Scritto nel Destino

di Alexandra e Mac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -prologo- Tramonto ***
Capitolo 2: *** All'alba ***
Capitolo 3: *** Ispirazione ***
Capitolo 4: *** Cambiamento ***
Capitolo 5: *** Ostacoli lungo il percorso ***
Capitolo 6: *** La Maison Dior ***
Capitolo 7: *** Fotografando un sogno ***
Capitolo 8: *** Lady Sinclair ***
Capitolo 9: *** Al Castello ***
Capitolo 10: *** Una scoperta ***
Capitolo 11: *** Strane sensazioni ***
Capitolo 12: *** Ripensamenti ***
Capitolo 13: *** Seduzione in abito rosso ***
Capitolo 14: *** Felicità ***
Capitolo 15: *** Parigi di notte ***
Capitolo 16: *** Monique ***
Capitolo 17: *** Un intruso al castello ***
Capitolo 18: *** Sua Signoria, l'erede del Duca ***
Capitolo 19: *** Al lavoro insieme ***
Capitolo 20: *** Solo amici ***
Capitolo 21: *** Nei dintorni ***
Capitolo 22: *** Sogno o realtà? ***
Capitolo 23: *** Gelosia ***
Capitolo 24: *** La fine di un idillio ***
Capitolo 25: *** Un nuovo legame ***
Capitolo 26: *** Riflessioni ***
Capitolo 27: *** Un progetto in comune ***
Capitolo 28: *** Preparativi ***
Capitolo 29: *** Valzer viennese ***
Capitolo 30: *** Sogno di una notte di inizio estate ***
Capitolo 31: *** Incontro al destino ***
Capitolo 32: *** Desiderio ***
Capitolo 33: *** Sfumature di un inganno ***
Capitolo 34: *** Novità ***
Capitolo 35: *** Un nuovo piano ***
Capitolo 36: *** Progetti ***
Capitolo 37: *** Notte d'amore ***
Capitolo 38: *** Amore di notte ***
Capitolo 39: *** Una proposta ***
Capitolo 40: *** Confessioni ***
Capitolo 41: *** Mr. e Mrs. Rabb ***
Capitolo 42: *** Senza di lei ***
Capitolo 43: *** Ritorno a Cluny ***
Capitolo 44: *** La scommessa ***
Capitolo 45: *** Sulle tracce di un amore ***
Capitolo 46: *** -epilogo - Scritto nel Destino ***



Capitolo 1
*** -prologo- Tramonto ***


Disclaimers :

Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.

Nota dell’autore:

Pubblico questo racconto (perché più di “racconto” che di fanfic si tratta) in questa sezione, benché sia incentrato su personaggi che con Jag hanno ben poco a che fare, solo per il fatto che, assieme ad Harm e Mac, questi personaggi sono stati i protagonisti dei due capitoli precedenti di questa trilogia.

Lo pubblico, inoltre, sotto il nick   Alexandra e Mac  nonostante lo abbia scritto da sola perché trattasi, appunto, del capitolo conclusivo della serie “SCRITTO NEL DESTINO e anche perché l’idea di questo racconto, che avrebbe dovuto concludere il nostro viaggio nella Storia, io e Mac l’avevamo avuta  assieme.Pu rtroppo, poco dopo aver buttato giù a grandi linee la trama di questa storia, la Vita ci ha allontanate: impegni e interessi diversi hanno modificato le nostre priorità e abbiamo smesso di scrivere insieme.

Io stessa, per molto tempo, ho smesso di scrivere: JAG era terminato e con esso l’ispirazione. Questa storia appena abbozzata, tuttavia,  restava lì, nella mia testa. Per passatempo, dopo un anno circa che giaceva abbandonata, mi venne voglia di riprenderla in mano e tentare di farla rivivere. Tra alti e bassi di un’ispirazione che andava e veniva senza neppure un filo logico, un bel giorno mi sono resa conto che avevo scritto parecchio e che quindi questo racconto meritava di avere una conclusione e di essere pubblicato. Ne ho parlato con Mac la quale, benché dispiaciuta di aver abbandonato la nostra idea, non ha avuto obiezioni in merito.
E così, sempre tra gli alti e bassi di un’ispirazione ballerina, non ho desistito: l’ho rivisto, in parte riscritto e terminato e, alla fine, a distanza di anni dall’idea iniziale, eccovi l’ultimo capitolo della trilogia “SCRITTO NEL DESTINO”.

Certamente questo racconto è diverso da quello che sarebbe stato se io e Mac lo avessimo scritto assieme. Ciò non è stato possibile, quindi quello che leggerete è la “mia idea” di quell’idea comune iniziale.
Spero che vi piaccia comunque.

 

Nel pubblicare questo primo capitolo, colgo l'occasione di augurare a tutti voi Buona Pasqua!

Alexandra

 

Capitolo I


Prologo

Tramonto



Alla luce della lampada la penna scorreva rapida sul foglio, nonostante la mano che l’impugnava dimostrasse, ormai da tempo, i segni dell’età. Una parola dopo l’altra i pensieri si trasferivano dalla mente alla pagina bianca attraverso una calligrafia ancora ferma e sempre elegante.

Soddisfatto di sé, l’uomo sorrise: il suo cuore ogni tanto faceva i capricci, ma la mente funzionava ancora e si sentiva lucido come a vent’anni. O forse era più giusto dire come vent’anni prima.

Nella stanza il camino acceso riscaldava l’ambiente e lo illuminava di una luce dorata; benché fosse estate il temporale del pomeriggio aveva rinfrescato l’aria e il tepore del fuoco mitigava l’umidità della notte.

L’uomo controllò l’orologio: segnava l’una e un quarto eppure non aveva ancora sonno. Si era messo a scrivere appena dopo la mezzanotte, e oramai aveva intenzione di terminare prima di raggiungere sua moglie a letto; purtroppo da alcune settimane le cose da annotare erano troppe, ma quando aveva la mente affollata di pensieri difficilmente riusciva ad addormentarsi. Era sempre stato così, fin da ragazzo: doveva scrivere tutto quanto e solo allora riusciva a prendere sonno. Per fortuna alla sua età gli bastavano poche ore di riposo.

Era preoccupato per la situazione politica creatasi dopo l’attentato del 28 giugno e sentiva nell’aria odore di guai grossi; conosceva troppo bene le pedine sulla scacchiera per non immaginare i giochi che si sarebbero fatti.

Forse ancora nessuno aveva compreso appieno che quel lutto, pianto come una tragedia familiare, in realtà si profilava piuttosto come un disastro spaventoso; ma lui aveva pochi dubbi su come si sarebbe evoluta la faccenda, era solo questione di tempo, e forse neanche tanto.

Avrebbe dato metà del suo patrimonio per avere vent’anni in meno e poter partecipare alle trattative diplomatiche poiché, forse, un suo intervento avrebbe potuto scongiurare ciò che ormai temeva come imminente; mentre avrebbe dato la restante metà per evitare che i suoi figli e i suoi nipoti vi assistessero.

I suoi ragazzi…

Era orgoglioso di ognuno di loro, senza distinzione. Adorava le sue bambine, le aveva adorate fin dal primo sguardo. E amava molto i due maschi, anche se da anni evitava di dirglielo, si limitava a farglielo capire. E poi c’erano i nipoti... quattro ragazzi e cinque ragazze che erano la gioia della sua vecchiaia e che avrebbero continuato la sua discendenza.

L’ormai familiare sfarfallio al cuore gli impose di posare la penna, appoggiarsi allo schienale della sedia e respirare profondamente. Certe preoccupazioni, alla sua età, avrebbe dovuto risparmiarsele, il medico gliel’aveva raccomandato più di una volta. Ma per non preoccuparsi avrebbe dovuto ignorare ciò che accadeva nel mondo e non era nel suo carattere, non lo era mai stato.

Era sempre stato un uomo molto attivo e ben calato nella realtà del suo tempo, non avrebbe smesso proprio ora di esserlo. L’età avanzava inesorabile e il corpo non era più robusto e potente come quando aveva trent’anni, ma lo spirito e la mente se li sentiva ancora quelli di allora pertanto, nonostante la tragicità degli eventi e ciò che temeva, la situazione di quel momento, precaria, instabile e potenzialmente pericolosa, era al tempo stesso stimolante per un uomo che aveva fatto della diplomazia e della strategia politica due tra le ragioni principali della propria vita.

Tuttavia, in quel preciso istante, l’età si stava facendo sentire e, nonostante i respiri profondi, il suo cuore non accennava a tranquillizzarsi. Decise di mettersi più comodo: si alzò, si diresse con passo incerto verso la poltrona davanti al camino e si sedette. Si rese subito conto che quel breve tragitto lo aveva affaticato molto più del solito, allora allungò le braccia e respirò di nuovo a fondo, per riprendersi. 

Sentì la lingua calda di King, il suo adorato setter irlandese, che gli lambiva la mano sinistra, quasi ad infondergli forza e tranquillità. Sollevò la mano e grattò la testa all’animale, che lo seguiva come un’ombra da ormai otto anni; il cane uggiolò beato e si accoccolò a terra, il muso come sempre appoggiato sui suoi piedi.

L’uomo abbandonò il capo sullo schienale e rimase per qualche attimo in contemplazione del cielo stellato che si vedeva attraverso i lucernai al soffitto. Il temporale aveva soffiato via le nuvole che avevano reso buia fin dal mattino la giornata appena trascorsa.

Si sentiva esausto.

Lasciò vagare i pensieri, come spesso faceva quando si sedeva sulla poltrona del suo studio. Adorava quella stanza ampia e luminosa, il suo rifugio di solitudine e tranquillità, soprattutto quando i bambini erano piccoli. Eppure era stato proprio lui a volere l’ampia vetrata verso il giardino, per poterli osservare giocare o correre felici tra le braccia della loro madre.

Lei era sempre bella come il giorno in cui lo aveva fatto innamorare… avrebbe tanto voluto raggiungerla e stendersi accanto a lei, come faceva da ormai più di cinquant’anni, ma  si rese conto di non riuscire più ad alzarsi.

Era come se l’energia che ancora attraversava il suo vecchio corpo all’improvviso lo avesse abbandonato e che, in pochi minuti, tutti gli ottantacinque anni che avrebbe compiuto di lì a quattro giorni gli fossero caduti sulle spalle.

Anche i pensieri cominciavano a sfuggirgli... attraversavano la sua mente senza un nesso logico...

Si guardò attorno, quasi a ricercare sicurezza negli oggetti che lo circondavano, nei suoi libri, nelle sue carte... ma tutto gli appariva sfocato, come in un sogno.

Percepì il proprio respiro più affannato del solito e all’improvviso comprese d’essere giunto alla fine del suo percorso. Non avrebbe assistito al precipitare degli eventi.

Sentì gli occhi inumidirsi di lacrime, ma non piangeva per se stesso… aveva avuto una vita piena e bellissima e non aveva rimpianti.

Le lacrime erano per lei, per sua moglie.

Un mese prima aveva avuto un leggero attacco di cuore e lei si era spaventata moltissimo; era riuscito a tranquillizzarla solo promettendole che non l’avrebbe mai lasciata.

Aveva promesso sapendo di non mentire, perché per nulla al mondo avrebbe desiderato abbandonarla; tuttavia, sapendo di non poter essere certo di mantenere la parola data, non appena si era ripreso tanto da riuscire ad alzarsi dal letto, le aveva scritto alcune lettere, che in quel momento si trovavano chiuse nel cassetto della scrivania: l’ultima l’aveva terminata proprio quella sera, poco prima di iniziare a scrivere il suo diario. Lettere in cui l’amava a parole come, per oltre cinquant’anni, l’aveva sempre amata con tutto se stesso.

Eppure sapeva che quelle parole non sarebbero bastate ad attenuare il suo dolore. Nonostante le lettere, lei avrebbe sofferto… e lui avrebbe dato qualunque cosa per evitarle ogni sofferenza… dal giorno in cui l’aveva conosciuta aveva fatto il possibile perché non soffrisse e per renderla felice.

Una morsa più violenta delle altre gli strinse il petto e lo fece rimanere per qualche istante senza fiato.

Chiuse gli occhi e alla mente apparvero i volti sorridenti dei suoi figli. Gli sarebbero mancati molto…

Poi apparve quello di lei, incantevole come la prima volta che l’aveva veduta: conoscerla e innamorarsi d lei era stata la stessa cosa. Come in un gioco d’illusione, l’immagine di allora si sovrappose alla bellezza del suo viso ormai accarezzato dagli anni.

Avrebbe voluto toccarla… stringersi a lei e addormentarsi per sempre tra le sue braccia… Tentò di alzarsi, per raggiungerla a letto, ma non riuscì neppure a muoversi. Gli sfuggì un debole gemito e una lacrima gli scivolò lungo la guancia.

Nello stesso istante il suo cuore cessò di battere ed egli, esalando il suo ultimo respiro, reclinò il capo, il nome della donna amata ancora tra le labbra.

Con la sensibilità tipica degli animali, King percepì immediatamente la morte del padrone e si alzò da terra, guaendo, mentre riprendeva a leccargli la mano ormai priva di vita.

Di lì a poche ore dalla vetrata alle sue spalle il cielo si sarebbe schiarito, portando con sé l’alba del 14 luglio.

Quattordici giorni dopo l’Austria avrebbe dichiarato guerra alla Serbia.

 

 

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Capitolo 2
*** All'alba ***





Capitolo II

All' alba



Sentiva solo il suo respiro; il respiro e il rumore sordo e cadenzato dei passi che battevano sul bagnasciuga, scandendo il ritmo della sua corsa mattutina. Ogni tanto il verso di qualche gabbiano a caccia della colazione.

L’alba era sorta da poco.

Era uscito quando le prime luci del giorno illuminavano appena la linea dell’orizzonte e l’aria fredda e umida della notte non aveva ancora lasciato il posto al lieve tepore del sole; aveva indossato un paio di short e una canottiera, come sempre, ma aveva aggiunto una felpa leggera per sopportare l’aria frizzante del mattino almeno finché la corsa non lo avesse riscaldato a sufficienza.

La spiaggia era deserta.

Si era prefissato di correre per circa un’ora, non importava fin dove sarebbe arrivato. Avrebbe pensato più tardi a come rientrare. Dopo una colazione abbondante in un caffè lungo la spiaggia, avrebbe chiesto un passaggio. Oppure avrebbe potuto affittare una bici. O ritornare a piedi, così com’era arrivato.

Il tempo, in quei giorni, non importava. Era suo. Soltanto suo.

Un paio di settimane prima aveva messo piede in quel piccolo paese francese affacciato sulla costa atlantica e fin dal primo momento aveva provato l’irrefrenabile desiderio di correre su quella spiaggia solitaria e selvaggia, forse perché ben si addiceva al suo stato d’animo in quel periodo: solitario e selvaggio.

Dal giorno successivo il suo arrivo l’aveva fatta diventare una piacevole abitudine.

L’anno appena trascorso era stato davvero difficile: la promozione del suo ultimo romanzo aveva richiesto una campagna pubblicitaria pressante e faticosa ed era stato costretto dal proprio agente a soddisfare le richieste dell’editore.

Ma sarebbe stata l’ultima volta.

Non gli importava se i suoi libri vendevano centomila o duecentomila copie. Non a lui. Quelle cifre importavano solo a quei due pescecani. A lui importava solo di scrivere.

Scriveva per i lettori, ovviamente; ma aveva iniziato a scrivere, brevi racconti  oltre al suo diario e a penosi tentativi di poesia, soprattutto per se stesso e si era ripromesso che quello sarebbe stato sempre il suo obiettivo principale. Invece le cose avevano preso una piega diversa da quella decisa quando, improvviso, era arrivato il successo proprio con il suo primissimo romanzo, pubblicato a soli venticinque anni.

Dopo cinque best-seller, praticamente uno all’anno, si era accorto che certe cose non facevano per lui. O meglio: se n’era accorto molto prima, ma aveva permesso che gli eventi lo travolgessero.

Era giunta l’ora di cambiare la situazione e riappropriarsi della propria vita e, soprattutto, della propria creatività.

Aveva abbandonato il suo loft di New York ed era partito per l’Europa.

Indeciso fino all’ultimo sulla meta, una sera aveva aperto un vecchio atlante (ne conservava ancora uno tra i suoi numerosi libri) su una pagina a caso e il caso l’aveva condotto in Francia. Non ci aveva pensato due volte: l’idea di quindici giorni, un mese… forse anche due, in uno sperduto paesino sulla costa atlantica, dove nessuno lo conosceva, l’aveva attratto in maniera irresistibile. Si era immaginato una specie di novello Ernest Hemingway a caccia di esperienze, di nuovo ossigeno per la propria ispirazione. Magari avrebbe ambientato proprio in Francia il suo prossimo romanzo.

Già, il suo prossimo romanzo: aveva solo qualche idea confusa che ogni tanto gli frullava nella mente; andava e veniva, senza soffermarsi. Ancora nulla di concreto.

Non aveva la trama giusta, non sapeva bene neppure dove né in quale periodo storico ambientare la vicenda ma, soprattutto, non aveva ancora un titolo. Quando arrivava il titolo, la storia c’era. Ed era quella giusta. Purtroppo finché il titolo restava un mistero, le idee gli riempivano la mente, ma tutto il processo creativo si fermava lì.

Non arrivavano immagini, non arrivavano parole. Continuavano ad arrivare solo idee confuse, che si accavallavano senza sosta, l’una sull’altra.

Solamente il titolo metteva fine a tutto quel disordine e chiariva ciò che ancora restava oscuro. Da quel momento in poi era in grado di scrivere per ore ed ore, senza interruzione, finché le pagine non assumevano la forma desiderata: le immagini descritte diventavano quelle che aveva visto con gli occhi della mente e le parole sul foglio erano le stesse che aveva sentito risuonare nelle proprie orecchie.

Purtroppo negli ultimi mesi non era arrivato proprio nulla, se non poche idee vaghe. Di immagini e parole neanche l’ombra.

In quel nulla totale, c’era un’unica cosa di cui finalmente si era reso conto e della quale ormai era assolutamente certo. Non era mai accaduto, infatti, che trascorresse così tanto tempo senza che qualcosa prendesse forma nella sua testa; sapeva che la maggior parte della colpa era da attribuire alla sensazione di disagio che lo assaliva quando un libro era terminato e la sua pubblicazione imminente, ma il fatto che quel vuoto assoluto durasse così a lungo doveva pur dirgli qualcosa.

Sempre più di frequente le idee per il nuovo romanzo, che già cominciavano ad affacciarsi al suo subconscio quando ancora non aveva scritto la parola fine al lavoro che stava terminando, finivano con lo scomparire, soffocate proprio da quel disagio; a suo avviso, però, il protrarsi della mancanza d’ispirazione stava a significare che c’era qualcosa in più: desiderava un cambiamento. Un cambiamento rispetto a ciò che aveva scritto fino a quel momento.

Aveva sempre odiato tutto ciò che comportava il successo e il lancio di un nuovo libro: le interviste, la pubblicità, scegliere le immagini per la copertina… tutti dettagli che a lui non interessavano, ma che richiedevano il suo tempo.

L’unica cosa che a lui interessava, invece, era potersi concentrare su quelle nuove idee che gli frullavano nella testa, quei teneri e indifesi germogli che sarebbero scomparsi immediatamente se non coltivati con sufficiente pazienza e attenzione.

Purtroppo quello era il prezzo del successo, e, mentre le nuove idee svanivano così com’erano affiorate alla mente, a lui restavano soltanto tutte quelle incombenze da soddisfare. Ma fino ad allora, terminato il periodo legato alla promozione del suo ultimo romanzo, le idee tornavano con la stessa rapidità con la quale erano scomparse, e lui poteva immergersi di nuovo nella scrittura, finché terminava un nuovo best-seller e il ciclo ricominciava.

Per fortuna, con un po’ d’astuzia, era riuscito almeno a convincere l’editore ad evitare servizi fotografici, di qualunque tipo e per qualunque motivo.

Odiava l’idea di essere sotto i riflettori,  eppure sua madre continuava a dirgli che era così bello che avrebbe potuto benissimo fare il modello… forse aveva ragione, pensò sorridendo, meditando sulla corporatura forte e atletica che Madre Natura gli aveva donato. Alto e con ampie spalle, aveva la fortuna di possedere anche un volto affilato, dai bei lineamenti finemente cesellati. La carriera di modello, tuttavia, non era la sua strada.

Lui desiderava scrivere. Solo scrivere, fin da quando era ragazzo.

Senza smettere di correre, si levò la felpa e la legò in vita. L’aria cominciava a riscaldarsi.

Sorrise divertito, ricordando l’espressione dell’editore quando lo aveva visto per la prima volta di persona: si era sfregato le mani al pensiero di poter mettere in copertina l’immagine di un giovane scrittore tanto attraente. I libri avrebbero venduto di più, gli aveva detto compiaciuto. Era probabile che sognasse già cartelloni pubblicitari con la sua immagine in formato gigante. Ma lui aveva stroncato sul nascere quell’entusiasmo: appena aveva scorto quel particolare luccichio negli occhi dell’editore, subito si era visto costretto a sopportare anche la tortura di sfibranti servizi fotografici e così lo aveva convinto ad abbandonare l’idea di sfruttare la sua prestanza fisica per incrementare le vendite, con la brillante trovata di creare attorno alla propria persona un alone di mistero che, in un mondo dove l’immagine ormai contava più d’ogni altra cosa, avrebbe incuriosito più del suo volto sul retro della copertina.

Aveva esteso la storiella anche ad eventuali foto per interviste… in pratica s’era creato il personaggio dello scrittore senza volto, e l’idea aveva fatto centro. Ai lettori era piaciuto l’alone di mistero che circondava la sua persona e acquistavano i suoi romanzi perché avvincenti e ben scritti e non perché l’ultima produzione dello scrittore bello e sexy!

L’editore era contento, il suo agente pure ed entrambi non avevano più insistito con le foto in copertina. Ora erano proprio loro i primi a tutelare la sua immagine e a controllare che ogni intervista fosse priva di un qualunque servizio fotografico, persino del minimo scatto effettuato da un cellulare.

E così almeno quella tortura se l’era risparmiata!

Guardò l’orologio e scoprì di aver corso per più di mezz’ora.

Non si sentiva per niente stanco. Anzi, ad ogni passo, ad ogni respiro, ad ogni tensione dei muscoli, sentiva una nuova energia impadronirsi di lui, come non gli accadeva da settimane.

Aveva fatto bene a staccare la spina e scomparire per un po’.

Si sentiva libero, finalmente. Libero e selvaggio, proprio come quella spiaggia deserta. Avrebbe tanto desiderato avere con sé Joy, la sua cavalla araba, uno splendido esemplare dal mantello nero che aveva acquistato con i proventi del suo primo romanzo; quando era in California, a casa dei suoi genitori, ogni mattina poco prima dell’alba montava in sella a piedi scalzi e con indosso solo un paio di vecchi jeans e la lanciava in un galoppo sfrenato lungo la spiaggia... correvano insieme, criniera e capelli al vento, due animali selvaggi, finché Joy non decideva che era l’ora di rientrare; allora le permetteva di ricondurlo a casa al passo, mentre si godeva il sole che lentamente sorgeva ad illuminare la giornata.

Invece aveva lasciato Joy in America, per evitarle lo stress di un viaggio oltreoceano solo per soddisfare il suo desiderio di libertà.

Avrebbe dovuto accontentarsi delle proprie gambe, quel mattino, per sentirsi libero.

 

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Capitolo 3
*** Ispirazione ***





Capitolo III

Ispirazione



La donna camminava lungo la battigia, le scarpe in una mano e una sciarpa ad annodarle i capelli, che le svolazzava attorno al viso come le ali di una farfalla bianca. Bianco era anche l’abito che indossava.

Procedeva lenta, affondando i piedi nudi nella sabbia ancora umida, mentre la brezza a tratti gonfiava e sollevava la gonna, scoprendole le gambe snelle. Camminava osservando l’acqua spumeggiante lambirle i piedi; ogni tanto, tuttavia, alzava lo sguardo e si perdeva a contemplare la linea dell’orizzonte che si andava delineando alla luce rosata dell’alba. In lontananza, in direzione dell’Inghilterra, il profilo scuro di una nave sembrava aver attratto la sua attenzione: forse il ricordo del viaggio fatto da poco.

Due giorni prima era sbarcata a Calais, di ritorno dalla contea dello Hampshire, la stessa che aveva visto i natali di Jane Austen e Charles Dickens e dove si trovava la residenza in cui era nata sua madre; preferiva sempre navigare o, in alternativa volare, piuttosto che attraversare the Chunnel, il tunnel ferroviario della Manica: l’aveva fatto una volta sola da ragazza, con suo padre, e le 23 claustrofobiche miglia di percorso sottomarino nonostante l’alta velocità del treno, le avevano fatto giurare che mai più lo avrebbe utilizzato, piuttosto avrebbe attraversato il Canale a nuoto!

Una volta sbarcata, anziché rientrare subito a Parigi, si era concessa qualche giorno in quel piccolo paese di mare sulla costa atlantica per pensare. Il viaggio che aveva intrapreso non aveva dato i frutti sperati: non aveva trovato ciò che era andata a cercare e ora era punto e a capo.

Aveva davvero sperato di trovare quel vecchio cimelio di famiglia tra gli effetti personali di sua madre, invece aveva cercato ovunque nella casa dei suoi avi materni, rovistando persino fra vecchi documenti dei nonni; aveva anche domandato ad Anthony, il figlio del vecchio maggiordomo tuttofare, che lei aveva promosso ad amministratore e che si occupava della tenuta in sua assenza, se ricordava qualcosa in proposito, ma anche quello era stato un buco nell’acqua. Anthony, che portava lo stesso nome di suo padre e di suo nonno e del bisnonno ancora prima, ricordava moltissimi particolari della propria famiglia e di quella dei suoi antenati, particolari tramandati di padre in figlio, così come, da secoli ormai, sembrava che fosse tramandato il nome del primogenito maschio, quasi fosse una specie di “onore” che il maggiordomo della famiglia di sua madre dovesse chiamarsi Anthony; tuttavia tra quei ricordi l’oggetto che lei stava cercando non rientrava.

Era partita dalla Francia con l’assoluta certezza di trovare in Inghilterra ciò che stava cercando da oltre un anno, ossia da quando era entrata in possesso della sua parte di eredità alla morte dei genitori. Ora si sentiva un po’ triste e depressa, perché non aveva proprio idea di dove guardare ancora; anzi, a dire il vero, cominciava a pensare che quel cimelio appartenuto al suo antenato non esistesse più.

Stava rimuginando su questi pensieri, oltre a riflettere che era ormai tempo di rientrare a Parigi dove il lavoro l’attendeva, quando una folata di vento improvviso le sollevò i capelli insieme alla sciarpa bianca che li legava, la quale si sciolse e, trasportata dall’aria, si librò in cielo come gabbiano.

Avvenne tutto in un attimo e la giovane donna si accorse troppo tardi di non riuscire più ad afferrarla; d‘istinto si voltò per inseguirla, proprio mentre dietro di sé un uomo che correva sulla spiaggia, a sua volta immerso nei propri pensieri, si era accorto della sua presenza solo quando aveva intravisto qualcosa di candido passargli davanti; egli tentò di fermarsi, ma non fu rapido a sufficienza per evitare che la donna gli finisse addosso: se la ritrovò tra le braccia, disorientata dallo scontro improvviso.

Per alcuni istanti rimasero a guardarsi negli occhi, finché la sciarpa non li distrasse entrando nel loro campo visivo mentre, rincorrendo i capricci della brezza mattutina, si abbassava sul mare, imitando ancora una volta il volo di un gabbiano, per poi dirigersi verso di loro. La donna cercò di prenderla ma il tessuto capriccioso seguiva i giochi del vento e si allontanò di nuovo. L’uomo reagì subito e, con due agili falcate, afferrò al volo la lunga stola in seta candida un attimo prima che cadesse in acqua.

Con un sorriso si voltò verso la sconosciuta e gliela porse; lei la recuperò, facendogli un breve cenno di ringraziamento col capo.

Per qualche attimo rimasero ancora a guardarsi negli occhi; poi la donna si mosse appena, un gesto impercettibile nel quale, tuttavia, egli colse dell’imbarazzo. Allora la salutò e riprese la sua corsa, lasciandola sola a scrutare il mare.

 

 

***

 

 

Rilassato dall’incedere regolare e ritmato dei propri passi, tentò di ripensare al volto della giovane sconosciuta, accorgendosi di ricordarne solo vagamente i lineamenti, che gli erano sembrati graziosi. L’unico particolare del quale si ricordava alla perfezione erano gli occhi, soprattutto il colore, un intenso turchese, molto simile alla tonalità del mare, o del cielo, in una chiara e luminosa giornata estiva. 

Rallentando si voltò verso di lei e la vide ferma, così come l’aveva lasciata, lo sguardo ancora perso in lontananza ad osservare la linea dell’orizzonte; una figura solitaria, bianca alla luce rosata dell’alba appena sorta. Si era riannodata la sciarpa attorno al capo e la brezza sollevava i lembi del tessuto in un groviglio di capelli scuri e chiazze candide, creando un contrasto che gli trasmetteva un non so che di nostalgico.

Si fermò ad osservarla, affascinato dall’immagine che, in quel preciso istante, si stava formando nella sua mente: una donna, in abiti settecenteschi o dell’Ottocento… il particolare non era ben definito… sul ponte di una nave, un antico veliero, in mezzo all’oceano, che tratteneva e copriva i capelli con un lungo scialle dello stesso colore dell’abito…

Continuando a correre, assecondò la propria immaginazione, lasciandola libera di esprimersi, e subito si sentì carico di una nuova energia.

Nella testa, in rapida successione, le immagini gli scorrevano una dietro l’altra, pronte per essere organizzate e successivamente tradotte in parole…

Sorrise compiaciuto: finalmente l’ispirazione stava ritornando.

Sentì che era la volta buona ed era certo che se avesse permesso alla propria mente di agire, presto sarebbe arrivato anche il titolo.

E con il titolo anche il suo prossimo romanzo.

 

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Capitolo 4
*** Cambiamento ***





Capitolo IV

Cambiamento



Rientrò dalla corsa pervaso da una strana euforia. Accadeva sempre così quando, finalmente, i pezzi del puzzle cominciavano ad incastrarsi e il quadro, dapprima sfocato, cominciava ad assumere una forma più definita.

Prese il cellulare e compose un numero.

“Pronto” rispose una voce femminile dal piglio sicuro.

“Mamma!”

“Andrew, tesoro, finalmente! Sono settimane che sei sparito”

“Scusami mamma, avevo bisogno di staccare da tutto e da tutti. Papà come sta?”

“Bene, ma tu dove sei?”

“In Francia, con un nuovo progetto in testa”.

 “Raccontami tutto”.

Immaginò, dall’altra parte del mondo, la madre che si sedeva sulla sua poltrona preferita, nel salotto della casa dei suoi genitori in California, il quale traboccava, oltre che di volumi di vario genere, anche di tutte le prime edizioni dei romanzi del figlio, tradotte in varie lingue e autografate, nonché  dei premi da lui vinti durante la sua, seppur breve, travolgente carriera di scrittore.

“Sto pensando di scrivere un romanzo storico ambientato nell’Ottocento”.

“Come mai quest’idea?”

“Sono stanco di ciò che ho scritto finora: assassini, beghe da tribunale, spionaggio... Vorrei cimentarmi con qualcosa di diverso e di più impegnativo. Credo d’aver bisogno d’un cambiamento, per ritrovare l’ispirazione. E poi...” si fermò, indeciso se continuare.

“E poi cosa?” lo stuzzicò la madre.

Sorrise, ricordando com’era sempre stata capace di convincerlo, fin da piccolo, a raccontarle ogni pensiero che gli passava per la mente. Era stato fortunato: con entrambi i genitori aveva sempre avuto un rapporto speciale di intesa e di confidenza.

“Vedi... il passato mi ha sempre affascinato; fin da bambino mi è sempre piaciuto immaginare, ogni volta che mi trovavo in un posto nuovo, come avessero vissuto le persone nei secoli precedenti...”.

“Non me ne avevi mai parlato” disse la madre.

“Ricordi come mi affascinavano i racconti del passato? E quanto mi piaceva andare con papà, alla domenica mattina, in stazione? Lui sapeva che mi piaceva andarci e credeva che fosse per i treni, così mi ci portava appena possibile; i treni mi piacevano molto, è vero, ma quello che mi affascinava di più era immaginare la stazione com’era nei secoli passati, con le donne in abiti lunghi e cuffiette e gli uomini in redingote... e lo stesso mi accade, ancora oggi, ogni volta che mi trovo in qualche luogo nuovo...”.

“Allora forse devi tentare. Potresti mantenere lo stesso genere e ambientarlo a metà Ottocento, ad esempio” suggerì sua madre.

“Un giallo ambientato nel XIX secolo? Mhm... forse... è un ‘idea. Ma...”

“Ma tu avevi in mente altro” finì per lui sua madre oltre oceano.

“Non so... il fatto è che da un po’ rifletto sulla vita, sugli uomini... il destino di un uomo, alla nascita, è di appartenere ad un certo periodo storico... di nascere e magari vivere in un luogo piuttosto che in un altro; tutto questo non dipende da noi, ma dal destino: si incontrano persone... ma se fossimo nati e vissuti in un altro periodo, o in un altro luogo, avremmo conosciuto, amato, odiato, persone diverse... e anche questo non dipende da noi, ma dal nostro destino. Dal fatto che siamo nati proprio in un certo momento, in un certo periodo storico, in un certo luogo. Ogni uomo appartiene alla propria epoca... Spesso mi sono scoperto a desiderare di poter aver vissuto in un'altra epoca, per sapere cosa sarei stato, CHI sarei diventato. E poi ancora: il nostro spirito, la nostra anima... quando moriamo... è possibile che “rinasca” in altre persone, che riviva in altre epoche storiche? E cosa rimane di ognuno di noi, alla nostra morte? Il corpo muore, ma l’animo? Il pensiero? Quello che più mi spaventa, della morte, non è tanto non esistere più nella mia fisicità ma non esistere più come pensiero, come animo... perché è quello che determina un essere umano e lo distingue da un altro...”.

Si rese conto all’improvviso del silenzio di sua madre e si fermò.

“Scusami mamma... ho permesso ai miei pensieri di prendere il sopravvento”.

“E’ questo il reale motivo per cui scrivi?” gli domandò sua madre, interrompendolo.

Lui comprese all’istante il senso della domanda.

“Non lo so... forse sì, ora che mi ci fai pensare. E’ John Locke a dirci che il linguaggio è il segno convenzionale delle idee, lo strumento per mezzo del quale l’Uomo indica il proprio pensiero e con il tempo tale strumento si è perfezionato grazie all’ acquisita capacità di renderlo permanente trasferendolo su un supporto materiale, ossia scrivendolo. La lingua è ‘madre’ perché oltre a permetterci d’intrattenere rapporti con gli altri, prima di tutto ci consente di pensare noi stessi come individui, e quindi di esistere in quanto esseri pensanti. La lingua è sì una struttura logica, ma è anche un poderoso sistema emotivo, capace di suscitare sentimenti tanto quanto è in grado di trasmettere informazioni... Forse è sempre stato questo il motivo per cui scrivo e  per cui, fin da ragazzo, ho sempre scritto un diario: per ‘fermare’, nel tempo, i miei pensieri, il mio animo, la mia personalità ”.

“Continui a scrivere il tuo diario?”

“Sì... infantile, vero?”

“Non direi proprio” disse sua madre ed egli colse una sfumatura nel tono di voce che non riuscì ad inquadrare: sembrava stupore misto a tenerezza, ma anche un accenno di rassegnata certezza, come se desse per scontato che lui non potesse farne a meno. “Tu non sei mai stato ‘infantile’, neppure quando eri un bimbo. Anche allora stupivi sempre tutti per le tue acute osservazioni “, aggiunse poi sua madre.

“Già... forse è proprio di questo che vorrei parlare nel mio romanzo: non so... è come un’esigenza che sta risalendo pian piano alla superficie. Ciò che ho scritto finora raccontava semplicemente delle avventure.”

“Non sminuire così i tuoi romanzi, caro”.

“Non fraintendermi, sono contento di ciò che ho prodotto finora; ma è sempre stata roba commerciale, quasi una sorta di preparazione, di allenamento, per un qualcosa di diverso. Il problema è che non so ancora bene cosa, ma lo scoprirò.”

“Ross che ne dice?” chiese la madre, con l’ombra di un sorriso divertito nella voce. Sua madre sapeva quanto gli fosse difficile convincere il proprio agente ad un qualsivoglia infinitesimale cambiamento; di certo già si figurava la battaglia verbale che avrebbe dovuto sostenere per un cambiamento così radicale. Probabilmente sorrideva nell’immaginare Ross in preda ad una crisi di nervi o in procinto di avere un attacco di cuore!

“Ross farà i capricci, come sempre, ma come sempre la spunterò io, lo sai. Devo avere la stoffa dell’avvocato, a furia di scriverne!” rispose, sorridendo a sua volta.

“Saresti stato un eccellente avvocato, io e tuo padre te lo abbiamo sempre detto, figliolo”.

“Lo sai com’è fatto Ross... per lui conta solo che io rimanga ben saldo sul viale del successo, ma a me questo non basta più. Per dirla tutta, il successo è stato piacevole e, soprattutto, inaspettato, ma non è mai stata la mia priorità, tu lo sai. E ora lo è ancora meno“.

“Cosa vuoi, adesso?”

“Voglio raccontare qualcosa di ‘vero’, mamma. Non so ancora bene cosa, ma so che ho la necessità di cambiare: cambiare genere, innanzitutto, ma forse non solo... Io scrivo perché amo scrivere. Scrivo per il gusto di farlo, se poi quello che racconto piace anche alla gente, tanto meglio. Ora sento che è giunto il momento di dirigermi altrove... Del resto siete stati tu e papà a dirmi sempre che nella vita bisogna fare solo quello in cui si crede e perseguire la propria strada fino alla fine”.

 “E allora fallo”.

“Tu che cosa ne pensi?”

“Andrew, sei tu che devi decidere cosa fare, la mia opinione è ininfluente” lo rimproverò lei con affetto .

“Per me è molto importante saperlo. I tuoi consigli sono sempre stati preziosi”.

“Lo senti davvero?” chiese.

“Sì, lo sento davvero. Ed è una sensazione molto forte”.

“E allora segui il tuo istinto, come ti ha sempre detto tuo padre”.

“E anche tu”.

“Certo, anch’io”.

“Grazie mamma. Ci sentiamo presto. Ti voglio bene.”.

“Anche io e tuo padre te ne vogliamo, Andy. A presto, tesoro”.

Spense il cellulare con una sensazione di pace. Anche se dentro di sé sapeva che la strada giusta era quella del cambiamento, parlarne con sua madre gli aveva fatto bene: ora era sicuro più che mai che il suo prossimo libro sarebbe stato un romanzo storico.

Ma ora più che mai gli serviva un esperto: qualcuno che conoscesse talmente bene la cultura, la vita e l’arte del XIX, secolo da rendergliela famigliare, come se fosse vissuto lui stesso nel 1800.

Era quello il segreto dei suoi romanzi: chi leggeva era subito rapito dalla perfetta descrizione dell’ambientazione e dei personaggi, al punto da immedesimarsi e avere la sensazione di vivere in prima persona tutte le avventure narrate.

Riusciva ad ottenere ciò solo con un’attenta ricostruzione ambientale, un procedimento che la sua mente elaborava, tramite documentazione fotografica e uno studio attento e preciso di fatti e luoghi, non appena l’ispirazione si concretizzava in una storia da raccontare.

Lui stesso, dopo aver delineato i punti salienti della trama, si lasciava catturare dall’ambientazione e per tutto il tempo in cui scriveva si trasferiva là, dove la vicenda si svolgeva; e se la sua prossima vicenda si fosse svolta nel XIX secolo, era pronto a fare i bagagli mentali e trasferirsi nell’Ottocento, ad inseguire i suoi personaggi, ovunque essi lo avrebbero portato.

Aveva bisogno di Ross, ora; tuttavia non aveva alcuna intenzione di intavolare una discussione. Riaccese il cellulare, ma invece di fare la telefonata, inviò un sms succinto, che non ammetteva repliche.

Trovami al più presto, in Francia, un esperto del XIX secolo”.

In fondo era anche grazie a lui che Ross poteva permettersi una barca ancorata a Martha’s Vineyard, con tanto di villa a seguito… che si guadagnasse quel privilegio, una volta tanto, facendo il proprio lavoro senza domandare e senza discutere.

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Capitolo 5
*** Ostacoli lungo il percorso ***





Capitolo V

Ostacoli lungo il percorso



Monsieur Andrèws?”.

Riconobbe subito, dall’accento e dalla pronuncia, la voce dell’assistente di Lady Sinclair. Del resto non era a conoscenza di altre donne francesi che avessero il suo numero di cellulare: benché si trovasse in Francia ormai da quasi due mesi, e a Parigi da una settimana, era trascorso ancora troppo poco tempo, soprattutto perché in quel periodo le donne erano l’ultimo dei suoi pensieri.

L’unica donna di cui gli importava era la protagonista del suo romanzo, alla quale doveva ancora trovare un nome e, a dire il vero, anche una fisionomia, un carattere... tutto, insomma, compresa la trama della vicenda nella quale voleva inserirla. Nonostante l’euforia che la sconosciuta incontrata sulla spiaggia oltre un mese prima gli aveva suscitato, le idee erano rimaste confuse e prive di un seguito; eppure era certo d’essere sulla strada giusta.

No. Era più corretto precisare. Due erano le donne alle quali era interessato in quel momento: l’eroina del suo romanzo e, naturalmente, Lady Sinclair.

Aveva un disperato bisogno di Lady Sinclair.

Oui. C’est moi”.

Bonjour, monsieur”  lo salutò mademoiselle Marie-Antoinette Valens prima di passare all’inglese, mantenendo tuttavia l’adorabile accento francese.

“Lady Sinclair è davvero molto dispiaciuta. Mi ha pregato di avvertirvi che è costretta a rimandare di nuovo il vostro appuntamento. Un altro impegno urgente, che l’ha costretta a tornare alla Maison Dior…”.

“Capisco” la interruppe secco lui, infastidito.

La donna dovette cogliere il disappunto nella sua voce, poiché si affrettò ad aggiungere:

“Milady sarebbe disponibile dopodomani, alla stessa ora. Oppure quando è più comodo monsieur”.

Attese qualche secondo, prima di rispondere che gli andava benissimo quando sarebbe stata disponibile milady. A dire il vero non gli andava bene affatto aspettare altri due giorni e proprio per quello sarebbe stato divertente spostare l’appuntamento a suo piacimento, magari anche rimandarlo una volta o due, ripagando milady con la sua stessa moneta; però quell’incontro era troppo importante per partire col piede sbagliato. Se la nobildonna si fosse rivelata davvero la persona di cui aveva bisogno, avrebbero lavorato assieme per parecchio tempo.

Ad essere sincero cominciava a nutrire seri dubbi che questa Lady Sinclair potesse davvero essere l’esperto che stava cercando; Ross doveva aver preso un granchio quando gli aveva fatto il suo nome. Oppure si era divertito di proposito, per vendicarsi di non avergli ancora spiegato a cosa gli servisse un esperto del XIX secolo.

Con ciò non voleva affatto mettere in dubbio le conoscenze dell’aristocratica signora; piuttosto ciò che criticava era semmai la sua scarsa professionalità. Era anche vero che la nobildonna non era una sua dipendente, anche se era ovvio che l’avrebbe ricompensata per la sua consulenza; tuttavia non poteva neppure affidarsi a qualcuno di tanto frivolo e poco rispettoso degli appuntamenti presi e, di conseguenza, del suo tempo.

Era abbastanza evidente che milady era più interessata ad occuparsi delle sue toilettes all’ultima moda che delle esigenze di uno scrittore americano.

Anche il più rozzo degli uomini probabilmente era a conoscenza che la Maison Dior era un importantissimo atelier di alta moda, uno dei pochi sopravvissuti al dilagare del prét-a-porter, che aveva risucchiato nel suo vortice tutte le case di moda più famose, dalle francesi alle italiane, comprese quelle oltreoceano, nessuna esclusa. La Maison Dior era rimasta una delle poche che, pur avendo più di una linea consacrata al prét-a-porter, conservava immutata la tradizione dell’haute-couture come il suo fiore all’occhiello.

Bien, Monsieur. Riferirò a Milady. Au revoir” lo salutò mademoiselle Valens.

Dopo aver ricambiato il saluto della sua interlocutrice, rimase per un attimo pensieroso, il cellulare ancora tra le mani.

Quando aveva saputo dal suo agente che l’esperto di cui necessitava sarebbe stata una nobildonna inglese, in un certo senso lo aveva preso come un segno del destino: gli piaceva l’idea che per il suo primo romanzo ambientato nel passato potesse avvalersi addirittura della consulenza di una vera lady, probabilmente una delle poche rimaste ancora in vita. Con la sua fervida immaginazione si era visto lavorare fianco a fianco ad una raffinata signora sull’ottantina, dalla mente ancora lucida e lo spirito brillante.

L’idea che Lady Sinclair potesse essere più giovane non lo aveva neppure sfiorato.

A quel punto, però, doveva correggere l’immagine mentale che si era creato della sua esperta: per quanto una signora ottantenne potesse essere arzilla ed eccentrica, non se la immaginava proprio a disdire ben due appuntamenti con un potenziale ascoltatore di innumerevoli storie del passato, solo per trastullarsi con abiti alla moda e toilettes stravaganti. Pertanto era quasi certo che non potesse trattarsi che di una signora sulla sessantina, magari ancora piacente o convinta di esserlo.

La peggior razza da tenere a bada, a suo avviso.

Una donna giovane, a maggior ragione se bella, diventava una potenziale conquista ed era un piacere averci a che fare.

Una signora decisamente anziana era un’adorabile vecchietta e, se presa per il verso giusto tanto da farsi voler bene come un nipote, diventava una gradevole compagnia  e, soprattutto, fonte inesauribile di affascinanti storie del passato.

Le donne tra i quaranta e i cinquant’anni potevano vantare il fascino dell’esperienza e una maggiore sensualità e sedurle poteva avere il gusto del proibito. In alternativa, se non ancora inacidite dalla vita e pertanto ancora tollerabili, erano in grado di diventare ottime amiche.

Ma le donne intorno alla sessantina erano una specie a parte.

Innanzitutto erano vicine alla menopausa, nel senso che con molta probabilità ci erano entrate da poco e già questo le rendeva ingestibili: con gli ormoni ancora impazziti diventavano esseri incontrollati, spesso poco soddisfatte dai mariti, se ancora li avevano. Un bell’uomo, e se giovane ancora meglio, poteva pertanto diventare una preda ambita, anche solo per illudersi di vincere la battaglia contro il tempo. Se invece più inibite, spesso risultavano irritanti o addirittura insopportabili, soprattutto se depresse o rese amareggiate dalla vita; in rari casi erano esseri equilibrati e soddisfatti di sé.

Ovviamente la propria madre non rientrava mai in questa categoria di signore e, anche se ne avesse fatto parte, sarebbe stata di certo l’eccezione che confermava la regola!

Rassegnato all’inevitabile di fronte ad una Lady Sinclair tra i cinquantacinque e i sessant’anni,  bassa e rotondetta, con molta probabilità abbigliata come una trentenne per convincersi di esserlo ancora (se la immaginava, chissà perché, con un paio di calze colorate: verdi oppure, peggio ancora, addirittura viola!), sorrise all’idea che gli era appena venuta in mente: se l’avesse cercata alla Maison Dior, avrebbe potuto accompagnarla a casa, carico di tutti i suoi acquisti, e così facendo avrebbe guadagnato i due giorni che l’appuntamento spostato gli avrebbe fatto perdere.

Aveva bisogno, un disperato bisogno, di rimettersi a scrivere; ma se la sua esperta non si fosse rivelata la persona che stava cercando, avrebbe dovuto attendere ancora. Pertanto se accompagnare a casa Lady Sinclair dalla sua scorribanda nell’importante casa di moda era il prezzo da pagare per procedere al più presto con  la stesura del suo romanzo, allora lo avrebbe pagato senza battere ciglio.

E al diavolo se all’atelier lo avessero scambiato per il suo ultimo e giovane amante!

 

 

***

 

 

Mademoiselle Marie-Antoinette era agitata. La telefonata con Monsieur Andrèws le aveva messo addosso una strana ansia. Temeva di non aver svolto al meglio il proprio compito, come le era stato richiesto da Milady.

Monsieur le era parso contrariato a spostare l’appuntamento. Lei era certa d’aver fatto il possibile per fargli capire che non era stato per sua volontà che Lady Sinclair aveva dovuto posticipare di nuovo l’incontro, ma non era sicura d’essere riuscita a convincerlo.

Milady le aveva raccomandato di assicurarsi che il famoso scrittore capisse, temendo che egli cambiasse idea e così non potesse più incontrarlo. E Marie-Antoinette ben sapeva quanto la sua padrona ci tenesse ad incontrare Monsieur Andrèws essendo uno tra i suoi scrittori preferiti.

“Marie, un'altra occasione come questa non l’avrò mai più. Ti rendi conto? Consulente per il suo prossimo romanzo. Sai che non esistono sue immagini? The young writer of mystery’… ‘Le jeune écrivain de le mystère’E io potrò conoscerlo di persona… Wonderful! Incroyable!”.

Era così entusiasta, Lady Sinclair, quando aveva saputo! E ora, forse, lei aveva rovinato tutto.

Girò tra le mani il biglietto su cui vi era scritto il numero telefonico dell’agente di Alex Andrews, nonché il numero di cellulare al quale contattare lo scrittore.

Era indecisa se richiamare Monsieur, col rischio di indisporlo maggiormente, oppure se telefonare al suo agente, l’uomo col quale aveva parlato proprio lei alcune settimane prima, per tentare di spiegare e domandargli che intercedesse a favore di Lady Sinclair.

Alla fine, temendo di peggiorare la situazione, decise di non fare nulla e di ritornare agli altri incarichi che era solita svolgere ogni giorno per Milady.

 

 

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Capitolo 6
*** La Maison Dior ***





Capitolo VI

La Maison Dior



“Ok, abbiamo finito”.

Sospiri soddisfatti si levarono dal piccolo gruppo di modelle che da alcune ore erano in posa, uno scatto dopo l’altro, davanti all’obiettivo esigente della giovane fotografa assieme alla quale, tuttavia, a tutte loro piaceva lavorare.

Nicole Montgomery era conosciuta e stimata come una seria professionista, pignola all’inverosimile, ma capace, più di altri artisti della fotografia, di mettere a proprio agio modelli e modelle che posavano per lei.

Ogni sua foto era un piccolo capolavoro, sia che si trattasse di un ritratto, un servizio fotografico per una galleria d’arte o di una copertina di moda; pochi, tuttavia, conoscevano il suo talento nel ritrarre anche comuni passanti, clochard sconfitti dalla vita o bambini che correvano felici nei prati. Dalle sue foto traspariva sempre la vera anima del soggetto, che era in grado di mettere a nudo, neppure lei sapeva bene come.

“Ragazze, siete state favolose! E’ sempre un piacere lavorare con voi. Grazie…”.

Quella era un’altra sua caratteristica, che gratificava moltissimo chi, per il lavoro che svolgeva, spesso era considerato alla stregua di un manichino.

Nicole apprezzava sempre la fatica di chi posava per lei e non la dava mai per scontata. Con una semplice frase sapeva far sparire la stanchezza di ore e ore davanti all’obiettivo e ridare dignità umana a persone sfruttate solo per il proprio corpo.

Le modelle e i modelli che sfondavano davvero in quel mondo erano pochi e a quale prezzo ciò accadeva. La maggior parte di loro trascorreva, da quando iniziavano giovanissimi, anni e anni a sfinire il proprio fisico con estenuanti ore di lavoro da una parte all’altra del globo, sottostando a diete rigidissime e a regole di vita che sempre più rapidamente li portavano a soccombere al mondo che invece sognavano di conquistare.

“Grazie a te, Nicole. Alla prossima…” risposero in coro le sei ragazze, mentre raccoglievano sacche e borsoni contenenti il necessario per il servizio fotografico. La truccatrice se n’era andata non appena le modelle erano state preparate per l’ultimo scatto; gli abiti del servizio sarebbero stati recuperati più tardi dagli addetti ai lavori.

Nicole sorrise, mentre riponeva nella borsa due delle tre macchine fotografiche utilizzate; la terza le sarebbe rimasta appesa al collo, come sempre.

Non si può mai sapere quando il “soggetto giusto” per la “foto perfetta” incontra la tua strada. Quello era il suo motto, fin da quando aveva scattato la sua prima fotografia. Aveva dodici anni, allora, e la macchina fotografica era stata il più bel regalo di compleanno.

Credendo d’essere rimasta sola, sobbalzò quando una voce maschile, una profonda voce maschile, la interpellò.

Pardon… stavo cercando…”.

Si voltò di scatto, facendo cadere a terra due rullini, per sua fortuna già ritirati nelle loro custodie; con molta probabilità era l’unica fotografa rimasta al mondo ad utilizzare ancora la complessa apparecchiatura tradizionale, affiancata alle più moderne attrezzature digitali. Lei aveva sempre preferito utilizzare entrambe le tecniche, per ottenere il meglio dal suo lavoro e la tecnologia, da sola, a suo parere non avrebbe mai sostituito la qualità. Inoltre adorava sviluppare in camera oscura, come le avevano insegnato a scuola; era un’attività che la rilassava molto.

Rendendosi conto d’averla spaventata, il nuovo arrivato si chinò a raccogliere i rullini che, nel frattempo, erano rotolati quasi ai suoi piedi, e glieli porse.

Invece di allungare la mano per prenderli, Nicole rimase immobile ad osservarlo.

Excusez-moi”, disse di nuovo lui. Poi aggiunse: “Non volevo spaventarla…”.

Lei li recuperò, rivolgendogli un sorriso rassegnato.

“Non si preoccupi…”.

Credeva d’aver terminato e invece, a quanto sembrava, doveva scattare altre foto. Peccato che nessuno si fosse preso il disturbo di avvertirla e di dirle quali. Era una libertà che alla Maison si stavano prendendo un po’ troppo spesso e che le stava causando non pochi problemi a livello organizzativo.

Osservò di nuovo l’uomo e a quel punto fu certa: si trattava dello sconosciuto della spiaggia. A causa del suo lavoro aveva una capacità formidabile di memorizzare i volti, soprattutto se particolari o se suscitavano, per un motivo o per l’altro, la sua curiosità o il suo interesse. L’uomo col quale si era scontrata sulla spiaggia più di un mese prima aveva un volto per lei indimenticabile: lineamenti maschi, tuttavia finemente cesellati, con il naso dritto, dal taglio che lei amava definire “aristocratico”,  e labbra piene e ben disegnate; gli occhi, sottolineati da folte sopracciglia scure, erano di un colore strano, una particolare sfumatura di grigio-azzurro stemperato nel verde, e gli conferivano uno sguardo intenso e seducente, messo ancor più in risalto dal suo incarnato scuro e dai folti capelli neri e mossi, che a quanto sembrava egli amava portare un po’ lunghi a sfiorargli il collo.

Che strana coincidenza! Erano settimane che pensava a lui. Aveva colpito la sua immaginazione ed in effetti, ora che lo osservava meglio, volto a parte era un soggetto davvero interessante, diverso dai soliti modelli che doveva ritrarre, spesso più simili ad efebi che a maschi così come li intendeva lei. Quell’uomo non aveva nulla dell’efebo. Era mascolinità allo stato puro, ma con una finezza insita in lui che lo rendeva superlativo. Quantomeno da fotografare.

Quel pensiero la riscosse all’improvviso e affievolì in parte il suo entusiasmo.

Sospirò rassegnata, mentre tornava al tavolo dove aveva lasciato la borsa e tirava fuori di nuovo l’attrezzatura che aveva appena ritirato. Pur felice di avere un tale soggetto con cui lavorare, erano pur sempre diverse ore che non staccava un attimo. Inoltre avrebbe preferito conoscerlo meglio come uomo, ma in questo caso non avrebbe dovuto esserci di mezzo il lavoro.

“Venga avanti e si rilassi. Cercheremo di fare prima possibile. Sto scattando da quasi quattro ore senza interruzione e speravo fosse finalmente giunta l’ora di andarmene”.

“Non credo che sia il caso… io stavo solo cercando…” provò a dire lui, senza avvicinarsi.

“Mi scusi, sono davvero stanca e vorrei finire presto”, lo interruppe di nuovo, mentre trafficava con le luci per creare l’atmosfera giusta.

Sensualità. Voleva sensualità, per il tipo che stava per ritrarre.

“Non abbiamo mai lavorato assieme e già questo renderà il tutto meno rapido di quanto vorrei. Ma lei ha un volto davvero interessante e un fisico magnifico… non sarà difficile ottenere delle belle foto. E’ sufficiente che si rilassi” disse con aria professionale.

Dato che non aveva idea di che foto volessero, avrebbe deciso lei in base a ciò che le suggeriva l’istinto. In genere non aveva mai sbagliato.

“Ha già posato, non è vero?” gli domandò, dopo un attimo di pausa.

Non ricevendo risposta, si voltò di nuovo verso di lui e vide che la stava osservando, con un misto di divertimento e sfida nei suoi incredibili occhi. Sulle labbra l’ombra di un sorriso. Sembrava che stesse prendendo una decisione importante e valutasse qualcosa, chissà cosa, che avrebbe decretato una scelta piuttosto che l’altra.

Forse avrebbe dovuto metterlo più a suo agio. A ben pensarci non lo aveva accolto con particolare entusiasmo.

“Mi scusi, l’ho aggredita senza neppure presentarmi. Io sono Nicole. Nicole Montgomery” disse, inquadrandolo attraverso l’obiettivo. Non si era sbagliata: era davvero fotogenico.

“Parente del famoso generale?” domandò lui, divertito.

“Tra le altre cose…” rispose vaga, concentrata soprattutto sull’immagine che stava mettendo a fuoco. In genere questo era il momento in cui, per creare un’atmosfera rilassata e mettere a proprio agio chi doveva fotografare, di solito passava al tu. Invece fu restia a farlo: aveva la sensazione che una maggiore confidenza avrebbe creato troppa intimità. Così si limitò a chiedergli:

“Come vi  chiamate, monsieur?”.

Lui la osservò ancora per qualche secondo, continuando a sorridere enigmatico. Chissà se sarebbe riuscita a ritrarlo con quel sorriso? Sarebbero state foto magnifiche.

Quindi, come se avesse preso finalmente una decisione, lo vide avanzare verso di lei.

“Andrew… Mi chiamo Andrew. Dove mi devo mettere?”.

 

 

***

 

 

Oh… c’est la huitième merveille du monde!” esclamò Fantine Roland, estasiata.

“Chi?” chiese Angélique Baudoin, tornando dalla toilette.

“Oh, Angélique! L’avessi visto. Cercava Lady Sinclair. Gli ho detto che era impegnata e che non sapevo quando si sarebbe liberata… tu sai com’è Milady quando è alle prese con la nuova collezione… non vuole essere disturbata. Ma lui…”

“Lui chi?” chiese di nuovo Angélique, frastornata dal fiume di parole della collega. Fantine, quando era preda dell’entusiasmo, non si fermava mai.

“Un uomo… la huitième merveille du monde… “ 

“Suvvia, Fantine… Sii seria!” la rimbeccò mademoiselle Baudoin.

C’est vrai,  ma parole!”

Poi, vedendo la sua amica ancora scettica, si lasciò trasportare di nuovo dall’entusiasmo:

“Alto, giovane, occhi bellissimi e un sorriso… ah, ce sourire! Un sorriso davvero affascinante!”.

“E cercava Lady Sinclair?” domandò curiosa Angélique, assecondando finalmente la voglia di pettegolezzo di mademoiselle Roland. Essere le réceptionniste della Maison Dior offriva diversi argomenti di discussione e ampio spazio alle chiacchiere.

Oui…”

“E chi era?”.

“Non  l’ha detto”, rispose contrariata la ragazza, “ma era straniero. Americano, forse. Parlava francese, ma con accento straniero”.

“Credi che possa essere...?”

Son amant? C’est fort probable. Donna fortunata, Lady Sinclair! ” 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Fotografando un sogno ***





Capitolo VII

Fotografando un sogno



“Metta le mani in tasca e guardi lontano… no, non verso l’obiettivo… volga lo sguardo altrove… ecco, così… perfetto…”

Senza smettere di scattare, la fotografa continuava a girargli intorno, per riprenderlo da ogni angolatura; se sua madre lo avesse visto in quel momento, sarebbe scoppiata a ridere divertita, come solo lei sapeva fare. Poi sarebbe corsa a chiamare suo padre, per condividere con lui un evento eccezionale, come facevano da oltre trentt’anni, e lui avrebbe sorriso altrettanto divertito.

Spesso si domandava quante coppie si amassero quanto i suoi genitori. A volte lui stesso si era sentito un intruso, sebbene non lo avessero mai tenuto all’oscuro delle loro numerose avventure. Anzi, erano stati molti dei loro racconti quando era ancora bambino a stimolare la sua già fervida fantasia.

 “Ora slacci lentamente la camicia…”.

La voce della bella fotografa gli arrivò roca e sensuale, come se gli stesse chiedendo di spogliarsi per lei. Ma che genere di foto stava scattando?

Osservandola sollevò un sopracciglio.

“Non dovrà toglierla, stia tranquillo” gli disse, tentando di metterlo a suo agio. Doveva aver colto la sua esitazione.

“Solo alcuni scatti un po’ più sexy…” aggiunse, quasi tra sé.

Si scoprì a sorriderle, intrigato dal tono che aveva colto nella sua voce: languido. Se avesse dovuto descriverlo a parole, lo avrebbe definito languido.

“Solo pochi scatti, Andrew. Non so bene che genere di foto vogliano, pertanto è meglio anticipare le loro richieste, non crede? Per non dover essere costretto a rifarle” precisò lei. Doveva essersi accorta d’aver espresso quasi un suo personale desiderio ad alta voce e sembrò voler smentire quell’impressione, giustificando la richiesta con la scusa della professionalità.

“Coraggio, Andrew… Immagini di spogliarsi sensualmente per la sua donna”.

Quasi per incanto si rese conto che, guidato dalla sua voce, il suo stesso volto si stava trasformando e che un’espressione intensa stava prendendo il posto del pigro sorriso di un attimo prima. Le sue mani risalirono al primo bottone della camicia, slacciandolo. Poi proseguirono lentamente, scoprendo, ad ogni bottone aperto, nuove porzioni di pelle.

“Bravissimo… perfetto così… Ora togliti le scarpe e vieni verso di me a piedi nudi… Voglio lo stesso sguardo di prima. E non dimenticare: stai per fare l’amore con la tua donna”.

Senza rendersene conto, aveva assunto un tono entusiasta ed era passata al tu. Forse non se n’era neppure accorta, ma lui sì, e ciò lo intrigava molto. Chissà cosa l’aveva resa più disinvolta? La passione per il suo lavoro, oppure guardarlo mentre si spogliava per lei?

Ed era consapevole di come lo faceva sentire, dicendogli quelle cose?

Senza smettere di guardarla attraverso l’obiettivo e senza neppure piegarsi, si levò i mocassini, allontanandoli con un tocco del piede. Sentì il rumore della macchina fotografica in azione e sorrise.Immediatamente la voce di Nicole Montgomery lo redarguì, come si era aspettato. Ma gli piaceva sentirla parlare, senza vederla in volto. Lo trovava eccitante.

“No, no… non sorridere. Ti voglio sexy, con lo stesso sguardo di prima. Ti stai dirigendo verso la donna che fra poco bacerai con passione”.

Si rendeva conto di quello che gli stava dicendo? Lei… Era lei la donna che in quel momento avrebbe voluto baciare.

Avanzò a piedi nudi, con quel pensiero fisso nella mente.

“Sì, perfetto… ecco lo sguardo che volevo…”.

A quelle parole si sorprese a pensare che avrebbe dato chissà cosa per vedere quelle foto. E, soprattutto, farle vedere a sua madre.

La macchina fotografica emetteva senza sosta, con ritmo simile al battito del suo cuore, il secco rumore dello scatto appena effettuato.

Perché le stava permettendo di fotografarlo? Per quale motivo non aveva spiegato cosa ci faceva lì?

A quel punto aveva perso anche l’occasione di conoscere Lady Sinclair, ma non gli importava più un accidenti della nobildonna. In quel momento gli interessava solo la donna nascosta dietro ad una macchina fotografica.

Alla reception lo avevano indirizzato da quella parte quando aveva domandato di Lady Sinclair; aveva aperto alcune porte, domandando di milady, prima di capitare nel bel mezzo di un servizio fotografico: non appena l’aveva vista non era più riuscito a toglierle gli occhi di dosso. Si era fermato ad osservare, non visto, gli ultimi scatti, mentre stava riprendendo un gruppetto di modelle in abito da sera. Tutte ragazze giovanissime e molto belle, ma nessuna l’aveva colpito quanto lei.

Si muoveva agile e rapida attorno al soggetto che stava immortalando, senza rendersi nemmeno conto di quanto apparisse sensuale. Era alta, esile, ma con un corpo voluttuoso, che lui era riuscito ad intuire nonostante lei indossasse jeans sbiaditi e una lunga camicia blu in morbida seta, portata con nochalance fuori, lungo i fianchi, e slacciata sul fondo. Le maniche arrotolate fin quasi ai gomiti scoprivano la pelle candida, ed egli l’aveva immaginata liscia e morbida al tatto. Aveva i capelli neri raccolti in una treccia bassa e molto lunga, che sfoggiava contemporaneamente con la disinvoltura di una tredicenne e lo charme di una delle modelle che stava fotografando.

Quando aveva terminato e aveva scorto il suo volto, fino a quel momento nascosto dalla macchina fotografica, si era quasi sentito mancare: un viso dall’ovale perfetto e dai tratti delicati, con labbra piene e morbide, naturalmente disegnate, e occhi di un incredibile punto di azzurro che contrastava con ciglia scurissime, tanto da sembrare turchesi. Occhi splendidi, che lo avevano catturato al primo sguardo, e che gli sembrava d’aver già immaginato.

Non si era accorta di lui, intenta com’era a riporre l’attrezzatura e a salutare le modelle che avevano posato per il suo obiettivo; così aveva avuto modo di osservarla con calma. Era di una bellezza semplice, per nulla costruita. Proprio per questo risaltava tanto, attorniata da diverse ragazze perfettamente truccate e abbigliate: la sua pelle non aveva un filo di trucco ad esaltare l’incarnato luminoso e i lineamenti perfetti.

Più la guardava, più gli era sembrato di avere un misterioso legame con quella donna… come se l’avesse già vista da qualche parte. O come se un sogno gli avesse raccontato di lei. Forse era stata quella strana sensazione ad averlo intrigato al punto di volerla conoscere meglio… per quel motivo aveva deciso d’assecondarla e farsi fotografare, quando aveva capito che lei lo aveva scambiato per un altro modello da ritrarre.

Cosa avrebbe pensato se si fosse resa conto, in quel momento, di avere tra le mani la possibilità di un gigantesco scoop?

Mentre avanzava verso di lei, la immaginò in un provocante abito da sera blu notte, con i lunghi capelli sciolti sulle spalle nude, le labbra socchiuse, pronte a ricevere il suo bacio…

 

***

 

Nicole si rese conto di trattenere il fiato mentre, uno scatto dietro l’altro, immortalava una delle scene più sensuali cui avesse mai assistito. A rendere l’immagine tanto seducente non era soltanto il lento svelarsi della sua pelle, quanto soprattutto lo sguardo che accompagnava i suoi movimenti.

Ad essere onesta con se stessa probabilmente quelle foto non sarebbero servite per la collezione, anche se non poteva esserne certa; ma aveva deciso di fare quel servizio fotografico basandosi sul suo istinto e l’istinto, non appena lo aveva visto, le aveva suggerito sensualità. La stessa sensazione che lui le aveva trasmesso su quella spiaggia. E comunque era inutile mentire a se stessa: voleva quelle foto! Era dal loro primo incontro che avrebbe voluto fotografarlo, ma quella mattina, caso più unico che raro, non aveva con sé la macchina fotografica.

Se lo immaginò in una camera da letto, con un’ombra di barba a scurirgli il volto; lo sguardo appassionato mentre raggiungeva una donna distesa su lenzuola di seta…

Quell’uomo sarebbe dovuto comparire sulle copertine di ogni rivista femminile: avrebbero venduto il triplo.

Eppure più fotografava quell’uomo e più aveva la sensazione che non fosse affatto un modello di professione. Allora che cosa ci faceva lì? Erano almeno venti minuti che aveva quella domanda sulle labbra, tuttavia non si era ancora decisa a fargliela. E forse non gliel’avrebbe mai fatta, perché temeva la risposta: personalmente non le importava proprio nulla se lui era o non era un modello professionista. Fosse dipeso da lei avrebbe continuato a fotografare quell’uomo all’infinito. Fin dai primi scatti le era stato evidente che non era solito farsi ritrarre; eppure possedeva un’innata sensualità ed era talmente fotogenico, oltre che bello, da  trasmettere all’obiettivo la sua naturale carica sensuale senza fare nulla di particolare per riuscirci. Semplicemente era se stesso.

“Bravissimo, Andrew, sei stato perfetto! Stupendo… uno sguardo stupendo. Ogni donna s’innamorerebbe di te e di questo sguardo…”.

 “Anche tu?” si sentì chiedere.

“Io mi sono innamorata di te appena ti ho visto…” disse lei senza riflettere, ancora calata nella parte della fotografa che doveva mettere a proprio agio il modello. Ricambiando il sorriso abbassò la macchina fotografica.

