Back in our days

di Jay_Myler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno ***
Capitolo 2: *** Senza un vero motivo ***
Capitolo 3: *** Una speranza ***
Capitolo 4: *** Al vento ***
Capitolo 5: *** Per lei ***
Capitolo 6: *** Non farti del male ***
Capitolo 7: *** Coincidenze ***
Capitolo 8: *** Rude e passionale ***
Capitolo 9: *** Una giornata infinita ***
Capitolo 10: *** Questioni in sospeso ***
Capitolo 11: *** I fiori dell'amore ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***
Capitolo 13: *** Capitolo extra ***



Capitolo 1
*** Il ritorno ***


E così la ragazza si ritrovò davanti a quella scena, quasi costretta, come se la vita le stesse giocando un brutto scherzo; non sapeva cose avesse fatto di male per meritarselo, ma non poteva far a meno di portarsi una mano sulle sue labbra per evitare di urlare. Ivy rimase immobile, per tutto il tempo in cui la ragazza bionda ed il ragazzo castano si stavano baciando appassionatamente nei corridoi di quel liceo di pazzi; non era di certo uno spettacolo che si vedeva spesso in quel contesto , ma non si stupiva affatto del comportamento fuori luogo da parte di Ambra, quella ragazza che pensava di avere tutto e tutti sotto i suoi comandi ed i suoi capricci, che prendeva quello che voleva senza farsi troppi scrupoli, ma da lui... oh, da quel ragazzo tutto si aspettava tranne quello. All'inizio era rimasta un po' sconcertata ed incuriosita, a primo impatto non lo aveva riconosciuto, era cambiato molto, ma i suoi tratti, quei suoi tratti inconfondibili ed immutati anche da quel duro anno in accademia militare, non mentivano affatto. Sempre con le mani serrate davanti alle sue labbra cercava di non dire nulla per non fare la figura della guardona; alla fine non era del tutto sicura di quello che si stava svolgendo davanti a lei, magari era solo una grande somiglianza, poteva essere una sua svista... ma si, doveva essere per forza così, il suo Ken non sarebbe mai entrato così in intimità con Ambra, la fautrice di tutte le sue sofferenze l'anno precedente che aveva frequentato in quella scuola. In quel preciso istante nella mente di Ivy si stavano accavvallando un mucchio di idee, ma lentamente si stava convincendo che quel ragazzo non poteva essere affatto Ken, non poteva ma soprattutto non voleva che fosse lui; lei lo aveva aspettato così a lungo, allontanando le avances da quattro soldi di Castiel e non curando le attenzioni carine che aveva sempre per lei Nathaniel; imperterrita aveva aspettato e sperato, che il suo Ken tornasse, quell'impacciato ragazzo che tanto l'aveva voluta bene ed amata, che l'aveva seguita nel suo liceo pur di stare con lei.
Ovviamente non poteva essere lui.
I due ragazzi, che pochi istanti prima erano avvinghiati l'uno all'altro, suggellando il loro incontro con un bacio così smorto e senza amore che era visibile anche da fuori, si staccarono lentamente; nessuno dei due fino a quel momento si era accorto della sua presenza, ma proprio in quell'istante Ambra, che si trovava di fronte a lei la guardò con aria sprezzante e come sempre la trattò con aria di superiorità e cattiveria.
«Cosa ci fai tu qua?!» le chiese come se stesse assistendo ad un crimine in corso.
Il ragazzo di fianco alla strega, le dava le spalle, ma incuriosito da chi li stesse guardando, si girò di scatto, mostrando alla ragazza il suo viso ed i suoi splendidi occhi verde smeraldo.
Ad Ivy le mani crollarono letteralmente giù dal viso, senza poter credere a quello che aveva appena visto.
Gli occhi.
Quegl'occhi non mentivano affatto, quel verde così inteso e brillante, quello sguardo vivo ed intenso, non potevano trarla in inganno e tutto il suo convincersi del contrario non ebbe più senso.
Era proprio Ken.
Kentin appena incrociò il suo sguardo sgranò gli occhi: anche se si erano separati per un anno il vivido color celeste degli occhi di Ivy brillava imperterrito, con una certa nota di melanconia, ed adesso anche di rabbia mista a delusione; il ragazzo non si aspettava di certo di trovarsi davanti la sua amata Ivy in quel preciso istante. Il suo sguardo iniziò a perdersi in quel colore così simile al cielo, cercando di spiegarle le cose così come stavano, ma le cose non andarono come aveva desiderato. La ragazza di fronte a lui, con le braccia lungo i fianchi continuava a fissarlo, anche se ormai il suo sguardo era perso nel nulla più assoluto e mormorando uno «Scusate» corse via senza girarsi indietro. I suoi capelli biondo cenere galleggiavano nell'aria mentre lei correva a perdifiato verso il sottoscala del liceo; a Ken era mancato anche il semplice guardare Ivy ed in quel momento capì che la loro lontananza era servita a qualcosa.
Ivy stava uscendo di corsa dall'edificio scolastico, sentendosi costretta tra quei muri così spessi ed oppressivi; si sentì per un momento sopraffatta da tutte quelle emozioni: il fattaccio con Nathaniel Lynsandre che l'aveva ripresa, i soliti battibecchi senza senso con Castiel e il ritorno di Kentin. Già, il nome completo di Ken era Kentin, se lo ricordava visto che avevano fatto le scuole insieme fin dall'asilo, ma lui odiava farsi chiamare con il suo nome completo, diceva che era un nome da uomini duri e che lui invece aveva il cuore troppo tenero e si trovava meglio nel farsi chiamare Ken. Ivy, mentre continuava a vivere questo accavallarsi di emozioni, andò a sedersi per un momento sotto la grande quercia che sovrastava quel cortile sul retro, un cortile poco frequentato, perché era il luogo preferito di uno dei più rompiscatole ed attaccabrighe del liceo: Castiel.
Ma in quel momento non le importava molto, voleva solo sedersi e riprendere fiato, di Castiel poco le importava, anche se quel ragazzo con i capelli rossi come il fuoco le dava sempre i tormenti trattandola male e allo stesso tempo facendole delle avances spudorate, giusto per infastidirla. Sapeva che tra lei e quel ragazzaccio non sarebbe potuto mai esserci qualcosa, appartenevano a due mondi diversi e di certo non era il suo ragazzo ideale. Ken, quello era il suo tipo di ragazzo, dolce e sempre disponibile, che ti fa stare bene e ti sorprende sempre con qualcuna delle sue; più volte però aveva ripetuto a Ken di credere di più in sé stesso e di non scendere a certi livelli, in quanto spesso cadeva in un servilismo che lo sminuiva come persona. Queste critiche costruttive che spesso gli faceva, venivano considerate, dal vecchio ragazzino gracilino e con gli occhiali, un modo di respingerlo e per questo, molto a volte se ne andava via abbattuto.
Ken invece, non sapeva tutta la verità delle cose e se non si fosse comportato come un cretino poco prima, forse lo avrebbe anche saputo.
I pensieri di Ivy furono interrotti da una voce che conosceva troppo bene e che detestava.
«Cosa ci fai qui, lo sai che non sopporto il vederti più di due volte nella stessa ora»
«Lasciami in pace Castiel»
«Siamo nervose o cosa? Bhè, tu il tuo nervosismo o cosa potete anche andarvene di qui, non ho intenzione di sentirti lamentare dei tuoi problemucci da donnicciola.»
«Castiel, vai al diavolo»
Castiel era una persona menefreghista, ma anche se non lo dava a vedere, aveva un certo talento nel capire lo stato d'animo altrui.
«Mi sbaglio o sei triste? Noto anche un certo essere abbattuta e delusa. Si tratta d'amore, roba da donnicciole insomma.»
Ivy faceva finta di non ascoltarlo per la maggior parte del tempo, per evitare di alterarsi ancora di più, ma doveva dire che quel ragazzo ci aveva preso in pieno; lo vide sedersi accanto a lei, con le spalle appoggiate all'albero.
«Ti capisco sai, Ivy. L'amore è una brutta cosa: ti fa salire in cielo e poi ti scaraventa a terra. Ma sai, ho un rimedio per questo»
Si stava sbagliando, o Castiel era stranamente gentile nei suoi confronti? Che avesse toccato un tasto dolente anche per lui? Forse per la prima volta stava vedendo il vero volto di Castiel? Ancora incredula ed un po' titubante, si girò verso quel ragazzo, notando che i loro visi non distavano più di una ventina di centimetri.
«E quale sarebbe questo rimedio?»
Castiel si girò per guardarla a sua volta negli occhi, mostrandole per la prima volta ad una breve distanza la freddezza infinita dei suoi occhi grigi.
«Il rimedio... Il rimedio è particolare, è un rimedio che posso darti solo io. Quando si tratta di pene d'amore sono il primo che va interpellato, sai... io posso sempre, e ricordatelo, sempre, consolarti, quando vuoi, dove vuoi ma in particolar modo come vuoi»
Ah ecco, questo è il Castiel che tutti conoscono, questa è la sua vera natura, subdola e cacciatrice.
Ivy gli mise una mano in faccia e lo spinse via delicatamente – non voleva rischiare la vita facendogli male – e si alzò in piedi.
«Sei un cretino Cass, vai a farti...» ma le sue ultime parole – se pur ovvie – si persero nell'aria correndo via, mentre Castiel si arrampicava di nuovo su quella quercia così alta che si affacciava su gran parte delle finestre del liceo ed arrivava fin sopra la terrazza.
La ragazza intanto si stava dirigendo nella serra, là dove di solito il suo club di giardinaggio si riuniva a tenere le lezioni in inverno o quando dovevano coltivare un tipo di pianta particolare. Ma in quel caso la serra era un rifugio, il suo asilo politico, un posto dove andare a nascondersi per un po', un posto dove non voleva essere trovata. Evitando di calpestare le sue tanto adorate piante, attraversò il loro grazioso orto botanico che si era formato in un anno di duro lavoro ed una volta aperta la porta della serra andò sul suo retro, dove c'era una grossa scala di legno che portava ad un piccolo soppalco, dove Jade, il giardiniere, teneva le scorte di terra e qualche seme. Quello era il suo posto preferito quando voleva sparire per un po', mai nessuno la aveva mai trovata e l'aveva disturbata; non che quello fosse un posto molto nascosto, ma quasi nessuno andava lì, solo in caso di necessità qualcuno si arrampicava su quella barcollante struttura in legno.
Barcollante o meno Ivy lo trovava un luogo ideale dove scomparire per un poco.
Non poteva credere di come era stata stupida.
Per tutto quel tempo si era figurata in mente in ritorno di Ken, ma di certo non si sarebbe mai aspettata un ritorno simile. Il pupazzo che le aveva regalato un anno prima, un tenerissimo orsacchiotto con una magliettina bianca sulla quale era stampato un grosso cuore rosso vivo, era ancora sul suo comodino di fronte al letto, ed ogni notte prima di andare a dormire, lo prendeva e lo stringeva a sé, sperando con tutto il suo cuore che il ritorno di Ken fosse più vicino. Proprio la sera prima, stringendo forte a sé quel peluche aveva chiesto di rivedere il suo dolce pasticcione, che da più di un anno scolastico non vedeva; chiunque l'avesse ascoltata l'aveva presa in parola, ma si era anche presa gioco di lei. Aveva sperato in un loro rivedersi, riabbracciarsi e lei... lei finalmente era pronta a dirgli quello che per anni quel povero ragazzetto sperava di sentire; ma di quel ragazzo, che nascondeva il suo viso dietro un paio di occhiali enormi, non ne era rimasto molto, al suo posto c'era un ragazzo alto e slanciato, con i suoi occhi verdi in bella mostra, occhi che una volta vedeva solo lei. Una volta quegli occhi verdi erano un suo spettacolo privato, riservato solo a lei, quando quelle poche volte il ragazzo se li toglieva dal viso per pulirli. Non aveva mai visto occhi più belli. Adesso quegli occhi non la guardavano più come una volta, forse non la guardavano proprio; probabilmente resosi conto del suo netto cambiamento le aspettative di Ken erano cambiate e si era concentrato su ragazze che una volta non erano neanche lontanamente alla sua portata.
Intanto Ivy, rimaneva tra i sacchi di terriccio, in preda ad uno sconforto e ad un sentirsi stupida, mentre non poteva evitare di far scendere alcune lacrime tiepide e salate sulle sue labbra fredde come il ghiaccio.

 

«Hey Ivy, come va?»
«Ken?! Cosa... cosa ci fai tu qui?» la ragazza iniziò a sorridere come non mai, un sorrisio di cuore, un sorriso che ti riempie tutto il viso, un sorriso che parte dagli occhi.
«Io.. io non potevo lasciarti, volevo stare con te ed ho cambiato scuola» le parole del ragazzo risuonavano meno stupide e disperate nella sua testa, ma alla ragazza non importava di quanto ridicolo potese sembrare da fuori: anche se Ken non lo capiva lei lo adorava ed amava stare in sua compagnia e di certo non si apettava un simile gesto da parte sua; sapeva che il ragzzo si dichiarava innamorato di lei, ma lei non voleva mettere fretta alle cose e prendeva il suo tempo, apprezzando ogni singolo minuto passato con lui. Ken non era il classico ragazzo che tutte amano ed apprezzano, lui è il classico bravo ragazzo, quello della porta accanto, quello che ti aiuta nei compiti e ti porta a fare una passeggiata mangiando biscotti al cioccolato - che erano i suoi preferiti tra l'altro.
«Hai già finito tutti i preparativi per il trasferimento? Sei a tutti gli effetti in questo liceo?»
«Si, l'unica cosa che mi preoccupa adesso è se i compagni di classe siano simatici o meno»
«Ma certo che lo saranno, perché non dovrebbero esserlo...» -soprattuto con te che sei un amore – completò la frase nella sua mente. E così senza troppo imbarazzo passarono il loro primo giorno di liceo insieme, festeggiando con un'uscita in piena regola, con tanto di quei buonissimi biscotti al cioccolato.

 

 

Compiaciuto e soddisfatto del suo nuovo aspetto fisico, si rese conto che passare dalla sua figura di nerd sfigato a militare palestrato gli aveva dato sì, maggiore fiducia in sé stesso, ma lo aveva anche fatto comportare dalla persona più stupida del pianeta. Ma ormai era in ballo e tanto valeva ballare; senza perdere tempo ne cantò quattro a quell'oca bionda, smontandole tutti i suoi modi di fare dicendole chiaramente in faccia che lei non era quella grande bellezza che pensava di essere. Detto questo e gridandole in faccia che non voleva sentirla in nessun altro modo, le prese il cellulare da mano e glielo gettò a terra facendolo distruggere in mille pezzi, con grande stupore e rabbia da parte di Ambra. Livida di rabbia e ferita nell'orgoglio la bionda principessa del liceo decise di battersela in ritirata e dopo aver iniziato uno dei suoi soliti capricci decise di continuarlo da suo fratello Nathaniel, dove andava a lamentarsi spesso con la sua voce da bambina per ottenere sempre ciò che voleva. Andata via e rimasto solo Kentin per i corridoi del liceo, decise di andare da Ivy per chiarire una volta per tutte quella situazione; ma non si accorse, mentre correva nella direzione in cui l'aveva vista sparire, che dietro una delle aule c'era una strana ragazza dai capelli corti e castani, che con in mano un registratore ed una telecamera aveva ripreso tutto, entusiasta del nuovo scoop da prima pagina. Non sapeva da dove incominciar a cercare, nonostante avesse passato un po' di tempo in quel liceo non se lo ricordava affatto interamente ed era così grande che perdersi era la cosa più semplice da fare ed in più non sapeva dove una ragazza ferita potesse andare a nascondersi da un cretino come lui. Senza pensarci iniziò a controllare le aule vuote che si trovavano dopo il sottoscala, ma rassegnandosi all'idea che non l'avrebbe trovata di certo in qualche classe vuota andò a sedersi sulle scalinate, aspettando che gli sovvenisse qualche luogo dove cercare. Proprio mentre pensava a dove poter iniziare a cercare alzò la testa verso l'altro e vide che le rampe di scale continuavano fin sopra ad una mansarda o forse ad una terrazza; Ivy poteva essersi nascosta nel bagno delle ragazze, ed in quel caso non poteva farci molto, ma di sicuro poteva perdere cinque minuti del suo tempo per vedere dove portavano quelle scalinate. Salì le scale a due a due, con un ritmo sempre crescente fino a quando si trovò davanti ad una porta che dava sull'esterno; il vetro posto sulla porta faceva intravedere l'azzurro del cielo ed una persona in piedi fuori al terrazzo, mentre l'opaco rendeva tutto indistinguibile e senza contorni. Forse una volta tanto aveva la fortuna dalla sua ed aveva trovato Ivy al primo vero tentativo.

 

 

«Immagino che tu abbia scelto il club di giardinaggio come me!»
«Si, infatti come facevi a saperlo?» gli chiese la ragazza sorridendogli.
«Ti conosco troppo bene, sapevo che ami il verde come me ad hai a cuore la salute delle piante»
«Mi consoci proprio bene Ken! Non è che hai scelto anche tu quello sapendo che lo avrei scelto a mia volta?» gli chiese Ivy tra una risata e l'altra. Ken si limitò a ridere anche lui, mentre in cuor suo sapeva che una delle tante ragioni per cui l'aveva fatto – quella che aveva dato maggior peso alla decisione – era proprio quella.
«Forza andiamo o faremo tardi!» gli intimò la ragazza prendendolo per mano e trascinandoselo dietro fino ad un pezzo della strada per arrivare al club, fino a quando non si accorse di non sapere la strada e fu allora che Ken sorridendole la tirò dietro di sé, e da bravo cavaliere l'accompagnò fino al loro club.

 

 

Kentin spalancò la porta, come se si stesse togliendo un cerotto, una botta secca per vedere se dietro quella porta si nascondeva la sua Ivy o no.
Le sue speranze svanirono quando vide nettamente in contrasto con quel candido cielo, una chioma rosso brillante; non poteva essere che dopo tutto quel tempo, dovesse trovarsi ancora davanti quell'essere, tenendo ancora con sé un po' di paura che gli dava dai primi giorni in cui lo aveva conosciuto. Ormai non era più il ragazzo gracile di una volta, aveva decisamente potenziato la sua muscolatura, ma quel Castiel gli dava sempre un aria di cattivo ragazzo, anzi di un pessimo ragazzo, un soggetto da evitare a prescindere; ora si trovavano nello stesso posto anche se a quel teppista sembrava non importare molto della sua presenza, visto che continuava a dargli le spalle mentre faceva dei profondi tiri dalla sua sigaretta appena accesa; Kentin non sapeva se salutarlo prima di andarsene, ma convinto che a l'altro non importasse nulla del loro ''rapporto'' iniziò ad indietreggiare lentamente, accompagnando la porta con una mano.
«Non credi di aver esagerato?»
Kentin si bloccò all'improvviso; possibile che lo avesse riconosciuto? Era cambiato così tanto in questo ultimo anno che pensava che nessuno avesse potuto riconoscerlo, tranne ovviamente Ivy.
«Ti ricordi di me, Castiel?»
«Ovvio che mi ricordo di te, eri lo sfigatello occhialuto che moriva dietro Ivy»
«Come.. come hai fatto a riconoscermi?»
«Solo uno stupido non ti riconoscerebbe»
«Ma Ambra non mi ha riconosciuto»
«Cosa ti avevo detto? Solo uno stupido non ti riconoscerebbe. Cosa hai fatto ad Ivy?» disse senza tono dopo aver fatto un tiro più profondo dei precedenti.
«Non le ho fatto proprio nulla!» disse Kentin prendendo tutto il coraggio che aveva in corpo.
«Io non direi visto in che condizioni sta; già è una lagna ed è noiosa di suo, ma oggi non ci si poteva neanche scherzare»
Kentin iniziò a sentire la rabbia crescergli in corpo, ma ancora bloccato da un vecchio freno che si era imposto tempo addietro non riusciva ad esporsi troppo con quel ragazzo.
«Ivy non è noiosa e non è una lagna, anzi sai che ti dico, evita di girarle intorno.»
«È tutta tua amico, non serve che fai tanto lo spavaldo, ma sappi che qualunque cosa tu abbia fatto o detto, ora lei sta rintanata a piangere nel soppalco nella serra»
Kentin fece uno scatto per andare immediatamente nella serra, un posto che conosceva molto bene visto che una volta faceva parte del club di giardinaggio.
«Ah, e fossi in te non mi presenterei da lei senza delle scuse più che valide»
Ignorando l'ultimo commento di Castiel, il ragazzo iniziò a correre a perdifiato giù per le scale, cercando di non perdere altro tempo per raggiungere al più presto Ivy. Non poteva credere che dopo tutto quel tempo e tutti i suoi cambiamenti la ragazza lo aveva riconosciuto.
Non perse tempo nemmeno per i corridoi, andando più veloce che poteva, ricordandosi di come lo costringevano a corre nel campo di addestramento, facendolo correre in vecchi pneumatici, a farlo strisciare sotto del filo spinato e ad arrampicarsi su corde; quell'allenamento gli era servito a qualcosa, probabilmente anche per quel momento dove la velocità per lui era essenziale, prima che la ragazza se ne andasse via.
Ma quanto attendibili potevano essere le parole di Castiel? Perché doveva dargli una dritta se non si erano mai sopportati? Che gli avesse mentito?
Kentin si bloccò di colpo, reggendosi ad alcuni armadietti iniziando a pensare solo ora se dare credito alle parole del tipo incontrato sulla terrazza.
«Ken da quanto tempo!» lo salutò una voce amichevole alle sue spalle.
Kentin si girò e vide che gli stava venendo incontro un ragazzo biondo dall'aria simpatica, lo stesso ragazzo che si era occupato del suo trasferimento scolastico, in veste di delegato scolastico: era Nathaniel, che con uno dei suoi soliti sorrisi stava andando a salutarlo.
«Kentin, chiamami Kentin è il mio nome completo, lo preferisco» gli disse automaticamente, ricambiando poi il suo cordiale saluto.
«Come sei cambiato, mi fa piacere rivederti qui e riaverti tra noi; dove stavi correndo così di fretta?»
«Mi spiace approfittare di te, ma sa dove potrebbe essere Ivy?»
Nathaniel sorrise sentendo nominare la ragazza.
«Vi sentite ancora allora, mi fa davvero piacere, ricordo che eravate davvero una coppia inseparabile; quando sei partito Ivy non è stata più la stessa.»
A Kentin queste parole colpivano duramente; non pensava che anche Ivy avesse potuto risentire della loro lontananza.
«Io non sapevo... è importante Nathaniel, sai dove potrebbe essere?»
Il ragazzo scandagliò con il suo sguardo ambrato l'agitazione di Kentin e capì che la cosa lo preoccupava molto; qualunque cosa volesse dirle era davvero importante.
«So che non ha lezione a quest'ora perché spesso la aiuto nei compiti di matematica e so che ha un'ora buca; potresti vedere al club oppure... spesso si va a nascondere nel soppalco nella serra. Pensa che nessuno sappia dove si nasconda quando non vuole essere trovata, ma tutti lo sanno. Semplicemente non andiamo a disturbarla»
«Oh, grazie mille... Nathaniel, un'ultima cosa, non hai faticato a riconoscermi?»
«A dire la verità sei cambiato moltissimo, ma ti si riconosce subito, emani sempre la stessa aura di buon umore di sempre; diciamo che sei riconoscibile sempre; solo uno stupido non capirebbe che sei tu. Non sapevo che avessi gli occhi verdi però; gli occhiali ti coprivano il viso»
Salutando un'ultima volta il ragazzo Kentin corse via ed attraverso il cortile di corsa, prese la stradina sulla sinistra che conduceva al suo ex club di appartenenza.
«Ciao Jade!» urlò mentre saltava una siepe per non fare tutto il giro per entrare, mentre il giardiniere che si preoccupava ogni tanto di dare una mano al club, lo salutava sventolando una mano con in mano un bulbo di chissà quale pianta.
Kentin aprì lentamente la porta della serra senza fare rumore, cercando di carpire anche il minimo suono che potesse dargli la conferma della presenza della ragazza; andò sul retro misurando ogni passo per non farsi sentire, ad arrivato nei pressi del soppalco iniziò a sentire qualcosa tra il silenzio assoluto delle piante lì custodite.
Era un respiro, lento e regolare, ma a volte spezzato.
Riconosceva quel respiro, lo aveva sentito molte volte, e sapeva anche ogni sua variazione e capì che quel respiro era quello di una persona che aveva appena smesso di piangere; si appoggiò con la schiena alla parete, prese un grosso respiro ed espirò rumorosamente, poi con tranquillità si affaccio nella stanzetta dove si trovava il soppalco e la sua voce tremante risuonò in tutta la serra:
«Ivy...?»

 

 

«Dobbiamo lasciarci mia cara Ivy, mi si spezza il cuore, ma devo»
Ivy non lo guardava nemmeno in faccia.
«Mio padre vuole che passi il resto dell'anno nell'accademia militare, dice che così diventerò un uomo»
La ragazza continuava a tenere lo sguardo basso.
«Mi aspetterai?» chiese speranzoso il ragazzo prendendole le mani nelle sue.
«Devi proprio andare?»
Ogni parola detta dalla ragazza risuonava ancora più melanconica del dovuto visto che le si spezzava la voce ad ogni sillaba.
«Si, mio padre ha deciso così, ora sta nell'ufficio della preside a firmare tutti i documenti.»
«Tornerai?» gli chiese guardandolo per la prima volta negli occhi.
«Solo per te tornerò; tu mi aspetterai?»
Gli occhi di entrambi si fecero lucidi, ma quello che iniziò a piangere per primo fu Ken, mentre Ivy cercava di non lasciarsi andare del tutto. Continuavano a fissasi senza dirsi nulla, la ragazza non sapeva cosa dire, era ovvio che lo avrebbe aspettato, ma una cosa era pensarlo un'altra era dirlo. Iniziò ad aprire la bocca ed emise un lieve fiato iniziando per rispondere alla domanda del ragazzo.
Si vide portarsi via Ken dalle mani, mentre un padre burbero lo trascinava dietro si sé intimandogli di smettere di piangere e di fare queste cose da femminuccia.
«Ti aspetterò» sussurrò la ragazza mentre le iniziavano a scendere delle lacrime, quando ormai Ken era già troppo lontano per sentirla, anche se avesse gridato con quanto fiato avesse in corpo. 

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Commento dell'autrice

 

Prima di tutto grazie mille per averlo letto, spero che sia piaciuto questo primo capitolo; poi volevo fare due piccole e banali precisazioni: la prima è che nel testo ho voluto differenziare Ken e Kentin – in che senso voi direte – semplice.. Ivy vede Kentin ancora come il suo vecchio Ken, quindi quando nella “scena” è presente lei e sono sovrani i suoi pensieri il ragazzo sarà preso in considerazione e chiamato Ken, mentre per il resto della storia lui è a tutti gli effetti Kentin; seconda inutile precisazione, le parti in carattere e colore diverso sono dei piccoli flashback, un affaccio nel passato.
Questo è tutto, passo e chiudo.

Jay Myler
© ALL RIGHT RESERVED ©

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Capitolo 2
*** Senza un vero motivo ***


