Il sogno di Victoria

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dolce incubo... ***
Capitolo 2: *** Sangue bollente ***
Capitolo 3: *** L'uomo dagli occhi di ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Un pezzo mancante ***



Capitolo 1
*** Dolce incubo... ***


Dolce incubo
 
Le lacrime scorrevano da sè, bagnando le dolci gote di Victoria, ignara di ciò che stava succedendo.
Davanti a se, una bambina stava stringendo in modo espugnabile la mano di un uomo (probabilmente suo padre) e dalle sue rosee labbra affiorava una melodia sorda, senza suono, nè significato.
Tutto ciò era particolarmente familiare, malinconico ma allo stesso tempo liberatorio e incerto, come un Déjà vu.
L'uomo era alto,vestito in modo piuttosto stravagante (basti pensare al pullover verde oliva e al gilet a righe azzurre che cotonavano perfettamente il suo fisico atletico e sicuro).
I suoi capelli erano i più belli che avesse mai visto,identici a quelli della bambina,  neri come l'oscurità e allo stesso tempo lucenti come una luce divina.
I rumori erano impercettibili e a ogni passo, silenzioso e tetro, Victoria si costringeva e compiere un'azione che continuava a girarle, sospetta,per la mente.
Si fece coraggio e mise una mano sulla spalla dell'uomo,convinta che si girasse.
Non ci fu reazione...ci fu terrore.
La sua mano trapassava la cassa toracica dell'uomo, ignaro di tutto, mentre  la bambina si girava lentamente.
ERA LEI STESSA, la bambina che più non ricordava.
Urlò in silenzio, mentre un'onda d'urto la colpiva ripetutamente in faccia.
Un flebile raggio di luce si espandeva propensamente e piano piano, ricordi su ricordi rimossi dalla sua mente, tornavano  a galla, segnando la sua anima.
Aprì gli occhi,cacciando un debole gemito e trovandosi nella sua solita stanza.
Era stato un incubo, un dolce incubo...che le fece tornare alla mente ciò che stava ormai dimenticando.
Era mattina, gli uccellini svolazzavano e cinguettavano per l'immenso giardino.
Uno sprazzo di sole,penetrava le tende mantovane porpora e oro e illuminava la buia stanza.
Victoria non era una ragazza mattiniera, nonostante ciò, decise lo stesso di alzarsi e di prepararsi per una ricca e dolce colazione.
Svogliatamente si infilò le ciabatte e letteralmente "strappando", fece scorrere le tende in modo che la luce si diffondesse per la stanza.
Il mondo intorno a lei era tremendamente spensierato e lumionoso mentre quello dentro di lei era lugubre e tetro,senza speranza.
Alexander entrò bruscamente in stanza, sbattendo le porte e dirigendosi velocemente verso la ragazza.
«Signorina Victoria,la informo che la colazione è pronta e che oggi ha, stranamente, ricevuto posta!».
Victoria Beyard, proclamata orfana della vecchia e francese cittadina di Caen, aveva finalmente ricevuto posta, dopo 10 lunghissimi anni di solitudine.
«Alexander...lo sai che di prima mattina non ho i neuroni connessi...dovrebbero essere le 9 secondo il mio orologio biologico, giusto?»
Alexander annuì leggermente con la testa, rimanendo stupito come al solito.
«Bene...ti raggiungo per fare colazione tra 15 minuti, dammi il tempo di sistemarmi un po' il disastroso aspetto che mi ritrovo»
Il maggiordomo fece una piccola riverenza e chiedendo permesso, uscì cortesemente dalla stanza, facendo un cenno alla ragazza come per salutarla.
Era tremendamente stanca e indolenzita nonostante fosse mattina.
Si sedette di fronte alla toeletta, sullo sgabello bianco panna e fissò la creatura davanti a sé.
Era cresciuta tremendamente, diventando donna.
Victoria era una ragazza bizzarra caratterialmente e anche esterioramente.
Era abbastanza alta per essere una Femme Fatale, aveva lunghissimi capelli di un color nero corvino cotonato e grandi occhi espressivi blu come lapislazzuli, coronati da lunghissime ciglia nere.
La sua caratteristica più incisiva era il color della pelle, bianca come la neve, diafana che lasciava trasparire ogni sua emozione.
Era piuttosto insolita come ragazza francese di quelle parti (di solito tutte le donne o le ragazze più o meno a lei coetanee, avevano capelli biondi o castani e occhi dorati o color dell’acero) e per questo veniva presa come straniera, cosa che non sopportava minimamente.
Era anche questo suo strano aspetto a diffonderle quel senso di curiosità, spingendola a scoprire le sue origini.
Ormai si era fatto tardi e Victoria, finito di spazzolare i suoi lunghi capelli neri, decise di inoltrarsi per la colazione (più che altro per non far arrabbiare Alexander, che non sopportava i ritardi).
Alexander era un uomo di 25 anni, piuttosto alto e di origine Tedesca.
Il suo aspetto fisico aveva sempre affascinato Victoria.
Aveva capelli biondo miele e sempre sbarazzini, occhi più freddi del ghiaccio stesso ma che nascondevano un animo tenero e cordiale.
Era il 26 marzo e fuori si respirava un fresco venticello che portava allegria, si inarcava su per le narici e si riusciva a distinguere la fresca salsedine portata dal vicino mare.
Alexander aveva addobbato e allestito il tavolo sotto il gazebo, in modo che gli insetti non dessero fastidio o pungessero la proprietaria della villa.
I fiori erano appena sbocciati e le rose apparivano nel loro più splendido periodo di vita, raggianti ed emananti di un profumo intenso e dolce.
Sul centro-tavola stava energicamente in piedi in un vaso stra-mollo d’acqua, una meravigliosa rosa blu, la preferita di Victoria.
Le brioches erano più buone del solito e il miele d’acacia, dolce e saturo…Alexander era un perfezionista estremo.
Victoria però, era spinta sempre di più e tentata dal leggere quella misteriosa e inaspettata lettera.
Il sigillo era rosso tulipano e la ceralacca dava l’impressione di essere stata appena squagliata dal calore del sole.
Il simbolo impresso era una rosa a otto petali.
Scartabellò velocemente nella sua mente, per cercare di decifrare tale simbolo, ma la curiosità la spingeva a leggere e basta, senza pensare.
Il contenuto era abbastanza insolito.
“bellezza innata che fiorisce come rose canine,
incompresa e dannatamente sola,
basta davvero la ricchezza?,
lascia che ti aiuti.
Incandescente anima, tormentata
ossequi complessi
tormento.
Esisterà mai una cura, del tutto esfoliante?
Coraggiosa e brillante, aggettivi assai PERFETTI, non trovi?
Ancora non sai chi sono.
 