“Davvero? Allora esci con me a cena, stasera?” la invitò lui.

Si rese conto solo in quel momento che erano passati al tu... e che era stata proprio lei, rammentò, ad averlo fatto per prima. Si sentì colta di sorpresa. Eluse la domanda, riprendendo un tono professionale, evitando di guardarlo negli occhi ed iniziando a rimettere via l’attrezzatura.

“E’ stato davvero molto bravo, molto professionale, Andrew. Ora si può rimettere le scarpe, abbiamo finito.”.

Lui dovette cogliere il turbamento che aveva tentato di nascondere col cambio di tono, divenuto all’improvviso distante, perché la provocò domandandole sornione: “E la camicia?”.

Lei smise per un attimo di riporre le pellicole e lo guardò, confusa.

“Come, mi scusi?”

“La camicia…” ripeté lui, sollevando le braccia e facendo muovere così i due lembi slacciati, che in quel modo offrivano un panorama più che interessante del suo ampio petto nudo.

Lei si rese conto che era riuscito nell’intento di confonderla più di quanto già non fosse, perché lo vide sorridere. Eppure non riuscì ad evitare di posare lo sguardo sulla sua pelle ancora scoperta e di provare un fremito… avrebbe desiderato che fossero le proprie mani ad accarezzargliela, come invece in quel momento potevano fare solo i suoi occhi.

“Posso chiuderla?” domandò infine Andrew,  ponendo fine a quell’esplorazione visiva.

Aveva atteso un attimo prima di domandarle se poteva rivestirsi e lei capì che aveva aspettato volutamente, per permetterle di guardarlo. Arrossì, mentre rispondeva:

“Oh… la camicia… Sì, certo che può  riabbottonarla… abbiamo terminato”.

Lui obbedì, ma con molta calma, allacciando ogni bottone con la stessa lentezza che aveva usato prima per aprirsela. E con lo stesso sguardo negli occhi. Occhi che lei non poté evitare.

“Allora, per la cena?” chiese di nuovo lui.

Nicole si costrinse a non guardarlo più, altrimenti sarebbe venuta meno alla sua ferrea regola di non mescolare mai lavoro e piacere.

“Mi dispiace, Andrew, ma non esco mai con chi posa per me.”.

“Peccato…”, rispose lui, con un sospiro. Poi aggiunse, enigmatico: “Ad averlo saputo prima…”.

Quell’ultima frase le provocò una stretta allo stomaco e le fece vibrare corde che si trovavano molto in profondità. Oh, ma perché quell’uomo le trasmetteva certe sensazioni? Recuperò la borsa con l’attrezzatura e, senza voltarsi, si diresse verso l’uscita, decisa ad andarsene senza più guardarlo. Ma un attimo prima di richiudersi la porta alle spalle, non resistette e si voltò di nuovo verso di lui: era ancora lì, in piedi, immobile, con uno sguardo negli occhi che le tolse il respiro.

Adieu…” riuscì appena a sussurrargli, prima di allontanarsi.

Un vero peccato che avesse dovuto fotografarlo per lavoro. Ma una regola era una regola e andava rispettata. Anche se per un uomo come lui l’avrebbe infranta più che volentieri.

 

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Capitolo 8
*** Lady Sinclair ***





Capitolo VIII

Lady Sinclair



“Oh, Milady... perché non avete chiamato e atteso che venissi ad aiutarvi?” disse mademoiselle Valèns vedendo rientrare Lady Sinclair con le mani ingombre di pacchi, oltre alla borsa che portava sempre con sé.

“Non ti preoccupare Marie-Antoinette, ce la faccio da sola...” rispose la nobildonna, anche se in quel momento, scarmigliata e carica di pacchi com’era, non ne aveva affatto l’aspetto. Ma, come diceva mademoiselle Valèns, Milady era fatta così.

“Piuttosto...” aggiunse, sfilandosi la giacca e porgendola alla solerte assistente che, nel frattempo, aveva già recuperato dalle sue mani le tre scatole e le aveva posate sul tavolo antico a lato dell’ingresso, “hai contattato monsieur Andrews? Sei riuscita a spostare l’appuntamento? Cos’ha detto? Era molto seccato? Spero che non si sia sentito troppo trascurato... No, no... è di certo un uomo intelligente, avrà compreso”.

Con lo stile tipico che la contraddistingueva, era solita porre una domanda dietro l’altra, talvolta senza attendere risposta, dandosela invece da sé. Marie-Antoinette trovava divertente questo lato di Milady, che la rendeva sempre attiva, al tempo stesso attenta ad ogni minimo particolare, ma con quel pizzico di insicurezza, soprattutto quando c’era di mezzo qualcosa a cui teneva in modo particolare, che la rendeva quasi una fanciulla.

“Ho fatto come mi avete detto, Milady. All’inizio mi è sembrato che monsieur fosse un po’ deluso... io gli ho assicurato che voi eravate estremamente dispiaciuta... ha acconsentito ad incontrarvi, come avevate suggerito, dopodomani”.

“Speriamo che nel frattempo non subentri altro “.

“Problemi alla Maison?” domandò Marie-Antoinette.

“Già... come sempre, ultimamente. Ma non solo. Potrebbe saltar fuori altro” rispose cupa, mentre si accingeva a salire le scale per andarsi a cambiare e a riposare prima di cena.

“Ehm... Milady...” disse mademoiselle Valèns, indecisa se fermarla o parlargliene più tardi.

Lady Sinclair si voltò, con un mesto sorriso:

“Coraggio, Marie-Antoinette... cosa voleva questa volta mio fratello?”. Quando Marie-Antoinette aveva quell’aria incerta e titubante era sicura che fosse a causa di Edmund.

“Ecco... mi ha pregato di dirvi che sarà a Parigi nel prossimo fine settimana e gradirebbe invitarvi a cena la domenica sera...”

“Mi obbliga, vorrai dire!” la interruppe Lady Sinclair. “Carino come sempre mio fratello a non domandare neppure dei miei impegni”.

“Inoltre”, proseguì mademoiselle Valèns, “trova assai disdicevole che continuiate ad evitare Lord Carlington, il quale è, parole sue, ‘estremamente affezionato’ a voi e vorrebbe che cambiaste finalmente idea e che vi decideste ad accettare un suo invito ad accompagnarvi a teatro.”.

“Sono anni che, secondo mio fratello, dovrei accettare le attenzioni di Lord Carlington... un vecchio bacucco, insipido e viscido.”

“Milady, Lord Carlington ha solo dieci anni più di voi!”

“Stai dando della vecchia anche a me? Dieci anni di Lord Carlington sono venti degli altri uomini, eccezion fatta per mio fratello. Lord Carlington è vecchio per definizione. Lo era già nella culla. E comunque sia è insipido e viscido, su questo non mi puoi dare torto”.

Mademoiselle Valèns trattenne un sorriso.

“Infine...”riprese come se non fosse stata interrotta.

“Ah, c’è pure un infine questa volta!” sospirò Milady, comprendendo subito che la sua assistente stava terminando di elencarle gli ordini del fratello.

“Infine vi ricorda che tra un mese, a Londra, c’è il ballo di Lady Pensworth, e sarebbe assolutamente...”

“... disdicevole, riprovevole, o questa volta ha usato IMPERDONABILE? se non ci andassi.”

“Imperdonabile. Questa volta ha usato imperdonabile, Milady!” disse Marie-Antoinette, a sua volta divertita e più rilassata.

“Giusto, imperdonabile. Dimenticavo che riprovevole lo aveva già usato ieri. Chissà cosa userà domani per convincermi, visto che non ho alcuna intenzione di partecipare ad un ballo, a Londra, quando potrei essere impegnata ancora con Alex Andrews. Glielo hai detto, questo?”.

“Certamente Milady. Ma mi è parso che non considerasse importante la faccenda ”.

“Ovvio che no, per mio fratello la mia vita, i miei impegni, non hanno mai contato nulla. Neppure ora, che vivo in Francia, riesce a lasciarmi in pace...” sospirò.

“Si preoccupa per voi, Milady”.

“Mio fratello si è sempre e solo preoccupato per se stesso. Dovrà concludere qualche affare con Lord Pensworth ed è per questo che mi vuole al ballo: sa che Lady Pensworth è una mia amica e conterà sul fatto che un mio intervento la convinca a  ben disporre il marito, il quale non sopporta mio fratello. Edmund pensa ancora che il ruolo di una moglie, o delle donne in generale, sia quello di convincere i mariti a fare quello che vogliono, dimenticando che lui per primo comanda a bacchetta mia cognata da anni. Mio fratello avrebbe dovuto nascere tre secoli fa e sarebbe stato vecchio e di idee antiquate anche allora! Degno amico di Lord Carlington”.

“Siete troppo dura con vostro fratello... sono sicura che vi vuole molto bene, Milady”.

“Oh, Marie-Antoinette, sei tu che sei troppo tenera con lui. Ad ogni modo ci penso io: più tardi lo chiamerò e gli dirò di permettermi di valutare l’impegno che potrò avere con mister Andrews; se gli andrà bene, allora potrebbe avere qualche probabilità di avermi al ballo, altrimenti non se ne parla. Per quanto riguarda Lord Carlington, dovrà rassegnarsi al fatto che continuerò ad andare a teatro da sola, oppure a scegliermi da sola gli accompagnatori che più mi aggradano. Infine...”

“Oh, c’è anche un infine?” domandò divertita mademoiselle Valèns, assecondando il tono scherzoso che aveva colto nella voce della sua datrice di lavoro.

“Infine” proseguì divertita Lady Sinclair “gli dirò che avrò piacere di accettare il suo invito a cena purché sia in quel ristorantino di Montmartre che mi piace tanto... o, meglio ancora, su un battello lungo la Senna. Lo adoro!”

“Siete diabolica, Milady. Sapete bene che vostro fratello, a Parigi, non tollera di mangiare in nessun luogo che non sia il Ritz”.

“Oh, che peccato! Pazienza, intanto domenica prossima ho già un impegno con il dottor Dumònt e sua moglie per parlare del nostro progetto comune... non credo che ad Edmund interessi assistervi e io non ho alcuna intenzione di rimandarlo per mio fratello” e con questo scambio di battute Milady si ritirò nel suo appartamento al primo piano, lasciando mademoiselle Valèns a sogghignare divertita,  immaginando il povero duca di Kesington al telefono, alle prese con la sorella.

 

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Capitolo 9
*** Al Castello ***





Capitolo IX

Al Castello



Da alcuni minuti aveva lasciato la strada principale e, oltrepassato il cancello che delimitava la proprietà, stava percorrendo, seppur lentamente, il viale fiancheggiato da alti cipressi che conduceva al castello. Eppure, dell’antica dimora, ancora non si vedeva neppure una pietra.

Era arrivato nello splendido borgo francese nel cuore della Borgogna in tarda mattinata e come prima cosa aveva visitato i luoghi ove si erigeva un tempo la celebre abbazia benedettina, sede principale dell’ordine cluniacense, fondata nel 910 da Guglielmo il Pio, duca d’Aquitania, e considerata la più grande chiesa della cristianità fino alla costruzione della Basilica di San Pietro a Roma: era partito dal Musee Ochier, dove aveva ammirato antiche sculture romaniche che si trovavano nell’abbazia, e un fedele modello in miniatura, esposto per permettere di rendersi conto delle proporzioni e della disposizione delle varie costruzioni che formavano l’intero complesso; quindi era arrivato sino a place du 11 Aout, da dove aveva potuto ammirare la facciata restaurata del XIII secolo e si era spinto fino alla fila di alberi che si trovano al di là del Clocher da l’Eau Benite, il campanile chiamato Torre dell’Acqua Benedetta, e della Tour de l’Horologe. Aveva evitato invece quelli che un tempo erano il transetto meridionale e l’antico chiostro dell’imponente Eglise Abbatiale, poiché occupati da una scuola di specializzazione per ingegneri civili e meccanici.

Verso metà pomeriggio, dopo un rapido spuntino in un bistrot a base di pane e formaggio accompagnati da un bicchiere di ottimo vino della zona, aveva preferito raggiungere lo Chateau dove avrebbe trascorso la notte e rimandare la visita dello splendido borgo medievale sorto attorno all’abbazia al giorno successivo.

L’appuntamento con Lady Sinclair a Parigi era stato rimandato per l’ennesima volta e a quel punto non era più sicuro che si sarebbe avvalso ancora della consulenza della nobildonna: da una settimana l’impegno era stato spostato di due giorni in due giorni e ancora una volta mademoiselle Valèns si era profusa in mille imbarazzanti scuse, assicurandogli che Milady era estremamente dispiaciuta di essere costretta, sempre per motivi professionali, a cambiare di nuovo la data dell’incontro. Tuttavia lui era piuttosto stufo di aspettare i comodi della “Nobiltà Vostra”, come aveva iniziato a chiamarla tra sé, soprattutto perché era convinto che gli impegni “professionali” altro non fossero che capricci della nobildonna la quale non aveva forse capito con chi aveva a che fare.

Pertanto, non sapendo come trascorrere il week-end in cui aveva sperato di iniziare finalmente con il suo romanzo, aveva dato un’occhiata su internet per scoprire se vi fossero luoghi interessanti da visitare oltre Parigi, che ormai conosceva quasi a memoria, dato che non aveva fatto altro che girovagare per la città in attesa di iniziare a lavorare con la “Nobiltà Vostra”. Oltre ai classici luoghi turistici, per altro già visti durante i suoi precedenti soggiorni nella capitale francese, questa volta si era concesso di visitare Maison Balzac, in rue Raynouard, dove il grande scrittore lavorava, allo scrittoio della stanza d’angolo, 18 ore al giorno alla sua “Comédie humaine”; si era spinto, inoltre, sino all’estrema periferia sud-ovest di Parigi, in luoghi carichi di memorie e reminiscenze della grande letteratura francese, a Chatenay-Malabry dove si trova la Maison Chateaubriand, acquistata dallo scrittore per ventimila franchi frutto dei diritti d’autore e delle vendite di Atala, il romanzo che lo aveva reso famoso, e dove vi passarono anche Anna de Noailles e Saint-Exupery. 

Ovviamente di altri luoghi interessanti, sia a Parigi che altrove, ve n’erano moltissimi, ma lui cercava qualcosa di ben preciso, che potesse tornargli utile per il suo romanzo: aveva saputo di un’antica residenza un tempo appartenuta ad una nobile famiglia francese che talvolta metteva a disposizione una camera del castello per qualche giorno a chi era interessato a visitare la proprietà e a conoscerne la storia, consultando testi della fornita biblioteca e curiosando tra vecchi cimeli.

Aveva telefonato e si era presentato come un professore universitario, uno studioso interessato in particolare alla storia dell’Ottocento; del resto non aveva neppure mentito del tutto: era laureato a pieni voti in legge a Harvard e, da quando era diventato famoso, era stato contattato da più di un’università, americana e non, per tenere delle lezioni.

Aveva così saputo che vi era parecchio materiale risalente al XIX secolo; a quel punto, dopo essersi messo d’accordo per riservare la camera per quel week-end, era partito per la Borgogna.

Svoltò ad una curva del viale e, finalmente, il castello gli apparve in tutta la sua maestosa bellezza. Era un’imponente ma al tempo stesso elegante costruzione in pietra grigia, più simile ad una grande casa che ad un vero e proprio castello, anche se la massiccia torre rotonda sul lato destro conferiva all’insieme un che di regale.

Era facile immaginare un aristocratico gentiluomo di campagna, proprietario dei vigneti che circondavano per ettari la proprietà, percorrere a cavallo lo stesso viale che lui aveva appena percorso sulla decappottabile argento e arrivare, proprio come stava facendo lui in quel preciso istante, nell’ampio spiazzo prospiciente l’ingresso, che dal lato opposto dava sull’immenso parco fino a quel momento nascosto dagli alberi che costeggiavano il viale; lo immaginava smontare da cavallo, accolto dallo stalliere, che si sarebbe occupato dell’animale, e dai suoi cani, che l’avrebbero accompagnato all’interno dello chateau.  

Non appena fu sceso dall’auto,  apparve un distinto signore sulla sessantina che, in un perfetto inglese, si presentò come Pierre; mentre l’uomo si avviava verso l’ingresso con il suo borsone da viaggio, egli si guardò attorno, affascinato dallo spettacolare paesaggio che si presentava ai suoi occhi: il parco era davvero fantastico, con un tappeto verde di prato all’inglese curato alla perfezione; cespugli di ortensie, disposti quasi fossero stati disegnati in un quadro nei punti strategici per far risaltare al meglio il dipinto e il cui colore andava dal viola intenso, al lilla, all’azzurro tenue, si alternavano a selvaggi mazzi di lavanda profumata e ad altre varietà di fiori dalle varie tonalità, sempre nelle gradazioni del viola e del lilla, quasi a richiamare, in quell’accostamento di verde e viola, i colori storici di Wimbledon.

Dal lato della torre, la fila di piante che costeggiava il viale d’accesso alla proprietà sembrava dilatarsi all’infinito in un bosco che dava anch’esso l’impressione di essere perfettamente curato; infine, sul terzo lato della costruzione, vi era un patio con tavolo e sedie in ferro battuto e, poco più in là, si intravedeva l’inizio di quella che di certo doveva essere una piscina che si estendeva verso il retro della casa dove, con ogni evidenza, il parco proseguiva fino a circondarla completamente.

Da quello stesso lato, ma più appartata rispetto alla struttura principale, si ergeva un’altra costruzione in pietra, quelle che un tempo dovevano essere state le scuderie o che forse, con un po’ di fortuna –si disse- lo erano tutt’ora, e di lato ad essa un porticato chiuso, usato come rimessa per ritirare le carrozze e trasformato in garage, visto che vi era una jeep parcheggiata sotto.   

Senza il rumore dell’auto il silenzio era totale, interrotto solo dal cinguettio degli uccelli che popolavano il bosco.

“Vi piace, monsieur?”. La voce di Pierre, che si era fermato ad attenderlo, lo distolse dalla contemplazione.

“E’ meraviglioso”.

“Sua Signoria ci tiene davvero molto che lo Chateau, e soprattutto il parco, rimangano esattamente come li avevano voluti i suoi antenati...”.

“Deve essere bellissimo abitare qui”.

“Sua Signoria non vive qui, anche se ci viene spesso, appena possibile... ma venga, l’accompagno a vedere il castello”.

L’interno della costruzione lo sorprese: si immaginava stanze ridondanti di mobili antichi e preziose suppellettili, ad ostentare la ricchezza e la nobiltà della famiglia; invece l’arredamento, pur formato da pezzi di evidente valore, era semplice e di grande gusto e, benché non più abitato, lo Chateau dava l’impressione di una casa accogliente e vissuta.

“Mi pare sorpreso, monsieur...”

“Lo sono, infatti. Mi aspettavo un genere diverso”.

“Molto più appariscente?”

“Esatto. Invece è così... non so come dire... si respira l’aria di una casa vissuta, in cui le persone che la abitano non possono che essere felici”.

“Ha molto intuito, monsieur. A quanto ne so è sempre stato un luogo ove chi vi ha vissuto è stato molto felice. La proprietà è sempre stata mantenuta in discrete condizioni, la nostra famiglia l’ha sempre curata per conto degli eredi, tuttavia sono più di cento anni che non è abitata... Sua Signoria n’è entrata in possesso da poco e ha voluto riportarla all’antico splendore, soprattutto il parco, che era stato abbandonato. Ha trovato tra i vecchi documenti il progetto originale e ha fatto in modo che i giardinieri si attenessero a quello, per sistemarlo: ogni fiore è della specie voluta in origine ed è disposto come disegnato nell’acquerello che accompagnava il progetto.  I mobili, invece, sono quelli originali; sua Signoria si è limitata a farne restaurare alcuni che erano molto rovinati. Noi speriamo che, prima o poi, decida di venire ad abitare qui... forse quando si sposerà...”

“Io abiterei qui da subito.  Questa è una casa che farebbe innamorare qualunque donna... sua Signoria non dovrebbe faticare a trovare una moglie disposta ad abitare in un luogo tanto bello”.

“Oh, no, monsieur... “ disse Pierre con un sorriso, ma fu interrotto dall’arrivo di una signora, anche lei sulla sessantina, con tanto di grembiule inamidato sopra l’abito nero e cuffietta bianca a trattenerle i capelli argentati.

“Pierre, non accompagni il signore nella sua camera?”

“Certo, Madeleine... stavo solo raccontando a monsieur ciò che ha fatto sua Signoria per riportare lo Chateau al suo antico splendore “.

Oh, oui! E’ stata una gioia per noi veder tornare alla vita questa bellissima proprietà...” disse la donna, “la bisnonna di mia nonna ha lavorato per la famiglia e mia nonna mi raccontava dei ricordi di sua madre che, a sua volta, le tramandava i racconti della nonna, la quale aveva servito gli ultimi proprietari che vissero qui: fu la cameriera personale della duchessa fino alla sua morte, avvenuta poco dopo quella del marito. Da principio la famiglia abitava nello Chateau solo in estate, quando il duca veniva una volta all’anno ad occuparsi delle sue proprietà in Francia... allora la casa si riempiva delle voci gioiose dei bambini, che giocavano nel prato e nella vasca che già allora sua Signoria aveva voluto per i figli. La piscina ora è nuova, ma si trova nel punto esatto dove il duca aveva voluto la vasca per i bambini.  Avevano quattro figli, due maschi e due femmine e, a quanto raccontava la mia trisavola, si amavano moltissimo. Quando i figli furono grandi e si fecero una vita propria, il duca e la moglie si trasferirono a vivere qui e la mia trisavola si trasferì con loro. Lui morì all’età di ottantaquattro anni, ne avrebbe compiuti ottantacinque dopo pochi giorni e lei è sopravvissuta solo poche settimane senza di lui. Vissero qui, insieme solo loro due, per quasi vent’anni, ma i figli venivano a trovarli spesso. Il duca è stato sepolto qui per volontà della moglie; quando è morta anche la duchessa, i figli, che vivevano ormai tutti in Inghilterra, se si esclude la figlia che si fece suora e che viveva in Francia, decisero di seppellirla accanto al marito. Sul retro del castello, in fondo al parco, se lo desidera potrà trovare le loro tombe. Ma ora venga, l’accompagno in camera. Pierre, porta la borsa di monsieur... Pierre è mio marito e da anni siamo noi i custodi della proprietà; ci occupiamo del castello e del parco, mentre dei vigneti e della produzione del vino se ne occupa nostro figlio, per conto di Sua Signoria...” .

Senza smettere di parlare un istante, la donna gli fece strada al piano superiore fino ad una camera in un’ala del castello riservata agli ospiti.

“Se lo desidera servirò la cena nella sala da pranzo per voi, monsieur” gli disse madame Madeleine.

“Oh, no, non si disturbi per me, madame. Mangerò con voi. Oppure posso uscire e trovare una locanda…”.

“Non lo dica neppure. E’ un piacere preparare per un bel giovane come siete voi” gli disse la signora, ammiccando, “allora ceneremo assieme, così avremo compagnia. Anche Sua Signoria, quando viene qui, preferisce mangiare con noi e chiacchierare un po’. Bene, la cena sarà pronta alle 20; fino ad allora potrà fare ciò per cui è venuto. Troverà la biblioteca al piano terra, prima de ‘Le Bureau de le Comte’, che si trova nella torre, monsieur le professeur” aggiunse la donna.

Sentendosi appellare in maniera tanto altisonante, ma preferendo continuare a passare in incognito, la invitò a chiamarlo per nome.

“La prego, madame Madeleine, mi chiami Andrew... e anche lei, Pierre.”

“Andrew? E’ questo il vostro nome, monsieur?” domandò la donna.

“Andrew Alexander, per la precisione. Ma mia madre mi chiama Andy“.

Vide Pierre e Madeleine scambiarsi un’occhiata strana.

“Qualcosa non va nel mio nome?” domandò, tra il divertito e il perplesso. Quella coppia gli piaceva, lo faceva sentire quasi a casa e al tempo stesso catapultato indietro nel tempo di almeno due secoli.

“Oh, no, monsieur le prof... ” iniziò a dire Madeleine, ma visto lo sguardo che il giovane le rivolgeva, si corresse immediatamente: “ Monsieur Andrew, d’accordo. E’ solo che... oh, nulla, nulla. Il vostro è un nome molto bello, si adatta ad un bel ragazzo come siete voi. Bene, ci vediamo più tardi, a cena. Pierre vi accompagnerà in biblioteca, se lo desiderate” e così dicendo marito e moglie si congedarono.

 

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Capitolo 10
*** Una scoperta ***





Capitolo X

Una scoperta



Quel week-end, contrariamente a come si prospettava quando l’assistente di Lady Sinclair aveva spostato di nuovo l’incontro, si stava rivelando molto interessante e il breve soggiorno allo Chateau una fonte d’ispirazione inaspettata.

Era come se in quella casa fossero rimaste le anime degli ultimi due amanti che l’avevano abitata. Ogni cosa parlava di loro: i ritratti appesi nella galleria al secondo piano, il parco fatto rivivere come lo avevano voluto loro, numerosi piccoli oggetti che Pierre e Madeleine gli avevano detto essere appartenuti al duca o alla duchessa, tra i quali un orologio da taschino, un paio d’occhiali, il set da ricamo... perfino un armadio, nella camera da letto che madame Madeleine gli disse essere stata la loro, contenente alcuni abiti da ballo maschili e femminili della seconda metà dell’Ottocento. A quello che gli avevano raccontato a cena Pierre e la moglie, sembrava che la duchessa, quando si erano trasferiti ad abitare lì lasciando l’Inghilterra, avesse voluto portare con sé numerosi ricordi, tra i quali appunto alcuni abiti da sera che la coppia aveva sfoggiato di certo ai balli a corte.

E fino a quel momento non era ancora entrato nella stanza della Torre; si era limitato alla biblioteca, per altro molto fornita, segno evidente di appassionate letture. Aveva sfogliato parecchi testi e in ognuno aveva trovato, qua e là, segni inconfondibili della stessa mano, brevi annotazioni in inchiostro nero in una calligrafia chiara ed elegante. Quasi tutti i libri risalivano al Settecento e all’Ottocento, se non addirittura a prima, e la biblioteca era fornita di moltissime prime edizioni di classici inglesi, francesi e anche italiani. Un settore a parte era dedicato ai testi latini e greci e un altro agli autori tedeschi, in particolare a trattati di filosofia. Infine vi era una zona della biblioteca chiaramente aggiornata di recente, con libri di autori del primo ‘900, da Virginia Woolf a Edith Wharton, da d’Annunzio a Hemingway, da Pirandello alla Von Arnim, oltre a vari autori di fine secolo scorso, tra cui Pennac, Saramago, Eco, Marquez, fino ad arrivare a Follett, Grisham e altri. Solo un piccolo scaffale conteneva romanzi più recenti tra i quali, con un sorriso divertito, riconobbe anche i suoi: a quanto pareva l’attuale proprietario amava i romanzi gialli e i legal-thriller.

Ora si accingeva ad entrare in quella che Pierre e Madeleine chiamavano ‘Le Bureau de le Comte’ , lo Studio del Conte. A cena era stato troppo preso dai racconti dei due coniugi per domandare come mai, nel castello di un duca e di una duchessa inglesi, una delle stanze fosse intitolata ad un conte; aveva saputo che prima della Rivoluzione Francese il castello apparteneva ad una famiglia di conti originari del luogo ed era probabile che, fin dall’inizio battezzata così, aveva mantenuto l’appellativo nel corso dei secoli. Ad ogni modo a lui non importava granché il nome dato ad una stanza; ciò che gli premeva soprattutto era vederne il contenuto.

Aprì la porta in legno massiccio ed entrò.

Erano gli inizi di giugno e la temperatura esterna era tiepida; ciononostante il fuoco ardeva nel grande camino a fianco della porta, nell’unica parete diritta della stanza. Per il resto l’ambiente seguiva il profilo tondo della torre e ne occupava tutta la superficie.

Pierre o Madeleine dovevano aver preparato lo studio per il suo arrivo poiché erano state accese diverse candele disposte un po’ ovunque e persino un’antica lampada ad olio che si trovava sulla grande scrivania posta di fronte al camino, più o meno al centro della stanza, alle spalle della quale si apriva l’unica vetrata, che interrompeva il susseguirsi di scaffali pieni di libri alternato ad antiche carte geografiche posti lungo la parete arrotondata; tuttavia la fonte di luce più spettacolare, che durante la giornata doveva contribuire ad illuminare l’ambiente, proveniva dall’alto soffitto ove, in quel momento, i vari lucernai lasciavano penetrare la luce argentea della luna e permettevano di vedere il cielo trapunto di stelle.

Per un attimo si sentì quasi in soggezione di fronte a quel luogo tanto affascinante, al punto che non riuscì neppure ad entrare e restò ad osservare l’effetto d’insieme sulla porta; poi prevalse la curiosità e l’euforia di mettere piede in una stanza che sembrava provenire direttamente dal passato.

Nei giorni precedenti aveva visitato i luoghi dove avevano vissuto e lavorato due tra i grandi della letteratura eppure, benché entrambi interessanti e suggestivi, nessuno di quei luoghi gli aveva trasmesso una così intensa sensazione di una presenza ancora viva come quella casa ed in particolare quello studio. Forse questo fatto era dovuto alla popolarità delle altre due abitazioni, visitate sempre da molti turisti, in contrasto con la riservatezza di quel luogo tanto privato. Era come se lo spirito di Balzac, o di  Chateaubriand, se ne fosse andato poco alla volta assieme alle molte persone che erano state a rendere omaggio ai luoghi dov’era vissuto; mentre colui che aveva abitato per ultimo quello studio era ancora lì, come se non se ne fosse mai allontanato.

Si chiuse la porta alle spalle e si avviò alla scrivania, guardando per prima cosa fuori dalla vetrata ed era sicuro che vi avrebbe visto ciò che vide: una parte dell’enorme piscina, di certo nel punto in cui, oltre cent’anni prima, c’era stata la vasca per i bambini.

Gli sembrò di non essere solo in quella stanza. Aveva la sensazione di avere di fianco qualcuno che lo osservava muoversi e quasi gli indicava come farlo e dove andare.

Era un’esperienza stranissima, che non aveva mai vissuto, paragonabile quasi ad un deja-vu, ma neppure del tutto. Faticava persino a descriverla nella propria mente.

Prese coraggio, spostò la sedia e si sedette allo scrittoio; sul tavolo, oltre alla lampada ad olio, c’era un antico calamaio con la penna d’oca e tutto il materiale per la scrittura di un tempo: inchiostro, tampone assorbente, ceralacca e nell’unico  cassetto aperto, fogli in pergamena ingiallita, buste e alcuni sigilli.

Nessun computer, nessuna stampante, nessun fax.

Tutto era rimasto come, con molta probabilità, lo aveva lasciato l’ultimo proprietario dello studio.

Si domandò come mai l’attuale erede avesse deciso che quella stanza dovesse rimanere inutilizzata, ma fu solo un attimo, poiché proprio grazie a ciò poteva godere di quella particolare atmosfera ottocentesca. Avrebbe dato l’intero guadagno delle vendite del suo ultimo romanzo per poter scrivere per il resto della sua vita in un luogo simile... adorava il suo studio nel loft di New York, ma quel luogo aveva dell’incredibile. Tutta quella proprietà era fantastica.

Si rese conto che avrebbe desiderato poter abitare in un luogo simile e pensò che forse avrebbe potuto contattare Sua Signoria e fargli una proposta d’acquisto. Del resto Pierre e Madeleine non gli avevano forse detto che non abitava lì, ma che ci andava solo ogni tanto? Magari l’offerta giusta lo avrebbe convinto a vendergliela.

Nel frattempo si era alzato ad osservare i libri negli scaffali, attratto dalla libreria alla destra dello scrittoio che seguiva il profilo arrotondato della parete alla quale si appoggiava; ad un tratto notò due ripiani che non contenevano volumi stampati, ma una serie di volumetti che potevano essere dei quaderni rilegati.

Incuriosito ne prese uno e lo sfogliò: riconoscendo la medesima calligrafia chiara ed elegante che aveva notato in alcuni libri nella biblioteca, iniziò a leggere. Comprese subito che si trattava di un diario; allora ne tirò fuori un paio d’altri e li guardò, scoprendo che anche quelli erano dei diari.

Poiché lui stesso aveva l’abitudine di segnare, sulla prima pagina di ogni quaderno, la data di inizio e quella di fine relativa al lasso di tempo che il diario comprendeva, andò alla pagina iniziale e, sorridendo, osservò che a distanza di quasi duecento anni gli uomini non erano poi cambiati così tanto. O che forse aveva in comune con l’autore di quegli scritti più di quanto si aspettasse.

Ne controllò alcuni e si rese conto che erano stati sistemati in ordine cronologico, dal primo all’ultimo. Ne contò quasi una cinquantina, il primo era datato 18 luglio 1834 – 8 maggio 1836 ed era scritto in una grafia infantile. L’ultimo, in prima pagina, aveva solo la data iniziale: 17 giugno 1914; andò alle ultime poche pagine scritte e lesse la data, 14 luglio 1914. Se la memoria non lo ingannava esattamente due settimane prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale.

La tentazione fu troppo forte: accomodatosi sulla poltrona di fronte al camino, incominciò a leggerli, partendo dal primo. Scorse rapidamente i primi due, quelli infantili, osservando con curiosità che erano scritti in francese e che denotavano, già allora, un acuto spirito d’osservazione e una discreta capacità espressiva. Raccontavano di giochi con piccoli amici e di avventure immaginarie; brevi resoconti sugli studi con un precettore che il fanciullo, a quanto scriveva divertito, metteva sempre in crisi con domande azzardate, e appassionanti descrizioni delle lezioni di equitazione e del pony bianco che gli aveva regalato il padre.

Dal terzo in poi il tono cambiava e diventava evidente che il fanciullo si stava trasformando in ragazzo: le prime ribellioni all’autorità paterna, alle piccole ingiustizie che vedeva attorno a sé e che gli sembravano indegne dell’Uomo; i primi turbamenti per il cambiamento del proprio corpo e un susseguirsi di domande, molte delle quali senza risposta, altre con descritto il proprio pensiero in merito, sugli argomenti più disparati, dal senso della vita alla morte, e altre più complesse, che derivavano di certo da testi filosofici che il ragazzo aveva con ogni evidenza già cominciato a leggere.

Ad un certo punto, alternati alla lingua francese, trovò brevi pezzi in un inglese stentato, chiari tentativi di imparare il nuovo idioma. Trovò la cosa alquanto strana, perché avrebbe pensato semmai il contrario.

Dopo il quinto quaderno sollevò la testa e guardò l’orologio: erano le due di notte. Ricordando all’improvviso che Pierre gli aveva detto che lo avrebbe atteso alzato per spegnere le luci e chiudere lo studio, ripose con rimpianto i quaderni al loro posto sullo scaffale ma si ripromise di proseguire nella lettura il giorno successivo.

Purtroppo non sarebbe riuscito a leggerli tutti; aveva previsto per l’indomani una visita al borgo medievale, e due giorni dopo aveva l’appuntamento a Parigi con Lady Sinclair... ora, tuttavia, era più interessato a restare al castello per leggere quei vecchi diari.

In quel momento decise che avrebbe fatto a meno di un’esperta che sembrava non interessata ad incontrarlo: quei diari gli stavano facendo venire l’ispirazione molto più dell’eccentrica nobildonna.

 

 

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Capitolo 11
*** Strane sensazioni ***





Capitolo XI

Strane sensazioni



Nicole Montgomery scese dall’auto e si guardò attorno: era strano che nessuno venisse ad accoglierla, eppure aveva avvertito del suo arrivo.

Girò attorno alla macchina per recuperare la borsa con l’attrezzatura fotografica e solo allora notò la decappottabile argento parcheggiata sotto la tettoia.  

Si avviò all’ingresso e bussò all’antico batacchio, senza tuttavia ottenere risposta.

Per ciò che era venuta a fare, avrebbe potuto lavorare anche se non vi fosse stato nessuno, ma era comunque strano il fatto che avesse trovato aperto il cancello principale della tenuta, altrimenti non sarebbe potuta arrivare fin lì, mentre lo Chateau era chiuso.

Incuriosita dall’auto posteggiata, si avvicinò per osservarla meglio ma fu distratta dal suono inconfondibile, seppur lieve, dell’acqua che sciabordava: c’era evidentemente qualcuno che stava nuotando, poiché l’aria era troppo immobile per esserne la causa. Abbandonò il precedente obiettivo e, svoltando verso il retro della casa, si soffermò sotto l’ombrellone color lavanda che, abbinato alla tovaglia sul tavolo in ferro battuto e al tessuto che ricopriva le sedie, richiamava l’esatta tonalità degli arbusti profumati che circondavano il patio. Da lì poteva osservare la vasca senza dare troppo nell’occhio.

In acqua un uomo stava nuotando a crawl, con un ritmo costante, rilassato, quasi ipnotico; nonostante ciò procedeva con rapidità, macinando una vasca dietro l’altra, segno che la spinta di gambe e braccia doveva essere potente. Dopo venticinque metri eseguiva una virata perfetta, increspando l’acqua che invece, durante la bracciata a stile libero, sembrava appena sfiorata, quasi che il nuotatore l’accarezzasse, anziché fenderla con vigore.

Dal punto in cui si trovava riusciva a scorgere dell’uomo solo i capelli scuri, le braccia e parte dell’ampio dorso; attraverso l’acqua intuiva appena la sagoma delle gambe, che dovevano essere lunghe e muscolose, mentre il profilo del volto si confondeva nella lieve increspatura formatasi dal movimento del braccio e dalla rotazione del capo durante la respirazione.

Rimase ad osservarlo per alcuni minuti, affascinata da quei movimenti lenti ma al tempo stesso potenti, contando una quindicina di vasche prima che l’uomo decidesse di smettere; quando lo vide rallentare e dirigersi verso il bordo della piscina, comprese che sarebbe uscito di lì a breve e, guidata dall’istinto, posò la mano sulla macchina digitale che portava come sempre al collo, pronta a cogliere l’attimo. Egli si issò sul bordo facendo leva sulle braccia, mentre le dava le spalle; la scaletta per risalire era al lato opposto, ma Nicole aveva intuito che sarebbe uscito da dove si era tuffato per recuperare l’asciugamano appoggiato a terra e quando lo vide attraverso l’obiettivo in piedi capì anche il perché: non indossava il costume e lo scatto immortalò, inquadrato di schiena, un corpo nudo assolutamente perfetto.

A dire il vero gli scatti furono tre, uno di seguito all’altro, mentre l’uomo, sempre di spalle, si asciugava rapido dapprima capelli e volto e poi si avvolgeva in vita il telo bianco; al terzo egli si accorse del rumore e si voltò proprio mentre Nicole ne scattava un quarto che colse entrambi di sorpresa, lui perché scoperto da una donna a fare il bagno nudo e per di più immortalato con delle foto, lei perché, nell’attimo in cui vide il volto sorpreso dell’uomo, capì come mai l’istinto le aveva suggerito di fotografarlo mentre usciva dalla vasca: si trattava del medesimo esemplare di maschio che aveva incontrato su una spiaggia e che aveva fotografato alcuni giorni prima alla Maison Dior.

Era da quel giorno che non faceva che pensare a lui e sviluppare il servizio fotografico in cui era l’unico modello non aveva certo contribuito a toglierselo dalla mente. Le foto erano splendide, le più sensuali che avesse mai fatto, se si escludevano gli ultimi quattro scatti; aveva sufficiente esperienza per sapere che merito dell’eccezionalità di quelle immagini era dovuto al mix pericoloso tra la sensualità insita in quell’uomo e l’effetto che aveva su di lei. Non era l’unico uomo attraente che aveva fotografato, considerato il suo lavoro, ma di certo era l’unico che le trasmetteva quelle strane sensazioni alle quali, nonostante i suoi ferrei propositi, faceva fatica a resistere.

Dopo l’attimo di sorpresa anche lui la riconobbe e lei lo capì dal sorriso sornione con cui il suo volto si illuminò.

“Salve”, le disse, con aria divertita.

“Salve” rispose lei, cercando di avere l’aria più naturale possibile mentre si gingillava la macchina fotografica nelle mani.

“Ci si rivede” aggiunse lui.

“Già...” puntualizzò lei a sua volta, per prolungare gli inutili convenevoli, onde evitare l’imbarazzo del silenzio.

Lui non disse più nulla e si diresse verso di lei con estrema disinvoltura come se, anziché avvolto in un telo, fosse abbigliato in abito da sera.

“Sono appena arrivata... ho bussato al castello ma non c’è nessuno... devo... dovrei fare un servizio fotografico al giardino...” balbettò, cercando di contenere le strane sensazioni che l’uomo le procurava.

“E’ solo?” aggiunse poi.

Non appena ebbe posto la domanda, si rese subito conto di quanto fosse stupida. Lui colse  al volo l’occasione per metterla ancora più in imbarazzo, facendole notare di essersi accorto che lo aveva guardato e addirittura fotografato mentre usciva nudo dalla piscina.

“Ovviamente, altrimenti non mi avrebbe trovato a fare il bagno in costume adamitico! O per caso pensa che sia solito nuotare in queste condizioni ove chiunque potrebbe vedermi?” chiese divertito. Poi, senza attendere risposta, proseguì: “Non avevo il costume con me, ma l’acqua era talmente invitante... credevo che sarei rimasto solo per almeno un paio d’ore. A quanto pare lei è sempre pronta a scattare una foto... deformazione professionale?” domandò con un sorriso da presa in giro, assecondandola nella formalità verbale che lei si ostinava ad utilizzare, per non renderle la vita facile.

“Non sapevo che fosse lei...” tentò di scusarsi Nicole.

“Quindi, se avesse saputo che ero io, non mi avrebbe fotografato, mentre un qualunque altro uomo sì? Ahi, ahi, che duro colpo per il mio ego! Devono essere venute davvero brutte le foto dell’altro giorno...” scherzò lui, con l’aria di non temere affatto ciò di cui pareva preoccuparsi a parole.

Quando la vide arrossire aggiunse, avvicinandosi di qualche passo e arrivandole pericolosamente vicino:

“Non mi dirà che svilupperà queste foto, vero?”

“Si vergogna?” chiese lei, a mo’ di sfida.

“No, non direi. Se mi avesse fatto mettere in posa apposta, è molto probabile che mi sarei sentito in imbarazzo, ma visto che lei ha scattato a mia insaputa...” disse con l’aria di chi voleva farla sentire quasi in colpa per avere violato la sua privacy; ma poi aggiunse divertito:

”Mi preoccupavo solo per lei...”

“Le ricordo che sono adulta... e poi il ritratto di un nudo, se ben fatto, può essere considerato persino un’opera d’arte. E le assicuro che le mie foto, anche se improvvisate, non sono mai volgari...” .

Posandole un dito sulle labbra lui la zittì:

“Non volevo affatto mettere in dubbio la sua professionalità... mi preoccupavo per lei...

“Per me?”  domandò Nicole a fatica, ipnotizzata da quel lieve tocco sulle sue labbra.

“Sì” rispose lui, sorridendole “non vorrei che certe mie foto la turbassero al punto da mettere in discussione i suoi ferrei principi di non mescolare mai lavoro e piacere e la spingessero ad accettare un mio invito a cena” aggiunse poi, sempre col sorriso sulle labbra e lo sguardo acceso di una luce particolare, la stessa che gli aveva visto alla Maison Dior mentre lo fotografava.

La pressione del suo dito unita a quello sguardo le resero difficilissima la risposta che si costrinse a dargli:

“Lei dimentica che sono una fotografa di professione e sono abituata ad avere a che fare con modelli e modelle, quindi con persone di bellezza superiore alla media... Ci vuole più di un bell’uomo nudo per farmi cambiare idea e dimenticare le mie regole” disse con la voce che le usciva a fatica, mentre si allontanava di un passo.

“Mi sta forse provocando?” domandò di rimando lui, gli occhi fissi sulla sua bocca.

“Niente affatto. Sto solo chiarendo la mia posizione” si affrettò a precisare, osservando che ci sapeva davvero fare con le parole, tanto da trasformare una banale conversazione in una seducente schermaglia amorosa d’altri tempi.

“E, se non se ne fosse accorta, mi sta dando anche un grande vantaggio...” aggiunse lui, in un sussurro.

Aveva ragione. Nicole se ne rese conto dalla tensione che aleggiava tra loro. Se l’avesse baciata, come gli era sembrato che lui stesse per fare, in quel momento avrebbe capitolato.

“Dove sono i custodi?” domandò, cercando di cambiare argomento.

Monsieur Pierre e la moglie sono andati per un paio d’ore dal figlio... la nuora ha da poco avuto un bambino e loro volevano passare del tempo con il nipotino. Sono andati via da un po’, torneranno a breve. Perché non si siede ad aspettarli con me? Oppure può iniziare a fotografare il giardino, come preferisce. Io starò buono buono ad osservarla” rispose accomodandosi su una sedia con le gambe allungate davanti a sé e l’aria più rilassata del mondo.

Fotografare il giardino... Figuriamoci! Con un uomo, QUELL’UOMO, vestito solo di un asciugamano bianco stretto attorno alla vita, che la osservava mentre si concentrava per le foto che doveva fare... Non se ne parlava neppure!

“La ringrazio, ma preferisco tornare un’altra volta”, disse decisa. Poi aggiunse: “Piacere d’averla rivista” e, prima di dargli il tempo di capire che se ne sarebbe andata, girò sui tacchi e si diresse rapida all’auto.

Lui la raggiunse e la fermò, prendendola per un polso.

“Sta scappando, Nicole?” chiese in un sussurro al suo orecchio.

Si sentì percorrere da un brivido e si augurò che lui, così vicino, non se ne accorgesse.

“Mi sta dando un altro grande vantaggio psicologico, lo sa, vero?” .

La sua domanda le confermò che aveva colto con grande perspicacia il suo turbamento.

Preferì non rispondere e, liberando il polso dalle sue dita, salì sull’auto e mise in moto.

“Mi saluti Pierre e Madeleine”, aggiunse e, ingranata la marcia, lo lasciò in mezzo al cortile, a piedi nudi e avvolto unicamente da un asciugamano.

Mentre percorreva il viale alberato che conduceva all’uscita si sforzò di scacciare dalla mente la sua immagine e, soprattutto, la sensazione provata quando gli aveva toccato le dita per allontanarle dal proprio polso.

Si sforzò ma, come temeva, fu del tutto inutile.

 

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Capitolo 12
*** Ripensamenti ***





Capitolo XII

Ripensamenti



“Che abito mi consigli per domani, Marie-Antoinette?”.

“Intendete per l’incontro con monsieur Andrews, Milady?” domandò a sua volta l’assistente tuttofare, mentre recuperava dal tavolino in camera da letto il vassoio del tè.

“Sì. Non voglio qualcosa di troppo ricercato, non vorrei metterlo a disagio, ma al tempo stesso non vorrei neppure che sottovalutasse la mia competenza se mi presentassi troppo semplice o troppo sportiva”.

Mademoiselle Valèns non finiva mai di stupirsi di Lady Sinclair: era una donna affascinante e sicura di sé, molto apprezzata nella sua professione. Era in gamba, colta, intelligente, inoltre aveva un’energia inesauribile... era capace, come quel giorno, di rientrare all’ultimo momento dopo un’intera giornata fuori per lavoro e prepararsi in mezz’ora per assistere ad una prima a teatro. Aveva un milione di interessi diversi, finanziava varie opere di beneficenza e riusciva persino a non farsi comandare dal Duca suo fratello... eppure, quando teneva a qualcosa, o a qualcuno in particolare, diventava insicura come una scolaretta.

“Avete due lauree alla Sorbona, in storia e in storia dell’arte... senza contare la vostra passione per il XIX secolo... come potrebbe sottovalutare la vostra competenza?”

“Il problema è che temo sia mal disposto nei miei confronti, a causa degli appuntamenti rimandati”.

“Non vi preoccupate, Milady. Non appena parlerà con voi capirà quanto siete competente e resterà affascinato, come tutti del resto, dai vostri discorsi” disse mademoiselle Valèns per tranquillizzare la nobildonna.

“Sei troppo buona con me, Marie-Antoinette”.

Terminato di vestirsi per la serata, piroettando su se stessa con aria sbarazzina domandò:

“Come sto?”.

“Perfetta come sempre, Milady” rispose mademoiselle Valèns con un sorriso ammirato.

Aggiunse poi, porgendole la pochette da sera: “Eccovi la borsetta... L’auto vi sta aspettando”.

“Grazie, sono pronta” disse uscendo dalla camera e iniziando a scendere le scale.

Mademoiselle Valèns la seguì a ruota, commentando:

“Una signora come voi non dovrebbe andare a teatro da sola”.

“Ah, Marie-Antoinette! E cosa suggeriresti? Che accettassi l’invito di Lord Carlington, per caso?”.

“Forse vostro fratello ha ragione...” provò a dire la donna.

“Non pensarci neppure!” tagliò corto Lady Sinclair.

“Dovreste uscire con un qualche bell’uomo...”

“Oh, no, Marie-Antoinette! Non mi accontento che sia solo bello... deve essere anche intelligente, affascinante, elegante, colto e raffinato... Un esemplare più unico che raro, al giorno d’oggi. Più facile trovare un bravo autista!” rispose divertita, aprendo la porta.

“Milady... se me lo permettete, sceglierò due o tre toilettes per voi per l’incontro di domani e ve le lascerò appese nello spogliatoio... deciderete con calma domattina, in modo da dare il tempo a  Pauline di stirare quella che indosserete.”.

“Sei un angelo, Marie-Antoinette!” rispose Lady Sinclair.

“Buona serata, Milady”, la salutò la donna con un sorriso compiaciuto, gratificata dal complimento.

Chiuse la porta e vi si appoggiò contro, le labbra ancora atteggiate al sorriso: era stata molto fortunata con quell’incarico. Lady Sinclair era una persona davvero gradevole ed era facile lavorare per lei. Pretendeva moltissimo da tutti, soprattutto da se stessa, ma non era mai troppo dura se qualcosa andava storto.

Decise di occuparsi subito delle toilettes per Milady, così poi avrebbe potuto godersi la serata, c’era un film in televisione che la ispirava proprio.

Aveva fatto solo due gradini, quando squillò il telefono.

Tornò sui suoi passi, sollevò il ricevitore e da come l’uomo la salutò e pronunciò il suo cognome, riconobbe la voce di Alex Andrews prima ancora che lui si presentasse.

“Lady Sinclair, s’il vous plait “.

“Mi dispiace, monsieur, Milady è appena uscita...”.

“Capisco. D’accordo, dirò a lei: ringrazi Lady Sinclair da parte mia per il disturbo... ho deciso di annullare l’appuntamento di domani e liberarla dall’impegno. Non mi servirà più la sua consulenza”.

“Ma... Monsieur Andrèws… Milady sarà davvero dispiaciuta. Posso domandarvi  il perché di questa vostra decisione?”

“Ho in mente di sviluppare un nuovo progetto e l’assistenza di Lady Sinclair non mi serve più, al momento. Magari in futuro...”.

“Capisco”, rispose Marie-Antoinette, per nulla convinta che ciò sarebbe avvenuto. I timori di Milady a quanto pareva si stavano avverando: era più che evidente dal tono evasivo di Alex Andrews che i continui rinvii lo avevano spazientito.

Provò ad insistere:

“Eppure... non desidererebbe incontrarla comunque domani, giacché avete l’appuntamento fissato? Potreste conoscervi e parlare... vi accorgereste, monsieur, che Milady potrebbe esservi di grande aiuto e ispirazione...”.

“Spiacente, mademoiselle, per domani ho già preso un altro impegno”.

Marie-Antoinette rimase per qualche secondo in silenzio. Aveva avuto conferma di ciò che sospettava.

“D’accordo, riferirò”.

Merci, mademoiselle... Bonsoir”

Bonsoir, monsieur”.

Chiuse la telefonata con la sgradevole sensazione che in parte fosse colpa sua, per non essere stata capace di ben predisporre lo scrittore nonostante i continui rinvii.

E le toccava ancora la parte peggiore di tutta la faccenda, ossia informare Milady che non avrebbe più conosciuto ‘Le jeune écrivain de le mystère’, come lei amava definirlo.

 

 

***

 

La telefonata non era stata facile, ma non aveva potuto evitarla. In quel week-end era cambiato ancora tutto quanto e ormai istinto e ispirazione lo portavano altrove.

Lady Sinclair non gli sarebbe più servita. Gli era spiaciuto solo che mademoiselle Valèns si fosse convinta che aveva rinunziato alla consulenza della nobildonna perché stanco dei continui spostamenti d’appuntamento. Era sicuro che avrebbe riferito così a Lady Sinclair.

Pazienza. Non era quello il reale motivo della sua decisione, tuttavia era anche vero che tutti quei continui rinvii lo avevano spazientito.

Il vero motivo, ad ogni modo, stava in quei diari che aveva ritrovato e iniziato a leggere; stava nella storia degli ultimi abitanti di quella splendida proprietà, il cui spirito ancora aleggiava tra quelle mura.

Aveva trascorso la mattinata e parte del pomeriggio immerso nella lettura, tralasciando persino la visita al borgo medievale, e mentre procedeva con i diari era rimasto affascinato dalla personalità del giovane scrittore, ma anche dalla sua bravura nello scrivere, tanto che in primis aveva pensato di far pubblicare quegli scritti; conosceva varie case editrici che sarebbero state interessate alla cosa e una sua raccomandazione, o ancora meglio una sua personale introduzione, sarebbe stata la pubblicità migliore. Avrebbe dovuto chiedere il permesso all’erede del Duca, ma non dubitava di riuscire a convincerlo.

Poi, però, era cambiato qualcosa: a mano a mano che leggeva, la capacità descrittiva dell’autore dei diari era riuscita a farlo calare talmente bene nella vicenda al punto da fargli desiderare di essere egli stesso a narrarla, nelle pagine del suo prossimo romanzo. E più procedeva con la storia privata del Duca, del quale ancora non conosceva neppure il nome, più la trovava affascinante.

Rapito dagli scritti, solo da poco si era reso conto di non aver mai chiesto a Pierre o a Madeleine come si chiamavano il Duca e la Duchessa; i due custodi, anche nel mostrargli i ritratti, li avevano sempre nominati con il loro titolo. Di certo avrebbe letto i loro nomi sulle tombe, ma aveva deciso che le avrebbe visitate solo dopo aver conosciuto l’intera vicenda.

Si sentiva particolarmente romantico... e l’aver rivisto quel pomeriggio madamoiselle Nicole Montgomery aveva contribuito molto al suo recente stato d’animo. Per qualche motivo che lui stesso non si spiegava non voleva essere influenzato da nomi e casati e preferiva scoprire poco alla volta il mistero di quella meravigliosa storia d’amore che sollecitava tanto la sua immaginazione.

Fino a quel momento non era ancora arrivato al punto in cui si erano incontrati: aveva appena terminato il diario che si concludeva nell’agosto 1856 e che vedeva l’autore nientemeno che a corte. Di quale corte europea si trattava ancora non gli era chiaro, poiché quell’ultimo diario era piuttosto evasivo su certi particolari, a differenza dei precedenti, soprattutto dalla seconda metà in poi. Vi era citato “Sua Maestà l’Imperatore”, ma ricordava dai suoi studi di storia che vi erano almeno due corti europee, quella francese con Napoleone III e quella austriaca con Francesco Giuseppe, che in quegli anni si inchinavano ad un imperatore. C’erano anche l’impero Ottomano e quello Russo, ma in quel caso era convinto che il Duca, con la precisione che lo contraddistingueva, li avrebbe definiti sultano o  zar. Per quanto riguardava la Prussia e l’impero Tedesco, se non ricordava male, Guglielmo I di Hohenzollern era divenuto imperatore solo dopo l’unificazione tedesca, quindi non prima del 1870, mentre suo padre, Federico Guglielmo III, era solo re.

Presumibilmente si trattava della corte di Napoleone III, ma non poteva esserne certo. Forse avrebbe scoperto qualcosa in più nel diario successivo.

Impaziente di sapere come proseguiva quella vicenda di vita vissuta, afferrò il quaderno in pelle che si trovava in sequenza dopo quello appena terminato e iniziò a leggere.

Dopo poche pagine, tuttavia, si rese conto che qualcosa non andava: ciò che aveva letto non aveva continuità con quello che aveva letto nel quaderno appena terminato tanto da sembrare la vita di un’altra persona, benché la calligrafia e lo stile fossero gli stessi.

Controllò le date sui due quaderni e vide che uno terminava ai primi di settembre del 1856 e l’altro iniziava nell’agosto 1857.

Pensando che potesse essere fuori posto, sfogliò rapidamente la prima pagina di tutti i quaderni ancora da leggere, e non si stupì di trovarli in perfetta sequenza cronologica; del diario mancante nessuna traccia.

Non gli venne neppure in mente che potesse essere altrove nel castello: dall’accuratezza con cui erano conservati gli altri, era ovvio che se esso fosse stato presente, sarebbe stato nell’esatta posizione dove ci si aspettava che fosse.

Avrebbe dovuto rassegnarsi al fatto che nell’appassionata storia che stava leggendo mancava tutto il periodo compreso tra il settembre 1856 e l’estate 1857, in pratica quasi un intero anno.

Cos’era accaduto in quel lasso di tempo? E come mai il diario non c’era?

Superata la delusione iniziale, decise di proseguire comunque con la lettura, cercando di riannodare i fili della storia, ma non fu semplice.

Nel lasso di tempo relativo al diario mancante doveva essere accaduto qualcosa di davvero significativo, perché tutto ciò che era scritto nel quaderno successivo sembrava incomprensibile e molto confuso: brevi accenni ad una lunga malattia e ad un viaggio oltreoceano (perché era andato via dall’Europa?); il ritorno in Inghilterra e la ricerca di una donna... l’incontro con un’anziana signora e il resoconto di una vicenda familiare, di eredità e suicidio, piuttosto confusa e scritta quasi per enigmi, senza nomi, date o qualunque altro riferimento che permettesse il riconoscimento della famiglia in questione.

Poi il delinearsi di un piano, del quale tuttavia non vi erano che cenni e allusioni, nessun dettaglio troppo specifico.

Lo scrittore che fino a poco tempo prima era stato chiaro e semplice nel descrivere gli accadimenti della propria vita, sembrava essersi trasformato all’improvviso in una specie di cospiratore che parlava per mezzi termini col timore di svelare un importantissimo segreto. Solo la calligrafia, la medesima, chiara ed elegante, rassicurava sul fatto che a scrivere quelle pagine fosse sempre la stessa persona.

Ad un certo punto del diario entrava in scena un anziano gentiluomo, a quanto sembrava lo zio del Duca... e quindi eccolo ancora a parlare di “lei”, la misteriosa donna che sembrava essere la stessa da lui cercata all’inizio di quel diario.

Chissà se si stava riferendo a quella che sarebbe poi diventata sua moglie, oppure ad un’altra donna ancora?

Scoprì che per saperlo avrebbe dovuto proseguire col quaderno successivo.

Quando lo aprì ed ebbe letto le prime pagine, percepì da subito che il tono dei resoconti era cambiato di nuovo: c’era stato un matrimonio, mantenuto sottotono e segreto all’alta società, con la donna citata nel quaderno precedente, la “lei” che a quanto sembrava era molto importante; poi, anziché pagine e pagine di sdolcinati resoconti sulla luna di miele o sulla felice vita coniugale, vi erano un susseguirsi di dubbi e tristi riflessioni dal tono estremamente sincero, benché  sotto certi aspetti incomprensibili.

Nonostante l’attaccamento che egli mostrava per la consorte, da certi passaggi, sembrava che la donna fosse innamorata di un altro, qualcuno che aveva perduto. Nel leggere ciò, veniva da domandarsi come mai un uomo che fino a quel momento aveva reputato intelligente e molto padrone di sé, si fosse coinvolto volutamente in un matrimonio senza amore: il ritratto del duca che aveva visto, benché fosse di qualche anno più tardi rispetto alla data del diario, mostrava un uomo di bell’aspetto; per come lo aveva conosciuto dalle sue stesse parole giuntegli attraverso i secoli, lo riteneva anche di grande carisma e forte personalità... un uomo, dunque, difficilmente privo dell’ammirazione femminile e il titolo e il patrimonio che avrebbe potuto offrire lo rendevano di certo un partito appetibile, soprattutto per quei tempi dove i matrimoni erano più che altro unioni nobiliari ed economiche. Ma proprio l’alto lignaggio e la cospicua fortuna non gli imponevano la necessità di un matrimonio privo d’amore e tanto infelice, pertanto la domanda restava la stessa: per quale motivo si era legato ad una donna che non lo voleva e lo rendeva tanto infelice?

L’unica risposta plausibile doveva essere l’amore: era lui ad essere innamorato di lei.

Nel riflettere su tutto ciò, aveva abbandonato per un attimo la lettura e l’associazione di idee gli aveva portato alla mente l’immagine di una donna bellissima, della quale, iniziava a rendersene conto in quel momento, si sentiva molto più che attratto... una donna che invece, a quanto sembrava, non riusciva a conquistare, forse neppure ad affascinare.

Il duca sembrava aver fatto il possibile per legare a sé la donna amata, ma a quale prezzo?

E comunque doveva trattarsi di un’altra donna e non dell’amata moglie che era morta poche settimane dopo di lui, come gli avevano raccontato Pierre e Madeleine: in ogni angolo del castello si respirava ancora l’amore che aveva legato gli ultimi due abitanti, quindi il loro non poteva essere stato che un matrimonio molto felice.

Chi era, allora, la misteriosa prima consorte del duca? E che fine aveva fatto?

Con la sua fervida immaginazione iniziò ad ipotizzare gli scenari più svariati: era morta, pochi mesi dopo il matrimonio, di infelicità perché prigioniera di un uomo e innamorata di un altro; col tempo aveva imparato ad amarlo, ed era morta dando alla luce il loro primogenito. Era impazzita e il duca era stato costretto a rinchiuderla, dimenticandosi di lei. Era fuggita assieme al suo amore ritrovato, abbandonandolo allo scandalo. Era stata uccisa dai briganti. Il duca l’aveva lasciata dopo aver conosciuto colei che avrebbe fatto diventare la seconda duchessa. Il matrimonio era fasullo e il duca l’aveva abbandonata dopo essersi innamorato di sua moglie... Aveva tentato di ucciderlo ed era stata arrestata e condannata a morte...

Sorrise delle sue idee bislacche e, guardando l’orologio, si rese conto che era già quasi mezzanotte. 

Era impaziente di conoscere il seguito della vicenda, ma forse avrebbe fatto meglio a rimandare. L’indomani sarebbe partito molto presto per Parigi: aveva un incontro con Ross, che gli voleva parlare di alcuni aspetti economici dell’ultimo suo romanzo pubblicato; non aveva alcuna voglia di stare a sentire il suo agente, al quale tra l’altro rinfacciava la pessima scelta dell’esperta di storia dell’Ottocento, tuttavia sapeva che Ross non lo avrebbe lasciato in pace finché non lo avesse incontrato e poi doveva preparare il terreno soprattutto con lui, per il suo cambiamento. C’erano forti probabilità, conoscendolo, che Ross sospettasse già qualcosa e che avesse imbastito una scusa per estorcergli qualche informazione, ancora non sapeva se perché interessato alla prospettiva di ulteriori lauti profitti, oppure perché volesse valutare con calma l’ipotesi di abbandonarlo e di cercarsi un nuovo talento di best-seller da spremere.

L’aspettava quindi una giornata piuttosto faticosa; eppure, nonostante ciò, non riusciva ad abbandonare il mistero della prima moglie del duca.

Decise di proseguire e si rimise a leggere.

Dopo un po’ di pagine sorrise e si diede dello stupido per aver dubitato del Duca. La verità era per certi versi più semplice di ciò che aveva immaginato, anche se camuffata da una storia pazzesca!

Niente da dire: più imparava a conoscere quell’uomo vissuto due secoli prima, più provava ammirazione e rispetto per la sua intelligenza, per la sua astuzia, ma in particolar modo per la sua determinazione a raggiungere i propri obiettivi.

E si rammaricò ancora più di prima di non poter leggere quel diario che, ormai ne era certo, era andato perduto: era sicuro che contenesse la parte più importante di tutta quella intricata vicenda d’amore ed era impensabile che il Duca, appassionato scrittore, non avesse tenuto nota proprio della nascita di quel sentimento.

Appagato dalla soluzione del mistero, decise di finire quel quaderno e di rimandare a quando sarebbe tornato al castello la lettura dei restanti.

Fin dalla prima sera in cui aveva scoperto i diari, infatti, si era accordato con Pierre e Madeleine per prolungare il suo soggiorno per l’intera settimana e un altro week-end: innanzi tutto aveva una mezza idea di contattare l’erede del Duca per fargli un’offerta per lo Chateau e sapeva che per il week-end successivo era previsto il suo arrivo, pertanto fermarsi più a lungo gli avrebbe fornito l’occasione di incontrarlo e porre la questione nel migliore dei termini. Nessuno sapeva chi in realtà egli fosse e di quanto denaro disponesse poiché aveva mantenuto riserbo sulla sua vera identità, ma per avere qualche possibilità di entrare in possesso di quella meravigliosa proprietà non avrebbe esitato a rivelare lo pseudonimo col quale era conosciuto anche in Europa.

In secondo luogo aveva bisogno di più tempo per conoscere tutta la vicenda, poiché mancavano ancora parecchi quaderni; non aveva ancora deciso se ispirarsi alla vita del Duca per il suo prossimo romanzo, oppure se scrivere una sorta di biografia romanzata, o ancora se far pubblicare gli scritti ritrovati con una semplice prefazione di suo pugno. In qualunque caso avrebbe avuto bisogno dell’autorizzazione degli eredi, pertanto in un incontro con Sua Signoria avrebbe risolto anche questo problema.

A Pierre e Madeleine aveva fatto sapere che desiderava potersi fermare più a lungo del previsto poiché, considerati gli innumerevoli cimeli perfettamente conservati che si trovavano al castello, le sue ricerche sulla vita privata nel XIX secolo avrebbero richiesto dell’altro tempo; una volta avuta conferma da Sua Signoria che monsieur le professeur avrebbe potuto fermarsi ancora, aveva così deciso di diluire nel tempo il piacere della lettura.

Si risolse a terminare quel diario che gli aveva rivelato così tante sorprese e riprese a leggere: dopo alcune pagine che trattavano d’affari durante un viaggio in Scozia e senza alcun cenno alla donna amata, ecco che proprio le ultime pagine tornavano a parlare di lei.

“A Londra  nessuno è ancora a conoscenza del nostro matrimonio...”.

Fu catturato di nuovo dallo stile narrativo dell’autore e, come gli era già successo, cominciò ad immaginare la scena descritta come se vi stesse partecipando da spettatore.

 

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Capitolo 13
*** Seduzione in abito rosso ***



Capitolo XIII



Seduzione in abito rosso




Arrivò al galoppo, in sella al suo morello. Rallentò l’andatura dell’animale solo quando giunse in prossimità della residenza del duca di Sheffield.

Smontò da cavallo e lo consegnò nelle mani degli stallieri di Sheffield Park, che lo guardarono stupiti. Dopodiché si diresse rapido verso l’ingresso principale del palazzo.

Il ricevimento doveva essere già iniziato e lui non vedeva l’ora di rivedere sua moglie.

Era stato lontano da lei per quasi un mese, avendo dovuto sostituire suo zio che si era ammalato, in un viaggio d’affari nei loro possedimenti in Scozia.

Sarah sarebbe dovuta andare con lui ma poi una serie di incombenze burocratiche legate all’eredità paterna l’avevano trattenuta a Londra. Purtroppo neppure il viaggio in Scozia poteva essere rimandato, pertanto era stato costretto a lasciarla per diverse settimane.

Quel giorno sarebbe dovuto rientrare in tempo per accompagnarla al ballo, un evento programmato ancora prima della sua partenza, ma un imprevisto durante il viaggio l’aveva fatto tardare. Quando era arrivato nella loro residenza di Londra, sua moglie era uscita da poco in carrozza; allora si era cambiato d’abito in tutta fretta e l’aveva raggiunta a cavallo, contravvenendo a tutte le regole della buona società che impedivano ad un gentiluomo di recarsi ad un ricevimento cavalcando il proprio destriero e sfuggendo alle accorate preghiere del secondo cocchiere, preoccupato più di lui che il futuro Duca di Lyndham potesse far parlar male di sé.

Era troppo impaziente di rivedere sua moglie.

Entrò nel salone in cui si stava svolgendo il ricevimento, illuminato da splendidi lampadari in cristallo di Boemia, e si diresse a rendere omaggio ai padroni di casa.

Compiuti i suoi doveri di ospite, si risolse a cercare Lady Thornton.

Lady Thornton...

Adorava pensare a lei, chiamandola con il nome da sposata: lei, così indomita ed indipendente, ora era sua, soltanto sua.

Le era mancata da morire e, benché fosse consapevole che rivederla dopo così tanti giorni ad un occasione mondana non avrebbe appagato il suo desiderio di poterla stringere tra le braccia, non sarebbe riuscito ad attenderla a casa; per questo, nonostante il viaggio di tre giorni lo avesse stancato, aveva fatto il possibile per raggiungerla al ricevimento, per poter fare almeno qualche ballo con lei.

Stava per scendere i gradini che lo avrebbero condotto nel salone, quando la vide in mezzo alla sala e ciò che vide gli impedì di muoversi per qualche minuto. Restò ad osservarla col volto teso, lo sguardo che non riusciva a staccarsi dalla scena che aveva davanti agli occhi.

 

 

 

***

 

 

Lady Sarah maledisse ogni attimo che passò tra le braccia di Lord Williams. L’uomo la stringeva troppo e continuava ad importunarla con occhiate lascive, le mani che non stavano al loro posto.

