Sei passi alla perfezione

di kaos3003
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lilium ***
Capitolo 2: *** Lappio ***
Capitolo 3: *** Garofano ***
Capitolo 4: *** Erica ***
Capitolo 5: *** Cardo silvestre ***
Capitolo 6: *** Pervinca ***



Capitolo 1
*** Lilium ***


Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attribbuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampri alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.
Questa prima storia porta il nome di "Lilium", termine esatto per indicare quello che il volgo preferisce definire giglio. Il Giglio è originario della penisola Balcanica e dell'Asia Minore, da dove fu importato nel resto dell'Europa. La tradizione vuole che il giglio, in origine, fosse un fiore bianco e candido, proprio per questo per i cristiani il Giglio è simbolo della purezza. La mitologia narra che il Giglio nacque da una goccia di latte caduta dal seno di Giunone mentre allattava il piccolo Ercole. Il significato del Giglio è, dunque, quello della purezza e della castità.




Il bianco candido della divisa di quella ragazza non era disturbato da nessuna croce rossa e per Kumi le infermiere dell'ospedale di Tockigi avrebbero dovuto imparare molto sull'abbigliamento da quella bambolina che s'inchinava d'innanzi a lei.
“Dovesse averne bisogno, non esiti a chiamarmi.” la sentì sussurrare prima che sparisse dietro una porta altrettanto candida.
Appoggiando le spalle a quell'uscita, Kumi abbracciò con lo sguardo l'intera stanza che le era stata riservata. Finalmente tutto, dalla biancheria del letto, ai mobili fino ai fiori freschi nei vasi di giada era stato sistemato esattamente come aveva richiesto. Certo, c'era voluto ben più d'un tentativo e aveva cambiato idea non poche volte, ma mai nessuno si era lamentato: compiacerla sembrava essere un dovere e accompagnarla doveva essere un autentico privilegio per quelle piccole donne che si atteggiavano a infermiere, pur comportandosi come le dame di compagnia che aveva visto in un vecchio film americano.
Muovendosi a piccoli passi, si avvicinò al letto. Anche il piccolo sarto di corte aveva fatto un ottimo lavoro alla fine, pur avendo impiegato quasi tre settimane per trovare raso e tulle che le ricordassero la fioritura primaverile di quei ciliegi che aveva visto, ancora bambina, al tempio di Amagoko.
Mentre sfiorava con la mano il serico tessuto, pensò che la biancheria fosse quanto di più fine esistesse solamente perché lei aveva chiesto così, esattamente come una settimana prima aveva richiesto della carta da lettere che profumasse di giglio, simile a quella che sua madre le aveva regalato per Natale. In quel posto era la sua voce a dettare legge, non le lettere di sua madre.
Scrivere lettere era sempre stata una strana abitudine per sua madre, una donna apparentemente poche parole, ma che sembrava trovarsi a proprio agio nel riversare su carta i propri pensieri.
Ovunque andassero acquistava carta da lettere colorata e profumata e inchiostri dei colori più strani che suggerissero l'importanza e il contenuto del messaggio, o almeno così sperava. Se non ricordava male il giorno in cui suo padre aveva lasciato la loro casa sul tavolo della cucina erano rimaste una tazza da the e una busta dall'intenso odore di lavanda. Grazie al cielo, quando le aveva insegnato a leggere il suo nome aveva preferito un foglio profumato di pervinca che ancora conservava in un cassetto della scrivania.
Nel corso degli anni era diventata un'abitudine tutta loro lasciare sul tavolo della cucina una tazza di the e una lettera, e a lungo andare il profumo di questa era diventato quasi più importante delle parole.
Purtroppo sua madre non aveva mai usato quei fogli sanguigni che avevano comprato a Tokyo e che avevano lo stesso profumo dei garofani rossi che coltivava nel suo piccolo angolo di giardino. Allo stesso modo lei non aveva mai voluto scrivere nulla su quei fogli di giglio e aveva rifiutato di sistemare in camera sua le decine di rose bianche che le lasciva nell'ingresso.

