne
a conoscenza del nome della sua futura sposa, chiuse gli occhi per un
istante.
Non riusciva a credere di avere avuto così tanta fortuna.
Sapeva che sposare
una donna solo perché suscitava un insano desiderio era
sbagliato, ma non
riusciva a pensare altrimenti. Un uomo si sposava solo per avere figli
e
assecondare di tanto in tanto la passione che si covava in corpo.
Nessuno
contraeva matrimonio per amore. A Pietro premeva più che
altro garantire pace e
obbedienza dei contadini fino alla morte e progredire la stirpe
Ripamonti, di
cui lui era l’unico superstite.
Per il
resto, se Marianna non gli avrebbe aggradato più, avrebbe
potuto avere amanti e
relazioni clandestine, ovviamente mantenendole nell’anonimato
come giusto che
fosse.
Sorrise appena, rievocando alla
mente quei sogni osceni che lo avevano torturato per due settimane. Era
ricco,
avrebbe potuto prendersela quella Marianna Bruno. Ma qualcosa nelle
parole di
Madantoni, la sera della festa del raccolto, lo avevano fatto in
qualche modo
desistere.
“Marianna Bruno
ha molte qualità, è bella, sagace e intelligente,
ma sa
quello che vuole. I pretendenti non le sono mai mancati, sin da quando
è
diventata una signorina a tredici anni. Eppure lei vuole scegliere
quello
giusto, piuttosto rimane zitella”
Il riso si allargò. Si alzò
in
piedi, le mani dietro la schiena, incurante della presenza fremente di
Lattuca.
Con un cenno, gli indicò il lungo e sontuoso abito da sposa
che Pietro aveva
fatto preparare alle serve per l’occasione steso sul lungo
divano nero. “Datele
questo. Di mia madre era”
* * *
Disperazione. Marianna non
avvertiva altro dentro di sé. Nonostante fosse consapevole
di aver fatto la
scelta giusta, dall’altra sentiva che avrebbe potuto comunque
trovare una
scappatoia.
Fuggire da quell’inferno.
Non sopportava le lacrime
silenziose del padre, dei silenzi sovrastanti di Calogero o dei pianti
isterici
di Tiziana e Pinuzza. Non riusciva a guardare in faccia i suoi
compaesani che,
in una muta gratitudine, le carezzavano la schiena o le toccavano la
spalla.
Non ce la faceva più.
Desiderava che tutto questo
finisse presto.
Odio. Marianna era accecata da
quel sentimento sconosciuto, tanto intenso da farle male. La mamma le
diceva
sempre che odiare era sbagliato e peccaminoso. Si doveva volere bene al
prossimo sempre e comunque. Ma Marianna si ripeteva che quello non era
il suo
caso. Don Pietro Ripamonti l’aveva praticamente costretta
sposarlo. Non aveva
avuto scelta. Era come se sapesse che in paese solo lei e Tiziana
fossero
disponibili per uno sposalizio. Lo odiava. Con tutta se stessa.
Marianna non aveva mai avuto
relazioni intime con un uomo, e nessuno aveva mai osato sfiorarla. Era
bella e
completamente intaccata nella sua purezza. Mala
fimmina non era. Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe
sposata per
salvare i suoi paesani dalla schiavitù, come una giovane e
incessante martire.
Ogni sera pregava il Signuruzzu, la
Madonna e sua madre Lucia, per proteggerla dal male che lui poteva
farle. Non
aveva mai visto don Pietro Ripamonti, né suo padre prima di
lui. Non riusciva
neanche a immaginarlo. Non sapeva se era giovane o vecchio, se era
brutto o
bello, se era romantico o passionale. Niente di niente. Per lei era
solo un
nome. Un nome che ben presto si sarebbe tramutato in un uomo con
desideri e
appetiti da soddisfare. E lei, da brava moglie, doveva
obbedire.
Il giorno prestabilito delle
nozze, nessuno si premurò di asciugarle le lacrime che
involontariamente le
scorrevano sulle guance. Mentre le donne le infilavano il magnifico e
sontuoso
vestito che il padrone si era premurato di consegnarle, Marianna si
fissava
allo specchio, incapace di pensare a qualcosa di positivo. Sapeva che
suo padre
si sentiva in colpa per non essere riuscito a fermarla e se ne doleva.
Ma di
certo non avrebbe permesso che fosse stata Tiziana ad occupare il suo
posto,
quando era solo una bambina che doveva esplorare il mondo per quello
che era.
Mai e poi mai.
Marianna percorse la lunga navata
al braccio del padre, il lungo strascico retto da Pinuzza e
un’altra donna
della sua età. Fu allora che lo vide per la prima volta.
Era senza dubbio un bell’uomo.
Marianna non aveva mai visto una figura così alta e
imponente. Dall’abito da
cerimonia si scorgevano perfettamente i muscoli snelli e longilinei,
più simili
a quelli di una bestia pronta a scattare che di un uomo. I capelli
erano lisci
e scuri, leggermente spettinati dal vento che scorreva nel corridoio
della
microscopica chiesa di Santoro.
E i suoi occhi. Erano di un
colore naturalmente bellissimo, nocciola. Ma privi di emozione.
Marianna, troppo distratta e
addolorata, non ascoltò una sola parola del prete e si
voltò a guardare da
un’altra parte.
Una lacrima scorse solitaria
lungo il suo zigomo, e non era di gioia.
Per
la prima volta in vita sua,
Marianna voleva morire.
________________________________________________________________________________
L'abito da
sposa
Grazie a tutti, davvero. Vedere che
tanta gente segue
questa storia, peraltro probabilmente scritta in modo orrendo (ho
tentato di
scrivere in terza persona, che non è proprio il mio forte),
non fa che
riempirmi di gioia. È bello sapere che a qualcuno piace
ciò che scrivi e con la
quale vuoi comunicare qualcosa, racconto o trattato filosofico che sia.
Grazie!
La storia sta entrando nel vivo e
finalmente potremo
seguire l’evoluzione del loro pseudo rapporto
(dopotutto, Marianna è stata
obbligata a sposarlo!).
Eccovi
un piccolo spoiler, per chi potesse gradirlo:
“E così, mia cara Marianna,
ti
sei offerta volontariamente per sposarmi”, esordì
Pietro, rivolgendole lo
sguardo.
Marianna non si fece intimidire
né dagli occhi nocciola e pieni di un sentimento che non
riusciva a decifrare
né dalla voce stranamente roca. Ci voleva ben altro per
spaventarla. “Proprio
così, Voscenza”, confermò, secca.
Pietro sbuffò.
“Voscenza… come
siamo formali. Siamo marito e moglie, adesso, Marianna. Un unione
consacrata da
Dio. E ho un nome”
Marianna si irritò così
tanto da
temere che le venisse un’orticaria. “Come vuoi, Pietro”, lo provocò.
La
scintilla di indignazione che
lampeggiò nelle iridi nocciola di Ripamonti bastò
per soddisfarla internamente.
Era evidente che il cambio di persona non era stato affatto di suo
gradimento.
Al
prossimo capitolo, che posterò il più presto
possibile!
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Capitolo 4 *** 4. ***
Come il cielo di luglio
4.
Marianna
Bruno si fa valere nella prima notte di nozze e Pietro
Ripamonti le promette
di dominarla
Il
paesaggio marino scorreva al
di fuori della carrozza, incantando Marianna sempre di più.
Era talmente
assorta ad ammirare il mare da dimenticarsi quasi della presenza di
Pietro
Ripamonti al suo fianco. Quasi.
Proprio per averlo pensato, la
curiosità crescente la obbligò ad analizzarlo
attentamente. Marianna rimirò con
cura il profilo mascolino di suo marito –il solo pensare a
quella parola la
fece rabbrividire- che si stagliava nettamente nella penombra del
tramonto. Il
naso era dritto, dalla tendenza leggermente aquilina, le labbra piene
imbronciate e le ciglia lunghe e folte.
Marianna non aveva ancora avuto
occasione di parlare con quell’essere che già
odiava. Sarebbe stato bello
quanto gli pareva, ma lei non sarebbe mai stata sua. Lo poteva giurare.
Sospirò, più determinata che mai.
“E così, mia cara Marianna,
ti
sei offerta volontariamente per sposarmi”, esordì
Pietro, rivolgendole lo
sguardo.
Marianna non si fece intimidire
né dagli occhi nocciola e pieni di un sentimento che non
riusciva a decifrare
né dalla voce stranamente roca. Ci voleva ben altro per
spaventarla. “Proprio
così, Voscenza”, confermò, secca.
Pietro sbuffò.
“Voscenza… come
siamo formali. Siamo marito e moglie, adesso, Marianna. Un unione
consacrata da
Dio. E ho un nome”
Marianna si irritò così
tanto da
temere che le venisse un’orticaria. “Come vuoi, Pietro”, lo provocò.
La scintilla di indignazione che
lampeggiò nelle iridi nocciola di Ripamonti bastò
per soddisfarla internamente.
Era evidente che il cambio di persona non era stato affatto di suo
gradimento.
Non appena vide villa Ripamonti
ergersi di fronte a lei le sembrò un sogno. Il suo primo
istinto fu quello di
lanciarsi sul balcone che dava sulla scogliera, quello che lei e la
madre
avevano sempre sognato di ammirare. Ma una vocina più
concreta e stoica le
suggerì di stare in camera da letto e aspettare
pazientemente.
Che cosa, poi? La morte?
Pietro si illuminò in un sorriso
vagamente inquietante, facendola accigliare sospettosa.
“Questa è la tua
camera. Hai tutto il tempo per prepararti. Non temere,
arriverò più tardi”
Quando Pietro si richiuse la
porta dietro di sé, sentì che si trattava
vagamente di una minaccia.
Passavano le ore. Marianna non
toccò cibo tanto era agitata. Non fece che camminare avanti
e indietro per la
stanza lussuosa e confortevole, nervosa e inquieta, o pregare
l’immagine della
Madonna appena alla testiera del letto. Non riusciva a capire se avesse
paura o
meno. Più che altro non temeva Pietro in sé, ma
ciò che avrebbe potuto farle
quella notte.
Era quella la scintilla che non
aveva fatto altro che animargli le iridi scure? Desiderio? Marianna non
poteva
dirlo, non aveva mai conosciuto un tale sentimento.
Pietro giunse lì poche ore dopo.
Non bussò nemmeno e Marianna ringraziò il cielo
di aver appena fatto in tempo a
indossare la vestaglia di lino bianco.
“Ma come sei bella, Marianna”,
sussurrò lascivo, gli occhi fissi su un punto imprecisato
del suo corpo.
Marianna incrociò le braccia al
seno, impedendogli la vista. “Che cosa volete?”
“Ah, siamo tornati al voi,
adesso?”, la schernì, beffardo.
Marianna indietreggiò
istintivamente, digrignando i denti come un animale in trappola.
“Non vi
permetterò di farlo”, sputò, prima che
potesse anche solo censurare quella
frase.
L’attraente volto di Pietro si
scurì appena. “Cosa Marianna?”
Lei tossicchiò imbarazzata,
agitando la mano per aria. “Quello. Non sarò mai
vostra. Lo sono solo per
iscritto, ma io non appartengo a voi. Né ora, né
mai”
Pietro si irritò. Si era
immaginato Marianna come una donna combattiva e volitiva, ma non
così. In
questo modo, la storia non gli piaceva affatto. Lei era solo una fimmina, e aveva l’obbligo di
obbedire a
suo marito. Non era un concetto difficile, sperava che ci fosse
arrivata da
sola. Ma, a quanto pareva, toccava a lui farla cascare dal pero.
“Il matrimonio
deve essere consumato, donna. È una clausola”
“Non me ne importa un bel niente
della clausola”, ribatté prontamente, rissosa.
Pietro le si avvicinò
pericolosamente, ma lei non indietreggiò. E i loro occhi si
incrociarono, fuoco
nel fuoco, azzurro nel marrone. Quasi inconsapevolmente, Pietro le
afferrò una
spalla, accostandola più a sé. Marianna si
dimenò, ma aveva già capito che era
una causa persa fin dall’inizio. Non poteva competere con
l’enorme mole di don
Ripamonti, nemmeno con l’ingegno. Tuttavia non si arrese un
solo istante,
continuò a indietreggiare finché Pietro non le
bloccò anche l’altro braccio.
Marianna era come creta nelle sue
mani e Pietro era eccitato da morire. La voleva, la desiderava ed era
ufficialmente sua. Possederla era
un
suo diritto e non sarebbe stato certo la testardaggine di quella
contadina a
fermarlo.
Prima che potesse formulare un
solo pensiero coerente, si calò su di lei e la
baciò. Marianna tentò
disperatamente di sottrarsi alle labbra calde e vogliose di Pietro, ma
la sua
forte presa glielo impediva. Mugolava, stringendo la mascella e
cercando di
spostare il viso altrove. Fallì miseramente. La lingua di
Pietro le forzò la
bocca, penetrandola e raggiungendo la sua. Marianna si sentì
male, lo stomaco
stava per cedere. Avrebbe goduto nel rigettargli in faccia, ma in quel
momento
non capiva niente.
Sentiva solo la sua
determinazione nel non voler diventare sua. Non era lui il suo uomo,
non glielo
avrebbe permesso. Perché non andava a procreare con una mala fimmina? Perché non la
lasciava in pace? Perché si era offerta
per lo sposalizio?
Perché,
perché, perché…
I pensieri le vennero meno, tanto
da non avvertire nemmeno il soffice materasso sotto la sua schiena.
Le mani di Pietro la tastavano
senza pudore da sotto la camicia, vittoriose. Credeva che Marianna si
fosse
arresa. Era in suo potere. Incalzò ancora, eccitato come una
bestia, gli occhi
accecati dalla sorda voglia di contemplare la sua nudità. I
sogni osceni gli si
riformularono nella mente, come per guidarlo in quel corpo voluttuoso.
Riprese a torturarle le labbra
piene e tumide per il suo bacio violento, sempre più
profondamente.
Marianna si riprese.
“Ah!”, gemette Pietro,
portandosi
le mani al labbro.
Marianna si alzò a sedere di
scatto, arretrando a carponi sul letto. Calcò bene la veste
sul suo corpo
filiforme, gli occhi azzurri sbarrati come un gatto in allerta.
Pietro sospirò, cercando di
calmarsi. Le mani gli prudevano dolorosamente, sentiva
l’impellente bisogno di
assestarle un ceffone per stordirla e godere di lei.
Solo con un sussulto si rese
conto di ciò che aveva pensato. Lui, che non aveva mai
alzato un dito su una
donna. Per lei, solo per lei.
Laura, scusami. Scusami.
Non era altro che un animale
assetato di passione ed istinti irrefrenabili. Si faceva schifo.
Si alzò di scatto dal letto,
sperando che Marianna Bruno non avesse notato alcun tentennamento nel
suo
animo. Le donne le rispettava, ma l’orgoglio maschile era ben
più forte del suo
senso dell’onore.
“Per stanotte passa”,
sussurrò,
mortifero. “Ma sarai mia, Marianna. Accettalo e ti
sarà più facile”. Si voltò,
incurante dello sguardo omicida che quella donna gli
riservò. Desiderava il suo
corpo, ma lei non lo voleva. Era strano. Pietro era abituato al
contrario. La
sua bellezza era sempre stato un certo tramite per le conquiste facili.
Ma lei lo odiava, come se
avvertisse quell’insana passione, oppure, semplicemente
perché l’aveva messa in
una condizione di non poter scegliere nello sposalizio. Si richiuse la
porta
alle spalle, infuriato con sé stesso e per il desiderio
insoddisfatto.
Marianna sospirò, abbandonandosi
definitivamente sul materasso e godendo un sonno agitato.
___________________________________________________________
Buongiorno
a tutti! Perdonate il mio clamoroso ritardo, ma le vacanze non mi hanno
concesso molto tempo per postare. Eccovi il quarto capitolo. E non
dubitate mai del fatto che non voglia continuare la storia, ci
mancherebbe. Anzi, non pensavo che potesse piacere così
tanto e sono felice che sia così!
Grazie
tantissimo alle 8 persone che hanno commentato il capitolo precedente,
siete state gentilissime!
|
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Capitolo 5 *** 5. ***
Come il cielo di luglio
5.
Marianna
si ribella a Pietro Ripamonti e scappa dalla villa.
Al
suo ritorno, le reazioni non tardano ad arrivare
Il giorno dopo, Marianna si
svegliò di soprassalto. Non ricordava un granché
del suo sogno, se non il
terribile urlo di sua madre che le diceva di scappare. Da cosa non lo
sapeva.
Mentre si alzava lentamente dal
letto, trovò un’interpretazione più che
adatta. Doveva fuggire da lui.
Sospirò. No, non credeva. Lo
odiava, era vero, ma perché? Perché aveva preso
il posto del padre, turbando la
tranquillità di Santoro? No, non era per questo. Se fosse
stato un buon
padrone, non avrebbe permesso tutti quei soprusi tra i suoi braccianti.
Eppure
li tollerava, anzi, forse lui stesso li aveva ordinati. Pietro
apparentemente non
era cattivo. Burbero, scostante e terribile, certo, ma non cattivo. Se
lo fosse
stato, ieri le avrebbe fatto di tutto. Eppure si era arreso.
Perché qualcosa
dentro di lui lo aveva bloccato di colpo. Marianna ricordò
immediatamente gli
occhi nocciola lievemente sbarrati, le guance scolorirsi per
chissà quale
pensiero…
Marianna sbuffò, scocciata. Non
stava a lei, dopotutto, decifrare l’animo corrotto e strambo
di quell’uomo.
Ancora non si rendeva conto di essere effettivamente sua moglie, le
pareva un
concetto troppo strano e astratto. Quasi pensò che si
trattasse tutto di un
incubo. Si sarebbe svegliata di lì a poco, avrebbe fatto
colazione con il
padre, per poi andare a prendere Tiziana e Pinuzza e salutare Calogero.
Ne era
quasi certa. Quasi. Ma purtroppo, capì che il vuoto che
avvertiva dentro di sé
non era altro che la mancanza della sua vecchia casa.
Involontariamente, si portò le
mani alla bocca. E provò un moto di rabbia per se stessa,
per aver permesso a
quel mostro di metterle le mani addosso ed essersi impossessato delle
sue
labbra.
Il gigantesco armadio nella
stanza catturò la sua attenzione. Scivolò curiosa
verso le enormi ante di legno
raffinato e le aprì. Rimase a bocca aperta. Non credeva
davvero che tutti quei
vestiti fossero i suoi. Marianna ne sfiorò diversi con le
dita, le labbra semi
spalancate al contatto con le stoffe morbide e setose. Nonostante
tutto, decise
di non ringraziarlo.
Preso l’abito più comodo e
modesto e lavatosi la bocca ripetutamente, Marianna scese per la
colazione. In
realtà si perse quasi subito in quel palazzo maestoso, ma le
morse della fame
furono sconfitte dall’improvviso moto di curiosità
che la spingeva più a fondo.
“Ti piace?”. Marianna
sobbalzò a
quella voce così profonda. Si scostò
violentemente dall’arazzo che stava
ammirando, fronteggiando minacciosamente Pietro Ripamonti.
“Non scendevi più
per la colazione e ti stavo cercando”
“Che premuroso”,
osservò
Marianna, acida.
Il sorriso di Pietro non la
rassicurò per niente. “Se hai fame, ti indico
dov’è la sala”, disse, il tono
vagamente ironico.
Marianna si impuntò. “La
cercherò
da sola, grazie”
Pietro comprese in quel momento
che c’era qualcosa che non andava. Di certo non si aspettava
un’adorazione
particolare da quella contadina, ma perlomeno un barlume di remissione
doveva
averle lasciato. Ieri sera non si era comportato propriamente da
gentiluomo e
si preoccupato di averla spaventata più del dovuto. Solo
allora si era reso
conto che lei non era né spaventata né remissiva.
Era arrabbiata. E
quell’atteggiamento così arrogante gli fece salire
il
sangue alla testa. “Non dovresti essere arrabbiata per quello
che è successo
ieri sera. Dovresti essermi grata”, notò,
trattenendo a stento la furia nella
sua voce.
“Per cosa? Per avermi quasi
stuprata? Già, dovrei proprio baciarti le mani”,
sibilò Marianna, volutamente
velenosa.
“Fare sesso è
nell’ordine
naturale delle cose, Marianna. E nel matrimonio diventa un vincolo
sacro”,
sussurrò mortifero Pietro, gli occhi nocciola fiammeggianti.
Marianna arrossì appena a
quell’accenno
volgare. “Non è affar mio”
“Invece direi di si. Sei mia
moglie e prima o poi dobbiamo accoppiarci”
Marianna indietreggiò di appena
un passo, decisamente stupita. “Ne parli come se fossimo
bestie”
Pietro rise, facendola
sobbalzare. “Perché, non lo siamo?”
Lei ridusse gli occhi azzurri a
due fessure. “Lo sarai tu, ma non io”
Si fronteggiarono per un paio di
secondi, dritti e fieri come due cavalieri.
Pietro distese un piccolo accenno
di sorriso, sorprendendo ancora una volta la moglie. “Non
pensavo che le
contadine fossero così… pudiche.
Le
immaginavo più vivaci”
Questo era troppo. Marianna,
indignata, girò sui tacchi e si incamminò per la
parte opposta. Una morsa
ferrea le attanagliò il braccio, facendola girare su se
stessa. Pietro la
attirò a sé, le mani lunghe e affusolate sugli
avambracci di Marianna. Non si
era mai accorto di quanto fosse piccola, gli arrivava a stento alla
clavicola. Sentire
sotto le sue dita carnagione dorata lo eccitava da morire. La voleva
con tutto
il suo essere, dalla prima volta che l’aveva vista ballare
alla festa del
raccolto. Lei non lo sapeva, ma era così. Era un desiderio
insano, malato, che
non aveva mai provato con nessuna donna. Era consapevole che, a lungo
andare,
la ragione si sarebbe sottomessa all’istinto. Pietro non ci
avrebbe pensato due
volte a violentarla nella camera da letto.
Marianna, dopo l’iniziale
mansuetudine, si agitò violentemente, le mani sopra quelle
dell’uomo per
scostarle. Pietro strinse involontariamente più forte,
deciso a non lasciarla andare.
“Io non sono una puttana! Lo vuoi
capire? Non lo sono!”, gridò Marianna disperata,
digrignando i denti.
Pietro la tenne più stretta,
ignorando i suoi lievi mugolii di dolore. Gli piaceva sentire di avere
tutta la
situazione sotto controllo. “Lo so che non lo sei. Ma sei la
mia consorte, e
come tale devi obbedirmi e rispettarmi”
“Non posso rispettare un uomo che
non rispetta me”, ribatté prontamente Marianna,
immobilizzandosi appena.
Pietro ghignò, sadico. “Tu
sei
una contadina, una fimmina. Non ne
meriti di rispetto”
A parte Laura.
Marianna non poteva credere a ciò
che aveva udito. Come aveva fatto a pensare che quell’uomo
non fosse cattivo?
Con un violento strattone, riuscì a liberarsi dalla sua
stretta.
Pietro Ripamonti era un mostro.
Un demonio. Un figlio di Satana.
I suoi occhi nocciola
perennemente privi di luce o pieni di malizia ne erano una conferma. Le
sue
parole erano una prova.
Con gli occhi sbarrati e le
guance rosso scuro, alzò l’orlo della veste e
scappò.
* * *
Marianna camminava quasi a passo
di marcia, il passo stanco e altalenante. Era pomeriggio inoltrato e
non si era
fermata un attimo. La pancia le brontolava rumorosamente, reclamando un
assurdo
bisogno di cibo. La tentazione di andare a trovare il padre era
fortissima, ma
non voleva rischiare: se Ripamonti si fosse messo sulle sue tracce,
Michele
avrebbe corso un pericolo enorme.
Il suo orgoglio le suggeriva di
continuare a vagare per i campi e le spiagge di Santoro, il buonsenso
di
tornare a villa Ripamonti e mettere qualcosa sotto i denti. Si
vergognava
tantissimo della sua vigliaccheria. Invece di scappare, avrebbe dovuto
affrontarlo. Eppure vedere quel Pietro Ripamonti sotto una nuova luce,
quella
di un essere demoniaco, l’aveva resa più
agguerrita che mai.
Diretta verso la sua abitazione,
le labbra pregavano in una lunga litania che al varco non ci fosse
Pietro
Ripamonti ad aspettarla. Dio non la ascoltò.
Pietro stava tranquillamente
fumando, la schiena completamente aderente alla colonna di marmo. Le
serve
stavano sistemando le piante del giardino e osservarono con crescente
curiosità
la loro nuova padrona, che di eleganza e nobiltà non pareva
aver niente.
L’abito era sporco di almeno tre centimetri di fango e i
capelli ricci sfuggivano
dalla crocchia disordinata.
Solo Pietro sembrava accecato
dalla sua fresca e naturale bellezza. Gli occhi scuri luccicavano di
malizia,
ma un sorriso sardonico era ben piantato nel volto appena rasato.
“Grandioso”,
borbottò tra sé e
sé, infastidita.
Non si fermò nemmeno, né
fece
marcia indietro; non voleva dargliela vinta.
La tentazione di cancellargli
quel sorriso beffardo dalle labbra con un sonoro schiaffo era
altissima.
Probabilmente nemmeno la Madonna in persona sarebbe riuscita a mitigare
quel
sentimento fortissimo e impetuoso.
“Bentornata, mia sposa”, la
accolse Pietro, non riuscendo a trattenere un ghigno canzonatorio.
Marianna gli lanciò
un’occhiataccia degna di una creatura assetata di sangue, per
poi scansarlo
violentemente ed oltrepassare il portone. Raccolse in fretta e furia le
gonne e
corse per il lungo corridoio di ingresso, rifugiandosi nel salotto.
Afferrò
velocemente il rammendo lasciato da una cameriera, in modo da avere un
arma a
disposizione in caso dell’assenza della servitù.
Sapeva che a lui non gliene
importava delle apparenze, se avesse voluto avrebbe potuto benissimo
stuprarla
davanti ai domestici solo per dare spettacolo.
Marianna si sentiva oppressa, e
per la distrazione si punse più volte le dita.
Lo spalancamento violento della
porta le annunciò l’arrivo del suo amato sposo.
“Ti pare questo il modo di
trattarmi, donna? Rispondi!”, urlò Pietro,
furibondo.
Marianna osò guardarlo negli
occhi. Dire che era furioso era davvero poco. Molto, molto poco.
Sorrise
appena, ignorandolo deliberatamente.
“Forse non ci siamo capiti
bene”.
Pietro strinse entrambe le spalle di Marianna, il viso a pochi
centimetri dal
suo.
Marianna cercò di ritrarsi alla
presa, ma fu tutto inutile. “Lasciami, mi fai
male!”, protestò, scocciata.
“Tu devi obbedirmi, capito? E non
è che te lo chiedo, lo pretendo.
Chiaro?”. La presa si rafforzò e Marianna
avvertì una fitta all’avambraccio.
Cercò tuttavia di restare impassibile.
“Non puoi sparire per quasi un
intera giornata senza il mio consenso! Fallo ancora e vedi che cosa ti
faccio”,
la minacciò l’uomo, lo sguardo truce. Dopo un paio
di secondi, la lasciò andare
bruscamente, sbuffando irritato.
“La tua presenza è
già molesta di
per sé, mio caro. Quindi non stare lì a
scervellarti nel modo in cui farmela
pagare!”, sbottò lei, alzandosi in piedi tanta era
la foga del suo
risentimento.
“Taci, razza di donna degenere!
Credevo che le contadine analfabete fossero più mansuete e
obbedienti, ma a
quanto pare non è così”,
borbottò, più a sé stesso che a lei.
Marianna spalancò la bocca, seriamente
indignata. “Non sono analfabeta!”
In un attimo parve che
l’irritazione di Pietro fosse svanita. Sollevò un
sopracciglio, scettico. “Ah,
no?”
Marianna arrossì appena,
imbarazzata per la sua ignoranza. “Ehm… solo un
pochino!”, ammise, chiaramente
sulla difensiva.
Pietro scoppiò a ridere,
seriamente divertito dagli aneddoti della ragazza.
“Vai al diavolo e restaci!”,
sbottò Marianna, offesa.
“Dolce come sempre, vedo”,
commentò Pietro, l’ombra di una risata ancora
impressa sulle labbra piene. “Ma
io ho un’altra arma, Marianna. E sai di cosa parlo”
Marianna sospirò, avendo compreso
perfettamente ciò che intendeva dire.
* * *
Dopo una settimana passata in
quell’inferno, Marianna era decisa: sarebbe morta vergine. Le
lenzuola bianche
che avrebbero dovuto testimoniare la consumazione del matrimonio
giacevano sul
letto dalla prima notte di nozze, assolutamente immacolate.
Ciò era certamente
meglio che essere toccata da quella bestia. Per sicurezza, la notte
chiudeva a
chiave la sua stanza, anche se era una precauzione totalmente inutile.
Pietro non cercò mai di violarla
né di assalirla alle spalle. Sembrava che, in quel lasso di
tempo, il suo
desiderio fosse stato intaccato dall’odio che lei covava per
lui. Pietro
ostentava deliberata freddezza e, quando era di malumore, le parlava a
malapena. La donna non riuscì mai a capire perché
cercasse di decifrarlo.
Pietro si era rassegnato. Non
capiva che cosa gli stesse succedendo, se non che quella passione non
accennava
a spegnersi. Marianna lo eccitava da morire, come sempre, ma
quell’odio
smisurato lo stava consumando lentamente. Si diede sempre dello
stupido,
perché, senza volerlo, si era incastrato nella stessa
situazione di Laura. Poco
prima che morisse, le aveva promesso che si sarebbe sposato solamente
con la
donna che amava più della sua stessa vita. Pietro non amava
Marianna. Provava
semplicemente desiderio e l’aveva sposata per calmare quella
massa di contadini
analfabeti. Come Laura, che era stata costretta a contrarre matrimonio
dal
padre Stefano, Pietro era stato abbindolato dall’istinto.
Solo in quella
settimana se n’era accorto. Si sentiva male, non per aver
preso in moglie
Marianna, ma per non aver mantenuto fede alla promessa della sorella.
Sapeva di
averla delusa. Ma non aveva intenzione di rinunciare alla sua passione.
Marianna
si era accorta che
qualcosa non andava in Pietro. Era triste e durante i pasti era
perennemente
assorto. Lei, naturalmente, faceva finta che non esistesse. Dopo la
loro ultima
conversazione, quella dopo la fuga, rivolgergli la parola non gli
andava
propriamente a genio. La sua stessa natura le imponeva di confortarlo,
in
qualche modo, anche solo con il pensiero. Fece proprio così.
La sera si
inginocchiava davanti alla Madonna sulla testiera del letto e la
pregava che
Pietro stesse meglio e diventasse un uomo migliore. Tuttavia, dentro di
lei,
qualcosa si era spezzato.
________________________________________________________________________________
Lo so, è da una vita che non
aggiornavo. Sono ancora viva, questa ne è la prova.
Scusatemi se ho la faccia
tosta di ripresentarmi qui dopo mesi, ma secondo me era inutile postare
un
capitolo lavorato male. Spero comprendiate.
Intanto, colgo l’occasione per
ringraziarvi tutti! Grazie davvero a tutti per aver atteso con pazienza
questo
capitolo. Non assicuro un aggiornamento regolare, ma sappiate che per
nulla al
mondo voglio abbandonare la storia.
Grazie a tutti!
|
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Capitolo 6 *** 6. ***
Come il cielo di luglio
6.
Pietro
Ripamonti ricatta Marianna Bruno e ottiene finalmente ciò
che
vuole
Quella mattina, Marianna si alzò
più presto del solito. Troppo pigra per alzarsi, stette a
letto per circa
mezz’ora a pensare a tutto e a niente. I suoi respiri
risuonavano leggeri
nell’enorme stanza, quasi amplificati nella lieve luce del
giorno.