Purtroppo non poteva fare nulla per levarselo di torno, se non sperare che quel ballo terminasse alla svelta; ma anche così dubitava che l’avrebbe lasciata in pace. Era tutta sera che tentava di appartarsi con lei, nonostante lei gli avesse detto di attendere un cavaliere che presto l’avrebbe raggiunta.

Aveva tanto sperato  che Andrè tornasse in tempo dal suo viaggio per accompagnarla al ricevimento ed ora era anche in ansia per lui. Temeva che gli fosse accaduto qualcosa.

Ricacciò per l’ennesima volta al posto la mano di Lord Williams che stava scivolando audace oltre la sua vita e si rimproverò per essersi lasciata tentare dall’idea di indossare, proprio per quella festa, l’abito rosso col quale aveva partecipato mesi prima al ballo in maschera in cui aveva visto per la prima volta Lord Thornton vestito da pirata.

Andrè le aveva ricordato che gli doveva ancora un ballo con indosso quell’abito e lei gli voleva fare una sorpresa, immaginando che lui sarebbe stato al suo fianco per tutta la serata; quando aveva capito che lui non avrebbe fatto in tempo ad arrivare per accompagnarla, era ormai troppo tardi per cambiarsi.

Ora stava pagando le conseguenze della sua audacia.

Anche se… nulla di quello che lei poteva (o non poteva) indossare avrebbe dovuto dare il diritto a quel mascalzone di Lord Williams di comportarsi a quel modo e nel bel mezzo di una sala da ballo.

La musica finì e per evitare che il suo cavaliere la importunasse oltre, lasciò il salone da ballo per una più appartata zona riservata alle signore, sperando in un attimo di pace.

Stava attraversando un corridoio quando, all’improvviso, si sentì afferrare per la vita da dietro, mentre una mano le premeva sulla bocca per impedirle di urlare.

Sospinta con forza all’interno di una saletta che si apriva sulla destra, una voce maschile le sussurrò all’orecchio:

“Non gridate e non vi accadrà nulla”.

Il cuore iniziò a batterle furioso nel petto e un brivido l’attraversò tutta.

La stanza era al buio: la luce della luna che proveniva dalla finestra di fronte permetteva di scorgere soltanto delle ombre.

L’uomo abbassò la mano dalla sua bocca, lasciandola libera di parlare, ma non abbandonò la presa alla vita; al contrario, continuò a trattenerla contro di sé, la sua schiena premuta contro il proprio torace, in modo che le fosse impossibile voltarsi.

Con le dita della mano libera le sfiorò la curva del collo e la pelle lasciata scoperta dalla generosa scollatura dell’abito. Una carezza sensuale e molto, molto sconveniente. Credeva di essersi scrollata di dosso le mani lascive di Lord Williams allontanandosi dal salone e invece... a quanto pareva i nobili principi e l’educazione di un gentiluomo, come già aveva avuto modo di costatare, lasciavano il posto ai più bassi istinti animaleschi di fronte ad una donna avvenente.

“Che cosa volete?” chiese decisa. Sapeva come fronteggiare certe situazioni e certi uomini, essendosi venuta a trovare più di una volta in circostanze simili, se non peggiori, e un tono da superba nobildonna sapeva essere più efficace di svenevoli suppliche o di  inutili appelli alla nobiltà d’animo. Tuttavia non era facile mantenere un tono altero e distaccato senza poter guardare in volto il suo rapitore.

Abbassò lo sguardo sulla mano dell’uomo che continuava a sfiorarle il decolleté e dovette ammettere con se stessa che quel tocco lieve era, nonostante la situazione in cui si trovava, decisamente eccitante.

“Siete la donna più bella e intrigante presente a questo noiosissimo ballo”. La voce dell’uomo era un sussurro roco al suo orecchio.

Lei non rispose.

“L’abito che indossate vi sta d’incanto… mi piacerebbe molto essere il fortunato che ve lo toglierà”, continuò nello stesso tono, senza smettere di accarezzarle la pelle.

“Sono una donna sposata” puntualizzò lei.

“Non cambia nulla. Sono sposato anch’io e lo desidero lo stesso. E comunque non sono geloso” le sussurrò l’uomo, con voce quasi divertita.

“Dovreste raggiungere vostra moglie, milord” disse lei, sottolineando con sarcasmo la parola milord. Un uomo tanto sfacciato  non meritava d’essere appellato ‘signore’.

“Ho idea che mia moglie, in questo momento, si trovi a sua volta in piacevole compagnia”.

“Capisco. Tuttavia questo non è un buon motivo per importunare una gentildonna, per di più sposata. Ad onor del vero, il vostro comportamento lascerebbe a desiderare anche se io fossi una donna qualunque“ aggiunse sostenuta, senza farsi sopraffare dall’imbarazzo di portare avanti una discussione senza poterlo guardare in faccia e sempre imprigionata nella sua stretta.

“Ah... una paladina dei diritti femminili! Vostro marito è a conoscenza delle vostre rivoluzionarie opinioni?”.

“Mio marito è un gentiluomo, e come tale si comporta... permettendomi di avere le mie idee e rispettandomi per questo”.

“Un rivoluzionario anche lui, insomma!” concluse l’uomo, sarcastico.

“Non un rivoluzionario, ma un uomo intelligente e di vedute moderne”.

“Di ampie, molto ampie vedute oserei dire, se permette a sua moglie di partecipare ad un ballo indossando un abito tanto audace, che è la tentazione per ogni uomo...”  disse lui, stringendola di più contro di sé; la mano che fino ad un attimo prima le sfiorava la pelle, era andata in aiuto del braccio che la teneva alla vita, posizionandosi appena sotto il seno e imprigionandola così in un abbraccio più intimo e sconveniente.

“Di certo non l’ho indossato per gli altri uomini presenti, ma semmai per lui... e di sicuro non per voi” replicò lei, sforzandosi di restare indifferente a quell’abbraccio che, nonostante tutto, trovava malizioso ed eccitante.

“Un vero peccato...” mormorò lui al suo orecchio, così vicino da sfiorarle il lobo con le labbra.

“Milord...” lo richiamò lei, seccata da quel discorso e dal quel comportamento scandaloso, ma soprattutto dalla improbabile reazione che stava avendo il suo corpo “non mi avete ancora detto cosa volete da me...” esitò solo un attimo, per accrescere il sarcasmo, e poi aggiunse, pur consapevole di ripetersi “...signore”.

Ma l’uomo, per nulla offeso dal tono irriverente, rispose divertito:

“Oh no, vi sbagliate, milady. Ve l’ho detto eccome: desidero da morire potervi spogliare e fare l’amore con voi”. Senza allentare la presa, anzi sfiorandole col pollice la rotondità di un seno, attese un’impercettibile frazione di secondo, quasi a darle il tempo di indignarsi ulteriormente, poi aggiunse:

“Ma posso accontentarmi di danzare con voi”.

“Siete saggio, milord. Non credo che mio marito vi permetterebbe di fare ciò che desiderate. Avrebbe preteso soddisfazione” disse lei, senza concedergli l’impressione di sentirsi offesa, come invece avrebbe dovuto, per le sue inopportune parole e il comportamento sfacciato.  Poi, dopo aver atteso a sua volta qualche attimo, per confermargli l’impressione di non essere turbata, aggiunse conciliante:

“Se invece vi accontentate di ballare con me posso accondiscendere alla vostra richiesta. Tuttavia non serviva rapirmi, per domandarmi un ballo”.

“Non un solo ballo. Io voglio danzare con voi per tutto il resto della serata”, rispose pronto lui.

“Non concedo mai, a nessun uomo, più di un ballo”.

“Oh, questo l’ho notato. Proprio nessuna eccezione?”

“Solo mio marito”.

“Vostro marito, questa sera, dovrà fare a meno di voi. A meno che non vogliate che scoppi uno scandalo. O danzerete con me finché non andrete via, oppure farò qui, in questo momento, ciò che desidero fare da quando vi ho veduta”.

Non stava scherzando, lo capì dal tono della sua voce.

“Ebbene, milord, non mi lasciate altra scelta. Sono costretta ad accettare di riservare a voi tutti i miei prossimi balli. Ma sappiate che saranno soltanto tre: ho intenzione di rientrare presto, questa sera.”

“Solo tre? Allora… forse era meglio se non aveste accettato” sussurrò lui al suo orecchio, stringendola di nuovo e di più contro il proprio corpo.

“Invece l’ho fatto” si affrettò a sottolineare lei “e mi aspetto che ora voi manteniate la vostra parola”.

“Ricordate che dovrete mantenerla anche voi, quando saremo di là e vi chiederò di danzare”.

“Siate certo che terrò fede al nostro patto”.

“Allora sono proprio costretto, mio malgrado, a lasciarvi andare…” disse lui, con rimpianto, “uscirò per primo, voi aspettate qualche minuto, così non desteremo sospetti”.

“Vi preoccupate della mia reputazione o della vostra vita?” domandò lei, con scherno.

“Siete incredibile, milady... combattiva fino all’ultimo! Vi rendete almeno conto di quanto siete desiderabile?”.

“Facciamola finita, milord” ribatté lei, secca, facendo il cenno di muoversi, nonostante lui la tenesse ancora stretta a sé.

“Aspettate…”

“Che cosa volete, ancora?” domandò esasperata.

“Questo…”.

Prima che lei potesse rendersi conto di quello che stava per fare, la fece voltare tra le braccia e le rubò un bacio: le schiuse la bocca senza darle il tempo di respingerlo, mentre una mano era risalita ad accarezzarle la nuca e con l’altra la stringeva ancora alla vita; poi la lasciò andare e, rapido com’era arrivato, sparì.

 

 

***

 

 

Andrè vide sua moglie rientrare nel salone; gli sembrò che fosse turbata, poiché si guardava attorno con attenzione come se cercasse qualcuno e con un dito si sfiorava le labbra. Rimase ad osservarla con il bicchiere stretto nella mano ed un’espressione indecifrabile, mentre lei si faceva largo, seguita da numerose occhiate maschili, tra i numerosi invitati al ricevimento.

“E’ molto bella, vero?”.

Si voltò in direzione della voce che aveva pronunciato quelle parole. Lord Belhaven lo stava osservando a sua volta, negli occhi uno sguardo divertito.

“L’ho già vista indossare quell’abito. E anche quella sera, ogni uomo che la guardava, aveva la medesima espressione che avete voi in questo momento”.

André si ricordò all’improvviso che a Londra nessuno, o solo pochissime persone, sapevano che si erano sposati. La notizia era stata mantenuta segreta per evitare che Cedric Hewitt venisse a saperlo e il piano per smascherarlo fallisse. Poi… poi erano stati troppo presi dal loro amore e infine lui era partito per la Scozia.

“Sì, è molto bella”, rispose a Lord Belhaven, “e quell’abito le sta d’incanto” disse, continuando ad osservarla. Aveva appena rifiutato l’invito di due uomini.

“Diciamo pure, Lord Thornton, che quell’abito la rende la donna più seducente di tutto il ricevimento e farebbe impazzire qualunque uomo”.

“Anche voi, milord?” chiese André, un sorriso negli occhi.

“Oh, io… io sono troppo vecchio per impazzire per una bella donna. Ma questo non significa che sia immune al suo fascino. Vi assicuro che se solo avessi dieci anni in meno e soprattutto dieci chili in meno, non esiterei ad invitarla a ballare” rispose l’anziano signore, divertito. Poi aggiunse: “Che aspettate a farlo voi? Non è continuando a guardarla che placherete il vostro desiderio”.

“Un solo ballo non mi basterebbe e ho notato che non ne concede mai un secondo”.

“Su questo avete ragione. Lady Sarah Montagu non ha pietà per il cuore di nessun uomo; però voi, alla morte di vostro zio, sarete duca… il vostro titolo, il vostro patrimonio ed infine la vostra avvenenza potrebbero compiere miracoli”.

“Dite? Eppure ho sentito dire in giro che ha rifiutato la proposta di un nobile francese, un conte, tra l’altro a quanto dicono altrettanto affascinante e ricco”.

“Oh, questo non lo sapevo. Allora forse non avrete nessuna speranza neppure voi, ragazzo mio!”

“Sapete che vi dico, milord? Avete ragione: limitarmi ad ammirarla da lontano non mi farà di certo entrare nelle sue grazie. Pertanto seguirò il vostro consiglio…”

“La inviterete per un ballo?”

“Oh, no, milord. Vi assicuro che non mi accontenterò di un solo ballo. Danzerò con lei per tutta la sera”.

“Niente da dire, figliolo: avete la tempra di un vero duca! Buona fortuna!”

“Grazie. Milord, aspettate...” disse fermando l’anziano gentiluomo che stava per allontanarsi. “Non sareste così gentile da presentarmi a Milady?” domandò Andrè, un sorriso divertito nei suoi incredibili occhi.

“Certamente. Seguitemi, raggiungiamola”.

Superarono varie conoscenze, dispensando complimenti a nobildonne e cenni di saluto a signori, decisi però a non farsi fermare da nessuno.

“Lady Sarah…” disse Lord Belhaven appena furono davanti a lei, inchinando il capo in segno di rispetto, “permettete che vi presenti Lord Nicholas Thornton, futuro duca di Lyndham. Ha espresso il desiderio di conoscervi”.

Andrè osservò sua moglie volgere il capo verso di lui, una luce maliziosa nello sguardo.

“Lord Thornton…” disse, con un lieve ed aggraziato inchino, porgendogli la mano.

“Lady Sarah… “ la salutò a sua volta lui, portandosela alle labbra e trattenendovela più del dovuto, mentre non staccava lo sguardo da lei.

“E’ un piacere, milord, fare la vostra conoscenza” disse lei, educata.

“Il piacere è mio, milady. Desideravo molto conoscervi. E vorrei tanto danzare con voi. Posso invitarvi?”.

“Per il prossimo ballo?” domandò lei.

“Sì. Ma non solo: desidero ballare con voi per tutta la sera”.

“Non danzo mai più di una volta con lo stesso cavaliere”.

“Mi è stato detto. Nessuna eccezione?”.

“Nessuna eccezione.”

“Neppure per un futuro duca?” chiese lui, negli occhi un lampo di divertimento.

“Ah... noto che state schierando in campo l’artiglieria! Avete quindi proprio intenzione di vincere questa battaglia, milord?” lo prese in giro lei, irriverente.

“Stiamo combattendo una battaglia, milady?” domandò lui.

“Mi credete così interessata ad un titolo nobiliare?” chiese a sua volta, ignorando di proposito di dargli una risposta.

“Non lo sono tutte le donne?”

“E del vostro patrimonio, considerevole suppongo, cosa mi dite?”

“Quello sarebbe stato... la cavalleria! Speravo di non averne bisogno; mi auguravo che bastasse l’artiglieria, ma a quanto pare la battaglia è più impegnativa di quanto immaginassi, pertanto non esito a confermarvi che sì sono molto, molto ricco. E quando erediterò il titolo, lo sarò ancora di più” rispose serafico lui.

Vide Lord Belhaven trattenere un sorriso divertito, mentre non si perdeva una sola battuta.

“Mi avete messa in una difficile posizione, milord. Se ora accettassi di concedervi più di un ballo, pensereste che lo stessi facendo per il vostro titolo, o il vostro patrimonio, o addirittura entrambe le cose. Se non accettassi, invece, pensereste che sia pavida, timorosa che possiate giudicarmi avida e calcolatrice”.

“Mhm... un dubbio amletico. Quindi, cosa deciderete?” domandò lui, sfidandola.

“Non sono mai stata una donna paurosa” gli disse, porgendogli finalmente la mano per danzare.

“Allora dovrò ringraziare il vostro coraggio?”

“Oh, no, milord. Soltanto il vostro titolo e i vostri soldi” rispose lei, impertinente.

Andrè prese tra le braccia sua moglie, il petto ancora scosso da una risata bassa che risuonò roca e molto sensuale all’orecchio di lei; prima di iniziare a ballare, egli rivolse un rapido sorriso di ringraziamento a Lord Belhaven, che lo stava guardando con aria al tempo stesso stupita, divertita e molto, molto compiaciuta.

Quando furono lontani dall’anziano gentiluomo, sua moglie gli disse:

“Povero Lord Belhaven… se sapesse!”

“Povero? Ma non hai visto come lo abbiamo reso felice? Ora sarà convinto d’aver fatto da Cupido!”

“Sei tremendo”.

“E tu sei bellissima. Mi stai facendo morire, lo sai, vero?”

Lei non disse nulla, si limitò a sorridere.

“Dicevi sul serio, prima, quando hai detto che avrei ottenuto solo tre balli perché volevi rientrare presto?”, chiese malizioso.

“Mhm…”

“Allora facciamoli alla svelta questi dannati balli e poi andiamocene” bofonchiò lui, lo sguardo velato dal desiderio, incapace di trattenere oltre la passione che lo stava consumando.

“E se avessi cambiato idea e desiderassi invece danzare più a lungo con un futuro duca? In fondo, per intrappolarlo e costringerlo a farmi l’adeguata proposta di rito, sono necessari ben più di tre balli” lo stuzzicò, divertita.

“In questo caso c’è sempre la saletta di prima...” rispose pronto lui.

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Felicità ***



Capitolo XIV



Felicità




Raggiunta la carrozza, aiutò sua moglie a salire e poi si rivolse al cocchiere:

“Ethan andiamo a casa. Ma non andare troppo veloce”.

“Capisco, milord” disse l’uomo

André, sorpreso dal commento, gli rivolse uno sguardo, aggiungendo: “Non vorrei che il mio cavallo si slegasse”. Aveva assicurato dietro alla carrozza il suo morello arabo.

“Milady è davvero molto bella, questa sera” gli disse l’uomo, con sguardo complice.

“Sì, davvero molto bella…” sorrise lui, rassegnato. Doveva essere davvero evidente il suo desiderio, se anche il cocchiere lo aveva intuito.

Impaziente di raggiungere sua moglie, fece per voltarsi e salire in carrozza, quando l’uomo lo sorprese di nuovo:

“E’ stata Milady a volere la carrozza più grande e più comoda, per questa sera”.

André sorrise tra sé.

“Grazie, Ethan”.

“Di nulla, signore. Sappiate che ci vorrà all’incirca un’ora per tornare a Londra… per evitare che il vostro cavallo si sleghi, ovviamente”.

“Ovviamente” ripeté André con un sorriso: dalla loro residenza londinese a Sheffield Park, che si trovava a poche miglia da Londra, in carrozza si impiegava non più di mezz’ora; quella sera lui a cavallo ci era arrivato in quindici minuti.

Scuotendo la testa divertito, salì in carrozza e, dopo quella che gli era parsa un’eternità, fu solo con sua moglie. Attese che la carrozza si muovesse, poi le si avvicinò, facendole scivolare dalle spalle lo scialle che aveva indossato per uscire dal ricevimento.

“Vieni qui… “ sussurrò, attirandola a sé.

Finalmente era tra le sue braccia.

“Oh, Sarah… mi hai fatto impazzire per tutta la sera” disse, prima di baciarle il collo, le spalle, l’incavo del seno, incapace di trattenersi oltre.

Lei sospirò di piacere.

L’abitacolo era al buio; non riusciva a vedere la passione negli occhi di André, ma poteva sentirla scorrere attraverso le sue mani e le sue labbra che, impazienti, erano ovunque su di lei

“Ma questo lo sai, vero? Hai indossato di proposito quest’abito, sapendo l’effetto che mi fa. Quando ti ho vista…  avrei voluto che il mondo intero scomparisse e che restassimo solo noi due, come in questo momento. Quando ti ho rapita ero molto tentato di chiudere a chiave la porta e non attendere oltre”.

“Lo so... soprattutto dopo che mi hai baciata, neppure io sarei voluta uscire da li”.

“Ti voglio, Sarah...”.

“André… “

“Anche tu lo vuoi…” disse, prima di baciarle le labbra. “Dimmelo. Dimmelo, Sarah…” la implorò, poco dopo.

“Mi sei mancato, André”.

“Anche tu. Mi sei mancata da morire. Ti voglio, Sarah. Ora… “ disse, la voce irriconoscibile, mentre alla cieca cercava l’allacciatura del vestito per spogliarla.

“Dopo...”, cercò di fermarlo lei.

“Non posso aspettare fino a quando saremo a casa… non farmi questo…” la pregò lui.

“Intendevo il vestito… me lo toglierai dopo”.

“Sai cosa succederà dopo, vero, se vuoi che aspetti ancora a levartelo?”

“Credo di poterlo immaginare”, rispose lei accarezzandogli una guancia. Vedere i suoi occhi trasformarsi dal desiderio era un qualcosa che la faceva impazzire. Voleva vederli cambiare di colore e diventare scuri, come l’oceano in tempesta. Ma anche lei, in quel momento, non poteva resistere fino a casa senza sentirlo dentro di sé, dopo averlo desiderato tanto per tutta la sera.

“Non serve che mi spogli, per avermi…” gli sussurrò all’orecchio, audace.

Per tutta risposta lui le baciò le labbra, intrigato da ciò che sua moglie gli stava proponendo.

“Hai pensato proprio a tutto, vero?” la prese in giro, alludendo a quello che gli aveva detto il cocchiere.

“Mhm… non capisco cosa intendiate, Milord” lo sfidò lei, mentre trafficava con l’allacciatura dei suoi calzoni.

“La carrozza… Ethan mi ha detto che sei stata tu a volere questa, quella più comoda”.

“Mai fidarsi della servitù…” ridacchiò lei.

La risata le morì in gola quando suo marito le strappò un gemito, entrando in lei non appena l’ebbe sopra di sé. La possedette senza dolcezza, solo con l’intensità del desiderio che aveva scatenato in lui, trattenendola ai fianchi e stringendola tra le braccia fino quasi a farle male. In quel momento era impossibile resistergli.

Lo accolse dentro di sé, felice di regalargli quel momento tutto per lui, ben sapendo che più tardi egli l’avrebbe ripagata con mille attenzioni.

 

 

***

 

 

“Non chiamare Lynnette…” le sussurrò all’orecchio André.

Come promesso, Ethan li aveva condotti al castello in circa un’ora; appena saliti nelle loro camere, lui l’abbracciò di nuovo, incapace di starle lontano.

“Ho dato la serata libera a Lynnette” rispose lei.

“Mhm…” mormorò lui nei suoi capelli, scoprendo un’ulteriore conferma di quanto quella serata fosse stata pianificata con estrema cura da sua moglie.

“Qualcosa mi dice, Milady, che questa sera voi vi siate divertita a giocare una partita a scacchi col sottoscritto… e che la stiate vincendo”, la prese in giro.

“Voi dite, Conte?” lo rimbeccò lei, stando al gioco.

Era bellissimo vivere con lui: André era un concentrato di energia e voglia di vivere, humor e sfrontatezza, dolcezza e intelligenza che non avrebbe mai smesso di affascinarla.

Aveva alle spalle un viaggio di quasi tre giorni, un ricevimento, sebbene breve, e un intenso e appassionato tragitto in carrozza, eppure sembrava instancabile e di nuovo pronto a fare l’amore con lei.

Senza risponderle la prese per mano e la condusse nella sua camera.

Com’era usanza abitavano due stanze separate, ma comunicanti tramite una porta che era sempre aperta. André non amava dormire solo, voleva addormentarsi e risvegliarsi accanto a lei ogni giorno, liberi di far l’amore ogni volta che lo avessero desiderato. Sarah si era trovata d’accordo con lui.

Nella stanza di suo marito il camino era acceso e il fuoco creava un romantico gioco di luci ed ombre insufficiente, tuttavia, perché potesse distinguere il colore dei suoi occhi.

Lui la lasciò per un attimo e si avvicinò al lume posato sullo scrittoio; lo accese e poi tornò da lei.

“Va meglio, adesso?” domandò, alludendo al fatto che nella stanza vi era più luce, anche se soffusa.

“Andava bene anche prima”, rispose lei, anche se doveva ammettere che così era meglio, perché riusciva a scorgere il colore dei suoi occhi.

“Ne sei proprio sicura? Credevo che il fine di tutto fosse quello di potermi guardare mentre ti spoglio” disse lui, un dolce sorriso sulle labbra.

Lei non replicò; si limitò a constatare, per l’ennesima volta, la sua perspicacia e il fatto che la conosceva molto bene. Non era solo il suo corpo, quando lui la toccava, a trasformarsi in argilla plasmabile dalle sue mani; anche il suo animo non aveva segreti per lui.

“Non era questo ciò che volevi?” la stuzzicò, mentre le sfilava ad una ad una le forcine dai capelli, liberandoli da ciò che restava della complicata acconciatura studiata apposta per il ballo.

La sua voce si era abbassata di un tono mentre le sue mani non si limitavano a toglierle i fermagli, ma s’infilavano nella sua chioma, ad ogni ciocca che liberava, per accarezzarle la base della nuca e il collo… il suo tocco era così sensuale ed intimo da farla sciogliere di piacere.

“Non desideravi guardarmi negli occhi, mentre impazzisco di desiderio per te?” la provocò di nuovo lui, mentre lasciava scivolare le mani dai capelli lungo il suo collo, ad accarezzarle la pelle scoperta dall’ampia scollatura del vestito: era una scollatura molto profonda, creata apposta per lasciar intravedere l’incavo dei seni; la seta rossa non li comprimeva, sembrava invece sfiorarli appena, grazie alla sapiente fattura dell’abito e al bustino sottostante, che ne risaltava le forme, sollevandoli.

Sarah era sempre eccitante, con qualsiasi toilette, anche la più castigata, ma quell’abito rosso fuoco richiamava ogni sguardo proprio sul suo provocante decolleté.

La guardò per un lungo, interminabile minuto, godendo del piacere di osservare il suo petto alzarsi ed abbassarsi per l’emozione dell’attesa; era un movimento che lo eccitava da morire e gli faceva desiderare, fin dalla prima volta che l’aveva vista indossare quel vestito, di scoprirle i seni.  Le sue mani, guidate da quell’istinto, scivolarono lente verso il bordo della scollatura, scostando la seta rossa a partire dalle spalle fino a denudarle il petto. 

“Sono sicuro che ogni uomo, al ricevimento, ha desiderato poter fare quello che sto facendo io in questo momento...” sussurrò roco, avvicinandosi al suo orecchio “e quello che ti farò tra poco...”

Lei trattenne il fiato, rapita dalle sue parole e da come le sue labbra, nel frattempo, avessero iniziato ad imitare il percorso delle sue mani; lo vide abbassare il capo e all’improvviso la sua bocca le strappò un gemito di puro piacere.

Aveva desiderato tutto quello dall’istante in cui si era sentita stringere da lui nella saletta al ricevimento; aveva riconosciuto subito lo sconosciuto che l’aveva stretta tra le braccia dal suo profumo e dalla voce, anche se lui si era divertito a camuffarla; tuttavia si era a sua volta divertita a stare al gioco perché non voleva un attimo fugace rubato al ballo, ma l’inebriante sensazione di averlo in suo potere con tutta calma.

L’unico problema era che, quando André si metteva in testa di sedurla in quel modo, ossia facendole capire quanto fosse smanioso di lei, non sapeva più chi era ad avere in suo potere chi...

Ma in fondo cosa importava? Ormai aveva imparato da tempo che la sua brama di libertà, la sua volontà di non dipendere in nulla da un uomo, svanivano nell’istante stesso in cui lui decideva di possederla: non serviva neppure che André la toccasse; era sufficiente che la guardasse in un certo modo, perché lei fosse subito pronta per lui, pronta a cedergli ogni potere su di sé, anima e corpo.

Sentì le sue mani che si facevano più esigenti: la stava stringendo con forza contro il proprio corpo muscoloso ed era incredibile come lui solo riuscisse a farla sentire tanto indifesa e al tempo stesso così importante.

Stava cercando di raggiungere l’allacciatura del vestito, che si trovava dietro, sulla schiena. André la fece voltare a dargli le spalle, le scostò i capelli di lato e con le dita  abili di una mano aprì un bottone alla volta; le sue labbra esploravano nel frattempo la pelle della schiena fino alla base della nuca e l’altra mano era possessiva attorno al suo seno.

Lei faticò a reggersi in piedi. Ciò che le stava facendo non era semplicemente spogliarla… era un’opera di seduzione completa.

Lui la fece voltare di nuovo, in modo che potesse guardarlo negli occhi mentre le faceva scivolare l’abito rosso giù, fino ai piedi.

Non smise un solo momento di guardarla; i suoi occhi, da chiari che erano, stavano diventando piano piano più scuri.

Rimase di fronte a lui in corsetto e biancheria intima, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, esposta al suo sguardo.

Incapace di resistere oltre, lui la strinse a sé e la baciò a lungo; poi la sollevò tra le braccia e la distese sul letto. Si liberò in pochi secondi dei propri indumenti e la raggiunse, per terminare di spogliarla. Le sue mani, sulla sua pelle, erano possessive, i gesti più decisi e rapidi.

Mentre osservava il suo volto, l’espressione tesa dal desiderio, Sarah passò le dita sulla sua guancia, sulla sua bocca, tra i suoi capelli, rendendolo ancora più smanioso di fare l’amore.

“André…” disse lei, in un sussurro “André, voglio sapere una cosa…”

Lui sollevò il capo dal suo seno, che aveva riperso ad accarezzare con le labbra:

“E devi saperla proprio ora? Non può aspettare?” chiese lui, infastidito dall’interruzione.

“No, non può”. Ancora pochi secondi e non sarebbe più stata in grado di domandargli null’altro se non che si sbrigasse a farla sua.

Lui non smise di toccarla. Non sembrava granché interessato a ciò che lei voleva sapere.

“André… desideri ancora un figlio?”.

Sentì il suo corpo irrigidirsi non appena registrò quello che lei gli aveva detto. Sollevò il capo e la guardò in viso, l’espressione un misto tra la sorpresa, la gioia e la preghiera.

“Lo vuoi anche tu?”.

Stentava a crederle… aveva desiderato così tanto avere un figlio da Sarah, ma poi…

Da quando era tornato non aveva mai più avuto il coraggio di chiederle se avesse cambiato idea: lei se n’era andata subito dopo quella sua richiesta, lo aveva lasciato solo. Ormai sapeva che il motivo non era quello, ma qualcosa lo aveva trattenuto dal dirle ancora quello che desiderava di più al mondo, oltre a lei. Se lei non voleva avere dei bambini, non li avrebbe voluti neppure lui. Tutto, fuorché perderla ancora.

“Sì… lo voglio anch’io…”, rispose lei.

Vide la gioia illuminargli il volto e comprese che era da settimane che desiderava vedergli quell’espressione in viso.

“Oh, tesoro… “.

“Allora sei d’accordo?” lo stuzzicò lei.

“E me lo chiedi? Certo che sono d’accordo. Anzi, proporrei di cominciare subito…”

“Aspetta…”

“Perché? Non voglio aspettare ancora. Voglio fare un bambino adesso, questa notte stessa”.

“Non serve correre tanto”.

“Ma… Sarah… hai detto che lo desideri. Allora… perché non subito?”

“Perché già lo aspetto, nostro figlio”.

La sua espressione fu impagabile, a metà tra l’incredulo e la felicità più assoluta.

E poi un qualcosa che mai si sarebbe aspettata di vedere: i suoi occhi umidi di lacrime.

Stupita da quelle lacrime, lo strinse forte tra le braccia.

“Ti amo, Sarah… non saprai mai quanto…” disse lui, prima di baciarla e riprendere da dove era stato interrotto.

L’amò lentamente, come non l’aveva mai amata prima, con una tenerezza infinita e tutto l’amore e la gioia per il dono immenso che presto gli avrebbe fatto. Poi si addormentò tra le sue braccia, il capo posato sul suo ventre, ad ascoltare la presenza di suo figlio dentro di lei.

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Parigi di notte ***





Capitolo XV

Parigi di notte



Per un giovane uomo, single e per di più belloccio, senza problemi economici, trascorrere una serata e una notte a Parigi non è affatto un problema. L’unico problema, semmai, potrebbe essere trovare il tempo per girare tutti i locali, quelli considerati “giusti”, ossia quelli frequentati dalle star nazionali ed internazionali.

Per iniziare la notte a Parigi in genere l’appuntamento è al bar, magari un piccolo club esclusivo dietro gli Champs-Elysées, dove, volendo, si può anche cenare e dove vetture nere con autista attendono davanti all’ingresso coloro che possono entrare; ma vi sono anche posti meno esclusivi e più abbordabili anche da chi non ha le giuste conoscenze per accedere a certi locali di tendenza.

Dopo la cena, prima di mettersi in coda per entrare in discoteca, c’è chi desidera rilassarsi per qualche ora, unire cultura e divertimento ed assaporare l’atmosfera elegante e raffinata di un cinema d’essai. Nei cinema di Parigi si fanno anche concerti di musica classica e persino serate gastronomiche, soprattutto al Balzac, che dà sugli Champs-Elysées, la cui struttura ricorda quella di un bateau con oblò, pareti di ferro e motivi marinareschi e che sulla porta dell’ufficio del direttore vi è la scritta “Capitain”.

A scelta vi sono anche sale storiche, che meritano una visita a prescindere dal film che c’è in cartellone: lo Studio 28, ad esempio, in zona Montmatre, definito “la sala dei capolavori e il capolavoro delle sale” da Jean Cocteau, che ne disegnò le bellissime lampade.

Oppure c’è sempre la possibilità di decidere di ascoltare musica dal vivo, un’esperienza non più tanto all’avanguardia o scandalosa come poteva essere dal 1920 in poi fino al secondo dopoguerra, quando la musa degli esistenzialisti Juliette Greco cantava su testi di Jean-Paul Satre e Raymond Queneau, ma resta pur sempre un passatempo di buon livello.

Il clou della notte parigina, tuttavia, è la disco; ma la serata non finisce mai dopo la prima discoteca. Aftér (pronunciato rigorosamente alla francese) indica tutto quanto si fa nel dopo disco: qualunque posto può andar bene per un aftér-disco, anche un’altra disco. Sulla scia di locali storici come il Moulin Rouge o il Crazy Horse, una vena sexy ma con stile può essere l’alternativa per l’aftér-disco; ma una variante può anche essere un ristorante o una semplice Brasserie che serva birra, paté di foie gras e choucroute.

 Ad ogni modo pare che, per vivere al meglio la vita notturna parigina, sia fondamentale la “legge del metro quadro”: più nascosto e piccolo è il club e maggiore è la concentrazione di vip locali e d’oltreoceano. [1]

 

Fu proprio per evitare di correre il rischio di incontrare qualche connazionale che avrebbe potuto conoscere che quella sera Andrew evitò con estrema cura la legge del metro quadro e optò per un classicissimo e persino banale barcone sulla Senna.

Assecondare l’umore e l’istinto, ecco com’era solito scegliere per trascorrere una serata. E poiché quella sera si sentiva più solitario che di compagnia, una serata mondana nel vero senso del termine era l’ultima cosa della quale aveva bisogno; l’istinto gli suggerì piuttosto qualcosa che gli avrebbe permesso di starsene per conto proprio, se lo avesse desiderato: un giro in battello sulla Senna, con una cena raffinata e un po’ di musica sarebbe stata una scelta più consona al suo umore.

La giornata appena trascorsa era stata molto pesante: aveva provato a spiegare a Ross le ragioni del suo desiderio di cambiamento, ma era stato difficile convincerlo. La discussione era stata estenuante, ognuno arroccato sulle proprie posizioni. Ross non intendeva lasciarsi sfuggire la gallina dalle uova d’oro e tale lo aveva fatto sentire quando aveva minimizzato e scherzato sulle idee che gli erano venute dopo la lettura dei diari e sul suo desiderio di una storia vera, una vicenda “umana” che dicesse qualcosa, a discapito delle storie commerciali che aveva scritto fino a quel momento. Deluso dalla posizione del suo agente, che tra le altre cose dimostrava scarsa fiducia nelle sue capacità e nelle sue idee, aveva iniziato a prendere in considerazione di fare a meno di lui; ma non si sarebbe cercato un altro agente, per il momento avrebbe fatto da sé, del resto non era alle prime armi e non doveva ancora sfondare. Se poi avesse valutato di averne bisogno, più avanti ne avrebbe cercato un altro.

La discussione con Ross, tuttavia, aveva avuto almeno un lato positivo perché lo aveva reso ancora più determinato. E ciò che aveva letto nel diario la sera prima lo aveva intrigato al punto che avrebbe sborsato una fortuna solo per poter leggere il diario mancante.

Dopo aver svelato il mistero che circondava la moglie del Duca, ora più che mai si domandava come si fossero incontrati, come si fossero innamorati... purtroppo non lo avrebbe mai saputo. E se da un lato ciò lo faceva sentire quasi incompleto, dall’altro aveva spalancato le porte della sua immaginazione e della sua fantasia, tanto che aveva già cominciato ad immaginare innumerevoli scenari possibili da inserire nel romanzo. Il solo fatto che due persone come loro si fossero incontrate e amate era di per sé già stupefacente e ben rispondeva al tema che gli sarebbe piaciuto sviluppare nel suo libro, ossia l’intervento del Fato nella vita di due persone destinate a stare assieme.

Due persone destinate a stare assieme...

Il volto di Nicole Montgomery gli apparve improvviso alla mente: stava cominciando a diventare un’abitudine... piacevole o spiacevole ancora non avrebbe saputo dirlo.

Anche la sera prima... le ultime pagine lette erano state stupefacenti e molto intriganti: vi era descritto in maniera più intima del solito ciò che era successo ad un ricevimento e la notte d’amore che era seguita, di certo perché proprio durante quella notte la moglie gli aveva detto di aspettare un figlio. Da quelle pagine traspariva non solo l’amore che il duca provava per la duchessa, ma anche il profondo desiderio che univa i due amanti ed era stato per certi versi sconvolgente trovare quasi un pezzo di letteratura erotica, e tra i più raffinati che avesse mai letto, proprio tra le pagine di un diario privato risalente all’incirca a duecento anni prima.

Aveva già sperimentato la capacità descrittiva del duca, ma mai come con quelle pagine si era lasciato trasportare dalla narrazione. E mentre immaginava la scena descritta come se la stesse vivendo in prima persona, si era reso conto che il corpo che stava toccando e stringendo a sé nella fantasia era quello di Nicole.

L’aveva immaginata nel provocante abito di seta rossa descritto nel diario, la medesima scollatura audace a risaltare le spalle e il seno, i lunghi capelli raccolti in un’elaborata acconciatura, il cui unico fine era quello di essere sciolta dalle mani esperte di un uomo.

L’immagine evocata della descrizione contenuta nel diario racchiudeva in sé un segreto antico come il mondo:  era proprio il nascondere, ma al tempo stesso lasciar intuire, permettendo all’uomo di fantasticare, il segreto della vera seduzione femminile; e non il voler esporre a tutti i costi, privando un amante del piacere dell’immaginazione.

Il pensiero di spogliare Nicole Montgomery come il duca aveva fatto con la moglie, gli aveva tolto il fiato e il sonno ed era proprio per questo motivo che non aveva ancora deciso se l’immagine ricorrente di lei stava diventando un’abitudine piacevole o spiacevole. Ed era anche la causa del suo attuale umore solitario per cui una serata su un battello che percorreva la Senna era un compromesso perfetto.

No. Perfetto sarebbe stato se lei fosse stata assieme a lui.

Invece era solo. Solo e con un intenso desiderio di lei.

Solo a Parigi, la città dell’Amore. Che ironia!

Forse avrebbe fatto meglio a tornare subito a Cluny, dove l’attendeva l’appassionante lettura dei diari, ma era uscito dall’incontro con Ross troppo stanco per rimettersi in auto. Inoltre si era fermato ad acquistare un paio di costumi, ciabatte e persino un accappatoio, per sfruttare la piscina senza correre il rischio di essere sorpreso di nuovo a fare il bagno nudo. Nonostante amasse la velocità, era un guidatore prudente e sapeva riconoscere i propri limiti. Suo padre era stato molto esigente su questo punto, quando lo aveva iniziato ai principi della dinamica: Ricorda, Andy, mai perdere il controllo... Meglio rimettersi in auto l’indomani e apprezzare con tutta calma il viaggio verso la Borgogna: panorama stupendo, tettuccio aperto per godersi il sole di giugno e vento tra i capelli.

Sorrise distratto al cameriere che gli riempì per l’ennesima volta la coppa di champagne e si voltò, col bicchiere in mano, ad osservare la città che scorreva lentamente davanti ai suoi occhi: Notre Dame illuminata era uno spettacolo meraviglioso.

Tutta Parigi illuminata, a dire il vero, era uno spettacolo che toglieva il fiato.

Si guardò attorno, nel ristorante: il tavolo che gli avevano assegnato era un po’ in disparte dal resto della sala, ma anche da lì poteva osservare alcune coppie che si erano alzate per ballare. La piccola orchestra stava suonando un famoso motivo francese, tipico e molto retrò: La vie en Rose.

Uno strano malessere, un misto di inquietudine, desiderio insoddisfatto e di senso di solitudine, lo pervase e lo spinse ad allontanarsi dal salone e ad uscire sul ponte. I camerieri avevano già iniziato a servire e le coppiette non sostavano troppo a lungo, giusto il tempo di scambiarsi un bacio e qualche tenerezza sotto le stelle che, in quella notte serena, punteggiavano il cielo come se fossero state una manciata di brillanti  gettata sopra del velluto blu scuro.

Trovò un angolo un po’ buio, appartato, e si appoggiò allo scafo, nascosto alla vista di chiunque fosse uscito e si fosse affacciato ad ammirare le luci della città. L’imbarcazione era grande, ben più di altre solite a navigare sulle acque della Senna per il classico giro notturno, pertanto offriva anche qualche spazio riservato; si trattava di un locale raffinato, più esclusivo rispetto ad altre imbarcazioni simili di impronta turistica, senza tuttavia rientrare nella categoria dei temuti locali “in” , nei quali avrebbe anche corso il rischio di fare qualche incontro indesiderato.

Accese un sigaro e aspirò con calma il fumo. Fumare, un piacere che si concedeva di rado e solo in occasioni speciali, lo rilassava. Quella sera ne aveva bisogno in modo particolare.

Si abbandonò ai pensieri, mentre davanti ai suoi occhi scivolavano pigre le immagini di Parigi illuminata: l’Ile de la Cite, l’Ile St. Louis, Pont Charles de Gaulle… appena superato Pont de Bercy e il Ministère des Finances, l’imbarcazione avrebbe invertito la rotta per il ritorno.

Assaporando l’aroma del tabacco, finalmente riuscì a rilassarsi; al malessere iniziale subentrò, tuttavia, una malinconia, insolita in lui. La musica, struggente e romantica, lo rese consapevole della propria solitudine e quella sera, a differenza di altre volte, la cosa lo intristì. Lo turbò, più che infastidirlo, perché si rese conto che il motivo per cui si sentiva così era solo il pensiero di Nicole: quella sottile nostalgia che nasceva dal desiderare di averla tra le braccia e dal sapere che invece non vi sarebbe mai stata. Era molto probabile che non l’avrebbe neanche più rivista. Certo, sarebbe potuto tornare alla Maison Dior e domandare il suo recapito, tentare di contattarla di nuovo, ma aveva la sensazione che non sarebbe servito a nulla.

Per la prima volta in vita sua desiderava una donna, la desiderava al punto da volerla conoscere e frequentare, e lei non era caduta ai suoi piedi.

Sua madre, quando lo avesse saputo, si sarebbe fatta una bella risata! Era dall’età di sette anni che lo prendeva in giro per lo stuolo di bambine prima, ragazze poi e infine donne, che aveva sempre ai suoi piedi in perfetta adorazione... e senza che nessuna suscitasse in lui un interesse che andasse oltre l’aspetto fisico e il piacere del momento.  Nessun legame, nessun impegno, erano il suo motto. Le donne cercavano di cambiarlo, ma lui svicolava sempre. E, nonostante tutto, nessuna riusciva ad odiarlo al punto da portargli rancore.

Sua madre sosteneva che fosse in tutto e per tutto uguale a suo padre da giovane, ma lui era convinto che suo padre era stato così solo finché non aveva trovato la donna giusta, l’unica che lo aveva fatto innamorare.

Un giorno, lo metteva in guardia sua madre, troverai l’unica donna per la quale sarai disposto a far pazzie e, se non riuscirai a farglielo capire in tempo, rischierai di perderla. Forse quel momento era arrivato.

Era immerso nei suoi pensieri quando sentì un fruscio, quasi un battito d’ali, provenire dalla sua destra. Si voltò e vide che qualcuno si stava avvicinando al parapetto. Alla malinconia si aggiunse un lieve senso d’irritazione: addio pace e tranquillità! Se si fosse trattato di una donna, presto sarebbe stata raggiunta con ogni probabilità da un uomo, e in quel caso sarebbe stato costretto ad allontanarsi, oppure, ancora peggio per il suo umore, ad assistere alle effusioni della coppia, col rischio di essere scoperto e magari scambiato per un voyeur.

Come aveva temuto, si trattava di una donna, la quale si appoggiò alla ringhiera del ponte dandogli le spalle, ad osservare le luci della città. Sembrava tuttavia non avere fretta, né, al contrario di quanto aveva pensato, attendere qualcuno. La vide guardarsi attorno per qualche attimo, poi abbassare il capo, ad osservare l’acqua che scorreva sotto i suoi occhi. Aveva un atteggiamento rilassato ma, al tempo stesso, pareva quasi pervasa della stessa malinconia che gli stava tenendo compagnia da un po’. All’improvviso ebbe la strana sensazione d’averla già vista da qualche parte.

Osservò la linea del suo corpo, fasciato da un lungo abito in seta che aderiva alla sua figura snella, dal portamento elegante; i capelli sciolti erano scuri, le arrivavano alla vita ed erano di una bellezza incredibile. Accarezzati dalla brezza si sollevavano in morbide onde e rendevano l’immagine davanti ai suoi occhi alquanto seducente. Quando lei si voltò, appena un poco di fianco, scorse le sue braccia avvolte in una lunga stola, in un tessuto leggero di una tinta più chiara dell’abito; la spalla scoperta suggeriva l’idea di una schiena nuda, ma lui fu più attratto dal profilo provocante del seno, che il taglio aderente del vestito sottolineava con scultorea precisione.

Era distratto da quell’immagine e dai pensieri che quell’immagine gli suscitava quando l’improvviso movimento della donna lo colse di sorpresa e lo fece piombare all’istante in una specie di dèja-vù: la sciarpa era stata sollevata dal vento e le era scivolata dalle spalle. Lei si era mossa rapida, per recuperarla prima che finisse in acqua; seguendo il tragitto dell’impalpabile tessuto in balia dall’aria, si era voltata verso di lui ma lo aveva scorto solo dopo qualche attimo, quando lui stesso si era mosso d’istinto per recuperare l’indumento a terra.

La donna si fermò all’improvviso, spaventata dalla sua presenza, poiché aveva di certo creduto d’essere sola. La luce che proveniva dal ponte rischiarava la sua figura lasciando tuttavia al buio il punto in cui si trovava lui; quando alzò il volto per guardare lo sconosciuto che si era trovata alle spalle, quella stessa luce le illuminò il viso e, riconoscendolo, egli sorrise.

In silenzio le porse la sciarpa che nel frattempo aveva recuperato.

“Grazie…” disse lei.

“E’ stato un piacere…” rispose.

Quando lei udì la sua voce, la vide sorprendersi; allora fece un passo nella sua direzione, in modo che anche il proprio volto fosse illuminato ed egli sorrise di nuovo, nel constatare che anche lei lo aveva riconosciuto.

“Di nuovo lei?”

“Io. Sorpresa? Oppure dispiaciuta?”

“Sì... anzi no. No. Oh... insomma, volevo dire no, non sono dispiaciuta. E sì, sono sorpresa. Non facciamo altro che incontrarci”.

Se soltanto avesse saputo che s’incontravano anche nei suoi sogni!

“O è lei che mi segue?” domandò lui, sornione.

“Forse è meglio dire il contrario” ribatté pronta.

Lui la osservò per un attimo, in silenzio, mentre si riavvolgeva le spalle con la sciarpa. La sensazione di dèja-vù ritornò prepotente. Allora la guardò negli occhi, come se la vedesse per la prima volta. E ad un tratto capì.

“Eri tu, vero? Sulla spiaggia, mesi fa...” mormorò passando ad un tono più confidenziale, ancora sconcertato dalla scoperta.

Lei non rispose subito, turbata dall’improvvisa intimità che si era creata fra loro; ma poi capitolò e ammise:

“Sì, ero io”.

“Tu lo sapevi... mi avevi riconosciuto quando ci siamo incontrati alla Maison Dior?”.

“Sono una fotografa, ricordi? Fa parte del mio lavoro memorizzare volti, soprattutto se interessanti. E il tuo, come ti ho già detto, lo è”.

“Perché non me lo hai detto subito, quando ci siamo parlati per la prima volta?”.

“Non lo so... tu non mi avevi riconosciuta...”.

“Non è del tutto vero. I tuoi occhi...”

“I miei occhi?”, lo sollecitò lei, poiché si era interrotto.

“I tuoi occhi, sì... li avevo già visti, ne ero sicuro. Ma non riuscivo a collegare dove... Mi ero convinto di averli solo immaginati, così belli...”.

Sembrava un discorso un po’ strano;  in effetti, non sapendo chi egli in realtà fosse, lei non poteva sapere che spesso gli succedeva di immaginare un volto, i particolari di un viso, mentre creava nella sua mente le sembianze di un personaggio di un suo romanzo.

Era lei. La donna che lo aveva ispirato era lei, Nicole. Fin da allora era sempre stata lei. Strano gioco del destino.

“E’ destino, a quanto sembra, che sia tu a recuperare le mie sciarpe” disse lei, quasi leggendogli nel pensiero, interrompendo il silenzio imbarazzante che si era creato.

“Così pare…”.

Nicole lo guardò, senza sapere più cosa dire. Ricordò all’improvviso che gli amici con i quali era uscita a cena la stavano attendendo in sala; si era allontanata per prendere una boccata d’aria fresca, così aveva detto loro, ma in realtà voleva stare un po’ sola, perché stava pensando proprio a lui. L’affascinante americano l’aveva intrigata subito moltissimo, e questo le metteva paura, perché non aveva mai desiderato tanto un uomo. E poi se l’era trovato di fronte, come apparso dal nulla. O dai suoi desideri più inconfessati.

Lui, più bello che mai, nell’abito scuro dal taglio elegante.

“Mi aspettano. Devo andare…” sussurrò, come scusandosi per essere lei ad andarsene di nuovo,  un’altra volta. A differenza delle volte precedenti, in quel momento non avrebbe voluto farlo per nulla al mondo.

“No, non andare via. Non ancora...” la fermò, trattenendola per un braccio. “Balla con me. Un ballo, uno soltanto… “ disse poi, facendo un cenno del capo in direzione della musica, “come ringraziamento per aver salvato, e per ben due volte, la tua sciarpa. Me lo merito, non credi?” aggiunse con un sorriso disarmante.

Lei esitò un momento, ma lui non le diede il tempo di decidere: la prese tra le braccia con dolcezza e iniziò a muoversi al ritmo lento della musica, dandole tuttavia ancora la possibilità di allontanarsi. Quando capì che non lo avrebbe fatto, la strinse a sé, invitandola a muoversi contro il proprio corpo.

Una sensazione deliziosa, prepotente e improvvisa, lo turbò al punto di costringerlo a domandarsi fino a che punto quella donna gli fosse entrata sotto pelle e senza che se ne rendesse neppure conto.

Era quello il tipo di desiderio che aveva legato i due amanti vissuti due secoli prima?

Cominciava a capire ciò che il duca aveva provato per la moglie: nulla di paragonabile al semplice piacere sessuale che si prova tra le braccia di una donna, ma quell’assoluto bisogno di appartenere ad un altro essere umano e al tempo stesso di possederlo; un bisogno assoluto, che non si limitava all’aspetto fisico, benché le reazioni del suo corpo fossero tanto intense, ma che si ampliava, comprendendone la mente e l’animo. 

Ballarono così, vicinissimi e soli, al chiarore delle stelle, per qualche minuto. La musica arrivava soffusa e le luci di Parigi creavano un’atmosfera molto romantica, che rendeva quasi reale l’illusione di trovarsi in un’altra dimensione.

Fu  lei ad interrompere il momento magico.

“Andrew… devo andare. Sono con degli amici che mi staranno aspettando”.

“Non ancora...” mormorò tra i suoi capelli, senza accennare a lasciarla.

“Devo andare... mi spiace...” lo pregò, con un tono a metà tra la supplica e il rimpianto.

Riluttante egli si fermò, ma invece di lasciarla andare, le sfiorò con delicatezza le labbra con le proprie. La sentì tremare e si domandò se stava tremando di desiderio o di paura. Aveva infatti percepito nella sua voce, oltre al rimpianto, anche un vago senso di timore: aveva paura di lui o di se stessa?

Trattenendosi dal desiderio di approfondire il bacio, sollevò la testa e infine abbassò le braccia, permettendole di allontanarsi; lei tuttavia non si mosse e lo guardò negli occhi.

Per un attimo lui rimase immobile, confuso da quello sguardo: vi aveva letto stupore per quello sfiorar di labbra inatteso, ma al tempo stesso il desiderio di qualcosa di più. Sconcertato da quella scoperta, fece per sollevare una mano ad afferrare ancora la sua proprio nell’istante in cui lei si voltava e si incamminava verso l’entrata del salone.

Se n’era andata, di nuovo.

Abbassò la mano, reprimendo il desiderio che lo aveva assalito e inspirò per qualche attimo, per calmare l’eccitazione; quindi si decise a seguirla, rientrando a sua volta. Fu subito avvicinato da un cameriere, che lo aveva notato senza bicchiere. Accettò la coppa di champagne che gli veniva offerta, mentre con lo sguardo seguiva l’incedere di Nicole attraverso la pista da ballo, finché non la vide raggiungere il tavolo dove l’attendeva una coppia più anziana di quello che si era aspettato. E nessun uomo.

“Gran bella donna, vero?” sentì dire al cameriere, che aveva colto il suo sguardo.

“Già… bellissima” sussurrò, gli occhi sempre puntati su di lei che nel frattempo si era seduta.

“Milady è davvero una bella donna” disse di nuovo il cameriere, a rimarcare il fatto, qualora fosse stato necessario.

Sorpreso dall’appellativo usato dall’uomo, si voltò verso di lui, abbandonando per un attimo la visione che aveva appena tenuto tra le braccia.

“Milady?” chiese incuriosito, prima di bere un sorso dal bicchiere.

“Sì, Lady Sinclair”.

“Lady… SINCLAIR?” domandò di nuovo, lo champagne che per poco non gli andava di traverso.

“Lady Nicole Montgomery Sinclair, per la precisione” aggiunse il cameriere “una nostra cliente affezionata”.

“Figlia… o… nipote di Lady Sinclair?”.

“Oh no! Che sappia io è l’unica Lady Sinclair attualmente in vita. Ultima discendente, assieme al fratello, di un’antica famiglia di aristocratici inglesi. Figlia di Lord Sinclair, defunto duca di Kesington e sorella dell’attuale duca...” continuò l’uomo, orgoglioso di dimostrare che conosceva qualcuno della nobiltà d’oltre Manica. Ma Andrew non lo stava più ascoltando.

Lady Sinclair era LEI?

Non la bassa e rotondetta quasi sessantenne che si era immaginato, ma quello splendore di giovane donna. La sua esperta, quella che gli aveva scovato Ross.

Ah, Ross, Ross… Quell’uomo si meritava un aumento!

La sua esperta in storia dell’Ottocento. L’esperta della quale, proprio il giorno prima, lui stesso si era sbarazzato.

Come aveva potuto essere tanto idiota?

 



[1] Tutte le notizie riguardanti Parigi sono tratte da “I Viaggi del SOLE – Anno 1 – N.1 – PARIGI”; e da ricordi personali. - N.d.A.

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Capitolo 16
*** Monique ***





Capitolo XVI

Monique



"Ci vorranno alcuni giorni, monsieur" gli disse il meccanico sollevando appena la testa dal cofano della sua decappottabile "devo far arrivare il pezzo da Parigi".

Ad averlo saputo prima, pensò Andrew, si sarebbe potuto fermare nella capitale, ma l'auto aveva iniziato a dargli dei problemi quando ormai era nelle vicinanze di Cluny; considerato che si trattava di un guasto ad una valvola del motore, doveva essere ancora contento di essere arrivato sano e salvo nonostante il problema.

"D'accordo. Mi faccia sapere quando potrò venirla a ritirare" disse, porgendogli un foglietto col numero del suo cellulare.

"Per cortesia, lasci il suo recapito in ufficio" disse l'uomo, facendo un cenno col capo in direzione della costruzione alle sue spalle.

"Sarà fatto", rispose Andrew. Salutò e ringraziò il meccanico, quindi s'incamminò verso l'entrata dell'officina.

Procedeva a testa bassa, stanco per le ore alla guida, ma soprattutto infastidito per l'inconveniente all'auto che, tra le altre cose, lo avrebbe costretto a restare al castello come minimo ancora una settimana, se non di più. Non che ciò gli dispiacesse: aveva così un'ulteriore buona scusa, se mai gliene fosse servita una, per aspettare l'arrivo di Sua Signoria previsto, a quanto gli aveva detto Madeleine, per il fine settimana. Del resto aveva ancora parecchi diari da leggere.

L'incontro con Nicole sul battello, tuttavia, aveva modificato i suoi piani: aver scoperto che era lei l’esperta che Ross gli aveva trovato lo aveva reso più che deciso a rintracciarla di nuovo per lavorare assieme; l'inconveniente con l'auto avrebbe ritardato i suoi propositi, col rischio di non riuscire più a contattarla.

Non era certo che presentarsi a lei come lo scrittore Alex Andrews fosse la mossa vincente per conoscerla meglio e riuscire a frequentarla. Si ricordava ancora, infatti, ciò che gli aveva detto quando l'aveva fotografato credendolo un modello: era una sua regola ferrea non mescolare mai il lavoro col piacere. Fargli da consulente storica  l'avrebbe fatto rientrare di nuovo nella categoria lavoro e non di certo in quella di piacere, alla quale lui, invece, voleva a tutti i costi appartenere.

Se le cose con lei fossero state diverse, avrebbe desiderato trascorrere quel giorno insieme, loro due soli: la giornata era splendida, calda e soleggiata, e invogliava ad una gita all'aperto. C'erano così tanti luoghi da vedere, nei dintorni, e Nicole sarebbe stata una guida perfetta. S'immaginava di tenerla per mano mentre visitavano l'interno di un'abbazia o passeggiavano nelle stradine di un piccolo borgo antico; oppure si vedeva seduto con lei all'ombra di un albero, o in un prato, circondati da papaveri o mazzi di lavanda... la immaginava con un abito leggero, vaporoso e impalpabile come la lieve brezza di quel giorno, i lunghi capelli sciolti che avrebbero profumato di sole e fiori... sognava di poterla baciare e accarezzare... di amarla proprio lì, in un prato, circondati dall'intenso sentore di erba e lavanda...

 "Mon Dieu!".

Un'esclamazione improvvisa e il brusco contatto con un corpo avvolto in una costosa fragranza francese, così in contrasto col delicato profumo di fiori nel quale si era perduto, lo riportarono alla realtà. Sulla porta dell'officina si era scontrato con una cliente che stava uscendo. Ricordando un momento simile avvenuto su una spiaggia tempo prima, per un attimo sperò che fosse di nuovo Nicole la donna tra le sue braccia. Dovette ricredersi subito quando, abbassando lo sguardo sulla lunga e folta chioma rossa e poi più giù, su occhi verdi da gatta e su labbra del colore del fuoco, realizzò che non poteva essere di Nicole quel corpo voluttuoso fasciato in un abito color smeraldo, scollato e molto provocante, che evidenziava la tonalità degli occhi e non lasciava spazio all'immaginazione.

Andrew era alto oltre il metro e novanta, quindi almeno una ventina di centimetri in più della donna, la quale era più piccola di Nicole; tuttavia tutto, in quella donna, la faceva apparire molto più appariscente: il corpo prosperoso, il volto dai tratti marcati, evidenziati da un maquillage accurato ma al tempo stesso eccessivo per quei lineamenti tutt'altro che delicati, benché piacevoli. Anche la voce, roca e languida, si accordava alla perfezione con l'immagine provocante e sensuale che dava di sé. A differenza di Nicole, che quasi sminuiva la sua incredibile bellezza tanto era sobria ed elegante, quella donna mostrava tutto, al punto che era impossibile non guardarla e sentirsi turbati.

In accordo col suo personaggio, non appena si rese conto dell'esemplare maschile contro cui si era scontrata, sollevò lo sguardo su Andrew e sorrise, dandogli l'impressione di una gatta che stesse leccandosi i baffi davanti un piatto appetitoso. Sembrava pronta a saltargli addosso e mangiarselo in un solo boccone.

"Excusez-moi, monsieur" celiò, più con gli occhi e le labbra, che con la voce.

"Non si preoccupi è stata colpa mia... ero distratto" rispose educatamente lui, affascinato da come sapeva sedurre un uomo anche solo col semplice movimento delle labbra e degli occhi. Doveva aver seguito un corso propedeutico di mimica facciale, era impossibile che lo sapesse fare naturalmente.

"Oh, no, monsieur... sono io che non guardo mai dove vado " ribatté lei, proseguendo imperterrita la sua opera di seduzione strusciandosi appena contro di lui, prima di allontanarsi di un passo, ma sempre mantenendo un contatto col suo corpo tramite la mano, ancora appoggiata con indifferente familiarità sul suo torace, appena coperto da un'impalpabile camicia di lino azzurro.

Il calore di quella mano sulla pelle era impossibile da ignorare.

"Madame..." iniziò lui, per tentare di bloccarla.

"Mi chiami Monique..." sussurrò la donna, con la voce di un tono più basso. Sembrava averlo già portato con sé in camera da letto.

"Monique, mi scusi, ora devo andare. E’ stato un piacere conoscerla".

Comprendendo che lui aveva bloccato sul nascere qualunque idea lei si fosse fatta, capitolò con grande stile, allontanando la mano e replicando:

"Il piacere è stato mio, mi creda". Dopodiché lo superò, scendendo i quattro scalini con la camminata più audace e provocante che lui avesse mai avuto occasione di osservare.

Sospirando tra sé, entrò nell'officina, dove colse lo sguardo divertito di altri tre uomini che avevano assistito alla scena. Fingendo più interesse di quanto in realtà aveva provato, sorrise ammiccando, da uomo a uomo, e i tre annuirono solidali.

Uscì dall'officina dieci minuti dopo e si diresse a piedi verso il borgo antico di Cluny; aveva intenzione di spedire un regalo ai suoi genitori e sperava di trovare qualcosa di interessante che potesse piacere loro. Non c'era un'occasione speciale; semplicemente aveva l'abitudine di inviare sempre qualcosa durante i suoi lunghi soggiorni all'estero e sapeva che sua madre era felice di ricevere quei piccoli doni, così come lo era suo padre, anche se brontolava sempre dicendogli che era sufficiente che viziasse lei.

Invece a lui faceva piacere scovare ogni volta qualcosa di speciale per entrambi; era un modo come un altro per dir loro che li pensava anche quando era lontano.

Girovagò per quasi un'ora alla ricerca dei suoi piccoli tesori, senza però trovare nulla d'interessante; stava per desistere e decidersi a chiamare Pierre per farsi venire a prendere quando si trovò davanti ad una vetrina di un negozio di antichità e restauro di mobili, così indicava l'insegna, dove, tra mobili antichi, cianfrusaglie varie più o meno di valore e altro ancora, vide un quadro raffigurante un prato pieno di papaveri. Il dipinto raffigurava con esattezza come si era immaginato poco prima il prato in cui avrebbe desiderato fare l'amore con Nicole. Spinto da un impulso irrefrenabile, decise di volere quel quadro per sé ed entrò nel negozio.

Fu accolto da un odore persistente di cera per mobili e da un sentore di tempi passati; passò qualche minuto prima che qualcuno si affacciasse dal retrobottega per servirlo.

Riconobbe la donna dalla chioma rossa, perché per il resto era completamente trasformata: le forme procaci erano nascoste da un informe grembiule bianco, i tacchi vertiginosi che le avevano permesso di camminare attirando gli sguardi sul suo didietro erano stati sostituiti da un paio di zoccoli e solo le unghie laccate di rosso lasciavano intuire la donna sensuale che si nascondeva sotto quella tenuta da lavoro. A coprirle in parte il viso c'era una visiera di plastica trasparente, che doveva proteggerle occhi e volto da eventuali schegge.

"Bonjoiur, monsier" lo accolse Monique, con l'ombra di un sorriso compiaciuto nel tono di voce; dopo una breve pausa durante la quale sollevò la protezione al volto, chiese "desiderate qualcosa?".

Fu come gli pose la domanda a fargli sospettare che, con molta probabilità, stava pensando che lui l'avesse seguita o rintracciata di proposito.

Intanto, con movenze da gatta, benché meno ancheggianti di quando calzava scarpe di dodici centimetri minimo di tacco, si mosse verso di lui, invitandolo ad accomodarsi all'interno del negozio.

Nonostante l'abbigliamento, la fisicità di Monique non passava inosservata ed era impossibile che un uomo restasse impassibile di fronte all'evidente contrasto tra la quasi mistica solennità dell'ambiente e l'audace sensualità della donna. Andrew si rese conto di sentirsi a sua volta sedotto, o forse solo incuriosito. O, più semplicemente, attratto sessualmente, come qualunque uomo potesse definirsi tale.

"Il quadro in vetrina... mi interessa quel quadro" disse, rispondendo alla sua domanda.

Monique sorrise, un sorriso seducente e allettante; poi, con la sua camminata provocante, andò a recuperare il dipinto, per mostrarglielo da vicino.

La cornice era troppo elaborata per i suoi gusti, ma non sarebbe stato un problema cambiarla.

"Non é adatta, ci vorrebbe qualcosa di più semplice, di più lineare, per mettere meglio in risalto i colori" disse Monique, leggendogli nel pensiero. Poi aggiunse: "Non è un dipinto di gran valore, ma con la cornice giusta acquisterebbe in bellezza".

"Ha ragione, ma a me piace già anche così".

"È evidente che lei è un uomo di ottimi gusti" ammiccò lei sorridendogli.

Lo provocava in continuazione; Andrew si disse che lei era fatta così, che era solita flirtare con ogni uomo. Con ogni probabilità era capace di ammaliare anche le donne con il suo savoir-faire, eppure qualcosa gli diceva che provava un'attrazione particolare per lui ed era quest'attrazione a spingerla ad essere così sfacciata nel suo essere provocante.

Nel frattempo aveva iniziato a spiegargli il dipinto con dettagli tecnici, fornendogli al contempo una breve storia del quadro e dei suoi precedenti proprietari. Era ovvio che amava molto il suo lavoro e che era ben preparata. Inoltre sapeva come raccontare e quella era una qualità che Andrew apprezzava sempre.

Trascorsero un'ora a parlare d'arte, mentre nel frattempo lei gli vendeva il dipinto con i papaveri, un antico portasigari in argento e un'originale coppia di orologi da taschino, anch'essi in argento, i due regali che cercava per i suoi genitori. Quando le disse che non sapeva ancora se donare gli orologi al padre e il portasigari alla madre o viceversa, lei scoppiò in una risata spontanea che la fece sembrare più giovane e semplice di quanto era solita mostrarsi. Ebbe il sospetto che Monique fosse molto più profonda di quanto appariva in genere agli altri e questa intuizione gliela fece piacere più di quanto già non se ne sentisse attratto fisicamente. Era piacevole conversare con lei. Si rese conto, inoltre, che durante quell'ora, il pensiero costante di Nicole, che non lo aveva abbandonato un attimo dal loro ultimo incontro, era rimasto sepolto nel subconscio, senza affiorare in superficie... ed era da giorni che non si sentiva così libero, così leggero, senza quel lieve tormento al cuore che non sapeva ancora come definire.

Quando Monique si offrì di accompagnarlo al castello alla chiusura del negozio e lo invitò a cena, Andrew accettò con entusiasmo.

"Passo a prenderti verso le 20.30 e ti porto in un locale che ti piacerà".

"Nulla di troppo esclusivo, vero?" domandò lui.

"Tranquillo, non serve giacca e cravatta... resta così, sei splendido e perfetto..." ammiccò lei, sfiorandogli il torace con un gesto intimo.

Lui sorrise e la salutò con un bacio sulle labbra. Sapeva di darle un messaggio fin troppo esplicito, ma si era detto perché no?

In fondo Monique era una donna molto piacevole e lo faceva sentire uomo, senza complicazioni e senza impegni.

 

 

***

 

 

"Da quanto sei allo Chateau?".

"Da alcuni giorni. Sto facendo delle ricerche.".

"Sei uno studioso?"

"Un professore... Università di Harward" rispose dopo aver bevuto un sorso dell'ottimo borgogna che avevano ordinato. Aveva deciso di attenersi alla versione che aveva fornito a Pierre e Madeleine.

"Mhmm..." mormorò Monique, scrutandolo con espressione assorta.

"Che c'è?" le chiese con un sorriso.

Mentre attendeva la sua risposta, si appoggiò allo schienale della sedia, allungando appena le gambe sotto il tavolo; lei se ne rese conto subito e non perse l'occasione di strusciargli la caviglia sul polpaccio, sorridendogli al di sopra di una fetta di deliziosa tarte tatin  che un secondo dopo si portò alle labbra.

La cena era stata eccellente, come il locale del resto: un'antica taverna con cucina tipica francese, a conduzione familiare. Niente di troppo ricercato, come Monique gli aveva promesso, ma al tempo stesso un locale elegante e raffinato. E dove si serviva la miglior zuppa di cipolle  e il migliore foie gras del paese. Per non parlare della torta.

