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“Questo come mi
sta?” Bella alzò gli occhi al cielo, guardando il completo blu
notte che indossava Alice.
“Bene,
tesoro. Come gli
altri dieci che ti sei provata.” La mora sbuffò.
“Come
sei noiosa.
E’ arrivata la nuova collezione, e devo provarla io prima di venderla
alle mie clienti.” Bella soffocò una
risata, continuando a sfogliare la sua agenda e prendendo appunti.
“E
poi…” Continuò Alice, buttando un’occhiata fugace alla
sua amica. “Come posso fidarmi di te, che nemmeno mi stai
ascoltando?”
“Scusa.”
Isabella chiuse l’agenda, lasciando la penna in mezzo. “Oggi ho il
giorno libero, e la Galleria
è in mano ad Angela.”
“Ti rendi conto che
Angela è fantastica, vero?”
“Sì, lo
so.” Bella si mosse sulla sedia, a disagio. “Ma…
quella è la mia Galleria. Sono io che contatto
gli artisti, espongo i loro quadri, li vendo. Se qualcosa va storto, ricade
tutto su di me.”
“E sai anche che
Angela non manderà nulla a scatafascio, no? Quella ragazza è
terrorizzata da te.”
“Non è vero!”
Si lamentò Bella, alzandosi per andare a vedere una gonna esposta in
vetrina.
“Bells, tu terrorizzi tutti i tuoi dipendenti. Sei una
perfezionista. Vuoi il meglio da loro, e quando sbagliano una virgola, tu li
licenzi senza preamboli. Sarei terrorizzata anch’io se non ti conoscessi.”
“Se lo dici
tu.” Bella liquidò la faccenda, perché non era così.
Lei era Isabella Swan, laureata in Storia dell’Arte a pieni voti. Con
i suoi sforzi si era aperta una Galleria d’Arte, e amava il suo lavoro.
Okay, magari era una perfezionista. Ma non troppo.
“Dove sono le mie
nipotine?” Bella cambiò immediatamente argomento, forse
perché la sua migliore amica aveva ragione. Un po’.
“Con Esme. Fortuna che esiste mia madre. Con il lavoro, io e
Jasper siamo in un mare di guai.”
“Sai che puoi
benissimo lasciarle anche a me.”
“Bells, tu lavori più di noi due messi
insieme.”
Alice Cullen
lavorava in una boutique a New York, composta soltanto da capi di grandi
marche. Mentre Jasper Hale, suo marito, era il
direttore di una delle più famose catene alberghiere della città.
E lavoravano entrambi nello stesso edificio.
“Non vedo
l’ora di vederle. Quando ci
organizziamo per quella cena?”
“Restiamo per
sabato. Ah, ci sarà anche mio fratello.”
Ecco, ora sì che
Bella poteva alzare gli occhi al cielo.
Edward Cullen era l’uomo più viziato, presuntuoso ed
egoista che Isabella avesse mai conosciuto nella sua vita. E lo conosceva da
dieci anni.
“Perché?”
“Perché è mio fratello, Bella. Perché deve vedere le
sue nipotine anche lui. Perché io e Jasper non riusciamo mai a vederlo,
anche se lavoriamo nello stesso edificio. Perché…”
Alice guardò Bella, alzando le sopracciglia. “Lo sai che
potrei continuare per sempre, vero?”
“Okay,
okay. Ho capi-” Non finì la frase, perché il suo
cellulare squillò.
Angela.
Bella alzò il
telefono prima di rispondere, facendolo vedere alla sua amica. “Che ti avevo detto? Ora senti che guaio ha
combinato.” Sì era proprio una pessimista.
Bella restò con il
telefono premuto sull’orecchio per qualche minuto, poi, riattaccò.
“Cos’ha
detto?”
“Ha
detto che va tutto alla grande. Che ha venduto due quadri.” Rivelò, ancora con
il telefono a mezz’aria.
Alice, in
risposta, scoppiò in una fragorosa risata.
“Tesoro, nemmeno tu
riesci a vendere due quadri in una giornata. Quella
ragazza ti darà del filo da torcere.”
Bella sospirò pesantemente.
“Quindi.”
Alice prese la giacca della sua amica, insieme alla borsa e all’agenda,
porgendogliele. “Ora esci di qui. E’ il
tuo giorno libero, e non esiste che resti qui intorno per controllare Angela.
Lei è perfetta, Bells. Devi ammetterlo.”
Alice parlava a raffica, a volte senza fermarsi per respirare. E questo Bella
lo sapeva bene. “Vai al Pub, da Jacob. Esci di qui, perché ci stai tutti i giorni, e non ti fa
bene. Forza.” Le diede una lieve spinta sulle
spalle. “Via. Sciò. Ci vediamo
domattina.” Dicendo ciò, Alice cacciò praticamente
la sua amica dalla boutique, chiudendola fuori.
“Ti voglio bene
anch’io, Alice!” Disse, mentre la sua amica le tirava un bacio
voltante da dietro la vetrata.
Bella si
infilò la giacca a vento, mise l’agenda nella borsa e
issò quest’ultima sulle spalle.
Con un passo felino e un
tacco dodici, uscì dalle Twin Towers.
“Basta
così.” Jacob Black tolse lo shot di tequila dal bancone, allontanandolo da Bella.
“E daaaai. Non sono ubriaca, Jake!” Jacob soffocò una risata, continuando a
pulire il locale.
“Bella, sei qui
alle nove di mattina, ubriaca.”
“Sono una donna in
carriera, io. Non mi ubriaco.”
Jacob fermò per un
attimo le faccende che stava per fare, guardandola.
“Ti conosco da
quando sei nata, Isabella Swan. Vuoi che mi metta a ricordare tutte le volte che ti sei
ubriacata?” Disse con ovvietà.
“Te l’ho detto,Jake.” Gli
puntò un dito contro, un po’ traballante. “Io
sono una donna in carriera. Mi ubriaco solo di sera. Mai di
mattina.” E dopo quelle parole strascicate, Jacob scoppiò in una
sonora risata, ritornando a pulire il suo locale.
Si conoscevano da quando
erano bambini, lui e Bella. Lei viveva a Forks, e lui
a La Push,
lì vicino. Finché Bella non aveva avuto la brillante idea di
trasferirsi a New York per frequentare il liceo, tornando a vivere da sua
madre. Jacob la seguì, prima di iniziare l’Università.
Erano inseparabili, due fratelli separati dalla nascita.
“Insomma…
dov’è Leah?” Bella si tolse quei trampoli altissimi, appoggiando le gambe su uno
sgabello vuoto.
“A casa. I bambini
la massacrano.”
Isabella sospirò
malinconicamente. “Che c’è?” Chiese Jake, avvicinandosi a lei.
“Sono un caso
disperato, Jake.” Piagnucolò, con gli
occhi lucidi.
“Oddio, ecco che
arriviamo alla parte in cui l’alcool ti fa diventare una zitella
isterica.”
“Ogni volta che vi vedo mi sento triste e felice.”
“Chi
vedi? I
fantasmi?” Bella diede un piccolo colpo con il
pugno sul petto enorme di Jake.
“Non scherzare! Alice
è la mia migliore amica, e guarda! Sposata con Jasper da nove anni. Si
sono sposati dopo il liceo, Jake! Ed hanno due
bambine bellissime! E guarda tu. Ti sei sposato tre mesi fa con una donna
bellissima, e lei ora è a casa, in attesa di due gemelli. Ed io? Ho
ventotto anni, Jacob. Non ho un fidanzato. Non mi passa neanche per la mente
l’idea di trovarmi qualcuno e sposarmi. Cos’ho
che non va?”
“Cos’hai che non va? Che tua madre ti mette talmente cose in
testa, che ecco i risultati.” Disse, indicandola.
“Bella, tu sei una donna con le palle. Una che si è mantenuta da
sola, per una vita intera. Stai bene, ora? Rispondimi.”
Bella annuì
distrattamente.
“Ecco,
questo è l’importante. L’uomo della tua vita arriverà, Bella. Lo
sappiamo tutti e due, questo. Magari non ora. Magari
invece, già lo conosci. Ed arriverà. Ora, goditi la vita da single, che rimpiangerai per sempre!”
Era inutile chiedere un consiglio a Jacob, perché anche se diceva cose
belle e profonde, andava a finire che sdrammatizzava sempre.
“Non si può
parlare di niente, con te.” Gli diede un’occhiata minacciosa, che
si trasformò in un sorriso.
Finché non senti
il vociare della televisione, che prima era soltanto un rumore di sottofondo.
Attentato alle Torri Gemelle, crollata immediatamente l’area
meridionale, WTC2. Si parla di attentato terroristico. Oh, aspettate! Un
secondo aereo sta per attaccareWTC1, Oh mio Dio!
La voce della
giornalista, shockata da quello che vedeva, si perse fra i vari commenti delle
poche persone che erano nel Pub, mentre a Jacob cadde una bottiglia di liquore,
riversandosi per terra.
Bella continuava a
fissare quel minuscolo schermo della TV, attaccato a pochi metri di distanza da
lei.
Gli
tornò in mente la domanda che Jacob le aveva fatto qualche minuto prima:
. “Stai bene, ora? Rispondimi.”
Aveva detto di sì.
Mentre ora, non stava bene per niente.
“Dove vai!”
La voce di Jacob le arrivò distante, quasi fosse
lontano mille metri da lei. Invece, era proprio lì. Riusciva anche a
sentire la sua mano sul suo polso.
“Devo
andare.” Disse appena, prendendo la borsa e correndo fuori.
New York era caotica, e
lo sapeva bene. Un altro mondo, rispetto a Forks.
Eppure, in quel momento, le sembrò di non aver mai abitato a New York.
Le persone correvano per
la strada, ignari dei taxi e delle macchine che passavano. Altri urlavano. La
maggior parte, aveva il telefono in mano.
Il Cellulare.
Bella tirò fuori
il suo, componendo il primo numero che trovò in
rubrica.
Alice.
Squillava. Ma Bella non ottenne una risposta. Riprovò,
immobile in mezzo alla strada, ma nulla.
Angela.
Partì
immediatamente la segreteria. Era colpa
sua. Faceva spegnere i telefoni personali al lavoro. Non voleva distrazioni
per i suoi dipendenti.
Jasper.
Jazz non rispondeva mai
al lavoro. Mai. Bella provò ugualmente, ma la chiamata andò a
vuoto.
Pensò che stava per vomitare, perché sentì il conato
salirle proprio in gola. Anzi, stava per sven-
“Isabella! Isabel-” Nessuno la chiamava
mai così. Anzi, solo una
persona. “ISABELLA!” Alzò gli occhi, ritrovandosene
davanti due verdi.
“Togliti dalla
strada!” Le issò le spalle, spostandola di qualche metro.
Ma lei non parlava. Ancora immobile, fissava il viso di Edward.
“D-dobbiamo andare.” Cercò di sorpassare
Edward, schivando la sua spalla. Ma non ci
riuscì. Edward la riportò indietro.
“Isabella,
devi bere un bicchiere d’acqua. Entra dentro. Vai da Jacob.”
Bella cambiò letteralmente colore, alzandosi sulle punte dei piedi… nudi.
“Alice e Jasper
sono lì, Edward! Come posso tornarmene dentro?”
“Cosa
vorresti fare, eh? Andare a recuperarli tu stessa? Isabella, non puoi
andare lì. Non possiamo!”
“COSA? Tu non sei normale, Edward.”
Lo spintonò, facendolo arretrare di un passo. “Io vado lì. Alice è la mia migliore
amica.” Scandì quelle parole, mentre sentiva gli occhi diventarle
lucidi.
Edward questa volta la
prese per le spalle, facendole quasi male.
“E
Alice è mia sorella, Isabella. Jasper, mio cognato. Tutta la Cullen Media
Group si trova lì dentro!” Alzò la voce, indicando il fumo
che proveniva da… lì.
Bella aveva il suo
lavoro, lì. La sua migliore amica. I suoi dipendenti.
Edward, aveva la famiglia. Avevano entrambi
qualcosa da perdere, e per cui lottare.
“Entra da Jacob,
Isabella.” Disse di nuovo, questa volta con più calma.
Lei non si mosse.
Perché capì.
Capì che 110 piani
si sarebbero distrutti a domino. Portando tutti via.
Capì che forse,
non c’era nulla da fare, se non aspettare, aspettare ed
ancora aspettare.
Tolse le mani di Edward
dalle sue palle, portandosele dietro il collo. Poi, si buttò sul suo
petto, piangendo.
“Tieni.”
Bella diede una tazza di tè adEsme. “Stai attenta.
E’ bollente.” Sussurrò, facendole una lieve carezza sulla
testa.
Esme alzò gli occhi, stanchi e
cerchiati dalle occhiaie. “Grazie, tesoro.”
Bella si
allontanò, mettendo le mani dentro le tasche di quel cardigan nero che
odiava. Le prudeva sotto la pelle nuda, ed aveva la
fronte imperlata di sudore, perché aveva preparato tè bollente
per tutti.
Si guardò intorno,
soffermandosi sulle foto che ritraevano Jasper ed
Alice insieme. Felici. E poi…
quello che era accaduto poco più di una settimana prima.
“Non possiamo avvicinarci troppo.”
“Io voglio andare lì, Edward!”
Erano nella limousine di Edward Cullen,
bloccati nel traffico di New York. Ma sapevano
entrambi che quello non era un traffico normale.
Lui si tirò i capelli con entrambe le mani,
esasperato. “Devi capire che non puoi fare niente,
Isabella. Nemmeno se riusciamo ad arrivare al World Trade
Center.” La voce di Edward era ferma, sicura,
senza esitazione.
Stettero in silenzio per minuti interi, finché la
limousine frenò di botto, facendoli quasi cadere per terra.
Edward premette un pulsante in alto.
“Eric! Eric, che succede!” Parlava con l’autista.
“I-ioI-io!”
“Eric!”
“Signore, tiri giù il finestrino.”
Sia Bella che Edward tirarono
giù i rispetti finestrini, mettendo la testa fuori. Fra il fumo che
arrivava nella loro direzione, si resero conto che
erano quasi vicini al World Trade Center.
Accorgendosi che WTC1 stava crollando alla velocità
della luce, e poi, scomparve del tutto.
Come se non fosse mai esistito.
Bella si strofinò
gli occhi, appoggiata alla parete bianca di casa Hale.
“Hai preparato
bevande calde per tutti, senza preoccuparti per te.” Si ritrovò
Jacob davanti, con una tazza fumante.
“Non ce la faccio,Jake.”
Inghiottì il nodo che le si era formato in
gola, scacciando con una mano la tazza che Jake
teneva in mano.
“Bells, non mangi da giorni.”
Non voleva toccare
quell’argomento. Perché era vero. Non mangiava da giorni.
Qualsiasi cosa ingurgitava, era per tenersi in piedi. Erano giorni che non
faceva un pasto sano.
Lei alzò le
sopracciglia, facendogli capire che non voleva.
Non voleva parlare di
quello che mangiava o no, quando era
successo quello che era successo.
“Hey, guarda.” Bella alzò gli occhi, fissando
quelli di Jake.
“Che
c’è?”
“Solo
Alice poteva riuscire a farmi vestire in questo modo.” Fece un
mezzo sorriso, indicando l’abito elegante che indossava, con tanto di
giacca e cravatta.
Edward aveva lasciato la sua giacca in macchina, aveva tirato
le maniche della camicia fino ai gomiti ed allentato
la cravatta.
“Sono il dirigente della Cullen
Media Group, posso sapere qualcosa?”
“Signore.” Un poliziotto gli si avvicinò,
posandogli una mano sulla spalla. “Le conviene allontanarsi da qui, il prima possibile.”
“Voglio sapere!” Il poliziotto gli indicò
un altro suo collega, in lontananza.
“Lì stanno prendendo i nominativi
di tutti. Dei superstiti, delle vittime, di tutte le persone che sono dentro
l’edificio. Ma signore, io le consiglio di nuovo di
allontanarsi!” Edward nemmeno fece caso alle ultime parole che il
poliziotto urlò, perché si precipitò dall’altra
parte della strada.
“Stai bene?”
“Bella, non
preoccuparti per me.” Ricevette un sorriso da Leah,
mentre si abbassava di qualche centimetro per accarezzarle la pancia, ormai ben
visibile.
Si allontanò di
nuovo, entrando nella cucina vuota e sedendosi su uno sgabello. Lì
c’era troppo silenzio. I pensieri non la lasciavano stare, bombardandole
la testa.
“No. No. Non si preoccupi. Sì, la
aspetteremo qui. No, l’avvocato ancora non è arrivato. Signora,
no. Glielo prometto, non parleremo con l’avvocato senza di voi. Va bene. Arrivederci.”
“Qualche
problema?” Non aveva potuto fare a meno di ascoltare la conversazione di
Edward.
Lui sospirò,
allentandosi la cravatta. Era una cosa che faceva sempre, quando era agitato.
“Gli aeroporti sono
ancora bloccati.” Annunciò. “I genitori di Jasper non
riescono ad arrivare dal Texas.”
“Oh.”
Edward faceva scorrere il dito su quella lista di nomi
infinita, senza trovarne uno di sua conoscenza.
A
B
C
D
E
F
G
H
I
…
Tornò su.
H … Hale.
“Jasper!” Non si rese conto di aver pronunciato
il nome ad alta voce, finché Bella non arrivò al suo fianco.
“Cosa? Cos’hai detto? Hai trovato Jasper?”
Il dito di Edward era ancora lì, puntato su quel
cognome.
“Edward!” Bella lo strattonò per un
braccio, facendole girare nella sua direzione.
“Dov’è? Voglio vederlo! Edward,
cazzo!”
“Non ho detto che Jasper è vivo.”
Sussurrò appena.
“Vuoi una tazza di
tè?” Edward rise, scuotendo la testa.
“No, grazie.”
“Okay.”
Si sedette sullo sgabello
vuoto accanto a Bella, posando la schiena sul piano cottura.
“Come stai?”
Questa volta, fu Bella a soffocare una risata amara. “Una domanda di
merda, eh?” Continuò Edward.
“Alice è
riuscita a far indossare uno smoking a Jacob.” Disse, poi, indicò loro due. “E guardaci.
Noi due, in una stanza da soli, a parlare. Pagherebbe oro, per vedere una cosa
del genere.” Sussurrò infine, mentre la
voce si arrochiva.
Edward le passò un
braccio sulle spalle, attirandola a sé.
“Ritornerebbe
qui soltanto per vedere una cosa del genere. Poi, se ne andrebbe di nuovo con un‘ve l’avevo detto io, che potevate
andare d’accordo’.” Bella
soffocò una mezza risata nel petto di Edward, mentre lui imitava la voce
di sua sorella.
Perché quello gli
era rimasto.
Jasper non c’era
più. E con lui, nemmeno Alice.
22 Settembre 2001
Isabella
bussò lentamente, e senza sentire una risposta, entrò cautamente
nella stanza.
Era piena di fiori,
bigliettini d’augurio per una pronta guarigione ed
una ragazza dai lunghi capelli neri era sdraiata in un letto, proprio al
centro.
Bella posò i fiori
nuovi sul comodino, prendendo quelli vecchi e buttandoli nella spazzatura.
“Mmh.”
“Hey.” Sussurrò appena, avvicinandosi alla
ragazza. “Non volevo svegliarti, scusa.”
“Non
preoccuparti.”
“Come ti
senti?” Bella le accarezzò la fronte, per poi sedersi su una sedia
lì a fianco.
“Meglio.
Il Dottore ha detto che la prossima settimana potrò tornare a casa.”
“E’
fantastico, Angela.”
“Ma
dovrò tornare tutte le settimane, per la fisioterapia.”
Angela era sopravvissuta.
Ed ora era lì, su un lettino
d’ospedale, con una gamba in meno.
“Tesoro, stai
tranquilla.” Le disse Bella, vedendo che i suoi occhi diventavano lucidi.
“Lo
so. So anche di
essere una delle persone più fortunate al mondo, Bella. Eppure…” Non finì la frase, perché il
cellulare di Bella iniziò a squillare.
Lo tirò fuori
dalla tasca, e senza vedere chi fosse, fece per spegnerlo.
“No,
Bella. Rispondi.
Si può trattare di qualsiasi emergenza.” Annuì, riprendendo
il cellulare in mano.
“Pronto.”
“Isabella.”
Edward.
“Hey. Che succede?”
“Potresti venire a
casa di mia madre?” La sua voce era incerta.
“Che
succede?”
“Vieni e
basta.” Edward le attaccò praticamente in
faccia.
“Problemi?”
Le domandò Angela.
“Non
lo so, ma devo andare. Passo domani, promesso.” Le
schioccò un bacio in fronte, uscendo dall’ospedale.
Cosa diamine voleva Edward Cullen
da lei?
“Hey.” Isabella trovò Edward in giardino, con
le maniche della camicia fino ai gomiti, senza giacca e con la cravatta
allentata.
Flashback.
In quel momento,
però, teneva una sigaretta accesa fra le dita.
“Da
quant’è che fumi?”
“Da sempre.”
Disse lui, scoccandole un’occhiata. “Entra. C’è Esme, Carlisle, e i genitori di
Jasper.”
“Perché sono
qui?”
“C’è anche l’avvocato, Isabella. Entra.”
Questa volta era un ordine.
Bella issò la
borsa sulle spalle, sorpassò Edward ed entrò in casa Cullen senza bussare.
Esme, Carlisle,
la signora e il signor Hale erano seduti intorno a
quell’enorme tavolo, mentre l’avvocato, era a capotavola.
“Ciao,
tesoro.” Esme accennò un lieve sorriso,
e Bella le rispose con un cenno della mano.
Si sedette
dall’altra parte del tavolo, posando la borsa a terra.
“Lei deve essere la SignorinaSwan.”
“Posso sapere
perché sono qui?”
L’avvocato ed Isabella aprirono bocca nello stesso istante.
“Signorina Swan, io sono l’avvocato Denali.” Era un uomo
sulla sessantina, capelli e barba bianca, in una posa austera.
“Sì. Ed io
sono la signorina Swan, questo è chiaro.”
Non le piacevano i giri
di parole. Preferiva arrivare dritta al punto.
“Credo che nessuno
l’abbia informata su quello che è successo, pochi minuti
fa.” Bella guardò prima Esme, poi Carlisle.
No, nessuno le aveva
detto nulla.
“No.”
“I signori Hale, appena sposati si sono
recati da me, per parlare di alcune questioni.”
“Appena
sposati?”
Bella si
immaginò un’Alice di diciotto anni, appena uscita da Las
Vegas con un abito comprato dieci minuti prima, e un Jasper di appena
vent’anni con uno smoking di due taglie più grandi della sua.
Era stato un matrimonio
fatto su due piedi. Jasper aveva avuto la brillante idea di chiederle la mano
dopo la cerimonia del diploma, e lei aveva accettato su due piedi.
Quindi, si erano ritrovati
novelli sposi in meno di una mezza giornata, con Isabella Swaned Edward Cullen testimoni
di quel gran giorno.
“Sì,
signorina Swan. Avevano previsto ogni cosa, decidendo
anche a chi sarebbe andata la loro casa e le bambine.”
Isabella non sapeva a chi
sarebbe andata quella villa enorme, frutto di anni di duro lavoro, situata
nella periferia di New York. Eppure, sapeva benissimo a chi sarebbero andate le
sue nipotine: adEsme e Carlisle.
I genitori di Jasper
vivevano in Texas, ed Alice non le avrebbe mai
lasciate andare così lontano.
“AdEsme e Carlisle.”
Disse, indicando le due persone proprio accanto a lei.
Esme aveva quarantacinque anni, e Carlisle ne aveva appena compiuti cinquanta. Avevano avuto
Edward ed Alice da giovani, con appena due anni di
differenza.
Lei era una mamma ed una nonna fantastica, mentre Carlisle,
beh… era Carlisle.
L’avvocato Denali
si rilassò sulla sedia.
“E’ questo il
punto, signorina Swan: i signori Hale
non hanno dato queste indicazioni.”
“Come,
scusi?”
“Proprio
così.” Aggiunse Esme, prendendo la mano
di Isabella e portandola sul tavolo. Stringendola lievemente. “Alice e
Jasper hanno lasciato un testamento, dove le bambine vanno a te e… a Edward.” Disse infine.
Bella passò in
rassegna ogni volto in quella stanza, soffermandosi su quello di Edward,
appoggiato allo stipite della porta a qualche metro da lei.
E l’unica cosa che pensò era che si sarebbe
fumata volentieri quella sigaretta anche lei.
“Toglitelo
dalla testa. Non
mi guardare così.” Edward puntò un dito
contro Isabella, mentre usciva dalla casa dei suoi genitori.
L’avvocato se ne
era andato da qualche minuto, mentre i signori Hale e
i signoriCullen erano
rimasti in casa, discutendo di quello che era appena successo.
Due settimane prima
Isabella Swan era la dirigente di una delle
più famose Gallerie d’Arte di New York. Ora, era una donna senza
un lavoro e con due bambine sulle spalle.
“Cosa
dovrei togliermi dalla testa, Edward?” Lo sfidò,
avvicinandosi di qualche passo.
Non aveva mai sopportato
Edward Cullen. Al liceo era il capitano della squadra
di basket, era fidanzato con la cheerleader più
bella della scuola e lasciava una scia di ragazze innamorate dietro di
sé. Mentre Isabella era piena di brufoli, occhiali spessi come il fondo
di una bottiglia e qualche kilo di troppo.
Il solito cliché.
Peccato che sembrava veramente una soap opera americana: lui la
disprezzava e lei lo odiava. E questo odio reciproco
durava da più di dieci anni.
“Amo
Emma e Mia, Isabella. Immensamente. Ma la risposta è no. Non
possiamo prenderci cura di loro. Siamo le persone meno adatte
in questo mondo, per Dio!” Alzò le mani al cielo, esasperato.
Edward era arrabbiato con
Alice.
Come aveva potuto fargli una cosa simile?
Isabella si
stropicciò gli occhi. “Credi che io sia pronta ad
una cosa del genere, Edward?” Disse, abbassando la voce. “Non lo
sono. Non ho figli, e per quanto mi piacciano i bambini, ora non sono una mia
priorità. Ma… Alice era la mia migliore
amica, Edward. Tua sorella. E le ha lasciate a me. A noi. Cosa pensi che debba fare?”
“Lasciarle a mia
madre.” La risposta di Edward era stata secca e precisa.
Bella scosse la testa.
“C’è un motivo perché Alice e Jasper hanno deciso di
fare una cosa del genere.”
“Un motivo che non
ha il minimo senso, Isabella!” Quasi urlò, alzandosi le maniche
della camicia fino ai polsi. “Non mi interessa
cosa pensassero quei due quel giorno. Isabella, stiamo parlando di Jasper ed Alice. Due ragazzi di nemmeno venti anni che si sono
sposati a Las Vegas. E che hanno avuto la brillante idea di lasciare le loro
figlie a noi due.” Indicò prima lui, e
poi Bella.
Magari Jasper ed Alice non ci avevano pensato bene. Forse, avevano
pronunciato i primi nomi che gli passavano per la testa.
“Adoro tua madre,
Edward. Esme è una donna fantastica. Ma non posso lasciarle a lei, quando so che Alice ha voluto
lasciarle a me. E’ come… tradirla.”
“Oh,
fantastico.” Edward camminò avanti e indietro, prima di tornare
davanti a Bella. “Vediamo se ho capito bene: vuoi crescere due bambine di
sette e tre anni, da sola. Forse senza un lavoro, perché entrambi non
sappiamo cosa succederà ora che abbiamo perso il vecchio. Senza nemmeno
una casa in cui stare con le bambine, nulla. Tutto questo non ha senso, e lo
sai anche tu.”
“A casa di Alice e
Jasper.” Disse Bella.
“Come?”
“Eri uscito.
L’avvocato ha detto che Alice e Jazz hanno lasciato la casa a noi.”
“Non ci
credo.” Sussurrò Edward, esasperato.
“Lo vedi? Hanno
pensato a tutto. Tutto.”
“Non posso prendermi questa responsabilità, Isabella. Il lavoro
mi ucciderà, ora. Dobbiamo trovare una nuova sede, devo
trovare un nuovo personale qualificato. Il lavoro è sempre stato e
continuerà ad essere la mia priorità.
Per quanto le ami entrambe, non posso.”
“Non sto dicendo
che lo devi fare, Edward.” Disse Bella, mettendo una mano sopra la sua.
“Devi solo mettere una firma, per fare in modo che sia solo io a
prendermi cura di loro.Le potrai
vedere ogni volta che vorrai, non me la prenderò. Ma
non posso lasciarle ai tuoi genitori. Sono sicura che Alice aveva un motivo
valido, per fare una cosa del genere. Lascia solo… che me ne prendi cura
io.”
Edward tolse la mano
dalla sua, portandosela alla testa.
“E ce la farai?
Crescere due bambine, da sola?”
“Sì, Edward.
Ho dei soldi, un fondo che ho aperto anni fa. E poi, non ti chiederei mai
niente. Ma lasciale a me. Non mettere in mezzo i tuoi
genitori, o quelli di Jasper. Le cose andrebbero solo a finire male.”
“Sei sicura?”
Bella annuì, alla
fine non molto sicura di quello che stava facendo.
Due bambine sotto la sua
tutela. Per sempre.
“Resteremo a casa
di Alice e Jasper. Affitterò l’attico in cui vivo ora. Non
sarà un problema, Edward.”
Cercò di
convincerlo, guardandolo fisso negli occhi e senza sbatterli.
“Okay.”
Sussurrò infine lui. “Andiamo a dirlo ai miei.” Ed insieme, si diressero verso l’interno della casa.
“Tu non sai cosa
stai facendo, tesoro.” Isabella sbuffò pesantemente.
“Sì che lo
so.”
“Io e tua madre
siamo riusciti a malapena a crescere una bambina, Bells.”
“Non
è vero.
Guardami ora. Non sarei mai diventata così se non fosse stato per voi.
Beh, più grazie a te che alla mamma.” Disse Bella, sistemandosi
meglio la cornetta fra l’orecchio ed il collo.
“Emma
e Mia sono due bambine fantastiche, Bells. Le adoro immensamente, ma non era
meglio che rimanessero con Esme? Tesoro, hai solo ventotto anni.” Charlie mise
molta enfasi quando pronunciò l’età di sua figlia.
Per lui, era sempre la
sua bambina.
“Papà, ho già ventotto anni. Alice
avrà avuto i suoi buoni motivi, lo sai. Voglio tenerle
con me.”
“Lo sai che
sarà un lavoro a tempo pieno, vero? Avrai due bambine. Non potrai
lamentarti, stancarti o darle indietro, Bells.
Resteranno con te per sempre.”
Isabella sorrise,
pensando al suo futuro già progettato.
Sapeva benissimo che il
giorno dopo la sua vita sarebbe cambiata. Sapeva anche
che poteva farcela, perché Alice contava su di lei.
“Lo so, papà. Non c’è bisogno che me lo
ripeti. E non vedo l’ora che vieni a trovarmi per qualche giorno.”
“A metà
Novembre sarò a New York, tesoro. Promesso.”
“Perfetto. Allora
ci sentiamo in settimana. Saluta Sue.”
“Certo. Ciao Bells.”
“Ciao
papà.”
Bella riattaccò,
buttò il telefono sul letto e lo seguì subito dopo.
La maggior parte dei suoi
vestiti era già stata messa in valigia con l’aiuto di Leah, che non aveva voluto sentir ragioni.
Jacob invece
l’aveva aiutata ad impacchettare le sue
cianfrusaglie, i quadri ed i libri, e li aveva già portati nella nuova
casa.
A casa di Alice e Jasper.
Perché Bella
sapeva benissimo che quella sarebbe rimasta per sempre la casa dei suoi
migliori amici.
Il letto era spoglio, con
solo un cuscino sopra. Nel pomeriggio aveva messo un annuncio online e si era
recata all’agenzia immobiliare.
Il fondo di cui parlava
con Edward non era poi così sostanzioso, ed
aveva bisogno di soldi. L’affitto l’avrebbe aiutata di molto, sia a
lei che alle bambine. E non si sarebbe mai abbassata a
chiedere qualcosa a Edward.
Capiva la sua decisione
di non andare con loro, ma tutto o niente.
Se aveva deciso di
continuare a vivere la sua vita per conto suo, lei non gli avrebbe mai chiesto
nulla.
Con il pensiero che
Edward l’aveva lasciata davvero da sola iniziò a chiudere gli occhi, cullata dal silenzio
assoluto del suo attico vicino Central Park.
23 Settembre 2001
“Mi
odieranno.” Isabella sistemò l’ultima candela sopra il
ripiano del camino, guardando la foto di Alice e Jasper.
“Ti amano, Bella. Sei fantastica.”
Urlò Leah dall’altra parte della stanza.
Erano a casa di Alice e
Jasper.
A casa sua, ormai.
“Non sarò
mai come Alice. Lei le adorava,Leah.
Era la loro mamma. Non mi ameranno mai. Non si divertiranno, con me. Forse
avrei dovuto ascoltare Edward, e lasciarle con Esme e
Carlisle. Loro sono fantastici, ed
i-”
“Shhh.” Leah era tornata
dall’altra stanza, e le prese una mano fra le sue. “Basta parlare.
Stai vaneggiando. Ti hanno sempre adorata, lo sai
bene. E scusa se te lo dico, ma Edward è stato un codardo.”
“Edward aveva altre
cose a cui pensare, Leah. Ha ragione.”
“Bella, non ci si
tira indietro di fronte ad una notizia come questa. Edward è un codardo,
e se ne pentirà amaramente.”
“Smettila di
parlare così, dovrebbero tornare da un momento all’altro.”
Erano le tre del
pomeriggio. Leah aveva insistito per aiutare Bella a
sistemare la casa con le sue cose, Jacob aveva delle commissioni da sbrigare al
Pub e Edward si era offerto di andare a prendere le bambine a scuola.
“Da
quant’è che lo difendi? Non era il tuo peggior
nemico?”
Bella le lanciò
un’occhiataccia. “Tu credi che possiamo tornare ad
essere quelle due persone che non possono stare nella stessa stanza per
più di cinque minuti, dopo tutto quello che è successo?”
Leah scosse la testa. “No.
Guardati, sei già diventata un’altra persona.”
La indicò, sorridendo amorevolmente. “Ora, io me
ne vado. E tu sarai perfetta, Bella. Ah, e cerca di dar fede a quello
che hai detto: non ucciderti con Edward dopo due secondi.”Leah non riuscì a sentire gli epiteti poco
carini che Bella le lanciò, ma invece
quest’ultima sentì benissimo la voce di una bambina sul portico.
Poco dopo, si erano tramutate in urla dentro quella casa enorme.
“Zia Bella!”
Emma buttò la giacca e lo zaino a terra, buttandosi tra le braccia di
Isabella.
“Hey, tesoro.” Le scostò quei capelli lisci e
nerissimi da davanti al viso. “Com’è andata a scuola?”
Iniziò a
raccontarle tutto quello che aveva fatto quel giorno a scuola: dai disegni al
dettato che aveva svolto perfettamente.
Alice era rimasta incinta
di Emma a soli diciannove anni, poco dopo il matrimonio. Quella bambina era una
forza della natura, tale e quale a sua madre. Lunghi capelli neri, una
corporatura esile ed una parlantina sciolta che non
finiva mai.
Mia invece, aveva appena
tre anni. Ed era uguale a Jasper: capelli biondi, grandi occhi marroni e due guance tutte da mordere.
“Tesoro,
dov’è Mia?”
“Sì
è addormentata in macchina. Si addormenta sempre in macchina, dopo l’asilo. Non
è possibile. All’asilo non si fa niente, no? Io all’asilo
non facevo niente, e mi annoiavo da morire. Ora che sono alle elementari e studio, non sono per niente stanca. Non
è vero, zia Bella? Tu ti stancavi
all’asilo?” Bella perse il filo del discorso, notando che Emma non
aveva nemmeno preso aria per finire il suo.
“Vado a vedere
dov’è Mia.” Le puntò un dito contro. “Tu non
muoverti di qua, perché quando torno ci sarà una bella sorpresina
per te.” Emma saltò su entrambi i piedi, squittendo in modo
innaturale.
E’ proprio uguale ad Alice.
Intanto Bella uscì
dalla casa, quasi scontrandosi con Edward che teneva in braccio un fagottino
rosa.
“E’ crollata
in macchina.”
“Me l’ha
detto Emma.” Sorrise, lasciandolo entrare e chiudendo la porta. “La
porti su?” Edward annuì, dirigendosi verso le scale e salendo al
piano superiore.
“E’ vero che
tu e zio Edward resterete qui?” Isabella saltò letteralmente sul
posto, portandosi una mano sul cuore.
“Tesoro! Non lo fare mai più! Mi hai spaventata.” Lei rise sotto i baffi.
“Lo
so. Spaventavo
sempre anche papà, e mamma rideva insieme a
me.” Trotterellando si avviò verso la cucina, sedendosi su uno
degli sgabelli intorno al piano cottura.
“Vuoi fare
merenda?”
“Voglio pane e
nutella.” Bella aprì ben tre sportelli, prima di trovare quello
del pane e della nutella.
Ne spalmò un
po’ sulla fetta di pane, la mise in un piattino e lo posò davanti
ad Emma. Dopo, le versò del succo di frutta in un bicchiere di plastica.
“Allora.”
Incominciò, dopo essersi impiastrata tutto il viso di nutella e
briciole. “E’ vero che tu e zio Edward starete qui con noi?”
Isabella sospirò.
Non sapeva come dirle che soltanto lei sarebbe rimasta con loro, mentre Edward
era fuori da tutto questo.
“Tesoro.”
