LOCKED TIME

di Kerkira2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** COìME TUTTO EBBE INIZIO ***
Capitolo 2: *** CAP. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***



Capitolo 1
*** COìME TUTTO EBBE INIZIO ***


PROLOGO
KATRIN, 11 GENNAIO 2013
Lo scenario più distruttivo che qualcuno potrebbe immaginare. Le fiamme divorano gli alberi. Il vento soffia violento e prende colori caldi, come se qualcuno avesse deciso di inondare l’aria di un ventilatore con dello zafferano. La terra è ormai bruciata e il terreno non presenta più alcun segno di vita. L’unica cosa che c’è oltre alla natura matrigna sono io,  esule ragazzina che è costretta ad osservare quello scenario.  La solitudine che provo è immensa, e il peso delle immagini mi investe come un fiume in piena. Voglio correre, andare lontano, in un luogo non attaccato da questa natura.  Non posso fare niente. Mi sento impotente davanti a quella terribilmente visione che investe tutto e tutti. Il cuore mi batte nel petto come un tamburo e il sangue mi pulsa nelle vene in modo indescrivibile, quasi dolorosamente. Le mie dita sono congelate, anche se il fuoco crea un atmosfera piuttosto accogliente, ed io non so spiegarmene il motivo. Le tempie mi pulsano e le mie orecchie non avertono voci ne gridi. Mentre sono costretta ad osservare quel disastro ,un urlo squarcia la notte e come per magia le mie gambe sono nuovamente attive.  Corro e inseguo quel grido che mi ghiaccia il sangue. La terra si insinua tra le mie dita dei piedi, che sono scoperti. Mi fanno male, sento il sassi punzecchiarmi la pelle ma, non so perché, devo raggiungere quella voce. Corro e corro, grido per il dolore ma continuo a correre. Non me ne accorgo subito, ma i colori caldi che prima circondavano tutto come un guanto  sbiadiscono e poco a poco il nero prende il sopravvento.
 
Come se una luce fosse stata accesa mi risveglio e sento le gocce di sudore scendere sulla mia fronte. Ho il cuore che mi batte ancora forte nel petto. Tento di diminuire il rumore delle mie tempie, e per fare questo mi premo con forza le dite sulla testa. Il dolore va via via scemando, ma il mio respiro continua ad essere affannato ,come se avessi appena corso per kilometri. E mi sembra proprio che sia stato così, dal momento che l’ultima immagine che ricordo dal mio sogno è proprio la corsa alla ricerca di qualcuno. Le dita mi tremano  in modo imperterrito. Sembra che la mia compagna di stanza se ne sia accorta, e per  questo si alza e accende la lampada che ho sul comodino. -Ehi, tranquilla,  non è successo niente…- mi dice mentre mi accarezza una spalla- è stato solo un incubo-. So che ha ragione, che non è altro che lo stesso sogno che faccio da più di un mese e che ogni notte arriva a bussare ai confini della mia mente, ma ogni volta mi fa sempre lo stesso effetto: è come se qualcosa mi lacerasse dentro. Appoggio la testa nell’incavo del suo collo e le lacrime cominciano  bagnare le mie guance e la maglietta che ricopre la pelle color alabastro di Scarlett.  Le mi abbraccia e si fa scivolare di lato , verso il. Come ogni notte fissiamo il soffitto e immaginiamo di essere lontano, a Machu Picchu , luogo che vogliamo visitare da parecchi anni. E, come se niente fosse successo, mi addormento tra le braccia della mia migliore amica. Il tempo passa, le ore si alternano incessantemente e l’alba rischiara la nostra camera. La luce ci illumina e  mi ridesta da un sonno agitato e leggero. Per non svegliare Scarlett, che invece sembra aver trascorso una notte tranquilla, appoggio delicatamente i piedi sul parchè, tirandomi giù le maniche delle braccia che ho alzato inavvertitamente durante la notte. Apro la porta e percorro il breve corridoio che porta alla cucina. Supero varie camere di altre studentesse e apro la porta di mogano scuro che divide la sala dalla zona notte. Mi accoglie il consueto tavolo di legno scuro, dove mangiamo, beviamo e trascorriamo la maggior parte del tempo. Cerco nelle credenze una tazza, il latte e i cornflakes. Mi siedo e il latte nella tazza. Aggiungo i cornflakes e tento di non pensare al sogno, o per meglio dire all’incubo.