L’improvviso scatto della
serratura la colse di sorpresa. Non appena scorse il bel viso
impenetrabile di
Pietro, Marianna si sentì morire.
“Speravo che tu fossi già
sveglia”, esordì, richiudendosi la porta alle
spalle. Marianna si stupì
all’inusuale visione di Pietro in vestaglia, con i capelli
lisci arruffati e la
lieve peluria scura sulla mandibola.
Marianna scattò a sedere,
irritata. “Come osi entrare nella mia stanza in questo
modo?”
Pietro scattò, l’espressione
da
impassibile passò a irata. “Parlami ancora
così e rimpiangerai di avere
fiatato”. Dopo essersi assicurato il silenzio di Marianna,
continuò. “Prima di
tutto, questa è casa mia. Di conseguenza lo è
anche questa stanza. Quindi, è
meglio che tu stia zitta”
“Perché sei venuto, allora?
Volevi guardarmi mentre dormivo? Beh, ti è andata
male”, rispose, stizzita.
“Sei sempre così
acida?”, domandò
lui, retorico, il sopracciglio destro sollevato.
Marianna fece una smorfia. “Per
te, certo che si. A partire da ora”
Passato un breve attimo di
silenzio, Pietro sospirò e si appoggiò
pesantemente alla porta. “Credevo che
dopo tutto il discorso dell’obbedienza e del rispetto te ne
fossi fatta una
ragione”, borbottò, quasi imbronciato.
La donna alzò gli occhi al cielo.
“Pietro, fammi il favore. È passata una settimana
e….”
“E cosa? Marianna, forse non hai
ancora capito che così non va. Ho aspettato sette giorni,
sperando che ti fossi
abituata all’idea di essere mia moglie. Ho aspettato e
sperato. Ma, a quanto
pare, sei troppo testarda. Perciò sono qui. Ci ho pensato a
lungo”, aggiunse a
mezza voce, chiudendo gli occhi.
Marianna non lo aveva mai visto
così. Sembrava di gran lunga più vecchio della
sua età. Rabbrividì appena e,
scambiandolo per un brivido di freddo, si portò al petto le
lenzuola.
“Pietro, non sono disposta a
scendere a compromessi”
“Devi, Marianna”
“Che intendi dire?”
Pietro si slanciò verso il letto,
trattenendosi al muro dove vi era l’icona della Madonna. I
suoi occhi nocciola
le penetravano l’anima, speranzosi di trovare un
tentennamento in quei lumi
celesti. Il suo volto, che finora aveva lasciato intravedere uno
spiraglio di
passione, tornò distaccato. “Fai l’amore
con me, e ai tuoi cari compaesani non
accadrà nulla”
Passarono due secondi. Dieci.
Quindici.
“Tu… tu non puoi dire sul
serio!”,
scoppiò Marianna, balzando in piedi.
L’espressione di Pietro era
grave. “Sono serissimo, Marianna. D’altronde il
nostro sposalizio è nato per
questo, no? Non essendo stato consumato, il nostro non è un
vero matrimonio. Di
conseguenza, posso ancora fare del male…”
“Non lo farai”,
ribadì, certa.
Voleva la conferma che quell’uomo non era veramente cattivo.
Voleva sapere che
non era un demonio come lo aveva giudicato una settimana fa. Era
l’ultima
possibilità.
“Stanne certa che posso farlo”
Marianna si sentì morire e
risorgere tre volte. “Sei un mostro! Un demonio! Uno schifoso
bastardo! Non te
lo permetterò, brutto figlio di…”
“Zitta! Farai ciò che ti ho
detto,
Marianna. Tu sei mia. Mia e di
nessun
altro, capito?”, tuonò Pietro, la voce profonda
rimbombante nell’enorme stanza.
E tanti cari saluti all’autocontrollo.
La raggiunse in due passi,
fronteggiandola nuovamente come un fiero cavaliere.
“Io non sono tua. Non ti
appartengo, Pietro. E non cederò”,
scandì Marianna.
Perché
è così testarda?
“Molto bene. Allora credo che la
tua amica ne risentirà parecchio…”,
buttò lì Pietro, la mano strisciante sulla
spalla della donna.
Marianna fece per scostarla, ma quella
frase catturò immediatamente la sua attenzione.
In quel momento, Pietro sentì di
avere esagerato. Ma era disposto a tutto per avere Marianna, perfino a
usare
dei bassi sotterfugi di quel genere. Non gli costava niente sacrificare
la sua
amichetta, se questo significava altra arroganza da parte sua.
“Cos…?”
“Tiziana, giusto? È concupita
da
molti dei miei collaboratori. Se lasciassi loro il via
libera…”
“NO! TI PREGO, NON FARLO! Non
farlo…”, urlò Marianna, disperata.
Le sopracciglia di Pietro si
levarono automaticamente. “Allora…”
“Non puoi fare così! Non puoi
ricattarmi!”, balbettò Marianna, gli occhi pieni
di lacrime e la bocca piena
tremante.
Pietro sospirò.
“Peccato… vorrà
dire che…”
Marianna gli afferrò la mano,
stringendogli con forza le dita. Non aveva intenzione di fargli male,
semplicemente lo voleva trattenere. Era la prima volta che lo toccava
volontariamente e una piccola parte di lei lo registrò quasi
con distacco. “Aspetta!
Va bene. Va bene, accetto. Però…”
“Cosa, Marianna?”,
sussurrò Pietro,
avvicinando il viso al suo.
“Se io… io e te…
faremo… l’amore…
promettimi che non farai del male a nessuno di Santoro, men che meno a
Tiziana”,
mormorò Marianna, come una bambina indifesa.
Pietro non si aspettava tutta
quella fragilità. La guardò come se la vedesse
per la prima volta. Per una
settimana, non era stata altro che una tigre fiera e combattiva,
difficile da
ammaestrare. Ora, stava cedendo. Gli stava lasciando campo libero. Per
salvare
la sua gente e la sua amica.
Pietro sospirò. “Lo
giuro”
Il viso di Marianna si accostò di
più al suo. Le sue iridi celesti traforarono quelle scure di
lui, desiderose di
cogliere fiducia e sincerità. “Giuramelo ancora.
Ti prego…”
“Lo giuro, Marianna. Te lo
giuro”,
ribadì Pietro.
Non ce la faceva più. Pietro le
afferrò i capelli e la trasse a sé.
Affondò in quella bocca a bocciolo di rosa,
penetrandola con la lingua, succhiandola e mordicchiandola.
Marianna era incerta, ma cercò di
accontentarlo il più possibile per far si che non cambiasse
idea. Provava ribrezzo
per quel bacio denso di quel sentimento sconosciuto, ma non disdegnava
quelle
labbra calde e morbide. Si sottrasse lentamente al bacio, ansimante.
Timida,
osservò Pietro, ancora ad occhi chiusi e con il respiro
accelerato.
“Quindi…”. Marianna
esitò,
guardando nervosamente il letto dietro di sé.
Pietro scosse la testa. “Stasera.
Abbiamo tutta la notte”
Le scoccò un altro bacio, per poi
uscire rapido dalla stanza.
Marianna, ancora scossa e
febbricitante, scoppiò a piangere, desiderando che Lucia
fosse lì con lei.
* * *
Per la fortuna di Marianna, Pietro
non si fece vedere tutto il giorno. Marianna sentiva di non essere mai
stata tanto
inquieta in vita sua. Vagava per la casa come un fantasma, suscitando
le
occhiate ansiose delle cameriere di cui non conosceva nemmeno il nome.
Desiderava intensamente rivedere
suo padre, scherzare con Tiziana, aiutare Pinuzza nel lavoro, ascoltare
i
racconti su mostri marini e marinai coraggiosi di Calogero e ridere e
salutare
tutte le persone di Santoro.
Desiderava tornare bambina e
ascoltare le favole di sua madre, perennemente a lieto fine. Marianna
ricordava
con tenerezza le sue bellissime storie, in cui spesso si immedesimava.
Solo in quelle occasioni, si
sentiva una vera principessa, e non una misera contadina.
Solo in quei momenti, sapeva che
avrebbe sposato il vero amore, e non un uomo sconosciuto come accadeva
spesso a
quei tempi.
Niente era avvenuto così. Era diventata
la signora Trasi di Ripamonti, ma non si era sposata per amore.
L’odio che provava per Pietro non
aveva mai raggiunto picchi così insormontabili.
Non solo l’aveva costretta nello
sposalizio, ma l’aveva ricattata per possederla. Per
dominarla interamente.
Lo odiava con tutta l’anima, la
mente e il corpo. Con tutte le sue forze.
Marianna respirò a fondo per
calmarsi, ma non servì a nulla.
Passò l’intera sera a
lisciarsi
la veste di seta che aveva trovato nell’armadio e a
pettinarsi i lunghi boccoli
scuri per quanto possibile. Stentava a credere che quella giovane donna
dagli
occhi celesti pesti e gonfi e dal viso smunto fosse proprio lei.
Girò lo sgabello, in modo da
poter contemplare l’icona alla Madonna sulla testiera del
letto.
Ave Maria, gratia plena,
dominus tecum.
Marianna ammirò i contorni dorati
della Vergine, una donna bellissima e coperta dalla lunga tunica blu.
Benedicta tu in
mulieribus,
et benedictus fructus
ventris tui,
Iesus.
Marianna tremò appena, le labbra
che mormoravano silenziose la preghiera di cui non conosceva nemmeno il
significato.
Sancta Maria, Mater Dei,
ora pro nobis
peccatoribus,
nunc et in hora mortis
nostrae.
Amen.
* * *
“Suvvia, non essere così
melodrammatica”
Marianna balzò in piedi,
sorpresa. Era stata talmente concentrata nella preghiera da non essersi
nemmeno
accorta dell’arrivo di Pietro.
Pietro lanciò un’occhiata
scettica all’immagine, per poi fissare nuovamente Marianna.
“Vieni qui”,
ordinò, perentorio.
Marianna spalancò prontamente la
bocca per ribattere, ma la ragione riuscì a rabbonirla. Non
poteva permettere
che una parola poco carina potesse rompere il loro compromesso. Non
voleva che
qualcuno di Santoro si facesse male per colpa sua.
Pietro sorrise, come se sentisse
tutto il suo chiacchiericcio interiore. Marianna obbedì e
annullò la poca
distanza che li separava.
Pietro la osservò per due secondi
buoni, l’eccitazione lieve, ma palpabile. Avvicinò
Marianna in un abbraccio
furioso, che di amoroso aveva ben poco. Marianna avvertì la
sua eccitazione, ma
non si ritrasse.
Il resto venne da sé. Pietro
l’aveva
spogliata così velocemente da non essersene resa conto. Si
sentiva stordita,
sorpresa e impotente. Si sentiva ripugnante e debole.
Non aveva mai visto un uomo nudo.
Perciò, quando vide veramente bene
le
nudità di Pietro, arrossì furiosamente.
Pietro era bello. I muscoli erano
lunghi e affusolati, gli addominali leggermente scolpiti segnavano una
persona
atletica e abituata a muoversi. Ma a stupire Marianna fu soprattutto la
sua
enorme erezione. Marianna si permise di accarezzarla e quasi temette di
aver
sbagliato quando vide Pietro chiudere gli occhi.
“Ti piace, Marianna? Ti
piace?”,
sospirò, ansimante.
“Io…”,
mugolò Marianna,
intimorita dai suoi spasmi muscolari.
“Apriti per me”,
ordinò, la voce
talmente roca da farla fremere.
Marianna lo assecondò.
Perché era
costretta.
E quando Pietro affondò in lei,
senza pietà, senza previsione, lanciò un urlo
immediatamente attutito dalle
labbra di lui. Sentì un liquido caldo e viscoso scorrerle
lungo l’interno
coscia. Si sentiva male, ma resistette.
Poi, tutto finì. Tutto tacque.
In un soffio di dolore e
malinconia.
* * *
Pietro dormiva. Marianna
distingueva la figura completamente nuda e snella stagliarsi nella luce
lunare.
Il petto si muoveva lentamente, in una lieve melodia dettata dal sonno
e dalla
tranquillità.
Lei tremava. Raggomitolata su se
stessa, gli occhi spalancati, non faceva che sfregare le mani sulla
pelle nuda.
Per darsi forza, caldo e vigore. Per spazzare via l’odore di
quell’uomo che
l’aveva posseduta senza il suo permesso.
Marianna aveva paura di chiudere
gli occhi. Era consapevole che, se lo avesse fatto per un nanosecondo,
avrebbe
rivisto quell’angoscioso tormento. Lo era già
vedere le lenzuola macchiate dal suo
sangue.
Lanciò un’occhiata sbieca a
Pietro, così calmo e abbandonato. E si sentì
tremare di rabbia e disgusto.
Era un demonio. Uno schifoso
bastardo. Che non avvertiva alcun senso di colpa. Che cosa sperava,
d’altronde?
Era solo una fimmina che gli
provocava strani effetti, dopotutto.
E lo odiava. Dio, se lo odiava.
Voltò la testa dall’altra
parte,
gli occhi traboccanti di lacrime. Poi lo vide. Un piccolo coltello
spiccava sul
comodino, lucente e terrificante. Marianna non rifletté
minimamente quando
afferrò l’aggeggio infernale. Lo rimirò
per bene, da un angolo all’altro.
Evidentemente era di Pietro e lo aveva appoggiato lì prima
di…
Marianna si girò nuovamente, il
coltello ancora in mano. Agile, pronta a scattare. A ferire, picchiare,
mordere, uccidere… poco
importava
delle conseguenze.
Alzò il pugnale sempre più
in
alto, le iridi fissi sul collo teso di Pietro.
Solo in quel momento, solo in
quell’istante, capì ciò che stava per
fare. Si bloccò a metà strada,
inorridita. Lanciò il coltello dall’altra parte
della stanza, fortunatamente
attutito dal tappeto all’ingresso.
Marianna
scoppiò a piangere, le
mani che sfregavano con forza il viso sciupato. “Madonna mia,
che cosa volevo
fare? Sono matta? Oddio, oddio… oddio…
Perdonami…”. Continuò così
la lunga supplica,
finché non cadde in un lungo sonno agitato, distrutta.
________________________________________________________________________________
Spero
di non aver turbato nessuno
con questa piccola scena di sesso. Ho cercato di descriverla entro il
rating previsto
(arancione). Non odiate Pietro, più avanti saprà
farsi perdonare. Anche se,
devo ammetterlo, in questi capitoli non lo sopportavo nemmeno
io :)
Grazie
mille a tutti, per non
avermi abbandonata, per essere ancora qui con me e questa storia. Grazie!
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Capitolo 7 *** 7. ***
Come il cielo di luglio
7.
Marianna
Ripamonti fa amicizia con la servitù e Clementina Pagliarini.
In
una notte insonne, Pietro confessa a Marianna il desiderio malsano
che nutre per lei.
La situazione restò invariata per
un’altra settimana. Marianna, impotente, non poteva far altro
che obbedire a
suo marito, sottomettersi a lui per farlo godere. Era un triste
destino, un
amara verità. Ma sapeva che non poteva ribellarsi, o quel
bastardo avrebbe
fatto di tutto per farla pentire.
Pietro, invece, non si era mai
sentito così bene. Si sentiva un dominatore. Non solo era
riuscito a ottenere
il bellissimo ed eccitante corpo di Marianna, ma era riuscito ad
ammansirla,
cosa certamente non da poco. Non aveva mai considerato l’idea
che il suo
espediente fosse decisamente indecoroso per un tipo onesto come lui.
Sembrava
che l’opinione negativa degli abitanti di Santoro lo avesse
influenzato.
Erano passate solamente due
settimane dal loro matrimonio, e l’odio che i contadini gli
covavano si era
trasformato ben presto in rancore. Se tutti avevano detestato quel
demonio di
Stefano Ripamonti, suo figlio non era da meno. Di certo, un gentiluomo
non
avrebbe preteso uno sposalizio con una donna bella e buona che non si
meritava.
La frustrazione che Pietro
provava durante la giornata la sfogava alla sera, nel letto di
Marianna. Il
rapporto era veloce e brutale, ma molto appagante. Marianna spesso
intavolava
una lunga litania dentro di sé affinché la
smettesse presto con quella follia.
Si addormentavano spesso insieme, stanchi per la fatica
dell’accoppiamento.
Solo una volta Marianna si era risvegliata tra le braccia di Pietro e
non si era
nemmeno spiegata come ci fosse finita lì. Infatti, non
appena realizzò la cosa,
si scostò violentemente da lui, come se fosse infetto di una
grave e rischiosa
malattia.
Nonostante la notte fosse
riservata al sesso, i loro rapporti non migliorarono affatto. Marianna
evitava
di parlargli ogni volta che poteva e, quando era costretta, rasentava
la
maleducazione. Pietro era troppo occupato per accorgersi delle stizze
della
donna. Le rendite si erano fortunatamente alzate di colpo e Pietro era
consapevole
che il suo sposalizio era stato un affare. Sembrava che tutti, per
essere
solidali con Marianna, si impegnassero di più.
Chissà perché, quel pensiero gli
contorse le viscere. Non seppe definire nemmeno lui quello strano
sentimento e
non volle nemmeno tentarci.
* * *
Nei momenti in cui Pietro era
fuori casa, Marianna socializzava con la servitù. Da ingenua
contadina qual era
non immaginava di certo che per una signora avventurarsi nelle cucine
fosse
sconveniente, e rimase alquanto scettica alle occhiate stupefatte dei
servitori. Era rimasta seriamente colpita dal tono rispettoso che
utilizzavano
con lei, addirittura la chiamavano Voscenza. Marianna non si era mai
sentita
così a disagio. Lei, una misera contadina, non si sarebbe
mai sognata un
atteggiamento così servile.
Si era fortemente decisa che non
si sarebbe pianta addosso per quella situazione. Equivaleva darla vinta
a
Ripamonti e non era il suo caso. La freddezza e
l’accondiscendenza a letto
erano gli unici rimedi per tenergli testa.
Marianna imparò a conoscere con
pazienza tutti servi, delle persone così squisite e gentili
da toccarle
l’anima. Si affezionò in particolar modo a
Clementina Pagliarini, un’attiva e
vitale quarantenne che le ricordava moltissimo Pinuzza.
Chiese spesso a Clementina se
avessero capito che lei fosse una popolana. “Voscenza, si.
Anzi, io vi ammiro.
Ero a potare le piante quando voi tornaste tutta infuriata dalla
passeggiata.
Non ho mai visto nessuno in quasi un mese di permanenza far infuriare
così
tanto il padrone”
Le labbra rosee e piene di
Marianna persero il loro sorriso. “Ripamonti è un
gran figlio di…”
“E anche dal vostro linguaggio,
direi. Ma siete tanto buona e cara che si può sorpassare a
questo”, l’aveva
presto interrotta Clementina, prima che Marianna avesse potuto
insultare in
qualche modo la defunta madre del padrone.
Marianna passò le sue giornate in
cucina a parlare con Clementina e a dare una mano ai fornelli. Per la
prima
volta, si sentì a proprio agio in quel palazzo. Era utile
tornare a fare
qualcosa che sapeva fare abbastanza bene. Progettò parecchie
volte di versare
del veleno per topi nei piatti di Pietro, ma si trattenne.
“Voscenza, vi assicuro che
passerà tutto. Ho cambiato le lenzuola del vostro letto
e…”. Clementina si
interruppe, temendo di aver detto troppo.
Marianna sospirò alle sue parole,
ma non rispose.
* * *
Quando Marianna si risvegliò
tutta sudaticcia e umida nel letto, una grande fame le
attanagliò lo stomaco.
Finora aveva sperimentato che fare sesso metteva un grande appetito,
soprattutto con la grande passione che Pietro le riservava.
Arrossì e si maledisse per quei
pensieri impuri. Si voltò nel letto, ma Pietro, stranamente
non c’era. Si
strinse nelle spalle e sorrise. Tanto meglio non doverlo vedere.
Scivolò dal
letto, recuperò la sua camicia da notte e si recò
in cucina.
Tuttavia, non appena entrò nella
stanza, vide un’ombra muoversi di soppiatto e
cacciò un urlo. Il grido divenne
più acuto quando riconobbe la misteriosa figura.
“Oh, Dio! Che ci fai qui? Mi hai
fatto paura!”, strillò, vagamente isterica. Si
portò una mano al cuore,
ansimante.
“Shhh!”, le intimò
Pietro, gli
occhi nocciola seri.
Marianna, ripresasi dallo spavento,
si indignò. “Non mi fare shhh!”
“Taci, Marianna, altrimenti sveglierai
tutti”, sbottò Pietro con la sua voce profonda,
staccandosi dal ripiano e
avvicinandosi a lei.
“Che cosa ci fai qui? Non credevo
fosse posto adatto a tia”,
replicò,
acida, mantenendo la sua solita posizione fredda.
“Non riuscivo a dormire”,
disse
semplicemente Pietro, alzando le spalle.
Gli occhi celesti di Marianna,
resi più scuri dal buio della stanza, si assottigliarono.
“Strano. Non sono
stata abbastanza brava e soddisfacente stanotte?”
Pietro sbuffò, ironico. “Non
scherzare, Marianna”
“Mi ero dimenticata di quanto fosti
odioso”
“Verrà il giorno in cui
perderò
la pazienza…”, la minacciò lui,
cominciando a scaldarsi.
“Continua pure a minacciare a
destra e a manca, tanto non mi fai paura”. Marianna non
voleva saperne di
contenersi.
“Riuscirò a dominarti,
Marianna,
arriverà il giorno in cui
riuscirò…”, promise Pietro, in un tono
decisamente
inquietante e iroso.
“Aspetta e spera, allora. A meno
che non passi ai ricatti”, lo punzecchiò lei,
facendo una smorfia.
“É stato
necessario”, replicò
lui, come se fosse una cosa del tutto naturale ricattare la gente per
ricevere
dei favori in cambio.
Marianna non rispose, altrimenti
lo avrebbe accoltellato. Pur di ignorarlo, cominciò a
passare in rassegna la
cucina, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Trovò un pezzo di
pane e, fingendo di non vedere il marito, si accomodò sullo
sgabello e iniziò a
mangiare. Pietro la imitò, sedendosi sulla panca di fronte a
lei, il tavolo come
divisorio.
Marianna continuava piluccare la
mollica, cercando di non far caso all’occhiata di fuoco che
Pietro le
rivolgeva.
“Domani non esci?”
L’improvvisa domanda di Pietro, assolutamente semplice e
civile, la colse di
sorpresa. “No, perché?”
“Te ne stai sempre in casa”,
constatò lui, versandosi un bicchiere di vino.
“E allora? Tanto te nemmeno
vorresti”
“Era solo una domanda”
Marianna si strinse nelle spalle.
“Mi diverto”
Pietro ridacchiò, facendola
sobbalzare. “Tu? Qui in casa da sola? Proprio no”
“Ma se neanche mi conosci!”,
sbottò.
“Non dire bugie, Marianna”
“Non devo stare qui a dirti che
faccio durante il giorno. E io cosa dovrei dire a te, che qui non ci
sei mai?”,
domandò lei, retorica.
Pietro fissò le iridi scure nelle
sue celesti, catturandole lo sguardo. “Vado in giro per il
paese, per
controllare com’è l’andamento del
lavoro. È molto migliorato da quando ci siamo
sposati”, buttò lì.
“Chissà come mai”,
borbottò
Marianna, ironica.
Pietro non ci vide più.
Nonostante lui cercasse di conoscerla più a fondo, lei
resisteva. Non aveva mai
conosciuto una donna più testarda di lei. Forse Laura, ma
cercò di non
rammentarla. “Puoi smettere per una volta di fare
l’acida e cercare di essere
carina?”
“Mi sembra una cosa assolutamente
insensata. Come potrei essere carina con la persona che meno mi
rispetta al mondo?”,
strillò lei, ora seriamente arrabbiata. Batté il
pugno sul tavolo, molto
eloquentemente.
“Non mi sembra che ti manchi
qualcosa”, replicò Pietro, non meno irato di lei.
“Cos…? Sei un demonio, una
bestia! Come puoi dirmi una cosa del genere? Va bene, con il nostro
matrimonio
sono una signora, ho gioielli, abiti e tutto. Ma non ho amore. Mi sento
sola. E
ho un uomo che mi scopa e basta!”
All’ultima frase, Pietro
impallidì. Ma si riprese in un attimo. “Non ti
permetto di parlarmi in questo modo!”
“Non è così,
d’altronde? Dimmi di
no, Pietro. Illuminami”, sputò, scettica.
Pietro non rispose. Si limitò a
studiarla attentamente, i pugni serrati tremanti. Lo faceva uscire di
testa.
Non solo per la passione fisica che provava per lei, ma per la sua
arroganza.
Marianna balzò in piedi, tutti i
muscoli tesi al massimo. “Visto? Per te non sono altro che
una puttana da
scopare alla sera, così, per appagarti. Per te non sono
niente. Ci siamo
sposati per niente!”
Pietro si alzò, accostandosele
pericolosamente. Sperò di incuterle un po’ di
timore, ma lei non si ritrasse
minimamente. “É questo quello che vuoi dire,
Marianna? Che per te salvare la
tua gente è stato inutile?”
“Se tu fossi un signore come si
dovrebbe,
niente di tutto questo sarebbe stato necessario”
“Sei un ingrata! Con tutte le
donne che avrei potuto sposare… dovresti
ringraziarmi”
“Per cosa, Pietro? Per cosa?
Dimmelo!”
Non ce la fece più. Marianna fu
stretta in un abbraccio furioso e passionale, trovandosi la bocca calda
e
morbida di Pietro sulla sua. Le sue labbra si muovevano sulle sue, la
lingua
che le tracciava sensualmente il contorno delle labbra. Marianna non
riuscì
minimamente a muoversi, tanto era lo stupore. Non capiva assolutamente
niente,
e questo la turbava.
D’altronde, lei non aveva mai
conosciuto il desiderio. Nemmeno facendo sesso, perché solo
di quello si trattava,
con suo marito. Non avevano mai fatto nulla insieme. Per lui, lei non
era
nient’altro che una bambola viva, accondiscendente e passiva.
Pietro si staccò ansimante, le
mani saldamente ancorate alle spalle di Marianna. La trasse
più vicino a sé,
passionale, schiavo dei suoi stessi sentimenti. Per arrivare alla sua
altezza,
le si inginocchiò di fronte, trascinandola con sé
sul pavimento rustico della
cucina. Marianna non disse nulla, né desistette. Non aveva
mai visto Pietro
così stravolto. Mai. Si era ripromessa che non avrebbe mai
indagato sulla sua
persona, perché niente di lui le sarebbe interessato. Ma ora
era tutto diverso.
La sua naturale indole buona le suggerì di afferrargli il
viso e di
accarezzarlo. Non importava che fosse l’uomo che odiava
più di ogni altra cosa
al mondo. In quell’attimo, erano solo Pietro e Marianna.
“Per questo”,
sussurrò sconnesso Pietro, il viso nascosto
nell’incavo del suo collo. Glielo baciò,
aspirandone il profumo. “Ma non sono
stato io a ordinare di obbligarti per sposarmi. Immaginavo che in un
paesino
del genere tu fossi una tra le poche donne nubili. Speravo che fossi tu
la mia
sposa. Ti ho vista la sera della festa, mentre danzavi. Eri una dea. Sei una dea. Ti ho desiderata per tanto,
troppo tempo. E ti volevo tutta per me, perché non
sopportavo che qualsiasi altro
uomo potesse averti già toccata. Io ti desidero, Marianna,
ti voglio. Sei il
mio tormento. E possederti, mi manda in gloria divina… in
paradiso…”. Ansimò,
la voce rotta dalla sua debolezza. Si vergognava di aver detto
così tanto, di
essersi esposto troppo.
Marianna per un istante non fiatò. Finché non
collegò immediatamente le sue parole.
Lui l’aveva vista ballare alla
festa del raccolto. Sapeva che era nubile, e aveva sperato che fosse
lei a
offrirsi per lo sposalizio. In caso contrario, l’avrebbe
sempre cercata.
L’aveva sposata solo perché
la
desiderava. Per possederla, per offrirsi il piacere assoluto dei sensi.
L’aveva sposata solamente per
compiacersi. Per se stesso. A lei, a suo padre, a tutti gli altri, non
aveva
mai pensato. Aveva assecondato solamente le sue passioni e i suoi
insani
desideri. Era un demonio.
Marianna, per quanto la mole di Pietro
glielo permise, lo spinse via. Gli occhi erano colmi di lacrime
represse e le
mani le tremavano.
Pietro rimase così, inginocchiato,
il volto inespressivo.
“Io ti odio! Ti odio!
Sei l’ultimo uomo sulla terra che
avrei mai potuto sposare!”, gridò, con disprezzo.
Corse via dalla cucina, non
voltandosi mai indietro. Nonostante fosse inutile, si rinchiuse nella
sua
stanza, e pianse per tutta la notte.
Da
quella sera, Pietro non toccò
più Marianna con un dito.
________________________________________________________________________________
Ciao
a tutti!
Eccomi qui ad aggiornare.
Allora,
inizio
con il dire che questo è uno dei capitoli chiave della
storia, pieno di
avvenimenti. Troppo surreale? Io non credo. Troppo presto? Forse, ma,
d’altronde, i sentimenti non sono programmati.
Non
saprei cosa
aggiungere, se non che sono stati i miei personaggi a suggerirmi che
sarebbe
andata così, fin dall’inizio. Pietro è
freddo, scostante, ma nasconde una
grande passionalità. E di solito, quando si ha un
così alto grado di
sentimento, non si riesce più a trattenerlo.
Perciò lui ha buttato fuori tutto,
vergognandosi magari delle sue confessioni insane, ma incapace di fare
altrimenti.
E
poi, che
dire? La reazione di Marianna è del tutto lecita.
Attenzione, Pietro non ha
ancora capito di aver sbagliato. Insomma, è una bella testa
dura, ma,
credetemi, rifletterà molto sulla situazione. Aspetto i
vostri commenti,
sperando di non avervi deluso!
Ringrazio
tutte
le persone che hanno commentato e inserito questa storia nelle
preferite, nelle
seguite e nelle ricordate. Grazie per i meravigliosi complimenti,
davvero.
Grazie anche a tutti quelli che, dopo aver letto questo capitolo,
avranno la
santa pazienza di leggere questo delirio.
|
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Capitolo 8 *** 8. ***
Come il cielo di luglio
8.
Pietro
Ripamonti si mostra più gentile nei confronti della moglie.
Marianna
visita Michele Bruno e trova finalmente un piccolo conforto.
Passarono tre giorni dalla notte
in cui Marianna e Pietro si erano scontrati in cucina. Marianna era
nervosa e
inquieta. Si aggirava come un fantasma per la casa e Clementina temette
nuovamente
che fosse stato un nuovo litigio con il padrone a ridurla in quello
stato.
Segretamente, la romantica
domestica sperava che tra i due potesse nascere qualcosa. Ma sapeva che
quelle
follie erano destinate alle favole, niente di che. Era buona Voscenza,
e
desiderava in qualche modo che fosse felice.
Non appena Marianna si presentava
in cucina, accolta dai grandi sorrisi dei domestici, Clementina le
andava
incontro e la distraeva con dei racconti d’infanzia.
Ripescava dalla memoria le
favole inventate per i nipotini, visto che figli non ne aveva mai
avuti.
Marianna la ascoltava rapita e per un attimo ritornava piccola.
Ci sperava, in un certo senso,
che così potesse essere.
“Sai, mi ricordano tanto le
favole che mi raccontava mia mamma”, disse Marianna,
rivolgendole un grande
sorriso.
Clementina si rattristò appena.
“Raccontava? Volete dire
che…”
Marianna annuì. “Si,
è morta quando
dodici anni. Ma è passato”
Clementina si diede mentalmente
dell’idiota, ma non smise comunque di tirarle su il morale.
Nonostante anche Pietro fosse di
pessimo umore, nessuno sembrò avere il coraggio di badargli.