Iniziò, preparandosi mentalmente le parole da usare.
Perché era facile
parlare e convincere un uomo a comprare un quadro da centomila dollari, mentre
parlare con una bambina di sette anni era la cosa
più difficile al mondo?
“Soltanto se ti
comporti bene, mangi la verdura e vai a letto prima delle dieci.”
“Ma
mamma mi faceva andare a letto dopo i cartoni animati!”
“Io non sono
mamma.” Edward fece la linguaccia ad Emma,
mentre Isabella guardava estasiata il dibattito fra i due.
“Allora, vivete qui
o no?”
“Perché, a
te cosa cambia?” Domandò Edward, sedendosi accanto a lei e dandole
un pizzicotto sulla guancia.
“Soltanto per farvi
sapere che il bagno in fondo a destra è mio. Quello con la vasca da
bagno ed il sapone di Kiss Me
Licia.”
“Ho capito. Non
useremo il bagno in fondo a destra.”
“Oh, puoi anche
usarlo. Basta che non ti lavi nella mia
vasca e non usi il mio sapone.”
“Va bene, capo. Ora
perché non vai a fare un po’ di compiti? Sennò stasera ti
mando a letto prima della fine dei cartoni animati.”
Emma si alzò in un
batti baleno, si pulì la faccia alla belle e
meglio con un tovagliolo e salì al piano superiore.
“Ora come faccio a mandarla
a letto prima delle dieci?” Domandò Bella, posando il piatto ed il bicchiere nel lavello.
“Troveremo una
soluzione.”
“Troveremo?”
“Ah, devo andare a
prendere le mie cose in macchina.” Edward si alzò, dirigendosi
verso l’uscita.
“Hey! Mi spieghi cosa sta
succedendo?”
“Prima che me ne
dimentichi.” Edward si voltò, puntandole un dito contro. “La
camera con il balcone è la mia.” Disse infine, uscendo dalla casa
e lasciando Isabella con gli occhi allargati e la bocca dischiusa, in mezzo
alla cucina come una stupida.
“Stai
esagerando.” James tolse il bicchiere di vetro dalla mano di Edward,
posandolo lontano da lui.
“Ancora.”
Disse lui, risoluto.
Era a casa di James
Nomadi, uno dei suoi miglior colleghi e migliore
amico.
“Edward,
basta.
L’ultima volta che ti sei ubriacato è stato quando hai trovato Tanya a letto con un altro. Alla fine del College. Quasi
dieci anni fa. Ora, basta.” Gli puntò un dito contro, affondando
nella poltrona di pelle.
“Se dieci anni fa
mi avessero detto che questa sarebbe stata la mia fine…”
“Fine?” James
rise, accavallando le gambe.
“Perché, non
è la fine?”
“Edward, capisco
che è difficile. Lo è ancora per tutti. Abbiamo perso familiari,
amici e colleghi. Ma questo non è il modo
giusto di comportarsi. Fatti passare la sbronza e vai a parlare con Bella.”
“Tu nemmeno la conosci,Bella.
Non sai che tipo è, e di certo io non voglio passare il resto della mia
vita con lei.” Strascicò le parole,
buttando la testa all’indietro, sulla poltrona.
Non poteva andare a
vivere con Isabella Swan. Questo era fuori discussione.
Maledetta Alice.
“So che Bella
è l’unica donna al mondo che riesce a tenerti testa.”
“Ppf.” Sbuffò Edward, riafferrando il bicchiere
di tequila. “Quella è un diavolo. Non ho intenzione di finire con
lei, per il resto della mia vita.”
“Edward, non dovete
sposarvi o altro. Devi soltanto conviverci per un po’ di tempo. Vedere
come vanno le cose.”
Edward si alzò,
avvicinandosi al suo amico.
“E’
una cosa troppo grossa, James. Non posso vedere come vanno le cose e basta. Se decido di prendermi una responsabilità del genere, sarà
per tutta la vita. Una vita segregato in una casa non mia, con una vita che non
mi appartiene. Non esiste.” Disse, per poi tornare seduto
sull’altra poltrona.
“Segregato? Una casa non tua? Quella è
casa tua, Edward. E’ casa di tua sorella. Una vita non tua? Quelle invece
sono le tue nipoti, Edward. Le figlie di tua sorella, e ti appartengono
più di ogni altra cosa al mondo. Quindi,
smettila di fare il coglione. Alza quel culo e vai a
parlare con Bella.”
“Che risolvo se ci
parlo? Ci siamo visti oggi. Abbiamo parlato con i miei genitori e con quelli di
Jasper. Lei ha solo ventotto anni, James. Non ha mai voluto figli, da quello
che ricordo. Non ha un ragazzo, ma soltanto un attico dove
vive da sola. Non sa come fare la madre, James. Tu pensi che alle mie nipoti
basti soltanto una zia, ora? No. Hanno bisogno di una figura materna. E mia
madre era perfetta per questo. Le avrebbe cresciute lei, e Isabella sarebbe
potuta andare a trovarle ogni volta che voleva. Ma no!
Quella è una testarda! Si è presa la
responsabilità di due ragazzine, senza nemmeno un lavoro.”
“Quanto
parli.” Disse James, smuovendo il ghiaccio dentro il suo bicchiere.
“Adoro tua madre, lo sai anche tu. Ma sai anche che Alice avrà avuto i suoi buoni motivi, per fare una cosa del
genere.”
Edward picchiettò
il dito sulla sua tempia.
“Era matta, James.
Una pazza. Sono d’accordo sul fatto che prevenire sia meglio del curare,
e che siano stati tutti e due molto intelligenti a
fare un testamento, subito dopo il matrimonio. Ma questo
è troppo.”
“Tua sorella ti
voleva bene più di qualsiasi altra cosa al mondo, Edward. E’ per questo che ha scelto di prendere una decisione
del genere.”
“No. E Jasper era talmente accecato
dall’amore che provava per lei, che nemmeno avrà detto qualcosa
quando lei ha preso questa decisione. Perché lo sappiamo entrambi, Alice
ha scelto sia per lei che per lui. James,
pensa se fosse successo prima. Pensa se Alice e Jasper fossero morti dieci anni fa: chi avrebbe preso le bambine? Io che
avevo solo vent’anni e Isabella che ne aveva
appena diciotto? Cazzo!” Si alzò di nuovo,
camminando avanti e indietro per quell’enorme salone. “Alice aveva seri problemi, a proposito. Non posso buttare tutto all’aria così!”
Alzò la voce di qualche ottava, gesticolando con le mani.
“Lo sai qual
è il punto, Edward?” Domandò James, alzandosi anche lui per
avvicinarsi a Edward. “Ormai tutto è andato già a puttane.
Il lavoro, le famiglie, persone che non sanno più cosa fare della
propria vita. E tu hai un minimo di speranza, Edward! Andare a vivere con
Bella, stare tutti i giorni con le tue nipoti ti aiuterà. Aiuterà
entrambi. Se vuoi usare la scusa del lavoro, fai pure. Ma sai benissimo che
abbiamo già trovato una nuova sede in affitto, che il team di Los
Angeles trasferirà nuovi impiegati qui, per
aiutarci. E sai che non è un problema.” James gli puntò un
dito contro, toccandogli la camicia. “Il problema è che sei
spaventato, ed hai tutte le ragioni del mondo per
esserlo. Ma hai la tua famiglia, qui. I tuoi amici, la
possibilità di passare più tempo con le tue nipotine, ma non ne
hai il coraggio. Bella invece non ha nessuno, e guarda ora
dove si trova: in una casa che nemmeno conosce, con due bambine che
prima vedeva soltanto alle cene di famiglia.”
“Non paragonarmi ad Isabella.” Disse Edward, voltandosi. “Noi due
non abbiamo nulla in comune. Ci conosciamo da più di dieci anni, ma non
abbiamo mai parlato veramente. Quindi, non ti permettere di paragonarmi a lei.”
“E’ qui che
ti sbagli, Edward. Ora avete in comune più cose
di quanto credessi. C’è qualcosa che vi unisce, e che vi unirà per il resto delle vostre vite. Ma decidere sta a te.”
“Non è una
decisione da prendere in una giornata, James.”
“Edward,
questa è una decisione che si può prendere anche in cinque minuti. Hai trent’anni, e sei un uomo
di successo. Devi soltanto decidere se sei un codardo o no.”
Così dicendo, James uscì dalla stanza.
Portando dietro di sé il rumore di un bicchiere di vetro che si frantumava.
23 Settembre 2001
“L’avevo
detto io che era un uomo intelligente!”
“Leah! Sei un’ipocrita! Nemmeno ventiquattro ore fa
hai detto che Edward è un codardo.”
“L’ho detto
apposta, che ti credi?” Bella sapeva benissimo che non poteva contraddire
una donna incinta, per di più di due gemelli e al settimo mese.
“Okay.”
“Non fare come
Jacob, ora. Ogni volta che faccio o dico qualcosa di sbagliato, mi da sempre ragione. Sono incinta, ma non
isterica.”
“Cambiamo argomento
che è meglio.” Disse Bella, trattenendosi dal ridere.
Sapeva benissimo che Leah era incinta, ed anche molto isterica.
“Ora dove
sono?”
“Mia dorme ed Emma
è giù a guardare i cartoni con Edward.” Spiegò,
alzandosi dal letto.
“Bella, sono le
nove e mezza! Lo sai che dovrebbe stare già nel
suo letto?”
“I piani erano
quelli. Ma ha detto che Alice le faceva vedere la TV fino alla canzone della
buonanotte. Non voglio stravolgere i loro ritmi.”
“Hai
ragione.” Leah sospirò, dall’altra
parte del telefono.
Isabella pensò che
prima c’era Alice, al posto di Leah. Ogni sera la chiamava sempre, per raccontarle come
era andata la giornata. Per farsi dire come stavano le sue nipotine, cosa
facevano e se poteva parlare con loro.
Strinse gli occhi,
ricacciando indietro le lacrime.
“Senti, vado
giù e vedo se riesco a scollarli dal divano.”
“In bocca al lupo.
E non litigare con Edward davanti alle bambine!”
“Non ti
preoccupare, per ora va tutto alla grande.”
“Questo
perché non sono passate nemmeno cinque ore. Fra una settimana voglio
proprio sentire come starete. Con l’acqua alla gola, te
lo dico io.”
“Fantastico, Leah. Sei
un’amica incredibile.”
Leah rise rumorosamente.
“Ci sentiamo domani, tesoro. Buonanotte.”
“Buonanotte Leah.”
Bella posò il
cellulare sul comodino della sua nuova stanza, si sistemò
la maglietta ed i pantaloncini che usava per dormire, e poi scese al piano
inferiore.
Ovviamente Edward ed Emma
erano stesi sul divano, il primo con le gambe allungate sul tavolinetto di
vetro davanti a sé, e la seconda rannicchiata al suo petto.
“Questo non
è un bel cartone.” Sentì dire da Edward, che indicava la TV.
“Se non ti piace puoi anche andare a dormire.” Rispose Emma,
facendo scappare un sorriso a Bella, rimasta sull’ultimo scalino per non
disturbarli.
“In pratica
è una donna, in teoria dovrebbe essere un uomo. Maria Antonietta si
è innamorata di lei! Ti rendi conto di cosa stai guardando?”
“Zio, è Lady
Oscar! Non mi interessa di chi si innamora, mi piace e
lo guardo.”
“Speriamo che tua
sorella non guardi cartoni del genere.”
“No.” Emma
gesticolò con le mani. “Lei guarda solo HelloSpank.”
“Oh, Dio.
Quell’animale amorfo.”
Emma alzò gli
occhi, fissando Edward.
“Che significa
amorfo?” Lui invece sospirò, alzando gli occhi nello stesso
identico modo di sua nipote.
“Lascia stare.
Comunque, Lady Oscar non è un cartone educativo. Dobbiamo
vederne altri.”
“Piccoli problemi
di cuore?”
“Emma! Quelli sono
fratelli, invece!” La bambina rise, accoccolandosi di più sul
petto di Edward e sbadigliando sonoramente.
“Non è ora
di andare a letto?” Bella decise di avvicinarsi a loro, appena dopo aver
finito la discussione per l’animale amorfo e il quasi incesto in Piccoli
problemi di cuore.
“No. La canzone della buonanotte non
è ancora arrivata.” Sbadigliò di
nuovo, puntando un dito contro Bella.
“E tu sei
stanchissima, invece. Ti ricordi che domani c’è
scuola, vero?”
“Uffa. Posso
prendermi un giorno di vacanza?”
“Non se ne
parla.” Edward precedette Bella nella risposta. “Tu domani vai a scuola. Proprio come tua sorella.”
“Mi accompagni tu,
zia Bella?”
Bella si sedette sul
divano, torturandosi le mani. “Non è meglio che ti accompagna zio
Edward?”
“Mi accompagna
sempre lui! E poi la maestra di Mia vuole che entra sempre
con lei.”
Bella arcuò le
sopracciglia, scoccando un’occhiata a Edward che invece era molto preso
dal cartone in quel momento.
“Ah,
veramente?”
“Sì. Anche
quando ci accompagnava papà, la signorina Jessica voleva che
accompagnasse Mia dentro. Quando invece ci portava mamma, la salutava sempre da
fuori.”
Bella ci mise due secondi
a inquadrare che tipo potesse essere la signorina Jessica.
“Tesoro, ti
prometto che ti accompagnerò la prossima settimana. Ma ho del lavoro da
sbrigare, e non ho la macchina. Invece zio Edward ha la macchina, e ci impiega meno tempo. Okay?”
Emma non era molto sicura
della scusa che le aveva rifilato Bella, ma annuì lo stesso, troppo
presa ad ascoltare la canzone della buonanotte che era appena iniziata.
Nemmeno diede il tempo
alla ragazza in TV di intonare l’ultima strofa, che aveva chiuso gli
occhi ed era crollata.
“La porto
su.” Disse Edward, caricandosela in braccio e salendo le scale.
Intanto Bella tirò
fuori dalla sua borsa alcuni documenti, portandoseli in cucina. Si sedette su
uno sgabello, e aprì le cartelline davanti a sé, esaminandole con
cura.
“Problemi?”
Sobbalzò, quando sentì la voce di Edward.
“Mh. E’ da giorni che cerco di contattare
l’agenzia per avere una nuova struttura dove poter esporre. Ma niente.”
“Provato alMoMa?” Bella rise
talmente forte che dovette coprirsi la bocca con la mano. “Era divertente?”
Domandò Edward scettico, sedendosi davanti a lei.
“Edward, è
vero che gli artisti che si affidano a me sono conosciuti e famosi, ma ilMoMa è troppo anche per
me.”
“Provare non costa
niente, no?”
“Esageri
sempre.” Gli schioccò un’occhiataccia, sistemando i
documenti e rimettendoli nelle cartelline.
“Dote di
natura.” Edward sbadigliò, stirando le braccia. “Ripeto:
provare non costa niente, Isabella.”
“Ora basta.”
Bella chiuse l’ultima cartellina con più forza, puntandogli un
dito contro. “Ora abitiamo insieme, volente o nolente. Ed io odio quando
le persone mi chiamano Isabella.”
“E’ il tuo
nome.” Disse Edward, con ovvietà.
“Lo so che è
il mio nome, Edward. Ma non chiamarmi Isabella. Siamo
persone adulte, ormai. Basta con questo giochetto, perché anche se
abbiamo trent’anni, continua ad
innervosirmi.”
“Giochetto?”
Bella sorrise amaramente.
“Non è uno
stupido gioco che va avanti da quando ci siamo conosciuti?”
“Aspetta. Tu credi che ti
chiamo Isabella per darti fastidio?” Facendo quella domanda si era
alzato, aveva superato il tavolo e si era avvicinato a Bella.
“Non è
così?”
“No.” Le
diede un piccolo buffetto sulla fronte. “Ti chiamo
Isabella perché è un nome che mi piace. Molto più
di Bella. Ed ora, vado a dormire. Buonanotte.”
Allungò la mano destra portandola dietro il collo di Bella, avvicinando
lentamente la testa di lei a quella di lui. A pochi
centimetri di distanza, le schioccò un bacio sulla fronte. Dopo qualche
minuto, era già salito al piano superiore.
Lasciando
per la seconda volta la ragazza con la bocca mezza aperta e gli occhi sbarrati,
attaccata al piano cottura. E con la stessa domanda che le rimbombava nella testa.
“MIA!” Bella urlò
a squarciagola, con il pettine in una mano e due elastici rosa
nell’altra.
Dopo pochi minuti, trovò
quella peste nascosta sotto il suo letto.
“Tesoro”,
iniziò, sconsolata “Dobbiamo sistemare quei capelli.” A
differenza di Emma, Mia aveva corti capelli ricci. Talmente ricci, che per
pettinarli ogni giorno era un problema.
“No.” La
risposta secca arrivò alle orecchie di Bella.
“Amore, dobbiamo
fare due codini. Ti prometto che sarai la più bella della scuola.” Con quelle poche parole, Mia era uscita dal suo
nascondiglio e si era messa davanti a Bella.
“Davvero?”
“Te lo
prometto.”
Emma aveva preso la testa
dura di Alice, mentre la più piccola aveva la mania della moda,
già a tre anni. Decideva da sola cosa voleva mettersi la mattina per
andare a scuola, scartando i vestiti che Isabella le preparava la sera prima.
“Pasta che non mi fai male.”
“Farò
piano.”
Con un sospiro rassegnato
si sedette sulla sedia, mentre Bella si posizionò
dietro di lei ed iniziò a pettinarle quei ricci con cautela.
“Ieri zio Edward mi
ha staccato i capelli.”
Isabella cercò di reprime una risata.
“Diciamo che zio
Edward non è abituato a pettinare le bambine.”
“Ma
ero tutta psettinata!”
“Invece stamattina
sarai bellissima. Ho quasi finito.” Bella strinse l’elastico
intorno ai capelli, e ammirò soddisfatta quello che aveva fatto.
“Ecco. Non sei forse bellissima?”
“Mmmh.” Rimase davanti allo specchio per qualche
minuto. “Pecché
Emma ha i capelli nunghie io no?”
“Tesoro, Emma ha i
capelli lisci. Anche i tuoi sono lunghi, ma sono ricci. Fra qualche anno avrai
dei capelli lunghi e bellissimi.”
“Uffa.” Non
era contenta della risposta, ma scese ugualmente al piano inferiore senza
ribattere, facendo dondolare la sua gonnellina rossa e lasciando Bella da sola.
“Non so chi sia peggio.”
“Se la giocano.
Emma non sta un minuto zitta, mentre Mia starebbe ore
ed ore davanti allo specchio. Diciamo che nessuna delle due ha preso il
carattere mite di Jasper.”
“Purtroppo.”
Edward sospirò, sistemandosi il nodo della cravatta.
“ZIA BELLA! FORZA!”
“Appunto.”
Disse lei, ubbidendo all’urlo che proveniva dal piano inferiore.
“Sicura
di non avere del lavoro da sbrigare?” Chiese Edward, seguendola per
andare giù.
“Tranquillo.”
Liquidò con una mano. “Ho delle cose da sbrigare in centro, e poi
ho promesso ad entrambe che le avrei accompagnate a
scuola. E lo sai come sono fatte.”
“Se non mantieni la
promessa, sono guai.”
“Bravo.”
Bella finse un applauso, mentre Edward alzava gli occhi al cielo.
Entrarono in cucina, e
Isabella si diresse verso la credenza per cercare qualcosa da mangiare.
“Non manciare
quello!” Rimase con la barretta al cioccolato a mezz’aria,
guardando Mia.
“Perché?”
“Ti fa male. Io mi
stono sentita male, l’altra volta.”
“Male?”
“Sì.”
Intervenne subito Emma. “Quando sei andata a quella cosa per lavoro. Mia
ha mangiato tutta la scatola di barrette al cioccolato e si è sentita
male.” Bella lanciò un’occhiataccia
a Edward, che con disinvoltura fissava l’interno della tazza che teneva
in mano.
“Perché non
vengo mai a sapere le cose spiacevoli che accadono, quando non ci sono?”
“Stai
esagerando.” Disse lui, posando la tazza nel lavello. “E’
stato un piccolo errore di percorso.”
“Pfff. Ma se hai chiamato James e quasi piangevi
perché non sapevi cosa fare.”
“EDWARD!”
“EMMA!”
Parlarono insieme. Isabella sgridò Edward, mentre lui sgridava
la bambina, che in quella casa era la bocca della verità.
“Non potevi
chiamare me?”
“No. Avevi quella
cosa di lavoro, e non volevo disturbarti.”
“Non è vero.
Diceva a James che diventavi la solita zitella acida se venivi a sapere questa
cosa. E poi ti arrabbiavi con lui.”
“Zitella acida?” Bella puntò
un dito contro Edward. “Cos’è questa storia, scusa?”
“Niente!”
Alzò le mani per difendersi. “E poi non ho detto questo.”
“Ah, davvero? E
cos’hai detto?”
“Basta. Dobbiamo andare a scuola.”
Emma li interruppe, salvando Edward da una situazione un po’ tragica.
Uscirono
tutti dalla casa, e prima di entrare in macchina Bella puntò di nuovo il
dito contro Edward: “Resta una questione aperta, Edward. Ne riparleremo dopo.” E
così dicendo, chiuse con forza lo sportello
della Volvo, facendo trasalire il suo proprietario.
“Non mi
piace.”
“Ma
se ci hai parlato per cinque minuti!”
“Noi donne abbiamo
un sesto senso. Non mi piace. E poi, hai visto com’era
vestita?”
“Molto bene.”
Isabella diede una
spallata a Edward, che continuava a guidare in mezzo al traffico di New York.
“Ahi!”
“Te la sei
cercata.”
“La Signorina Jessica
non è così male. Poi mi offre sempre il caffè, prima che
suoni la campanella.”
“Oh, quanta
generosità. Ti sei mai chiesto il
perché?”
Edward soffocò una
risata, perché conosceva benissimo il motivo.
“Basta ora. Dove ti
devo portare?”
“Non c’è bisogno, Edward. Posso anche prendere un
taxi.”
“Vorresti scendere
da questa bellissima macchina, con i sedili in pelle,
profumatissima, per entrare in un taxi sudicio?”
“No. Però
non voglio che fai tardi a lavoro.”
“Sono i vantaggi di
essere il Capo, Isabella.”
“Blablabla.” Lo scimmiottò lei, alzando la testa
al cielo. “Comunque, undicesima a ovest, cinquantesima strada.”
“Scherzi?”
Bella abbassò la testa, senza rispondere. “Oh. Oh. Io, lì? Non mi calcoleranno mai. Blablabla.”
Edward ripeté la scena di poco prima, rendendosi conto che in quella
strada si trovava ilMoMa.
“Infatti
non è nulla, Edward. Soltanto un colloquio. Dicono che la direttrice delMoMa sia la più
spietata del mondo.”
“Tu sei la
più spietata del mondo, per quanto riguarda il lavoro.”
“Non è
vero.”
“Vogliamo parlare
di quell’artista emergente che trovai anni fa sul mio piano, mentre
piangeva ininterrottamente? Perché Isabella Swan
l’aveva liquidato con un semplice ‘fare arte non fa
per te.’”
“Era la
verità, Edward. Bisogna sempre dire la
verità, in questi casi.”
“Se la
verità della direttrice delMoMa
sarà spietata, non venire a piangere da me.”
“Oh, non ti
preoccupare. A proposito, dobbiamo parlare di una cosa.”
“Cosa
c’è ora?”
“Dobbiamo fare un
calendario?”
“Eh? Quella roba
che Alice e Jasper ci spedivano per Natale, con foto per ogni mese? Non credo
proprio.”
Isabella sbuffò,
pensando che era una causa persa parlare con Edward.
“No. Un calendario
con i nostri impegni. Ci saranno dei giorni in cui tu non potrai guardare le
bambine, e ci sarò io. E viceversa.”
“Ieri sei andata
via per tutto il pomeriggio, e ci sono stato io. Qual è il
problema?”
“E se invece fossi
stato impegnato? Dobbiamo sapere anticipatamente i nostri impegni. Si chiama organizzazione.”
“Sono il Dio
dell’organizzazione, Isabella.”
“Oh, mi scusi Dio
dell’organizzazione.” Bella si rese conto che erano
arrivati fuori al MoMa, e di avere le mani che
sudavano.
“Non ce la
farò mai.” Sussurrò, guardando l’edificio da fuori.
“Entra.”
Quello di Edward non era un consiglio, ma un ordine.
“Ci vediamo
oggi.” Aprì lo sportello e scese dalla Volvo.
“Isabella?”
“Sì?”
“In bocca al
lupo.” Bella assottigliò gli occhi, perché Edward sapeva
benissimo cosa c’era dietro a quell’augurio. Che lei detestava. Non
fece in tempo a rispondere, che sgommò via con la sua macchina.
Intanto lei non ci
pensò due volte, e decise di entrare. Non era la prima volta che entrava
alMoMa, ma era la prima che
lo faceva come una possibile cliente.
“Salve!”
Salutò la ragazza alla reception con un sorriso tirato. “Sono Isabella Swan.”
“Oh! La signora la sta aspettando,
un secondo.”
La stavano aspettando.
La ragazza digitò
un numero sul telefono, e poco dopo una porta alle sue spalle si aprì.
Notò
immediatamente che quella non era una signora. Ma una
donna bellissima, quasi surreale.
Indossava un tailleur
nero, che definiva le sue curve magnificamente. Alti decolté ai piedi, e
dei capelli biondi che sembravano lunghissimi raccolti in un
chignon scomposto.
“Isabella Swan.” Rimase colpita anche dalla sua voce, bassa e
suadente. “E’ un piacere incontrarla. Io sono Rosalie Hale.”
“Dicevo sul serio
stamattina, Isabella.” Edward posò la sua ventiquattrore su una
sedia, si tolse la giacca e allentò il nodo alla cravatta.
Intanto Bella aveva
alzato quegli occhi grandi e… pieni
di lacrime.
“Pff.”
“Proprio quello che
volevo sentirmi dire.” Sistemò lo sgabello del piano cottura,
sedendosi accanto a lei. “Con tutto quello che abbiamo passato, piangi
per un rifiuto?”
“Non piango per un
rifiuto.” Disse Bella, asciugandosi le ultime lacrime che le erano scese
sulle guance.
“Allora?”
“Da
quant’è che ti interessa tanto?”
Edward rise talmente forte da farla arrabbiare ancora di più.
“Da quando viviamo
insieme. E non guardarmi così, come se potessi uccidermi con
un’occhiata.”
“Rosalie Hale non è spietata, anzi.
In confronto io sembro Hitler in persona e lei un gioiellino.”
“Lo so.”
“Lo sai?”
“Ho conosciuto la
signora Hale anni fa, ad un
Gala. E non mi è sembrata affatto
spietata.”
“Prima o dopo che
te la sei portata a letto?” Edward sbuffò, arricciando le labbra.
“Isabella, non mi
sono portato a letto tutte le donne di questo pianeta, sai?”
“Oh, ma non avevo
dubbi. Di sicuro tutte quelle di New York, però.”
“Di certo non la
mia.” Detto questo, si alzò per andarsi a prendere un bicchiere
d’acqua.
“Allora.”
Edward la seguì con lo sguardo fino al lavandino. “Perché
piangevi?”
“Non
piangevo.”
“No, certo.”
“Rosalie Hale mi ha offerto il lavoro al MoMa. Sarà diverso da quello che facevo prima, ma
è pur sempre un lavoro.”
“Erano lacrime di
gioia, quindi?”
“Sì. Almeno credo.”
Accennò, portandosi il bicchiere alle labbra.
“E da
quant’è che Isabella Swan piange per un
lavoro che è riuscita ad ottenere, soprattutto alMoMa e con un solo colloquio?”
“Sai,
Edward.” Si avvicinò a lui, ma anche se Edward era seduto, non
riuscì ad arrivare alla sua altezza, e dovette alzarsi sulla punta dei
piedi. “Da quando ho perso il mio vecchio lavoro, che amavo più
della mia stessa vita. Da quando i miei migliori amici non ci sono più, ed insieme a loro migliaia di altre persone. Da quando mi
sento una nullità. Non ho mai fatto la madre, e nemmeno era nei miei
programmi. Da quando ti odio da una vita, ma ora mi
tocca vivere con te, sotto lo stesso tetto. A tempo indeterminato.”
Edward tirò fuori
quel sorriso sghembo che gli aveva visto fare molte volte, da quando lo
conosceva.
“Mi odi da una
vita? Addirittura?”
“Ovvio. A parte qualcosa che non riguardi
te, non ascolti altro.” Posò il bicchiere
sul tavolo, e si voltò per andarsene. Finché Edward prese la sua
mano e la fece girare di nuovo.
“Hey.” Sussurrò, guardandola attentamente.
“Lo sai che stavo scherzando.”
“Lo sai che questo
non è il momento migliore per scherzare.”
Edward allungò una
mano, asciugandole una lacrima rimasta impigliata nelle ciglia.
“E’
difficile, Isabella. E ti capisco. Siamo su questa barca insieme, ormai. Ma se ti arrendi, è finita.”
“Ti stai dando alla
filosofia?”
“E menomale che non
era il momento migliore per scherzare, eh!” Alzò entrambe le braccia esasperato, guardandola dalla testa ai
piedi.
“Guarda.”
Edward la indicò con un cenno del capo.
“Cosa?”
“Stai
sorridendo.”
“Finiscila.”
Disse, diventando rossa dalla testa ai piedi. “E perché
c’è tutto questo silenzio?” Edward allargò gli occhi,
diventando bianco. “Edward?”
Si alzò con uno
scatto, frugando nella ventiquattrore per prendere le chiavi della macchina.
“Edward? Che succede?”
“Giuro che mi
farò perdonare.” Urlò dal vialetto, lasciando dietro di
sé l’immagine di Bella furiosa. “Te lo prometto!”
Urlò di nuovo, facendo inversione con la sua Volvo e sfrecciando per le
stradine del quartiere.
“Ha dimenticato di
andare a prendere le bambine a scuola. Ti rendi conto,Leah? Le ha completamente dimenticate.”
“Sono cose che
capitano!” Bella allargò gli occhi, puntandole un dito contro.
“Cose che capitano?
Non parlerai così, quando nasceranno i gemelli. Se Jake
li dimentica a scuola, tu lo uccidi.”
“Stiamo parlando di
Jacob. Al posto del cervello ha un criceto che gira su una ruota. Edward ha la
testa sulle spalle, invece.”
“Da
quant’è che lo difendi?” Bella tirò su un pezzo di
pizza dal cartone facendo colare metà mozzarella sul bancone.
“Pulisci tu!”
L’urlo di Jacob arrivò dall’altra parte del Pub, mentre
serviva ad un tavolo.
“Lo difendo da
quando lo conosco. E lo conosciamo entrambe da un sacco di tempo, Bells.” Continuò Leah, riempiendosi un bicchiere di Coca Cola. “E poi,
ti ha dato la serata libera per festeggiare.”
“A trent’anni
si dovrebbe festeggiare con una sbronza colossale.” Intervenne Jacob,
passando lo strofinaccio dove Bella aveva sporcato.
“Punto primo: non
è il mio compleanno. Secondo: non ho ancora trent’anni. E terzo:
non si festeggia niente.”
“Sei l’unica
persona che non vuole festeggiare per un lavoro del genere, Bella.”
“Non è
ancora sicuro. Ho parlato con la signora Hale, ma non
mi ha fatto firmare nessun contratto ancora.”
“Sei troppo
pessimista. Lo sai cosa ti serve?”
“Non se ne parla,
Jacob!” Leah guardò suo marito con
rimprovero, puntandogli un dito contro. “Bella ora ha due bambine, e non
può fare cose del genere. Non più,
almeno.”
“Ma
se la prima cosa che farai quando partorirai sarà ubriacarti come una
spugna.”
“Non voglio
bere.” Isabella capì immediatamente le intenzioni di Jacob, e
puntò il dito insieme a quello di Leah, contro di lui. “Non sono in
grado di tornare a casa con una sbornia colossale. Domani le bambine hanno scuola: devo svegliarmi presto, prepararle ed andare
ad un altro colloquio. Non esiste, Jacob Black. Non
mi accompagnerai a casa in condizioni disastrose!” Tre birre e sei shot di tequila dopo, nemmeno ricordava
più cosa avesse detto a Jacob qualche minuto prima.
“Isabella Swan. Non
pensavo fossi un tipo del genere.” Alzò un dito, si
sgranchì le gambe e dopo pochi istanti la testa si abbassò
nuovamente nel water.
Maledetto Jacob.
Non avrebbe toccato
alcool mai più in vita sua, poco ma sicuro.
“Ti serve una
mano?”
Quando tirò su la testa posò lo sguardo sulla figura appoggiata allo
stipite della porta: Edward Cullen in boxer e canotta
bianca.
Lei invece aveva lasciato
i jeans lungo la strada dalla porta d’ingresso al bagno, il trucco era
sbavato ed i capelli erano in condizioni pietose.
“Non mi serve nien-” Biascicò inerme, prima di chinarsi
nuovamente.
“Ho capito.” Edward
si posizionò dietro di lei, le tirò su i
capelli ed iniziò ad accarezzarle la fronte. Una fonte
di sollievo per Bella, a contatto con quella mano fresca.
“Puoi tornare a
dormire.”
“E lasciare che le
bambine si sveglino con uno spettacolino del genere? No, grazie.”
“Dopo che sono
rimaste tre ore fuori scuola da sole, possono sopravvivere ad
un’immagine del genere.”
“E come la
giustificheresti?”
“Influenza intestinale.”
Edward sbuffò, capendo che era inutile discutere con lei, anche da
ubriaca.
Riuscì ad alzarla
lentamente da terra, ma la sua posizione non era ancora stabile.
“Ci riesci a
lavarti i denti da sola?”
“Voglio farmi una
doccia.” Si impuntò, allungandosi per
aprire l’acqua.
“Non se ne parla.
Ti lavi domattina.”
“Puzzo.”
“Non mi interessa. Con la fortuna che hai
farai uno scivolone spezzandoti entrambe le gambe.”
“Ho capito, mi lavo
i denti e basta.” Lo congedò con una mano, ma
Edward non si mosse da lì.
Con lui dietro si lavò i denti e sciacquò il viso, senza
guardarsi riflessa nello specchio. Sapeva che avrebbe visto qualcosa di inquietante.
“Ti accompagno a
letto?”
“So qual è
la mia camera, Cullen.” Edward arcuò le
sopracciglia, stupito dal tono che le aveva riservato Bella.
“Okay.
Prego.” Dopo due passi incerti verso l’uscita del bagno, Edward la
sorresse con un braccio.
“Te l’avevo
detto.”
“Sei insopportabile
anche di notte.”
“Sono le tre di
mattina, Isabella.” Insieme barcollarono fino alla camera di Bella, e lei
si buttò a peso morto sul letto.
“Ho
freddo.” Disse, con la faccia compressa nel cuscino.
“Ti cerco una
coperta, tesoro.” Edward
allargò gli occhi a quell’appellativo, che gli era uscito
così spontaneamente da non rendersene nemmeno conto.
“Tesoro?” Ed ovviamente a quella iena non era sfuggito. “Sei
pessimo, Edward.” Iniziò a ridere, talmente forte da rigirarsi sul
letto e portarsi le mani sulla pancia.
“E’ meglio
ignorarti, stasera.” Quando si avvicinò con la coperta che aveva tirato
fuori dall’armadio, si rese conto che quelle risate non erano poi
così felici.
“Piangi?”
“No.”
Sussurrò appena, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi.
“Certo che voi
donne siete proprio strane.”
“Alice è
morta.” Edward rimase interdetto da quel commento, ma continuò a
rimboccarle la coperta.
“Lo so.”
“Faccio schifo come
madre. Non ho una carriera, non ho mai voluto bambini. Ed
ora mi ritrovo con due bambine sulle spalle e… te.”
“Grazie per avermi
paragonato a delle bambine, Isabella.”
“Cazzo, Alice
è morta davvero.” Si portò le mani
alla testa, tirandosi i capelli. Come se si fosse resa conto in quel momento
che la sua migliore amica non c’era più. Insieme a tante altre
persone.
“Dormi,
Isabella.” Edward le accarezzò i capelli, prima di dirigersi verso
la porta a passo spedito.
“Edward?”
“Sì?”
“Resti qui?”
Dopo qualche
minuti di silenzio Edward continuò per la sua strada, chiudendo
la porta dietro di sé con uno scatto secco.
Bella si svegliò
con un mal di testa tremendo, la gola secca e gli occhi che faticavano ad
aprirsi. Tirò la coperta sino alla fronte, sprofondando ancora di
più nel suo letto.
“Dovresti
alzarti.” Sussultò, chiedendosi chi, come, e perché qualcuno era nella sua stanza.
“Mh.”
“Dovresti anche
imparare a dire qualcosa di più, di semplici monosillabi.”
“Esci dalla mia
stanza.” Quando capì di chi si trattava, cioè di Edward, cercò di farlo uscire.
“Peccato che questa
è la mia, di stanza.”
Tirò fuori soltanto la testa, guardandosi intorno. La luce che filtrava
dalle finestre le diede subito fastidio, ma cercò di non farci caso.
Più che altro, si rese conto davvero che quella non era la sua stanza. E
che quello non era il suo letto, la sua coperta e nemmeno il
suo cuscino basso e comodo.
“Che faccio
qui?” Domandò con cautela, spaesata.
“Niente.”
Edward si buttò di peso sul materasso, con la pancia in giù. “Ti sei soltanto ubriacata come una diciottenne alla sua
prima festa del college. Poi hai vomitato tutto ciò che avevi
mangiato negli ultimi trent’anni della tua vita nel nostro bagno.” Fece mente locale,
cercando di ricordarsi qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma
niente. Nel suo cervello c’era un vuoto totale. Ricordava della cena con Leah per festeggiare il nuovo lavoro, birre su birre offerte da Jacob e poi… il vuoto.