                          X”
Era chiaramente un’altra lettera di un anonimo ammiratore segreto.
Ripensandoci bene, la mente di Victoria si accese come una lampadina, cogliendo l’inganno e l’anagramma segreto che la lettera nascondeva.
““Bellezza innata che fiorisce come rose canine,
  Incompresa e dannatamente sola,
 Basta davvero la ricchezza?,
 Lascia che ti aiuti.
 Incandescente anima, tormentata
 Ossequi complessi
 Tormento.
 Esisterà mai una cura, del tutto esfoliante?
 Coraggiosa e brillante, aggettivi assai PERFETTI, non trovi?
 Ancora non sai chi sono.
 
                          X”
Ingrandendo chiaramente le lettere iniziali di ogni verso, si poteva leggera la parola “BIBLIOTECA”…un suggerimento forse?
Dalla bocca di Victoria uscì uno sfacciato sorriso compiaciuto, sarebbe presto corsa in biblioteca.

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Capitolo 2
*** Sangue bollente ***


Sangue bollente
 
Era mezzanotte,l'ora delle streghe, l'ora più lontana e più vicina al giorno stesso, l'ora mistica che si smaterializzava nell'oscurità e si cibava di paura.
Donzelle in punta di piedi, varcavano la soglia di casa per scappare con i loro amati, in quell'ora così ascetica e affascinante.
Ma lei, Victoria, lei no.
I secondi continuavano a picchiettare e a scorrere lentamente, mentre il vecchio pendolo in legno di ciliegio e rame, scoccava dardi temporali, riecheggiando per la grande casa di campagna.
Tutto si era fermato quel giorno, sin da quando aveva ricevuto quella lettera anonima e piena di indizi che forse l'avrebbero condotta da qualche parte in qualche strana e bizzarra maniera.
Il suo compleanno era stato esattamente il giorno prima, il 25 Marzo, quando la primavera aveva, per la prima volta, fatto ingresso, accendendo di colori il triste paesaggio invernale, iridescendosi di vita e allegria.
Ma lei lo aveva passato malinconicamente, preda dei suoi pensieri legati alla solitudine che la circondava e al suo continuo invecchiare che ora, risplendeva nella più pura bellezza.
Si era ormai quasi addormentata tra le raggianti braccia di Orfeo, mentre il flusso di tempo scorreva e l'oscurità più totale la avvolgeva.
E poi?...poi aveva aperto gli occhi e si era alzata, camminando nervosamente per la stanza e tentando di non pensare a ciò che l'anagramma le aveva suggerito.
Continuava a premere i polpastrelli sulla nuca, invano.
Cercava di non dare peso a ciò che la lettera diceva e sapeva su di lei.
Poi aveva perso la pazienza, del tutto e si era inoltrata sospettosamente nella biblioteca di famiglia.
Faceva uno strano fresco quella nottata e, mentre camminava scalza, sentiva dei piccoli brividi scorrerle per tutto il corpo.
Non voleva svegliare Alexander.
Sapeva che se lo avesse svegliato, costui si sarebbe malsanamente irritato e le avrebbe fatto la solita predica, seguita da una solfa che le imprecava di prendersi maggiormente cura di sé stessa.
Fece scorrere le chiavi dorate nella serratura dell’anticamera, abbassando la maniglia e facendo attenzione a non impuntarsi o a non inciampare nei libri che aveva letto l’inverno passato, ma che poi non aveva rimesso a posto.
Come al solito, i rumori notturni enfatizzavano l’atmosfera cupa e tesa e a ogni minimo passo, si udiva uno strano scricchiolio, rimbombare per tutta la stanza.
Victoria apprezzava la biblioteca della sua enorme villa, più di qualunque altra stanza, persino della cucina, dato che amava assaporare i deliziosi cibi che il maggiordomo le preparava.
Era una stanza piuttosto ampia, incorniciata da tanti scaffali stracolmi e rilegati da copertine antiche e con rifiniture argento e oro.
Era la sua stanza preferita, perché lì, in quel posto così luminoso di giorno e così buio di notte, si immergeva in un mondo tutto suo, messo su da illusioni adolescenziali.
Di solito preferiva leggere in solitudine, per adempiere al gusto di ogni singolo libro senza interruzioni, ma qualche volta anche Alexander le faceva compagnia.
A quell’ora era quasi irriconoscibile, lugubre e tetro, pervaso da un senso perverso di un macabro e spettrale nero notte.
Si era addentrata in quel luogo così emaciato, aveva chiuso la porta e acceso le luci.
Riusciva a sentire il suo respiro diffondersi per la stanza, il suo cuore battere e la pressione salirle per le vene.
Non c’era tempo da perdere.
Ora avrebbe dovuto interpretare di nuovo la lettera, cercando di cogliere ciò che le voleva trasmettere.
Il messaggio in sé, non rappresentava niente di che… solo un devastante modo di irritare.
Ripensò invece al logo in ceralacca… era una rosa, una rosa con 8 petali.
Le venne il suo quotidiano lampo di genio.
Era piuttosto intelligente, per i suoi 18 anni… e le letture che fece in quegli anni di isolamento,le servirono tantissimo in quel momento così difficile.
Dopotutto era così facile e così difficile al tempo stesso.
Bastava pensare al numero di petali che rappresentavano la ceralacca.
Erano 8,esattamente 8 simmetrici petali.
Bisognava soltanto usare una fine psicologia inversa.
Il numero 8 era mitologicamente, considerato il numero perfetto e puro, simmetrico.
Se lo si capovolge, diventa infinito, segno secolare.
Ora ricordava perfettamente.
Una volta aveva trovato un libro con una copertina assai stravagante con il numero 8 disegnato riccioluto a mano, ma aveva deciso di non leggerlo per qualche strano motivo.
Ora era giunto il momento giusto, quello di leggere il libro proibito.
Ci mise circa 2 ore a cercarlo, data l’ampiezza e il numero quantitativo di centinaia di libri, presenti in quell’unica stanca.
Era un libro piuttosto “espansivo”, con una copertina rosso porpora e inciso a carattere riccio, un otto dorato…o meglio dire, un infinito dorato.
Lo aprì con lentezza, per non rovinare l’atmosfera che si era creata tutt’intorno.
Era un diario, presumibilmente a taglio maschile.
Lo iniziò a leggere con voga.
“Finalmente è nata la mia bellissima bambina, la mia Victoria…bianca come la tua pelle, candida e paffuta.
I capelli sono più neri delle tenebre stesse e gli occhi più blu e intensi dell’intero oceano.
Lo sguardo è puro e profondo, esprime tutta la tua dolcezza.
Credo di amarla già, alla follia… infinitamente.
Angelica cara, la nostra sarà una famiglia eternamente felice.
 