Era suscettibile e
irritato, più glaciale del solito. In quelle ore
assomigliava paurosamente a un
demone della notte eterna.
Era arrabbiato con se stesso.
Tremendamente infuriato per essere stato così debole, ma
soprattutto meschino.
Si chiese spesso dove aveva riposto la coscienza in quel mese di
matrimonio. Si
faceva schifo. Possibile che si fosse dimenticato così
facilmente di Laura?
Perché aveva badato solamente a se stesso, senza consultare
i desideri di
Marianna? E perché si faceva tanti problemi per una fimmina obbligata ad obbedirgli?
Senza rispondere ad alcuna delle
sue domande, Pietro evitò accuratamente di incrociare sua
moglie. Si chiese più
di una volta dove fosse finita e come avesse fatto ad aggirarlo in tre
giorni
senza mai farsi vedere. L’unico momento in cui Pietro aveva
il coraggio di
contemplarla, era la notte.
Lei chiudeva a camera la porta, evidentemente
non aveva ancora capito che fosse una precauzione inutile.
Pietro si fermava così, sulla
soglia, ad osservarla dormire.
Era splendida, anche se la
preferiva rossa e scarmigliata nelle notti di desiderio. I ricci scuri
e
lunghissimi erano sparsi sul cuscino, il petto morbido e il fianco
voluttuoso
ben fasciati dalla camicia di seta. Il suo respiro lento e soave
riempiva la
stanza, inondandola di tranquillità e pace. E la sua bocca,
così piena e rosea,
eccitò Pietro all’inverosimile. E quando mai,
d’altronde?
Fu in quell’istante, che Pietro
concluse che era bene provare a conoscere la sua signora. Giusto un
poco per
rabbonirla.
* * *
Marianna contemplava meravigliata
la vista del mare dalla sua stanza. Chiuse gli occhi, inspirando
lentamente
l’odore di sale. Era strano stare su quel balcone, lo stesso
su cui lei e Lucia
fantasticavano di poterci andare.
Guarda, mamma, sono qui.
Mi vedi?
Marianna sospirò, ben consapevole
che Lucia non la stava affatto assistendo. Altrimenti, non si sarebbe
trovata in
una situazione simile.
Stava per voltarsi e andare a cercare
Clementina, quando la voce profonda che tanto non avrebbe voluto
sentire si
innalzò al suo fianco. “Ti piace?”,
chiese Pietro, le mani giunte sul balcone.
Marianna non lo guardò nemmeno.
Anzi, quella semplice domanda le ricordò sfacciatamente la
loro prima notte.
Lei aveva toccato il suo membro,
e lui le aveva domandato se le piaceva. Per poi darle il colpo di
grazia. Annuì
seccamente, conscia solo a metà dell’accordo
stretto una settimana prima.
Pietro sospirò, evitando il suo
viso. “Anche a me. Moltissimo. Forse è una delle
prime cose che mi ha colpito
di Santoro”
“Ma davvero? Chi l’avrebbe mai
immaginato”, replicò Marianna, acida.
Pietro ignorò con molta fatica il
sarcasmo nella sua voce. “Vorresti vedere la tua
famiglia?”, chiese,
rivolgendole una breve occhiata.
“Ovvio”, mormorò
Marianna,
triste. Michele le mancava terribilmente, per non parlare di Calogero,
Pinuzza
e Tiziana. Erano la sua famiglia. Sospirò, già
consapevole che Pietro era giunto
lì solo per rattristarla e vendicarsi della sceneggiata di
tre giorni prima.
“Puoi andarci, allora”, disse
invece lui.
Marianna non poté credere alle
proprie orecchie. “Come?”
“Puoi andarci. A vedere la tua
famiglia, intendo”, ripeté Pietro, convinto.
Per poco gli occhi non le
cascarono fuori dalle orbite. “Scherzi? Insomma…
davvero?”
“Si”, sbuffò
Pietro.
“Perché?”
Lui si accigliò, sorpreso.
“Perché
cosa?”
“Non posso credere che tu… voglia. Che cosa vuoi in
cambio?”,
domandò, improvvisamente sospettosa.
Pietro cominciava a seccarsi
seriamente per la sua insistenza. “Un bel niente, Marianna!
Vacci dalla tua
famiglia, cogli l’occasione, no? Altrimenti puoi anche
rimanere qui”, concluse,
perentorio.
“No, no. Vado, vado”,
ribadì
subito lei, agitando furiosamente le mani.
Attese un attimo e, non vedendo
alcun cambio di programma in lui, decise di andarci immediatamente,
prima che
cambiasse idea. Pietro osò guardarla e rimase esterrefatto.
Era bellissima,
radiosa. Davvero era stato quel misero permesso a renderla
così eterea e
perfetta? Bastava così poco per renderla felice?
Marianna, con un enorme sorriso
sul volto, stava già andando.
“Ah, Marianna”, la
richiamò lui,
bloccandola istintivamente per un braccio.
Marianna non sentì nemmeno la
presa, tanto era delicata. “Si?”
“Torna, però. Ti
prego”
* * *
Marianna si scervellò per circa
dieci minuti sulle ultime parole di Pietro. Era da tre giorni che non
lo vedeva
girovagare per casa. Nemmeno per i pasti aveva osato scendere in sala
da pranzo.
Eppure, la voleva. L’aveva pregata di ritornare indietro.
Elaborò velocemente due opzioni.
La prima, era che si fosse completamente ammattito. Ci
rifletté un attimo. Probabile.
La seconda, era che forse si era finalmente reso conto del male che
aveva
commesso. La sua buona indole la obbligò ad accantonare
anche quella ipotesi,
sebbene non ne fosse totalmente convinta. Personalmente, Marianna era
ancora
convinta che quell’uomo fosse un demonio. Eppure tre giorni
prima, le era parso
fragile e insicuro come un bambino. Ma non riusciva a capire se quello
fosse
dovuto all’ossessione che provava per lei o per qualcosa che
ignorava. Non
volle pensarci. Ci mancava che si preoccupasse per il nemico.
Marianna percorse lentamente le
strade deserte di Santoro, camminando con la sua solita lenta e
seducente
andata. Aveva cercato invano dei vecchi vestiti che non attirassero
l’attenzione, poiché tutti quelli contenuti
nell’armadio non solo erano nuovi
di zecca, ma erano signorili. Così si era dovuta
accontentare del vestito
sfarzoso più semplice che aveva. Incurante
dell’orlo della veste impolverato e
sporco, lo stomaco le sussultò alla vista della vecchia
baracca. Marianna corse
felice nell’abitazione, piombando come una scalmanata.
Michele urlò spaventato, ma non
appena riconobbe la figlia, le gettò le braccia al collo.
Non gli sembrava vero
che fosse lì con lui, dopo quasi tre settimane. La accolse
come se fosse
apparsa in casa la Vergine Maria.
Dopo varie chiacchiere di convenienza,
però, Michele aveva notato la triste verità.
Marianna era infelice. Lo si
vedeva lontano un miglio. Era sempre bella, sempre uguale a Lucia, ma
sfiorita
e stanca. Sembrava pensierosa e irritata per qualcosa più
grande di lei.
Michele sospirò. “Non avrei
mai
dovuto permetterti di sposare quella bestia”
Marianna sobbalzò a quelle parole
così dure, mai sentite fuoriuscire dalla bocca di suo padre.
“Papà, che cosa
dici?”
Michele fissò i suoi grandi occhi
scuri in quelli cerulei della figlia, l’espressione grave e
stanca. “Mi sarei
dovuto opporre fin dall’inizio a quel folle sposalizio. Ora
noi stiamo bene, ma
tu no”
Marianna, incapace di sostenere
quello sguardo, abbassò il suo. “La mia
felicità non è importante”,
sussurrò,
convinta.
Michele scoppiò. “Certo che
lo è,
Marianù! Sei una persona come tutti le altre! Non sei una
martire, ma solo una
giovane ragazza che dovrebbe pensare alla vita che alla
morte!”
“Papà, non avrei permesso che
al
mio posto ci finisse Tiziana! Lo sai meglio di me che eravamo solo noi
quelle
disponibili! Non lo avrei permesso. Mettici a confronto: io non sono
altro che
una zitella di quasi vent’anni ormai, mentre lei ha solamente
quattordici anni.
Lo so che la maggior parte si sposano a quell’età,
ma non potevo permetterlo. Non
potevo”, ripeté Marianna, ferma. Osò
guardare suo padre, più determinata che
mai.
A Michele morirono le parole di
bocca. “Marianna…”
“Tiziana è come una sorella
per
me, papà. E la situazione degenerava sempre di
più…”
“Questo non significa niente.
Avremmo potuto rinunciare allo sposalizio”
“Per farci vessare sempre di
più?
Non ha senso papà. E poi, grazie a ciò, adesso va
meglio, no?”
“Molto meglio”, ammise
stancamente Michele, come se non potesse fare a meno di rivelarlo.
“Non c’è nulla da
dire, allora”,
concluse Marianna, perentoria. Non era venuta lì per
litigare con suo padre o
ribadire la triste scelta. Così era andata. Punto. Il
destino non si poteva
cambiare. Sempre se di fato si trattasse.
Michele, sconfitto, si appoggiò
interamente allo schienale della sedia, che si ribellò
scricchiolando
debolmente. “Ma ritorniamo al punto di prima: tu non sei
felice”
“Cosa te lo fa credere?”
“Marianna”, la riprese lui,
secco.
“Papà, va tutto bene,
davvero”
Il debole tentativo di sua figlia
per rassicurarlo, fece partire Michele in quarta. “Ti tratta
male? Ti picchia?
Giuro che se ti ha alzato le mani addosso lo ammazzo!”
Marianna non lo aveva mai visto
così in collera e si spaventò non poco.
“No, papà. Le mani addosso non me le ha
mai messe”, ammise. Sapeva che quello che intendeva il padre
era decisamente differente
da quello a cui si riferiva lei. Ma tanto valeva non dire niente.
Michele non parve soddisfatto
dalla sua risposta. “Non intendo solo quello Marianna,
sai”, sussurrò, la bocca
distorta da una terribile e crudele smorfia.
Marianna si bloccò. L’aveva
fregata, inesorabilmente. Prima che potesse controllarsi,
avvertì una lacrima
scorrere sulla sua guancia. Si odiò per questo,
perché non era mai stata una
frignona. “Io… lui…”
“Ti ha toccata?
Avete…”
“Oh, papà!”,
scoppiò Marianna,
non riuscendo più a trattenersi. Le lacrime scendevano e
scendevano, senza
fermarsi.
“Vieni qui, bambina mia. Vieni
qui”, mormorò Michele, allargando le braccia alla
sua unica figlia.
Marianna pianse a lungo nel suo
petto, appoggiandosi con tutte le sue forze a quell’unica
ancora di salvezza che
le veniva offerta.
* * *
Passavano le ore, e Marianna non
si faceva viva. Pietro cominciò a preoccuparsi. Temeva che
fosse fuggita o che
non volesse più vederlo. Si sentiva bruciato, perso, e non
sapeva nemmeno il
perché. Per lei provava soltanto attrazione fisica.
Desiderio. Pura brama
carnale. Nient’altro.
O si?
Pietro ricordava ogni particolare
della carezza consolatoria di Marianna, con cui, nonostante tutto
quello che le
avesse inflitto, aveva cercato di comprenderlo.
Sospirò profondamente,
sprofondando sempre di più sul letto ordinato della sua
sposa. Non aveva idea di
cosa fare. Niente di niente. Si sentiva frastornato, confuso e
irritato.
Dei passi lesti e leggeri attirarono
la sua completa attenzione. Quasi avvertì il lume della
speranza accendersi di
botto in quell’anima fredda e nostalgica.
Marianna si arrestò a pochi metri
da lui, sorpresa di trovarlo lì. “Io…
sono tornata”, mormorò, accigliata.
Pietro sospirò, accorato. “Mi
hai
fatto impensierire”, mormorò, prima che potesse
censurarne le parole.
Gli occhi azzurri di lei si
assottigliarono. “Non era mia intenzione”
Ci fu un breve attimo di
silenzio, tanto intenso da riuscire a udire i loro respiri.
“Sei andata da tuo
padre?”, chiese Pietro, i gomiti sulle ginocchia.
“Si. Ho fatto in tempo a vedere
solo lui”
“Certo. Avrete avuto… molte
cose
da raccontarvi”
“Già. Mi mancava
troppo”,
aggiunse Marianna, fremente.
Pietro sospirò, gli occhi bassi.
Un leggero fruscio lo distrasse dai suoi pensieri vorticosi e nebulosi.
Nel
sedersi accanto a lui, Marianna fece una leggerissima pressione sul
materasso.
Pietro ammirò con cura il suo profilo bello e regolare, men
che meno le iridi
chiare scurite dal tramonto.
“E tu?”, sussurrò
lei, melodiosa.
Pietro non capì.
“Cosa?”
“Non ti mancano mai? I tuoi
genitori, intendo”. Alzò la mano, diretta verso il
suo viso, ma qualcosa parve
farle cambiare idea.
Una fitta dolorosa e impensabile
colpì lo stomaco di Pietro. No, non voleva parlarne. Un
giorno, forse, ma non
ora. Non era pronto a condividere con qualcuno un segreto
più grande di lui.
Men che meno a lei, sua moglie. “Si è fatto tardi,
la serva prima mi ha
annunciato la cena”
Marianna parve riprendere
lucidità, sebbene fosse impensierita da
qualcos’altro. “Certo”
Pietro
le afferrò istintivamente
la mano piccola, racchiudendola in una morsa delicata tra le sue.
“Vieni,
andiamo”, mormorò, per poi condurla verso la sala
da pranzo.
________________________________________________________________________________
Eccomi
qui, dopo un'altra lunga assenza. Sono proprio imperdonabile -.-'
Comunque vi avviso: il prossimo capitolo sarà
interessante, o almeno spero. D'altronde, è il capitolo
chiave di tutta la storia. Vedrete, vedrete...
Colgo
ancora l'occasione per ringraziarvi. Grazie a chi legge, a chi ha
aggiunto questa storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate, e
ovviamente, a chi ha la pazienza di recensire. Grazie!
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Capitolo 9 *** 9. ***
Come il
cielo di luglio
9.
Su
una barca, sotto il cielo di luglio
Passarono
altri giorni, i giorni più strani che Marianna avesse mai
trascorso a villa
Ripamonti. Avrebbe osato definirli felici,
per quanto anormale potesse sembrare. Dire che Pietro era gentile era
un’esagerazione, ma perlomeno ci stava provando. E Marianna
non era mai stata
così tacitamente soddisfatta in vita sua. Che finalmente don
Ripamonti avesse
compreso la gravità delle sue azioni? Ci sperava, e anche
molto. Tutto d’un
tratto, capì perché fosse lì.
Un’ispirazione divina, quasi certamente
proveniente dalla Vergine Maria e da sua madre Lucia, le aveva invaso
la mente
e non riusciva più a non vedere la sua condizione in quel
modo. Ma, pensarla
così, le parve troppo, quasi una superbia.
Abbandonò quella misera ipotesi, e
cercò oltre.
Marianna
agli inizi era cauta, temeva che a un minimo sbilanciamento tutto
potesse
ritornare come prima. Ma il suo buon temperamento le veniva sempre
meno, tanto
era ingenua e sempre disposta per gli altri.
Marianna
e Pietro iniziarono a parlarsi e a conoscersi. Inizialmente su cose
banali, su
cosa preferissero fare o quale fosse la loro pietanza preferita. Quando
Pietro
le confessò che non amava leggere particolarmente le lettere
del notaio,
Marianna arrossì terribilmente.
“Dovresti
gioirne, tu che puoi farlo”, ribatté, quasi
imbarazzata.
Pietro
sbatté lentamente le ciglia, quando parve illuminarsi
d’immenso. “Giusto, non sai
leggere”, rammentò, accigliato.
“Già”,
confermò Marianna, piuttosto compunta.
“E
ti piacerebbe imparare?”
Marianna
sorrise, concentrandosi improvvisamente sul piatto di fronte a lei.
“Oh, si… è
sempre stato un mio sogno… ma contadina
sono…”
“Eri”,
la corresse immediatamente Pietro, gli occhi nocciola sfavillanti.
“Adesso sei
mia moglie, la signora di Ripamonti. E imparare a leggere dovrebbe
essere un
obbligo”
“Si,
ma…”
“Se
vuoi te lo insegno”, disse ancora lui, guardandola di
sottecchi.
Marianna
lo osservò attentamente, valutandone la
sincerità. “Dici sul serio?”,
mormorò,
incredula.
Pietro
abbozzò un sorriso. Non un ghigno, come i suoi soliti. Un sorriso. “Certo”
“Non
sai quanto mi renderesti felice”, disse Marianna, e, prima
che potesse controllarsi,
batté le mani per l’entusiasmo.
Pietro
le permetteva di andare a trovare i suoi cari, cosa che Marianna
rispettava
abitualmente almeno una volta ogni due giorni.
Riabbracciò
con gioia Pinuzza e Tiziana, sempre più bella e slanciata, e
tornò a pensare
con piacere in riva al mare, attendendo l’arrivo del vecchio
Calogero.
Michele
aveva ovviamente notato la nuova felicità di sua figlia e
non sapeva se esserne
contento o perplesso. Era come se fosse rinata. Certo, non come prima
dello
sposalizio, ma vi era come un’ombra che la accompagnava
sempre e comunque. Era
speranza. La speranza in un domani lieto per tutti e senza odio o
remissione.
Peccato, però, che Michele non ci credesse.
* * *
Pietro
trovò Marianna all’ombra della colonna portante
del palazzo, cercando un dolce
riparo dal calore infernale estivo. Non appena la vide, non
poté fare a meno di
contemplarla in tutto il suo splendore. Erano passati più di
due mesi dal
matrimonio, ormai, e Pietro non l’aveva più
toccata da quella penosa conversazione
in cucina. Non ne aveva il coraggio, sentendosi sempre meno uomo di
fronte a
una creatura meritevole di rispetto. Ma questo non aveva mutato niente,
perché
la desiderava sempre, come se la vedesse per la prima volta…
“Dove
vai?”, chiese Marianna, notando il suo bastone da viaggio.
Pietro
si riscosse. “Vado a fare un giro in barca, il tempo
è splendido. Vieni, dai”,
la spronò, sfoggiando il suo sorrisetto beffardo.
Marianna
si innervosì. “In barca? Con te?”
“Si.
Non dirmi che hai paura”
“Io
non ho paura di niente!”, borbottò lei, indignata.
Pietro
ridacchiò e le si avvicinò, cauto. Diede
un’occhiata in giro, ma aveva già
notato che intorno a loro regnava il deserto. Il desiderio di toccarla,
di
sentirla, si fece pressante. Più forte che mai.
Le
carezzò una guancia con il dorso della mano, i movimenti
dolci e fluidi. Come
se fosse naturale per lui toccarla. Semplice come respirare.
Marianna
trattenne il fiato, sorpresa. Non tanto per il gesto, ma per
l’improvviso
brivido che le aveva trapassato la spina dorsale. Chiuse gli occhi e,
quasi
senza accorgersene, gli si abbandonò. Poggiò la
testa sul suo palmo e un dolce
sospirò le sfuggì dalle labbra.
Pietro
osservò accuratamente quel volto
“Vieni,
allora. Tanto la barca la guido io”, sussurrò
Pietro.
Marianna
riaprì gli occhi e rimase estasiata. Il suo sguardo non era
più vuoto. Non lo
aveva mai visto così vivo, gioioso e chiaro. La luce
risaltava in modo quasi
innaturale la parte muschiata dell’iride. Annuì
lentamente.
Pietro
la guidò lungo tutta la discesa di villa Ripamonti, per poi
tagliare in un
piccolo sentiero costeggiato da campi di papaveri. Marianna si
guardò attorno,
giocherellando con i lunghi steli dei fiori rosso sangue. Non si era
mai
accorta che, verso il limitare dei campi, sorgeva una piccola radura
con tanto
di sbocco sul mare. Marianna ringraziò il cielo per aver
deciso di indossare
degli comodi stivaletti quel giorno, visto che delle normali scarpe non
sarebbero sopravvissute alla spiaggia di ciottoli.
Ancorata
a un paletto di legno nel terreno, vi era una barca piccola e
assurdamente
leggera. A differenza di quella di Calogero, piccola, ma ben massiccia,
le
sembrava un fuscello.
“Quella
è la barca?”, chiese Marianna, nervosa.
Pietro
annuì, mentre si dava da fare per slegare la corda.
Balzò con uno scatto agile
nella barchetta, lasciando sbalordita Marianna.
In effetti, quei muscoli
li aveva perché
servivano pur a qualcosa…
Marianna
si imbarazzò moltissimo a quel pensiero poco casto,
soprattutto al ricordo di
Pietro nudo ed eccitato. Possibile che era passato un mese e ancora se
lo
ricordava?
Pietro
si voltò e le offrì la mano. Marianna,
però, rimase immobile.
“A
meno che vuoi restare qui tutto il giorno, ti conviene
salire”, le suggerì
Pietro, alzando gli occhi al cielo.
“Ma se
sei tu che mi hai portata qui!”, protestò lei, le
braccia incrociate sul seno.
“Marianna,
vieni da un paese di pescatori. Possibile che tu abbia paura del
mare?”,
domandò lui, retorico e vagamente ironico.
“Non
ho paura del mare! È solo che… la barchetta di
Calogero sembra molto più
resistente di questa zattera”. Si sentiva lontano un miglio
che era sulla
difensiva.
Pietro
sbuffò. “Non è una zattera, Marianna.
È una semplicissima barca di legno. Vieni
o no?”
“Ehm…”
“A
dopo, allora”
“No,
no, no! Vengo! Non vorrai lasciarmi qui da sola!”,
sbottò Marianna, facendosi
avanti.
Pietro
rise sotto i baffi, attento a non farsi scorgere dalla moglie. Si
girò e le
offrì nuovamente la mano, che lei afferrò
prontamente. Marianna sollevò l’orlo
della veste e, con un balzo davvero goffo, salì sulla
vettura. Non appena la
sentì oscillare sotto di sé, si
attaccò come una ventosa a Pietro.
“Non
temere, Marianna. Non cadremo”, sussurrò lui,
quasi sibillino.
“Lo
spero per te”, lo minacciò lei, staccandosi
immediatamente.
Dopo
che Marianna si fu accomodata sul fondo della barchetta, Pietro
cominciò a
remare. La ragazza si guardò attorno meravigliata. Il
paesaggio era incantevole
nella sua dolcezza e vitalità. Sentiva le onde del mare
infrangersi sulla costa,
il vento salato che le solleticava il naso e gli occhi. La barchetta
pareva
danzare sull’acqua, fluida e aggraziata. Con le dita ne
sfiorò la superficie,
osservando le increspature che il suo passaggio lasciava. Anche Pietro
pareva
essersi abbandonato a quella bellezza naturale. Si sedette, remando qua
e là
per avere la rotta.
Marianna
alzò gli occhi al cielo, limpido e sereno, senza nemmeno una
nuvola. Sorrise.
“Sai
cosa mi ricorda? Prima che mia madre morisse, Calogero mi portava
sempre a fare
dei giri sulla sua barchetta, a pescare. Era meraviglioso”.
Il suo sorriso si
ampliò al ricordo.
“E
perché hai paura ora?”, chiese Pietro, accigliato.
Marianna
si strinse delicatamente nelle spalle. “Non è che
ho paura… è solo che questa
barca è così leggera rispetto a quella di
Calogero, da poter essere spazzata
via dalle onde. Dei cavalli ho paura, invece”
“Davvero?
Non immaginavo”
“Scherzi?
Muoio di paura di fronte a un cavallo”
“Chi
l’avrebbe mai detto… qualcosa ti
intimidisce”, scherzò lui, gli occhi fissi
sulla spiaggia dietro di lei.
“Capita
anche a me”. Marianna ridacchiò, ma si rifece
seria di botto. “Tu invece? Non
hai paura di niente?”
Fu in
un attimo. Pietro distolse abilmente lo sguardo, tentato a non
risponderle. “La
mia paura si è già avverata”,
sussurrò, pianissimo.
“Cioè?”
Pietro
alzò una mano in aria. “Niente…
lasciamo stare”
“Pietro,
io sono qui per ascoltarti”, sussurrò Marianna,
improvvisamente attenta. Era
certa di aver visto passare un’ombra di dolore sul suo bel
volto virile. Non
sapeva perché, ma quella sua malinconia era talmente
evidente da averle stretto
il cuore.
Pietro
la fissò per un paio di infinti secondi, per poi sfociare in
un sospiro. “Temevo
di perdere mia sorella. Lei era la cosa che più amavo al
mondo. Ma la morte me
l’ha strappata via comunque”
Marianna
sobbalzò, la gola che bruciava. Istintivamente, gli
afferrò una mano. E la
strinse, cercando di passargli un minimo di conforto. “So
cosa si prova a
perdere una persona cara. Mia madre è morta quando avevo
dodici anni”
“Mi
dispiace tanto”, disse Pietro in un soffio.
Lo
stomaco di Marianna si riempì di farfalle quando
avvertì ricambiare la stretta.
Con il pollice gli carezzò il dorso, le iridi celesti fisse
in quelle di lui.
“Non
amavi i tuoi genitori, vero?”, mormorò, accigliata.
Pietro
tornò guardarla, sorpreso. “Come hai fatto a
capirlo?”
Marianna
sorrise appena. “L’ho notato il mese scorso, non
appena li ho nominati… Sarò
una contadina analfabeta, ma certe cose le vedo, sai? E poi…
non sempre i tuoi
occhi sono spenti, Pietro”
Quella
frase li lasciò in sospeso per un po’.
“Non
ho mai amato mio padre. Né mia madre, perché non
lo fermava. Dici di me, ma lui era
un demonio. Vivere in quella
casa era un inferno. Mio padre esternamente sarà stato anche
un gentiluomo, ma
con noi, con la sua famiglia, non lo era. Per niente. Ero un bambino
quando mia
madre è morta. Avrò avuto si e no otto anni.
Però ricordo perfettamente le sue
urla, quando mio padre la picchiava. Ricordo benissimo i tentativi
inutili miei
e di mio fratello per fermarlo”. Fece una pausa, gli occhi
nocciola persi nel
paesaggio marino.
Marianna
lo ascoltava attenta, le labbra socchiuse per la sorpresa. Non riusciva
a
immaginarsi la scena, per quanto ci provava. Non ricordava che Michele
avesse
mai alzato un dito su di lei, né su sua madre. Dallo
stupore, passò presto al
dolore. La morsa che le opprimeva lo stomaco si allentò, per
poi stringerle il
cuore.
Pietro
continuò. “Quando la mamma morì, la sua
furia ricadeva sempre su Laura, mia
sorella. Non aveva che cinque anni, una povera bambina indifesa. Da
allora il
mio obiettivo fu sempre quello di proteggerla. Da ogni male, persino da
mio
padre. Non appena poté, mio fratello se ne andò.
La tentazione di fuggire era
enorme, ma io restai, per lei. Per
Laura. Mio fratello morì cadendo da cavallo, pochi giorni
dopo averci annunciato
il futuro matrimonio. Difendere Laura non era affatto facile. Non era
delle
botte che avevo paura, né delle urla. Avevo paura che le
facesse del male, che
potesse ucciderla come aveva ucciso la mamma. Ma tutto fu infule. Laura
fu
maritata a un nobile. Fu allora che le promisi che avrei sposato
solamente la
persona che amavo”. Lanciò una breve occhiata a
Marianna, che arrossì appena.
“Perlomeno,
suo marito la trattava decentemente. Non alzò mai le mani su
mia sorella, forse
a vedermi gli bastò per convincersi a non farlo. Forse non
ti sei mai accorta
delle mie cicatrici, ma ne ho un bel po’. Non imbarazzarti,
Marianna, è lecito”,
disse lesto prima che Marianna potesse solo avvampare al pensiero. Ma
ovviamente fu inutile, visto il colorito rosso scuro che le
imporporò le guance
dorate.
“Dopo
molti tentativi, Laura rimase incinta. Ma poi…”
“Che
è successo?”, intervenne Marianna, consapevole di
una storia senza lieto fine.
Pietro
distolse lo sguardo, puntandolo sul fondo della barca. “Laura
perse il bambino.
Eravamo nella mia casa di Palermo, quella in campagna. Non vivevo
più con mio
padre, mi era intollerabile. Morì”
Tutto
tacque. I gabbiani stridevano tranquilli, ignari del mondo nefasto
degli esseri
umani.
Marianna
era allibita. Si portò una mano alla bocca, gli occhi fissi
su Pietro. “Oh,
cielo… Pietro…”
“Io
la amavo più di me stesso. Era mia sorella. E per colpa di
quel bastardo…”
“Chi?”
“Niente.
Lascia stare”, si interruppe in un lievissimo sospiro.
“Parlami della tua
famiglia”, esordì improvvisamente, come per
cambiare discorso.
Marianna
si strinse nelle spalle. “Che c’è da
dire?”
“Tutto
o niente… ti prego. Desidero… sapere qualcosa di
te”. Gli costò molto dire
quelle parole, e l’animo affinato di Marianna lo
percepì immediatamente.
“Davvero?”,
sussurrò lei, ancora più stupita.
Lui
ridacchiò. “Altrimenti non te lo avrei chiesto,
no? Racconta”
Marianna
tacque per qualche istante per raccogliere le idee. “I miei
genitori si sono
sposati per amore quando erano molto giovani. Tutti dicono che sono
uguale a
mia madre, Lucia. Ho avuto anche un fratello, prima che potessi
conoscerlo. Si
chiamava Guglielmo, ma a tre anni morì di polmonite. Dopo
cinque anni, nacqui
io, però mia mamma non riuscì mai a darmi un
fratello. E, come ti ho detto
prima, quando avevo dodici anni si ammalò
gravemente…”
“Capisco.
Ti manca mai?”, chiese, accigliato.
Marianna
sostenne quello sguardo improvvisamente animato, dalle sfumature
terrestri. “Oh,
Dio, non sai quanto… ma io so che è qui, accanto
a me. E anche Laura lo è,
accanto a te”, aggiunse lei, una nota carezzevole nella voce
dolce.
“È quello
che spero. Che sia felice, ovunque sia. Non ha mai amato nessuno in
vita sua,
credo. Nemmeno suo marito”. Si interruppe un istante.
“Evidentemente è proprio
della mia famiglia non conoscere mai
l’amore…”, concluse in un sospiro
amareggiato.
Marianna
fece una smorfia. Si avvicinò cauta e gli
accarezzò una guancia. Esitò per un
attimo per il suo gesto, ma Pietro non disse nulla. Non fece nulla. Si
limitò a
illuminarla con i suoi occhi nocciola, coronati da lunghe ciglia scure.
“Fidati,
l’amore, sotto molti aspetti, esiste. E Laura lo ha
sicuramente provato per te”
Pietro
sorrise appena. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sul
palmo della sua mano. “Di
questo ne sono quasi certo”
Le
onde del mare e il dolce sapore di sale del vento li cullarono, nella
loro
dolce bolla privata. Il mondo era esternato. Non c’erano
più la contadina e il
signore. Né un marito e una moglie in perenne conflitto.
Erano solo due persone
che tentavano di conoscersi. Erano solo Pietro e Marianna.
“Perché
non mi hai più toccata?”, chiese Marianna nel suo
assoluto candore.
Pietro
aprì le palpebre, un riso malizioso sul volto.
“Perché? Ti dispiace?”
Marianna,
invece, si accigliò. “Non saprei, è
che… non capisco”
Pietro
attese qualche secondo prima di rispondere.
“Perché ho sbagliato. Non è
così
che ci si comporta”
“Mi
hai fatto tanto male, Pietro. Lo sai, vero?”,
mormorò lei, sincera.
Si
guardarono nelle iridi. Marrone contro azzurro. Terra contro cielo.