Ma ora sarebbe stato tutto diverso, pensò annusando la busta che la piccola infermiera aveva lasciato sul suo comodino, perché la dottoressa Gladis aveva ragione: lei era una dea, e come tale meritava d'essere felice

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Capitolo 2
*** Lappio ***


Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attribuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampi alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.
Questa prima storia porta il nome di "Lappio". Il lappio è un fiore molto comune, che insieme a margherite e papaveri colora i campi già all'inizio della primavera, continuando poi a fiorire per tutta la stagione estiva. In alcune zone, laddove il clima resta particolarmente mite per tutto l'anno, il Lappio fiorisce anche durante l'inverno. Da sempre i bambini di ogni generazione raccolgono mazzolini di Lappio e altri fiori di campo per portarli in dono alla proprie mamme. Di qui il significato del fiore: puerilità e amore infantile.





"Kumi, questo è Akio. Sai, mi ha confessato che vorrebbe tanto vedere i tuoi disegni, perché non li vai a prendere?"


L'assistente della dottoressa Gladis che le stava parlando aveva sostituito il maglione del loro incontro precedente con una semplice maglietta, forse per farle sapere che la primavera aveva raggiunto il proprio culmine.
Se fossero state veramente queste le sue intenzioni, avrebbe potuto ricordarlo come il primo medico che si era reso conto di una macchia in quel paradiso. Per loro, costrette a vivere fra quelle mura prive di finestre, era difficile rendersi veramente conto del tempo che passava: i corridoi del Centro sembravano esserne immuni ai cambi di stagione e quel giorno erano abbelliti da felci ed edere, esattamente come tre mesi prima.
Kumi fissò un quadro su una distesa di grano per l'ennesima volta nell'arco della seduta. Almeno fosse stata a casa avrebbe visto fiorire i garofani rossi piantati sotto la sua finestra, oppure sarebbe potuta correre fino alla sua vecchia scuola ed osservare il piccolo parco tingersi del giallo acceso dei lappi e del bianco delle margherite.


"Akio e io pensavamo fosse una buona idea trasferirci da lui. La sua casa è grande ed è vicina ad un'ottima scuola."


Da piccola spesso si fermava oltre l'orario per raccogliere con qualche amica quei piccoli fiori di campo. Quelle mattine riusciva perfino a svegliarsi presto pur di rubare un nastro colorato dalla scatola che sua madre dimenticava quasi ogni sera sul tavolino da caffè del salotto.
Quando tornava a casa la gonna della divisa era sporca d'erba e terra e sua madre la guardava con fare disperato. Certo, qualche anno dopo avrebbe odiato anche lei vedere i propri vestiti ridotti in quello stato, ma in quegli anni le era stato veramente impossibile considerarlo un problema.
Nonostante tutto, sua madre riusciva a sorriderle e la faceva sentire insolitamente fiera recuperando dalla credenza una vecchia e sbeccata tazza grigia con i girasoli dipinti e riempiendola d'acqua, creando così un posto d'onore al suo piccolo mazzo di sole e primavera.


" Abbiamo deciso di sposarci, Akio sarà il tuo nuovo papà."


Poi una mattina sua madre era uscita di casa vestita di un abito di seta bianco e Kumi era rimasta a fissare il suo mazzolino di lappi, dimenticato sul tavolo della cucina per far posto a uno splendido bouquet di rose e calle. Qualcuno doveva averle sistemato la spallina dell'abitino rosa e bianco che era stata costretta ad indossare, prima di metterle una rosa bianca fra i capelli e trascinarla verso la macchina della sposa.
In quel momento aveva realizzato che sul tavolo della nuova casa non c'era posto per una vecchia tazza sbeccata e che la nuova scuola non avrebbe mai avuto un parco che in primavera si riempisse di lappi e margherite.
"Signorina Akiyama, mi sta ascoltando?"
Quando il ragazzo di fronte a lei la richiamò alla realtà, Kumi pensò che non aver visto la fioritura dei lappi quell'anno era, in fondo, un buon inizio per il suo futuro da dea.