                                   Tuo amato, Albert. “
 
Il primo pezzo iniziava a finiva così.
Il sangue di Victoria diventava bollente e scioglieva ogni asprezza che le passava per la testa.
Era come una specie di lettera, dolcissima e piena di amore.
Il mittente era suo padre, colui che avrebbe tanto voluto ricordare come l’uomo che aveva scritto quelle righe così criptate di tenerezza paterna.
Dal modo in cui era stata scritta quella pagina, si capiva che Albert era un Uomo con la u maiuscola, che non doveva essere dimenticato.
Provava un grande amore per la figlia e per una certa Angelica, la madre.
Si asciugò la gote destra, con la manica della camicia da notte di pizzo, liberandosi di una lacrima amara e piena di rimorso.
Girò pagina e si rimise a leggere in silenzio.
“ Victoria continua a crescere, giorno dopo giorno, diventando sempre più bella e solare.
Il tuo sorriso e il suo, riescono ad aprire il mio cuore…completamente.
La nostra amata figlia sta apprendendo tantissime cose, più veloce di quanto pensassi.
Non le mancano di certo la curiosità e l’intelligenza, doti elevate per i suoi anni.
Mi preoccupa solo ciò che succederà quando l’organizzazione ci riammetterà in missione… dove lasceremo la nostra Victoria?
E noi, noi continueremo a viaggiar…”
Richiuse velocemente il libro e si voltò, impallidendo.
La porta si era aperta e qualcuno vagava agonizzante nell’ombra.
Dalla sua bocca uscì uno strano gemito, impercettibile.
« Signorina Victoria!!!!!! Si sente bene? Che le succede? L’ho spaventata, le chiedo scusa »
La faccia del maggiordomo appariva stranamente divertita, un ghigno nascosto incorniciava la sua bocca.
« Alexander, la prossima volta potrei prenderti a schiaffi lo sai? Mi hai fatto quasi collassare…torna a letto, piuttosto! »
Si era inoltrata verso il salotto, risalendo le scale a chiocciola e tenendo gelosamente il libro tra le mani.
E poi ci fu un momento particolare, pieno di significato.
Alexander l’aveva afferrata per un braccio e l’aveva stretta a sé, poggiando la testa su quella della ragazza.
«Victoria…lo sai quanto io tenga a te e quanto mi spaventi vederti girare per casa a quest’ora…non farlo mai più…sai bene che casa tua è un posto che attrae parecchio i malviventi, per la sua bellezza ».
Perse le staffe improvvisamente e afferrò la faccia del butler, guardandolo perplessa.
« Sai benissimo, quanto non sopporti questo tuo modo di fare Alexander, o mi dai del tu o mi dai del lei…e poi un’altra cosa, casa mia è anche casa tua da quella volta e lo sai benissimo, ora ti auguro la buonanotte caro »
Il tono era rassicurante e tranquillo.
Le loro strade si diviserò , le porte delle loro stanza si chiusero e la notte piombò su di loro.
Il misterioso libro era poggiato sul comò di fronte a lei, intagliato in legno di noce e ricco di intarsi.
L’indomani doveva continuare a leggerlo.

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Capitolo 3
*** L'uomo dagli occhi di ghiaccio ***