“Dimmi che non
siamo andati a letto insieme.” Edward soffocò una risata, tirando
su la testa dal cuscino per guardarla dritta negli occhi.
“No tesoro.Mi
dispiace.”
“Ti dispiace? Tesoro? Oh,
Dio. Che diamine è successo?” Lei invece si
nascose di nuovo sotto le coperte, lamentandosi.
“Avrei voluto tanto
chiedere ad Alice come eri da ubriaca, ma purtroppo l’ho visto con i miei
stessi occhi. Ti ho trovata in bagno, distesa per
terra. Ti ho convinta a dormire nella tua camera, e
con passi incerti sei anche riuscita ad arrivare nel tuo letto. Poi, mi hai
chiesto se potevo dormire con te.”
“Cazzaro.”
Edward rise di nuovo.
“Non
scherzo.”
“Se sono arrivata
fino alla mia camera, perché ora sono nel tuo letto?”
“Perché non
riesco a dormire, se non qui. Lo sai, no? Ho portato il mio materasso dal
vecchio appartamento. Non riuscivo a dormire nemmeno nel tuo, di letto. Quindi,
dopo che sei crollata, ti ho portata qui. Fine.”
“E’ un
incubo.” Sussurrò Bella, stropicciandosi gli occhi.
“Non lo fare. Sembri un panda.”
“Eh?” Lo
guardò stralunata, alzando gli occhi al cielo. Occhi contornati di nero,
perché la sera prima non si era nemmeno struccata.
“Aspetta.”
Edward allungò una mano, fino a posare il pollice sotto l’occhio e
strofinandolo lentamente. Quando lo staccò per farlo vedere a Bella, era
sporco di matita nera.
“Perfetto.”
Sussurrò appena, sentendo di nuovo la bocca secca e acida.
“Dobbiamo alzarci. Svegliare le bambine e portarle a scuola. Poi, devo
andare alMoMa. Non ce la
farò mai.”
“Primo: Emma e Mia
sono a scuola da più di quattro ore. Secondo: devi bere qualcosa
perché persino le tue labbra sono secche. E terzo: ho chiamato Rosalie Hale dicendole che non ti sentivi bene. Ha detto che puoi
andare tranquillamente domani.”
A quel punto Bella si
sedette sul letto, incrociando le gambe sotto le coperte.
“Che ore sono,
Edward?”
“Quasi
mezzogiorno.” Rispose lui, con tranquillità.
“E perché
diamine non mi hai svegliata?” Sembrava
tranquilla, ma stava trattenendo la rabbia.
“Non è mai
bello quando ti svegli con i postumi di una sbronza colossale. E quella era proprio enorme, Isabella.”
“Sh. Parliamo
d’altro. Perché tu sei qui?”
“Non è anche
casa mia?” Sbuffò, mettendosi le mani tra i capelli.
“Edward, intendo
qui.” Indicò il letto, e poi con un dito la camera. “A casa.
Perché non lavori?”
“I vantaggi
dell’essere il capo.”
“Oh, Dio. Per quante volte me lo
ripeterai?” Edward le fece l’occhiolino e un mezzo sorriso, che fecero accelerare i battiti del cuore di Bella.
Non se ne parla, Isabella Swan. No.
“Devo
lavarmi.” Disse infine, alzandosi lentamente dal letto. Quando finalmente fu in piedi, cercò veramente di non
inveire contro Edward Cullen.
“Per quale assurdo
motivo sono in mutande e reggiseno?”
“Non
ho avuto nemmeno il tempo di dirtelo, ieri. Ti sei spogliata di corsa.” Mentre vide
l’occhiata che gli lanciò, sussurrò un
‘Giuro’.
Stava per rispondergli a
tono, ma fu interrotta dal suono del campanello di casa. “Aspetti
qualcuno?”
“No. Scendo a vedere chi
è. Intanto, fatti quella doccia.” Bella gli rispose con
l’alzata di un dito medio. “Ah, Isabella?” Urlò,
quando ormai era uscito dalla camera.
“Che altro
vuoi?”
“Carino quel
tanga.” E scese le scale a due a due, senza sentire le imprecazioni che
Bella gli urlava dietro.
Una dopo l’altra.
I trent’anni si
stavano avvicinando.
Anche se mancava quasi un
anno, li sentiva tutti. Erano anni e anni che non si
ubriacava in quel modo. E i risultati si vedevano. Borse nere sotto gli occhi,
labbra screpolate e un bruciore di stomaco che non ci pensava nemmeno di
andarsene. Rimase di sasso quando vide la sua immagine riflessa nello specchio,
con i lunghi capelli color cioccolato che le ricadevano bagnati intorno al viso,
e il colore della pelle quasi cadaverico faceva a gara con l’asciugamano
bianco e aveva stretto attorno al corpo.
Sentì bussare alla
porta, e sbuffò pesantemente. C’erano tre bagni in
quell’enorme casa, perché Edward doveva romperle?
“Che
c’è?”
“Devi
scendere.”
“Non sono vestita,
Edward. Che succede?”
“Devi scendere, Isabella.” Non le dispiaceva più
quando la chiamava Isabella, ma quando lo diceva con serietà come aveva
fatto in quel momento, le provocava ancora un po’ di fastidio.
“Se non è
una questione di vita o di morte t’ammazzo,
Edward.” Aprì la porta del bagno, dimenticandosi che era nuda, con
solo un asciugamano di spugna che le arrivava sopra le ginocchia.
Edward non parlò,
se non prima di averla squadrata da capo a piedi.
“Che vuoi?”
Sussurrò appena, e non poté non rendersi conto del modo in cui
deglutì pesantemente davanti a lei.
“Vestiti. Corri. Ha chiamato la signorina Jessica.”
“Hey.” Gli diede una lieve spintarella. “Che
diamine succede?”
“Mia è in
Ospedale. E’ caduta da un albero.”
“COSA?” E
detto questo, sbatté letteralmente la porta in faccia a Edward, buttando
l’asciugamano a terra e vestendosi con le prime cose che trovò
all’interno di quel piccolo bagno. E con un solo pensiero in testa: ucciderò la signorina Jessica.
“Io la ammazzo.”
Ripeté Bella per l’ennesima volta, mentre Edward sfrecciava per le
vie di New York. “Ti giuro che le strappo quei
due capelli finti che le sono rimasti in testa.” Disse, torturandosi
entrambe le mani.
“Calmati.”
“CALMARMI?”
Inveì, sgranando gli occhi. “Tu non capisci. Stiamo parlando di un
fottuto asilo, Edward. Come è potuta cadere da
un albero? Nemmeno con te succedono cose del genere.”
“Che vorresti
dire?”
“Niente.”
Sussurrò Isabella, guardando fuori dal finestrino. Voleva dirgli che
sapeva che lui amava moltissimo le sue nipotine, ma prendersi cura di loro non
era il suo forte.
“Siamo
arrivati.” Annunciò Edward, parcheggiando fuori la porta
dell’Ospedale. Bella scese di corsa, senza aspettare che Edward spegnesse
la macchina.
Nemmeno fece in tempo ad entrare, che vide subito la signorina Jessica seduta su
una sedia della sala d’aspetto.
“Signora Swan.”
“SignorinaSwan.”
Precisò Bella, scoccandole un’occhiataccia.
“Dov’è Mia?” La signorina Jessica indicò una
porta dietro le spalle di Isabella.
“Dentro. Le stanno
ingessando il braccio.”
“INGESSANDO IL
BRACCIO?” Ormai non riusciva più a trattenersi. L’avrebbe
uccisa con le sue stesse mani, se necessario.
Sentì invece due
mani posarsi sulla sua vita, ed una testa che si
sporgeva accanto alla sua.
“Signorina Jessica,
potrebbe dirci quello che è successo?” Alla signorina Jessica non
sfuggirono le mani di Edward che si erano posate sul
corpo di Bella, ma alzò lo stesso la testa per guardarlo negli occhi.
“Era
l’intervallo ed ho deciso di portare la classe fuori, con questo bel
sole.”
“Sinceramente non mi interessa niente del tempo.” Le mani sui fianchi di
Bella strinsero ancora di più, avvertendola che non era quello il modo
giusto di parlare.
“Dicevo: ho deciso
di portare la classe fuori in giardino. Mia ed un
altro suo amichetto hanno deciso di arrampicarvisi sopra, soltanto che lei
è scivolata prima di arrivare alla cima.”
“Arrivare alla
cima?” Disse Edward, precedendo la domanda che Bella non avrebbe fatto
con una calma del genere.
“Tutto questo non
era previsto. Sono desolata, vi giuro.”
“E lei, in tutto questo, dove era?” La
signorina Jessica fu salvata dal cigolio di una porta che si apriva, e di una
bambina con i riccioli neri che usciva con un lecca lecca
in bocca.
“Hey tesoro”, Bella si abbassò immediatamente,
carezzandole i capelli e guardando il gesso che ricopriva quasi tutto il
braccio, fino al gomito. “Come ti senti?”
“Bene. Il doptore mi ha dattoqesto.” Mia sorrise, mostrando i
suoi dentini perfetti.
Edward la prese in
braccio, posandole un bacio sulla fronte.
“Signori Hale,
Mia sta benone. Dovrete soltanto tenerla a casa per trenta giorni, il tempo di
togliere il gesso e poi potrà tornare a scuola.”
Né Bella né
Edward fecero notare al dottore che loro non erano i signori Hale, troppo preoccupati nel sapere come stava Mia.
“Quindi?
Non bisogna fare niente?”
“No,
non preoccupatevi.
Mia è una bambina forte e sana, e fortunatamente non ha subito danni
gravi. Nel giro di un mese sarà più attiva di prima.” Il dottore le diede un lieve buffetto sulla guancia,
prima di girarsi ed andarsene.
Bella si voltò,
chiudendo gli occhi fino a mostrare due fessure e puntando il dito contro la signorina Jessica.
“Quel fottuto
albero dovrà essere abbattuto.” Sussurrò con fare
minaccioso. “E se accadrà un’altra cosa del genere, stia
sicura che abbatterò anche lei.”
Così dicendo si girò ed andò
verso l’uscita a passo spedito, seguita da un Edward esasperato e ad una
Mia ignara di quello che era appena successo, troppo felice di continuare a
mangiare il suo lecca lecca.
“Ti piace?”
Mia strappò via la carta, ammirando il set completo con una spazzola
rosa, il pettine, un phon finto e lo specchio delle principesse.
“Tììì!” Urlò, buttando le
braccia intorno al collo di James. “Guadda!” Alzò tutto per mostrarlo a sua sorella più
grande, che con un’alzata di spalle la liquidò.
James si era offerto di
andare a prendere Emma a scuola, mentre Edward e Bella pensavano a Mia. Strada
facendo le aveva comprato anche un piccolo regalino, ignaro di scatenare l’ira
della primogenita.
“Io uso il pettine
per i grandi.” Disse Emma, assottigliando gli occhi. “Sei tu che
devi usare quello per i bambini.”
“Io non tono una bambina!”
“Invece s-”
“Basta
così!” Bella entrò in casa, puntando un
dito contro Emma. “Voi due filate nelle vostre camere.” Il
dito passò dalla più grande alla più piccola, e con uno
sbuffo sonoro tutte e due andarono al piano superiore.
“Grazie per
l’aiuto James.” Bella tirò su dal pavimento la carta del
regalo, dirigendosi verso la cucina. “Non dovevi.”
“Non è
niente. Edward ci aveva comunque dato un giorno di riposo, tranquilla.”
“Mh. Il capo è così flessibile?” James
rise, sedendosi su uno sgabello intorno al piano cottura.
“Sì,
abbastanza.”
“Come fai a
lavorare con lui? Quasi due settimane che viviamo insieme e già non lo
sopporto più.”
“Ormai sono
più di dieci anni che ci conosciamo, io e Edward.
E’ un capo esigente, ma un amico fantastico.”
“Non ne ho mai
sentito parlare così bene.” Bella sorrise, sedendosi di fronte a
James. “Credo che segnerò questo giorno sul calendario.”
“Saprà
conquistare anche te.” Annunciò James, scoccandole
un’occhiata di chi ne sapeva una più del diavolo.
“Non
credo proprio.
Non abbiamo fatto in tempo ad entrare a casa, che ha
chiamato la signorina Jessica. Nemmeno voglio sapere per quale motivo.”
Bella alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché Edward ci
stesse mettendo davvero così tanto tempo.
Aveva deciso di chiamare
quell’arpia, forse per scusarsi del comportamento di Bella. Eppure era
passata più di una mezzora, ed anche Emma ormai era tornata da scuola.
“Che fai stasera, Bella?”
“Ci stai provando,
James?” Lui rise, scuotendo la testa. “
“Lo sai bene quali
sono i miei gusti, Bells. Ma
un amico di Lauren è single e in cerca di una
donna. Qualche ora di svago non ti farà male, vieni a cena a casa
nostra.”
“E lasciare Mia con
un braccio ingessato in balìa di Edward? Non credo
proprio.”
“Devi
dargli fiducia. E
questa è la serata buona. Tu ti diverti, lui si prenderà cura
delle bambine e tutti saranno felici e contenti. Forza!”
Bella ci rifletté su.
Da quanto tempo non
usciva con qualcuno che non fosse Jacob o Leah?
Da quanto non aveva un
appuntamento con un ragazzo? Da troppo tempo.
L’ultima volta che
aveva conosciuto qualcuno era stato due mesi prima, al Pub in Jacob. Un
troglodita che il suo migliore amico aveva cacciato a calci in culo.
“Alle undici devo
stare a casa. E devo chiamare Edward almeno due volte
entro la serata.” Disse, indicando entrambi i
due punti alzando l’indice e il medio.
“Affare fatto!”
James batté entrambe le mani, felice che Bella avesse accettato il suo
invito, ma sapendo perfettamente che i suoi piani erano ben altri.
“A che ora hai
detto che torni?” Urlò Edward dal piano inferiore, mentre
preparava la cena ad Emma e Mia.
“Verso le undici.
Forse più tardi. Posso fidarmi di te?”
“Certo.”
Bella finì di infilarsi i tacchi che non portava
ormai da settimana, sentendo già i piedi che le chiedevano pietà.
Aveva indossato un tubino nero, accompagnato da una giacca rossa e dai tacchi dello
stesso colore della giacca.
Era troppo tempo che non
indossava biancheria che non fosse uguale a quella di sua nonna, o che metteva
un vestito sopra il ginocchio. Eppure aveva deciso di provarci veramente,
quella sera: il vestito era stato un regalo di Alice, quindi una grande firma.
I suoi tacchi Louboutin erano chiusi nella scarpiera
da troppo tempo, e i suoi capelli non venivano curati
da chissà quanto. Aveva accentuato i suoi boccoli già naturali
con il ferro, facendoli ricadere sulle spalle più voluminosi.
Non si era limitata a
mettere soltanto un po’ di rimmel sugli occhi, ma questa volta aveva
fatto un make-up degno di essere apprezzato persino da un uomo: fondotinta,
correttore, ombretto, eyeliner e il suo immancabile
rossetto rosso.
Era pronta. Da lì
a poco il compagno di James sarebbe passata a prenderla.
“Che te ne
pare?” Scese le scale con i tacchi in mano, evitando di rompersi
l’osso del collo ancora prima di uscire. Edward si voltò,
fissandola dalla testa ai piedi. Per poi ritornare su.
E giù di nuovo. “Se vuoi la prossima volta
ti lascio una radiografia.” Bella capì che andava più che
bene. Se Edward aveva avuto quella reazione, il suo appuntamento a quattro non
sarebbe andato per niente male.
“Stai bene.”
“WOW! Ti prego zia
Bella, regalami quelle scarpe!” Emma si scapicollò per
raggiungerla, ammirando i tacchi laccati di rosso.
“Ti prometto che
quando crescerai saranno tuoi.” Si abbassò, per scoccarle un bacio
sulla fronte.
“Non lo
fare.” Disse Edward, deglutendo rumorosamente.
“Non devo regalarle
le scarpe?”
“No. Non abbassarti così davanti
ad un uomo, Isabella.” Indico il punto in cui si
era abbassata proprio davanti a lui.
Bella aprì e
richiuse la bocca, come un pesce fuor d’acqua. Finché il suo di un
clacson la fece sobbalzare.
“Deve essere Laurent.” Edward annuì, prendendo Emma in
braccio e portandola sul divano. Era arrivata l’ora dei cartoni animati. “Tesoro, fai la brava. E Edward, per ogni cosa,
chiamami. Qualsiasi.” Posò un bacio sulla guancia di Emma, uno
sulla fronte di Mia che era crollata sul divano, e prima di uscire
scompigliò i capelli di Edward, regalandogli il sorriso più bello
che lui avesse mai visto.
“Dimmi
che è una persona come si deve. Non posso perdere tempo con i coglioni.” Laurent rise rumorosamente, sfrecciando per le strade di
New York.
“Tesoro,
è un uomo fantastico. Sarà amore a prima vista.” Se
l’omosessualità di James era quasi invisibile ad
occhio umano, quella di Laurent invece si vedeva
persino da Marte. Bella gli diceva spesso che era impossibile uscire con lui,
perché lei si ritrovava ad essere l’uomo
scaricatore di porto, e lui la perfettina della
situazione.
“Perfetto. Fra
mezz’ora tornerò a casa.”
“Dal tuo
Edward?”
“Non ricominciare.
Non riesco ancora a capire come abbiamo fatto a non ammazzarci fino ad ora.”
“Amore, Dio li fa e
poi li accoppia. Ho sempre pensato che tu e Edward siete perfetti insieme.
Già avete la famigliola felice. Manca soltanto quella spinta
in più.”
“Stai zitto.”
Bella lo liquidò con un gesto della mano, mentre Laurent
parcheggiava accanto all’enorme villa Nomadi.
“Dici che
andrò bene vestita così?”
“Stai zitta.”
Laurent ripeté lo stesso gesto di prima,
imitandola ed uscendo dalla macchina. Bella lo
seguì, ed insieme aspettarono che James andasse
ad aprire loro la porta.
“Sto per diventare
etero.” James nemmeno la salutò, ma la squadrò da testa a
piedi. “Mi chiedo per quale motivo Edward ti abbia lasciata
uscire di casa.”
“Io già non
vi sopporto più.” Si tolse la giacca e l’appese
all’appendiabiti, proprio come se fosse a casa sua.
Bella conosceva Laurent dal college, ed era stata proprio
lei a presentarlo a James.
“Dai, andiamo nel
salone.” Seduto sul divano, di spalle, c’era un uomo con corti
capelli biondo cenere.
“Isabella,” James pronunciò il suo nome a voce alta,
così da far voltare quell’uomo. “Ti presento Mike Newton.
Mike, ti presento Isabella Swan.”
Bella lo esaminò
attentamente, pensando che il colpo di fulmine non era proprio arrivato, anzi.
Allungò lo stesso la mano, stringendola nella sua. “Puoi chiamarmi
Bella.”
“E’ un
piacere conoscerti,Isabella.” Purtroppo sentire il suo nome pronunciato
interamente le creò uno strano disagio, cosa che non accadeva
mai, quando lo pronunciava Edward. Cioè, tutti i giorni.
“Allora, che lavoro
fai Mike?” Ormai stavano mangiando il secondo, e gli unici che riuscivano
a tenere vivo quel tavolo erano i padroni di casa.
“Lavoro alla Cullen Media Group.” Bella si strozzò con
l’acqua, tossendo animatamente, mentre Laurent
che era seduto accanto a lei le diede qualche colpetto
sulla schiena. “Tutto bene?”
“Alla
grande.”
“Tu invece di cosa
ti occupi?”
“Avevo una galleria
d’arte. Ora lavoro alMoMa.”
“Cavolo, sei
Isabella Swan la sterminatrice di artisti?”
Bella allargò gli occhi, mentre James e Laurent
non fecero nulla per nascondere le loro risatine ilari.
“Come scusa?”
“Niente.
Però quando vedevamo qualcuno disperato nell’edificio, sapevamo
che era appena uscito dalla tua galleria.”
“Fantastico.”
Sussurrò Isabella, fissando il suo piatto.
“Cambiamo
argomento. Cosa nepens-” La domanda di Laurent fu interrotta sul nascere dal cellulare di Bella
che squillava.
“Scusate. Devo rispondere per forza.”
Uscì nell’enorme balcone, aprendo lo sportellino del telefono.
“E’
successo qualcosa?
Mia sta bene?” Una risata soffocata arrivò
dall’altra parte del ricevitore.
“Calmati. Volevo
soltanto dirti che stanno entrambe bene, e dormono da un pezzo.”
“Non ci
credo.”
“Se vuoi faccio una foto per testimoniare. Sono state
bravissime. E a detta di Emma anche io sono stato
bravissimo, questa volta.”
Bella sorrise, pensando
che sua nipote era un giudice inflessibile. E quindi Edward era stato davvero
bravo. “Come procede lì?” Si astené nel raccontare
come stava procedendo quella serata.
“Bene, dai. Ci
stiamo divertendo.”
“Sono
contento. Ti
meritavi un po’ di relax.” Il sorriso che
fece Bella, era un sorriso amaro. Edward era veramente
felice che lei si stesse divertendo, eppure…
Perché diamine era
così tranquillo?
“Invece tu
riposati, Edward. Ci vediamo domattina. E chiamai se succede
qualcosa.”
“Promesso.”
Disse lui, riattaccando il telefono e lasciando Bella da sola.
Veramente sola.
“E’ stata una
serata fantastica.” La cena era stata abbastanza imbarazzante, ma dopo
qualche bicchiere di vino e qualche chiacchiera di troppo l’imbarazzo si
era sciolto.
“Ci sentiamo domani, tesoro.” Laurent
le scoccò un bacio sulla guancia, e poi strinse la mano a Mike.
“Ciao James!”
Urlò Bella, cercando di farsi sentire da James, che era in cucina a
lavare i piatti.
“Ciao Bells!” Urlò di rimando lui. Bella
infilò la giacca, e uscì con Mike.
“Sei sicuro che non devi fare altro?”
Mike scosse la testa.
“Non è un problema accompagnarti a casa, Isabella.”
Perché continuava ad odiare quando la chiamava
così?
“Ti ho detto che
puoi chiamarmi semplicemente Bella.” Disse, salendo in macchina.
“Isabella è
il tuo nome, e mi piace di più.” Ecco, ora sì che suonava
maledettamente male.
Non parlarono per tutto
il viaggio, se non per Bella che gli dava le varie indicazioni stradali. Quando
arrivarono a destinazione, Mike accostò accanto alla casa.
“E’
bellissima.”
“Grazie.” Non
voleva dirgli che quella era la sua casa. Nemmeno che aveva due bambine che
dormivano beate lì dentro. E nemmeno che viveva con il suo capo.
“Grazie mille, Mike. E’ stata una serata fantastica.”
“Che ne dici di
risentirci?” Bella alzò gli occhi senza farsi vedere.
“Sì. Credo che possa andare bene. Perché non chiedi il mio numero a James?” Così
dicendo lo liquidò con un breve cenno della mano, avviandosi verso la
porta centrale.
Cercò di essere
più silenziosa possibile, togliendosi i tacchi sul portico, prima ancora
di entrare. I piedi le facevano un male cane, e quella cena era andata liscia
soltanto grazie ai suoi amici. Che il giorno dopo avrebbe ucciso lentamente.
“Sei
tornata.” Una voce assonnata la fece sobbalzare, mentre nel buio
cercò di mettere a fuoco qualsiasi cosa. Finché non vide Edward
sul divano.
“Che fai
qui?” Sussurrò, indicandolo.
“Guardavo
la tv e mi sono addormentato. Com’è andata?” Bella
si sedette accanto a lui sul divano, buttando la testa all’indietro.
“Una merda.”
“Addirittura?”
“Forse non ci so
fare più con gli uomini.” Annunciò, maledicendosi per aver
detto ciò che le passava per la testa.
“Magari ti sbagli. Chi era questo?”
“Mike
Newton.” Sentì il cucino accanto al suo alzarsi.
“Come
scusa? Quel Mike Newton?” Bella sorrise nel buio.
“Mi stai forse
cacciando? E poi non riesco a muovere i piedi, i tacchi me li hanno uccisi.”
“Vieni qui.” Edward tirò su la coperta di Barbie e Shelly, cercando di avvolgere le gambe di entrambi. Bella
invece ci pensò un po’, prima di posare la testa sulla sua spalla.
“Quindi
Mike non è il tuo tipo?”
“Secondo me ormai
è colpa mia. Inizio io ad non essere il tipo di
nessuno.”
“Stai zitta, Isabella.” Lei sistemò meglio la testa
fra il collo e la spalla di Edward.
“E a detta tua, stasera stavo bene. Anche tu stai perdendo colpi
con i complimenti, Edward.” Sbadigliò
sonoramente, chiudendo gli occhi.
“Infatti
hai ragione. Non stavi bene stasera, Isabella.”
“Questo mi rincuora
molto.” Sussurrò appena lei, iniziando a cedere al sonno.
“Eri
bellissima.” Bella cercò di capire il senso di quelle parole, chiedendosi
se con il buio e il sonno che incombevano non avesse
sognato tutto. Dopo qualche minuto di silenzio, sbadigliò di nuovo.
“Edward?”
“Sì?”
“Ti voglio
bene.”
“Anche
io, tesoro.” Ma questa volta nessuno dei
due era ubriaco, e nel buio della notte quelle parole erano vere come non mai.
“Tesoro, stai
attenta!” Urlò Bella, mentre Emma la sorpassò di corsa, con in mano una dozzina di palloncini colorati. Alzò
gli occhi al cielo, ma le scappò anche un sorrisino. Non poteva mai dire
di no a quelle due pesti.
Ormai erano passate
più di due settimane, il lavoro alMoMa procedeva alla grande, tanto che aveva instaurato un
buon rapporto con Rosalie Hale. Le bambine
continuavano ad andare ed
odiare la scuola, entrambi allo stesso tempo.
E con Edward sembrava
procedere tutto a… rilento. Le
cose si erano sistemate, non si ammazzavano mai, e se lo dovevano fare
cercavano di stare il più lontano possibile dalle bambine. Ma Bella sapeva che c’era qualcosa che non andava.
Dalla sera che era uscita con Mike Newton, la situazione era cambiata. Edward
era uno zio ed un tutore perfetto: aiutava in ogni
modo, portava sempre le bambine a scuola, e poi le riandava a prendere. Se era necessario si portava il lavoro a casa, per non fare su e
giù dal centro di New York. Eppure qualche volta sembrava cadere dalle
nuvole.
“Questo dove lo
metto?” Appunto.
“Cos’è?”
“Lo striscione con
scritto ‘Tanti auguri Mia.’”
“Oh.” Bella
si guardò intorno, indicando poi due gancetti appesi al muro.
“Lì, davanti alla porta. Così lo vede
appena entra.”
“Ma
se ancora non sa leggere!”
“Hai già
finito di gonfiare i palloncini?” Bella squadrò dalla testa ai
piedi Emma, che sconsolata fissava tutto ciò che la circondava: un
tavolo pieno di regali, palloncini di tutti i colori appesi ovunque, il salone
sgombrato dall’enorme tavolo e lo striscione che augurava buon compleanno
alla sua sorellina. Ecco, il problema era che tutto quello era per la sua
sorellina, e non per lei.
“Ho finito.”
“Vieni qui.” Bella la prese in braccio, solleticandole piano
il pancino sino a sentire la sua risata ilare.
“Quando arriva il
mio compleanno?”
“Il tuo compleanno
è a Giugno, tesoro.”
“Proprio
come il mio.
Faremo una grande festa insieme.” Disse Edward, avvicinandosi a loro due.
“Non
voglio fare una festa con te. Tu sei maschio e vecchio.” Edward assottigliò
gli occhi, mentre Bella cercò di trattenere una risata. Ma fu quasi impossibile, finché il campanello
suonò ed Emma scese dalle braccia di sua zia.
“Divertente,
eh?”
“E’ una forza
della natura, quella bambina.” Edward le diede una lieve spallata.
“E’ una forza
della natura quando prende in giro me. Invece quando spreme l’intera
confezione di dentifricio nei tuoi cassetti, non è
affatto divertente.”
“Che rompipalle.” Bella
sussurrò quelle parole, prima di raggiungere a braccia aperte suo padre.
A Forks
era riuscito a prendere qualche giorno di ferie, prima di Natale. Così
da poter venire al compleanno di Mia.
“Ciao
papà.”
“Ciao
tesoro.” La abbracciò affettuosamente, e a lei le
si inumidirono gli occhi.
“Mi sei
mancato.”
“Anche
tu. Dov’è Mia?” Charlie trascinò dietro di
sé un enorme pacco, incartato con degli orsacchiotti sopra.
“Jake e Leah sono andati a
prenderla a scuola.”
“Leah ancora riesce a muoversi?” Bella rise, guardando
suo padre.
“Sì,
papà. Dovrebbe partorire a giorni, ma si rifiuta di stare a riposo. Però il dottore ha detto che non è a
rischio, quindi può fare tutte le cose che faceva
prima.”
“Povero Jake.”
“Povero Jake davvero.” Edward diede corda al Signor Swan, immettendosi nella conversazione.
“Edward Cullen.”
“Sceriffo.”
“Smettila di
chiamarmi così, Edward. Non sei mai venuto a Forks, e non mi hai mai visto in uniforme.”
“Però
mi piacerebbe molto, Charlie. Soprattutto sparare qualche colpo con la tua
pistola.”
“Comportati male
con le mie bambine, e vedrai quanti colpi
sparerò io, Edward.” Anche se il rapporto fraEdward e Charlie era molto
tranquillo ed amichevole, dopo quell’affermazione il primo deglutì
rumorosamente, facendo riprendere le risate di Bella interrotte poco prima.
“ECCOLI!! ECCOLI!!” Emma corse per
tutta casa, trascinando per le mani suo nonno Carlisle
e sua nonna Esme.
Jake intanto stava parcheggiando nel
vialetto, mentre Mia attraversò di corsa tutto il giardino, arrivando
alla porta ed iniziando a sbattere i suoi piccoli
pugni su di essa, perché ancora non riusciva ad arrivare al campanello.
Bella aprì la
porta, trovandosi davanti a Mia, che a malapena arrivava alle sue ginocchia, in
tenuta scolastica. Gonnelina a quadri, camicetta
bianca e maglioncino grigio. Non fece nemmeno in tempo ad
entrare, che tutti quanti urlarono ‘Auguri’,
provocandole una smorfia basita e i suoi occhioni che
si allargavano.
“Hey, tesoro non piangere. Sono solo i nonni ed alcuni amichetti di scuola.” Bella la prese in
braccio, convinta che stesse per scoppiare da un momento all’altro.
Invece Mia tirò su la faccia, la guardò per qualche secondo prima
di fare nuovamente quella smorfia triste.
“Che
succede?”
“Guadda come tono vetita
male!” Urlò fra le lacrime, facendo
scoppiare metà casa in risate rumorose.
La casa era piena di
persone: dopo l’entrata in scena di Mia erano arrivati James e Laurent, portando dietro di loro un cavallo gonfiabile
più alto di Bella. Carlisle ed Esme invece stavano sempre dietro alle loro nipotine, e
così anche i genitori di Jasper. Jake non
aveva perso tempo, ed appena aveva visto Charlie
iniziarono a chiacchierare di tutto ciò che si erano persi; il primo a Forks ed il secondo a New York. Bella stava in disparte,
con un piattino di carta in mano pieno di schifezze varie, fra pizzette e rustici
che aveva preparato lei la mattina stessa.
“Ti devo
parlare.” Edward le strinse il gomito, trascinandola ancora più
lontano da tutte quelle persone.
“Che
succede?” Domandò, ormai lontani da occhiate indiscrete.
“Ti
ricordi quando mi hai proposto quella cosa del calendario? Per far coincidere i nostri
impegni?” A Bella le si illuminarono gli occhi.
“Mr. Cullen, hai per caso un appuntamento?” Lui
alzò gli occhi al cielo, sbuffando silenziosamente.
“No,” disse di slancio, ma pentendosene qualche secondo
dopo. “Okay, forse.”
“Chi è la
fortunata?”
“Per adesso non te
lo dico. Comunque, non è di questo che ti volevo parlare.”
“Allora?”
“Ho
un congresso in Italia, la prossima settimana. Dovrei partire lunedì, e
tornare il venerdì successivo. E’ un
problema?” Bella sorrise guardando il suo viso preoccupato.
“No, che non
è un problema.”
“Ti lascio la
macchina, così potrai portare le bambine a scuola.”
“Mi lasci la tua
Volvo?” Sgranò gli occhi, fingendosi preoccupata. In realtà,
lo era veramente.
“Sì,
Isabella. Ti lascio la mia Volvo. Non me ne far pentire, ti prego.”
“Tranquillo. E non
preoccuparti nemmeno di questo fantomatico appuntamento. Anzi, se questa preda
è libera, puoi uscirci anche stasera.”
“Stasera?”
“Edward, sono
appena le cinque del pomeriggio. Vai, e divertiti. Emma e Mia
alle otto saranno esauste.”
“Sei sicura?”
Questa volta fu Bella, a sbuffare.
“Sono sicura. Vai a
chiamarla. Vedrai che non te ne pentirai.”
Peccato che
inconsapevolmente, sarebbe stata proprio Bella a
pentirsi di quel dannato appuntamento.
“Hai vitto che
bello il cavallo?” Era la centesima volta che Mia lo ripeteva, seduta su
quel cavallino gonfiabile mentre faceva su e giù da almeno
mezz’ora.
“Tia Bella? Hai vitto che bello il cavallo?” Bella
alzò gli occhi al cielo, cercando di non farsi vedere.
“E’
bellissimo, tesoro.
Stupendo.” Le regalò un sorriso a trentadue denti, e la bambina
felice continuò a dondolare.
“Emma?”
“Che
c’è?”
“Hai vitto che bello il mio cavallo?”
Oh, Dio. Fa che tutto questo finisca presto.
“Sì, Mia. Zia Bella?”
“Sì?”
“Ma
dov’è zio Edward?” Bella sorrise, pensando a Edward che
un’ora prima si era agghindato per il suo primo
appuntamento dopo… parecchio tempo.
“Aveva delle cose
da sbrigare.”
“Oh. Torna a dormire?”
“Veramente non lo so, tesoro.” In effetti era
la verità, Bella non sapeva se Edward sarebbe tornato o meno, quella
sera. “Però è ora che voi due andiate
a dormire, piccolette.” Prese Mia in braccio staccandola da quel cavallo,
mentre Emma le seguì entrambe sulle scale.
“Zia Bella?”
“Sì?”
Sussurrò lei, arrivata finalmente nella loro piccola stanza.
“Mi leggi Harry
Potter?” Bella prese il primo volume di quella
saga dal comodino di Emma, si infilò nel letto con entrambe ed inizio a
leggere qualche capitolo. Mentre la primogenita ascoltava interessata, e la
seconda ad ogni parola interrompeva con un ‘pecché succede questo’ e ‘i cappelli non pallano.’
“Si sono
addormentate?”
“Dopo avergli letto
metà Harry Potter sono crollate.” Bella
si sedette accanto a suo padre, che stava guardando la TV sul divano.
Era riuscito a
convincerlo a restare lì per cinque giorni, perché prendere un hotel sarebbe stato scomodo, e poi quella casa era enorme, e
potevano ospitarlo senza problemi.
“Sono
fantastiche.” Disse Charlie, prima di spegnere la TV e voltarsi verso sua
figlia. “Tu come stai?”
“Benone,
papà. Solo un po’ stanca.”
“Ci riesci? Lo sai
che Esme e Carlisle sono
sempre disponibili.”
“Papà,
è quasi passato un mese. E se non le ho lasciate adEsme e Carlisle
all’inizio, non lo farò ora. Ce la faccio. E
Edward mi aiuta tantissimo.”
Charlie le rivolse
quell’occhiata sconsolata che le faceva sempre da quando era bambina, per
lo più quando non era d’accordo con lei.
Nella sua vita Bella ne
aveva prese di decisioni sbagliate, eppure aveva fatto tutto sempre di testa
sua. Ma era pur sempre la sua bambina, e lui doveva
prendersi cura di lei.
“A proposito di
Edward, e chi l’avrebbe mai detto? Mi è sempre sembrato un
ragazzino viziato, e invece…”
“Invece
è un uomo fatto e finito, papà. Aspetta un secondo.” Bella si
alzò, dirigendosi verso la cucina, cioè verso il suo cellulare
che stava squillando.
“Pronto?”
“Bells?” Non aveva visto chi la stava chiamando sul
display, ma aveva riconosciuto subito quella voce.
“Jacob?”
“Sto portando Leah in Ospedale. Le si sono rotte
le acque!”
“Okay, stai calmo!
Due secondi e parto da qui, Jake. Resta
calmo!”
“JACOB
BLACK! POSA QUEL
MALEDETTO TELEFONO!” Bella sentì anche in lontananza le urla di Leah, e capì che Jake in
quel momento non conosceva nemmeno il significato della parola calma.
Salì a due a due
le scale dell’Ospedale, finché non arrivò fuori al reparto
che cercava. Se ne rese conto perché seduti nella sala d’aspetto c’erano Esme, Carlisle, i genitori di Leah,
Edward e… la signorina Jessica?
Fai sul serio, Edward?
“Bella.” Esme si alzò la abbracciò calorosamente.
“Come stai? Le bambine?”
“Tutto bene. Stanno
dormendo, e Charlie è rimasto con loro.”