«Ivy...?»
Kentin entrò con un misto di spavalderia e di titubanza sapendo a chi stesse andando incontro ma non a cosa: non sapeva che reazione potesse avere la ragazza nei suoi confronti, l'aveva vista scappar via quando lo aveva beccato a baciare Ambra, ma per lui le ragazze erano sempre state un mistero e non riusciva a capire a pieno il motivo della sua fuga, ma sapeva di sicuro che aveva fatto una grossa cavolata. Passo dopo passo, mentre si avvicinava sempre di più al soppalco di legno, iniziavano ad affiorargli nella mente tutti i vecchi episodi, tutte le belle esperienze che avevano vissuto insieme: quella serra non faceva altro che spronarlo a perdersi in dolci ricordi passati lì dentro.
Chissà se ancora in qualche angolo di quella serra stava il loro vaso di calle, che avevano iniziato a piantare e curare con amore; avevano deciso di intraprendere insieme questo progetto, controllando ogni giorno quella pianta e aspettando che nascessero i fiori più belli mai visti. Questa idea gli era venuta in mente ricordandosi che quei fiori erano i preferiti di Ivy e che la loro fioritura coincideva proprio con il mese di nascita della ragazza: Kentin contava di riuscire a coltivare le più belle calle che si potessero mai trovare per regalarle un fascio il giorno del suo compleanno. L'idea romantica per passare più tempo con lei appassì nello stesso giorno in cui suo padre andò a prenderlo a scuola per farlo trasferire; da quel giorno Kentin perse ogni contatto con quei fiori ed anche con il suo amore, entrambi, ancora in erba. Ivy si era sempre comportata bene nei suoi confronti, passavano le ore buche insieme, pranzavano insieme, uscivano da scuola ed andavano a passeggiare, si facevano compagnia fino al punto di separarsi per tornare alle loro case; non c'era mai stata una volta in cui lo avesse trattato male o con sufficienza, ma questo al ragazzo non era bastato per avere la sicurezza di essere ricambiato e così aveva preferito vivere nella sua incertezza a crogiolarsi nelle mezze verità e nelle vane supposizioni. Ora le cose erano cambiate, lui era cambiato e l'unica cosa che gli era venuta in mente appena ritornato in quel liceo era stata quella di ripagare con la stessa moneta la gente che lo aveva ferito, senza una vera ragione... ma non aveva pensato alla persona che lo aveva sempre, trattato bene.
«Ivy lo so che sei qui, vorrei solo che mi ascoltassi»
Da due grossi sacchi di terriccio si alzò un sottile scricchiolio, che Kentin prese per un segno che la ragazza fosse realmente lassù ad ascoltarlo e che si fosse leggermente spostata facendo quel rumore su quelle assi non troppo stabili.
«Io vorrei spiegarti la situazione, quello che hai visto prima...»
«Tu devi spiegarmi qualcosa in più rispetto alla semplice situazione. Chi sei tu?»
Kentin restò sorpreso dalla velocità con cui la ragazza sbucò da dietro quei grossi sacchi, ma rimase allibito più per la domanda che gli aveva rivolto; lei non si ricordava chi fosse, non lo aveva affatto riconosciuto.
«Ma come... non mi... riconosci?» le chiese tra un misto di confusione ed una certa gratificazione; se neanche le sua amica di infanzia lo aveva riconosciuto, significava che aveva subito un gran bel cambiamento drastico.
«Sono io, non ricordi? Ti do un indizio, ci conosciamo da molto tempo ed ho cambiato liceo solo per te»
Sulle labbra di Kentin si increspò un lieve sorriso che sparì immediatamente quando vide che l'altra parte non ricambiava.
«Io conoscevo Ken, un ragazzo tanto tenero e generoso, che per me cambiò addirittura liceo; non so chi tu sia diventato ora»
Negli occhi della ragazza c'era qualcosa che ardeva, ma non era una semplice emozione nel rivedere il suo vecchio amico, era più che altro un misto di emozioni, delle quali la maggior parte non promettevano nulla di buono.
«Preferisco che tu mi chiami Kentin adesso, sai è il mio nome completo»
«Cos'ha che non va Ken?»
«È un nome... da bambini, uno stupido soprannome che non mi piace più»
«Quindi ora saresti Kentin!» sentenziò la ragazza scandendo quel nome come se stesse nominando una delle cose più deplorevoli esistenti.
«Esatto. Un anno con mio padre mi ha cambiato sostanzialmente, sia fuori che dentro; ma io ricordo che mi hai sempre trattato bene e questo non lo dimentico» le disse sorridendole.
Ivy pensò che fosse davvero carino quando sorrideva – come lo era sempre stato d'altronde – ma pensò anche che fosse un gran bastardo; soppesando le parole che le aveva rivolto, aveva trattato il loro rapporto alla stregua di un campo reduci di battaglia, dove si rende grazie ai proprio alleati promettendo di ricambiare il favore una volta o l'altra... ma per lei trattare bene Ken non era mia stato un favore, era sempre stato un piacere, un piacere di cui non voleva privarsi, ed ora dopo tanto tempo in cui aveva sperato di rivederlo si era presentato questo bellimbusto pieno di sé che pensa di avere la sua vita tra le mani solo da questo istante in poi, facendosi giustizia da solo come nel far west.
Lui non lo avrebbe dimenticato – aveva detto.
Lui aveva già dimenticato e non se n'era nemmeno accorto.
Porre la loro relazione ad almeno due gradini sotto di dove era rimasta quando si erano lasciati era un colpo basso, che aveva già preso in forma nella sua mente appena l'aveva rivisto; il suo radicale cambiamento lo aveva portato ad imporsi mire più alte, nulla di male o di strano in questo, se non fosse che tra le sue vecchie mire molto più basse rientrasse a far parte anche lei, mentre il suo posto era stato preso da una molto più avvenente – almeno per i canoni attuali del ragazzo – Ambra.
«Tu, farabutto!» gli urlò contro mentre si avvicinava a lenti passi alla scala per scendere, puntandogli un dito contro. «Pensi di poter tornare e poter fare i tuoi comodi? Per me non c'è nessun problema visto che la pensi così; io ti ho sempre trattato bene eh? Ma tu? Facevi tanto l'innamorato perso eppure in tutti questi anni non mi hai mai...» continuò a scandire scendendo i primi scalini. «E poi mai, saputa prendere!» e con il terminare della frase lo scalino sul quale stava poggiando il piede per scendere si ruppe. Ivy visse quella frazione di secondo come il più lento della sua vita, vedendo quella scena come a rallentatore; con un piede nel vuoto e l'altro che aveva perso la presa si trovò a cadere dal penultimo gradino di quella pericolante scala, aspettando l'imminente impatto con il pavimento. Chiuse gli occhi, cercando di evitarsi la scena, mettendo le mani in avanti per evitare di peggiorare la situazione, anche se l'angolazione da cui stava cadendo non le avrebbe permesso di diminuire i danni attutendosi l'atterraggio con le mani.
Stranamente quel toccare terra fu meno doloroso e più morbido del previsto.
«Presa... al volo»
Ivy aprì gli occhi e si accorse che l'inaspettato morbido pavimento erano le più comode braccia di Kentin, che l'aveva presa al volo; sentì i suoi muscoli avvinghiarla e stringerla in un protettivo abbraccio, che l'aveva salvata dal cadere a terra senza complimenti.
Stargli così vicina le faceva un certo effetto, quel ragazzo era davvero lo stesso Ken di una volta, questo era il suo potenziale inespresso, era come ai suoi occhi era sempre stato quell'esile ragazzo di una volta, solo che adesso potevano ammirare la sua vera bellezza tutti, in quanto tangibile ad ammirabile. Tutta quell'ostentazione lo aveva cambiato, anche se in fondo era sempre lo stesso; il suo modo di porsi era cambiato e lei non voleva ricominciare da capo il loro rapporto quando meno di un anno prima era quasi ufficialmente la sua ragazza; non lo avevano mai detto apertamente, ma chiunque li incontrasse li considerava come fidanzati, vedendo tutto il tempo che spendevano assieme ed il loro affiatamento. Ma adesso le cose erano saltate, non c'era più l'affinità di una volta probabilmente, almeno non da parte di Kentin, che preferiva la bionda principessina che una volta era stata la sua carnefice. Alzò la testa e notò di essere a meno di venti centimetri dalla sua faccia, proprio come lo era stata pochi minuti prima con Castiel; ma mentre con il rosso non aveva avuto problemi a spostarselo da davanti, il solo pensare che da lì a qualche secondo avrebbe dovuto allontanarsi da lui la faceva soffrire. Quel verde dei suoi occhi non era cambiato di una virgola, ma vide che la luce che nei suoi occhi brillava una volta – visibile per lei anche da sotto quegli immensi occhiali – era scomparsa; non sapeva di chi o di che cosa fosse la colpa, se era solo una cosa temporanea o meno, ma prese questa cosa come un segno del destino, un indizio che il suo Ken non c'era più. Avrebbe voluto bearsi ancora del loro verde cristallino, ma ormai con un gesto leggero ed appena accennato aveva allontanato da lei il suo salvatore, che assecondando i suoi lenti e dolci movimenti era indietreggiato di tre passi mentre ascoltava il suo ''Grazie'' appena bisbigliato; era la seconda volta nella stessa giornata che sentiva quel tono deluso da parte di quella ragazza nei suoi confronti.
Senza scomporsi, Ivy capì che quello non era più il suo posto, forse non era mai realmente stato o forse era terminato di esserlo il giorno stesso in cui l'aveva lasciata, fatto sta che non sopportava più quel peso che c'era tra di loro dopo averlo visto cambiare radicalmente di personalità. Non era la troppa fiducia in sé che la infastidiva, anzi aveva pregato per anni che il suo amico avesse più fiducia nelle sue capacità e nella sua persona, ma adesso quel suo prendere fiducia e coscienza di sé lo aveva piazzato fuori dalla sua portata.
«Kentin puoi fare e baciare chi ti pare; l'importante è che io abbia capito quale sia il mio posto. Mi spiace che tu abbia confuso la mia disponibilità con opera di pietà o simili, io ero davvero affezionata a Ken, lo volevo bene per quello che era e lo vedevo così anche prima che affrontasse un anno in accademia militare; probabilmente sono diventata al di sotto delle tue possibilità, forse mi consideravi alla portata all'epoca ed adesso una cosa di poco conto, ma non preoccuparti, puoi anche dimenticarti che ti ho trattato bene, perché quello da parte mia, non era di certo un favore, ma era fatto con il cuore. Mi manca il vecchio Ken»
«Forse solo a te manca» le disse il ragazzo distaccando leggermente lo sguardo da lei e fissando il pavimento, per poi tornarla a guardare.
Ivy alzò lo sguardo per incrociare il suo ed allora Kentin capì perché fin a quel momento la ragazza era stata con il capo chinato.
«Se vuoi scusarmi adesso, avrei da fare» e senza aggiungere altro o dargli il tempo di risponderle, di passo svelto uscì dalla porta, mentre lacrime acerbe cadute senza che volesse, l'accompagnavano in una scia umida e luminosa, lasciando piccole chiazze scure sul pavimento dello sgabuzzino nel retro serra.
Adesso si trovava da solo, con una faccia da scemo, senza aver ben capito cosa fosse successo, senza aver afferrato in pieno la situazione, ignorando a che punto fosse arrivata la loro relazione; Ivy doveva aver frainteso, non c'era nulla che lo legava ad Ambra, l'unica con cui voleva passare del tempo era sicuramente lei, in fondo prima che partisse avevano un rapporto molto stretto. Quello che Kentin voleva era una sorta di ricominciare da capo, partendo sempre dalla loro amicizia, ma cercando di azzerare i vecchi ricordi di Ken; ormai era diventato un uomo ed era pronto a vivere la sua nuova vita, ma non aveva preso in considerazione di perdere la sua unica vera amica. Una volta era davvero spudorato ed infantile e le ripeteva tutti i giorni che l'amava ed Ivy lo riprendeva qualche volta, adesso che si comportava da uomo maturo cercando di riaprire un ponte per la loro relazione, lo riprendeva... non le andava mai bene nulla. E così per la seconda volta lo fece rimanere con l'amaro in bocca; la prima volta era stata quando non aveva avuto risposta ad una sua domanda prima di partire, una domanda per lui di cruciale importanza, che le aveva ripetuto più di una volta... ma la ragazza aveva temporeggiato e fatto scena muta fin quando il padre non lo aveva trascinato con sé il lacrime.
«Strane le donne eh?»
Kentin si girò e vide che alle sue spalle, con in mano una cesoia, c'era Jade che stava potando una pianta in vaso. «Non mi stavo facendo gli affari vostri ma ragazzi, eravate nella mia serra ed io mi stavo occupando delle piante»
Il giardiniere non era famoso solo per il suo pollice verde ma anche per la sincerità con cui dava i suoi consigli; era stato uno dei pochi amici che aveva avuto al liceo in quei pochi mesi in cui aveva frequentato.
«Jade, cosa c'è che non va? Prima ero troppo piccolo ed immaturo, ora sono cresciuto e maturato e nessuna delle due versioni andava bene, adesso è arrabbiato con me e non so cosa fare»
«Qualunque cosa tu abbia fatto, l'hai fatta grossa, questo è sicuro; le donne non sono così complicate come ci paiono, sono molto più semplici del previsto. Per te ho un consiglio, ma anche qualcosa da mostrarti»
«Spara il consiglio» gli disse sedendosi su uno dei tavolo facendosi spazio tra i vari vasi.
«Allora Kentin» disse scandendo bene il nome, a dimostrazione che aveva sentito tutta la loro conversazione di prima «Prima capisci l'errore, prima arrivi alla soluzione; prima stavate parlando di un bacio, sono davanti ad un caso di triangolo amoroso o...?»
«No, affatto, io per Ambra non provo assolutamente nulla, era una semplice vendetta, ma Ivy ha visto solo la parte in cui la baciavo, scappando proprio poco prima del momento in cui l'ho trattata alla stregua di una qualunque mettendola al suo posto una volta per tutte. Ed io ed Ivy... non siamo mai stati una coppia, quindi non possiamo definire questa situazione un triangolo amoroso»
«Beh da come l'avete espressa entrambi avete un modo diverso di vederla; il mio consiglio è quello di lasciarla stare. Non dico di mollare la presa, ma di darle del tempo per assimilare tutto questo tuo cambiamento; io vi conosco entrambi, ma lei da più tempo visto il tuo trasferimento e ti posso assicurare che lei per tutto questo tempo ti ha sempre...»
«Ma certo» esclamò Kentin come se avesse trovato la soluzione a tutti i suoi problemi. «Deve essere spaventata da me ora, non sono più come una volta, è questo il problema»
«Si, ma fammi dire anche che fin dal minuto dopo che te ne sei andato lei...»
«Deve metabolizzare la cosa, in fondo anche io non l'ho ancora fatto in pieno, quindi come darle torto» continuò imperterrito nel suo filo logico, ignorando Jade che gli parlava.
«Certo, ma devi sapere che anche da prima che tu migliorassi così tanto esteticamente lei...»
«Grazie Jade, mi hai aiutato molto» gli disse sorridendogli amichevolmente.
«Volevo mostrarti una cosa!»
«Magari un'altra volta eh? Devo andare a pensare ad una strategia vincente per quando si sarà ripresa. A presto!»
Jade vide scomparire anche il secondo ragazzo dalla serra rimanendo da solo con le sue piante.
«Se avesse aspettato un minuto di più le cose avrebbero avuto un senso anche per lui... tornerà quando sarà pronto a sapere la verità» si disse tra sé mentre si inebriava dell'odore dolciastro dei suoi nuovi fiori.

 

«Tornerai?» gli chiese guardandolo per la prima volta negli occhi.
«Solo per te tornerò; tu mi spetterai?»
A Ken iniziarono a bruciare gli occhi, era una condizione che conosceva fin troppo bene, stava per mettersi a piangere; già non vedeva nulla anche con i suoi occhiali, con le lacrime che gli offuscavano la vista sarebbe stato impossibile vedere per un'ultima volta il viso di Ivy prima di partire.
- Smettila di fare lo stupido Ken! Non piangere! - si ripeteva mentalmente cercando di trattenersi, stringendo ancora di più le mani della ragazza. Nemmeno un minuto dopo il ragazzo era scoppiato il lacrime, mentre aspettava trepidante una risposta; non riusciva più a vedere nitidamente, ma gli pareva che la ragazza non fosse commossa quanto lui e per di più non gli stava dando una risposta.
Mentre singhiozzava si sentì tirato via per un braccio, mentre le sue mani scivolavano via da quelle della ragazza.
Ivy scoppiò in lacrime mentre Ken le veniva portato via, con una mano ancora protesa gli diede la sua tanto agognata risposta; ma ormai era troppo tardi, non la sentiva più. Tra le mani solo un pezzo di carta che le aveva dato il ragazzo, con sopra impresso l'indirizzo ed il numero del campo dove sarebbe andato.



Ivy stava andando a prendere le sue cose nell'armadietto, per chiudere quella giornata il più presto possibile; Jade non se la sarebbe presa a male per il suo disertare una giornata al club. Bastava chiedere un permesso a Nathaniel e tutto sarebbe stato risolto; era sempre stata una studentessa modello, con rare assenze e mai brutti voti, quindi non era il tipo che destava sospetti per un'uscita anticipata senza motivo, anche se questa effettivamente non era una vera e propria emergenza.Si avviò diretta al suo armadietto, convinta che non ci sarebbero state questioni da fare e che se ne sarebbe andata subito, passò davanti alla sala delegati e vide Nathaniel impegnato a parlare con Melody, che le fece segno di aspettare un minuto.
«Tu, devi smetterla di starmi sempre tra i piedi»
Ambra le apparve alle spalle, guardandola con un'aria di chi la stava cercando da un po' di tempo.

«Fidati che non ci tengo affatto ad una cosa simile; ma meglio stare sempre in mezzo, che baciarsi la gente che...»
«Hey, tu ti sei già accaparrata i due gemelli che sono arrivati da poco, io dovevo pur fare qualcosa per prenotarmi il nuovo arrivato» disse Ambra facendo spallucce.
«Nuovo arrivato? C'è un nuovo ragazzo e ti sei baciata anche quello oggi?»
«Non fare la finta tonta, ci hai visto prima, mentre ci baciavamo; sai quel bel ragazzo castano con gli occhi verdi ed il pantalone cargo in stile militare» le disse sogghignando con l'aria di chi aveva appena avuto il dessert più buono.
«Ehm, quello era Ken»
Il colorito della bionda platinata iniziò a diventare più simile a quello di un lenzuolo.
«Cosa?»
«Ken, ti ricordi quel ragazzetto che stava sempre con me a cui rubasti i soldi? Sai è per colpa tua che se n'è andò – brutta strega acida» disse abbassando la voce sull'ultima parte della frase. Ma Ambra sembrava non aver sentito, continuando a scuotere la testa.
«No, io questa non me la bevo, mi stai mentendo»
«Vai e chiediglielo tu stessa; sempre se ti parla, a quanto so i vostri colloqui non hanno molte parole»
Ambra si girò scandalizzata, mentre con un passo decisamente troppo ondeggiante anche per lei, stava andando nel bagno delle donne.
Proprio come aveva contato Nathaniel non le fece troppe domande per il permesso anticipato; non tutti sapevano che Ivy aveva l'emancipazione, visto che i genitori erano sempre lontani da casa e non stavamo praticamente mai con lei; era cresciuta sempre da sola, appoggiandosi magari a parenti vari, ma contando sempre sulle sue forze. Ora era una zia che le dava supporto, ma una volta raggiunta l'età giusta aveva deciso di emanciparsi per cavarsela definitivamente da sola.
Forse questo era uno dei tanti motivi per cui si era affezionata così tanto a Ken, di certo uno dei tanti che l'aveva portata ad innamorarsene: il suo continuo esternarle i suoi sentimenti la faceva sentire bene e sopperiva alla mancanza d'affetto che aveva avuto negli anni da parte della sua famiglia.
Ivy si sentiva tradita da Ken, o meglio da Kentin.
Lei era rimasta per tutto quel tempo ad aspettarlo come la stupida per poi ritrovarsi con un belloccio tutto fumo e niente arrosto; cosa lo aveva spinto a cambiare così radicalmente? Il suo Ken era già bello com'era, il suo carattere lo rendeva speciale, la sua personalità lo rendeva frizzante; le faceva piacere che era diventato meno appiccicoso e servile, in quanto adesso si apprezzava di più come ragazzo, come uomo, aveva anche lui un'autostima.
Rientrò a casa lasciando le chiavi sul mobile del corridoio, e trascinandosi a tentoni fino camera sua, stanca più emotivamente che fisicamente, ma comunque a pezzi. Abbandonò il suo zainetto sulla sedia della scrivania ed andò nel bagno a riempire la vasca, accese le sue candele profumate alla vaniglia e mise il suo cd preferito nello stereo, aspettando che il suo bagno caldo fosse pronto; mentre si spogliava, si accorse di non riuscire a togliersi di dosso però, i mille pensieri che le affollavano la mente su Ken. Vederlo con Ambra le aveva spezzato il cuore, voleva dire che lei non era affatto il suo tipo di ragazza, ma la frequentava solo perché la considerava un ''bersaglio'' abbordabile, o almeno di più rispetto alle altre ragazze; si sentiva usata da quel ragazzo, anche se non riusciva ancora a concepire questo ragionamento, tenendo presente Ken, sempre insicuro ed emotivo che la seguiva ovunque andava; ma ormai quel Ken non c'era più. Poi il suo considerare la sua disponibilità come una cortesia ad un povero ragazzo senza amici l'aveva fatta di sicuro imbestialire, quello zoticone non capiva proprio nulla di donne ed a conferma bastava vedere tra le braccia di chi si era buttato appena tornato.
Il suo orsacchiotto era sempre lì, immobile e silenzioso a fare la guardia al suo sonno quando dormiva la notte, sempre sull'attenti per darle affetto quando ne aveva bisogno; ma non era il peluche in sé che attirava la sua attenzione adesso, quanto quello che c'era sotto il peluche. Sotto c'era una piccola scatolina in cartone con dentro il biglietto che le aveva lasciato Ken prima di partire, con sopra un indirizzo ed un numero, ai quali aveva inviato milioni di lettere e chiamate ma...
Sentì il profumo vanigliato delle sue candele pervadere anche la camera e così si arrese all'idea di lasciar perdere almeno per quella sera - per quel bagno quanto meno - la sua delusione.


 

«Aspetta chiudi gli occhi e non sbirciare»
«Come potrei se non vedo niente con questa benda sugli occhi; dove mi hai portata Ken?»

Ivy rimase immobile sul posto dove l'aveva lasciata, curiosa ed un po' ansiosa nel sapere cosa stava facendo lì.
«Ecco ora puoi vedere»
Ken le tolse la benda dagli occhi.
«Un vaso?»
«Un vaso!»
«Ma...» disse la ragazza avvicinandosi alla pianta in vaso che le aveva posto davanti. «... sono calle vero?» chiese sorridendogli.
«Lo saranno» esclamò Ken raggiante. «Ho pensato che potremmo curarle insieme, sarà il nostro progetto botanico che ci avevano chiesto di fare, cosa ne dici?»
«Adoro le calle ed adoro il fatto che tu te ne sia ricordato» gli disse abbracciandolo forte.
«Sei unico Ken»



Jay Myler
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Capitolo 3
*** Una speranza ***



Un altro giorno di scuola attendeva i ragazzi del Dolce Amoris, ma non era una giornata come tutte le altre per alcuni di loro, in particolar modo per Ivy che si era trovata davanti un inatteso spettacolo: dopo la loro separazione forzata era finalmente tornato Ken, il ragazzo che le piaceva da tempi immemori con cui sperava potesse nascere qualcosa con il tempo e continuando a crescere insieme, ma quel ragazzo che si era presentato il giorno prima era completamente differente dal ragazzo che aveva salutato un anno prima, sia fisicamente che caratterialmente; il suo sogno più grande si era trasformato in un incubo in piena regola. Poteva accettare il suo cambiamento, il suo voler ricominciare da zero il loro rapporto, se non fosse capitato quell’episodio con Ambra proprio il giorno prima; era così che era venuta a conoscenza del ritorno di Ken - anzi di Kentin è così che si voleva far chiamare ora - vedendolo attaccato alle labbra di quella antipatica bionda che non era nemmeno a conoscenza della vera identità del ragazzo che stava baciando. Di prima mattina e con zero voglia di andare a scuola, la ragazza decise che quello non era esattamente l’argomento più indicato sul quale riflettere durante il tragitto verso il suo liceo; con le cuffie nelle orecchie, ascoltando distrattamente un brano del suo lettore musicale, ormai stanca di aspettare un autobus che l’avrebbe portata davanti scuola, decise di farsi un pezzo a piedi per prendere un po’ d’aria e sbollentare la rabbia e la delusione accumulate nelle ventiquattrore appena passate. Non passò molto tempo dal suo camminare indisturbata con la musica a palla, che si trovò avanti una compagnia a lei molto gradita ma in quel momento non molto desiderata.
«Hey Ivy, aspettaci!» le gridò una voce da dietro.
Erano due dei suoi compagni di scuola, arrivati da poco, erano due gemelli che si somigliavano incredibilmente anche se loro non ci facevano molto caso; sarebbe stato più che facile sbagliarsi e confonderli se non fosse stato per il loro stile ed alcuni tratti fisici: erano uno l’opposto dell’altro, uno pieno di vita e amante dello shopping e dell’aria aperta, l’altra più chiuso e dedito ai suoi adorati videogiochi. Il ragazzo più frizzante si chiamava Alexy ed era riconoscibilissimo per il suo stile che non passava di certo inosservato, molto colorato e sgargiante, compreso di fantastiche cuffie per ascoltare la musica; i suoi capelli di un acceso celeste davano ancora più risalto al suo vestiario variopinto, ed a contrasto aveva due occhi che cadevano su un violaceo molto chiaro, che si sarebbe potuto definire quasi rosa; suo fratello, Armin, aveva uno stile più sobrio e monocromatico scelto ovviamente dal fratello ossessionato dallo shopping che gli comprava i vestiti e lo vestiva, conoscendo la sua noncuranza verso l’aspetto modaiolo. Ciò che contraddistingueva Armin era la sua passione verso i videogiochi, ovunque andasse ne aveva sempre uno con sé per giocarci, perfino in classe invece di ascoltare i professori giocava con le sue svariate piattaforme, che lo facevano finire spesso in presidenza o con i videogiochi sequestrati.
«Ragazzi, come mai qui, siete di strada?»
«A dir la verità ti abbiamo visto – anzi, ti ho vista, sai com’è Armin non stacca gli occhi dalla consolle quando inizia a giocare – ed ho trascinato… ehm, ho detto a mio fratello di scendere e raggiungerti»
Nel frattempo entrambi si erano girati per fissare Armin in attesa che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa per entrare nel discorso, discolparsi o inventarsi una scusa credibile per giustificarsi, ma come avevano già messo in conto Alexy ed Ivy, il ragazzo continuava a giocare imperterrito e senza degnarli di uno sguardo.
«Perdona mio fratello, a volte si fa prendere un po’ troppo da quei suoi stupidi giochi; certe volte ne sono addirittura geloso. La prossima volta non gli chiedo proprio di accompagnarmi a fare shopping andiamo solo io e te, come l’altra volta, ci siamo divertiti un sacco no?» disse quel ragazzo rivolgendole uno dei suoi miglior sorrisi.  Il bello di stare in loro compagnia era che entrambi avevano delle qualità che ti mettevano a tuo agio se il tuo morale si trovo a terra: Alexy con la sua allegria ti aiuta a risollevare il morale, mentre Armin immerso nei suoi giochi ti dava la calma e il silenzio che ti occorre quando non ti va di parlare; entrambe le opzioni andavano bene ad Ivy, anche se forse in quel momento avrebbe preferito il silenzio imbarazzante con Armin, ma sapeva che con chiunque di loro due l’argomento per lei spinoso non si farebbe fatto di certo vivo, visto che entrambi non conoscevano nemmeno di vista Ken..tin. Sapere di star camminando fianco a fianco con, forse, le uniche due persone che non conoscevano la radice dei suoi problemi era un sollievo per lei.
«Mi sembri un po’ giù di morale, ti è successo qualcosa?» le chiese preoccupato Alexy mentre si incamminavano uno accanto all’altra seguiti a ruota da Armin.
«Niente di importante, tranquillo» cercò di rispondergli in tono rassicurante e cercando di fingere un sorriso che somigliò di più ad una smorfia di dolore.
Ad Alexy questo particolare non sfuggì di certo, ma il suo istinto gli diceva che la ragazza non aveva la minima voglia di parlarne, così cercò di alleggerire il discorso con qualcosa di frivolo e sciocco.
«Non vorrei sembrare troppo eccitato, ma avete visto voi quel bellone che è venuto ieri al liceo?» Questa era un’altra delle enormi ed abissali differenze tra lui e suo fratello: ad Alexy piacevano i ragazzi.
Ivy non rispose ma si limitò a lanciargli un’occhiata interrogatoria; il giorno prima Ambra aveva accennato ad un nuovo arrivato, che alla fine si era rivelato Ken in piena fioritura, appena ritornato dal campo militare… che fosse davvero arrivato un nuovo alunno senza che loro lo sapessero? O probabilmente era proprio Kentin quello di cui stava parlando, alla fine anche l’oca bionda lo aveva etichettato come il nuovo arrivato quando non lo aveva riconosciuto. Quindi era possibile che si riferisse proprio a lui.
«Non dirmi che non l’hai notato? Alto, castano, capelli corti, occhi verde smeraldo, fisico atletico, addominali scolpiti, un figo insomma! Non può esserti passato inosservato»
«Non ci ho fatto davvero caso» disse senza inflessione Ivy, cercando di chiudere il discorso il più presto possibile.
«Oggi nemmeno tu sei di compagnia, sei peggio di mio fratello, non vi va di spiccicare parola; menomale che siamo arrivati altrimenti sarebbe calato un silenzio fastidioso, ci vediamo dopo!» salutò il ragazzo incamminandosi di gran carriera verso il portone principale, mentre Armin ed Ivy stavano ancora attraversando il cancello d’entrata.
 
 

«Sei sicuro papà?»
Chiese speranzoso il ragazzo, con i lacrimoni agli occhi; ancora non si vergognava di piangere per una cosa che gli stava a cuore e questo era un grande difetto agli occhi del padre.
«Ti ho già detto di no, quante volte devo dirlo? Chi dovrebbe cercare una femminuccia come te che per ogni sciocchezza piange? Ora smetti di dire queste cavolate e torna ai tuoi esercizi quotidiani! È un ordine!»
«Sissignore!» urlò tenendo a freno le lacrime che stavano iniziando a scendergli di nuovo.

 
 
Kentin si trovava di nuovo in quella scuola, dopo che l’aveva bramata per tutto quel tempo gli sembrava talmente banale e senza senso, non riuscendosi ad amalgamare a quel gruppo di persone ermeticamente chiuso e compatto; già la prima volta che vi aveva messo piede nei panni del piccolo e sprovveduto Ken non era riuscito ad integrarsi adeguatamente, rimanendo al fianco di Ivy ogni momento libero e possibile. Gli mancava da morire quella ragazza, ma la sua scelta era stata quella giusta, così facendo le avrebbe dato il suo spazio senza invaderla con la sua presenza e poi come negare l’evidenza dei fatti: in tutto quel tempo passato separati non si erano sentiti affatto, nemmeno per due minuti o per lettera. Quando aveva appreso la dura verità, aveva capito che le sue impressioni erano più che giuste e che il suo comportamento romantico e le sue mille attenzioni le davano solo sui nervi e appena se ne era andato per lei era stato un toccasana, una liberazione, anzi la liberazione dall’unica seccatura che la perseguitava. Era già il secondo giorno che aveva ripreso a calpestare quei corridoio, i quali aveva imparato a conoscere un anno prima, ma tutto il suo sforzo, il suo impegnarsi, lo vedeva svanire in un’insulsa nebbiolina, chiedendosi se quell’anno di sacrifici gli fossero serviti solo a prendersi quell’insulsa rivincita ed a perdere una vecchia amica. Non sapeva cosa pensare, non sapeva se lasciar perdere tutto e tutti o cercare di riconquistare le cose che gli stavano a cuore; davvero non sapeva a cosa credere e dove mettere mano. Il giorno prima era intenzionato a cercare un modo per farsi perdonare da Ivy ma che senso aveva farlo se lei non voleva; tutta quella scena, le lacrime, quello che gli aveva detto Nathaniel, non faceva che insidiargli dubbi nei suoi pensieri, tutte quelle cose non potevano essere falese, non poteva essere solo una messa in scena, ma dall’altro canto lei non gli aveva mai….
«Cosa ci fai sulla mia terrazza?» chiese un tono perentorio alle sue spalle, facendolo trasalire e spaventare; quella voce così calda e allo stesso tempo penetrante la conosceva fin troppo bene e gli faceva salire i brividi per tutta la schiena.
«Da quando questa terrazza sarebbe tua?» chiese Kentin con la voce indiscutibilmente tremante, ma cercando di darsi un certo tono per non far trapelare il suo essere ancora spaventato da quel ragazzo dai capelli ramati.
«È mia da quando ci vengo solo io, visto che è vietato stare qui» gli rispose in tono calmo incrociando le braccia sul petto.
«Se è vietata perché ci vieni sempre e perché non c’è nessuno cartello?»
«Semplice: perché io sono un ragazzaccio ribelle; o almeno così mi consideri tu»
Quell’ultima affermazione lo fece rimanere a bocca aperta ed un po’ stranito.
«Senti sfigato, lo so che non abbiamo cominciato con il piede giusto l’anno scorso, ma quest’anno sappi che non ho la minima intenzione di farmi perdonare o di allacciare un rapporto con te»
Ah ecco, questo era il Castiel che si ricordava.
«Non sono il ragazzo che può diventare il tuo migliore amico e non ho nemmeno la voglia, ma devi sapere che questo liceo si basa su un piccolo piano di abitudini e tu sei venuto a disturbare quello stupido equilibrio che si era creato. Quando eri Ken, il piccolo ragazzetto anonimo che tutti ignoravano o prendevano di mira, c’era un sacro equilibrio che non disturbava le cose – o almeno le mie di cose. Quando tu te ne sei andato hai sconvolto tutto questo ecosistema di pazzi che ci ha messo mesi per ristabilizzarsi al meglio; siamo sopravvissuti a vecchie conoscenze che se andavano ed a nuovi arrivi, poi torni tu e tutti va in malora. Mi sa che sei tu quello che non va; sappi che basta una persona – e con una persona intendo Ivy, che sta sempre in mezzo a tutti e volente o nolente ce l’abbiamo sempre davanti – che non sta bene che tutto il resto crolla. E sai di chi è la colpa?»
«….»
«Tua»
Kentin si alzò di scatto da terra e senza voltarsi se ne andò via, scendendo per le scale con ancora più dubbi di prima; la colpa non era sua, non poteva essere la sua, aveva passato una vita ad incolparsi per ogni minimo problema anche scaturente dagli altri ed ora non voleva incolparsi di nulla. Ma effettivamente Ivy se stava in quelle condizioni era per colpa sua e lui lo aveva visto con i suoi occhi nella serra. Quindi aveva ragione Castiel? La colpa era davvero la sua? Era lui il fulcro di tutti i problemi nel liceo?
«Cosa ci fai così presto al liceo? Ansioso di tornare tra di noi eh?»
Quello doveva essere il giorno dell’incontrare gente a caso che gli sparava domande random; ma non era di certo il momento più adatto per intrattenere conversazione con Nathaniel che per antonomasia era la gentilezza e la cordialità fatta persona, cose di cui in quel momento era del tutto sprovvisto Kentin.
«Nathaniel potrei rivolgerti la stessa domanda, ma immagino che la risposta sia qualcosa di burocratico o semplicemente di studio»
«Non posso smentirti, piuttosto com’è andata ieri con Ivy, alla fine l’hai incontrata?»
«Beh, si, eccome se l’ho incontrata, ma dovrei domandarti una cosa… ieri mi hai detto che da quando me ne sono andato Ivy non è stata più la stessa, cosa intendevi dire?»
Il ragazzo biondo inarcò la schiena leggermente passandosi una mano tra i capelli, cercando di riordinarsi le idee mentalmente non sapendo da dove cominciare.
«Non sarebbe meglio se chiariste tra di voi questo punto?»
«Non avrei chiesto il tuo aiuto se non fosse stato necessario, non avrebbe senso metterti in mezzo senza un valido motivo»
I due si guardavano dritto negli occhi, uno che implorava l’aiuto dell’altro chiedendogli più informazioni sul periodo in cui era stato assente; ma perché si stava affannando così tanto per sapere di più, alla fine aveva deciso e si era convinto di lasciar perdere il passato e di pensare solo al futuro ed al presente, cancellando per sempre Ken ed il suo ricordo; in cuor suo però sapeva che questo era molto più importante.
«Io…» Nathaniel incrociò di nuovo lo sguardo di Kentin e capì per la seconda volta che il suo aiuto sarebbe stato di cruciale importanza per il ragazzo.
«Va bene, ma non credo comunque di essere la persona più adatta per parlarti di questa cosa»
Kentin finalmente avrebbe saputo la verità, o almeno la reazione di Ivy alla sua partenza, mettendo così una volta per tutte in chiaro questa spinosa situazione e decidendo di conseguenza come comportarsi.
«Oh Nathaniel è qui, dobbiamo parlare di un argomento molto importante, venga nel mio ufficio …»
Una donna corpulenta, con un viso molto dolce ed angelico – che riconobbe come la Direttrice - tutta vestita di rosa e con in braccio un cagnetto aveva attirato l’attenzione dei due, richiamando il segretario delegato nel suo ufficio.
«…immediatamente!» strillò con quanto fiato avesse in corpo la donna scompigliandosi i capelli in preda ad un raptus di cattiveria che passò in un secondo quando sul suo viso riaffiorò di nuovo un sorriso.
Kentin si rassegnò all’idea che per il momento non avrebbe avuto nessuna delle risposte che tanto attendeva e dopo che Nathaniel gli aveva rivolto un sguardo rassegnato posandogli una mano sulla spalla lo seguì con lo sguardo vedendolo seguire la Direttrice nel suo ufficio.
Poi una voce lo distolse dalla sua rassegnazione.
«Scusa posso chiederti una cosa?»

 
 
«È impossibile, è passato così tanto tempo, a momenti arrivano prima quelle di mamma e papà dall’estero!»
Ivy mise la faccia tra le sue mani, in un misto di rabbia e rassegnazione con ancora una punta di speranza.
«Non fare così a volte ci sono dei ritardi, dei disguidi o forse…»
«No, zia! Non sono semplici ritardi o disguidi, sono arrivata ormai alla sedicesima in quasi tre settimane e nulla… So io cosa c’è sotto. Non vuole saperne più di me, ecco cosa»

 
 
«Cosa ne dici, non stanno crescendo bene?»
Ivy trasalì all’improvviso spaventata dall’apparizione improvvisa del ragazzo alle sue spalle.
«Jade, non ti avevo proprio sentito; tu dici che stanno crescendo bene? A me non sembra, l’anno scorso non sono nemmeno fiorite» disse la ragazza accarezzando le verdi foglioline un po’ flosce nel suo vaso.
«Abbi fiducia Ivy, se guardi meglio vedrai che la pianta inizia lentamente a riprendersi»
Quella pianta aveva tutta l’aria di star lasciando la presa, chiedendo con il suo verde smorto di regalarle l’eutanasia per smettere di soffrire una volta per tutte.
«Guardando meglio mi sembra solo che sia irrecuperabile e stia morendo» esclamò rassegnata togliendo dal vaso una foglia ormai del tutto rinsecchita.
«La solita pessimista, lo sai bene che per crescere al meglio le piante hanno bisogno non solo di cure fisiche ma anche di amore e dedizione…»
A quella affermazione il suo cuore sobbalzò e si ricordò il giorno in cui Ken le aveva mostrato il vaso e la sua buona volontà di portare avanti quel progetto con lei.
«In questi mesi la pianta ha avuto cure da te...»
«Stai dicendo che non sono capace di far crescere una pianta?» chiese indispettita la ragazza mettendosi a sedere sul tavolo vicino al vaso, di faccia con il ragazzo.
«Sto dicendo che la pianta ha sofferto perché hai sofferto anche tu… le hai trasmesso la tua melanconia e tristezza e così è tardata la fioritura» le disse Jade accarezzando a sua volta le foglie della pianta.
«Non spererei in un miracolo, se questa pianta è lo specchio della relazione tra me e Kentin è destinata a sfiorire per sempre»
«Io non ho mai detto che dipendesse da quello, lo hai appena confermato tu; non disperare per questi fiori, sono solo in tarda fioritura, c’è ancora speranza»
«Solo per i fiori mi sa…»
«Ma i fiori sono lo specchio della vostra relazione, no?» le disse retoricamente il ragazzo in un sorriso speranzoso.