“Purtroppo
si”
“Quella
notte pensavo di ucciderti. Solo la Madonna mi ha impedito di
farlo”. Marianna
inizialmente si pentì di averlo confessato, ma presto
contenne quel moto di
angoscia. Non sapeva come Pietro avrebbe reagito, ma non credeva
così negativamente.
Pietro
era sorpreso. Non aveva immaginato di averle causato tanto odio, tanto
astio
nei suoi confronti. Certo, un’idea se l’era fatta
durante il loro breve ma
significativo incontro in cucina, ma non a tali livelli.
Sospirò. “Oh,
Marianna…”
“Solo
la Madonna mi ha impedito di farlo, Pietro”,
ripeté lei, in una dolce
cantilena.
Il
vento le strappò definitivamente alcune ciocche dalla
crocchia scomposta.
Pietro
la fissò per un istante interminabile. Sorrise. Un sorriso
dolce. “Mi piace
come pronunci il mio nome. Ripetilo”
“Pietro”
“Marianna”
Pietro
si avvicinò ancora di più a Marianna, che non
aveva la forza di spostarsi. Non
aveva nemmeno la voglia di farlo.
Era
vicinissimo, talmente vicino che le punte dei loro nasi si sfioravano.
Marianna
avvertì le dita di Pietro infrangersi sui suoi ricci,
liberandoli dal penoso
chignon. Li pettinò a lungo. Il suo tocco era delicato e
carezzevole. Non c’era
bramosia o urgenza, ma solo tanta delicatezza.
Davvero
Marianna aveva creduto che fosse una bestia? Che fosse incapace di
tenerezza?
Non ricordava, perché dovette ricredersi.
“È impossibile
non amare i tuoi occhi”, mormorò
Pietro.
Marianna
li chiuse al suo respiro caldo. Sapeva di vita.
“Perché?”
“Sono
celesti, come il cielo di luglio”
Marianna
sorrise.
Su
una barca, sotto il cielo di luglio.
________________________________________________________________________________
Mi vergogno molto postare dopo questa
lunghissima attesa, ma
eccomi qui. Spero che a qualcuno interessi ancora la mia storia
:)
Questo
è il capitolo fondamentale. Ed è quello che
preferisco in assoluto, quindi… no comment. Aspetto critiche
e recensioni per
sapere cosa ne pensate.
Grazie per le mille sollecitazioni,
significa che
questo racconto vi ha colpito il cuore, e di questo ne sono realmente
felice!Un abbraccio e un bacio a tutti!
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Capitolo 10 *** 10. ***
Come il cielo di luglio
10.
Pietro
Ripamonti insegna a leggere e a scrivere a Marianna.
Il
sospetto di Michele Bruno
Quella
sera, qualcosa cambiò. Erano tornati stanchi e affamati e,
visto che la
servitù, incerta del loro ritardo, non aveva preparato la
cena, attesero con
pazienza il pasto. Per tutto il tempo non avevano lasciato gli occhi
dell’altro.
Marianna
temeva quasi che tutto potesse essere una sordida illusione, come se
Pietro da
un momento all’altro potesse ritornare il demonio che si era
sempre voluto
dimostrare.
Pietro,
dal canto suo, guardava Marianna con occhi diversi. La visione del
rispetto che
avrebbe dovuto portarle si era ingigantita oltre ogni misura. Finora,
era
l’unica persona con cui avesse parlato della morte della
sorella, dell’amore
che provava per lei. Non si era mai sentito così bene. Era
vivo, libero. Forte
e indipendente. E tutto grazie a una conversazione con sua moglie.
Alla
fine del pasto, si salutarono nell’enorme corridoio di villa
Ripamonti e ognuno
si diresse verso la propria stanza.
Pietro,
prima di addormentarsi, pensò un’ultima volta a
Marianna, ai suoi dolci occhi
celesti e alla sua bocca a bocciolo di rosa.
Marianna,
invece, dormì per la prima volta un lungo sonno tranquillo,
sentendosi
finalmente al sicuro.
* * *
I
giorni passarono fin troppo velocemente per Marianna. Se prima il tempo
si era
fermato inesorabilmente come se fosse eterno e trascendente, ora
scorreva
sgambettando.
Volarono
quattro giorni in un batter d’occhio. Marianna e Pietro non
facevano che
ricercarsi in quei momenti. Non tanto fisicamente. Erano le loro anime
che,
ancora prima dei loro corpi, volevano conoscersi come era giusto che
fosse.
Durante
la colazione, parlavano di tutto e niente. Aneddoti sulla propria
infanzia, i
propri gusti, le proprie idee…
I
pomeriggi li passavano separati, dovendo concentrarsi sui propri
doveri. Mentre
Pietro controllava il rendimento dei campi o stava nel suo studio a
occuparsi delle
scartoffie, Marianna stava in cucina a chiacchierare con Clementina e
gli
altri. Addirittura le aiutava a cucinare, provocando nelle altre un
gran moto
di imbarazzo.
“Voscenza
non dovrebbe preoccuparsi di questo, davvero”, le aveva detto
una volta Rosa,
una delle cameriere.
Marianna
aveva scosso la mano per minimizzare il tutto. “Prima non
facevo che spadellare
per mio padre. Devo pur passare il mio tempo”
La
sera, i due sposi si rincontravano a tavola. E parlavano, parlavano,
parlavano…
non facevano altro. Ognuno pendeva dalle labbra dell’altro.
Andavano a dormire
spesso tardi per le loro chiacchierate, protratte più a
lungo del dovuto.
Dopo
tanto tempo, Marianna si sentì quasi felice. Non era
più una reclusa o una
prigioniera, ma una persona finalmente rispettata in quanto tale. E
Pietro…
Marianna adorava il suo sorriso, quello che indossava sempre quando era
con
lei. Era quasi dolce e paradisiaco. Non lo aveva mai visto
così sereno e quasi
si meravigliava di essere stata lei la fonte del cambiamento.
Possibile? Credé
di esagerare, e così non ci pensò più.
Ma
Marianna non era l’unica ad aver notato quello strano
mutamento.
Clementina
udiva spesso le risatine sottovoce di Marianna durante i pasti e ne fu
estremamente contenta: il suo sogno si stava concretizzando. Ma di
certo, tutta
la servitù di villa Ripamonti fu alquanto sorpresa. Sembrava
impossibile che un
tipo alto e austero come don Pietro Ripamonti potesse anche solo
lontanamente
sorridere o provare emozioni umane.
“Voscenza
è un vero miracolo”, aveva commentato Gaspare, il
cocchiere.
“Puoi
dirlo forte”, aveva ridacchiato Clementina.
Qualcosa
stava cambiando. Nell’aria si avvertiva tutto
fuorché una certezza. Qualcosa
che andava oltre l’anima, dritto ai cuori di Pietro e di
Marianna.
* * *
Marianna
aveva dimenticato la scatola con gli aghi da rammendo nello studio di
Pietro,
che aveva visitato qualche giorno prima per un motivo che proprio non
ricordava. Si sforzò. E immaginò se stessa mentre
sbirciava quei volumi pieni
di simboli sconosciuti, terribili sirene che la attiravano con il loro
dolce
canto.
Marianna
aprì la porta dello studio e vi trovò Pietro,
completamente chino –e alquanto annoiato-
su una lettera. “Ah, sei qui”, notò,
sorpresa. “Credevo che fossi nei campi
oggi”
“E
io credevo che fossi andata a trovare tuo padre, ma a quanto pare non
era così”,
disse Pietro, stupito quanto lei. Non aveva mai compreso fino in fondo
le
dimensioni di villa Ripamonti e dovette ricredersi.
“No,
ero giù nelle cucine”
Capì
immediatamente dall’espressione di Pietro di aver detto una
cosa molto errata.
“Che
cosa?”, ruggì Pietro a denti stretti.
Marianna
rimase immobile, ma pur sempre stupita da quell’atteggiamento
arrogante che non
le era mancato per niente. “Ero giù, nella
cucina… parlavo…”
“Una
signora non dovrebbe andare a parlare con la servitù nelle
cucine”, sputò
Pietro, sprezzante.
“A
me sembra una sciocchezza”, ribatté Marianna,
piccata. Ora cominciava a
scaldarsi, e questo non era un bene.
“Non
è affatto una sciocchezza, Marianna! Sono proprio queste
piccole cose che fanno
la differenza”
Marianna
sospirò. Evidentemente quei quattro giorni erano stati solo
un breve
interludio. Breve e piacevole, certo. Non era possibile che riuscissero
a stare
calmi per più di mezza settimana. “Sono simpatici.
E mi hanno sempre tenuto
compagnia quando non c’eri”
Pietro
alzò gli occhi al cielo. Ignorò bellamente che
con quella frase, Marianna
voleva intendere di aver passato fin dall’inizio il suo tempo
libero con la
servitù. Non aveva intenzione di litigare e non aveva
assolutamente voglia di
perdere la sua stima. “Come vuoi. L’importante
è che non si sappia in giro”
“Che
ti importa delle voci?”
Pietro
batté un pugno sulla scrivania, seccato, facendo sobbalzare
lievemente
Marianna. “Mi importa eccome, Marianna! Vuoi continuare ad
andare?”
“Certo!”,
disse lei, gli occhi socchiusi.
“E
allora taci, e fa in modo che anche quegli zoticoni tacciano!”
La
bocca rosea e piena di Marianna si allargò a dismisura.
“Non sono zoticoni! E
se è così che la metti, lo sono pure io!”
Pietro
sospirò. L’occhio gli cadde sugli scaffali.
“Per l’appunto. Allora, vorresti
davvero imparare a leggere?”, le chiese.
Marianna
deglutì rumorosamente, incredula alle proprie orecchie.
Dimenticò perfino la
discussione di pochi secondi prima. “Certo che si”,
annaspò, sorridente.
Pietro
ricambiò. Lo stomaco di Marianna si contrasse come se stesse
per rigettare. “Se
vuoi, possiamo incominciare adesso”
“Sarebbe
magnifico”, sussurrò lei. Gettò
un’occhiata alle carte, perplessa. “Ma…
non
dovresti…”
“No,
sono stufo”. Gettò con un gesto eloquente la
lettera in un cassetto.
“Una
lettera di Lamanna?”, domandò Marianna, il
sopracciglio alzato.
“Purtroppo
si”. Batté una mano sulla sua gamba.
“Vieni qui”, mormorò.
Prima
di quel pomeriggio sulla barca, Marianna avrebbe rifiutato. Avrebbe
esitato. Ma
questa volta non lo fece. E si sorprese da sola. Perché
finalmente, per la
prima volta, capì di fidarsi
di Pietro
e dei suoi occhi nocciola accesi di una luce che non gli aveva mai
visto.
Marianna
obbedì e si accomodò sulla coscia di suo marito.
Appoggiò i gomiti alla bella
scrivania di mogano, in attesa di un insegnamento.
L’occhio
le cadde sul bel ritratto di una giovane donna dalle dolci iridi verdi
e i
morbidi capelli scuri. Intuì chi fosse, e, per non turbare
Pietro, fece finta
di nulla.
Con
sua sorpresa, Pietro cavò da qualche parte un foglio e una
penna e cominciò a
scrivere.
“Che
scrivi?”, domandò Marianna, curiosa.
“Le
lettere dell’alfabeto”, spiegò Pietro,
paziente.
Pietro
si rivelò un buon maestro, colto e perseverante. Forse la
pazienza non era il
suo forte, ma questo non disturbò Marianna. Della sua indole
aveva sopportato
davvero di peggio. E comunque fosse, gli rispondeva sempre a tono.
Mentre
spiegava, Marianna ammirò il bel volto virile di Pietro e si
chiese se lo aveva
sempre trovato così bello. Già dal matrimonio
aveva notato la sua avvenenza, ma
non era la stessa che vedeva ora. Era come se, attraverso il corpo,
Pietro si
stesse lentamente scoprendo. E Marianna desiderò conoscere e
inglobare ogni suo
profondo segreto.
* * *
Marianna
faticò non poco, ma ben presto, imparò a leggere
e a scrivere. Pietro le
prestava spesso certi suoi volumi e la ragazza cercava in qualche modo
di
interpretarli. Certe notti stava sveglia troppo a lungo solo per
decifrare la prima
pagina.
Leggere
le procurava una gioia infinita. Si sentiva come la custode di
un’importantissima
chiave che ti permetteva di aprire qualunque porta.
Nei pomeriggi
in cui non era nei campi o non voleva leggere le lettere contabili,
Pietro la
interrogava. Marianna si sedeva sulla sua coscia o sulla poltrona
nell’angolo
della stanza e leggeva ad alta voce passi di romanzi o opere
filosofiche che
lui conosceva quasi a memoria.
Pietro
non era uno stupido. Non che Marianna ne avesse dubitato, ma non
immaginava che
potesse essere un uomo di così vasta cultura. Conosceva
perfino il francese e un
po’ di latino. Marianna rideva come una sciocca quando lui le
diceva in
francese frasi che nemmeno comprendeva.
“Sai
che cosa ti ho detto?”, le diceva Pietro, sorridendo con lei,
dolcemente.
Marianna
scuoteva la testa. “No, però mi piace il
suono”
Era
talmente felice ed entusiasta, da rinascere. Da sentirsi felice.
“Ti
ha insegnato… a leggere e a scrivere?”, aveva
ripetuto Michele durante una
delle sue visite, attonito.
Non
si fidava del suo genero, e niente gli avrebbe mai fatto cambiare idea.
Ricordava
le lacrime amare della sua bambina, la prima volta che quel bastardo le aveva permesso
di venirlo a trovare.
Era
stato lui a violare la sua Marianna, a prenderla contro la sua
volontà.
Michele
sospirò al sorriso radioso che Marianna gli stava rivolgendo
in quell’attimo.
Quanto era bella la sua bambina. Era una donna ormai. Una donna
splendida e
rigogliosa. Doveva farsene una ragione.
Ma
questa poi, gli sembrava un’assurdità.
Perché mai il padrone avrebbe dovuto
istruire sua figlia? Che cosa voleva in cambio? Michele era molto
sospettoso.
“Si.
Ed è… bellissimo, papà. Leggere,
intendo”. Arrossì a quelle parole facilmente
fraintendibili. “Sto sveglia anche la notte pur di capire. E
se non riesco, mi
aiuta. Mi ha insegnato la grammatica, le parole giuste, gli altri
dialetti… ho
fatto del mio meglio, e ho imparato. Ora sono quasi autonoma. Oh,
è così bello,
papà!”, ripeté per circa la quinta
volte, felice.
Michele
sorrise forzatamente, più per tranquillizzare la figlia che
per altro.
La
guardò. Era sempre la solita. Dolce, vivace,
allegra… e troppo fiduciosa nel
mondo. E di quel Ripamonti che, buono o no, aveva indetto uno
sposalizio, un
ricatto, per averla. In un modo o nell’altro.
Marianna
si fidava di Pietro Ripamonti, Michele no.
________________________________________________________________________________
Eccomi
di ritorno dalle vacanze. Aggiungo purtroppo, visto che se fosse per me
starei sempre in vacanza XD
Grazie
a tutti per essere arrivati fino a qui. Grazie mille per aver
apprezzato il
precedente capitolo, il mio adorato capitolo nove: non avete idea della
mia
gioia :)
Grazie mille a tutti.
Spero
che anche questo capitolo vi piaccia. Vi assicuro che d’ora
in poi i colpi di
scena non mancheranno ;) Un bacione a tutti!
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Capitolo 11 *** 11. ***
Come il cielo di
luglio
11.
Confessioni
a lume di candela. Pietro e Marianna Ripamonti passano la
notte insieme
Pietro
era davvero stanco. Dopo
cena, era andato nuovamente nello studio a concludere le ultime
faccende.
Certo, aveva finito, ma non ci vedeva più dal sonno. Dopo
aver sistemato con
cura il tutto, si avviò per le scale della pittoresca villa
Ripamonti.
Stava barcollando in camera sua,
quando il tenue chiarore di una candela catturò la sua
attenzione. Proveniva
dalla stanza di Marianna. Chissà come, la stanchezza fu
sostituita quasi
immediatamente dalla curiosità.
Dopo una breve lotta interiore,
bussò alla porta.
“Clementina, sei tu?”, chiese
la
dolce voce di Marianna, rotta da quella che pareva ansia.
“Sono Pietro. Posso entrare?”
Due secondi di silenzio.
“Si. Vieni”
Pietro aprì lentamente la porta e
sporse la testa. Marianna, in vestaglia da notte, stava leggendo a
gambe
incrociate sul letto. Il suo viso dorato era risaltato dolcemente dalla
luce
della candela appoggiata sul comodino, gli occhi azzurri spalancati.
Pietro entrò con la sua solita
sicurezza, richiudendosi l’uscio alle spalle. Si
appoggiò su di essi, fissando
Marianna per alcuni istanti. Era splendida. Bellissima. Come sempre,
d’altronde. Possibile che esercitasse su di lui la stessa
attrazione fin dalla prima
volta in cui l’aveva vista danzare? Che cosa era cambiato,
allora? Era lui il
problema? Era lei? Pietro non capiva, e tantomeno ci sarebbe riuscito
con
quella sonnolenza.
“Stai ancora leggendo?”,
chiese,
stupito dall’improvvisa rigidità di Marianna.
Non comprendeva il motivo di tanta
reticenza, assolutamente non propria del suo essere.
Marianna annuì. “Mi piace.
Anche
se ci sto mettendo una vita, mi interessava”
“È quasi l’una di
notte”, le
rammentò Pietro, dando un’occhiata al pendolo
nella stanza.
“Lo so. Ma non sono l’unica
sveglia qui”, ribadì lei, quasi sarcastica.
Pietro ghignò. “Ho appena
finito
di leggere tutti i rapporti. Almeno ho lavoro in meno per
domani”
Marianna non si muoveva. Non
respirava neppure. Era troppo rigida, troppo tesa.
Pietro si avvicinò appena.
“Che
cosa ti turba, Marianna?”, chiese, accigliato.
“Perché sei qui?”,
domandò invece
lei, sospettosa. Non aveva mosso un solo muscolo mentre poneva quella
domanda
vagamente accusatoria.
“Non si risponde a una domanda
con un’altra”, la riprese Pietro, duro,
più per preoccupazione che per la sua
mancanza di educazione.
Marianna sospirò. Pietro
provò
una fitta al cuore non appena vide i suoi occhi celesti incupirsi.
“Ti prego…
sii sincero”
D’un tratto, Pietro comprese. E
si rammaricò di averle dato quell’impressione. Ma
Marianna non aveva alcuna
colpa, dopo tutto quello che le aveva fatto, era inevitabile che lo
pensasse. “Non
sono qui per quello, Marianna. Non dopo
tutto…”. Si interruppe, la gola
improvvisamente secca. Ricordava bene quella sera in cucina, quella in
cui non
aveva fatto che balbettare tutte le sue debolezze. Non voleva
ricascarci. Era
come se Marianna annullasse tutto di lui, ragione e cuore.
“Tutto…?”, lo
spronò lei,
incuriosita.
“Non dopo tutto questo. Non
voglio più farti del male. Te l’ho detto, quel
giorno”, disse Pietro, amaro,
come se fosse stato costretto.
Marianna si rilassò, a suo agio.
“Hai ragione. Scusa se l’ho pensato, ma…
non sono riuscita a fare altrimenti.
Io mi fido di te”, aggiunse, la voce fioca.
All’inizio sperò che Pietro
non
la avesse sentita, ma, ovviamente, le sue speranze furono vane.
“Grazie”,
mormorò Pietro in risposta, distogliendo lo sguardo da
quello limpido di
Marianna. “Quindi
era quello che ti
turbava? Che io potessi…?”
“Si”
Nessuno fiatò.
“Perché sei qui
allora?”, riprese
Marianna, perplessa. Sistemò il segnalibro al centro della
pagina, per poi
richiuderlo sulle propria ginocchia. Gli stava dichiarando la sua
completa
attenzione.
“Ero curioso, a dire il vero.
Volevo vedere che cosa stessi facendo”
Marianna sorrise. “Niente di che,
come vedi. Sei tanto stanco? Ti va… di leggere con
me?”
Senza profferire parola, Pietro si
sdraiò vicino a lei, le mani dietro la testa.
“Vai, leggi”, ordinò, la voce
profonda sicura, ma non imperiosa.
Marianna aprì il volume e
cominciò a leggere con voce un po’ incerta. Pietro
la osservava attentamente
sdraiato, mentre lei, seduta a gambe incrociate al suo fianco, muoveva
le
labbra e cadenzava la voce vellutata china sul libro. Una lunga ciocca
di ricci
scuri le cadde sul viso, rischiando di ostacolare il lavoro. Pietro,
incantato
dalla sua voce, dalla sua bellezza, dalla sua anima, gliela
appuntò dietro
l’orecchio con dolcezza e naturalezza.
“Come sto andando?”, chiese
Marianna, vagamente distratta dal gesto delicato di Pietro.
“Splendidamente. Devi star un
po’
attenta alla punteggiatura”
“Va bene”
Marianna riprovò, questa volta
seguendo il consiglio di Pietro. Dopo circa dieci minuti,
però, chiuse
seccamente il libro e lo appoggiò sul comodino.
“Sono stanca”, dichiarò.
Pietro la osservò impassibile.
“Vorrà dire che continuerai domani. Sei andata da
tuo padre oggi, vero?”
Marianna fu colta di sorpresa
dalla sua domanda, ma rispose senza alcuna esitazione. “Si.
Gli ho raccontato
di quanto hai fatto per me”
Dire che Pietro era stupito era
poco. “Davvero?”
“Certo. Gli ho detto che mi hai
insegnato a leggere e a scrivere e di quanto mi piaccia. Lo sai che con
lui
parlo di tutto”. Tacque un attimo, pensierosa. “Sei
bravissimo come insegnante.
È come se lo avessi già fatto”
“Davo ripetizioni a mia sorella
quando non capiva qualcosa con il suo precettore”,
spiegò lui con un sorriso.
“Questo spiega tante cose”
Senza pensarci, Pietro afferrò un
lungo boccolo scuro e se lo rigirò nelle lunghe dita.
Marianna rabbrividì e,
sempre pensando che fosse per il freddo, incrociò le braccia
sul petto.
“Come ti chiama tuo padre?”
“Marianù. Tutti mi chiamano
così
al villaggio”
“Marianù.…”,
ripeté Pietro,
vagamente perplesso. Gli piaceva, era un nomignolo davvero affettuoso.
Marianna lo osservò silenziosa
per qualche secondo. “Raccontami
qualcos’altro”, disse infine, seguendo con lo
sguardo la mano di lui che giocherellava con i suoi capelli.
“Non dovremmo dormire?”
“Non ho sonno”
Pietro ridacchiò. “Oh, parla
per
te, sfacciata!”
“Avanti!”
Pietro strinse le labbra. “Che
dire? Ormai non so più di cosa parlarti”
Marianna ce l’aveva eccome un
quesito da porgli. Ma se dal punto di vista letterario la cosa era
piuttosto
semplice, non lo era altrettanto da quello emotivo. Non sapeva da dove
cominciare, ne perché le interessasse saperlo.
“Posso farti una domanda?”
Pietro si bloccò e la guardò
attentamente. Ritrasse la mano. “Se è
lecita…”
“Quando hai…
avuto… ehm… rapporti
per la prima volta? Perché immagino che prima di me tu abbia
avuto altre donne…”
Fu più forte di lui: Pietro
scoppiò involontariamente a ridere, divertito
dall’imbarazzo di Marianna.
Evidentemente le piaceva incastrarsi da sola.
“Che ti ridi?”,
sibilò lei,
irritata.
“Mi fai ridere”
“Pietro…”
“Si, ho avuto altre donne prima
di te. Avevo diciassette anni la prima volta. L’ho fatto con
una vedova, credo
si chiamasse Maria”
Marianna si accigliò. “Una
vedova?”, mormorò, incredula.
“Si, Marianna. E si, era molto
più grande di me”, aggiunse subito, indovinando la
sua prossima domanda. “Di
almeno una decina di anni”
Marianna non replicò. Stette
semplicemente in silenzio, attenta e pensierosa. Rielaborando le
informazioni
ricevute.
“Era una donna molto avvenente.
Forse era un’amica di mia madre, non ricordo, è
passato così tanto tempo… le
piacevo. E io ero solo un adolescente scalmanato che cercava il suo
posto nel
mondo”
“Ed è finita?”
Pietro fece una smorfia. “Non
è
mai stato un rapporto serio, Marianna”
“Come no? Quando si fa accussì,
qualcosa c’è!”, ribatté,
spiccia.
Pietro si rabbuiò. “No,
Marianna.
Lo vedi, non ricordo nemmeno bene il suo nome. Era solo una fimmina…”
Marianna non disse nulla, perché
tutto quello le ricordava bene la prima notte di nozze. E poi il
ricatto, e poi
lui che si era riversato dentro di lei… all’epoca
era solo una fimmina
anche lei, senza volto, senza nome. Per quanto la disgustasse pensarlo,
era
solo un corpo da possedere. Nient’altro. Tuttavia, non
riuscì a trattenersi.
“Anche io per te ero solo una donna da prendere quando
volevi, no? Come quella vedova”
Il volto di Pietro si incupì.
Dentro di sé, lo stomaco ribolliva, il cuore era stretto in
una morsa.
Meritatamente, per lo sbaglio che aveva fatto. “No. Anche qui
è diverso. Lei mi
si era offerta, Marianna. Capisci?”
“No”, replicò lei,
dura.
Quasi gli venne da ridere. “Non
tutte sono integre e pure come te. Nella mia vita ho avuto a che fare
con varie
donne… dalle vergini alle prostitute. Sai, a Palermo ci sono
i bordelli
altolocati ed è più difficile prendere qualche
malattia”
“Lo hai fatto anche con ragazze
vergini?”. Marianna era indignata.
“Si. Ma non ho mai violentato
né
niente, Marianna. Quello è deplorevole,
contro una donna libera. Erano
loro a cercarmi, a volermi… e chi ero io per tirarmi
indietro?”
Il volto di Marianna non tradiva
affatto accondiscendenza. “Avresti dovuto
preservarle”
“Se non lo avessero fatto con me,
stai pur certa che ci sarebbe stato qualcun altro. Vergini al
matrimonio non ci
arrivavano quelle”. Rise sotto i baffi.
“Anche con delle prostitute?”,
insistette lei.
“Anche”
Marianna era leggermente
disgustata. Era quello il mondo che regnava a Palermo, quello nascosto
da occhi
ingenui come i suoi? “Ma quelle donnacce… si
lavano mai, tra un rapporto e
l’altro?”
“Che io sappia, in quelli
altolocati si”
Marianna sospirò.
Pietro la fissò a lungo, attento.
Poi allungò una mano verso il suo viso. Le
accarezzò il naso, lo zigomo, poi le
labbra. Marianna non si ritrasse, ma era rigida. “Ti ho
sconvolta?”
Lei fece una smorfia. “Un
po’…”
Pietro non seppe cosa dire per un
attimo. “Non ho mai avuto… rapporti seri, amorosi
o di fidanzamento intendo. Le
mie condizioni famigliari non me lo hanno permesso più di
tanto”. La guardò di
sottecchi. “Invidiavo mio fratello. Quando era scappato di
casa, aveva
incontrato una certa Arianna. La donna che doveva sposare prima che
morisse in
quell’incidente… Gli invidiavo la luce che
brillava nei suoi occhi quando
parlava di lei. Quello è amore, mi dicevo. Ma io…
mai. Con nessuna. Mai”. Si
interruppe, lo sguardo fisso in un punto imprecisato della stanza.
Marianna taceva, decisamente
confusa dalle sue sensazioni. Era ovvio che lui avesse avuto rapporti
prima, ma
non capiva perché le desse tanto fastidio. E poi, lui era
legato a lei tramite
uno sposalizio, non per altro. Pure tanto tempo fa, le aveva dichiarato
di
averlo proposto con la speranza di sposarla, tanto era il suo
desiderio… per
Pietro il desiderio era diverso dall’amore. Era
l’unica cosa che Marianna aveva
capito finora, in quanto credeva di non conoscere né
l’uno né l’altro. Certo,
aveva l’amore di Michele, di Pinuzza, di Tiziana, di
Calogero, aveva anche
avuto quello di Lucia. Ma non era quel sentimento platonico che
descrivevano le
fiabe di sua madre. Non capiva, e questo la irritava a morte.
Pietro girò il viso per
guardarla. “E tu?”. La sua domanda la
ridestò dai suoi conturbanti pensieri.
Marianna arrossì. “Io
cosa?”
Gli occhi nocciola di Pietro
erano fissi nei suoi, una luce quasi indagatrice negli occhi. Anche se,
dentro
di sé, conosceva già la risposta. Voleva
sentirselo dire. “Sei mai stata
innamorata?”
Marianna diventò ancora più
rossa. Distolse lo sguardo. “No, mai. Pensavo solo a giocare,
e a lavorare, e a
prendermi cura di mio padre…”. Sospirò.
Pietro le fissò le labbra rosee.
Non resistette. Gliele sfiorò con le dita, delicatamente.
“Ti ha mai toccato un
uomo?”
Lei non sapeva che dire. Trovava
ridicole quelle domande, in quanto lui sapeva tutto. Ma capì
più tardi che non
intendeva solo un rapporto intimo. Gli lisciò un braccio.
“No. Tu sei il primo
uomo che abbia mai baciato”
A Pietro bastò, e alla grande.
Era compiaciuto.
“Per voi uomini è
così facile,
piacevole, fare l’amore”, notò Marianna,
una punta di amarezza nella voce.
“In effetti, è piuttosto
semplice”. Ma Pietro aveva compreso ciò che
Marianna voleva intendere. “Ma tu
non hai mai provato piacere, vero, Marianna?”
Marianna fu davvero sorpresa
dalla sua domanda fin troppo schietta. Arrossì appena.
“Piacere… mentre…? No…
non so che intendi”
Marianna ricordava solo le spinte
focose, i gemiti, gli ansiti di Pietro, ma dal canto suo mai qualcosa
di
diverso dal dolore o da quella sensazione di soffocamento.
Pietro sospirò, amaro. “Ti ho
trattata
sempre come una puttana, Marianna, e me ne dolgo. Perché tu
meno di tutte meriteresti
di essere trattata così”. Non sapeva che cosa gli
stesse prendendo, ma era
così. Marianna era dolce, gentile, altruista, oltre ad
essere magnifica. Era
fatta per eccitare gli uomini, ma non era una mala
fimmina.
“Perché… quello non era tutto?”,
domandò Marianna, decisamente incredula.
Pietro sbuffò, spazientito.
“Puoi
dire sesso, Marianna. Sono tuo
marito, no?”
“Si, ma…”
“Avanti”
Marianna roteò gli occhi.
“Perché,
il sesso non è fatto
solo da quello?”
Pietro quasi si appellò al Signuruzzu.
Era incredibile come il mondo di Marianna si limitasse a baci e
accoppiamento. “No…
ci sono centomila modi per trarre e dare piacere. Altri modi”
“Lo sai che non c’ho capito
nulla, vero?”, disse Marianna, sorridendo misticamente.
Pietro ridacchiò.
Avrebbe voluto dirle che un
giorno avrebbe pensato a lei, che avrebbe cercato di condurla al
piacere e
all’apice dei sensi, ma ricordò la reazione di
poco prima e desistette. Ripensò
a tutte le volte in cui avevano fatto l’amore. Ed
effettivamente era vero: si
era sempre sfogato su di lei. Ma era talmente abituato alle puttane di
Palermo da
non averci fatto caso. Sapeva come dare piacere a una donna, ma solo
per pura
soddisfazione personale.
Sospirò.
Marianna si sdraiò al suo fianco,
guardinga. “A che pensi?”
Lui scosse la testa. “Niente,
lascia stare”. Lanciò un’occhiata
all’orologio e gemette. “È meglio che vada, Marianna.
Si è fatto tardi”
“Pietro, dormiresti con me?”,
chiese lei, in un lampo di sicurezza.