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Capitolo 2
*** CAP. 1 ***


L’INIZIO
JAKE, 11 MARZO 2013
E’ un giorno come un altro, uggioso, che non ha niente di primaverile, anche se eravamo a maggio. Insomma, un giorno normale. E, come il solito, ho fatto le cose con la stessa noia. Come un automa mi sono svegliato alle 7.00, ho fatto colazione, mi sono vestito e sono uscito per prendere l’autobus che mi avrebbe portato a scuola (anche se avevo il patentino, i miei non avevano voluto comprarmi il motorino). Andavo alle superiori e credo che quasi nessuno sapesse chi fossi.  Infatti  non ero un tipo socievole. Non mi è mai piaciuto essere al centro dell’attenzione e cercavo sempre di passare inosservato. A scuola me la cavavo, avevo una buona media e questa era l’unica cosa che importava ai miei genitori.
Accendo la musica dell’ Mp3 e le canzoni dei Queen mi inondano la mente e mi allontanano dalla realtà, resa cupa e deprimente dal cielo tinto di grigio. Cammino e cammino, finché non vedo all’orizzonte la fermata dell’autobus. Arrivo a destinazione e mi siedo sulla panchina gelida color ebano. Dopo alcuni minuti e tante canzoni la voce potente e profonda dell’autista mi invita a salire. Percorro il corridoio che ci è creato tra le gambe dei passeggeri. Mi siedo al mio solito posto e aspetto la partenza. Proprio quando l’autobus è in procinto di partire, qualcuno lo fa fermare nuovamente. La persona in questione sale e io ne scorgo solo i capelli, color ebano scuro con qualche riflesso rosso, che ondeggiano come se fossero mossi da una mano impercettibile. La loro particolarità mi colpisce e li seguo mentre lei si siede in uno primi posti liberi. Continuerei a guardarla se non fosse che la musica nelle mie orecchie riparte, come se si fosse fermata proprio per dare il tempo di accorgermi di lei.
Dopo un viaggio molto breve arrivo in quello che io, come molti altri miei coetanei, ritengo l’inferno. Percorro il cortile affollato di gente e arrivo all’entrata della scuola. Raggiungo la mia classe ed entro. Mi avvicino alla mia ala della classe (in fondodopo aver superato vari gruppi di persone: i nerd, un paio di emo e molti altri gruppi multi-etnici, come direbbe mia mamma. Mi siedo, appoggio lo zaino  e aspetto che arrivi il prof di chimica, Mr. Dick. Dopo pochi minuti il professore con la sua aria trasandata e trafelata arriva. Poggia la borsa e ci dice di stare zitti, poiché deve presentarci una persona. In quel momento, entra una ragazza della mia età: capelli neri come l’ebano, occhi di un colore tra l’azzurro ghiaccio e il verde delle foglie bagnate dalla rugiada, lentiggini, jeans attillati (ma non troppo), maglia lunga nera, borsa dell’Est pack e Sneakers fosforescenti. Una ragazza di per sé molto semplice, senza trucco. Senza fatica riconosco quei riflessi color caldi che tempestano i suoi capelli. E’ lei.
Il professore ci spiega chi è la misteriosa ragazza:
-Questa è Katrin e farà parte della nostra classe per tutto l’anno – e poi, riferendosi alla ragazza, –Raccontaci qualcosa di te – dice con tono pacato.
-Allora, non c’è molto da dire. Mi chiamo Katrin, ho sedici anni come voi, sono americana e, prima di arrivare in questa scuola, frequentavo le lezioni a New York-.
Tutte le ragazze restano a bocca aperta, ma sembra che a Katrin non importi niente di tutto ciò e nemmeno delle voci che nasceranno. I suoi occhi balzano da una parte all’altra della classe, e ogni tanto si soffermano sui miei compagni.
-Bene, visto che i posti in aula sono quasi tutti occupati, tu ti siederai in fondo, vicino a Jake ed è con lui che lavorerai durante tutto l’anno- dice il professore per sbrigare la faccenda.
Con un sorriso si avvicina al suo banco . -Ciao, sono Katrin.- - Piacere, Jake-. Dice e la osservo. E’ proprio lei, e anche lei sembra conoscermi, nonostante sia impossibile che mi abbia notato sull’autobus .
Dopo queste brevi presentazioni, siamo passati all’esperimento che quella mattina il prof ci aveva assegnato: creare il solfuro di rame. Ci avviciniamo contemporaneamente alla postazione e indossiamo i grembiuli da laboratorio, color bianco latte. Dopo aver dato una breve occhiata al libro di testo, Katrin prende in mano una paio di strumenti e comincia ad armeggiare con le polverine depositate meticolosamente nei loro contenitori.