“Se vuoi vado io. Charlie è come un padre per Leah e Jake. Sono sicuro che gli farebbe molto piacere stare qui.” Bella
valutò l’offerta di Carlisle, poi però decise che era meglio mantenere le cose come
stavano. Suo padre avrebbe passato un po’ di tempo con le bambine, e poi
il giorno dopo sarebbe andato a trovare Leah in
Ospedale.
“Tranquillo. Non è il tipo che…”
“JACOB
BLACK!”
Non è il tipo a cui piace
assistere a certe cose, pensò Bella, sentendo le urla della sua amica anche da lontano.
“Capisco
perfettamente.” Disse Carlisle, lanciandole
un’occhiata comprensiva, prima di andare incontro ad
un suo collega. In fondo quello era anche il suo Ospedale.
“Sono state
brave?”
Oh, mi ero quasi dimenticata di te Edward.
“Bravissime.”
Fece un lieve sorriso di circostanza alla signorina Jessica, poi si sedette
accanto ad Esme, che aveva delle occhiaie pronunciate
e una tazza di caffè in mano.
“Tu invece come stai?”
“Stanca.”
Rispose Esme, ma sempre mantenendo quel sorriso dolce
che riservava a tutti.
Sapeva benissimo che la
stanchezza di Esmeera dovuta
da vari fattori, ed anche se era passato quasi più di un mese, aveva
sempre perso la sua bambina. Bella ormai da giorni si era resa conto che la
signora Cullen faceva quasi fatica a restare nella
stessa stanza con le sue due nipotine, che erano il ritratto di Alice e Jasper.
“Perché
non vai a casa?
Ci restiamo noi qui, con Leah.” Le
accarezzò dolcemente i capelli, cercando di confortarla.
“Ti ricordi quando
sono nate Emma e Mia?” Bella sorrise, perché lo ricordava
benissimo.
Ricordava un’Alice
diciannovenne appena incinta, che non sapeva nulla del mondo lì fuori.
Ricordava Esme e Carlisle che non le
avevano parlato per giorni, per poi perdonarla con regalini per la piccola.
Ricordava il volto livido
di Jasper, dopo che Edward gli aveva dato un pugno in pieno viso.
Ricordava il travaglio di
Alice, e le urla che lanciava contro il povero Jasper.
E ricordava perfettamente
gli occhioni grandi e spaesati di Emma, quando
l’infermiera la portò fuori dentro quella piccola culla.
“Non potrei mai
dimenticarlo.”
“Sei
una zia perfetta, Bella. E sarai una mamma splendida, te lo posso assicurare.”Le si inumidirono gli occhi, ma cercò di non
piangere. Perché sapeva che Edward la stava fissando, tenendo il suo
sguardo puntato su Bella da un po’.
“NON
FARO’ MAI PIU’ UN FIGLIO! TIRATEMELI FUORI!” Ed ovviamente
Leah era riuscita a rovinare quel momento di pace e
calma anche se non era presente, ma meritandoselo tutto.
“Oh, Dio.”
Due piccoli fagottini erano avvolti da una copertina blu e da una rosa. Alla
fine i gemelli si erano rivelati essere una coppia: un maschietto ed una femminuccia. Per la felicità di entrambi i
loro genitori, che ora si tenevano le mani.
Leah con il viso stravolto dalle quasi
nove ore di travaglio, ma Jacob ancora più
stravolto di sua moglie.
“Avete fatto due
capolavori.” Bella continuava a guardarli estasiata. Erano così
piccoli e così ingenui. Non sapevano nulla di ciò che li
circondava, e sarebbero stati amati alla follia da
tutti quanti.
Potevano entrare due
persone alla volta in quella stanza, e loro avevano deciso di aprire la porta a
Bella e Edward. Soltanto che quest’ultimo era impegnato in una telefonata
importantissima, perdendosi quello spettacolo.
“Scusate.”
Edward entrò in quel momento, posando il cellulare nel taschino della
giacca ed avvicinandosi a Bella. La signorina Jessica se ne era andata ore
prima, forse dopo aver capito che era un po’ di troppo, in quella stanza.
Si fermò davanti
alle due culle, ammirando anche lui i figli di Jake e
Leah. Bella lo stava
osservando da un po’, e notò che aveva dischiuso la bocca e i suoi
occhi si erano fatti quasi lucidi.
Hai anche tu dei sentimenti, Edward Cullen?
“Ora vogliamo
sapere la cosa più importante.” Esordì Bella, toccando
lievemente la manina di entrambi. “Come li avete chiamati?”
“Glielo dici tu, o
glielo dico io?”
“L’idea
è stata di entrambi…”
“Ti ho chiesto se
vuoi dirglielo tu o no, scemo.”
“Giuro che se
iniziate a litigare anche ora, me ne vado.” Esordì Edward, con gli
occhi socchiusi. Quei due erano incredibili.
“Edward,
Bella” AnnunciòLeah,
prendendo un bel respiro. “Vi presentiamo Mary Alice Black
e Ronald Jasper Black.”
Senza dire una parola,
dietro le culle di Mary e Ronald, le mani di Edward e di Bella si trovarono
contemporaneamente, stringendosi forte.
“Sei
stanca?” Edward chiuse lo sportello della Volvo delicatamente,
cercando di fare meno rumore possibile. Erano quasi le cinque del mattino, e
finalmente erano riusciti ad uscire da
quell’ospedale, concedendosi qualche ora di riposo. Poi avrebbero
svegliato le bambine per accompagnarle da Leah e per
far conoscere i loro cuginetti ad entrambe.
“Emozionata
è la parola giusta.”
Entrarono entrambi in
casa, restando immobili nell’ingresso, mentre l’alba era ormai
incombente e la casa iniziava ad illuminarsi.
“Sono stati
fantastici.” Disse Edward, stropicciandosi gli occhi stanchi e rossi.
Poi, posò di nuovo lo sguardo su Bella. Rimasero qualche minuto in
silenzio, accompagnati dal ticchettio dell’orologio della cucina che
scandiva i secondi che passavano.
“Che
c’è?” Sussurrò Bella, rendendosi conto che Edward la
stava fissando da un po’, senza dire una parola.
E non ci fu bisogno di
parole, quando la tirò per un braccio facendole posare le labbra sulle
sue.
La testa di Bella stava
per scoppiare: non sapeva per quale motivo la stava baciando, eppure non
riusciva a tirarsi indietro. Perché le labbra di Edward erano morbide e
perfette per le sue. Approfondirono quel bacio capendosi immediatamente, mentre
la mano di lui si posò dietro il collo di
Bella, iniziando ad accarezzarlo dolcemente ed attirandola più vicino a
lui.
Si staccarono nello
stesso istante, con il respiro affannato e gli occhi lucidi.
“Co-?” Ma non fece in tempo a finire la domanda,
perché Edward la attirò ancora di più vicino a lui. Poteva
sentire il battito del suo cuore, sotto quella giacca nera.
“Dormi con me,
Isabella.”
Lei rimase in silenzio,
chiedendosi se aveva capito bene o meno. Se tutto
quello che era accaduto in quella giornata stramba era
frutto della sua fantasia, o no.
“Non
me lo far ripetere di nuovo. Dormi con me.” Bella a malincuore si staccò
dal suo petto, dirigendosi verso il piano superiore, senza guardarlo negli
occhi.
Ma con la mano stretta in quella di
Edward, mentre lo trascinava per scale, chiudendo a chiave dietro di loro la
porta della camera di Bella. Insieme a mille altri problemi.
“Fiocco rosa o fiocco giallo?” Mia alzò entrambe le
sopracciglia, e poi allungò il suo ditino verso il primo fiocco: quello
rosa. Era domenica, e come ogni domenica dovevano
andare a pranzo dai nonni. Le bambine adoravano andare a casa di Esme e Carlisle, perché
sapevano con certezza che avrebbero rimediato sempre un regalino: dei dolcetti,
oppure dei soldi.
“Vieni qui.” Mia si voltò, lasciando che Bella
pettinasse i suoi capelli riccioluti. Ormai non si lamentava più,
perché ogni volta che si guardava allo specchio, adorava la nuova
pettinatura che le aveva fatto zia Bella.
Intanto Emma era al piano
inferiore, che arrabbiata finiva i suoi compiti di Matematica.
“Ecco
fatto. Sei
bellissima.” Diede un buffetto dolce ai capelli di Mia, mentre lei con
ammirazione si guardava allo specchio da diverse angolazioni.
“Sei proprio bava.”
“Grazie tesoro.
Adesso andiamo ad aiutare Emma con i compiti.”
“E quando andiamo a
prazzo dai
nonni?”
“Fra qualche
ora.”
“E quando tonna zio
Edward?”
Edward. Giusto.
Quell’Edward che
era partito la settimana scorsa per l’Italia.
“Oggi. Viene direttamente dai nonni, tesoro.”
“E Mary e Ronnad?”
“Sì, zio Jake e zia Leah porteranno anche
loro. Sei contenta?”
“Sìì! Percché sono piccoli piccoli e… un po’ vissidi.”
“Mia, non sono
viscidi!”
“Ma
hanno la pelle così… vissida.” Fece la sua solita smorfia con la bocca,
quando le cose non le andavano a genio.
“Tu hai
finito?” Intanto erano scese giù: Mia si era catapultata sul suo
tappeto dei giochi, mentre Emma era china con la schiena sul suo quaderno.
“Odio le
sottrazioni. Le odio.”
E sì, in
Matematica era proprio tale e quale ad Alice.
“Il bello deve
ancora arrivare, tesoro: divisioni, moltiplicazione, lettere al posto dei
numeri…”
“Grazie,
zia Bella. Sei
sempre d’aiuto.” Soffocò una risata, mentre si riempiva una
tazza di caffè.
La settimana appena
finita era stata una delle migliori: stando da sola con le bambine era riuscita
ad instaurare un rapporto fantastico con loro, nel
giro di pochi giorni. Era riuscita a capirle e a viziarle in tutti i modi
possibili, e le adorava da morire. La mancanza di Edward si sentiva, ma loro
erano diventate complici. Passavano da pigiama party che duravano ore a gite
nei vari parchi di New York. Un giorno le aveva anche portare alMoMa, e persino quel cuore di
ghiaccio di Rosalie Hale si era innamorata di loro.
“Quando torna
Angela?” Ed avevano anche formato un quartetto
perfetto, insieme ad Angela. Si era ripresa da poco, doveva fare ancora molte
sedute di fisioterapia, ma non si era mai tirata indietro quando Bella la
invitava a cena a casa loro.
“Sìììì. Angea quando viene?”
“Presto. Un giorno cacceremo zio Edward e così Angela dormirà qui
con noi.”
“Lo mandiamo da
James e Laurent.” Disse Emma, trovando una
soluzione per tutto. Bella questa volta rise sul serio, immaginandosi Edward a
dormire sotto lo stesso tetto del suo migliore amico e del fidanzato di quest’ultimo.
Non glielo avrebbe mai perdonato, e per questo aveva in mente di spedircelo il prima possibile.
“Pecchéridi?”
“Niente,
tesoro.” Bella scosse la testa, togliendosi quelle immagini dalla mente.
“Insomma, vogliamo finirli questi compiti?”
Emma alzò gli
occhi al cielo, infelice che la sua piccola pausa fosse già finita. “Odio la Matematica. Io. La.
Odio.” E detto questo, buttò di peso la testa sul tavolo di legno,
sbuffando sonoramente.
“NONNAAAAA NONNAAAAANONNAAAAA”
Mia si catapultò immediatamente fra le braccia di Esme,
aspettando che quest’ultima la prendesse in braccio per abbracciarla
forte.
“Tesoro, tu non mi
saluti?” Emma la guardò dall’alto verso il basso, e
lentamente si avvicinò a lei per stamparle un bacio sulla guancia.
“C’è qualcosa che non va?”
“Zia
Bella mi obbliga a fare Matematica. Io odio la Matematica.” Esme
scosse la testa, sorridendo.
“Devi fare i tuoi
compiti, tesoro. Tutti gli abbiamo fatti.”
“Non
Matematica.
Nessuno può obbligarmi a fare Matematica.”
Sbuffò sonoramente, dirigendosi a testa bassa verso l’ingresso
della casa.
Intanto Bella cercava i
chiudere quella maledetta macchina, che in una settimana le aveva dato non
pochi problemi.
Era una
responsabilità troppo grande guidare una macchina del genere,
soprattutto se il proprietario era un geloso egocentrico come Edward Cullen.
Dopo pochi minuti
seguì le sue nipotine all’interno della casa, trovando già
Jacob e Leah seduti su uno dei tre divani di
quell’enorme sala. Mentre i gemelli erano nei passeggini, proprio accanto
ai loro genitori.
“Non so se stai
peggio tu o io.” Esordì Leah, mentre
Bella si sedeva accanto a lei. La sua amica aveva occhiaie pronunciate, ed il suo colorito non era dei migliori.
“Ci siamo
divertite, queste settimana.”
“Oh, anche noi. Non
puoi capire invece quanto si sia divertito Jacob, che ha deciso di tenere il
Pub aperto. E che quindi rientrava ogni sera ad orari
improbabili, svegliandoli entrambi.”
Bella cercò di non
ridere, ma proprio le fu impossibile quando vide la faccia triste da cane
bastonato di Jacob.
“Il
bello deve ancora arrivare. Tipo quando giocherete a nascondino, e ne troverai uno
dentro la lavatrice, mentre l’altra invece di cercarla, prova ad
accenderla.”Leah
allargò gli occhi, stupita.
“Non dirmi che
l’hanno fatto veramente.”
“Già. Mia
è entrata nella lavatrice, ed Emma quando l’ha trovata invece di
andare a fare tana, ha praticamente premuto il bottone
d’accensione.”
“E…?”
“Era da un
po’ che io ed Angela non le sentivamo, e lei era
andata al piano inferiore. Fermate per un pelo.”
“Ringrazia che non
lo sappia Edward. Te lo avrebbe rinfacciato per il resto della tua vita.”
“Peccato che Edward ora lo sa.”
Sobbalzarono entrambe, e si voltarono contemporaneamente.
Edward Cullen era proprio dietro di loro: e mentre la faccia di Leah era quasi colpevole per qualcosa che non aveva fatto,
quella di Bella era quasi… stupita
e felice allo stesso tempo.
“Sei
tornato.” Fu l’unica cosa che riuscì a sussurrare,
beccandosi una gomitata dalla sua amica.
“Qualche ora fa. Mi
ha accompagnato James qui.”
“Oh.”
Brava, Bella. Continua così. Sei la regina delle
conversazioni.
“Insomma, chi era
dentro la lavat-”
“Il pranzo è
pronto!” E in quel momento EsmeCullen fu santificata da Isabella Swan.
Per il resto della sua vita.
Quella tavolata era
qualcosa di invivibile: Emma e Mia non facevano altro
che punzecchiarsi, iniziando anche a tirarsi piccoli pezzetti di pane. I
gemelli avevano capito che era l’ora di mangiare, e quindi avevano iniziato
a piangere allo stesso tempo. Jacob cercava di aiutare Leah
con entrambi i piccoli, Esme provava a calmare le sue
nipotine, mentre Edward e Carlisle discutevano di
lavoro e politica. Un vero e proprio inferno per Bella, che decise di
abbandonare tutte quelle persone ed iniziare a portare
i piatti in cucina.
La cucina dei signori Cullen era super attrezzata, con un forno di ultima
generazione dotato di touchscreen,
due lavastoviglie, ed un lavandino enorme. Insomma,
nulla a che vedere con la loro
cucina.
Aprì l’acqua
calda ed iniziò a lavare i primi piatti, quando
due mani forti le afferrarono entrambi i fianchi.
“Buh.”
“Divertente.”
Cercò di continuare quello che stava facendo, ma era impossibile
concentrarsi con il profumo di Edward a pochi centimetri da lei.
Devi solo lavare i piatti, Bella.
Lavare. I. Piatti.
“Ti serve una
mano?” Domandò, senza staccare le mani da
lei. Anzi, avvicinandosi ancora di più da far aderire le loro guance.
“No. Puoi tornare
di là.”
“Sto meglio
qui.”
Non sapeva come
interpretare quelle parole. A dirla tutta, non sapeva proprio come interpretare
tutti i gesti di Edward nell’ultimo periodo.
“Puoi aiutare tua
madre con Emma e Mia. Oppure dare un po’ di supporto morale a Jacob. O
tornare a chiacchierare con tuo padre. Ma qui non ho
bisogno d’aiuto, Edward.”
“Capito.” Si
staccò di qualche centimetro, giusto per dare lo spazio necessario a
Bella di voltarsi.
Ora, erano uno di fronte
all’altra. E la prima cosa che notò Bella, fu che la porta della
cucina che lei aveva lasciato aperta, ora era chiusa.
“Perché hai
chiuso la por-”
“Mi sei mancata.” Fu tutto quello
che uscì dalla bocca di Edward, prima di zittirla con quella di Bella.
Una mano restò
sempre issata sul suo fianco, mentre l’altra arrivò dietro il suo
collo, massaggiandole delicatamente la nuca.
Entrambi approfondirono
il bacio, intrecciando le loro lingue. Si staccarono dopo quale
secondo, entrambi bisognosi di aria, con le bocce arrossate e gli occhi
stravolti.
“No. Così
non va bene.” Disse Bella, in un sussurro.
“Cosa?”
“Non
può andare avanti così. Non ci vediamo da una settimana, Edward. Non puoi tornare e
fare… questo.” Con la
mano libera indicò loro due, intendendo
ciò che era appena successo.
“Dopo quello che è successo la scorsa notte, non posso fare
questo?” Edward ripeté il suo stesso identico gesto, alzando
entrambe le sopracciglia.
Che cos’era successo, la
scorsa notte?
Più di una settimana prima, dopo che i gemelli erano nati, Edward
l’aveva baciata per la prima volta. E una seconda. Poi una terza, e
così via.
Si erano scambiati effusioni per tutta la notte, senza mai andare
oltre.
Si erano scambiati parole dolci e di
conforto, dopo tutto quello che avevano passato.
Si erano svegliati insieme, avevano fatto colazione e subito
dopo Edward era partito per il suo congresso.
Ed ora che non si vedevano da una
settimana, la sua spiegazione era stata quella: un altro bacio attaccata al lavandino
della cucina.
“Il problema
è che non so ancora cosa sia successo l’altra notte,
Edward.”
“Come?”
“Bells, mi riscaldi i biberon?” Erano ancora
attaccati, quando Jacob entrò in cucina con due biberon pieni di latte
in mano. “Okay. Va bene.” Jake deglutì, cercando di trovare un senso a tutto quello aveva appena visto. “Ti
lascio i biberon sul tavolo. Io non ho visto niente.”
Silenziosamente come era entrato, uscì,
lasciandoli di nuovo soli. E ancora attaccati.
“Fantastico. Ci mancava solo questa.” Sussurrò
Bella, sbattendo la testa sul petto di Edward, esasperata.
“Tì. E poi io ho parura del buio.
No. Non pottoandale in
camera di tia
Bella. No.” Sentirono la voce di Mia, mentre chiacchierava amabilmente
con sua nonna.
“E perché
non puoi andare in camera di Bella, tesoro?”
“Pecchétio Edward domme con lei. L’altra notte dommiva
con lei.”
“Ora si che siamo
fottuti.” Sussurrò Edward, scuotendo la testa e appoggiandola
sopra quella di Bella.
“Cazzo!” Una teglia cadde sul
tavolo, rovesciando i biscotti a forma di pipistrello che c’erano sopra.
“Zia Bella ha detto
una palola!
Zia Bella ha detto una palola!”
Una palola stava per parolaccia, e
Mia nella sua maschera da fantasmino non vedeva
l’ora di sbandierarlo ai quattro venti.
“Zia Bella non si
dicono le parole!”
Lanciò un’occhiata truce all’uomo davanti a lei.
“Non
rompere.”
“Sempre di buono umore ultimamente. E’ quel periodo
del mese?” James le fece l’occhiolino, portando la tazza che aveva
in mano alla bocca.
“E’ sempre
quel periodo del mese per lei.” Intervenne Edward, rubando dalla teglia
un biscotto. E guadagnandosi un’altra occhiataccia da parte di Bella.
James si accigliò,
guardando il suo migliore amico.
“Scusa, se è
sempre quel periodo del mese quando fate sesso?” Si finse sorpreso,
quando sapeva benissimo che voleva soltanto mettere in imbarazzo Bella.
“Oh. E’ rimasta la figa di legno del College, sai.” Continuarono a parlare della sua vita sessuale
tranquillamente, come se lei non ci fosse.
“Cosa? Ormai Mia ha spiattellato ai
quattro venti che ve la intendete, voi due. E ancora
niente?” Questa volta la domanda era per Bella, perché si era
voltato dalla sua parte.
“Stiamo
scherzando.” Sussurrò Bella, stringendo lo strofinaccio che aveva
in mano.
“Dai,
tesoro! Ti servirebbe proprio un po’ di movimento.”
“Quello che penso
anch’io.” Edward diede corda al suo amico, ed
insieme iniziarono a fissarla.
“Primo, il mio movimento non vi deve
interessare.” Disse, indicando con l’indice prima
James, e poi Edward. “Secondo, il mio malumore è
dovuto a te” il dito rimase puntato su Edward, “che non mi stai
aiutando per niente. E a te,” di nuovo,
si spostò su James “Che sei peggio di quelle due pesti. Ed hai trent’anni.” Finì,
riprese in mano lo strofinaccio e continuò a decorare i biscotti.
“Cazzo, ti serve
proprio una scopata tesoro.” E sia James che
Edward si ritrovarono coperti di glassa nera.
“Quindi
niente cena a casa dei tuoi?” Domandò James, mettendosi il
cappotto. Ormai era finito Ottobre, e fuori si moriva di freddo.
“No. Bella dice che
ha un appuntamento.”
“Oh. Cullen, forse
sei geloso?”
“Io? Non abbiamo parlato di niente,
quindi è liberissima di fare quello che vuole.”
DisseEdward.
“Senti, te lo dico
ora che Bella e le bambine sono al piano superiore: non me ne frega nulla di
quello che combinate tu e lei, siete grandi e vaccinati. Ma basta che questo
non ricadrà sulle bambine.”
“Appunto. Siamo
adulti e sappiamo quando dobbiamo tenerle fuori da questo.”
“Edward, ti
conosco. Non conosco Bella, ma conosco te: so che quando ti innamori,
quando entri dentro ad una storia non ne esci più. Ci sei al cento per
cento. Ma se Bella un giorno si stancherà, devi
lasciarglielo fare. Oppure, non iniziate per niente questa cosa.”
“Abbiamo finito la
paternale?” E lì James capì immediatamente che se ancora
non era dentro al cento per cento, era arrivato al
novantanove.
“La paternale non
te la facevi fare neanche da Carlisle.”
Esordì Bella, portandosi dietro Emma e Mia. “Sono pronte. E mi raccomando, James. Poche caramelle.”
“Promesso.”
Tirò fuori quel sorriso che faceva svenire ogni donna, e poi fece l’occhiolino alle bimbe, informandole che ci
sarebbero state caramelle a volontà quella sera.
“Le vengo a
prendere domattina.” Disse Edward.
“Tranquilli. Ve le
riportiamo io e Laurent. Dobbiamo andare a pranzo dai
suoi, siete di strada.”
“Sicuro?”
“Sì.
“E niente
parolacce.” Bella puntò il dito contro James, perché Mia
aveva appena smesso di chiedere a tutti cosa fosse una scopata.
“Allora,
ci vediamo domattina. Fate le brave.” Baciò entrambe sulla fronte, coperte fino
al collo dalle loro sciarpe. Una borsa ciascuna, con le maschere di Halloween.
Erano prontissime per andare a fare dolcetto o scherzetto con James e Laurent.
“Siamo brave.
Promesso.”
“Ciao ciao.” Salutarono entrambe con le manine,
finché Bella richiuse la porta dietro di loro. Sentendo in lontananza
Mia che cantilenava parolacce e James che rideva come
un pazzo.
“Ehw.” Bella
sospirò, buttandosi di peso sul divano e stirandosi fino a sentire male
ai muscoli.
“Stanca?”
“I piedi.”
Disse, con la faccia schiacciata sul cuscino. “Non mi sento più i
piedi.”
“Se continui a
metterti quelle scarpe per andare a lavoro, dovranno amputarteli alla
fine.”
“Spiritoso.”
Non si mosse, ma i cuscini del divano si spostarono quando Edward si sedette
accanto a lei, tirandole su i piedi e mettendoli sulle sue gambe.
“Che fai?”
“Massaggio a
domicilio.” Cominciò dalle dita, fino ad arrivare al collo del
piede e poi ricominciare. Bella sospiro, affondando di
più la faccia sul cuscino.
“Male?”
“Cazzo continua!” Le uscirono di getto quelle parole, come di getto uscì la risata
dalla bocca di Edward.
Un suono che Bella
sentiva raramente, e non ne aveva mai abbastanza.
Dopo qualche minuto di
silenzio e di massaggi ai piedi, lei si voltò, restando sempre sdraiata.
“Lo sai che
dobbiamo parlare.” Spinse un po’ di più sul tallone,
provocandole una smorfia sulla bocca.
“Già.”
“Siamo persone
mature, Edward.”
“Lo so.”
“Quindi,
arriviamo subito al punto: che succede?”
“Succede che tu sei
sdraiata sul divano, e io ti sto massaggiando i
piedi.” Alzò gli occhi al cielo, si tirò su ed incrociò le gambe.
“No. Dobbiamo
parlare sul serio, ora che le bambine non ci sono.”
“Non lo so che
succede, va bene?”
“Come non lo
sai?”
“No. E’ tutto strano, Isabella.”
“Cazzo, non venirmi
a dire che è strano, che non sai come comportarti e roba del genere. So
chi sei, Edward Cullen. E so anche quante ragazze hai
avuto. Quindi, tira fuori il nocciolo della questione.”
“Non lo so. Forse è stato un momento di debolezza.”
“Momento di debolezza?” Bella
sgranò gli occhi, sedendosi ancora meglio. “Il
momento di debolezza c’è stato quando Leah
ha partorito. Ed un po’ è stato
per colpa mia, vero. Però a casa di Esme e Carlisle, io non centravo
niente. E nemmeno il momento di debolezza, perché cazzo Edward, stavo
lavando i piatti! E nemmeno l’altro ieri mattina, quando mi hai lasciata fuori al MoMa e per
salutarmi mi hai baciata. Questi non sono momenti di debolezza. Questi sono
gesti calcolati.” Riprese il fiato che aveva perso durante tutto quel
discorso.
“Succede e basta,
cosa ti devo dire? Ti vedo lì, mentre torniamo dall’Ospedale, hai
la faccia stravolta e magari pensi ancora a Jasper ed
Alice. Oppure quando sei lì a lavare i piatti, e c’è quel sedere che Bella, ringrazia che non ti
abbia spogliata a casa dei miei genitori. E poi di
nuovo in macchina, quando ti volti per salutarmi e scendere, e hai quella
faccia così stanca per colpa delle bambine, ma anche così…”
“Fermo. Mi stai
dicendo che lo fai per pietà? Perché sono stanca, e ti faccio
pena? Oppure perché sono la poverina che lava i piatti per allontanarsi
da una famiglia perfetta, tralasciando la parte del mio sedere?”
“No, Isabella!
Cazzo, perché devi sempre mettere il punto nelle parti sbagliate? In
tutto il discorso che ti ho fatto, hai capito soltanto quello che volevi
capire.”
“Ho capito quello
che mi volevi dire, Edward.” Sussurrò
alzandosi e rimettendosi le ciabatte.
“No! Non hai capito un bel nie-”
“Stasera faccio
tardi. Tanto hai detto che devi uscire anche tu, no?”
“Con alcuni
colleghi di lavoro.” Disse Edward, capendo che ormai era una battaglia
persa.
“Perfetto. Io vado
a prepararmi.” Si voltò, dirigendosi verso il piano superiore.
“Isabella?”
“Mh?”
“Posso chiederti
con chi esci?”
Sapeva che Leah non poteva muoversi da casa, con i bambini.
E che Angela stava ancora
facendo la fisioterapia.
“Con Mike
Newton.”
E sapeva anche che Mike
Newton non aveva un emerito cazzo da fare, nella sua esistenza.
Omenera uno dei
ristoranti giapponesi più famosi di New York, ed
il preferito di Bella. Si stupì non poco, quando Mike fermò la
macchina lì fuori, le aprì lo sportello e diede le chiavi al
parcheggiatore.
“Come facevi a-”
“Lo ammetto: James
mi ha suggerito qualcosa, questa volta.” Sorrise, mentre tenne aperta
l’enorme porta a vetro per farla entrare.
“Adoro questo
ristorante.”
“Già.”
Non adorava Mike Newton,
ma per quella sera poteva anche essere passabile. Si stava comportando da
gentiluomo, e Bella lo apprezzava molto.
Mike aveva già
prenotato un tavolo, e la cameriera giapponese li
condusse lì con un sorriso di cortesia.
“Piace anche a te
il sushi?” Lui si guardò intorno, grattandosi imbarazzato la
testa.
“Okay. Non hai mai mangiato il
sushi.” Esordì Bella, con lo sguardo compassionevole.
“Hai vinto tu.
Ammetto di non aver mai mangiato sushi in vita mia.”
“Perché?”
“L’idea del
pesce crudo non mi ha mai allettato, devo dirti la
verità.” Lei rise, ed aiutò Mike a
prendere la sua ordinazione. Dopo un po’ arrivarono i piatti, e
così anche le grosse risate di Bella, mentre cercava di mettere alla
prova Mike con le bacchette in mano.
“E’ la prima
e l’ultima volta.” Disse infine lui, infilzando quel pezzetto di
sushi al salmone con la forchetta.
“Questione di
abitudine.”
“Non mi
abituerò mai.”
“Però
ti è piaciuto, sì?” Sarebbe stato davvero triste, se il
sushi non gli fosse piaciuto. Anche perché quello era uno dei ristoranti
più costosi di NY.
“Non
male. E non lo
dico tanto per dire.” Bella rise di nuovo,
scoprendo che quella serata stava prendendo una piega piacevole.
“Isabella?”
“Signorina Jessica?”
“Miss Swan?”
“Newton?”
“Cullen?”
Nella confusione non
capirono bene chi aprì la bocca per primo, ma tutti e quattro si resero
conto di una cosa: Isabella era a cena con Mike, mentre Edward con la signorina
Jessica. Che a casa era definita come ‘colleghi di lavoro’.
“Vi
conoscete?
Magnifico! Siamo pieni stasera, e unire il vostro tavolo
sarebbe fantastico!” La cameriera non aspettò nemmeno una
risposta, e velocemente attaccò il tavolo vuoto a quello di Isabella e
Mike.
“Jessica
Stanley.” La signorina Jessica allungò una mano nella direzione di
Mike, e si sedette proprio accanto a lui. Così da lasciare libero il
posto accanto a Bella. Che fu subito occupato da Edward.
“Ti piace il
sushi?” Sussurrò lui, assottigliando gli occhi.
“Da
quant’è che lei è diventata una tua collega di
lavoro?”
“Ho avuto dei
problemi con quella cena.”
“Giusto. Sei corso
subito ai ripari, però.”
“Insomma, come fate
a conoscervi voi due?”
“Viviamo insieme, Newton.” Disse Edward, senza mezze parole.
“Come scusa?”
“Viviamo
solo insieme. Non
stiamo insieme.” Precisò
Bella, dandogli una gomitata e facendolo sorridere.
“Siete tipo… coinquilini?” Nessuno dei due
aprì bocca, Edward troppo preso a mangiare il sushi rimasto nel piatto
di Bella, e lei perché non riusciva a trovare le parole adatte. Ma ci riuscì benissimo la signorina Jessica, che con
molta calma e professionalità spiegò a Mike come andavano le
cose.
“Wow. James non mi ha mai detto nulla.”
“Si chiama
privacy.” Sottolineò Edward, questa volta
mangiando dal suo piatto che era appena arrivato. Mentre ‘puoi chiamarmi Jessica, Bella!’ mangiava un’insalata non condita.
Perché il pesce crudo no.
Perché i grassi no.
Perché il fritto no.
Blablabla.
“Ragazzi,
noi possiamo anche lasciarvi da soli. Abbiamo finito, e così potrete godervi la serata.” Esordì Bella, ma fu interrotta da una mano
posata sulla sua coscia destra.
“No. Non se ne parla. Vi offro io questa
cena.” Edward strinse di più la mano sulla coscia nuda di Bella,
facendola tornare al suo posto.
“Posso pagarla
tranquillamente io, Cullen.”
“Tesoro, lasciali
andare.” Jessica fece l’occhiolino a Edward, gli strinse la mano
che era sul tavolo e giocò un po’ con le sue dita.
“E’
James!” Isabella tirò fuori il cellulare dalla borsetta, si
alzò e si allontanò di qualche passo. Tornò indietro dopo
qualche minuto.
“Succede
qualcosa?”
“Dobbiamo andarle a
prendere.”
“Cos’è
successo?” Questa volta Edward scattò in
piedi, abbottonandosi la giacca.
“Andiamo. Mike, potresti gentilmente
occuparti di Jessica stasera?” Lui annuì spaesato, mentre la
signorina Jessica ignara di tutto continuava ad
occuparsi della sua insalata. Mentre Bella e Edward presero i cappotti ed uscirono velocemente, infilandosi nella Volvo grigia.
“Insomma, che
diamine è successo?”
“E’ inutile
che fai questa strada. Puoi benissimo tornare a casa nostra.” Edward rallentò
con la Volvo, concedendosi di fissare Bella.
“Come? James cosa voleva?”
“Mi ha detto che
andava tutto alla grande, e che erano appena tornati a casa.”
“Allora perc-”
“Tu torna a casa
nostra, Edward.”
Impiegarono venti minuti
di silenzio tombale e di sospiri lasciati apposta, per tornare a casa. Ma
quando Bella entrò e si tolse le scarpe, non
aspettò nemmeno che Edward chiudesse la porta dietro di sé, per
tirargliene una in pieno petto.
“Che cazz-”
“Ti sembravo un
cane bastonato anche stasera, eh?”
“Come?”
“Che problemi hai, Cullen? Stavo bene, stasera. Benissimo. Volevo passare una
serata tranquilla, come fa qualsiasi donna di quasi trent’anni. Ma no. Tu devi
sempre stare in mezzo. Devi sempre rovinare tutto.”
“Dimmi tu quali
sono i tuoi problemi, Bella!”
“I
miei? James ha
chiamato, chiedendomi se eri arrivato. Con
la signorina Jessica. Altro che cena di lavoro. Sapevi benissimo
dove sarei andata a cena, e hai fatto tutto apposta. Io avevo soltanto
bisogno di una serata per respirare. E basta.” Alzò
entrambe la braccia, per enfatizzare tutto quello che aveva detto.
“Con
Mike Newton? Vuoi
davvero respirare con Mike Newton, Isabella. Bene, allora vai, che lui ti
aspetta. Non sai in che guai ti vai a cacciare. Però,
vai. Sei adulta, e sei liberissima di fare tutto quello che
vuoi!” Urlò stavolta lui, allentandosi il nodo della cravatta.
“In che guai mi
vado a cacciare?”
“Non te li spiego
neanche. Perché è inutile parlare con te. E’ inutile
spiegarti con tranquillità che mi
piaci, e che potrei perdere la testa al solo pensiero di sapere che sei
lì fuori con Mike Newton. Eppure vai. Perché
sei una testarda, ottusa, egommh”
Si spostò di
almeno tre passi, trovandosi con il sedere sul bracciolo del divano e con Bella
in braccio.
“Odio le
cravatte.” Sussurrò lei, cercando di tirargliela via. Mentre i
bottoni della camicia seguirono la sua fine sul pavimento. “E toglimi le
mani dalla schiena, Cullen. Quel sedere è
tutto tuo. E lo so che non sei un bravo ragazzo.”
“Niente
affatto.” Disse Edward nella penombra della stanza, stringendo entrambe
le natiche e avvicinandola ancora di più a lui.
In meno di pochi minuti
lui rimase a petto nudo, mentre il vestito di Bella si era alzato fino alla
vita.
“Sopra.”
Disse, iniziando a baciargli il collo.
“Aspetta. Mmmh. Aspetta, Isabella.”
“Che
c’è?” Si stancò a malincuore, guardandolo con quella
faccia da cane bastonato che lui adorava così tanto.
“Devi dirmi cosa
vuoi fare.”
“Cosa
voglio fare?” Cercò di trattenere una risatina, mordendosi
le labbra.
“E devi esserne
sicura.”
“Lo sai cosa voglio
fare,Cullen? Mh?”
“Sto cercando di
immaginarlo.”
“Io lo immagino da
stamattina, invece. Voglio fare un
po’ di movimento. Quindi, alza le chiappe dal divano, e portami di
sopra.”
Edward la strinse di
più a sé, lei avvolse le gambe intorno alla sua vita e la
portò al piano superiore.
Bella se ne rese conto
dalla luce che filtrava dalla finestra, con il sole che non era del tutto
salito nel cielo. Ed anche per un’altra cosa: l’odore pungente del
caffè. Aroma che adorava.
“Mmh.” Si stropicciò
gli occhi, stirandosi ancora di più nel letto.
“Ne ho sentiti fin
troppi di quei versi stanotte.”
“Cazzo, cazzo, cazzo!”
Era la voce di Edward,
ancora impastata dal sonno a far venire tutto a galla.
Edward Cullen.
Sesso.
Sesso fantastico.
“Proprio il
buongiorno che mi aspettavo, tesoro.”
Tolse le mani dalla faccia, per poter ammirare Edward Cullen a petto nudo, coperto fino alla vita dal lenzuolo
bianco, con una tazza di caffè in mano.