Per tutta la sera lei era stata divertente e affascinante, con quel tocco di malizia che la contraddistingueva; ma in quel momento, lo percepiva, la serata stava per prendere una piega diversa, come del resto si era aspettato fin dall'inizio.

"Non sembri affatto un professore".

"Ah no? E cosa sarei, allora, secondo te?" domandò, deciso ad assecondarla.

"Non saprei... un attore forse? No, ti avrei riconosciuto".

"Potrei non essere famoso in Europa" la stuzzicò lui, divertito dalla piega che stava prendendo il discorso.

"Giusto. Ma... non so, non hai l'aria dell'attore. Potresti essere un ricco uomo d'affari. Oppure uno sportivo".

"Perché non un professore universitario?"

"Sei troppo sicuro di te, troppo affascinante."

"Le mie allieve, difatti, svengono tutte ai miei piedi" disse lui, prendendola in giro.

"Hai l'aria di una persona di successo; di qualcuno che sa ciò che vuole e come ottenerlo... eppure, nonostante ciò, non sei superficiale, né arrogante".

"Quindi perché non un professore?" la provocò lui.

"Non hai l'espressione arcigna".

"Non sapevo che i professori avessero un'espressione particolare".

"Tutti quelli che ho avuto io ce l'avevano" disse lei, con un sorriso.

"Ma ti assicuro che io insegno" insistette lui.

"Ti credo. Ma quella non è la tua reale professione".

"Sembri decisa e sicura di te".

"Difficilmente sbaglio ad inquadrare le persone. Anche se tu sei un soggetto davvero misterioso".

"Misterioso? Io?" si sorprese lui, con finta ingenuità e un lampo di divertimento nello sguardo.

"Proprio tu" confermò Monique, prima di soffermarsi a scrutarlo con insistenza. Lui sostenne il suo sguardo, che vagava dal volto a ciò che riusciva a scorgere al di là del tavolo al quale erano seduti da quasi due ore.

"Mi domando cosa nascondi dentro a questo tuo splendido corpo" domandò lei, quasi a se stessa.

Compiaciuto di non essersi sbagliato nell'averla giudicata meno superficiale di quanto non lasciasse apparire il suo atteggiamento provocante e al tempo stesso intrigato e affascinato dalla sua capacità di intuizione, si trovò a domandarle:

"È questo l'obiettivo della serata? Scoprire cosa nascondo?"

Lei fu rapida ad interpretare a suo favore il senso della domanda: "Assolutamente sì. Ho intenzione di spogliarti completamente, per scoprirlo".

Aveva parlato con voce roca e allusiva. Nonostante non fosse la prima volta che una donna gli si gettava ai piedi, Andrew dovette ammettere che nessuna era mai stata tanto sfrontata e diretta. E così eccitante.

"Bene" disse, alzando una mano per richiamare l'attenzione del cameriere "direi che è il caso, allora, di proseguire la serata altrove. Hai qualche idea in proposito?"

Monique gli sorrise, allusiva: "Guarda caso, proprio stamattina, ho cambiato le lenzuola al mio letto...".

 

 

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Capitolo 17
*** Un intruso al castello ***





Capitolo XVII

Un intruso al castello



Con la medesima cautela con cui aveva aperto pochi attimi prima il portone d'ingresso per non svegliare i custodi, aprì anche la pesante porta in legno massiccio; nonostante l'ora tarda e il viaggio dall'aeroporto Charles de Gaulle non aveva sonno quindi, anche se sarebbe stata la cosa più intelligente da fare, riteneva inutile mettersi a letto. Meglio piuttosto trovare prima possibile ciò che le serviva e portarsi avanti con la lettura.

Si aspettava di trovare la stanza fredda e al buio, invece poche braci ancora accese stavano morendo nel camino e la sua luce fioca illuminava appena la zona circostante.

Un lieve movimento, la sensazione di un respiro, la fece voltare e prestare attenzione alla figura seduta in poltrona: l'uomo sembrava dormire profondamente, la testa reclinata da un lato, le lunghe gambe distese, un braccio allungato a terra e nella mano un libro, dalla copertina di pelle, aperto e in parte appoggiato al pavimento.

Senza neppure avergli visto per bene il volto, lo riconobbe subito... era difficile scordare il corpo che l'aveva stretta a sé soltanto alcune sere prima.

Perché si trovava ancora lì?

Quando la domenica precedente lo aveva trovato al castello, credeva vi avesse trascorso solo una notte o due dopo aver fatto del turismo nella zona.

Quell'uomo stava diventando una persecuzione. Più cercava di allontanarsi da lui, più se lo trovava intorno. Eppure, quando aveva posteggiato l'auto, non aveva visto la sua decappottabile. Dov'era finita? E come sarebbe riuscita a toglierselo dalla testa, se continuava ad incontrarlo?

Aveva fatto il possibile per allontanarsi da lui: la delusione di non poter più incontrare Alex Andrews le aveva fatto prendere la decisione di staccare per un certo periodo di tempo dal lavoro alla maison e rivedere le proprie priorità, del resto era stato a causa dei suoi continui rinvii dovuti all'impegno con la casa di moda che aveva perso l'occasione di poter lavorare con lo scrittore; tuttavia era a causa del turbamento provato tra le braccia dell'uomo che stava dormendo che aveva deciso di andarsene per un pò da Parigi. Era volata in Inghilterra per parlare col fratello e metterlo al corrente dei suoi progetti; Edmund aveva fatto storie, come sempre, ma lei era stata irremovibile. La meta successiva era Cluny, per recuperare le informazioni che le servivano per il suo prossimo viaggio.

Stava facendo il possibile per allontanarsi da lui, e invece eccolo di nuovo sulla sua strada.

Lo osservò per un attimo: risentiva ancora sulle labbra il lieve tocco delle sue e guardarlo dormire non l'aiutava certo a scordare le sensazioni provate quando lui l'aveva stretta tra le braccia; ma, soprattutto, quelle che si era accorta di aver desiderato. Il lieve sfioramento di labbra con cui l'aveva baciata sul battello le aveva fatto volere molto, molto di più. Rendersene conto l'aveva sconvolta.

Perché ogni volta che lo rivedeva le sembrava più bello di come lo ricordava?

Decise che l'unico modo per dimenticarsi di lui era fingere di non averlo visto, prendere ciò che era venuta a cercare, andarsene a letto e, l'indomani, partire prima dell'alba, cosicché nessuno si sarebbe accorto della sua presenza.

In silenzio avanzò nella stanza e si avvicinò allo scaffale dove ricordava erano sistemati i diari.

 

 

***

 

Lo aveva svegliato la sensazione di essere osservato. Aperti gli occhi, aveva scorto un'ombra avanzare furtiva e si era immobilizzato quando si era accorto che non si trattava né di Pierre, né di sua moglie.

Che fosse entrato un ladro?

Poi l'ombra fece un movimento e si mise più alla luce ed egli, osservandone il profilo, riconobbe con stupore la figura di Nicole Montgomery.

Che ci faceva lì?

Quando aveva scoperto che, oltre ad essere una fotografa, era anche l'esperta che Ross gli aveva procurato e della quale si era purtroppo liberato, aveva passato la mattina successiva al suo rientro a Cluny nel tentare di ricontattarla, ma senza esito. L'assistente di Lady Sinclair gli aveva detto che Milady era partita all'alba, senza lasciare alcun recapito e neppure un itinerario, né una data di ritorno. Mademoiselle Valèns  si era scusata, promettendogli di contattarlo non appena avesse avuto notizie di Lady Sinclair ma monsieur Andrews non doveva farsi troppe illusioni... Milady si era davvero dispiaciuta quando le aveva comunicato la decisione di monsieur di non avvalersi più della sua consulenza e aveva deciso di allontanarsi per un po’ da tutto e da tutti. E quando Lady Sinclair decideva una cosa...

Aveva ringraziato mademoiselle Valèns  ed era tornato ad immergersi nella lettura per riuscire a terminare prima dell'arrivo dell'erede del duca, previsto, a quanto gli avevano riferito Pierre e Madeleine, per il fine settimana. Una volta definita la faccenda relativa all'autorizzazione da parte del proprietario legale dei diari, avrebbe potuto, col suo permesso, finalmente mettersi al lavoro. E dimenticarsi di Lady Sinclair, alias Nicole Montgomery.

In quei giorni, grazie anche alla presenza di Monique, era riuscito ad allontanare la sua immagine dalla mente, almeno fino a quando la seducente restauratrice di mobili non lo aveva fatto prender coscienza dei propri sentimenti.

La serata in cui erano usciti a cena per la prima volta l'avevano conclusa nel letto di Monique, come lei stessa aveva suggerito: le ci era voluta tutta la notte prima di averne abbastanza di lui e del suo corpo... ogni volta che aveva voluto ricominciare gli aveva sussurrato che era affamata di sesso, ma in particolare che era affamata di lui. Andrew non aveva stentato a crederle e si era affrettato ad accontentarla, godendosi senza problemi quella inattesa e piacevole avventura con una donna che era l'essenza stessa dell'amante ideale: disinvolta, disinibita e piena di fantasia. Nei tre giorni successivi aveva lavorato di giorno allo Chateau, ma le sere e le notti le aveva trascorse a casa sua, dove avevano provato la resistenza e la comodità di quasi ogni superficie orizzontale; neppure quando aveva vent'anni ricordava d'aver fatto tanto sesso e così tanto appagante... perché andare a letto con Monique non richiedeva complicazioni o sentimenti... lei voleva solo piacere ed era ciò che voleva anche lui.

Almeno era quello che credeva all'inizio. Poi, però, aveva capito che ciò che provava per Monique, ossia un mero desiderio fisico, stava già sfumando, e persino più rapidamente di altre volte. Forse perché quegli amplessi finalizzati al solo piacere sessuale gli avevano lasciato un profondo vuoto dentro quando, a poco a poco, insieme a loro due tra le lenzuola, si era insinuato il ricordo struggente di Nicole.

Era stato felice, quindi, di apprendere che Monique doveva assentarsi per un po’ da Cluny per lavoro.

"Perché non vieni con me?" gli aveva chiesto "potremmo passare altre notti come questa".

Era proprio quello il problema: se all'inizio la sua aggressività e la sua sfrontatezza lo avevano intrigato e lusingato, dopo tre notti quel suo essere selvaggia e il volerlo in continuazione gli stavano togliendo l'aria... gli sembrava quasi di soffocare. Aveva sentito il bisogno di avere tra le braccia una donna diversa, una donna che gli facesse provare sensazioni che andassero oltre l'orgasmo fisico; voleva una donna da desiderare alla follia, da possedere anima e corpo.

E quella donna non era Monique.

"Non posso, devo proseguire con le mie ricerche".

Lei era rimasta delusa, ma per poco, perché Andrew, consapevole che per quanto lo riguardava quella sarebbe stata l'ultima volta, aveva fatto il possibile per soddisfarla, finché era riuscito a farla gridare di piacere. Languida e appagata, lei gli aveva detto che lo avrebbe chiamato al suo ritorno. Non le aveva risposto, lasciando in sospeso la faccenda: si era alzato, si era rivestito e prima di uscire le aveva dato un tenero bacio e le aveva detto addio.

Era rientrato allo Chateau e si era rimesso al lavoro: se fosse riuscito a terminare per l'arrivo dell'erede del Duca, dopo aver preso gli accordi per i diritti del romanzo, o di qualsiasi cosa avrebbe tratto da quei diari, e l'autorizzazione a proseguire, sarebbe potuto tornare in America e, con un po’ di fortuna, persino prima che tornasse Monique.

Aveva trascorso l'intera giornata a leggere e aveva pensato di proseguire anche dopo cena, ma Madeleine era una cuoca troppo brava; dopo il delizioso pasto e le notti insonni appena trascorse, non era riuscito a restare sveglio neppure fino al ritorno dei due coniugi che erano andati a trovare il figlio. Si era addormentato, con l'immagine di Nicole nella mente.

E ora lei era lì.

Attento a non fare alcun rumore, rimase ad osservarla. Che cosa ci faceva allo Chateau in piena notte? E, soprattutto, perché si stava muovendo circospetta, come una ladra?

Si era abbassata verso lo scaffale dove si trovavano i diari. Dopo alcuni attimi si rialzò, con due quaderni in mano; quindi gli diede una rapida occhiata per accertarsi che fosse ancora addormentato e si diresse verso la porta.

Era sul punto di aprirla per uscire quando lui decise che era arrivato il momento di scoprire come mai un'esponente della nobiltà inglese e, a seguito di qualche discendenza, probabilmente addirittura imparentata con il re William, si aggirava in una residenza che non le apparteneva, con l'intenzione di appropriarsi di due quaderni il cui unico valore era affettivo e, semmai, esclusivamente storico.

Con una rapida falcata le afferrò il braccio e bloccò la sua fuga. Di fronte alla sua espressione spaventata, le domandò:

"Dove credi di andare?"

 

 

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Capitolo 18
*** Sua Signoria, l'erede del Duca ***





Capitolo XVIII

Sua Signoria, l'erede del Duca



"Lasciami... Cosa stai facendo?" disse lei, brusca, cercando di liberarsi dalla presa.

"Questo dovresti essere tu a dirmelo".

"Io? Ah sì? E perché mai?".

"Beh... mi pare evidente: sei tu quella che si è intrufolata in casa d'altri per rubare" e fece un cenno ai quaderni che lei tratteneva al petto con l'altra mano.

"Oh, questa poi! In casa d'altri. E chi saresti, tu, per dirmi questo? Il padrone, per caso?" domandò lei con ironia.

"No, ma sono un ospite da alcuni giorni e, in questo momento, sono l'unico presente in casa".

"Dove sono Pierre e Madeleine?" lo interruppe lei.

"Dal figlio".

"E hanno lasciato la proprietà incustodita, alla tua mercé?" domandò con tono inquisitorio, facendo sentire lui l'intruso colto a rubare.

"Mi conoscono da alcuni giorni e si fidano... e comunque non sono affari tuoi. E non cercare di rivoltare le cose. Allora? Sto aspettando una risposta. O devo chiamare la polizia?" le chiese lui, minacciandola. Ma la luce divertita nello sguardo era più che eloquente in merito alle sue vere intenzioni.

"La polizia? Ma certo, accomodati" disse lei, spiazzandolo.

In quel momento la porta si aprì e i volti sorpresi e felici di Madeleine e di Pierre lo confusero ancora di più. Quando poi vide Madeleine accogliere tra le sue braccia Nicole, esclamando:

"Oh, Vostra Signoria, siete arrivata, e con ben due giorni d'anticipo! Che gioia rivedervi! Ma perché non ci avete avvertito?", si sentì più stupido che mai.

"Vostra... Signoria?".

"Già..." rispose lei ammiccando, ancora abbracciata all'anziana governante. Poi, per metterlo  in imbarazzo, aggiunse divertita: "Allora? Questa polizia... la chiami o no?".

"La polizia?" domandò con ansia Pierre, osservandoli.

"Devi sapere, Pierre, che il signore qui presente credeva che io fossi una ladra e voleva chiamare i gendarmi!".

"Una ladra? Voi?" domandò esterrefatto l'uomo.

"Beh... cosa avrei dovuto pensare? Sei entrata di soppiatto, stando bene attenta a non svegliarmi; hai frugato tra gli scaffali e te ne stavi andando con quelli..." e fece un cenno ai due diari che lei aveva ancora in mano "come potevo immaginare? Inoltre io ero convinto che il padrone dello Chateau fosse un uomo".

"Un uomo?" domandò Madeleine, "ma... monsieur Andrew, come vi è venuto in mente che Sua Signoria fosse un uomo? Pierre, sei stato tu a confondere monsieur?".

"No, Madeleine, tranquilla. È stata solo colpa mia se ho frainteso... è che ho avuto questa idea fin dall'inizio e quando parlavate dell'ultimo discendente, vi riferivate sempre a  ‘Sua Signoria... e l'equivoco è proseguito...".

"Mah... Comunque, se non vado errata, voi già conoscete Lady Sinclair".

"A dire il vero io conosco Nicole Montgomery, fotografa della Maison Dior" rispose e fu lui a prendersi una piccola rivincita, vedendola arrossire.

"Ah, milady... voi e la vostra mania di non presentarvi mai col vostro titolo! Ecco, lo vedete che confusione generate?" disse Madeleine, irriverente e divertita.

Nonostante il rispetto quasi d'altri tempi che le portavano, Andrew osservò l'affetto e la confidenza che legava Nicole ai due anziani tuttofare.

"Bene, ora che l'equivoco è stato chiarito, direi che noi possiamo andare a dormire. Provvederò subito per la vostra camera, Lady Nicole" disse Madeleine, accomiatandosi.

"Vai a letto e non ti preoccupare, Madeleine. Sono sicura che la camera è già in perfette condizioni, come sempre. Se dovesse mancare qualcosa, ci penserai domani".

"Ma... e i vostri bagagli?" domandò la donna, quasi scandalizzata.

"Non  pensarci neppure di metterti a sistemare le mie cose a quest'ora. Aspetteranno domani anche quelli" disse Nicole senza ammettere repliche e ottenendo, con le sue parole, un sorriso di gratitudine da parte della governante.

Evitò di aggiungere che sarebbe partita l'indomani stesso, altrimenti era sicura che Madeleine avrebbe tentato di dissuaderla.

Andrew attese che marito e moglie fossero usciti, prima di dire:

"Sei molto buona con loro".

"Sono loro che sono molto buoni con me e io li adoro, come se fossero i miei nonni" replicò lei, con voce dolce.

"E così saresti una vera lady..." mormorò lui, accarezzandole la guancia con le nocche delle mani, sorpreso ma al tempo stesso felice che lei fosse lì "cos'altro nascondete, Vostra Signoria?".

Un improvviso e inatteso desiderio di toccargli a sua volta la mano, di sfiorargli le dita con le proprie, turbò Nicole. Lo guardò negli occhi e notò ciglia folte e lunghissime, l'invidia di qualunque donna. L'ombra della barba di qualche giorno gli scuriva le guance e al tempo stesso metteva ancora più in rilievo la linea sensuale della sua bocca. Si rese conto che la tentazione di baciarlo era talmente forte da toglierle il fiato.

"E così tu saresti ‘monsieur le professeur'... cos'altro nascondi tu, ancora? " lo provocò a sua volta, per distrarsi dal desiderio di sfiorargli le labbra con le dita.

"Io?" domandò lui, con l'aria più ingenua di quella di un fanciullo.

"Sì, tu. Cosa ci facevi, PROFESSORE, alla Maison Dior fingendoti un modello?"

"Ah, no... io non ho finto di essere proprio nessuno! Sei tu che sei partita in quarta e, appena ti sei resa conto del mio fascino, hai deciso di sfruttarmi per le tue foto. Io ero alla casa di mode per cercare una persona" rispose, omettendo di aggiungere che quella persona, in realtà, era proprio lei, anche se allora non lo sapeva. Così dicendo, capì d'aver deciso che non le avrebbe rivelato ancora la sua vera identità: se era l'esperta che avrebbe dovuto incontrare, allora voleva escogitare un modo per lavorare assieme, ma senza che lei sapesse di avere a che fare in realtà con lo scrittore Alex Andrews.

Voleva che si innamorasse di lui per se stesso e non per ciò che rappresentava.

Che s'innamorasse di lui...

Finalmente aveva dato un nome a quel groviglio insensato di emozioni e sentimenti, desiderio e tenerezza che provava per lei e voleva fare il possibile affinché anche Nicole provasse lo stesso. Alla luce di come si erano conosciuti (due estranei che si scontrano su una spiaggia, entrambi lì per puro caso) e di come continuavano ad incontrarsi nonostante tutto, era più che mai convinto che il loro futuro insieme fosse come scritto nel destino.

Ad un tratto la vide trattenere a stento uno sbadiglio.

"Forse è meglio rimandare le nostre chiacchiere a domani" le disse, sfiorandole con le nocche una guancia.

"Non ci sarò più, domani".

"Cosa significa?"

"Che domattina presto, o meglio..." rispose guardando l'orologio, "fra poche ore, sarò ripartita".

"Credevo fossi qui per restare. Madeleine mi aveva detto che Sua Signoria sarebbe arrivata nel week-end per fermarsi qualche giorno".

"Infatti era quella l'idea".

"E ora? Cos'è cambiato? È per causa mia?".

"Cosa intendi?"

"Perché mi hai trovato qui?".

"E perché mai questo dovrebbe farmi cambiare idea?".

"Forse perché la mia presenza ti turba?" Più che una domanda, sembrava un'affermazione, espressa con un luccichio negli occhi che voleva essere una sfida.

"La mia decisione non ha niente a che vedere con te. A Parigi sono successe alcune cose che mi hanno fatto decidere di lasciare per un po’ il mio lavoro e dedicarmi ad una faccenda che ho lasciato in sospeso ".

"Che genere di cose? E quale faccenda?" domandò lui.

"Non credi di essere un po’ troppo invadente? La mia vita non ti riguarda".

Lui le prese la mano e la tenne stretta, impedendole di liberarla quando si rese conto dal suo sguardo che non gradiva il contatto.

"Credevo che tra noi due...".

"Non esiste alcun noi due " lo interruppe decisa lei.

"Tu credi? E che mi dici del bacio che avresti voluto che ti dessi l'altra sera? O del fatto che non facciamo altro che incontrarci?"

Del bacio che avresti voluto che ti dessi... Nicole colse immediatamente la sottigliezza da lui usata per definire lo sfioramento di labbra con cui l'aveva sconvolta: Andrew  aveva capito quanto aveva desiderato che proseguisse.

"Pura coincidenza" rispose decisa, omettendo qualunque riferimento al bacio e ritirando la mano che egli ancora tratteneva.

"Non ho mai creduto alle coincidenze. Io credo che tra noi vi sia qualcosa di più che un insieme d'incontri casuali" disse lui, guardandola negli occhi.

"E cosa dovrebbe esserci, secondo te?" domandò lei, divertita.

Per nulla turbato dal suo tono beffardo, decise che non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di dirle ciò che pensava, quello su cui aveva meditato a lungo, soprattutto dopo aver scoperto che era lei l'esperta che Ross gli aveva trovato.

"Credo che vi sia un preciso disegno del Destino dietro ai nostri incontri…" iniziò lui, tralasciando tuttavia di sottolineare il fatto che si erano incontrati comunque, nonostante lui avesse annullato quella che sarebbe dovuta essere l'occasione ufficiale della loro reciproca conoscenza.

"Un... disegno del destino? Non è possibile. Non dirmi che credi a queste cose!" domandò lei, di nuovo palesemente divertita. 

Andrew colse tuttavia una forzatura nel suo tono che lo invitò a proseguire, nonostante lo scetticismo che dimostrava.

"Perché, tu no? E ti dirò di più: ho anche la sensazione che il disegno non sia neppure ancora del tutto compiuto".

"Cosa intendi?" chiese lei e ora sembrava più interessata che divertita.

Lui sorrise, contento d'essere riuscito infine ad attirare la sua attenzione, proprio come desiderava. Cercò spiegarle cosa intendeva, benché si rendesse conto che era difficile che lei riuscisse a comprendere appieno le sensazioni che si agitavano in lui, senza rivelarle chi in realtà egli fosse.

"Non so... è difficile da spiegare a parole. Prova a ripensare ai nostri incontri, dal primo, su quella spiaggia a chilometri di distanza da qui, fino a questo momento: ti pare davvero possibile che si tratti di coincidenze? Ogni volta che ci siamo incontrati, abbiamo pensato che fosse l'ultima... eppure non era così, a nostra insaputa ci attendeva un altro incontro".

"Quindi pensi che ci incontreremo di nuovo, anche dopo stasera? È questo che vuoi dire?".

"Assolutamente no. Per quanto mi riguarda, non ho intenzione di lasciare di nuovo al caso un nuovo incontro. Ciò che intendo dire è che ho la netta sensazione che ci sia un preciso motivo per cui continuiamo ad incontrarci e che, finché non adempiremo a questo... chiamiamolo Disegno del Destino, continueremo ad incontrarci come se fosse per caso".

"Quindi, secondo la tua teoria, per liberarmi di te dovrei assecondare quest'ultimo incontro e portare così a termine questo fantomatico Disegno del Destino? E in cosa consisterebbe, sentiamo, sono proprio curiosa di saperlo" disse lei, di nuovo con tono divertito.

"Scommetto che se ti propinassi la teoria della Grande Storia d'Amore tra noi due, non te la berresti affatto, vero?" domandò lui, per provocarla.

"Ti prego, risparmiami! E cerca di essere più originale".

"Perché la escludi a priori? Ti dispiacerebbe tanto? O... sei già impegnata?", non poté fare a meno di stuzzicarla di nuovo.

"Sei gentile a ricordarti di domandarmelo" rispose lei, eludendo le altre domande.

"Allora? Sei già impegnata?"

"No, nessun legame, anche se non dovrebbe interessarti. E comunque non cambia nulla".

Lui sorrise, impertinente.

"Ok, ok, niente storia del Grande Amore. Cercherò di essere più originale. Dunque... vediamo... che ne dici di un mistero che dobbiamo risolvere insieme?".

"Un mistero... mhmm, interessante. E di quale mistero si tratterebbe?" domandò Nicole, stando al gioco.

"Ad esempio scoprire che... ecco, sì... che abbiamo un antenato in comune".

"Un professore americano e una nobildonna inglese?" chiese scettica.

"Perché no? Potresti essere stata adottata"

"Lo escludo. Pare assomigli molto all'antenata della quale porto il nome, Lady Alexandra Nicole".

"Ti chiami Alexandra Nicole?" domandò lui, incuriosito.

"Nicole Alexandra Montgomery Sinclair è il mio nome completo".

"Vedi? Un altro segno del destino. Anche il mio secondo nome è Alexander" disse divertito lui.

"Andrew Alexander è il tuo nome completo?" domandò lei, turbata.

"Sì, perché?"

"Impossibile..."

"Perché il mio nome desta tanta sorpresa? Anche Madeleine, quando gliel'ho detto, ha avuto la tua stessa reazione".

"Il fratello di Lady Alexandra... anche lui si chiamava Andrew Alexander. Erano in quattro: Andrew Alexander, il primogenito, poi due gemelli, Jane Elizabeth e Nicholas Joseph, ed infine Alexandra Nicole.".

"Quindi vedi che siamo destinati a stare assieme?! O pensi ancora che si tratti di coincidenze?"

"Sei stato adottato tu, per caso?" domandò lei.

"Non credo, i miei me lo avrebbero detto. Ma, ad essere sincero, non l'ho mai domandato", rispose lui, con un sorriso.

"Smettila di fare il buffone. Beh, che c'è di strano? Andrew Alexander... sono due nomi molto comuni. E comunque, da quello che so e che ho scoperto degli antenati di mia madre, nessuno ha mai dato in adozione un bambino. Devi credermi, ho fatto ricerche approfondite. Quindi è da escludere l'antenato in comune".

"C'è sempre la famiglia da parte di tuo padre, il duca, se non erro" suggerì lui, dicendosi tra sé che non aveva dubbi in merito all'attendibilità delle sue ricerche, sapendo che era una storica molto competente; ma poi, notando lo sguardo di lei, si affrettò a precisare:

"Ok, ok... niente antenato in comune. Allora, vediamo... di quale altro mistero si potrebbe trattare? Trovato! Potrei essere il discendente di un figlio illegittimo del duca...".

"Di mio padre?"

"Ma no, che dici? Adesso io stavo pensando all'uomo che abitò per ultimo questo chateau... Oppure, ecco sì, potremmo essere destinati a risolvere insieme il mistero del diario scomparso".

"Come sai del diario? Li hai letti?" chiese lei con voce piuttosto dura.

"Beh, sì... per questo mi trovo ancora qui. Madeleine non te lo ha detto?"

"Ha solo detto che eri interessato alla storia della famiglia... è stata piuttosto vaga".

"È un problema?" domandò lui, molto serio.

"No, no. Nessun problema... È solo che... È quella la faccenda di cui mi voglio occupare. Quella lasciata in sospeso".

"Perché non mi spieghi tutto dall'inizio?"

Lei lo guardò, come se stesse valutando la sua affidabilità. Poi, finalmente, parve decidersi:

"D'accordo, ti racconterò tutto".

 

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Capitolo 19
*** Al lavoro insieme ***





Capitolo XIX

Al lavoro insieme



Per la seconda volta in meno di dodici ore aprì la pesante porta di legno ed entrò nella stanza dello Chateau denominata ‘Le Bureau de le Comte’. Come la sera prima Andrew era lì, sempre seduto sulla poltrona accanto al camino, ma a differenza della volta precedente non stava dormendo, era immerso nella lettura. Nicole entrò in silenzio, chiudendosi lentamente la porta alle spalle per evitare rumori che lo distraessero. In realtà sperava di poterlo osservare di nuovo per qualche attimo indisturbata, invece lui si accorse subito della sua presenza e alzò la testa, sorridendole.

"Ciao", la salutò, felice di rivederla.

"Ciao".

"Hai quindi deciso di restare?" chiese lui.

"Così pare..." rispose vaga.

Lui la osservò, notando la sua aria esitante. Dopo aver sentito la sua storia, aveva fatto il possibile per convincerla a fermarsi e aiutarlo con i diari; le aveva raccontato la versione che si era preparato per l'incontro con l'erede del Duca, quando ancora non sapeva chi fosse: era arrivato al castello perché interessato alla vita privata nel XIX secolo; poi aveva scoperto i diari, mentre si destreggiava tra vari cimeli e carte del passato ed incuriosito aveva iniziato a leggerli, appassionandosi alla vicenda ed ora era intenzionato a conoscerla tutta quanta, poiché era convinto che gli sarebbe servita per i suoi studi. Si era accorto anche lui del quaderno mancante e siccome lei lo stava cercando, aiutarlo nello studio dei diari, con appunti e approfondimenti, forse le sarebbe servito a trovare un dettaglio magari sfuggitole durante la lettura che aveva fatto tempo prima quando li aveva trovati a sua volta; un dettaglio che avrebbe potuto fornirle una traccia importante per la sua ricerca.

All'inizio lei era parsa scettica; poi si era ricreduta, anche perché aveva ammesso di non aver letto ancora tutti i diari: quando si era accorta che ne mancava uno, era rimasta talmente delusa che non era riuscita più a continuare. Si era accontentata di conoscere la storia dei suoi antenati attraverso i documenti ufficiali, consultati nel periodo dei suoi studi universitari, dimenticandosi dei diari e del prezioso contributo che avrebbero potuto fornirle. Solo di recente, benché presa da impegni vari, nel poco tempo a disposizione per se stessa aveva deciso di concentrarsi sulla ricerca del quaderno mancante che, ne era convinta, poteva trovarsi solo nella dimora della famiglia di sua madre. Era proprio da lì che arrivava quando si erano incontrati sulla spiaggia;tuttavia la sua ricerca era stata vana.

"A che punto sei?" domandò Nicole, facendo cenno al quaderno che aveva in mano.

"Febbraio 1859. La nascita del mio omonimo" disse lui, con un sorriso. Era strano scoprire di chiamarsi come il primogenito del Duca e della Duchessa, un qualcosa in più che gli dava la curiosa sensazione di essere legato, in qualche modo che non riusciva a spiegarsi, all'autore degli scritti che lo stavano tanto affascinando. O più probabilmente era solo la sua immaginazione e si trattava di una semplice coincidenza: del resto non era la sua professione quella di inventarsi dal nulla misteri e avventure?

"Credevo fossi più avanti... se i diari arrivano fino alla sua morte, lo sai quanti anni ancora ci sono?"

"Immagino parecchi... basta guardare quanti quaderni devo ancora leggere!" rispose lui. Quindi aggiunse: "Hai impegni per le prossime settimane?".

"Stai scherzando vero?"

"Niente affatto" disse, osservando divertito la sua espressione sgomenta.

Poi decise di aggiungere, per provocarla:

"Cos'è, hai paura del lavoro duro? O di trascorrere troppo tempo con me?".

"Ah ah ah!" rispose sarcastica lei.

"Vedrai, sarà interessante. E anche divertente".

"Già, divertente..." bofonchiò Nicole. Stava pensando a tutto il tempo che avrebbe dovuto trascorrere con lui e non riusciva ancora a capire se l'idea l'attirava o la terrorizzava. Con ogni probabilità entrambe le cose. L'attrazione fisica che aveva provato fin da subito per Andrew si stava trasformando, ad ogni incontro, in qualcosa di più intrigante, ma al tempo stesso più coinvolgente. E lei non voleva rapporti coinvolgenti. I suoi genitori avevano trascorso anni e anni a farsi del male e a tradirsi a vicenda prima di decidere di separarsi; il giorno in cui erano morti in un incidente stavano andando dall'avvocato per discutere i termini della separazione. Il matrimonio di suo fratello era una farsa e quello di diversi amici altrettanto; dopo alcuni flirt più o meno importanti, a ventiquattro anni si era innamorata di Christopher e per un intero anno aveva creduto che fosse l'amore della sua vita arrivando a convincersi, nonostante le delusioni dell'infanzia, che un grande amore potesse ancora regalare la felicità. Ci aveva creduto fino al giorno in cui la dura realtà le aveva aperto gli occhi: lo aveva scoperto a letto con  quella che aveva creduto essere la sua migliore amica e in quel frangente aveva concluso che lui voleva sposarla solo per i suoi soldi. Uno squallido motivo da romanzetto rosa, che aveva ridotto il suo grande amore ad una sorta di avventuretta da reality-show. Persino gli scrittori di romanzi o gli sceneggiatori, ormai, avevano più fantasia quando si trattava di far terminare una storia d'amore!

Christopher non era uno del suo ambiente; non era il classico snob figlio di papà con più arroganza che reali possibilità economiche, uno di quei tipi che le ronzavano attorno dall'età di quindici anni pronti ad accalappiare la figlia di un duca che non solo possedeva un titolo nobiliare, ma che era anche una delle poche rimaste con una reale fortuna alle spalle, resistita a varie crisi economiche perché molto consistente, saggiamente diversificata e amministrata con estrema abilità.

No: Christopher era piuttosto un idealista, un appassionato come lei di arte e cultura, ma soprattutto di fotografia ed era stata proprio la fotografia la passione che li aveva uniti. Scoprire che anche lui era come gli altri, se non peggio, perché almeno gli altri ammettevano d'essere alla ricerca di un'ereditiera che risollevasse le loro inconsistenti finanze, le aveva fatto perdere del tutto l'illusione di poter vivere il grande amore e decidere di non farsi mai più coinvolgere dai sentimenti. Una vocina le diceva che Christopher non era il cacciatore di dote che credeva e che la sua avventura con Marie c’entrava in parte anche con lei, ma aveva preferito non ascoltare quella voce e dimenticarsi di lui.

Dalla fine della sua storia con Christopher, pur uscendo con alcuni uomini, aveva evitato ogni coinvolgimento emotivo e aveva rivolto i suoi interessi altrove, impegnandosi in un progetto con il dottor Dumònt per aiutare i bambini malati di AIDS; era sempre più convinta che quei bambini, che considerava ormai un po’ come suoi figli, sarebbero stati gli unici figli dei quali si sarebbe mai occupata.

Madeleine e Marie-Antoinette, le sole persone con le quali s'era confidata, continuavano a ripeterle che era troppo giovane e bella per dire addio alla possibilità di essere felice, ma lei, dopo aver tanto sofferto, aveva trovato un suo equilibrio e le rassicurava dicendo loro che stava bene così.

Ciononostante era una giovane e attraente donna del XXI secolo e non un'inibita e fragile damigella d'altri tempi, pertanto quando era uscita con altri uomini, con alcuni loro aveva avuto brevi relazioni, limitate, tuttavia, ad un mero coinvolgimento fisico benché, ad essere sincera, neppure da quel lato granché soddisfacenti. Nonostante vivesse in un ambiente in cui mostrarsi affascinanti contava più d’ogni altra cosa, anche se fosse stata disposta a lasciarsi coinvolgere sul piano emotivo, nessuno degli uomini con i quali era uscita l'aveva intrigata al punto da desiderare qualcosa più d'un semplice e fugace appagamento sessuale.

Questo prima di conoscere Andrew; perché da quando lo aveva conosciuto, la faccenda si era complicata. Fin dall'incontro sulla spiaggia aveva provato una forte attrazione e, doveva ammetterlo, un'emozione così violenta, così fisica, non l'aveva mai provata neppure per Christopher. In quel momento, tuttavia, aveva ancora pensato che l'alone di romanticismo che aveva avvolto il suo animo mentre cercava il diario perduto nella residenza materna, avesse circondato di mistero e di romanticismo anche l'incontro in riva al mare con un affascinante sconosciuto rendendolo più intrigante di quanto in realtà fosse stato. Roba da romanzo, insomma; materiale fantastico per uno scrittore, aveva in seguito pensato, e quando aveva saputo dell'incarico con Alex Andrews si era persino domandata cosa sarebbe stato capace di tirarne fuori un autore di quel calibro, che lei ammirava per lo stile ma soprattutto per la fantasia e per l'abilità di far calare il lettore nelle avventure che inventava.

Trovarsi davanti il misterioso sconosciuto alla Maison Dior aveva dato il colpo di grazia all'illusione di essersi solo immaginata l'attrazione intensa che aveva provato. E ad ogni successivo incontro era andata sempre peggio, perché lui la intrigava sempre più anche come persona. Per questo era fermamente decisa a non lasciarsi coinvolgere neppure per una breve relazione fisica. Era certa che andare a letto con lui sarebbe stato fantastico, ma proprio per questo troppo pericoloso per il suo cuore.

Oh, se soltanto l'incarico con Mr. Andrews non fosse stato annullato! Era certa che lavorare con "il giovane scrittore del mistero" come si divertiva a definirlo, le sarebbe servito per dimenticare l'affascinante professore-modello.

Aveva iniziato a fantasticare sull'aspetto dello scrittore solo dopo aver saputo di doverlo assistere nelle sue ricerche e, guarda caso, solo dopo aver conosciuto Andrew; prima non ci aveva mai pensato. In quel momento, invece, se lo immaginava di aspetto tutto sommato piacevole, ma niente che attirasse troppo l'attenzione; un tipo nel complesso banale, per il quale agenti ed editori avevano dovuto utilizzare l'espediente di non farsi mai ritrarre proprio per alimentare eccentriche fantasie sul suo aspetto piuttosto comune.

Del tutto diverso dall'uomo che in quel preciso istante la stava osservando con sguardo sornione e ben consapevole dell'effetto che aveva su di lei quello sguardo. Andrew non aveva affatto l'aspetto dello studioso; era difficile immaginarlo nei panni del professore universitario, se non pensarlo circondato da studentesse che pendevano dalle sue labbra e quell'immagine non le garbava affatto.

Era assolutamente certa che lavorare con Alex Andrews sarebbe stato molto meno pericoloso per il suo cuore che non lavorare assieme all'uomo che aveva di fronte e che la turbava oltre ogni dire. Ma ormai quell'opportunità era sfumata e con essa l'occasione di conoscere il noto scrittore americano.

"D'accordo, cominciamo" si risolse a dirgli rassegnata.

Come se le avesse letto nella mente, Andrew la provocò:

"Quanto entusiasmo! È una fortuna che ti debba limitare ad assistere un semplice professore universitario e non un famoso scrittore che, a quanto ho saputo, è assai esigente con i suoi collaboratori".

Durante il suo racconto gli aveva parlato anche del mancato incontro con Mr. Andrews.

"Lo conosci?" domandò, senza celare la sua curiosità.

Divertito dalla piega che stava prendendo il discorso, lui annuì con un breve cenno del capo.

"E... com'è?".

"Te l'ho detto: esigente".

"Non intendevo in quel senso ".

"Capisco. Beh... l'ho visto di sfuggita, in università. A volte tiene delle lezioni... normale, direi".

"Ma... È alto, o basso? Occhi chiari... o scuri?".

"E chi lo ha notato? Non sono mica una donna!"

"Oh, sei esasperante! Possibile che tu non sappia descriverlo?"

"Mi pare di capire che il tuo interesse non sia soltanto professionale!"

"Ma che dici?  È solo che sono curiosa. E’ da quando avrei dovuto incontrarlo che ho iniziato ad immaginare il suo aspetto. Volevo solo sapere se ci avevo almeno un po’ azzeccato".

"E come te lo immagini?" domandò lui, incuriosito.

"Mah... è difficile da spiegare, non ho un'immagine precisa, più un'idea d'immagine".

"Descrivimi quell'idea".

"Alto... ma non come te; e più magro..."

"Cioè io sarei grasso, secondo te?" la interruppe lui, divertito.

"Sì... no... Oh, insomma, non intendevo dire che tu sei grasso" si affrettò a scusarsi lei; poi, cogliendo nel suo sguardo l'ombra di un sorriso, comprese che si stava divertendo a metterla in imbarazzo.

"Meno... sportivo...  sì, con un fisico meno atletico del tuo, ecco" si decise infine a dire.

"Ossia meno prestante di me" puntualizzò lui.

"Vuoi che ti dica che ti trovo bello? Credevo d'avertelo già detto".

Lui tese le mani in avanti, verso di lei, come a volersi difendere e scosse il capo.

"Scusami, continua”.

"Me lo immagino un po’ eccentrico, con l'aria patita e tormentata dello studioso, ma con un sorriso dolce, da ragazzino un po’ timido, al punto da evitare di farsi ritrarre per non essere riconosciuto".

"Insomma l'esatto contrario del sottoscritto".

"Sì, direi di sì. Tu non hai affatto l'aria patita e tormentata. E non mi sembri neppure timido".

"Posso dirti solo questo: mia madre, che mi accompagnava..."

"Tu hai una madre?" lo interruppe lei.

"Beh, sì. Che cosa pensavi? Che fossi nato da un uovo?"

Lei sorrise alla battuta e, pensando a quanto fosse bello e pieno di fascino, una specie di esemplare raro di maschio, rispose a sua volta scherzando:

"Non mi sorprenderebbe!".

"Che tu ci creda o no, mi risulta di essere stato concepito in modo del tutto tradizionale" precisò lui, ammiccando.

"Mi fa piacere saperlo. Comunque io intendevo: tua madre è ancora viva?".

"Sì, e lo è anche mio padre. E, come ti stavo dicendo, a mia madre, che era con me in università, Alex Andrews piace molto!" rispose sorridendo, affascinante come sempre, divertito dalla voluta ambiguità della sua frase.

Di fronte a quel sorriso, per calmare il battito del cuore si costrinse a visualizzare l'immaginato sorriso dolce che aveva attribuito a mr. Andrews ma, come temeva, fu del tutto inutile.

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Capitolo 20
*** Solo amici ***





Capitolo XX

Solo amici



Finalmente si erano messi al lavoro, dopo aver deciso come procedere: Andrew avrebbe letto ad alta voce, mentre il compito di Nicole sarebbe stato quello di prendere appunti quando lo riteneva necessario per la sua ricerca ma, soprattutto, rispondere alle sue domande ogni volta che gliene rivolgeva. Presto capì che il lavoro sarebbe andato per le lunghe, poiché Andrew faceva domande in continuazione. Ad un certo punto arrivò persino a pensare che lui facesse apposta per trascorrere più tempo con a lei, ma doveva ammettere che ogni osservazione di Andrew era pertinente e ogni domanda mostrava reale curiosità e interesse. Si scoprì, quindi, disponibile a rispondergli sempre più coinvolta, senza rendersi conto che lui l'aveva abilmente attirata in un appassionante discorso sull'argomento di cui era un'esperta: la storia dell'Ottocento, e in particolare quella dei suoi antenati.

Quando realizzò la cosa, erano ormai trascorse quattro ore dal momento in cui avevano iniziato e dovette ammettere con se stessa che il tempo era volato in sua compagnia; a quel punto non rimpiangeva neppure più il mancato incontro con Alex Andrews. Dubitava, infatti, che avrebbe potuto lavorare altrettanto bene e con altrettanta passione con un'altra persona: a parte l'eccezionalità di svolgere un incarico di esperta per un noto romanziere, per il resto scoprire il contenuto di quei diari assieme all'affascinante professore americano stava rivelandosi un compito molto intrigante.

Andrew era molto abile a leggere e avrebbe saputo infondere passione anche alla lista della spesa; Nicole si era più volte incantata ad ascoltare la sua voce, dal timbro profondo e seducente, che variava tono a seconda dei passi del diario i quali, grazie alle doti di scrittore del suo antenato e a quelle di lettore di Andrew, sembravano prendere vita e riuscivano a trasportarla indietro nel tempo.

Come già aveva potuto notare dai precedenti quaderni, l'autore era solito intercalare scene di vita familiare e quotidiana ad annotazioni e commenti sugli avvenimenti importanti dell'epoca. Dopo la nascita del primogenito, Andrew Alexander, nel febbraio 1859, quell'anno il duca diede ampia rilevanza ad alcuni fatti di importanza storica: la morte del re Ferdinando Carlo Maria di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie, avvenuta il 22 maggio e la sconfitta, il 24 giugno, dell'esercito austriaco di Francesco Giuseppe nella battaglia di Solferino durante la Seconda Guerra d'Indipendenza. Nell'agosto-settembre 1859 descrisse gli effetti di un fenomeno atmosferico di notevole entità, che causò l'interruzione delle trasmissioni telegrafiche.

"E’ probabile che si riferisca alla tempesta solare" disse Nicole, prevenendo quella che riteneva essere la prossima domanda di Andrew.

"Che ebbe effetti ben diversi da quella temuta per la fine del 2012. Io avevo solo sei anni ma rammento bene la preoccupazione dei miei genitori quando, tra le varie assurde teorie in merito alla tanto pubblicizzata fine del mondo, era stata ipotizzata anche quella più plausibile di una tempesta solare, con inevitabili ripercussioni sul moderno mondo del tutto dipendente dall'elettricità; in particolar modo erano preoccupati per la sicurezza americana, dopo gli attentati al World Trade Center. Non immaginavo che nel 1859 un comune cittadino europeo, uno che non fosse un astronomo intendo, si fosse reso conto di un tale fenomeno, che procurò lievi disagi considerato lo scarso sviluppo tecnologico di quei tempi".

"Il mio antenato era anche un appassionato studioso; credo che si interessasse a moltissimi argomenti, e poi non dimenticare che il suo rango e le sue conoscenze gli permettevano l'accesso ad informazioni poco note al resto della popolazione".

Proseguendo con la lettura, dovettero attendere poco per avere conferma delle parole di Nicole; nel diario, in data 26 novembre, era descritto con estremo entusiasmo l'acquisto del testo, pubblicato appena due giorni prima, di un naturalista britannico, tale Charles Darwin, intitolato L'origine della specie, al prezzo di 15 scellini. Solo poco più di un mese prima, il 12 ottobre, era annotata la morte di Robert Louis Stevenson, ingegnere britannico inventore della locomotiva a vapore, a dimostrazione di quanto l'autore del diario fosse un uomo di molteplici interessi e attento alla realtà del suo tempo.

"In biblioteca, nella sezione dedicata alle prime edizioni, troverai il libro di Darwin" disse Nicole.

"Lo so, ho già visto la biblioteca. E’ fantastica!".

"Ho saputo che tutte le 1250 copie della prima edizione furono richieste dai librai lo stesso giorno e andarono subito esaurite. La seconda edizione risale all'anno successivo, gennaio 1860, se non ricordo male".

"La copia che possiedi avrà un valore inestimabile, dunque".

"Sì. L'ho fatta valutare, anche se non ho mai avuto intenzione di venderla. È quasi un miracolo che nessuna delle due guerre mondiali abbia devastato questa proprietà, anche se con l'invasione tedesca del 1940 ha corso seri rischi. Per fortuna le battaglie principali del '40 e del '44, pur avvenute piuttosto vicino, non hanno interessato Cluny; inoltre la proprietà è stata risparmiata dalla razzia tedesca perché a quei tempi, abbandonata da anni, era circondata dal bosco, che l'aveva per certi versi nascosta".

"Non venderesti mai questa proprietà, vero?" domandò ad un tratto lui.

"Perché me lo chiedi?".

"Così...".

"No, non ho alcuna intenzione di venderla".

"Ma non abiti qui. Perché?".

"Il mio lavoro, a Parigi..."

"Potresti viaggiare".

"Hai ragione, ma mi piace abitare a Parigi".

"Parigi ha il suo fascino. E non dubito che la tua casa sia bellissima, ma se io possedessi un luogo simile, vorrei viverci e me ne allontanerei il meno possibile."

"Non voglio abitare qui... " sussurrò lei, quasi a se stessa.

"Perché?"

"Dovrei credere all'amore, per vivere qui" si lasciò sfuggire.

"E tu non credi nell'amore?" domandò lui.

"Diciamo che sono piuttosto scettica, a riguardo. Non ho avuto grandi motivi per crederci... e forse, ora, non voglio più neppure provarci".

"Non sei troppo giovane per non credere più nell'amore? Inoltre ero convinto che fosse una prerogativa femminile attribuire grande importanza a questo sentimento".

"Nei libri, o nei film, ma nella realtà... lasciamo perdere".

"Devo dedurre, quindi, che non credi neppure al matrimonio" disse Andrew.

"Un'istituzione ampiamente superata" aggiunse lei, in risposta alla sua implicita domanda.

"Eppure diversi studi di costume sociale ritengono che, dopo anni di caduta nel dimenticatoio, la sacralità del matrimonio stia tornando in auge, in particolar modo tra i giovani".

"Gli studi sono una cosa, la realtà un'altra. Sono stata tradita dal ragazzo che credevo di amare e che speravo un giorno di sposare. Sono circondata da persone sposate o divorziate, giovani e non, e tutte quante sono infelici e deluse perché si sentono ingannate dall'illusione nella quale il matrimonio le aveva fatte sperare: la felicità".

"Non credi che sia più un problema di persona giusta?"

"Forse. Non so... Ma se anche fosse, come fare a trovare e, soprattutto, riconoscere la persona giusta?" domandò lei.

"Questa è una grande domanda. Se esistesse la risposta magica, sai quanti manuali pubblicherebbero sull'argomento? Io però credo che vi siano persone, più di altre, destinate ad incontrarla".

"Ancora con questa storia del Destino! Ci credi davvero, allora!".

Lui sorrise, enigmatico.

"Ero convinta che fosse solo una tattica per convincermi a restare" aggiunse lei, quasi parlando con se stessa.

"In effetti è da un po’ che sto riflettendo sull'argomento e sì, sono sempre più convinto che il Destino ponga l'Uomo davanti a diverse possibilità, alcune buone, giuste, alcune sbagliate" iniziò lui; poi, dopo un attimo di silenzio, proseguì: " sta ad ognuno di noi sapere cogliere quelle buone e, se possibile, evitare le sbagliate. Determinate circostanze occorre accettarle per quelle che sono: i propri genitori, ad esempio, o il momento storico in cui si nasce e si vive. Altre, invece, dipendono un po’ da noi: nel corso della propria vita si incontrano persone... molte di esse resteranno come meteore che viaggiano nello spazio e che, per un breve momento, hanno incrociato la nostra stessa rotta; altre, invece, potrebbero diventare determinanti. Quanto determinanti, a volte, dipende da noi: il Destino ce le ha fatte incontrare, in un modo o nell'altro, ma a volte siamo noi stessi a determinare, in base a scelte giuste o sbagliate che si fanno, quanto tali persone saranno importanti nella nostra vita".

"Ti riferisci all'amore?" chiese lei.

"Sì, ma non solo, anche alle amicizie. Prendi ad esempio noi due: da mesi non abbiamo fatto altro che incontrarci, e nei momenti e nelle situazioni più disparate..."

"Ero certa che saresti tornato su questo punto" disse lei, con una lieve punta di ironia nella voce. Eppure, da quando lui le aveva fatto prendere coscienza della cosa, anche lei ci aveva riflettuto e non poteva dargli torto. Tuttavia ammetterlo, in special modo con lui, sarebbe stato troppo pericoloso.

"Se preferisci non ammetterlo, mi sta bene; ma non puoi non aver riflettuto sulla faccenda. Ad ogni modo i nostri incontri mi servivano come esempio. Il Destino ci ha messi, più di una volta, sulla stessa strada. Fin qui niente, ancora, dipende da noi. Ma... perché continuiamo ad incontrarci? Ecco: domandarcelo comincia ad essere quel qualcosa che dipende da noi".

"Potremmo anche non porci nessuna domanda" intervenne Nicole.

"Certo. E difatti all'inizio è una domanda che non mi sono posto. Ho semplicemente accettato di aver incontrato sulla mia strada una splendida donna" disse Andrew, guardandola per un attimo negli occhi, affrettandosi poi ad aggiungere: "tuttavia gli incontri sono continuati e le circostanze in cui sono avvenuti sono diventate a loro volta sempre più interessanti".

"E così hai deciso di intervenire nel Progetto del Destino con la tua proposta di lavorare assieme".  

"Le possibilità erano due: lasciare di nuovo tutto al Fato, oppure provare ad assecondarlo e stare a vedere cosa ne viene fuori. Ho preferito assecondarlo perché l'istinto mi dice che il nostro incontro era come scritto nel destino e ci deve essere un motivo o, meglio ancora, più d'uno per cui siamo destinati a stare insieme".

"A stare insieme?" domandò lei, con una sfumatura di panico nella voce.

Lui sorrise.

"Temi così tanto questa eventualità?" le domandò, provocandola. Quando Nicole non rispose, continuò: "Stare insieme può avere molteplici significati: anche la semplice amicizia, o il lavorare assieme, implicano il concetto di stare insieme, non credi?"

"Quindi vorresti che fossimo amici? Soltanto quello?"

"Ti sentiresti più tranquilla?" domandò a sua volta, sempre sorridendo. Era evidente che la piega che aveva preso la conversazione lo stava divertendo. "Ad ogni modo", continuò, "il succo del mio ragionamento era questo: a prescindere da dove questo ci condurrà, proponendoti di lavorare assieme ho voluto concedere al Destino una chance e l'ho fatto perché sono del parere che provare a cogliere le opportunità che la Vita ci offre è il miglior modo che abbiamo noi uomini di costruire il nostro presente".

"Capisco. Ma come fai a sapere se, in futuro, questa opportunità che hai provato a cogliere si rivelerà una scelta giusta o sbagliata?"

"E’ ovvio che non lo so. Solo il tempo potrà dirlo. Valutando le mie sensazioni l'unica cosa di cui sono certo è che se non avessi provato, avrei rimpianto per sempre di non averlo fatto.  Vedi, Nicole, io sono convinto che l'Uomo teme il proprio futuro perché non sa costruire il proprio presente: in genere si limita a fare programmi per il futuro, molti dei quali sa già in partenza che difficilmente riuscirà a realizzare; non pensa al futuro come al fatto che, prima o poi, la sua vita finirà, ma come ad un qualcosa che desidera dominare. Invece ognuno di noi dovrebbe avere sempre ben in mente che nel nostro futuro, prima o poi, c'è la fine della nostra vita e questo dovrebbe essere un pensiero costante, un pensiero che ci dovrebbe spingere, in ogni singolo attimo, a costruire il presente con progetti di vita mirati a renderlo unico e durevole, un piccolo pezzo di eternità".

Dopo un breve attimo di silenzio, lei disse:

"È un bellissimo pensiero e tu sei molto abile con le parole. Sai che ti dico? Saresti un magnifico scrittore, se soltanto ci provassi!"

A quella frase Andrew non riuscì a trattenere una risata.

"Cos'ho detto di tanto divertente?".

"Nulla, nulla... Allora, come la mettiamo?"

"Riguardo a cosa?" domandò lei, sorpresa da quel repentino cambio d'argomento.

"Al nostro stare insieme. Colleghi di lavoro, amici o... amanti?" la provocò lui.

"Direi che amici può bastare" si affrettò a rispondere Nicole.

"Sì, direi che, per il momento, amici può bastare" ribatté pronto Andrew.

 

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Capitolo 21
*** Nei dintorni ***





Capitolo XXI

Nei dintorni



Andrew guidava rilassato, l'espressione concentrata. Almeno era ciò che immaginava osservandolo, poiché voltava di rado il capo verso di lei e gli occhi erano coperti da un paio di occhiali a specchio che lo rendevano misterioso. I jeans neri aderenti e la camicia in lino bianca con cui si era presentato quella mattina lo rendevano, invece, più sexy del solito. Lo aveva già visto indossare quelle camicie di tessuto impalpabile, quasi trasparente; a quanto sembrava lui le prediligeva a semplici t-shirt o magliette di altro genere. Le indossava di solito con le maniche arrotolate fino al gomito, però non gliene aveva mai vista una a maniche corte. Doveva essere una sua piccola mania. Nicole si scoprì divertita nel constatare come quel particolare avesse suscitato tanto la sua attenzione. Per il lavoro che svolgeva era avvezza ad osservare certi dettagli dell'abbigliamento, eppure non aveva mai provato tanto interesse per ciò che indossava un uomo.

La decapottabile, che Andrew aveva ritirato dal meccanico il giorno prima, era perfetta per quella splendida giornata di sole e l'abitacolo, avvolgente e confortevole, era studiato apposta per proteggere guidatore e passeggero dall'eccessiva aria dovuta alla guida sportiva del conducente; ciononostante il tessuto della camicia di Andrew, come del resto il foulard con cui si era avvolta la sua lunga chioma, sottostava a qualche sporadico capriccio del vento, sollevandosi e abbassandosi, così da rendere più intrigante lo scorcio di pelle maschile, che a tratti scopriva più di quanto i bottoni slacciati avrebbero concesso in condizioni normali.

Nicole si rese conto di posare lo sguardo su quel torace più spesso di quanto avrebbe voluto e questo non era affatto un bene. Non voleva sentirsi tanto attratta da lui, però era davvero difficile ignorare la sua sensualità: ogni giorno scopriva in Andrew un qualcosa che le rendeva sempre più difficile tenere a bada l'attrazione fisica, e non solo quella, che aveva provato per lui fin dal primo momento.

Aveva scoperto che lavorare con lui era davvero fantastico; probabilmente non sarebbe stato altrettanto entusiasmante essere la consulente storica del famoso scrittore: Alex Andrews, infatti, non avrebbe trascorso tanto tempo con lei e non l'avrebbe coinvolta tanto. Con più probabilità si sarebbe limitato a farle delle domande o a chiederle di preparare una relazione molto dettagliata che avrebbe letto tornato in America. Di certo non l'avrebbe coinvolta nel suo lavoro come invece stava facendo Andrew. Benché famoso per l'accuratezza nei particolari, qualità che denotava uno studio approfondito del contesto in cui si svolgevano i suoi romanzi, Mr. Andrews non avrebbe condiviso con lei idee e riflessioni come faceva il suo misterioso professore, di questo ne era pressoché certa,  perché scoprirsi tanto avrebbe significato svelare troppo di sé e questo avrebbe scalfito il mistero creato attorno alla sua immagine.

Andrew, invece, non correva alcun rischio nello svelarsi a qualcuno e a quanto sembrava non aveva difficoltà ad essere se stesso. Proprio quella mattina, all'alba, lo aveva scoperto di nuovo in piscina, questa volta coperto dal costume, uno slip azzurro che richiamava la sfumatura più chiara che a tratti assumevano i suoi occhi, specialmente in giornate luminose come quella.

Lo aveva osservato dal terrazzino della sua camera da letto per tutta l'ora e mezza in cui era stato in acqua mentre, assorta nella contemplazione, sbocconcellava nel più assoluto silenzio un croissant accompagnato da una tazza di tè fumante; alla fine era giunta alla conclusione che la performance acquatica alla quale aveva assistito quando lo aveva sorpreso in costume adamitico era poca cosa rispetto al suo allenamento quotidiano. Ed era sicura che Andrew nuotasse ogni mattina all'alba, poiché non era possibile che qualcuno percorresse tante vasche, con tanta potenza e al tempo stesso senza alcuno sforzo apparente, senza avere alle spalle un allenamento costante.

Aveva anche scoperto che il crawl era, per lui, lo stile con cui si riscaldava prima di affrontare la sessione di allenamento e quello con cui si rilassava dopo lo sforzo; lo stile che prediligeva, però, era il delfino, a quanto ne sapeva lei il più difficile e faticoso... anche se vedere Andrew nuotare per circa un'ora, una vasca dietro l'altra, non dava affatto l'impressione di assistere ad uno sforzo ma piuttosto all'espressione della potenza umana nella sua forma più armoniosa ed elegante.

Ritrovarselo mezz'ora dopo, vestito di tutto punto, rilassato e gentile come sempre e per di più con quel suo sorriso che le toglieva il fiato, era come essere catapultati all'improvviso da un mondo ad un altro. Andrew era un complesso insieme di dolcezza e intelligenza, forza e vitalità, sensualità e mistero: com'era possibile resistere ad un uomo simile?

Era così persa nei suoi pensieri, incantata ad osservarlo, che non si era neppure resa conto che lui aveva fermato e spento l'auto e si era voltato a guardarla a sua volta. Solo la sua mano che le sfiorava con delicatezza una guancia la riportò in sé.

"Credo che siamo arrivati..." sussurrò lui, quasi dispiaciuto di ricondurla alla realtà.

Lei si guardò attorno e riconobbe l'esterno della basilica cluniacense del Sacrè Coeur, a Paray-le-Monial, meta della loro gita.

Scesero dall'auto e s'incamminarono verso l'ingresso; prima di entrare Andrew le prese la mano e la strinse nella propria; benché turbata dall'intimità di quel gesto innocente, Nicole lo lasciò fare. Era rassegnata al fatto che quel giorno avrebbe avuto grandi difficoltà a fargli mantenere le distanze, come invece si era sforzata di fare in ogni momento da quando lo aveva conosciuto e in particolare da quando avevano iniziato a leggere assieme i diari, per resistere alla sottile opera di seduzione che lui aveva intrapreso: lievi sfioramenti che avrebbero potuto benissimo essere casuali ma che la turbavano oltre ogni comprensione e una sfacciata distribuzione dei suoi seducenti sorrisi, che la lasciavano ogni volta senza fiato.

Avrebbe dovuto odiarlo, per come la faceva sentire, lei che era ferma nella sua decisione di evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo con un uomo; eppure era quasi certa che la sua opera di seduzione fosse più inconsapevole che voluta e, proprio per questo, ancora più intrigante.

Entrarono nella cattedrale mano nella mano; la chiesa, capolavoro dello stile romanico, era bellissima anche al suo interno, solenne e luminoso grazie alla tinta pastello di tonalità gialla. Andrew si guardò attorno, affascinato.

"Nel Medioevo l'interno di questa cattedrale, per la sua delicata eleganza, era anche conosciuto come la La Promenade des anges"  gli disse Nicole, felice che gli piacesse.

Quando lui aveva proposto una gita per prendersi una pausa dalle letture, era stata lei a scegliere la meta e aveva optato per la basilica di Paray-le-Monial per proseguire col racconto sulla famiglia dei suoi antenati: era infatti nel vicino monastero della visitazione che aveva vissuto la sua vita da religiosa la prima figlia dei suoi antenati, Jane Elizabeth.

"È davvero molto bella..." commentò Andrew.

"Vieni, proseguiamo" gli disse lei, guidandolo attraverso l'elegante deambulatorio, verso la cappella gotica del transetto e poi a vedere il coro. Salirono anche alla cappella alta del narcete, per cogliere la visione d'insieme dall'alto, e nel frattempo Nicole gli raccontava della vocazione, fin da quando era bambina, di Lady Jane Elizabeth, divenuta a 17 anni Suor Maria Elisabetta e vissuta nel convento fino alla sua morte.

"È il motivo per cui l'eredità dello Chateau di Cluny è passata a me" gli disse, mentre stavano uscendo dal Monastero della Visitazione, dopo aver visto la teca che contiene le spoglie mortali di Suor Margherita Maria Alacoque, la giovane religiosa del Monastero a cui, dal 1673 al 1675, apparve Gesù.

"Cosa intendi?" domandò Andrew, mentre riprendevano l'auto per trovare un luogo tranquillo, magari un po’ fuori dal centro, lungo le sponde del Bourbince, l'affluente dell'Arroux che attraversa la città, per gustare il pranzo al sacco che si erano portati dietro.

"Che sarebbe spettata ai discendenti di Lady Jane Elizabeth, se ne avesse avuti".

"Ma non c'erano due figli maschi, cui spettava per legge di ereditare?"

"Certo, ma il Duca fu un precursore dei tempi anche in materia di eredità: il Duca era di origine francese per parte di padre, dal quale aveva ereditato il titolo di Conte e le proprietà francesi; tuttavia un prozio per parte di madre, che non aveva avuto eredi, lo aveva designato come suo successore al titolo di Duca, pertanto si era trovato ad avere lui stesso due titoli nobiliari, per di più in due stati diversi".

"Accidenti... come dire? Chi troppo, chi niente!" osservò Andrew.

"È quello che pensava lui stesso, per questo decise che i due titoli non sarebbero andati ad un solo figlio, se ne avesse avuti più d'uno. Quindi, visto che al primogenito sarebbe spettato già il titolo di Duca e i possedimenti inglesi legati al titolo, ereditati dallo zio inglese, decise che al secondogenito, Nicholas Joseph, gemello di Jane Elizabeth, sarebbe spettato il titolo di Conte e l'eredità ad esso legata, ossia il castello e le proprietà francesi, ereditate dal padre".

"Invece?" domandò Andrew, incuriosito dalla faccenda.

"Per volontà della Regina Vittoria, anche il titolo di Lord Montagu, fratello della Duchessa, disperso durante la guerra di Crimea e dichiarato morto alcuni anni dopo, passò dapprima al Duca stesso e poi ai loro eredi, come riconoscimento per servizi svolti. Pare che i miei antenati, da soli e successivamente insieme, abbiano svolto ruoli diplomatici alle corti europee, per ordine della Regina Vittoria, e in qualche modo abbiano avuto a che fare anche con la corte asburgica... il tutto comunque resta un po’ un mistero".

"Magari proprio quel mistero celato nel diario scomparso" ipotizzò Andrew, pensieroso.

"Forse. Ad ogni modo il nuovo titolo e i relativi possedimenti andavano ad aggiungersi ai due titoli ed eredità già posseduti. A quel punto il Duca prese la decisione che il titolo di Conte e i possedimenti francesi sarebbero stati ereditati sempre e solo per linea femminile, facendo così di Lady Alexandra Nicole, l'unica femmina che avrebbe potuto ereditare - Jane Elizabeth aveva già intrapreso la strada della vocazione religiosa-  la prima Contessa del ramo della famiglia che avrebbe trasmesso titolo e possedimenti per diritto di nascita alle figlie femmine".

"E se non ne avesse avute?"

"Finora il problema pare non esservi mai stato; ad ogni modo il Duca, lungimirante qual era, aveva previsto anche questo: in caso di soli figli maschi il titolo sarebbe passato al secondogenito, ma con l'obbligo che tornasse alla linea femminile alla nascita della prima bambina".

"Quindi tu sei anche Contessa?"

"Dalla morte di mia madre io posseggo esclusivamente il titolo di Contessa... potrò essere chiamata Lady Sinclair, il mio reale cognome, perché sorella del Duca di Kesington, solo fino al mio matrimonio, poiché il titolo di duca è superiore a quello di conte; dopodiché manterrò il titolo di maggior grado rispetto all'eventuale titolo di mio marito... se mai ne avrò uno e se mai egli ne avrà uno. Una faccenda un po’ complicata" disse sorridendo.

"Quindi, se mai dovessi sposarmi, rimarresti solo con il titolo di Contessa?" ammiccò lui, divertito.

"Se dovesse accadere questa improbabile eventualità sì, rimarrei col titolo che ho in questo momento" rispose lei, con lo stesso tono scanzonato.

"Ma se non ti sposi e non hai figlie femmine, il tuo titolo e la tua eredità che fine faranno?" domandò di nuovo lui.

"Innanzi tutto non sono costretta a sposarmi, per avere una figlia. Nella linea di successione al titolo di Contessa è previsto solo il riconoscimento di un erede femmina; non specifica -forse di proposito- se legittima o illegittima".

"Wow, davvero un precursore dei tempi, il tuo antenato!"

"Già... e comunque, se non dovessi avere figli, ci sarebbe la figlia di mio fratello. Potrei designare lei come mia erede" disse Nicole, con un tono che ad Andrew sembrò quasi triste.

"Non mi sembra che la scelta di tua nipote ti piaccia granché".

"No, infatti. Però potrei sempre lasciar tutto ad un ospizio per gatti!" concluse divertita, volendo porre fine ad un argomento che preferiva non affrontare.

Andrew intuì il suo desiderio di cambiare discorso e quindi l’assecondò; tuttavia non riuscì ad impedirsi di pensare:

"Oppure trovarti un amante che ti regali, oltre a notti di passione, anche una bella bambina con i capelli neri e gli occhi del colore del cielo."

 

 

 

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Capitolo 22
*** Sogno o realtà? ***





Capitolo XXII

Sogno o realtà?



Avevano diviso il contenuto del cestino preparato da Madeleine; quindi, soddisfatto dal cibo, Andrew si era steso sulla coperta, le braccia incrociate sotto la nuca, il viso rivolto al sole e l'aria più rilassata del mondo. Dopo qualche minuto Nicole l'aveva imitato, ma essere così vicini la rendeva irrequieta; incapace di resistere alla tentazione si era voltata su un fianco, sollevando la testa e appoggiandosi sul braccio ripiegato sotto di sé. In quella posizione poteva osservargli il profilo e la curva sensuale delle labbra. Ad ogni minuto che passava il desiderio di baciarlo si faceva più intenso.

"Mi domando quando ti deciderai".

Era così assorta a contemplarlo che la sua voce, quasi un sussurro, come se stesse parlando più con se stesso che con lei, la sorprese. Era convinta che si fosse appisolato, poiché era da quasi un quarto d'ora che aveva gli occhi chiusi.

"Cosa dovrei decidermi a fare?"