L’uomo dagli occhi di ghiaccio

Cercava di non pensarci, di non cadere di nuovo in quel tunnel buio che lo aveva caratterizzato in giovane età.
Dormiva ora, Alexander, stringendo forte il suo cuscino di piume d’oca, immaginando che fosse lei, che potesse per sempre tenerla stretta al suo petto e mai più lasciarla andare.
Poi cedette alla stanchezza e ai tanti ricordi che gli balenavano e gli correvano nell’atrio della sua testa, piombandosi in un sonno mite e sfrenato al contempo.
Aprì gli occhi, alzando un palmo in aria per rendersi conto se fosse effettivamente cosciente o ancora tormentato dal suo passato.
Una luce stranissima e grigiastra gli attraversava le dita e lo colpiva direttamente in faccia, senza una minima pietà per i suoi occhi, socchiusi e straziati, grigi come quel cielo triste e spento.
E si accorse che stava sognando, che era perso tra le meraviglie di quel mondo che non esisteva più.
Tutto intorno a lui iniziò a trasmutarsi e ciò che stava rivivendo si era automaticamente alterato e avvinghiato intorno alle spire del suo cuore.
Gli faceva male ripercorrere la strada che aveva già calpestato, ma non aveva scelta.
Non riusciva a svegliarsi, come se fosse costretto da una qualche identità superiore a ricordare di nuovo la sua vita passata.
Era nato il due luglio del 1925, da ciò che si ricordava, precisamente a Stoccarda, una bellissima città a sud della Germania.
Una donna davanti a sé teneva strettamente e gelosamente , un pargoletto dai capelli color del limone, tra le braccia.
Le guance della giovine erano rosse e rigate da lacrime che incorniciavano il suo bel viso apparentemente severo e dolce allo stesso tempo.
Un bellissimo sorriso spuntò improvviso, mentre la tenera creatura emise uno stridulo grido e incominciò a piangere e far riecheggiare di musicalità l’aria.
Era la vita, tremendamente ingiusta.
Alexander era cosciente per tutto il tragitto dei suoi natii passati, che quel bambino era lui e quella donna era la sua giovane madre, che tanto aveva amato, ma che più non ricordava del tutto.
I ricordi cambiarono e si spostarono, balzando con fragilità e tremanti in altri frammenti.
Dinnanzi a sé, un bambino di circa dieci anni, dai capelli evoluti ormai in oro, era spinto su un’enorme altalena  da un uomo che, assai terribilmente, gli somigliava.
Le risate mute dei due penetrarono nei timpani del giovane maggiordomo, che lottava disperatamente per non assistere a ciò che sarebbe successo dopo.
Il piccolo e bel bambino cadde dall’altalena e tra i pianti, il ricordo si ruppe e andò in frantumi, in dolorosi frantumi, migliaia di pezzi.
Il racconto si proiettò al primo settembre del 1939, al rimbombo dei cannoni e all’inizio di uno dei più terribili incubi di tutta l’umanità, la seconda guerra mondiale.
Fu plasmato nel momento più fatale della sua esistenza, il momento più terribile che si potesse ricordare, la separazione.
Hitler aveva diffuso la sua macabra psicologia in tutta la Germania, diventata ormai nazista, oscura, solenne, malvagia, schiava e protagonista di terribili vicende.
I genitori di Alexander erano stati famosi ricercatori ed archeologi di quei tempi, famosi in tutta la Germania per l’essersi opposti al Fuhrer, andando incontro a un terribile avvicendamento.
Quell’attimo sembrava infinito, doloroso e lacerante per l’anima del più coraggioso degli uomini.
Si ricordava perfettamente gli ultimi istanti che baciò sua madre e disse addio a suo padre, l’uomo che più stimava e che forse mai, nessuno avrebbe guadagnato tale titolo.
Ricordava benissimo le sirene delle SS naziste che si avvicinavano minacciose alla grande casa di quella famiglia, tristemente segnata e ormai rotta.
SI udivano spari di fucile provenire e le finestre crollare, il vetro frantumarsi in pezzettini  insignificanti, e terribili urla, corrergli per la testa.
Si ricordava la macchina del loro più fidato amico sgommare tra la ghiaia e le più distese praterie, con a bordo il giovane uomo biondo di quattordici anni, piangente come non mai e psicologicamente scossato e tremante.
Non aveva mangiato per giorni.