Si fidava di lui, non le avrebbe
fatto del male. Pietro la fissò, incerto. Osservò
i suoi lunghi ricci sparsi
sul cuscino, la sua bocca di rose, la carnagione dorata. Il corpo
piccolo, ma
formoso. Per non parlare di quegli occhi magnifici. Celesti, come il
cielo di
luglio.
Sorrise. Senza dire nulla, le
circondò la vita con un braccio e la attirò a
sé. “Buonanotte”, mormorò, la
mano che vagava lentamente sulla sua schiena.
Marianna sospirò, inebriata da
quella carezza, da quel tocco lento e sensuale. Come se fosse naturale,
passò
la mano sul fianco di Pietro, come per rincuorarlo.
“’Notte”
Cullata dal battito del cuore di
Pietro, dal suo calore e dal suo profumo rassicurante, si
addormentò poco dopo.
Pietro la osservò per un po’.
Il
suo cuore impazziva, scalpitava, tremava. Ogni muscolo fremeva per lei.
“Sogni
d’oro, mia dolce Marianù”,
sussurrò, e le lasciò un bacio sulla fronte.
________________________________________________________________________________
Chiedo
perdono per l’immenso ritardo (e ritardo è dire
poco!)! Davvero, tra la
mancanza d’ispirazione, gli studi e una cosa e
l’altra, la voglia di aggiornare
si era un po’ ridotta… vi chiedo immensamente
scusa. Sappiate che, in un modo o
nell’altro, non abbandonerò mai questa storia. Ci
sono troppo affezionata :)
Un
enorme grazie a tutti, davvero! E un grazie in anticipo a chi se la
sente
ancora di seguirmi, nonostante tutto! Sempre se qualcuno è
rimasto XD
|
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Capitolo 12 *** 12. ***
Come il
cielo di luglio
12.
In
un campo di papaveri, alla luce del sole di mezzogiorno
Quando Marianna aprì lentamente
gli occhi, Pietro era lì, il braccio ancora intorno alla sua
vita.
Un dolce raggio solare faceva
capolino dalla fenditura delle tende, investendo con la sua
vitalità il suo corpo
flessuoso.
Nonostante avesse caldo nel
stargli accoccolata, non si spostò di un millimetro. Perse
circa un minuto a
contemplare il viso di suo marito, dell’uomo che prima odiava
con tutta sé
stessa. Già, prima. Mentre adesso? Che cosa provava per
Pietro? Marianna non lo
sapeva. Non aveva idea di che cosa fosse quella muta gioia di averlo
accanto.
Perché in quell’abbraccio non
c’era più disgusto, come nelle notti in cui si
addormentava tra le sue braccia
dopo aver consumato un rapporto violento. Era diverso. Lo voleva
più vicino a
sé, il più vicino possibile. Lo voleva e basta,
in qualche modo. Inspirò piano
il suo odore maschio, così perfetto per lei, per le sue
sensazioni strane.
Allungò un dito e gli
delineò il
viso, delicata come una farfalla. Si perse nella linea delle
sopracciglia folte
e scure, delle palpebre abbassate dalle ciglia lunghe e fitte, della
bocca
piena…
“Che fai?”
Ritirò velocemente la mano.
“Sei
sveglio?”
“Solo ora”. Pietro
soffocò uno
sbadiglio, ma non aprì gli occhi. “Sono stanco
morto”
“Non volevo svegliarti”,
ribadì
Marianna, facendo una smorfia.
“Non credo che sia stata tu.
Forse una piuma…”, mugugnò lui. Il suo
respiro stava ridiventando lento e
regolare.
Lei lo scosse. “Pietro, non
riaddormentarti. Ti saresti dovuto svegliare comunque tra un
po’”
Così, Pietro aprì gli occhi,
leggermente accigliato. Sospirò.
Marianna ridacchiò della sua
espressione assonnata. “Buongiorno”,
cinguettò allegramente, stampandogli un
bacio leggero sul naso.
Lui sollevò un sopracciglio,
scettico.
Marianna si strinse nelle spalle.
“Lo facevo sempre a Tiziana quando era una picciridda.
Dammi qualche
soddisfazione”
Pietro sorrise e Marianna si
accontentò più del lecito.
* * *
Agosto era alle porte, ormai.
Marianna, che passeggiava silenziosa
di ritorno da Santoro, lo notò subito. Fosse stato per lei,
il calendario non
era assolutamente necessario. Avvertiva immediatamente il cambiamento
di clima,
come se la sua pelle fosse un abile strumento per
l’adattamento.
Costeggiò i campi deserti sotto
il sole cocente di mezzogiorno, lo sguardo perso nella contemplazione
di quel
meraviglioso paesaggio. Avrebbe tanto voluto togliersi le scarpe e
correre per
i prati, come faceva da bambina. Oppure scendere nella spiaggia di
Santoro e
buttarsi nell’acqua limpida del mare, osservando lieta la
roccaforte sulla
roccia. Marianna avrebbe voluto vivere e basta, in un modo o
nell’altro.
Eppure sospettava l’inevitabile.
A volte, nei momenti di sconforto, non riusciva a non credere che si
trovasse
lì per un disegno divino. Pensava a Pietro, alla sua anima
buona mutilata dalle
crudeltà della vita. Aveva avuto un padre spietato, una
madre indifferente.
Aveva perso un fratello e una sorella che amava con tutto se stesso.
Nonostante tutto, Pietro non era
malvagio. E Marianna lo aveva capito da quel giorno, sulla barca.
Se fosse stato davvero cattivo,
avrebbe continuato a godere di lei nella notte, non a conoscerla. Se
fosse
stato davvero un demonio, non avrebbe mantenuto la promessa per cui si
era
sacrificata. Certo, il suo ricatto era stato deplorevole, ma era
più un gesto
dettato dalla disperazione che da altro. E lui non era egoista,
perlomeno non
nel profondo.
A quei pensieri, Marianna credeva
di giustificarlo, ma sentiva che
non
era così.
Pietro era buono. Le aveva
confessato il suo desiderio malsano. Aveva compreso di aver sbagliato.
Aveva
provato a conoscerla, a rispettarla. E aveva imparato a volerle bene,
giusto un
po’.
Mamma, è per
questo che sono qui?
Pietro non aveva mai amato
nessuna. Nessuna.
“Evidentemente
è proprio della mia famiglia non conoscere mai
l’amore…”
Le sue elucubrazioni mentali
furono improvvisamente interrotte da uno scalpiccio di cavallo.
Marianna si
bloccò in piedi, in mezzo alla strada sterrata, nel panico
totale. La paura le
scivolò nello stomaco come un gigantesco serpente,
attorcigliandole le viscere.
La fronte si imperlò di sudore, il respiro si fece
rarefatto.
La figura alta e longilinea di
Pietro si stagliò nel cielo turchino.
“Marianna?”, chiamò
lui,
incredulo.
Marianna non rispose, troppo impaurita
dalla bestia che cavalcava con tanta disinvoltura.
“Pietro… Dio, stai lì!”
Pietro inizialmente non capì, ma
bastò interpretare il terrore negli occhi di Marianna per
illuminarlo. Smontò velocemente
e lasciò la bestia libera di pascolare.
Marianna fece tre passi indietro.
“Sta lì, vero?”, chiese in un filo di
voce. Indicò con un cenno della testa
l’innocuo animale.
“Si, sta lì, sta
lì”, la
rassicurò Pietro, venendole incontro. “Che ci fai
ancora qui in giro? Non
dovresti pranzare?”
“Mi sono trattenuta a parlare con
Tiziana e Pinuzza”, spiegò lei, tremante.
Pietro era preoccupato, non
sapeva come comportarsi in queste evenienze.
“Siediti”, le ordinò, brusco.
Marianna, troppo atterrita per
ribattere, obbedì, incurante della polvere. Pietro la
imitò, totalmente
concentrato sui movimenti di lei. “Marianna? Come ti
senti?”, sussurrò. Era
così piccola, così spaventata. Ricordava della
sua paura, ma non immaginava
potesse essere così grave.
Marianna rabbrividì e nascose il
viso nel petto di Pietro. “Ti prego, mandalo via”,
lo pregò, strofinando le
guance nella sua camicia bianca.
“Aspetta qui”. Le
carezzò
dolcemente la schiena, per poi alzarsi e legare le briglie del cavallo
ad un
albero poco distante.
Marianna, intanto, cercò di
calmare il tremito incontrollato delle gambe e il suo cuore impazzito.
Quando
Pietro ritornò e vide il cavallo lontano e, soprattutto,
immobilizzato, tirò un
sospiro di sollievo.
“Non credevo che moristi così
di paura per un cavallo…”, notò
Pietro, perplesso.
Marianna sospirò e accettò
la sua
mano per rialzarsi. “Il cavallo di un signore
rischiò di calpestarmi quando
avevo sette o otto anni. È da allora che ho una paura
bestia”, mormorò, le
braccia strette al petto.
Pietro la fissò per alcuni
istanti, le iridi nocciola più vive che mai. Marianna ebbe
il coraggio di
guardarle e rimase abbagliata dall’ambra di quegli occhi
così limpidi.
“Vieni, ti porto in un posto”,
esordì Pietro. Le afferrò la mano con naturalezza.
“Dove?”, chiese lei.
“Te lo faccio vedere, vieni”
Marianna era accigliata. “È
vicino?”
Pietro sospirò. “Ti fidi di
me?”
Marianna sospirò.
“Si”
“Allora vieni”
Pietro la guidò nella direzione
da cui era giunto, gli occhi socchiusi per la troppa luce. Marianna
stava
letteralmente morendo di caldo e invidiò parecchio la
camicia aperta dell’uomo.
Per fortuna aveva indossato uno degli abiti più semplici e
leggeri del suo
guardaroba, uno dei soliti che usava per non dare nell’occhio
a Santoro.
Camminarono per circa cinque
minuti, in silenzio, cullati dal vento salino e dallo scroscio del
mare,
udibile anche ad altezze elevate. I lunghi boccoli castano scuro di
Marianna
mulinavano nell’impetuosa breve estiva, così come
quelli corti e
lisci di Pietro.
E ogni tanto si guardavano. Ed
era sabbia contro mare, terra contro cielo.
Un brivido scuoteva Pietro nel
profondo e un calore avvolgeva il ventre di Marianna.
Pietro tagliò per un campo di
grano e Marianna lo seguì. Faticarono un po’,
visto che le spighe, nel pieno
della loro maturità, erano più alte della testa
di Marianna. Lei giocherellò un
po’ con i lunghi steli dorati, a cui aveva dedicato la
maggior parte della sua
vita. Fino ad allora, all’arrivo di don Pietro Ripamonti.
“Arrivati”,
annunciò lui.
Marianna non credeva ai propri
occhi. Un enorme prato di papaveri, circondato dal campo di grano, si
estendeva
davanti a loro, i fiori rosso sangue risaltati in maniera quasi
surreale dai
raggi solari.
Marianna, che era rimasta imbambolata
per almeno cinque minuti ad ammirare quel paesaggio meraviglioso, si
voltò verso
Pietro, anche lui concentrato davanti a sé, le braccia
conserte.
“Ci avevi già
pensato?”,
sussurrò, rapita.
Pietro le lanciò uno sguardo
curioso. “Affatto. L’ho visto oggi mentre passavo e
ho pensato che ti sarebbe
piaciuto”
“È…
meraviglioso”
Marianna mosse i piedi
automaticamente nel prato, senza parole, senza pensieri. Si sedette
esattamente
al centro e accarezzò dolcemente i lunghi steli verdi, i
petali rossi. Si tolse
le scarpe, desiderosa di sentire quel terreno fertile e umidiccio sotto
i piedi.
Per sentirsi viva come non lo era mai stata.
Pietro la raggiunse poco dopo, lo
sguardo fisso su di lei. Era splendida come non mai.
Marianna alzò gli occhi e le sue
iridi celesti si scontarono con quelle nocciola di lui.
“Siediti vicino a me”,
sussurrò. Batté
il terreno in un dolce invito.
Pietro, come ammaliato dal canto
di una sirena, obbedì. Il sorriso dolce di Marianna lo
sorprese più di ogni
cosa al mondo. E si sentì sciogliere, perdere
nell’oblio di quei petali di
rosa, di quelle iridi divine.
“Grazie, Pietro. Grazie”,
mormorò
lei, grata.
Erano vicinissimi. Marianna
poteva avvertire il respiro caldo e denso di vita di lui. Di
quell’uomo che le
faceva uno strano effetto ogni volta che lo vedeva. Di
quell’uomo che era suo
marito. Di quell’uomo che era solo Pietro.
Pietro accostò il viso al suo e
fece collimare le loro fronti. Avvertiva il profumo della sua pelle
dorata, dei
suoi capelli ricci che, portati dal vento, si scontravano sui suoi
zigomi.
Sapeva di aria fresca, di sale, di buono.
Chiuse gli occhi, beato del
calore di quel corpo pieno di vita. Della sua anima limpida e serena.
Poi, le sentì. Avrebbe
riconosciuto tra mille la morbidezza di quelle labbra piene, ma mai avrebbe sperato che lo assaggiassero
di loro spontanea volontà.
Pietro rispose al bacio con
dolcezza. Perché lui venerava la padrona di quelle labbra.
Marianna non capiva che cosa
l’avesse spinta a farlo. Ma, in quel momento, non stava
pensando granché. Si
stava crogiolando nella fiducia che riponeva in lui. Nella
felicità che lui le
faceva provare. Che cosa era cambiato? Marianna non riusciva a
capacitarsene,
tanto la strada era stata intricata e graduale.
Riusciva solo a sentire le labbra
fresche di Pietro, il suo profumo irripetibile, la leggera barba che le
pizzicava il naso.
Il bacio si approfondì. E
Marianna rabbrividì non appena permise l’accesso
della lingua di Pietro nella
sua bocca. Senza controllarsi, passò le mani tra i suoi
capelli lisci e scuri,
avvicinandolo più che poteva a sé.
Si staccarono per riprendere fiato.
E Marianna morì e risorse tre volte alla vista di quegli
occhi nocciola
irriconoscibili nel loro calore e nella loro dolcezza.
“Pietro…
Pietro…”, ansimò senza
sosta.
Pietro non le diede il tempo di
dire nulla, perché la baciò di nuovo. Marianna lo
stava cercando, e questo gli
bastava.
“Mi vuoi, Marianna?”,
sussurrò
nel suo orecchio. Le sue mani vagavano in ogni zona del suo corpo,
desideroso
di Marianna, del suo corpo, del suo calore, di lei, di tutto di lei,
della sua
vita, della sua anima, del suo amore…
“Pietro…”
“Sono qui, Marianna, sono qui con
te…”, mormorò lui, baciandole il collo.
Gli occhi di Marianna si
chiusero, la testa gettata all’indietro. “Brucio,
Pietro”
E lui capì che cosa voleva.
Lentamente, pronto a fermarsi se fosse stato necessario, la
spogliò. Marianna
lo lasciò fare, il loro desiderio completamente esposto alla
luce del giorno.
Pietro liberò il seno importante
della donna e lo accarezzò dolcemente, rapito da quelle
forme perfette, da
quella bellezza eterea quanto concreta.
Marianna, in un attimo di pudore,
tentò di nasconderlo, ma le mani calde di Pietro non glielo
permisero. “Sei
meravigliosa… splendida, una dea…”
“Spogliati anche
tu…”
E allora i vestiti di Pietro
fecero la stessa fine di quelli di Marianna.
Lei riosservò con gioia quel
fisico asciutto e scolpito, quelle braccia e quelle gambe ben
modellate, quella
bellezza mediterranea. Trovò anche delle cicatrici, quelle cicatrici. Ce n’erano
molte, soprattutto sulle braccia e
sulla schiena.
Marianna, addolorata, gliele delineò
delicatamente con un dito. “Oh, Pietro, non le avevo mai
notate…”
“Sono quelle che ti dicevo”,
mormorò lui, seguendo il suo sguardo.
Marianna gliele baciò dolcemente.
Tanta era la sua curiosità, che ne seguì una con
la punta della lingua.
Pietro gemette, al limite della
sopportazione. Quella donna era la sua tortura.
“Dio…”
Le piacquero i suoi ansiti, i
suoi sospiri, il sapore salato della sua pelle, quello muschiato della
bocca.
E si ritrovarono lì, nudi
nell’isolato campo di papaveri, alla luce del sole di
mezzogiorno. Entrambi al
limite, entrambi desiderosi l’una dell’altra.
Pietro le aprì le gambe e, mentre
la baciava sensualmente, la penetrò. E Marianna si
bloccò. Perché, per la prima
volta, si sentì diversa.
Ripensò alla
conversazione della sera prima, del piacere… ed era piacere quello che stava provando,
mentre Pietro la colmava, mentre
lui si spingeva in lei, mentre si amavano lentamente…
“Marianna…
Marianù…”
“Pietro… Pietro…
di più…”
Così, fino al punto di non
ritorno, raggiunsero le vette del Paradiso.
Fecero l’amore più e
più volte, ignari
di essere alle prese con qualcosa più grande di loro.
* * *
Non appena raggiunsero villa
Ripamonti, non pranzarono neppure. Pietro non si presentò ai
campi, né si
occupò delle scartoffie. Marianna non andò nelle
cucine.
Si rinchiusero nella camera di
Marianna, la più vicina, e fecero l’amore tutto il
pomeriggio, tutta la notte. Esplorandosi,
cercandosi, amandosi. Con passione,
perdizione, devozione, lussuria… una mescolanza tanto letale
che Marianna credé
di morire. Era quello il piacere, quella meravigliosa sensazione tanto
decantata. Ed era stato Pietro ad averglielo insegnato. Aveva
rimediato.
Erano stanchi, stremati, ma non
appena si riprendevano, il desiderio si impossessava nuovamente dei
loro corpi.
Si accoppiavano insieme,
si cercavano insieme. Per la prima
volta dall’inizio
del loro sposalizio.
E Marianna cominciò a credere
che, dopotutto, Lucia non l’avesse mai abbandonata.
____________________________________________________________________________________________
Altro no comment,
perchè questo è in assoluto il capitolo che
preferisco. Spero solo che sia valsa l'attesa.
Grazie mille a tutti, per la pazienza, i commenti
e i messaggi privati che mi dimostrano quanto piaccia questa storia!
Niente avrebbe potuto rendermi più felice!
|
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Capitolo 13 *** 13. ***
Come
il cielo di luglio
13.
L’idillio.
Pietro
Ripamonti e
Marianna capiscono di provare qualcosa di più forte del
desiderio.
La prima cosa che Pietro pensò al
suo risveglio era di essere al punto di non ritorno. E lo sapeva bene,
con il
caldo corpo di Marianna stretto fra le sue braccia. Era stremato, ma
felice
come non mai. Sorrideva come un ebete al pensiero della loro lunga
follia
infuocata. Tutto il pomeriggio e la notte a completarsi, ad unirsi in
un unico
essere. Si, perché Pietro avvertiva che non erano stati i
loro fisici a
congiungersi. Era come se fosse una questione di anime.
Non aveva mai amato con una tale
passione qualcuno che non fosse Laura, d’altronde una
relazione del tutto
platonica tra fratello e sorella.
Ma con Marianna era diverso. Non
aveva fatto altro che desiderare la sua figura flessuosa, il sapore
della sua
pelle, e, per quanto impossibile, quello della sua anima candida e
innocente.
Senza svegliarla, le annusò con
dolcezza i boccoli scuri. Il profumo di Marianna era naturale e
delicato come
quello dell’aria o del sole. E necessario, come
l’aria che respirava.
Cominciò davvero a dubitare del
fatto che per sua moglie nutrisse qualcosa di molto più
profondo del semplice
desiderio. Ma non voleva pensare o rovinare tutto, così si
riaddormentò
placidamente, il volto nell’incavo del collo di lei.
* * *
“Marianù, che hai? Ti vedo
così
distratta…”. Tiziana cominciava seriamente a
preoccuparsi per la sua amica. Aveva
un’aria molto strana. Pareva quasi sognante. Troppo
tranquilla, quella nuova
Marianna, e questo bastò a insospettirla. Parlava da
mezz’ora, ma lei neanche
l’ascoltava.
Ma Marianna era totalmente in un
altro mondo. I suoi occhi cerulei si limitavano a seguire i movimenti
della
bocca di Tiziana, senza realmente registrare le sue parole. E i suoi
pensieri
convergevano su un’unica cosa: Pietro.
Al suo Pietro,
suo marito.
Da quando Pietro
è mio? Da
quando lo sento mio? Oh, Madonnina,
sto impazzendo.
Ritornò con la mente a quel
mattino. E, involontariamente, un dolce sorriso si schiuse sulle sue
labbra di
rosa. Senza accorgersene, si guadagnò
un’occhiataccia di Tiziana.
Stamattina…
Si era svegliata e il suo
viso era nell’incavo del suo collo,
in dormiveglia. Anche lui aveva avvertito i suoi movimenti e, dopo un
breve
saluto, avevano fatto di nuovo l’amore…
La pelle umida e
profumata, il sapore della sua bocca, i suoi gemiti, i
suoi ansiti, le sue mani su di lei, il suo calore… E il suo
membro… Dio, perché
il suo membro la attraeva così tanto?
“Marianna?”.
L’ennesimo richiamo
di Tiziana la svegliò.
“Sto bene, Tiziana, non ti
preoccupare”, la rassicurò, sorridendo ancora di
più.
“E invece no. Che
c’hai?”, le
chiese Tiziana, accigliata.
“Perché dovrei avere
qualcosa?”,
rise Marianna.
Tiziana la guardò attentamente.
Marianna era sempre stata bella. Sia fisicamente che internamente. Ma,
soprattutto, era bella perché lo era dentro, e quella
completa virtù
trasfigurava il suo modo di porsi. E allora perché era
così sensuale? Così
leggiadra? Così felice?
Aveva gli occhi azzurri lucidi,
le gote arrossate. La pelle era più splendente, i suoi
movimenti ancora più
sciolti di quanto non fossero. Quando erano insieme, Tiziana non aveva
mai
osato chiederle del padrone, nonostante fossero quasi sorelle. Temeva
che
Marianna non le avrebbe risposto o, peggio ancora, ci sarebbe rimasta
male. Ma
adesso la tentazione c’era. C’era, per sapere che
cosa rendeva tanto felice la
sua Marianù.
Marianna, dal canto suo, voleva
tornare a casa. Non a Santoro, non nella casa di suo padre, ma a villa
Ripamonti.
La sua casa.
* * *
Quando Marianna ritornò a villa
Ripamonti, dopo quello che le parve un giorno intero, andò a
cercare Pietro.
Grazie al cielo, era nel suo studio.
Non appena la vide, scompigliata,
selvaggia, le gote infuocate, Pietro sorrise. E Marianna si sciolse.
“Vieni qui,
Marianù…”
Marianna si avvicinò e Pietro le
scoccò
un bacio sulla bocca. Lei registrò a malapena che quel
gesto, per quanto
innocente, sembrava proprio quello di una coppia di sposini innamorati.
Che
bastò a trasmetterle tutto il suo affetto, la sua passione,
le sue emozioni.
Marianna rabbrividì appena.
Accarezzò dolcemente i capelli folti e scuri di Pietro,
assaporandone la
consistenza setosa e godendo del suo abbandono. “Mi piace
quando mi chiami Marianù…”,
sussurrò, dando voce ai suoi pensieri.
Pietro socchiuse gli occhi
nocciola e sorrise appena. “Davvero?”. Anche a lui
piaceva chiamarla così. Da
morire.
“Si. È tutto
più… normale. Intimo”,
balbettò lei, alla ricerca di un vocabolo adatto.
In quei giorni si era accorta che
le parole non sempre erano in grado di esprimere le sue emozioni. Era
come se ne
fosse incapace.
Non era mai stata così insicura
in vita sua e, se da una parte la irritava a morte,
dall’altra cercava di
adattarsi, di capire quale fosse il problema.
“Non vedevo l’ora che
tornassi”,
le confidò Pietro. Marianna avvertì chiaramente
l’imbarazzo nella sua voce
profonda.
“Anch’io”. Gli
accarezzò le
guance ruvide, la bocca umida e piena.
Pietro chiuse gli occhi. Aveva lo
stomaco in subbuglio. La mente in subbuglio. Il cuore in subbuglio. Era
perso.
Quando sentì il calore del
respiro di Marianna all’altezza del suo viso, la
attirò a sé e la baciò con
violenza, con passione, con tormento.
Le rammentò quella volta in
cucina, quando lui le aveva espresso il suo perenne desiderio per lei.
Marianna
rispose al bacio, le mani tra i suoi capelli, il suo sapore nella
bocca. Pietro
la toccava, la accarezzava, la percepiva al di
sopra dell’abito semplice
e leggero che indossava. La voleva… voleva tutto di lei.
“Ti voglio così tanto,
Marianna…”, sussurrò concitato,
occupandosi del collo.
Marianna non era capace di
profferire parola. Tremava, accaldata, la bocca semiaperta.
“Ti tremano le
gambe…”, constatò
Pietro, sibillino, avendo avvertito i polpacci con i suoi.
Marianna sorrise.
“Come fa la tua anima ad essere
così bella, dopo tutto quello che ha subito? Come
fa?”, domandò Pietro. Se la
fece accomodare sulle ginocchia e la inchiodò con i suoi
sfavillanti occhi
nocciola. “Dopo tutto quello che ha subito da me”
Marianna non sapeva cosa
rispondere. Si limitò a nascondere il viso
nell’incavo del suo collo, lasciandogli
piccoli baci.
Pietro le sciolse la crocchia,
per affondare le mani in quei voluminosi ricci scuri e profumati.
“Pietro…”
“Cosa, Marianna?”
“Ti ha perdonato. La mia anima,
dico, ti ha perdonato. Basta”, concluse, perentoria.
Ricordare ciò che era successo
prima di quella giornata in barca, prima del campo di papaveri, prima
ancora di
quella conversazione in cucina le scocciava. Più che altro,
le faceva male.
Tanto male. Le ricordava la disperazione di suo padre. La sua
disperazione. Mentre percorreva la navata della piccola chiesa di
Santoro,
quando si era sentita una martire abbandonata da Lucia. Per non parlare
della
sua verginità rubata.
Marianna non voleva voltare le
spalle al passato, perché ormai ciò era avvenuto.
Però sperava in un futuro.
Voleva cambiare pagina. Pietro invece sembrava ancora rivangarlo, il
passato.
“Non avrebbe dovuto”,
mormorò
lui, abbattuto.
“Forse era destino. È stato
il Signuruzzu
a volerlo. Le sue vie sono infinite, no?”
Pietro sorrise debolmente. Le
baciò una spalla. “Sei così
bella…”
“Anche tu sei bello. Bello e caro
sei”, ribatté lei, il naso che gli percorreva la
gola.
Lui scosse la testa. “No,
Marianna… impallidisco al tuo cospetto”
“Pietro, sei solo un bell’uomo
che ha dovuto subire troppa violenza, troppe cose immeritevoli e
innominabili.
Ma sei così caro, dentro di te, Pietro. La tua anima
è buona. È qui. Tutta qui
dentro è”. Gli mise una mano sul cuore.
“Solo che è rimasta nascosta fino ad
ora. Sai da cosa? Da quello che tuo padre ti ha fatto. Da quello che la
vita ti
ha riservato”
Pietro rimase senza parole, le
iridi nocciola fisse in quelle risolute di Marianna.
Davvero era buono? Davvero non
era dannato? Con Marianna, si sentiva in paradiso.
Non disse nulla. Senza fiatare,
la fece scivolare dalle sue gambe, il volto pensieroso. Marianna
obbedì
silenziosamente, per nulla pentita di ciò che gli aveva
detto: era ciò che
pensava, ciò che la tormentava da giorni.
Rimasero così per un paio di
secondi, diritti e immobili uno di fronte all’altro.
Fu Pietro a rompere quel fragile
equilibrio. “Devo andare a controllare i campi”
Marianna lanciò un’occhiata
fugace all’orologio. “Ma tra un po’
è ora di cena”
“Non posso rimandare…
è meglio
che lo faccia adesso. Cena pure senza di me”.
All’espressione quasi triste di
Marianna, sorrise dolcemente. “Aspettami in camera”
* * *
Fare l’amore era bellissimo. Non
fare sesso, accoppiarsi, ma ricercarsi insieme.
Marianna stava scoprendo
pian piano un nuovo modo di amare.
Mentre Pietro la baciava o le
faceva provare piacere, si chiedeva come avesse fatto ad arrivare a
vent’anni
senza aver mai conosciuto un uomo.
Pietro si preoccupava per lei.
Pensava sempre a lei prima che a se stesso, e questo Marianna non
poté non
apprezzarlo.
Pietro non poteva fare a meno
dello sguardo adorante di Marianna.
Marianna non poteva rinunciare ai
suoi dolci e vigili occhi nocciola, coronati dalle lunghe e folte
ciglia nere.
Dopo una lunga e sostanziosa
cena, i due si incontravano ogni sera nella camera da letto di
Marianna, ormai
un po’ il luogo simbolico della loro unione fisica e
spirituale. E giù a far
l’amore, a parlare, ridere, scherzare… a far
l’amore ancora.
Era strano, incoerente. Ma
Marianna amava quel Pietro. Il vero Pietro. La
attraeva. Lo adorava. Nonostante
non volesse ammetterlo, le piaceva più del lecito. Sia
fisicamente, che
interiormente. E tutto da una chiacchierata su una barchetta di legno
molto
fragile, sotto il cielo di luglio.
Marianna pregava. Pregava ogni
sera. Pregava che quell’idillio non finisse mai.
“Mi senti, Marianna?”,
sussurrava
Pietro, al limite, dentro di lei.
“Si, Pietro, si…”,
sospirava
Marianna.
Vieni, Marianna. Vieni,
entrami dentro. Entra nel mio cuore.
Sono qui, Pietro. Sono qui,
vicino a te. Non lasciarmi volare via.
Fino al punto di non ritorno.
_______________________________________________________________________________
Eccomi,
sono resuscitata! So di
non avere giustificazioni per il gigantesco, immenso ritardo, vi dico
solo che
gli ultimi mesi del 2012 sono stati orrendi… spero in un
lieto 2013 :)
Grazie
mille per il vostro
interessamento e per i vostri messaggi, sono un grande appoggio per me
e una
grande motivazione!
Grazie
di cuore!:D
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Capitolo 14 *** 14. ***
Come il cielo di luglio
14.
Michele
Bruno
reagisce male a un possibile affetto tra sua figlia e suo genero e
Marianna si
dispera.
Il
segreto di
Pietro Ripamonti
Settembre arrivò presto.
Faceva più caldo del solito e
Marianna boccheggiava nelle ore pomeridiane, sulla strada per Santoro.
Sorrise
felice ai bambini che giocavano per strada e quelli risposero
schiamazzando,
per poi andarle incontro. Non appena giunse alla sua vecchia casa,
Michele si
spaventò a vedere sua figlia circondata da quel corteo di
bambini.
“Via, via, lasciatela stare la
figliola mia!”, disse scherzando, agitando la mano come se
fossero mosche
giganti.
Marianna rise di gusto e si girò
per salutare con calore i piccoli che continuavano a urlare il suo
nome.
“Buon pomeriggio,
papà”, esordì
lei, sorridente.
Michele la abbracciò con forza,
carezzandole la schiena e i suoi folti ricci scuri. Le baciò
la punta del naso,
come quando era picciridda. “Ormai tutto
il paese ha capito che sei
arrivata”
Marianna sorrise dolcemente.
“Come stai, papà? La stagione sta per
finire”
“Stancamente bene,
Marianù”,
rispose lui, accasciandosi su una sedia vicina. “Nessuno ci
corre dietro,
eppure tutto procede bene”
Marianna non disse nulla. Era
pensierosa. Michele, che conosceva sua figlia come le sue tasche, se ne
accorse. “Che hai, tesoro? Tutto bene?”
“Certo, papà”,
ripose lei. Ma era
meccanica, incolore.