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Capitolo 3
*** Garofano ***


Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attribuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampi alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.
Questa storia porta il titolo di "Garofano" e nello specifico si riferisce al significato del garofano rosso: ammirazione e orrore.




Estuko è sempre stata bella per Kumi, che non perdeva occasione di elogiarne le forme ideali e l'aspetto materno. Ma da quando le hanno messo al collo quella piastrina d'oro e il ventre ha cominciato ad arrotondarsi, sembra risplendere di una luce nuova.
“Quando ho visto i risultati positivi non riuscivo a crederci. Ci pensi, Kumi, avrò un bambino.”
E' la terza ragazza a portare quella piastrina d'oro, la terza ad un passo dall'essere perfetta.
Kumi avrebbe voluto scegliessero Tochigi prima della sua prefettura, così sarebbe l'amica a sedere al suo posto e a guardarla con invidia mentre lei preparerebbe un piccolo bagaglio per il cambio di stanza.
“Non sai chi sia il padre.”
Etsuko non conosce il padre del piccolo e, per quello che ricorda, la mamma diceva sempre che un bambino deve essere il frutto dell'amore. Etsuko non amava quell'uomo, e quindi questo bambino non è una cosa da ammirare.
“Che importanza ha?! Kumi, ti senti bene?”
Ma sua madre ragionava come una donna normale. Lo scopo delle dee celesti è creare una nuova razza, questa è la frase che risuona fra quei corridoi, nella voce di Etsuko e nei futuri battiti di quel feto. Fa bene ad indignarsi la cara Etsuko, per un attimo sembrava aver scordato le lezioni della dottoressa Gladis.
Mentre la osserva ripiegare gli ultimi abiti, Kumi è sicura d'essere felice per l'amica, e non sa spiegarsi perché farebbe di tutto pur di non essere accecata da quella piastrina
“Non te la prendere. Sei qui da poco, ed è normale che certe idee del mondo esterno ti tormentino.”
Giusto, certe regole valgono solo per le donne comuni. Le dee non devono essere costrette a donarsi ad uomini mediocri, per questo la famiglia Mikage sceglie con tanta cura individui speciali.
“Non rimarrai sola, Kumi. Continuerò a seguire le lezioni con voi e prenderemo sempre il the nel salone.”
Etsuko ha ancora il tono paziente di chi spiega l'ovvio ad un bambino, ma senza l'ironia che molti userebbero.
Questa, continua a ripetersi da giorni, è solo una fase: presto sarebbe toccato a lei, e, una volta compiuto il loro destino, avrebbero ricevuto un pezzo della veste e per tornare in cielo con le stelle.
Da lassù avrebbe potuto vedere dove fosse il suo papà.
“Non vedo l'ora sia il mio turno.”
Etsuko sembra contenta della risposta e le spiega come festeggerà l'evento, ma lei sa già che cosa chiederà quando le consegneranno la chiave della sua nuova stanza. I garofani non devono essere ancora sfioriti, ma continuerà a conservare questo desiderio per un'occasione che valga l'invidia di chi viveva con lei.
Essere ammirata dalle più giovani, essere indicata come la nuova dea completa e sottrarsi ai turni in laboratorio senza bisogno d'inventare una scusa, questo doveva essere il punto massimo della loro vita sulla terra, ed è convinta che Akio si sbagliasse quando sosteneva che il timore e la paura vivono sempre all'ombra dell'ammirazione.
“Sono convinta che presto verrai chiamata.”
Etsuko le sorride materna mentre ripone l'ultimo maglione in una borsa bianca. Come si può avere paura di una persona simile?