Aveva vissuto come un profugo, come un miserabile, una carogna, scappata al suo destino e salvata dalla decisione dei suoi amati.
Aveva odiato il mondo intero, gli innocenti, i colpevoli.
Poi all’età di sedici anni era scappato in Francia, finendo a vandalizzare nella cittadina di Caen, in cerca di pace, finendo col diventare un ladruncolo per sopravvivere in quel mondo terribile che gli aveva strappato crudelmente ciò che più amava.
Stava vivendo quegli ultimi anni, in non meno di pochi minuti, a ritmo costante.
Viveva quegli attimi in bianco e nero, come se ogni colore fosse stato risucchiato e tutta l’energia vitale fosse stata prosciugata.
Ora stava per arrivare il momento forse più bello della sua vita, il momento di una meritata e attesa tregua con sé stesso.
Un giorno era finito col pianificare con dei suoi amici di derubare la vecchia villetta Beyard, dove a quanto pare viveva una giovane ragazza di non più di sedici anni.
La sua banda era composta per lo più da giovani e inesperti ragazzini di diciassette anni, lui era il più anziano, di ventitré.
Quella notte erano stati sfortunati, terribilmente si può aggiungere.
Era una di quelle notti burrascose, col vento che soffiava e spazzava via ogni cosa.
Dal cielo scendeva una pioggia trepidante e inesauribile.
Arrivarono al cancello principale, cercando goffamente di scavalcare il muro più alto e di resistere alle intemperie.
Una volta dentro, sicuri che il colpo fosse fatto, si avventurarono per il giardino, ignari di un pericolo permanente, il cane che stava a guardia di quel mistico palazzo.
Quando si accorsero , fu troppo tardi e quindi se la dettero a gambe in una direzione sparpagliata, confusionaria, senza una meta precisa.
L’unico che rimase fu Alexander, salito su un’enorme quercia, rimatosi appollaiato.
Un enorme tuono rimbombò nella tormentata notte e accidentalmente, il giovane ragazzo, cadde dall’albero e svenne.
Si ricordava di abbai lontani, di imminenti grida di voce femminile e di trascinamento di corpo verso una stanza sconosciuta.
Quando aveva riaperto gli occhi, la creatura più deliziosa che avesse mai visto sovrastava su di lui, a pochi millimetri del suo viso.
I suoi grandi occhi blu inchiodavano rispettivamente quelli dell'uomo, colpevoli e terribilmente spenti e flebili.
Si ricordò l’improvviso acceleramento del battito di cuore e della paura che colei che avesse davanti potesse denunciare ciò che quella notte era successo, alle autorità, finendo per sbattere quel ragazzo trasandato in galera.
Ciò non successe.
Ora il suo sogno aveva ripreso i colori, i più sgargianti che potesse mai ricordare e il sole era salito in cielo.
Di sottofondo regnava una delle più belle composizioni di Beethoven, Für Elise.
Finalmente era finito tutto, e poteva risvegliarsi, dopo una nottata delle più terribili che avesse mai avuto.
La scena si stava ripetendo di nuovo.
Il sole era alto in cielo e Victoria era seduta accanto al maggiordomo, ora completamente cosciente ,mentre un dito della donzella, toccava delicatamente la guancia di quell’uomo, ora trasandato per ciò che aveva vissuto nella sua psiche.
«Uomo dagli occhi di ghiaccio? Ma guarda che dormiglione che abbiamo qui! Suppongo che ti ho ingaggiato per farmi da maggiordomo, ma dormi più di me a quanto pare, sveglia…hey? Sveglia, Alex! Ho una terribile fam…».
Non fece in tempo a finire la frase che il ragazzo la prese tra le sue braccia e iniziò a stringerla fortemente.
Desiderava che il tempo si fermasse e che lei non si allontanasse più.
« Hey?...che succede? Così mi preoccupi, un altro dei tuoi incubi? Lo sapevo, avevo sentito delle urla questa notte, ma non ero riuscita svegliarmi, sonno troppo profondo a quanto pare, ma voglio rammendarti una cosa.
Due anni fa, ti ho trovato svenuto nel mio giardino, in pieno inverno, Dio solo sa, per quale motivo eri qui, e io posso immaginarmelo, ma sappi che non ti lascerò mai.
Per qualunque cosa, per ogni tuo desiderio, per ogni sentimento mancato, io sarò qui vicino a te.
Conosco la tua storia, me l’hai raccontata in fin di lacrime.
Ora…andiamo a mangiare qualcosina? Ti prego, sto morendo di fame…e, ho da raccontarti ciò che ho scoperto la scorsa notte in biblioteca».
 