"Quello che desideri fare da almeno dieci minuti".

"E sarebbe?" domandò con falsa indifferenza.

"Baciarmi" disse lui, sempre ad occhi chiusi e immobile nella stessa posizione.

"Baciarti?" domandò sorpresa. Poi, però, aggiunse, divertita dalla sua perspicacia, ma decisa a non ammetterlo:

"Cosa ti fa credere che desideri baciarti?"

"Non hai smesso di guardarmi le labbra... e di tormentare le tue".

"Come fai a dirlo? Stavi dormendo".

Vide la sua bocca distendersi in un pigro sorriso, a smentire la sua convinzione; poi, sempre col volto rivolto al sole e gli occhi chiusi, lui proseguì:

"È tutta mattina che mi fissi le labbra e ogni volta che lo fai, tocchi le tue: talvolta le sfiori con le dita, in alcuni casi le inumidisci con la lingua oppure le tormenti coi denti..."

"Non è vero!", protestò lei, arrossendo nel constatare come lui l'avesse osservata con attenzione.

"Oh sì che è vero, lo hai fatto anche poco fa... a volte lo fai anche quando lavoriamo. È di certo un movimento inconscio, ma lo fai, eccome", insistette lui divertito dal suo imbarazzo.

"Ok, ammettiamo che sia vero. E questo ti fa immaginare che voglia baciarti?"

"Mhmm..."

"Non hai pensato neppure per un attimo... chessò?... che fossi concentrata ad ammirare il tuo profilo, ad esempio? Sono una fotografa, lo hai dimenticato? E ti ho già detto che hai un bel volto e come fotografa sono sempre propensa ad osservare il Bello".

"Mhmm... sarà..." disse lui.

"Sembri poco convinto".

"Infatti: se ammiri soltanto, perché ti tocchi le labbra?".

"È un gesto inconscio, lo hai detto tu" cercò di argomentare lei. Ma il silenzio scettico con cui Andrew rispose, accompagnato dal lieve incresparsi delle sue labbra che le procurò un fremito più che eloquente, la convinse ad ammettere, almeno come ipotesi, la verità.

"Bene, poniamo il caso che, come sostieni tu, io desideri baciarti: potrebbe essere un bel pensiero, un pensiero che mi piace coltivare come un sogno, senza alcuna reale intenzione di farlo avverare".

"Se lo dici tu... Ma perché mai dovresti fare un simile pensiero e non desiderare che si avveri?"

"In genere i sogni sono sempre meglio della realtà" disse lei, quasi a se stessa.

"Non lo saprai mai, se non provi”.  

"Cosa?" chiese Nicole. Si era distratta un attimo dal loro assurdo discorso, persa dietro a ricordi dolorosi che avrebbe preferito dimenticare.

"Se non ti deciderai a baciarmi, non saprai mai se è meglio il tuo sogno o la realtà".

"Potrei non volerlo mai sapere. Perché quindi decidermi a farlo?"

"Perché se non lo fai tu lo faccio io. Ma in questo caso deciderò io quando smettere e fin dove arrivare" disse lui, serafico, sempre immobile nella sua posizione rilassata ad occhi chiusi.

Le sue parole la colsero di sorpresa: lui desiderava baciarla. Lo sapeva da tempo, ma sentirglielo ammettere era eccitante.

"Con questo vorresti dire, invece, che se fossi io a farlo..."

"... farei scegliere a te quando smettere  e fin dove arrivare" concluse lui al suo posto.

"Non voglio arrivare da nessuna parte" disse lei, decisa a stabilire solidi paletti.

"Chi può dirlo? Un bacio apre sempre diverse strade" replicò lui con un sorriso, sempre ad occhi chiusi.

"Non per me".

"Sembri molto sicura di te stessa".

"Lo sono. Non mi credi, vero?"

"Non hai che da dimostrarmelo".

"Non devo dimostrare proprio niente a nessuno, soprattutto a te", disse seccata. Quel discorso cominciava ad innervosirla, per di più fatto con un uomo che neppure si degnava di aprire gli occhi e guardarla in faccia.

"Ma potresti mettermi a tacere..." disse lui, allusivo.

"Questa sì che è un'ottima argomentazione!"

Comprendendo d'aver quasi vinto la battaglia, Andrew sferrò il colpo finale:

"Se mi baci tu e sei così sicura di te stessa, non hai nulla da temere e in più mi faresti stare zit...".

Non poté terminare, poiché lei si era sollevata sul gomito e aveva posato le labbra sulle sue.

Il suo tocco fu morbido, dolcissimo, ma fin troppo rapido. Era evidente che lo stava baciando solo perché provocata.

Quando la pressione della sua bocca terminò e lei si scostò quel tanto che bastava per ripristinare le distanze, Andrew mantenne gli occhi chiusi e la posizione immobile che aveva mantenuto fino a quel momento, e domandò con aria di sfida:

"Tutto qui? Ovvio che sei così sicura di te stessa! E lo chiami bacio, questo? Non sai fare di meglio?"

Poiché continuava restare ad occhi chiusi, a fingere un'indifferenza che non provava, più che vedere Andrew percepì d'essere riuscito nell'intento che si era prefisso con le sue parole quando la sentì muoversi su di sé: Nicole gli era salita sopra, imprigionandolo a terra, con le braccia tese ai lati della sua testa e il bacino che gli sfiorava l'inguine, eccitandolo all'inverosimile.

A quel punto aprì gli occhi: intravide il suo seno attraverso la scollatura dell'abito e la sua espressione determinata nell'attimo stesso in cui lei si abbassava su di lui per baciarlo. Chiuse di nuovo gli occhi, in attesa del contatto con la sua bocca.

Nicole, tuttavia, non lo baciò subito; gli sfiorò appena le labbra con la lingua, facendogli desiderare ben più del bacio con cui l'aveva sfidata.

Bloccato nella sua posizione, con le braccia ancora incrociate sotto la nuca, Andrew dovette reprimere l'impulso di stringerla a sé e toccarla come avrebbe desiderato; fece un'unica cosa: socchiuse le labbra, concedendole il completo controllo della situazione.

Nicole ne approfittò subito e gli invase la bocca, baciandolo con passione e lui perse il senso del tempo e dello spazio. Riuscì solo a percepire l'eccitazione del proprio corpo, mentre lei si allungava sopra di lui, il seno morbido premuto contro il suo torace. Tuttavia, pochi attimi dopo essersi abbandonata alla passione, fece per ritrarsi, allentando la pressione sulle sue labbra.

"Continua... Non smettere, non ancora..." sussurrò lui, percependo il suo intento di porre fine a quel momento magico.

Per una frazione di secondo lei rimase immobile, indecisa sul da farsi.

"Baciami ancora... " implorò lui, mentre sollevava la testa e le catturava di nuovo le labbra.

Nel sollevare il capo aveva liberato le braccia, tenute fino a quel momento sotto di sé; Nicole si sentì stringere con forza e al tempo stesso con infinita tenerezza, mentre le sue mani le accarezzavano i capelli, le braccia, la schiena, sfiorando le rotondità del seno... Si sentì travolgere dalla sua passione e fu colta dal panico: non stava andando come si era prefissa poco prima; lui stava prendendo il sopravvento, sul suo corpo e sulle sue emozioni.

"Avevi promesso..." mormorò, non appena lui lasciò la sua bocca per permetterle di riprendere fiato.

"Cosa?" chiese, mentre le baciava la pelle delicata della gola.

"Che avrei deciso io... quando smettere..." disse lei, il respiro reso affannato dal desiderio  "e fin dove arrivare..."

"Non ricordo..." sussurrò lui, sfiorandole il lobo dell'orecchio.

"Bugiardo..."

"Vuoi smettere?" chiese, dopo essersi sollevato e aver invertito la loro posizione, facendola aderire con la schiena alla coperta e al terreno sottostante, per avere libero accesso al suo corpo. Scostò con la mano la scollatura dell'abito e iniziò a baciarle la pelle appena denudata.

"Sì..." disse lei, ma non era sicura se stava rispondendo alla domanda o lo incitava a proseguire.

"Chi è la bugiarda, ora?" la canzonò lui, guardandola negli occhi, mentre con una mano continuava ad accarezzarla. Lei ricambiò lo sguardo.

"Non voglio fare sesso con te" gli disse, senza convinzione.

"Neanch'io..." replicò lui. Ma aggiunse: "Con te voglio fare l'amore, Nicole".

La baciò, ancora e ancora, un bacio profondo e intimo, a conferma di ciò che aveva appena detto.

Lei si sentì perduta e pronta capitolare, a permettergli qualunque cosa lui avesse voluto, nonostante la paura di lasciarsi coinvolgere dai sentimenti. Immaginò di fare l'amore con lui proprio lì, su quel prato. Immaginò le sue mani che la spogliavano, che la toccavano, proprio come stavano facendo in quel momento, e molto di più. Immaginò le sue labbra ovunque su di sé, in un crescendo di passione che l'avrebbe portata ad aprirsi per lui. E se da un lato questa sua arrendevolezza la spaventava, dall'altro la intrigava e la spingeva a volere di più. Ricambiò i suoi baci con l'istinto di una donna pronta a fare l'amore; Andrew comprese l'attimo esatto in cui avrebbe potuto averla quando, sollevandole l'abito e accarezzandole una gamba, lei allargò di riflesso le cosce per farsi toccare.

Erano giorni che aspettava un segnale simile; lunghe ed intere giornate a desiderare che lei gli permettesse di avvicinarsi fisicamente, ma soprattutto emotivamente. In quel momento aveva avuto la certezza di poter avere il suo corpo, ma non gli bastava.

Con fatica interruppe il bacio e sollevò la testa:

 "Voglio fare l'amore con te... ma non qui, e non adesso... anche se la tentazione è forte". Così dicendo si alzò e le porse la mano per aiutarla a rimettersi in piedi.

Turbata dal repentino cambiamento, e da quel bacio che l'aveva sconvolta sin nel profondo, lo osservò mentre iniziava a ritirare i resti del loro pic-nic. Come faceva ad avere quel ferreo autocontrollo? Lei si sentiva ancora le gambe molli e il respiro affannato. Ed era ancora pronta a rotolarsi nell'erba con lui.

"Allora? Era meglio il tuo sogno o la realtà?".

Lo guardò, convinta di scorgergli negli occhi l'ombra di un sorriso malizioso e pronta a ribattere a tono, ma nel suo sguardo colse solo l'intensità del suo desiderio e una dolcezza infinita. Le fu impossibile mentire, come invece aveva pensato di fare.

"La realtà. Assolutamente".

 

 

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Capitolo 23
*** Gelosia ***





Capitolo XXIII

Gelosia



"Non posso credere ad una tale freddezza tra loro" disse Nicole, con l'espressione delusa.

Andrew sorrise: voleva fare la dura, quella che non credeva all'amore, ma era evidente che quella scorza se l'era costruita dopo la delusione ricevuta. Ed era più scalfibile di quanto avesse temuto.

"A volte capita, anche alle coppie migliori" rispose con comprensione.

"Lo so ed è un altro motivo per cui ho poca fiducia nell'amore e credo ancora meno al matrimonio" rispose lei.

"Diciamo che è ciò che ti costringi a pensare. " obiettò lui, quasi parlando a se stesso.

Ma lei lo aveva sentito.

"Cosa intendi dire?"

"Che è normale e comprensibile che la pensi così dopo ciò che ti è accaduto".

"Ma non credi che io la pensi davvero così, giusto?"

"Esatto"

"E ti sbagli. È vero, sono giunta a certe conclusioni dopo la mia esperienza negativa; tuttavia ora credo davvero in ciò che penso".

"Non ho dubbi, a riguardo..."

"Ma? È evidente che c'è un ma".

"Non saresti tanto triste per due persone vissute nel secolo scorso se non credessi, nel profondo del tuo cuore, ancora all'amore, al matrimonio, e non sperassi ancora".

Nicole non rispose. Non poteva: in fondo, quell'uomo che aveva incontrato da poco, l'aveva capita meglio di quanto lei stessa a volte si comprendeva. E aveva maledettamente ragione. Lei credeva nell'amore, voleva ancora crederci. Inoltre, da quando lo aveva conosciuto, sarebbe stata disonesta nell'affermare il contrario, anche se si ostinava a farlo, per tentare di convincere lui, oltre che se stessa, e non abbandonarsi ai sentimenti che aveva iniziato a provare per Andrew. Sentimenti che la spaventavano troppo.

"Ci ho azzeccato?" domandò lui, con un lieve sorriso ironico, ma non beffardo, negli occhi.

Lei si ostinò a non  rispondere.

"D'accordo, non vuoi ammetterlo, te lo concedo. Ma il tuo silenzio è più che eloquente".

"Riprendiamo?" domandò lei, per sviare il discorso. Tuttavia era stanca e soprattutto con le membra intorpidite: erano ore che leggevano il diario del suo antenato per poi arrivare a scoprire che, dopo la nascita dei due gemelli, il duca e la duchessa si erano allontanati. Una delusione. Si stava innamorando di quei due innamorati, della loro storia d'amore e scoprire ciò che avevano appena letto le aveva procurato un grande dispiacere. Avrebbe preferito non leggere più nulla, per timore di scoprire di peggio.

"Sei troppo stanca per continuare" disse Andrew. Quindi si alzò, si mise alle sue spalle ed iniziò a massaggiargliele con movimenti  lenti ma energici.

"Cosa stai facendo?" mormorò lei, sorpresa e quasi impaurita da quel contatto.

"Rilassati..." rispose lui, senza smettere di toccarla.

Facile a dirsi. Le era impossibile rilassarsi sotto il tocco delle sue mani, un tocco che desiderava e al tempo stesso temeva.

Erano soliti lavorare nello splendido studio del suo antenato: aveva capito subito il fascino che quella stanza esercitava su Andrew e aveva acconsentito senza problemi quando lui aveva suggerito di leggere in quel luogo i diari restanti. Si sedevano affiancati all'antica scrivania, con l'ampia vetrata alle loro spalle, e leggevano per ore, lasciandosi catturare dai racconti del duca. Talvolta lei prendeva appunti, ma il più delle volte restava ad ascoltare la voce calda di Andrew che la trasportava in un mondo al di là del tempo e dello spazio.

"Chiudi gli occhi e lasciati andare..." la tentò di nuovo lui, con la sua voce suadente. Nel frattempo le sue mani non smettevano di toccarla ed erano risalite a sfiorarle le tempie, per poi immergersi nei suoi capelli, a massaggiarle con dolcezza la nuca. Era meraviglioso.

Avrebbe desiderato moltissimo lasciarsi andare e godere del contatto con le sue mani, un contatto che le procurava ogni volta dei brividi di piacere, anche quando lui si limitava a sfiorarla senza intenzione; invece si costrinse a restare rigida e a resistere alla dolcezza di quelle sensazioni perché ricordava ancora la violenta ondata di gelosia quando, quel mattino, aveva sorpreso Andrew in piscina con Monique.

Come faceva ormai da alcuni giorni, appena sveglia si era affacciata alla finestra ad osservare le evoluzioni acquatiche di Andrew, mentre sorbiva la tazza di té che Madeleine le faceva trovare sempre pronta al suo risveglio; lo aveva osservato per una buona mezz'ora, prima di decidersi a raggiungerlo in acqua e stare a vedere quello che sarebbe accaduto. Dal bacio che si erano scambiati in quel prato non faceva altro che pensare alle sue labbra... forse era ora di lasciarsi andare un po’ e cominciare a godersi i veri piaceri della vita.

Si era infilata un costume, aveva recuperato l'accappatoio e poi aveva sceso di corsa le scale, felice come una bambina in procinto di immergersi in un nuovo gioco. L'euforia si era spenta non appena, uscita in giardino, si era trovata di fronte ad una scena che le aveva gelato il sangue nelle vene: Andrew era fuori dalla piscina, col suo fisico favoloso che sgocciolava sulle piastrelle circostanti; accanto a lui, intenta a strofinargli un asciugamano tra i capelli, c'era Monique, l'amica antiquaria alla quale aveva affidato il restauro di tutti i mobili d'epoca dello Chateau. L'atteggiamento della donna era molto intimo e dava ad intendere che l'uomo che stava toccando era una sua proprietà. Andrew non sembrava infastidito, né imbarazzato; quando lei aveva smesso di asciugargli i capelli si era limitato a sorriderle e a tendere la mano per farsi dare il telo col quale si era avvolto il corpo. Poi, con la sua solita calma, l'aveva invitata ad accomodarsi ad una delle poltrone sotto all'ombrellone. Monique aveva obbedito docile, ma solo finché lui non fu seduto a quella di fronte; dopodiché si era alzata rapida e lo aveva sorpreso sedendogli in grembo. Solo a quel punto Nicole aveva notato l'aria infastidita di Andrew; ciononostante aveva permesso alla donna di restargli in grembo e per un attimo l'aveva lasciata fare quando lei aveva iniziato a baciargli il collo e a stringerglisi addosso in maniera voluttuosa.

Era evidente che tra i due vi fosse stato (o vi fosse ancora) un elevato grado d'intimità. Nicole si era detta che era più che possibile che i due si fossero conosciuti e quindi frequentati mentre lei non c'era; eppure dirselo non aveva attenuato la morsa di gelosia che aveva provato. Era irrazionale, se ne rendeva conto, ma non poteva farci nulla: scoprire che Andrew e Monique erano stati amanti era un qualcosa che la sconvolgeva oltre ogni dire. Riusciva ad immaginarsi la sua focosa amica godersi senza problemi con quell'uomo tutto ciò che lei stessa aveva cominciato a desiderare e questo fatto la faceva sentire insicura e sconfitta. Un'altra volta.

Aveva lasciato i due a parlare sotto l'ombrellone: l'unica cosa che l'aveva fatta stare un poco meglio era aver osservato che Andrew, con estrema nonchalanche, aveva allontanato da sé Monique e le stava parlando tenendole una mano, mentre sul volto della donna era apparsa un'espressione tutt'altro che soddisfatta.

Era rientrata in casa e per tutta la mattina non si era fatta vedere. A pranzo si era fatta servire un vassoio in camera e solo a metà pomeriggio, dopo che Madeleine le aveva fatto sapere che monsieur le professeur l'aveva cercata, alla fine lo aveva raggiunto nello studio.

Andrew l'aveva scrutata con insistenza dopo che Pierre l'aveva seguita al suo ingresso per consegnarle una busta che la moglie si era scordata di portarle col vassoio del pranzo.

"L'ha lasciata questa mattina madamoiselle Lacroix. Era venuta apposta".

“Ah, sì?” aveva domandato  lei, sarcastica. Poi, dopo aver dato un’occhiata alla missiva, aveva aggiunto:

"Pierre, chiama l'ufficio del sindaco e avverti che farò avere la mia risposta entro domani sera".

"Pensate di partecipare, quest'anno? Potreste farvi accompagnare..." aveva detto l'uomo, rivolgendo uno sguardo verso Andrew.

"Non credo sia il caso" aveva risposto lei, infastidita alla sola idea che i suoi domestici stessero fantasticando su un rapporto tra lei e il bel professore. E poi alla festa ci sarebbe stata anche madamoiselle Lacroix la quale di certo non aveva perso tempo e, proprio quella mattina, con ogni probabilità aveva invitato il suo amante americano. Sentirsi rifiutare perché impegnato ad accompagnare Monique non era un qualcosa che avrebbe voluto sentire dalla sua voce. E neppure aveva voglia di vederlo per tutta sera avvinghiato a lei o, peggio ancora, vederlo sparire con lei.

"Di cosa si tratta?" aveva domandato Andrew quando erano rimasti soli.

"Monique non te lo ha detto, questa mattina?" aveva ribattuto acida lei, eludendo la domanda e immergendosi nella lettura, costringendolo a fare altrettanto. Sperava di trarre conforto dai diari, invece aveva scoperto che anche i suoi antenati avevano sofferto per amore e venirlo a sapere l'aveva resa ancora più depressa.

"Allora, hai intenzione di dirmi dove, secondo Pierre, dovrei accompagnarti?" domandò all'improvviso Andrew, mentre le massaggiava le spalle.

Lei si irrigidì, se possibile ancora di più.

"Rilassati..." le ordinò lui all'orecchio.

Brividi. Erano brividi quelli che percepiva sulla pelle ogni volta che lui la sfiorava: come poteva rilassarsi?

"Mi hai visto con Monique, questa mattina, vero?".

Lei non rispose, ma lui percepì la risposta dalla tensione alle spalle. Sorrise, perché quella notizia era per lui un ottimo segno.

"Mi ha chiesto di accompagnarla alla Festa d'Estate quando ha scoperto che non ero ancora partito come invece le avevo fatto intendere l'ultima volta che ci eravamo visti, prima che partisse per un impegno di lavoro".

"Sei stato a letto con lei, vero?" si decise a domandargli. Si rese conto di non essere stata capace di trattenere un tono rassegnato e al tempo stesso deluso.

"Sì", rispose lui, cogliendo subito la sfumatura triste nella sua voce. Sempre standole alle spalle, con una mano le accarezzò con tenerezza un guancia.

Lei si scostò infastidita: la pietà era l'ultima cosa che desiderava da lui. Ma Andrew non aveva alcuna intenzione di perdere quel prezioso contatto fisico, guadagnato a fatica. Le strinse con fermezza le spalle, abbassandosi a sussurrarle all'orecchio:

"È stato solo sesso, con Monique, e per me l'entusiasmo è scemato rapidamente, nonostante sia stato bello".

Nicole si rese conto che lui non le doveva alcuna spiegazione, ciononostante gliela stava fornendo in maniera molto sincera. La tensione si allentò.

"Come mai?" domandò esitante lei. La sua risposta l'avrebbe messa in crisi in ogni caso e non era sicura di volerlo sapere. Al tempo stesso, tuttavia, non avrebbe potuto resistere senza conoscerla.

Lui esitò un attimo, prima di rispondere, ma quando si decise le sue parole le tolsero il fiato:

"Mi sono accorto che, mentre ero a letto con lei, desideravo te".

Lo aveva detto anche a Monique proprio quella mattina, per farle capire che non voleva accompagnarla alla festa. Monique sembrava averla presa sportivamente, almeno era ciò che aveva voluto fargli credere e lui l'aveva assecondata, perché non desiderava umiliarla né farla soffrire più di quanto non avesse già fatto.

Nicole non disse nulla; allora lui la fece voltare in modo da poterla guardare negli occhi. Si piegò sulle ginocchia, per esserle più vicino e le accarezzò di nuovo la guancia; lei assecondò il suo gesto, piegando il capo verso la sua mano e regalandogli la speranza di poterla un giorno amare.

"Permettimi di accompagnarti alla festa. Di cosa si tratta?".

"È una festa in abiti ottocenteschi; riportata in auge anni fa per i turisti, si svolge come l'aveva voluta il Duca per celebrare l'inizio dell'estate, quando era solito giungere dall'Inghilterra per i mesi estivi con tutta la famiglia: cibo e danze a volontà, per la gioia di grandi e piccini".

"Più conosco il tuo antenato, più mi piace" le disse con un sorriso, immaginandosi di stringerla tra le braccia e di farla volteggiare in un ampio abito da ballo in seta frusciante... sarebbe stata splendida, coi capelli acconciati come usavano le dame nel XIX secolo.

Le sue fantasie furono interrotte dalla voce triste di Nicole che gli diceva:

"Continua a piacerti anche dopo ciò che abbiamo appena letto?"

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Capitolo 24
*** La fine di un idillio ***



Capitolo XXIV



La fine di un idillio




La duchessa di Lyndham sollevò un sopracciglio con evidente noia:

"Davvero, lord Hunghuston?"

"Suvvia, Lady Montagu, siete consapevole che questo abito vi sta benissimo e che vi rende, come sempre, la dama più bella presente al ballo".

"Lady Thornton, milord. Sono sposata da cinque anni, ormai dovreste saperlo" puntualizzò lei.

"Ahimè, faccio il possibile per dimenticarmene..." replicò lui, con aria addolorata.

Lady Sarah si disse che non era il solo. Osservò al lato opposto della sala il marito, come sempre attorniato da nobildonne pronte a cadere ai suoi piedi, e si chiese con quale si sarebbe appartato quella sera.

"E comunque non sembra che Lord Thornton se ne ricordi" aggiunse l'uomo ironico, seguendo la direzione del suo sguardo e dei suoi stessi pensieri.

Infastidita dall'osservazione di Lord Hunghuston, Lady Sarah si allontanò dal gruppetto di cicisbei che puntualmente, ad ogni evento mondano, l'attorniavano come uno sciame di api di fronte ad uno splendido fiore. Nonostante fosse madre di tre figli riusciva sempre ad essere la donna più affascinante di qualunque ricevimento.

Stava per raggiungere il marito quando lo vide porgere il braccio alla vedova di lord Cavendish, la quale non perse tempo e gli si strusciò contro come una gatta in calore. André sorrise alla donna e lei sentì il cuore andare in mille pezzi.

Si fermò, imbarazzata, senza più sapere dove andare. Fu soccorsa dal conte di Linley, che la invitò a danzare.

Mentre volteggiava tra le braccia di Thomas Clyde, non poté evitare di osservare Eleanor Cavendish fare altrettanto tra le braccia di suo marito: sorrideva felice e civettava con lui come se non avesse mai portato il lutto fino a poche settimane prima. Lo sguardo di André era galante ma impassibile, tuttavia questo non significava nulla, perché lei sapeva quanto fosse bravo a recitare.

"Quella donna non è nessuno per Nicholas, lo sapete" disse il suo cavaliere notando la direzione del suo sguardo.

"Siete gentile, Tommy, come sempre" rispose lei, trattenendo a stento le lacrime.

Thomas Clyde, ottavo conte di Linley, era l'amico di André che anni prima gli aveva portato la notizia della condanna di Hewitt proprio il giorno delle loro nozze.

Alto e con un fisico prestante quasi quanto quello del Duca, quando i due erano assieme sembravano essere i due lati opposti della medesima medaglia: entrambi con un volto dai bei lineamenti maschi, tanto André era scuro di capelli e con gli occhi chiari, altrettanto Thomas era biondo e con gli occhi nocciola e questo era, con ogni probabilità, il motivo per cui, in un ambiente dove gli uomini in genere erano di carnagione e colori chiari, fosse il Duca a spiccare per avvenenza.

L'altro tratto che li distingueva era il carattere: intenso e aperto quello di André, introverso e all'apparenza banale quello di Thomas; ciononostante Sarah era convinta che il Conte fosse molto meno superficiale di quanto la maschera annoiata che spesso indossava inducesse a credere, altrimenti non si spiegava come potesse essere l'amico più intimo di André.

Da anni era diventato anche amico suo e da tempo, ormai, svolgeva il ruolo di ancora di salvezza ogni volta che, in pubblico ma non solo, stava per cedere a causa del comportamento del marito.

"Siete bellissima, come sempre" la blandì lui, per distrarla.

André, quando ancora  tra loro esisteva la speciale complicità di innamorati che molte nobildonne le invidiavano, le aveva detto sorridendo che era convinto che l'amico, come ogni altro uomo che la conosceva, era invaghito di lei. E a vedere come in quell’ultimo periodo Tommy fosse protettivo nei suoi confronti, molti avrebbero potuto dargli ragione. Lei, invece, era certa che Thomas Clyde provasse solo pietà e cercasse di supplire alle mancanze dell'amico. Era sempre molto leale nei confronti di Nick, come lo chiamava fin dai tempi di Oxford.

"Questo abito è splendido su di voi…" continuò il conte, per farla sentire meglio. Quando lei sorrise mesta, aggiunse: "Proprio come Nick aveva detto quando l'ha scelto per donarvelo".

"Non l'ha scelto di persona. Ormai sono mesi e mesi che è la sua segretaria ad acquistare i regali che mi invia per tacitare la sua coscienza" replicò lei, addolorata.

"Ero con lui, quando lo ha comprato. Quello, come per moltissimi altri doni che vi ha inviato. Pare essere ormai una consuetudine che io sia presente quando fa i suoi acquisti per voi".

"Eppure il biglietto che lo accompagnava era sempre scritto da miss Stanford" disse lei, perplessa di fronte a quella scoperta.

"Lo so..." sospirò Thomas nell'ammetterlo, "gli ho anche domandato il motivo di questa decisione, ma lui non ha risposto".

"Perché mi state dicendo tutto questo, Tommy?"

"Forse perché vorrei che capiste che l'attuale comportamento di Nick deve nascondere qualcosa...".

"Attuale?" lo fermò irritata lei. "Sono mesi e mesi che mio marito mi ignora in privato e che in pubblico addirittura mi offende, corteggiando altre donne".

"A me sembra, più che altro, che sia lui a lasciarsi corteggiare" disse lord Clyde, tentando di difendere l'amico.

"La sostanza non cambia, e comunque io conoscevo e mi sono innamorata di un uomo ben diverso. Un uomo appassionato, che per tre anni e mezzo è stato anche un marito premuroso e che mi amava. Ora è un estraneo cortese, più interessato alle altre donne che a sua moglie".

"Nicholas vi ama ancora, ne sono certo" disse convinto lord Clyde.

"Voi dite? Io invece sono convinta che, se non fosse per i bambini, si sarebbe da tempo trasferito nella residenza di suo zio ad Hyde Park, dove so che a volte trascorre la notte... di certo con le donne con le quali se ne va dai ricevimenti".

"Vi sbagliate, Sarah. Nicholas vi ama ancora" ribadì lui, mentre la musica terminava.

"Non credo proprio..." disse lei, facendogli un cenno verso il marito che, proprio in quel momento, stava abbandonando la pista da ballo con Eleanor Cavendish al braccio e dirigendosi verso l'uscita.

"Non è neppure passato dai padroni di casa", sospirò lei amareggiata "così mi toccherà l'ennesima figura della moglie abbandonata quando li andrò a salutare".

"Sarà sufficiente che diciate che Nicholas è andato avanti a prendere la carrozza per voi".

"E siete convinto che qualcuno ancora creda a questa storiella?" domandò lei, senza attendere risposta e dirigendosi rassegnata a porgere i saluti del Duca e della Duhessa di Lyndham ai suoi ospiti.

 

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Capitolo 25
*** Un nuovo legame ***



Capitolo XXV



Un nuovo legame




"Accompagnatemi a casa, Nicholas" disse Eleanor Cavendish, con fare languido. Un invito più che esplicito.

"Certo, Lady Cavendish" rispose il Duca di Lyndham, con il suo solito modo garbato e compito che lo caratterizzava, aprendole lo sportello della carrozza e salendo accanto a lei. Avrebbe chiamato una vettura pubblica per tornare in Hyde Park.

"Eleanor" lo corresse la donna, "chiamatemi Eleanor. Almeno quando siamo in privato" aggiunse maliziosa.

"Eleanor" ripeté lui, per poi sprofondare in un silenzio annoiato, interrotto solo da qualche rapido cenno d'assenso finalizzato a far credere alla donna d'essere interessato ai suoi discorsi. Invece era dai successivi due minuti dopo che gli si era appiccicata addosso al ricevimento che non reggeva più le sue chiacchiere. Le aveva dato corda solo perché aveva scorto lo sguardo di sua moglie e quindi la vedova di Lord Cavendish era diventata all'improvviso la sua avventura galante di quella notte. Avrebbe potuto attendere che qualche altra nobildonna, persino sposata, gli si facesse avanti, ma la giovane vedova gli era parsa la persona giusta per quella sera.

Dopo circa una mezz'ora la carrozza si fermò davanti alla residenza di Cavendish e il Duca tirò un inconscio sospiro di sollievo: ancora i minuti necessari (pochi, si augurava) per riuscire a congedarsi con garbo dalla dama e poi sarebbe potuto tornare a casa a riposare.

Accompagnò Lady Eleanor all'ingresso, le prese la mano e gliela baciò, insistendo un secondo più del dovuto con le labbra sul dorso. Lei gemette, fingendosi turbata. Allora lui le accarezzò una guancia con le nocche della mano e lei parve quasi svenire al suo tocco. Sorrise dentro di sé, sentendosi al tempo stesso un gentiluomo e un mascalzone: stava diventando davvero bravo a sedurre per finta una donna e senza farsi malvolere!

"Buonanotte, milady" disse per congedarsi. Era tuttavia preparato alle sue rimostranze.

"Ma come? Ve ne andate di già? Credevo voleste entrare...".

"Vi dissi che vi avrei accompagnata a casa, ed è ciò che ho fatto, Eleanor".

"Sì, ma... non vi andrebbe di entrare? Per un ultimo bicchiere della staffa".

"E poi?" domandò lui.

"Potreste fermarvi per la notte" lo invitò, con un timido sussurro.

"Milady, sono un uomo sposato e non tradisco mia moglie" puntualizzò, togliendole ogni illusione.

"Ma... In società si mormora diversamente" disse lei, oltremodo imbarazzata.

"Non posso controllare le voci che circolano, ma questo è quanto. Non ho mai tradito mia moglie e non intendo iniziare questa notte, neppure con voi".

Lady Eleanor colse l'abile sottinteso con cui le aveva appena fatto credere che resistere alla tentazione che lei gli offriva gli era difficile, perché sospirò con sguardo languido e dispiaciuto, come se la decisione dell'uomo lo rendesse ancora più nobile e desiderabile ai suoi occhi, anziché il bastardo senza scrupoli che lui si sentiva ogni volta che ripeteva una scena simile. Tuttavia lei non era così malleabile come aveva sperato.

"Eppure per tutta la serata non avete disdegnato le mie attenzioni e avete ignorato vostra moglie, la quale peraltro sembrava essere in ottima compagnia" aggiunse con una nota cattiva nella voce.

"Eleanor... la meschinità non vi si addice" la rimproverò lui, e lei ebbe il buongusto di arrossire.

In fondo poteva capirla: una donna respinta non è mai priva di un briciolo di cattiveria. Era forse proprio quello il motivo per cui tutte le donne che aveva per breve tempo illuso e poi respinto, non facevano altro che fare il suo gioco: pur di non far sapere in giro d'esser state rifiutate al momento del dunque, alimentavano le chiacchiere su di lui, arrivando persino a lodare in pubblico le sue doti amatorie, che non avevano (né avrebbero) mai sperimentato.

"Ciò che accade tra me e mia moglie non deve riguardare voi, né nessun altro" puntualizzò lui

Lady Eleanor abbassò lo sguardo, intuendo che sarebbe stato inutile insistere: per qualche motivo che non avrebbe mai saputo, l'affascinante Duca di Lyndham preferiva lasciar credere a tutti di essere un impenitente donnaiolo infedele alla moglie, quando invece lei era ormai certa che egli amasse molto la sua splendida consorte, anche se sembrava deciso a fare in modo che lei stessa non lo sapesse.

"Avete ragione, Lord Thornton" ammise sottomessa. Tuttavia non poté fare a meno di aggiungere:

"Non avrei dovuto propormi a voi con tanta sfacciataggine, ma la solitudine mi spaventa. Inoltre mi è sembrato quasi un sogno che si avverava che voi mi accordaste le vostre attenzioni e così mi sono spinta oltre le convenzioni, pur sapendo di non poter suscitare in un uomo come voi un interesse che potesse andare oltre la mera galanteria. Avrei dovuto capire che siete innamorato della vostra bellissima moglie, anche se mi risulta incomprensibile come mai abbiate deciso di renderla tanto infelice. Ma questi, come dite giustamente voi, non sono affari che mi riguardano, pertanto vi ringrazio d'avermi accompagnata" e gli porse di nuovo la mano, questa volta col chiaro intento di congedarsi.

A quelle parole il Duca si sentì più mascalzone di quanto già non si sentisse: le altre donne avevano fatto qualche rimostranza, ma nessuna di loro aveva intuito ciò che celava il suo comportamento.

Lady Eleanor, invece, che egli solo pochi minuti prima aveva considerato noiosa, aveva colto al volo la situazione e gliel'aveva sbattuta in faccia con poche ed eleganti parole. Era probabile che i suoi discorsi, che aveva trovato così poco interessanti, fossero più arguti e intelligenti di quelli di altre nobildonne, se solo si fosse preso il disturbo di ascoltarli.

"Eleanor" disse fermandola, mentre già stava per voltarsi verso il portone d'ingresso "non dovete biasimarvi. Chi è da biasimare, questa sera, è il sottoscritto. E non vi permetto di pensare di essere una donna priva di fascino: siete molto bella e molto intelligente, e presto, molto presto, troverete un uomo che vi presterà tutta l'attenzione che meritate, ne sono certo".

"Siete molto gentile, Nicholas" lo ringraziò lei, con un dolce sorriso negli occhi e posandogli la mano sul braccio, in un gesto innocente di evidente empatia. Egli sentì che, nel breve lasso di tempo di quella conversazione, tra loro si era creato un legame che avrebbe potuto quasi definire amicizia.

"Siete voi ad essere cara per aver perdonato con tanta rapidità il mio comportamento, che vi ha illusa" disse lui, provando un imbarazzo e una vergogna che fino ad allora non aveva mai sperimentato.

"Sono abbastanza intelligente da rendermi conto che è inutile cercare di suscitare amore in qualcuno che ha il cuore impegnato con un'altra donna. Non mi spiego solo il motivo del vostro comportamento, se siete ancora innamorato di vostra moglie. Ma avrete le vostre buone ragioni...".

"Avete intuito di me molto più di chiunque" ammise lui.

"Forse perché, oltre ad interessarmi come uomo, mi piacete anche come persona e sarei felice di potervi considerare almeno mio amico" disse schietta lei.

Il Duca osservò quella bella e giovane donna sotto una nuova luce e si disse che mai avrebbe immaginato che quella serata potesse concludersi con la simpatia di una donna che all’inizio aveva usato per i propri fini.

"Lady Eleanor, so di non meritarlo, ma sarei davvero onorato di avere la vostra amicizia".

"Bene, Lord Nicholas, allora sappiate che se un giorno desidererete richiedere un mio consiglio, un aiuto, oppure vorrete parlare di qualcosa che vi sta a cuore per avere un punto di vista femminile, saprete dove trovarmi".

"Vi ringrazio molto, lo terrò presente" rispose lui, di nuovo piacevolmente sorpreso per la delicatezza con cui lo stava congedando e al tempo stesso suggerendogli di poterla usare come confidente, senza tuttavia imporsi in maniera eccessiva.

Dopo mesi e mesi di solitudine interiore, quella sera Nicholas Thornton ebbe la sensazione che la sua vita fosse giunta ad una svolta.

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Capitolo 26
*** Riflessioni ***



Capitolo XXVI



Riflessioni




Thomas Clyde sollevò di nuovo la tendina al rumore degli zoccoli e guardò per la quinta volta attraverso il finestrino chiuso della sua carrozza. Per evitare di essere riconosciuto aveva detto al suo cocchiere di mettersi in una posizione un po’ discosta dalla residenza di Hyde Park e Stuart gli aveva chiesto se fosse andato bene dove aveva fermato la vettura la sera precedente.

Quando gli aveva risposto che sì, lì sarebbe stato perfetto, Stuart non aveva domandato altro, ma egli aveva colto uno sguardo perplesso sul volto del suo cocchiere: di certo si stava chiedendo come mai, da alcune settimane, si appostava presso la residenza londinese dell'amico, senza raggiungerlo quando egli arrivava, anzi stando ben attento a non farsi scorgere dal Duca.

Aveva iniziato a sorvegliare Nick da quando lo aveva sorpreso a scegliere di persona i regali che miss Stanford inviava a Sarah: nonostante a lei avesse dato da intendere, proprio quella sera, che il marito lo voleva accanto a sé nei suoi acquisti, la verità era un'altra, ma egli aveva ormai deciso, dopo settimane di attenta osservazione del comportamento di Nick, che i suoi amici avevano bisogno di una mano per tornare ad essere la coppia di un tempo. E così aveva mentito, ma si sentiva bugiardo fino ad un certo punto. Del resto erano mesi che osservava l'amico fare acquisti, che all'inizio aveva pensato essere destinati alle donne con le quali spariva dai ricevimenti; soltanto per caso aveva scoperto che ognuno di quei regali era destinato alla moglie: era stata Sarah a farglielo notare mentre, furibonda per aver ricevuto l'ennesimo regalo dal consorte inviatole tramite la sua segretaria, aveva tirato fuori ad uno ad uno i doni ed egli aveva riconosciuto tra di essi almeno quattro degli acquisti che aveva immaginato destinati ad altre donne.

A quel punto aveva iniziato a riflettere sul motivo che spingeva l'amico a comportarsi a quel modo e a chiedersi se scegliesse di persona ogni dono per la moglie. Così aveva domandato con noncuranza a miss Stanford, la quale aveva confermato la sua intuizione e, tra una chiacchiera e l'altra, gli aveva sciorinato l'elenco dei negozi che Sua Grazia visitava almeno una volta al mese. Aveva fatto alcune domande discrete, lasciato un po’ di mance qua e là ed aveva saputo tutto quanto: Nicholas non aveva mai acquistato doni per altre donne, ma soltanto per sua moglie, che tuttavia non recapitava di persona, ma tramite miss Stanford, la quale doveva anche aggiungere un freddo e formale biglietto a suo nome.

Fatta questa scoperta decise di togliersi un altro dubbio: per quasi quattro anni aveva visto con i propri occhi l'amore e la passione che legavano Nick a sua moglie. Con i propri occhi avrebbe visto le prove dell'effettivo comportamento da libertino del Duca di Lyndham: non si sarebbe limitato a credere alle voci che circolavano, senza verificarlo di persona. Così aveva iniziato con gli appostamenti serali presso la residenza di Hyde Park ogni volta che lo vedeva sparire dai ricevimenti accompagnato da una donna che non fosse la moglie. E a riprova della sua intuizione, Nicholas tornava a casa sempre in un tempo troppo breve perché si potesse pensare ad un qualcosa in più di una semplice galanteria nell'accompagnare la dama in questione. Il tempo in cui stava via difficilmente gli avrebbe permesso degli incontri appassionati, se si teneva conto anche dei tragitti in carrozza.

Perché il suo amico si comportasse così da circa un anno questo il Conte di Linley proprio non se lo riusciva a spiegare. Così come non riusciva a spiegarsi come fossero circolate voci sulle doti amatorie di Nicholas, esplicita conferma per chi mormorava sulle sue continue fughe dai ricevimenti in dolce e adultera compagnia, nonostante egli con ogni probabilità non ne avesse impalmata neppure una.

Mentre attendeva che una vettura con l'amico giungesse dalla residenza del defunto lord Cavendish, Thomas cercò di mettere insieme i pezzi di un puzzle e, man mano che lo componeva, cominciava a sembrargli sempre più chiaro: il comportamento di Nicholas era cambiato dopo la nascita dei gemelli. Sarah aveva sofferto moltissimo in quell'occasione, a differenza di quanto era successo col primogenito: durante il parto aveva rischiato la vita e solo la lungimiranza del marito, che aveva preteso che fosse assistita da uno dei più rinomati medici specializzati in parti, nonché precursore delle nuove tecniche di assistenza ai neonati, aveva salvato la vita alla madre e ai due piccoli. Dopo la nascita di Nicholas Joseph e di Jane Elizabeth, Sarah aveva trascorso diversi mesi in una forma di malinconia, fisica e mentale, che le toglieva le forze e la rendeva incapace di occuparsi a lungo dei bambini. Il medico sosteneva che avesse bisogno di molto riposo, di un clima migliore di quello inglese e di cibo in abbondanza. Così Nicholas l'aveva condotta in Francia, allo Chateau dei d'Harmòn ed in seguito in Cote d'Azur, sulla riviera mediterranea, dove aveva affittato una residenza per la convalescenza della moglie. Assistita da Lynnette, la sua cameriera personale, e da un piccolo esercito di servitori che Lord Thornton aveva accuratamente selezionato di persona e assunto per l'occasione, Lady Thornton poco alla volta si era ripresa, confermando in pieno le teorie del dottor Russell che sostenevano che lo stato psicologico in cui versava la futura Duchessa fosse dovuto solo alla sofferenza fisica di un parto oltremodo miracoloso. Assieme alla madre, anche i piccoli si erano ripresi contro le speranze di tutti i medici -escluso il dottor Russell- che li avevano visitati e dopo circa un anno dalla nascita erano due bimbi vivaci e in salute.

Nei sei mesi in cui la moglie era rimasta in Francia, Nicholas le era rimasto accanto quanto aveva potuto; tuttavia gli affari e in seguito la morte del prozio, di cui era l'erede designato, lo avevano costretto a diversi periodi di lontananza. Sarah lo aveva accompagnato in Inghilterra per i funerali dell'anziano Duca, al quale era molto affezionata, ma ad una visita del dottor Russell le sue condizioni, benché migliorate, richiedevano ancora riposo assoluto e un clima più favorevole di quello inglese. Così era tornata in Francia, lasciando Nicholas in Inghilterra ad assumersi le responsabilità che il nuovo ruolo ormai gli imponeva.

In quei mesi Tommy lo aveva visto cambiare: lavorava senza sosta per dirigere l'impero economico che lo zio aveva incrementato nel corso dei decenni, ma egli sapeva che ciò non era affatto necessario poiché l'anziano duca si era avvalso di un eccellente amministratore che ora affiancava Nicholas rendendogli il compito più semplice. Tommy era convinto che l'accanimento con cui l'amico si dedicava agli affari fosse dovuto alla necessità di riempire il vuoto per la mancanza della moglie e dei suoi adorati figli: non aveva mai visto, infatti, un uomo più felice di essere e fare il padre e soprattutto il marito, del Duca di Lyndham. Per questo motivo non riusciva a spiegarsi il comportamento dell'amico da quando moglie e figli erano tornati a casa. Era arrivato il momento di scoprirlo.

 

 

***

 

 

Lady Eleanor non gli aveva permesso di chiamare una vettura pubblica e aveva ordinato al suo cocchiere di accompagnare Lord Thornton ovunque egli avesse desiderato.

"Gli amici servono anche a questo" aveva risposto con fermezza quando aveva cercato di rifiutare. Lo aveva baciato con dolcezza su una guancia, stringendogli al contempo la mano con la quale lui aveva tentato di prendere la sua per il consueto baciamano, un gesto con cui avrebbe tentato di rinnovare il proprio pentimento nei confronti di quella giovane donna che lo aveva così sorpreso. Lei pareva aver intuito la sua necessità di scusarsi di nuovo e, sorprendendolo ancora una volta, glielo aveva impedito.

Il gesto affettuoso di Lady Eleanor lo aveva turbato, sia fisicamente, sia emotivamente. Era da troppo tempo, ormai, che non amava più una donna e quel gesto tenero e intimo gli aveva fatto ricordare, molto più delle effusioni a cui lo sottoponevano tutte le sue  presunte conquiste femminili, che era ancora un uomo nel pieno del suo vigore. Eleanor lo aveva colto in un momento di totale vulnerabilità e lo aveva spiazzato, tant'è che non era stato in grado di resistere e aveva piegato il volto per incontrare le sue labbra. Con una lieve esitazione, il bacio fraterno di Lady Cavendish era diventato qualcosa di più intenso quando le loro bocche si erano incontrate... egli l'aveva stretta a sé, accogliendo nel suo abbraccio quel delicato corpo femminile e baciandola con passione. Se lei non lo avesse fermato poco dopo, la serata si sarebbe conclusa diversamente: quella notte avrebbe tradito i propri principi, tradendo per la prima volta sua moglie.

Si passò una mano con insofferenza tra i riccioli scuri che in quel momento erano più ribelli del solito: cos'era cambiato in lui con quella giovane donna? Possibile che fosse bastato che lei lo capisse, per fargli desiderare d'averla nel proprio letto? Eppure doveva essere stato proprio quel senso di intimità che lei gli aveva fatto provare a farglielo desiderare, perché durante tutto il ricevimento non aveva mai provato un tale interesse, nonostante la trovasse bella.

Da troppo tempo si costringeva a stare lontano da sua moglie e la faccenda stava diventando troppo complicata, si disse non appena scorse la figura di Thomas Clyde scendere dalla carrozza posteggiata poco distante l'ingresso della sua residenza di Hyde Park.

Scese a sua volta dalla vettura di Lady Cavendish e, dopo aver ringraziato il cocchiere, si rassegnò a sorbirsi la ramanzina dell'amico alla quale, ne era certo, Tommy l'avrebbe a breve sottoposto.

 

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Capitolo 27
*** Un progetto in comune ***



Capitolo XXVII



Un progetto in comune




Dopo una notte agitata e piena di riflessioni, Eleanor Cavendish aveva preso una decisione e l'avrebbe messa in atto. Aveva inviato un biglietto al conte di Linley, che sapeva essere l'amico più intimo di Nicholas, ed ora attendeva con impazienza il suo arrivo.

Nel frattempo i suoi pensieri continuavano a tornare al bacio della notte precedente: non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse stata in grado di dominarsi mentre era tra le sue braccia; era più saggia e più forte di quanto avesse mai pensato, perché se avesse seguito l'istinto e il desiderio che quel bacio le avevano risvegliato, non lo avrebbe mai lasciato andare. Per poi pentirsene amaramente.

Di certo avrebbe vissuto una notte indimenticabile, la migliore di tutta la sua vita, ma si sarebbe trattato soltanto di passione fisica, senza neppure un barlume di speranza perché potesse trasformarsi un giorno in qualcos'altro. Era sicura di questo, e se non le fossero bastate le parole di Nicholas, proprio il bacio glielo aveva confermato. Un bacio carico di passione a lungo repressa, ma privo di un reale desiderio per lei. Tuttavia era proprio quella passione fisica a stento trattenuta a farle temere per Nicholas... Se egli avesse proseguito con l'assurdo e a lei inspiegabile piano di fingersi un impenitente libertino, presto o tardi quel gioco gli si sarebbe ritorto contro e i suoi saldi principi di non tradire mai la moglie sarebbero svaniti tra le braccia di qualche dama meno nobile e leale di lei. Nessuna donna, difatti, sarebbe stata in grado di resistere a quella esplosione di desiderio così a lungo soffocato... nessuna, almeno, che non gli fosse diventata amica, seppur nel breve spazio di una conversazione.

L'arrivo di Thomas Clyde interruppe le sue riflessioni. Eleanor lo accolse nel salottino ed osservò l'aria perplessa e stupita dell'uomo. Probabile che si stesse chiedendo il motivo di quella convocazione.

"Lady Cavendish" disse, profondendosi in un'impeccabile, benché piuttosto rigido, inchino, quando lei gli tese la mano.

"Eleanor. Mi chiami Eleanor, conte di Linley" lo corresse lei con dolcezza.

Lui la osservò ancora più perplesso:

"Come desiderate, milady. Ma solo se voi mi chiamerete Thomas" concesse a sua volta, nonostante la diffidenza che lei percepiva ancora nel suo tono.

Lady Cavendish fece un cenno d'assenso col capo, prima di invitarlo ad accomodarsi ed iniziare a spiegargli il motivo della sua chiamata.

Gli raccontò tutto quanto era successo la sera prima tra lei e il Duca di Lyndham, senza tralasciare nulla. Lo vide accigliarsi quando gli disse che aveva invitato l'amico a trascorrere la notte con lei, e subito dopo increspare le labbra nell'accenno di un sorriso al racconto del rifiuto di Nicholas e delle parole che erano seguite.

Poi Thomas era apparso sorpreso quando lei aveva accennato all'amicizia nata tra Lady Cavendish e il Duca, improvvisa ma sincera. Infine, benché turbato dal bacio che Nicholas le aveva dato e al quale lei aveva risposto, era sembrato comunque sincero quando le aveva detto di riconoscere la sua lealtà nel rifiutare un uomo in evidente profonda crisi e l'aveva ringraziata d'essere stata così sincera con lui.

"Posso immaginare quanto vi sia costato raccontarmi tutto questo, Eleanor. Sappiate che lo apprezzo molto. Tuttavia ritengo che non lo abbiate fatto per ricevere i miei complimenti".

"Avete ragione, Thomas. Vi ho chiamato perché sono preoccupata per Nicholas, come immagino siate anche voi. Anzi, credo che voi siate preoccupato anche per Lady Thornton. O sbaglio?"

"Non sbagliate: Nicholas e Sarah sono i miei migliori amici e provo grande affetto per entrambi, e per i loro tre bambini. Vorrei che tornassero ad essere felici".

"Siete sicuro di volere proprio questo?"

"Cosa intendete?"

"Circolano voci anche su di voi, Thomas, non solo su Nicholas. In società si mormora, tra le altre cose, che siete voi la causa dei problemi matrimoniali del Duca e della Duchessa di Lyndham".

"Sono a conoscenza di quelle voci, ma vi assicuro che non sono io l'origine dei loro problemi".

"Ma siete innamorato di Lady Sarah?"

"Siete davvero diretta, Eleanor..." rispose il conte con un sospiro. Lady Eleanor temette questa risposta e le sue eventuali implicazioni, ma lui si affrettò a chiarire la sua posizione.

"Sarah Jane Montagu, lady Thornton e duchessa di Lyndham, è una splendida e affascinante nobildonna, una madre dolcissima e una donna molto sensuale... Credo che ogni uomo sia stato, o sia sempre, un po’ innamorato di lei. Non è possibile vederla senza esserne attratti, non è possibile conoscerla e non amarla".

Lady Eleanor rimase turbata da quelle parole così cariche di sentimento: quale donna non avrebbe voluto sentirsi definire a quel modo, e con tale enfasi, da un affascinante gentiluomo, per di più ancora libero? Eleanor Cavendish doveva difatti riconoscere almeno con se stessa che anche l'amico del Duca di Lyndham era un uomo che poteva suscitare forti passioni in una donna. Il mistero era capire per quale motivo ancora nessuna era riuscita ad accalappiarlo. Ciò che le aveva appena detto di Lady Sarah poteva svelare quel mistero.

"Anche voi?" domandò di nuovo.

"Sì, anch'io... " rispose lui, con disarmante onestà; ma poi aggiunse: "L'amo allo stesso modo in cui si può amare un'opera d'arte che sappiamo non potremo mai possedere: con venerazione e rispetto".

"Tuttavia se lei un giorno dovesse ricambiare il vostro affetto?"

"Non sapete nulla, vero, della vita di Lady Sarah Jane Montagu? Perché se conosceste il suo passato, capireste le mie parole: Sarah prova molto affetto per l'amico di suo marito... Ma è soltanto il marito l'unico uomo che sia mai riuscito a far breccia nel suo cuore. E sarà sempre così, nonostante lui stia facendo il possibile per farsi odiare, come tutti gli altri uomini della sua vita."

"Voi sapete perché?"

"Forse sto iniziando a farmi un'idea... le cose tra loro sono cambiate dopo il rientro definitivo di Sarah e dei bambini dal lungo periodo di convalescenza all'estero seguito al difficile parto dei gemelli. Da quel momento Nick è cambiato: all'inizio ho pensato anch'io che avesse delle amanti, anche se mi sembrava impossibile, vista l'adorazione che ha sempre avuto per la moglie. Ma ora sono certo del contrario".

"Cosa vi da questa certezza?"

"Ho seguito Nicholas per mesi. Non è mai andato a letto con nessuna delle donne delle quali si mormora in società. Neppure con voi ieri sera. Questa certezza è l'unico motivo per cui sono qui, in questo momento".

"Avete pedinato Sua Grazia il Duca di Lyndham? chiese Lady Eleanor con un sorriso.

"Difficile da immaginare, vero? Un semplice conte che segue un duca..." rispose lui, con gli occhi nocciola illuminati dal divertimento.

Lei lo osservò con attenzione, cogliendo in quello sguardo scanzonato molto di più di quell'uomo di quanto egli stesso volesse dare ad intendere: lealtà, determinazione, intelligenza, coraggio e persino un intrepido spirito d'avventura. Nulla da invidiare all'amico, se non per il fatto che, a differenza del Duca le cui doti trasparivano non appena lo si conosceva, quelle del Conte restavano nascoste dietro  una facciata di fuorviante banalità.

"Voi non siete affatto semplice, caro Conte... non siete affatto un uomo semplice".

Thomas Clyde sorrise compiaciuto: Eleanor non lo sapeva, ma il suo invito, oltre a sorprenderlo, lo aveva anche intrigato. Dalla prima volta che l'aveva vista ad un ricevimento, accompagnata dall'anziano consorte, si era invaghito di lei. Sul momento era convinto che l'anziano gentiluomo che l'accompagnava fosse il padre; aveva appreso invece che era il marito proprio un attimo prima di rendersi ridicolo e confessarle la propria ammirazione. A quel tempo aveva pensato rassegnato che le uniche due volte in cui aveva provato forti emozioni per una donna, emozioni che avrebbe desiderato approfondire, si trattava di donne già sposate. E lui non era il tipo di portar via una donna al suo legittimo consorte, neppure se questi fosse stato, come nel caso di Lord Cavendish, più un padre che un amante.

Max Cavendish, amico del padre di Eleanor, aveva fatto da tutore alla ragazzina rimasta orfana a soli quattordici anni, portandola a vivere con sé e la sorella. Nonostante la disgrazia che l'aveva colpita, Eleanor era arrivata all'età di fare il suo ingresso in società circondata dall'affetto dei due fratelli, più anziani di lei di oltre trent’anni. Lady Sophia, sorella di Lord Cavendish e più vecchia del fratello di dieci anni, era morta all'improvviso proprio poco prima del debutto di Eleanor, che con tanta eccitazione aveva pianificato assieme alla giovane. La fanciulla, addolorata per la perdita di una donna che in quegli anni aveva imparato ad amare come un'altra madre, non aveva più voluto essere presentata in società, rinchiudendosi in un ostinato esilio nella tenuta di campagna dei Cavendish. Lord Max, a sua volta addolorato per la perdita della sorella, con la quale aveva sempre convissuto poiché egli, anche durante i pochi anni del suo matrimonio e a maggior ragione dopo la prematura scomparsa della moglie, aveva accolto in casa propria Lady Sophia che non si era mai sposata, non aveva mai forzato Eleanor a debuttare neppure dopo il periodo previsto per il lutto. L'idea di restare solo lo spaventava, pertanto era ben felice che la giovane gli restasse accanto: era difatti certo che se fosse stata presentata in società, avrebbe ricevuto almeno una proposta di matrimonio prima che la stagione si fosse conclusa. Era una giovane donna troppo bella per non suscitare l'ardore in un gentiluomo.

Tuttavia l'essere rimasto solo a vivere con lei senza la sorella a farle da chaperon avrebbe potuto suscitare pettegolezzi e rovinare pertanto la reputazione di entrambi. La decisione di sposarla egli stesso era nata principalmente da quel motivo, anche se l'idea di poter avere ancora almeno un figlio a cui lasciare titolo e proprietà aveva cominciato ad affacciarsi alla sua mente quando si era reso conto, nonostante la differenza di età, di essere ancora un uomo vigoroso e di provare, oltre all'affetto quasi paterno, anche un desiderio più carnale per la sua pupilla.

Eleanor, troppo acerba nei sentimenti da confondere gratitudine e affetto per amore, aveva acconsentito alla proposta di Max, che adorava come un eroe e dal quale non voleva allontanarsi. Purtroppo per le speranze del conte, egli era morto all’improvviso come la sorella solo tre anni dopo il matrimonio, senza riuscire a procreare l'erede desiderato.

Osservando la sua ospite, Thomas pensò che quell'incontro avrebbe potuto essere l'inizio delle sue speranze. Il periodo di lutto era ormai trascorso e il suo invito a parlare dei problemi di Nicholas stava a significare che era preoccupata per il comune amico. Forse dividere con lei le proprie intuizioni gli avrebbe permesso di avere la sua opinione in merito e magari anche un consiglio sul da farsi e chissà che il condividere il progetto di aiutare il Duca non li avrebbe resi più intimi. Decise quindi di dare una mano al proprio destino e si risolse a metterla a conoscenza dei suoi sospetti.

"Che ne pensate?" domandò infine, dopo averle rivelato che era convinto che Nicholas si stesse comportando a quel modo per cercare di allontanare da sé la moglie onde evitare di metterla ancora incinta e farle correre altri rischi. Si rendeva conto che affrontare un argomento simile con una giovane donna poteva sembrare alquanto sconveniente, ma Thomas aveva avuto modo di apprezzare il buonsenso e la capacità di giudizio di Lady Cavendish e quel breve incontro lo stava convincendo che con lei avrebbe potuto parlare di tutto senza scandalizzarla.

"Se, come dite, il Duca di Lyndham è così innamorato della moglie, vederla soffrire a quel modo, il rischio di perdere lei e i gemelli durante il parto... tutto ciò può di certo aver turbato un uomo di nobili sentimenti come Nicholas. Rinunciare a lei pur amandola e desiderandola tanto, è un grande atto d'amore nei suoi confronti..."

Thomas si congratulò con se stesso per aver valutato bene Lady Eleanor fin dalla prima volta che l'aveva veduta quando, ad un ricevimento, l'aveva sentita parlare in maniera molto sensata e pertinente di un argomento, l'istruzione delle classi meno abbienti, che le nobildonne in genere intavolavano per mettersi in mostra, blaterandone in proposito senza alcuna cognizione.

Nel frattempo lei proseguì col suo ragionamento:

"Tuttavia è anche vero che, pur per una nobile causa, il suo comportamento sta procurando infelicità sia a se stesso, sia alla donna amata che tanto desidera proteggere dalle sofferenze... Ditemi, Thomas, ne avete già parlato con Nicholas?" chiese infine.

Un lieve sorriso increspò le labbra del conte di fronte alla perspicacia e alla schiettezza della giovane donna.

"Ieri sera, quando l'ho affrontato al suo ritorno da casa vostra".

"E...?"

"E Nicholas, pur non ammettendolo direttamente, con le sue parole ha confermato i miei sospetti".

"E?" domandò di nuovo Lady Eleanor, pur intuendo già la risposta dall'esitazione del conte a proseguire.

"E ha ribadito, cocciuto qual è, che il suo comportamento è l'unico modo per riuscire a starle lontano ma al tempo stesso continuare a prendersi cura di lei e dei bambini".

"Ma si rende conto di farla soffrire e di rovinare così l'amore che li lega?"

"In merito all'amore sì, ne è dolorosamente consapevole; tuttavia non credo abbia idea fino a che punto Sarah sia infelice e addolorata per il suo comportamento".

"Pensa che alla moglie non importi che il marito, che fino a poco tempo fa l'amava alla follia, ora se la spassi con altre donne? Come può illudersi di una cosa simile?"

"Per il passato di Sarah, credo. Ritiene che lei, osservandone il comportamento dissoluto, lo abbia aggiunto alla lista degli uomini della sua vita che le fecero del male e che quindi, considerandolo un mascalzone, abbia smesso di amarlo e pertanto di soffrire".

"Ah, voi uomini..." sospirò Lady Eleanor sconsolata.

Thomas sorrise a quell'espressione di implicita commiserazione per i cervelli maschili alle prese coi sentimenti: in fondo non poteva proprio darle torto!

"Ho sentito qualcosa in merito al passato di Lady Thornton, al suicidio del padre dopo la truffa perpetrata dall'uomo che avrebbe dovuto sposare... Ho sentito anche di come lei e Nicholas siano riusciti, dopo anni, a spedire in carcere il responsabile e rientrare in possesso dei beni della sua famiglia. Ciononostante penso che Nicholas sia uno stupido a sottovalutare l'amore di sua moglie e la sofferenza che il suo comportamento le sta procurando. Non conosco Lady Sarah, ma nessuna donna innamorata sarebbe capace di accantonare un sentimento tanto profondo senza soffrire e senza domandarsi il perché"

"Concordo con voi su tutto, soprattutto perché io ho assistito più volte a questa sofferenza. L'ho detto a Nicholas, ma lui non ci crede. O forse preferisce non credere".

"Ebbene, Thomas, allora tocca a noi intervenire".

"Noi?" domandò perplesso e incuriosito il conte. Quel pronome che li accumunava in un'unica identità gli garbava assai.

"Certo!" rispose convinta Lady Eleanor "chi, meglio dei suoi due migliori amici, potrebbe aiutarlo? E non obiettate, per favore, che io gli sono amica da meno di ventiquattrore: credetemi quando vi dico che la mia rinuncia di ieri sera vale almeno cinque anni della vostra amicizia!" aggiunse sorridendo maliziosa.

Sorpreso da quell'affermazione, egli fece un sorriso stiracchiato, incapace di capire se lei stesse scherzando o facesse sul serio in merito ai sentimenti che ancora nutriva per l'amico: del resto solo poco prima gli aveva confessato di averlo invitato nel proprio letto.

Eleanor osservò il conte e percepì la sua esitazione. Le piaceva quell'uomo, all'apparenza così banale ma decisamente sorprendente quando lo si conosceva meglio. Non avrebbe dovuto stupirsi tanto: il miglior amico di Nicholas non poteva che essere un uomo a suo modo altrettanto fuori dal comune; in caso contrario non sarebbe mai nato tra loro un legame tanto profondo di stima e affetto. Gli si avvicinò e gli posò con dolcezza una mano sull'avambraccio:

"Non temete, Thomas, i miei sentimenti per Nicholas sono come i vostri per Lady Sarah. Sono giovane e, nonostante provi tutt'ora grande affetto per il mio defunto marito, mi resi presto conto che con lui non avrei mai provato la passione e l'amore che dovrebbero legare un uomo e una donna... ciononostante sarei rimasta fedele a Max, se egli non fosse morto. Tuttavia ora sono vedova e ancora giovane e desidererei provare, almeno una volta nella vita, certe emozioni. Il Duca di Lyndham è un uomo troppo affascinante per non suscitare certi desideri in una donna, ne converrete anche voi. Quando gli feci quella proposta, però ancora non ero a conoscenza di certe cose... altrimenti, credetemi, non l'avrei mai invitato nel mio letto. Non fraintendetemi: desidero ancora, forse anche più di prima, vivere un amore appassionato, ma so che se ciò mai dovesse accadere, non sarà con Nicholas. Con lui ora le cose sono cambiate, anche se il piano che mi è appena venuto in mente per aiutarlo potrebbe farvi pensare il contrario".

"Perché? Cosa ha pensato la vostra graziosa testolina?" domandò lui, più audace del solito. Le parole di Eleanor gli davano una speranza che non aveva intenzione di sprecare.

"Perché lo sedurrò e lo convincerò a trascorrere una notte di passione tra le mie braccia".

 

 

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Capitolo 28
*** Preparativi ***





Capitolo XXVIII

Preparativi



Terminò di allacciarsi il cravattino, si osservò compiaciuto allo specchio e sorrise. Doveva essere sincero con se stesso e riconoscere che sua madre aveva ragione: avrebbe potuto benissimo fare il modello. L'abito da sera di metà ottocento, sistemato da Madeleine in quel poco che la sua corporatura differiva da quella del legittimo proprietario, gli donava un aspetto da nobile d'altri tempi. Nei giorni precedenti aveva accettato il consiglio di Pierre e si era lasciato crescere la barba per poi farsi rasare da lui in modo tale da averne, per quell'occasione, appena un accenno ben curato come si usava allora; mentre i suoi capelli, mossi e più lunghi rispetto al taglio militare che era abituato a vedere fin da piccolo, erano già perfetti per intonarsi all'abbigliamento. Era stato sufficiente del gel per fissarli e renderli più lucidi, come se fossero stati impomatati con della brillantina. Il risultato finale era eccellente e lui sembrava essere appena uscito da un libro di storia.

Doveva ricordarsi di chiedere a Nicole di fargli una foto da inviare a sua madre.

Quella mattina, prima della ormai consueta nuotata in piscina, l'aveva sentita al telefono; il discorso era scivolato presto sull'evento al quale avrebbe partecipato quella sera e lei, divertita ed eccitata, gli aveva fatto promettere di farsi immortalare in versione ottocentesca. Proseguendo la chiacchierata, tuttavia, il ballo era passato in secondo piano quando, tra una domanda di sua madre e una sua risposta, dopo circa un'ora al cellulare aveva forse capito il senso dei suoi continui incontri con Nicole e il legame che aveva fin da subito sentito con il Duca.

Nicole avrebbe detto che voleva a tutti i costi trovare una scusa per giustificare la sua convinzione che era stato il Destino a guidarli l'uno verso l'altra, ma lui, dopo quanto aveva appena appreso, ne era ormai certo.

La sua convinzione, che agli inizi aveva pensato essere solo un prodotto della sua fervida fantasia, si stava dimostrando sempre più come un filo che, attraverso il tempo, si dipanava piano piano, per legare assieme in maniera indissolubile un uomo e una donna in ben tre epoche diverse e, allo stesso tempo, incatenare ogni coppia all'altra in un ideale cerchio che, se ci aveva visto giusto, si sarebbe chiuso con lui e Nicole.

Conclusa la telefonata si era precipitato da Pierre, per farsi accompagnare a vedere le tombe sulle quali aveva letto i due nomi che gli avevano confermato di aver preso la decisione giusta quando aveva acconsentito all'idea di sua madre.

Ora doveva solo attendere e, nel frattempo, godersi la serata e la visione della donna di cui si era innamorato in abito da ballo di metà ottocento.

 

 

***

 

Scese con cautela le scale per evitare di inciampare nell'abito: non era affatto semplice indossare una toilette della seconda metà del diciannovesimo secolo. Nonostante fosse avvezza a sfoggiare abiti da sera dall'età di sedici anni, crinolina, busto e mutandoni non rientravano, per fortuna, tra gli accessori del suo guardaroba e in quel momento ne era più che felice.