Come fa sempre, il professore trascrive le formule che ci serviranno alla lavagna per facilitarci. Questo però risulta inutile a Katrin, che con una professionalità quasi da laboratorio ha già dato prova delle sue capacità. Infatti in un men che non si dica, nella nostra boccetta prende forma un composto dai toni freddi  . Il prof finito di scrivere, si gira, vede che nella nostra provetta c’è già il miscuglio da lui indicato chimicamente e rimane a bocca aperta. Io indico lei, che fa spallucce, con quel suo modo di fare che comincerò a conoscere e interpretare. . Musica seguita da storia, geografia e per ultima algebra, ora che si rivela veramente unica. Ma cominciamo dall’inizio.
Appena entrato in aula, dopo un giretto fino in segreteria per consegnare delle carte, con mia sorpresa e felicità allo stesso tempo, mi accorgo che Katrin è già lì, seduta nel banco di fianco a quello dove, di solito, siedo io. Allora mi avvicino.
-Scusa, di solito siedi qui?- mi chiede lei- Mi sposto subito- e così si accinge a prendere le sue cose . -No, no – le dico io- di solito mi siedo lì di fianco. E, se non ti dà fastidio avere un tipo come me per compagno di banco, mi farebbe molto piacere scambiare qualche chiacchera, una volta tanto - .
A quelle parole la sua espressione si trasforma: da una richiesta di scuse a un sorriso a 32 denti. Allora io mi siedo e lei si appoggia al banco, e io posso osservare i suoi lineamenti. Gli occhi sembrano aver cambiato colore, cosa che ritengo impossibile in quel momento: da un azzurro chiaro ora hanno tinte più scure tendenti ad un blu.  Comincia la lezione, che si rivela molto, molto noiosa. A metà lezione, Katrin mi fa una domanda e così cominciamo a parlare.
-Ma, scusa, questo prof. è sempre così noioso? Perché, se è sempre così, è meglio stare in casa.
-Pensa che alle volte è ancora peggio- le rispondo io e cominciamo a ridere sommessamente, per non farci sentire.
- Allora, è meglio dormire…- dice lei.
-Si, ma …- le sto dicendo io quando il prof. ci richiama.
-Allora, Stiffer, Green, la mia lezione vi disturba? Volete un caffè, che so, un cappuccino?- ci domanda e Katrin risponde –Stavamo solo facendo alcune osservazioni a proposito delle proporzioni continue che stiamo trattando…-.
 -Si, certo…- risponde il prof con un tono sarcastico - allora Stiffer, nella proporzione 120857 sta a x come x sta a 3698, quanto vale quella x?- mi domanda ed io non so cosa rispondere, visto che, con dei numeri così alti, non abbiamo mai lavorato. Ma ecco che sento una risposta inaspettata.
-Dovrebbe essere 21140.6997519 circa- Non capisco subito chi è a parlare, ma poi mi è chiaro: è stata Katrin. Io, come tutti i presenti, sono rimasto attonito. Il prof, pensando che un’alunna non possa fare calcoli del genere a mente, va subito alla cattedra per controllare con una calcolatrice. Con sua sorpresa, riscontra che la soluzione data da Katrin è esatta.
-Ma non avevo chiesto a lei, signorina Green, -dice tanto per difendersi- ma, poiché si sente in vena di dare risposte, mi dica, quanto vale la x nella seguente proporzione. -
E alla lavagna scrive:
45064: X=X:25352
Il prof si accinge a sedersi (secondo me, perché pensa che ci vorrà molto tempo prima di avere una risposta) ma, prima ancora che possa toccare la sedia, -33800.333252795, approssimato ovviamente- dice Katrin.
Ancora una volta va a controllare e subito ribatte:
-E no. Approssimato, è 33800.333252794.-
Ma Katrin, con tutta calma dice -Ma scusi, se una cifra è superiore a 5 va approssimata al numero successivo. Se seguiamo questa regola avendo prima un 4 e poi un 7, per approssimare diventerà 5 e non 4 - .
Il prof, per paura che la sua genialità sia messa in dubbio, dice a noi di controllare. Così Max., un nostro compagno di classe, prende una calcolatrice e dà il responso, mentre ormai il prof. è rosso di rabbia.
-Prof, ha ragione Katrin- e in quel momento suona la campanella che segna la fine delle lezioni: è ora di andare in mensa.