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Capitolo 4
*** Un pezzo mancante ***


Un pezzo mancante
 
Il grande pendolo antico, collocato nello stanzino dello scrittoio, segnava le nove e trenta di mattina.
Le api ronzavano intorno ai meravigliosi bulbi gialli e prematuri delle margherite appena sbocciate.
Era un ronzio lento e febbrile, quasi impercettibile ma fastidioso e armonioso al tempo stesso.
Ma nessuno sembrava accorgersene.
Villa Beyard era immersa in una cupola di silenzio lugubre, nonostante una sinfonia di Beethoven continuasse a scorrere per le stanze infinite di quella casa.
I due padroni di casa erano in cucina, seduti al bancone di legno di acero e, mentre gustavano più che potevano le deliziose crepes alla marmellata di pesche sciroppate, riflettevano su tutto quello che era successo in nemmeno due giorni.
Si guardavano negli occhi, uno di fronte all’altro ma è come se nessuno dei due fosse realmente cosciente o neanche lontanamente aggrappato alla realtà.
Fu incredibile come un singolo pezzo di carta avesse radicalmente cambiato le loro scelte future e il loro stesso passato.
Improvvisamente i loro peggiori incubi erano tornati a galla e avevano dovuto iniziare a fare i conti con il passato.
Tornarono entrambi alla realtà, specchiandosi l’uno nell’iride accesa dell’altro.
«Alex, credo proprio che ciò che sto per confessarti ci farà riflettere molto e credo anche che sarà come…un nuovo inizio».
Le sue dita trotterellavano sul ripiano di legno, come sintomo di nervosismo.
Nella testa della ragazza fluttuavano tante parole, frasi e idee, ma stava trovandosi in difficoltà estrema a trovare un filo o un nesso logico che la potesse aiutare a spiegare.
«Victoria, sai bene che puoi dirmi tutto ciò che ti passa per la mente, sono al tuo servizio, non tenermi sulle spine, non lo sopporto».
La fulminava con lo sguardo, ghiacciato e penetrante, oscurità contro luce, come se mentalmente la invitasse, non cordialmente, a spiegare di più di quella piccola faccenda che si ingigantiva sempre più.
«Dunque, non saprei da dove iniziare Alex…Giorni fa mi è arrivata quella stranissima lettera,  è stata,  chiaramente, spedita da qualcuno che conosce bene la mia situazione economica o personale, poiché tra le righe criptate si è notato che presumibilmente lo scrittore sapesse che sono di famiglia aristocratica, e in più sa che sono sola in casa, ma forse non sa della tua esistenza».
Aveva incominciato a camminare avanti e indietro per la cucina, portandosi una mano nei capelli ogni tanto, per far sì che non le dessero fastidio.
«E fin qui ci sono, ma non riesco a capire cosa c’entri la tua biblioteca con tutta questa storia, visto che questa mattina accennavi ad aver scoperto un qualcosa di incredibile».
Alexander non era mai stato un tipo dotato particolarmente di molta pazienza, dato che secondo il suo pensiero, tutto doveva scorrere come pretendeva lui e niente doveva essere fuori posto.
Picchiettava, ora, le unghie contro le crepe della superficie ruvida e la osservava muoversi per la stanza.
Improvvisamente si fermò e tirò fuori da una tasca del suo vestito a pois quel misterioso pezzo di carta anonimo e lo porse al maggiordomo.
«Osserva tu stesso, mi sono permessa di cerchiare con la penna stilografica rossa i punti chiave per farti comprendere meglio».
Le spuntò chiaramente una risatina agli angoli della bocca, come per beffeggiarsi del ragazzo che continuava a non capire l’annesso tra una lettera e una biblioteca.
«Ma guarda come siamo presuntuosi! ».
Risero sonoramente entrambi per qualche istante, immergendosi totalmente in un’aria nuova di allegria e di affetto.
L’orologio di casa scoccò mezzogiorno e i rintocchi risuonarono nei loro timpani, avvertendoli del tempo eccessivo trascorso.
 