Jay Myler
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Capitolo 4
*** Al vento ***


«Scusa posso chiederti una cosa?»
Kentin si girò nella direzione dalla quale proveniva la voce, trovandosi davanti due persone che non aveva mai visto prima di quel momento; erano sicuramente due alunni del liceo, ma lui non li aveva mai notati e visto la loro eccentricità sarebbe stato difficile non accorgersene prima. Dovevano essere dei nuovi alunni. Non erano solo i colori sgargianti ed il modo di vestire che attirava l’attenzione su di loro, ma anche la loro inverosimile somiglianza… erano gemelli ora che li guardava meglio e senza che ne capisse il motivo uno dei due, con i capelli di un celeste molto acceso, alzava la mano sventolandola in segno di saluto, mentre gli correva incontro. Ancora con il respiro un po’ affannato e seguito dal fratello attaccato ad una consolle, gli appoggiò una mano dietro la spalla cercando un appiglio mentre, boccheggiando, cercava di pronunciare una frase di senso compiuto.
«Sei il ragazzo nuovo o sbaglio? Piacere io sono Alexy!» gli disse tendendogli una mano in segno di saluto – anche se vista la sua indole molto espansiva, avrebbe preferito salutare quel bel ragazzo con un grande abbraccio – mentre sfoderava uno dei suoi sorrisi più belli. «E lui è mio fratello, gemello, Armin; saluta Armin» gli disse dando una gomitata nelle costole al fratello che si limito ad un cenno della testa staccandosi dal suo gioco per pochi istanti finendo per rimmergersi di nuovo dentro senza degnare più attenzione agli sguardi torvi di Alexy.
«Scusalo, è un po’… fissato»
«Non c’è problema, io sono Kentin» gli disse ricambiando la inaspettata vigorosa stretta di mano dell’eccentrico ragazzo, senza però sforzarsi di sorridergli in ricambio.
«Da quanto tempo sei arrivato? Sai anche noi siamo nuovi da queste parti, ma ci siamo ambientati alla grande!»
Alexy continuava il suo sproloquio di come erano arrivati in quella scuola, quali erano state le loro impressioni, delle persone che c’erano e se gli erano simpatiche o meno, di suo fratello pizzosamente e morbosamente appiccicato ai videogame e di tante altre cose che gli risultavano del tutto noiose e superflue al saperlo. Ma effettivamente non aveva nulla di meglio da fare e se le altre persone lo avesse visto in piena discussione con quel ragazzo non lo avrebbero disturbato, così, con le chiacchiere di quello strano individuo come copertura, si perdeva nei meandri dei suoi pensieri senza poter fare a meno di pensare alle parole che gli aveva rivolto Castiel sulla terrazza. Che fosse davvero lui la causa di ogni male e dei disordini che si creavano in quel liceo? Possibile che anche in versione “rinnovata” potesse causare danni? Alla fine lui non chiedeva nulla di eccezionale, soltanto di avere una seconda chance per rifarsi del suo insignificante passato; lui nelle vesti di Ken non era stato altro che un essere del tutto invisibile che in caso di scomparsa non sarebbe mancato a nessuno e nessuno si sarebbe accorto della sua assenza e così era stato, nessuno aveva mosso un muscolo per mantenere i contatti, nessuno si era dannato l’esistenza o anche solo mostrato un minimo di dispiacere. Solo Nathaniel aveva mostrato un minimo di gentilezza nel rivederlo, ma non faceva testo in quanto era gentile e cordiale con tutti, fatta eccezione di Castiel; non riusciva di certo a biasimarlo, neanche lui riusciva ad adorare quel ragazzaccio ribelle, ma non conosceva gli ancestrali motivi che li spingevano così tanto ad odiarsi… forse era semplicemente per divergenze di idee, di diversità di personalità e modo di pensare, fatto sta che lui e Nathaniel avevano proprio quel punto in comune: non riuscivano a soffrire Castiel. E lui, Kentin, si stava facendo mille complessi su una cosa che gli era stata detta da una persona che non poteva vedere? Perché dare peso alle parole del rosso, infondo la loro antipatia poteva essere – anzi sicuramente lo era – ricambiata e quelle parole così sprezzanti e piene di odio gli erano state rivolte solo per farlo stare male, dette senza un fondo di verità, giusto per colpirlo sul vivo. Continuava a vedere le labbra di Alexy muoversi su e giù, intento a raccontargli chissà quale aneddoto divertente vista la risata leggiadra e il rossore sulle guance che ora gli adornavano il viso; in risposta lui si limitò ad annuire e ad accennare un sorriso, senza lasciar trapelare alcun vero interesse nei suoi confronti e in quello che gli diceva; il ragazzo davanti a lui, che stupido non era, si era accorto che non gli stava prestando attenzione e quindi cercava di variare l’argomento il più spesso possibile per cercarne uno che potesse interessare ad entrambi, così da coinvolgerlo nella conversazione. Sapeva benissimo cosa volesse dire essere l’ultimo arrivato e trovarsi spaesati in quella gabbia di matti, ma loro due avevano avuto il loro angelo custode, Ivy, che da subito si era rivelata simpatica e disponibile, diventando in brevissimo tempo loro guida, tutor, ma soprattutto amica; bhé se lui non riusciva a metterlo a suo agio poteva riuscirci di sicuro lei, che aveva sempre quel tatto in più che magari a lui mancava; ma non si dava ancora per vinto, voleva tentare un altro po’, quel ragazzo era carino, molto carino e di certo non gli dispiaceva stare in sua compagnia… sempre meglio della plateale indifferenza che dimostrava nei suoi confronti Armin, almeno quella di Kentin era (mal)celata e non così evidente, nei limiti della cortesia insomma.
Gli parlava ormai da più di mezzora degli argomenti più disparati che gli potessero sovvenire in mente, ma nulla sembrava destare appieno l’attenzione del giovane in bermuda militare.
«Oh scusami se ti sto annoiando con tutti questi discorsi, ma sono davvero una frana ad attaccare bottone all’inizio, anche se è nella mia natura essere così spigliato e socievole a volte mi sento quasi sotto pressione non sapendo cosa dire. Magari ci fosse Ivy qui con noi, lei saprebbe cosa dire, è un angelo quella ragazza» sbuffò Alexy portandosi le mani dietro la testa guardandolo con due occhioni enormi a mo’ di scuse.
«Ivy hai detto?» Kentin balzò letteralmente in piedi, guardando prima Alexy e poi Armin, cercando di capire chi dei due l’avesse nominata; era decisamente perso nei suoi pensieri per non distinguere i due gemelli.
«Ivy, hai presente? Non molto alta, biondo cenere, occhi color cielo, uno schianto di ragazza, bella quanto brava. Decisamente una master, ormai di livello 100 se non più, esclusi gli upgrade» disse disinvolto il moro, soddisfatto di aver terminato la partita nel migliore dei modi.
«Quello che mio fratello sta dicendo in “videogiochese”, è che è davvero una ragazza fantastica… poi credo che la seconda metà della frase fosse vagamente sconcia, ma ancora non la traduco fluentemente quella lingua»
«Ciò che volevo dire è che devi essere completamente cieco per non averla notata e che tu sia nuovo non è una valida scusa» Armin fissava dritto negli occhi Kentin, cercando di metterlo sotto pressione.
«Ignoralo Kentin, fa così solo perché chissà a quale gioco si sta ispirando, lo fa spesso, ma non posso di certo dargli torto, Ivy non passa inosservata è davvero carina e non è una strega come quell’acidona zitellona di Ambra; ma magari, Armin…» disse marcando con la voce il nome del fratello che ora lo fissava senza distogliere lo sguardo «… a Kentin un certo tipo di bellezza non piace, non è così forse?» disse in tono più speranzoso che interrogatorio.
«Ditemi tutto quello che sapete su di lei…» sentì gli occhi dei due gemelli fissarlo con uno sguardo che gli arroventava la pelle. «… per favore»
Armin gli sorrise, alzandosi in piedi e poggiandosi la mano sinistra sul fianco.
«Lascia perdere Alexy, è dalla nostra parte, cede al fascino femminile; ora prima che iniziamo a raccontarti tutti i fatti di Ivy, cosa ne dici di accomodarci in aula e rispondere a qualche mia domanda?»

 
«Ti odio, ti odio, ti odio!» urlò Ivy con quanto fiato avesse davanti ad un bellissimo panorama in collina; era stufa di quella situazione, stanca di aspettare, di non sapere, di poter solo supporre senza avere certezze. Ma non era nemmeno pronta per lasciar andare tutto, alla fine lui era sempre presente nei suoi pensieri, nei suoi sogni, nella sua mente, nel suo cuore; l’unica cosa che la faceva sentire meglio era quel gridare al mondo quanto lo odiasse. Ma non lui, no di certo, ma di quanto odiasse il fato, il destino, il mondo che li aveva messi in quell’assurda posizione di stallo. Chiuse gli occhi e si girò con le spalle alla vista panoramica, buttandosi tra quelle braccia che l’aspettavano, braccia che fino a quel momento l’avevano consolata, braccia che appartenevano a qualcuno di davvero caro per lei. Quel qualcuno la strinse stretta a sé, cercando in cuor suo di accollarsi un po’ del suo dolore.
 
 
Ivy camminava nei corridoi ancora sporca di terra, dopo aver passato tutto il pomeriggio con Jade all’aria aperta nel club di giardinaggio; tutto quello sporco in realtà non era del tutto giustificato dal lavoro che aveva fatto nella serra e nell’orto, ma essenzialmente per un incidente avvenuto con dei sacchi di terra, che accidentalmente le si erano rovesciati addosso. Quel posto così sicuro e sereno dove si nascondeva sempre, quel giorno si era rivelato più infame del previsto: Jade le aveva chiesto di andargli a rendere un sacco di terra nuovo per poter riempire alcuni vasi; la ragazza, andando nel retro della serra fece ben attenzione allo scalino ancora rotto della scala e mettendoci ancora più premura nel salirci era arrivata in cima, dove si trovavano i sacchi; trovato il sacco giusto lo aveva preso in braccio, anche  se abbastanza pesante e scendendo le scale a ritroso si dimenticò di quel fatidico scalino diroccato, che per fortuna non la fece cadere a faccia a terra, ma la fece scivolare col sedere a terra e con un sacco di terra svuotato sulla sua testa. Ci erano voluto ben venti munti prima che Jade smettesse di ridere e l’aiutasse, mentre Violet cercava alla buona di toglierle la terra tra i capelli. E così ora si ritrovava ancora sporca di terra ma almeno a fine giornata, errante per i corridoi per raggiungere il suo armadietto, per prendere almeno un cambio per la maglia. Con sommo piacere constatò di aver portato con sé un’altra maglietta leggera che poteva mettere da sotto la felpa che si era portata la mattina. Con in braccio i panni per cambiarsi ed un pacchetto di salviette umidificate che le aveva dato Violet, si incamminò in bagno per darsi una ripulita.
Proprio in quel momento, dall’ufficio della Direttrice, che si trovava proprio di fronte al bagno delle ragazze, uscì Nathaniel, che subito le andò incontro per parlarle un po’. Era sempre stato così gentile con lei, attento alle sue esigenze, sempre disponibile per aiutarla nel ripasso di alcune materie ma in particolar modo le era stato sempre vicino nei momenti di bisogno senza mai tirarsi indietro, pronto a tenderle sempre una mano o a darle un abbraccio di conforto; Ambra le aveva spesso ribadito di stare lontano da suo fratello, ma lei non aveva mai avuto la minima intenzione di provarci con lui, visto che non provava nulla nei suoi confronti. Quella ragazza era strana, ma se aveva frainteso qualcosa lo aveva fatto alla grande, visto che da parte sue non c’era mai stato un particolare interesse.
«Ivy, come va? Noto che sei appena tornata dal club di giardinaggio o forse da una tormenta di sabbia e terra, vedendoti così conciata» le disse ridendo e mettendole una mano sulla spalla; poi pensò che magari era stato scortese a dire una simile cosa e completamente rosso dall’imbarazzo cercò di rimediare. «Non volevo prenderti in giro, scusami, ma cosa ti è successo? Non ti sarai fatta mica male?»
«Nulla di catastrofico, tranquillo, solo una botta al sedere e tanta terra in testa» gli disse sorridendogli, sperando di rincuorarlo facendogli intendere che non se l’era presa.
«Ed un taglio sul palmo della mano»
«Cosa…?»
Ivy si portò istintivamente la mano vicino al viso vedendo che un taglio abbastanza profondo le solcava l’incavo interno della mano destra.
«Oh mamma, non me ne ero proprio accorta… miseriaccia!» disse notando solo ora di aver imbrattato la sua maglia di ricambio di sangue; come aveva fatto a non accorgersi di un taglio di una simile mole. Strinse la mano a pungo, cercando di fermare il flusso di sangue, mentre ormai si rassegnava al fatto di non avere più un cambio e di aver macchiato a vita una delle sue magliette preferite.
Che splendida giornata!
Nathaniel si cercò in tasca fino a quando trovò un pacchetto dal quale tirò fuori un fazzoletto di carta che le diede per metterlo momentaneamente sulla ferita.
«Mi sembra abbastanza profondo come taglio, penso dovremmo andare all’ospedale e far controllare se…»
«Vuoi darle anche un bacetto sulla bua e massaggiarle il sedere per farle passare il dolore? Forza segretario delegato, vai a farti un giro tra le tue pile di documenti»
«Cosa vuoi Castiel? Sono serio, si è fatta male e deve andare…»
«In infermeria se proprio vuole, sarà l’infermiera a dirle se è meglio portarla al pronto soccorso e ci può andare con le sue gambe, da sola; ragiona ogni tanto visto che un cervello ce l’hai, ma è anche risaputo che va in pappa davanti ad una ragazza, o mi sbaglio? O meglio, davanti alle ragazze altrui»
«Smettila di rivangare questa storia, sei tu lo stupido che non mi ha voluto ascoltare e questa tra l’altro non è nemmeno la tua ragazza»
«Mai detto che lo sia, ma così come non appartiene a me non appartiene nemmeno a te»
La discussione tra i due si faceva sempre più accesa e gli animi si scaldavano ogni secondo di più.
«Ragazzi basta, sono presente anche io e vi ringrazio per le premure – abbastanza strane ed ambigue da parte di Castiel, magari – ma sto bene; grazie mille per l’interessamento Nathaniel, andrò subito a medicarmi, tranquillo, vai pure» gli disse sorridendogli.
Il biondo guardò torvo l’altro ragazzo prima di andarsene salutando Ivy con un “Riguardati e fammi sapere”.
«Ci sta provando con te quell’imbecille»
«Come se tu non lo facessi dalla mattina alla sera… e sei anche più spudorato; e più esplicito e di gran lunga più sconcio!» gli disse ridendosela.
«Riditela poco tu, e togliti quel fazzoletto di carta da sopra la ferita prima che ci si attacchi e mettici questo» le disse porgendole uno di pezza.
«Nemmeno a dare una mano è buono… ah e dovresti effettivamente fartelo medicare e mettere una fasciatura. È abbastanza profondo»
«Vedo che te ne intendi di tagli»
«Per tutte le risse che ho fatto posso dire di essere un esperto in ferite di vario genere»

 
 
Tra le sue braccia si sentiva al sicuro, sapeva che poteva fidarsi di lui e che non ci sarebbe stato nulla di più; erano solo buoni amici, lo erano sempre stati fin dall’inizio dell’anno scolastico ed il loro rapporto era nato da subito, con i solti alti e bassi, ma da quando Ken l’aveva lasciato sola, lui c’era sempre stato per lei, proprio come aveva immaginato.
«Grazie di esserci sempre per me»
Il ragazzo non le rispose, si limitò a stringerla ancora di più a sé.

 
 
Dall’aula B provenivano delle voci, che Ivy riconobbe in parte: la voce squillante di Alexy che risuonava perfino nei corridoi era più lampante che mai; probabilmente c’era anche Armin con lui, ma possibile che solo in due, tra cui uno imbambolato a giocare potessero fare tutto quel baccano? Si avvicinò alla porta per entrare a salutare i due ragazzi prima di andarsene, quando si bloccò davanti alla porta per finire di ascoltare un pezzo di una frase che stava riecheggiando nell’aula.
«Ken dici? Ti riferisci per caso a quel ragazzo di cui abbiamo visto l’iscrizione sulla scrivania, Alexy?»
«Certo che sì, è un ragazzo che si è trasferito il semestre scorso se non mi sbaglio»
«Cosa avrebbe a che fare con Ivy
Il suo nome pronunciato in quel modo le suonava strano, mentre la voce calma e profonda le sembrava familiare ma non la distinse immediatamente.
«Bhe vedi, quando noi siamo arrivati questo ragazzo se ne era andato via già da un bel pezzo, ma noi che qui ci siamo ambientati subito grazie alla fantastica Ivy, abbiamo le nostre fonti – in particolar modo una ficcanaso che si spaccia per giornalista solo per curiosare in giro, il suo giornale è una copertura si capisce -  ed abbiamo saputo che questo Ken d Ivy si sconoscevano molto bene e pare che da quando se ne sia andato lei…»
«Ragazzi io me ne sto andando e sono passata a salutarvi» disse la ragazza irrompendo nell’aula per interrompere quel filo del discorso e poter sapere a chi stessero dicendo i suoi fatti in giro.
«Ivy stavamo parlando proprio di te!» le disse Alexy andandole vicino e strizzandole le guance amorevolmente.
«Wow stai da favola!»
La ragazza rimase un attimo basita un capendo a cosa si riferisse.
«Questo look rock and roll ti sta benissimo, dove hai preso questa maglia, è fighissima!» le disse ammirando la sua nuova maglia nera con sopra una stampa di un gruppo rock di una o due taglie più della sua – visibilmente modello maschile.
«È un prestito»
«Questo sì che mi piace come stile! Non come quello di Kentin… militare, trito e ritrito ed ormai fuori moda»
«Ma cosa…?» si chiese tra sé e sé Kentin sentendosi buttato nella conversazione senza un perché.
«Con tutto che io non amo lo shopping e la moda devo dare ragione a mio fratello; non me lo metterei nemmeno io» disse Armin ridendo.
«Ivy diglielo tu che mi stanno bene questi pantaloni»
Gli occhi di lei si inumidirono; quel tono di voce, quel tipo do frase, quel chiedere aiuto, era tipico del suo vecchio Ken e sentirlo pronunciare dalle labbra del nuovo Kentin le faceva uno strano effetto, che non sapeva nemmeno lei spiegarlo ma sicuramente era positivo.
«Si, sta molto bene con quel tipo di pantaloni, gli donano» sussurrò lei in tono sommesso e guardando a terra per evitare di incrociare i loro sguardi e far intuire qualcosa.
«Ti si può chiedere qualunque cosa allora eh! Ivy, mi compreresti la nuova consolle della…»
«No Armin» asserì categorica ma con un sorriso sulle labbra.
«Voi vi conoscete già?!» chiese incredulo Alexy. «Ma se prima ci hai chiesto di raccontarti tutto quello che sapevamo su…»
«Bene Alexy» disse Kentin tappandogli la bocca con le mani «Direi che si è fatto tardi e dovremmo andare tutti via. Muoversi!»
Armin trascinò via il fratello prendendolo per in braccio e andando a passo svelto per evitare di farlo continuare a parlare a sproposito.
«Dovremmo andare anche noi; ti… accompagno?» le chiese Kentin, mentre guardava con più attenzione la maglietta che indossava.
Aveva detto che era un prestito.
Poi abbassò lo sguardo e notò che la sua mano sinistra era fasciata.
«Cosa è successo?»
Le prese la mano tra le sue, cercando di capire dove fosse la ferita; sentì la mano di lei tremare tra le sue, non sapeva se stesse tremando per il dolore, per il freddo o per lo stesso motivo che faceva fremere anche lui quando erano così vicini.
«Nulla, un graffio»
«Te l’hanno bendata in infermeria?»
«Diciamo… ora devo andare»
Ritrasse la mano di scatto da quelle del ragazzo, provocandosi una fitta nel taglio, per poi girarsi e dargli le spalle; poi tornò a voltarsi verso di lui. «Io… devo sapere…»
Kentin restò a fissarle le labbra, in attesa della continuazione della frase; ma quella frase non continuò affatto.
Ad Ivy si bloccò il fiato in gola, la sua espressione cambiò, fece un respiro profondo e gli accennò un sorriso.
«Buona serata Kentin, ci vediamo domani a scuola»
Il suo era stato un sorriso di cortesia che era svanito appena due secondi dopo che l’aveva vista girarsi per andar via.
«Ti aspetterò»
Ma la ragazza era già troppo lontana e le sue parole finirono al vento, proprio come quelle stesse identiche pronunciate da Ivy un anno prima.

 
Jay Myler
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Capitolo 5
*** Per lei ***


 
«E così hai deciso di agire di impulso, te ne pentirai e ricordati che io ti ho avvertito fin dal principio» con una mano quel ragazzo si scostò i capelli dalla fronte, sospirando in maniera piuttosto plateale, più per far notare il suo gesto che neanche per sbuffare sul serio; ma l’altro, dal canto suo sembrava non accusare proprio quel suo modo di metterlo in guardia, ma in fondo si sapeva, non dava mai ascolto a nessuno e quella non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che avrebbe agito senza riflettere. 
Ma non era così come sembrava: prima di fare quella scelta lui ci aveva ben pensato sopra, ci aveva riflettuto per bene ed aveva tratto le sue conclusioni per poi decidere di agire in quel modo; ma mai ad anima viva avrebbe detto ciò, ed anche se lo avesse fatto nessuno gli avrebbe creduto conoscendolo per com’era. Senza scomporsi minimamente e continuando a guardare in avanti, senza ricambiare lo sguardo del suo amico, iniziò a contemplare i colori del cielo.
«Proprio lui mi fa la paternale… probabilmente se lo scorderà anche!» disse più che altro tra sé a sé in un bisbiglio appena udibile.
«Potrebbe anche passarmi di mente, ma dalla tua non si cancellerà di certo il fatto che il vero motivo per cui lo fai non è il tuo essere impulsivo, ma lo fai per una determinata ragione»
«…?»
«Per lei»

 
«Hey Nath, cosa c’è che non va?»
Nathaniel rimaneva con lo sguardo fisso sul modulo che doveva compilare, rimanendo però impalato con la penna in mano senza emettere alcun suono; era immerso in pieno nei suoi pensieri; non era una cosa così rara in fondo, pensò Melody, ma con quella faccia così depressa ed avvilita era sicura che in qualunque pensiero si fosse andato a perdere non era nulla di buono.
«Con me puoi parlarne se vuoi… Nathaniel?»
«Cosa? Ah si si, certo»
Melody si mise una mano davanti alle labbra e ridacchiò appena.
«Ma se neanche mi stavi ascoltando! C’è qualcosa che ti turba non è vero?» gli chiese guardandolo negli occhi, anche se quelli del ragazzo erano ancora rivolti verso il foglio di carta poggiato davanti a lui.
«Scusami Melody è che… sono distratto oggi, ho la testa piena di pensieri e non riesco a concentrarmi… cosa stavi dicendo?”
«Oh, lo vedo che hai la testa altrove e volevo solo sapere dove. Nathaniel…”le disse la ragazza poggiando una mano su quella libera del ragazzo poggiata sulla scrivania. «Vorrei aiutarti, davvero, ma se non mi dici cos’hai non so davvero cosa fare per te»
Nathaniel alzò gli occhi dalla scrivania ed andò a posare lo sguardo dritto in quello di Melody: era sempre stata carina e gentile con lui. Lo aveva sempre aiutato quando c’erano scartoffie da riempire o anche semplicemente a fargli compagnia quando si attardava di sera, ed ora – come sempre – stava cercando di aiutarlo.  Il ragazzo le sorrise cercando di rincuorarla, ma vide che ogni suo sforzo non serviva a tranquillizzare quella ragazza che gli leggeva dentro come se fosse un libro aperto; senza neanche pensarci prese la mano della brunetta tra le sue e se la portò al viso, sfiorandola appena con le labbra.
«Sei sempre così attenta a me ed io sempre così occupato; perché una volta tanto non parliamo di te? L’altro giorno mi volevi dire qualcosa, ma alla fine ci ha interrotto l’arrivo di Ivy, ora che siamo qui, tranquilli, puoi continuare il tuo discorso»
Le guance di Melody si imporporarono di un leggero velo rosato e di riflesso le uscì un imbarazzato sorriso prima ancora di capire appieno le parole che le aveva rivolto quel ragazzo così bello; in un attimo le sue parole le furono chiare e si ricordò di quando un po’ di tempo prima lei, una volta racimolato tutto il coraggio che aveva, aveva deciso di parlare a Nathaniel di una certa cosa… la stessa certa cosa che la spingeva a stare sempre con lui, a passare più tempo possibile in sua compagnia e l’aiutarlo spesso e volentieri, che non si poteva riassumere solo con la parola gentilezza. Ma quel giorno furono interrotti da Ivy, quella stessa Ivy tanto gentile da poter fare concorrenza addirittura a quel segretario delegato che sedeva di fronte a lei, quella stessa ragazza che era talmente buona che aveva conquistato tutti e subito in quel liceo e temeva che tra le persone conquistate potesse rientrarci anche il biondino che ora la guardava con aria interrogativa, aspettando la sua rivelazione. Ma lui non sapeva l’argomento che riguardava quella conversazione, non sapeva che ormai il coraggio le era svanito in un soffio e non sapeva che guardandola così ansiosamente con quegli occhioni ambrati la metteva solo sotto pressione. Non poteva di certo intuire che si trattasse di un argomento delicato, lei non glielo aveva mai lasciato capire, non aveva mai lasciato trapelare nulla, ed ora non sapeva dirgli che voleva dirglielo quando sarebbe riuscito a ricavarsi un momento solo per lei… non voleva esprimergli quello che provava tra un modulo compilato ed un altro da terminare.
Stringendo a sua volta le mani del ragazzo nelle sue, gli sorrise, evitando per un istante di guardarlo negli occhi per cercare di evitare di arrossire ulteriormente.
«Io non mi sento a mio agio a parlato disinvoltamente quando so che c’è qualcosa che ti tormenta interiormente… se non vuoi confidarti non fa nulla, ma non mi chiedere di fare finta di niente e di conversare come se nulla fosse»
Nathaniel allentò la presa ed abbassando la testa socchiuse gli occhi, sbuffando appena sotto lo sguardo vigile della ragazza.
«Hai ragione Melody, ormai dovrei conoscerti meglio di chiunque altro… in effetti c’è qualcosa che mi turba»
La ragazza si limitò a fissarlo negli occhi, sapendo in cuor suo di aver fatto breccia nel muro che si era costruito intorno.
«E so che con te posso parlarne perché di te mi fido; sono anni che ci conosciamo, che mi aiuti ogni volta, che passiamo tempo insieme ed oramai penso di conoscerti meglio di chiunque altro e di non avere, ma soprattutto di non voler, avere segreti con te, come così tu non devi averne con me. Tu per me sei importante Melody, davvero molto importante e voglio che tra di noi ci sia reciproca fiducia e sincerità»
Alla ragazza scoppiava il cuore di felicità, anche lei voleva questo tipo di rapporto con lui e non vedeva l’ora che anche lui le esternasse di averne la stessa intenzione ed adesso… adesso aveva tutto il coraggio del mondo e si ripromise che appena finito di ascoltare i suoi turbamenti gli avrebbe detto tutta la verità sui suoi sentimenti, senza più pensarci due volte.
«Allora, cos’è che ti fa preoccupare così tanto?» chiese con gli occhi pieni di gioia e di trepidante attesa.
«Ivy»
«… Ivy?»
«Ivy!» esclamò lasciando la presa dalla mano della ragazza e portandosele sul grembo.
«Oh» esclamò la ragazza un po’ confusa.
«Sai mi preoccupa un po’, sai com’è fatta, voi due siete amiche e la conosci forse meglio di me e conosci la sua sensibilità, il suo carattere…»
«Si e … allora?”»
«Mi intimorisce un po’ il fatto che Castiel le ronzi sempre intorno; non lo vedi quel tipaccio con i capelli rossi che gli gira intorno ogni santo giorno? Non le da un attimo di tregua, sempre alle sue calcagna. Temo che il loro rapporto possa deteriorare Ivy»
«Magari sono solo amici, dopo tutti questi anni magari Castiel si è finalmente affezionato a qualcuno»
«Appunto!»
«E non è un bene?»
«NO!»
«No?!»
«Voglio dire si, cioè no! No che non è un bene… lo conosci Castiel non farebbe altro che rovinarla quella ragazza»
«Stai sottovalutando Ivy»
«E tu stai sottovalutando l’influenza che ha Castiel sulle ragazze!»
«E invece sembra che tu sia solo geloso» gli rispose con una punta di orgoglio ferito, cercando di celarlo al meglio, mentre tutte le sue speranze ad il vano coraggio che si era sentita pochi istanti prima andavano via via svanendo davanti ai suoi occhi.
Nathaniel non rispose a quella provocazione, ma si limitò a ritornare a fissare il foglio con aria distratta mentre sulle sue guance iniziava ad accendersi un roseo molto accesso.
Per Melody quella fu la più esauriente delle risposte.
L’aria si stava facendo pesante tra i due, che non si scambiavano una parola da più di mezzora.
«Ehilà! Permesso? Toc toc!» scimmiottò il suono di una bussata un ragazzo piuttosto alto e snello; dalla parlantina e dalla simpatia sembrava essere uno dei due gemelli e di sicuro quello più stravagante.
I due delegati alzarono lo sguardo per rivolgerlo al ragazzo che era appena entrato, ma entrambi ci rimasero un po’ quando videro che la fonte di tanta gioia e simpatia non era il solito Alexy, ma bensì suo fratello Armin, che stranamente non era attaccato a nessuna consolle.
«Armin?» chiese Nathaniel tra lo stupito ed il tono di chi vuole chiedere se può essere d’aiuto.
«Ero venuto qui per parlarti ma, mamma mia, qui la tensione si può tagliare con il coltello, per la miseria! Penso di essere arrivato in un brutto momento» disse facendo retromarcia un secondo dopo.
«Ma cosa dici Armin?» esordì d’un tratto Melody in una breve risatina isterica. «Non so davvero di cosa tu stia parlando, ma rimani pure, io tanto stavo per andarmene» gli disse in tono stranamente poco amichevole anche se la frase lo lasciava ben pensare, mentre raccoglieva le sue cose dalla scrivania ed accennava appena un ‘A domani’ sulle labbra.
«Brutto momento?»
«No, tranquillo, siediti pure qui» indicandogli la sedia dove pochi istanti prima era seduta la ragazza ormai lontana da loro.
«Ma come no? Ho appena dato una ‘fune di fuga’ alla tua ragazza che non aspettava altro!» esclamò Armin mettendosi a sedere sulla sedia che gli aveva indicato.
«Non è la mia… ragazza»
«Ma lo vorresti… e non negare” esordì prima che potesse ribattere qualcosa. «Il tuo arrossire non fa che confermare la mia tesi»
«Sbaglio o eri venuto a chiedermi qualcosa?» cambiò immediatamente discorso senza troppi complimenti, mentre si alzava per andare accanto alla finestra sulla parete di fronte a lui.
«Si certo, volevo sapere il mio modulo dove lo hai messo, penso di essermi scordato di compilare un campo»
«Impossibile, prima di catalogarli li revisiono personalmente e se fosse mancato un campo me ne sarei accorto, no?»
«Certamente, soprattutto se in quel momento ti trovavi faccia a faccia con la ragazza che ti piace, magari di sera, stanchi entrambi, a chiacchierare amorevolmente del più e del meno mentre inizi a perderti nei suoi occhi…»
«Non fa caldo?» disse con disinvoltura aprendo la finestra, cercando di nascondere il viso rivolgendolo fuori, ma ad Armin non sfuggì che il rossore sulle sue guance era diventato ancora più intenso.
«No per niente! E magari in quella situazione, mentre ti specchiavi nei suoi grandi occhi potrebbe essere che non ti sei accorto di una mancanza… Dai Nathaniel che ti costa? Ti ho chiesto di revisionare il mio modulo non uno altrui»
Armin si divertiva a stuzzicarlo in quel modo, si sentiva come quando decideva lui cosa far fare ai suoi sims, e così stava lentamente manipolando il ragazzo per farsi dare quello che voleva.
«Ma si, certo non c’è problema» disse il segretario ancora rosso in volto mentre estraeva da tasca una chiave che andò ad inserire in un piccolo archivio dietro la scrivania, tirando fuori il modulo che il ragazzo cercava.
«Oh, eccolo qui il mio modulo!» esclamò il ragazzo ad alta voce calcando molto la parola modulo.
Si sentì bussare alla porta già aperta.
«Ehm, Nathaniel potresti venire un attimo abbiamo bisogno di te di là in classe 3-B, è urgente»
«Iris! Vengo subito. Armin appena hai finito di controllare lascia pure tutto qui e chiudi la porta quando esci»
Armin gli fece un pollice all’insù ed aspettò che uscisse dalla stanza.
Tutto come previsto.
Il piano aveva funzionato.
Nathaniel nella fretta e nello stato di soggezione in cui Armin lo aveva messo si era scordato l’archivio aperto; all’inizio non sperava che il suo piano funzionasse davvero, ma ora che era riuscito a raggiungere il suo scopo non doveva far altro che continuarlo. Iniziò a frugare tra i vari fascicoli presenti, partendo da quelli dall’anno prima, che per sua fortuna andavano in ordine alfabetico, ma che non gli semplificavano gran ché la cosa visto che non conosceva il cognome che sarebbe comparso in alto del fascicolo. Ad un tratto trovò quello di Ivy, fu tentato di aprirlo e darci una sbirciata ma si frenò, non era venuto per quello, ma se c’era quello della ragazza voleva dire che quello di…
Bingo!
Aveva trovato quello che cercava, ma era solo la prima parte di quella ricerca, ora doveva cercare quello di… ma non c’era. Eppure doveva essere l’ultimo, quello ben in vista, ma non c’era nulla. L’ultimo che compariva per quell’anno scolastico era quello di suo fratello. Richiuse il cassetto, lasciandolo come Nathaniel lo aveva lasciato poco prima, mettendosi il fascicolo rubato sotto la maglietta e cercando di uscire con tranquillità; doveva solo sperare di non incontrare per la strada il segretario di ritorno. Iris aveva fatto un ottimo lavoro facendo allontanare quel cane da guardia da davanti gli archivi, ma sapeva anche che la scusa non avrebbe retto per più di dieci minuti, quindi sgusciò fuori dalla porta con fare silenzioso e se la richiuse alle spalle.
«Cosa c’è lì dentro?»
 