Quando Madeleine glieli aveva porti, li aveva osservati da un lato affascinata, ma al tempo stesso intimorita: come sarebbe entrata in quella corazza e soprattutto come sarebbe riuscita a respirare per tutta la sera? Era una fortuna che, sebbene fosse di alcuni centimetri più alta della sua antenata, la quale già vantava una statura fuori dal comune per una donna dell'ottocento, avesse gli stessi centimetri in meno al petto, altrimenti avrebbe dovuto rinunciare ad utilizzare il busto, e di conseguenza l'abito da ballo rosso fuoco che Madeleine aveva scelto per lei tra i vestiti  della sua antenata ritrovati ancora ben conservati dopo oltre un secolo. Invece, con estrema soddisfazione di Madeleine, l'abito le stava a pennello: per recuperare qualche centimetro in statura aveva calzato scarpe senza tacco, mentre la circonferenza del suo torace le permetteva quantomeno di respirare senza che l'ampia scollatura dell'abito facesse sfigurare il suo decolté, evidenziato dal busto che le sollevava i seni in maniera perfetta. Niente da invidiare ai più moderni reggiseni push-up!

L'alternativa sarebbe stata ricorrere, come tutti gli invitati all'evento, ad una toilette affittata per l'occasione in un negozio di costumi teatrali. Ma quando aveva annunciato ai suoi domestici la decisione di partecipare alla festa assieme ad Andrew, Madeleine se n'era uscita con quell'assurda idea che avrebbero dovuto indossare abiti originali d'epoca, avendoli trovati nel guardaroba della Duchessa.

Un’entrata alla grande a bordo dell'antica carrozza con tanto di stemma ducale, ancora conservata nelle scuderie e tirata a lucido sotto la supervisione di Pierre, secondo Madeleine sarebbe stata il tocco finale degno dell'ultima discendente della nobile casata.

Non era neppure a metà scala quando vide Andrew che l'attendeva all'ingresso; non l'aveva ancora vista poiché, sebbene si trovasse  di fronte  lei, aveva il viso voltato verso Pierre che gli stava dando informazioni storiche in merito al veicolo che li avrebbe condotti alla festa.

Nicole sorrise, constatando come quell'uomo riuscisse ad interessarsi alla storia anche nei momenti più impensati e si disse che era una passione che avevano in comune.

Si fermò e lo osservò per qualche secondo, rendendosi conto che le mancava il fiato, ma in quel momento non era per colpa del busto che le stringeva  la vita.

Sentì alle spalle la voce divertita di Madeleine che le sussurrava maliziosa all'orecchio:

"Non valeva la pena soffrire un po’ per vedere uno spettacolo simile?" e non poté che essere d'accordo con lei.

Avrebbe dato  qualunque cosa per poterlo fotografare in quel momento: se anche il Duca faceva quell'effetto con indosso l'abito da sera, che, per inciso, sembrava fatto su misura anche per Andrew (o erano state le abili mani di Madeleine a compiere il miracolo?), poteva capire come la sua antenata si fosse innamorata di lui. E per l'ennesima volta da quando aveva scoperto i diari, si rammaricò di non poter leggere quello andato perduto nel quale, ne era certa, c'era l'inizio di quella storia d'amore.

Quando Andrew si accorse del suo arrivo e si voltò verso di lei, il suo sguardo la ripagò della tortura di farsi rinchiudere in quegli abiti che non le appartenevano e la fece sentire proprio come la principessa delle fiabe.

Terminò di scendere le scale e gli porse la mano avvolta nei lunghi guanti abbinati alla toilette, che egli prese per aiutarla a salire sulla carrozza, in attesa davanti alla porta; sotto lo sguardo compiaciuto di Pierre e Madeleine, il veicolo si mosse e Nicole ebbe la strana sensazione di andare non solo ad una festa, ma incontro a ciò che per lei era stato scritto nel destino.

 

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Capitolo 29
*** Valzer viennese ***





Capitolo XXIX

Valzer viennese



Non riusciva a smettere di guardarla.

Da quando avevano fatto il loro trionfale ingresso sulla carrozza ducale, madamoiselle la Comtesse non era stata lasciata sola con lui neppure un attimo. Aveva stretto la mano e conversato con tutti i rappresentanti dell'amministrazione locale e rispettivi consorti. Poi era stato il momento degli invitati speciali, ossia quelli che, con il loro contributo economico, assieme a Nicole avevano assicurato la riuscita della festa. E in quel momento era l'ora di tutti gli altri invitati.

Era un evento eccezionale la partecipazione di un discendente della casata nobiliare che viveva allo Chateau da prima della rivoluzione francese. A quanto gli aveva detto Nicole, il Duca e la Duchessa erano stati gli ultimi ad assistervi: dagli anni dieci agli anni cinquanta del novecento venti di guerra avevano soffiato in tutta Europa e, anche nei momenti in cui non si combatteva, lo spirito non era dei migliori per festeggiare. Tranne la figlia che si era fatta suora, gli altri tre figli del Duca erano rimasti in Inghilterra e a quanto aveva ricostruito da vecchie carte ritrovate mentre studiava alla Sorbona (a quei tempi scoprire la storia della sua famiglia era stato, assieme alla fotografia, il suo maggior interesse, che le forniva anche l'ottima scusa per allontanarsi dai continui litigi familiari) non avevano mai vissuto allo Chateau, tranne che per brevi soggiorni mirati a visitare le tombe dei genitori o dare disposizioni ai vari amministratori della tenuta succedutisi nel corso degli anni. Per quanto riguardava i nipoti e successivi discendenti le cose non erano state molto diverse.

Neppure sua madre aveva mai partecipato all'evento, troppo impegnata a tentare, invano, di farsi amare dall'uomo che aveva sposato per soddisfare la sete di nobiltà materna: la nonna di Nicole, infatti, aveva dedicato la propria vita a tentar di ripulire il sangue della famiglia dopo che la bisnonna, nipote di Lady Alexandra e bis-nipote del Duca, lo aveva insozzato sposando un borghese; e non importava se in seguito quel borghese si sarebbe rivelato essere imparentato in primo grado con colui che un giorno sarebbe diventato il famoso generale Montgomery della seconda guerra mondiale, al momento del matrimonio era soltanto un semplice ufficiale dell'esercito britannico.

Per volontà dell'antenato a cui doveva comunque il titolo di contessa, nel cognome per le figlie femmine destinate ad ereditare il titolo doveva mantenere traccia della linea femminile di discendenza, pertanto l'acquisita fama della famiglia per meriti impropri era l'unico motivo per cui il cognome Montgomery continuava a figurare accanto a quello del consorte di turno. Ciononostante, la nonna di Nicole aveva fatto il possibile per sposarsi con un nobile e aveva costretto la figlia a fare altrettanto, arrivando a scovarle persino un duca e riportando così il sangue della famiglia al livello di nobiltà originaria che tanto agognava.

A quanto ricordava Nicole, la madre l'aveva portata alla tenuta una sola volta da bambina, quando aveva compiuto dieci anni e lei aveva adorato da subito quel luogo che la mamma aveva detto un giorno le sarebbe appartenuto per eredità. Allora non immaginava che ne sarebbe entrata in possesso tanto giovane, tuttavia era stato proprio quel luogo, e il desiderio di scoprire qualcosa su chi glielo aveva destinato, che l'aveva spinta verso la passione per la Storia.

Tutte queste informazioni Nicole gliele aveva date durante il tragitto in carrozza, mentre lui non riusciva a smettere di guardarla: era splendida con indosso l'abito da ballo della sua antenata e coi lunghi capelli raccolti sul capo, alla foggia ottocentesca. Madeleine aveva scovato anche un antico fermaglio tra gli oggetti appartenuti alla Duchessa, e lo aveva usato per decorarle l'acconciatura.

Andrew ricordava ancora la scena di seduzione letta nel diario: si parlava di un abito rosso fuoco, dalla provocante scollatura, ed egli era sicuro che si trattasse proprio di quel vestito. Si spiegava il motivo per cui, tra tanti abiti da ballo che la Duchessa avrà posseduto, quello era uno dei pochi conservato con grande cura: era di certo il capo con cui era vestita e dal quale lui l’aveva spogliata la notte in cui aveva confessato al marito di aspettare il loro primogenito.

Vederlo indossato dalla donna che desiderava tanto, gli sembrava l'ennesimo segno del destino. L'ulteriore conferma che i loro incontri, che la loro storia d'amore, quella che Nicole si ostinava a non ammettere, era scritta in un destino le cui radici arrivavano almeno a quasi due secoli prima. E gli confermava, ancora una volta, che loro due insieme avrebbero dovuto chiudere un cerchio aperto ormai da troppi anni.

Era immerso nei suoi pensieri quando, prima ancora si vederla o sentire la sua voce, riconobbe la fragranza intensa che la circondava sempre e si voltò, trovandosi così a fissare Monique negli occhi.

"Buona sera, Andrew".

"Ciao Monique. Sei bellissima..." la lodò con un complimento che non era per nulla forzato. La provocante antiquaria indossava un abito molto prezioso che, per semplicità del taglio e del colore, volutamente sobri per esaltare il prezioso ricamo di piccoli diamanti e perle del corpetto, attenuava la sua sensualità prorompente senza tuttavia offuscarla del tutto. Al contrario, la delicata tinta avorio dell'abito le illuminava la carnagione e faceva risaltare il color rosso tiziano della sua chioma, anch'essa adorna di un intreccio quasi virginale di perle e diamanti. L'insieme era eccezionale.

"Sei il solito adulatore, mon cher. Tuttavia quella davvero splendida, stasera, è Nicole" disse Monique, sorprendendolo.

La donna rise, col suo timbro roco che lui ben conosceva, quando vide la sua espressione incredula.

"Suvvia, Andrew, sono una donna, e sono cosciente che come tale ammettiamo con difficoltà che un'altra donna possa essere bella, ma solo un cieco potrebbe restare impassibile di fronte a lei, questa sera... È bellissima".

"Hai ragione, lo è" ammise lui, osservando l'oggetto del suo incontenibile desiderio. Quella sera tanto Monique appariva più casta di quanto la sua personalità e il suo aspetto di solito lasciavano immaginare, altrettanto l'abito indossato da Nicole portava alla luce tutta la sensualità celata della giovane donna. L'abito della Duchessa, così audacemente scollato per quei tempi e di una tinta tanto appariscente, rendeva la figura di Nicole molto provocante ed esaltava la sua incredibile bellezza, che di solito lei sminuiva più che sottolineare. L'insieme la rendeva una donna splendida, sensuale e molto eccitante; ciononostante, grazie alla sua innata eleganza e raffinatezza, per nulla volgare.

"E tu, chéri, sei innamorato pazzo di lei, vero?" aggiunse la donna seguendo il suo sguardo.

"Mi spiace, Monique..." disse lui.

"Non scusarti. Me lo avevi già detto l'altra mattina, ma non volevo crederci. Sei un uomo difficile da lasciar andare, mon cher, e avevo bisogno vederlo coi miei occhi. Ora so che dicevi sul serio. Con te è stato bello, e non lo dimenticherò” aggiunse sporgendosi verso di lui per baciarlo su una guancia.

“Anche per me è stato bello” disse lui, accettando il bacio e ricambiandolo con una carezza, “neppure io ti dimenticherò. Sei una donna generosa, Monique” aggiunse poi, ripensando a come lo aveva accolto nel proprio letto.

Non, cher ami. Sono una donna molto egoista, invece. Ti ho voluto sin dal primo momento e ti ho avuto. Peccato solo che sia durato poco. Se non fossi egoista potrei tentare di averti anche ora ma, se anche venissi a letto con me, non saresti mai mio. Forse non lo sei mai stato, ma prima potevo illudermi, adesso non più. È lei la donna che vuoi” disse facendogli un cenno in direzione di Nicole si stava avvicinando.

“Solo un consiglio: non aspettare troppo a dirle chi sei veramente. Potresti perderla. Ha già sofferto molto per essere stata tradita” aggiunse, prima che Nicole li raggiungesse.

“Lo so… Ho intenzione di dirle tutto quanto molto presto” rispose lui, confermando l’intuizione che lei aveva avuto sin dall’inizio.

Monique annuì con un sorriso; quando si voltò per andarsene, Nicole era ormai accanto a loro e lei si fermò pochi secondi a sussurrare qualcosa all’orecchio dell’amica,  quindi si allontanò, lasciandoli finalmente soli.

 

 

***

 

 

"Vi vedo pensieroso, monsieur le professeur..." disse Nicole per stemperare l’imbarazzo quando lo ebbe raggiunto. Moriva dalla curiosità di sapere di cosa aveva parlato con Monique, soprattutto dopo quanto le aveva sussurrato l'amica mentre se ne andava.

Da quando erano arrivati alla festa non aveva fatto altro che stringere mani e sorridere; temeva di dover trascorrere tutta la sera ad osservarlo da lontano ed invece, in quel momento era lì, davanti a lui. Da vicino era ancora più bello e il desiderio di essere tra le sue braccia la stava quasi soffocando.

Lo aveva visto baciare Monique e il senso di possesso che aveva provato nei confronti di quell'uomo, nonché la morsa di gelosia che le aveva stretto lo stomaco, non le avevano lasciato più dubbi: nonostante avesse fatto il possibile per evitarlo, si era innamorata di lui. Lo desiderava da morire, ma il desiderio non era solo fisico. Voleva Andrew anima e corpo.

Quando Monique l'aveva fermata per parlarle, si era stupita di ciò che le aveva detto.

"Non lasciartelo scappare, chéri... A letto è sorprendente!"

Infastidita da un'immagine alla quale non voleva pensare, stava per dire alla sua amica di tenerselo, quando Monique l'aveva zittita aggiungendo: " Lui vuole te e nessun'altra".

Quel commento l'aveva eccitata. Da alcuni giorni non riusciva a smettere di pensare a che tipo di amante fosse. Era probabile che dipendesse dalla donna e da quanto la desiderasse, eppure lei avrebbe voluto andar oltre e saperne di più. Era difatti convinta che chiunque ha un suo modo particolare di fare l'amore, nonostante possa essere influenzato dalla persona con la quale si trova. Proprio per questo avrebbe voluto sapere come lui era davvero, nel suo intimo più profondo; avrebbe desiderato poter conoscere la sua natura più essenziale, più istintiva. Era tenero e lento e amava indugiare sui dettagli per sedurre, o focoso e appassionato, con un desiderio ardente, difficile da contenere? Oppure l'uno e l'altro? E cosa intendeva Monique quando lo definiva sorprendente?

"Non sono pensieroso, solo sopraffatto dalla tua bellezza. Sei splendida, stasera" rispose lui.

Si sentì arrossire a quel complimento così spontaneo.

"Merito di questo abito".

"L'abito è fantastico, te lo concedo, ma su di te è spettacolare ed è merito della tua bellezza" disse lui, con un tono che non ammetteva repliche.

"Credi che sia lo stesso abito..." domandò lei, più che altro per dire qualcosa che aiutasse in quel momento di imbarazzo. Si rese conto troppo tardi, dal luccichìo divertito negli occhi di Andrew, di aver scelto l'argomento peggiore per togliersi dall'impiccio.

"Non ho dubbi. Sono certo che sia proprio l'abito che il Duca descrisse nel diario..." rispose lui. Poi, per concederle un attimo di tregua, aggiunse divertito:

"Quanti abiti rosso fuoco, con un taglio tanto provocante, credi che avesse una duchessa nel suo guardaroba?"

Lei sorrise a sua volta, grata che lui l'avesse buttata sul divertente. Per fortuna aveva letto quel passo del diario da sola, per mettersi alla pari prima di iniziare a procedere assieme, altrimenti non sapeva come sarebbe riuscita a resistere alla lettura fatta da lui.

In quel momento la musica in sala terminò, per ricominciare subito dopo. Andrew le sfiorò con le dita una ciocca di capelli che le incorniciava il volto, indugiando sulla curva del collo; quindi si piegò in un perfetto inchino d'altri tempi, le prese la mano guantata e, portandosela alle labbra, le chiese:

"Lady Sinclair, mi fate l'onore di questo ballo?"

Al suo cenno affermativo la prese tra le braccia e la condusse, con un'abilità che di certo non si aspettava da un professore americano, sulle note di un valzer viennese.

"Sorpresa?" domandò lui sornione. Ancora una volta le aveva letto nel pensiero.

"Non ti credevo avvezzo a questo genere di balli. Persino io, che frequento l'alta società europea dall'età di sedici anni, non ballo un valzer da almeno cinque anni... e anche prima l'ho danzato molto poco".

"Ciononostante sei bravissima" le disse, dopo averla fatta volteggiare in una figura degna dei migliori maestri.

"Ah, io sarei brava. E tu? Cosa mi dici di te? Ve lo insegnano ad Harvard, assieme alla storia?" gli chiese con un sorriso.

"Per questo devi ringraziare mia madre, che non voleva che diventassi come mio padre per il ballo, ossia un elefante in un negozio di porcellane, e il suo strano amore per le danze viennesi".

"Perché dici strano?"

"Converrai che è insolito che un'americana, per di più avvocato, trovi affascinanti i valzer viennesi di duecento anni fa" rispose lui, mentre la guidava nella danza.

"Perché un avvocato non dovrebbe amare il valzer? Tua madre è pur sempre una donna".

"Non un avvocato qualunque, ma un avvocato della procura militare. Mia madre è sì una donna, ma è anche un colonnello dei Marine fino al midollo. Per certi versi è persino più soldato di mio padre, a sua volta avvocato della procura militare, per alcuni anni capo del Jag in Europa prima di diventarlo di tutto il Jag, nonché pluridecorato aviatore della Marina Americana".

"E tu come sei finito a fare il professore?" domandò lei, divertita da quanto aveva appena appreso sui suoi genitori.

"Sono laureato in legge ad Harvard" rivelò lui.

"Sei un avvocato?"

"No, non ho mai esercitato la professione, anche se i miei genitori hanno sempre sostenuto che sarei potuto diventare un principe del foro ".

"Non stento a crederlo... E come sei arrivato alla passione per la storia e ad insegnarla?"

"Non insegno storia" ammise lui.

"Non sei un professore?"

"Beh, sì, anche. Tengo lezioni in varie università americane".

"Quindi hai mentito".

"Non ho mentito: io sono anche un insegnante universitario. Diciamo che, come te, mi sono presentato con uno solo dei miei titoli" le disse, ricordandole con astuzia che non era il caso che scagliasse la prima pietra.

"E quali sarebbero gli altri?"

"L'altro. Uno solo. E non è un titolo, ma una qualifica professionale, semmai".

"Non dirmi che sei davvero un modello di professione?"

"Lo trovi così improbabile? Sono stato così imbranato quando mi hai fotografato?"

Lei lo scrutò, rendendosi conto solo in quel momento che il valzer era terminato.

"Non ti va di dirmelo chi sei veramente?"

"In questo momento preferisco farti ballare ancora..." eluse la risposta riprendendola tra le braccia e trasportandola di nuovo nel magico mondo delle danze viennesi.

 

 

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Capitolo 30
*** Sogno di una notte di inizio estate ***





Capitolo XXX

Sogno di una notte di inizio estate



"Mi piacerebbe fotografarti".

"Vorresti fotografarmi? Ora?"

Erano rientrati al castello dopo una festa durata dal tardo pomeriggio fino a mezz'ora prima e durante il viaggio lei aveva parlato poco. Neppure per domandargli di Monique. Era sicuro che li avesse visti e il fatto che non avesse chiesto nulla lo rendeva inquieto e al tempo stesso curioso di sapere cosa si fossero dette quando l'antiquaria l'aveva avvicinata. Ciononostante neppure lui aveva fatto domande e, prima che lei gli rivolgesse quella inconsueta richiesta, si stava chiedendo a che punto stavano le cose tra di loro, dopo la splendida serata appena trascorsa. Da quando lo aveva raggiunto aveva ballato con lei per quasi tutto il tempo e Nicole non era sembrata dispiaciuta, anzi: le rare volte in cui l'aveva ceduta a qualche altro ospite, quando l'aveva reclamata di nuovo per sé si era accorto che lei gradiva la cosa.

In quel momento si trovavano nello studio del Conte, dove Nicole aveva voluto che la seguisse, e lui non sapeva come chiudere la serata. Era la prima volta in tutta la sua vita che non aveva idea di come comportarsi con una donna.

"Sì, se per te va bene. Ti voglio ritrarre in questi abiti e in questa casa, in particolare in questa stanza".

"Ma sono le due del mattino!"

"Non dirmi che non ti è mai capitato di andare a letto più tardi di quest'ora!"

"Il sonno non è un problema" rispose lui, decidendo di concedere a quella sua idea una possibilità ed evitando di aggiungere che avrebbe potuto non dormire per due notti di seguito se avesse potuto trascorrerle amandola.

"Ottimo. Allora qual è il problema?"

"Che, magari, se fossi più riposato le foto verrebbero meglio? Non siete proprio voi fotografi a dire che l'obiettivo è impietoso e non perdona?"

"Ohilalà, siamo vanitosi!" disse lei con un sorriso. "Hai ragione. Ma tutto sta il genere di foto che si vogliono scattare e il soggetto da ritrarre. E non mi hai detto che ne volevi qualcuna da inviare a tua madre?" lo provocò lei, divertita.

"Certo, ma non immaginavo di mandarle delle immagini che mi ritraggono con l'aspetto di un dissoluto libertino!"

"Credevo che tua madre già sapesse che lo sei..." lo prese di nuovo in giro lei. "Ad ogni modo non è quello il genere di foto che vorrei scattarti, anche se sarebbe divertente".

"Che genere di foto vorresti farmi?"

Lei parve per un attimo indecisa se rivelarglielo. Andrew attese con pazienza, perché ebbe l'impressione che il momento fosse importante.

"Sexy" si decise a rispondergli. "Intriganti. Forse un po’ maliziose... ma, soprattutto, sensuali. Il tuo volto, in questo momento, con un accenno di stanchezza, è proprio ciò che ci vuole per quello che ho in mente".

"Non sai quanto darei per sapere cos'hai in mente..." sussurrò lui, quasi tra sé.

"Permettimi di fotografarti e lo scoprirai... Se non ti piacciono, le cancellerò".

"Sono sicuro che il problema non sussisterà" disse lui, accettando.

Mentre lei, senza neppure cambiarsi d'abito, si dava da fare per organizzare in pochi minuti un set fotografico, lui rimase ad osservarla, domandandosi fino a che punto avrebbe potuto spingersi nel tentativo di amarla e farsi amare. Forse era giunto il momento di osare il tutto per tutto.

"Ok, sono pronta. Iniziamo dalla scrivania. Siediti e fingi di scrivere con penna d'oca e calamaio".

Lui obbedì e lei si immerse nel suo mondo di immagini, scomparendo dietro l'obiettivo. Solo il rumore dello scatto e il fruscio dell'abito rosso gli ricordavano la sua presenza dietro alla macchina fotografica. Poi, dopo alcune inquadrature da varie angolazioni, ricompariva la sua voce che gli diceva come posare: appoggiati allo schienale, guarda fuori dalla vetrata con aria pensierosa, slacciati il cravattino e il primo bottone,  arrotolati le maniche della camicia, levati il panciotto, alzati e siediti in poltrona, leggi un libro, accavalla le gambe... Nel giro di una ventina di minuti gli fece impersonare un nobile di metà ottocento, in quasi tutte le pose immaginabili, nei panni di uno studioso e scrittore. Andrew sorrise, pensando a quanto lei stesse avvicinandosi alla realtà seguendo il suo istinto di fotografa e a quanto stesse immortalando nella finzione fotografica il suo desiderio di poter vivere e lavorare per sempre in un luogo simile.

Ogni tanto le dava una rapida occhiata, intrigato dal contrasto tra la sua efficienza di donna moderna che manovrava una sofisticata apparecchiatura digitale e l'aspetto romantico che le conferivano l'abito e l'acconciatura d'altri tempi.

"Ora alzati. Voglio usare l'autoscatto per un'idea... " disse, trafficando con la macchina per sistemarla dove, a suo avviso, sarebbe stato meglio.

Incuriosito dalla faccenda dell'autoscatto, che implicava la presenza di Nicole nelle prossime foto, la raggiunse senza batter ciglio.

"Cos'hai in mente?"

"Una sequenza che dia l'idea che l'uomo non viva solo. Non so se gli scatti verranno come spero, ma non abbiamo a disposizione un'altra donna".

"Tu sei perfetta per me" disse lui, interrompendola.

"Per le foto" precisò lei.

"Per me" la corresse lui, deciso. Lei lo osservò ma evitò di ribattere.

Posizionò due piccoli schermi collegati all'apparecchio fotografico tramite connessione wireless in modo tale da poter vedere l'inquadratura da due angolazioni, senza che nella foto comparissero i dispositivi e poi, impostando i secondi tra uno scatto e l'altro, gli si avvicinò sorridendo.

"Sorpreso? Come puoi notare gli apparecchi più moderni hanno acquisito notevolmente in tecnologia".

"Già, me ne sono accorto" rispose lui.

"Con questo posso scattare a mia scelta" disse facendogli vedere il piccolo telecomando che nascondeva nella mano "a meno che non scelga di lasciare lo scatto al timer che ho appena attivato. Nel caso volessi foto più... come dire? Spontanee".

"Capisco" commentò enigmatico lui.

"Bene, iniziamo" e così dicendo gli si avvicinò, dando le spalle all'obiettivo. Gli posò una mano sul petto e sollevò il volto, stando attenta a non farsi inquadrare il profilo. Non appena lui abbassò il viso verso di lei per guardarla negli occhi si sentì il rumore dello scatto ed Andrew non riuscì ad evitare di proiettare nella propria mente l'immagine appena immortalata: il desiderio di un uomo per la donna davanti a sé, riflesso nei suoi occhi.

Poi lei gli prese la mano e intrecciò le loro dita e di nuovo si sentì il rumore dello scatto.

"Passami un braccio attorno alla vita" sussurrò lei e non appena obbedì, di nuovo l'otturatore automatico si aprì e si richiuse.

Quindi si avvicinò col volto al suo viso, nell'immaginaria scena di baciarlo sulla guancia. Fece scattare il dispositivo prima ancora che le labbra arrivassero a sfiorargli la pelle.

Si muoveva rapida, senza quasi lasciargli il tempo di vedere nel display l'immagine che stava fotografando. Tuttavia era sicuro che otteneva ogni volta l'inquadratura che desiderava perché si era reso conto di rispondere ad ogni suo movimento seguendo l’istinto. Non serviva neppure che lei gli dicesse cosa fare.

Si domandò per un attimo se non fosse quello il vero scopo di quel servizio fotografico e l'istante successivo aveva già preso la decisione che avrebbe chiarito una volta per tutte il loro rapporto.

Dopo un altro paio di inquadrature lei gli disse: "Bene, abbiamo terminato".

"Neanche per sogno..." la fermò lui, mentre infilava una mano tra i suoi capelli e slacciava con sorprendente abilità il fermaglio che tratteneva la sua folta chioma.

"Scatta la foto" ordinò poi con ferma dolcezza, mentre una nuvola scura scendeva a ricoprirgli il braccio. Non appena lei obbedì, spostò di lato i suoi capelli e le abbassò l'abito, scoprendole una spalla.

"Scatta ancora" sussurrò, chinandosi a baciarle la pelle liscia appena rivelata.

L'esitazione di Nicole fu sufficiente a far partire il timer. Andrew sorrise, consapevole d'averla spiazzata, ma al tempo stesso felice che lei non l'avesse fermato. Non aveva alcuna intenzione di fermarsi.

La fece voltare in modo che il corpo di Nicole fosse rivolto verso l'obiettivo, mentre lui si sistemava alle sue spalle per slacciare la lunga fila di bottoncini che chiudeva l'abito. Intanto l'autoscatto svolgeva diligente il proprio compito.

Nicole sussultò quando lui, terminato di trafficare coi bottoni, le abbassò il corpetto fino alla vita, regalando allo sguardo indiscreto della macchina fotografica il suo petto costretto nel bustino: i delicati nastri candidi che l'ornavano e le sue mani che le toccavano la pelle formavano un contrasto che rendeva l’inquadratura molto erotica.

"Andrew..." tentò di fermarlo, quando si rese conto che le stava slacciando anche la biancheria; ma inutilmente. Il secco rumore dell'otturatore scandiva, ogni trenta secondi, quella lenta opera di seduzione.

Si piegò di nuovo su di lei, percorrendo con la lingua il collo dalla nuca alla spalla e facendola rabbrividire, mentre le mani le scoprivano i seni e li esponevano all'implacabile lavoro dell'apparecchio fotografico.

"Guardati... Sei bellissima" disse lui con voce roca, abbracciandola da dietro. Incapace di aprire gli occhi e vedere nel display quell'immagine sensuale, preferì abbandonarsi alle sensazioni che le stava regalando. Già così era eccitata all'inverosimile.

Percepì che lui si muoveva e la girava, posizionandola di profilo rispetto l'obiettivo. Sempre ad occhi chiusi, non fece in tempo a domandarsi come mai, quando sentì le sue labbra sul seno.

Gemette, inarcando istintivamente il corpo verso il suo volto. Nel frattempo l'autoscatto immortalava la scena: la bocca di Andrew colma della sua carne morbida, che lui torturava con lingua e denti, facendola impazzire; e ogni suo sussulto, mentre con le mani infilate nei suoi capelli tratteneva a sé la sua testa, quasi a ricercare ancora più piacere.

"Voglio tutte queste foto" disse lui con voce roca ma autoritaria. Quindi rialzò il capo e, finalmente, la baciò sulla bocca. Fu un bacio intenso, sensuale; in assoluto il bacio più eccitante e coinvolgente che avesse mai ricevuto.

La sua lingua le stuzzicava le labbra e le invadeva la bocca, mentre le sue mani calde  le percorrevano il corpo dalla nuca ai fianchi e anche oltre, in un lento e possessivo tocco che la faceva aderire sempre di più al suo torace muscoloso; in quel modo i suoi seni scoperti sfregavano contro il tessuto della camicia che lui ancora indossava e quel contatto, unito alla carezza delle sue mani e delle sue labbra, le toglieva il fiato.

Nicole immaginò per un attimo tutta le sequenza di immagini memorizzata nel suo apparecchio da quando lui aveva preso il comando e si rese conto che era la sola ad essere stata ritratta seminuda. Non andava affatto bene.

"Io, invece, voglio queste" disse decisa, quando riuscì a staccarsi da lui. Prese a slacciargli i bottoni della camicia candida, scoprendogli i muscoli del torace. Passò il palmo sulla pelle che li ricopriva e poi si chinò a baciarla, facendo gemere lui. Quindi gli girò intorno, sfilandogli l'indumento e lasciandolo a torso nudo. Lo abbracciò da dietro, premendogli le rotondità morbide e calde dei seni contro la schiena.

"Portami a letto" gli sussurrò all'orecchio.

"Non ancora...".

"Cos'hai in mente?" gli domandò, incuriosita ed eccitata.

Quando aveva iniziato il gioco dell'autoscatto aveva pensato di intrigarlo un po’, sperando capisse che aveva deciso di far l'amore con lui. Non si aspettava che ribaltasse la situazione e la coinvolgesse in una fantasia erotica da voyeur. Ad ogni modo la cosa non le dispiaceva: le foto che la sua macchina digitale continuava a scattare potevano essere cancellate senza conseguenza alcuna. Ed in fondo doveva ammettere che non vedeva l'ora di rivederle. A dirla proprio tutta ciò che desiderava davvero era poterle sviluppare in formato gigante e tappezzare una stanza con quegli scatti erotici e sensuali. Sarebbero stati perfetti per una mostra privata dedicata al piacere e al desiderio.

Lui si voltò e la guardò negli occhi.

"Voglio realizzare un sogno. Il... Sogno di una notte di inizio estate".

"Mhmm... La faccenda si fa seria se citi addirittura Shakespeare. Non dirmi che dovrò trasformarmi in Titania! O addirittura in Puck?"

"Non ti dovrai trasformare, così sei già perfetta per quello che ho in mente" disse, facendo scivolare il dorso della mano dalla sua gola al seno, in una dolce carezza. Negli occhi lei gli vide un desiderio intenso e si sentì soffocare dall'aspettativa. Non vedeva l'ora di essere sua. Da quando aveva deciso di abbandonarsi alla passione che provava per lui, era impaziente di scoprire che tipo di amante fosse.

"E sarebbe?" riuscì a domandargli, con voce quasi strozzata.

"Lo vedi quel tappeto?" e indicò con un cenno verso il camino, mentre le sue dita non smettevano di giocherellare con la sua pelle. Lei annuì, incapace di proferir parola.

"Voglio amarti lì, prima. Voglio prenderti con ancora indosso questi abiti, che mi fanno fantasticare di essere tornato indietro nel tempo. Voglio che tu sia mia in questa stanza, dove ho sognato milioni di volte di averti. Voglio te, qui, adesso".

"Con o senza foto?" chiese lei, eccitata dalle sue parole e subito pronta ad accontentarlo.

"Indovina..." rispose lui, malizioso.

 

 

 

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Capitolo 31
*** Incontro al destino ***





Capitolo XXXI

Incontro al destino



Seduta davanti alla vetrata del suo salotto, Sarah Mackenzie osservava pensierosa fuori dalla finestra. Dopo la telefonata col figlio della sera prima, non era riuscita a pensare ad altro. Aveva faticato a chiudere occhio per tutta la notte e si era alzata alle prime luci dell'alba. Con la solita efficienza che la caratterizzava quando era un brillante avvocato nel pieno della sua carriera, aveva sbrigato tutte le faccende pratiche connesse a quanto aveva saputo da Andrew e ora attendeva il ritorno del marito. Harm era andato da Jason Rumsfield, l'uomo che trent'anni prima aveva messo a disposizione della Marina Americana le carte dell'Ammiraglio Alexander Blackbird affinché potessero essere consultate. Quelle stesse carte tra le quali lei e Harm avevano ritrovato l'antico diario che tanta parte aveva avuto nella loro raggiunta felicità.

Mr. Rumsfield era l'erede dell'Ammiraglio ed era rientrato in possesso anche del diario del Conte d'Harmòn poiché, a quei tempi, nessuno sapeva a chi altri consegnarlo; dopo alcune ricerche, infatti, la Marina Americana aveva stabilito che non valeva la pena spendere ulteriori risorse per vecchi scritti privati di un conte francese. Sarah avrebbe tanto desiderato poterlo conservare per sé, ma non aveva avuto il coraggio di domandarlo all'ammiraglio Chegwidden, soprattutto dopo essersi fidanzata con Clayton: l'Ammiraglio avrebbe avuto conferma di quanto le mancasse Harm, ormai volato in Europa e pronto per un nuovo inizio.

Ciò che era avvenuto in Inghilterra, alla residenza dei Montagu a Beaulieu, aveva dell'incredibile: prima di congedarsi dal loro ospite, lei e Harm avevano detto a lord Montagu che avrebbe potuto fare richiesta del diario, ma l'anziano gentiluomo aveva replicato che non era certo di poter vantare diritti su quegli scritti, benché appartenuti all'uomo che era un suo antenato, poiché egli era erede del titolo acquisito del defunto fratello di Lady Sarah. Dal punto di vista legale non potevano dargli torto. Lord Montagu, ignaro di chi fossero i discendenti più diretti del Conte d’Harmòn, aveva suggerito che avrebbero potuto fare delle ricerche partendo proprio dal paese d'origine del conte, dove terminavano le notizie riguardanti Lady Sarah Jane Montagu; ma quando le cose tra lei e Harm si erano di nuovo ribaltate, erano stati troppo presi dalla loro felicità e dai cambiamenti che la vita aveva donato loro per ripensare a quel vecchio quadernetto in pelle marrone: lei e Harm avevano reso omaggio ai due uomini che a loro avviso li avevano resi coscienti del loro amore, chiamando il miracolo che avevano concepito Andrew Alexander.

Alla luce dell'uomo che era diventato, Sarah era sempre più convinta che i nomi che il figlio portava avevano avuto grande influenza sulla sua personalità e sul suo destino. Ad ogni successo del ragazzo ne parlava con Harm, il quale replicava divertito che era troppo romantica per essere un duro colonnello dei Marine. Il marito l'aveva presa in giro anche quando aveva insistito affinché Andy imparasse il francese e persino un po’ di tedesco, consapevole del motivo che si celava dietro alla conoscenza di una lingua che non era certo tra quelle più richieste nel mondo del lavoro. Così, quando Andrew l'aveva pregata di dargli qualche lezione in occasione del tradizionale ballo di fine anno della scuola e lei si era lanciata a spiegargli addirittura i passi del valzer sulle note dei classici valzer viennesi – che lei aveva segretamente imparato anni prima, nel periodo in cui stava con Clay - si era assicurata che il ragazzo non dicesse nulla al padre. Dal canto suo Andy non aveva alcuna intenzione di sbandierare in giro che passava alcune ore al giorno a danzare balli d'altri tempi con la madre, per cui la faccenda era rimasta un segreto tra loro due.

Harm aveva appreso dell'argomento della telefonata solo quella mattina, poiché la sera prima la chiacchierata con Andrew si era protratta a lungo e Sarah non se l'era sentita di svegliarlo; quando lo aveva messo al corrente di ciò che aveva saputo, si era presa finalmente la sua piccola rivincita di fronte all'espressione incredula del marito alla notizia che il loro figlio si era innamorato proprio dell'ultima discendente del Conte d'Harmòn.

"Non ci posso credere... Ma ne sei proprio sicura?" aveva domandato.

"Sì. Appena sveglia ho controllato il cellulare e c'era il messaggio di Andy che mi confermava il tutto dopo aver letto i nomi sulle tombe".

"Mi stai dicendo che è stato a Cluny, nella casa dove nacque il conte, per tutto questo tempo senza sapere che si trattava di lui?"

"Non dimenticare, tesoro, che nostro figlio fino a ieri non sapeva nulla della nostra storia. A Cluny ci è capitato per caso, così come per caso aveva già conosciuto la donna che poi ha scoperto essere l'erede del Duca. O Conte, come meglio lo conosciamo noi" gli aveva spiegato.

"Tutta questa storia ha dell'incredibile..."  aveva commentato Harm prima di chiamare mr. Rumsfield e chiedergli un appuntamento.

Lei non aveva detto ad Andrew della possibilità di recuperare il diario mancante, per evitare di dargli delle speranze qualora non vi fossero riusciti, ma non aveva dubbi sull'esito della missione di Harm. Era stato proprio lui stesso, infatti, a dirle che quando erano rientrati dall'Europa ed egli era stato nominato ammiraglio e posto al comando del Jag, si era avvalso della propria posizione per contattare mr. Rumsfield e domandargli notizie del diario. L'idea che quell'antico cimelio non potesse tornare ai legittimi eredi infastidiva anche lui. Aveva raccontato a Jason Rumsfield di Lord Montagu e aveva saputo che nessuno aveva fatto richiesta del diario. Mr. Rumsfield gli aveva garantito che avrebbe sistemato le cose affinché anche i suoi eredi sapessero della faccenda in modo tale che, quando lui fosse passato a miglior vita, il diario sarebbe sempre stato a disposizione di eventuali legittimi proprietari che lo avessero reclamato.

Pertanto si trattava solo di attendere il ritorno di Harm e poi confermare il volo per la Francia, dopo aver preso accordi con Andrew.

Sorrise, ripensando a com'era iniziata la conversazione col figlio, la sera precedente.

Andy l'aveva chiamata come faceva ogni cinque o sei giorni, prima di andare a nuotare in piscina. Sarah già sapeva dalle precedenti conversazioni che il figlio si trovava da alcuni mesi in Francia, a caccia di nuova ispirazione. Aveva colto nelle sue parole un profondo desiderio di cambiamento e si augurava che riuscisse a soddisfare quell'esigenza che sembrava così radicata in lui. Si era domandata cosa lo avesse spinto in quella direzione, dopo così pochi anni di successo in un genere di romanzi che riscuotevano sempre ottimo consenso dal pubblico ma, conoscendo Andy, non si era sorpresa neppure così tanto. Fin da quando era un bambino, infatti, era stato di un'intelligenza vivace e superiore alla media dei suoi coetanei: sembrava avesse riunito in sé le migliori qualità sue e di Harm e questa brillante intelligenza lo aveva sempre reso assetato di conoscenze e lo aveva sempre spinto verso scelte a prima vista più difficili, ma che col tempo si erano rivelate vincenti.

Benché Andrew la mettesse al corrente dei suoi spostamenti e di ciò che gli passava per la mente in un modo così insolito per un ragazzo, al punto da suscitare invidia nelle amiche i cui figli o figlie non facevano altrettanto, al tempo stesso a volte tralasciava particolari che lui giudicava inutili, mentre lei considerava importanti. Nella fattispecie avrebbe preferito sapere prima che la residenza di un nobile europeo risalente ai tempi della rivoluzione francese si trovava a Cluny, piuttosto che sapere che la medesima residenza, a quanto le aveva detto Andrew, si trovava non troppo lontano da Parigi e possedeva una fantastica piscina che avrebbe potuto utilizzare per tutto il tempo del suo soggiorno. Ma Andrew era Andrew e per lui i particolari importanti erano altri.

Pertanto, quando la sera prima aveva esordito con "Non immaginerai mai, mamma, dove andrò stasera" lei non aveva fatto altro che assecondare il figlio come aveva sempre fatto e così aveva saputo della festa.

Si era invece sorpresa quando, poco dopo, cambiando argomento all'improvviso, le aveva domandato come mai lo avevano chiamato Andrew Alexander.

"Come mai ti viene in mente di chiedermelo proprio ora?" gli aveva domandato lei, di rimando.

"Così..." aveva risposto lui; ma subito dopo aveva aggiunto: "Mi incuriosisce il fatto di chiamarmi come il primogenito dell'uomo di cui sto leggendo i diari".

Quando lei gli aveva chiesto di spiegarsi meglio, Andrew si era esibito in un appassionato racconto. Era sempre stato bravo a narrare, soprattutto quando l'argomento lo affascinava. E in quel caso doveva affascinarlo molto, poiché lo aveva sentito davvero eccitato mentre le raccontava come aveva scoperto dei diari risalenti all'ottocento, scritti da un conte francese che aveva anche ereditato da uno zio il titolo di duca in Inghilterra, dove aveva anche vissuto, e come li stava leggendo assieme alla donna di cui si era innamorato, ultima discendente del Duca.

"Fermati un attimo... Ti sei innamorato? Ho capito bene?" aveva chiesto lei, esterrefatta a quella notizia, che lui invece le aveva comunicato come se le stesse dicendo che usciva per andare a comprare il pane.

"Hai capito bene, mamma" aveva confermato lui, con un tono divertito. Poi aveva aggiunto, esasperandola: "Li sto proprio leggendo con lei".

"Non era quello a cui mi riferivo quando ti ho chiesto se avevo capito bene" lo aveva rimproverato, fermandosi non appena aveva colto la risata del figlio. La stava prendendo in giro!

"Ti sembra così strano, vero, che mi sia innamorato?" aveva chiesto Andrew.

"No, ero certa che prima o poi ti sarebbe successo. È solo che..."

"Non ti aspettavi che mi innamorassi di una francese? Ma Nicole è una lady inglese. Ha origini francesi solo per parte di madre e risalgono ad almeno quattro, se non cinque, generazioni fa".

"No, non è neppure quello a sorprendermi. È solo che così sarai tanto lontano... Lo so, lo so, devo smetterla di fare la madre chioccia" lo aveva prevenuto lei.

"A me piace che tu sia una mamma chioccia... Ad ogni modo è prematuro fare questi discorsi, quando lei non mi ha ancora voluto".

"Oddio, ti trasferirai davvero in Europa, allora!"

"Mamma, ma mi stai ascoltando?"

"Assolutamente, Andy" aveva risposto.

"E allora..."

"Lei non ti ha ancora voluto ma prima o poi ti vorrà... Se sei innamorato di lei nonostante non ti abbia ancora ricambiato, quando lo farà non avrai scampo".

"Lo dici come se fosse una tragedia" aveva detto lui, con un misto d'ansia e divertimento.

"No, caro. Sono felice per te. È solo che mi mancherai..."

"Mamma, vivo già per tre quarti dell'anno altrove".

"Lo so... E poi ci sono gli aerei... Però saresti dall'altra parte del pianeta. Ma ora raccontami meglio di questa sera e della faccenda dei diari, che mi ha incuriosito parecchio".

E così Andrew le aveva spiegato tutto quanto. Mano a mano che proseguiva nel dirle quanto aveva saputo degli antenati di Nicole -anche quel nome al femminile le faceva venire i brividi- a Sarah quella storia sembrava tutto fuorché una coincidenza. Dopo avergli fatto una serie di domande tra cui quella diretta relativa ai nomi dei due antenati e aver saputo che ancora non li conosceva, per sua esplicita volontà in quanto voleva immaginarseli a suo piacimento mentre dei nomi lo avrebbero condizionato, Andrew aveva iniziato ad intuire qualcosa e le aveva chiesto cosa sapeva lei di tutta quella faccenda. E così, per la prima volta, aveva raccontato a suo figlio tutta la vicenda del diario di un conte francese ritrovato tra le carte di un ammiraglio americano e di come quel ritrovamento avesse influito tanto sulla storia d'amore tra lei e suo padre. Gli aveva anche detto dell'inaspettato incontro con lord Montagu e di quanto avevano saputo dal discendente di Lady Sarah.

"Quindi il mio nome è per ricordare sia il conte sia l'ammiraglio..." aveva dedotto il figlio. Poi aveva aggiunto che trovava sorprendente anche l'assonanza tra i due nomi del passato e quelli dei suoi genitori.

"È davvero tutto molto strano e al tempo stesso affascinante. Quindi tu e papà avete letto il diario mancante?" aveva domandato, rapito da tutta quella incredibile vicenda. Sarah aveva sorriso, cogliendo lo stupore del figlio, anche se non se ne sorprese. Fin da piccolo era sufficiente raccontargli di come le formiche costruivano la loro casa perché la sua immaginazione prendesse il volo e iniziasse a costruire una piccola avventura partendo da un formicaio.

"Già... Sempre che quello letto da me e tuo padre sia il diario dello stesso uomo che ha scritto quelli che state leggendo voi".

"Lo saprò presto. Vado subito ad accertarmene e ti farò sapere. Ciao mamma" ed aveva chiuso la telefonata con la stessa rapidità con cui da piccolo si catapultava in giardino a giocare.

Andrew era nato e cresciuto a Londra, dove avevano vissuto per sei anni in una casetta che ricordava quella dei Banks in Mary Poppins, in una strada molto simile al viale dei Ciliegi disneyano: nonostante fosse passato un secolo dall'ambientazione temporale del film, in alcune zone della città il tempo sembrava essersi fermato. Vi si erano trasferiti dopo la nascita di Andrew, quando era ormai evidente che l'incarico di Harm a Londra sarebbe durato per alcuni anni. Nonostante amassero entrambi la loro vita in America e sperassero di farvi ritorno prima possibile, sia lei che Harm avevano accolto con serenità l'idea che il ritorno in patria sarebbe avvenuto sì, ma col tempo.

Per intercessione del Segretario, era potuta restare in Inghilterra e lavorare a fianco di Harm, che aveva sposato con una cerimonia organizzata da Harriet, durante un week-end in cui erano volati in America solo per evitare che parenti e amici si spostassero a Londra, dove lei non conosceva ancora nessuno.

Sia poco prima della cerimonia, sia nelle settimane successive, Clayton non aveva fatto altro che tentare di dissuaderla e convincerla a tornare con lui. Non si rassegnava a come lo aveva lasciato per stare finalmente con Harm. Se da un lato poteva comprendere il suo disappunto -in fondo non si era comportata granché bene con lui- dall'altro la sua continua insistenza lo aveva fatto ben presto passare dalla parte del torto ed era stato necessario l'intervento dell'Ammiraglio col quale si erano confidati per farlo desistere. Ciononostante per diverso tempo, anche dopo la nascita del bambino, Sarah non aveva smesso di avere la sensazione di essere seguita. Non aveva detto nulla al marito, ma l'Ammiraglio le aveva suggerito prudenza. Nelle settimane in cui Trish e Frank si erano fermati a Londra per conoscere il loro nipotino si era resa conto che quella sensazione era scomparsa e non era più tornata. O si era immaginata tutto a causa del senso di colpa, oppure Clayton alla fine si era rassegnato.

Belinda era stata più comprensiva: non aveva fatto scenate, si era ritirata di buon grado, rivelandosi una donna intelligente e amabile. Col tempo erano diventate persino amiche e, quando aveva sposato un medico contro il volere della madre, lei e Harm erano stati felici di accogliere anche Paul nella piccola cerchia di amici londinesi. Tra l'altro Paul era un pediatra, ed era il dottore di Andrew da quando era nato: Belinda lo aveva conosciuto proprio a casa loro una volta che era passata a trovare il piccolo che aveva la febbre. Dopo trent'anni e nonostante la lontananza, erano ancora amici e Andrew li chiamava da sempre zio Paul e zia Belinda.

Quando erano tornati in America la loro vita era ripresa all’incirca come prima, col lavoro ad impegnarli, anche se non più nelle missioni pericolose di un tempo. Harm ogni tanto si lamentava delle scartoffie da Ammiraglio a capo del Jag e rimpiangeva i bei tempi in cui volava sugli F14, ma Sarah sapeva che in fondo era orgoglioso della nomina, che riconosceva le sue qualità non solo di militare ma soprattutto dell'uomo.

Da parte sua era felice per lui e per il fatto che non dovevano più volare da un capo all'altro del pianeta, se non per trovarsi ogni tanto con Paul e Belinda. Le sue aspirazioni di carriera e l'ambizione che l'aveva sempre spinta a competere con Harm si erano placate quando si erano sposati ma soprattutto quando era nato Andrew. Lavorava ancora con piacere e orgoglio, ma essere diventata madre aveva riempito quel bisogno costante di approvazione che aveva sempre ricercato negli altri e nelle sfide con se stessa. La maternità e l'amore del marito le avevano dato quella serenità che ricercava fin da bambina.

E così la vita era trascorsa tra una festa di compleanno e i successi scolastici del figlio, e nel giro di poco si erano ritrovati in casa prima un bambino, poi un ragazzo ed infine un giovane uomo.

Alla morte di Trish, rimasta già vedova alcuni anni prima, Harm aveva ereditato la casa in California che all’inizio avevano usato per le vacanze, per poi trasferirsi definitivamente cinque anni prima, quando entrambi avevano concluso la carriera lavorativa. Harm talvolta si recava ancora a Washington quando alla Casa Bianca avevano bisogno di un parere in cui l'esperienza dell'ex capo del Jag, che aveva vissuto anche numerose esperienze come militare sul campo e, soprattutto, come aviatore, poteva essere determinante; oppure ci andavano insieme, a trovare gli amici o per partecipare a qualche festa importante.

Il trasferimento a La Jolla era coinciso anche col successo di Andrew come scrittore, il quale aveva lasciato il nido appena terminati gli studi e si era trasferito a New York ad insegnare e scrivere; dalla pubblicazione del suo primo romanzo li raggiungeva in California ogni volta che terminavano tutte le incombenze legate al lancio del nuovo libro. Restava da loro un paio di settimane per riprendersi, così diceva, dallo stress e ritrovare l'ispirazione. In quei giorni cavalcava, nuotava e pilotava il vecchio aereo del padre, regalando così ad Harm la gioia di salirci di nuovo sopra almeno una volta all'anno, dopo che gli era stato impedito dall'ultima visita di idoneità al volo alla veneranda età di quasi sessant’anni. Padre e figlio sparivano per una giornata intera e al loro ritorno Harm sembrava più giovane di vent’anni.

Quella era la prima volta, da quando era diventato famoso, che non li raggiungeva dopo la pubblicazione del romanzo. Alla luce di quanto aveva appreso dalla telefonata, la profonda crisi di suo figlio legata al cambiamento che desiderava per la sua professione a quanto sembrava lo aveva condotto non solo oltre oceano, ma anche incontro al proprio destino.

 

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Capitolo 32
*** Desiderio ***





Capitolo XXXII

Desiderio



Si stirò, appagata, e poi girò il capo per imprimersi nella mente l'espressione che assumeva nel sonno. Lei, invece, non era riuscita a chiudere occhio, nonostante fosse spossata dalle lunghe e intense ore d'amore appena vissute.

Non appena si mise a contemplarlo si sentì assalire da un'altra ondata di desiderio. Faticò a riconoscersi, perché una voglia tanto intensa non l'aveva mai provata, per nessun uomo. Neppure per Christopher.

Si disse che doveva lasciarlo riposare almeno qualche ora; ne aveva bisogno, dopo tutte le volte che l'aveva portata al culmine dell’estasi. Sembrava si fosse posto l'obiettivo di procurarle piacere finché non fosse diventata insensibile al suo tocco. Il problema era che lei sembrava rinascere ad ogni suo tocco e non smetteva di desiderarlo.

Anche in quel momento ogni dettaglio del suo volto, ogni particolare del suo corpo, non facevano altro che farle desiderare di svegliarlo per poterlo amare di nuovo.

Quando l'aveva presa sul tappeto era stato intenso e appassionato. Amava descriverle a parole ciò che voleva farle, per poi, un attimo dopo, mettere in pratica ciò che le aveva promesso. All'inizio aveva pensato fosse una sua piccola mania, ma ben presto aveva capito che Andrew le parlava solo per eccitarla di più. Usava la propria abilità nel raccontare e la sua capacità di visualizzare per rendere più erotico ogni gesto e caricarlo di aspettativa, al fine di coinvolgerla il più possibile nella propria fantasia.

Più tardi l'aveva presa in braccio e portata a letto. Durante il breve tragitto dallo studio alla zona notte dello Chateau, stretta a lui e coperta solo dall'abito rosso che Andrew le aveva avvolto attorno al corpo, si era sentita come una vergine d'altri tempi che aveva appena scoperto le gioie del talamo nunziale. Nelle ore successive, invece, mentre lui l'amava di nuovo con dolcezza e nel più assoluto silenzio, si era resa conto di passare da uno stato d'animo all'altro, quasi che quell'uomo affascinante fosse in grado di far uscire dal suo profondo tutte le sfaccettature della sua personalità e i desideri più intimi, che neppure lei sapeva di possedere. Dal languore voluttuoso e inesperto della fanciulla appena posseduta, era passata al desiderio intenso e sensuale di una donna disinvolta che esigeva un uomo nel proprio letto, e quel desiderio intenso e possessivo non l'aveva ancora abbandonata. Osservandolo si rese conto di volere anche qualcos'altro.

Facendo attenzione a non svegliarlo si alzò; infilata la camicia di Andrew, scese rapida le scale e raggiunse lo studio, dove recuperò la macchina fotografica, alcuni indumenti che avevano dimenticato e il diario del suo antenato. Ritornata in camera e constatato che lui dormiva ancora, iniziò a fotografarlo; dopo i primi scatti si decise a spostare il lembo di lenzuolo che gli copriva i fianchi e lo inquadrò da varie angolazioni: Andrew era steso prono, il volto appoggiato sulla guancia sinistra e il braccio che ricadeva rilassato giù dal letto. La penombra donava alla curva dei suoi glutei e alle gambe un che di sensuale, allontanando l'idea di volgarità che un’illuminazione eccessiva avrebbe potuto suggerire nel ritratto di un corpo nudo in una posa tanto vulnerabile.

Per Nicole la fotografia non era solo un'arte, ma anche una forma di terapia personale; aveva da presto compreso che ogni sua foto raccontava, non solo agli altri ma soprattutto a lei stessa, i moti del suo cuore e della sua mente. In maniera inconscia ritraeva sempre ciò che più la turbava, sia in negativo sia in positivo. Era sempre l'istinto a guidarla e ogni volta, osservando le foto, intuiva cosa c'era dietro ad una certa scelta istintiva. A volte riusciva persino a percepirlo prima ancora di premere l'otturatore, semplicemente dalla scelta delle inquadrature. Come in quel momento: le immagini che si presentavano ai suoi occhi, mentre guardava il corpo nudo del suo amante attraverso l'obiettivo, suggerivano ben più di sesso e passione; la scelta dell'angolazione, della luce, della posa... tutto indicava un sentimento più profondo del mero desiderio fisico. Forse sarebbe stato meglio evitare quegli scatti, in fondo non aveva mai desiderato ritrarre nessun uomo con cui era andata a letto. Neppure Christopher.

Andrew, però, era un'altra faccenda.

Combattuta tra il desiderio e la paura di amarlo, continuò a girargli intorno, inquadrandolo, finché non riuscì più a resistere a quell'immagine di splendore maschile e scattò diverse foto prima che lui la apostrofasse con voce assonnata e divertita.

"Stai per rendermi il favore e regalarmi il tuo Sogno di inizio estate?"

Lei non rispose e continuò a scattare, anche quando lui si voltò di fianco e rese la sua posa ancora più censurabile.

"Hai idea dello scoop che hai tra le mani?" aggiunse lui, per provocarla.

"Temi che possa inviarle al rettore della tua università? Il professore modello immortalato in un servizio a luci rosse..." rispose finalmente lei, senza smettere di scattar foto.

"Non mi preoccupo di questo".

"Giusto. Le tue studentesse impazzirebbero per queste foto" aggiunse lei, del tutto ignara di aver realmente tra le mani la possibilità di un enorme scoop: la svelata identità del giovane scrittore del mistero, per di più senza veli.

"A quanto pare impazzisci anche tu" commentò lui, che stava riflettendo sul perché di quelle foto.

Lei fece qualche passo in direzione della pediera del letto, alla ricerca della giusta angolazione e fotografò il suo corpo nudo disteso su un fianco; riuscì a ritrarlo di fronte,  inquadrato dalla testa ai piedi, senza che l'immagine rivelasse il suo membro scoperto.

Soddisfatta di quell'ultimo scatto ripose la macchina fotografica, prese il diario del suo antenato e tornò a sedersi sul letto; tuttavia Andrew ignorò il suo suggerimento e non mollò la presa.

"Perché queste foto? Credevo ti bastassero quelle di ieri notte per soddisfare la tua lussuria" la provocò divertito, pregustando la sua reazione offesa poiché era conscio d'esser stato lui a coinvolgerla in una sequenza di foto altamente erotiche.

Invece la sua risposta lo stupì.

"L'alternativa era saltarti addosso mentre stavi ancora dormendo e non mi sembrava carino".

"Avresti potuto svegliarmi...".

"Avevi bisogno di dormire. E poi nelle foto di stanotte il soggetto più esposto ero sempre io. Dovevo porvi rimedio" disse lei fingendo d'essere seria, ma senza riuscirci.

"E dimmi" proseguì lui con lo stesso tono di finta serietà "hai ancora voglia di saltarmi addosso?"

"Preferisco leggere il diario".

"Mhmm... Davvero?" la provocò a parole e poi fece immediatamente seguire i fatti: le si avvicinò e prese ad accarezzarle la gamba nuda, dal polpaccio all'attaccatura della coscia, sfiorando volutamente l'intimità del suo corpo appena coperta da ciò che lei indossava.

"Mi piace come ti sta la mia camicia..." mormorò al suo orecchio, mentre le toglieva dalle mani il diario e lo posava a terra.

"A questo penseremo dopo...".

Dopo furono alcune ore più tardi.

Scesero in cucina per recuperare del cibo che Madeleine aveva preparato il giorno prima, dopo aver chiesto il permesso per assentarsi un paio di giorni col marito. Mentre riempiva due vassoi con le leccornie che l'anziana governante aveva lasciato in frigo, Nicole si domandò se i domestici non si fossero allontanati apposta per lasciarli soli.

Consumarono il pasto a letto e, finalmente, ripresero la lettura del diario dal punto in cui lo avevano lasciato prima di essere assorbiti dalla festa e da ciò che era seguito.

 

 

 

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Capitolo 33
*** Sfumature di un inganno ***



Capitolo XXXIII



Sfumature di un inganno




"Com'è andata?".

La domanda di Thomas la raggiunse non appena fu entrata nella stanza dove, se ne rese conto solo in quel momento, lui la stava aspettando.

"Bene... credo. Ho atteso per alcuni minuti fuori dalla mia camera..." rispose lei, con un accenno di esitazione nella voce.

Lui la scrutò alla luce del camino: sembrava turbata.

"E' accaduto qualcosa? "

"No, no, state tranquillo. Tutto procede come abbiamo pianificato."

"Allora perché siete turbata?"

Cosa poteva rispondergli?

Che trovarlo lì, ad attendere Lady Sarah per riaccompagnarla a Beaulieu in caso il piano fosse fallito, e presentarsi a lui in camicia da notte non era ciò che ci si aspettava da una giovane di buona famiglia, benché vedova? Il fatto era che non ci aveva neppure pensato: uscita dalla camera da letto con ancora il timore di essere scoperta, non si era domandata se il Conte si trovasse ancora nel salottino dove lo aveva fatto accomodare con Lady Sarah quando erano arrivati... Ci era ritornata -punto- sapendo che la Duchessa lì l'avrebbe raggiunta non appena il Duca si fosse addormentato, se le cose non fossero andate come tutti loro speravano.

Oppure che sedurre il Duca di Lyndham per convincerlo a trascorrere la notte con lei e poi lasciarlo a sua moglie non era stato affatto facile? Nicholas era un uomo affascinante e, anche se ora lo considerava solo un amico, era pur sempre una giovane donna che non aveva mai conosciuto la passione e che desiderava sperimentarla.

"È solo un po’ di nervosismo, all'idea che qualcosa potesse andar storto..." si limitò a dirgli, e in parte era vero.

Quando si era alzata dal letto per chiudere le tende, così gli aveva detto, e permettere alla moglie di prendere il suo posto, aveva temuto che lui si accorgesse dello scambio e si infuriasse. D'altro canto si sentiva anche in imbarazzo con Lady Sarah che, nascosta già da prima nella camera, aveva assistito all'opera di seduzione che aveva dovuto inscenare per farlo capitolare. Nonostante ne avessero parlato quando lei e Thomas le avevano spiegato la loro teoria e il piano che aveva escogitato, la Duchessa era ancora restia a credere a quanto le avevano detto e aveva accettato, Eleanor ne era sicura, lo aveva captato dallo sguardo ancora innamorato della donna, solo per trascorrere ancora una notte tra le braccia del marito. Si era infatti mostrata alquanto scettica quando le avevano detto d'esser certi che Nicholas l'amava come un tempo: con estrema razionalità aveva confutato la loro convinzione sostenendo che se Lady Cavendish fosse riuscita nell'intento di portarsi a letto il marito al fine di permettere lo scambio di persona, ciò stava a significare che Nicholas non l'amava più. A quelle parole in effetti molto logiche, né Eleanor né Thomas erano riusciti  a ribattere qualcosa; comunque alla fine Lady Sarah aveva acconsentito e ora Eleanor poteva solo sperare che quella notte, nonostante l'inganno, sistemasse le cose tra marito e moglie e che Sarah scordasse prima possibile d'averla vista e sentita sedurre il consorte.

Era felice che almeno Thomas non fosse stato presente, benché sapeva che sarebbe stato in grado di immaginarsi comunque la scena. Già così era imbarazzata a sufficienza.

Doveva ammettere che Nicholas non era stato un osso duro come temeva: non appena era giunto a palazzo rispondendo al suo invito, si era subito reso conto che la motivazione che aveva letto sul biglietto col quale lei lo aveva pregato di raggiungerla era una scusa, poiché lo aveva accolto nel propria stanza da letto, illuminata solo dalla luce tenue di una candela, in un negligè di pizzo e seta. Si era irrigidito non appena lo aveva sfiorato e l'aveva fermata quando l'aveva baciato, rammentandole quanto detto alcune sere prima. Lei aveva insistito, ricordandogli a sua volta il bacio appassionato che si erano scambiati proprio in quell'occasione... Era proprio a causa di quel bacio che ora si trovava lì: avendo colto la sua passione e il suo desiderio a lungo insoddisfatto, temeva che prima o poi qualche presunta amante riuscisse a fargli tradire la moglie. A quel punto preferiva essere lei la fortunata. Lui aveva esitato, come combattuto per la propria decisione; dopo qualche attimo, tuttavia, l'aveva guardata incuriosito e intrigato e aveva capitolato prima del previsto, prendendola tra le braccia e facendole desiderare, per un momento, di non dover essere un'amica leale.

Quando aveva esposto il suo piano a Thomas e anche dopo, quando lo aveva spiegato a Sarah, egli non aveva detto nulla, il volto teso in una maschera di marmorea indifferenza, attraverso la quale non traspariva alcuna emozione. Non aveva obiettato al piano, ma non si poteva neppure dire che ne fosse entusiasta. Di certo temeva che le si sarebbe rivoltato contro, inducendola a cacciarsi nei guai se si fosse innamorata dell'amico. Alla luce di come si era sentita turbata quando Nicholas l'aveva baciata e trascinata nel letto, forse Thomas aveva ragione a temere per lei. Tuttavia lei era certa che il turbamento provato fosse solo dovuto al risveglio dei sensi e non all'amore... Era sicura di provare per il Duca solo dell'affetto, ma era comunque un uomo tra i più avvenenti che avesse mai visto, e poi baciava benissimo...

"Non abbiate timore. Non vi giudico per ciò che avete fatto: la vostra idea era eccellente".

Sorpresa lo guardò: ancora una volta Thomas le aveva letto nel pensiero. Era inquietante osservare come sapeva sempre ciò che le passava per la testa.

"Vi ringrazio. Non credevo che approvaste. Non vi siete mai espresso in proposito".

"Lo so..." le disse senza fornire altre spiegazioni, ma avvicinandosi, prendendole una mano e portandosela alle labbra. Sfiorò un dito alla volta e poi risalì a baciarle l'interno del polso.

"Thomas..." tentò di fermarlo lei "non credo sia il caso..."

"Sì, invece" disse deciso "avete un aspetto troppo perfetto..."

"Cosa intendete?" domandò lei in un sussurro, eccitata dalle sensazioni che stava provando mentre lui continuava a sfiorarle la mano con la propria. Era ancora troppo vulnerabile per un ulteriore attacco ai suoi sensi già eccitati da Nicholas.

"Quando Nick vi rivedrà, più tardi, dovrete sembrare una donna soddisfatta dopo una notte di passione..." disse, avvicinando il volto al suo.

"Ma ciò che noi speriamo è che lui non mi riveda" disse, cercando di fermarlo. Ma a quanto sembrava, fermarsi non era nelle sue intenzioni.

"Adesso avete solo l'aria di una donna colpevole di un inganno". Le depose un lieve bacio prima sulla tempia, poi sulla guancia, mentre la mano che prima sfiorava la sua era risalita ad accarezzarle il braccio nudo.

"Thomas... " esalò in un sospiro il suo nome, eccitata dai brividi che stava provando.

Le labbra di lui raggiunsero l'angolo della sua bocca dove egli depositò lievi baci, leggeri come il tocco di una piuma. Poi sussurrò, deciso:

"Dovrete avere l'aria di una donna che sia stata appena e a lungo baciata".

"Thomas... vi prego..." ciò che le stava facendo era una tortura peggiore di quella appena vissuta tra le braccia di Nicholas. Il conte di Linley era più sfacciato e più temerario di quanto sembrasse a prima vista.

Lui non si fece fermare dalla sua indecisione e prese a torturarle le labbra con le proprie, senza tuttavia baciarla realmente. La stuzzicava, sfiorando al tempo stesso con le mani il volto, i capelli, le spalle nude... finché lei non socchiuse d'istinto la bocca: allora, deciso, la invase e la baciò a lungo, con una passione che mai si sarebbe aspettata da lui.

Persa in quel bacio infuocato, per un breve attimo si disse che anche il conte baciava benissimo... forse la stava baciando persino con più trasporto... ma ben presto lasciò perdere qualsiasi paragone e si abbandonò alle sensazioni.

Sentì il suo corpo eccitarsi ed il proprio illanguidirsi sotto quell'assalto dei sensi e intuì che lui non stava agendo per il nobile scopo di renderla più credibile agli occhi dell'amico, o almeno non solo. Quella consapevolezza la aiutò a lasciarsi andare ancora di più e godere appieno di ciò che lui aveva intenzione di donarle.

Ciò che non aveva capito era che Thomas non aveva programmato nulla, ma stava agendo per puro istinto, quell'istinto che non aveva saputo reprimere vedendola entrare nella stanza con indosso solo quel negligè in pizzo e negli occhi un turbamento che aveva temuto essere causato dai sentimenti per Nicholas.

Non voleva perderla.

Era ancora in tempo, o almeno lo sperava, per evitare che l'infatuazione per l'amico si trasformasse in qualcosa di più profondo e aveva deciso di essere meno gentiluomo e più diretto. Non si aspettava, tuttavia, quell'esplosione di desiderio da parte di entrambi.

La strinse tra le braccia, facendo aderire i loro corpi e Eleanor emise un gemito di piacere, mentre finalmente si lasciava andare e rispondeva alle sue attenzioni. Si aggrappò alle sue spalle e gli infilò una mano tra i capelli, in una dolce carezza che gli fece perdere quel poco di buonsenso che gli restava.

Non aveva avuto intenzione di arrivare fino a quel punto, aveva pensato solo di baciarla... ma sentirla rispondere in maniera tanto appassionata ai suoi baci gli fece desiderare di toccarla e, mentre una mano scendeva a sollevarle la camicia da notte fino a scoprirle le gambe e l'altra si insinuava ad accarezzarla nella sua parte più intima, Thomas si rese conto di non agire per renderla più credibile agli occhi dell'amico, quanto piuttosto per soddisfare il proprio desiderio.

Lei sussultò quando si rese conto della sua audacia, ma egli le sussurrò sulle labbra:

"Non fermatemi, Eleanor. Lasciatemi continuare..."

Lei non rispose ed egli interpretò il suo silenzio come un invito a proseguire e nei minuti successivi le regalò un piacere che non aveva mai provato. Suo marito, infatti, si era limitato a possederla e, benché la trattasse con affetto e rispetto, si era sempre preoccupato solo di se stesso. I loro amplessi erano finalizzati unicamente alla procreazione di quell'erede che ancora sperava di avere.