“L’abbiamo
fatto davvero.” Non era una domanda, e lo sussurrò appena. Edward
annuì, senza proferire parola. E dopo pochi secondi, Bella
scoppiò in una sonora risata. Continuò a ridere per qualche
minuto, girandosi di lato e tenendosi anche la pancia per i dolori.
“E’ una cosa
buona, no?” Edward la indicò, per capire quello che stava
succedendo.
“Hai detto che ti
piaccio, Cullen.”
“Blablabla.”
“Hai anche ammesso
di essere geloso marcio.”
“Ricordo quello che
ho detto ieri sera.”
“E che se pensare a
me vicino a Mike, ti vie-” Fu proprio la bocca
di Edward ad interromperla, posandosi sopra la sua.
Bella pensò che
sarebbe stato fantastico poter sentire l’aroma del caffè in quel
modo, ogni mattina.
“Finito?” Il
peso di Edward la schiacciava, facendola diventare un piccolo puntino sotto la
sua corporatura così robusta.
Ho finito? Voglio veramente finire tutto questo?
“E poi dai,
insomma, la signorina Jessica?” Continuò, sapendo che Edward
l’avrebbe interrotta di nuovo.
E lo fece.
Assaporò le sue labbra lentamente, non preoccupandosi di nulla.
Perché non
c’era nient’altro che l’avrebbe staccata da lui, in quel
momento.
La mano di Edward si infilò senza permesso sotto il lenzuolo che
copriva entrambi, iniziando ad accarezzarle un seno.
“Mhh.”
“Ti ho già
detto che l’ho sentito troppe volte quel suono, tesoro.”
“Stronzo.”
Sussurrò appena, spingendolo con un po’ di forza per farlo finire
disteso sulla schiena. In pochi secondi, era a cavalcioni
su di lui.
Quei boccoli sciolti le
ricadevano sulle spalle nude, e Edward da sotto non faceva altro che ammirarla,
stupito.
Dove era stata quella
donna per tutto quel tempo?
Sotto i tuoi occhi, cretino.
“Potrei abituarmi a
questa visuale.” Disse, mentre Bella si abbassava, unendo i loro petti
nudi. Iniziò bacandogli il collo lentamente, per poi arrivare al pomo
d’adamo, e poi sempre più su. A pochi centimetri dalla sua bocca, decise di negargli
un bacio per sussurrargli delle semplici parole.
“Allora abituatici,
Cullen.”
E lui l’avrebbe
fatto molto volentieri, se il campanello non fosse suonato proprio in
quell’istante.
“Tesoro, devi
scendere.” Bella si infilò un paio di
jeans, e poi volse lo sguardo verso Edward.
“Non sono le
bambine?”
“Sono
appena le nove, James le riporta fra un paio d’ore. Scendi.” Non chiese
spiegazioni, indossò anche una maglia bianca e cercò di sistemare
quei capelli ormai pieni di nodi. Stava ripensando a tutto ciò che era
appena successo scendendo le scale, e le scappò anche un sorriso.
Finché non vide un uomo seduto sul divano di casa sua, in giacca e
cravatta. Su per giù aveva la sua età, molto elegante e con una
cartellina fra le mani.
“Salve.”
Disse, avvicinandosi a Edward e sedendosi accanto a lui.
“Isabella Swan?” Ovvio,
idiota. Fece un sorriso di circostanza, allungando la mano a quel signore.
“EmmettMcCarty. Assistente sociale.” La
congelò con due semplici parole.
Bella aspettava questo
momento da un po’. Sapeva che l’avvocato Denali avrebbe inviato
qualcuno, e quel qualcuno era arrivato nel momento meno adatto.
“Posso chiedervi dove sono Emma e Mia?”
“Dai nonni.”
Bella precedette Edward, sorridendo al signor McCarty.
“Hanno passato Halloween a casa dei nonni.” Finì poi,
mettendosi finalmente comoda.
“Non ho ben capito
una cosa.” Iniziò Emmett, aprendo la sua
cartellina. “Lei e il signor Cullensiete legati da rapporti sentimentali?”
“Sì.”
“No.”
Bella strabuzzò
gli occhi, voltandosi lentamente verso Edward.
No! Cavolo, no che non stavano
insieme. Quello che
era appena successo, era successo e basta.
“Ho capito, dovete
un attimo chiarirvi le idee.” L’assistente si schiarì la
voce, continuando a puntellare la penna su quella cartellina nera.
Bella continuava a
fissare Edward, cercando di capire bene cosa aveva appena detto.
Okay, la sera prima le
aveva detto che le piaceva. Ma per lei quel‘mi piace’ ora era lontano anni luce da un ‘fidanzamento’.
“Le mie visite
continueranno ad essere visite a sorpresa, ma la
prossima volta spero di vedervi insieme alle bambine.” Emmett si alzò, infilandosi la giacca. “E voi, dovete parlare. Vi ho trovati
male e con le idee per niente chiare. Questi vostri problemi passeranno anche ad Emma e Mia, se non li risolvete.” Detto ciò
strinse la mano a tutti e due, e poi si fece strada da
solo verso la porta di casa.
Era stato un totale disastro.
“Rapporto sentimentale?”
“Mi
piaci. Questo
significa che provo dei sentimenti. Quindi, ho risposto soltanto con la
verità.” Bella alzò le mani al
cielo.
“Sai cosa significa
essere legati da rapporti sentimentali?”
“Lo so, Isabella.”
“Legati. Legare. E’ qualcosa che proviamo
entrambi, e quindi ci lega. Chi ti ha
detto che provo la stessa cosa per te?”
“Oh, stanotte
credevo di aver capito la maggior parte delle cose.” La buttò
lì lui, sarcasticamente.
“Una scopata non ci
lega in rapporti sentimentali.”
Nel dire quelle due ultime parole, imitò con le mani due virgolette.
“Non fare
l’ipocrita. Sappiamo entrambi come è
andata. Sai quello che ho provato io, ed io so perfettamente quello che hai
provato tu, Isabella.”
“E cosa ho provato,
eh?” Gli si avvicinò di qualche passo, arrivandogli quasi sotto il
viso.
“Quello che non
provavi da tanto, quasi troppo tempo.” Edward inclinò la testa,
per guardarla meglio negli occhi. “Anzi, forse quello
che non hai mai provato. Ed ora non negare che
non fosse niente. E’ stato molto più di una scopata. E lo sai cosa ci lega, eh? Tutto il
dolore che abbiamo provato fino a questo momento, tutti gli anni che abbiamo
passato insieme, senza renderci conto di niente.”
Spinse un dito sul suo petto, spostandola di qualche centimetro.
“Quindi
non fare l’ipocrita, la moralista o qualsiasi cosa tu stia cercando di
fare, Isabella. Le bambine torneranno fra qualche ora, e noteranno
immediatamente che qualcosa è cambiato. Tu lo sai cosa provo, ma lascio
scegliere a te. Dimmi se dobbiamo comportarci da normali conoscenti che parlano
a malapena e vivono sotto lo stesso tetto, oppure se mi concedi un po’ di
libertà. Se mi concedi di baciarti in questa casa, e spiegare alle nostre bambine che qualcosa è
cambiato. Concedimelo, Isabella.”
Si avvicinò ancora
di più a lui, posandogli le braccia intorno al collo.
“Te lo
concedo.” Sussurrò, stringendosi ancora di più attorno a
lui.
“Me lo fai un
favore?” Chiese Edward, avvolgendole le mani calde intorno alla vita
stretta.
“Sì.”
“Smettila di essere
così stronza, perché non ci crede nessuno.” Ottenne prima
un pizzico sul fianco, prima del bacio che entrambi aspettavano già da
un po’.
Piccoli sfioramenti.
Era anche quasi
impossibile da notare, ma Bella se ne rese conto immediatamente.
Un bacio sulla fronte un
più.
Le loro
mani una accanto
all’altra.
Quelle di Edward che la
maggior parte delle volte erano sul corpo di Bella.
Anche ora, mentre le
bambine erano a pochi metri di distanza, la mano di lui
era posata sulla schiena di lei.
“FOCA! FOCA! FOCA!”
“Mia, come fa la
foca?”
“BrruBrru.”
La bambina rispose alla domanda della sorella con un verso palesemente
inventato, imitando l’andatura della foca.
Sia Edward che Bella risero, dietro di loro.
“Guarda! Quello sembra proprio zio Edward,
tutto infagottato.”
Questa volta fu Bella a ridere di più, sotto lo sguardo accigliato di
Edward.
La bambina stava
indicando un pinguino, quello più grosso fra tutti che camminava
sbilanciandosi prima a destra e poi a sinistra.
“Dove hai imparato
quella parola?”
“Nuova parola! Me l’ha imparata
James.”
“Insegnata, Emma. Insegnata.”
“Me l’ha insegnata James.” Disse di nuovo,
facendo una linguaccia a Bella.
Avevano deciso insieme di
andare al Bronx Zoo. James e Laurent le avevano riportate a casa verso le dodici, e
Edward e Bella ci avevano messo meno di una mezz’oretta a prepararle di
nuovo per uscire. Anche se ormai il freddo si iniziava
a sentire, si erano muniti di vestiti pesanti e giacche partendo verso lo zoo.
Dopo pochi passi si
ritrovarono davanti a degli orsi enormi. Poi c’erano di nuovo le foche, i
pappagalli, le scimmie, tigri e leoni.
“Mi sono divertita
tantissimo! Non vedo l’ora di tornare a casa e raccontarlo ai miei
compagni!”
Stavano facendo una
passeggiata lungo la zona verde di quello zoo. Avevano comprato dello zucchero
filato alle bimbe, compresa Bella, perché quando si trattava di dolci faceva parte della categoria bimbe.
“Ora, vi ripulite
tutte.” Le ammonì Edward, guardandole viso e mani a tutte e tre.
“Qual è il
problema?”
“Il problema? Siete
tutte ricoperte di zucchero. Non toccata la mia Volvo in
quelle condizioni.”
“Non è un
problema.” Disse Emma, con la bocca ancora piena di zucchero.
“Tanto quando eri partito Mia ci ha fatto cadere la cioccolata e zia
Bella innumerevoli tazze di
caffè.”
“Innumerevoli?”
“Come?”
Parlarono insieme,
coprendo le loro domande. Una per Emma, ed una per
Bella.
“Hai fatto cadere
il caffè nella Volvo?” Chiese conferma Edward, con un tono
silenziosamente inquietante.
“No… Insomma, forse. Qualche goccia.
Niente di più. Poi, ho ripulito tutto.”
“Hai ripulito
tutto?”
“Dai,
era come nuova tesoro.”
“Non
fare quegli occhi.
E nemmeno quella faccia!” Edward le puntò un
dito contro, mentre lei iniziava a ritrarsi di qualche passo e lui a
raggiungerla.
“E tu hai mangiato
della cioccolata in macchina?” Pietà per nessuno, perché la
faccia arrabbiata si spostò verso il piccolo faccino di Mia.
“No. Tia Bella diseva che potevo mangiare, e io mangiavo in macchina!” Con quella piccola vocina e quei boccoli che le
incorniciavano il viso Mia diede immediatamente tutta la colpa a sua zia.
“Ora io vi prendo,
e ve la faccio pagare.” Edward parlò lentamente, facendo ormai
indietreggiare tutte e tre. Iniziarono a correre, ma in poche mosse
acciuffò prima la piccola di casa, poi sua sorella ed
infine Bella, e per portarsela dietro caddero tutti e quattro sul fogliame
intorno a loro.
Le piccole iniziarono a
ridere, seguite immediatamente da Bella e Edward. Non passava nessuno lì
intorno a loro, e si godettero ancora qualche minuto
insieme.
“Hey, guardate!” Si voltarono tutti verso Bella,
guardando il fiocco di neve che le era caduto su una mano. Poi alzarono lo
sguardo verso il cielo, ed ormai erano tutti e quattro
colpiti dalla neve che stava iniziando a scendere copiosamente.
Sia Mia che Emma si alzarono, allungando le mani e girando come
trottole. Invece loro erano rimasti ancora per terra,
guardandole con un sorriso.
“Come stai?”
Domandò Bella, di punto in bianco.
Perché voleva
sapere come si sentiva in quel momento. Se stava provando le sue stesse
emozioni, perché in quel momento c’era veramente qualcosa che li
stava legando per tutta la loro vita.
“Sto bene.”
Rispose, avvicinandosi e posandole una carezza sulle punte ormai bagnate dalla
neve.
“Sto sempre bene, con le mie donne.” Concluse infine, avvicinandosi e continuando a guardare
insieme a lei le loro bambine.
“Volvo?” Vide
Rosalie dal basso all’alto, allungando un po’ la testa per
rivolgerle un sorriso.
“Non è
mia.” Rispose, scendendo e chiudendo la macchina. Erano le nove, aveva
appena portato le bambine a scuola ed ora era fuori al
MoMa.
“Lo so.” Le
disse, accennando una mezza risata.
Era da un po’ che
nonandavano
d’accordo, cioè da quando il suo Capo aveva visto Edward
accompagnare la sua dipendente a lavoro, una mattina.
Da lì
c’erano state molte frecciatine in direzione della bruna, con altrettante
allusioni e battute sarcastiche, che effettivamente erano sarcastiche soltanto per Rosalie.
Bella non le rispose, ed insieme entrarono dentro l’edificio.
Hanna aveva già
aperto da un po’, occupandosi di accendere le luci e di sistemare ogni
piccola imprecisione.
Il Capo non arrivava mai
puntuale, invece Bella aveva un permesso che le permetteva di poter
accompagnare prima Emma e Mia a scuola.
“Hanna,
alle dieci ho una visita, manda direttamente nel mio ufficio. Bella, tu occupati delle ultime
spedizioni.” Con passo felino e tacco dodici si
diresse verso la porta bianca del suo ufficio, senza nemmeno preoccuparsi di
chiuderla con cautela.
“Giornata no?” Chiese la
segretaria.
“E’ sempre
una giornata no per lei.”
Peccato che per Bella non era una giornata No, e non se la sarebbe fatta rovinare
da nessuno.
Ormai andava quasi tutto
nel verso giusto: aveva un lavoro che le piaceva e ben retribuito, le bambine
erano sempre più felici ed in splendida forma,
i suoi migliori amici stavano benissimo, specialmente Angela che era guarita
del tutto.
E poi, c’era
Edward. Quel Dio greco che poteva vedere tutte le mattine nel suo letto, appena
sveglia.
Tutto andava nel verso
giusto. Tutto. O quasi.
“Buongiorno. Dovrei
vedere Rosalie Hale.”
“Lei
è?” Domandò Hannah, mentre Bella
seguiva la conversazione da lontano.
“Tanya. Tanya Denali.”
“Sono stanca
morta.”
“Lo ripeti tutti i
giorni.” Disse Edward, continuando a massaggiare le spalle di Bella.
“Mi fanno male i
piedi.”
“Anche questo, lo
ripeti tutti i giorni. E come tutti i giorni, io ti dico che non devi indossare
quelle scarpe.”
“Non capisci
niente.” Sbadigliò, girandosi verso di lui. “Devo per forza
indossare ‘queste’
scarpe, Edward. Dovevi vedere l’amica di Rosalie, oggi. Una bionda alta almeno due metri, con gambe chilometriche.”
“Oh, invidi una
bionda ora?”
“Mmh.”
Edward le stampò un bacio sulle labbra, staccandosi poco dopo.
C’erano le bambine in giro per casa, Emma al piano di sopra e Mia a
giocare sul suo tappeto dei giochi.
“Non possiamo
andare avanti così.”
“Avremo mai un
momento di pace? Un giorno, quando mi dirai ‘Edward,
adoro stare così. Facciamo sesso sfrenato.’”
“Spiritoso.”
Bella fece un sorriso di circostanza, dandogli una leggera spinta
per spostarlo. Dopo si alzò, per controllare il pollo che era nel forno.
“Infatti
sono serio, Isabella.” Disse, alzando le mani al cielo, ormai arreso.
“Dobbiamo dire
qualcosa alle bambine. Dobbiamo per forza dire qualcosa ai tuoi genitori.”
“I miei ormai sanno
tutto.” Rubò una patata dal forno aperto, portandosela alla bocca.
Poco dopo, diventò tutto rosso.
“Ti sta bene,
idiota.”
“Idiota?”
Edward unì entrambe le sopracciglia, ma il suo sguardo era divertito. E
lei sapeva benissimo che gliel’avrebbe fatta pagare,
quella sera stessa.
“Mia ci ha sputtanati in
quattro e quattr’otto.”
“Che tignificastuppanati?”
Entrambi si voltarono,
guardando la bambina ferma sullo stipite della porta che dondolava da un piedi all’altro.
“Niente, tesoro. Non significa niente.”
“Allolapecchétio Edward lo dice, se non significa nente?”
Giusta osservazione, tesoro.
“Perché zio
Edward dice tante cose che hanno significato,
amore.” Edward le diede un pizzicoto sul
fianco, facendola saltare.
“Ripeto:
idiota.” Sussurrò, alzando gli occhi al cielo.
“Ho tame.”
“La cena è
quasi pronta, tesoro. Dov’è Emma?”
“Non mangia.”
“Perché?”
Domandò Edward, iniziando ad apparecchiare la tavola.
“Non
scende. Si lagna in camera tua.”
Disse con naturalezza, sedendosi al suo posto. Mentre Edward lasciava gli
ultimi piatti in mano a Bella, per dirigersi al piano superiore e vedere
perché Emma si lagnava.
“Non
ti stai lagnando.
Sei disperata.” Annunciò Edward, entrando
nella camera di sua nipote e trovandola seduta per terra, con i suoi pupazzi preferiti
sparsi intorno ed un libro sulle sue gambe.
“Che succede,
tesoro?” Domandò, sedendosi accanto a lei, e sopra a due orsetti
di peluche.
Quello che aveva in mano
non era un libro, ma era un album
fotografico.
“Hey.” Edward le accarezzò i capelli dolcemente,
per poi farle posare la testa sulla sua spalla.
“Domenica è
il mio compleanno.” Singhiozzò, nascondendo il capo nella maglia
bianca di lui.
“Lo so, tesoro. Faremo una bellissima festa dai nonni, no?”
“Mi portavano a
Disneyland!” Sbruffò arrabbiata, ancora tra le lacrime.
“Mamma e papà. Hanno detto che mi portavano a
Disneyland, per il mio ottavo compleanno!” Questa volta si alzò in
piedi, e nella sua mini-statura ora raggiungeva la testa di Edward, che era
seduto per terra. “L’hanno promesso! E ora non ci sono
più! Se ne sono andati! E no, zio Edward, non mi dire che sono in un
posto migliore, e che stanno meglio. Mi
hanno lasciata qui, da sola!”
“Hey.”
Sussurrò appena Edward, prendendola tra le braccia.
“Non lo so dove sono, tesoro. E non ti
dirò che sono in paradiso. Però ora mamma e papà sono
insieme, e sono anche sicuro al cento per cento che sono felici.”
“E
io? Io non sono felice! Chi ci pensa a me?”
“Ci penso io a te,
tesoro. Ci pensa zia Bella, i nonni, James e Laurent,
Leah, Jake e i gemellini. Tutti pensiamo a te. E tu, ovviamente, devi
pensare a noi.”
“Io ci penso a
voi.” Sussurrò appena, tirando su col naso. “Però
mi hanno fatto una promessa. E mantengono sempre le promesse.”
Disse, deglutendo rumorosamente e posando di nuovo la testa sulla spalla di
Edward.
“Non possiamo andarci domenica, ma ti ci porto io, a Disneyland.
Ti prometto che ci andiamo insieme.”
“Io
e te da soli?”
“Zia Bella e
Mia?”
“Oh, ma lasciamole
a casa per una buona volta!” Disse, facendo spuntare un sorriso a suo
zio.
“Aggiudicato. Ci
andremo da soli, tesoro. Ora, perché non andiamo a lavare questo bel
faccino, che la cena è pronta?”
“Io non ho
fame.”
“Zia Bella ha fatto
il pollo con le patate al forno.”
“Forse un po’
di fame.” Disse, con un’espressione da birbante sul viso. “Me
lo lavo da sola, sono grande.”
“Ti aspetto
giù?”
“Sì.”
Disse, scendendo dalle gambe di Edward e dirigendosi verso il bagno. Mentre lui
richiuse l’album, per riportarlo al piano inferiore.
“Ah, Zio
Edward?”
“Sì?”
“Ti mancano mamma e
papà?” Domandò innocentemente, senza tracce di lacrime
negli occhi.
“Da morire, tesoro. Mi mancano
tantissimo.”
Quando si voltò
per uscire, trovò Bella appoggiata su lo stipite della porta con gli
occhi lucidi, e Mia con la testa posata nell’incavo del suo collo, con le
guancette rosse e il labbro inferiore
all’infuori.
“Va bene se
restiamo qui?”
“Mmh. Certo.”
“Vuoi che vada a
prendere i tuoi cuscini?”
“No.”
“Vai tu o vado io a dare la buonanotte alle bambine?”
“Io.”
“Ho vinto un
milione di dollari alla lotteria.”
“Cosa?” Bella alzò
finalmente lo sguardo, puntandolo su Edward.
“Oh, finalmente
ricevo qualcosa di più di semplici versi e monosillabi. Vai avanti
così da quando è iniziata la cena. Mi spieghi
che c’è che non va?”
“Niente.”
“Non dirmi cazzate,
Isabella.” Disse, infilandosi la maglia blu che usava per dormire.
Avevano deciso di dormire
in camera di Edward da una settimana. Perché lui non si spostava dal suo
amato materasso, ma voleva avere Bella accanto. Non era un problema per le
bambine, che ormai da tempo non si alzavano più
durante la notte.
“Sono una
stronza.” Annunciò infine Bella, passandosi le mani fra i capelli
e fermandosi prima di aprire la porta ed uscire.
“Cosa?”
“Sono una stronza,
Edward. Sono una delle persone più egoiste di
questo mondo. Penso solo a me stessa.”
“Fermati. Fermati
adesso, e siediti qui con me.” Non era una semplice richiesta, e lo
sapevano entrambi. Bella si sedette, e aspettò. “Che succede,
ora?”
“Alice era la mia
migliore amica. Ed anche Jasper. Ma cazzo, Edward!
Alice era tua sorella. Sangue del tuo sangue! Ci sei
cresciuto insieme, era tua sorella! Ed io mi sono presentata in questa casa con
pretese alte, mi sono incazzata con te ogni santo
giorno, ti ho pianto addosso. Per la mia migliore amica. E tu, non hai fatto
nulla. Non ti sei incazzato, non hai sbattuto la porcellana per terra, e non ci
hai lasciate. Non ti ho dato la possibilità di
arrabbiarti, di sfogarti. Non me ne è fregato
niente Edward, se non di me stessa.”
Edward allungò una
mano, accarezzandole la testa lentamente.
“Tesoro, io sto b-”
“No, cazzo! Non
dirmi che stai bene, Edward. Non dirlo.”
“Cosa
vuoi sentirti dire, Isabella? Che Alice era una rompipalle di prima
categoria, e che mi manca ogni giorno di più? Che mi manca anche vedere
Jasper la mattina al Bar, prima di andare a lavoro? Vuoi sentirti dire questo? E’ ovvio, Isabella. E’ ovvio
che mia sorella mi manchi, e così anche mio cognato. Che ogni volta che
vedo Mia ed Emma rivedo loro due, ogni santo
giorno.” Sussurrò fra i denti, indicando la porta chiusa a pochi
metri da loro, dove le bambine stavano ormai dormendo.
“Volevo che
buttassi tutto fuori. Non stai bene, Edward. Non stai bene, quando ti tieni
tutto dentro. E devi sapere una cosa: puoi dirmi tutto,
qualsiasi cosa. Possiamo parlare, dobbiamo parlare.
Dei nostri problemi, e di quello che è successo. Perché è
stato pochi mesi fa, ed è ancora una ferita aperta.
Promettimi che d’ora in poi tireremo fuori tutto.”
“Devo addirittura
promettertelo?” Ormai Edward non la guardava più negli occhi, ma
un punto indefinito dietro a lei. Troppo colpevole di non stare affatto bene, nascondendo gli occhi lucidi dalla
vista di Isabella.
“Promettimelo.”
Allungò una mano, e lentamente tirò su il suo viso dal mento. Gli
accarezzò una guancia ormai resa ruvida dalla barba, e poi vi
posò un bacio sopra. Un bacio casto, che diceva molto di più di
tutte le notti che avevano passato insieme.
“Te lo prometto. Giuro.Niente
più segreti, tesoro.”
“Il tacchino,
Edward! Il
tacchino!” Bella urlò con il canovaccio in mano ed
il grembiule stretto in vita, indicando con la mano coperta da un guanto il
fumo che usciva dal forno.
“Non è colpa mia!”
“Non è colpa tua?”
Con il coltello che aveva nell’altra mano si
allontanò dal bancone, avvicinandosi a lui. “E di chi credi che
sia, Edward? Io tagliavo le verdure, e tu dovevi controllare il tacchino.
Semplice. Elementare!”
“E’ stato il
forno!” Fece quegli occhi da cagnolino ferito, sporgendo anche il labbro
inferiore di fuori.
“Il forno?” Intanto lei era rossa
dalla testa ai piedi, ancora con il coltello da cucina in mano. “Dobbiamo
soltanto ringraziare Esme che ha preso le bambine.
Perché noi preparassimo il pranzo in tutta tranquillità. E bene, Edward. Tua madre per una volta
ha accettato di passare il Ringraziamento qui, ed è la prima volta che
non cucina. Credi che possa fare brutta figura? Saremo più di dieci, a
pranzo. E il tacchino è bruciato! Che giorno del Ringraziamento sarebbe,
senza tacchino?”
Intanto Edward aveva
tirato fuori il tacchino dal forno, posandolo sul tavolo.
“Okay. Calma, tesoro.” Tolse
delicatamente il coltello dalla sua mano, che ora puntava anche
involontariamente contro di lui. Strinse anche l’altra mano,
avvicinandola cautamente. “Ora respira lentamente.
Non andrà nulla a puttane. Il tacchino ha fatto soltanto un po’ di
fumo, e non è andato perso.” Si
beccò un’occhiataccia da parte di Bella, ma posandole un dito
sulle labbra la fece tacere prima che iniziasse a scaricarsi. “E’ quasi tutto pronto per il pranzo. E mia
madre è felicissima di venire qui, e stare con
noi e le sue nipotine. Mangerebbe anche del take away
per il Ringraziamento, per la sua famiglia.” Lei
sospirò, voltandosi e appoggiando la schiena sul bancone.
“E’
la tua famiglia, Edward. Non ho mai passato il Ringraziamento dai Cullen,
ma soltanto da mio padre a Forks. Non sono abituata
alle grandi cose, come preparare il tacchino o le verdure
arrosto. Ma Alice mi raccontava sempre cose
splendide. Che Esme è una cuoca perfetta, e
che non l’avrebbe scambiata per nessun motivo al mondo. Voglio che oggi
vada bene. Voglio un Ringraziamento degno di casa Cullen.” Edward le accarezzò i capelli, mettendo una
ciocca che le era scivolata dal fermaglio dietro l’orecchio. “Ma si
da al caso che non sarà un bel Ringraziamento,
se non ti prendi cura delle tue mansioni!” Lo ammonì, puntandole
un dito contro.
“Tu hai bisogno di
rilassarti.”
“Sto benissimo
così, Edward.” Fece per scansarsi, ma se dietro c’era il
bancone che la fermava, davanti c’era quell’uomo splendido che
glielo impediva.
“Non credo proprio, tesoro.”
“Edward, sono le
undici.” Disse, sperando di convincerlo a lasciarla.
“Hai
ragione.” Anche lui guardò l’orologio a muro, constatandolo con ovvietà. “Per questo
arriveranno tutti alle dodici e trenta. Fra un’ora e mezza.”
“E il tacchino non
c’è p-” Non finì di lamentarsi, perché i suoi
fianchi furono stretti da una morsa e dopo poco si
ritrovò seduta sul bancone.
“Ora, ti rilassi.”
“Edw-” Fu interrotta da una lunga scia
di baci che partirono dalla mandibola, fino ad arrivare alle clavicole.
“Shh.”
“La cen-”
“Tesoro,
è il pranzo.
Non una cena.” Lo maledisse mentalmente, sia per quella mancanza che per tutto quello che le stava facendo provare.
“Le bam-” Questa volta furono le
labbra di Edward a coprire quella frase, con un bacio lento e bagnato.
“Un’ora
e mezza, piccola.
Abbiamo un’ora e mezza.” Intanto la mano si era posata sulla coscia
di Bella, passando da sopra e jeans e sotto quel grembiule con Babbo Natale,
scivolando sempre più su. Bella sospirò,
alzando gli occhi al cielo. Ma anche se tutti stavano
per arrivare e non avevano poi tutto questo tempo per cucinare di nuovo il
tacchino, non poteva arrendersi a quei baci. Contorse le braccia fino alla
schiena, slacciando con un unico movimento il grembiule e buttandolo per terra.
“Venti
minuti. Non di
più.” Annunciò, sfilando la maglia a Edward, subito dopo
raggiunta da tutti gli altri vestiti.
“Me ne dai soltanto venti?” Bella soffocò una
risata, incrociando le gambe dietro la schiena di Edward, facendosi trasportare
fino al divano.
“Ne abbiamo a
disposizione soltanto venti.” Precisò.
“Un’ora e
mezza, Isabella.”
“Venti
minuti, Edward.
Soltanto Venti.” Ma quando lui entrò
dentro di lei, sentendo quei gemiti che ormai avevano imparato a memoria,
capirono entrambi che quei venti minuti non sarebbero mai bastati.
“Mutandine!”
Edward le lanciò a Bella, mentre lei si rivestiva di corsa. Avevano
deciso di rimettere il tacchino mezzo bruciato nel forno, riscaldandolo. Quelle
belle verdure tagliate perfettamente erano diventate di forme assurde, tagliate
successivamente male e velocemente.
“Erano venti
minuti, Edward!”
“Sono sempre venti
minuti, per te.” Le passò davanti per dirigersi in bagno, ma solo
dopo averle lasciato un bacio sulla fronte. Intanto Bella indispettita, ma con
il sorriso sulle labbra finì di preparare quel tavolo in meno di un
minuto, saltando quando suonarono al campanello. Nemmeno si specchiò, e
quando aprì la porta trovò James a Laurent.
La salutarono
allegramente: il primo con un bacio sulla guancia, mentre il secondo con una
lieve strizzatina sul sedere.
“Hai la camicia all’incontrario, tesoro.” Le sussurrò
nell’orecchio Laurent, sulle labbra un sorriso
malizioso. Lei diventò rossa dalla testa ai piedi, ma non fece in tempo
a chiudere che sentì le urla di Emma a Mia.
“Mi manca da morire
non vederle tutti i giorni, ma cavolo, sto
sudando.” Bella allargò gli occhi, perché non aveva mai
sentito Carlisle parare in quel modo così
aperto.
“Grazie,
Bella.” Esme arrivò un attimo dopo, con in braccio Mia.
“Ciao
tesoro.” La salutò posandole un bacio sulla guancia, mente lei
tendeva le braccia per farsi prendere. “Dove sei stata?”
“Ci hanno poltato a CentaPak.”
Ora Bella capiva perché Carlisle era
così stralunato e sudato. Sicuramente aveva dovuto rincorrerle per tutta
la mattinata.
“Ti sei
divertita?”
“Mitivelto
più contio
Edward. Lui miaccliapa
sempre.” Disse, puntando il dito contro lo zio che era appena uscito dal
bagno e stava parlando con James.
“Hey.” Si avvicinò dopo aver salutato Emma,
prendendo in braccio la più piccola della casa.
“Mitei mancato
tanto.” Strinse le braccia intorno al suo collo, e Edward ricambiò
con il sorriso sulle labbra.
“Il
tacchino.” Sussurrò lui a Bella, indicando la cucina. Era ancora
in forno, e la avvertì prima di beccarsi un’altra strigliata.
Anche se poi fare pace non gli sarebbe dispiaciuto
così tanto.
“Vado a
controllarlo.” Bella passò una mano sulla testa di Mia, facendola
scivolare poi sulla schiena di Edward, allontanandosi.
Ma non le sfuggirono le ultime parole che lui le rivolse.
“Grazie, amore.”
“E’ tutto
buonissimo, Bella.” Rivolse uno sguardo di gratitudine adEsme, che stava finendo di mangiare un pezzo della
torta di zucca. Almeno quella era una cosa che le era riuscita particolarmente
bene.
“Grazie.”
Sorrise, e allungò le mani perché proprio in quel momento Leah le stava passando il neonato.
“Hey.” Bella abbassò la voce, avvolse Ronald
ancora di più nella sua copertina e iniziò a cullarlo.
“Non capisco
perché in braccio a te non piange.” Sbuffò Jacob, con le
sue grandi occhiaie che gli incorniciavano il volto stanchissimo.
“Perché sono
una zia perfetta.”
“Non è velo.” Si intromise
Mia, continuando a staccare pezzi di zucca dalla torta mangiandoseli.
“Come no?”
Ormai erano tutti in silenzio, pronti ad ascoltare quello che aveva da dire.
“Ieri avevo un‘ncubo, tono
venuta nella tua cemela
ma non c’eli.”
La fulminò con lo sguardo, ma era più offesa che triste.
“Questo
perché sta sempre in camera di zio Edward. Esce sempre con tutto il collo
rosso. E stamattina aveva tutti quei lividi.” Disse con ovvietà
Emma questa volta, mentre il silenzio in quella sala era diventato tombale.
“Tu etio Edward
fate la lotta?”
“No, tesoro.”
Disse Edward.
“Perché non
riprendi tuo figlio?” Disse Bella.
“Bambine, giochiamo
al gioco dell’oca?” Disse Esme.
“Forse vado a
prendere una boccata d’aria.” Disse Carlisle.
“Io lo sapevo che
c’era qualcosa sotto.” Disse Jacob.
“Finalmente fate bungabunga.”
Disse James.
“Io lo
sapevo!” Disse Laurent.
Parlarono tutti
contemporaneamente, procurando un caos degno di una famiglia così
rumorosa.
Poco dopo gli uomini
sparirono nel giardino con vari bicchieri di whisky e sigarette, Angela si era
accomodata sul divano allattando entrambi i gemelli, e Bella si era chiusa in
cucina, sommersa dalle stoviglie sporche.
“Ti serve una
mano?” La pentola le cadde nel lavandino, procurando un rumore
fastidioso.
“No, grazie Esme.”
“Tu lavi ed io
asciugo.” Le sembrava più un ordine che una richiesta, ma sempre
con quel suo dolce tono di voce.
“Perfetto.”
Rimasero in silenzio, e quando le stoviglie pulite diventarono più di
quelle sporche, la signora Cullen decise di parlare.
“E’
seria?”
Bella valutò
attentamente la sua risposta, perché sapeva che avrebbe avuto un peso
grave.
“Sì.”
“Bella.” Non
disse nulla, ma lei chiuse l’acqua e si voltò.
“Sì?”
“Non so cosa stia accadendo
tra te e Edward, ma è ovvio che c’è
del tenero. E sono felicissima per voi. Ho sempre creduto che sareste finiti
insieme, prima o poi. Ma le
cose erano diverse. Prima potevate pensare soltanto a voi stessi, e se fosse
andate male, non avreste avuto nessuna ripercussione, almeno non che
riguardasse anche esterni. Ma ora avete le bambine. E
se le cose tra te e Edward non andassero bene, loro ne risentiranno per sempre.
E questo non deve accadere. Non ora che stanno superando pian piano quello che
è accaduto. Non possono permettersi di perdervi. Di
perdere anche solo uno di voi.”
“Questo non
accadrà, Esme.” Bella si tolse i guanti,
allungando le mani pulite verso le sue. “Emma e Mia
saranno sempre in primo piano. Io e Edward
credevamo di aver fatto le cose per bene e di nascosto, ma quelle ne sanno una
più del diavolo. Volevamo dirglielo con calma. Ma
già lo sanno. Io e Edward siamo delle persone
mature, ma la nostra storia non inciderà sulle loro vite. Te lo
prometto.” Spiegò, stringendo per tutto il tempo
le mani fra le sue.
“Lo ami?” La
domanda arrivò impetuosa.
“Io…”
“Bella, lo
ami?”
“Sì. Lo amo.” Esme
le rivolse quel sorriso dolce, per poi abbracciarla.
“Edward
ne ha passate tante, Bella. Tu puoi fargli solo che bene. Lo vedo dal suo sguardo. Prima
pensava soltanto al lavoro, e alle donne che trovava di rado. Ora sorride con
te, e con le bambine. Siete la sua famiglia.” Gli occhi di Bella
diventarono lucidi, mentre ricambiava l’abbraccio di Esme.
“Grazie, Esme.”
“Grazie
a te, tesoro. E
diglielo. Il prima possibile. Lui deve saperlo, Bella.” Non si chiese come facesse a sapere
che Edward non sapeva, ma rimase in
silenzio. Ma glielo avrebbe detto. Gli avrebbe detto
che lo amava come mai aveva amato un uomo, e che erano
una famiglia. Loro due, con le bambine. Che avrebbe passato il resto della vita
con lui, che si sarebbe presa cura di tutti e tre. Lo avrebbe fatto il prima
possibile, perché aveva bisogno di sapere che Edward era lì,
pronto a cominciare qualcosa di nuovo con lei.
“Grazie, Isabella.”
Alzò la testa verso Rosalie, sorridendole.
Non doveva ringraziarla. Certo, aveva
apprezzato moltissimo quel ‘grazie’ detto di corsa, ma non le sarebbe bastato per averle
fatto passare un intero venerdì sera chiusa al MoMa,
per fare l’inventario.