---
«Ok, Victoria, sono giunto alla conclusione, che uno di questi giorni diventerò più folle di quanto già lo sia, per il disordine e il caos che regnano in questa biblioteca, come puoi rilassarti e immergerti  in altri mondi, con tutti questi libri ovunque, dannazione, quando ti deciderai a rimettere a posto? Io non ne ho intenzione! »
Quando ebbe decifrato anche lui ciò che la lettera voleva trasmettere al destinatario e Victoria gli aveva mostrato il misterioso diario paterno, si era voluto affrettare a ispezionare il luogo per capire chiaramente da dove l’avesse estratto.
La stanza era subissata da una luce eterea, che si infiltrava a sprazzi, illuminando la loro posizione.
Era chiaramente una posizione strategica per usurpare al meglio la luce durante le ore di lettura.
Due poltrone del più bel color albicocca sovrastavano la stanza, portando gli occhi di un qualunque visitatore, immediatamente sul bellissimo intaglio e sullo stile, ovviamente, rococò.
Gli scaffali ricolmi di libri serpeggiavano parallelamente l’uno di fronte all’altro, dando l’impressione che la stanza fosse effettivamente più grande di quello che sembrasse.
«Oh, andiamo Alexander, sappiamo entrambi che non sono la classica ragazza ordinata, mi trovo in difficoltà di fronte a questa enorme raccolta di collane e rimettere in schieramento tutte quelle meraviglie mi è davvero impossibile…» si schiarì velocemente la voce e gli fece gesto di sedersi su una delle due poltrone.
Le spinsero, per far sì che si sedessero faccia a faccia e crollarono entrambi a peso morto sul morbido tessuto.
«Ti confesso che ne ho già letto una buona parte, e per lo più mio padre raccontava della mia nascita e di una certa organizzazione che trovo assai interessante…».
La sua voce era un sussurro, impercettibile e spirato con lentezza e quasi con una malinconia appena intercettabile.
«Victoria, sono sicuro che leggendo ciò che ha scritto, forse, riusciremo a capire per lo più qualche indizio sul perché se ne siano misteriosamente andati tutti, senza il minimo ritegno di abbandonare una povera bambina di otto anni! ».
Improvvisamente cinse un braccio al collo della ragazza e con mano ovattata, rivestita di soffici guanti di  velluto bianco , le accarezzo i capelli corvini affinché affievolisse le lacrime che minacciavano di scendere gravanti e copiose.
Lei fissava il vuoto, tremando leggermente e cercando di trattenere quei sentimenti oscuri, tremendamente profondi e assai incompresi.
Il blu lapislazzulo delle sue iridi si era mutato in un colore opaco e traslucido al tempo stesso, mentre segni di dolore e rancore le fulminavano lo sguardo.
La sua famiglia le aveva spezzato il cuore, l’aveva abbandonata tanto piccina quanto desiderosa di amore e di un qualcuno che la accompagnasse nel difficile periodo della crescita e della curiosità intellettuale.
Aveva affrontato tutto ciò da sola.
Bagnava di lacrime il colletto di Alexander e sentiva il cuore batterle e scalpitare nella cassa toracica, come non mai.
Era come un uccellino, libero, di volare, dopo anni di prigionia.
Avere un qualcuno accanto a se era stata una delle cose migliori che le potesse capitare, dopo tanta solitudine e tante notti passate in giardino, ad aspettare mamma e papà, seduta sull’erba sottile e profumata, mentre i grilli intonavano il loro canto d’amore.
Dopotutto uno dei tanti pezzi mancanti del suo grande puzzle era stato trovato e le aveva portato tanta felicità.
Ma ora, dopo tanto tempo a non pensare più costantemente ai suoi cari, sentiva il disperato bisogno di sapere per lo meno il perché l’avessero abbandonata senza più dare notizie.
 