«Non credo dovresti intrometterti»
«Non mi sto intromettendo!» disse chiaramente irritato. «Sto solo dando una mano»                                                                                                                                                       
«Una mano che nessuno ti ha richiesto»
«Mi stai dando dell’impiccione?»
«Ti sto dando del coinvolto»
«Non dire stronzate»
«Ci tieni»
«Taci»
«Ci tieni a lei e stai cercando di aiutarla»
«Taci»
«Ma non credi che se ci tieni fino a questo punto forse sei anche troppo coinvolto?»
«…»
«Magari lei ti…»
«Taci»
«Mi hai detto di tacere per tre volte, ma questo non cambia le cose, non cambia che lo stai facendo per lei»
«…»
«E poi mi hai solo detto di tacere, non mi hai mica smentito» sorrise sornione il ragazzo portandosi una mano sotto il mento, con le braccia semi conserte.

 

«Non c’è… niente!» esclamò il ragazzo visibilmente agitato.
«Sicuro?» gli chiese una ragazza strana che gli puntava un microfono dritto sotto il muso; quella ragazza la conosceva bene, era Peggy, la ficcanaso autorizzata a farsi i fatti altrui dalla scuola stessa.
«Dove non c’è niente?» chiese un ragazzo appena arrivato alle spalle della ragazza.
«Dentro la sala delegati» disse senza voltarsi Peggy «Lo sai che io posso entrarci quando voglio lì dentro e che se mi hai mentito lo verrò a sapere?»
Armin deglutì e poi fece un respiro profondo, portandosi le mani dietro la schiena facendo il gesto di aggiustarsi il pantalone, mentre invece aggiustava il modulo da lui appena rubato; l’entrata in scena di quel nuovo ragazzo proprio non ci voleva, gli metteva solo più ansia ed in più Kentin era proprio l’ultima persona che volesse vedere in quel momento.
«Certo che lo so, se vuoi puoi entrare proprio ora in questa stanza» disse facendo piccoli passi laterali per lasciarle lo spazio e cercando di non far cadere da sotto la maglia il bottino.
Peggy lo guardò in modo strano, non troppo convinta; così senza battere ciglio si girò verso la porta ed insieme a Kentin che si era trovato lì casualmente, fecero irruzione nella stanza sicuri di trovare chissà quale cosa imbarazzante o illegale, ma quando spalancarono la porta non trovarono nulla di ciò che avevano sperato di trovare. Entrambi si girarono verso l’angolino dove avevano lasciato Armin, ma ormai non c’era più, se l’era data a gambe pochi istanti prima, mentre loro entravano in sala delegati. Sconsolata di non avere più lo scoop che aveva sperato di aver appena trovato, si avvicinò alla scrivania e vide che sopra vi era poggiato il modulo di iscrizione del ragazzo che se era appena fuggito da loro senza un apparente motivo; stava nascondendo qualcosa, questo era sicuro e lei voleva sapere di cosa si trattava.
«Kentin, giusto?»
Kentin si guardò in giro, poi si rivolse nuovamente a lei.
«Direi di sì»
«Ho qualcosa che riguarda te che scotta»
Kentin la guardò interrogativa.
«Ma se neanche ci conosciamo!»
«Oh, ma io ho qualcosa che riguarda te su un bell’audiovisivo che finirà sul giornale scolastico del mese prossimo, in copertina: sarà una prima pagina da urlo!»
«Non capisco…»
«Se poi tu mi rilasciassi anche un intervista, o magari un’intervista a doppio con… sarebbe l’articolo più bello che sia stato mai scritto per questo insulso giornalino scolastico. Seguimi!»
Lo prese per mano senza dargli il tempo di reagire o rispondere, trascinandoselo con sé per tutto il corridoio, con un sorriso maligno stampato in faccia; iniziò a correre con il ragazzo a seguito, come una forsennata, per raggiungere la sede del suo giornale.
Ivy si girò di scatto, mentre stava riponendo i suoi oggetti nell’armadietto, sentendo una forte folata di vento improvvisa; con la coda dell’occhio vide Kentin che seguiva Penny di corsa, mentre si tenevano per mano, andando a girare a sinistra alla fine del corridoio… si andava per il sottoscala di lì.
E così si è dato alla bella vita – pensò tra sé la ragazza, mentre sbatteva in maniera un po’ più rumorosa del solito l’armadietto – prima Ambra, ora Peggy… e domani chissà chi!
Si girò di scatto, con la spalle agli armadietti, le stavano salendo le lacrime agli occhi, si sentiva sconvolta e piena di rabbia e di rancore, stavano per cederle le gambe quando si sentì abbracciata… non aveva dubbi sul di chi fosse quell’abbraccio improvviso; era il suo migliore amico, che era appena uscito dalla classa 3- … ma non riusciva a distinguere la lettera seguente, perché sentì come se gli occhi bruciassero nelle orbite, appannandole la vista all’istante; ma quel bruciore che sentiva all’esterno, era solo il fuoco che le divampava all’interno e che l’aveva fatta cominciare a piangere senza controllo.
Ma quelle braccia…
Oh quelle braccia!
Erano sempre presenti nella sua vita, erano state sempre lì quando ne aveva bisogno, erano sempre state lì… lì per lei.



 
 
Jay Myler
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Capitolo 6
*** Non farti del male ***


Armin continuò a correre fin quando non si chiuse la porta dell’aula 3-B alle spalle, tirando un sospiro di sollievo, tenendo ancora ben stretto sotto la maglia il modulo che aveva preso dagli archivi della scuola.
«Hey Armin, hai già finito?» quella voce non era quella che si aspettava di sentire il ragazzo in quel momento; si era dimenticato, nella fretta dello scappare da quei due strani ragazzi che lo avevano placcato poco prima davanti la sala delegati, che in aula c’era ancora Nathaniel, andato ad aiutare un finto bisogno di Iris ed un gruppo distaccato di ragazzi che studiavano lì.
«Hai già finito di rivedere il tuo modulo?»
«Oh sì, sapevo già da dove cercare e quindi… ho fatto subito; ora dovresti…» iniziò a biascicare cercando una scusa per far tornare il segretario delegato nella sua stanza, per permettersi di dare un’occhiata ai documenti custoditi sotto il suo maglioncino.
Iris lo vide chiaramente in difficoltà, ma Nathaniel, da bravo ingenuo e bonaccione che era non sospettava nulla di cosa quei due ragazzi stavano mettendo in atto alle sue spalle; a dire la verità nemmeno la ragazza sapeva bene cosa avesse in mente Armin, me come faceva a dire di no a quel bel faccino? Già erano rare le volte in cui riusciva a spicciare mezza parola con lui visto che era sempre completamente assorto nei suoi videogiochi, quindi come poteva rinunciare ad un’occasione simile per stare un po’ insieme a lui? Cercava di suggerirgli le parole solo con lo sguardo ma in quel momento Armin era completamente andato nel pallone e non sapeva come spiccicare una parola che avesse un minimo di senso e di credibilità. Iris scosse leggermente i suoi capelli rossi legati in una leggera treccia, con un sorriso che gli affiorava sul viso vedendo quel povero ragazzo impacciato cercare una qualche scusa per defilarsi e non farsi scoprire nei suoi complotti seduta stante, così prese lei in mano le redini della situazione per salvare la buona riuscita del loro piano.
«Grazie mille per il tuo aiuto Nath. Ora ho capito dove avevo sbagliato, penso che tu possa andare, come vedi Armin è tornato e noi dobbiamo studiare insieme…» gli disse con tono allusivo, sperando che questa fosse una di quelle volte buone in cui quel ragazzo tanto timido e ligio al dovere, capiva al volo la situazione; gli stava dicendo delicatamente che in quel momento era di troppo perché voleva stare da sola con il moretto. Non era solo una scusa plausibile che lo avrebbe fatto allontanare dall’aula ma era anche la pura e semplice verità.
Cercò di insistere e calcare di più, ancora una volta, il fatto che volessero studiare lei ed Armin da soli.
«Sai com’è, questo ragazzo è sempre preso dai suoi giochi elettronici ed una volta tanto sono riuscita a chiedergli di studiare con me… ci siamo intesi?» completò la frase con un vistoso occhiolino.
«Oh, ma certo che capisco» le disse Nathaniel prontamente ricambiandole il gesto. «Tolgo immediatamente il disturbo» e così senza ulteriori complimenti tolse il disturbo.
«Grande Iris! Hai usato i tuoi poteri da ragazza per ammaliare e scacciare il nemico» esclamò il ragazzo battendo con lei il pugno.
«Sei proprio senza speranza Armin» sorrise Iris lasciando perdere tutta la parte sottointesa che ovviamente a lui era sfuggita.
Perfino Nathaniel ora sapeva, anche se era stata usata come scusa, che lei voleva passare un poco di tempo con Armin, ma non era esattamente un segreto, chiunque avesse un po’ di intuito e di buon senso sarebbe arrivato alla medesima considerazione; però si era arresa l’idea che le piaceva un ragazzo alquanto bizzarro che non coglieva le cose della vita reale al volo. Se anche il suo fratello gemello se lo vedeva portato via dalle sue svariate consolle come poteva pretendere lei, che era una nuova persona nella sua vita, di essere presa in considerazione?
Nel frattempo che Armin spiegava la dinamica dei fatti ad Iris, Nathaniel era appena uscito dalla classe, con un sorriso involontario datogli dal sapere che anche qualcun altro a parte lui coltivasse un sentimento in quel liceo per un compagno di scuola; la loro situazione era diversa forse, ma l’amore è pur sempre l’amore.
Ma davanti ai suoi occhi c’era ancora un altro tipo di situazione, una di cui non sapeva tutti i dettagli forse, ma che riusciva ad intuire fin troppo bene.
«Ivy, che succede?» le chiese vedendola per terra in ginocchio, con la testa poggiato vicino l’anta di uno degli armadietti bassi.
Questa scena era separata solo da una – relativamente – sottile porta di legno dell’aula 3-B, ma i due ragazzi, complici del misfatto del documento rubato, non avevano la minima idea di quello che stava succedendo, troppo presi dal constatare che cosa avessero effettivamente tra le mani.
«Che cosa hai preso dall’archivio scolastico?» chiese Iris, più per avere un dialogo con il ragazzo seduto di fronte a lei, che per sapere la cose come realmente stavano.
Armin adesso stava gongolando come un matto sulla sua sedia, felice di aver portato a termine la sua prima vera missione di spionaggio nella vita reale; quando aveva questi momenti liberatori di gioia somigliava molto a suo fratello, che a differenza sua era così esuberante tutti i giorni della settimana.
«È un fascicolo che mi porterà alla verità dei fatti! Con questo potrò smascherare il nuovo ragazzo!»
«Il nuovo ragazzo? Stai parlando forse di Ken? Il nostro caro amico di vecchia data Ken? Non che io ci sia mai stata molto amica, ma Ivy ci era molto affezionata e di conseguenza lo conosco anche io. Cos’ha che non va?»
Armin rimase un attimo interdetto.
«Cosa hai detto? KEN?! Effettivamente Ken potrebbe essere il diminutivo del nome Kentin, ed è così che si chiama il nuovo ragazzo!» disse il moro come se avesse avuto un’illuminazione mistica. «Il nostro caro Kentin effettivamente mi diceva qualcosa, aveva l’aria familiare pur non avendolo mai visto. Non ero sicuro della mia teoria, per questo sono andato a prendere in prestito questo»
Porse alla ragazza il fascicolo che aveva in mano.
«Questo è il fascicolo di Ken che cosa devi fartene?»
«Ormai nulla, ma ti rivelerò comunque la mia rivelazione sbalorditiva che ho avuto da un lampo di genio; le mie intuizioni non sbagliano mai! Kentin in realtà è… Ken!»
«Te l’ho detto due secondi fa» rispose ridendo la ragazza; ma Armin non era così propenso a ridere delle proprie intuizioni, che poi tanto rivelative e scioccanti non erano visto che erano già alla portata di tutti; ma per lui quello era un traguardo serio e non voleva essere né interrotto né deriso. Capendo l’importanza che quelle “rivelazioni” avessero per lui, Iris smise di ridere diventando seria di colpo.
«E come sei arrivato a questa conclusione, tu che non avevi mai conosciuto Ken lo scorso anno? Che cosa hai scoperto? Voglio sapere tutto, per filo e per segno, quali sono state le tue deduzioni e le tue mosse»
Armin iniziò finalmente a sentirsi gratificato ed iniziò a raccontarle tutto per filo e per segno.
«Appena l’ho visto, anche se a quanto pare è completamente cambiato…» disse fissando la foto del dossier davanti a lui, che ritraeva un ragazzetto minuto, con degli occhialoni enormi che gli coprivano il viso ed un taglio a scodella.
 «… sapevo di averlo già visto; ho una memoria fotografica e sapevo con certezza che quei tratti li avevo già visti. E così mentre giocavo a the sims e cambiavo i connotati al mio personaggio, ho avuto un’illuminazione: sulla scrivania di Nathaniel, quando gli portammo le nostre iscrizioni, c’era un dossier aperto con questa foto che ritraeva…» e così continuò per una buona mezzora a chiacchierare delle sue prodezze con una Iris che lo seguiva pendendo dalle sue labbra, acclamandolo per la sua destrezza e senza perdere una sola delle sue parole, evitando di dirgli che se glielo avesse chiesto a lei avrebbe avuto la risposta alle sue deduzioni molto prima e senza infrangere nessuna regola.
A pochi metri dalle loro chiacchiere leggere, c’era Ivy con una mano dolorante per una ferita ancora aperta, che a quanto sembrava perdeva ancora sangue; non sapeva se a far riaprire il taglio sul suo palmo era stata una guarigione tardiva o il suo stringere a pugno la suddetta fino a farla sanguinare di nuovo.

 
«Lascialo perdere una volta per tutte»
«E cosa mi rimarrebbe poi? Lui era la mia unica certezza, l’unica cosa che ho aspettato fino ad ora, l’unica ragione che mi dava ancora da sperare...»
«Smettila di farti del male»
«Non riesco a fare altrimenti»
«…»
«Tu non capisci… non hai una persona speciale che non lasceresti mai al mondo? Una di quelle persone che anche se ti fanno male nell’anima non riesci a dimenticare? Non hai mai avuto un sentimento così forte che sei disposta anche a farti annullare pur di non perderlo?»
«Non è un rapporto sano se…»
«Non stiamo parlando di una cosa razionale, possibile che tu pensi sempre e solo con il cervello?» gli chiese ad un volume appena udibile, mentre invece avrebbe voluto urlarle quelle parole. «Spero che tu non capisca di cosa io stia parlando, altrimenti ti starei facendo rivivere cose che non vuoi; è difficile non farsi male in queste situazioni…»
«Tu non hai una sola certezza nella tua vita e lui non di certo una di quelle poche»
«Si che lo è!»
«No, la tua certezza qui dentro è un’altra… chi è che per tutto questo tempo ti è stato accanto? Chi è che ti è stata a sentire, ti ha portato in giro, ti ha portato a svagarti, ti ha consolato, ha passato le serate e le nottate con te a farti compagnia, ti ha aiutato a concentrarti sugli studi e sule vere priorità. Chi?»
«…»
«Sono io la tua certezza.»
«Tu sei di sicuro una delle mie certezze, sei una delle poche persone – forse l’unica – che mi vuole bene, senza la quale non saprei stare. Ma lui, è la persona senza la quale non saprei vivere, non riuscirei più a sognare...a sperare»
«Lasciami» le disse senza alcuna espressione.
Ivy rimase di sasso, non sapendo se guardarlo negli occhi o meno.
«Ti ho chiesto di lasciarmi; smettila di stringerti a me»
Ivy lasciò lentamente la presa, sentendo allontanarsi da lei anche quell’unica persona che per tutto quel tempo le era stata vicina, che l’aveva sopportata nel tempo, nei suoi vaneggiamenti e nella sua malinconia ricordando i vecchi tempi con Ken; ora anche quella persona era riuscita a far allontanare.
«Perché?» fu l’unica cosa che riuscì a chiedergli la ragazza.
«Smettila di farmi del male» detto questo, il ragazzo se ne andò senza aggiungere altro, tornando alla sua solita stanza, dove passava tutte le sue ore buche nel liceo.

 
 
«Ivy!» esclamò Alexy dal fondo del corridoio vedendo la ragazza seduta a terra con le spalle agli armadietti; iniziò a correre per andarle incontro seguito a ruota da Violet, che con il suo blocco dei disegni stava passeggiando con lui.
«Hey bambola, che ti prende ora?» le disse accarezzandole i capelli, portandole una ciocca che le cadeva davanti al viso dietro l’orecchio.
«Se ne è andato anche lui…»
«Chi se n’è andato?  Insieme a chi altro poi? Spiegati meglio»
«La tua mano Ivy!» esclamò Violet spaventata. «Sta sanguinando»
Alexy si mise a sedere davanti a lei.
«Fammi dare un’occhiatina…»
«Vattene…»
Disse Ivy con voce appena udibile ma non chiara.
«Come hai detto?»
«Vattene…»
Alexy si avvicinò ancora di più cercando di sentire meglio.
«Non ho capito ancora… cosa hai…»
«Vattene!»
Alexy si ritrasse di scatto, cadendo all’indietro sul sedere, mentre Violet iniziava a spaventarsi per quel tono così alto che la ragazza non aveva mai usato, mentre continuava a guardarli con uno sguardo ben poco amichevole.
«Vattene, come hanno fatto tutti!» ma senza aspettare che il ragazzo si alzasse e fisicamente se ne andasse, si alzò di scatto e scappò via, percorrendo il corridoio a ritroso girando a sinistra; tutti i ragazzi che si trovavano nelle classi che affacciavano su quel corridoio, diedero una sbirciata da dietro le porte cercando di capire cosa fosse successo.  Violet tremava ancora come una foglia, mentre Alexy, che si era alzato da terra, le passava una mano sulla spalla cercando si tranquillizzarla; non capiva cosa stesse succedendo: una sfuriata simile non era proprio nell’indole della ragazza e loro non le aveva fatto nulla… non aveva il quadro della situazione chiara, quindi calmando Violet e spiegandole di non prendersela prima di sapere tutti i fatti, la lasciò andare al suo club, mentre lui sarebbe andato in giro in cerca di indizi.
«Cosa succede qui?»
Dalla sala delegati si affacciò Nathaniel, misto tra il preoccupato ed il pronto a rimproverare.
«Nathaniel! Forse tu puoi aiutarmi, sai cosa è successo ad Ivy?»
«Cos’è successo ad Ivy? Prima stava qui, con la testa ficcata negli armadietti, in ginocchio senza dire nulla, almeno fin quando non mi sono avvicinato…»
«Quindi non avete, che so, litigato o cose del genere?»
«No, ma anche se fosse successo fare certe scenate non è il suo genere… non so cosa le sia accaduto so solo che mi ha intimato di andarmene, ed io dopo aver cercato di insistere me ne sono andato… capisco quando la mia presenza non è gradita. Sai cosa penso? Che la colpa sia il fatto che passa del tempo con…»
«Alexy! Alexy!»
Dall’altra parte del corridoio, un ragazzo moro con gli occhi celesti, per il resto identico al ragazzo che stava chiamando agitando le braccia, gli corse incontro con un documento in mano.
«So chi è! Ti ricordi che ti dissi che sapevo chi fosse quel ragazzo? L’ho scoperto!» continuò una volta raggiunto il fratello alle spalle, che si girò per dargli piena attenzione.
«Mi è bastato prendere questo dagli archivi della scuol… coff coff coff» iniziò a tossire forte e rapidamente alla vista di Nathaniel alle spalle del suo gemello.
«Armin! Quello è un documento che non dovrebbe essere in tuo possesso! Ridammelo immediatamente e non finirai nei guai!»
«Un momento, un momento… ascoltatemi entrambi. Questo ragazzo…» disse indicando la foto sul vecchio dossier di Ken. «In realtà è quel ragazzo!» disse indicando Kentin alla sua sinistra.
«Quel bel ragazzo che ti sta fissando proprio ora con aria stranita?» disse ridendo Alexy.
«Intendi Ken? Volevo dire, Kentin? Lo sapevamo già» esordì tranquillamente Nathaniel.
«Io non so a cosa vi riferite, ma è di sicuro un gran bel figo! Che ti sta sempre fissando eh, Armin...» continuò a sghignazzare Alexy.
«Esatto, proprio quella che mi sta… fissando… Ciao Kentin!» disse lanciando il suo dossier in mano al biondo che lo prese al volo.
«E che non ti venisse in mente di rubarne altri» lo minacciò severo mentre rientrava a posare il fascicolo fuggiasco.
«Lasciando perdere questo episodio del mio fascicolo che viene preso da gente a caso – tra l’altro pensavo che fosse tuo fratello ad avere certi gusti - cosa è successo qui?»
 I due gemelli si guardarono interrogatori.
«In che senso?» chiesero all’unisono.
«Ho sentito la voce di Ivy… e stava urlando. Non ha mai urlato, non le fa bene, non ha mai alzato la voce in vita sua, parla sempre sommessamente con un tono molto basso; per quanto ne so potrebbe mancarle l’aria dopo tutto quel gridare, non mi stupirebbe se svenisse. Dov’è ora? L’avete fatta sedere da qualche parte?»
Armin non disse nulla, Alexy corrugò la fronte, preoccupato e allo stesso tempo dispiaciuto: «Mi spiace, ma è scappata via; volevo solo vedere come mai stava continuando a sanguinarle la ferita ed è scappata via, dopo avermi urlato contro di andarmene. Alla fine se n’è andata lei!»
Nathaniel uscì dalla sala delegati, dirigendosi verso il sottoscala.
«Dove vai?» gli chiese Alexy.
Il ragazzo si bloccò sul posto, rivolgendosi a loro per un breve istante prima di continuare a camminare: «Lo avevo pensato anche io, Kentin ha ragione: potrebbe avere un mancamento da un momento all’altro per aver alzato così d’improvviso la voce, senza contare che ha un taglio profondo sulla mano, fasciato solo e senza punti. Tutta colpa di quello stupido!» completò prima di girarsi ed andarsene definitivamente.
«Dividiamoci» propose Kentin. «Alexy vai a vedere nei pressi dei bagni e corridoi annessi, Armin vedi sulla terrazza, Nathaniel è andato verso il retro della scuola, io andrò nella serra; il primo che la trova lo fa sapere agli altri» così i tre ragazzi si divisero andando ognuno per la propria strada.
«Che guaio quella ragazza» esordì una voce maschile dalla base delle scale.

 
«Ti fai del male»
«Non vedo come possa tangerti la cosa»
«Lo fa eccome; finiscila, così lei fai solo del male»
«Non sei proprio il tipo che si può permettere di darmi consigli del genere, ora vedi di sparire; vai a farti un giro»
Il biondo guardò stranito l’altro,
«Farmi un giro?!»
«Preferisci “vatti ad impiccare da un’altra parte?”» senza aggiungere altro gli voltò le spalle per andarsene.
«Sei uno zotico che non vuole sentire ragioni; è la seconda volta che non mi dai retta anche se ho ragione»
Quella volta non l’evitò.
Non c’era nessuno a dividerli; non c’era Ivy a cercare di farli ragionare.
Si prese un pugno dritto in faccia e quando lo ebbe realizzato, l’altro se n’era già andato.

 
 
«Posso sedermi accanto a te?» disse un ragazzo dagli ultimi scalini del sottoscala che portavano lassù, su quella terrazza dove – in teoria – era proibito andare.
Lysandre guardò Ivy sorridendole, facendo segno ad un posto invisibile accanto a lei; la ragazza fece segno di sedersi e lui si accomodò accanto.
Il terrazzo sul retro della scuola non era esattamente il posto più comodo dove sedersi, visto che non c’erano né sedie né panchine, ma solo un pavimento leggermente scivoloso.
«Hai rischiato grosso; una scenata del genere richiede molte energie e molto ossigeno, senza contare che sei ferita; oltre a queste ovvietà, c’è qualcosa che ti turba. Vuoi parlarne?»
Ivy fece con il capo un segno di diniego.
Non voleva parlarne con nessuno, anche se sapeva che Lysandre l’avrebbe ascoltata con piacere e che con il suo animo gentile le avrebbe dato un consiglio se avesse voluto; ma non aveva ancora metabolizzato la cosa.
«Capisco, prima che me ne vada vorrei dirti qualche parola; quello che stai passando tu è una situazione difficile, un po’ complicata che non molta gente, per fortuna, passa nella propria vita, ma molto vicino a te c’è una persona che ha provato le stesse cose e ti posso dire che le prova ancora a distanza di anni; è un sentimento che logora dentro, che ti fa morire emotivamente, lentamente e senza che te ne accorga. Stai attenta; rifletti bene, vedi quali sono tutte le possibilità, soppesale e decidi quale sia la migliore; non sarà facile, ma prima o poi ci riuscirai… o almeno lo spero. Ora se permetti…. Io me ne andrei. Ah, dimenticavo, che sbadato» disse Lysandre incrociando le braccia sul petto, portandosi una mano sotto il viso mentre accennava ad un lieve sorriso. «Non l’ho portato io, ma è voluto venire lo stesso» così dicendo se ne andò senza aggiungere altro.
«Fammi vedere la mano; dobbiamo fare una fasciatura decente… e magari è l’ora di metterci qualche punto, non credi?» disse mentre si sedeva accanto a lei e l’abbracciava come lui sapeva fare.
 

 
 
 
 
Nota dell’autrice
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Allora carissime/i, sono ancora qui a fare stupide precisazioni (ehehehe) non sarebbe da me non farle, come non sarebbe da Lysandre vestire in bermuda e canotta.
Precisazione stupida di ordinanza: in questi capitoli ci sono dei pezzi in altro carattere (Arial) dipinti di blu – felici di stare lassù, con te (?) – quelli non sono flashback ma bensì scene contemporanee alla storia che si svolgono o nello stesso momento narrato di quello precedente o pochi minuti dopo o pochi minuti prima.
Vi faccio un per esempio:
Per esempio, in questo capitolo, la prima parte in blu avviene pochi minuti prima dell’ultima frase del paragrafo prima, in contemporanea con i deliri di Armin per intenderci, mentre il secondo “riquadro” blu avviene pochi minuti dopo il paragrafo che lo precede.
Claro?
No?
Vabbè, lasciatemi delirare proprio come fa qui Armin, nei sui complessi di intelligenza suprema – in questo caso possiamo dire che Armin impersona un po’ Capitan Ovvio no? HAHAHAHA
Grazie di aver letto, al prossimo capitolo!
Sayonara!

 
Jay Myler
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Capitolo 7
*** Coincidenze ***