Marianna stava pensando a Pietro.
Era preoccupata, perché quella notte lo aveva avvertito
tremare. Avevano appena
fatto l’amore e all’inizio aveva pensato che era
spossato, o che aveva freddo,
visto che era completamente nudo. Ascoltava impaurita il suo respiro
fioco e
faticoso, temendo il peggio. Non capiva che cosa potesse avere. Gli
aveva
chiesto se stesse bene, ma lui aveva semplicemente alzato le spalle.
Poi si era
addormentato.
Anche al mattino, le era parso
incostante, rigido. Temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma
sapeva che,
per una volta, non c’entrava niente. Dentro di lui era in
corso una battaglia
impari di cui lei non faceva parte.
Non poteva sapere che quelli di
Pietro erano incubi che lo perseguitavano da sempre nel cuore della
notte. Non
poteva sapere che quelli di Pietro erano sensi di colpa.
“Non starai pensando a lui,
vero?”
Marianna si bloccò, sorpresa.
Fissò suo padre, livido di rabbia.
Lui odiava Pietro, lo odiava per
quello che aveva fatto a sua figlia. Non avrebbe mai dimenticato le
lacrime di
dolore della sua bambina per averla violata. Per averle rovinato la
felicità,
un dolce futuro.
“Papà…”,
disse semplicemente
Marianna, incapace di mentire e negare. Era incredula per
l’improvvisa svolta
di quella conversazione appena iniziata.
Michele sospirò, deciso a
mantenere la calma. “Stai pensando a lui”. Non era
più una domanda.
Marianna tacque. Non sapeva come
spiegarsi. “Lui non è come sembra,
papà…”. Perché, invece di
rispondere, si era
messa sulla difensiva?
“Marianna, ti prego, non provare
a difenderlo”
“È solo la verità,
papà. Pietro è
diverso da quello che sembra, da quello che si è mostrato le
prime volte. È
cambiato”
“Un bastardo figlio di un demonio
non può cambiare, Marianna. E non cambierà
mai!”. Era scoppiato.
Ma Marianna era sua figlia,
d’altronde, e sapeva tenergli testa.
“Sì, invece. Lui può cambiare.
È cambiato
con me. Ci vogliamo bene!”
“Oh, ti prego, Marianna. Come
puoi essere così sciocca?”. Michele si interruppe,
un nodo in gola. “Ti tocca
ancora?”
Marianna non sapeva che dirgli.
Dall’ultima volta che era scoppiata in lacrime davanti a lui,
non ne avevano
più parlato. Ed erano cambiate così tante cose,
da allora… come poteva spiegare
a suo padre che adorava far
l’amore con Pietro? Che era un nuovo
modo per dimostrare affetto, per scoprirsi?
“Cosa farai quando rimarrai
incinta di lui, amore mio?”, insistette suo padre, mortifero.
“Prima o poi
capiterà. E allora lo penserai ancora che ti vuole
bene?”
Marianna impallidì. Un po’
perché
l’idea di un bambino la sconvolgeva, un po’ per la
rabbia. “Sì, papà. Lui mi
vuole bene. Mi rispetta. Anche io ho cominciato ad affezionarmi a lui.
E non ho
paura a dargli un erede”
Per Michele questo era troppo. Si
alzò in piedi di scatto, per poi fronteggiare sua figlia
come una fiera.
Marianna aspettava uno schiaffo, ma non ne aveva timore. Dopo tutto
quello che
aveva sopportato, una sberla di suo padre era il minore dei mali.
“Io non lo
riconoscerò mai come nipote”, gridò
lui. La schiaffeggiò, e l’urto fu così
forte che Marianna per poco non cadde dalla sedia. Michele
l’afferrò per le
spalle, e la scosse con violenza. “Mi hai capito? Lui mio
genero non è, e suo
figlio non lo riconoscerò mai! Mai!
Capito?”
Marianna abbassò gli occhi.
“Va
bene”, mormorò.
Michele sospirò, ora più
calmo. La
lasciò andare con delicatezza, già pentito per
quello che aveva fatto. Notando
le lacrime involontarie della figlia, la guancia arrossata, si
inginocchiò
davanti a lei. Le prese il viso tra le mani, gli occhi marroni
concitati. “Non
lo sopporto, il fatto che ti abbia presa così. Non lo
sopporto. Io riconosco
solo te, Marianù. Perché sei sangue del mio
sangue. Perché sei mia figlia”. Le
baciò teneramente la fronte. “E perché
sei la donna più coraggiosa di questo
paese, amore”
“Anche mio figlio sarebbe sangue
del mio sangue”, ribatté Marianna, sempre
più sulla via della rovina.
“Ma tuo figlio non sarebbe mai il
frutto di un amore. Sarebbe per sempre il frutto di uno
sposalizio”
Marianna scoppiò a piangere,
colpita da quelle parole. E mentre piangeva sulla spalla di suo padre,
pensava
a Pietro, al suo affetto, alla sua sincerità.
Mio figlio sarà anche il
frutto
di uno sposalizio, ma sarebbe anche quello dei lombi di Pietro.
* * *
Pietro tornò a villa Ripamonti
verso lei sei, spossato dal caldo, dal lavoro e dalla notte insonne.
Mentre si
passava le mani sul volto sudato, dei singhiozzi catturarono la sua
attenzione.
Provenivano dalla camera di Marianna.
Si precipitò lì
immediatamente,
preoccupato e curioso. Bussò. Il cuore in gola.
“Clementina, ti prego,
vattene!”,
esclamò Marianna con voce rotta, irriconoscibile.
“Apri”, ordinò lui
fremente, la
voce più dura di quanto non volesse.
Sentì Marianna trasecolare.
“Pietro, ti prego…”
“Ti ho detto di aprire”
Marianna non rispose. Pietro
stava per sbraitare, quando sentì la serratura scattare. Non
riuscì a vedere
Marianna in faccia, perché gli si gettò al collo
in meno di un attimo.
“Aspetta,
entriamo…”, mormorò,
trascinandola con sé nella stanza. Chiuse la porta a chiave.
Se la scrollò di dosso a fatica e
una morsa al cuore quasi lo uccise non appena vide il suo viso
sconvolto, gli
occhi gonfi di pianto. “Marianù, che hai? Che
è successo?”
“Pietro…”. E
scoppiò a piangere
di nuovo, più forte di prima. Lo abbracciò quasi
spasmodicamente, disperata,
incurante del fatto che fosse completamente sudato e sporco.
Pietro non sapeva cosa fare, così
si limitò sdraiarsi sul letto con lei. La accarezzava, le
sussurrava frasi
dolci e sconnesse all’orecchio, le ordinava di calmarsi.
“Tu per me provi solo desiderio,
Pietro. Solo desiderio”, piagnucolava lei, i singhiozzi che
le sconquassavano
il piccolo petto.
“Marianna, ma che dici? Ti vuoi
spiegare?”
“Io ti voglio bene”. Marianna
registrava a malapena ciò che diceva. Non sapeva nemmeno lei
quando era passata
dall’odio puro per lui a un bene che superava la soglia
dell’affetto. Non ne
aveva idea. Sapeva solamente che lo voleva davvero vicino a lei, che in
quel
momento lui era l’unico che avrebbe potuto consolarla.
“Anche io te ne voglio”, la
rassicurò Pietro, confuso e indeciso sul da farsi.
Quella frase parve calmarla un
po’. “Anche se non fossi bella, come dici
tu?”, chiese, speranzosa.
“Sì, tesoro. E poi, tu sei
bella”
“Dimmelo che mi vuoi”
“Ti voglio”
“E mi rispetti?”
“Sto facendo del mio meglio per
farlo”
“Baciami”
Pietro tentennò.
“Baciami, Pietro. Ti
prego…”
La baciò. Dolcemente, come il becchettio di una colomba.
Marianna sospirò. Presa da
chissà
quale smania, afferrò una mano di Pietro e la
posò sul suo seno. Pietro era
confuso, non se lo aspettava. Arrossì leggermente, ma non
tolse la mano. Anzi,
glielo palpò appena. Occhi negli occhi. Marianna gemette
appena, per poi
buttarsi a capofitto sulle sue labbra. “Voglio
sentirti…”
“Marianna… non credo che
questo
risolverà i tuoi problemi…”
Marianna capì che aveva ragione.
“Ho
litigato con mio padre, oggi…”, esordì.
Continuava a torturarsi il labbro
inferiore.
Pietro cominciò a capire, il
cervello che lentamente collegava.
“Facciamo spesso l’amore,
Pietro
e… se restassi incinta? Mi vorresti ancora bene?”
Pietro non se l’aspettava. Aveva
pensato a un erede, naturalmente, ma non in un futuro così
prossimo. Non ora,
che stava allacciando i rapporti con Marianna. Ma quel Michele Bruno,
quello che
era suo suocero, evidentemente gli voleva mettere i bastoni fra le
ruote. “Anche
più di prima, Marianù”,
sussurrò, sincero. Dopo un attimo di esitazione, con un
groppo alla gola, domandò: “Lo sei?”
Lei scosse la testa. “Mio padre
non riconoscerebbe mai mio figlio, se ne avessimo uno. Capisci? Non
vorrà mai
vedere mio figlio”. Il labbro inferiore
le tremava.
Pietro sospirò, la mano grande
che le accarezzava la guancia. “Oh, Marianna… Tuo
padre è arrabbiato. È
arrabbiato con me. Lo sai che non succederebbe mai”
“E ha anche detto che nostro figlio
sarebbe per sempre il frutto di uno sposalizio. Io… io non
ho mai pensato a un
figlio, Pietro. Ma sarà inevitabile, di questo passo. Credo.
E io lo amerei,
con tutta me stessa. Lo amerei perché sarebbe mio. Sarebbe
nostro”. Sospirò, lo
sguardo accuratamente fisso sul petto di Pietro. “Tu
no?”
“Certo che sì”
Marianna tacque per un istante. “Pietro,
non te l’ho mai detto, ma… ti voglio bene. Mi fido
di te”
Pietro chiuse gli occhi.
Dio, solo tu potevi mandarmi
un angelo come lei.
“Grazie, Marianna”
Marianna si sporse verso di lui e
gli catturò le labbra con le sue. Gli accarezzò
il volto sudato, la camicia
bagnata, il petto bollente e abbronzato.
“Sei tutto bagnato, tesoro”
Pietro quasi arrossì. “Scusa,
sono sudato. Sono stato nei campi sotto il sole tutto il
pomeriggio…”,
borbottò.
Fece per alzarsi, ma Marianna lo
bloccò sul tempo. “Resta qui. Stringimi di
più, fammi sentire quanto sei
fresco”
Pietro obbedì.
“Adesso abbracciami”
Pietro obbedì.
“Adesso senti come ti voglio
bene”.
Gli scoccò un bacio sulla bocca.
Poi scivolò lungo il suo addome, lo voltò di
schiena e gli tirò giù i calzoni. E
Pietro credé di morire.
* * *
Schiocchi dolci e languidi.
Pietro amava quell’umido suono, muto testimone di un affetto
condiviso. La
pelle liscia e dorata di Marianna era la cosa più bella del
mondo. Ed era così
facile perdersi in quegli occhi cerulei…
“Pietro…”,
sussurrò Marianna,
prendendogli il viso tra le mani. Lo accarezzò dolcemente,
il naso che sfiorava
piano la sua guancia.
Pietro sibilò, e le catturò
ancora le labbra. Un bacio. Due baci. Tre baci. Tanti baci.
Poi, divennero un corpo solo. Il
piacere arrivò per entrambi, talmente rapido da farli
ammutolire.
Marianna si rilassò nuda tra le
braccia di Pietro, il respiro ancora affannoso. Ascoltò con
gioia il cuore di
lui che batteva, correva e scalpitava.
Pietro, ancora ansante, le baciò
il seno, e poi l’incavo del collo. “Mia bella
Marianù…”
Marianna sorrise dolcemente e si
strinse ancora di più a lui.
“Sei così piccola e delicata
tra
le mie mani…”, mormorò lui, quasi
soprappensiero. “Eppure sei stata l’unica
persona a tenermi testa fin dall’inizio”
Le baciò i capelli, inspirando il
loro naturale profumo.
Marianna lo fissò a lungo, le
mani impegnate a lisciargli la schiena. I suoi occhi celesti si
illuminarono di
una luce che Pietro non seppe interpretare.
Eppure fu quella stessa luce a
indurlo a baciarla, ad assaggiarla, a possederla, ad averla, ancora,
per
l’ennesima volta…
“Morirò, Pietro,
morirò…”,
protestò Marianna, cercando di allontanarsi dalla sua
portata.
Ma Pietro fu più veloce di lei, e
la riprese con sé. Tornò a cullarla e ad
accarezzarla, la bocca sul suo
orecchio. “Non si può morire di piacere,
Marianna”
“E invece sento che
succederà…”
“No, tesoro mio,
no…”
“Tutto questo è troppo per
me”
Pietro sorrise, divertito. “Non
mi sembra che in questi giorni tu ti sia risparmiata”
Marianna gli lanciò
un’occhiataccia. “Arriverà il giorno in
cui non mi desiderai più, Pietro… e
allora cosa faremo?”
Solo in quel momento, Pietro capì
che era realmente preoccupata. “Temi così tanto
che tu non possa più piacermi?”,
domandò, pacato.
“Sì… con tutto il
mio cuore”
“Non credo accadrà mai,
Marianna…”
No, perché sono sempre stato
soggiogato da te. E questo mi piace, ma mi umilia, mi tortura.
Lei si fece improvvisamente
triste. “Perché no? Invecchierò. E non
ti piacerò più. Non è così
che vanno le
cose?”
“Marianna…”
“Mi hai sposata anche per questo,
ricordi?”, ribatté, pungente.
Pietro trasalì, ma si riprese
subito. “Lo so. Ma adesso le cose sono cambiate”
Tacquero entrambi, pensierosi.
“Pietro?”
“Sì?”
“Ti amerò”
Pietro la guardò, incredulo, gli
occhi nocciola sbarrati. “Cosa dici, Marianna?”
La voce di Marianna tremò, ma
solo per un istante. “Che ti amerò”
Pietro stette in silenzio, il
tempo di raccogliere le idee che gli frullavano nella testa. Poi
sorrise, quasi
conciliante. “Hai perso il senno, tesoro. Hai sonno,
dormi”. Fece per cullarla
ancora, ma Marianna si ribellò.
“Sto dicendo la
verità”. Era
talmente agitata che balzò a sedere sul letto. Gli occhi
celesti erano
spietati, ardenti, come Pietro non li aveva mai visti. Sembrava la dea
dell’amore e della guerra. “Tu hai bisogno di me. E
allora ti amerò. Che sia da
moglie, sorella, amica o… o amante…”.
Si interruppe, indecisa. “Ad una
condizione, però. Che tu mi ami, Pietro. Per
sempre”
Gli si avvicinò, le labbra a
bocciolo di rosa schiuse. Le iridi cerulee supplichevoli, umide nello
sforzo di
trattenere le lacrime. “Amami per come sono, Pietro. Amami,
se ne hai bisogno.
Amami nel modo in cui vuoi tu. Amami, e io ti amerò per
l’eternità…”
Non ci fu bisogno d’altro. I loro
corpi si cercarono ancora, perché le loro anime desideravano
fondersi una volta
per tutte.
* * *
Marianna si svegliò
all’improvviso. Era spaesata, quasi l’aria le
mancava nel buio opprimente della
stanza. Non capiva nemmeno il motivo di tanta agitazione crescente
dentro di sé.
Si guardò attorno e notò con
circospezione l’enorme figura di Pietro stagliarsi nella
penombra. Era seduto
sul letto, le braccia appoggiate sulle ginocchia, le mani sul viso. Il
corpo
scosso dai singulti.
“Piangi?”, chiese,
più incredula
che altro. Stese una mano per ravvivargli i folti capelli scuri.
“No! Vattene!”,
ruggì lui,
respingendola con violenza.
“Pietro? Santo Iddio, stai
male?”. Marianna era preoccupatissima. Balzò
giù dal letto, ora totalmente
sveglia, e si accucciò di fronte al marito.
“Chiamo qualcuno…”
“Ho detto di
andartene…”,
proruppe Pietro, distogliendo lo sguardo per non lasciar trapelare i
segni
bagnati. “Lasciami solo”
Marianna si avvicinò ancora di
più. Incurante della sua nudità, della sua
perdizione, della sua condizione… in
quel momento Pietro aveva bisogno di lei, solo questo contava.
“Permettimi di
aiutarti, Pietro. Aiutami a capire”, sussurrò
adorante. Gli accarezzò
delicatamente le mani, i polsi, il viso.
Pietro la guardò. Si fissarono
per un istante talmente interminabile da farli fremere.
“Ho avuto un
incubo…”, soffiò
Pietro. Deglutì a fatica al ricordo.
“Raccontamelo, forse
migliora…”,
mormorò Marianna.
Nel tentativo di dargli un minimo
di conforto, gli baciò teneramente le palpebre e la bocca.
Il suo dolore la
distruggeva.
“Laura. Sogno sempre lei, lei che
piange e muore. La mia Laura. Laura…
è morta per colpa mia e di quel
fottuto bastardo…”
Marianna si bloccò. Non poteva
crederci. Non poteva essere.
Il suo Pietro.
No…
“Che cosa?”, gemette,
stupefatta.
“Lei aveva osato contraddirlo,
per qualcosa che aveva detto. Papà la picchiava…
e non si fermava. Così è
successo. Così l’ho ucciso”
Marianna balzò in piedi. Gli
occhi e la bocca spalancati. Incredula. Ferita, tradita,
confusa… “Non si fa,
Pietro! Non si uccide!”
Pietro aveva abbassato le
braccia, adesso. E la guardava, umiliato e tradito nel profondo.
Digrignò i
denti, guardandola con aria di sfida. “E se qualcuno avesse
toccato Tiziana?
Eh? Cosa avresti fatto?”
“Lo avrei ucc… oh”.
Quasi
involontariamente, si tappò la bocca con le mani.
“Già”,
sussurrò Pietro, amaro.
Calò il silenzio, entrambi che
fissavano il pavimento.
“Perdonami, Pietro.
Perdonami…
non so che dire”
“Io… Marianna, sapevo che
avresti
reagito così. Sapevo che mi avresti giudicato”.
Sospirò e abbassò gli occhi
dalle lunghe ciglia bagnate.
Marianna scosse la testa, già
più
calma. “Non potrei mai farlo. Solo il Signuruzzu
può”. Tacque. “Oh,
Pietro…”
“Nessuno lo sa, Marianna.
Nessuno. Laura all’epoca aveva appena partorito un bimbo, che
poi era morto
poche ore dopo. Ho detto al marito di Laura che era morta di emorragia.
Ci ha
creduto, nonostante i lividi e tutto. E mio padre…
l’ho soffocato con le mie
stesse mani. L’ho nascosto per un po’, dicendo poi
che era morto di infarto.
Nessuno sa niente. Nessuno”
Era incredibile, quanto per lei il
dolore di lui fosse come il canto di una sirena.
Marianna gli accarezzò dolcemente
il volto. “Pietro, caro…”
“Lui l’ha uccisa,
capisci? Mi ha portato via l’unica persona per cui ero
sopravvissuto in quel
delirio per anni ed anni… Io vivevo per Laura, per
proteggerla da quel mostro e
amarla come meritava. Le facevo scudo con il mio corpo,
perché non potesse
farle del male. Poi si è sposata, e finalmente avevo sperato
che fosse fuori
pericolo, che il mio compito fosse finito… Dannazione, non
ricordo nemmeno che
cosa avesse detto per far arrabbiare tanto quello
schifoso…”. Pietro non
resistette. Nonostante l’orgoglio continuasse a sgridarlo nel
suo intimo,
cominciò a piangere, le mani davanti agli occhi.
“Sono un mostro, Marianna. Lo
sono sempre stato. Prima ho ucciso Laura, poi mio padre…
poi…”. Si interruppe e
la fissò, spiritato, passionale e violento. Come quella sera
di mesi fa in
cucina. “Il
tuo corpo, Marianna, ho
ucciso te, la tua lealtà, la tua felicità,
tutto…”
“No, Pietro. Taci. Zitto. Non
dirlo mai più”, intervenne Marianna, chiudendogli
la bocca con la mano. “É
vero, mi hai fatto del male. Tanto male… ma è
passato. È passato, Pietro,
perché io provo emozioni sempre più differenti
dai nostri primi giorni”
Pietro sospirò lentamente, quasi
come se gli mancasse l’aria. E si rifugiò nel seno
nudo di Marianna, baciandolo
con amore e devozione. “Potrai mai perdonarmi, Marianna?
Potrai?”
Marianna gli prese il viso tra le
mani, per poterlo guardare negli occhi. Gli accarezzò i
capelli folti e lisci,
le guance ruvide, la bocca carnosa. Era così fragile. Lo
adorava. Non sapeva né
da quando, né come, ma era certa di volergli bene.
Così, disse semplicemente la
verità. “L’ho già fatto da
tempo, caro…”
________________________________________________________________________________
Ecco
il nuovo capitolo, ho fatto
più in fretta che ho potuto per farmi perdonare la mia
quasi-scomparsa. Devo dire che l'ultima parte non mi convince del
tutto, ma, essendo una delle prima scene che ho immaginato e scritto,
non ho avuto il coraggio di cambiarla.
Grazie
per non avermi abbandonato e per l’affetto che dimostrate per
questa storia!:)
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Capitolo 15 *** 15. ***
Come il cielo di luglio
15.
Un
terribile
evento.
Era stranamente nuvoloso quel
giorno. L’afa persisteva tenace, ma ciò non poteva
calmare il mare. Marianna
era sull’enorme balcone di pietra della sua camera, ad
ammirarlo in tutta la
sua gloria e magnificenza. Non si era ancora fatta la crocchia, in modo
che i
suoi ricci fossero spiegati dal vento salmastro. Chiuse gli occhi, il
naso
fremente.
Era turbata. Non sapeva nemmeno
il perché. O che fosse sconvolta per la rivelazione di
Pietro? Erano rimasti
tutta la notte a cullarsi, a farsi forza a vicenda. Poi si erano
addormentati,
rassicurati dalla nudità calda dell’altro, dalla
consapevolezza di avere
qualcuno che li proteggeva.
“Le senti anche tu, Pietro? Ci
sono Laura e mia madre, qui”, continuava a chiedere lei.
“Le sento anche io,
Marianna…”
Pietro si era alzato per primo,
ma non aveva avuto il coraggio di svegliare anche Marianna. Aveva
provato a
uscire dal letto senza far rumore, ma invano. Marianna aveva aperto gli
occhi,
leggermente arrossati dal sonno. E le sue labbra si stesero in un dolce
e
rassicurante sorriso. “Stai bene?”
Pietro aveva sorriso debolmente
in risposta. “Si, Marianna. Sto bene”
Ma lei, naturalmente, non ci era
cascata. “Vieni qui, voglio farti sentire quanto sono
vicina”
Allora lo aveva abbracciato, e
lui l’aveva baciata, commosso, ma troppo orgoglioso per
mostrarsi.
“Sei un angelo, Marianna. Il mio
angelo. Un angelo che ho sciupato per il mio
egoismo…”, sussurrava lui,
quasi adorante, mentre la sovrastava giocoso.
Marianna arrossì a quella frase
affettuosa. Gli diede un piccolo schiaffo sul sedere, imbarazzata.
“Muto devi
stare! Sono una normalissima donna, Pietro…”
Avevano fatto ancora l’amore, ma
con dolcezza, senza fretta.
Adesso se n’era andato a Palermo
da Lamanna, Pietro, e Marianna era preoccupata, sebbene tornasse in
giornata.
E pensava, pensava a come
l’affetto di un genitore potesse influire sulla vita di un
figlio. O, al
contrario, potesse causarne la rovina. ‘U Signuruzzu
li faceva tutti
buoni i bambini. E Pietro aveva dovuto subire prove ardue quanto un
figlio di
un contadino ignorante e analfabeta. Era stato ucciso nel corpo
(Marianna
rabbrividì al pensiero delle sue cicatrici, che tanto
avrebbe voluto guarire) e
nell’anima. La morte di Laura lo aveva spezzato per sempre.
Ma perché con lei era diverso,
ora? Che cosa era successo? Che cosa era cambiato? Era così
confusa… non sapeva
che cosa pensare.
Ma, d’altronde, anche lei provava
sensazioni differenti verso di lui. E ora era consapevole che Pietro
dentro di
sé era buono, che non avrebbe mai fatto del male a nessuno.
Marianna si stupì a giustificarlo
dell’omicidio del padre, ma era così. Stefano
Trasi di Ripamonti si era
meritato quella fine -che la Madonna la perdonasse
per quel pensiero. Non era un genitore
quello che massacrava i figli da mattina a sera. Ma, chi lo sapeva,
forse lo
stesso Stefano era diventato così per via del nonno di
Pietro, e a sua volta il
nonno di Pietro lo era per il suo bisnonno… era un circolo
vizioso.
Però Pietro era cambiato. O forse
era sempre stato così, ma non si era mai mostrato. Fino a
quando non aveva
sposato Marianna… chissà come aveva fatto a fare
uscire il meglio di lui.
Di sicuro Laura mi ha aiutata,
non è tutto merito mio.
Marianna nutriva per Pietro un
sentimento che non aveva mai provato per qualcuno. Certo,
c’era quel senso di
protezione che lui le dava, e che lei a sua volta cercava di dare.
Anche con
Tiziana sentiva il dovere di proteggerla sempre ed ovunque.
Marianna avrebbe voluto essere il
balsamo di Pietro, in modo che lui potesse curare tutte le sue ferite.
Perché?
No, non le faceva pena, né
compassione. Quello non sarebbe stato né giusto
né gratificante. Ma allora
perché desiderava la felicità di Pietro, e le
piaceva quando riusciva a
procurargliela? Perché le piaceva il fatto che lui le desse
stabilità,
sicurezza, anche mentre facevano l’amore?
Mi scoppia la testa…
Marianna non si era mai
innamorata. Sua madre le aveva detto che esistevano così
tante forme d’amore,
che tra due amanti i segni erano diversi da una coppia
all’altra. “Due innamorati
a volte sono più complici, o più amici, o
più soci, amore mio. Non c’è una
legge comune”, le diceva Lucia.
Marianna per poco non svenne al
pensiero. Che quello che provava per Pietro fosse… amore?
“Voscenza! Voscenza!”
Marianna si voltò stralunata,
sconvolta già dai suoi stessi pensieri. Clementina si
stagliava di fronte a
lei, le mani giunte sulla bocca, gli occhi densi di preoccupazione.
“Clementina, ma
che…?”
“Vostro padre, è qui,
Voscenza! È
urgente!”, gridò quasi la donna, nel panico.
Marianna volò per le scale,
preoccupata. Il cuore le batteva a mille.
Ma Clementina aveva mentito, perché
non era vero che c’era solo suo padre. Metà degli
uomini di Santoro era lì, e,
stranamente, Calogero era in testa. Erano arrabbiati, distrutti, feriti
nell’animo.
Calogero era pallido come la cera, sembrava sul punto di vomitare.
“Oh, misericordia! Che
succede?”,
urlò Marianna, sconvolta.
La servitù si era buttata fuori
dal palazzo, curiosa e incredula.
“Marianna…”.
Michele si fece
avanti, cereo, le mani tese verso la figlia.
Marianna corse ad abbracciarlo,
baciandogli la guancia più e più volte.
“Papà, che cosa…?”
“Quel bastardo ci aveva promesso
che saremmo stati al sicuro! Era nell’accordo!”,
urlò uno, gettando la falce a
terra, irato.
“Tu ti sei sacrificata per niente,
Marianna!”, borbottò un altro, bestemmiando.
Marianna impallidì. Se da una
parte era irritata per gli epiteti che avevano rivolto a Pietro,
dall’altro
aveva compreso che cosa fosse accaduto. Le mancava il fiato, la mente
in
subbuglio. “Chi è stato ferito? E chi ne
è il responsabile?”
Solo allora Calogero scoppiò in
un pianto straziante. Era lì, le mani sulla testa, in
ginocchio sulla ghiaia.
Subito alcuni uomini lo soccorsero. “Che muoia quel figlio di
puttana! Che
muoia! La mia bambina…”
“NO!”, strillò
Marianna,
sconvolta. Non poteva crederci. Si portò le mani alla bocca.
Desiderava urlare,
strapparsi i vestiti di dosso e buttarsi nel mare, annegare, che
credere a
quello che stava pensando. “Vi prego, che
cosa…?”
“Qualche brutto di pezzo di merda
ha violentato Tiziana Sabbati”, disse Giovanni, uno di
Santoro, che, avendo
notato la fragilità di Marianna, si era sporto per
sostenerla.
“Cu fu?”,
mormorò
Marianna, in dialetto. Le tremavano le gambe.
“Ieri notte”
Marianna svenne.
* * *
Pietro era con me, stanotte.
Era con me. Non può essere stato lui. E non può
controllare ogni persona che
lavora per lui. No… perché?
Come faceva a giustificarlo?
Possibile che riuscisse ancora a scusarlo, nonostante tutto quello che
era
successo?
Perché, Pietro?
Perché? Lo
avevi giurato.
Si sentiva umiliata, tradita. E
sporca, come non lo era mai stata. Era svenuta altre due volte. Aveva
vuotato
l’anima e aveva ancora un gran senso di nausea.
Mi sono ceduta a lui come una
puttana. Per cosa? Per che cosa? Dimmelo, mamma, dimmelo!
E vomitava nel catino, Michele
che le sorreggeva la fronte. Se n’era andato poi, vessato
dallo strazio di sua
figlia e dagli incitamenti di Clementina, che puliva con cura tutto,
senza
sosta.
Le preparò anche un bagno, in cui
Marianna ci stette almeno un’ora. Lì,
nell’acqua fredda, a sfregarsi le parte
intime, il seno, la bocca, tutto ciò che quello schifoso le
aveva toccato. Per
mesi e mesi e mesi…
Ma Tiziana… la mia Tiziana, la
sorella che non ho mai avuto è diventata donna per uno
schifoso barbaro.
Era passato, era vero. E lui all’epoca
era così assetato di lei da non capire niente.
L’aveva ricattata, per
possederla. E lei lo aveva fatto, aveva ceduto. Gli aveva dato tutto
quello che
aveva.
Corpo e anima e cuore.
Ti ho dato tutto, Pietro,
tutto… che cosa vuoi, ancora?
Marianna si era sacrificata
inutilmente per la sua gente.
Mamma, dimmi come
raggiungerti, ti prego…
* * *
Quando Pietro tornò a Santoro,
non poté credere ai propri occhi. Non solo i campi erano
semivuoti, ma le poche
persone rimaste erano ferme a inveire sul ciglio della strada.
C’erano donne
che guardavano meste il terreno, uomini che lo guardavano in cagnesco
mentre
passava.
Pietro non capiva. Che diavolo
era successo nell’unico giorno in cui si era assentato?
Ma fu quando arrivò a villa
Ripamonti che temette di avere un infarto. Quasi tutto il corpo di
lavoro era
lì, accampato davanti a casa sua. Non appena lo videro
arrivare a cavallo,
quasi tutti si alzarono in piedi, gli occhi fissi su di lui. Pietro
quasi
soffocava nella loro rabbia.
“Che succede?”
sbottò, fermando
il cavallo.
Doveva essere duro, nonostante
tutto, dimostrare a loro che lui era il capo.
Un uomo stava piangendo
abbracciato a un altro. La sua disperazione era tale che Pietro
avvertì una
stretta al cuore.
Uno dei contadini si fece avanti
e, dopo aver seguito il suo sguardo, disse perentorio:
“Abbiamo acconsentito a
questo sposalizio perché i vostri guardiani non ci facessero
del male, non
perché violentassero le nostre donne!”
Il pianto dell’uomo si fece
più
alto.
“Che cosa?”,
mormorò Pietro, le
labbra schiuse dalla sorpresa.