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“                                                                                                   Caen, Francia, 1940
 
Cara Angelica,
Te ne sei andata da non meno di due anni, per cercare di ricolorare quel tuo sogno sfiorito in giovane età e per far sì che la nostra piccola Victoria crescesse senza  che ancora nessuno ostacolasse i nostri sogni.
Ma la nostra amata bambina ormai non si ricorda quasi più di quale meravigliosa mamma sia la sua mamma adorata.
Ti ricordi quando scorrazzava per la nostra amata casa, gattonando di qua e di là, curiosa di scoprire nuovi ambienti?
Ti ricordi di quando pronunciò le prime parole, quando imparò a tenere il cucchiaino per la zuppa di cipolle in mano, quando assaggiò per la prima volta la dolcezza e l’asprezza del limone e ne rimase talmente attratta, diventando uno dei suoi sapori preferiti?
Ti ricordi di quando dormiva nel lettone con noi, spaventata dai grandi tuoni dei ricorrenti temporali di Caen?
Tutti quei piccoli momenti, li ho racchiusi singolarmente e cautamente nel mio diario, per custodire nel tempo, il tantissimo amore che tutt’ora il mio cuore prova.
Mi manchi tantissimo, i tuoi grandi occhi dolci e cerbiatti, le tue parole confortevoli nei momenti bui, il tuo sostenermi nella politica e nella continua guerra con quel verme di Lèopold.
Tutt’ora manda suoi scagnozzi direttamente a casa per cercare di intimorirmi, poi per quale motivo? Poiché sono sindaco.
In questa piccola cittadina la corruzione per cercare di elevarsi al potere, è illimitata.
Uno di questi giorni, angelo mio, farò un salto a casa di Charles, in quanto fratello, è una delle persone più leali e confidate che io possa avere.
Gli racconterò ciò che ho contribuito a migliorare nell’organizzazione, e ciò che costoro mi hanno ulteriormente portato a pensare.
Ci sono diversi complotti in città che devo tutt’ora far venire a galla, punire o per lo meno, cercando di rasserenare l’animo dei cittadini ossequiosi di questa città.
Ti spedirò questa lettera tramite l’ufficio postale del signor Benjamin Gautier, spedendola dalla posta rouge, quando la riceverai, ti prego, rispondimi al più presto, mia amata.
Sono costantemente tormentato da ciò che potrebbe accadere.
 
                                                        Tuo amato Albert “

 
 
Alexander leggeva a voce alta, ogni tanto interrompendosi per riprendere fiato da quelle ormai enigmatiche parole e per asciugare una qualche lacrimuccia, scesa sulle gote rosee della sua amata.
La situazione la stava facendo commuovere, ogni tanto, facendole sussurrare sibili e mormorii dolci e affettuosi  nei confronti del padre, apparentemente così dolce e impensierito.
La ragazza si era ricomposta e la sua solita allegria era tornata a far breccia nel cuore del giovane.
«Beh…che dire, Alexander, tutto ciò mi suggerisce, che dopo tanti anni, finalmente mi tocca rimettere piede a Caen, dove anche il più scorbutico dei vecchietti, offre miele e focaccia al primo passante di strada».
Aveva voluto guidare lei, mentre la sua Mercury Montclair Convertible sfrecciava tra i vialetti di campagna, tempestati di alberi che si scagliavano addentrati in boschi verde smeraldo.
L’odore di erba primaverile risaliva nelle narici dei due passeggeri, sognanti, che ammiravano le tante nuvole e i punti di farfalle variopinte che filavano tra il blu che li sovrastava.
Dei flebili raggi solari puntavano i loro visi, evidenziando ogni tanto, una qualche lentiggine marroncina sul naso di Victoria.
«A proposito Alex, mi piace quando mi dai del tu, mi fa sentire ancora più vicina a te».
E mentre al ragazzo, il cuore affondava tra il suo sangue ormai infuocato e tra le sue viscere ormai carbonizzate da lei, il tutto fu risucchiato dal silenzio.

 

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