Mancava
poco, e quell’anno sarebbe finito. Quell’anno che le aveva portato
via tanto, forse troppo. Ma che le aveva dato
altrettanto. Il Natale era alle porte, aveva lasciato le bambine a casa con
Edward e quella sera la stavano aspettando per fare l’albero di Natale.
Aveva chiamato dispiaciuta, ma loro tutte felici le avevano detto di non
preoccuparsi, e che avrebbero fatto l’albero il giorno dopo. Addobbando
quell’enorme casa, proprio come dicevano loro.
Edward.
Quel
nome ormai era un punto fisso nella sua mente da tempo.
Non faceva altro che pensare alle parole che le aveva detto Esme
il giorno del Ringraziamento.
Se lo ami, devi dirglielo.
Era
sicura di quello che provava. Che non era del semplice affetto, anzi. Ma aveva anche paura.
Paura
di una sua possibile reazione. Erano passati quasi più di due mesi da
quel giorno, e non sapeva se Edward era pronto o meno.
Però tu lo sei, e devi dirglielo.
Non
era sicura di conoscerlo abbastanza. Ma la cosa di cui
aveva più paura, era una soltanto: il
rifiuto. Avrebbe spezzato tutta la quiete che si era creata in quel
periodo, lasciando in bilico anche le bambine. E non poteva permetterselo. Non
poteva stravolgere di nuovo la vita di Emma e Mia, non dopo tutto
quello che avevano passato.
Sobbalzò
quando sentì suonare il campanello della porta principale, chiedendosi
chi fosse. Erano ormai le dieci passate, e a quell’ora chiudevano sempre.
Aprì
senza nemmeno rispondere, ritrovandosi davanti l’amica
di Rosalie. Quella bionda mozzafiato di cui non ricordava mai il nome. Ma della quale, invece, invidiava quel corpo da modella.
“Ciao.”
La salutò appena, alzando la mano fina con delle unghie lunghe e laccate
di rosso.
“Salve.”
Isabella ricambiò, sorridendo cordialmente anche lei. “Rosalie
è nel suo ufficio.” Aggiunse.
“Lo
so.” Nemmeno la ringraziò, dirigendosi spedita verso
l’ufficio della Signorina Hale.
Sbuffò
sonoramente quando sentì richiudere la porta dell’ufficio di Rosalie,
stropicciandosi gli occhi.
Adorava
lavorare alMoMa. Certo, non
era la sua galleria. Non era più il
Capo, ma
ora ne aveva uno. Ma era il lavoro che aveva sempre
sognato. Compreso di straordinari in quelle fredde giornate di Dicembre.
Ma
a volte Rosalie era insopportabile, e in più ci
si metteva l’amica che sembrava uscita da una sfilata di Victoria’s Secret.
Sospirò,
riportando la sua attenzione sul computer davanti a lei. E pensando che fra
poche ore sarebbe tornata dalla sua
famiglia.
“EMMA!!” Edward urlò talmente forte da far scappare
Skipper.
Sì,
avevano preso un gattino. Nero. Come
se la sfortuna già non gli avesse colpiti tutti
da un giorno all’altro. Quel gatto nero era una piccola palla di pelo
infreddolita fuori casaCullen,
quando per puro caso Mia lo trovò, portandolo con sé in casa. Lo
voleva tenere con tutta se stessa, avendo –
forse per la prima volta -, l’appoggio di sua sorella maggiore. E
così con moine ed occhi dolci avevano prima
abbordato zio Edward, che poi – all’oscuro delle bambine -, aveva
cercato di convincere zia Bella. In camera da letto. E ci era riuscito benissimo.
Ma
le cose non erano affatto cambiate, dopo
l’adozione di Skipper. Anzi, peggiorate. Ora quel piccolo micio era il giocattolino
principale delle bambine, portato in ogni angolo della casa, vestito da
bambolina o da pirata. Ed in quel momento, mentre
zampettava nell’altra stanza, in testa aveva un piccolo cappello di Babbo
Natale, che praticamente gli copriva metà del musino nero.
“Perché
non posso farlo?”
“Primo:
perché sono le dieci. Secondo: perché dovreste stare a letto da un pezzo, e terzo,” sospirò,
cercando di trovare quella calma interiore che aveva perso ormai da molto tempo
“terzo, non puoi attaccare delle unghie finte a tua sorella con l’attack, Emma.”
“Ma
lei le voleva così tanto!”
“Tì, le
voglio cottì
tanto!” Le diede man forte la piccola, indicando la scatoletta piena di
unghie di vari colori.
Non
aveva idea di come fosse venuta a Bella quell’idea. Era andata a fare un
po’ di shopping con Angela, e si era presentata a casa con due
pacchettini di unghie finte. Senza sapere che non erano per delle bambine, e
che volevano attaccarsele per forza di venerdì sera.
“Vi
prometto che ve ne comprerò un pacco. Con degli adesivi. Così voi
avrete le vostre bellissime unghie, evitando di attaccarvi quelle per il resto
della vostra vita.”
“Quando
ce le compri? Adesso?”
Ad Emma brillarono gli occhi, e Edward faticò
per trattenere un sorriso.
“Domani,
tesoro.”
“Allora
le attacco con la colla, adesso.” Si imputò,
schioccando un’occhiataccia a suo zio.
Tale e quale ad Alice.
“Va
bene, attaccale.” Esordì Edward. “Però,
ricordati che domani non potrai fare l’albero di Natale, allora. Come
farai, con quelle unghie lunghe? Di certo non riuscirai ad attaccare le
palline, appendere le luci… Ci penseremo io e zia Bella.”
Il
tubetto di colla cadde dalle sue mani, posandosi con un tonfo sul tavolino.
“Allora…
me le compri domani sera?”
“Te
le compro domani sera. Ora, tutti a
letto!” Disse, caricandosele entrambe sulle spalle e portandole su per le
scale. Beandosi per un momento di quelle bellissime risate che uscivano
dalle loro bocche.
“Ci
vediamo lunedì, Rosalie.”
Mezzanotte e mezza.
Non ci poteva credere. Aveva gli occhi che le bruciavano, per quanto era stata davanti al computer. Anche i piedi chiedevano
pietà, per aver tenuto i tacchi per più di dieci ore.
Non
ce la faceva più.
“Ciao,
Isabella.” La salutò, mentre la sua amica le fece un mezzo cenno
con la mano.
Aprì
la borsa per cercare le chiavi, che non trovò
facilmente. Lo stesso identico problema lo stava avendo Rosalie, con la Porsche
rossa parcheggiata proprio dietro.
“Quella
non è la macchina di Edward Cullen?” Fu
soltanto un piccolo sussurro, che lei percepì benissimo. Sentì anche
la risatina di Rosalie.
“Come
diamine fai a ricordartela?”
“Conosco
la targa a memoria.”
“Addirittura?”
Rispose Rosalie alla sua amica, cercando ancora le chiavi della sua macchina.
“Dopo tutto questo tempo?”
“Non
posso di certo dimenticarmi della comodità di
quei sedili.” Anche Bella aveva colto la nota maliziosa in quella frase.
“Tanya, Edward è una storia
vecchia. Ti ricordo che quella Tanya Denali e
quell’Edward Cullen sono morti dieci anni fa.” Disse risoluta Rosalie, aprendo finalmente lo
sportello.
“Lo
so, tesoro. Ma riproverei
volentieri quei sedili.” Risero sguaiatamente insieme, e Rosalie accese
il motore partendo subito dopo.
Senza
rendersi conto di aver lasciato Isabella Swan
lì, davanti alla Volvo, che aveva trovato le chiavi da un bel pezzo, ma
che ormai si erano riversate a terra da qualche minuto.
“Puzzi
d’alcool.” Sobbalzò, non aspettandosi di sentire quella
voce. Pensava stesse dormendo da un pezzo. “E stai facendo un sacco di
rumore.” Biascicò, ancora in dormiveglia.
“Devo
prendere il pigiama.”
“Da
quant’è che dormi con il pigiama, Swan?”
Riuscì a captare la malizia anche se la voce
era ovattata dal sonno.
“Voglio
dormire in camera mia.” Dopo quella frase la luce si accese di colpo,
mostrando un Edward con i capelli scompigliati e con
un occhio aperto e l’altro chiuso.
“Cosa?”
“Voglio
soltanto tornare nel mio letto, stasera.” Non era arrabbiata.Non lo era affatto,
veramente. Voleva soltanto qualche momento per sé
stessa. Tornare nella sua vecchia stanza, restare lì a pensare. Sarebbe
stato stupido dire che fosse gelosa di quella Tanya,
eppure un po’ lo era. Ma ne avrebbe parlato con
calma con Edward. Non ora, in quel preciso istante.
Edward
si alzò, prendendo il suo cuscino.
“Che
fai?”
“Dormiamo
nel tuo letto, no?” Bella cercò di trattenere un sorriso.
“Voglio
stare un po’ da sola.” Perché
non so nulla di te?
“Cos’è
successo, Swan?”
“Niente.”
Tutto.
“Perché
puzzi d’alcool?”
“Sono
passata a trovare Jake.” Dovevo sfogarmi con un amico.
“Dopo
dieci ore di lavoro? Sapendo che c’eravamo io e le bambine ad aspettarti
a casa? Non sei credibile.”
“Era da tanto che dovevo vedereJake.
Stava per chiudere. Volevo salutarlo.” Avevo bisogno di vederlo. Di sentirmi dire che sono abbastanza, che
quello che sto facendo va bene.
“Sei
una bugiarda.”
Edward
si avvicinò, posandole una mano calda sul viso. Lei,
si perse per un momento in quegli occhi verdi.
“Chi
è Tanya Denali?” La mano ricadde
immediatamente vicino al suo fianco, e Edward schiuse le labbra.
Dimmi che posso essere di più di
quello che lei era per te.
“So thiiiiisiisChristmaaaas and happyyyynuuyaaaaaa”
“Mia!”
“Jingle beeeeljinglebeeeeelll”
“MIA! Potresti
smetterla?” Bella sbatté la cartellina che aveva in mano sul
tavolo di marmo, sospirando rumorosamente.
Erano passati quattordici giorni. Da quando Edward le aveva detto che
Tanya Denali era stata il suo primo grande amore,
durante il College. Il solito
cliché.Lei la ragazza più bella della
scuola, lui il capitano della squadra di Baseball. Le aveva detto anche
che non la vedeva e non la sentiva da anni, ormai.
Erano invece passati dodici giorni. Da quando Edward le aveva detto che
sarebbe partito per un viaggio di lavoro in Svizzera, e che forse non sarebbe
tornato nemmeno per Natale. Avevano parlato di Tanya
e basta, quella sera. Poi, Bella si era chiusa nella sua camera dopo tanto
tempo, forse troppo. Non avevano dormito insieme, e la mattina dopo aveva
trovato un bigliettino in cucina, dove lui le spiegava con pochissime parole la
sua partenza imminente per la Svizzera.
“Non fare
così, su!” Emma si avvicinò a sua sorella, mentre la
più piccola circondava con le sue piccole
braccia la vita della maggiore.
“Tia Bella mi
strilla sempre!” Disse Mia in lacrime, zuppando lentamente il maglioncino
rosso di Emma. “Non mi vuole più bene.” Singhiozzò.
Bella seguì tutta
la scena dal tavolo della cucina, sparpagliato di documenti e carte per il
lavoro.
“Che succede
qui?”
“Nonno!” Entrambe urlarono in coro,
correndo fra le braccia di Carlisle. Lui le prese
entrambe, baciandole sulla fronte.
“Bella, sono
entrato con le chiavi di scorta che ha Esme. Scusami
se non ti ho avvisato.”
“Ciao,
Carlisle. Non ti preoccupare.” Si alzò, avvicinandosi ed abbracciandolo dolcemente.
“Cosa
dicono le mie tre donne preferite?”
“Nonno!” Emma
gli diede un lieve buffetto sul viso “non dire così! Lo sai che
poi nonna Esme si arrabbia.”
“Nonna non si
arrabbia, perché io sono il suo preferito. E ama solo me.”
“Bleah. L’amore.”
Mia invece stava attraversando quella fase del ‘i maschi fanno schifo’.
“Va
tutto benissimo, Carlisle. Come mai
da queste parti?”
“Esme doveva fare delle compere nei dintorni, allora ho
pensato di venirvi a fare una visita. Sai com’è
Bella, le donne e lo shopping.”
“Hai fatto benissimo.
Metto su del caffè?”
“Certo. E se poi
non ti dispiace, quando Esme ha finito
vorremmo che le bambine venissero a cena da noi.”
“Sì!”
“SISISISI!”
Bella non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, perché quelle due avevano già deciso.
“Nessun
problema.”
Bella mise su del
caffè, mentre Carlisle fece scendere dalle
braccia le sue nipotine, che corsero al piano superiore per preparare le loro cose.
“Come vanno le
cose, tesoro?” Domandò Carlisle,
sedendosi su uno sgabello davanti al piano cottura.
“Benissimo.”
“Bella.”
“Sì?”
“Abbiamo tutti dei
momenti difficili.” Aspettò che il caffè uscisse, e poi si
voltò verso quel bellissimo uomo, che ormai considerava a tutti gli effetti un papà.
“Emma
e Mia sono fantastiche, lo sai. Ma sono pur sempre delle bambine. Mille
occhi e mille mani, sai cosa intendo.”Carlisle rise, annuendo.
“Capisco
benissimo.”
“Sai,” disse, versando il caffè in due tazze
“mi sono sempre considerata una persona abbastanza matura, seria e
responsabile.”
“L’opposto di
Alice.” Finì Carlisle per lei.
“Esatto. Non
capisco come… faceva. Alice era
il mio esatto opposto, Carlisle. Sbadata,
imprevedibile e geniale allo stesso tempo. Io pensavo che non sarebbe stato
così difficile, con loro. Ovvio, Alice era pur sempre la loro mamma, ed
io non sarò mai come lei, per le bambine. Ma…”
“Bella.” Carlisle allungò una mano sul tavolo, stringendo la
sua. “Alice era una bambina. E non è un dispregiativo. Ma Alice,
era tale e quale ad Emma e Mia. Se fosse stato solo
per Alice, loro avrebbero fatto qualsiasi cosa. Qualsiasi. E Alice l’avrebbe fatta
insieme a loro due. Tutto questo non è successo grazie a Jasper. Se
Alice aveva quel lato infantile che faceva divertire le bambine sempre, Jasper
sapeva quando era il momento di giocare e quando dovevano smettere. E’
per questo motivo, che erano una famiglia completa a tutti gli effetti, tesoro.”
“Non ci avevo mai
pensato.” Carlisle sorrise, carezzandole il palmo della mano prima di ritrarre la sua.
“E’ quello
che dovreste fare tu e Edward. Completarvi.
Eccellere quando uno di voi due manca in
qualcos’altro, e viceversa. Lì diventerà tutto più
facile, Bells.”
“Non credo che io e
Ed-”
“E’ LA
NONNA!” Bella non riuscì a terminare la frase, perché suonarono al campanello ed Emma corse giù per le
scale per andare ad aprire.
“Ciao amore!”
Esme le baciò dolcemente la fronte, posando
delle buste di plastica all’entrata.
“Ho fatto un
po’ di spesa, tesoro.” Disse a Bella, avvicinandosi per
abbracciarla.
“Non dovevi Esme.”
“Oh, non ti
preoccupare. Non mi è costato nulla.”
“Certo. Se continui a ritagliare tutti quei
coupon.” Esme
schioccò un’occhiataccia a Carlisle,
pizzicandogli un fianco.
“Non sei
simpatico.” Suo marito sorrise, e Bella in quel sorriso rivide quello di
Edward.
Dio, quando mi manca.
“Eccole
qui! Pronte?” Emma con un sorrisino sdentato annuì,
portandosi per mano la sua sorellina che ultimamente la seguiva dappertutto.
“Zia Bella?”
“Sì,
tesoro?”
“Possiamo restare a
dormire dai nonni?” Domandò Emma, sbattendo gli occhi
ripetutamente.
Questo l’ha imparato da Alice.
“Se per i nonni non
è un problema.” Sia EsmecheCarlisle dissero che no, non
c’era nessun tipo di problema .
“Allora te le
riportiamo domattina, Bella.”
“Le passo a
prendere io, non vi preoccupate.” Posò un bacio sulla testa di
entrambe, salutandole mentre si allontanavo nel porticato insieme adEsme.
“Bella?”
“Sì?”
“Fra
pochi giorni è Natale. Scrivi la tua lettera a Babbo Natale, esprimi un desiderio.
Non è mai troppo tardi.” Carlisle la
lasciò così sullo stipite della porta, raggiungendo sorridente sua moglie e le sue nipotine.
Una volta rientrata, si
sedette sul divano appoggiando i gomiti sulle ginocchia, e affondando la faccia
tra le mani.
L’unico problema
era che il suo Desiderio di Natale era lontano migliaia di chilometri da lei.
24 Dicembre 2001
“Oh. Come sei
bella, zia.”
“Grazie
amore.” Era la vigilia di Natale, e sarebbero andate a cena a casa di Carlisle ed Esme. Bella per
quella sera aveva indossato delle calze nere coprenti, ed
un vestito rosso aderente che le arrivava al ginocchio.
Sarebbe stata una serata
tranquilla, una cena senza troppe pretese. Leah, Jake, James e Laurent sarebbero
andati a pranzo il giorno dopo. Quella sera, i signori Cullen
aspettavano soltanto Bella e le loro nipotine.
“Siamo
pronte?”
“Mi metti questo?”
Mia le allungò un fiocco per i capelli rosso, che non riusciva a legare.
“Certo.”
Bella si abbassò, incastrando per bene la mollettina
fra i suoi capelli. “Ecco fatto. Ora, sei
perfetta.” Le diede un lieve buffetto, e lei corse dalla sorella per farsi
mettere le scarpine nere. Una volta pronte, si coprirono per bene tutte e tre ed uscirono nel freddo invernale di New York.
“E’ proprio
bella questa macchina.” Disse Emma, sprofondando nei sedili profumati.
Bella aveva deciso di prendere una macchina che costasse poco, per spostarsi
meglio con le bambine. Jake l’aveva aiutata
nell’impresa, ed ora guidava una piccola Fiat
cinquecento bianca.
“Ti piace?”
“Sì. E’ come la macchina delle
bambole.” E non aveva tutti i torti. La macchina di Barbie era proprio
identica a quella. Soltanto rosa.
Il viaggio verso casa Cullen non durò molto, fra una canzone Disney e
l’altra, tanto che quando Bella parcheggiò nemmeno
fece caso all’auto parcheggiata accanto alla sua.
“Nonno! Nonna!” Mia urlò da
vialetto, ed iniziò a bussare ininterrottamente
alla porta di casa, finché qualcuno non andasse ad aprirle.
“BUH!”
“AAH” Le
bambine sobbalzarono quando la porta si aprì, che nemmeno ebbero il
tempo di realizzare di chi fosse quella voce, finché non misero a fuoco
sotto la luce arancione del salone.
“Zio Edward!”
“Tei Tornato!” Entrambe gli si
aggrapparono addosso, circondandogli il collo con foga.
“Hey, hey. Mi siete mancate anche voi.” Disse Edward,
strapazzandole di baci. “Ora perché non correte dai nonni?”
Non se lo fecero ripetere due volte, e scapparono via togliendosi i cappottini
e buttandoli a terra.
Sia Bella che Edward si abbassarono per raccoglierli, trovandosi alla
stessa altezza.
“Ciao.”
Il suo profumo.
I suoi occhi verdi.
Quelle fossette che uscivano fuori soltanto quando sorrideva.
“Ciao.” Bella
si schiarì la voce.
Posarono tutte e due le
giacche sull’appendiabiti, poi Edward aiutò Bella a togliersi la
sua. Si stirò il vestito con le mani, ed si
avviò verso la cucina.
“Dove vai?”
“A vedere se Esme e Carlisle hanno bisogno di
aiuto in cucina.” Edward sorrise.
“Lo sai che
è tutto pronto da stamattina. Vieni con me.”
“Dove?”
“A fare due
passi.”
“Edward, nevica.”
“Non posso cenare...” Prese fiato, e si passò una mano tra i
capelli. “Non possiamo sedere nello stesso tavolo… così.Dobbiamo
parlare, prima.”
“Di cosa?”
Bella si voltò, avvicinandosi verso di lui per fronteggiarlo. Anche se
indossava i tacchi, non arrivava nemmeno alla sua fronte.
“Vieni con me.” Fu appena un
sussurro, e Bella non rifiutò.
Salirono le scale per
andare al piano superiore, e Edward la precedette aprendo una delle tante porte
di sopra. Fece entrare prima Bella, che si guardò intorno spaesata.
“E’ la tua
camera?”
“Lo
è stata fino al College. Esme e Carlisle
l’hanno lasciata come allora.” Non era
grandissima, ma rispecchiava in tutto e per tutto Edward. Le foto della sua
prima Comunione, dei suoi compleanni, del liceo e del College erano
incorniciate sopra un mobile bianco. Al centro c’era un grande letto
matrimoniale, e su delle mensole erano apposti i suoi trofei di baseball, il
cappello della laurea e uno stereo. Bella si avvicinò, premendo play.
“Non credo ci sia
qualcosa den-” Ma si zittì, quando la
musica partì.
“Debussy?” Bella sorrise, raggiungendo Edward che si
era seduto sul bordo del letto.
“Mia madre. Sai, la
usa per rilassarsi.”
“Sì, come
no.”
“Giuro!”
“Edward.” Lui
si zittì. “Debussy è forte.
Claire de Lune è una delle mie preferite.”
“Va bene. Mi
aiutava con la concentrazione. Sai, gli esami di fine
anno.”
“Certo.” Bella
sorrise, dandogli una lieve pacca sulla spalla.
Rimasero per qualche
minuto in silenzio. Un silenzio che pesò su entrambi.
“Sei stato via
tanto.” Lo ruppe Bella, mentre si tormentava le
mani.
“Scusami. Io e James abbiamo dovuto chiudere la società in
Svizzera.”
“Cosa?No!”
“Già. Per ora, sei l’unica a
saperlo. Dopo… dopo quello che
è successo l’11 Settembre, i tagli sono stati radicali e drastici.” La sua voce si abbassò di qualche
nota.
“Oh, Edward.Mi
dispiace tantissimo.”
“Lo so.” Lui
le rivolse un sorriso sincero. “Ma non è
di questo che voglio parlare.” Bella sapeva benissimo a cosa si
riferisse.
“Già.”
“Che
succede?”
“Io…”
Non sapeva come
dirglielo.
“Mh?”
“Non mi piacevi,
Edward.”
“Scusa, che sig-”
“Shh. Ascoltami.”
Continuò a tormentarsi le mani, cercando dentro se stessa le parole
adatte. “Non mi piacevi, Edward.” Riprese, questa volta con
più convinzione. “Per niente. Alice
era entrata nella mia vita velocemente, e non si è mai mossa da
lì. Ma tu… proprio non mi piacevi. Non
mi salutavi mai, quando ero a casa con Alice. Entravi con i tuoi amici, e non
mi degnavi di uno sguardo. Ad un certo punto, hai
anche iniziato a farmi dei dispetti.” Bella rise, ripensando a quando
Edward non le lasciava nemmeno un secondo per respirare in pace. “Mi guardavi dalla testa ai piedi con aria stizzita.
Alzavi gli occhi al cielo quando portavo a casa un bel voto, che magari era
più alto del tuo. Quando i tuoi genitori si complimentavano con me,
avevi sempre qualcosa da ribattere. Sempre.”
Deglutì, riprendendo il discorso. “Eppure, Alice
non faceva altro che dirmi che ci vedeva benissimo, insieme. E i tuoi
genitori le davano man forte. Quando me ne sono andata per frequentare il
College e sono tornata, con te è stato sempre peggio.
Per non parlare di quando ho saputo che avremmo lavorato nello stesso edificio.
Me ne inventavo di tutti i colori per mancare alle cene che organizzavano
Jasper e Alice, perché sapevo che c’eri anche tu. Credo di essermi
iniziata a sforzare una volta che sono nate le bambine, sennò non sarei mai venuta. Ma credo…
credo che dietro a tutto questo ci siano tante cose, Edward. Mi sono sempre
chiesta perché Alice avesse lasciato le bambine a noi due. Nemici da una vita. C’erano Esme e Carlisle, sono giovani e
sarebbero riusciti benissimo a crescere Emma e Mia. Non è facile stare
dietro a quelle due pesti, Edward. Ma farlo con te, è diverso. Sono cambiate tante cose,
da quando ci sei tu. Credo di essermi
innamorata di te.” Lo disse tutto d’un
fiato, guardando fissa davanti a sé. Aleggiò il silenzio per
pochi secondi, finché Edward non allungò la mano verso il mento
di Bella, per voltarle il viso.
Ora, erano faccia a faccia.
“Guardami.”
Lei alzò quegli occhi marroni, e li
fissò in quegli occhi verdi.
“Se tu non prov-”
“Shh.” Questa volta fu Edward a zittirla,
avvicinandosi lentamente verso di lei.
Non era come le altre volte.
La prima volta, si erano
baciati con foga nella sala della loro casa, per poi finire a letto. In quel letto
ci erano finiti tante altre volte. Ma non era così.
L’attesa la stava logorando.
“Edward,
baciami.”
“Shh.” La zittì di nuovo,
posando lentamente le labbra su le sue, e allontanandosi poco dopo. Continuava
a sentire il respiro di Edward che si mischiava con il suo. Si avvicinò
di nuovo, e questa volta la baciò davvero. Le loro lingue si incontrarono subito, le mani di Bella finirono subito in
mezzo ai capelli di Edward, e lui le arpionò un fianco, ma quello ormai
era familiare per entrambi. Non era la prima volta, e allora Bella non
riuscì a spiegarsi perché fosse così nuovo.
“Hey.” Sussurrò Edward, lasciando le mani
vagare sul suo viso. “Tu sei il mio Desiderio di Natale, Isabella.”
“Non ce la
farò mai.” Sbuffò Bella, stropicciandosi gli occhi. Era una
mezzoretta buona che si trovava davanti al suo armadio, guardando sconsolata
tutti i vestiti che c’erano all’interno.
“Quello
rosso?” Domandò Leah stesa sul letto.
“No. Troppo corto.” Sbuffò
di nuovo.
“E quello
nero?”
“Troppo
scollato.”
“Quel pantalone
blu?”
“Leah, non posso mettere i pantaloni ad
un Gala.”
“Oh, scusami tesoro.” La
sbeffeggiò l’amico.
“Non capisco come
le sia venuto in mente.” Disse Bella, sedendosi a gambe incrociate sul
letto.
Due giorni prima,
l’importante ed illustre RenéeDwyer aveva invitato – se non obbligato – sua figlia Isabella Swan
a presentarsi all’annuale Gala di beneficenza che si teneva presso
l’enorme villa dei Dwyer. O di quel milionario
di suo marito Phil, se si vuole essere precisi.
“E’ pur
sempre tua madre.”
“Madre, Leah?”
Disse Bella, con l’amaro in bocca. “Una madre è quella
persona che ti cresce, che ti viene a prendere a scuola, che ti aiuta a fare i
compiti, che si presenta alle recite scolastiche. Una
madre è quella persona che ti aiuta con i primi fidanzatini e con la
prima sindrome premestruale.” Prese fiato,
torturandosi le mani. “Non è quella che se ne va di casa quando
sua figlia ha appena compiuto tre anni, lasciando lei e suo marito per un altro
uomo, Leah.
Lei non è mia madre, se non sulla carta.” Finì Bella.
“Hey, tesoro.” Si sedette anche Leah,
accarezzandole dolcemente la schiena. “Proprio per questo ci devi andare.
Per farle vedere cosa sei diventata, e non grazie a lei. Dopo l’11
Settembre sei riuscita ad ottenere un nuovo e
brillante lavoro, ti occupi di una casa enorme, e da sola. E soprattutto, di
due bambine splendide. Che stanno crescendo in una maniera favolosa. Devi andare lì per quello.”
“Non porterò
Emma e Mia con me. Non le farò mai entrare in quel
mondo.”
“Dovresti.”
“No.” Chiuse
il discorso Bella, alzandosi di nuovo per mettersi davanti all’armadio.
“Cosa. Diamine. Mi.
Metto.”
“Questo.” Una
voce arrivò dallo stipite della porta, rivelando Edward con in mano una scatola bianca.
“Sarebbe?”
“Il
vestito che indosserai stasera. Coordinato con la mia bellissima nuova cravatta.”
Esordì, con quell’espressione risoluta.
“Tu non verrai con
me al Gala, Edward.” Sentirono entrambi lo sbuffo sono di Leah, che si alzò dal letto per raggiungere Edward
sulla porta.
“Pensaci
tu, perché io proprio non ne posso più. Raggiungo Jacob al piano
inferiore.” E così dicendo, sorpassò Edward senza dire
nemmeno una parola a Bella.
“Nessuno può
dirmi quello che posso o che non posso fare,
Isabella.” Si avvicinò, posando la scatola sopra il letto.
“Stasera indosserai questo. Se lo accetti mi
farai uno degli uomini più felici della terra.”
“Se accetto il
vestito resti a casa con le bambine?”
“No.” Rispose
secco, avvicinandosi da dietro a Bella, e posando entrambe le mani sulle sue
spalle. “I signori Dwyer hanno invitato
metà dei dipendenti della Cullen Media Group
al Gala di beneficenza, pensando bene di guadagnarci un bel po’ di
soldi.” Spiegò Edward. “Quindi, volente o
nolente io andrò al Gala alla villa Dwyer.
Sarei ancor di più uno degli uomini più
felici del mondo, se tu stasera salissi su quella Volvo insieme a me per andare
lì.” Bella si voltò, guardandolo negli occhi.
“Sai a cosa stai
andando incontro?”
A dei fotografi. Ai paparazzi. Ad
una villa stracolma di persone potenti e di alto calibro. A delle donne single,
bellissime e giovani. E Edward era uno scapolo ben ambito, ancora.
“A cosa?”
Sussurrò lui, accarezzandole dolcemente il viso. Sempre con quel sorriso
malizioso che passò tra le sue labbra.
“A tutto.”
“E sono pronto ad
affrontare tutto con te, Isabella Swan.” Disse,
avvicinandosi lentamente alle sue labbra. Le sfiorò appena, ma si
ritrasse quando Bella cercò qualcosa di più.
“Mh.” Mormorò, sconfitta lei.
“Vieni al Gala con
me, Isabella.”
“Sarà un
putiferio, Edward.”
“Viene con
me.” Disse di nuovo, sfiorandole le labbra.
“I giornali,
domattina.”
“Vieni con
me.” Accarezzò lentamente quella parte di pelle dietro
l’orecchio di Bella, zona erogena che conosceva fin troppo bene. Lei
chiuse gli occhi, assaporando quel momento.
“Vieni con me, e
questa non è una domanda.” Disse infine, facendo sbattere la sua
schiena contro le ante dell’armadio, in un bacio
che incendiò entrambi.
“Sei bellissima, Bells.” Disse Jake due ore
dopo, quando la sua migliore amica scese al piano di sotto. Indossava un lungo
abito nero, senza spalline che lasciava scoperta gran parte della schiena. Per
una volta aveva deciso di tirare su i suoi capelli con una pinza dorata, e
qualche boccolo scendeva ad incorniciarle il volto.
“Wow.” Disse Leah,
raggiungendo i due con il piccolo Ronald tra le braccia. “Che schianto. Moriranno tutti.”
“Ne avete ancora
per molto?” Chiese Bella, avviandosi verso la cucina a piedi nudi. Aveva
deciso di abbinare a quel vestito delle scarpe con il tacco, ma che aveva
intenzione di indossare soltanto quando stava per uscire di
casa.
“Oooh. Zia Bella, mi regalerai anche questo?” Emma la
guardò dal basso, ammirando ogni piccolo strass che ornava l’abito
di sua zia.
“Certo.”
Rispose, avvicinandosi per lasciarle un bacio sulla fronte.
Jake e Leah
erano stati incaricati di badare alle bambine fino a che Laurent
e James non sarebbero andati a dargli il cambio, dormendo
insieme a quelle due piccole pesti a casa Hale.
“Quanto
ci mettete voi donne a preparavi? Perché non è ancora
scesa?” Sentì le parole di Edward che arrivavano ovattate dal
salotto.
“Sono qui da dieci
minuti buoni.” Disse Bella ad alta voce, per farsi sentire.
Edward si avviò
verso la cuina, fermandosi però poco dopo. Non
disse nulla, ma non ce ne era bisogno: la sua faccia parlava da sola.
“Bambine,
state attente se volete andare vicino a zio Edward. Potreste scivolare sulla sua bava
che è appena colata sopra il pavimento.”
L’affermazione di Leah fece scoppiare Jake in una sonora risata, mentre Emma e Mia lo guardavano
senza capire. Gli occhi di Edward, invece, erano ancora fissi sulla figura di
Bella.
“Insomma?”
Disse lei, provocandolo facendo un giro su se stessa e mostrando la vistosa scollatura dietro la schiena. “Che
ne pensi? In fondo, l’hai scelto tu.” Edward deglutì
un attimo, prima di proferire parola.
“Era
diverso.” Esordì semplicemente. “Sul
manichino, nel negozio. Era diverso.” Spiegò.
“Era diverso
perché lo indossava un manichino, Edward.” Disse con
ovvietà Jake. “Nessuno
in questa casa pensa che Bella Swan sia un manichino,
anzi. Avrai del filo da torcere stasera,
amico.” Gli passò vicino, dandogli una pacca sulla spalla e
guardandolo dritto negli occhi. “Tanto filo da torcere.”
Ripeté, entrando in cucina seguito da sua moglie e da tutta quella
ciurma di bambini. Lasciandoli completamente soli. Ci fu
qualche minuti di silenzio, finché Edward si avvicinò lentamente
a lei.
“Abbiamo capito che
sul manichino era diverso. Ma ancora non ho il tuo
parere.”
“Sei
stupenda.” Due semplici parole, che fecero arrossire – forse per la prima volta -, Bella.
“Grazie.”
Sussurrò appena lei. Lui si avvicinò ancora di più,
stampandole un casto bacio sulle labbra.
“Ora dobbiamo
andare.”
“Dobbiamo per
forza?”
“E’
il Gala annuale organizzato da tua madre, Isabella. E sì, dobbiamo
andare.” Disse Edward, prendendo dall’appendiabiti il cappotto di
Bella, che le porse gentilmente. “Ora saluteremo le bambine, e ci
avvieremo verso la villa dei Dwyer.”
Spiegò, con lo stesso tono dolce con il quale spiegava le cose alle sue
due nipotine.
“Edward.” Fu
un semplice lamento, sussurrato.
“Hey.” Le circondò il
viso con entrambe le mani, avvicinando la fronte alla sua finché non si
toccarono. “Non devi preoccuparti di niente. Ti prometto che non
succederà nulla di male, e che la serata filerà liscia.”
“Mia madre ha
sempre portato problemi.”
“Non sarà
così, da ora in poi. Quindi, metti in moto
questo bel sederino e vai a salutare le bambine.”
Bella sbuffò, ma non disse nulla. Si voltò soltanto, avviandosi
verso la cucina e lasciando Edward dietro di lei. “Ah, Isabella?”
“Mh?”
“Altro che bel
sederino. Con quel vestito quello è proprio un culo
da favola.”
Bella sorrise maliziosa,
alzando un sopracciglio.
“Ed è tutto
tuo, tesoro.” La bocca di Edward si dischiuse
nuovamente, facendo scoppiare Bella in un’ilare risata.
“Stai attento, che puoi scivolare nella tua stessa bava.” E
rivendendosi la battuta di Leah, questa volta si
girò, entrando in cucina per salutare le sue bambine.
“Siamo davvero
qui.” Disse appena Bella, guardando fuori dal finestrino. Edward aveva
accostato davanti all’enorme villa Dwyer, e
già potevano scorgere cinque persone con la macchinetta fotografica
appesa al collo.
“Devi
rilassarti.”
“Oh, facile da
dire.” Edward sorrise, stringendo la mano di Bella fra la sua.
“Tesoro, non devi
preoccuparti di nulla.” E così dicendo scese
dalla sua Volvo, per poi aprire il lato del passeggero per aiutare Bella.
Furono travolti dai flash
che accecarono per qualche secondo entrambi, finché non si abituarono.
Edward prese Bella per mano, e la condusse verso la porta di casa Dwyer, che era aperta agli invitati.
“Mr. Cullen! Mr. Cullen! Una foto con
la sua lei.”
“Vieni qui.” Sussurrò appena Edward, posando una mano
sulla vita di Bella. “Ora, fai un bel sorriso.” Lei ci
provò, e tutto sommato ci riuscì
abbastanza. “Ecco fatto.” Ripresero a camminare, lasciando i
fotografi dietro di loro.
“Oh! Edward Cullen,
che piacere rivederti.” Una donna di mezza età si avvicinò
a loro, accogliendoli con uno strano sorriso.
Quella donna era RenéeDwyer.
“Mrs. Dwyer, il
piacere è tutto mio.” Edward ricambiò il sorriso, prendendo
la mano di Renée e avvicinandosela alla labbra. Ruffiano.
E lei arrossì, proprio come tutte le donne.
“Sono
felicissima di averti qui. E sono ancor più contenta che sei
riuscita a portarla.” Scandì l’ultima parola,
indicando poi sua figlia.
“Non
c’è di che, mamma.”
“E quelle splendide
bambine? Dove le avete lasciate?”
“Sono a casa, Renée. Una serata del genere le avrebbe distrutte.”