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Capitolo 4
*** Erica ***


Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attriubuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampi alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.
Questo capitolo prende il nome dall'erica, una pianta molto diffusa in Europa, anche allo stato selvatico. Viene coltivata come pianta da giardino, ma il suo utilizzo principale si ha nelle composizioni da esterno e nei mazzi di fiori, soprattutto se essicati, grazie alle piccole spighe di campanule e alle foglie lineari dai colori brillanti. Se il fiore che viene offerto è di colore bianco ha il significato di protezione, ammirazione e speranza che sogni e desideri si avverino, se di colore rosa-lilla assume il significato di solitudine.




Kumi tese la veste sul ventre e si specchio ancora una volta confermando l'inutilità dei suoi sforzi. Gli esami di quella mattina non lasciavano addito a dubbi, ma non poteva certo girare per i corridoi con un monitor per far vedere il proprio stato privilegiato, e la sua pancia si ostinava a rimanere piatta.

Sospirando, si ripeté che quelli erano, sicuramente, i mesi peggiori dell'intero processo. Era stata sottoposta giornalmente ad iniezioni e terapie e costretta a confrontarsi con cambi d'umore e crisi di pianto, poi c'era stata la paura per l'intervento, necessario, a sentire i medici, per prelevarle gli ovuli e fecondarli senza che dovesse intaccare la sua persona con atti squallidi.

Tutta quella tensione e lo stress l'avevano portata ancora una volta a ragionamenti sciocchi ed insensati, e più volte si era chiesta se sua madre continuasse a considerare la nascita di una creatura come prova d'amore. I dottori, che queste cose le vedono tutti i giorni e le conoscono, avevano parlato solo di sporco e squallido, non c'era l'amore nelle loro parole. Perfino quando si era svegliata aveva visto il bianco delle pareti e il sorriso del dottore, niente che potesse giustificare l'amore come causa.

Due giorni di stanchezza, un ulteriore intervento e il mese d'ansia seguenti l'avevano messa a dura prova, ma finalmente le avevano dato la notizia tanto attesa: aspettava un bambino, avrebbe contribuito alla nascita della nuova società e presto sarebbe stata invitata a trasferirsi nell'ala sud dello stabile con le compagne del suo stesso stato.

Purtroppo ora erano arrivati i ricordi di sua madre e Akio e dei i mesi prima della nascita di Emi con la voglia di condividere con qualcuno tutto quello che le stava succedendo.

Ogni tanto le capitava di svegliarsi nel cuore della notte e pensare che tra qualche mese non ci sarebbe stato nessuno ad accarezzare la sua pancia per sentire il suo bambino scalciare, nessuno che percorresse l'intera città per trovarle fragole fuori stagione o un supermercato aperto per comprare una vaschetta di gelato. Quelle notti erano veramente difficili e rimaneva sveglia a piangere.

Aveva chiesto alle infermiere di poter vedere il padre del bambino. Le sarebbe bastata una foto, solo per confrontarli e per poter dire da chi avesse ereditato gli occhi o la forma della bocca, ma, come prevedibile, le ragazze le avevano sorriso pazienti e l'avevano accompagnata dalla dottoressa Gladis.

Era stata la prima volta, da quando era bambina, che qualcuno si prendeva il disturbo di ascoltarla e lasciarla sfogare, mentre la cullava e le spiegava chiaramente quale fosse il suo posto nel mondo. Era una dea, non doveva permettere che gli uomini la contaminassero, doveva fidarsi dei Mikage e dell'uomo che avevano scelto e pensare solo ad un bel nome per il suo bambino.

Non esisteva un “loro”, solo un “suo”, il figlio di una dea.

La tentazione di chiedere un paio di forbici e modificare la scollatura per mettere in evidenza la targhetta era grande, ma certamente la dottoressa Gladis non avrebbe approvato un comportamento tanto infantile e frivolo da parte sua. Tuttavia... Forse un mazzolino di erica lilla fissato all'altezza del seno non sarebbe stata una cattiva idea

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Capitolo 5
*** Cardo silvestre ***


Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attribuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampi alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.