Thomas invece la stava toccando con l'unico fine di donarle qualcosa, se ne rendeva conto da come era attento ad ogni sua reazione e da come assecondava ogni suo movimento incontrollato. La guardava con dolcezza, le baciava le labbra, scendendo lungo la gola... La mano che prima aveva sollevato la camicia da notte, era risalita ad accarezzarle il seno, per regalarle maggiori brividi... E lei esplose proprio in quel momento, in un appassionato susseguirsi di sussulti e gemiti.

Quando lui l'abbracciò con tenerezza, sorreggendola, Eleanor si rese conto che quello che le era appena accaduto era ciò che lui aveva inteso donarle.

"Ecco, ora non siete più troppo perfetta, ma avete l'aspetto di una donna soddisfatta..." le disse lui con un sorriso accompagnato da una dolce carezza sulla guancia, mentre la guardava in volto e ne osservava gli occhi languidi, i capelli spettinati e le labbra arrossate.

Nonostante l'imbarazzo, Eleanor lo scrutò a sua volta e gli domandò:

"È stato solo per questo che lo avete fatto? Solo per darmi il giusto aspetto per quando Nicholas mi rivedrà?"

"Voi cosa ne pensate?" domandò lui a sua volta. Poi, vedendo che non rispondeva, le sfiorò con le labbra il dorso della mano, come l'ineccepibile gentiluomo che era e, mentre si allontanava da lei per tornare a sedersi sulla poltrona che lo aveva ospitato quando la sapeva tra le braccia del'amico, aggiunse, spiazzandola:

"Decidete voi, Eleanor, quali sono state le mie intenzioni, stasera. Dalla vostra decisione dipenderà il futuro del nostro rapporto".

 

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Capitolo 34
*** Novità ***





Capitolo XXXIV

Novità



"Tutto bene?" chiese Nicole. Si era accorta che anche lui era stato impegnato in una telefonata, che aveva concluso proprio mentre lei rientrava in camera.

"Sì. E tu?" le domando a sua volta.

"Era la mia assistente... Ho notizie fantastiche!"

Andrew sorrise, immaginando la conversazione tra Nicole e mademoiselle Valens.

Era mezzogiorno ed erano ancora a letto, intenti a leggere il diario del Duca, quando il cellulare di Nicole era squillato e lei era uscita per rispondere, immaginando che si trattasse di ordini del fratello. Non voleva rovinare quella splendida giornata ed era intenzionata a troncare subito la conversazione, ma aveva colto fin dalle prime parole di saluto il tono concitato ed entusiasta della sua assistente. Lui ne aveva approfittato per chiamare la madre e aggiornarla sulle ultime novità.

"Non ci crederai, ma Alex Andrews si è rifatto vivo e vuole incontrarmi!"

Ci credeva, eccome.

Il pomeriggio precedente, dopo aver parlato con sua madre, dopo aver visitato le tombe e prima di scendere per accompagnarla alla festa, aveva chiamato mademoiselle Valens per dirle che era intenzionato ad incontrare Lady Sinclair. Ovviamente si era presentato nelle vesti di Alex Andrews, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno: l'assistente di Nicole, infatti, lo aveva riconosciuto subito dalla voce non appena l'aveva salutata. Si era raccomandato di attendere l'indomani, fino a mezzogiorno, prima di contattare Sua Signoria, per dargli il tempo di verificare col suo agente eventuali altri impegni. Se non lo avesse risentito nel frattempo, poteva dire a Lady Sinclair che l'avrebbe incontrata a Parigi fra tre giorni. Mademoiselle Valens non aveva atteso un minuto più del necessario: il cellulare di Nicole era squillato alle dodici in punto.

"Lo incontrerai?"

"Stai scherzando, vero? Certo che lo incontrerò! Non ho intenzione di lasciarmi sfuggire un'altra volta un'occasione simile".

"Nonostante come ti ha trattato? Sei disposta a perdonarlo?"

"Lui non sa che non è stato per mia volontà che ho disdetto più volte i nostri appuntamenti. Quindi, dal suo punto di vista, è lui che ha perdonato me, se di perdono vogliamo parlare. E comunque non mi importerebbe, neppure se fossi io a dovergli perdonare qualcosa. Non vedo l'ora di conoscerlo!"

Lui abbassò lo sguardo, imbarazzato. Un gesto che a lei non sfuggì.

"Che hai?"

"Niente".

Invece qualcosa c'era, eccome.

Nonostante avesse deciso di rivelarle chi in realtà lui fosse, non era più sicuro di come lei avrebbe reagito quando avrebbe scoperto la verità. Aveva paura di perderla. E ora, dopo quanto era successo tra loro, temeva quell’eventualità per la prima volta in vita sua.

"Non sarai geloso?" domandò lei, sorpresa.

"Non eri così felice di rivedermi, quando sei arrivata qui due settimane fa. E neppure di lavorare insieme, quando te l'ho proposto. Saresti altrettanto magnanima con me, se avessi fatto qualcosa per cui farmi perdonare?"

"Sei geloso" asserì lei, con un sorriso, senza rispondergli, immaginando che la sua fosse una domanda retorica.

Invece Andrew cominciava davvero a temere il momento in cui le avrebbe rivelato la sua vera identità.

Non commentò, lasciando che traesse le proprie conclusioni.

"Non immaginavo fossi un tipo geloso... Né un tipo possessivo" gli disse mentre si stendeva di nuovo nel letto accanto a lui.

"Tu non lo sei?" chiese lui.

"Gelosa? O possessiva?"

"Entrambe le cose".

"No. Non direi...".

"Quindi se ti dicessi che nel momento in cui tu sarai con il tuo scrittore preferito io vedrò Monique, per te non ci sarebbero problemi?"

Sapendo d'averla colpita e affondata la sbirciò di sottecchi, con un sorriso divertito sulle labbra.

Lei si limitò a rispondergli touché, facendolo scoppiare in una risata divertita e al tempo stesso confortante.

"Tranquilla, non ho alcun desiderio di rivedere Monique. Voglio solo te e spero che anche per te sia altrettanto. In caso contrario, ci sarà da qualche parte in questo castello una spada del tuo antenato con cui sfidare a duello questo scrittore da quattro soldi!” disse, facendo scoppiare a ridere lei.

“E ora rimettiamoci al lavoro: se nelle prossime settimane sarai impegnata con mr. Andrews, voglio sfruttare al meglio il tempo per noi che ci resta. Dobbiamo darci una mossa a leggere i diari che rimangono. E non solo quello…" aggiunse, ammiccando malizioso.

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** Un nuovo piano ***



Capitolo XXXV



Un nuovo piano




Nicholas voleva rivederla.

Doveva ammettere di non aver previsto un risvolto simile quando aveva ideato il piano. Era sicurissima che, se nel frattempo non l'avesse scoperta, dopo aver pensato d'aver tradito la moglie il Duca si sarebbe ricreduto e sarebbe tornato comunque da lei. Invece voleva trascorrere un'altra notte con la donna che riteneva essere diventata la sua amante. L'aveva detto alla moglie prima di addormentarsi tra le sue braccia, credendola l'altra.

Quando Lady Sarah aveva raggiunto lei e Thomas nel salottino dove entrambi l'attendevano in silenzio, era talmente turbata da non accorgersi neppure dell'imbarazzo che regnava tra il Conte e Lady Cavendish. Eleanor stava ancora tentando di riprendersi dal momento di appassionata intimità che avevano appena vissuto e non riusciva a sostenere il suo sguardo, che invece non l'abbandonava un momento. Il Conte di Linley aveva amoreggiato con lei lì, in quella stanza, addirittura in piedi, praticamente sulla porta. E lei non solo glielo aveva permesso, ma ne aveva anche goduto: se fosse stata sincera con se stessa, avrebbe persino ammesso di desiderarlo ancora.

"Sarah, che vi succede?"

Era stato Thomas a riprendersi per primo e notare il turbamento della donna.

"Oh, Tommy..."

La Duchessa si era rifugiata nell'abbraccio consolatorio dell'amico ed Eleanor si era scoperta invidiosa e al tempo stesso meschina: possibile che fosse gelosa di Lady Sarah e del Conte di Linley?

"Vuole rivedervi" aveva detto, rivolta verso di lei. Il tono non era accusatorio, solo triste. Poi aveva proseguito raccontando che, per tutta la durata dell'amplesso, il marito l'aveva sempre chiamata Eleanor, dicendole ogni volta quanto fosse bella, quanto egli l'avesse desiderata fin dalla prima volta che l'aveva vista, quanto avesse atteso un momento come quello, nonostante il suo recente comportamento, quanto fosse importante per lui non farle del male.

"È evidente che tiene molto a voi" aveva aggiunto, infine, rassegnata.

Eleonor si era sorpresa.

"Ma non è vero! Non può aver detto quelle cose..." aveva ribattuto a sua volta.

Era sconvolta. Thomas la stava osservando senza fiatare e lei non osava domandargli a cosa stesse pensando. Si era resa conto, all'improvviso, che la sua opinione contava molto: in meno di un'ora, il Conte di Linley le si era insinuato sotto pelle e ora la richiesta di Nicholas, anziché lusingarla, la infastidiva.

"Dovete accettare e dare un'altra possibilità a Sarah" si era espresso lui, sorprendendo entrambe.

"Ma..." aveva tentato di obiettare lei. Inutilmente. Egli l'aveva convinta, sostenendo che il piano era suo e ora toccava a lei fare in modo che la faccenda terminasse come auspicavano. Non potevano permettere che Nicholas pensasse di aver fatto l'amore con lei e desiderarla ancora.

Non aveva potuto tirarsi indietro, altrimenti avrebbero pensato che era interessata a Lord Thornton.

E così quella sera avrebbe dovuto fingere di nuovo. Ma, forse, ciò che temeva di più, era l'idea di ritrovarsi di nuovo sola con il Conte mentre Lady Sarah sarebbe stata ancora tra le braccia del marito.

Stava pensando a cosa escogitare per evitarlo, quando il maggiordomo le annunciò una visita.

"Buongiorno mia cara" la salutò il Duca con affetto, avvicinandosi e baciandola sulle labbra come minimo cinque ore prima del previsto.

"Nicholas..." il suo nome fu tutto ciò che riuscì ad uscire dalla sua bocca.

"Non siete contenta di rivedermi, mia cara?" domandò lui ed ella colse un qualcosa di strano nella sua voce: un lieve accenno divertito che stonava col tono da tenero amante. Anche il bacio, benché glielo avesse dato sulle labbra, era stato rapido e per nulla appassionato.

"Sì, certo. Ma vi aspettavo questa sera, mio caro..." rispose facendogli il verso, decisa a stare al gioco e scoprire cos'aveva in mente.

"Per un'altra notte infuocata..." annuì lui, con sguardo sognante. Poi aggiunse:

"È piaciuta anche a voi. Avevate un aspetto deliziosamente arruffato e soddisfatto quando mi sono risvegliato!"

Il tono si era fatto ancora più divertito, a quelle parole. Eleanor decise di continuare nella farsa. Era ormai certa che Nicholas avesse in mente qualcosa.

"Non devo di certo dirvi io che siete un amante focoso e molto abile".

"Mhmm... Addirittura focoso! Il molto abile me lo aspettavo, ma addirittura focoso..."

"Suvvia, non siate modesto".

"Oh, ma non lo sono affatto. Nel mio caso, infatti, mi definirei un amante superlativo. Chi non immaginavo addirittura focoso è Tommy. A volte ha un'aria così... così distaccata ed eterea, nonché annoiata, che non avrei mai creduto che fosse anche focoso. Dovete averlo colpito molto, mia cara Eleanor!" E, a quelle parole, le fece uno dei suoi meravigliosi sorrisi.

"Quando lo avete capito?" domandò lei, arrendendosi di fronte all'evidenza.

"Poco prima di decidere di trascinarvi nel letto... Ho colto nell'aria il profumo di mia moglie" aggiunse poi, rispondendo alla muta domanda nei suoi occhi.

Lei annuì, ricordando l'attimo di esitazione che aveva avuto: aveva creduto che stesse decidendo se lasciarsi andare alla passione per lei, invece lui stava cercando di interpretare la recente scoperta e valutando come agire. Ammirò il suo sangue freddo e la sua capacità di decidere le sue mosse in una manciata di secondi.

"Comunque non sottovalutatevi mia cara. Resistere alla vostra appassionata opera di seduzione non è stato facile".

"Siete arrabbiato?"

"Sono sorpreso. Non mi aspettavo un piano tanto astuto e, soprattutto, che Sarah vi acconsentisse".

"Lei vi ama ancora. Ha acconsentito, nonostante fosse scettica sulla riuscita del piano e sul vostro amore, solo per trascorrere ancora una notte tra le vostre braccia, ne sono certa".

"Ve lo ha detto lei?"

"No, ma era evidente da quanto soffriva mentre ci raccontava che voi l'avete chiamata col mio nome per tutta la notte. Perché le avete fatto credere di volere me e non avete rivelato d'aver scoperto l'inganno?"

"Perché avevo bisogno di tempo per capire alcune cose. E poi ero sconvolto da quanto poco fosse bastato per mandare all'aria il mio ferreo proposito di non far più l'amore con mia moglie per non rischiare di metterla di nuovo incinta: avevo fatto la scelta giusta facendole credere di avere numerose amanti, per tenermi lontano dal suo letto. Mi è bastato rendermi conto che lei era lì e poi averla vicina per dimenticare tutto quanto..."

"Voi l'amate" disse lei, come se quel fatto spiegasse tutto.

"Sì l'amo. Ma non solo: Sarah è parte di me e lo sarà per sempre..." ammise lui.

"Deve essere meraviglioso essere amati così".

"Lo è" confermò lui, riconoscendo di essere amato allo stesso modo da sua moglie.

"Avete detto che avevate bisogno di capire alcune cose..." gli ricordò lei, ansiosa di sapere per quale motivo non avesse rivelato d'aver scoperto il loro piano.

"Sì. Innanzitutto cosa prova ancora Sarah dopo ciò che le ho fatto... e se avrei qualche possibilità per rimediare..."

"Oh, ma allora avete deciso di smettere la vostra carriera di libertino!" disse lei, felice.

"Noto che la cosa vi fa piacere".

Lei ritenne superfluo rispondere al suo commento; tuttavia aggiunse divertita:

"La vostra ultima amante deve essere stata davvero un disastro per farvi prendere una decisione che farà soffrire la metà femminile della nobiltà inglese e tirare un sospiro di sollievo alla metà maschile!"

"La mia ultima ed unica quasi amante è stata la migliore amica che abbia mai avuto dopo mia moglie... E questo mi porta all'altra cosa che volevo capire, dopo che vi ho rivista nel letto accanto a me al mio finto risveglio".

"Quindi avete finto anche di addormentarvi..."

"Ovviamente. Dovevo capire sino in fondo il vostro piano e la reazione di Sarah all'idea che io fossi convinto d'aver amato voi. L'ho chiamata col vostro nome, ma ciò che dicevo era diretto solo a mia moglie".

Eleanor annuì, ricordando ciò che Lady Sarah aveva raccontato, parole che, ne era convinta, Nicholas non avrebbe mai rivolto a lei.

"Ho sperato che capisse da quelle parole... In quel caso avrei rivelato di avervi scoperte. Ma le ho fatto troppo male, ora me ne rendo conto, e le serve una spiegazione. Solo che non mi crederebbe, se la dessi a lei. Dovrò dargliela mentre crede che vi stia lasciando per tornare da lei dopo l'ultima notte tra le vostre braccia".

"Sarà quindi questo l'obiettivo della nostra ultima notte da amanti?" domandò lei, per capire bene le sue intenzioni e non correre il rischio di sbagliare qualcosa nell'aiutarlo a riconquistare la moglie.

"Questo, sì" rispose lui. Poi, illuminandosi di nuovo in uno sguardo divertito, aggiunse enigmatico: "Ma non solo...".

"Cosa intendete?"

"Lo scoprirete a tempo debito. Ma affinché  il mio piano funzioni, dovrete aiutarmi voi, Eleanor. Promettetemi che stasera farete tutto quanto vi dirò".

"Ebbene, mio caro, dovreste saperlo che le amanti sono disposte a tutto per trattenere a sé il loro uomo... " gli rispose, birichina. Poi, invitandolo a sedersi, tornò seria e gli disse: "Avanti, accomodatevi e mettetemi al corrente di quello che avete in mente e cosa dovrei fare".

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Capitolo 36
*** Progetti ***





Capitolo XXXVI

Progetti



"Quindi?" domandò Harmon Rabb a sua moglie. Era in camera a preparare la sua borsa quando aveva sentito lo squillo del cellulare di Mac: Andy chiamava da sempre al cellulare della madre, anche se doveva parlare con lui, perché fin da bambino sapeva che il numero dell'Ammiraglio Harmon Rabb si doveva fare solo in caso di emergenza. L'abitudine gli era rimasta anche ora che il padre era in pensione.

"Andy ci aspetterà al Charles de Gaulle dopodomani, alle 19 ora di Parigi e poi ci accompagnerà in hotel. Abbiamo tutto il tempo per fare le cose con calma".

"Verrà con lei?"

"No. La conosceremo il giorno successivo, almeno lo spero. Non ho ben capito il motivo, ma sembra che Nicole ancora non sappia chi sia in realtà nostro figlio".

"Mi stai dicendo che si è presentato sotto falso nome?"

"Al contrario, col suo vero nome. È solo che non sa che lui è anche lo scrittore Alex Andrews".

"E perché mai non glielo avrebbe detto?"

"È una storia un po’ complicata... Pare che si fossero incontrati ben tre volte prima di scoprire che, oltre ad essere la fotografa che lo aveva ritratto per un servizio di moda, fosse anche l'esperta di storia che Ross gli aveva trovato a Parigi e la proprietaria del Castello dei conti d'Harmòn, nonché discendente del conte Andrè..."

"Aspetta, aspetta. Un servizio di moda? Andrew si è fatto fotografare?"

"Non solo qualche scatto, ma a quanto pare ha posato come modello per un intero servizio fotografico" rispose Mac divertita, senza riuscire a nascondere un moto d'orgoglio all'idea che il loro bellissimo figlio si fosse arreso anche alle sue doti fisiche e non solo a quelle intellettuali, dandole così ragione.

"L'idea ti diverte, vero?" chiese Harm con un sorriso.

"Assolutamente sì. Sono anni che insisto perché sfrutti, almeno in parte, anche la propria immagine per promuovere il suo lavoro".

"Ma Andy odia la notorietà, lo sai. La sua decisione, devi ammetterlo, gli ha consentito finora di vivere piuttosto tranquillo e non assediato da eventuali fan. Ora, però, se quelle foto diverranno pubbliche...".

"Non hai sentito ciò che ho detto? Nicole ancora non sa chi lui in realtà sia".

"Sì, ma quando lui glielo dirà, come reagirà lei? Una persona arrabbiata può fare qualunque cosa, anche la più stupida, senza riflettere sulle conseguenze".

Lei annuì, dandogli ragione. Sapeva che Harm si riferiva ad entrambi quando, trent'anni prima, avevano rischiato di commettere l'errore più grande della loro vita sposandosi, lui con Belinda e lei con Clayton, solo perché arrabbiati l'uno con l'altra.

Per un attimo il pensiero di Harm andò a Clayton Webb, della cui morte per malattia erano venuti a sapere l'anno prima: nonostante tutto, erano stati amici e sapeva che sua moglie gli aveva anche voluto bene. Avevano partecipato al suo funerale assieme ad Harriet e Bud e in quell'occasione avevano saputo che era morto solo, com'era vissuto. Alla cerimonia c'erano davvero poche persone: loro quattro e una decina di ex-colleghi che avevano voluto rendergli omaggio nonostante non fossero più in contatto da anni. Lui, Mac e Bud erano stati, con molta probabilità, gli unici amici che Clay avesse mai avuto.

"Andrew è innamorato di lei, Harm" gli disse sua moglie dopo un attimo di silenzio ed egli non riuscì ad interpretare il tono con il quale pronunciò quella affermazione.

"Te lo ha detto lui?"

"Sì, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno: basta ascoltarlo parlare di lei... Non l'ho mai sentito tanto preso da una donna".

"Diciamo che non lo hai mai sentito parlare di una sua donna, prima d'ora" precisò con benevolenza lui, rammentandole la reticenza del figlio a raccontare delle sue avventure sentimentali fin da quando era ragazzino e quanto questo riserbo la infastidisse.

"Mi racconta di ogni cosa che gli passa per la testa, ma mai di quello che prova con la ragazza di turno" si lamentava Mac ogni volta che capiva che Andy aveva un appuntamento. Lui, paziente, le ricordava che non doveva intromettersi nelle faccende sentimentali del figlio e che a sua volta non aveva mai detto nulla a Trish delle sue avventure.

"Io non mi voglio intromettere" replicava lei "mi piacerebbe solo sapere se è innamorato".  

Harm ogni volta sorrideva a questa affermazione tipicamente materna e chiudeva il discorso con la sua solita pragmatica: "Se non ti dice nulla è perché non lo è. Quando sarà innamorato te lo dirà".

A quanto sembrava quel momento era arrivato.

"Su questo hai ragione" ammise lei, restia come sempre a concedergliela. Nonostante l'amore che li legava da anni, non avevano cambiato il loro modo di parlarsi e, soprattutto, di battibeccare, come facevano in ufficio quando ancora reprimevano i loro sentimenti. All'interno di questo codice di dialogo, ammettere che lui aveva ragione non rientrava tra le priorità di sua moglie e quando ciò accadeva era il segnale che la ferrea volontà di Sarah era fiaccata da qualcosa.

"Non mi sembri felice, tesoro. Credevo non aspettassi altro che vedere il nostro ragazzo finalmente innamorato!" la prese in giro, per indagare.

Quando arrivava al punto di concedergli l'ultima parola su una questione, significava che era pronta a parlare di sé e non aspettava che un cenno da parte sua. Cenno che lui era più che pronto a fornirle perché aveva imparato che Mac aveva bisogno di lui per parlare, per tirar fuori ciò che l'angustiava. In nessun altro campo poteva arrischiarsi di aiutarla, perché lei di rado gliene concedeva la possibilità: dal punto di vista pratico era sempre stata la donna più indipendente che avesse mai conosciuto. Sul piano emotivo, invece, le cose erano un po’ diverse, a causa del suo passato, tuttavia era sempre stato difficile raggiungerla. Da quando avevano iniziato a vivere insieme si era posto l'obiettivo di scoprire la strada migliore per esserle accanto e quando infine era riuscito a trovarla non aveva mai smesso di percorrerla ogni volta che si rendeva conto che lei aveva bisogno di lui. Del resto ci voleva così poco, era sufficiente cogliere il momento e dire la frase giusta, col tono giusto: niente domande o, peggio ancora, affermazioni dirette mirate a farle intendere che lui aveva già capito cosa la tormentava, perché in quel caso alzava di nuovo le barriere e non c'era più verso di raggiungerla e quindi di aiutarla. No, da tempo aveva capito che il modo migliore era prenderla in giro, senza esagerare però. A volte era più complicato che pilotare un tomcat, ma se riusciva nell'intento, era altrettanto gratificante.

"Lo so, hai ragione..." disse lei in tono mesto.

Se gli stava dando ragione per la seconda volta in pochi minuti, il timore che Andrew si trasferisse a vivere in Europa doveva essere una faccenda davvero seria per sua moglie.

"Ma...?" domandò, fingendo di non aver ancora capito cosa l'angustiava tanto.

"Andy potrebbe restare in Europa per sempre..." ammise.

"È solo questo che ti preoccupa?"

"Cosa intendi?"

"Nessun dubbio che lei possa essere la donna giusta per lui?"

"E come faccio a saperlo? Non la conosciamo neppure. Ma ho fiducia nella capacità di giudizio di nostro figlio... Se si è innamorato di lei, deve essere una ragazza speciale".

"Hai ragione" disse. Ogni tanto non guastava concedergliela, soprattutto lasciarle pensare di essere giunta prima di lui ad una conclusione logica.

"Nessuna forma di gelosia materna? In fondo ti porterebbe via il tuo bambino" chiese lui ancora.

"Nulla di più di quanto non avessi già messo in conto. E poi, in cambio, potremmo avere dei nipotini" rispose lei, iniziando a rilassarsi.

Harm si disse che era un buon segno, pertanto decise che era giunto il momento per affrontare il nocciolo della questione, senza tergiversare oltre.

"Mi sembra di capire, quindi, che il problema sarebbe solo la lontananza, se decidessero di vivere in Europa. Ebbene, nessuno ci vieta di trasferirci vicino ai ragazzi, se il problema è solo questo".

"Ma Harm, questa è la casa di tua madre... Credevo volessi tenerla, che desiderassi vivere qui".

"Sì, ma non per forza. Possiamo venirci per le vacanze, anche tutti insieme se lo vorranno, tanto il posto c'è".

"Ma se non vendiamo questa casa..."

"Dimentichi il denaro: mia madre e Frank ne guadagnavano parecchio,  più di quanto siano riusciti a spenderne nella loro vita".

"Pensavo che Trish lo avesse usato per regalare il loft a Andrew quando è andato a New York".

"Credo ve ne sia rimasto anche per una casetta europea per noi due!" disse lui, con un sorriso, mettendo fine alle sue obiezioni.

"Se le cose stanno così, allora...".

"Sei più tranquilla, adesso?"

Lei annuì, in silenzio. Per un momento rimase ferma ad osservarlo mentre chiudeva il borsone che, durante la loro chiacchierata, aveva terminato di preparare. Poi gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra, suscitando in lui lo stesso fremito che accompagnava ogni suo bacio da trent'anni a quella parte.

"Avevi già capito cosa mi tormentava, vero? Prima ancora che te lo dicessi... Come sempre lo avevi già intuito".

Lui non rispose, si limitò ad abbracciarla. Se a vent'anni gli avessero detto che a settanta sarebbe stato innamorato della propria moglie come la prima volta in cui aveva fatto l'amore con lei, si sarebbe fatto una bella risata. Invece le cose stavano proprio così.

"E, come sempre, mi hai fatto sfogare e mi hai rassicurato" aggiunse lei, come semplice osservazione, rifugiandosi nel suo abbraccio.

Dopo un attimo, però sollevò lo sguardo verso di lui e, con aria birichina, gli disse:

"Non ti ho ancora detto, però, che fino a ieri sera Nicole non lo ha ancora voluto...".

Lui alzò gli occhi al cielo, con fare esageratamente esasperato. Poi, divertendosi a sua volta, replicò:

"Beh, in questo caso ci siamo già portati avanti col lavoro!"

 

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Capitolo 37
*** Notte d'amore ***



Capitolo XXXVII



Notte d'amore




L'attesa era terminata. Vide l'ombra di Eleonor chiudere la porta della camera Argento dove Nick gli aveva detto di attenderla e gli sembrò che il cuore stesse per esplodergli nel petto.

L'amico era stato di parola e il resto dipendeva da lui, proprio come gli aveva detto con un sorriso quando, quel mattino, se l'era trovato davanti addirittura in camera propria, con un povero Fenton che continuava a scusarsi, ancora incredulo e attonito per la sfacciataggine del Duca di Lyndham che pretendeva di parlare immediatamente con il Conte... e per immediatamente intendeva proprio subito, tanto che non aveva nemmeno atteso che lo si avvertisse per permettergli di alzarsi dal letto e presentarsi in maniera più consona, ma si era precipitato su per le scale, inseguito dal povero maggiordomo.

Thomas aveva così avuto conferma di ciò che già sospettava quando Sarah si era rifugiata tra le sue braccia per raccontare ciò che era accaduto tra lei e il marito. Neppure per un attimo, infatti, aveva pensato che le frasi rivolte alla moglie fossero indirizzate a Lady Cavendish. Il fatto che Nick, pur dicendo quelle cose, avesse chiamato Sarah col nome della presunta amante, non aveva fatto altro che confermargli che l'amico aveva scoperto tutto; ciononostante non si era rivelato e pertanto doveva avere in mente qualcosa. Doveva solo attendere che lo mettesse a parte di ciò che aveva escogitato per riconquistare la moglie. Lo conosceva da troppo tempo per non sapere quanto fosse astuto. Solo Eleonor, che lo conosceva da poco e Sarah, troppo presa dal suo dolore e dall'amore che nutriva per lui, avevano potuto credere che Nick non si fosse accorto dello scambio.

Quando Eleonor gli aveva proposto il piano non si era espresso né contro né a favore perché voleva lasciare a Sarah la possibilità di far rinsavire l'amico e, alla luce dei fatti aveva fatto bene; però doveva anche ammettere che l'idea avuta da Lady Cavendish avrebbe potuto regalargli l'opportunità di tentare un approccio più intimo con la giovane vedova per cercare di conquistarla e, sempre alla luce di quanto era accaduto la notte precedente, aveva visto giusto anche in quello.

Ciò che ancora non immaginava era che Nick aveva capito anche cos'era successo tra lui ed Eleanor e intendesse a sua volta aiutarlo.

"Le dirò di andare a trascorrere la notte a casa mia dopo lo scambio" gli aveva detto quando Thomas aveva domandato come sarebbe riuscito a convincerla a trascorrere altro tempo sola con lui dopo come si era comportato la sera prima. L'aveva turbata, e molto; se n'era accorto da come evitava imbarazzata il suo sguardo e per di più non aveva ancora risposto alla domanda che avrebbe dato la direzione al loro futuro rapporto.

"Sciocchezze" aveva ribattuto deciso l'amico "è evidente che se non ti ha fermato anche lei lo voleva. L'imbarazzo è naturale, ma non significa che non voglia più avere a che fare con te. Tu l'aspetterai nella camera Argento, dove le dirò che sarà accompagnata da Everly, e vedrai che arriverà, perché la convincerò a lasciare a Sarah e al sottoscritto l’intimità che ci meritiamo dopo quanto è successo. Eleonor non obietterà, perché è una donna romantica. Dopodiché il resto dipenderà da te; ma se sei innamorato di lei come credo, non ti sarà difficile conquistarla. Ho idea che anche tu non le sia indifferente".

"Ma se all’inizio voleva te!" aveva protestato lui.

"Voleva un'avventura con un uomo avvenente e più giovane del defunto marito; voleva conoscere quella passione che una giovane e bella donna si merita da un uomo innamorato di lei e tu, caro Tommy, hai tutti i requisiti per darle ciò che desidera... e forse anche qualcosa in più, o sbaglio?"

Nicholas non sbagliava.

L'aveva desiderata fin dalla prima volta che l'aveva vista, tre anni prima, quando ancora credeva che il gentiluomo che l'aveva accompagnata al ballo fosse il padre.

E in quel momento la desiderava ancora di più; ma non solo: frequentandola si era reso conto che Eleanor era la donna che avrebbe voluto al suo fianco per il resto della vita.

Trattenne il fiato quando si rese conto che, tolta la lunga cappa che la copriva, sotto non indossava un abito, ma una vaporosa veste da camera, la stessa con la quale doveva aver finto di tornare a letto con Nick. Chissà se anche questo particolare era un altro regalo che l'amico aveva voluto fargli, convincendola a raggiungere la dimora di Hyde Park appena ceduto il posto alla legittima consorte, oppure se era stata lei a non perder tempo a cambiarsi per evitare che Sarah si accorgesse che era in combutta col marito.

Comunque fosse andata, non poteva che essere grato per quell'inaspettata fortuna.

Si avvicinò piano e la cinse alla vita, cogliendola di sorpresa. Lei sussultò, non appena si sentì circondare dalle sue braccia, ma lui le mise una mano alla bocca e le sussurrò all'orecchio:

"Non urlate... "

"Thomas... che ci fate qui? Credevo foste tornato a casa vostra. Oppure che steste aspettando Lady Sarah nel mio salottino" disse lei, riconoscendolo.

"Ed è per questo che voi siete scappata qui?" domandò lui, dopo averla lasciata andare, ma trattenendo la sua mano nella propria.

"Non sono scappata. Nicholas mi ha chiesto di lasciargli un po’ di privacy con la moglie... ma ora capisco che era tutta una scusa architettata da voi".

"Niente affatto. L'idea è stata tutta di Nick"  disse lui.

"Anche quella di cogliermi di sorpresa  e di trattenermi contro la mia volontà è un'idea di Nicholas?" domandò ironica lei.

"Vi sto davvero trattenendo contro la vostra volontà?" chiese, lasciando tuttavia andare la sua mano. Poi, senza attendere risposta continuò:

"Nick si è limitato a suggerirmi che poi il resto sarebbe dipeso da me".

"Cosa volete, Thomas?" si risolse a chiedergli, infine.

"Voi. Siete voi ciò che voglio, Eleanor" rispose lui, senza alcuna esitazione.

La sua sicurezza la intrigò molto, tuttavia replicò:

"Non siete un po’ troppo precipitoso? Ci conosciamo appena".

Quindi, per prevenire l'obiezione che aveva colto nel suo sguardo, aggiunse decisa:  "Ciò che è accaduto l'altra sera non conta".

"Allora insegnatemi a corteggiarvi" replicò lui, a sua volta intenzionato a non fermarsi.

"Non credo abbiate bisogno che proprio io vi insegni come adulare una donna. Sono più che sicura che sappiate farlo da solo" rispose lei.

"Ad esempio dicendole che i suoi capelli sono morbidissimi?" chiese Thomas fissandole la chioma sciolta sulle spalle. "O che i suoi occhi sono immensi alla luce della luna?"

"Non dovete esagerare" lo rimproverò Eleanor con tono leggero.

"È la verità" obiettò lui, con voce roca, mentre una mano le sfiorava i capelli.

"Non so se dire la verità sia una buona idea, quando si descrive una donna".

"Neppure se la sua pelle è liscia come la seta?" continuò lui, passandole le nocche su una guancia. "O quando le sue labbra sono fatte per essere baciate?" aggiunse, seguendo con un dito il contorno del suo labbro inferiore.

"Avevo ragione: siete piuttosto esperto in materia di corteggiamento, se solo lo volete" mormorò Eleonor chiudendo gli occhi.

"Cosa dovrei fare come prossima mossa?" proseguì imperterrito lui, fingendo di non averla udita. "Magari un baciamano... Sarebbe appropriato?" e senza attendere risposta le prese la mano e se la portò alle labbra, premendo con gentilezza sul dorso. Poi la girò e baciò il palmo e ogni singolo polpastrello. La sua bocca era calda e morbida e la fece rabbrividire di piacere.

Thomas si fece più vicino e riprese ad accarezzarle il volto con le nocche.

"O forse questo è ancora meglio" mormorò posandole le labbra su una guancia. Si spostò verso la pelle delicata della gola, mentre con una mano scivolava lento sul suo braccio. Eleanor desiderò non indossare la vestaglia cosicché egli potesse accarezzarle la pelle nuda.

"Dicono che alcune donne preferiscano un tocco di questo genere" continuò lui, spostandosi a mordicchiarle il lobo dell'orecchio.

Eleanor trasalì e gli si aggrappò, mentre tutto attorno a lei sembrava vorticare.

"Thomas..." mormorò quando sentì la sua lingua seguirne il contorno, poiché il suo tocco le stava trasmettendo fremiti di piacere in tutto il corpo e lei non sapeva come gestirli. Non aveva mai provato un bisogno cosi intenso di un uomo.

Egli, tuttavia, non aveva ancora intenzione di fermarsi: le sue mani raggiunsero la cintura della vestaglia, l'aprirono e si posarono una sul suo stomaco, l'altra sul suo seno.

"Una donna potrebbe desiderare qualcosa di più... qualcosa di più simile a questo". La sua voce era bassa e profonda e la seduceva quanto il suo tocco.

Mentre le sue dita le sfioravano la rotondità del seno, aggiunse:

"Anche se qualcuna potrebbe ritenerlo troppo ardito".

Senza lasciarle il tempo di replicare la fece voltare, in modo che la schiena appoggiasse contro il suo torace, e dopo averle spostato la massa di capelli da un lato, prese a baciarle la nuca. Scossa da un fremito Eleanor si accasciò contro il suo petto ed egli ne approfittò per stringerla a sé. Quindi, senza smettere di baciarle il collo, fece scivolare la mano lungo il suo corpo e si avvicinò pericolosamente  dove la volta precedente l'aveva toccata. Lei trattenne il fiato, indecisa tra il desiderare che proseguisse per assaporare il medesimo piacere o che si fermasse, risparmiandole l'umiliazione di sentirsi in balia della sua volontà. Fece un respiro profondo, pronta ad assecondarlo, ma lui la fece voltare di nuovo e le baciò le guance, prima una e poi l'altra.

"Ma forse questa sarebbe la cosa migliore da fare" mormorò infine, un attimo prima di sfiorarle le labbra con le proprie. Quando percepì il fremito di Eleonor, le catturò la bocca in un bacio appassionato. Dischiuse le sue labbra senza darle il tempo di esitare, deciso come non era mai stato nel voler baciare una donna. Eleanor gli risvegliava un istinto di predatore che non avrebbe mai immaginato di possedere e che doveva tenere a bada con fatica.

"Non avete risposto alla mia domanda di ieri sera" le disse con un accenno di affanno nella  voce, quando, finalmente, decise di concedere ad entrambi di respirare.

"É importante?" chiese lei, senza tuttavia accennare ad allontanarsi dalle sue braccia. Thomas lo considerò un ottimo segno.

"Per me lo è".

Alla luce della luna che entrava dalla finestra, lei lo guardò negli occhi.

"Ebbene non credo che abbiate agito solo per prepararmi per quando Nicholas mi avrebbe rivista".

"E quindi, secondo voi, per quale motivo mi sarei comportato come ho fatto?"

"Perché... perché mi desiderate?" si risolse a dirgli con una domanda retorica dopo un attimo di esitazione, abbassando lo sguardo.

"Sì, vi desidero. Vi desidero dalla prima volta che vi vidi, tre anni fa, al ballo dei Manderville: entraste al braccio di vostro marito, ma io non sapevo chi fosse, credetti che fosse vostro padre. Poi lui si allontanò da voi per un po’, e voi danzaste con Lord Mondevale..."

"Era un amico dei miei genitori..." disse Eleanor, sorpresa di come lui ricordasse tutto quanto.

"Stavo per venirvi a domandare un ballo, quando sentii qualcuno congratularsi con Lord Cavendish per il recente matrimonio e la sua splendida e giovane moglie; mi voltai e mi resi conto che stavano parlando con l'uomo che vi aveva accompagnata... e vidi lui lasciare l'interlocutore e dirigersi verso di voi. Non ebbi più la forza chiedervi un ballo, anche se avrei potuto ancora farlo".

"Perché?" domandò lei, incuriosita da ciò che le stava dicendo.

"Intuii subito che se vi avessi avuta tra le braccia, non sarei stato più capace di lasciarvi andare. Alla luce di quanto è accaduto tra noi l’altra sera, a quel tempo feci bene" mormorò lui, accarezzandole una guancia. La stava ancora tenendo tra le braccia, a conferma di quanto stava dicendole.

"E ora?" osò domandargli lei, in un sussurro. La sua confessione l'aveva turbata e le aveva rammentato d'averlo notato a sua volta, in quella lontana sera di tre anni prima: era stato proprio dopo averlo visto che si era domandata se non fosse stata troppo precipitosa a sposare il proprio tutore, impedendosi così la possibilità di innamorarsi di un uomo più giovane e più attraente. Ricordava che lo aveva intravisto per pochi attimi, ma era lui, ne era certa. La sua chioma dorata, l'altezza notevole, solo di pochi centimetri inferiore a quella del Duca suo amico, l'eleganza sobria ma distinta e i suoi occhi nocciola, penetranti... sì, ricordava quello sguardo, dal quale le era sembrato di essere seguita mentre danzava con Lord Mondevale. Ora sapeva che era stato davvero lui ad osservarla con un intensità tale da farglielo percepire quasi fisicamente.

"Ora vi desidero più di allora... " rispose lui, baciandola di nuovo.

"Ora desidero toccarvi...", aggiunse sfiorando di nuovo la rotondità del suo seno.

"Desidero spogliarvi, per baciarvi ovunque..." continuò, scoprendole appena la spalla e accarezzandogliela con le labbra.

Lei non lo aveva ancora fermato, anzi aveva assecondato con timidezza le sue avances, ed egli lo considerò un ottimo segno, che lo indusse ad osare il tutto per tutto.

"Ora voglio portarvi a letto e far l'amore con voi per tutta la notte" concluse il suo appassionato elenco tornando ad invaderle la bocca con una passione a stento trattenuta, mentre la sollevava tra le braccia per deporla sul letto.

Gli occhi di Eleanor erano immensi e lei lo osservava senza dire nulla, dopo che l'ebbe adagiata sui cuscini. Thomas non riusciva a decifrare il suo sguardo. Decise di rivelarle tutto quanto: "Ora sono innamorato di voi e voglio che siate mia. Per sempre".

Nonostante la sua dichiarazione, non era intenzionato a forzarle la mano; desiderava che la passione e l'amore di Eleanor fossero spontanei, pertanto si fermò, anche se a fatica, perché voleva capire il significato di quello sguardo.

"Questo è ciò che voglio io" le disse, accarezzandole una guancia per scostare una ciocca di capelli che le stava coprendo il volto. Lei continuava ad osservarlo, immobile.

"Cosa volete voi, Eleanor? le domandò, infine.

Non sia aspettava che lui glielo chiedesse. Suo marito non le aveva mai domandato cosa volesse lei in camera da letto. Si rese conto di non essere in grado di rispondergli, di non trovare le parole per esprimere a voce tutto quello che aveva iniziato a desiderare da lui da quando le aveva donato quell'unico momento di appagamento sessuale della sua vita. Nella sua ignoranza dell'argomento, aveva comunque intuito che l'uomo giusto, un uomo appassionato, avrebbe potuto spalancarle le porte del piacere e, magari, anche dell'amore. Thomas avrebbe potuto essere quell'uomo, perché era evidente dalle sue parole e dal rispetto che le stava dimostrando quanto ci tenesse a lei. Ed Eleanor non poteva negare a se stessa l'attrazione e l'affetto che provava per lui.

Nicholas l'aveva colpita molto, era un uomo davvero splendido, ma proprio per questo fin troppo impegnativo. Invece Thomas, altrettanto affascinante ma in maniera più pacata, quasi invisibile, la intrigava ad un livello più profondo, più sottile. Più consono a lei. Sentire la sua dichiarazione, così appassionata e spontanea, le aveva tolto il fiato, perché a sua volta si stava innamorando di lui.

Si rese conto d'aver atteso troppo perché lui, ingannato dalla sua esitazione, aveva mormorato: "Capisco", prima di sollevarsi e lasciarla andare.

Lo fermò, trattenendogli la mano.

"No, non capite...".

Si sollevò a sua volta col busto, per raggiungere meglio il suo volto.

"Ma capirete" aggiunse in un roco sussurro prima di prendergli il viso tra le mani e baciarlo con trasporto, come poco prima lui aveva fatto con lei.

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Capitolo 38
*** Amore di notte ***



Capitolo XXXVIII



Amore di notte




La mano della donna tra le sue braccia gli sfiorò il volto con tenerezza; poi scivolò lenta sui muscoli del suo torace, toccandoli come a saggiarne la consistenza. Si soffermò quindi sull'addome, a disegnare sensuali cerchi attorno al suo ombelico. Egli la fermò solo quando percepì che sarebbe scesa ancora.

Aveva bisogno di una pausa, per riuscire a dirle ciò che aveva pensato, tuttavia la donna non si lasciò dissuadere: si mosse con tutto il corpo e salì sopra di lui. Incapace di resistere, scivolò di nuovo dentro di lei, guidato dalla sua mano che sembrava non volergli concedere tregua. Erano ore che l'amava instancabilmente eppure lei sembrava non averne ancora abbastanza. Sembrava volesse consumarlo, come se soltanto così sarebbe riuscita a saziarsi di lui. Era come se temesse che dopo quella notte non lo avrebbe più potuto avere.

Doveva dirle tutto.

Risoluto, si costrinse a fare ciò che non avrebbe mai immaginato di fare tra le sue braccia: la fermò, nonostante morisse ancora dalla voglia di averla.

"Aspetta, dobbiamo parlare".

Lei non disse nulla, come del resto aveva fatto da quando era entrata nel letto con lui. Non se ne sorprese.

"Eleanor, questa sarà l'ultima volta che staremo insieme. Voglio tornare da mia moglie, perché mi sono reso conto che è solo lei la donna che amo, l'unica che potrò mai amare".

Gli rispose solo un silenzio assordante. Non sapeva cosa aspettarsi, ma immaginava una qualche reazione, anche solo un sospiro. Invece nulla.

"Mi spiace..." aggiunse, tanto per dire qualcosa.

Di nuovo silenzio.

Non sapendo come interpretarlo, proseguì col discorso che si era preparato.

"Dopo ciò che ti ho detto, ti chiederai il perché del mio comportamento. Perché mi sono allontanato da lei e perché l'ho fatta soffrire. E, soprattutto, come mai sono venuto a letto con te se è solo lei che voglio".

Ancora silenzio. Decise di proseguire comunque.

"Sarah ha sofferto molto, dopo la nascita dei gemelli. Ho temuto di perderla e non avrei più potuto vivere senza di lei, soprattutto sapendo d'esser stato responsabile della sua morte...".

Percepì un sospiro, quasi un singhiozzo, provenire dalla donna accanto a lui.

"Pur di riuscire a stare lontano da lei e non farle correre il rischio di una nuova gravidanza ho preferito farle credere di spassarmela con altre donne, così mi avrebbe disprezzato. Lei non avrebbe sofferto e io sarei riuscito a non avvicinarla. Ma ho capito d'aver sbagliato. Prima di venire a letto con te, Eleanor, non avevo mai tradito mia moglie. Ora che l'ho fatto, spero che possa comunque perdonarmi".

Attese un cenno, una parola che gli facesse capire che aveva compreso il suo tormento. Un qualunque gesto che gli rivelasse che avrebbe potuto, col tempo, perdonarlo per un tradimento che in realtà non aveva neppure commesso.

Attese, ma invano.

La donna che gli era stesa accanto si alzò, senza dire assolutamente nulla.

Egli, per la prima volta in vita sua, rimase spiazzato, incapace di sapere quale fosse la cosa giusta da fare o da dire. Decise di seguire l'istinto e si alzò a sua volta, le afferrò un braccio e la strinse a sé.

"Non andartene Sarah...".

Percepì che rilasciava un sospiro, l'unico segno a parte il sussulto di poco prima, ad indicare che aveva udito ciò che le aveva detto.

Le fece appoggiare il capo sul suo petto e le accarezzò i capelli. Sentì l'umido delle sue lacrime bagnargli la pelle.

"Mi dispiace. Mi dispiace tanto" mormorò, comprendendo solo in quel momento quanto l'avesse fatta soffrire col suo comportamento. Tommy aveva avuto ragione quando lo aveva affrontato.

"Ti amo tanto, Sarah. Ho sempre amato solo te...".

Sentì che si passava una mano ad asciugarsi gli occhi e poi lo abbraccio a sua volta.

"Torna a letto con me. Ti prego" sussurrò.

Lei esitò un attimo prima di annuire; poi si distese accanto a lui, il capo ancora appoggiato al suo torace.

Per qualche attimo rimasero in silenzio, entrambi concentrati ad ascoltare la sensazione di tornare ad essere uniti anche nel cuore e non solo col corpo: quella vibrazione d'amore, quell'energia misteriosa che attraversa corpo, mente e cuore e rende consapevoli d'esser un tutt'uno e non più due entità separate.

"Perché?”  domandò, facendogli udire per la prima volta la voce.

“Te l’ho detto prima il perché” rispose.

“No. Perché hai confessato di avermi tradito quando non lo hai mai fatto? Quando hai sempre saputo che ero io a far l'amore con te e non Eleanor Cavendish?" domandò di nuovo, lasciandogli capire che era altro che voleva sapere.

"Come sai che non ti ho mai tradito? Potrei avertelo detto solo per farti credere di dovermi perdonare una sola scappatella".

"L'avresti fatto anche con Eleonor. Soprattutto con lei. È molto bella e anche molto dolce. Stareste bene insieme".

Lui sorrise alla perspicacia di sua moglie; ciononostante non riuscì a trattenersi dal provocarla.

"Potrebbe esser stata lei a non volermi".

"Sciocchezze. Ti moriva dietro, quando siete andati via dal ballo, sere fa. Sarà rimasta delusa, e parecchio".

"Forse, ma ti assicuro che ha cambiato presto idea" disse sorridendo, con aria da cospiratore.

"Che hai combinato?"

"Nulla..." rispose.

Lei si sollevò su un gomito, scrutandolo scettica. Quando lui la guardò di sottecchi, con un sorriso appena accennato ad increspargli le labbra, fu sicura d'aver ragione e lo costrinse a confessare.

"Avanti, dimmelo".

Fu felice di obbedirle, perché l'argomento leggero gli dava la possibilità di tornare a quella complicità che credeva d'aver distrutto col proprio comportamento.

"Se tutto sta andando come penso, Eleanor dovrebbe essere felice quanto lo sono io, in questo momento".

"Con Tommy” assentì lei.

Quindi domandò: “Dove li hai mandati? E come ci sei riuscito, quando l'altro giorno lei sembrava sconvolta dopo che lui l'aveva baciata?"

"Come ho fatto a pensare di ingannarti?" disse lui, constatando come sua moglie fosse un'osservatrice attenta quanto lui.

Perché si meravigliava? In fondo aveva sempre saputo che era una donna molto intelligente. Era riuscito a sviarla una sola volta, quando si era presentato a lei sotto mentite spoglie. Eppure anche allora lei c'era arrivata da sola. E non lo conosceva neppure quanto lo conosceva ora.

"Ho fatto leva sul lato romantico di Eleanor. Le ho chiesto di concederci un po’ di privacy; nel frattempo avrebbe potuto trascorrere la notte nella residenza di Hyde Park, dove era attesa per essere accompagnata nella camera Argento..."

"Dove ci sarebbe stato Tommy ad aspettarla" concluse lei.

"Esatto. Da quel punto tutto sarebbe dipeso da loro. Ma conoscendo Tommy e sapendo quanto sia innamorato di lei, non ho dubbi sulla riuscita del mio piano. Ho avuto la sensazione che il bacio che l'aveva turbata avesse sortito l'effetto anche di intrigarla alquanto".

"Sei tremendo! E sempre molto sicuro di te".

"Non sono mai stato più insicuro di me stesso come stanotte, con te. Quando non  parlavi mi hai fatto morire..." disse, tornando serio.

"Sapessi quante volte mi sono sentita io morire dentro vedendoti sparire ogni sera con una donna diversa... e sentire le voci che ti definivano un amante eccezionale...".

"Mi spiace. Ero convinto che vedendo il mio comportamento scellerato tu smettessi di amarmi e non soffrissi".

"Come hai potuto pensare un'idiozia simile, proprio tu?"

"Per ciò che mi dicesti anni fa, ricordi? In quello chalet immerso nel bianco".

"L'ho immaginato. E ho anche pensato a quando ti lasciai sulla Medea... ma da allora sono trascorsi anni. Anni in cui il mio amore per te è cresciuto... Anni in cui il nostro amore avrebbe dovuto farti pensare che mi sarebbe stato inevitabile soffrire vedendo che ti interessavi ad altre donne...".

"Hai ragione, adesso l'ho capito. Ma in quel momento ero disperato, non sapevo come smettere di volerti nel mio letto per non correre il rischio di metterti di nuovo incinta. Se tu mi avessi disprezzato, saresti stata tu a non volermi più e così saresti stata al sicuro...".

Lei sentì un dolore al petto, nell'immaginare il suo tormento. Avevano sofferto entrambi.

"Invece io lo voglio un altro figlio tuo" disse lei, facendolo di nuovo precipitare nell'ansia di poterla perdere.

"No, Sarah..." la pregò. Era stato molto attento a non farle rischiare una gravidanza ogni volta che l'aveva amata da quando l'aveva riavuta tra le braccia, a costo di privare se stesso dell'estasi del piacere. E ora lei gli diceva che voleva un altro figlio.

"Sì, invece. E sarà stupendo sentirlo crescere dentro di me. Sarà meraviglioso averlo tra le braccia, allattarlo a mio seno... e vederlo in braccio a suo padre. Io voglio un altro bambino".

"Ti prego, no... non posso vederti soffrire come coi gemelli...".

"Non accadrà. E ci sarà il dottor Russel a prendersi cura di noi. Tu non vorresti un altro bambino?"

"Se pensassi solo a ciò che desidero io, ti vorrei sempre incinta di un mio bambino" disse lui in tono possessivo "perché sarebbe chiaro ad ogni uomo che ti mette gli occhi addosso che sei mia. Odio quei cicisbei che ti ronzano sempre attorno."

"Ohi ohi, Sua Grazia il Duca di Lyndham è geloso!" lo punzecchiò lei divertita.

"E poi adoro come il tuo corpo si trasforma, per accogliere la parte migliore di me, quella che più d'ogni altra ti ha raggiunto nel profondo... È un miracolo, ogni volta che ci penso. Ed è oltremodo eccitante sapere che in un qualche modo mi posso annidare dentro di te, come desidererei poter fare ogni volta che facciamo l'amore...".

Lei sentì gli occhi inumidirsi a quelle parole, che più d'ogni altre le rivelavano l'intensità  e la passione con cui la venerava.

"Anche per me è lo stesso: quando porto il tuo bambino mi sento totalmente tua, perché una parte di te sta crescendo nel mio grembo. Per questo voglio un altro figlio, almeno ancora uno, che mi faccia scordare la solitudine di questi ultimi mesi e mi renda sicura del tuo amore".

"Non dovrai mai più dubitare del mio amore" le promise, con tono solenne.

"Allora vieni dentro di me..." gli sussurrò invitante, attirandolo a sé "e restaci fino a quando non ne potrò più d'averti dentro...".

Gli bastarono quelle parole per scoprirsi di nuovo pronto a far l'amore con lei. Quell'invito così appassionato e intimo gli rammentò, se ce ne fosse stato bisogno, il motivo per cui non riusciva a desiderare una donna che non fosse lei: Sarah voleva lui e non un qualunque uomo che la soddisfacesse.

Si allungò su di lei e riprese ad amarla con tutta l'intensità, la passione e il timore che provava al solo pensiero che, nell'impeto del loro desiderio, avrebbero potuto concepire il loro futuro bambino.

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Capitolo 39
*** Una proposta ***





Capitolo XXXIX

Una proposta



"E se venissi con te a Parigi?"

"Credevo volessi terminare la lettura dei diari al più presto" rispose Nicole, dopo un attimo di esitazione. Era pronta per salire in macchina e partire e, durante le due ore in cui si era preparata con calma al viaggio, lui non le aveva detto nulla dell'idea di accompagnarla.

"Non senza di te".

"Andrew..." tentò di replicare lei, ma lui non la lasciò proseguire:

"E poi domani sera devo essere al Charles de Gaulle a prendere i miei genitori... partirei comunque domattina. Anticipare di un giorno non cambia nulla e sarebbe bello viaggiare insieme".

"Non mi hai detto che sarebbero arrivati i tuoi genitori. Credevo saresti stato tu a tornare in America appena terminate le tue ricerche".

"Ossia terminato di leggere i diari del tuo antenato?"

"Beh, sì" rispose lei "avevo capito che fosse questo lo scopo del tuo viaggio e della tua permanenza in Francia".

Andrew non rispose, si limito a fissarla. Lei colse un accenno di turbamento e di distacco in quel silenzio. Decise di interromperlo, per tentare di ristabilire quella intimità che li aveva uniti sino a quel momento e che aveva la sensazione di aver rovinato con le sue parole.

“Quando lo hai saputo? E come mai vengono in Francia?"

"L'ho saputo ieri mattina: mentre eri al telefono con la tua assistente ho chiamato mia madre. Vengono per... conoscerti" si azzardò infine a dirle.

"Per conoscere me? Come mai?"

"Mia madre vuole vedere in faccia la donna che è riuscita non solo a scattarmi alcune foto, ma a ritrarmi addirittura per un intero servizio fotografico" rispose lui, con tono leggero. Ma quando vide l'espressione scettica di Nicole, si risolse a dirle la verità, o almeno una parte di essa.

"Vogliono conoscere la donna di cui mi sono innamorato".

Per un attimo Nicole lo guardò, senza dire nulla. Poi si voltò con la chiara intenzione di recuperare la piccola borsa che Madeleine le aveva preparato.

"Aspetta..." la fermò lui, catturandole un polso e mettendosi di fronte a lei.

"Andrew, ti prego...".

"Ti ho appena detto di essere innamorato di te. Non mi dici nulla?"

"Non so che dire...".

"Non provi nulla per me, vero?" domandò lui e Nicole colse un misto di ansia e rassegnazione nel suo tono.

"No... Non è vero. Tu mi piaci, e molto, ma..."

"Ma per te sono solo un'avventura. Piacevole di certo, ma solo un'avventura".

"Non è esatto".

"Cosa sarei, allora?"

Era inutile tentare di evitare di rispondere: per quel poco che lo conosceva, non si sarebbe accontentato di nulla che non fosse la verità. Ciononostante ci provò comunque.

"Un uomo bellissimo e adorabile..." disse sfiorandogli una guancia con le labbra e riconoscendo, anche con un contatto così fugace, il medesimo brivido di desiderio che provava ogni volta che i loro corpi si avvicinavano.

"Nicole... questo giochetto con me non funziona" replicò lui.

"Un uomo bellissimo e adorabile che desidero da impazzire. Un amante formidabile che mi fa volare in paradiso ogni volta che mi sfiora..."

"Ma...?" domandò lui, dopo aver colto nel suo tono che il discorso lusinghiero era il preludio ad un'obiezione che non avrebbe gradito.

"Potrei innamorarmi di te, Andrew. Sei tutto ciò che ho sempre desiderato in un uomo, e forse anche di più. Ma mi fai paura..." si risolse infine a dirgli.

"Perché?"

"Mi faresti ancora più male di quanto me ne fece Christopher, quando mi lascerai".

"Non ti lascerò mai, Nicole".

"La tua vita, il tuo lavoro, la tua famiglia sono in America. Io, invece, vivo tra Londra e Parigi..."

"Esistono gli aerei, Nicole" disse lui, che iniziava a sentirsi meglio. Se le sue obiezioni fossero state solo di carattere pratico, avrebbe avuto delle speranze.

"E quanto credi che possa durare una relazione a distanza?" obiettò di nuovo lei.

"Non hai capito: io voglio vivere qui, con te. In Francia. Per la precisione voglio vivere in questa casa, perché sento che è il luogo che cercavo da tempo, quello che il Destino ha messo sulle nostre strade".

"Ancora con questa storia del Destino?" chiese lei, un po’ spazientita.

"Non hai ancora idea, tesoro, di quanto questa mia teoria, che ritieni tanto balzana, invece ci riguardi da vicino" mormorò lui, ma lei non lo stette neppure a sentire.

"Non voglio vivere con un amante. L'ho già fatto ed è stato un disastro. Trascorrere alcune settimane insieme è una cosa, convivere è un'altra, implica delle responsabilità che non ho intenzione di analizzare. Tra di noi è stato bello, Andrew, e può esserlo ancora per qualche settimana, al mio ritorno, finché lavoreremo assieme, sempre che il colloquio con mr. Andrews non cambi le carte in tavola: sai quanto ci tenga a fargli da consulente e se me lo dovesse riproporre, nulla mi impedirà di accettare. Né il mio lavoro alla Maison, né tu. Se sarai a Parigi, potremo rivederci qualche volta…"

"Hai finito?" domandò aspro lui.

Lei annuì, sorpresa dal suo tono secco.

"Neppure io voglio convivere. Non crederai che presenterei a mia madre e a mio padre la mia amante di turno! Mio padre mi sbatterebbe fuori casa a calci, se ancora vivessi con loro. Ti sto dicendo che desidero sposarti, Nicole, e vivere con te per sempre. Preferibilmente in questa casa, ma andrebbe bene ovunque".

Tacque e rimase immobile, ad osservarla, per lasciarle il tempo di assimilare la sua proposta, un'idea alla quale lui, con l'ingenuità dettata dall'esempio dei suoi genitori, aveva immaginato avesse pensato anche lei.

Aveva inteso i suoi dubbi sul matrimonio e in merito ai legami affettivi in genere, tuttavia aveva anche intuito che il suo scetticismo era dettato da un tentativo più che giustificato di proteggere il proprio cuore. Nicole era sensibile all'amore come chiunque, anzi forse più ancora di altre persone e proprio per questo aveva sofferto tanto. Eppure era convinto che riconoscere le potenzialità di un rapporto l'avrebbe aiutata a lasciarsi andare ai sentimenti. Lui era più che certo che tra loro esistesse il Grande Amore: bastava solo permettergli di sbocciare, senza bloccarlo sul nascere.

Attese con pazienza la sua risposta, un qualunque cenno che gli facesse comprendere d'aver inteso quelle potenzialità che lui coglieva in continuazione tra di loro.

Il cenno arrivò, ma non era quello da lui auspicato: Nicole si piegò e recuperò la borsa da viaggio, dopodiché si voltò e se ne andò.

 

 

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Capitolo 40
*** Confessioni ***





Capitolo XL

Confessioni



Ti sto dicendo che desidero sposarti, Nicole, e vivere con te per sempre.

Più tentava di non pensare alle parole di Andrew, più quella frase continuava a ronzarle nella testa.

Il giorno prima era arrivata alla sua casa di Parigi dopo un viaggio in cui aveva fatto il possibile per distrarsi. In genere quando percorreva la distanza che separava Parigi da Cluny le piaceva osservare il paesaggio e immergersi nei propri pensieri; talvolta aveva preso persino importanti decisioni riguardanti il lavoro o la sua attività col dottor Dumònt proprio durante quel tragitto. Non ricercava neppure la musica, che invece accompagnava ogni suo altro viaggio automobilistico, oppure, se accendeva lo stereo, sceglieva un brano molto soft e lo metteva come sottofondo ai propri pensieri.

Quel mattino la musica aveva rimbombato nell'abitacolo per tutta la durata del percorso, con l'obiettivo di impedirle di soffermarsi sulle ultime parole del suo amante.

Inutilmente.

Neppure l'accoglienza come sempre affettuosa di Marie-Antoinette era riuscita a fargliele scordare. E se non c'era riuscito neanche l'ottimo pranzo che la cuoca le aveva preparato, era sicura che nulla avrebbe potuto levarle dalla mente quella frase. Lei, però, non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare il suo incontro con Alex Andrews da una proposta di matrimonio, pertanto si era rifugiata in camera oscura appena terminato di spiluccare il piatto servitole da Clementine, la quale aveva osservato inorridita gli avanzi del suo capolavoro culinario poiché mai, da quando era al suo servizio, aveva riportato in cucina un piatto non ripulito alla perfezione.

Nel luogo in cui si era sempre sentita a suo agio e in cui per anni si era rifugiata ogni volta che assisteva ai litigi dei suoi genitori, per un po’ la situazione era parsa migliorare. Quando era partita da Parigi all’improvviso, settimane prima, aveva lasciato del lavoro arretrato per la Maison, quindi per qualche ora era riuscita a concentrarsi su quello, sviluppando con estrema cura l'ultimo servizio fotografico per la casa di mode. Solo quando tra quei negativi aveva visto il corpo di Andrew mentre usciva dall'acqua, si era ricordata che aveva terminato gli ultimi scatti disponibili proprio con le inquadrature fatte accanto alla piscina dello Chateau, mentre lo aveva sorpreso a nuotare come mamma lo aveva fatto e senza ancora sapere che quel corpo nudo apparteneva all'uomo che, fin dalla prima volta, aveva tormentato i suoi sogni rendendoli squisitamente sensuali.

Quelle immagini avevano fiaccato il ferreo proposito di scordarsi di lui e delle sue parole; quindi, rassegnata all'inevitabile, aveva deciso di esorcizzare il ricordo di Andrew facendo l'esatto contrario: con un'attenzione maggiore del solito aveva sviluppato e ingrandito tutte le foto che gli aveva scattato negli ultimi giorni e poi le aveva appese ad una ad una, col risultato che ora il suo studio era tappezzato delle immagini in formato gigante di un solo uomo.

Un benvenuto non troppo cortese per Alex Andrews, che attendeva di lì ad un'ora proprio in quella stanza.

Era stata Marie-Antoinette a suggerirle di riceverlo nell'ampia veranda della casa che lei aveva deciso di trasformare nel proprio studio, non appena l'aveva vista il giorno in cui, tre anni prima, si era innamorata di quel grande appartamento su due piani che si affacciava sui tetti di Parigi da un lato e sul Bois de Boulogne dall'altro. Solo in quel momento si rendeva conto d'aver desiderato, fin da ragazza, di poter un giorno avere per sé una stanza simile, con ampie vetrate ad illuminarla tutta; e più ci pensava, più doveva ammettere che quel desiderio non nasceva solo dall'esigenza  di circondarsi di luce legato alla sua professione, ma dall'inconscio ricordo dello studio che c'era allo Chateau, visto quell'unica volta da bambina, quando sua madre l'aveva portata per la prima volta in Francia. Anche la posizione e di conseguenza la vista che si godeva dall'appartamento dal lato verso il famoso parco, ricordava quella dello Chateau di Cluny o, quantomeno desiderava richiamarla sempre alla mente.

Quando lo aveva acquistato non era ancora tornata alla casa del suo antenato, eppure l'immagine di quel luogo doveva esserle entrato sotto pelle perché anche l'arredamento che aveva scelto era molto simile: nessun imponente oggetto di antiquariato stile Luigi XV come il palazzo e la zona esclusiva avrebbero potuto suggerire, ma neanche il freddo minimalismo che aveva usato per l'appartamento di Londra. Per la sua casa aveva voluto oggetti di antiquariato più sobri e che al tempo stesso richiamassero l'idea di calore e di vita vissuta, senza però far scordare la raffinatezza, e li aveva miscelati con sapienza allo stile moderno necessario alla sua professione e alle comodità del ventunesimo secolo: il risultato era un appartamento di gran classe, nel quale si sentiva finalmente a casa. In nessun altro luogo, durante tutta la sua vita, si era mai sentita così, neppure nella maestosa residenza ducale in cui era nata e che per diciotto anni era stata l'abitazione della sua infanzia, alternata a quella londinese, ormai entrambe di proprietà di suo fratello Edmund. Solo negli ultimi giorni trascorsi a Cluny aveva provato lo stesso senso appartenenza.

Aveva riflettuto su tutte queste cose mentre sviluppava le foto di Andew e ricordava gli splendidi momenti trascorsi assieme.

Perché mai aveva tanta paura a lasciarsi andare?

Perché non riusciva a liberarsi dei fantasmi del suo passato e permettersi di amare -cosa che se doveva essere davvero sincera con se stessa, per altro già faceva- l'unico uomo che avrebbe potuto concedersi di sposare?

Con lui avrebbe potuto realizzare i suoi sogni di bambina, quelli che coltivava nel cuore prima che le continue liti dei suoi genitori e la delusione provata con Christopher li estirpassero brutalmente.

Forse poteva concedere ancora una speranza al suo cuore. In fondo lei lo sapeva. Aveva solo paura di riaprirlo all'amore.

Persa nei suoi pensieri aveva appena terminato di raccogliere tutte le foto appese, quando Marie-Antoinette bussò per ricordarle che a breve sarebbe arrivato lo scrittore.

"Grazie Marie-Antoinette... corro a darmi una sistemata..." e sparì come un fulmine, lasciando la sua assistente divertita come al solito nel vederla in preda all'agitazione.

"Mancano ancora dieci minuti all'ora dell'appuntamento..." si arrischiò a gridarle dietro la donna, ma milady era già scomparsa al piano di sopra, dimenticando sulla scrivania la cartella con le foto.

Ridiscese dodici minuti dopo, mentre Marie-Antoinette si chiudeva alle spalle la porta del suo studio.

"È già arrivato, milady. L'ho fatto accomodare e ho già portato il vassoio, come mi avete chiesto".

"Sei un angelo, Marie-Antoinette. Come sto?"

"Splendida e perfetta come sempre, milady".

"Bene, è il caso che entri ora..." disse Nicole, lasciando trasparire dal tono tutta l'ansia che stava trattenendo.

"Milady, monsieur Andrews mi ha pregato di consegnarvi questo" e le porse un biglietto da visita uguale a quello che l'agente dello scrittore, mr. Ross Harler, aveva fornito alla sua assistente quando si era presentato.

"Che significa, Marie-Antoinette?"

"Non lo so, lady Sinclair. All'inizio ho pensato che me lo stesse mostrando per farsi riconoscere, come se ce ne fosse bisogno. Voi sapete che mi basta sentire la voce di una persona una sola volta, per riconoscerla, anche se non è più al telefono" disse la donna con orgoglio.

"Certo, Marie-Antoinette, ma devi convenire che mr. Andrews non può essere a conoscenza di questa tua qualità" rispose Nicole.

"Avete ragione. Eppure, nonostante glielo abbia detto mentre lo accompagnavo nel vostro studio, quando stavo per uscire mi ha pregato di darlo a voi. E anche quando ho sottolineato che non era necessario poiché eravamo già in possesso di ogni recapito per raggiungerlo, mr. Andrews ha insistito".

"E va bene, ci sarà un valido motivo per cui desidera che io lo abbia. Glielo domanderò tra poco. Fammi gli auguri, Marie-Antoinette" e senza aspettare che l'assistente esaudisse la sua richiesta, aprì la porta ed entrò.

Alex Andrews era in piedi, davanti alla grande vetrata, ad osservare il parco. La luce del sole entrava con prepotenza da quella direzione e rendeva impossibile cogliere la sua figura nel dettaglio; tuttavia era evidente l'altezza e la corporatura notevole  dell'uomo. Indossava un completo maschile scuro dal taglio perfetto, con scarpe in pelle nera, certamente di marca italiana.

Quando, percependo la sua presenza, si voltò verso di lei, per un attimo la luce alle sue spalle le impedì di mettere a fuoco il suo volto e l'attenzione di Nicole fu catturata dall'ampiezza del torace e dalla mano, che l'uomo nel frattempo aveva allungato verso di lei, spostandosi in avanti di qualche passo.