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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***


ANGOLO AUTRICE : Ciao a tutte sono io , Kerkira2000, e volevo dirvi che, oltre ad aver aggiunto un capitolo alla storia, ho dato vita a una piccola parentesi in cui vi illustro quali sarebbero le idee che ho avuto pensando ai personaggi. Se ne avete voglia, fateci un salto7
PS: le opinioni sono ben accette. CAP. 2
 
KATRIN, 11 GENNAIO 2013
Non posso ancora crederci… sono in questa casa da neanche una settimana, e già mi chiamano in presidenza. Questo è il primo pensiero che ho dopo aver letto il bigliettino che è stato appeso da qualcuno sulla porta di camera mia, molto probabilmente mentre facevo colazione. Giro la maniglia della porta  e il sole di metà mattina mi acceca, anche se siamo in pieno gennaio. Apro il mio armadio, di colore turchese, e scelgo cosa mettermi: una comoda felpa, molto calda, dal momento che soffro di freddo perenne. Mi do una sistemata ai  capelli, che sembra siano stati colpiti dall’elettroschock, e indosso le mie scarpe perennemente sporche. Faccio per uscire, ma un rumore mi distrae.
-Ehi, donzella , vuoi venire a fare un giro?- chiede una voce profonda ma calda dal fondo della camera
-Mi dispiace, Ethan, ma mi hanno chiamato in presidenza…- rispondo con tono frustrato- e poi non verrei a fare un giro con te comunque…- aggiungo .
-Che c’è? Ci siamo svegliate male questa mattina? – dice il ragazzo dai capelli rossi-castani  che, nel frattempo si è seduto sul letto con fare strafottente. Mi osserva, mi studia e non posso fare a meno di perdermi in quegli occhi verdi. Vedo mille sfumature, sento mille sensazioni, e percepisco che sto per perdere la ragione.
Katrin, svegliati, Katrin, liberati, Katrin allontanati. Già ti è successo di cadere nelle sue mani… mi ricorda la mia mente, che fa scattare la mia autodifesa.
- Esci subito da camera mia…o chiamo Giselle- dico con un sibilo, e lui sbianca. Sembra proprio che, anche  solo nominandola,  la paura prende possesso lui.  Si allontana, imbocca la porta e, dopo aver dato uno sguardo fugace alla mia camera, se ne va. –Non finisce qui- dice nella mia mente
Cado esausta sul letto. Ogni volta è sempre più difficile allontanarmi da lui, ed ogni volta mi sento distrutta. Mi scopro il polso e osservo la cicatrice che lo percorre. Questo mi fa ritornare con la mente ad oltre un anno fa, quando per poco non ci ho rimesso la pelle. Ancora non sapevo di cosa fosse capace Ethan, ma ora che ne sono a conoscenza non rischierò mai più.

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