“Ormai dovrebbe già essere qui da un pezzo” pensò ansiosa Ivy seduta sulle scale interne della scuola, indecisa se iniziare a salire sul tetto con vista panoramica o continuare ad aspettare lì come un’idiota. Non che cambiasse molto, ma non era abituata a salire da sola in quel posto che in pratica era vietato da visitare per gli studenti, visto che era stato designato off-limits da parte degli insegnanti, con la scusa che era un posto pericoloso; l’unica cosa che era pericolosa era la voglia dei professori a privarli di uno spazio comune in più. Non che non li capisse a pieno, quella terrazza era così piccola che non sarebbe bastata a tutti gli studenti e considerata la notevole vista che si aveva da lassù molti ragazzi avrebbero voluto frequentare quel luogo così bello, con l’unico risultato di affollarlo e di conseguenza nessuno se lo sarebbe goduto. Per evitare discussioni varie ed eventuali incidenti la direzione aveva chiuso quel terrazzino agli studenti.
Ma per alcuni di loro quella restrizione era vista come un amichevole consiglio che veniva del tutto ignorato: lei senza nemmeno rendersene conto era rientrata in quella categoria di persone che se ne fregavano delle regole e che andava comunque a godersi la vista da lassù; se solo l’avesse saputo Nathaniel, che una ragazza così ligia ed attenta alle regole ed al dovere trasgrediva spesso e volentieri una precisa direttiva della Preside, gli sarebbe venuto un accidente. Ma ormai ci aveva fatto talmente tanto l’abitudine che quel posto lo considerava alla stregua della mensa. Proprio il giorno prima si era andata a rintanare lassù, lontana da tutto e da tutto ed ora invece quasi si comportava come una ladra sul punto di compiere il suo primo furto, in preda a tutte le paure di questo mondo. Le lezioni erano finite già da un pezzo e per non far insospettire nessuno era rimasta come al suo solito a studiare matematica con Nathaniel che l’aiutava in quella materia astrusa come meglio poteva; erano quasi due anni che quel biondino aveva accettato di buon grado di darle una mano a studiare le materie scientifiche; aveva notato però, che nel momento stesso in cui aveva iniziato a passare più tempo con lui dopo le lezioni, Melody aveva cominciato a trattarla leggermente con insofferenza, come se dovesse sopportarla suo malgrado. Di certo questa cosa non la stupiva, si vedeva lontano un miglio che quella ragazza così fine e ben educata usciva letteralmente pazza d’amore per il bel segretario delegato; non si risparmiavano infatti le volte in cui lei rimaneva a fargli compagnia o a dargli una mano fino a tardi o a studiare insieme, però per chissà quale motivo non si era mai avvicinata alle loro ripetizioni settimanali del venerdì post lezioni. Forse si sentiva intimorita o temeva che tra lei e Nathaniel potesse esserci qualcosa, fatto sta che sicuramente la cosa le dava fastidio… e non poco.
La ragazza prese il cellulare della borsa per controllare l’ora… ormai erano già venti minuti buoni che aspettava come la stupida su quelle scale; ormai rassegnata al fatto di dover aspettare ancora per molto, con il cuore in gola iniziò a salire le scale che la portavano in cima; almeno lì si sarebbe goduta la vista del tramonto – visto che l’inverno si stava avvicinando le ore di luce diminuivano a vista d’occhio, dandole l’opportunità di godersi una vista simile da una parte della scuola. Non sapeva se fosse solo una coincidenza o se l’architetto che l’aveva progettata ci aveva pensato, ma quella terrazza si affacciava verso Ovest ed il liceo si ergeva su una piccola altura, dando la migliore visione di quella cittadina così piccola e graziosa, imporporata – già dalle sei del pomeriggio nel periodo in cui si trovavano – dal rosso bagliore del sole che si andava a nascondere dietro la distesa orizzontale, che pareva infinita, del mare, poco lontano dal borgo. Già si pregustava quella vista, ricordandosi la prima volta che aveva avuto la fortuna di vederla. Anche se questa volta lo avrebbe visto da sola – visto il clamoroso ritardo del ragazzo.  Appena si avvicinò alla porta della terrazza, che aveva un vetro opaco, si accorse che fuori c’era già qualcuno… come aveva fatto a passarle davanti senza che se ne accorgesse? Una volta tanto in vita sua doveva essere arrivato in anticipo ed era salito ad aspettarlo e lei, con il suo ritardo di due minuti, ora doveva sentirsi la ramanzina di “venti minuti che l’aspettava lassù”; se l’avesse saputo sarebbe salita molto prima, ma alla fine l’appuntamento  se l’erano dati sulle scale, cavoli suoi se l’aveva aspettata invano sul terrazzo, così imparava a prendere decisioni di testa sua… ma non glielo rimproverava, sapeva che era fatto così e non aveva la minima intenzione di cambiarlo; aprendo la porta ed aprendo uno dei suoi bellissimi sorrisi, la ragazza uscì fuori e si trovò davanti…
«Kentin?!» la ragazza si bloccò all’istante, spegnendo il suo entusiasmo iniziale ed il suo sorriso; non era proprio la persona che si aspettava di vedere e di sicuro non era tra le sue preferite in quel momento.
«Ivy…» disse invece il ragazzo con un tono malinconico.
La mano di lei iniziò a pulsare; era la ferita che ancora le sbatteva forte, ma non era solo il solito dolore che le dava quella strana sensazione, era il suo cuore che aveva accelerato all’improvviso portando un afflusso maggiore di sangue che le faceva palpitare così tanto anche il taglio sulla mano: la vista che le si stagliava davanti era ancora più mozzafiato di quella che si era figurata poco prima nella sua mente… Kentin era appoggiato con un fianco alla ringhiera della terrazza, con entrambe le braccia appoggiateci sopra; il viso mezzo girato verso di lei e l’altra metà completamente illuminata dal color pesca del tramonto, mentre la fioca luce che rimaneva ancora nell’aria si stagliava dietro di lui come ad una celestiale visione. Non credeva che quel ragazzo potesse farle ancora un certo effetto, ma non poteva negare che quei magnetici occhi verdi che la stavano fissando la attiravano come una calamita attira il ferro; non doveva cascarci, lui non era più il Kentin di una volta, era cambiato, era un altro, era diventato il tipo che cambia donna come nulla fosse e lei non voleva essere tra quelle e molto probabilmente non ci sarebbe stata visto il cambio di rotta dei suoi gusti… prima Ambra, poi Peggy, che fosse qui per qualcun’altra delle sue conquiste amorose?
Senza dire altro o aspettare che il ragazzo aggiungesse qualcosa, fece un paio di passi indietro, convinta a tornarsene sui suoi passi facendo finta di non aver visto nulla; ma in quel momento Kentin si precipitò a tenere la porta aperta gridando il suo nome per non farla andare via.
«Ivy! Rimani… non andartene» I suoi modi erano così sicuri e spavaldi ma i suoi occhi la stavano supplicando.
«Io non me ne vado» disse senza guardarlo in faccia.
«Nemmeno io…» rispose lui con un fil di voce, sapendo che entrambi non si stavano riferendo a quel momento preciso ma a fatti che erano avvenuti tempo prima.
I due ragazzi rimasero qualche minuto fermi uno davanti all’altro, come se il tempo che avevano passato lontani li avesse disabituati allo stare insieme, mentre forse la vera ragione di tutto quell’imbarazzo era il cambiamento drastico nella vita del ragazzo. Un aspetto nuovo lo aveva cambiato, sia in meglio ma allo stesso tempo in peggio; la sicurezza e il fare il cascamorto erano le due facce della stessa medaglia. Visto che nessuno dei due era intenzionato a muoversi di un muscolo, Kentin prese coraggio a due mani e le prese la mano tra le sue; lei la ritrasse leggermente con un piccolo scatto, non perché le desse fastidio ma perché le aveva preso la mano sinistra che si era ferita e alla quale aveva messo da poco i punti. Così, facendo attenzione a non stringerla troppo, la portò con sé alla ringhiera mostrandole il tramonto che si presentava ai loro occhi; la fece appoggiare sul corrimano e ricordando la sua paura delle altezze le cinse la vita con un braccio per non farla impaurire; rimasero così fino a quando il sole non scomparve del tutto in lontananza, lasciando nell’aria solo un fioco ricordo del suo passaggio; il cielo iniziava a scurirsi e i due non accennavano la minima intenzione di muoversi; dopo tutto quel tempo che aveva perso per stare insieme, dopo i loro scontri degli ultimi giorni, quell’attimo era così tranquillo e perfetto che non se la sentivano di rovinarlo e di farlo finire così in fretta. Ivy rimase altri due minuti in quella posizione di stallo, godendosi appieno il momento, ricordando di come fosse bella la sua sola vicinanza.
Dopo aver preso un grosso respiro, Ivy decise che quell’attimo di pura perfezione doveva terminare all’istante prima che le cose degenerassero; Kentin si accorse che la ragazza voleva liberarsi dalla sua presa, ma invece di allentarla la strinse ancora di più a sé, abbracciandola.
«Perché sei qui?» gli chiese mentre cercava di non far trapelare le sue vere emozioni.
Non sapeva nemmeno lei cosa provava di preciso, era un mix di sensazioni e di emozioni che si accavallavano, un mix letale di sentimenti.
«Io… aspettavo un amico. Non è proprio un amico diciamo un compagno, un conoscente… aspettavo qualcuno insomma» balbettò a sprazzi, pur sapendo che la sua domanda non si riferiva a quella sera.
“Diciamo piuttosto qualcuna” pensò nella sua testa la ragazza.
Decisa ad allontanarsi indietreggiò; il ragazzo ebbe la meglio nuovamente: la lasciò lentamente dandole un minimo di margine da lui prendendole la mano fasciata.
«Come va il taglio?»
«Meglio, grazie per l’interessamento» rispose schietta, evitando perentoriamente il suo sguardo.
«Tu invece, cosa ci fai qui?»
«Anche io aspettavo qualcuno a dire il vero, ma non si è presentato a quanto pare e… si è fatto tardi, bhé, dovrei andare io»
Kentin le lasciò la mano a malincuore, sapendo che un’altra occasione così non gli sarebbe più capitata; sapeva che doveva fare qualcosa, lui voleva fare quel qualcosa, ma lasciò che l’occasione gli scivolasse tra le dita lasciandole varcare quella soglia, perdendo l’occasione che gli aveva offerto quella fantastica coincidenza.
 

 
«Hey, mi hai dato buca sta sera!» disse la ragazza ridendo al cellulare; non se l’era presa a male, conosceva il tipo.
«Perdonami, ma mi farò perdonare: domani passiamo l’intera giornata insieme, al centro commerciale per le nove va bene?»
«Oh» rispose la ragazza confusa, non si aspettava un simile trattamento, non si aspettava di certo una risposta simile, si aspettava solo delle vaghe e celate scuse e nulla più.
«Hai da fare altro?»
«Oh, no no tranquillo, domani alle nove al centro commerciale» Ivy chiuse la chiamata ancora stordita dalla cosa così insolita e senza pensarci oltre andò a dormire.

 
Nove e un quarto.
Non si stupiva nuovamente del ritardo che si stava consumando lentamente come un delitto premeditato, soltanto che in cuor suo sperava che non si finisse come il giorno prima che tanto aveva aspettato per niente. Magari era in ritardo perché la sveglia non aveva suonato – conoscendolo non aveva mai messo una sveglia in vita sua – o forse i mezzi erano in ritardo, o forse un contrattempo o le aveva proprio dato buca per la seconda volta di fila; non si sarebbe di certo stupita! La cosa che l’aveva davvero incuriosita era la reazione del ragazzo al cellulare la sera prima; un suo invito a passare una giornata insieme l’aveva letteralmente spiazzata, non pensava ci sarebbe stata mai così intimità tra di loro, infondo erano così diversi, come la notte ed il giorno e se chiedevi in giro nessuno avrebbe mai detto che erano così amici da uscire addirittura insieme; ma chi era lei per contestare e rifiutare l’invito di un suo suddetto amico.
«Ivy!» la salutò una voce alle sue spalle.
Dietro di lei c’era una coppia: Rosalya, che con una mano la salutava da lontano e con l’altra stava sottobraccio con il suo ragazzo Leigh, a cui l’anno prima aveva avuto l’opportunità di dare una mano ai due a rimettersi insieme; erano davvero una coppia carina e facevano faville insieme ed erano decisamente le due persone che avrebbe voluto incontrare in quel momento. I due le si avvicinarono e la salutarono con calore, con lei era amica e compagna di scuola ma lui era stato il suo sarto da sempre e la sua boutique era in suo negozio d’abbigliamento preferito, si conoscevano da molto senza sapere che lei andava a scuola con la sua ragazza. Nonostante conoscesse da più tempo Leigh, Ivy si era sempre trovata più sciolta a parlare con Rosa che si era eletta a sua confidente ufficiale.
«Che ci fai da queste parti Ivy?»
«Aspetto»
«Uhm, un appuntamento galante?» le chiese Rosalya facendole l’occhiolino.
«Ma no! Cosa vai pensando!» rispose lei imbarazzata.  «A proposito, sapete dirmi dove sta Lysandre?»
«Hai un appuntamento con Lysandrino? Hai sentito Leigh, diventeremo parenti!»
«Smettila di essere così esuberante, non vedi che la metti in imbarazzo?» la riprese dolcemente lui.
«Ivy mi spiace ma credo proprio che Lysandre se ne sia dimenticato, poco prima di scendere l’ho visto andare via e gli ho chiesto dove andasse e mi ha detto che andava da Castiel a provare» disse con tono di scuse come se volesse farsi perdonare per il fratello.
«Non preoccuparti, avevo tenuto in conto anche questo!»
Gli sorrise.
«Puoi unirti a noi se vuoi, stiamo andando a…» ma Rosalya fu interrotta da un gesto lesto ma cortese da parte di Ivy.
«Tranquilla, non vogli di certo rovinare i vostri piani, andate e divertitevi, io ho comunque le mie commissioni da fare!» e dopo aver convinto più volte Rosa che lei stava bene e che potevano lasciarla da sola fece un sospiro di sollievo facendo dietro front per tornarsene a casa e fu lì che andò a sbattere contro qualcuno.
«Ivy?»
Ivy aprì gli occhi dopo quel contatto brusco, massaggiandosi il naso che aveva sbattuto contro qualcosa di davvero duro e così constatò che non era andata a sbattere contro un muro parlante ma contro i pettorali di Kentin.
«Kentin? Possibile che ci incontriamo ovunque io e te?»
«Sembra quasi che ti dispiaccia» le disse porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi, in un misto tra rammaricato e scherzoso.
Ivy accettò l’aiuto e si rimise in piedi.
«Aspetti qualcuno?» le domandò.
«No, tu?»
«Bhè a dire la verità si…»
“Non si ferma mai questo ragazzo?” pensò lei.
«In questo caso l’incontrarmi potrebbe dare fastidio a te, non a me» sentenziò lei mentre si lisciava la maglia che le si era sgualcita addosso.
«Perché mai dovrebbe?» le chiese frastornato senza capire l’antifona.
«Tolgo il disturbo, la ragazza che stai aspettando potrebbe vederci ed andarsene se ci vede insieme, non pensi?» Fece un giro su sé stessa e si avviò verso l’ingresso.
«No, non penso» le disse mettendosi avanti per non farla passare. «Ma so per certo che mi ha dato buca la persona che stavo aspettando e che al cento per cento non è una femmina»
«….»
«….»
Calò un silenzio imbarazzante da parte di entrambi.
«Sapevo che Alexy ha un certo fascino, ma non sapevo fosse così di… tuo gusto»
«Cosa? Oh no, no, no, no, no! Hai capito male! Dovevo vedervi con un mio, diciamo amico, per chiarire… una questione, è da ieri che dovevamo vederci ma anche oggi mi ha dato buca»
«Fingiamo che ti creda» gli disse ridendo.
«Io… So che sono stato un cretino, lo so troppo bene, ma ti volevo chiedere lo stesso se magari volessi farti un giro… qui… così… insomma… con me»
Ivy mise un momento da parte tutto quello che tra di loro era andato storto in quel periodo e rivendendo in quegli occhi il suo Ken, lo prese a braccetto ed iniziarono a camminare per il Mall.
 
                                                                       ****
Stavano entrambi seduti sul bordo della fontana del centro della piazza nel Mall a mangiare un gelato dopo che avevano passato l’intera giornata per negozi di tutti i tipi, da quelli di elettronica a quelli d’abbigliamento, da quelli per il fitness a quelli gastronomici a quelli di giocattoli; le venne in mente l’estate prima quando lei e Castiel avevano preso un gelato insieme e lui glielo aveva fatto cadere; questo però era più tranquillo, più familiare, era… diverso.
Lasciandogli il suo gelato in mano senza dirgli nulla, piantò Kentin là seduto, entrando in un negozio di dolciumi dal quale uscì pochi istanti dopo; poi si rimise a sedere riprendendosi il gelato come se nulla fosse.
«E così stavi aspettando qualcuno» gli disse sapendo che così avrebbe aperto un argomento spinoso che forse avrebbe intaccato quella bella giornata che avevano passato insieme, ma non riusciva a starsene così senza dire nulla a riguardo, se doveva anche essere solo sua amica, il fatto che si vedeva con disparate ragazze alla volta l’infastidiva.  Vedendo però che il ragazzo sapeva dove volesse andare a parare cercò di ammorbidire la conversazione senza però abbandonare il suo obbiettivo madre.
«Anche io all’inizio ero venuta qui ad aspettare qualcuno, sai»
A Kentin stava per andare storto il gelato; si ricompose cercando di fare l’indifferente.
«Ah davvero e chi aspettavi di bello?» le chiese gettando con cattiveria il resto del cono nella pattumiera, visto che il suo stomaco si era improvvisamente chiuso.
Ivy restò impassibile, continuando a sgranocchiare il cono del suo gelato.
«Lysandre»
«Ti piace quel tipo di ragazzo lì? Sempre meglio di Castiel!»
Ivy si limitò a guardarlo di sottecchi.
«Io almeno non mi vedo ogni giorno con una ragazza diversa»
«Vuoi toglierti dalla testa che non stavo aspettando una ragazza?»
Lei continuò a non rispondergli, finendo di mangiare pacatamente il suo gelato.
«Sei libera di non credermi ma stavo aspettando – non mi crederai ma è così – Castiel»
«Mmm» disse la ragazza gettando il fazzoletto con cui teneva il suo cono gelato.  «Hai ragione, non ti credo»
Vide per la prima volta in vita sua la faccia contrariata di Kentin.
«Te lo posso giurare, ma sta a te crederci o meno»
«Si è fatto tardi Kentin, devo andare»
«…»
Ivy iniziò ad incamminarsi per poi fermarsi di colpo.
«Non mi accompagni?»
Kentin sapeva che tra di loro c’erano un mucchio di incomprensioni, non capiva perché lei credesse che si doveva vedere con una ragazza, non capiva la sua allusione al cambiare ragazza ogni giorno, ma sapeva anche che non avrebbero potuto risolvere tutto in un giorno, così si accontentò dei progressi fatti in quella giornata, lasciando il resto al domani.
Mentre stavano camminando per andare a casa, Kentin le si avvicinò, sfiorandole la mano; sapeva che era troppo presto per farlo ma sapeva anche che per lui quello era il momento giusto e che gli andava di farlo; senza troppe esitazioni avvicinò la mano alla sua e gliela strinse. Ivy senza nemmeno girarsi a guardarlo o dirgli qualcosa ricambiò la stretta, incrociando le dita con le sue.
Sapeva che era cambiato, che non era lo stesso, ormai quella voce nella sua testa era diventata così ripetitiva e stantia ma voleva soprassedere per una volta e godersi dopo tutto quel tempo il ritorno, tanto agognato, di Kentin; il ragazzo vide Ivy abbassare lo sguardo e fissare le loro mani intrecciate sorridendo e fu lì, in quel preciso istante che dopo anni si sentì completo.
 Arrivati davanti casa di lei ci fu un po’ di imbarazzo e confusione, non sapevano esattamente come salutarsi; si erano lasciato un anno prima quasi come fidanzati, poi si erano persi di vista, poi era tornato ed avevano “rotto”, mille incomprensioni ed ora avevano passato forse la giornata più bella della loro vita fino a quel momento. Kentin prima di lasciarle la mano ci diede un lieve bacio sopra, facendo arrossire la ragazza.
«Ivy io…»
«Ci sarà un tempo ed un luogo per spiegare tutto, non roviniamo questa giornata, ti prego» gli sorrise, poi iniziò a frugare nella borsa.
«Spero che siano ancora i tuoi preferiti»
Gli mise in mano qualcosa e poi si avvio verso l’uscio di casa; Kentin continuò a fissarla fino a quando la ragazza non entrò e chiuse la porta sorridendogli, poi abbassò lo sguardo e vide che in mano aveva un pacco di biscotti.
Erano dei biscotti al cioccolato; ma non dei semplici biscotti erano quelli che una volta mangiavano insieme dopo la scuola quando passavano del tempo insieme…
Erano proprio i suoi preferiti e quella non era decisamente una coincidenza.
 

 

Jay Myler
© ALL RIGHT RESERVED ©

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Capitolo 8
*** Rude e passionale ***


Ivy era rimasta stesa sul suo letto a contemplare il soffitto bianco mentre ripensava a quella splendida giornata passata con Kentin, era stata così reale eppure così effimera ripensando a tutto il trambusto che si era creato tra di loro negli ultimi tempi. Poi all’improvviso iniziò a fissare il peluche che tempo prima le aveva regalato il ragazzo, quel simpatico orsacchiotto marroncino che dal primo momento che aveva messo in quella casa non si era mai mosso dal suo comò; le sembrava davvero un’eternità e quasi sembrava che facesse parte del mobile stesso. Quel peluche le dava tante belle sensazioni e tanti bei ricordi, ma sotto di esso si celava in realtà ciò che aveva iniziato a fare deteriorare il loro rapporto… un semplice foglietto di carta, qualche lettera e qualche numero impressi sopra era bastato ad incrinare un rapporto che era durato per anni.  Ma quella giornata… oh quella giornata era stata forse la più bella che avesse mai trascorso, era così che si aspettava di festeggiare il ritorno di Ken, non come era successo. Ma ancora una volta quei pensieri negativi stavano offuscando la giornata perfetta appena trascorsa e lei non aveva intenzione di continuare su quella strada, quindi si alzò iniziando a spogliarsi per mettersi il pigiama; ora non si faceva passare nulla nella mente che non appartenesse alla passeggiata al centro commerciale.
Dling Dlong
Qualcuno bussava alla porta.
Dling Dlong Dling Dlong
Chiunque dovesse essere aveva una fretta tremenda di entrare.
Chi poteva essere a quell’ora poi? Non che fosse tardissimo, ma le nove di sera non è esattamente un orario molto consono a delle visite.
Dling Dlong Dling Dlong Dling Dlong Dling Dlong Dling Dlong Dling Dlong Dling Dlong Dling
«Un attimo!» ­­gridò Ivy mentre indossava la sua vestaglia; chiunque fosse – vista la fretta – non le avrebbe mai dato il tempo di rivestirsi.
Il campanello continuava imperterrito a suonare mentre lei scendeva le scale del suo loft più in fretta che poteva. Un po’ spaventata dalla frenesia dell’ospite fuori la sua porta… che fosse successo qualcosa di grave a qualcuno? In qualunque caso questa sembrava una scampanellata da vera emergenza ed in cuor suo sperava soltanto che la cosa fosse meno grave di quello che facevano presagire quegli scampanellii; ogni scalino che faceva le portava il cuore sempre più su ad un ritmo sempre più veloce, fino a quando non le parve di sentirlo scoppiare dritto in gola.
Quel fastidioso rumore non la finiva più, continuava imperterrito e deciso e quando finalmente aprì la porta con l’animo più in pensiero che mai si ritrovò davanti Kentin con il fiatone che appena la vide si gettò tra le sue braccia, lasciandosi andare del tutto suggellando il loro incontro con un impetuoso ma romantico bacio. Un piccolo spiraglio di luce della luna faceva capolino davanti a loro, illuminandoli appena, impreziosendo ancora di più quel momento dipingendolo di un argento quasi vitreo. Finalmente dopo anni, senza un perché, senza un preavviso, senza gli istanti prima che fanno apprezzare meglio l’atto, erano riusciti finalmente a dimostrarsi il loro sentimento attraverso l’espressione fisica di un bacio; entrambi non si perdevano un solo istante… le loro labbra si sfioravano lentamente all’inizio, si cercavano, si volevano, si bravano. Quelle di lei erano così morbide e vellutate come la seta più pregiata e rara e così tiepide ed accoglienti che potevi anche morirci dentro, desiderando la fine tra quei sublimi attimo di pura estasi e completezza. Quelle di lui erano ruvide ma calde ed umide, pronte già ad esibirsi nella frenetica danza della passione, mentre tra un misto di rudezza e dolcezza accarezzava i margini di quelle della ragazza, della ragazza che voleva con sé, della ragazza che considerava sua.
«Kentin…» riuscì a dire in un filo di voce con la poca aria che le era rimasta in petto.
«Io non potevo… non ci riuscivo» Iniziò a dire il ragazzo mentre ancora la stringeva nella morsa del suo abbraccio.  «Sono arrivato fino sotto a casa mia e… non potevo restarmene così, senza fare questo, non me lo sarei mai perdonato. Non so come andranno a finire le cose, non so se ricapiterà ancora un’occasione del genere e se me la fossi lasciata sfuggire così, sotto gli occhi sarei stato proprio uno stupido, perdonami ma dovevo» 
Kentin la guardava fisso negli occhi, aspettandosi da un momento all’altro di essere preso a sberle in faccia, sapendo che il gesto che aveva fatto era stato stupido ed azzardato; ma in cuor suo sperava che le cose prendessero un’altra piega, quando all'improvviso le sue speranze ed i suoi pensieri furono interrotti da una sonora cinquina sulla sua guancia destra.
«Tu!»
Il ragazzo se lo aspettava, infondo era stato lui che aveva voluto affrettare le cose e non darsi un contegno e così iniziò a pentirsi della sua scelta, sotto lo sguardo infuriato della ragazza che ancora non si ostinava a lasciar andare.
«Come puoi aver aspettato così tanto per fare una cosa simile!» disse sbraitando lei ma con un sorriso stampato sulle labbra.
E così si baciarono di nuovo, ma questa volta fu lei che gli saltò addosso e questa volta fu completamente diverso: in quel bacio non c’erano solo il sentimento e la passione come quello di poco prima, erano racchiuse le sensazioni di mesi… la rabbia, la tristezza, la paura, l’indecisione, la speranza, la rassegnazione e tutto quello che per quel lasso di tempo lei aveva provato… e non solo, questo era più lascivo, più impetuoso più umido rispetto all’altro.
Ma c’era qualcosa che non differiva: esattamente come prima durante l’effusione tutto quello che era all’infuori di loro due non esisteva più, non sentivano più nulla, non vedevano altro che loro stessi così vicini e non avevano attenzioni che per l’altro. Iniziarono a ridacchiare, chi per nervosismo, chi per sollievo continuandosi a guardare negli occhi… gli occhi di lui brillavano nel loro verde smeraldo, pieni di una vita che non avevano mai avuto prima mentre quelli color cielo della ragazza ritornarono a scintillare come una volta, come quando tempo addietro passava le sue giornate con il suo Ken.
Kentin la prese in braccio facendola volteggiare in aria per un po’ poi la poggiò delicatamente a terra senza smettere mai di toglierle gli occhi di dosso; il cielo e la terra si stavano fissando senza tregua in una burrascosa guerra muta, ma pieni di parole mai dette e di sentimenti mai espressi prima d’ora… chi avrebbe vinto tra i due?
Non si mollavano un secondo ed ogni sosta che davano a quella lotta veniva scandita da un bacio sempre più lascivo, sempre più umido, sempre più lussurioso e desiderante e quando le loro lingue smettevano di rincorrersi tra di loro continuavano quel gioco di sguardi.
«I miei non ci sono, sono partiti proprio una settimana fa e staranno via per un bel po’»
Il ragazzo non chiese spiegazioni e non aggiunse altro, la prese solo tra le sue braccia e proprio come fa lo sposo con la sua novella sposa la portò in braccio per tutte le scale facendosi guidare dalle indicazioni della ragazza, fino a quando non arrivarono in camera sua.
«Il peluche che ti regalai» disse Kentin mentre poggiava la ragazza sulle coperte del letto.
«Si è proprio lui» sentenziò Ivy mentre ammirava il ragazzo che si toglieva la maglietta mostrando il suo corpo che sembrava scolpito nel marmo; quel ragazzo le piaceva anche quando era piccolo e minuto ma ora quel suo cambiamento improvviso non le dispiaceva più di tanto.
«Non credevo ti fosse piaciuto» le disse mentre, rosso in viso, si adagiava su di lei mentre le slacciava la morbida vestaglia di raso rossa.
Una pelle nivea che brillava sotto il candore della Luna abbagliò gli occhi del ragazzo che si soffermò su ogni piccola sezione della ragazza; non si era mai accorto di come fosse pallida più di ora che la vedeva con addosso solo la biancheria intima; i suoi capelli lunghi le scendeva a boccoli sul collo e sul petto, quei capelli color cenere che le accarezzavano il corpo come una seconda pelle, il seno prosperoso, la vita stretta ed i fianchi perfetti, quel corpo così minuto, candido e perfetto che aveva sempre immaginato ora ce lo aveva davanti e quella ragazza che aveva sempre bramato ora lo guardava negli occhi… il suo sguardo non era così diverso come credeva, lo stava guardando esattamente come lo aveva sempre guardato ed anche se lui non lo sapeva ancora lo guardava con gli occhi dell’amore. Quella purezza e quell’eburneo andavano saggiati lentamente, un po’ alla volta, assaporati ed apprezzati al massimo.
«Bhè è un bel peluche perché non avrebbe dovuto piacermi?» disse lei mentre il ragazzo iniziava a baciarle il collo ed accarezzarle i fianchi.
«Ne sono davvero lusingato» sorrise lui prendendosi un attimo di respiro, per poi essere baciato da Ivy in un momento di astinenza dai suoi baci.
Appena si staccarono si sorrisero come non avevano mai fatto prima, sapendo a cosa andassero incontro fin troppo bene, mentre lui continuava a bramarle il collo con baci e piccoli e delicati morsi, lei ad accarezzargli i capelli.
Kentin si fermò e presa la mano sinistra di lei tra le sue si fermò a fissarla.
«Fa ancora male?» alludendo alla ferita sotto la fasciatura.
«Non troppo, tranquillo» lo rassicurò lei prima di andarsi a perdere di nuovo tra le sue labbra.
«Sei sicura che vuoi continuare?» le chiese mentre lentamente scendeva a baciarle prima il petto e poi le sue clavicole ben in vista.
«Oh risparmia il fiato per altro» lo riprese giocando ancora con i suoi capelli la ragazza; mentre lui la baciava, lei gli accarezzava il collo e le spalle, delle quali sentiva la possenza e la forza anche solo al tatto.  «Non vedo cosa possa fermarci» ridacchiò mentre la fasciatura le si scioglieva dalla mano e cadeva lentamente sulla maglietta buttata a terra del ragazzo. Quel momento non aveva pari ed era di sicuro la degna conclusione di una giornata perfetta, che per nulla al mondo avrebbe avuto una fine imposta ed immediata.
Ma qualcosa non era d’accordo.
Dling Dlong
Il campanello suonò per la seconda volta in quella serata; ma questa volta non c’era la fretta di andare ad aprire.
Dling Dlong
Ivy iniziò a pensare di andare ad aprire, ma Kentin le fece cambiare ben presto idea.
Dling Dlong Dling Dlong
«Lascialo suonare» disse il ragazzo prendendo per un braccio la ragazza e riportandola sul letto.
Dling Dlong
«Ignoralo» la convinse baciandola come solo lui sapeva fare.
Dling Dlong «Ivy sono io, Nathaniel, so che sei in casa c’è la luce accesa, scusami se ti disturbo ma è davvero importante»
«Nathaniel?!» esclamarono insieme i due ragazzi.
«Forza vestiti!» intimò lei al ragazzo lanciandogli addosso la maglietta che si era tolto.
«Mettiti tu qualcosa addosso piuttosto» sorrise passandole la vestaglia che poco prima le aveva tolto da dosso.
Separandosi con un bacio lei scese di cosa le scale sperando che il rossore sulle guance sparisse il più presto possibile ed andò ad aprire al ragazzo.
«Nathaniel che sorpresa, cosa ci fai qui a quest’ora?» disse cercando di essere naturale e ricordandosi solo ora di aggiustarsi un po’ i capelli.
«Scusami per l’ora ma era davvero importante; ti ho disturbata?» disse arrossendo un po’ visto la sottile e corta vestaglia di raso che indossava la ragazza.
«Ehm, diciamo che mi hai buttato giù dal letto, ma prego accomodati cosa devi dirmi?» la parte della disinvolta le sembrava che le riuscisse abbastanza bene e sperò che il biondino non si accorgesse di nulla.
«Ti ruberò giusto due minuti, tolgo il disturbo in men che non si dica» le sorrise anche se un po’ a disagio.
Mentre portava il ragazzo in cucina vide scendere Kentin per le scale e gli fece segno di uscire senza farsi vedere; purtroppo qualcosa che li avesse fermati l’aveva trovata o meglio aveva trovato lei a loro sotto forma di Nathaniel che era venuto a bussare alla porta.
«Certo che quel taglio era più grave di quel che sembrava, guarda là anche con i punti fa la sua scena» disse Nathaniel con uno sguardo un po’ accigliato.
«Il taglio?» Ivy si accorse che la fasciatura le era caduta, anche se non ci aveva proprio fatto caso.
«Non dovresti portarla coperta ancora per qualche giorno?»
Kentin intanto si era fermato a metà scalinata per restare ad ascoltare cosa voleva a quell’ora.
«Si certo, devo aver scordato la fasciatura dopo la doccia, tranquillo ci farò più attenzione» cercò di sorridergli rassicurante.  «Ma ora accomodati pure così parliamo più tranquillamente».
Alzò lo sguardo per vedere se il suo amante stesse ancora sulla rampa e lo vide lì in posa plastica ascoltare i loro discorsi da metà di essa e per giunta senza maglietta; “Vestiti!” cercò di dirgli muovendo solo le labbra, ma il ragazzo o non la capiva o faceva finta di non capire; iniziava a sudare freddo mentre il segretario delegato le passava affianco per andarsi a sedere e lei continuava a fare gesti di nascosto per far almeno vestire quel ragazzo mezzo svestito per le scale.
«Possibile che tu ti faccia sempre male?» le chiese Nathaniel fermandosi al suo fianco e fissandola con un mezzo sorriso.
«C-cosa?» chiese la ragazza frenandosi di botto dal fare segnali a Kentin per farlo andare via – o almeno a rimettersi la maglietta addosso e coprire quegli addominali scolpiti.
«Ma sì, qui sul collo, a destra, ti sei fatta male… non te ne sei neanche accorta?» le disse sorridendo divertito ma allo stesso tempo un po’ preoccupato per la sua goffaggine.
«Davvero?» disse ingenuamente lei, chinando istintivamente la testa verso sinistra e toccandosi il collo dove le aveva indicato il ragazzo come a cercare con il tatto una ferita, approfittando della distrazione di Nathaniel per suggerire a Kentin di svignarsela.
«Aspetta, ma cos’è? Un… morso?!» la faccia di Nathaniel vagava tra il confuso ed il sospettoso.
«Un morso? Impossibile!» decretò lei in tono autoritario cercando di coprire il punto dove pensava fosse il segno.
Intanto Kentin era appena passato di corsa davanti alla cucina per arrivare alla porta di ingresso, la salvezza.
«Ti dico di sì, vieni con me, all’ingresso c’è uno specchio ti faccio vedere» la prese per le spalle portandola con sé fuori dalla cucina per arrivare nel corridoio.
Ivy cercò di farle desistere, ma il ragazzo aveva più forza di quanto lo pensasse capace e così la portò davanti allo specchio dell’ingresso per mostrarle il segno che da sola non poteva vedere.
«Ma quello non è Kentin che esce da casa tua?»
La ragazza si girò di scatto verso la porta d’ingresso... era spalancata “Il genio non l’ha chiusa bene e il vento l’ha finita di aprire e si è fatto sgamare… Ottimo!” pensò la ragazza tra sé e sé.
«Come mai Kentin è appena uscito da casa tua, senza maglietta per di più…»
“Quel ragazzo è proprio un idiota…”
«E tu così… svestita!» continuò Nathaniel che si portò la mano alla fronte assumendo quell’atteggiamento tipico dei genitori quando devono farti la ramanzina e proprio quello stava per andare a fare lui.
«Quei capelli, questi vestiti – per così dire – per non parlare del morso sul collo e del fatto che un ragazzo se ne sta andando in piena notte da casa tua mezzo nudo!»
“Sono appena le nove e mezza” pensò la ragazza; anche se i suoi genitori non c’erano mai c’era sempre chi ne faceva le veci per riprenderla e farle la paternale.
«Signorina da te non me l’aspettavo… io… devo andare»
Ivy non si prodigò nemmeno per un secondo a cercare di fermarlo o farlo ragionare, non le interessava nemmeno il perché era venuto da lei, l’unica cosa a cui pensava era a quanto lo detestasse in quel momento, sia perché era stato un guastafeste sia perché la trattava come fosse suo padre, cosa che di certo non era… cosa voleva far credere lui, che in tutte quelle sere passate con Melody non gli era mai passato nemmeno per un secondo nel cervello l’idea di stare con la ragazza? Anche se voleva fare il santarellino non ci avrebbe scommesso di certo, l’unica cosa certa è che aveva rovinato quel momento catartico e di sicuro no n glielo avrebbe mai perdonato.