Questo capitolo è centrato sul cardo silvestre. Scientificamente conosciuta con il termine greco dipsao (= aver sete), tale appellativo è da attribuirsi alla forma concava delle foglie della pianta, che dopo le piogge contengono una discreta quantità d'acqua. La tradizione celtica descrive, infatti, elfi e gnomi che bevono utilizzando come tazze le foglie del Cardo silvestre. Da sottolineare è, inoltre, l'utilizzo del Cardo nell'ambito tessile e più precisamente del capolino della pianta per la cardatura dei tessuti di lana. Dalla tendenza del Cardo a crescere in luoghi impervi deriva il significato nel linguaggio dei fiori: isolamento e solitudine.

 



 

 

 

Kumi si lasciò cadere a terra appena fuori della porta dell'infermeria. Erano passate tre settimane dal malore di Etsuko e ora che si era decisa ad entrare in quella stanza non aveva trovato l'amica. Non aveva nemmeno aspettato l'arrivo dell'infermiera, era semplicemente corsa fuori sbattendosi la porta alle spalle, terrorizzata dall'immagine dell'amica coperta da un lenzuolo bianco.

Ieri aveva sentito alcune ragazze parlare di strane sparizioni dal Centro, di sacchi bianchi portati fuori durante la notte. Sicuramente doveva esserci un errore, Etsuko era sicuramente tenuta in un'ala riservata a causa delle sue delicate condizioni, tutte le ragazze ammalatesi dovevano essere ancora lì.

I passi oltre la porta erano lievi e lenti, segno che non c'era nessuna fretta, le ragazze dovevano stare bene. Tutto quello che aveva visto in quei giorni era sicuramente frutto di una qualche illusione, e Kumi circondò le ginocchia con le braccia per non dover vedere le proprie mani.

Ricordava bene com'erano le mani di Etsuko poco prima che svenisse nella hall, scherzando le aveva detto che le sue vene sembravano dei ruscelli di montagna e questo le avrebbe costrette a cercare un paio di guanti fatti con i cardi per il suo compleanno.

Etsuko si era messa a piangere, lamentandosi dei turni massacranti in laboratorio e delle sue bellissime mani, che ora somigliavano a quelle della vecchia e saggia nonna che aveva lasciato fuori, poi si era messa una mano alla gola ed era caduta dalla panchina su cui erano sedute. In pochi istanti era stata circondata dalle infermiere e la dottoressa Gladis incitava tutte loro a lasciare la sala e rifugiarsi in camera.

E ora anche le sue mani erano nelle stesse condizioni: la pelle si screpolava e le vene erano sempre più in rilievo. Come se non fosse abbastanza gli studi sulla Veste la sfinivano come mai prima e riposare le era diventato ormai impossibile.

Sicuramente sua madre avrebbe sostenuto che tutto questo era solo una punizione per la loro vanità, che perfino il pianto che rimbombava ogni notte fra i corridoi era un segno della loro condanna. La vita non è fatta di bambole, ma di uomini e donne, ripeteva mentre consolava la figlia adolescente, non puoi sostituirti al giudice.

E in tutto questo Etsuko le aveva gridato di cercare la sua bambina, di allontanarla dal Centro prima che fosse troppo tardi, ma cosa voleva dire? Il Centro non era più la loro casa? Non sarebbero state al sicuro fra quelle mura bianche?

Fuori ci sono gli uomini e gli uomini sono malvagi. Lo aveva detto la dottoressa Gladis nelle sue lezioni ed Etsuko era sempre stata d'accordo, le aveva perfino dato anche della stupida e dell'ingenua quando aveva mostrato i suoi dubbi prima della nascita della bambina. Loro erano delle dee e le dee devono essere il fondamento di una nuova e giusta società, prima di tornare in cielo.

Kumi si asciugò gli occhi col dorso del guanto e lo tirò meglio a coprire la mano, prima di tornare nella sua stanza. Non aveva nemmeno salutato il suo Hideyoshi prima che lo portassero via.


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Capitolo 6
*** Pervinca ***


Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attribuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampi alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.