“Lo vedete quell’uomo,
Voscenza?”, ribadì il contadino, indicando
Calogero Sabbati con l’indice.
“Stanotte uno dei vostri guardiani ha violentato sua figlia
Tiziana”
Tiziana…
A quel nome, Pietro impallidì.
Strinse le mani a pugno talmente forte da ferirsi i palmi con le
unghie. “La
ragazza ha visto chi è
stato?”, domandò, gli occhi nocciola fissi su
Calogero.
Il contadino scosse la tesa, e
non fu il solo. “Non lo sappiamo, Voscenza. Non
parla…”
“Oh, Dio…”
“Avevate promesso che non ci
sarebbe successo niente, che non ci avrebbero fatto del
male!”.
Tutti tacquero inorriditi a
quelle frasi pronunciate da una voce che sembrava spirata
dall’Inferno.
Pietro fissò Calogero, il respiro
mozzo, come se avesse corso a lungo.
“Calogero! Zitto!” gli
intimò uno
dei contadini, afferrandogli il braccio. Ma Calogero lo scosse con
violenza, e
si fece avanti, verso Pietro, che non indietreggiò di un
millimetro.
“Voi… voi siete la causa di
tutto”. Calogero avanzò sempre di più,
il viso vecchio e stanco distrutto
dall’ingiustizia della vita. “Sia maledetto il
giorno in cui voi siete arrivato
qui a dettare legge per il solo gusto di farlo! Non vi bastava scopare
ogni
santo giorno la mia povera Marianna, che da buonanima si è
sacrificata per tutti
noi… adesso vi siete preso anche mia figlia! MIA
FIGLIA!”
“Basta, Calogero, vattene a
casa!”
“Si, basta. Vai a casa”
soggiunse
Pietro. Sembrava un dio invincibile dagli occhi ambrati. Peccato che
dentro non
fosse la stessa cosa.
Calogero digrignò i denti.
“Brutto…”
“Farò in modo che ti sia
fatta
giustizia. Lo giuro” aggiunse, le iridi sfavillanti.
Fremeva, Dio solo sapeva quanto.
Di irritazione, di ingiustizia, di impotenza.
Calogero non aggiunse altro. Come
se si fosse spompato d’un tratto, crollò a terra.
* * *
Pietro correva. Correva come un
pazzo, correva come non mai. Sotto gli occhi della servitù,
che lo fissava
indecifrabile mentre svolgeva le proprie mansioni. Non riusciva a
togliersi di
dosso lo sguardo feroce e astioso di quei contadini, né le
urla di Calogero
Sabbati.
Pietro non aveva figlie, non
poteva capire. Ma se qualcuno avesse stuprato Marianna? Pietro
immaginava
chiaramente nella sua mente il cadavere di un uomo, e non era
più integro. Lo
avrebbe evirato e ucciso con le sue stesse mani. Avrebbe dovuto passare
sul suo
corpo prima di toccarle un solo capello.
Era questo quello che provava quel
contadino? Pietro non lo sapeva. Ansimava, gli faceva male lo stomaco e
la
testa. Era successo tutto troppo in fretta. Troppo.
Doveva vedere Marianna. Subito.
Raggiunse la sua camera in un
baleno. Quando aprì la porta, lo spettacolo che gli si
prospettò era
agghiacciante. Clementina Pagliarini era china su Marianna, in una
vasca da
bagno al centro della stanza. Le sfregava con gentilezza il collo e il
seno,
mentre Marianna era accasciata sul bordo, gli occhi chiusi. Pietro
avvertiva
odore di vomito e questo bastò a fargli tornare la nausea.
Clementina si rizzò in piedi non
appena lo vide, confusa.
“Puoi andare”, la
congedò Pietro,
la voce dura.
Clementina esitò, guardando
Marianna. “Io…”
“Vai”, ordinò
Pietro a denti
stretti.
Clementina se ne andò, non senza
avergli lanciato un’occhiataccia. Pietro si richiuse la porta
dietro di sé,
chiudendola a chiave.
Marianna lo stava fissando
adesso. E quello che gli stava comunicando non era un benvenuto a casa.
Pietro non comprendeva. Ma
bastava darle un’occhiata per vedere quanto fosse sconvolta.
Tremava, gli occhi
celesti rossi e pesti.
Fece un passo verso di lei.
“Marianna…”
“Vattene”. Per Pietro fu un
colpo. La voce di Marianna era dura, irriconoscibile. “Come
ti sei permesso a
mandare via Clementina? Non vedi che mi stava aiutando?”
“Dovevo parlarti”
“Ah, doveva
parlarmi…”, mormorò
tra sé e sé, come se fosse una battuta spiritosa.
Sembrava una matta.
“Che è successo,
Marianna?”
“Non osare venire qui a chiedermi
cosa è successo come se non sapessi niente”,
proferì lei, lentamente.
“I contadini qua fuori me lo hanno
detto. Voglio una conferma da te”
“Perché? La parola di un
contadino non è abbastanza per te? Beh, io sono una di loro.
Quindi affidabile
non sono”
Pietro si rizzò in tutta la sua
imponente statura. “Marianna, che diavolo hai?”
“Che diavolo ho? Che diavolo
ho?” ripeté, quasi isterica.
“Esci di lì”,
ordinò lui, fermo.
“No”
“Ho detto: esci di
lì”
Marianna lo fissò in cagnesco per
un attimo, ma obbedì. Si alzò in piedi e
uscì dalla tinozza, gocciolando sul
pavimento. Afferrò un asciugamano steso sul letto e se lo
sfregò per un po’,
giusto per togliersi le gocce di dosso. “Ecco fatto,
contento? Fresca fresca
per essere scopata”
Pietro era sbalordito. “Che cosa
dici, Marianna?”
“Non parlarmi in quel modo”.
Pietro cercò di accarezzarle il braccio, l’unica
cosa che gi venne in mente, ma
Marianna si divincolò. “Lasciami!
Lasciami!”
“Spiegami qual è il tuo
problema”,
chiese lui, cauto.
Marianna sbarrò gli occhi.
“Il
mio problema? Qual è il mio problema? Qualcuno ha violentato
Tiziana,
Pietro! La mia Tiziana! E se non avessi la
certezza che ieri notte tu eri
con me, sarei stata capace anche di crederti il responsabile”
Pietro non poteva né voleva
crederci. “Come puoi, Marianna?”
“Posso, Pietro! Posso eccome! Io
mi sono sposata con te, perché non ho
avuto scelta. Anzi, ce l’avevo una
possibilità: potevo farti sposare Tiziana. Ma non ho voluto.
Sai perché? Per
proteggerla da te. Ho accettato di sposarmi, perché era
l’unico modo per
evitare alla mia gente i soprusi di quegli infami dei tuoi guardiani! E
poi…
come fai a non ricordare? Io non volevo concedermi a te. E avevamo
fatto un
accordo: io mi davo a te, tu non avresti toccato né fatto
toccare un solo abitante
di Santoro. Lo ricordi, Pietro? Lo ricordi?”
“Si…”
E in quel momento, le parole di
quel Calogero gli tornarono in mente: “Non vi
bastava scopare ogni santo
giorno la mia povera Marianna, che da buonanima si è
sacrificata per tutti noi…”.
Capì che si sentiva tradita e confusa, perché il
loro affetto era nato da uno
sposalizio. Uno sposalizio che non era stato rispettato, e quindi
inutile.
Marianna era stanca, spossata.
Nuda come un verme, lo fronteggiava in tutta la sua rabbia, le braccia
giunte
sul seno.
Pietro le prese un braccio, ma
lei lo scosse con violenza. “Marianna”
“Vattene!”
“Marianna!”
“No! Lasciami,
brutto…”. La presa
di Pietro era troppo forte, così Marianna lavorò
con le unghie.
Faceva male, ma Pietro non la
mollò per un istante. La prese tra le braccia, il viso nei
suoi capelli.
Marianna piangeva, urlava di
disperazione.
“Io mi sono fidata…”
“Marianna…”,
sussurrò Pietro,
carezzandole la schiena.
“IO MI SONO FIDATA DI TE!”
gridò,
come una pazza. Pietro non l’aveva mai vista così,
nemmeno quando cercava di
difendersi da lui le prime volte. Cercò di sgusciare via, ma
Pietro la teneva
saldamente a sé.
“Marianna!”
“Lo avevi promesso, Pietro…
avevi
promesso che a nessuno sarebbe successo niente!”. Continuava
a scalciare, a ribellarsi,
nuda tra le braccia di Pietro, così piccola e disperata in
confronto a lui.
“Lasciami spiegare, Marianna”
“Non c’è nulla da
spiegare! Sei
un bastardo, un figlio di puttana e di demonio!”
Pietro strinse i denti, la collera
pronta a balzar fuori. “Non ti permettere!”
“Come ho potuto anche solo
pensare di volerti bene? Come?”. Si interruppe, ansimando.
“Sei un mostro. Un
orribile mostro. Un assassino. Non meriti di essere ancora vivo,
schifoso
figlio di troia!”
Questo era troppo. La
schiaffeggiò. L’urto fu così forte da
farla cadere per terra. Marianna,
dolorante, si portò una mano alla guancia, senza fiato. La
sberla che suo padre
le aveva dato il giorno prima non era niente in confronto.
Pietro le fu sopra e la
immobilizzò con il suo corpo, mentre le tirava le mani sopra
la testa. Marianna
urlava, ma non di paura.
“Sai cosa farei se fossi davvero
un mostro figlio di troia?”, gridò lui per
sovrastare le sue urla. Trattenne i
polsi di Marianna con una mano. “Sai cosa farei? Farei
bruciare questo
villaggio di merda, vi sbatterei tutti fuori per rinnovare un latifondo
dimenticato da Dio! O ti prenderei qui. E ti scoperei tutta la notte. E
non me
ne fotterebbe un cazzo delle urla o che tu non vuoi. Sei nuda, sotto di
me e
solo questo conta!”. Ma non la toccava. Non la guardava
nemmeno. Fissava solo
il suo viso sconvolto, paralizzato da tutto quell’orrore.
Marianna inspirò lentamente, la
schiena sul freddo pavimento, il seno che faceva su e giù.
“Avanti, Pietro!
Prendimi, allora! Prendimi fino alla morte! Tanto ormai hai preso tutto
di me,
tutto…”. Pietro le scostò i ricci scuri
dal viso, in modo che potesse vederla
meglio. Era più calma ora. Lui l’aveva minacciata,
ma lei era certa che non le
avrebbe mai fatto del male, perfino se era arrabbiato. I suoi occhi
celesti
erano fissi nei suoi, grandi, smarriti. Colmi di lacrime. “Ti
ho dato tutto,
Pietro, tutto… il mio corpo, la mia
felicità, la mia fiducia… la mia
anima…”
Pietro le baciò la guancia,
l’incavo del collo. “Marianna… lasciami
spiegare… non è colpa mia”. Era un
innocente accusato di omicidio. Le lasciò i polsi, per
accarezzarle il ventre,
le cosce.
“Tu avresti dovuto mantenere la
promessa. Solo questo contava”, sussurrò Marianna.
Era sfinita.
Come se si fosse dimenticata
della sfuriata, gli si abbandonò.
Pietro le baciò delicatamente e
più volte la guancia arrossata, come se così
facendo potesse guarirla.
“Troverò chi è
stato. Lo giuro”,
promise, sincero.
Marianna gli afferrò le spalle,
massaggiandogliele attraverso la camicia. “Lo faresti
davvero?”
“Sì. Tiziana merita
giustizia”
Ma se per un attimo la speranza
aveva fatto breccia negli occhi di Marianna, l’amarezza la
vinse. “E poi cosa
farai? Lo lascerai lavorare ancora, no? In modo che possa andare a
stuprare
un’altra donna, magari sposata e con figli perché
non ha niente da fare”
“Non dire così”,
disse Pietro
lentamente, disperato. Ma confortato dalle mani di Marianna che ancora
lo
toccavano con adorazione inconscia.
“Oh, Pietro…”.
Marianna lo attirò
a sé e gli schioccò un bacio sulle labbra.
Leggero, delicato, confuso.
Sapendo che non avrebbe opposto
resistenza, Marianna si alzò in piedi. Aveva la pelle
d’oca. Un po’ per il
pavimento freddo, un po’ per la paura di non avere la forza
di fare quello che
aveva intenzione di fare. Ma quando mai non aveva avuto coraggio? Non
era forse
la figlia di Lucia Bruno? “Trova
pure
chi è stato. Fai quel che ti pare. Io me ne vado”,
sussurrò, perentoria.
Pietro balzò in piedi, scioccato.
“Cosa?”. Lo disse come se qualcuno lo stesse
strangolando.
“Me ne vado. Torno a casa
mia”.
Le faceva uno strano effetto dire quelle parole, dato che aveva appena
cominciato
a considerare casa sua villa Ripamonti.
“Non puoi farlo”
replicò Pietro,
parandosi davanti a lei.
Marianna giunse le braccia sul
seno, lo sguardo fisso sul pavimento. “Sì invece.
Devo vedere Tiziana, devo
starle vicino. E non sarai tu a fermarmi”
Quando ebbe l’arditezza di
guardarlo negli occhi, vide quanto era livido, abbattuto.
Temendo che la colpisse ancora,
si allontanò un po’. “Avanti, colpiscimi
ancora. Uccidimi. Non ho paura”
Gli tremavano le mani. Eccome, se
gli tremavano. Ma non lo fece. Non voleva colpirla, né tanto
meno ucciderla. La
raggiunse e la strinse a sé, la mano che le carezzava
dolcemente la guancia
arrossata. “Morirei, se dovessi morire anche
tu…”
Marianna si strinse a lui,
confortata dal suo calore. Ma doveva andarsene. Lo sentiva.
Con un sospiro impercettibile, si
staccò da lui e afferrò l’asciugamano
per coprirsi.
“Marianna! Marianna!”. In un
ultimo, disperato gesto, Pietro si gettò a terra, davanti a
lei. Ansimava,
sconvolto, le mani giunte in preghiera. “Ti prego, ti
scongiuro… non andartene”
Marianna stava male. Vederlo lì,
così, sconvolto, scomposto, era come ricevere una stilettata
al cuore e allo
stomaco.
Lo stava abbandonando, come aveva
fatto sua madre e sua sorella prima di lei.
Ci fu un attimo in cui Marianna
pensò che tutto questo era folle. Che Pietro, in effetti,
non c’entrava niente.
Che lei quelle terribili cose non le pensava nemmeno, le aveva dette
solo
perché era arrabbiata.
Ma fu un secondo. Era stata la
sua Tiziana ad essere stata violata, non una donna qualunque. E Pietro
era
colui che doveva difendere i contadini di Santoro. Era
l’accordo.
Marianna scosse la testa, le
lacrime che scorrevano senza sosta sulle guance.
Mi dispiace…
“Addio, Pietro”
________________________________________________________________________________
Sì, sono viva. E so che questa assenza
è imperdonabile in tutti i
sensi. Probabilmente non ci sarà più nessuno a
seguire questa storia, e a
ragione. Ma non ho assolutamente intenzione di abbandonarla, come ho
già
ribadito più volte.
Questa scena è stata difficilissima da
scrivere, la più tragica che
abbia mai scritto a dire il vero. Non mi convince più di
tanto, sembra davvero troppo
tragica per “nulla”. Ma, mentre la
rileggevo, mi sono convinta a tenerla buona lo stesso,
perché l’evento previsto
era già deciso nella scaletta. Quindi… niente,
aspetto dei pareri ;)
Questa volta ho scritto tutti i capitoli, fino
all’ultimo. Quindi non
mi potrò perdere per strada xD Siamo agli sgoccioli e il
capitolo 18 sarà
l’ultimo.
Pubblicherò ogni lunedì :)
Grazie mille a tutti, in particolare alle
persone che mi hanno spronato ad andare avanti!
|
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Capitolo 16 *** 16. ***
Come il cielo di luglio
16.
Il
mistero si risolve. Marianna Ripamonti realizza di amare suo marito
e corre da lui. Lo scontro tra Pietro e l’assalitore di
Tiziana Sabbati.
Vuota. Era così che si sentiva
Marianna. Affranta, infelice, disperata. La cosa preoccupante era che
pativa esattamente
come quando si era trasferita a villa Ripamonti. Ma se lì
c’era rabbia per un
destino ingiusto e tristezza per la mancanza dei suoi affetti,
lì, a Santoro,
vi era solo depressione.
Marianna non sapeva se stava male
per se stessa o per Tiziana e di questo dubbio se ne vergognava a
morte.
Perché Tiziana stava male,
malissimo. Non disse mai chi fu il suo aggressore. Né
parlò. Era come se fosse diventata
muta all’improvviso. Aveva gli incubi. Si sentiva sporca,
vomitava, piangeva.
In silenzio, sempre in silenzio. L’allegra ragazza di un
tempo non c’era più.
Tiziana Sabbati non c’era più. Era stata annullata
da un viscido essere che non
meritava nemmeno di vivere.
“Tutta colpa di quel figlio di malafimmina!”,
urlava Pinuzza da mattina a sera, distrutta anche lei. Marianna la
vedeva più
vecchia, cinica e fredda. Non la riconosceva più, come se
anche lei avesse
subito un sopruso irreparabile.
Il cervello di Marianna
registrava a malapena quella frase colma di disgusto e ira. Il suo buon
cuore
tendeva sempre a giustificarlo, ma
non era sicura che avrebbe resistito ancora per molto.
Calogero in tutta quella vicenda era
impassibile. Era sempre l’uomo che andava a pescare, ma con
la tristezza e la
delusione nell’animo. Cercava di essere forte, per la moglie
e per la figlia,
ma con scarsi risultati.
Anche Marianna piangeva. Da
mattino a sera. Piangeva per Tiziana, piangeva per se stessa,
perché finalmente
a villa Ripamonti era felice. E piangeva perché era
consapevole di ben altro
nel suo cuore.
Pietro era perennemente nei suoi
pensieri. Le mancava, lo voleva. Desiderava essere con lui, essere
consolata da
lui, consolarlo. Essere tra le sue braccia, baciarlo, volergli bene e
rispettarlo. Desiderava che fosse felice. E si sarebbe uccisa,
perché era
consapevole di essere stata la causa della tristezza di Pietro. Lo
aveva
abbandonato come se niente fosse. Lo aveva fatto per Tiziana, ma questo
non
bastava. Era troppo per lei.
E quando suo padre e Pinuzza lo
insultavano all’unisono, credendo che questo le facesse del
bene, dentro si
sentiva morire.
Lui non è così,
avrebbe
voluto urlare. È innocente. Innocente,
innocente…
Il mattino andava da Tiziana. Si
sentiva una stupida a chiacchierare di cose futili e senza senso che
Tiziana
nemmeno ascoltava, ma lo faceva per tirarle su il morale. La
portò anche al
mare. E quando aveva alzato lo sguardo verso villa Ripamonti, maestosa
sulla
grande rupe, una lacrima le era scesa sulla guancia. Tiziana
l’aveva notata, ma
non proferì parola.
La sera Marianna era a casa sua,
nella sua vecchia stanza. In ginocchio davanti al letto, la testa sul
suo
pagliericcio, pregava la Madonna, pregava sua
madre Lucia. E pregava per Tiziana, per
se stessa, e per Pietro, solo per Pietro.
Come sta? Mamma, sta bene?
Proteggilo, non fargli fare nulla di avventato o stupido, ne morirei.
Mamma,
perché? Sono così confusa.
Michele Bruno non alluse mai a
una possibile lite tra Marianna e Pietro, né del
perché lei fosse arrivata come
una furia il mattino nella sua vecchia baracca. Anzi, segretamente ne
era
contento. Per lui tutto questo era un segno del cielo, qualcosa che
indicava a
Marianna di stare alla larga da quel demonio. Peccato che Michele i
segni del
cielo non li sapesse interpretare.
Marianna era lì, nella sua
stanzetta buia, con il rosario in mano. Pregava fervidamente, gli occhi
chiusi.
Parlava con Pietro, sperando che la Madonna
o il Signore gli recapitassero i suoi messaggi,
magari in sogno.
Pietro, mi senti? Vorrei
essere lì con te. Mi manca il tuo sorriso. Mi mancano i tuoi
brillanti occhi
nocciola. Mi manchi tu, in tutta la tua
magnificenza, in tutta la tua
imponenza. Mi manchi, Pietro.
E la verità arrivò, semplice
come
un battito di ciglia.
Perché non l’ho
capito prima,
Pietro?
Ti amo.
* * *
Pietro era come morto. Era un
uomo morto nell’anima, ma non nel corpo. Purtroppo.
Non aveva mai desiderato così
tanto in vita sua passare oltre quello splendido cielo turchino.
Possibile che
Marianna fosse stata un’illusione?
Il Signore mi vuole punire per
i peccati commessi in passato. Dandomi la speranza di redimermi, e
togliermela
all’improvviso. E fa bene.
Desiderava raggiungere Laura.
Esisteva un aldilà? Se si fosse ucciso, l’avrebbe
vista lo stesso la sua amata
sorella?
Ma Pietro era consapevole di non
poter andarsene. Doveva scoprire ancora chi era stato
l’idiota che aveva
violentato Tiziana Sabbati. Lo doveva agli abitanti di Santoro. E lo
doveva a
lei, a sua moglie. Alla sua Marianna.
“Voscenza, ho bisogno di
parlarvi”. Pietro alzò lo sguardo dalla scrivania,
quasi spiritato. Riconobbe Cavani,
sottoposto di Lattuca. “So chi è stato. Ho
indagato, come mi avevate chiesto”
* * *
Passò una settimana.
Un tempo infinitamente troppo
poco per poter dire che fosse cambiato qualcosa. Tiziana aveva
ricominciato a
parlare. A monosillabi, ma era già qualcosa. Veniva
più spesso al mare e
cercava di ascoltare le chiacchiere di Marianna.
Marianna ne fu segretamente
soddisfatta. Sapeva che Tiziana era una ragazza troppo forte per
lasciarsi
andare. Forse perfino più di lei, che non faceva che auto
commiserarsi. Ma
soffocava i suoi pensieri per Pietro, perché le pareva non
solo di tradire se
stessa, ma di offendere la purezza di Tiziana.
Eppure quella domenica mattina,
dopo la messa, non poté non pensarci. Cosa stava facendo
Pietro? Perché non si
era più fatto vivo nei campi? Che fosse andato a Palermo?
Stava davvero indagando su chi
fosse il colpevole?
Marianna sospirò. Non lo credeva.
Lunedì pomeriggio, era a casa di
Pinuzza e Calogero nella povera stanzetta d’ingresso a
rammendare dei pantaloni
per suo padre, quando avvertì dei rumori strani. Ci volle un
po’ per capire che
erano singhiozzi. Si precipitò in camera di Tiziana in men
che non si dica, i
fluenti capelli ricci e scuri ormai dispersi dalla crocchia morbida.
“Tiziana…”
La visione di Tiziana, disfatta,
piangente e sconvolta, le uccise il cuore. “Oh,
Marianù… io… io…”
Marianna si sedette sul bordo del
suo pagliericcio, le braccia aperte in un muto invito che Tiziana
accettò
volentieri. “Shhh, tesoro… non sei costretta a
dire niente”. Marianna la cullò
tra le sue braccia, baciandole i capelli e sibilando confortante. Era
emozionata, perché era la prima volta che Tiziana si faceva
toccare.
“Ma io voglio dirtelo. Voglio
dirlo solo a te. Non è stato il marito tuo”,
balbettò Tiziana tra i singhiozzi,
avvinghiata alla sua figura.
Marianna non poteva confessarle
la sua certezza, dicendole che lo sapeva perché era a letto
con lui quel
funesto giorno, così si limitò ad annuire.
“Lo so, tesoro. Lo so”
“Quello… quello dello
sposalizio”
Si accigliò. Le mani smisero di
accarezzarle i capelli, in ascolto anche loro. “Che
cosa?”
“Lui…
ricordi quello che
aveva annunciato lo sposalizio nella piazza? Lattuca”
Marianna sospese il respiro.
Faticò a parlare, perché la bocca le si era
seccata. “È… è stato lui?”
“Sì… oh,
Marianna!” esclamò,
rituffandosi tra le sue braccia e nel suo seno morbido.
Le mani di Marianna la
carezzarono confortanti, quasi automaticamente. Gli occhi azzurri
brillavano
nel buio, spalancati e vuoti e sconvolti. “Tesoro,
perché non lo hai detto prima?”
Tiziana tirò su con il naso.
Sembrava una picciridda.
“Mi ha
minacciata… ha detto che se non avessi fatto accussì
non solo sarebbe
ritornato da me, ma avrebbe fatto del male a mamma e a
papà… e anche a te”
“A me? Tiziana, non avrebbe mai
potuto e lo sai. Sono la moglie del padrone e mai ci avrebbe
provato”
Tiziana si tirò un po’
indietro,
in modo da poter guardare Marianna in faccia. “Ma lui mi ha
detto così… mi ha
detto che sarebbe stato facile per lui, quando Voscenza era fuori nei
campi, a
entrare in casa e… e a fotterti”.
La
voce le si incrinò sul’ultima parola.
Marianna era visibilmente
impallidita. Aveva la nausea. Per calmarsi, prese un respiro profondo.
La mente
che lavorava frenetica.
Strinse Tiziana, suo unico
conforto.
* * *
Pietro. Pietro, il mio
Pietro, anima mia, cuore mio…
Doveva tornare a villa Ripamonti,
dirgli quello che aveva scoperto.
Si sarebbe sistemato tutto.
Sarebbe andato tutto bene.
Sarebbe ritornata da lui.
Tiziana era in piedi, le braccia
conserte. Fissava ogni suo movimento convulso, intenta a raccattare
tutte le cose
nella sua stanza. Dopo la sua rivelazione, Marianna l’aveva
trascinata in casa
Bruno senza pensare.
Marianna si chiese se lei potesse
sentire quello che stava pensando. I suoi vocativi sconnessi e amorosi.
Il suo
desiderio di rivedere Pietro e sorridergli radiosa.
Michele fece capolino nella
stanza, seguito da Pinuzza, decisamente sconcertato da quella visione.
“Marianù!”
“Mi dispiace,
papà”. La voce
secca, decisa.
Michele non ci mise molto a
capire. “Marianna, non puoi…”
“Sì, che posso”
“Marianna…”
“Papà…”
Ma lui quasi ringhiò, irato.
Sbatté una mano contro il muro, facendo sobbalzare perfino
Tiziana, che si
allontanò in fretta come un coniglietto impaurito.
“Non te lo permetterò! Non
puoi fare più niente ormai!”
Marianna lo fissò. Era risoluta
come non mai. Doveva andare da Pietro, dirgli quello che sapeva. Doveva
andare
da lui e perdonarlo, chiedergli di dimenticare tutto, di riabbracciarla
e di
amarla quanto lei amava lui. Ora ne era certa, più che
certa. “Non capisci”
“Cosa non capisco, Marianna?”
sbottò Michele, i denti serrati.
“Io lo amo,
papà”
Eccome se lo amava. E dirlo ad
alta voce non fece che renderlo ancora più reale.
Perfino Pinuzza era lì,
sbalordita. “Cosa…?”
“Lo amo, papà, e devo andare
da
lui!”
Michele era impietrito. Marianna
fissò il suo volto impallidito, le mani che tremavano quasi
convulsamente. Sembrava
davvero sul punto di picchiarla, come se fosse una bambina che aveva
combinato
una bricconata. Marianna aspettava, anche se in cuore suo sapeva di
essere
ormai una donna, con dei suoi sentimenti.
Marianna fu colpita, ma non da
suo padre.
“Disgraziata sei! Disgraziata!
Come puoi dire questo?”
“Mamma!”. Tiziana si
lanciò a
trattenere Pinuzza, ma lei la respinse in malo modo.
Pinuzza era incontrollabile. Si
era slanciata su di lei, sferrando schiaffi, pugni e calci. Continuava
a
picchiare Marianna come se fosse una squallida puttana.
Marianna si parava la testa con
le braccia, anche se inutilmente. Urlava, questa volta non di dolore o
di ira,
come aveva fatto con Pietro, ma di paura. Non se lo aspettava. Non da
Pinuzza,
la sua madrina, la donna che considerava quasi una madre.
Aveva paura di Pinuzza e non di
Pietro. Il mondo stava andando proprio a pezzi.
Poi, i colpi smisero di arrivare.
Marianna, che aveva sbattuto la testa contro il muro, si sentiva
stordita, il
sapore del sangue nella bocca.
Alzò lo sguardo, lentamente. Vide
suo padre, irato come non lo era mai stato. Il braccio di Pinuzza
stretto nella
sua mano. “Come hai osato picchiare mia
figlia?”, sussurrò
mortifero.
Marianna non si mosse, la testa
tra le mani. Tiziana stava rincantucciata nell’angolo della
stanza,
terrorizzata.
“Osi ancora chiamare tua
figlia quella sporca traditrice?”,
urlò Pinuzza, la voce isterica.
Fissò Marianna con rabbia, con disprezzo. “Non
è altro che una puttana, non la
vedi? È diventata la puttana di quel figlio di demonio
di Ripamonti! Ti
divertivi a letto con lui, eh, sciocca ragazzina?”
“Smettila!”,
sbraitò Michele,
senza mollare la presa.
Marianna scuoteva la testa,
meccanicamente. Ancora scioccata, si alzò lentamente in
piedi. “Pinuzza, non
capisci…”, sussurrò, sconvolta. Non
poteva crederci. Pinuzza, la sua madrina,
che le dava della puttana comprata. “Lui non è
come credi…”
“Zitta”
“È buono, gentile.
All’inizio era
diverso anche con me, ma è cambiato. Con me si è
mostrato per quello che è, un
uomo fragile rovinato dal suo stesso passato…”
“Zitta, brutta schifosa!”,
gridò
Pinuzza, saltellando sul posto per la foga.
“Tiziana, diglielo anche tu che non
è stato lui! Non è stato lui!”
Questo colpì Pinuzza oltre
l’inverosimile. “Cos…?”
“È vero,
mamma…”. Tiziana si fece
avanti, tremante. “Non è stato lui… non
c’entra nulla. È stato…
Lattuca”
Ci fu un attimo di pausa, prima
che Pinuzza si rivolgesse nuovamente a Marianna. “Lui
però doveva proteggerci”
“Ma non è il diretto
responsabile”
“Come puoi ancora
difenderlo?”.
Pinuzza rise, isterica. Incontrollabile. “Ah,
giusto… lo ami. Ah, che
idiozia”
“Non è un’idiozia!
Io lo amo.
Darei la mia vita per lui”
“Spero che tu stia scherzando,
Marianna”
“No, non scherzo, Pinuzza. E lo
sai”
Calò il silenzio nella stanza,
sotto la luce della luna piena. Senza una parola, tremante di paura e
determinazione, Marianna si alzò da terra e
afferrò la sacca.
“Marianna…”. La
voce di Michele
era fievole, tanto addolorata. Chissà perché, le
ricordò la morte della mamma.
Gli toccò debolmente il braccio.
“Mi dispiace, papà. Tornerò
presto”
Non guardò Pinuzza, nemmeno lei
era tanto coraggiosa. Ma lanciò un debole sorriso a Tiziana,
che ricambiò
appena.
E uscì nel cuore della notte,
fragile avventuriera.
* * *
Era notte, ma la luce della luna
era accecante. Pietro camminava ritto e fiero nella sua imponente
statura,
difficilmente riconoscibile. Sapeva dov’era
l’alloggio di Lattuca. Si fidava
abbastanza di Cavani da sapere che era stato lui.
Lattuca non stava dormendo.
Quando Pietro spalancò la porta semiaperta, lo
trovò seduto al tavolo di legno,
la bottiglia indubbiamente di vino vuota.
Non appena lo vide sull’uscio,
Lattuca ebbe i riflessi abbastanza pronti da alzarsi in piedi, facendo
cadere
il misero sgabello su cui era stravaccato poco fa.