 
 
«Allora com’è andata?»
«Non posso mica saperlo io, alla fine quello che dovevo fare era solo portarla lì»
«…»
«Perché stai facendo tutto questo?»
«Non importa il perché l’importante è che tu l’abbia portata in terrazza ieri e che oggi sia andata al centro commerciale»
«Non so dirti con sicurezza ma penso proprio che l’abbia fatto, alla fine abbiamo solo parlato per cellulare; dovresti smetterla»
«Non sono affari tuoi Lysandre, ti sei offerto tu di darmi una mano»
«Non nego mai una mano a qualcuno, ma penso comunque che tu debba finirla qui, prima che sia troppo tardi»

 
 
Jay Myler
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Capitolo 9
*** Una giornata infinita ***


Il giorno dopo la vita sembrava scorrere esattamente come al solito, l’Universo ignaro di cosa fosse successo la sera prima nel loft di quella ragazza che ora camminava per strada, scorreva tranquillo ed inesorabile come sempre; Ivy camminava ancora più svogliatamente del solito quella mattina, il desiderio di andare a scuola quel giorno mancava del tutto e ripensare alla sera prima non faceva che farla arrossire ed incavolare allo stesso tempo.
«Hey bella bionda!»
In altro caso non si sarebbe girata, ma aveva riconosciuto la voce del suo compagno di liceo Alexy.
«Ciao» disse atona la ragazza senza cercare di sforzarsi di fingere un poco di buon umore.
«Che faccia che hai! Cos’hai fatto ieri sera, le ore piccole?» disse sorridendole ammiccante mentre la guardava dall’alto dei suoi molti più centimetri di altezza rispetto a lei.
Ancora livida di rabbia ma comunque rossa in viso si limitò a non rispondere al ragazzo.
«Penso di aver colpito il segno ma anche che non è aria…. Hai studiato?»
Gli fece solo segno di sì con la testa.
«Mmm… problemi di cuore eh?»
Per la terza volta non ebbe risposta.
«Cos’hai qui?» le chiese puntando il dito verso l’unico punto che la sciarpa non le copriva bene il collo.  «Oh! Io so cos’è! È un…»
Ma prima che il ragazzo finisse la frase, mise il turbo e lo superò di un bel po’ facendogli finire la frase al vento; doveva scusarla ma non era proprio dell’umore giusto.
«Ho capito, non ne vuoi parlare!» disse un Alexy affannato alle sue spalle.
I due si misero a camminare uno a fianco all’altro senza dirsi più nulla – anche se effettivamente l’unico a conversare era stato solo il ragazzo e così proseguirono fino a dentro il liceo.
Le strade di Alexy ed Ivy si separarono quando ognuno si avvicinò al proprio armadietto.
«Certo che hai una faccia… anche peggio del solito» le disse una voce dall’armadietto vicino.
«Taci Castiel» gli disse da dentro il suo armadietto mentre prendeva un paio di libri e li metteva nella sua borsa.
«La fasciatura?» le chiese prendendole la mano.
«Non so, devo averla persa e pensare che mi piaceva tanto»
«Già perché c’era quello stupido gattino siamese disegnato sopra» disse Castiel ripensando alla figura disegnata sulla fascia.
La ragazza accennò per la prima volta in tutta la giornata un sorriso ripensando a quel gattino tenero disegnato sulla benda che probabilmente aveva perso chissà dove nella sua camera la sera prima.
Passò a pochi passi di distanza da loro Nathaniel, che appena la vide fece una faccia delusa e si girò dall’altro lato.
«Cosa hai fatto a quel rammollito?» chiese il rosso con un sorriso che già gli increspava le labbra al solo pensiero che una volta tanto anche qualcun altro ce l’aveva con il biondino.
«Lasciamo perdere, è il solito guastafeste» rispose a tono Ivy in preda ad una rabbia interiore che cercava di non esternare.
«Oh, e dove è finito il buon vecchio Nathaniel che aiuta gli altri e bla bla bla?» fece il verso.
«Non mi importa, l’unica cosa è che stia zitto e più lontano possibile da me»
Suonò la campanella.
«Io vado in classe, tu vai pure a marinare la prima ora come sempre… ciao Cass» disse alzando una mano dopo che aveva già girato i tacchi per andarsene.
Poco dopo le si riavvicinò Alexy che aveva la prima ora con lei, il quale prese a camminarle affianco senza troppe domande, accettando di buon grado il silenzio perentorio dell’amica; fu allora, mentre camminavano per il corridoio che dalla sera prima, si rincontravano Kentin ed Ivy, faccia a faccia, in mezzo ad una folla. Entrambi si sorrisero da lontano ed una volta uno difronte all’altro, senza guardarsi negli occhi si mormorarono un ciao.
Alexy guardava la scena da pochi centimetri di distanza, ma per i due era come se non esistesse; entrambi, anche se non si guardavano in viso avevano escluso il resto del mondo da intorno a loro.
«Io vado in classe» sussurrò la ragazza con un fil di voce.
«Vengo con te» disse con altrettanto fiato lui.
Alexy rimase fermo al suo posto e proprio come aveva immaginato nessuno dei due lo stava aspettando o lo chiamava per raggiungerli; camminavano da soli per il corridoio, sfiorandosi di tanto in tanto la mano, un gesto che poteva sembrare casuale, ma che all’occhio clinico del ragazzo risultava più che intenzionale.
«Penso sia successo qualcosa tra quei due… ce l’ho con te sai» disse girandosi verso gli armadietti dietro di lui.
Castiel lo stava fissando appoggiato con una spalla ad un paio di ante metalliche.
«Uhmpf» sbuffò il ragazzo prima di andarsene e lasciare da solo quello strano ragazzo con le cuffie al collo.
«Non che mi aspettassi chissà che reazione ma almeno un piccolo commento… povero Castiel, posso capirlo fin troppo bene» sbuffò Alexy ad alta voce anche se non c’era nessuno lì ad ascoltarlo.  
Appena arrivato in classe stava per andare a sedersi dove si metteva sempre, tra Ivy e suo fratello Armin, ma varcata la soglia notò che la ragazza non era seduta al suo solito posto, ma in prima fila accanto a Kentin; passandogli accanto per andare al suo banco in fondo all’aula notò che i due si comportavano ancora in modo insolito, non sapeva di preciso che tipo di rapporto avessero in quel momento ma non era il solito astio che lei provava giornalmente nei confronti di lui per lo sbaglio del giorno del ragazzo. Continuavano a fissarsi e a sorridersi senza un perché, parlando con frasi a metà ed interrotte da altri sorrisi ancora più radiosi di quelli precedenti; Alexy di certo era un tipo molto aperto e solare ma neanche lui riusciva a cacciare quei sorrisi splendenti di mattina così presto; si sedette e vide che il fratello era già al suo posto.
«Armin, che ci fai qui? Allora sei venuto»
«Sei tu che non mi hai aspettato a casa, eppure sono arrivato prima io» boffinchiò il moretto in  modo strafottente mentre frugava nel suo zaino. «Non smetti di fissare Ivy oggi, cos’è hai avuto ripensamenti? Un cambio di gusto?»
Alexy si girò solo un’istante per guardarlo in faccia ed il suo sguardo parlò per lui; poteva stilare un elenco di cento motivi per i quali non gli sarebbero mai piaciute le ragazze e di certo se avesse avuto un ripensamento non sarebbe stato così immediato e veloce – pur ipotizzando di pensarci solo.
«Oppure sei solo geloso?» gli chiese Armin mentre cercava un gioco interessante da fare durante la meno interessante lezione di chimica della prima ora.
«Geloso? E perché mai, Ivy è una mia cara amica e non mi può fare altro che piacere che tra lei ed il suo primo amore vada tutto rose e fiori» esclamò con un tono tirato che non si addiceva proprio alla sostanza della frase appena detta.
«Non mi riferivo a lei, ma geloso di lui»
Il ragazzo si limitò a sbuffare un qualcosa di incomprensibile al fratello, prima di girarsi in avanti per fissare la lavagna su cui era ancora scritta la lezione del giorno prima, senza più degnare di attenzione il suo gemello.
Il professore entrò in classe, salutò i suoi alunni e prese posto alla cattedra chiedendo scusa per l’evidente ritardo; dopo di che prese il libro da uno dei cassetti e lo aprì alla pagina della lezione del giorno.
Un attimo dopo stava suonando l’allarme antincendio.
«Con calma ragazzi» esclamò il professore con il tono leggermente allarmato che non fece affatto piacere sentire ai ragazzi «Non sapevo che ci fosse in programma una prova di evacuazione ma lentamente dirigiamoci verso l’uscita, tutti in fila, uno dietro l’altro, su» disse cercando di far uscire in modo ordinato la sua intera classe che iniziava ad allarmarsi.

 
 
«Devi darmi quelle registrazioni Peggy!»
«E perché mai dovrei? Questo è il mio pezzo forte per l’uscita del mese prossimo!»
«Ti prego Peggy, mi servono adesso, la ragazza a cui tengo di più non mi crede e potrei perderla per sempre se non le mostro quel video» la supplicò il ragazzo.
«Mi spiace Kentin, non so davvero che fare… se questo video lo vede qualcuno prima che io lo pubblichi sarà del tutto uno spreco di tempo! La notizia non sarà più nuova, niente di eclatante, niente di mai visto… ed Ambra che viene trattata in quel modo, fidati, non si è mai visto»
Kentin non sapeva più che pesci prendere, avrebbe dovuto aspettare un mese e sperare di trovare ancora Ivy disposta a sentire le sue scuse.
«Appena tirerò il giornale, sarai il primo che contatterò e ti darò tutto il materiale che ti serve; mi spiace per la tempistica ma il mio lavoro da giornalista in questo liceo per me è tutto!»

 
 
Castiel camminava da solo per quei corridoi deserti, sapendo dove andare e cosa fare; la prima ora sul suo orario segnava chimica, una materia che non aveva quasi mai fatto in tutta la sua vita, ma sapeva dove si trovava l’aula 3-B.  Svoltò l’angolo e si trovò proprio di fronte la porta della sua meta; l'aprì d’un botto ed anche se l’allarme antincendio suonava ancora per tutto il liceo, la classe non era vuota.
«Nathaniel?!»
Il ragazzo biondo, che stava piegato sulle ginocchia, davanti uno dei banchi in prima fila si alzò di scatto evitando per poco di dare una testata sulla parte inferiore del pianale del banco.
«Castiel? Cosa ci fai tu qui?»
«Cosa ci faccio io? Cosa ci fai tu piuttosto! Io ho lezione qui la prima ora» disse con tranquillità.
«Non hai sentito suonare l’allarme antincendio?» lo rimbeccò.
«Nemmeno tu a quanto pare… cosa stai facendo qui, potresti bruciare insieme alla scuola se non ti sbrighi ad uscire» stuzzicare quell’idiota era la sua più grande passione.
«Vale anche per te, ma penso che tu sappia fin troppo bene che non c’è nessun incendio… centri qualcosa con tutta questa storia?» chiese sospettoso, sapendo già che anche se avesse negato l’artefice di tutto quel caos era proprio lui.
«Suppongo di no: non ci sono fiamme né alcun tipo di fumo quindi sono venuto a recuperare la mia roba; ma la tua presenza qui non ha ancora un perché… in particolar modo, cosa ci fai vicino al banco di Ivy?»
«I-Ivy?» chiese il ragazzo visibilmente confuso.
«Già»
«Io non pensavo che oggi ci fosse seduta lei qui; in effetti non mi sembrava la solita borsa… di solito qui si siede…»
«Oggi non c’è a quanto pare, ed Ivy preferisce che tu le giri a largo» disse senza scomporsi Castiel.
«Da quando sei il suo portavoce? Lascia perdere, ormai quella ragazza è del tutto fuori controllo! Tra te e Kentin non so chi la sta sviando di più…»
«…»
«Lascia perdere ho già parlato abbastanza»
Senza aggiungere ulteriori commenti Nathaniel uscì dalla porta, lasciando cadere una busta bianca dalla sua tasca e senza accorgersene se ne andò via lasciandola lì, sul pavimento.
Poi Castiel la raccolse.  
 
                                                                       ****
«Dannazione non trovo più il mio libro, dove diavolo l’ho messo…» Kentin stava cercando ovunque il suo libro di chimica, nello zaino, nell’armadietto, nell’aula dove si era tenuta la lezione ma non c’era verso di trovarlo; non sapeva più dove sbattere la testa, ma sapeva che c’era ancora un ultimo posto dove cercare, negli oggetti smarriti e sapeva a chi doveva rivolgersi e dove trovare quella persona. Si fece tutto il corridoio a correre fino ad arrivare alla sala delegati dove si affacciò cercando Nathaniel. Il ragazzo fortunatamente c’era e appena si sentì nominato alzò lo sguardo sorridendo, ma appena vide chi lo stava cercando il suo radioso sorriso sparì all’improvviso, dando posto ad un’espressione molto più infastidita di quando vedeva Castiel.
«Cosa ti serve?» domandò in maniera molto forzata.
«Non trovo più il mio libro di chimica, per caso qualcuno te l’ha portato qui?» chiese speranzoso.  
«No» fu l’unica risposta secca che ebbe.
«Sicuro?» esclamò un po’ sorpreso dalla poca disponibilità del ragazzo, che di solito era la sua caratteristica principale e proverbiale.
«Vuoi dirmi che non so fare il mio lavoro?» intimò Nathaniel come se per la prima volta in vita sua volesse attaccar briga.
«No, volevo solo ritrovare il mio libro…» gli ripose Kentin ancora confuso da quel comportamento anomalo.  
«Qui non c’è, puoi andare a cercarlo da un’altra parte» gli disse con un tono come se gli stesse dicendo di andare a quel paese.
«Vado… è da quando sono entrato che sembra mi volessi cacciare via; direi quasi che non fossi affatto felice di vedermi»
«Oh, ma lo sono invece» gli rispose il biondino in tono molto calmo e pacato «Sono davvero felice di vederti… almeno oggi la maglietta la indossi invece di portartela dietro girando a torso nudo»
«…. Cosa..?»
«Ti ho visto ieri… a casa di Ivy»
Qualunque altra persona sarebbe sbiancata in quel momento ma Kentin restò impassibile.
«E con ciò?» gli chiese spavaldo.
«Pensavo che non ci fosse nessuno peggio di Castiel, però a quanto pare c’è chi la sprona a fare di peggio»
Kentin scattò sull’attenti, diede un pugno sulla cattedra alla quale era seduto Nathaniel e si mise faccia a faccia con lui.
«Stai lontano dalla nostra vita privata e pensa agli affari tuoi» gli intimò in un sol fiato prima di alzarsi lentamente per andarsene, sempre senza distogliere lo sguardo da quello dell’altro.
«So che ci hai provato anche con mia sorella e questi sono decisamente fatti miei» esclamò ancora più adirato di prima.
«Quella è un’altra storia e non ti preoccupare che non ci voglio più avere nulla a che fare!» urlò prima di uscire da quella sala.
Si sentì prendere per un braccio con poca delicatezza e trascinato nella classe affianco.
«Non so cosa tu abbia fatto, ma se stai solo facendo i tuoi comodi sappi che stai giocando con il fuoco»
Davanti a lui c’era un Castiel più arrabbiato che mai, che senza un motivo apparente lo aveva trascinato con sé e minacciato; ma senza aggiungere altro o dargli spiegazioni su quell’enigmatica frase se ne andò via lasciandolo lì da solo.
Due impiccioni in una sola giornata; era un record; anche se non era sicuro che il rosso si stesse riferendo alla sera prima con Ivy, visto che in teoria non doveva esserne a conoscenza… che il segretario ed il ragazzaccio ribelle avessero fatto comunella per rendergli la vita un inferno? Perché impicciarsi dei fatti suoi poi, non lo capiva proprio. Si aggiustò la maglia che si era leggermente sgualcita e tornò in corridoio per prendere le sue cose ed andarsene, rassegnandosi all’idea che il suo libro lo aveva definitivamente perso. Vide passare Alexy con Violet che si dirigevano verso l’uscita; lo salutò cordialmente, come di solito faceva l’altro con lui ma in risposta ebbe un fiacco ‘Ciao’ da parte sua.
Raccolse le sue cose dall’armadietto ed uscì dal liceo.
Quel giorno erano tutti strani e si comportavano in modo bizzarro, più del solito; gli unici momenti in cui era stato tranquillo erano quando era stato in compagnia di Ivy, poi era stato tutto un susseguirsi di minacce e battibecchi, pensò mentre attraversava il parco, dirigendosi a casa.
Gli squillò il cellulare; quella giornata infernale non voleva proprio avere fine.
«Pronto» rispose tra l’incerto ed il pronto a sentirsi l’ennesima sparata della giornata.
«Kentin? Ho io il tuo libro di chimica» gli disse una voce dall’altra parte del ricevitore. 



Jay Myler
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Capitolo 10
*** Questioni in sospeso ***


«Kentin? Ho io il tuo libro di chimica» gli disse una voce dall’altra parte del ricevitore.
«Ivy?»
Kentin tolse il cellulare da vicino all’orecchio per controllare sul monitor il numero della persona che lo aveva chiamato, visto che prima di rispondere, in pieno nervosismo non ci aveva fatto proprio caso.
Sullo schermo c’era il numero di Ivy, che nonostante l’anno passato senza sentirsi, in cui i loro cuori si erano riempiti di risentimento, non aveva cancellato dalla memoria del telefono, anche se ormai aveva perso la speranza e si era convinto che la ragazza avesse cambiato numero ed avesse perso il suo, ma ora poteva escludere questa possibilità, in quanto sentiva chiara ed armoniosa la voce di Ivy dall’altro capo della chiamata.
«Sono io, Ivy, Ken…tin; allora questo è ancora il tuo numero, pensavo che, visto che in quel periodo non hai mai risposta, lo avessi cambiato… ma lasciamo stare. Ho il tuo libro di chimica, l’ho appena trovato nella borsa, devo averlo preso per sbaglio da sopra il banco alla fine della prima ora. In questi giorni abbiamo il test, se mi dici dove sei te lo porto un attimo»
Avevano pensato entrambi la stessa cosa quando avevano sentito la loro voce al cellulare capendo che i loro numeri erano sempre gli stessi.
«Io… non ti ho risposta? Mi hai chiamato? Io… dove sei?» sorrise lievemente senza accorgersene.
Nella testa di Kentin frullavano mille e più idee ma non riusciva ad esprimergliene nemmeno una in quel preciso istante, così distante da lei.
«A casa, sono appena arrivata, quindi se mi dici dove sei ti raggiungo»
«Tranquilla, vengo io da te, sono in zona»
Anche se non era del tutto vero, non aveva mentito del tutto, si trovava solo a pochi isolati di distanza da casa della ragazza.
«Ehm, va bene» disse la ragazza con una lieve nota di imbarazzo nella voce. «Vieni tu da me, allora?»
Ascoltare la sua frase detta da lei, gli fece capire l’imbarazzo che sicuramente le aveva imporporato le guance oltre che lievemente scosso la voce; le aveva appena detto che andava da lei e considerati i loro “precedenti” in quella casa, che ora balenavano nella mente di entrambi, creava un certo alone di imbarazzato disagio che però, stranamente, li avvicinava invece di farli allontanare.
«S-si, sto arrivando» e scambiandosi un ciao accennato chiuse la chiamata.
Non avevano ancora avuto modo di parlare del giorno prima, non che fosse passato chissà quanto tempo, ma era convinto che di cose importanti si dovesse discutere e mettersi d’accordo sul da farsi il prima possibile; l’aveva sempre pensata così, ma quando si trattava di chiarire di cose negative, come ad esempio la sua permanenza al campo d’addestramento che lo aveva allontanato dalla ragazza che amava, non aveva avuto il coraggio di parlarle subito ed a viso aperto, perdendo tempo e cercando ogni giorno un nuovo modo di temporeggiare e quando invece si stava convincendo a farsi avanti accadevano contrattempi che glielo impedivano. Ma adesso non c’era più tempo di aspettare, questo era il tempo di parlare, di chiarire su tutto, su tutta la loro storia, la loro relazione, che cosa erano l’uno per l’altra e come volevano che andassero le cose; dovevano parlare di quello che era successo l’anno prima, capire cosa era andato per il verso sbagliato e riparare ai torti che si erano fatti reciprocamente. Ora sarebbe andato a casa sua, con la scusa del libro di chimica ed avrebbe aggiustato le cose, si sarebbero messi a tavolino, uno di fronte all’altra e parlare, fino a notte fonda se necessario, con tutta la calma del mondo perché quello che importava ora era soltanto capire come erano andate e come volevano che andassero le cose. Non voleva perdere più tempo, iniziò ad alzare il passo, fino ad iniziare a correre, passando per il parco per tagliare e fare la strada più corta; ora che ci pensava, tutte le altre volte che erano tornati a casa insieme e lui la aveva accompagnata sotto casa, avevano fatto sempre la strada più lunga, passando per i negozi, e quelle poche volte che avevano tagliato per il parco avevano perso un sacco di tempo a passeggiare o si erano seduti su una delle panchine a chiacchierare amorevolmente. Senza nemmeno accorgersene quella ragazza gli aveva sempre dimostrato la sua disponibilità allo stare in sua compagnia, dimostrandosi sempre allegra e contenta dello stare con lui, mentre lui, o meglio il vecchio Ken, era troppo preso nel crogiolarsi nel suo pensare di essere troppo poco e mai all’altezza che non se ne era nemmeno accorto, perdendo forse la sua unica vera occasione di provarci. Ma forse non era troppo tardi; non è mai troppo tardi per il vero amore. Arrivò sotto casa della ragazza e stava rallentando perché quasi arrivato sotto la porta, quando si bloccò all’improvviso fissando un punto vicino la porta di casa di Ivy.
Da poco lontano, da dove si trovava, vide una scintillante moto rossa fermarsi proprio davanti casa della ragazza… ma non poteva essere chi temeva lui, era solo una sua paranoia.
La moto frenò e scese un ragazzo con un caso integrale rosso rubino; una volta sceso e messo il cavalletto, con molta grazia, togliendosi il copricapo protettivo, una fluente cascata di capelli rossi proprio come il casco, si liberò; non poteva essere chi credeva, quel ragazzo che aveva in mente non era affatto aggraziato, anzi era davvero un barbaro. Ma quando si girò e lo vide in viso capì che quel ragazzo così posato era niente meno che il suo tanto temuto barbaro, che visto sotto questa luce non era affatto rozzo; ma questo non faceva altro che farglielo odiare ancora di più.
Continuò a camminare, ricordandosi che lui aveva un motivo per stare lì, mente la presenza di Castiel non aveva un perché davanti casa di Ivy, quindi cercando di ignorarlo continuò a camminare; non gli fu difficile far finta di non vederlo in quanto dal canto suo, l’altro ragazzo, lo considerava ancora meno, cosa strana visto che pochi istanti prima lo aveva preso con la forza e minacciato. Anche se non lo vedeva si sentiva addosso il suo sguardo pieno d’odio rivolto su di lui, ma senza titubare bussò il campanello, aspettando che la ragazza lo venisse ad aprire.
Poco dopo sentì la porta aprirsi, ma la ragazza non lo attese sulla porta, ma sentì la sua voce da una delle stanze invitarlo ad entrare. Pur tenendo lo sguardo fisso di Castiel sulla sua nuca, entrò senza girarsi, ascoltando le parole accoglienti della ragazza; entrò come se stesse entrando in casa di estranei, un po’ a disagio ed intimorito, anche se conosceva quella casa molto bene. Cercò Ivy in cucina, della ragazza nessuna traccia, ma pochi istanti dopo la vide scendere le scale con una scarpa infilata ed un’altra in mano, mentre se la infilava scendendo, tra uno scalino ed un altro.
Dopo l’ultimo scalinò lo abbracciò al volo, un po’ le andava, ma era stato l’ultimo scalino a farla letteralmente cadere tra le sue braccia.
«Le scale non sono esattamente il posto più sicuro per te, eh? O devo pensare che lo fai apposta per cadermi tra le braccia?» le disse sorridendole e guardandola negli occhi ad una distanza massimo di cinque centimetri – i loro nasi quasi si sfioravano.
«Finché ci sei tu a prendermi al volo, non c’è nessun problema, no?» disse con le guance rossastre.
Se quell’abbraccio era stato forzato dallo scalino che l’aveva fatta inciampare, il bacio che gli diede immediatamente dopo era assolutamente e decisamente intenzionale.
Tutto il discorso che si era preparato nella mente di Kentin, scomparve in quell’attimo di assoluta perfezione e la sua mente si stava svuotando ad un ritmo così veloce che non si ricordava nemmeno il motivo per il quale era andato da lei.
Ivy lo prese per la mano e lo portò nel salone; prese il libro dalla borsa e glielo porse, ancora con le guance rosse ed il sorriso stampati in faccia.
«Senti Ivy, volevo parlare un po’ con te…»
Ivy non rispose nemmeno, si mise a sedere facendogli cenno di mettersi vicino a lei; era un po’ così che se l’era immaginata la scena: entrambi seduti uno accanto all’altro, tenendosi le mani strette tra di loro, parlando di tutto quello che passava loro per la testa; si sedette, le prese le mani tra le sue e prima che una frase di senso compiuto gli attraversasse il cervello, gli venne in mente che fuori la porta di casa sua c’era un Castiel in sella ad una moto rossa scintillante.
«Ah, prima di questo… sai che c’è Castiel fuori casa tua? Sai che quel ragazzo non mi…»
«Di già?» fu la risposta frettolosa della ragazza, che non era per niente stupita ma molto stranita. «È fin troppo puntuale a volte, così puntuale da essere in anticipo. Ed infatti, ecco…» disse prendendo il suo cellulare dal tavolo. «C’è un suo messaggio che mi dice di essere appena arrivato, devo sbrigarmi» concluse correndo a destra e sinistra prendendo tutte le cose che le servivano, come la borsa, le chiavi di casa, la felpa e quant’altro, lasciando un po’ perdere Kentin seduto sulla poltrona del suo salotto, mentre si avviava già alla porta; solo in quel momento lui si accorse dell’abbigliamento della ragazza: aveva degli shorts ed una canotta aderente viola, una felpa leggera ed una sciarpa al collo… quella sapeva perché la portava, la sera prima le aveva lasciato alcuni segni, ma per il resto non capiva il perché di quell’abbigliamento così provocante – provocante per lui, mentre per lei era molto essenziale e comodo.  
«Forza Kentin! Vuoi che ti chiuda in casa?»
In altra occasione il ragazzo le avrebbe fatto una battuta simpatica, ma non gli scendeva il fatto che Ivy dovesse uscire con Castiel senza che lui sapesse nemmeno il perché.
«Ivy… Ivy! Aspetta un attimo!»
Ma la ragazza non lo sentì.
Al ragazzo non rimase che uscire di casa e vedere come si svolgevano le cose; Ivy senza troppo pensarci, chiuse la porta di casa e salutò Kentin baciandolo al volo.
«Lo so che dovevamo parlare, ma ora davvero non posso, facciamo un’altra volta, ok? Ci sentiamo dopo» gli disse senza dargli l’occasione di ribattere baciandolo nuovamente, per poi dirigersi verso l’altro ragazzo che stava appoggiato alla sua moto.
Non poteva restare a guardare come la sua Ivy salisse sulla moto con quel barbaro di Castiel e non voleva attaccar briga con lui sia perché non si sentiva ancora all’altezza sia perché la ragazza ci era andata di sua spontanea libertà, così optò per una ritirata strategica e se ne andò voltando il primo angolo per non vedere la scena. Appena girato si accorse di una cosa importante: gli mancava qualcosa.
Si mise le mani in tasca: la fasciatura con un gattino disegnato sopra, di Ivy, che aveva trovato attaccata alla sua maglia, non c’era più. La sera prima doveva averla presa insieme ad essa per sbaglio, mentre stava andandosene da casa sua per colpa di Nathaniel.
Ora l’aveva persa… e pensare che era la preferita della ragazza e voleva riportargliela.
Ma dovevano sempre parlare, quindi nella serata l’avrebbe richiamata per mettersi d’accordo; aveva comunque un motivo per vederla anche fuori di scuola.  
Intanto Ivy stava prendendo il suo casco integrale dalla moto di Castiel che intanto si era allontanato un attimo da lei per andare a pochi metri di distanza; aveva visto cadere dalla tasca di Kentin, mentre se ne stava andando, qualcosa.
Era decisamente la giornata del trovare le cose che la gente perde senza accorgersene: prima la lettera di Nathaniel, ora questa… fasciatura?
La prese in mano e vide che era una fasciatura, ma non una qualsiasi, ma quella della ragazza che stava indossando il casco dietro di lei, quella con lo stupido gatto disegnato sopra; ma senza dirle nulla, se la mise in tasca e la raggiunse, montando in sella ed aspettando che Ivy si mantenesse a lui prima di mettere in moto e partire.
 

«Quindi lo hai fatto davvero…»
«Ovviamente»
«Tutto questo subbuglio per cosa poi? Hai movimentato una scuola intera» rispose seraficamente ma un po’ amareggiato il ragazzo.
«Non è mica la prima volta che faccio suonare l’allarme antincendio, Lysandre»
«Lo so Castiel, ma non pensavo potessi ridurti a questo per fare i tuoi comodi; intendiamoci, lo so che non stai facendo questa cosa per un tuo profitto, ma in certe questioni sarebbe meglio non intromettersi»
Ma sapeva benissimo che le sue parole era andate al vento; prima di questo aveva corrotto una giornalista per avere quello che voleva, informazioni e prove tangibili, quindi un allarme antincendio fatto scattare non era di certo un grande problema.

 
 
 
 La mattina dopo Kentin arrivò a scuola abbastanza tardi, anche se in realtà aveva intenzione di arrivare in anticipo per trovare e parlare con Ivy che non era riuscito a rintracciare la sera prima; ma le sue migliori intenzioni erano svanite appena la sveglia aveva deciso di non suonare. Arrivato a scuola si precipitò all’armadietto, per posare i libri che non gli servivano ed andare in classe più leggero. E fu all’armadietto che fece il primo incontro della giornata; ma non era esattamente la persona che si aspettava.
Più che un incontro fu uno scontro.
«Non ti permettere mai più e dico mai più di metterle una mano addosso! Non mi fido di te, hai qualcosa che non va, non me la conti e finché non sarò sicuro delle tue vere intenzioni non devi permetterti mai più! Devi ringraziare che lei ci tiene troppo a te e che per questo non ti metterò le mani a dosso, ma se vengo a sapere ciò che temo e ne ho la sicurezza, nessuno mi ferma più!»
Senza troppi indugi Castiel, che un’istante prima gli si stava scagliando contro, girò i tacchi per andarsene; una delle solite scene tra di loro se non fosse stato per una piccola differenza: Kentin lo afferrò per una spalla e lo fermò, piantandosi proprio di fronte per bloccarlo e dire la sua.
Una volta tanto era riuscito a trovare il coraggio di fronteggiarlo.
Mentre prendeva l’ultima briciola di coraggio per trovare le parole da dirgli, notò che sulla fronte aveva due bernoccoli, non molto evidenti perché nascosti da capelli, ma se ci si faceva attenzione si notavano due piccoli rialzi sulla cute.
Non riusciva nemmeno ad immaginare chi fosse stato a procurarglieli; non sapeva come definire quella persona, se stupida, azzardata o coraggiosa o se tutte e tre le cose.
«Non so cosa tu voglia da me e da Ivy, ma devi lasciarci in pace; non mi capacito ancora del perché lei ti dia così tanta confidenza, devi fartene una ragione che lei è mia e non te la lascerò così facilmente e a differenza tua non sono un barbaro prepotente, tutto quello che abbiamo fatto è stato assolutamente casuale e voluto da entrambi… e senza che mi guardi così, non mi fai paura, per Ivy affronterei anche cento Castiel, quindi non impicciarti più nella nostra vita privata!» Quella frase era diventata il suo cavallo di battaglia; non sapeva ancora come ma era riuscito a dire a Castiel di lasciar stare lui ed Ivy e di farsi gli affari suoi ed adesso non sapeva come andarsene da lì, temendo una reazione violenta del ragazzo.
Ma non dovette pensarci troppo sul come lasciarlo da solo, perché a dispetto di tutte le aspettative fu proprio Castiel ad andarsene, senza dire assolutamente nulla; non si aspettava di certo una reazione simile dal ragazzo, anzi si era già preparato psicologicamente a ricevere un pugno o a fare una rissa, ma non accadde nulla di tutto ciò.
Ancora scosso e stranamente euforico dal fatto di essersi sfogato e confrontato una volta per tutte con quel bulletto dai capelli tinti, si lasciò andare vicino agli armadietti e tirò un sospiro di sollievo; ormai era arrivata quasi alla seconda ora, ma non aveva nessunissima voglia di andare a lezione. Decise allora di uscire fuori al cortile e si mise a sedere sulla panchina, con il libro di chimica sulle gambe; non sapeva perché se l’era portato dietro, però più lo guardava più gli veniva in mente il giorno prima e gli tornava in mente il fatto che non solo Ivy aveva passato l’intero pomeriggio con il rosso, ma la sera non era riuscito a contattarla. Ormai aveva messo le cose in chiaro e non si aspettava più intromissioni da parte di quell’attaccabrighe nella loro relazione… relazione che dovevano ancora definire.
Prese il libro ed iniziò a sfogliarne le pagine, senza far caso a cosa ci fosse scritto su ogni singola pagina o alle figure impresse e fu così che si accorse di un bigliettino nel mezzo.
Un bigliettino semplicissimo, bianco, piegato a metà; lo aprì e vide che su di esso c’era una scritta semplice e ben scritta:
Vediamoci alla serra, alla terza ora.
Ti aspetto lì.
Non sapeva a che giorno si riferisse, ma vista la genericità capì che sarebbe potuto andare anche quel giorno e l’avrebbe trovata lì; trovata, sì. Perché l’unica persona che aveva potuto mettere quel biglietto nel suo libro di chimica era proprio quella ragazza, l’unica che aveva avuto tra le sue mani quel libro il giorno addietro.
Ivy.
 