Questo ultimo capitolo trae origine dalla pervinca. La pervinca è stato il fiore prediletto di Jean
Jacques Rosseau. Essa cresce spontaneamente quasi in tutta l'Europa e, presso i Celti, era particolarmente cara agli stregoni, che la utilizzavano per confezionare pozioni ed infusi. In alcuni Paesi, i suoi fiori venivano sparsi davanti agli sposi come gesto benaugurante; in altre regioni, i suoi rami venivano incrociati per ricavarne corona da porre sulle tombe.
Il valore simbolico della pervinca è legato al ricordo: regalare una pervinca esprime il desiderio di lasciare e conservare un dolce ricordo.


 

 

La hall era buia e dai corridoi non proveniva il minimo rumore. Molte ragazze si erano lasciate cadere in maniera scomposta sul prezioso pavimento di marmo, mentre altre si erano stese ai bordi della fontana e lasciavano ciondolare pigramente la mano in acqua.

Kumi si tirò le ginocchia al petto e si lasciò cullare dalla canzone della donna seduta accanto a lei. Alla fine di tutto il Centro sarebbe stato ancora una volta la loro salvezza e avrebbero ripreso la vita di tutti i giorni, una volta che i Mikage fossero tornati.

Le bambine intorno a lei strappavano le piccole foglie della pervinca che aveva rallegrato quei bianchi corridoi negli ultimi giorni e Kumi improvvisamente si ricordò di quando, ancora bambina, strappava i fiori che la mamma piantava nel giardino della nuova casa. Non che non le piacessero i fiori, al contrario, ma non sopportava di vedere la sua mamma china a togliere le erbacce con una cura che avrebbe dovuto riservare solo a quelli della loro vecchia casa. In quella casa non c'era posto per loro due, c'era posto solo per la moglie e le figlie di Akio.

Non le aveva mai chiesto scusa, ma ora avrebbe tanto voluto poterlo fare, esattamente come avrebbe voluto chiederle di cercare Hideyoshi e prendersi cura di lui. Se avesse avuto una possibilità avrebbe chiesto scusa anche a quel ragazzo che aveva spaventato nell'ospedale di Tochigi.

La donna accanto a lei continuava a cantare mentre accarezzava lentamente i capelli di una ragazza appoggiata a lei: probabilmente stava morendo, esattamente come avrebbero fatto loro se gli assistenti del Centro non fossero tornati in fretta.

Kumi osservò ancora una volta le proprie mani: la malattia si era aggravata rapidamente e presto avrebbe cominciato a sentire una stanchezza continua che alla fine l'avrebbe uccisa, o almeno così le aveva detto una delle ragazze sedute accanto a lei durante le lezioni.

A cosa era servito strapparla a sua madre e alla sua vita? Perché la famiglia Mikage aveva dovuto rivelare chi fosse veramente?

Avevano giurato di proteggerle dal mondo e da tutte le cose orribili che lo abitavano, ma allora perché dovevano morire in un modo tanto disgustoso?

Un improvviso rumore di passi la fece riscuotere, sembrava che qualcuno corresse verso di loro senza curarsi troppo di mantenere un contegno o un'andatura elegante. Il motivo di tanto disordine poteva essere solo uno: il Centro era stato attaccato, gli uomini tornavano a rivendicare le donne che erano nate per dare loro dei figli dalle doti eccezionali.

Mentre un manipolo di soldati faceva irruzione nella stanza, la donna vicino a lei smise di cantare e si voltò, sorridendole dolcemente. Quel sorriso somigliava tanto a quello di sua madre che Kumi avrebbe voluto correre da lei per accarezzarle le labbra e farsi rassicurare e promettere che tutto sarebbe andato per il meglio, che la guerra e quegli orribili uomini non le avrebbero mai più toccate, che le meschinità e l'orrore non sarebbero state mai più una loro preoccupazione.

I soldati puntarono i fucili quando una delle ragazze si alzò per fronteggiarli e Kumi chiuse gli occhi: sarebbero tornate in cielo, e senza bisogno della Veste Piumata.

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