“Tu… sei stato
tu…”
“Voscenza, io…”
“Lattuca, eri stato tu a
suggerirmi lo sposalizio!”
“Sì, ma…”
“E l’accordo era quello di rispettare
ogni singolo abitante del paese”
“Ma…”
“Ma cosa? Cosa?
Spiegamelo”
“Insomma, era così…
Come potevo non prenderla?”
“Ma è pur sempre un abitante
del
paese, Lattuca!”
“Io non capisco tutto ‘sto
problema, Voscenza. È soltanto una fimmina!”
“Se eri talmente affamato,
saresti potuto benissimo andare a puttane, e lo sai bene”
Ma Lattuca era arrabbiato. Oltre
che brillo. E, non avendo mai brillato di intelligenza, si mise da solo
nei
guai. Cavò un pugnale dai calzoni, puntandolo dritto su
Pietro. “Allora sarei
dovuto andare dalla mugliera vostra”
“Bada a come
parli…”. Gli occhi
nocciola di Pietro, spiritati, irati, sarebbero bastati come un normale
campanello d’allarme.
Ma Lattuca voleva provocarlo.
“Oh, sì… è bella, la moglie
vostra. Sapete quante volte mi sono toccato
pensandola? Glielo avevo detto, a quella fimmina,
che se avesse cantato avrei scopato anche lei… mo’ le tocca, le
tocca…”
“Vai all’inferno, schifoso
bastardo!”
Lattuca gli saltò addosso, la
lama del pugnale luccicante al riflesso della lampada ad olio.
Il
suono dello sparo riecheggiò
nella notte di plenilunio.
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Grazie
ancora, per i bellissimi complimenti che mi fate sempre e per il vostro
sostegno! Sono felice che qualcuno sia ancora rimasto! :)
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Capitolo 17 *** 17. ***
Come il cielo di luglio
17.
Il
terribile evento continua.
Marianna correva per quanto
l’abito le permettesse. Nel cuore della notte, sola e
accaldata, correva a
perdifiato, i capelli sfatti, la gonna sgualcita e sporca di fango. Ma
non le
poteva importare di meno, del suo aspetto. Ciò che
più le premeva era rivedere
Pietro, dirgli la verità. E poi baciarlo, ridere con lui,
fare la pace, fare
l’am…
Villa Ripamonti era un putiferio.
Quasi tutti i servitori, in camicia da notte e con le torce accese,
erano
davanti all’ingresso. C’erano urla, esclamazioni,
ordini.
Marianna si era immobilizzata per
la sorpresa, ma nella mente le si affacciò un sospetto
ancora più insidioso.
“Che succede qui?”. La
confusione
era talmente alta che nessuno la sentì. Ripeté la
domanda, alzando la voce.
La piccola folla si azzittì per
un attimo, puntando i suoi occhietti increduli e stanchi su di lei.
“Voscenza!”
“Voscenza è qui!”
“È tornata, per fortuna
è
tornata…”
“Che succede? Per favore,
qualcuno me lo dica!” urlò ancora Marianna,
cercando di sovrastare i giubili di
sollievo.
“Voscenza, presto, venga qui!”
Marianna riconobbe immediatamente
la voce energica di Clementina. Le corse subito incontro.
“Voscenza, questa notte è
successa una disgrazia! Vi sentite bene…?” chiese
Clementina, preoccupata per
l’improvviso pallore di Marianna.
“Sì…”
biascicò lei.
Per fortuna, Clementina ebbe
l’accortezza di sorreggerla con un braccio.
“Qualcuno ha sparato a Lattuca,
Voscenza!” snocciolò, rapida e accorta.
Marianna la guardò, quasi
spiritata. “Cos… quando?”
“Qualche ora fa. Cavani lo ha
portato qui e Carmine è andato a chiamare un
medico… e, Voscenza, il padrone è
disperso”
Questo costò un battito del cuore
di Marianna.
Disperso.
Oh, Madonnina, ti
prego… mamma…
Marianna cercò di contenere il
panico letale che si stava diffondendo velocemente in lei.
“Dov’è adesso
Lattuca?”
“Sul tavolo della cucina,
Voscenza”
“Benissimo. Allora chiama degli
uomini e andiamo a cercare Pietro”. Forse era la frase
più simile a un ordine
che avesse mai rivolto non solo a Clementina, ma a una persona in
generale.
Questa volta non sarebbe fuggita.
Pietro aveva bisogno di lei, adesso. Doveva essere lucida e attiva, non
perdersi d’animo.
Perché era stato Pietro a sparare
a Lattuca. Lo sapeva.
* * *
Non poteva essere andato molto
lontano, soprattutto se era successo ciò che temeva. Si fece
accompagnare dove
era stato trovato Lattuca. La portarono nell’alloggio spoglio
dell’uomo, al
limitare dei campi.
Cercò tracce di sangue, ma,
nonostante la luna in cielo brillasse come il sole, era impossibile
trovarne.
La lanterna non aiutava poi tanto.
Dentro di sé, pregava.
Preoccupata e disperata. Che non fosse ferito e che, se lo fosse, non
era
grave. Che non fosse… non riusciva nemmeno a formulare
quella parola.
La stessa che le ricordava la sua
mamma.
Più Marianna si guardava attorno,
più quel posto le risultava familiare.
La discesa di villa Ripamonti. Il
campo di papaveri.
Forse aveva capito.
* * *
Pietro delirava. Era più in
là
che in qua, ormai. Che fosse la volta buona in cui il Signore lo stesse
chiamando?
Era fatta, finalmente.
Sto per morire. Sto per morire.
Sto per morire.
Pietro pensò a Laura. Ricordava i
suoi occhi verdi come l’erba di maggio, la sua risata
allegra, la sua
espressione buffa quando si arrabbiava.
Una lacrima solcò la sua guancia,
insieme a un gemito di rabbia e dolore e disperazione. Un grido sordo
di
frustrazione soffocava nel suo petto, insieme alla paura. Che diavolo
c’era
nell’aldilà? Perché esisteva un
aldilà, vero? No, per uno come lui non c’era.
Inutile pensarci, inutile faticare ad agognarlo.
La sua anima non avrà mai pace.
Avrebbe vagato nel nulla, sulla sua Palermo, sopra il caldo e
bellissimo mare
che avvolgeva Santoro come una culla.
Pietro si accasciò lentamente al
suolo, la mano premuta al fianco. Sangue caldo che lentamente diventava
freddo…
o era la sua impressione?
Sto per morire.
Ma aveva vendicato il nome di
Marianna. Quindi cosa importava? Tutti quei pensieri stupidi, quella
paura di
morire. Marianna era onorata. Poteva morire in pace…
… Avanti, avanti…
Pietro,
Pietro… dove sei?
“Voscenza, tornate indietro.
Cercheremo noi!”
“Non se ne parla nemmeno, vengo
con voi”
Avanti, avanti…
… La donna che lo stava guardando
era splendida. Brillava di luce propria come una stella.
Avvertì un brivido caldo sulle
braccia e notò che era lì che le mani
dell’angelo lo stavano toccando.
Risalendo lentamente verso il cuore.
Pietro aveva sempre creduto che
gli angeli fossero biondi, con l’incarnato chiaro e il volto
sorridente.
Ma quest’angelo era l’opposto.
Aveva lunghi boccoli scuri che le incorniciavano il viso tondo e
serioso, quasi
preoccupato. La pelle abbronzata, quasi dorata, pareva di velluto. Solo
gli
occhi appartenevano al cielo. Al cielo di luglio.
La donna era Marianna.
Marianna…
Marianna…
Marianna.
Un’eco sempre più lontano.
* * *
Marianna quasi si slogò una
caviglia sulla spiaggia acciottolata della radura. Sul sentiero aveva
trovato
delle piccole macchie scure che lo costellavano. E non erano petali di
papaveri.
“Aiuto!
Aiuto! L’ho trovato! È qui!”
urlò,
rialzandosi in fretta.
Buttò la lanterna da qualche
parte. Non registrò nemmeno la possibilità che si
spegnesse, o altro. Si gettò
sul corpo enorme di Pietro, accasciato al suolo e inerte come una
bambola.
“Pietro… Pietro, amore mio,
coraggio… coraggio…”
“Marianna…”
Fu un sussurrò debolissimo, roco,
profondo. Lei quasi pianse di gioia. Era vivo.
Ferito, anche se non sapeva dove
né come, ma vivo.
Gli carezzò con dolcezza le
braccia, poi la guancia, l’odore persistente e metallico del
sangue che le rivoltava
lo stomaco. Si perse nella sua figura, constatando che era calda, viva
e
pulsante. C’era speranza. “Coraggio, anima mia.
Resisti…”
Pietro le sentì. Due parole che
risuonarono nell’aria, due parole che non avrebbe mai creduto
di poter sentire.
Ti amo.
___________________________________________________________________________________________________
Capitolo un po' breve, ma (spero)
intenso. Non so, ricordo che avevo l'ansia mentre lo scrivevo!
Mi rendo sempre
più conto che la trama di questa storia non è poi
così elaborata, ma, visto che era questa la trama originale,
non me la sono sentita di cambiarla o aggiungere altro. Mi sembrava di
allungare il brodo. Il prossimo dovrebbe essere l'ultimo, non
so ancora se tenere l'epilogo attaccato.
Grazie mille come sempre a
chi è rimasto con me fino alla fine.
A lunedì! :)
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Capitolo 18 *** 18. ***
Come il cielo di luglio
18.
E
tutto si chiuse, sotto il cielo di luglio.
Pietro non realizzava del tutto
dove fosse. Sentiva intorno a sé voci, sussurri, tocchi.
Strano, credeva di essere morto.
Sarebbe stata una morte dignitosa, tra le braccia di Marianna, con
l’illusione
che lei gli avesse confessato il suo amore.
Ma era vivo, eccome, perché
Pietro mugugnava di dolore quando lo toccavano. Urlava nel dormiveglia
finché
non ebbe più le forze nemmeno per fare quello.
Era un’alternanza di: “Ha
perso
molto sangue” e “Ave
Maria, gratia plena”
e “Voscenza come sta oggi?” e “Avanti,
amore, avanti, io sono qui… prego per
te…”. Ecco, quest’ultima voce, dolce e
carezzevole, era quella che preferiva.
Marianna lo tranquillizzava, gli dava la certezza di non essere finito
all’Inferno. Un angelo come lei non poteva esistere in un
luogo oscuro e
brutale come quello.
Così ogni tanto riapriva gli
occhi, sfavillava, ma non riusciva a mettere a fuoco niente…
per poi ripiombare
nel sonno, disturbato dalle mani che gli cambiavano le bende e dalle
continue
pressioni sul viso. A volte gli sembrava anche di percepire qualcosa di
più
morbido e caldo sulla fronte o sulle guance invece della pezza bagnata.
Che
fossero labbra?
Quel naufragare dolce nelle
soglie della coscienza si interruppe dopo tre giorni.
Aprì gli occhi e non vide il
volto di Marianna, ma la sua cascata di capelli neri sul fianco del
letto.
Stava dormendo, la testa sopra le braccia incrociate sul fianco del
letto.
Pietro provò a parlare, ma non ci
riuscì subito. Aveva la gola riarsa. Intontito, mosse
lentamente la mano e
colpì il braccio di sua moglie, che si limitò a
mugugnare nel sonno.
“Ma…
Marianù?”
“Mmm…”.
Così come aveva esternato
il suo lamento, Marianna sollevò la testa di scatto, gli
occhi azzurri e
bellissimi spalancati. Che si riempirono quasi subito di lacrime.
“Pietro… oh, Maria Vergine,
grazie al cielo!”
Non fece nemmeno in tempo a
sorridere, che gli gettò le braccia al collo. Se lo strinse
al seno, ridendo e
piangendo contemporaneamente, farfugliando. “Sapevo che eri
forte, amore mio,
lo sapevo…”
Gli scoccò un bacio a fior di
labbra, felice di poter finalmente ammirare i suoi occhi grandi e
ambrati,
lucidi e vivi.
“Voscenza…?”.
Clementina
Pagliarini fece la sua comparsa nella stanza, leggermente timorosa.
“Oh, Dio,
si è svegliato! Grazie!” esclamò, non
appena scorse la testa di Pietro sul
petto di Marianna.
Lui sorrise debolmente, come per
confermare.
“Vado ad avvertire tutti,
Voscenza!”. Così come era venuta, Clementina
scomparve.
Marianna, che non si era nemmeno
voltata, continuava a carezzargli quieta la testa, le dita scorrevano
tra i
capelli scuri con dovizia. Non stava più piangendo.
“Hai dormito tre giorni,
Pietro”
Lui si limitò a sbarrare gli
occhi, incredulo.
“Hai sete?”
Annuì e Marianna provvide
immediatamente.
L’acqua pareva un balsamo per la
sua gola secca; Pietro ingoiava e mutamente ringraziava tutto il bene
che c’era
su quella terra.
“Bevi con calma… con
calma”
Pietro beveva e guardava
Marianna. Non sembrava nemmeno lei. Aveva delle enormi occhiaie sotto
gli
occhi, i capelli spenti e sfatti. Non l’aveva mai vista
così quieta e composta.
“Marianna…”
“Sono così felice di vederti,
Pietro. Temevo di... perderti. Ma dentro di me, sapevo che non saresti
morto”
“Oh,
Marianù…”
Marianna gli posò velocemente la
mano sulla bocca, scuotendo la testa. “Shh. Abbiamo tutto il
tempo”
Per parlare, dovette scostarle il
palmo. “Però sei qui. Grazie”
Marianna sorrise, carezzandogli
il mento. “Certo. E non ti lascerò
più”
* * *
Molto probabilmente, gli sarebbe
rimasta una bella cicatrice. Poco sopra l’ombelico, si ergeva
la fascia di
carne cucita.
Pietro era stato abituato a
ferite ben più grosse, perciò poco importava.
Il coltello di Lattuca gli aveva
colpito la parte bassa dello stomaco, ma, per fortuna, non troppo in
profondità.
In compenso aveva perso molto sangue. Se Marianna lo avesse trovato
anche solo
un’ora più tardi, sarebbe morto dissanguato.
Appena rimaneva solo in camera
(evento abbastanza raro in verità), si alzava la camicia da
notte per fissarla.
Aveva sparato a un uomo, un suo sottoposto. Rischiando di ammazzarlo.
Togliere
una vita. Dovrebbe essere abituato, no? Dopotutto lui era un vile
patricida.
Il fatto che non ne fosse
minimamente turbato, però, lo preoccupava non poco. Ma
intanto sapeva che
Lattuca avrebbe cominciato a perseguitarlo nei suoi sogni.
Non appena fu in grado di
formulare più di due frasi, Pietro chiese immediatamente di
lui. Marianna, non
senza un certo fremito nella voce, gli disse che era sopravvissuto.
Lattuca era stato allontanato immediatamente
da Santoro appena si fu ripreso. Fu un bene, in realtà,
altrimenti avrebbe
ricevuto il benservito dagli abitanti del villaggio, piuttosto che dal
padrone.
Aveva trovato ospitalità da un qualche parente a Palermo, un
zio benestante,
che non si capacitava della severità di quel signorotto da
quattro soldi di
Pietro Trasi di Ripamonti. Cacciare il nipote per aver scopato con una fimmina da campo non era un crimine poi
così grave. Non ne fece una questione drammatica
perché, se quel pazzo aveva
addirittura sparato al suo povero nipote, presumibilmente con quella ci
aveva
una tresca. Lattuca, dal canto suo, non accennò mai
più al fatto né con lo zio
né con altri, tantomeno ne parlò nei salotti
palermitani. Tutto per dimenticare
quell’umiliazione.
* * *
Marianna non abbandonò Pietro un
solo istante da quando si era risvegliato. Non aveva intenzione di
parlare
dell’accaduto finché non si fosse ripreso
pienamente, per cui ci volle
un’intera settimana. Pietro ogni tanto cercava di intavolare
il discorso, l’eco
di quel “ti amo” in testa; la chiamava, la
accarezzava, ma Marianna era
irremovibile. Gli stava semplicemente accanto, aiutandolo a mangiare, a
bere e
a camminare. Faceva ancora caldo, perciò, nel pomeriggio o
alla sera,
passeggiavano insieme per i campi o per l’ampio giardino di
villa Ripamonti.
Parlavano del più e del meno, della bellezza del mare, del
colore del grano,
della felicità nel stare insieme… non accennarono
mai agli avvenimenti
precedenti la fuga di Marianna.
Marianna dormiva con lui e,
spenta la candela, lo accarezzava tutto evitando accuratamente la pelle
tesa
dello stomaco. Gli baciava le guance ispide, il naso diritto e poi le
labbra
carnose. In quelle si perdeva. Pietro ricambiava con trasporto, per
quanto
potesse. Le mormorava ogni notte quanto le fosse mancata, quanto la
adorava…
Marianna ascoltava e baciava, leniva e curava quell’anima
spezzata, consapevole
che l’affetto che Pietro provava per lei aveva lo stesso
effetto.
E Pietro le mancava. Tanto.
Troppo.
Baciarlo non era abbastanza. E
nemmeno toccarlo lo era. Voleva tanto che lui fosse suo quanto lo fosse
lei.
Marianna pensava al mare di
Santoro. A quando si sedeva sulla spiaggia a pensare ininterrottamente
a tutto
e a niente. Pietro era come il mare che tanto amava. Si perdeva nel suo
corpo
nella penombra, nel suo calore, nei suoi bellissimi occhi ambrati e
pensava
alla vita. A quanto tutto fosse cambiato. A quanto fosse felice,
nonostante
tutto. Solo che, in quella settimana, non voleva pensare.
C’erano troppe cose
da chiarire. Ma avevano tutto il tempo del mondo.
Era come se il loro idillio non
si fosse mai spezzato. Solo un’ombra gravava negli occhi di
entrambi: il
bruciore dell’abbandono in Pietro e la violenza di Tiziana in
Marianna.
Quella settimana servì per
sgravarli e andare avanti. Insieme.
* * *
Era un martedì mattino. Il sole
alto nel cielo abbagliava tutti i contadini che avevano ripreso a
lavorare.
Come se in quella brutta notte non fosse successo nulla. O quasi.
Nonostante l’apparente
imperturbabilità, la gente di Santoro lavorava nel rispetto
della signora Ripamonti.
Il padrone avrebbe dovuto fare ben altro per ottenere il loro rispetto.
Marianna contemplava meravigliata
la vista del mare dalla sua stanza, sul balcone su cui lei e Lucia
fantasticavano di andarci. Chiuse gli occhi, inspirando lentamente
l’odore di
sale. Sembrava una vita fa. Lì, nello stesso posto, a
contemplare il mare e a
riflettere sulla sua nuova vita matrimoniale.
Mamma, grazie. Allora non
era vero che non mi guardavi.
“Ti piace?”. La voce profonda
di
Pietro la fece sobbalzare.
“Pietro! Non devi alzarti da
solo, potresti farti male!”
Lui sbuffò, alzando gli occhi al
cielo. “Non sono un bambino, Marianù. Sto
più che bene adesso”
“Come no. U’
picciriddu testardo sei” sbuffò,
affiancandosi a lui.
Pietro le cinse un fianco con il
braccio, lo sguardo ambrato rivolto al mare azzurro. “Io amo
Santoro. Ho
imparato ad affezionarmi a questa terra. È così
diversa da Palermo…”. Tacque,
un sospiro incagliato nel petto.
Marianna gli sfregò la mano sulla
schiena, l’altra appoggiata al parapetto. Era così
bello stringersi a lui in
modo intimo. Era grande, caldo, imponente ma non soffocante. Non
più. Da tanto
ormai.
Era giunta l’ora. “Ti devo
chiedere scusa”
Pietro restò in silenzio. Un
gabbiano stridette in lontananza, come per colmarlo.
“Perdonami, Pietro. Per essermene
andata così. Per non averti creduto…”
“Non c’è nulla da
perdonare”
Marianna si staccò, ponendosi di
fronte a lui con ardore. “Sì, invece! Come al
solito non ho pensato prima di
agire. Sapevo che non eri stato tu, sarebbe stato
impossibile… ma non ho
pensato altri che a me, allo sposalizio, a Tiziana… ho
calpestato quello che
provavo e provo tuttora per te. Io…”. Si
interruppe. La voce le veniva meno ma
doveva dirlo. Dirlo. Su quel balcone, davanti al mare, sotto il cielo
da cui
Lucia la assisteva. “Ti amo, Pietro. La mia promessa
è stata mantenuta, no?”
Osservò ogni minima reazione di
Pietro. Lui strabuzzò gli occhi, quasi incredulo, per poi
tornare impassibile.
Era commosso, dal profondo dell’animo.
“Marianna…”
“Ti avevo fatto una promessa,
Pietro. Che ti avrei amato, prima o poi. Perché te lo
meriti. Perché hai
bisogno di me”
Non fece nemmeno in tempo a
formulare altro: Pietro colmò la distanza minima tra loro
per avvolgerla tra le
sue lunghe braccia e baciarla. Con una passione e una dolcezza che
diceva
tutto, più delle parole con cui avrebbe potuto risponderle.
Dimenticò di dover
respirare, dell’aria salina; percepiva solo Pietro, il suo
odore, le sue
labbra, nient’altro. Si chiese se fosse normale. Ma poteva
essere. Lo amava,
dopotutto. Chissà se un giorno si sarebbe abituata a
ciò.
Pietro si staccò, ma collimò
le
loro fronti in una sola. “Mi hai salvato la vita. Se non
fosse stato per te,
non sarei qui. Una vita non basterebbe per ringraziarti”
sussurrò, le mani grandi
sul collo e la guancia destra.
“Sì, invece…
ricordi il mio
giuramento? Una condizione c’era: amandomi anche tu”
“Come se non lo facessi
già.”
Il cuore di Marianna smise di
battere. “Allora dimmelo”
Il sorriso di Pietro si allargò
sul bel volto. “Ti amo”
* * *
Dopo due anni di matrimonio,
Marianna diede alla luce la piccola Maria Laura.
La scelta del nome non fu facile.
Durante la gravidanza, ci furono abbastanza discussioni al riguardo.
“Faremo tanti figli,
Marianù”
esordì lui una sera, a letto, appena dopo aver fatto
l’amore.
“Tanto sono io che devo
partorirli, no?” borbottò lei, dandogli un
calcetto.
“Se è maschio, Paolo mi
piace. O
come il padre tuo possiamo chiamarlo” continuò
lui, ricambiando per tutta
risposta con un buffetto sul sedere. “Se è
femmina, almeno una si deve chiamare
Lucia”
Marianna non fu affatto
d’accordo. “No, mia figlia deve vivere nella sua
vita. Non nell’ombra della
morte”
“Non ha alcun senso quello che
dici, Marianù” sbottò lui.
“Mia madre era mia madre. Mia
figlia sarà mia figlia. Così
è”
Tuttavia, optarono, in caso di
una femmina, per Maria Laura, in onore della defunta zia. Inutile
aggiungere
che Marianna, per difendere il suo ragionamento, volle aggiungere il
nome
Maria.
Fu battezzata nella chiesa di
Santoro, così come i suoi tre fratellini gli anni dopo di
lei.
Nonostante l’alterco tra suocero
e genero, la nascita della bambina colmò quella distanza.
L’ostilità di Michele
Bruno, se non scomparsa, si alleviò di molto. Almeno tre
sere a settimana
passava a fare visita alla figlia a villa Ripamonti, ricambiato
altrettante
volte da lei. Quando fu sicuro di essere in grado di tollerare la vista
di
Pietro, lo invitò nella sua umile dimora con un piccolo
brontolio.
Inizialmente non nacque un’amicizia,
ma una grande intesa sì. Il loro comune denominatore era il
bene di Marianna e
della bambina, questo bastava e avanzava.
Ci vollero anni perché Michele
accettasse pienamente Pietro, che lo conquistò solo quando
iniziò a elaborare
una strategia di massimo sfruttamento del latifondo, nel rispetto dei
diritti
dei contadini di Santoro. E soprattutto quando chiamarono il
secondogenito
Michele.
Anche Tiziana si sposò.
Dimenticare la violenza non fu facile e probabilmente non ci
riuscì mai, ma
grazie al cielo a una festa incontrò un giovanotto, Antonio,
che si innamorò di
lei a prima vista. Cedette dopo qualche mese e, dopo qualche tempo,
rimase
incinta del piccolo Giovanni.
Pinuzza non riuscì mai a
perdonare Marianna per quello che considerava un tradimento. Non le
parlava più
da quel giorno, da quando Marianna aveva ammesso di amare Pietro ed era
scappata per l’ennesima volta. Nemmeno la dimostrazione del
vero colpevole
riuscì ad allietarle l’animo.
Marianna soffriva molto per
questo. Aveva amato, e amava comunque, Pinuzza come una seconda madre,
ma
dovette accettare la situazione. Tentò più volte
di parlarle, anche tramite
Tiziana e Calogero (che, a differenza della consorte, mise da parte i
rancori e
accettò pienamente Marianna e il padrone Ripamonti come suo
marito), ma fu
inutile.
Pietro al riguardo cercava di
consolare sua moglie come poté, si consultò
addirittura con il suocero.
“Pinuzza è come un mulo,
Pietrù.
Quel che è stato, è stato” fu la
sentenza enigmatica di Michele Bruno, con la
piccola Maria Laura tra le braccia.
La questione Pinuzza dopo un po’
di anni fu accantonata, tra la sofferenza di Marianna e del resto della
famiglia Sabbati, ma non persero mai le speranza.
A parte questo, Marianna era
felice come non mai. Certo, la vita matrimoniale non era sempre rose e fiori, ma aveva una
famiglia
meravigliosa e ne fu orgogliosa.
Ancora prima che Marianna
rimanesse incinta, Pietro la portò nella sua vecchia
residenza a Palermo, luogo
che divenne per loro un rifugio d’amore in certe occasioni.
Marianna non volle
mai frequentare i salotti dell’alta società;
sapeva già che quegli altezzosi
non avrebbero mai accettato una contadina come lei. Non che le
importasse. Non
era mai stata al di fuori di Santoro e visitare quella città
splendida e piena
di colori, suoni e odori così diversi dal suo tranquillo
villaggio era una
splendida scoperta.
Ed era in quella città che a
volte si lasciavano alle spalle chi erano e che cosa fossero, si
abbandonavano
l’uno all’altro con amore e pazienza.
Marianna più guardava Pietro,
più
lo conosceva e se ne innamorava. Era bello. Era sempre bello, dentro e
fuori.
Pietro la ricambiava con tutta
l’anima, in modo sempre appassionato e rassicurante.
Non fu sempre facile, ma, nel
complesso, andarono avanti, più forti di prima.
L’amore non poteva fare tutto, ma
la maggior parte delle cose, sì.
* * *
“Quando hai capito di amarmi?”
“Chi lo sa. Forse quando stavo
per morire. Oppure quando abbiamo fatto l’amore in quel campo
di papaveri. O
forse quando ti ho visto ballare alla festa di paese”
“In effetti, non è stato
immediato…”
“Non ci crederai, ma quella
volta… sì, quella
notte, quando ero
là a terra, sentivo che stavo per andarmene. E ho visto un
angelo. Identico a
te”
“Probabilmente deliravi, Pietro.
Avevi perso molto sangue. Forse hai visto me, quando ti ho
soccorso…”
“Può
darsi…”
Le diede un bacio, sotto la luce
lunare di Palermo.
“Grazie, Marianna”
“E di che?”
“Per avermi riportato alla
vita”
* * *
Marianna, seduta sulla spiaggia,
guardò la barca in lontananza, ammirando le leggere
increspature dell’acqua al
suo passaggio. Sorrise appena, godendosi la lieve brezza che le passava
tra i
capelli.
“Ah, eccoti qui”
Marianna non si voltò quando
Pietro si sedette al suo fianco, per poi avvolgerla in un abbraccio. Si
appoggiò alla sua spalla, gli occhi chiusi.
Avvertì una leggera pressione sulle
labbra e sorrise in quel bacio dolce e accennato.
“Come sta il mio
bambino?” chiese Pietro, la mano sul pancino ancora acerbo
della moglie.
Marianna sbuffò. “Il nostro bambino, vorrai dire”
Lui ridacchiò. “Dettagli.
Dove
sono i bambini?”
“Dal nonno. Anzi, Laura sarà
da
Tiziana a giocare con Giovanni. Paolo l’ho lasciato con
Clementina”. Paolo, il
terzogenito, aveva appena un anno ed era un piccolo terremoto come sua
madre.
Michele ormai si considerava troppo vecchio per badare a tutti e tre i
nipotini
contemporaneamente. Marianna aveva approfittato
dell’efficienza da nonno di suo
padre per sgaiattolare sulla spiaggia, come ai vecchi tempi.
Si sporse a baciargli una spalla,
assaporando la sua pelle lievemente sudata.
“Marianna, vengo dai campi. Sono
tutto sudato”
Lei
si strinse nelle spalle. “Anche io. Fa
caldo, no?”
“Sì, molto”. Anche
Pietro chiuse
anche gli occhi, la testa su quella ricciuta di Marianna. “Si
sta così bene,
qui…”
“Mi mancava starci. Così sono
venuta. È bello che anche tu sia qui”
mormorò. Le iridi azzurre erano così
belle, cercavano con così tanto amore quelle ambrate di
Pietro, che lui non
resistette a baciarla.
Un bacio lieve, discreto, che
avrebbe voluto sfociare in qualcosa di più. A malincuore,
Pietro si dovette
staccare. “Dopo, Marianù, qui può
passare qualcuno”
Lei sospirò, la mano leggermente
callosa dal suo passato nei campi sulla sua guancia. “Sei
tanto bello, Pietro”
“Come siamo dolci, oggi”
“È solo la
verità”
Le baciò la punta del naso.
“Tu
di più”
Con la coda dell’occhio, Marianna
scorse qualcuno. Aguzzò la vista allo sventolio di una mano.
I due coniugi si
staccarono velocemente, Pietro balzò addirittura in piedi.
Calogero stava appena rientrando
nel porto del paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano
l’acqua con un
remo. Il vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per
poi uscirvi con un
agile salto.
Certe cose non cambiavano mai.
“Ciao, Calogero”
salutò, allegra.
Il pescatore sorrise gentilmente.
“Buonasera, Marianna. Voscenza”
Pietro ricambiò con un sorriso e
un cenno del capo.
“Che fanno, le Voscenze
nostre?”
“Niente di che, guardavamo
semplicemente il mare”
“Ah, il mare, eh… beh, oggi
è una
splendida giornata”. Dopo aver dato una lieve carezza sulla
testa di Marianna,
si trascinò stancamente per la via del paese.
Sotto lo sguardo di marito e
moglie, Pietro e Marianna.
E poi tutto si chiuse, sotto il
cielo di luglio.
Fine
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Potevo
fare un epilogo migliore?
Sì. Però dopo una prima stesura non mi sembrava
tanto male, perciò l’ho
lasciato così… spero siate dello stesso parere :)
Gongolavo mentre mi immaginavo la loro vita futura.
Mi
sento quasi depressa a mettere
la parola “fine” a questa storia. Ci ho messo
l’anima per scriverla. A distanza
di parecchio tempo, mi rendo conto della sua semplicità e
vaghezza storica, ma
sono comunque molto soddisfatta del risultato. È stata dura,
ma finalmente ce
l’ho fatta! :)
Ultimo,
ma non ultimo, i
ringraziamenti. Grazie a tutti. A chi ha letto, commentato, messo tra
seguite/preferite/ricordate, a chi è rimasto nonostante le
lunghissime attese e
a chi mi ha sempre spronato, soprattutto con bellissimi messaggi
privati. Grazie
per avermi seguita fino alla fine.
Grazie
mille a tutti, alla
prossima! :D
PS.
Per chi fosse curioso,
qualche mese dopo l’ultima scena, è nata la
piccola Lucia Costanza. Sì,
Marianna sotto le pressioni di Pietro ha ceduto per la scelta del nome.
xD
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