“Giusto. Ma non
perdiamoci in chiacchiere qui davanti. Seguitemi al banchetto, così che
possa offrirvi qualcosa da bere.” Arpionò
il braccio di Edward, trascinandolo – letteralmente
-, verso il banchetto e lasciando Bella dietro di loro. Si voltò un
solo istante, per vedere gli occhi della sua
donna che sorridevano, accompagnando il tutto con un’alzata di spalle.
Vai, Edward. Me la cavo anche da sola.
“Isabella Swan.” Era incantata dalla splendida vista che
c’era davanti a lei e cullata dalla melodia di una giovanissima ragazza
che suonava il pianoforte, quando quella voce la fece rabbrividire.
“Aro
Volturi.” Disse semplicemente, voltandosi di scatto.
“E’ un
piacere rivederti.”
“Anche per
me.” Mentì.
Aro Volturi era il socio
in affari di Phil Dwyer, cioè il suo patrigno.
Quando Bella si era trasferita a New York per frequentare il College, aveva
partecipato a molte cene in quella villa, ed Aro era
sempre presente. Quel signore non aveva mai fatto o
detto nulla per cui Bella poteva lamentarsi, ma una sola occhiata le metteva i
brividi.
Era un uomo viscido e
subdolo.
“Ti trovo bene, Bella.”
“Grazie,
Aro.”
“Non abbiamo
più avuto il piacere di incontrarci, ma ho
saputo tramite Phil cosa è successo. Ora ti occupi delle bambine Hale.”
Bambine Hale.
Le mie nipoti.
“Sì,
Aro.” Tagliò corto lei, facendo qualche passo indietro.
“Un bel
cambiamento. Non riesco soltanto a spiegarmi perché non hai accettato il
posto che ti ha offerto tua madre. Un edificio nella zona
più ricca di New York, soltanto per te. Non
sarebbe stato affatto male. Invece, hai preferito ilMoMa.”
Bella alzò
entrambe le sopracciglia, chiedendosi di cosa diamine stesse parlando Aro. Ma non poteva farlo. Non in quel momento.
“Ho preferito ilMoMa, Aro. E
mi trovo benissimo con Rosalie.”
“Oh, Rosalie. Credo di averla intravista prima.”
“E’
qui?”
“Sì…
con quella ragazza bionda. Credo fosse…”
“Tanya?”
“Giusto. Conosci anche Tanya?”
“No. La vedo qualche volta, di sfuggita.”
“Eccoti qui.”
Sobbalzò, quando due mani le arpionarono la vita. “Dov’eri
finita?” Bella sorrise, mettendo la sua mano sopra quella
di Edward.
“Tesoro, ti
presento Aro Volt-”
“Non
c’è bisogno di presentazioni.” Tagliò corto Edward,
passando da quel tono di voce dolce ad uno aspro.
“Vi
conoscete?”
“Sì. E sarà meglio che io vada.
E’ stato un piacere rivederti, Bella.
Edward.” Salutò frettolosamente Aro, girando i tacchi e
dirigendosi verso l’entrata.
“Che problema avete
voi due?”
“Perché vi
conoscete?” Parlarono nello stesso istante.
“Prima tu.”
Disse Edward.
“E’ il socio
in affari di Phil. Lo conosco da… sempre.
Più o meno. Tu,
invece?”
“La
mia è una storia più lunga, tesoro. Ti prometto che te la
racconterò, ma non ora. Sta iniziando la cerimonia.” Bella non
chiese altre spiegazioni, ma prese la mano di Edward e si avviarono verso
l’interno anche loro. “Promettimi una cosa.” Disse, a pochi
passi dal loro tavolo.
“Cosa?”
“Non lasciare mai
più che ti avvicini. Non mi piace
quell’uomo, Isabella.”
“Non piace neanche
a me.” Detto questo presero posto in uno dei tanti
tavoli rotondi della sala con i loro nomi, aspettando l’inizio della
cena.
La cena era finita, ma
ora c’era la parte più brutta. Quella che Bella proprio non
reggeva. Renée sarebbe salita su quel piccolo
palco proprio di fronte ai tavoli, per poter
ringraziare i suoi ospiti, le offerte che erano state fatte, e tantetante altre
cose.
“Signore e signori,
innanzitutto vi ringrazio per essere qui
stasera.” Disse inizialmente, seguita da pochi applausi. Phil, seduto ad uno dei primi tavoli la guardava estasiato. “Sapete
tutti quanto io tenga a queste cene annuali, ed ogni
anno il vostro contributo fa la differenza per tutti i bambini e le famiglie
che scegliete di aiutare.” Si allisciò le
pieghe del vestito, riprendendo a parlare. “Sono ormai nove anni che
organizzo questo Gala con l’aiuto di mio marito, e vorrei ringraziare
tutti i presenti qui stasera. Ma soprattutto, vorrei
fare un annuncio proprio a voi. Sappiamo bene tutti
cos’è successo cinque mesi fa, e la tragedia che ha invaso
tutti noi, dal primo all’ultimo.” La sua voce si
affievolì un po’. “Ci sono state tragiche conseguenze, ma
nel nostro piccolo cercheremo di fare il nostro meglio. Per questo, la
Galleria Lux – una delle gallerie
più famose di NY, che si trovava all’interno degli edifici -,
sarà riaperta a breve.”
“Perché non
mi hai detto niente?” Sussurrò appena Edward, arricciando le
sopracciglia.
“Perché non
ne sapevo niente.”
Quella era – è – la mia galleria.
Non aveva mai chiesto
nulla a Renée. Mai. Se l’era sempre
cavata da sola, se non per una volta.
“Mamma.”
“Bella.”
Indossava ancora il cappello e la tonaca blu. Si era appena
laureata.
“Vorrei chiederti una cosa.”
I festeggiamenti continuavano, e mentre suo padre che era
venuto da Forks chiacchierava amabilmente con Jake e Phil, Bella era riuscita ad allontanarsi qualche
secondo per raggiungere sua madre.
“Dimmi.”
“Mi sono appena laureata. E vorrei aprire una galleria.
La mia
galleria.”
Renée sorrise. Quel sorriso soddisfatto che si ha quando te lo aspettavi.
“Sì?”
“Ho un po’ di soldi messi da parte. Ma non…”
“Non ce la fai. Io e Phil ti
aiuteremo.”
“Cosa?”
“Sei mia figlia, Bella. Io e Phil
ti aiuteremo.”
“Davvero?”
“Certo.”
“Grazie mille, mamma.”
Bella l’abbracciò, non
sapendo che quello sarebbe stato solo l’inizio di una piccola catastrofe.
La Galleria Lux aprì dopo pochi mesi, ma non con il
suo nome. Era intestata a Phil Dwyer, che ne avrebbe ricavato la metà dei profitti.
Bella era sempre stata una dipendente. Sempre.
“E’ come una
figlia per me, ormai. E non posso essere più felice di quanto io lo sia ora, che la Galleria Lux stia riaprendo, e che sia
proprio lei ad occuparsene da ora in poi. Quindi, signori, vi prego di
accompagnare con un applauso colei che cambierà totalmente l’idea
di vedere l’arte in questa nuova –
nuovissima -, esperienza.”
Bella strofinò le
mani sudate sopra il vestito, mentre Edward continuava a guardare accigliato la
signora Dwyer.
“Signore e signori,
un applauso di incoraggiamento per Tanya
Denali.” Disse Renée, mentre una
bellissima donna bionda che era seduta al tavolo insieme ai Dwyer
si alzò, raggiungendo Renée.
I giorni erano trascorsi frenetici, e così le ore, e così
i minuti
Diciassettesimo
capitolo – Cinque è il numero perfetto
11 Marzo 2002
I giorni erano trascorsi
frenetici, e così le ore, e così i minuti.
Presi tra i mille impegni
delle bambine e i loro ritmi, era passato un mese.
Un mese intero. Dove certe giornate erano durate anni, ed
altre soltanto pochi minuti.
Un mese intero insieme alle sue bambine, che ogni giorno le facevano
imparare cose nuove.
Un mese intero, senza Edward.
Era partito
la settimana dopo il Gala a casa Dwyer, chiamato
urgentemente dalla filiale di Londra. Aveva salutato le sue bambine
calorosamente, ed anche lei.
Le aveva promesso che
sarebbe tornato il prima possibile… eppure.
Era passato un mese.
Edward chiamava ogni
sera, per parlare con le bambine. Riusciva a spiccicare poche parole con Bella,
troppo preso dal lavoro, o da Emma e Mia che non vedevano l’ora di
raccontargli la loro giornata.
Un mese intero.
Quel mese, durante il
quale aveva preso la decisione che le avrebbe cambiato la vita.
“Che facciamo a
cena?” Si ridestò da suoi pensieri, scuotendo la testa e girandosi
verso il suo amico: Laurent.
Anche James era partito insieme a Edward, lasciando il suo compagno nella Grande
Mela.
Per un mese intero.
Bella e Laurent in quel periodo avevano acquistato un bellissimo
rapporto: lui cercava di aiutarla il più possibile, portando le bimbe al
parco o andandole a prendere a scuola.
“Pollo?”
“Lo abbiamo
mangiato ieri.”
“Pesce?”
“Bella.”
Alzò lo sguardo dal monitor del PC che aveva davanti a lei.
“Mh?”
“Stai
tranquilla.” Laurent posò la sua mano su
quella di Bella, accarezzandola dolcemente. “Troveremo una
soluzione.” Sorrise dolcemente, dopo quel troveremo.
“Questo è un
problema mio.” Sussurrò, cercando di non farsi sentire dalle
bambine che giocavano nel salone.
Non aveva detto una parola
a nessuno, quando aveva preso quella decisione.
Soltanto Laurent, che ormai viveva praticamente
insieme a lei, era riuscito a toglierle quelle parole dalla bocca.
Leah era troppo presa dai gemelli,
proprio ora che stavano crescendo a vista d’occhio.
Jack doveva occuparsi del
Pub, che invece aveva lasciato troppo andare dopo la nascita dei bambini.
Charlie era a Forks, e spiegargli quello che stava succedendo con una
telefonata non sarebbe stato l’ideale.
Edward… non c’era. In ogni
sfumatura che poteva esistere, lui non c’era.
“Non è
vero.” Laurent la guardò dritta negli
occhi. “E’ un problema, sì, questo è vero. Ma
è un problema che possiamo risolvere insieme.”
“Come?”
“Con molta calma e
sangue freddo, tesoro.”
“Non posso,Laurent. Non posso.” Sospirò,
asciugandosi una lacrima solitaria che stava scendendo sulla sua guancia.
“Non ho più la calma, né tantomeno il sangue freddo.
Dopo… dopo tutto quello che è successo.”
“Hey, hey.” L’amico si
alzò, facendo il giro del tavolo per trovarsi davanti a lei. Con il
pollice asciugò la lacrima sul viso di Bella.
“Dio! Tutte a me!” Disse, facendo una risata amara tra le lacrime.
“Non posso credere di essere stata così stupida!”
“A cosa ti
riferisci?”
Ad entrambe le cose.
“Beh…”
rimase in silenzio per un po’. “La prima, di certo è stata
una mia decisione. Non ponderata benissimo, ma l’ho scelto io. La seconda
invece… non lo è.”
“Potrebbe
diventarlo.”
“No. Non
potrebbe.”
“E chi lo
dice?”
“Io.”
“Non sei
l’unica in questa cosa, Bella.” Spiegò Laurent,
guardandola apprensivo.
“Quello
si, invece, che è un problema enorme.”
“Tesoro.” Laurent cambiò tono della voce, proprio come se
stesse parlando con un bambino. “Di certo questo non è il momento
migliore, ma prima o poi dovrai parlarne.
Perché lo devi fare. Non c’è alternativa.
E magari sarà una cosa bellissima.”
“Bellissima, Laurent?” Scosse la testa, allontanando la mano del
suo amico dal viso. “No. Non sarà bellissima. Perché quello
che è successo a Settembre, per quanto tragico possa essere stato, ha
portato un cambiamento radicale nelle nostre vite. Non posso
farne avvenire un altro, proprio ora. A pochi mesi di distanza. Scombussolerei tutto.”
“Hai ragione.
Però, - purtroppo – stai
guardando soltanto gli aspetti negativi di quello che potrebbe succedere.”
“Oh, allora dimmelo
tu! Quali sono gli aspetti positivi?” Rise di nuovo,
alzando gli occhi al cielo. “Ecco, vedi? Non ci sono! Non esistono!”
“Cota non etittono?” Mia li interruppe, entrando in cucina in
punta di piedi. “TIA BELLA PIANGEEE!” Iniziò ad urlare, facendo così catapultare in quella stanza
anche sua sorella maggiore.
“Perché
piangi?” Domandò Emma, preoccupata.
“Non è vero,
tesoro.” Disse subito Bella.
“Stavamo soltanto
decidendo cosa a fare a cena. Zia Bella voleva quel pollo triste e ispido, e
invece io ho proposto il Mc Donald… e così ha iniziato a piangere
perché lei non lo vuole!”
E così dopo la
spiegazione di Laurent entrambe le bambine iniziarono
a saltare per tutta casa, dimenticandosi di quello che era appena successo
prima, e iniziando a gioire per quella cena sporca e imminente che stava per
arrivare.
Le bambine avevano cenato
con un happy meal a testa, Laurent
con un enorme panino tre volte più grande della mano di Bella, e invece
lei aveva mangiato quel “triste e ispido pollo”.
Dopo cena avevano
guardato un po’ di cartoni animati, e poco prima che le bambine si addormentassero Bella le aveva portate nella loro stanza,
raccontandogli una favola della buonanotte.
Tornata al piano
inferiore, aveva trovato il suo amico seduto sul divano, con il telefono
attaccato all’orecchio.
Attaccò pochi
minuti dopo che Bella si era seduta accanto a lui, voltandosi per guardarla.
“No Laurent, basta. Non ne voglio parlar-”
“Era James.”
“E?”
“E’
tornato.”
Bella sbatté le
palpebre più volte.
“Cosa?”
“Ha detto che non
ha fatto in tempo a chiamarmi. Hanno preso un volo all’ultimo
momento.”
“Hanno?” Laurent
non fece nemmeno in tempo a rispondere, perché entrambi si girarono
verso la porta da dove stava provenendo un rumore.
La chiave che girava nella
toppa.
Hanno detto.
“E tu che fai
qui?” Edward rimase lì, immobile, con la valigia in una mano e la
ventiquattrore nell’altra.
“Me ne stavo
proprio per andare.” Si infilò le scarpe
in pochi secondi, sorridendo a trentadue denti pronto per tornare a casa.
Anche il suo compagno era
tornato, e dalla paresi facciale improvvisa che gli aveva invaso la faccia, non
vedeva l’ora di andarsene.
Salutò Bella con
un bacio sulla guancia e un’occhiata eloquente, e in silenzio si diede il
cambio con l’amico, richiudendo la porta dietro di sé.
Edward fece cadere
entrambe le valige per terra, e iniziò ad avvicinarsi lentamente al
divano.
Dove Bella era rimasta, immobile.
“Ciao bellezza.” Sussurrò
appena, dandole un casto bacio sulle labbra.
Bella notò che era
bianco, quasi cadaverico. E che aveva delle occhiaie che gli arrivavano al
mento.
“Hey.” Disse, con voce strozzata.
“Le bambine
dormono?” Come risposta annuì soltanto, mentre dondolava
nervosamente il piede da destra a sinistra.
Edward le arpionò
le gambe, allungandole sopra le sue ginocchia.
“Pensavo che avrei
ricevuto più calore.” Ammiccò, accarezzandole lascivamente
i piedi. Ma Bella continuò a non fiatare.
Anche
lei, non era da meno: il suo incarnato faceva invidia a quello di Edward, e per
le occhiaie erano entrambi sul podio dello slogan “dieci trucchi per non dormire: chiedi a Edward Cullen
e Isabella Swan, campioni del mondo.”
Si stropicciò
gli occhi, che lentamente si stavano iniziando a riempire di lacrime.
“Hey, amore.”
La tirò per un braccio, stavolta trascinandola tutta sopra di lui.
“Che succede?” E lì, scoppiò. I singhiozzi che aveva cercato di nascondere con le bambine e con Laurent iniziarono a farsi sentire, insieme a tutte le
lacrime.
“T-ti..L-la
giacca.”
“Non me ne frega
niente della giacca.” Lui le accarezzava i capelli, fino ad arrivare alla
schiena. Su e giù. Lentamente.
Finché, pian piano, non iniziò a calmarsi.
Si staccò
pochi centimetri, quelli che bastavano per guardarsi negli occhi.
“Che
c’è?” Sussurrò nuovamente Edward, asciugandole con il
palmo della mano il viso bagnato. Lei tirò su con il naso, appoggiando
la testa tra l’incavo della sua spalle e il
collo.
Lì, il mondo era perfetto.
E lo sarebbe stato, ma
ancora per poco.
“Ti… ti devo
parlare.” Ingoiò quel boccone amaro, attaccandosi ancora di
più a Edward.
“Che
succede?” Continuò ad accarezzarla, senza mai staccarsi da lei.
“N-nonsoc-come”
“Tesoro,
puoi dirmi tutto.
Tutto.” Lo specificò due volte, con la sua voce suadente.
“S-sono… due cose.”
“Stanno tutti
bene?” Il tono della voce aveva assunto una preoccupazione che prima non
c’era.
“Sì…
Sì. Sono
due cose che… riguardano me.” Deglutì, cercando di non far
tornare le lacrime e singhiozzi che sembravano imminenti.
“Dimmi.”
“Sono… mi
sono licenziata.” Sospirò, però continuò a parlare
prima che Edward potesse interromperla. “IlMoMa non era la mia vita, il mio… lavoro. Dopo il Gala, ho deciso di
parlare con Rosalie e licenziarmi. Renée mi ha
remato contro una vita intera. Non potevo restare in quel giro, ancora. Non
dopo quella sera.” Edward si avvicinò a lei, schioccandole un
lieve bacio sulla fronte e lasciandole una carezza.
“Era questo che ti
preoccupava?” Domandò, sorridendole dolcemente. “Non
c’è niente di cui preoccuparsi, tesoro. Vuoi cercare subito un
altro lavoro, oppure vuoi prenderti un po’ di tempo e stare a casa? Puoi farlo benissimo. Questo, di certo non è
un problema.”
“Non è
questo che mi preoccupa.”
Infatti…
“Che
succede?” Aveva detto quelle due parole un migliaio di volte, ormai.
“Ti ricordi…
cos’è successo il nove febbraio?”
Edward arcuò le sopracciglia, il suo modo per far capire che ci stava
pensando, ma che non trovava una risposta.
“Era la sera del
Gala.” Lo aiutò Bella.
“Intendi il discorso
di tua madre?”
“No…
dopo.”
Dopo… dopo.
Dopo, erano tornati a casa. Una casa vuota, perché le
bambine erano rimaste a dormire da Jack e Leah.
Una casa che aveva visto e sentito Edward arrabbiato, per
quello che era appena successo con Renée e Tanya.
Una casa che aveva visto e sentito Bella
incredula e sconcertata, dopo quello che era accaduto.
Una cosa che gli aveva visti e
sentiti consolarsi, parlare, sussurrare parole dolci e fare l’amore.
“Sì?”
Disse Edward, incerto. Poi, sospirò sonoramente. “Tesoro, basta
con i giochetti. Che c’è?”
“Sono
incinta.” Lo snocciolò così, come se nulla fosse. E le
sembrò di perdere un peso che ormai si portava dietro da un mese.
Un mese intero.
Sembrò che
l’intera casa si bloccasse: il respiro di Edward, le lacrime di Bella, il
ticchettio dell’orologio a muro.
Ogni. Singola. Cosa.
“Edward.”
Bella – ancora seduta sulle sue
gambe -, gli diete una leggera pacca sulla spalla.
“Sei
incinta?” Sussurrò appena, indistintamente.
Non doveva succedere. Non
era previsto.
Era stato qualcosa di inaspettato.
Per lei, per le bambine,
per quel qualcosa che c’era tra lei e Edward, ma che non si poteva
definire.
“Incinta?”
Ripeté di nuovo, con la voce smorzata.
Lei, non parlava più. Annuì
soltanto, leggermente.
Delle lacrime silenziose
iniziarono a scendere sul suo viso, e abbassò la testa. Edward gliela
alzò con l’indice e il pollice, per poi asciugargliele lentamente.
“D-dì”
singhiozzò “dì
qualcosa.”
“Credo che” era rauca, la sua voce “credo che cinque sia un numero
perfetto.”
Bella scoppiò in
lacrime, stretta tra le sue braccia. Incastonò di nuovo la testa
nell’incavo tra la spalla e il collo, cercando di fondersi lì.
“Rosalie? Rosalie Hale?” Domandò Leah,
seduta a gambe incrociate sul letto di Bella.
Le bambine erano uscite
con Edward, troppo preoccupato per la salute della sua… ragazza.
Non voglio che ti stanchi.
Emma e Mia richiedono troppo tempo.
Cercherò di occuparmi di loro il più possibile.
Sono incinta Edward, mica malata! Era stata la risposta che si era beccato due giorni prima,
dopo l’ennesima raccomandazione.
Cosa
sarebbe successo,
al nono mese? L’avrebbe rinchiusa dentro la camera a chiave?
Probabile, conoscendo
Edward Cullen.
“Già. Proprio Rosalie Hale.”
“Perché?”
“Devo consegnarle
dei documenti. Mi ero portata il lavoro a casa, ma ora devo riportarglieli.”
“Non puoi farglieli
avere in un altro modo?” Bella sbuffò, guardando la sua amica.
“Leah, io non ho nessun problema con Rosalie Hale. Adoro il mio lavoro, ma con lei non era… adatto, ecco tutto. Voglio lasciarmela alle spalle come una bella
esperienza.” Spiegò.
Ed era vero: non si era
trovata poi così male con Rosalie. Certo, i suoi orari a volte erano
massacranti, ma faceva pur sempre il lavoro che amava.
“Ed
ora? Ti godrai la maternità?” Sorrise
l’amica, indicando quel piccolo bozzo che inizia a pronunciarsi sul suo
addome.
“No. Non
esiste.”
“Bella!” La
sgridò Leah. “E’ una cosa buona, questa. Saranno dei
momenti bellissimi.”
“Gioia, non esiste.
Non starò con le mani in mano per nove mesi.”
“Quindi?”
“Voglio…”
Ci pensò, prima di continuare. “Non devi dire niente
a nessuno. Soprattutto a Jake.
Leah mise la mano sul cuore. “Giuringiurello.”
“Sto
cercando di mettermi improprio. Ho contattato artisti freelance,
voglio aprirmi un sito internet. Stavolta, devo iniziare da sola. Anzi, voglio iniziare da sola. Laurent ha detto che mi darà una mano con il sito.” Spiegò in fretta e furia.
L’amica non disse
una parola, ma l’unica cosa che fece fu alzarsi dal letto, per andare ad
abbracciarla. Quando si staccò,Leah aveva le lacrime agli occhi.
“Sono così
contenta!” Batté entrambe le mani, come una bambina. “Te lo meriti, tesoro. Perché non vuoi
parlarne con Edward?”
“Non voglio
nasconderlo.” Ed era la verità. “Sto solo cercando di capire
cosa fare, per ora. Quando sarò sicura al cento per cento, gliene
parlerò. Per ora, è una cosa campata in aria, sai.”
“Edward
approverà di sicuro.”
“Ultimamente Edward
approva ogni cosa che faccio.”
“Certo. Una donna
in maternità è un film horror a tempo determinato per nove mesi.”
“Hey!” Bella le diede una piccola botta sulla spalla. “Non
mi chiamo LeahBlack!”
“E non porti in
grembo due gemelli!” Bella sorrise, accarezzandosi dolcemente la pancia.
Le bambine aveva preso la notizia nel migliore dei modi: la loro
felicità aveva invaso casa Cullen per giorni.
Emma aveva preso il telefono di suo zio, aveva chiamato i nonni ed aveva annunciato il lieto evento a tutti.
Inutile dire che la loro
gioia contagiò anche Carlisle ed Esme, che il giorno dopo avevano portato tutti a pranzo
fuori.
“Un figlio con
Edward Cullen.” La rimbeccò Leah, per l’ennesima volta da quando l’aveva
saputo.
“Lo so. Non ripeterlo.”
“Chi
l’avrebbe mai detto?”
Bella sorrise dolcemente,
alzando gli occhi al cielo.
Alice Cullen.
Lei, aveva predetto tutto.
“Sicura che non
vuoi che ti accompagni?”
“Edward! Lasciala in pace!”
“Grazie a Dio
c’è James!” Borbottò Bella, schioccando
un’occhiata d’intesa al loro amico.
“Devo soltanto
andare alMoMa. Sono le
diciotto, tra mezz’ora sarò a casa.”
“Vuoi prendere la
mia macchina?”
“Edward!”
Strillò Bella, avvicinandosi lentamente a lui. “Non ho bisogno
della tua macchina, perché ho la mia.”
“Quella
dannata macchina che ti ha regalato Jake. Usata.” Precisò.
“Una fantastica
utilitaria.”
“Prendi la
mia.”
“La tua Volvo? Alla
faccia delle lamentele che mi facevi, quando la prendevo.”
“I vantaggi
dell’essere incinta!” Disse James, continuano a bere il suo
whiskey.
Laurent invece era stato sottratto dalle
bambine, che l’avevano portato al piano superiore. Perché con zio Laurent è tutto
più divertente.
“A saperlo, ci
sarei rimasta prima.”
“Sì?”
Gli occhi maliziosi di Edward la squadrarono, accompagnati dal suo sorriso.
“Mhmh.”
“Hey, hey! Ci
sono anch’io qui!”
“C’è
tuo marito di sopra.” Riuscì a sussurrare appena Bella, mentre fu
travolta dalle labbra di Edward.
Quando si staccò,
trovò un peso in più nella tasca del suo giacchetto.
“Prendi la mia
macchina, piccola.” Disse appena, tornando ai fornelli.
Dannato, dannato Edward.
“Questo è
tutto.” Bella lasciò i documenti sulla scrivania di Rosalie, ben
impilati.
“Fantastico,
Isabella.”
“Quindi…
grazie?” Non sapeva cosa dire.
Il loro rapporto era finito, e sapeva benissimo che non avrebbe mai più
rivisto Rosalie Hale.
Lei alzò gli
occhi, - finalmente -, scrutandola.
“Grazie a te,
Isabella.” Disse soltanto, per poi riabbassare lo sguardo.
“Nell’astuccio
ho lasciato anche le chiavi. Credo… sia tutto. Ciao, Rosalie.” Lei non
rispose, e Bella nemmeno aspettò: a passo spedito si diresse verso
l’uscita.
E proprio mentre usciva,
si scontrò con Tanya Denali. Si scambiarono un semplice cenno del capo, senza proferire
parola.
Arrivata alla Volvo,
Bella cercò le chiavi.
Mi ammazza.
Se non le trovo, Edward mi ammazza.
Si grattò la
testa, sbuffando sonoramente.
Nell’astuccio che
aveva lasciato a Rosalie con le chiavi della galleria, c’erano anche
quella della Volvo.
Stupida.
Rientrò a passi
rapidi, cercando di metterci il minor tempo possibile.
Però, trovò la porta
dell’Ufficio di Rosalie – che
prima era totalmente aperta -, socchiusa.
“Quindi
ha lasciato?” Era Tanya.
“Sì. Da un
po’.”
“Credi sia per la
storia di Renée?”
“Non penso sia solo
per quello.”
“Cioè?”
Domandò Tanya, e la sua voce sembrava davvero
incuriosita.
“Sai, dopo quello che è successo l’undici
Settembre.”
“Ah.” Bella
da fuori sentì la risposta secca e decisa della sua rivale per
eccellenza.
“Ancora vive con
Edward?” Chiese poi.
“Sì. Credo di sì.”
“Ho visto la sua
Volvo, qui fuori.”
“La Volvo dai
sedili comodi?” Bella riuscì a percepire il tono malizioso nella
voce di Rosalie. E la seguente risata di Tanya.
“Già. Ma era
più comodo il letto del Ritz a Londra.”
“Cosa?” La
voce di Rosalie, stavolta, era sbalordita.
“MhMh.”
“Edward
Cullen? Quando? Come? Perché?” Le
domande erano uscite dalla bocca di Rosalie a raffica.
“Due settimane fa.
Era a Londra per la società. Ed io ero lì per una sfilata. Una cosa tira l’altra…”
“Oh, cazzo!” Dopo
l’esclamazione di Rosalie scoppiarono entrambe a ridere sguaiatamente.
Inconsapevoli che fuori da
quella stanza, nascosta dietro la porta accostata, c’era una semplice donna
che si teneva una mano premuta fortemente sulla bocca, cercando di attenuare i
singhiozzi che non riuscivano a fermarsi.
“Voglio sapere se questa storia andrà avanti per molto
Diciannovesimo capitolo
– Tanya
30 Marzo 2002
“Voglio sapere se
questa storia andrà avanti per molto!”
“Edward.”
“Mai… mai! Mai in tutta la mia vita sono stato
trattato in questo modo!”
“Tieni.” Jake gli allungò il terzo bicchiere pieno di
whiskey, e con l’altra mano continuò a pulire l’altra parte
del bancone.
“Tu sai
qualcosa.”
“Come?”
Stavolta smise di pulire, alzando gli occhi verso il suo amico.
“Non è
possibile, Jake.” Sibilò appena,
stropicciandosi gli occhi.
Quello seduto davanti a
Jacob Black, - dall’altra parte del bancone -,
non era di certo Edward Cullen.
Indossava una felpa nera
e una tuta grigia. Non si radeva, andava avanti a caffè e whiskey e non
mangiava un pasto sano da una settimana.
Da quando Bella se ne era andata.
“Si tratta di
lavoro, Edward.”
“Lavoro? Siamo a
New York, Jake.” Sbuffò. “Cazzo!” Sbatté il bicchiere
di vetro sul bancone, e per poco non si ruppe. “Non decidi nel giro di
una nottata di andartene a Forks, per lavoro!”
“L’hai
chiamata?”
“Non risponde.
Risponde ai messaggi, ma soltanto quando riguardano le bambine.”
“A proposito…
le bambine?”
Dopo i primi due giorni
di smarrimento – nei quali Edward si era chiesto più volte cosa
avesse potuto portare la sua donna a
partire per Forks di corsa -, aveva deciso di parlare
con Carlisle ed Esme, che
erano stati più che contenti di prendere le bambine. Inizialmente, si
erano trasferiti tutti e tre a casa Cullen. Le
bambine erano felicissime, e i loro nonni ancora di più.
Ma Edward sapeva che qualcosa non
andava. L’aveva intuito nel modo in cui Leah lo
guardava, dall’alto al basso e con gli occhi che potevano incenerirlo da
un momento all’altro.
Dalle chiamate che faceva
a Bella, senza risposta.
Aveva provato a chiamare
Charlie, ma anche lì era partita la segreteria telefonica.
Maledizione!
“Sono dai miei
genitori.”
“Cosa gli hai
detto?”
“Che Charlie aveva
bisogno di Bella. Chiama Esme ogni sera, per parlare
con loro.”
A me no.
“Leah sa qualcosa.”
“Leah sa qualcosa.” Jacob ripeté le stesse
identiche parole di Edward.
“Cosa?”
“Edward, non ne ho
idea. Leah non mi ha raccontato niente. Ma sì, è successo qualcosa.”
Si mise
entrambe le mani sulla faccia, cercando di spremersi le meningi.
Cosa ho fatto. Cosa. Diamine. Ho. Fatto.
“Pensa. E’ successo qualcosa?”
“Cazzo, Jake! No! E’ andato tutto bene, benissimo! Aspettiamo
un bambino, Dio! E sono l’uomo più felice del mondo. E poi, via. Da un giorno all’altro, se ne
va. Non da spiegazioni, non risponde al telefono. Ha bisogno di tempo. Deve
pensare e deve lavorare. E Forks
è il posto più adatto.” Sputò fuori, grattandosi la
testa. “Tutte cazzate!”
“Tutte
cazzate.” Ripeté una voce dietro di lui. “Proprio come
quelle che ha detto Tanya
Denali.”
James.
La Volvo sfrecciava
lentamente sulle strade di New York, e questo era un buon motivo per far
perdere la pazienza a Edward.
Ma non il primo buon motivo.
Il primo,
era di tutt’altro stampo.
Stupida Bella. Stupida, stupida,
stupida donna.
Con una mano tamburellava
le dita sul volante, con l’altra fumava l’ennesima sigaretta di
quella giornata.
IlMoMa non
era lontano, doveva solo trovare un parcheggio e poi ci sarebbe arrivato a
piedi. Di corsa.
Lasciò la Volvo in
doppia fila, fregandosene dei clacson che suonavano e iniziò a correre
verso l’ampia porta. Spinse quasi fino a romperla, sotto gli occhi
accigliati di Rosalie Hale.
“Edward Cullen?”
Faticava a riconoscerlo?
Anche lui, faticava a riconoscersi in quei giorni.
“Tanya è qui?”
Rosalie nemmeno parlò, ma con l’indice indicò la porta
del suo ufficio.
“Grazie.” A
passo spedito partì, e senza nemmeno bussare aprì la porta.
Tanya Denali era lì, seduta su
quell’enorme poltrona di pelle nera, davanti ad una scrivania piena di
scartoffie. I capelli biondi e lucenti le incorniciavano il viso. Il trucco era
pesante, e accentuava il colore dei suoi occhi chiari.
Una volta ero innamorato di lei.
“Edward?” La
stessa identica domanda di Rosalie.
“Dobbiamo
parlare.” Il sorriso che sfoderò Tanya
gli fece accapponare la pelle.
Come potevo essere innamorato di questa donna?
“Sono tutta
orecchie.”
“Non mi interessa con chi hai scopato al Ritz
a Londra. Mi interessa soltanto che tu faccia sapere
al mondo che non ero io.” Lei scoppiò in una fragorosa risata, ma
i suoi occhi la tradirono. Sarebbero stati capaci di incenerirli, proprio come
quelli di Leah.
“Come?”
“Alla mia ragazza sono arrivate voci. Voci
infelicemente false, purtroppo per te. Vorrei mettere le cose in chiaro, una volta per tutte. Sono stato innamorato di te, e avrei
fatto carte false per te. Ma tu non l’hai
voluto. Hai preferito giocare all’infermierina
durante tutti gli anni del College, ed allora ho
deciso di lasciarti.” Prese un respiro, continuando a guardarla.
“Ti ho amata,Tanya. Realmente. Ma
tu no. Faceva comodo essere la ragazza di Edward Cullen
al College, e ti ha fatto ancora più comodo esserlo quando sono
diventato il Capo della Cullen Media Group. Ma è proprio qui, che hai toppato. Ho
trent’anni, e le mie ambizioni sono cambiate da allora. Non mi interessano i giochetti facili, e soprattutto le
stronzate che vai a dire in giro.”
Il sorriso di Tanya non si era dissolto.
“Tutto questo
per… Bella Swan?”
Il suo tono dispregiativo fece sì che Edward si sfregasse le mani
fortemente, per non fare qualcos’altro.
“Io
e Isabella aspettiamo un bambino.”
E lì, il sorriso
morì.
“E’ la mia donna, Tanya. E’ la donna della mia vita. E che possa succedermi
qualcosa in questo istante, andrò contro al
mondo per la sua felicità. Perché è quello che merita, ed
è quello che io voglio per
lei. Alice e Jasper sono morti. I nostri amici sono
morti. Abbiamo perso entrambi il nostro lavoro.” Si alzò e si
diresse alla porta. Mise la mano sulla maniglia, ma non aprì.
“Non sarà di
certo Tanya Denali a fermarci.” Disse con voce
calma e tagliente, uscendo dall’Ufficio.
Cinque
ore lo separavano da Bella.
Quattro in volo e una in
macchina. Ed erano interminabili.
James aveva provveduto al Jet, mentre Laurent si era
raccomandato che Bella fosse a casa, a Forks. Jake aveva l’arduo compito di parlare con sua moglie,
e spiegarle quello che era realmente successo. Esme e
Carlisle avevano le bambine, e le avrebbero tenuto
sino al loro ritorno.
“Bella?”
Sentì Charlie chiamarla dal piano inferiore, mentre lei stava lavorando
al PC. Era a Forks da una settimana, e non aveva
fatto altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare.
Stava mettendo su il sito, e Laurent la aiutava dalla
Grande Mela. In quella settimana aveva contattato
molti artisti emergenti, e una buona parte aveva risposto positivamente alla
sua iniziativa.
“Bella?” La
chiamò di nuovo, e questo significa che doveva scendere. Si alzò,
premendo leggermente la mano sulla pancia. Iniziava pian piano a pronunciarsi
un piccolo rigonfiamento, anche se era di pochi mesi.
Sono incinta.
Non faceva altro che
pensarci, e proprio grazie al lavoro era riuscita a distrarsi. Le mancavano le
bambine, più di ogni altra cosa al mondo. Le chiamava ogni sera, e
sapeva anche che a loro mancava lei.
Le mie bambine.
Prima o
poi sarebbe
dovuta tornare a casa, e sistemare le cose. Aveva pensato anche a quello, ma
non era riuscita a trovare una soluzione. Doveva delle spiegazioni a Edward.
Doveva dirgli che tra di loro era tutto finito.
Con tre bambini da accudire. Insieme.
Aveva parlato con James e
Laurent, dopo varie insistenze. Ed
aveva buttato fuori tutto: aveva raccontato ai suoi amici cosa era successo, cosa
aveva sentito. Della sua fuga a Forks.
Laurent ci era rimasto di sasso, mentre
aveva sentito il suo compagno piuttosto perplesso. Era pur sempre il migliore
amico di Edward.