Jay Myler
© ALL RIGHT RESERVED ©
 
 
 
Nota dell’autrice
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Allora, prima di tutto dovrei cominciare con uno SCUSATE generale, il perché è ovvio: vi ho abbandonati/e per tutto questo tempo senza scrive un accipigna di nulla, scusate, scusate, scusate >///<
Scrivere una storia a capitoli richiede attenzione e cura ed io vi ho – come si suol dire- sedotti/e e abbandonati/e; mi ero presa un impegno e per colpa dello studio l’ho tralasciato è stato un po’ come darvi appuntamento e non presentarmi dandovi buca… potrei continuare a chiedere scusa per giorni, ma finiamoli qui.
                                            Spero mi perdoniate *piange*
Per farmi perdonare alla fine della storia – non manca molto, molto, molto ma nemmeno poco ad esser sinceri – aggiungerò un capitolo extra e scriverò come e chi ha procurato quei bernoccoli al povero Castiel – povero piccolo teppistello.
Ah, per importunarvi un altro po’ ho notato una cosa e vi metterò al corrente di essa per farvi partecipi e chiedere la vostra opinione sulla cosa:
Il capitolo 8 “Rude e passionale” di questa storia, descrive un modo di porsi ed un atteggiamento più intimo tra Ivy e Kentin – niente di scandaloso ovvio, o almeno così credo io; però ho notato che c’è un numero di visualizzazioni molto più basso rispetto agli altri capitoli, ciò mi fa pensare che non vi sia piaciuto e non vi abbia interessato abbastanza.
Ho ragione? Ditemi pure la vostra, così per regolarmi anche – in attesa eviterò atteggiamenti più intimi o comunque di dettagliarli, li lascerò un po’ all’immaginazione come per esempio un bacio rimarrà solo tale senza dettagli specifici, ma solo uno spunto per la vostra immaginazione, lo nominerò e basta senza allargarmi troppo.
Fatemi sapere, mi raccomando!
Alla prossima!
*Cercherò di non tardare troppo a scrivere il prossimo capitolo*

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Capitolo 11
*** I fiori dell'amore ***


Il tempo gioca degli strani scherzi, corre quando non deve e quando vogliamo che passi inizia a rallentare sardonicamente, scandendoti ogni secondo come un infinito secolo di rassegnazione e sofferenza, facendoti aspettare invano a fissare un orologio che sembra non muoversi mai. Poi ci sono quei momenti in cui attendiamo che le ore passino, i minuti, i secondi addirittura, perché stiamo aspettando qualcosa di particolare, un evento importante, ed è in questi momenti che il tempo dà il meglio di sé, dandoci non solo l’impressione ma la certezza che i minuti non passano mai e che, anzi, quasi quasi tornano pure indietro solo per farti rimanere un altro poco sulle spine. Ed era proprio in una di queste situazioni che si trovava Kentin, nell’attesa estenuante di una mezz’ora che non passava mai, con la lancetta dell’orologio fissa su quel sei, intenzionata a non schiodarsi da quel numero, come se avesse deciso di metter su famiglia. Quell’orologio era sempre stato odiato da tutti gli studenti: in bella vista sulla parte frontale del liceo mostrava a tutti che era l’ora di entrare in classe ed iniziare a studiare pacificamente – per altri forzatamente – in un ambito colmo di gente sgradevole o con più autorità di te. Ma non era questo che faceva tremare le gambe di Kentin, non questo che gli faceva gorgogliare lo stomaco, non era questo il motivo che faceva stringere tra le mani del ragazzo dei poveri pezzi innocenti dei suoi cargo stile militare. L’ambiente intorno a lui era la quintessenza del silenzio, un rumoroso, fastidioso, imperterrito ed assordante silenzio che gli faceva perdere ancora di più la calma.
La lancetta si era mossa di un paio di minuti.
Silenzio.
Possibile che in questa seconda ora, in cui regnava una calma assoluta dove lui era l’unico elemento errato che disturbava quella quiete così apparentemente bucolica, nessuno avesse saltato la lezione, nessuno avesse fatto ritardo e che ci fossero soltanto lui ed i suoi pensieri seduti uno a fianco all’altro sulla stessa panchina, sotto l’albero che gli faceva ombra in quella calda giornata primaverile? Ma perché stava in ansia, cosa lo turbava così tanto, cosa gli faceva fissare così intensamente una lancetta d’orologio?
Un invito scritto, trovato per caso nel suo libro di chimica; un bigliettino abbastanza anonimo, scritto con una bella calligrafia… a dire la verità quel tipo di scrittura, così pulito, così curato, così delicato, non lo aveva mai visto, nemmeno sui quaderni della persona che pensava fosse il mittente. Il suo libro, per una mezza giornata era stato nelle mani di una sua vecchia compagna di classe delle medie, una sua vecchia fiamma che era anche una sua attuale compagna delle superiori e soprattutto la sua attuale fiamma. Fiamma era dire poco per lui, questo sentimento se lo portava dentro da molti anni, ma lui aveva deciso di resettare, di ricominciare da capo e così era stato, alla fine avevano deciso di fare come se si fossero appena conosciuti. C’erano ancora delle cose da chiarire, che stavano lentamente iniziando a prendere forma, ma non voleva forzare la mano, aspettando ansioso che venissero tutti i nodi al pettine, uno per volta. Possibile che nella sua mente ci fossero così tante cose che lo rendessero ansioso?
Possibilissimo.
Da quando aveva conosciuto Ivy era in perenne ansia, ma da quando la stava frequentando, come ragazza, ufficialmente, davanti agli occhi di tutti, beh… era decisamente più in ansia del solito, ed ora questo criptico biglietto che lo invitata ad andare nella serra per incontrarla, là dove un anno prima avevano passato tante belle giornate a coltivare piante e fiori di ogni genere, quel posto che gli era così familiare, lo faceva tremare di paura al solo pensiero di doverci mettere piede tra meno di dieci minuiti.
A quanto pare perdersi nei propri pensieri faceva passare abbastanza velocemente il tempo.  
La calura che stava attanagliando tutti quel giorno fu smorzata da una leggera brezza che passò per il cortile del liceo , facendo ondeggiare i rami degli alberi del viale, donando a tutto quel verde ed a quel ragazzo, un attimo di respiro e di freschezza; per essere solo un liceo era ben strutturato, c’erano addirittura più complessi che lo componevano, tutti ben tenuti, completamente immersi nel verde, era sicuramente un bel posto dove trascorrere le giornate se le ore da trascorrere non fossero state designate in aule claustrofobicamente strette e circondato da altre persone.
Si alzò dalla panchina, rilassò i muscoli della schiena tendendo le mani verso il cielo e scosse le gambe che erano in preda ad un leggero intorpidimento per il non averle mosse per un po’; anche se mancavano ancora cinque minuti, pensò che arrivare un po’ in anticipo non avrebbe infastidito nessuno, così iniziò ad avviarsi alla serra.
Era stranamente isolata, non c’era nemmeno Jade che di solito gironzolava sempre da quelle parti a supervisionare tutte le piante, c’era solo un alone di solitudine… probabilmente non era ancora arrivata. Evitando di schiacciare qualche malcapitata pianta dell’orto scavalcò la siepe che circondava la metà del perimetro della serra ed entrò dal retro per non destare sospetti. In tutto l’anno se ci aveva messo piede tre volte era davvero un gran traguardo, considerando che l’anno prima ci passava le intere giornate tra quelle quattro mura di vetro; il caldo si accusava certamente, ma non era più snervante di quello che c’era fuori sotto il sole cocente di metà mattina. Dove si sarebbe dovuto mettere per aspettarla? Seduto su una sedia, con una mano sotto il mento che gli avrebbe dato un’aria intrigante? Seduto a terra come se fosse stato una pianta sbucata dal terreno, oppure appoggiato con una spalla al muro fissandola con aria interrogativa? Alla fine optò per sedersi al solito posto dove si metteva sempre quando andava a parlare con Jade, su un bancone leggermente decentrato, in mezzo ai vasi là sopra poggiati. Non dovette aspettare molto prima che la porta sul retro si aprisse cigolando leggermente nei suoi cardini non abbastanza oliati e fu lì che vide chi lo stava aspettando, ossia il mittente del biglietto.
«Kentin, come stai?» prima si sentì la voce riecheggiare dal fondo, poi si vide un grosso vaso avanzare in prima fila e dopo una schiera di capelli verdi rinchiusi sotto un grazioso cappellino marrone.
«Oh Jade, sei solo tu» disse Kentin sconsolato, vedendo che non era di certo la persona che lo aveva invitato lì alla terza ora.
«Come sono solo io?» gli chiese il ragazzo con un accenno di tristezza ma sempre con un gran sorriso stampato sul volto, mentre poggiava il vaso che aveva appena comprato sul banco di fronte a dov’era seduto il ragazzo.
«Non intendevo questo è che sto aspettando… un'altra persona, ecco tutto»
«Che cosa strana, io stavo aspettando esattamente te invece!» squittì il ragazzo in modo molto allegro e vivace.
«Quindi sei tu che mi hai mandato quel biglietto?» chiese ad un fil di voce Kentin cercando di pensare a che strano giro avesse potuto fare il giorno prima il suo libro.
«Niente di tutto ciò, devo solo parlarti… da tempo dovevo farlo, ma vai sempre così di fretta tu!» disse continuando a sorridere.
Quei sorrisi non finivano mai.
«Non so come tu abbia saputo di venire qui, ma mi hanno detto di fare quattro chiacchiere con te»
«Chi è stato, per caso è stata Ivy, vero? Ne sono certo, perché vuole che mi parli, cosa ho fatto adesso?» esasperò portandosi le mani in viso.
«Calmati dai; non è stata lei, diciamo che è stata una concomitanza di cose che mi ha portato a vederti tornare qui, per poterti finalmente parlarti e mostrati quella famosa cosa!»
Kentin tornò indietro con la mente e si ricordò di quando la prima volta aveva litigato con Ivy che Jade gli aveva offerto un suo consiglio e si era mostrato propenso a mostrargli una cosa, che per mancanza di tempo - e di tatto da parte sua, che era scappato via prima che potesse effettivamente mostrargliela - non si era ancora palesata.
«Ottimo, adesso saprò cosa volevi mostrarmi»
«Già ecco… è che… mi sono scordato» disse ridacchiando il ragazzo mentre si toglieva il cappellino mostrando in pienezza i suoi capelli di quel verde intenso e particolare. «Mentre ci penso mica ti dispiace se continuo qui? Dovrei travasare alcune piante»
«Tranquillo, fai pure; possibile che tu abbia buona memoria solo per piante e consimili?» gli chiese leggermente depresso.
«Scusami davvero, è che torno ora dal negozio di fiori, sono andato a comprare un vaso» disse indicandogli con la mano, che aveva appena infilato nel guanto, il vaso che poco prima aveva portato dentro «Mi ha accompagnata Violet; non so cosa possa centrare con quello che ho da dirti, ma le cose tra di noi stanno andando davvero bene, anche se ultimamente la vedo persa nei suoi pensieri, distante… chissà cosa le passa per quella sua deliziosa testolina»
«Violet è sempre tra le nuvole, non c’è mica da stupirsi se ti sembra assente» disse senza inflessione al ragazzo che si stava infilando anche l’altro guanto.
«Non dire così!» lo riprese Jade, facendo sparire per la prima volta il sorriso dalle sue labbra «Con me sai che si è sempre posta in maniera diversa e più aperta; soltanto perché ti sei rinnovato non vuole dire che ti si sia cancellata la memoria. Meno di un anno fa passavi qui intere giornate e sai molto bene com’è quella dolce ragazza quando si trova a suo agio» Kentin non rispose, lo fissò soltanto come per chiedergli scusa del suo disinteresse, ma lui doveva anche capire che era andato convinto di dover parlare di una cosa importante con la sua ragazza, o almeno con Ivy che era la cosa più vicina ad una ragazza che aveva ora, mente invece si era trovato infilato in una discussione non sua; alla fine non gli avrebbe fatto male distrarsi un po’, quindi iniziò ad ascoltare attivamente.
«Ultimamente è più scostante nei miei riguardi, non so; sarà che sta uscendo con un suo compagno di classe… non che la cosa mi urti, anzi, non mi può far altro che piacere che si apra e che faccia amicizia anche con altri ragazzi ma sento che questa nuova amicizia la sta allontanando da me»
«Hey, che hai sul viso?» chiese allarmato Kentin.
«Dove?» chiese leggermente allarmato Jade.
«Ma lì. Sul viso, al livello della bocca»
Jade si toccò le labbra, non sentì nulla di strano ma la spiegazione dell’altro non si fecero aspettare.
«Hai un broncio al posto del sorriso e noi qui a scuola non siamo abituati a vederti senza un bel sorriso stampato in faccia, quindi smetti di preoccuparti; se può farti stare meglio parlerò con Ivy e chiederò a lei; stranamente si trova sempre in mezzo a tutte queste cose, anche se solo un accenno lo saprà»
Il giardiniere gli sorrise, speranzoso, ma gli disse di non preoccuparsi e che le cose sarebbero andate come dovevano andare,
Continuarono a parlare del più e del meno e senza nemmeno accorgersene Kentin aveva incominciato a dare una mano a Jade nei travasi che stava facendo; poi prese il vaso più grande, quello nuovo e lo poggiò davanti a lui dicendogli che sarebbe tornato con una pianta che si trovava sul retro. Non ci vollero più di due minuti che il ragazzo tornò con in braccio una grande pianta fiorita di calle, le più belle calle che avesse mai visto; avrebbe voluto sperare, in cuor suo, che fossero le calle che l’anno prima stava coltivando con Ivy, ma erano così cresciute che non poteva essere. Da quel poco che ricordava di botanica, le calle andavano travasate all’incirca ogni due anni, e di certo questi non erano ancora passate per le sue calle, queste di certo dovevano essere delle altre.
«Ecco cosa dovevo farti vedere, le calle!» disse Jade con un finto stupore spudoratissimo. «Sono belle, vero? Ti volevo raccontare la storia di questi fiori meravigliosi:
Nacquero tutti come dei piccoli semini graziosi, piantati da una coppia di studenti del liceo; erano forse i semini più amati e coccolati e ben curati di tutta la città. Chi li aveva piantati aveva davvero una passione per loro e per quello a cui erano destinati… una volta fioriti sarebbero stati regalati alla ragazza che faceva parte della coppia, per il suo compleanno. Era stato tutto calcolato, i fiori sarebbero sbocciati proprio nel periodo giusto e pronti per la data prefissata; non mancava un giorno che si prendessero cura di questi adorati fiorellini. La coppia in questione, non era solo una coppia per il progetto, ma anche una coppia nella vita, anche se ancora nessuno dei due lo sapeva. Un giorno accadde però la cosa più triste che potesse succedere; la coppia si sciolse. Lui partì e lei rimase da sola con la pianta. Quell’anno le calle non fiorirono. La pianta sopravviveva e si nutriva della speranza di lei nel voler vedere tornare il suo lui, ma le sue preghiere non furono ascoltate per molto, molto tempo. Ma un giorno, benedetto e maledetto allo stesso tempo, egli tornò, molto diverso e cresciuto, tornando però la fece soffrire, dandole un gran dispiacere ed anche questi poveri fiori lo accusarono, iniziando lentamente e decedere; ma in lei la speranza non era mai morta, quel ragazzo che era tornato così diverso nascondeva in sé ancora la vera essenza del ragazzo che l’aveva abbandonata per forza di causa»
«E come è andata a finire tra i due?»
«Pensavo si fosse capito, no?» gli rispose con un sorriso. «Questa pianta si nutre del loro amore, queste cose le piante le percepiscono e le metabolizzano; ora guardale bene, come pensi che stia andando il loro rapporto? Come vedi queste calle?»
«Stupende, mi ricordano quasi quelle che stavamo coltivando io e…»
Kentin si avvicinò d’un botto a quel vaso di fiori, fissando una piccola targhetta attaccata sul dietro del vaso che portava inciso il nome di chi stava portando avanti il progetto.
«Sono… le nostre? Come sono belle e come sono cresciute e ben tenute… ho azzardato a dire che sono le nostre, ormai sono le sue calle, io non ci ho a che fare da tano tempo, troppo tempo» disse con una nota malinconica nella voce.
«Facciamo così allora, qua me la vedo io, perché tu non vai da Ivy e parlate di quello che vi siete lasciati alle spalle con amarezza?»
I due si guardarono complici, sorridendosi all’unisono, finché Kentin se ne andò via, diretto verso il liceo.

 

 
«Senza che insisti oltre, non sei il primo che me le ha chieste e non sarai di certo la persona a cui le darò; queste sono le mie registrazioni e ci faccio quello che voglio!»
«Ma davvero?» chiese sardonico il ragazzo. «Non so tu quanto ne sappia, ma anche se si parla a livello scolastico non puoi divulgare informazioni che non ti appartengono citando nomi e persone specifiche; mi spiace ma è illegale… hai i consensi?»
Penny iniziava a pensare solo ora che quello scoop non era tanto uno scoop, quanto un vero e proprio impicciarsi nei fatti altrui per divulgarli gratuitamente; la sua brillante carriera giornalistica stava scandendo in un gossip da quattro soldi.
«Ehm, no a dire il vero»
«Come pensavo, quindi. Facciamo un patto, tu mi dai le registrazioni ed io non dico ad Ambra cosa tu volevi fare»
«Non mi spaventa mica quella barbie in calzamaglia»
«Oh, a nessuno mette paura quella lì, ma sappiamo tutti che non è molto simpatica quando porta del rancore a qualcuno; se poi non la vogliamo mettere sotto questo aspetto diciamo pure che la Direttrice potrebbe venire a saperlo che c’è qualcuno che durante l’orario scolastico spia e registra le conversazioni altrui… questo è al di fuori anche dei tuoi compiti, per non parlare del fatto che nella punizione potrebbe rientrare anche un badare a quel malefico cane che…»
«Va bene, va bene… basta!» disse in preda al panico la ragazza. «Eccoti qua, prendile pure, facci quello che vuoi, basta che la responsabilità non ricada più su di me» gli disse mettendogli in mano una cassetta registrata, mentre si rendeva conto di dover cercare qualcosa altro da mettere in prima pagina.

 

 
 
 
«Assemblea?»
«Assemblea» gli confermò Alexy.
«Possibile che mi allontano un attimo e succede che una giornata qualunque diventi assemblea?» sbuffò Kentin ad alta voce.
«Sembra quasi che non ti faccia piacere tornare prima a casa!» disse prendendolo in giro il ragazzo dandogli una leggera pacca sulla schiena che l’altro non gradì affatto.
«Non è questo, è che dovevo parlare con Ivy e sono sicuro che ormai se sia già andata a casa…»
«Ed hai ragione» gli disse senza un minimo di tono rincuorante il ragazzo di fronte a lui. «A dir la verità se ne sono andati via praticamente tutti»
«E tu cosa ci fai qui?»
«Una volta che Nathaniel mi ha firmato il permesso per andarmene, ho deciso di girare un altro po’ per i corridoi» Questo non era del tutto vero, ma di certo non poteva dirgli che stava aspettando proprio lui per dargli il permesso per tornare a casa. «A proposito, prima in classe ne ho preso uno in più per sbaglio, prendilo tu, altrimenti non ti faranno tornare a casa e ti daranno per assente… ti ho coperto io in classe, tranquillo»
«N-non dovevi…» disse grato ad Alexy; non poteva credere che lo stesso ragazzo che lo prendeva in giro per il suo modo di vestire lo avesse coperto e lo avesse aspettato per dargli il permesso da firmare per uscire prima.
«Forza, vai a fartelo firmare e corri da lei, io adesso devo tornare a casa… a domani» gli disse con un tono leggermente triste, il suo salvatore della giornata; senza farselo ripetere due volte corse nella sala delegati per poter uscire e raggiungere Ivy. 


Jay Myler
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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Kentin corse via dalla sala delegati, con il permesso firmato poteva finalmente andarsene dal liceo e rincorrere Ivy per parlarle una volta e per tutte; passando davanti al cancello della scuola vide Alexy e Violet che camminavano uno di franco all’altro, ridendo e scherzando: Violet aveva la stessa espressione tranquilla e a suo agio che aveva quando stava con Jade; nonostante gli anni se la ricordava ancora quella faccia beata che aveva la ragazza quando stava con il giardiniere – era la stessa che si sentiva di avere lui quando stava con Ivy – ma ora quell’espressione era dedicata tutta ad un altro ragazzo, sfoggiandola così, in mezzo alla strada senza un minimo di pensiero per cosa potessero pensare gli altri. Vide la mano di Alexy alzarsi per salutarlo da lontano, ma senza l’entusiasmo che di solito era pieno il ragazzo; vide come i due si guardavano e capì che lo sguardo amorevole che Violet mandava al ragazzo non era affatto ricambiato e si domandò a chi, quel ragazzo così pimpante e stravagante riservasse quegli occhi pieni di sentimenti; non aveva tempo ora di fermarsi e domandare alla ragazza che cosa fosse successo con Jade, ora doveva solo correre. Doveva un favore all’aiutante del club di giardinaggio, ma non era quello il momento più adatto per ricambiarlo, lo avrebbe fatto con più calma, in altra sede, quando non aveva mille domande nella testa a cui doveva dare una risposta.  Li sorpassò senza neanche ricambiare il saluto di Alexy, che lentamente abbassò la mano sentendosi quasi in colpa per aver compiuto quel gesto istintivamente;  Kentin non vide l’espressione che gli corrugò il volto perché ormai, a passo di corsa, lo aveva superato già di un mezzo isolato; era veloce il ragazzo, il campo militare lo aveva aiutato molto a rinnovarsi ma anche a sviluppare la sua velocità e i suoi riflessi, cosa che in quel momento trovò molto utile in quanto, immerso nei suoi pensieri, se non si fosse scansato in tempo, stava per finire sotto una macchina mentre attraversava la strada. Sorpassò il cancello del parco, sempre di fretta, senza voltarsi nemmeno a dare un’occhiata al verde che lo costellava; “Stupido!” pensò tra sé mentre superava un bar sulla sua sinistra, avrebbe potuto tagliare la strada passando per il parco, passando per i negozi avrebbe solo allungato la strada, ma ormai non valeva la pena tornare indietro e continuò a tirare dritto senza pensarci oltre. L’unica cosa a cui riusciva a pensare, che gli girava in testa, stranamente non era quel che si aspettava: pensava sì alla faccenda con Ivy, ma in cuor suo, senza capire perché sentiva di averla già risolta e che sarebbe bastato soltanto parlare con la ragazza per rimettere le cose a posto come una volte, se non ancora meglio; la cosa che gli ronzava nel cervello era il comportamento che aveva avuto quel giorno il suo compagno di classe Alexy, non era più pimpante come una volta, non sprizzava energia da tutti i pori, ed anche se si trovava in allegra compagnia non sorrideva affatto… e poi quel saluto da lontano, con quel muso lungo, non gliela contava affatto. Una volta finita tutta questa storia sarebbe andato ad indagare per capirci meglio, nonostante lo prendesse sempre in giro per l’abbigliamento, sapeva benissimo che lo faceva solo per simpatia, ed infondo non trovava così brutta la sua compagnia, anche se si trovava molto più a suo agio con il fratello gemello Armin, che era molto più disposto a parlare di Ivy.
Sapeva che Alexy non era interessato alle donne, lo aveva capito il trimestre prima, quando molto chiaramente aveva lasciato intendere i suoi gusti in fatto di relazioni romantiche, ma continuava a non capire quel suo strano comportamento odierno. Passò davanti ad un negozio di vestiti; vide che dietro la vetrina c’era un ragazzo con i capelli neri ed uno stile di vestiaro molto simile a quello di Lysandre, l’amico di Castiel, e se la vista non lo ingannava, vide lo stesso proprio dietro un manichino, mentre si accingeva a mettere un vestito su di esso. Non sapeva se fosse stata solo una sua impressione, ma gli parve di vederlo mentre gli lanciava un sorriso amico da dietro il vetro del negozio, come se sapesse a che cosa stesse andando incontro correndo. Tirò dritto, girò l’angolo ed eccolo davanti alla porta del loft della ragazza. Ad un tratto gli parve di non avere più fiato in corpo, non sentiva nemmeno il fiatone che aveva dopo ogni stenuante corsa; si sentì quasi di morire e per un istante gli passò per la testa di andarsene senza nemmeno bussare: quella moto era lì davanti, che cosa ci faceva non lo sapeva e non lo capiva, ma non poteva essere né un sospetto né lo stesso ragazzo ad impedirgli di fare quanto si era prefissato. Bussò alla porta e con il cuore a mille che gli pompava in petto aspettò che la porta gli venisse aperta; nemmeno dieci secondi dopo ecco che la muraglia che lo divideva da Ivy – la porta – iniziò ad aprirsi, senza quasi far rumore ed un’inaspettata, quanto temuta, chioma fiammeggiante gli aprì la porta senza degnarlo di un saluto.
«Forza, entra» furono le uniche parole che si sentì rivolgere in quell’istante.
Per un attimo pensò di aver sbagliato momento, di aver sbagliato casa, di aver sbagliato vita e pensò che tutto quello che gli stava accadendo fosse così sbagliato; senza dire nulla, ancora in preda ad una sorta di shock, perso nei meandri della sua testa seguì il ragazzo per la casa, che tranquillamente gli faceva gli onori di casa portandolo in cucina. Kentin si andò a sedere al tavolo della cucina, senza pensarci, mentre Castiel davanti a lui, come se fosse di casa gli prendeva una tazza dalla credenza in alto alla cucina e gli versava una tazza di caffè. Dopo avergliela messa davanti si mise appoggiato sulla cucina, continuandolo a fissare senza dire nulla; da parte sua, l’altro, prendendo un sorso di caffè e ripensando alla loro ultima, scontrosa conversazione, alzò lo sguardo e con una calma che non sapeva di avere gli domandò:
«Cosa ci fai qui?» mentre continuava a sorseggiare il caffè che gli aveva offerto.
«Preferisci che me ne vada mentre bevi? Ti senti osservato?»
«Intendevo qui, a casa di Ivy» disse con una lieve inflessione di impazienza nella voce.
«Potrei farti la stessa domanda in effetti.» gli rispose Castiel mentre si versava a sua volta una tazza di caffè.
«Anche l’altra volta eri qui, fuori casa sua e ve ne siete andati insieme.»
In quel momento, ricordandosi entrambi dell’avvenimento non si sapeva dire chi fosse più sul procinto di esplodere; da una parte Kentin che voleva saltargli addosso e picchiarlo perché non accettava l’idea che la sua Ivy se la facesse con un teppista simile, dall’altra parte Castiel che aveva ancora impresso il ricordo della fasciatura che l’altro aveva perso mentre se ne tornava a casa, la fasciatura di Ivy e della giornata che aveva passato insieme a lei al centro commerciale che aveva avuto dei risvolti davvero strani e inaspettati.
«Ascolta, abbiamo entrambi un buon motivo per saltare l’uno addosso all’altro e darcene di santa ragione, ma non credo che sia il luogo più adatto e non credo che Ivy ne sarebbe entusiasta»
Kentin stava per ribattere qualcosa ma la loro conversazione fu interrotta da una terza persona.
«Di cosa non sarei entusiasta?» disse la ragazza con un sorriso misto di allegria ed incertezza, mettendosi esattamente a metà strada tra i due, per evitare un eventuale attacco a sorpresa da parte dei ragazzi. Non scorreva buon sangue tra loro, ma per amor suo si sarebbero dovuti arrendere ad una convivenza e sopportazione pacifica e reciproca.
«Solamente non capisco che cosa ci faccia, per l’ennesima volta questo losco tipo con te!»
Castiel abbassò la tazza guardandolo male ma senza muoversi di un muscolo.
«Beh io per esempio invece, non capisco come lei possa anche soltanto stare in presenza di un rammollito come te»
«Rammollito?»
Contemporaneamente i due ragazzi posarono le tazze e si misero uno di fronte all’altro, guardandosi in cagnesco ma senza iniziare una vera e propria rissa, c’era un silenzio pesante tra di loro, molto peggio di un’atmosfera piena di insulti.
«Ragazzi» disse Ivy mettendosi a sedere sul tavolo, che per fortuna si trovava già in mezzo a loro, ma che sapeva non li avrebbe fermati per molto «Calmatevi, ve lo chiedo per favore» a quelle parole entrambi tornarono alle loro posizioni originali, con tanto di tazza di caffè annessa, senza smettere però di guardarsi male.
«Devi dirmelo Ivy, c’è qualcosa tra di voi?» la faccia di Kentin era contratta in una morsa ferrea di serietà mista a preoccupazione, pensando che magari tutta la sua buona volontà ed i suoi sentimenti potessero andare perduti per sempre in seguito ad una risposta affermativa da parte della ragazza.
Ivy rimase ferma e alquanto scioccata, il ragazzo dietro di lei, tirò leggermente indietro la testa, facendo ondeggiare lievemente alcune ciocche rosse, con gli occhi spalancati dallo stupore.
Poi la stanza fu riempita dalle risate di entrambi.
Kentin non capiva bene la situazione e rimanendo interdetto, continuò a fissare i due che se la ridevano di gusto senza prendere un attimo di fiato.
Poi asciugandosi le lacrime agli occhi che le erano scese dal troppo ridere, Ivy iniziò a calmarsi e prendendo fiato ritornò seria, mentre da dietro alle sue spalle Castiel ancora rideva di gusto ma ad un volume più misurato.
«Tu pensavi che…» le labbra della ragazza si incresparono in un sorriso che fece sorridere, incerto, anche il ragazzo di fronte a lei che non capiva ancora cosa avesse scatenato tutta quell’ilarità «… io e Castiel stessimo insieme? Che ci stessimo frequentando o qualcosa di simile?»
«O qualcosa di simile, ovvio.» rispose il ragazzo facendole eco ma ancora non capendo bene.
A spiegargli la situazione fu proprio Castiel, che riprendendosi dalla crisi di risate, si era ricomposto; anche nel ridere quel ragazzo aveva qualcosa di inquietante, pensò Kentin.
«Ascolta un po’, qui hai preso un granchio davvero enorme» disse il ragazzo mettendo la sua tazza nel lavabo dietro di lui; prese una sedia e si mise, stranamente di fianco all’altro, sotto lo sguardo vigile della padrona di casa, pronta eventualmente a dividerli. «Tra me ed Ivy non c’è assolutamente nulla, il fatto che passiamo molto tempo insieme non vuol certo dire che ci sia qualcosa tra di noi, la spiegazione è molto più semplice di quello che sembra.» glielo disse con una clama così innaturale per quel ragazzo, che Kentin non poté fa a meno di credergli. Una volta tanto stava a sentire le parole di Castiel, dandogli anche un certo peso; fissava entrambi a turno, sia il rosso che Ivy, scrutando le espressioni di entrambi ed avevano la stessa, seria faccia della verità.
«Tra me e lui non c’è nulla, puoi stare tranquillo.» gli disse lei passandogli una mano sul viso.
Una smorfia attraverso il viso di Castiel, mentre su quello della ragazza stava sbocciando un sorriso.
«Lui è il mio migliore amico, Kentin, non devi preoccuparti di nulla.»
«Sono io che ho aggiustato i casini che hai combinato tu.»
Ivy guardò Castiel con aria apprensiva, soffermandosi proprio sui suoi occhi grigi come un cielo d’autunno.
«E va bene!» esclamò il ragazzo incrociando le braccia e ricambiandole lo sguardo «Diciamo che non ho esattamente fatto il tifo per te» disse guardando l’altro «Ma le sono rimasta accanto quando te ne sei andato ed inaspettatamente è nata questa ambigua amicizia.»
«Togli pure l’ambigua Cass.» gli disse lei con un sorriso tagliente.
«Lo ammetto, è la mia vena di conquistatore, ma ti assicuro che non c’è niente tra di noi.» confermò chiudendo gli occhi.
Le loro espressioni anche se amichevoli tra di loro, erano ancora dannatamente serie nei suoi confronti per fargli capire che la loro amicizia era davvero solo tale.
«Non potrei mai rinunciare a lui, mi è stato sempre vicino e non saprei proprio cosa farei senza la sua rassicurante quanto pedante presenza…»
Un’espressione tronfia colorò il viso di Castiel.
«… ma ti posso giurare» continuò la ragazza «…che tra di noi non c’è nulla e che non provo nulla, a parte un sentimento molto forte di affetto fraterno per lui.»
L’espressione del rosso cambiò radicalmente; Kentin non era un esperto di espressioni, ma gli sembrava la stessa che aveva avuto Alexy quello stesso giorno con lui, tra il deluso e l’amareggiato, ma allo stesso tempo rassegnato e felice… no, non era affatto portato per capire le espressioni delle persone.
«Già, nulla, solo affetto fraterno.» ribadì il ragazzo. «Ah, ho una cosa per te.» disse Castiel senza guardare nessuno dei due presenti nella stanza.
«Che cosa?» chiese Ivy guardando mentre il ragazzo cercava nelle tasche del suo jeans.
«Non stavo parlando con te.» le disse continuando a cercare meglio. «Ma dove l’avrò messa?»
«Hai qualcosa per me?» chiese stupito Kentin, dalla sua sedia.
«Devo averla lasciata nella moto, torno subito.» disse senza rispondere alla domanda che gli era stata posta.
Guardò interrogativo la ragazza, che gli ricambiò il medesimo sguardo, senza capire neanche lei che cosa stesse effettivamente accadendo, ma approfittando del momento di solitudine, Kentin prese coraggio e prendendo tra le sue una mano di Ivy, cercò di iniziare il discorso che in realtà non si era affatto preparato in mente.
«Le ho viste» le disse tutto di un tratto.  «Le calle intendo, sono davvero magnifiche, sono cresciute più che bene, sei stata bravissima ad occupartene, davvero.»
«Grazie» bisbigliò la ragazza arrossendo in volto. «Nemmeno Jade ci credeva quando ha visto la fioritura, l’ha definita quasi miracolosa, ma di certo non è merito mio l’unica cosa che ho fatto è stato annaffiarle ed occuparmene qualche pomeriggio, sarà la pianta ad essere fortunata…»
«Oppure ha sentito l’amore che ci hai messo nel curarle, questo le piante lo sentono.»
I due si fissarono negli occhi.
«Mi sei mancato Kentin»
«Anche tu Ivy»
Continuando a specchiarsi uno negli occhi dell’altro, lentamente si stavano avvicinando uno al viso dell’altra.
«Spero di aver interrotto qualcosa di particolarmente romantico» disse Castiel entrando in cucina, beccandosi senza protestare una pacca dietro la spalla da parte di Ivy.
«Mi sono permesso di andare a prendere anche le lettere che hai di sopra in camera, se bisogna fare una cosa bisogna farla bene no?» disse passano all’altro ragazzo un pacco di lettere ed un paio di cassettine audio-video.
«Cosa..?»
«Cosa sono? Queste le registrazioni che fece Penny il giorno in cui tornasti e queste delle lettere» gli rispose in tono abbastanza ovvio.
«Come hai fatto ad averle?» gli chiese pensando a quanto avesse insistito senza aver nessun risultato con la giornalista scolastica.
«Ho i miei metodi»
«Queste non dovrebbero andare ad Ivy?»
Castiel lo guardò con la sua solita espressione innervosita e di superiorità. «Di certo non potevo dargliele io non credi?» sbuffò esasperato.
«Ivy» riprese Kentin «qua è impresso il giorno in cui sono tornato, quando mi hai visto con Ambra, io posso spiegarti, dirti la verità, ma se non mi volessi credere beh… qui c’è la prova che quello che ti dirò non è una serie di bugie ben architettate.»
La ragazza non lo fece nemmeno finire di parlare, lo guardò con una sguardo complice, ancora prima che parlasse già gli credeva.
«Kentin, quando te ne sei andato, io ho cercato di contattarti, in tutti i modi, in tutte le maniere; chiamavo e mi veniva detto di non farlo più, che non dovevo cercarti; mandavo lettere – le stesse che ora tieni tra le mani – e mi tornavano indietro, al mittente perché mi venivano respinte. Fu stesso tuo padre che mi disse di lasciar perdere, di non cercarti più ed io non l’ho ascoltato, ho continuato ma… hai tu stesso il risultato dei miei tentativi lì, davanti a te, sul tavolo»
Il ragazzo abbassò lo sguardo e vide chiaramente che tutte quelle lettere portavano il giusto indirizzo di dove aveva passato l’anno prima, con sopra un grosso timbro con su scritto “Da rimandare al mittente”.
«Mio padre mi disse che nessuno mi aveva cercato, che nessuno mi avrebbe mai voluto cercare né avere qualcosa a che fare con me, visto com’ero.»
Castiel si trattenne a stento dal fare un commento poco carino su quella frase; ma capì che stavano arrivando ad un epilogo positivo, così senza dire nulla, senza chiedere ringraziamenti, silenziosamente se ne andò via, attraversò il corridoio un po’ a malincuore, ma contento perché finalmente la sua migliore amica stava bene ed era contenta. Mentre stava per chiudere la porta sentì alcune parti del loro discorso, stavano parlando di quando si erano incontrati per caso sul terrazzo, poi al centro commerciale e lentamente stavano ricollegando tutti i tasselli, sentì chiaramente parlare del libro di chimica e così, sentendosi chiamare dalle voci dei due ragazzi, uscì più in fretta che poteva dalla casa, non voleva di certo trovarsi in un turbine di domande e di convenevoli. Li lasciò lì a chiarire, cercando di non pensare che l’acquisto che aveva accompagnato a fare ad Ivy, forse sarebbe potuto servire in quel giorno.
Si mise il casco, tolse il cavalletto, e mettendo in moto si ripromise di andare il più velocemente lontano di lì, senza girarsi indietro, ma diede comunque uno sguardo allo specchietto laterale, vedendo la ragazza che lo chiamava da lontano, mentre Kentin le teneva una mano sulla spalla, guardandolo e sorridendogli per la prima volta, un sorriso che gli fece perché sapeva di non essere visto dal suo nemico, mentre in realtà, anche se scorto appena, Castiel scorse il sorriso che gli increspava le labbra.
E così li lasciò lì, da soli, come doveva essere da sempre: insieme, una nelle braccia dell’altro.
                                                                       ****
 