“Bella?”
Stavolta sbuffò sonoramente.
“Papà! Ecco!”
Disse infastidita, scendendo l’ultimo scalino. “Non potevi
salire tu?” Ma le parole le morirono in bocca, quando ad aspettarla insieme a Charlie, in quella piccola cucina, c’era
proprio lui: Edward.
“Che ci fai
qui?” Cercò di trattenere tutte le emozioni che stava
provando.
Non fargli vedere nulla.
Non deve capire nulla.
“Vi lascio
soli.”
Fantastico. Ora anche suo padre si era dileguato, prendendo le chiavi
della macchina e uscendo da quella casa.
“Dobbiamo
parlare.”
“Non ci dobbiamo
dire niente.” Disse lei, risoluta. Si avvicinò al frigo, e con le
mani tremanti prese una bottiglia d’acqua.
Non ci devo pensare.
Non ci devo pensare.
Non ci devo pensare.
“Sei una stupida,
Isabella Swan.” Ma
dopo quell’affermazione, sbottò. Come si permetteva? Dopo tutto quello che aveva passato, ora lui le dava della
stupida?
“Come?” La
sua domanda quasi sussurrata tagliò l’aria.
“Perché sei
a Forks?”
“Te l’ho
detto. Devo lavorare.”
“Puoi farlo anche a
New York.”
“Avevo bisogno dei
miei spazi.”
“Oh,
perfetto!” lui si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lei.
“Potevi avere benissimo i tuoi spazi anche a New York.”
“Che vuoi?”
Ripeté di nuovo.
Ora non poteva più
mentirgli. Proprio ora che lui era lì, nella
sua casa, a Forks. Non era come nei messaggi:
lì rispondeva a monosillabi, o non rispondeva
proprio.
“Perché non
mi hai detto di Tanya?” La bottiglietta che
aveva in mano cadde per terra, e l’acqua iniziò a bagnare il
pavimento.
Allora lo sa.
Edward si abbassò,
raccogliendola. Con il panno pulito che stava sul tavolo, diede
un’asciugata alla belle meglio.
“E’ stato
James?”
“Grazie a Dio ho
ancora persone con un po’ di cervello, intorno a me!” Sapeva che
non si stava riferendo a lei.
“Che vuoi, Edward?” Ripeté, per l’ennesima
volta.
“Voglio che torni a
casa con me.” Bella rise. Una risata amara, quasi un rantolo.
“Non torno a casa
con te.”
“Te ne resterai qui
a Forks per sempre?”
“No. Tornerò
dalle bambine. Ma non con te.”
“Non ci siamo capiti, Isabella. Tu torni a casa. Con me.” Il suo
tono autoritario quasi le fece venire i brividi.
“Potevi pensarci
prima di scoparti Tanya Denali.”
“Ce
l’abbiamo fatta! Finalmente l’hai
detto!” Eppure, non sembrava così sorpreso.
Non gliene fregava niente.
“E tu l’hai
fatto!” Gli puntò un dito contro, che gli toccò il petto.
“Io nonho fatto un bel
niente, Bella! Dovevi soltanto venire da me, e dirmi quello che stava
succedendo. E invece no!” La voce di lui si era
alzata. “Hai preferito fare l’eroina della situazione, e andartene.
A Forks! Mi hai lasciato solo, e te ne sei andata!”
“Ho fatto quello
che fai tu, sempre!” Si avvicinò.
“Te ne vai, quando le cose si fanno difficili. Viaggi di lavoro. Eppure scappi per settimane, e
io sono sempre rimasta sola. E non ho mai detto una parola.”
Sospirò, appoggiandosi con le mani al piano cottura. “Stavolta tocca
a me. Ho bisogno di tempo, Edward. Devo stare da sola.”
“Non sono andato a
letto con Tanya.” Quell’affermazione
tagliò l’aria.
“Non è
quello che dice lei.”
“Quello che dice
lei sono tutte cazzate!” Se avessero potuto, i suoi occhi avrebbero
sputato fuoco.
“A chi devo credere?”
“A me! Dio,
Bella!” Si stropicciò entrambi gli occhi
con le mani. “Tanya è pazza. Non
è riuscita a mandare giù quello che stava succedendo tra di noi.
Sapeva che tu eri lì, dietro quella porta. E l’ha fatto apposta.
James era con me, a Londra. Sa che non è successo niente, ed è
per questo che me l’ha detto.”
“Sono incinta,
Edward.” Disse, sospirando leggermente. “Ho
iniziato a fidarmi di te da poco. Pochissimo
tempo. Eppure, ogni volta c’è qualcosa che mi porta sempre a
fare due passi indietro, invece che in avanti. Cosa dovrei
fare? Passare la mia intera vita a badare a tuo figlio, mentre tu te ne vai in
giro per il mondo? Ad ogni telefonata, devo chiedermi
se quello che dici è vero o no. Guardati!” Lo
indicò, inclinando leggermente la testa. “Sei
un milionario, e sei single! Tutte le donne che ti vedono, ti sbavano
dietro! Cosa devo fare, quando parti per un viaggio di
lavoro, o prendi una nuova segretaria in Ufficio? Non posso vivere
così.” Sussurrò, muovendosi leggermente verso di lui.
“Non sono
single.” Disse solamente lui.
“Non sei
single.” Ripeté le sue parole, con lo sguardo sofferente.
“Devi
credermi. Devi
fidarti di me. Da quando stiamo insieme, non ho mai guardato
nessun’altra. Non ho mai pensato a nessun’altra. Sei l’unica
per me.” I suoi occhi erano lucidi, e sembravano… sinceri.
“Sposami,
Isabella.”
“Cos-”
“Sposami.”
Non ebbe nemmeno il tempo di reagire, che lui si inginocchiò
ai suoi piedi. “Sposami. Rendimi l’uomo,
il padre e il marito più felice del mondo. Sposami.” Lo chiese di
nuovo, con la voce che si era trasformata in un sussurro roco.
“Ti amo. Sposami. E
avrai” scosse la testa, riprendendosi “avrete tutto quello che vi servirà. Tutto.”
“Tutto…?”
“Tutto.”
“Io voglio solo te.
Voglio fidarmi di te.”
“Dimmi di
sì.” Due lacrime solitarie scesero sulle guance di Bella.
Lo amava. E lì,
davanti a lei c’era il suo passato, il suo
presente e il suo futuro.
“Se solo… se
solo vengo a sapere che hai fatto qualcosa, ti uccido,
Edward Cullen. Ti uccido.”
“Era un sì?”
Chiese lui, divertito ma ancora speranzoso.
“Sì. Ti amo. Ti sposo.” Il sorriso
che gli illuminò il volto poteva accecare qualcuno. Non l’aveva
mai visto così felice, mentre la alzava da terra e la stringeva forte.
“Per sempre.”
Sussurrò lui, baciandola dolcemente e togliendole e asciugandole il viso
bagnato.
“Per
sempre. E ora,
torniamo dalle nostre bambine.” Disse appena, appoggiando la fronte sulla
sua.
Il cielo era buio quel giorno, e rispecchiava l’umore dei presenti
in quella casa
NOTE IMPORTANTI A
FINE CAPITOLO.
Epilogo – Vi amo
Domenica 11 Settembre
2011
Il cielo era buio quel
giorno, e rispecchiava l’umore dei presenti in quella casa. Erano appena
le dieci, eppure erano tutti svegli.
Sapevano a cosa andavano
incontro, e a quanto fosse particolare quella giornata. Forse troppo.
Ogni anno, era la stessa
storia. Non c’era nemmeno bisogno che impostassero la sveglia come le
altre mattine, perché quasi all’alba si ritrovavano in cucina, e
la maggior parte delle volte non facevano colazione.
Restavano lì, in silenzio. Un silenzio che a volte pesava, ed altre no.
“Mamma?” Il
piccolo Sam era fermo sullo stipite della porta, mentre la fissava con quegli occhioni verdi.
Proprio come quelli di Edward.
“Hey, tesoro.”
“Posso non
venire?” Bella arcuò le sopracciglia, mentre risistemava il letto.
Edward quella mattina era
uscito presto insieme a Mia, per andare dai nonni. Emma era chiusa nella sua
camera, e nessuno aveva provato a disturbarla. La piccola Alice – che poi
così piccola non era più -, faceva gli
ultimi compiti al piano inferiore. Pensare che la sua bambina aveva già dieci anni e il suo piccolino sette, le
fece venire la pelle d’oca.
Alice era stata la
bambina più buona che lei avesse mai conosciuto: era nata in una calda
mattinata di Giugno, portando con sé tanta felicità. Assomigliava
a Bella in tutto e per tutto: i lunghi boccoli castani e gli occhi marroni erano quei tratti distintivi, ma l’altezza
l’avevano presa dal loro papà: sia Alice che Sam erano più
alti degli altri bambini, e quindi non era possibile che avessero ereditato l’altezza
da Bella.
Sam invece era nato tre
anni dopo, e fu diverso dalla prima gravidanza.
Sam era
stato voluto, desiderato. Perché dopo la proposta di matrimonio,
Edward aveva tutte le intenzioni di metter su una squadra di calcetto. Quando
Bella rimase incinta, la felicità di Edward non ebbe eguali.
Portò sua moglie e le tre bambine in vacanza, godendosi appieno quei
momenti.
Gli anni erano passati, e
le cose erano cambiate.
Edward le aveva detto per sempre, e da quel giorno fu di
parola.
Non la lasciò mai
sola, non la fece mai sentire inadatta o triste. L’aiutò
in tutti modi, soprattutto quando inaugurarono la Galleria d’Arte eM-Mia di Isabella Swan. Il lavoro
andava alla grande, le entrate iniziavano a fruttare sempre di più anno
dopo anno, e Isabella poteva ritenersi la donna
più felice del mondo.
Riportò
l’attenzione sul bambino che stava aspettando una risposta.
“Perché non
vuoi venire?” Sam sembrò pensarci su, mentre sua madre lo
guardava. Aveva solo sette anni, eppure da come parlava ne
dimostrava molti di più.
“Non mi va.”
Disse soltanto.
“Tesoro, devi
venire.”
“Io non voglio
venire. Lasciami da zio Jake.”
“Anche zio Jake ci sarà.”
E zia Leah. E i nonni. E Charlie.
Tutti.
“Ma
io non voglio andare. Lasciami a casa con Alice.” Bella sorrise. Un sorriso triste, e
scosse la testa.
“Verrà anche
tua sorella. E di certo non ti lascio a casa con una bambina di dieci anni.”
“Perché
tutte le volte dobbiamo andare?”
Bella sapeva che non
poteva arrabbiarsi.
Non poteva permetterselo.
Perché anche se quella giornata aveva avuto un impatto significativo nella vita di tutti, Sam non poteva saperlo.
Lui non c’era, ma era cresciuto con i racconti dei suoi genitori. Con
quelli delle sue cuginette. Con i documentari, i video, i telegiornali e con quella giornata.
Perché di
lì a poche ore sarebbero andati al World Trade Center per… quello.
Per il decimo anniversario dall’attentato.
“Senti…”
Bella si avvicinò, abbassandosi sulle ginocchia. “Dobbiamo andare,
amore. Non staremo lì per tanto tempo, ma dobbiamo andarci. Dopo, ti
prometto che quando torneremo a casa finirò il progetto che stai facendo per la scuola.”
“Mi aiuterai
davvero con i modellini?” Sam parve dimenticarsi di cosa aveva appena
chiesto a sua mamma prima, mentre i suoi occhi
brillavano.
“Certo.”
“E anche
papà?”
“Lo chiederemo
anche a papà, sì.”
“Va
bene. Allora vado
a prepararmi.” Si girò, zompettando
verso la sua camera.
E Bella pensò che
avrebbe voluto essere proprio come lui: ignara
di cosa avevano portato quei dieci anni con sé.
“Dici che
continuerà a piovere?” Il cielo si faceva sempre più nero,
mentre Mia guardava la strada sfrecciare dal finestrino. Le goccioline di
pioggia scendevano lentamente sul finestrino, e l’asfalto portava dietro
di sé quel rumore di bagnato.
Le piaceva la pioggia. Ma non oggi.
“Zia
Bella ha visto le previsioni. Dovrebbe smettere dopo pranzo.” Erano solo le nove, e
la commemorazione ci sarebbe stata a mezzogiorno. Inutile sapere quando avrebbe
smesso di piovere, allora.
“Stai bene?”
La mano di Edward sfiorò la sua calda guancia.
“Mh”
“Sai che puoi dirmi
quello che passa in quella testolina, vero?”
Negli anni Mia ed Emma
erano cresciute, diventando due piccole donne forti e indipendenti. Ma dal carattere completamente opposto.
Se Mia era la fotocopia
di Alice, Emma era diversa: proprio come Jasper, se aveva un problema
preferiva chiudersi in sé stessa invece che parlarne con qualcuno.
E proprio perché
la sua sorellina aveva visto l’andazzo di quella giornata, aveva chiesto
di andare dai nonni insieme a zio Edward.
“Ti mancano?”
Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata.
“Moltissimo.”
“Invidio
Emma.” Disse solamente, continuando a guardare la strada.
“Ha fatto
qualcosa?”
Mia scosse appena la
testa.
“La invidio
perché lei… ricorda.
Poche cose, ma le ricorda. Io… non ricordo nemmeno un compleanno passato
con mamma e papà. Un momento. Ho ricordi vaghi, ma
nulla di concreto. E ad ogni undici settembre…
la invidio sempre di più. Perché lei porterà con sé
tutte queste cose… e a me cosa resta? Le foto? I video?”
“C’è
una cosa che non sai, però.” Edward ingoiò il boccone amaro
che si era formato, cercando di non far cedere la voce.
“Cosa?”
“Emma
ricorda, come lo faccio io, Zia Bella e tutti quanti. Ma
tu… Tu sei uguale a lei.”
Ma non ce la fece, e la voce mancò di una nota.
“Davvero?”
“Non
scherzano, quando tutti ti dicono che sei uguale a tua madre. Sei identica. Sia fisicamente che caratterialmente. Sembra un incubo: rivivere
l’Alice tredicenne per due volte.”
Cercò di smorzare la tensione, alzando gli occhi al cielo. Ci
riuscì, perché sulle labbra di Mia spuntò un tenero
sorriso.
“Era davvero come
me?”
“Sì, tesoro.
Se voleva una cosa, doveva andare e prendersela ad ogni costo. Proprio come te.
Era presente per tutti, e la maggior parte del tempo lo passava ad arrabbiarsi,
proprio perché ci teneva. A fare ogni cosa come diceva lei. Ah, e non
dimentichiamoci della moda! Ogni cosa che faceva, doveva corrispondere a un
capo adatto all’occasione.”
“Proprio come me.”
“Infatti.”
“Non posso dire che
mi mancano i miei genitori, perché tu e zia Bella ci avete cresciute. Voi siete stati i nostri genitori. Eppure, quanto
avrei voluto passare più tempo con loro.”
Si asciugò frettolosamente una lacrima che scendeva sulla guancia.
Edward parcheggiò
davanti casa dei suoi genitori, spense il motore ma non fece nulla per uscire
dalla macchina.
“Li porti qui.” Allungò una mano, per
posarla sul petto di Mia. “Questo è il ricordo più grande
che tu possa tenere, tesoro. Per sempre.”
“Grazie.”
“Per cosa?”
“Per non averceli
mai fatti dimenticare. Per aver fatto sempre in modo che loro fossero presenti,
nella nostra vita.”
“Non devi
ringraziarmi.” Si avvicinò, posandole un dolce bacio sulla fronte.
“E’ stato tutto merito vostro.”
“A che punto
sei?” Bella era pronta, ed aveva preparato anche
Alice e Sam. Si sarebbero visti con Edward, Mia, Esme
e Carlisle al World Trade
Center. Anche Jake era diretto lì, allora Leah si era offerta di passarla a prendere.
“Noi siamo pronti. Ma non credo che Emma lo sia.”
“Vuoi che la chiami?” Bella lanciò un’occhiata
dolce a Leah, e scosse la testa.
“No,
no. Vado io.
Controlla i bambini.” Leah annuì, e
battendo le mani guardò i suoi due piccoli nipotini acquisiti, che
stravedevano per lei.
Bella fece le scale con
calma, e con ancora più calma bussò alla porta di Emma.
Non rispose.
“Tesoro?”
Nessuna risposta.
“Emma?”
Zero.
Decise allora di aprire.
La trovò distesa
sopra il letto, con le cuffie nelle orecchie. Anche Bella riusciva a sentire il
rumore della musica, figurarsi se lei poteva sentire qualcosa.
Ma sobbalzò, quando la vide.
“Hey, tesoro. Stiamo per uscire.”
“Io non
vengo.” Quella risposta la spiazzò.
“Come?”
“Io non voglio
venire.”
“Posso?”
Bella indicò l’angolo libero, ed Emma annuì
impercettibilmente.
Edward riusciva a gestire
benissimo Mia, lasciando a volte Bella a bocca aperta. Andavano d’accordo
per tutto, erano l’uno la spalla
dell’altro.
Invece Emma era… diversa. Timida, con quegli occhioni neri e spaesati e la corporatura esile, Bella si
riconosceva molto in lei.
“Che succede?”
Le appoggiò una mano sulla gamba, accarezzandola dolcemente.
“Niente.”
“Lo sai che puoi
dirmi tutto.” Sembrò pensarci, ma continuò a non parlare.
Emma aveva appena
compiuto diciassette anni. Era bellissima. I suoi capelli erano cresciuti sin
sotto al sedere, biondo cenere proprio come quelli di
suo padre. Era bravissima a scuola, e non aveva mai dato un problema a Bella e
Edward. Se l’era sempre cavata da sola.
Si sedette, appoggiando
la schiena sulla spalliera del letto.
“Se te lo
dico… prometti che non ti arrabbi?”
“Certo che
no.”
“E poi…
prometti di non dirlo a zio Edward?”
“Che
succede?” Ripeté allora Bella.
“Tu
promettilo.”
“Non lo dirò
a Edward.”
Sembrò pensarci
su, nel suo nervosismo.
“Ho fatto
sesso.”
La notizia non scioccò più di tanto Bella in sé per
sé.
“Qual è il
problema? Ha fatto qualcosa che non volevi? Ti ha
obbligato?”
“Oh, no no!”
Bloccò con una mano l’avanzare delle domande di Bella. “Niente di tutto questo. Cioè… è stato doloroso… sì.Ma ho voluto farlo.” Confessò.
“Questa è
una buona cosa. Allora, che succede?”
“Credo di essermi
innamorata.” Bella sorrise, e sentì anche i suoi occhi lucidi.
“Credi?”
“No… no. Sono
innamorata.”
“Questo non
è un problema, tesoro. Anzi, è una cosa
fantastica.”
“Ho paura.”
“Perché?”
“Dean
è al College quest’anno. E l’Università della California è
lontana. Ma io… non voglio andare a Yale. Non
voglio separarmi da lui. Quest’anno deve andare per forza, perché
è il mio ultimo anno. Ma dal prossimo…
zia Bella, io non voglio andare a Yale. So quanto ci tiene zio Edward, lo so,
veramente. Ma non è quello che voglio. E so che
si arrabbierà tantissimo, se non ci vado. Perché sa di cosa sono
capace, e crede che Yale sia la scelta migliore, proprio come
è stata per lui. Ma io… non voglio
lasciare Dean. Ma nemmeno voglio deludere zio
Edward.” Sputò tutto d’un fiato,
lasciando Bella sia colpita che spaesata.
“Calmati,
tesoro.” Si avvicinò, sedendosi accanto a lei ed
allungò le gambe. “Andiamo per punti. Prima cosa, sono felicissima
per te e per Dean. Quel ragazzo mi piace: è educato e a modo.”
“Zio Edward lo
odia.” Bella sorrise.
“Zio Edward
odierà ogni uomo che proverà ad avvicinarsi a voi. Anche se
quell’uomo diventerà tuo marito e il padre dei tuoi figli. Quindi, non ci interessa.” Le fece l’occhiolino.
“Seconda cosa: non devi pensare a Yale. So che sei bravissima a scuola, e
che punti in alto. E Yale sarebbe una scelta giusta e ragionevole. Ma non lo devi fare adesso. C’è tempo per
pensare. Ora devi pensare all’ultimo anno, e poi alle domande per il College.
Vuoi andare a Yale? Ci andrai. Vuoi andare ad un altro
College? Andrai lì. Non vuoi laurearti? Sei libera
di non farlo. Zio Edward non si arrabbierà per una cosa del genere.”
“E invece lo
farà! Parla sempre di Yale! Un mese fa siamo andati al campus, mi ha
fatto conoscere metà dell’ateneo.”
Bella sapeva che sua
nipote aveva ragione. Ma conosceva anche suo marito.
“Quando
arriverà il momento, quando tu sarai veramente sicura di quello che
vorrai fare, io sarò dalla tua parte. Sempre.”
“Davvero?”
“Sì.”
“E così lui
si arrabbierà anche con te.”
“Non
lo farà. E sai perché non lo farà?” Emma scosse la testa.
“Edward è
sempre stato un testardo. La scuola, il College, il lavoro… e voleva che
tutti intorno a lui facessero come diceva. Aveva programmato il suo futuro come
quello di sua sorella. E lo sai cos’è
successo?”
“Penso di
sì.”
“Che tua madre
glielo sconvolse, quel futuro. Rimanendo incinta a
diciannove anni. Edward e Jasper andavano al College insieme, pronti a fondare
la loro azienda e lavorare insieme. Ma le cose non andarono come lui le aveva
programmate.”
“Cosa
successe?”
“Oh, si
arrabbiò così tanto.” Bella
sorrise al ricordo. “Se non ci fosse stata Esme
a calmarlo, lo avrebbe ucciso. Non parlò con tua madre per mesi. Pensava
che erano stati due stupidi. Buttare
al vento il loro futuro per uno sbaglio fatto a diciannove anni. Non se
ne capacitava. Poi, lo sai cosa gli fece cambiare
idea?”
“Mh… no.”
“Tu.” Le passò un braccio
intorno al collo, mentre Emma poggiava la testa sulla sua spalla.
“Proprio tu. Quando ti vide, quel giorno. E quando vide le facce dei tuoi
genitori… capì che era proprio quello il loro futuro. Lì,
insieme a te. Si innamorò
di te, e perdonò Jasper.”
“Mi mancano così tanto.”
“Lo so.”
“Allora… tu
pensi che non si arrabbierà?”
Bella le accarezzò
dolcemente la testa. Perché anche se ora aveva diciassette anni, restava
sempre la sua bambina.
“Non
lo farà, te lo prometto. Ora, alzati e preparati.” Emma annuì,
scattando verso l’armadio.
Bella fece per aprire la
porta, ma poi ci ripensò.
“Ah, tesoro?”
“Sì?”
“Sai… se hai
bisogno di una visita, o dei preservativi, o la pillola, possiamo parlarne non
vorrei che succedess-”
“ZIA BELLA! So cosa
fare. Adesso puoi andare, ciao.”
Bella scoppiò a
ridire, portando dietro di sé l’immagine della sua faccia
imbarazzata e rossa.
La sua bambina.
“Ciao.” Sussurrò appena
Bella, montando con le ginocchia sul letto e posando un bacio sul collo di suo
marito.
“Ciao.”
Rispose divertito lui, continuando a sbottonarsi la camicia.
“Posso
aiutarti?”
“Posso dirti di
no?” Allargò le braccia, lasciandola continuare. Lo fece con
lentezza, slacciando un bottone per volta e accarezzando piano il torace.
Era stata una
giornata… piena. Fin troppo.
La commemorazione era
durata un paio d’ore, mentre ascoltavano le parole del Presidente degli
Stati Uniti in un silenzio glaciale.
Proprio come il cielo
sopra le loro teste.
Buio.
“Come stai?”
“Stanco.” Lo
era anche lei. Stanca per quella giornata così lunga e così piena
di ricordi. Gli passò una mano sui capelli, scompigliandoli.
“Finirà
questa cosa, prima o poi?” Bella rise.
“Mai.”
“E’ proprio
quello che volevo sentirmi dire.” Con forza la tirò su, per poi
buttarla di schiena sul letto. Poi, la sovrastò con il suo corpo.
“Edward!”
“Che
c’è?”
“I bambini.”
“Dormono
tutti.” Iniziò a posare languidi baci sul collo di sua moglie,
perché sapeva che era qualcosa che la mandava in visibilio.
“Edward…”
“Non sei
convincente, signora Cullen.”
“Signora Cullen… ancora mi ci devo abituare.”
“Sette anni non
sono bastati?” Bella mise le mani a coppa sul suo viso, cercando di farlo
staccare dal suo collo.
“Guardami.”
Gli occhi di suo marito splendevano sotto la luce arancione
dell’abatjour, e quel verde prendeva sfumature celestine.
“Come stai?”
Ripeté di nuovo quella domanda.
“Bene.”
“Sicuro?”
“Questa
giornata… non cambia poi le cose. E’ un giorno come gli altri. Dopo
quello che è successo… come può
cambiare qualcosa un anniversario?”
“Hai
ragione.” Bella posò un casto bacio sulle sue labbra.
“Tu come
stai?”
“Bene. Stamattina ho parlato con
Emma.” Le aveva promesso che non avrebbe detto nulla su quello che era
successo con Dean, e voleva mantenere la parola data.
“E
io con Mia.”
“Davvero?”
Edward si scostò, prendendo posto sul suo lato
del letto. Allungò un braccio per far accoccolare Bella sul suo petto.
“Sì.
E’… arrabbiata.
Perché non ricorda molto di Alice e Jasper. Eppure, è così
grata per aver avuto noi come genitori. Ci ha definito proprio così. I suoi genitori.” Bella si strinse
ancora di più al petto di Edward, mentre lui le accarezzava lentamente
il braccio. “Ed Emma?”
“Questo è un
periodo strano per lei. Ha diciassette anni, sai com’è…
Vorrebbe conquistare il mondo, eppure è ancora una bambina. Abbiamo parlato del College.”
“College?”
Dalla domanda Bella capì che era molto interessato.
“Le ho detto di non
preoccuparsi. Sa che tu vuoi che lei vada a Yale, e lei sa perfettamente che
quella è la scelta giusta. Ma non è
convinta. Comunque, ora non è un problema. Ci
penseremo più in là.”
“Non vuole andare a
Yale per quel Dean?” Il tono infastidito fece sorridere Bella.
“No, no. Assolutamente.”
“Se non vuole
andare a Yale perché non le piace, va bene. Se non vuole andare a Yale
per quel cretino, non approverò mai.”
“Sembra un bravo
ragazzo.”
“Oh, certo.”
“Dai!”
“Cosa?”
“Tu
com’eri, a diciassette anni? Spocchioso, e ti portavi a letto ogni genere di ragazza. Cosa pensavano i loro genitori, secondo te? I loro padri?
Eppure nessuno ti ha detto niente. Dean è un ragazzo in gamba. E’
entrato al College grazie a una borsa di studio, e mi piace.”
Sembrava che Bella non volesse sentire repliche.
“Quanto è
seria questa cosa con Dean?”
“Abbastanza.”
“Abbastanza
quanto?”
“Oh, Edward! Quanto
può esserlo una relazione tra diciassettenni!”
“Sono andati a
letto insieme?” La piega che aveva preso quella conversazione non andava affatto bene.
“Isabella?”
“Mh.”
“COSA?”
Edward si alzò a sedere, sfilando la mano da sotto il collo di Bella.
“Non
prendertela.”
“Non prendermela?
Domani ci parlo. E dopo ammazzo a
Dean.”
“Emma è la
diciassettenne più intelligente che io abbia mai conosciuto. Con la
testa sulle spalle. Non ci ha mai dato un problema, e di certo non ce lo darà ora. Lei ama
Dean.”
“Non lo ama.
E’ soltanto una di quelle stupide cotte adolescenziali.”
“Tua sorella ci ha
messo su una famiglia, per la sua cotta adolescenziale.” Le
ricordò Bella, arcuando le sopracciglia.
Ed era vero.
La cotta adolescenziale
di Alice aveva dato vita a una delle famiglie
più belle.
“Non resterà
incinta anche a lei a diciannove anni, vero?”
“Emma tiene al suo
futuro. Non è così stupida.”
“E se dovesse
capitare?”
“Sarebbe una madre
formidabile.” L’espressione di Edward era quella
di un bambino a cui avevano tolto il suo giocattolo preferito.
“Perché
crescono?” Bella si avvicinò, scompigliandoli di nuovo i capelli.
“Non ci possiamo
fare niente.” Si ributtò di schiena, riportando con sé sua
moglie.
“Quindi…
non ti arrabbierai se deciderà di non andare a Yale?”
“No, tesoro. Non mi
arrabbierò. Purché sia una scelta
saggia.”
“Che ne dici di dirlo a lei? Non ora, ma potreste affrontare il discorso.
Tiene molto alla tua opinione su questo, lo sai.”
“Lo
farò.”
“E magari, evita di
nominare Dean.”
“Oh, Dio! Menomale
che quello zoticone è in California.”
“E se è vero
amore, questo non li fermerà.”
“No.” Sbuffò
Edward, voltandosi verso Bella. Erano faccia a faccia.
“Credo che… ecco… abbiamo fatto un bel
lavoro.” Con l’indice indicò il tetto sopra di loro.
La casa.
La loro casa.
La loro famiglia.
“Ci
stiamo impegnando.
Loro sembrano felici. Lo sono. E lo siamo anche noi.” Sembrò
pensarci su. “Tu sei felice, sì?”
La domanda di Edward la fece scoppiare a ridere.
“Sono
felicissima.” Posò una mano sulla sua guancia, e la lasciò
lì. “E ho una cosa per te.”
“Un nuovo completino sexy? Te l’ho già detto
quanto mi è piaciuto quello dell’altra sera?” Bella
alzò gli occhi al cielo.
“Sì,
l’hai ripetuto diverse volte. Comunque… no. Niente completino
sexy per te, MrCullen.”
Bella si alzò, avvicinandosi alla sua parte dell’armadio. Una
volta aperto, tirò fuori un foglio bianco ben ripiegato da una scatola.
Si sedette di nuovo sul letto, e con le mani tremanti lo diede a Edward.
“Tieni.”
“Cos’è,
vuoi divorziare?” Ammiccò lui.
“Smettila
per un secondo.
Aprila e leggila.” L’espressione seria di Bella lo fecero smettere di giocare, e si sedette anche lui. Prese il
foglio, e lo aprì delicatamente.
“Questa… questa l’ha scritta
Alice?” Annuì appena, rispondendo silenziosamente alla sua
domanda.
Ciao tesoro!
Se stai leggendo, significa che qualcosa è andato
storto. Significa che è presto, e che le mie bambine avranno bisogno di
tutto l’aiuto del mondo. Significa che non ci sarà nemmeno Jasper
a potersi prendere cura di loro, e questo pensiero mi logora. Ma fino a un certo punto. Perché so che le mie
bambine non saranno sole. Mai.
Non so dove sei e cosa stai facendo ora, e non so nemmeno per
quale motivo stai leggendo questo. Ma di certo non
sarà una bella giornata. Vorrei dirti che questa decisione è
stata studiata e ponderata, ma mi conosci: sai che non è vero. Non
l’ho deciso dal giorno alla notte, ma sapevo già che fare. Se succede qualcosa, Bella e Edward dovranno prendersi cura
delle nostre figlie. E quelle non sono le mie bambine, Bella. Sono la mia vita.
Avranno bisogno di te giorno e notte. A volte te lo diranno,
altre dovrai scoprirlo da sola. Se è presto, dovrai avere a che fare con
pappe e pannolini. Non ti spaventare, tesoro! Non
c’è niente che un deodorante per ambienti non possa risolvere! Se
sono più grandi, dovrai occuparti di loro in silenzio. Dovrai essere per loro la madre, la zia e l’amica. E
sì, so che non sarà facile. So che stravolgerà la tua
vita. E non solo la tua.
Perché c’è chi avrà bisogno di te
più delle bambine: e quel qualcuno è Edward. Non lo lasciare,
Bella. E’ l’uomo più forte e più debole che io abbia
mai conosciuto, allo stesso tempo. E’ forte perché crede in quello
che fa, e ci mette l’anima. In ogni cosa. E’ debole
perché… lo fa da solo. E non mi fraintendere, conosce più
persone Edward del Presidente, ma dentro… è solo. Ha bisogno di te.
Se ti sto scrivendo, è successo qualcosa. E questo qualcosa avrà
delle ripercussioni sulle vostre vite, ma soprattutto in quella di mio
fratello. Fallo per me, Bella.
Prenditi cura di lui.
Prenditi cura di lui quando si comporta bene, e sorride alla
vita.
Prenditi cura di lui quando le sue giornate sono storte, e
non vuole nessuno accanto.
Prenditi cura di lui quando il suo caratteraccio prende il
sopravvento.
Prenditi cura di lui, perché è questo quello di cui ha bisogno. Promettimelo.
Edward è la mia metà, e lo sarà per
sempre. Se stai leggendo queste parole, significa che la sua metà ora
non c’è più. Sarà a pezzi. Non lasciarlo. Ti prego.
Sei la persona più buona che io abbia mai conosciuto,
Isabella Swan.
Essere la tua migliore amica è stato un onore, per me.
Dai un bacio alle mie bambine, e ricordale ogni giorno che la
loro mamma le amerà per sempre.
Tua,
Alice.
Bella aspettò.
Mentre Edward si era
voltato con la lettera in mano e le dava le spalle, Bella aspettava che finisse
di leggerla.
“T-tu.” Non finì la frase. Perché
capì che il su e giù fatto dalle spalle
era a causa dei singhiozzi.
“Hey, hey.” Bella
circondò la schiena con le mani, tenendolo stretto da dietro.
Posò il viso tra l’incavo della sua spalla e il collo. “Va tutto bene, amore.”
“L-losapevi
d-a…”
“Da quando siamo
andati dall’avvocato.”
Sì. Quando avevano
saputo che Emma e Mia sarebbero andate a loro.
Il giorno che cambiò completamente le loro vite.
Bella si spostò, e
asciugò con delicati baci le lacrime che bagnavano il perfetto viso di
Edward.
“Alice ti amava,
Edward. E sapeva cosa avresti provato.”
“Per tutto questo
tempo…”
“Ho letto la sua
lettera talmente tante di quelle volte, che ho paura si frantumi nelle mie mani
un giorno di questi.”
“Perché…
ora?”
“Perché
in questi anni ho capito tante cose, Edward. Ogni volta che ti arrabbiavi, che
rispondevi male, quando te ne andavi… io rileggevo la lettera di Alice. E
mi dicevo che non potevo andarmene. Non potevo lasciarti. Non potevo,
perché lei me l’aveva chiesto. E lasciare te, sarebbe stato come
fare un torto a lei e alle bambine. Poi… poi ho scoperto che non volevo lasciarti. Che volevo convivere con il tuo carattere a
volte buio e a volte solare. Che volevo
vederti insieme alle bambine, e adoravo vederle felici insieme a te. Volevo che
tu diventassi il padre dei miei figli, e mio marito. Il favore che dovevo fare
ad Alice, si è rivelato come la più grande scoperta della mia
vita.” Bella prese fiato, continuando ad
accarezzare le guance di Edward. Le lacrime non scendevano più, ma i
suoi occhi continuavano a restare lucidi.
“Ti amo da morire, Edward. Ti amo che quasi mi scoppia il cuore, quando
ci penso. Quando ti vedo… con Emma e Mia. Sono cresciute, ma anche tu
insieme a loro. Ti amo quando sei insieme ai nostri
figli, e i tuoi occhi scoppiano d’amore. Ti amo Edward. E prendermi cura
di te non era più una richiesta di Alice, ma era diventata la missione
principale nella mia vita. Ti amo.”
Edward appoggiò la
fronte su quella di sua moglie, in silenzio.
“Ha sempre saputo
tutto.” Bella annuì.
“Sempre.”
“Sei la mia vita,
Isabella. Tu, Emma, Mia, Alice e Sam. Non avrei mai potuto desiderare nulla di
meglio.”
“Ti amo, Edward.” Circondò le braccia attorno al
suo collo, stringendolo forte.
“Ti amo anche io, Isabella Swan.”
Respirò a pieni polmoni il suo profumo, chiudendo gli occhi. Restarono
in silenzio, fusi in un abbraccio che li aveva fatti unire in tutti i modi
possibili.
NOTE:
Succede.
Succede che una ragazza i vent’anni ha un’idea
strana una notte, e decide di metterla in pratica.
Succede che la vita si mette in mezzo, e in tre anni fa
accadere tante di quelle cose che portano delle ripercussioni sulla storia.
Ci ho messo l’anima, in Changes.
L’ho fatta a pezzi, e l’ho divisa in ventuno piccoli capitoli. Tre
anni, ventuno capitoli, tanti giorni passati a pensare: ora la tolgo, non mi va più di scrivere. Non ce la faccio più.
Eppure, non è andata così. Anzi.
Dovevo dare un finale degno ai miei Bella e Edward, - ma soprattutto
-, dovevo dare un finale degno a voi.
Chi per tre anni c’è sempre stato, ed ha
aspettato pazientemente. Chi ha lasciato andare la lettura per i tempi troppo
lunghi, e chi ha commentato ogni singolo capitolo.
Changes è la storia con più preferiti/seguiti tra tutte le mie Fanfiction. Non potevo lasciarvi così, con l’amaro
in bocca.
Mi scoppia il cuore, ho pianto talmente tanto oggi mentre
scrivevo questo Epilogo, che quasi non volevo lasciarli andare. Eppure è
arrivato anche il loro momento. Non so cos’altro dire, se non GRAZIE.
Grazie per esserci stati, grazie per aver amato i miei Edward e Bella.