«Certo, che gruppo ben assortito che siete.» disse Jade sorridendo, era la prima volta che tutta quella gente stava nel club di giardinaggio.
«Sono qui solo di passaggio, non impazzisco a stare con un certo tipo di persona; ovviamente non mi riferisco a te Lysandre.»
Lysandre fece un segno appena accennato con la testa a Nathaniel, mentre vedeva il volto contrariato di Castiel, che a sua volta non gradiva la presenza del biondino.
«So che sei stato tu Castiel, devo per forza averla persa ieri, sono sicuro che ce l’hai presa tu.» disse con fare minaccioso.
«Non so di cosa tu stia parlando, sei pazzo secondo me; figurati se mi metto a raccogliere le cose che tu perdi!»
Lysandre, con la sua solita proverbiale calma, si mise in mezzo ai due, rivolgendosi per la prima volta a Nathaniel. «Scusami se chiedo, ma che cosa avresti smarrito ieri?»
«Una lettera»
«Tu perdi le cose e ti lamenti con me perché sei uno stupido distratto?» lo attaccò Castiel senza dare il tempo a Lysandre di parlare, il quale gli fece solo un leggero segno e lo zittì; portandosi una mano sotto il mento continuò a parlare seraficamente.
«Ora sarò leggermente indiscreto, qual era il contenuta di suddetta lettera? E anche se Castiel l’avesse presa di terra di certo non si tratterrebbe di un atto scortese, al contrario.» Poi si girò verso l’amico. «Castiel, hai la lettera del signor delegato con te?»
Castiel si limitò a sbuffare in senso di diniego.
«C’era qualcosa che poteva interessare Castiel nella lettera?»
«Affatto, era una cosa mia… personale» disse Nathaniel spostando lo sguardo in basso ed arrossendo sulle guance.
Lysandre sorrise.
«Nonostante non scorra buon sangue tra di voi…»
«E questo è palese!» disse Jade che si era fermato poco lontano da loro, appoggiandosi alla vanga che stava usando.
«… ma dovete saper che il ragazzo qui presente ha la mania di mettersi in mezzo a questioni di tipo personale» disse Lysandre continuando il suo discorso.
Castiel non disse nulla, si limitò a girare i tacchi e ad andarsene, ma nessuno fece niente per fermarlo tutti erano toppo presi dalla rivelazione che il suo amico stava facendo.
«Nathaniel, non so quanto tu conosca a fondo Castiel in questo periodo, ma si è fatto coinvolgere da una ragazza, sentimentalmente, ed ha deciso di aiutarla – immischiando anche me ogni tanto – con il ragazzo verso il quale prova qualcosa.»
«Ivy» sentenziò Jade senza dubbi. «Glielo si legge in faccia, ma ormai si è rassegnato, ha scelto il meglio per lei.»
Nathaniel li guardava straniti.
«Castiel che fa qualcosa per gli altri?» disse con un tono interdetto come la sua espressione.  
«Esattamente, quella ragazza lo ha migliorato molto sotto questo lato, anche se non lo dà a vedere; grazie a lui, Ivy e Kentin sono riusciti a passare del tempo insieme, magari in modo un po’ costretto, ma alla fine le cose sono andate nel verso giusto; prima sul terrazzo posteriore della scuola…»
«Non si può andare lassù!» protestò Nathaniel, ma nessuno gli diede peso.
«… poi al centro commerciale, il biglietto nel libro di chimica»
«Ecco chi mi ha mandato Kentin qui, nella serra!» disse in uno dei suoi soliti sorrisi Jade.
«… è stata tutta farina del suo sacco; ha addirittura convinto la nostra cara Peggy a concedergli le sue preziose registrazioni che potevano aggiustare e chiarire definitivamente la situazione.» concluse Lysandre senza badare alle continue interruzioni.
Il biondo restò leggermente scosso nel sentire tutte quelle cose; un Castiel del tutto diverso da quello che detestava e da cui veniva detestato a sua volta.
«Ma come hai detto tu, non scorre buon sangue tra di noi; non credo che mi abbia fatto un tale favore, come consegnare quella lettera a Melody» disse senza pensarci, per poi arrossire poco dopo.
Jade gli sorrise, l’altro restò imperturbabile.
«Sempre che non ne abbia parlato con Ivy; se lei ci ha messo lo zampino credo che tutto andrà per il meglio anche per te»
Ma prima che Nathaniel potesse ribattere qualcosa vide sia Lysandre che Jade indicargli qualcosa alle sue spalle e vide una ragazza brunetta, in maglietta azzurra e gonna bianca, corrergli incontro a perdifiato.
«Nathaniel!» gridava mentre sventolava la sua mano a mo’ di bandiera per salutarlo.
A Nathaniel gli si illuminò il volto, diventò quasi radioso e senza nemmeno salutare gli altri le andò in contro, perdendo ogni qual si voglia buona maniera gli avessero mai insegnato.
Da sopra un albero qualcuno osservava la situazione: al club di giardinaggio c’era Lysandre intento a scrivere qualcosa sul suo quaderno, mentre Jade chiacchierava con Violet ed Alexy che erano appena arrivati da dietro; davanti alla scuola, proprio all’entrata c’erano Nathaniel e Melody che si sorridevano imbarazzati a vicenda, stavano rientrando sicuramente per studiare ancora, davvero dei fissati; invece, proprio davanti al cancello d’entrata, intenti ad andarsene, mano nella mano, ridendo come adolescenti innamorati quali erano, guardandosi negli occhi più del dovuto, c’erano Ivy e Kentin. Si girò di scatto come a non volerli vedere più e per un attimo che li perse di vista non li ritrovò più con lo sguardo; e poi c’era lui, su un albero, a guardare tutti, il principio dell’estate gli donava la folta chioma degli alberi per nascondersi, ma la sua chioma rossa sgargiante non sarebbe passata inosservata ad un buon osservatore. Sentì un frusciare proprio sul ramo sotto dove si trovava lui, si affacciò lievemente e tese una mano per aiutare la persona che si stava arrampicando.
«Grazie» gli disse senza nemmeno aspettare di essersi sistemata.
Castiel la guardò per un istante, senza sorriderle, senza alcuna espressione.
«Castiel…» continuò Ivy. «So che cosa hai fatto per me, per noi.» disse alludendo a qualcuno che si trovava ai piedi dell’albero. «Lo abbiamo capito ieri, parlando tra di noi di tutto e dietro ogni incontro nostro casuale c’eri dietro tu, il tuo nome appariva ovunque! Per il libro di chimica ce ne siamo andati per logica e Lysandre ci ha raccontato i dettagli questa mattina.»
«Il solito, si dimentica solo le cose banali, questo tipo di notizie se le imprime nella mente e le va sbandierando in giro.» Disse tra i denti il ragazzo.
Ivy gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, poi lo cinse in un forte abbraccio e non lo lasciò per un minuto intero e senza aggiungere nulla scese così com’era salita, in silenzio.
Non la perse di vista un attimo una volta che lei mise i piedi a terra, avvolta da un braccio di Kentin che la stringeva forte a sé mentre tornavano a casa; quasi si odiava per essersi intromesso, ma alla fine era la cosa giusta da fare.
Appena arrivati al cancello, Kentin si girò verso l’albero sul quale si era arrampicato e gli fece un gesto da lontano, sorridendogli e ringraziandolo senza dire nulla; quel sorriso non era la fine del suo odio nei suoi confronti, ma di certo non si sarebbe dimenticato di quello che Castiel aveva fatto per loro; Ivy si girò a sua volta e lo salutò, con tanto di sorriso ben in vista.
E senza più voltarsi indietro, i due ragazzi se ne andarono via, lasciandosi alle spalle tutto e tutti, accompagnati da una brezza che smosse le chiome degli alberi, mostrando a chi sapeva dove guardare, il primo vero ed unico sorriso che Castiel rivolse a qualcuno tra le mura del liceo.

 
Jay Myler
© ALL RIGHT RESERVED ©
 
 
 
N.d.A.
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Bene, ragazzi e ragazze, siamo qui alla conclusione della storia spero vi sia piaciuta e bla bla bla, soliti convenevoli; ditemi con tranquillità tutto quello che pensate, le vostre impressioni, qualunque cose, un commento o un parere ma cosa più importante che volevo dirvi è
Stay tuned, a breve ci sarà l’ultimo capitolo extra di questa storia!
Parlerà della giornata passata insieme al centro commerciale di Ivy e Castiel, e sarà svelato come il nostro bulletto preferito si sia beccato due bei bernoccoli in testa ma soprattutto “Perché quei due sono andati al mall? Cosa doveva comprare Ivy?”
Al prossimo, ultimo, capitolo extra!
Sayonara! 

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Capitolo 13
*** Capitolo extra ***


Castiel vide il ragazzo andarsene di fretta e furia, girando l’angolo senza nemmeno rivolgere lo sguardo alla ragazza che ora di fianco a lui stava prendendo il casco dalla moto; continuando a fissare l’invisibile scia che aveva lasciato Kentin andandosene via, si accorse di qualcosa di bianco a terra, qualcosa di stoffa; non era il tipo che raccoglie cose da terra, non è il tipo che si interessa a qualcosa, ma in quel momento sapeva che qualunque cosa avesse perso il ragazzo gli sarebbe interessato più di qualsiasi altra. La velocità con cui se ne era andato, lasciando con lui Ivy, aveva un qualcosa di sospetto, forse aveva qualcosa che non andava nel cervello o aveva qualcosa da nascondere, fatto sta che forse quel pezzo di stoffa poteva chiarirgli le idee. Prese le distanze dalla sua moto senza dire nulla, avvicinandosi all’uscio della casa, dove per terra giaceva quel lembo di tela senza vita; un gattino si affacciava su quel tessuto che sembrava garza, era un soriano… il gatto. Riconobbe al volo quel pezzo di tessuto, ma se lo mise in tasca, dimenticandosi per un momento da dove venisse, per rispondere alla ragazza che dietro di lui gli dava una voce per avvertirlo che era pronta per andare. Uscivano spesso insieme, da più di un anno, era il suo migliore amico e si vedevano praticamente tutti i giorni, ma quella volta la ragazza era stata così insistente ed anche se non gli aveva mai chiesto nulla questa volta aveva tenuto il punto sul voler andare al centro commerciale; gli chiese un passaggio e di farle compagnia mentre lei faceva compere. Non avrebbe potuto chiedergli cosa più noiosa di quella, sapeva quando detestasse andare in giro per negozi, ma lei era stata così petulante, si era messa nelle orecchie per giorni, sembrava proprio che senza di lui non avrebbe fatto questo acquisto importante di cui però non aveva mai menzionato direttamente. Non capiva cosa ci fosse di diverso dalle altre volte in cui andava a fare shopping da sola o con la madre, quelle sante volte in cui non lo coinvolgeva; sapeva che i genitori erano fuori per due settimane e non sapeva dirle di no quando insisteva così tanto, era una persona così buona e così calma, un po’ troppo per lui, forse, ma aveva qualcosa che stranamente lo attirava. Con il vento nei capelli e lei avvinghiata a lui da dietro, si fermò ad un semaforo rosso, continuando a pensare a come avesse fatto ad infilarsi in questa situazione. Andare a far compere con una ragazza, che tra l’altro era solo una sua amica, la sua migliore amica magari, ma comunque nulla di più; il loro rapporto poteva sembrare ambiguo, un qualcosa tra l’amicizia e qualcosa di più, ma le risposte negative e categoriche della ragazza non lasciavano alcuno spazio all’idea che potessero stare insieme un giorno. Ma cosa gli importava alla fin fine, lui era Castiel, non aveva bisogno di niente e di nessuno, era sempre stato da solo, era abituato a non avere nessuno su cui contare, quindi perché perdersi d’animo e dispiacersi per una sola ragazza quando poteva averne molte altre; tanto per cominciare, anche se a lui non interessava minimamente c’era Ambra, che per qualche strano motivo moriva dietro di lui da quando erano piccoli: aggiusta una bambola ad una bambina e questa si starà dietro come un cagnolino. Questo era la lezione che aveva imparato dalla sua “relazione” con Ambra; non che non fosse bella, alta, bionda, due occhi travolgenti e le curve al punto giusto, ma c’era una cosa che rovinava quella ragazza: il carattere. Ed a parte quello era anche la sorella del rammollito Nathaniel, avere a che fare per forza con lui a scuola già era una tortura, imparentarsi in qualche strano modo con lui era l’ultima cosa che voleva.
Accostò la moto, svoltò a destra ed entrò nel parcheggio del centro commerciale; stava per iniziare il suo pomeriggio infernale in mezzo a borse e buste; quasi quasi la lasciava lì e se ne andava. Appena scesa dalla moto, la ragazza si tolse il casco integrale, facendo scivolare fuori i suoi capelli biondo cenere, che sotto il sole primaverile brillavano come impreziositi d’oro; i suoi occhi celesti, proprio come quel cielo limpido che li osservava da sopra, si incontrarono con i suoi, grigi come un cielo d’autunno, e vide che in quelli della ragazza c’era una scintilla particolare che gli faceva vibrare l’anima. Ecco perché doveva dispiacersi all’idea che tra di loro non ci sarebbe mai stato nulla, ecco perché Ambra aveva perso a prescindere, per quella marcia in più che invece Ivy aveva; era davvero da tantissimo tempo che non era così radiosa e sapeva benissimo da cosa era data tutta questa radiosità, ma preferì non pensarci più di tanto e scendendo anche lui dalla moto, prese il casco dalle mani di lei, li ripose nella moto, e con la morte in corpo varcò la soglia degli inferi, comunemente chiamato centro commerciale. Un mix di luci al neon delle insegne e di luce naturale che veniva da fuori abbagliò per un momento gli occhi sensibili del ragazzo; Castiel si girò verso Ivy e vide che anche i suoi occhi chiari subirono la pesante lucentezza di quei neon così abbaglianti, le mise una mano sulla spalla e la seguì mentre camminavano per negozi; prima di tutto andarono alla caffetteria in cima alle scale mobili principali, presero qualcosa da bere e si andarono a sedere. Castiel continuava a fissare Ivy che gli stava parlando con un dolcissimo sorriso disegnato sulle labbra, ma mentre contemplava il suo viso, le sue parole non lo colpirono minimamente mentre continuava a perdersi nei suoi pensieri. Era quasi un annetto che si chiedeva come mai non poteva farsi passare questa strana fissa per una sua compagna di classe; avrebbe potuto rifarsi con Kim magari, Violet, di certo no, Melody nemmeno a parlarne. Ambra, ci avrebbe fatto un pensierino, ed era sicuramente in cima alla lista rispetto a tutte le altre ragazze presenti nel liceo; era così facile dimenticarsi di una semplice ragazza, che tra l’altro non era nemmeno un granché! Aveva dei lunghi e sinuosi cappelli biondo cenere; che colore ambiguo, non era né biondo né castano, erano così morbidi e setosi, leggermente arricciati in piccoli boccoli finali che incorniciavano le sue scapole; occhi celesti come quella giornata primaverile, per niente acquosi o opachi, ma vividi e pieni di luce; le labbra sottili, la parte di sotto leggermente più grande rispetto a quella di sopra… a chi poteva mai piacere una ragazza così? Di certo non a lui. E quella canotta, ostentava le sue forme come non mai, il seno c’era e si vedeva anche se lui continuava a chiamarla tavola da surf; tavola un corno, se mai qualcuno avesse surfato su una tavola con quella forma sarebbe caduto in mare ancora prima di salirci. Ma nessuno doveva salire su quella tavola da surf, non potevano, non dovevano… che razza di discorsi si stavano figurando nella sua testa, da quando in qua gli piaceva il surf. Sapeva che il suo cervello era più imbrogliato di una matassa di lana, ma non pensava fino a quel punto; alzò lo sguardo e si accorse di star scendendo la scala mobile che prima aveva affrontato al contrario per raggiungere il bar, ma non riusciva proprio a ricordare quando si erano alzati dal tavolo e tutto il resto.
Restò comunque concentrato nei suoi pensieri, annuendo di tanto in tanto a quello che diceva la ragazza affianco a lui, che ogni tanto ridacchiava e lui di riflesso accennava ad un sorriso che assomigliava di più ad una smorfia. Non poteva negarlo a sé stesso, quella ragazza gli piaceva, e non poco, ma ormai doveva capire che non apparteneva più a lui; non le era mai appartenuta a dire la verità, ma da quando quello sfigato occhialuto e con in testa una scodella se n’era andato, lui aveva visto per la prima volta Ivy in maniera diversa, si era avvicinati ed aveva visto una luce in fondo al tunnel. Non pensava che quella luce fosse solo la morte definitiva di tutte le sue speranze con lei, quando vide tornare quell’insignificante ometto, più alto che mai, occhi verde smeraldo ben in vista e fisico scolpito; rimaneva il fatto che lui era sempre più bello – in tutta la scuola l’unico decente era lui, e se ne rendeva conto da solo- ma per Ivy, che si era innamorata di un Ken rachitico ed infantile questo bell’imbusto palestrato che si fa chiamare Kentin era più che un’occasione valida per riprovarci. Maledettissimo Kentin! Era arrivato nel momento più sbagliato ed inopportuno, era quasi riuscito a fare dimenticare alla ragazza quello stupido, e poi eccolo, riappare e fa la sua entrata scenica. Mancava solo un cavallo bianco – che non avrebbe mai potuto competere con la sua moto rossa fiammante, ovvio, ma che faceva comunque la sua certa figura.
Castiel fu costretto ad uscire dai pensieri nella sua testa quando per la seconda volta Ivy gli tirò un leggero pugno sulla spalla.
«Non mi stavi ascoltando già da prima e vabbè, ho lasciato correre perché so che ti annoi, ma adesso ti ho fatto una domanda diretta, potresti rispondermi!» sbuffò lei contrariata.
«Dimmi»
«Cos’è che ti esce dalla tasca anteriore del jeans?»
Castiel si toccò istintivamente le tasche posteriori, entrambe erano occupate da qualcosa, in quella destra c’era il suo portafogli ed una busta bianca, nella sinistra c’era la fasciatura che aveva raccolto davanti casa sua. Notando che era solo la busta ad uscir fuori ed a mostrare uno degli angoli, la tolse dalla tasca con un movimento rapido e gliela porse.
«Puoi anche buttarla è una cartaccia»
Ivy prese quella busta tra le sue mani; non aveva nulla di particolare, tranne che non era chiusa con la colla ma la linguetta era stata messa all’indentro per chiudere provvisoriamente quella lettera.
«Cosa c’è scritto?»
«Non saprei.»
«Non è tua Cass?»
«Ovviamente no» le disse quasi scocciato da quella domanda inutile.
«Dove l’hai presa.»
«Trovata.»
«Smettila di centellinare le parole dimmi una frase completa e di senso compiuto.»
Facendo spallucce il ragazzo non le rispose.
Senza chiedergli il permesso, Ivy aprì la lettera ed iniziò a leggerla, sedendosi sulla fontana centrale del mall.
Castiel si andò a sedere accanto a lei, mani conserte, aspettando un responso, sapendo però già cosa sarebbe successo.
«Io non avrei dovuto leggerla» disse la ragazza con le guance tutte rosse «e tu non avresti dovuto prenderla! E’ di Nathaniel, ne riconosco la scrittura, cosa ci fa in mano tua?»
«L’ha persa ed io l’ho raccolta.»
«Non potevi ridargliela, semplicemente?»
Castiel sbuffò.
«Cass questa va consegnata al proprietario o comunque al destinatario» disse ancora rossa in volto.
«Per quanto ne sappia io, potresti essere anche tu la destinataria.» disse in un soffio venefico il ragazzo.
«No dire sciocchezze, è palese che sia per Melody; ti sembra che io abbia dei lunghi capelli castani, sottili e lisci come la seta più preziosa ed occhi nocciola da far invidia ad una dea?» gli rispose convinta ma imbarazzata nell’usare testuali parole di Nathaniel, che ovviamente non voleva fossero spifferate in giro.
Castiel scoppiò in una grassa risata e cercando di tenersi a freno per non scoppiare a piangere dal ridere, tese la mano e si fece restituire la lettera.
«Gliela ridarai quanto meno a Nathaniel?»
Castiel la guardò apprensivo, la strinse a sé e le diede un bacio sulla fronte.
«Smettila di essere così preoccupata per gli altri, pensa anche un po’ alla tua di felicità ogni tanto» dietro quella frase di incoraggiamento, c’era velato un messaggio piuttosto chiaro anche per lei; non era di certo un segreto il fatto che a Castiel non andasse a genio Kentin e viceversa, e più di una volta le aveva consigliato di lasciarlo perdere e prendere seriamente in considerazione l’idea di considerare lui come sua ancora di salvezza, di prendere in considerazione lui come persona da amare a tempo indeterminato.
Cogliendo l’allusione e sperando che Castiel avrebbe restituito quella lettere a mittente o destinatario, lasciò correre quella frase e lo prese sotto braccio portandolo con sé, proprio dietro le scale mobili, dove sulla destra, c’era il negozio per cui era venuta.
«Hai ragione, proprio per questo stiamo per entrare qui.» disse sorridente, ma con le guance ancora leggermente rosse.
«In pasticceria?» chiese Castiel confuso.
«Non lì, ma qui.» gli disse indicando un negozio proprio di fronte a loro, dove i colori predominanti erano il viola ed il nero.
«Cosa sono pompe funebri?»
Ivy lo trascinò con sé senza nemmeno rispondergli; il ragazzo capì dove l’aveva portato solo quando ormai era troppo tardi tornare indietro ed uscire via correndo.
Un negozio di intimo.
«Dove mi hai portato?»
«Alle pompe funebri, non è ovvio?» gli rispose schernendolo.
“Bene, perché io sto per morire!” pensò tra sé il ragazzo.
«Posso almeno andare nel reparto maschile?»
«Vai dove vuoi, tranquillo.» Gli rispose con un sorriso più che preoccupante stampato in volto; aveva qualcosa in mente, e qualunque cosa fosse non era certamente nulla di buono.
La vide sparire tra scaffali di… articoli specifici di quel negozio, mentre lui si avvicinava al reparto maschile, restando sulle sue, facendo finta di essere a suo agio tra tutto quel rosa e quel pizzo.
Una commessa gli si avvicinò chiedendogli se poteva aiutarlo, ma le disse che stava soltanto accompagnando un’amica; una volta indicata Ivy dall’altra parte del negozio, la ragazza gli sorrise e si avviò nei paraggi di Ivy per vedere se poteva servirle una mano. Erano passati solo due minuti, ma quei due minuti d’inferno gli sembrarono non passare mai. Senza pensarci troppo, dopo i primi dieci minuti uscì fuori da quel negozio, non ce la faceva più a stare i mezzo a tutto quel… a tutto quel ben di Dio, senza pensare che Ivy era venuta qui e che avrebbe potuto comprare e poi, ovviamente, indossare, una qualsiasi cosa di quel negozio.
Era troppo perfino per lui.
Ritornò al bar, prendendo una bottiglietta per l’acqua, fece un lungo sorso ed una lunga passeggiata fino a fuori il centro commerciale; si accese una sigaretta, era un suo piccolo vizio, che nessuno conosceva, tranne Ivy, ed ogni tanto ci si dedicava vicino al sottoscala scolastico. Espirato l’ultimo tiro rientrò, convinto di trovare la ragazza già fuori da un pezzo, dedita al cercarlo davanti al negozio; ma per sua sfortuna non fu così. Della ragazza nemmeno l’ombra, così fu costretto a rientrare nel negozio, non senza aver prima titubato un po’ davanti all’entrata; per sua immensa fortuna, questa volta, incontrò la commessa che prima gli aveva chiesto se gli servisse aiuto, una ragazza carina, con i capelli rossi e capendo che stava cercando la sua amica, gli disse che stava in camerino indicandogli dove poteva trovarli. La ringraziò con un gesto della mano e si diresse verso delle tendine celesti in fondo al negozio; c’erano lì in fondo dove le aveva indicato la commessa, tutto sulla destra, nel reparto maschile, e dei camerini più ampi, delle vere e proprie stanze, nel centro nel negozio, dove si provavano i vestiti; ah, ma allora là si vendevano anche dei vestiti, questo non avrebbe mai detto.
«Ehm, Ivy?» domandò temendo di essere ascoltato anche da altre.
«Cass sono qui.» disse la ragazza affacciandosi dal camerino solo con la testa, per poi rientrarci un attimo dopo.
Castiel si avvicinò alla tendina, mettendosi con le spalle appoggiate al muro lì vicino; sentì qualcosa nella tasca sinistra; mise la mano e cacciò la fasciatura con il gattino che aveva perso Kentin quando se n’era andato via da casa di Ivy.
«Questa è tua o sbaglio?» le chiese mettendo solo una mano dentro il camerino.
Sentì la fasciatura scivolargli tra le dita.
«Grazie Castiel pensavo di averla persa ormai!»
«Non vuoi sapere dove l’ho trovata?»
«Che importa, l’importante è che non l’ho persa»
«Kentin.»
«Dove?» gridò la ragazza da dentro il camerino, sobbalzando dallo stupore.
«L’ha persa oggi Kentin mentre si allontanava da casa tua.»
«Ah» disse la ragazza tornando a respirare «deve averla presa per sbaglio l’altra sera, quando se n’è andato da casa…»
Castiel voleva chiederle cosa ci facesse Kentin a casa sua, perché stava con lei di sera, che cosa stavano facendo a casa di lei; ma la sua frase era stata così ambigua che una sua domanda sarebbe sembrata solo gelosia latente.
Senza pensarci mise la testa dentro il camerino e solo quando Ivy notò la sua presenza intrusa, il ragazzo sentì un forte dolore alla testa.
«Esci subito da qui!» gli intimò la ragazza tirandogli dietro una scarpa, e lo aveva anche colpito bene.
La commessa dai capelli rossi, che passava da lì rise sommessamente alla scena.
«Visto lo strazio che sto passando pensavo di meritarmi una piccola ricompensa.» disse il ragazzo serio.
«Smettila di dire o fare certe cose Cass, mi metti in imbarazzo.»
Poi in un attimo quel ragazzo ricollegò tutto nella sua mente: il comportarsi in maniera strana dei due ragazzi, il ricordarsi che i suoi genitori non erano a casa in quella settimana, la fasciatura che aveva Kentin con sé, il fatto che era con lei di sera e la sua voglia di andare al centro commerciale per andare in un negozio di intimo e provarsi proprio quel completo che era qualcosa di scandaloso – o almeno era quello che si ripeteva al solo pensiero che avrebbe potuto vederlo Kentin indossato dalla ragazza, che lo aveva appena colpito con decisione.
Le aveva detto che la metteva in imbarazzo, ma scegliere dell’intimo per mostrarlo a quel poco di buono di Kentin non la metteva in imbarazzo.
«Cosa ti sei messa addosso? È per lui, non è vero?» sbraitò il ragazzo rientrando con la testa nel camerino.
«Non sono affari che ti riguardano Castiel e ti ho già detto di andare fuori!» gli urlò contro la ragazza; Castiel notò il medesimo movimento che aveva fatto prima, era davvero lo stesso, questo voleva dire che gli stava per lanciare contro una scarpa. Agilmente fece un balzo indietro, cercando di sfuggire dalla traiettoria del lancio, ma Ivy aveva una mira più che precisa e considerato il salto all’indietro del ragazzo, lo beccò comunque in piena testa. Castiel si toccò la testa dolorante, avvicinandosi ad uno specchio lì vicino e vide che poco sopra la fronte due grandi bernoccoli stavano uscendo in maniera abbastanza vistosa.
«Ha una buona mira la signorina» disse una voce alle sue spalle. «Due su due» disse la solita commessa alle sue spalle, mentre ridacchiava per la scena che le si era appena presentata.
Mentre si rassegnava all’idea che Ivy aveva già da tempo scelto tra lui e l’altro ragazzo decise che comunque qualcuno doveva pagare per quei bernoccoli che facevano capolino tra i suoi capelli rossi, ed in ogni caso avrebbe dovuto avvertire quello stupido di Kentin di non far soffrire Ivy, quindi si preparò mentalmente a fronteggiarlo il giorno dopo, scegliendo accuratamente le parole che avrebbe usato contro quell’idiota che aveva rubato il cuore della sua ragazza.

 
Jay Myler
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N.d.A.
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Grazie mille per avermi seguita fin qui, e sì, anche a te che ora stai leggendo ora, ti ringrazio dal profondo del mio cuore.
Siete stati così attivi, avete commentato, recensito, dato idee ed opinioni, non in tutti i capitoli, ma il vostro sostegno l’ho sempre sentito e tenuto presente per tutta la durata della Fan Fiction.
Oltre alle FF mi dedico a storie originali, spero che anche quelle siano di vostro gradimento e le troverete nelle mie storie.
Tornando alle FF, precisamente queste di Dolce Flirt, questa e la precedente fanno parte di una serie: Dolce Flirt Mania; avevo in mente di continuare la serie, per venire in contro a tutti i gusti di tutti/i le/i ragazze/i abbinando una dolcetta diversa con ogni ragazzo (o almeno ci provo) del dating game. Ditemi se vi fa piacere e vi piace l’idea e se magari avete preferenze sul prossimo protagonista che si affaccerà nella prossima FF su Dolce Flirt.
Commenti, critiche costruttive, vostre opinioni, idee e tutto sono sempre ben accette, ve lo ricordo.
Questo era l’ultimo capitolo –extra- di questa storia, vi ringrazio ancora di cuore!
Sayonara!

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