Non ha affatto un aspetto banale si rese conto di pensare, mentre a sua volta gli si avvicinava per salutarlo.

"Bonjour, lady Sinclair".

Fu la sua voce, dal tono dolce e un po’ esitante, a farle sollevare lo sguardo sul volto, che finalmente riusciva a vedere bene ora che lui si trovava più distante dalla finestra.

Si bloccò con la mano ancora sollevata nell'atto di stringere la sua. Lo guardò negli occhi e nello stesso momento comprese il motivo della sua insistenza col biglietto da visita: senza quello temeva che lei non gli avrebbe creduto.

Poi si diede della stupida, per come aveva fantasticato sul suo aspetto ma, soprattutto, per avergli espresso a voce le proprie considerazioni. Chissà quanto si era divertito, in quell'occasione!

"Buongiorno, mr. Andrews" si decise a salutarlo, porgendogli la mano, ma risoluta ad allontanarla non appena percepì la sua esitazione nel volerla trattenere "prego, si accomodi. Ho idea che avremo molto di cui parlare..." aggiunse andando a sedersi alla propria scrivania ed evitando di proposito la poltrona accanto a quella in cui aveva invitato lui ad accomodarsi. 

L'uomo, però, non si diresse verso la poltrona, ma la seguì e, prima che lei potesse impedirgli di prenderla, si impadronì della cartella che aveva lasciato sul tavolo.

"Foto interessanti..."

Ne scorse qualcuna e si soffermò sulla prima in cui vi era anche lei, benché non si vedesse il suo volto. Era una delle immagini scattate prima di fare l'amore.

"Teme che possa sfruttarle per uno scoop?" lo provocò, continuando a dargli del lei come se stesse effettivamente parlando ad uno sconosciuto. Era nervosa e arrabbiata per come si sentiva presa in giro: più di una volta gli aveva espresso il dispiacere d'aver perso l'occasione di fare da consulente al noto scrittore, e senza saperlo stava già lavorando con lui.

Si alzò e allungò una mano per farsi restituire la cartella.

"Nicole..."disse Andrew, ma il suo tentativo di calmarla non sortì alcun effetto, lei era impassibile, con la mano protesa a mo’ di comando. In quel momento aveva più autorità su di lui di quanta ne avessero mai avuta sua madre o suo padre, pensò  sorridendo dentro di sé e scoprendosi sempre più innamorato. Arreso, le restituì le fotografie.

"A ben pensarci ho davvero tra le mani un fantastico scoop! Potrei vendere queste foto: Immagini inedite dello scrittore del mistero... I giornali andrebbero a ruba e io farei un sacco di quattrini. Per non parlare della pubblicità...".

"È questo che vuoi? Quattrini e pubblicità?"

"Quello che vorrei davvero è riuscire a schiaffeggiarti come si deve".

"Cosa te lo impedisce?" domandò lui con uno dei suoi sorrisi che erano sempre in grado di scioglierla. E lo sapeva bene.

"Non è nel mio stile" rispose con tutta l'arroganza che riuscì a recuperare dai secoli di nobiltà che aveva alle spalle. Di certo l'espressione divertita di Andrew non le facilitava il compito.

"Io, invece, voglio baciarti come si deve... e questo è proprio nel mio stile" replicò lui e, senza darle il tempo di reagire, mise subito in pratica il suo proposito.

Stretta tra le sue braccia Nicole non riuscì ad evitare di abbandonarsi al suo ardore. Aveva trascorso una sola notte senza di lui ed era stata interminabile. Prima o poi avrebbe dovuto arrendersi ai suoi sentimenti e alla sua proposta: più ci pensava, infatti, e più la trovava allettante. E le faceva sempre meno paura. Ma Andrew si era preso gioco di lei e si meritava di soffrire un po’.

"Lasciami" gli intimò quando riuscì a staccarsi da lui.

"Tesoro...".

Quell'appellativo tenero, che lui usava mentre faceva l'amore con lei, la rese più furibonda.

"Lasciami e vedi di propinarmi una bella storia per giustificare il tuo comportamento, altrimenti quelle foto faranno davvero il giro del mondo" lo minacciò, nonostante entrambi sapessero che non avrebbe mai messo in atto il suo proposito "del resto inventare storie è ciò che ti riesce meglio, non è vero?" aggiunse per provocarlo.

"Non devo inventare proprio nulla" rispose lui, calmo.

"D'accordo, allora. Dimmi com'è andata".

Andrew la fece sedere su una poltrona ma lui rimase in piedi e iniziò a raccontarle tutto quanto dall'inizio, da quando si erano scontrati sulla spiaggia sino a quando aveva scoperto che l'esperta che gli aveva scovato Ross e la donna di cui si era innamorato erano la stessa persona.

"Eri innamorato di me?"

"Sì".

"Ma sei andato a letto con Monique" osservò lei, pacata.

"Quando sono stato con Monique non me n'ero ancora reso conto. Anzi è proprio grazie alla mia avventura con lei che l'ho capito. E ne ho avuto la conferma quando ti ho scoperta a frugare nella tua stessa proprietà... È stato a quel punto che ho collegato tutto quanto e che ho compreso che quelle che all'inizio pensavo fossero ben quattro persone diverse -la sconosciuta della spiaggia, l'affascinante fotografa, la lady esperta dell'Ottocento e l'erede del Duca- erano in realtà un'unica persona: tu. In quel momento ho preso la decisione di tacerti l'identità con cui mi avresti riconosciuto".

"Perché?"

"Io volevo che mi conoscessi e ti innamorassi di me per l'uomo che sono, Andrew Alexander Rabb, e niente altro. Se ti avessi detto che sono lo scrittore Alex Andrews, i nostri rapporti sarebbero stati diversi" le disse, facendola alzare in piedi per abbracciarla. Lei non glielo impedì e Andrew lo considerò un ottimo segno.

"Mi reputi incapace di valutare una persona a prescindere dal ruolo che ricopre? Ti faccio presente che sono abituata a persone che hanno ruoli ben più importanti rispetto al tuo".

"Lo so bene. Ma faccio io presente a te che sei la prima a non presentarti col tuo titolo nobiliare... questo dovrebbe farti capire ciò che intendo. Inoltre tu stessa avevi ammesso come fotografa che non mescoli mai lavoro e piacere; ho temuto che la pensassi allo stesso modo anche per il nostro rapporto di collaborazione e io volevo rientrare nella categoria piacere e non lavoro".

"Cosa farai coi diari?" chiese lei. Non aveva commentato ciò che lui le aveva spiegato, ma il tono della sua domanda e il repentino cambio di argomento gli fecero capire che si stava ammorbidendo.

"Dipende da te. Ho diverse idee in proposito, ma la decisione è tua".

"Dimmi quali".

"Dopo" rispose lui "dopo che ti avrò presentato i miei genitori" aggiunse. Aveva colto la voce di suo padre al di là della porta chiusa.

"Mi hai detto che sarebbero arrivati stasera... Hai mentito anche su questo" osservò lei.

"Hai ragione. Sono partito da Cluny poche ore dopo di te. Ma la sorpresa che stanno per farti valeva questa piccola bugia, credimi".

"Quale sorpresa?" cercò di farsi dire, ma in quel momento Marie-Antoinette bussò ed entrò.

"Excuse moi, milady, il signore qui presente insiste per vedere suo figlio..." disse imbarazzata la sua assistente, la quale non riusciva a capire come mai la coppia anziana, che a quanto le avevano assicurato erano i genitori del famoso scrittore americano, a tutti i costi dovesse interrompere il colloquio che Sua Signoria attendeva da tempo.

Da quando aveva iniziato a lavorare per milady, mademoiselle Valens, contrariamente ai suoi principi, si era abituata a non attendere una risposta di Lady Sinclair dopo aver bussato, a meno che non espressamente richiesto dalla sua padrona: questa regola gliel'aveva imposta milady, perché spesso era immersa nel proprio lavoro e non avrebbe sentito neppure lo squillo di un campanello. Inoltre Sua Signoria mal sopportava certe rigidità dell'etichetta e voleva a tutti i costi non essere trattata come una persona di rango superiore. Ovviamente Marie-Antoinette non si sarebbe mai sognata di dare del tu alla sua padrona, come più volte lei stessa aveva richiesto, ma in piccole cose era dovuta scendere a qualche compromesso. Tuttavia era conscia che prima o poi se ne sarebbe pentita, e il momento era forse arrivato: infatti nell'aprire la porta senza attendere risposta, aveva visto anche l'abbraccio affettuoso nel quale monsieur Andrews accoglieva Lady Sinclair, fonte di ulteriore imbarazzo per la giovane assistente.

"Tranquilla, Marie-Antoinette, fallo passare" disse Nicole.

Mademoiselle Valens osservò che milady si era scolta dall'abbraccio nel risponderle, ma monsieur Andrews le aveva afferrato la mano e la teneva nella propria.

"C'è anche una signora..." aggiunse la donna, ancora più turbata dal fatto che Sua Signoria lasciava la mano in quella dello scrittore. Era convinta che non si conoscessero, ma a quanto pareva si era sbagliata.

"Beh, fa accomodare anche lei, ovviamente" la sollecitò Nicole; poi, accortasi dell'imbarazzo, nonché dello stupore della sua assistente, aggiunse:

"Più tardi ti spiegherò tutto" e accompagnò la frase con il sorriso dolce che sapeva sempre rassicurarla.

 

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Capitolo 41
*** Mr. e Mrs. Rabb ***





Capitolo XLI

Mr. e Mrs. Rabb



"Che ti avevo detto, tesoro? Andy non avrebbe potuto scegliere che il meglio".

"Non gongolare troppo, mio caro. Questo io lo sapevo prima ancora di dirti che nostro figlio si era innamorato".

Fu con questo scambio di battute che i genitori di Andrew le si presentarono.

Stupita, Nicole sollevò lo sguardo verso l'uomo che ancora teneva la sua mano nella propria e lo vide alzare gli occhi al soffitto, come a voler dire che ci posso fare, questi sono i miei genitori e me li devo tenere. Ma il divertimento e la tenerezza che velavano la sua espressione esprimevano tutto l'amore e l'orgoglio che provava per loro.

Andrew le lasciò la mano per avvolgere la madre in un abbraccio dolcissimo e dare una pacca affettuosa sulla spalla del padre. Entrambi ricambiarono con altrettanto trasporto.

Nicole pensò che non aveva mai visto suo fratello salutare i loro genitori allo stesso modo, neppure quando era stato per un intero anno fuori casa per il consueto giro del mondo che, ciò che ancora rimaneva della nobiltà inglese, continuava a considerare un dovere e al tempo stesso un privilegio del figlio maschio non appena varcava la soglia dell'età adulta. Del resto, però, neppure lei aveva mai salutato i genitori con slanci genuini. Il suo desiderio di dare e ricevere affetto era stato stroncato da entrambi prima ancora che raggiungesse la pubertà con severe ramanzine sul contegno che una futura lady doveva mantenere. Nicole aveva riversato su cani e cavalli la propria tenerezza: a quanto sembrava, nell'alta società era più decoroso salutare con calore gli animali piuttosto che i propri familiari.

"Mamma, papà, lei è Nicole, per l'esattezza Lady Nicole Alexandra Montgomery Sinclair, contessa d'Harmòn e sorella dell'attuale duca di Kesington, la donna che voglio sposare".

Furono queste parole a riportarla alla realtà. Andrew non aveva usato mezzi termini nel presentarla, anche se sospettava che i genitori già conoscessero il suo nome per intero, nonché il titolo e persino il fatto che il figlio desiderasse sposarla.

"Nicole, loro sono i miei genitori, Harmon Rabb e Sarah Mackenzie" aggiunse poi. Nonostante l'importanza di quel momento, lei colse la strana assonanza tra i nomi dei genitori di Andrew con quelli dei suoi antenati, ma non fece in tempo a dire alcunché poiché i due coniugi americani si rivolsero a lei.

"Lady Nicole..." la appellarono e lei osservò che entrambi d’istinto avevano assunto una posizione più rigida nel salutarla, quasi a ricordare il mettersi sull'attenti dei soldati. All'improvviso ricordò ciò che Andrew le aveva detto dei suoi genitori e pensò che era probabile che fosse un gesto inconscio di rispetto, impresso in loro da anni di vita militare.

Si fece coraggio e avanzò di un passo, per salutarli a sua volta.

"Solo Nicole, per favore" disse porgendo ad entrambi la mano. "È per me un grande piacere conoscervi, signori Rabb. Prego, accomodatevi" aggiunse e indicò le poltrone alla loro destra. I due ospiti stavano per sedersi quando realizzò che lei e Andrew sarebbero dovuti restare in piedi, pertanto si affrettò a suggerire: "O forse è meglio che ci spostiamo in salotto...", rivelando in quel modo l'ansia che invano tentava di celare dietro una facciata di contegno aristocratico che le avevano inculcato fin dalla nascita.

Andrew sorrise: aveva imparato a conoscerla e sapeva cosa nascondeva quell'agitazione.

"Tranquilla, tesoro. Qui andrà benissimo" disse, mentre spostava la sedia accanto alle poltrone e la invitava ad usarla. Lui si appoggiò al bordo della scrivania con l'aria più naturale del mondo.

Nicole non tentò neppure di discutere il fatto che quella fosse casa sua e che spettava a lei decidere dove far accomodare i suoi ospiti. Si sedette e cercò di placare l'ansia. Ma, caspita, stava per conoscere i suoi probabili futuri suoceri... chiunque avrebbe avuto diritto di essere agitato, persino una nobildonna inglese!

"E così vi sposerete" esordì mrs. Rabb con la stessa naturalezza con cui avrebbe detto che stava bevendo un caffè.

"Non precipiterei le cose,  signora Rabb" disse Nicole, decisa, "vostro figlio mi ha mentito".

"Si riferisce al fatto che ha omesso di dire che in realtà è lo scrittore Alex Andrews?" si intromise mr. Rabb.

"Sì".

"La privacy per nostro figlio è sempre stata importante. Presentarsi con lo pseudonimo scelto per la sua professione l'avrebbe messa a repentaglio. Non dimentichi che lei è una fotografa e avrebbe potuto darlo in pasto ai media".

"Certo, lo capisco. Ma ha deliberatamente deciso di mentirmi anche quando ha saputo che ero l'esperta che avrebbe dovuto incontrare come scrittore...".

"Può condannare il desiderio di un uomo innamorato di essere scelto per se stesso e non per la sua notorietà?" chiese mrs. Rabb, puntando sul romanticismo.

"No, tuttavia..." si accinse a ribattere Nicole, ma fu fermata da Andrew.

"Adesso basta. Papà, mamma, ho piacere che peroriate la mia causa, ma non siamo in un aula di tribunale e Nicole non è una testimone da screditare. Mi avete ricordato quando mi facevate assistere alle prove per le vostre arringhe! So gestire io la faccenda del nostro matrimonio. Voi siete qui, oltre che per conoscere Nicole, per un altro motivo, se non ricordo male".

"Hai ragione, Andy. Perdonaci" disse mr. Rabb, con un sorriso disarmante. Lo stesso sorriso del figlio, pensò Nicole.

Nell'osservare a prima vista i suoi genitori, infatti, non era facile dire da chi dei due Andrew avesse preso. Tuttavia, ad uno sguardo più attento, si potevano cogliere le somiglianze: il sorriso e gli occhi chiari erano del padre, anche se in quelli di Andrew la sfumatura verde, appena accennata in mr. Rabb, diventava più evidente. Anche l'altezza e la corporatura atletica erano quelle del padre, sebbene Andrew fosse nell'insieme meno imponente. Mr. Rabb, infatti, anche a settant'anni suonati, era un uomo che non passava inosservato. Il colore dei capelli e il taglio degli occhi erano invece della madre, nonché la sfumatura ambrata della pelle. Il volto, però, era solo suo, così come la linea del naso. Ricordò che Andrew le aveva accennato alle antenate della madre: ad osservare la struttura del suo viso, era quasi sicura che egli dovesse ringraziare sia il sangue persiano sia quello cherokee per quei lineamenti maschi così interessanti.

Visto che nessuno parlava più, si risolse a chiedere:

"Quale altro motivo?".

E così, in breve, fu messa a conoscenza dell'incredibile storia che i genitori di Andrew erano venuti a raccontarle.

Seppe dell'incarico che, oltre trent'anni prima, li aveva messi sulle tracce del suo antenato francese, il Conte Andrè d'Harmòn, divenuto, a seguito della morte dello zio inglese,  Lord Thornthon, Duca di Lyndham. Scoprì anche che mr. e mrs. Rabb, a quei tempi non ancora sposati, avevano conosciuto anche un altro discendente diretto di Lady Sarah e del Duca di Lyndham, Lord Montagu, che doveva il proprio titolo proprio ai servigi che il Duca e la Duchessa avevano svolto per la regina Vittoria. Infine venne a sapere anche del ruolo che i suoi antenati avevano svolto alla corte asburgica.

"Mi state dicendo che il mio antenato ebbe a che fare addirittura con Francesco Giuseppe e con Elisabetta di Baviera?"

"Non solo vi ebbe a che fare, ma assieme a quella che poi sarebbe diventata sua moglie, salvò la vita all'amata consorte, e per questo ebbero l'amicizia dell'Imperatore e dell'Imperatrice per tutta la vita. Quest'ultimo particolare è quanto ci raccontò Lord Montagu, quando parlammo con lui" disse Harmon Rabb.

"Non hai trovato mai nulla in proposito durante le tue ricerche?" domandò Andrew.

"Ho trovato alcuni documenti che portano il sigillo della corte asburgica, ma non sono mai riuscita a spiegarmi il perché. Ci sono anche delle lettere indirizzate ad entrambi e firmate Elisabetta, ma la firma si limita al nome e non mi sono mai spinta a pensare che potesse essere addirittura l'imperatrice d'Austria" rispose lei, pensierosa.

"È probabile che non volesse che qualcuno venisse a sapere che era in corrispondenza con un'inglese e un francese... firmandosi solo col nome nessuno avrebbe potuto affermare che quelle missive fossero sue, tranne i diretti interessati" disse Andrew.

"O, più semplicemente, Elisabetta di Baviera era fatta cosi: si dice che fosse molto amabile con chi sapeva conquistarsi le sue simpatie e che trattava coloro i quali considerava amici con estrema familiarità. L'arciduchessa Sophia, madre dell'Imperatore, disapprovava questo suo atteggiamento, ma Sissi si ostinava a mantenerlo, forse per una forma di ribellione nei confronti della suocera invadente. Ad ogni modo, ora capisco il perché di quei secondi nomi..."

"A cosa si riferisce, Nicole" domandò incuriosita Sarah Mackenzie.

"Il duca e la duchessa ebbero quattro figli: Andrew Alexander..." rispose, e nel pronunciare quel nome rivolse lo sguardo verso l'uomo che amava; poi continuò:"due gemelli, Jane Elizabeth e Nicholas Joseph, e infine la mia antenata, Alexandra Nicole. Prima d'ora non ero mai riuscita a spiegarmi il perché di quei due nomi, soprattutto di Joseph, un nome né inglese, né francese, almeno non nella forma in cui è stato ufficializzato, ma alla luce di quanto mi avete detto, è tutto più chiaro: di certo  Elizabeth e Joseph sono in onore dell'Imperatore Franz Joseph e della sua consorte, Elisabetta. Ora non mi resta che capire l'origine dell'altro nome, Alexander -o Alexandra-, che ricorre nella famiglia a partire proprio dai figli del Duca e della Duchessa...".

"Credo che qui possano esserci le risposte a questa domanda..." disse mrs. Rabb, porgendole un quadernetto in pelle dall'aspetto molto familiare, che aveva estratto dalla borsa.

"Non ci posso credere..." mormorò Nicole con le lacrime agli occhi, prendendolo.

Sarah e Harmon Rabb si guardarono, compiaciuti: c'erano voluti più di trent'anni, ma alla fine erano riusciti a consegnare ad uno dei legittimi eredi l'antico diario che avevano ritrovato.

 

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Capitolo 42
*** Senza di lei ***





Capitolo XLII

Senza di lei



A svegliarla fu la sensazione di non averlo più accanto a sé. Voltò la testa e si soffermò ad ammirare il corpo di suo marito, rischiarato dalla luce dell'alba. Harm era in piedi davanti alla finestra, ad osservare fuori. Lo scalpiccio nervoso degli zoccoli di Joy stava ad indicare che Andy era pronto per uscire a cavallo.

"Di già?" domandò al marito.

Harm annuì con un cenno del capo, senza neppure voltarsi.

"Sempre prima..." sospirò lei. Quindi aggiunse: "Sono appena le 5.57... Quanto avrà dormito stanotte? Tre, quattro ore?"

"Meno: alle tre era ancora in studio a scrivere. Potrebbe non aver dormito affatto" rispose Harm, sempre con lo sguardo oltre i vetri.

Lei si voltò sul fianco e rimase ad osservarlo. Nonostante la preoccupazione per il figlio, non poté evitare di ammirare il corpo del marito. Coperto come sempre solo di un paio di boxer, Harm le faceva lo stesso effetto della prima volta in cui lo aveva visto in versione discinta, quasi quarantanni prima. Ospite a casa sua per la notte, lo aveva svegliato coi rumori che aveva fatto mentre puliva la sua pistola. Aveva freddo e non riusciva a dormire e lui si era alzato per accenderle il riscaldamento. Come se nulla fosse, le si era presentato in tutto il suo splendore e lei ricordava ancora di aver pensato, maliziosa, uno che se avesse fatto anche a meno dei boxer la sua giornata sarebbe stata migliore, e due che avrebbe risparmiato in riscaldamento se l'avesse accolta nel letto con sé.

Il corpo di suo marito era cambiato, ovviamente, come del resto il suo; ma entrambi per fortuna godevano di ottima salute ed erano riusciti a mantenersi in forma nonostante il passare degli anni. Quindi la visione di Harm appena sveglio, con l'aria ancora un po' assonnata, a piedi scalzi e con nulla addosso tranne il paio di boxer, le procurava sempre il familiare vuoto allo stomaco di quarantanni prima. Ora, però, si aggiungevano anche la tenerezza e la familiarità della profonda conoscenza reciproca.

Da tempo si stupiva di quanto lo desiderasse ancora. Lo desiderava con una intensità talvolta maggiore delle prime volte che aveva trascorso nel letto con  lui. Era un bisogno, non solo un desiderio: il bisogno che lui la completasse, che fosse unito a lei. La necessità di sapere che l'unione dei loro corpi non si limitava alla soddisfazione del piacere, ma colmava il vuoto che l'avvicinarsi della morte avrebbe portato nella vita di uno dei due. C'erano delle volte in cui si soffermava ad osservarlo mentre dormiva, intenta a captare ogni suo singolo respiro. Harm stava bene, non aveva problemi di nessun tipo, salvo i classici acciacchi dovuti all'età; eppure lei temeva sempre che un giorno si sarebbe risvegliata senza di lui. Un po' com'era accaduto a Lady Sarah.

Altre volte, invece, temeva che uno dei due avrebbe scoperto di essere ammalato, di avere ancora poco tempo da vivere, da trascorrere godendo del conforto dell'altro.

Ogni tanto esternava questi suoi timori al marito, il quale rispondeva sempre con la solita battuta, che la faceva sorridere: "è perché sei ancora troppo innamorata di me...". La pronunciava con la sua solita aria sorniona, ma ogni volta soffermava lo sguardo su di lei quell'attimo in più, sufficiente a farle capire che lui provava i suoi stessi sentimenti e le sue stesse paure.

Era il prezzo da pagare per aver amato lo stesso uomo per oltre metà della propria vita.

Harm era in apprensione, esattamente come lei. Però se era piuttosto usuale che lei fosse in ansia per Andrew, nel caso di Harm era alquanto insolito e quindi più preoccupante. E visto che la faccenda durava ormai da oltre due mesi, ai pensieri per il figlio le si aggiungevano anche quelli per il marito.

"E' ora di fare quattro chiacchiere con lui" disse Harm, sorprendendola.

"Avevo capito che non volevi che ci intromettessimo. Ricordi? E' un uomo adulto, si tratta della sua vita..." citò le parole che proprio lui le aveva detto quando era stata lei a suggerirgli di parlare con Andy.

"Pensavo che a quest'ora avrebbe già preso una decisione e sarebbe tornato in Francia, a cercarla e a convincerla a trascorrere la vita insieme a lui".

"Come facesti tu quando partisti per Londra senza volermi parlare?" lo punzecchiò lei.

Harm la guardò di sottecchi, un mezzo sorriso stiracchiato sulle labbra.

"Proprio perché so di aver sbagliato non voglio che lui faccia lo stesso. Erano perfetti insieme. Certe cose si intuiscono al volo".

"Però lei se n'è andata..."

"Dopo aver letto quel quaderno di pelle marrone che le abbiamo portato. Solo dopo aver letto quello... Avremmo fatto meglio a lasciarlo a Rumsfield" disse secco.

"No, abbiamo fatto la cosa giusta portandoglielo. Andrew mi ha raccontato  delle paure di Nicole, di come è stata cresciuta dai genitori... Povera ragazza, incarna alla perfezione il detto che i soldi non fanno la felicità."

"Sì, d'accordo. Eppure continuo a non capire: ci ha portati a Cluny, a vedere dove il conte è nato, cresciuto, dove ha vissuto con la moglie e i figli e dove è morto. Sembrava felice in quella settimana. Lei e Andy erano felici..."

Harm aveva ragione, quei giorni trascorsi allo Chateau dei d'Harmòn erano sembrati anche a lei meravigliosi. Alla gioia di vedere il figlio sereno accanto alla donna amata, si erano aggiunte l'emozione di trovarsi nei luoghi dove avevano vissuto due persone che una parte tanto importante avevano avuto nelle loro vite e il rendersi conto che si sarebbero presto imparentati con la giovane donna che portava in sé il sangue di queste due persone, rendendole davvero reali. Il Conte André d'Harmòn e Lady Sarah Jane Montagu non erano più due personaggi che sarebbero potuti anche appartenere ad un romanzo, ma erano stati un uomo e una donna in carne ed ossa. Nicole ne era la prova vivente.

In quei giorni a Cluny tutto era sembrato perfetto: l'accoglienza affettuosa di Pierre e Madeleine, i gustosi manicaretti dell'anziana domestica, i bagni di sole nel bellissimo giardino del castello, la meraviglia provata nell'entrare nello studio del Conte e nel tenere in mano gli altri quaderni simili a quello che avevano trovato loro... Per non parlare dell'emozione provata quando Nicole aveva chiesto loro se desiderassero leggerli: lei e Harm avevano risposto all'unisono e pochi minuti dopo si erano già messi al lavoro. Procedevano rapidi, a differenza di quanto avevano fatto Andrew e Nicole, perché non si soffermavano su ogni passaggio a prendere appunti. Avevano così potuto conoscere meglio la personalità dell'uomo che tanto li aveva affascinati anni prima, attraverso i diari di quando era ragazzo e poi un giovane uomo. Quindi avevano potuto apprendere della vicenda che Lord Montagu aveva raccontato loro per sommi capi, direttamente dalle parole del diretto interessato. Infine era stata un'esperienza fantastica leggere della vita vissuta di Lord e Lady Thornton vista attraverso gli occhi innamorati del Duca: la nascita dei figli, il periodo di crisi del matrimonio, l'amicizia con il Conte di Linley e la sua famiglia, la nascita della piccola Alexandra, antenata di Nicole. E poi i balli a corte, gli incontri politici, i viaggi con i ragazzi e quelli loro due da soli; le letture, gli studi coi quali si teneva sempre aggiornato sulle ultime scoperte, notizie sugli investimenti finanziari, che avevano assicurato prosperità e diversificazione ad un patrimonio già considerevole, che era aumentato al punto che ne restava traccia anche dopo oltre un secolo e nonostante fosse stato diviso tra gli eredi.

L'uomo che avevano imparato ad ammirare attraverso le pagine di un diario, in tutti quegli scritti si rivelava in ogni sua sfaccettatura, dalla più intrigante a quella più umana. Un uomo calato perfettamente nella realtà del proprio tempo, un periodo storico di grandi scoperte e innovazioni, ben rappresentato dalla Grande Esposizione del 1889, che si tenne a Parigi nel centenario della Rivoluzione Francese, alla quale il Duca e la Duchessa parteciparono assieme ai loro più cari amici e i rispettivi figli, assistendo così di persona all'inaugurazione del monumento simbolo della città, la Tour Eiffel.

Un periodo storico che, tuttavia, portava con sé anche il seme della Prima Guerra Mondiale. Era stato toccante leggere le sue ultime parole, scritte poco prima di morire, quando esprimeva i suoi timori per una guerra imminente: la lungimiranza dell'uomo politico aveva previsto quello che si sarebbe rivelato essere il primo conflitto mondiale della storia.

Eppure, anche in quei giorni di preoccupazione, il suo pensiero era andato sempre alla donna amata, alla quale aveva scritto missive d'amore.

Lei avrebbe tanto desiderato leggere anche quelle lettere, ma Nicole se n'era andata proprio quando aveva deciso di chiedergliele.

Dieci giorni dopo averla conosciuta, dopo averla vista felice insieme al figlio, dopo aver iniziato ad amarla come una figlia, Nicole se n'era andata.

Andrew si era svegliato un mattino senza di lei, con solo una lettera nel posto vuoto accanto a sé.

Una strana missiva, in cui non era neppure ben chiaro se lo stava lasciando oppure no. Si limitava a dirgli che aveva paura, che non lo voleva invischiare in una relazione complicata, con una donna incapace di amare e farsi amare, le stesse paure che aveva scoperto aver avuto anche la sua antenata quando era fuggita dall'uomo che amava. Aggiungeva che aveva bisogno di capire se stessa e per farlo aveva bisogno di tempo e di solitudine. Lo amava e lo avrebbe rimpianto per tutta la vita, ma preferiva una separazione netta piuttosto che il dolore di vedere l'amore che era certa lui provava per lei distrutto dalla propria incapacità di renderlo felice. Gli lasciava a disposizione tutti i diari e l'autorizzazione a farne ciò che desiderava: pubblicarli com'erano, scriverci un romanzo... qualsiasi cosa. La parte di eventuali proventi che le spettavano come legittima proprietaria li avrebbe dovuti girare alla fondazione che gestiva col dottor Dumònt. Esattamente come i soldi che lui le avrebbe versato per l'acquisto dello Chateau: sapeva quanto Andrew amasse quel luogo e se ancora lo avesse desiderato, era disposta a venderglielo per una cifra che, quando l'aveva letta, Andy era scoppiato a ridere, poiché non era neppure un terzo del valore dell'intera proprietà. A patto che mantenesse il posto a Pierre e Madeleine e a loro figlio. In caso contrario sarebbe potuto tornare lì ogni volta che lo avesse desiderato. Concludeva che non sapeva se e quando sarebbe tornata e che ringraziasse e salutasse con affetto i suoi genitori, pregandolo di porger loro le sue scuse.

Andrew aveva letto ad alta voce la lettera, benché contenesse frasi indirizzate a lui solo e aveva aggiunto di aver controllato presso il suo avvocato, il quale aveva già ricevuto tramite il legale di Lady Nicole Alexandra Sinclair, contessa d'Harmòn, comunicato di provvedere per il castello e i diari proprio come lei gli aveva scritto. Aveva anche contattato Marie-Antoinette Valèns, l'assistente personale di Nicole, la quale gli aveva confermato che Milady le aveva ordinato di disdire qualunque impegno avesse già preso per i prossimi sei mesi, comunicare alla Maison Dior la necessità di un congedo a lungo termine per motivi personali e informare il Duca suo fratello che non sarebbe stata disponibile per un po'. Madamoiselle Valèns gli aveva spiegato di aver già disdetto gli impegni (un paio di serate di gala, una prima a teatro per l'inizio della stagione e gli incontri col dottor Dumònt) e comunicato con la Maison, ma non aveva ancora avuto la forza di affrontare la sfuriata di sua Signoria che dava per certa la partecipazione della sorella al ricevimento di Lord e Lady Spencer che si sarebbe tenuto a fine ottobre; e Sua Grazia mal sopportava che ciò che era assodato diventasse all'improvviso indefinito, se non addirittura improbabile.

Gli aveva riferito ogni cosa con la medesima meticolosità che avrebbe riservato a Milady, evidente segno che considerava lo scrittore come il fidanzato della sua datrice di lavoro e pertanto in diritto di conoscere tutto quanto la riguardasse.

Andrew aveva domandato a madamoiselle Valens e a Pierre e Madeleine se avessero una qualche idea di dove potesse essere andata. Nessuno ne sapeva niente, ma l'efficiente Marie-Antoinette gli aveva promesso che avrebbe chiamato ogni proprietà della famiglia per sapere se Milady fosse lì o se l'avessero anche solo sentita. Due ore dopo lo informava che l'unica persona che aveva contattato, a parte lei, e sempre al telefono, era stato il suo legale. Dopodiché nessun numero telefonico di Milady era più raggiungibile. Doveva aver spento tutti e tre i cellulari che possedeva.

"Cosa pensi di fare, ora?" gli aveva domandato Harm, dopo che Andrew li aveva informati della sparizione di Nicole, dando voce anche ai suoi pensieri.

"Nulla. Torniamo a casa. Ho già fissato il volo per domattina da Parigi".

Entrambi lo avevano guardato esterrefatti, non si aspettavano quella risposta. Non da un figlio che aveva sempre lottato per raggiungere i propri obiettivi.

"Andrew, ne sei sicuro?" gli aveva chiesto lei con dolcezza, ben sapendo quanto stesse soffrendo.

"Sicurissimo" aveva tagliato corto, bloccando sul nascere qualunque obiezione e qualunque discorso genitori-figlio avessero pensato di fargli.

E così, da due mesi ormai, erano tornati in America. Andrew, però, non aveva ancora messo piede a New York. Era rimasto in California, dove trascorreva le  giornate chiuso in studio. Nonostante vivesse con loro, lo vedevano di sfuggita giusto ai pasti, e nemmeno a tutti. La maggior parte delle volte pranzava o cenava con un sandwich davanti al computer. Oppure non mangiava affatto. Gli unici momenti in cui prendeva una boccata d'aria era all'alba, quando usciva a cavallo con Joy. Non erano neppure certi che tutte quelle ore chiuso in studio le trascorresse dando vita ad un nuovo romanzo: negli occhi non gli aveva ancora visto, infatti, quella luce particolare che di solito aveva quando le idee gli si chiarivano ed era pronto ad iniziare. In quelle settimane lo sguardo di Andrew era spento; solo per brevi istanti talvolta si animava, ma di una luce triste e dolorosa.

"Non è mai stato abituato ad essere rifiutato, a soffrire per una donna..." disse rivolta al marito.

Harm si voltò a guardarla e lei continuò, cercando di spiegargli la sua opinione:

"Deve metabolizzare ciò che gli è successo. Andandosene, Nicole gli ha tolto  la possibilità di combattere per averla e lui non sa più come fare. Si sente impotente e sconfitto. Quella donna, d'istinto, ha compreso che l'unico modo per riuscire a far ordine nei propri pensieri senza essere influenzata da Andy, era quello di andarsene. In caso contrario non ne avrebbe avuto la possibilità, perché nostro figlio non le avrebbe dato tregua."

Suo marito annuì e lei non si sorprese: erano abituati da decenni a giungere entrambi alle medesime conclusioni. Difatti fu lui a dar voce al resto della sua analisi:

"Però adesso del tempo è trascorso e Nicole dovrebbe essere riuscita a far chiarezza in se stessa. E' quindi ora che Andrew la vada a cercare e la riporti a casa con sé".

"O almeno che ci provi" lo corresse lei, facendogli abbassare come sempre le ali. Lui si rese conto subito dell'arroganza della propria affermazione e sorrise: Mac non perdeva un colpo e non gliene lasciava scappare neanche una. Le concesse ragione:

"O almeno che ci provi".

 

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Capitolo 43
*** Ritorno a Cluny ***





Capitolo XLIII

Ritorno a Cluny



Di solito nulla era in grado di liberargli la mente come macinare una vasca dietro l'altra, con ritmo lento e costante; invece quella mattina neppure nuotare sembrava dar sollievo ai suoi pensieri e restituirgli la calma. Forse era distratto dall'aria frizzantina di metà ottobre, che conferiva all'acqua una temperatura poco allettante per una lunga e lenta nuotata, come ne avrebbe avuto bisogno. L'insolito clima favorevole di quelle giornate che si erano da poco affacciate sull'autunno, lo aveva invogliato a tuffarsi come sempre all'alba, ma per stare in acqua a lungo avrebbe dovuto attendere la tarda mattinata o il primo pomeriggio, quando la temperatura avrebbe sfiorato anche i venticinque gradi. In quel momento ce ne saranno stati dieci scarsi.

Eppure nuotare riusciva comunque a schiarirgli le idee, quindi decise di proseguire, sfidando il freddo. Da quando Nicole se n'era andata erano diverse le sfide intraprese con se stesso; una in più non avrebbe fatto la differenza.

Era ormai trascorsa un'intera stagione senza di lei e in quei tre mesi aveva attraversato metà continente per ben due volte, aveva pressoché scritto un intero romanzo ed era diventato il proprietario dello Chateau dell'antica e nobile famiglia dei conti D'Harmòn, dove si era trasferito a vivere. O meglio: ne era diventato proprietario per metà, poiché aveva preteso che l'altra metà restasse a Nicole. Il legale di Lady Sinclair non era riuscito a convincerlo ad accettare tutta quanta la proprietà per la cifra stabilita dalla contessa, che lui stesso aveva definito irrisoria rispetto all'effettivo valore.

Un mese prima, dopo aver parlato coi suoi genitori, aveva fatto di nuovo i bagagli ed era tornato a Cluny, con tutta l'intenzione di restarci per sempre. Aveva già deciso di tornare in Francia e accettare, almeno in parte, le volontà di Nicole. Stava solo attendendo di arrivare alla fine della prima stesura del romanzo; per quel motivo aveva lavorato giorno e notte, nonostante fosse triste e sentisse in maniera fisica la mancanza della donna amata. Nei sogni che coltivava quando ancora era con lei, avrebbe scritto il suo capolavoro assieme a Nicole, tra una notte d'amore e l'altra. Invece le cose erano andate diversamente, ma forse, per il romanzo, era stato meglio così: si era infatti immedesimato a tal punto nel conte abbandonato sulla Medea e successivamente ammalato di polmonite, senza la donna amata tra le braccia, che aveva riversato nelle parole scritte ancora più passione, più dolore e più nostalgia di quanto sarebbe stato capace di fare senza aver provato certe emozioni sulla propria pelle. Il romanzo necessitava ancora di una fine opera di limatura, ma la struttura c'era tutta e in quella struttura vi era anche l'essenza di un possibile capolavoro. Ross sarebbe stato soddisfatto di lui.

Il giorno successivo il suo arrivo era tornato a Parigi e si era piazzato nell'ufficio di monsieur Renaud deciso a non andarsene finché non avesse raggiunto il proprio obiettivo. Aveva perorato la propria causa con sottigliezza e perseveranza, meritandosi alla fine i complimenti dell'avvocato il quale gli aveva detto, salutandolo, che se mai avesse deciso di cambiare professione e intraprendere la carriera legale sarebbe stato felice di averlo con sé. Lo aveva ringraziato sorridendo, dicendogli che i suoi genitori, se lo avessero saputo, sarebbero stati molto orgogliosi di lui. Alla fine di quella giornata, infatti, aveva ottenuto di diventare co-proprietario assieme a Nicole della residenza dei D'Harmòn: aveva fiaccato le obiezioni di monsieur Renaud insistendo sul fatto che la cifra suggerita da Lady Sinclair non copriva neppure metà dell'intero valore; di fronte alla reticenza dell'avvocato, lo aveva minacciato che se non avesse accettato di intestargli solo metà della proprietà, l'avrebbe rivenduta a terzi per un quarto di quanto l'avrebbe pagata lui, immaginando che Nicole, pur sperando che ciò non accadesse mai, nella fretta di andarsene con molta probabilità si era scordata di far aggiungere quella clausola al contratto d'acquisto. 

Sistemata la faccenda della proprietà, aveva organizzato il primo e unico cambiamento che avrebbe apportato: la sistemazione delle scuderie, che giacevano abbandonate all'inizio del bosco che circondava il castello, nonché l'assunzione del personale per prendersi cura dei cavalli che vi avrebbero alloggiato.

Aveva deciso di lasciare Joy in America, per evitarle lo stress di un viaggio oltre oceano e il doversi adattare ad un nuovo luogo. La cavalla era abituata ad essere accudita da altri e alle sue assenze, quindi l'avrebbe cavalcata, come già faceva, ogni volta che sarebbe tornato in California. Però non voleva privarsi del piacere di andare a cavallo e le scuderie erano la sua priorità. Nelle lunghe chiacchierate con Nicole aveva saputo che lei aveva già in mente di portarle di nuovo al loro splendore originale, per trasferire in Francia il purosangue che al momento alloggiava in quelle del fratello; dando inizio ai lavori non aveva fatto altro che concretizzare le sue idee.

Quindi era volato in Inghilterra per cercare un animale per sé. Si era fermato a Londra una settimana, ospite di zio Paul e zia Belinda, felicissimi di rivederlo dopo tanto tempo. In quei giorni, oltre ad occuparsi dell'acquisto del cavallo, con l'aiuto di Marie-Antoinette, della quale si era guadagnato la stima con un sorriso ma soprattutto con l'interesse mostrato per Lady Sinclair, era riuscito persino nell'impresa quasi titanica di incontrare Lord Edmund Charles Philip Sinclair, duca di Kesington, fratello di Nicole.

L'incontro aveva avuto luogo nella residenza londinese di Sua Signoria; assolutamente deciso a non farsi liquidare rapidamente com'era solito fare il Duca persino con la sorella, lo aveva conquistato con la sua abilità nel narrare, affascinandolo col racconto di alcune avventure che aveva vissuto durante le ricerche per il suo primo romanzo, nonché con le prime edizioni autografate dei suoi libri. Aveva infatti scoperto, sempre grazie a Marie-Antoinette, che anche colui che considerava a tutti gli effetti il suo futuro cognato era un suo ammiratore e aveva sfruttato a suo favore la propria notorietà per ingraziarsi l'uomo al quale aveva anche formalmente chiesto la mano di Nicole. Se lei lo avesse saputo, sarebbe inorridita e sarebbe esplosa in una sfuriata assolutamente poco adatta ad una nobildonna, poiché non sopportava certe tradizioni che considerava superate, per non parlare di quanto odiava l'idea che fosse il fratello a doverle permettere qualsiasi cosa; ma come aveva detto al Duca, Nicole in quel momento non c'era e lui ci teneva a rendere formale la sua proposta, rispettando persino superate tradizioni. Lord Sinclair era rimasto molto colpito da questo atto di rispetto, soprattutto tenuto conto che giungeva da un borghese americano, e il gesto aveva sortito l'effetto che, al termine dell'incontro, i due uomini si erano salutati con un'amichevole stretta di mano.  

Tutto ciò era accaduto due settimane prima. Da allora era tornato a Cluny, deciso a terminare il romanzo, nell'attesa che Nicole si rifacesse viva.

Era sicuro che sarebbe successo. Lei era innamorata di lui; doveva solo affrontare se stessa e le proprie paure e poi sarebbe tornata. E lui sarebbe stato lì, ad attenderla.

Eppure negli ultimi giorni quella convinzione, quella sicurezza sembravano non bastargli più. Più passava il tempo senza sue notizie, più l'ansia di sapere dove fosse, cosa stesse facendo, se stesse bene oppure no, aumentava a dismisura, sgretolando le sue certezze, e aveva iniziato a renderlo irrequieto, al punto che neanche nuotare bastava più a tranquillizzarlo.

Uscì dalla piscina e si avvolse rapido nell'accappatoio, asciugandosi quel tanto che bastava per non lasciar dietro di sé pozze d'acqua; quindi si rifugiò in cucina, dove Madeleine lo attendeva con una sostanziosa ma soprattutto calda colazione.

"Avete le labbra blu" lo apostrofò preoccupata, non appena lo vide, mentre gli porgeva un telo asciutto e piacevolmente caldo, che lui accettò con gratitudine.

Tolse l'accappatoio bagnato e si avvolse nella spugna confortevole, poi si sedette per buttar giù la tazza di tè fumante.

"Ah, ah!" Madeleine gli ordinò con un cenno di alzarsi e sfilarsi anche il costume prima di iniziare a mangiare. Sorridendo per essere stato redarguito come un bambinetto,  afferrò un pezzo di croissant ed effettuò la manovra di levarsi lo slip da sotto il telo, masticando nel frattempo il dolce appena sfornato. Si ritrovò a pensare divertito all'espressione dell'anziana domestica se si fosse liberato del costume senza preoccuparsi di restare coperto, come avrebbe fatto se avesse avuto ancora otto anni. In genere si toglieva l'indumento non appena uscito dalla piscina, dopo essersi avvolto nell'accappatoio e prima di lasciarsi riscaldare dal sole sorto da poco; ma col fresco di quelle mattine l'unico pensiero era quello di rifugiarsi al chiuso, per rifocillarsi con qualcosa di caldo. Fin da quando aveva preso l'abitudine, da ragazzo, di nuotare all'alba, non era mai riuscito a farsi la doccia prima di buttar giù qualcosa nello stomaco; preferiva concedersela dopo, con calma, una volta placati i morsi della fame.

"Un giorno o l'altro vi verrà una polmonite..."  brontolò di nuovo Madeleine, con malcelato affetto.

I due coniugi non avevano esitato un attimo ad accoglierlo come nuovo datore di lavoro e ogni giorno trovavano almeno un'occasione per fargli sapere quanto sarebbero stati felici di averlo lì per sempre assieme a Lady Nicole.

"Tranquilla, Madeleine, sono di sana e robusta costituzione. Ora fai la brava, smettila di preoccuparti e siediti qui, con me. Ti voglio vedere con una tazza di qualcosa di caldo da bere in mano, per almeno dieci minuti. E questo è un ordine!" disse con un sorriso.

L'anziana domestica brontolò qualcosa del tipo che sfacciataggine questi americani  ma alla fine obbedì, felice di accontentare quel giovane che stava imparando ad amare come un figlio.

"Nessuna notizia?" si arrischiò a domandargli, dopo aver bevuto il suo caffè.

Andrew si limitò ad un cenno di diniego col capo.

"Tornerà, vedrete" tentò di consolarlo. Era preoccupata anche lei per la sparizione improvvisa di Milady, ma ancora di più non riusciva a capacitarsi per come la giovane contessa avesse potuto abbandonare un uomo come mr. Rabb, così bello e così innamorato, e per di più famoso. Era a conoscenza del passato di Nicole e della sua convinzione di non voler aver più a che fare con l'amore, ma quando l'aveva vista con l'affascinante americano, aveva pensato che con lui avrebbe potuto essere davvero felice e si era sentita sollevata. Trovava infatti ingiusto e inconcepibile che una donna come Milady si privasse volontariamente dell'amore a causa del suo passato. In questo era assolutamente d'accordo con mademoiselle Valèns.

"Forse dovrei fare qualcosa..." rispose Andrew, sorprendendo l'anziana domestica con un tono insicuro che in genere non aveva.

"Perché dite questo?"

"Non so, Madeleine... da qualche giorno penso che avrei potuto fare di più per trovarla. Vorrei poterla raggiungere e farle capire così quanto tengo a lei. Quanto desidero passare il resto della mia vita amandola..."

"Avete fatto tutto quanto era in vostro potere per rintracciarla. Avete persino contattato di nuovo quell'antiquaria... Neppure mademoiselle Lacroix, se dobbiamo crederle, ha idea di dove possa essere Milady. Eppure la conosce bene... è l'unica amica che abbia da queste parti. Solo il Signore sa cosa abbia visto in quella donna..."

"Mi sembra di capire che non approvi mademoiselle Lacroix" disse Andrew con un sorriso. "E neppure che ti fidi di lei... Posso sapere come mai?"

"Suvvia, monsieur Andrew, non sono nata ieri. Quella donna vi muore dietro. Fosse per lei vi avrebbe trattenuto per sempre nel suo letto... E non venite a raccontarmi la frottola che non ci siete mai stato! Ho occhi per vedere e testa per capire" disse, bloccando sul nascere qualunque obiezione avesse voluto fare in merito.

Non osò negare, limitandosi ad un gesto con la mano, quasi a volersi proteggere. Chi avrebbe avuto il coraggio di mentire a quell'anziana e dolce signora?

"Chi può dire che vi abbia detto la verità quando sostiene di non avere notizie di Milady?"

"Io le credo; Monique sa che sono innamorato di Nicole e, benché, come dici tu, mi vorrebbe ancora nel suo letto, sa bene che non ci tornerei più. Ti sorprenderà sapere che mi aveva consigliato di dirle al più presto la verità sulla mia reale identità".

"Mademoiselle Lacroix la conosceva?"

"No, ma aveva intuito che non ero un professore. O almeno non solo".

"Se lo dite voi..." disse la donna con aria scettica. Poi si spinse a domandargli:

"Non sarà proprio il fatto che non le abbiate subito detto chi siete ad averla fatta fuggire?

"Non credo. Ci eravamo già chiariti in proposito. All'inizio l'ho pensato anch'io, ma poi ho dovuto dar ragione ai miei genitori, che hanno notato che se n'è andata solo dopo aver letto il diario che le avevano consegnato... Deve esserci stato qualcosa che, unito alla sua paura di legarsi, le ha fatto decidere di andarsene. Una ragione che ci è sfuggita...".

"Sì, ma quale?"

"Non lo so. Le ho pensate tutte e l'unica plausibile è la sua paura di un legame serio, quella che mi ha comunicato nella sua lettera. Secondo mio padre è stato leggere della fuga di Lady Sarah, che lasciò il Conte sulla Medea, a darle la spinta a fuggire. E' probabile che abbia ragione. Eppure ho la sensazione che il tutto non si riduca solo a quello. Inoltre l'altro giorno ho riletto alcuni passi di alcuni diari e proprio nelle pagine in cui è descritta la nascita dell'antenata di Nicole, forse ho trovato qualcosa...".

"Che cosa?" domandò speranzosa Madeleine.

"Mi è saltato all'occhio un particolare, al quale non avevo fatto caso prima, perché non avevo ancora letto il diario mancante. Nicole deve averlo notato mentre leggevamo le parole del Conte André ritrovate dai miei genitori e deve aver collegato il tutto molto prima del sottoscritto, ovviamente. E' un particolare che in seguito non viene più menzionato, ma credo d'aver trovato la chiave del mistero e, soprattutto, dove possa trovarsi Lady Sinclair. Ieri ho chiesto a Marie-Antoinette di attivarsi per capire se la mia intuizione è giusta e sto aspettando una sua risposta".

Madeleine non fece in tempo a chiedere ragguagli, poiché furono interrotti dal marito.

"Monsieur, ha appena chiamato mademoiselle Valèns... Non rispondevate al cellulare e così ha chiamato allo Chateau. Non voleva attendere oltre per farvi avere la notizia: mi ha pregato di riferirvi che avevate ragione..."

Andrew non lo lasciò terminare:

"Grazie, Pierre" disse alzandosi di scatto. Poi si avvicinò a Madeleine e l'abbracciò felice:

"L'ho trovata!"

"Ma, ne siete certo?"

"No. Eppure qualcosa mi dice che non potrebbe trovarsi che lì e ho tutte le intenzioni di verificarlo di persona..." e così dicendo sparì dalla cucina, lasciando i due anziani coniugi attoniti.

"Ma... che cosa è successo a quel benedetto figliolo?" domandò Pierre alla moglie.

"E' convinto d'aver capito dove si trovi Lady Sinclair e, a quanto sembra, ha intenzione di raggiungerla per riportarla a casa".

 

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Capitolo 44
*** La scommessa ***



Capitolo XLIV



La scommessa




"Oh, Sarah, la vostra piccola è meravigliosa" esclamò la contessa di Linley. Aveva tra le braccia Alexandra Nicole, nata due giorni prima.

"Vi ringrazio, Eleonor. Anche la vostra Daisy è bellissima, l'ho vista prima che Lynnette la portasse in stanza giochi assieme ai miei tre disperati. Cresce anche lei a vista d'occhio" rispose Lady Sarah con un sospiro di rimpianto.

Si era ripresa molto bene dal parto, con estrema soddisfazione del dottor Russel, che l'aveva seguita per tutta la gravidanza, ed enorme sollievo di Andrè, il quale aveva sborsato una cifra esorbitante per garantirsi l'assistenza esclusiva del luminare, affinché si trasferisse nella proprietà del Duca di Lyndham fino a quando il bambino non fosse nato e la madre fuori pericolo. Sarah aveva ritenuto esagerate quelle precauzioni: a suo avviso sarebbe stato più che sufficiente una visita settimanale del medico, come egli stesso aveva suggerito quando gli si erano rivolti per sapere se la Duchessa avrebbe potuto sopportare un'altra gravidanza, ma André non aveva voluto sentir ragioni. Solo il consenso del dottor Russel e l'assicurazione da parte dello stesso che avrebbe seguito la moglie in esclusiva, lo avevano convinto a diventare di nuovo padre. Da parte sua il Duca aveva concesso al luminare di poter assistere eventuali donne gravide del villaggio accanto, quando si fosse trasferito a Lyndham Park. Ciò avrebbe giustificato, almeno in parte, l'enorme esborso economico da parte del Duca  per un servizio che la Duchessa riteneva eccessivo solo per se stessa.

Presi questi accordi, avevano dovuto attendere oltre due anni prima che Sarah restasse di nuovo incinta, con evidente sollievo del marito ogni volta che lei gli comunicava desolata che anche per quel mese avrebbe potuto mettere da parte un altro gruzzolo per pagare il dottor Russel. Fino al giorno in cui, felice come non lo era mai stata, gli aveva detto che avrebbe finalmente usufruito di quei soldi. Gli aveva comunicato la notizia a poco più di un mese dal loro rientro a Londra, dopo una vacanza in montagna. Andrè le aveva fatto una sorpresa bellissima per il suo compleanno: era riuscito ad acquistare il piccolo chalet sui monti del Tirolo in cui avevano trascorso alcuni giorni anni prima, quando erano in fuga da Klaus Von Webb, e l'aveva portata lì a trascorrere alcune settimane, lasciando i bambini con la governante e la fidata Lynnette. Non era riuscita a farsi dire come avesse fatto a rintracciare quel luogo e, soprattutto, il proprietario, ma sapeva che suo marito aveva risorse illimitate quando si metteva in testa di ottenere qualcosa. Avevano trascorso le giornate a passeggiare e ad amarsi al sole, sui prati che in estate erano verdi e profumavano di fiori. E alla sera si amavano di nuovo sullo stesso giaciglio che avevano condiviso durante la loro prima notte insieme. Sarah era sicura che fosse stata la magia di quel luogo a fare in modo che il loro amore si concretizzasse in un altro figlio. Dopo le rassicurazioni del dottor Russel, Andrè si era tranquillizzato un po’ e, anche se dava l'impressione contraria, lei era sicura che a quel punto desiderava anche lui poter diventare di nuovo padre: glielo diceva l'intensità con cui ogni volta la prendeva e la tenerezza che mostrava dopo averla amata, appoggiando il capo sul suo ventre nello speranzoso ascolto del suo seme annidato dentro di lei.

"Non me lo dite" sospirò a sua volta la Contessa, coccolando la piccola con dolcezza, "Thomas sostiene che tra pochi anni dovremo barricarla in casa perché farà strage di cuori..."

"Ah, la gelosia dei padri per le figlie femmine. Anche Nicholas dice le stesse cose di Jane, e non oso immaginare cosa accadrà ora con la piccola Alexandra. Ma Tommy ha ragione, riguardo a Daisy: con quei boccoli biondi e gli occhi azzurri è bellissima. Ho visto il mio Andrew guardarla imbambolato, come se avesse appena visto una principessina delle fiabe. E non ha neppure otto anni!" replicò la Duchessa, divertita.

La sua felicità era completa e, nonostante fossero trascorse solo quarantotto ore dal parto, si sentiva piena di energie. Restava a riposo solo per seguire gli ordini tassativi del medico e per non far agitare suo marito, ma se fosse stato per lei si sarebbe già alzata.

Guardò il volto della donna che un tempo neppure troppo lontano aveva pensato essere l'amante di suo marito e che poco dopo era diventata la moglie del loro migliore amico, nonché amica sua e, a differenza del solito, colse un velo di stanchezza su quel bel viso in genere sempre sereno.

"Vi vedo stanca, Eleanor. Perché non vi sedete? Chiamo Lynnette affinché prenda la piccola, così possiamo chiacchierare... Sono mesi che non partecipo ad un ballo e temo che non potrò farlo ancora per un po’... Dovrete aggiornarmi sugli ultimi pettegolezzi" disse, fingendo un interesse del tutto contrario a come si sentiva: non vedeva l'ora, infatti, di trascorrere altre serate sola con suo marito e coi suoi bambini. Con la scusa della gravidanza avevano smesso di partecipare ad eventi mondani che avevano stancato entrambi. Anche Andrè sembrava godere di quei momenti di intimità con la propria famiglia. Entrambi volevano crescere di persona i loro bambini e non rifilarli ad un numero indefinito di bambinaie com'era uso nell'alta società. Un conto era avere un aiuto per gestirne quattro dai sette anni ai pochi giorni di vita, dei quali due persino gemelli, altra cosa era delegare ad altri l'educazione dei propri figli come se fossero stati un'incombenza da assolvere per poi dimenticarsene.

"Non chiamate Lynnette, mi basterà sedermi. E comunque sono quasi due mesi che anch'io non partecipo ad un ricevimento..." disse la Contessa, mentre si accomodava sulla poltroncina accanto al letto dove era stesa Lady Sarah, sempre con la neonata tra le braccia.

Dopo un attimo sollevò lo sguardo verso l'amica e le sorrise.

"Oh, mia cara, aspettate anche voi un altro bambino, vero?"

Al cenno di assenso della Contessa, Lady Sarah proseguì:

"Sono così contenta per voi. E per noi, anche! Potremo vederci spesso e crescere i nostri piccoli assieme. E i nostri mariti si faranno compagnia, in questi mesi in cui noi due saremo per un po’ fuori gioco!" disse la Duchessa, audace.

Si guardarono negli occhi e poi sorrisero entrambe.

In quel clima di confidenze così insolito tra due dame dell'alta società, la Contessa si azzardò a rivelare:

"Considerato l'impegno che Tommy ci ha messo nei mesi scorsi per farmi restare incinta, credo che avrà del sonno da recuperare, prima di potersi godere qualche serata di chiacchiere maschili con Nicholas!" riscuotendo con queste parole maliziose una risata cristallina della Duchessa, la quale non riuscì ad impedirsi di aggiungere:

"Beh, chi lo avrebbe detto che il caro Thomas, sempre così compito e distaccato, fosse invece tanto focoso? Ad ogni modo: Nicholas ha già recuperato, ma immagino che ne avrà bisogno a sua volta per via della piccola!".

"Avete ragione, Sarah" rispose di rimando la giovane Contessa, ridendo a sua volta.

Fu così che le trovarono i rispettivi mariti, quando si decisero a raggiungerle dopo aver parlato di lavoro. Il Duca aveva proposto un redditizio investimento all'amico e l'incontro, fissato da alcune settimane, era finalizzato alla firma dell'accordo. La Contessa aveva accompagnato il marito quando all'incontro di affari si era aggiunta la notizia della nascita della bambina.

Da quando Thomas aveva deciso di sposare Eleanor, poco dopo la riappacificazione tra i due coniugi, le due coppie erano diventate molto amiche, suscitando non pochi pettegolezzi nell'alta società dove tutti avevano notato, una sera di non molto tempo prima, l'interesse poco appropriato che il Duca aveva rivolto all'allora giovane vedova. L'amicizia nata tra le due donne, che tutti consideravano rivali, aveva fatto scorrere fiumi di parole ai balli e alle cene, nonché ai tè pomeridiani. Soltanto il ritrovato affiatamento tra il Duca e la Duchessa di Lyndham, che il marito venerava, se possibile, ancora più di prima, e l'evidente interesse del Conte di Lynley per Eleanor Cavendish, oltremodo corrisposto, aveva posto fine a quelle chiacchiere insolitamente presto rispetto al solito.

"Cos'avete da ridere tanto, mie belle signore?" domandò il Duca, avvicinandosi a baciare su una guancia Eleanor e poi sedendosi sulla sponda del letto per un abbraccio e un bacio alla moglie, entrambi più affettuosi di quanto la presenza di ospiti avrebbe di norma richiesto; ma quando la moglie gli faceva notare la sua passionalità a volte fuori luogo, egli poneva fine al discorso con una poco nobile alzata di spalle, sostenendo che tutti sapevano della sue origini francesi e inoltre che doveva farsi vedere tanto innamorato di lei dopo tutte le chiacchiere che aveva suscitato col proprio comportamento.

Sarah non ribatteva più nulla poiché sapeva quanto egli ci tenesse a dimostrare a tutti quanto l'amasse, una specie di riscatto per quanto l'aveva fatta soffrire. Una volta lei aveva tentato di dissuaderlo, dicendogli che non desiderava alcun riscatto, ma Andrè si era mostrato irremovibile. Una luce particolare nel suo sguardo, tuttavia, le aveva fatto capire che quelle appassionate e talvolta inappropriate effusioni non erano finalizzate solo a pagare colpe ben più gravi di quelle da lui effettivamente commesse, ma servivano a fargli trascorrere con maggior rapidità il tempo, prima di poterla amare nell'intimità della loro casa.

La domanda del Duca fece riprendere alle due signore la risata che stava scemando.

A quel punto la voce pacata del Conte si intromise:

"Hai del coraggio, Nick, a domandare a due donne di cosa stanno ridendo!"

Nel frattempo si era avvicinato al letto, dal lato opposto rispetto a dove si era seduto l'amico, per baciare a sua volta la puerpera, per poi dirigersi verso la moglie, posarle un bacio affettuoso sul capo e reclamare la nuova arrivata.

"Fammi vedere questo splendore, mia cara" disse, prendendo in braccio la bambina. Quindi aggiunse: "Complimenti, ragazzi, è davvero un amore".

Un commento così espansivo da parte del Conte di Lynley, noto per la sua pacatezza, suscitò il sorriso dell'amico, che commentò:

"Cara Eleanor, ero certo che la tua influenza su Tommy sarebbe stata solo positiva!", suscitando di nuovo l'ilarità delle due signore e uno sguardo indecifrabile da parte dell'interessato, il quale, nel frattempo, continuava a cullare la piccola Alexandra.

"Cosa ci state nascondendo, care signore, dietro questa vostra allegria?" insistette il Duca, comprendendo da quell'insolito e prolungato divertimento una complicità femminile che andava ben oltre le chiacchiere da salotto o la cura dei bambini. Non che fosse dispiaciuto di vedere Sarah ed Eleanor andare tanto d'accordo: da tempo aveva enorme stima della donna che aveva utilizzato per i propri scopi e che, invece di disprezzarlo, lo aveva aiutato a riconquistare la moglie ed osservare quanto Sarah confermasse alla Contessa di Lynley anche la propria stima lo rendeva felice e molto fiero di lei.

"Mio caro, credo che l'influenza di Eleonor su Tommy vada ben oltre una maggiore espansività verbale..." cercò di instradarlo la moglie verso la lieta novella che, a quanto aveva inteso, sia il Conte sia la Contessa erano intenzionati a rivelare agli amici, ma senza comunicarla a parole.

L'affermazione della Duchessa, forse perché appena velata di una malizia in merito ad un argomento che in genere la moglie si guardava bene dall'intavolare in pubblico, fuorviò il Duca, che rivolse uno sguardo stupito e per nulla consono alla sua proverbiale rapidità di comprensione. Notandolo, sia Lady Sarah, sia Eleanor Clyde, sorrisero di nuovo, costringendo il Conte a rivelare la notizia. Nessuno, tuttavia, si aspettava che egli lo facesse con queste parole:

"Mio caro Nick, noto che l'esser diventato di nuovo padre ti ha reso più lento; confido che a me non accada altrettanto...". Quindi, osservando che l'amico ancora non aveva inteso appieno il senso del suo commento, aggiunse con un sospiro:

"Credo d'aver inteso che le nostre sfacciate mogli stessero commentando le nostre prestazioni amorose, che hanno portato voi ad avere questa bella bambina e noi alla sorpresa che ci attenderà tra meno di sei mesi. Correggetemi se sbaglio, signore...".

"Caro Tommy, credo che questa volta tu abbia lasciato senza parole il tuo amico" commentò la Contessa, divertita dall'espressione del Duca che finalmente aveva capito ed era esploso in una sonora risata, congratulandosi con entrambi.

"Dobbiamo festeggiare" disse poi il Duca, chiamando il valletto. Quando fu entrato, sorprese tutti quanti chiedendogli:

"Adam, ricordi quello che ti dissi stamattina?"

"Certo, Vostra Grazia"

"Ebbene, potresti cortesemente ripeterlo ora?"

Adam si guardò attorno confuso, senza capire bene il senso di quella richiesta. Addestrato tuttavia a non porsi domande, rispose con prontezza:

"Vostra Signoria ha voluto far prelevare dalla cantina la miglior bottiglia di champagne e ha chiesto che Rose confezionasse un pacchetto con alcuni dei suoi sigari da grandi occasioni".

"Tutto qui?" lo sollecitò il Duca a continuare.

"No, Vostra Grazia: quando mi sono scusato per non aver pensato io a suggerire che all'arrivo degli ospiti le Signorie Vostre avrebbero desiderato festeggiare la nascita di Lady Alexandra, voi mi avete rassicurato dicendomi che il vino era sì per festeggiare la piccola, ma che i sigari erano un regalo speciale per il Conte, che sarebbe diventato padre per la seconda volta a breve" disse porgendo il suddetto pacchetto e dimostrando così ai presenti che il Duca, poco prima, aveva solo finto di essere ignaro della notizia.

Thomas Clyde, ottavo Conte di Lynley, rivolse uno sguardo alla moglie dopo aver ringraziato con cortesia.

"Che ti avevo detto, mia cara?"

A quel punto Eleonor se ne uscì con una frase che stupì i presenti e che lasciò ad intendere che il famoso acume del Duca di Lyndham fosse oggetto di scommessa da parte dei due coniugi:

"Sono costretta ad ammettere la sconfitta, tesoro. A casa ti darò le dieci sterline".

Il giovane valletto, che attendeva in piedi compito e rispettoso, non essendo ancora stato congedato da Sua Signoria, non riuscì a trattenere un sorriso e tentò di soffocarlo con un lieve ma alquanto rivelatore colpo di tosse, che fece voltare ben quattro sguardi verso di lui, col risultato di renderlo ancora più rosso di quanto già non fosse ogni volta che si presentava al cospetto del Duca e della Duchessa. A dire il vero il giovanotto arrossiva anche nei rari casi in cui il piccolo lord Andrew, di soli sette anni, gli si rivolgeva per farsi aiutare in qualcosa.

Fu la Duchessa a risolverlo dall'impiccio, chiedendogli a sua volta di portarle la deliziosa scatola che giaceva sulla sua toilette e pregandolo di rivelarne ai presenti il contenuto.

A quel punto ad Adam tutta la faccenda fu chiara e, nel porgere alla Contessa il dono, non si limitò a dire che si trattava di un omaggio floreale, ma aggiunse di suo, incontrando con lo sguardo la tacita approvazione della sua padrona per l'iniziativa, che la Duchessa aveva chiesto la sera precedente - e il giovanotto si premurò di ben sottolineare col tono di voce il termine sera precedente - che fosse detto a Rose di ricordarsi di cogliere dalla serra un ramo delle orchidee che tanto Lady Clyde aveva ammirato una volta e confezionarlo al meglio, poiché sarebbe stato il dono perfetto per festeggiare la sua nuova maternità.

Dopo quella notizia fu il Duca a scoppiare in una fragorosa risata nel rendersi conto che la moglie era stata più rapida di lui.

Adam, soddisfatto d'aver inteso correttamente quanto stava avvenendo tra i suoi due padroni, sorrise a sua volta, pensando che quella sera a cena sarebbe stato lui al centro dell'attenzione, raccontando dell'ennesima gara tra marito e moglie alla quale la servitù stava cominciando ad essere avvezza. Ciò che il giovanotto non immaginava, però, era di stare per assistere ad un ennesimo colpo di scena. La Contessa, infatti, dopo aver ringraziato per il dono ricevuto, disse al marito:

"Caro Tommy, hai cantato vittoria troppo presto. Come ti dissi, saresti stato sorpreso dall'intuito di Sarah. Quindi ricorda che, una volta tornati a casa, sono venti le sterline che dovrai darmi!"

Dopo quella frase le risate tra i presenti non si contarono più e anche Adam si lasciò andare ad un sorriso spontaneo, felice che il suo racconto serale si fosse arricchito di una novità più interessante: era infatti evidente che se il Duca e la Duchessa di Lyndham si divertivano a gareggiare tra di loro per un'infinità di piccole cose, era altrettanto chiaro che il Conte e la Contessa di Lynley passavano addirittura alle scommesse in denaro. Era proprio vero che i nobili non avevano altro da fare e si inventavano i modi più bislacchi per non annoiarsi!

Cogliendo un cenno del Duca, Adam servì lo champagne e si allontanò, lasciando le due coppie ad ammirare ancora la neonata la quale continuava imperterrita a dormire nonostante le risate di poco prima, dimostrando fin da subito di essere superiore a certe cose.

In quell'atmosfera ancora allegra, lord Thornoton si rivolse agli amici:

"Direi che a questo punto non ci resta che chiedervi di essere il padrino e la madrina della nostra bimba".

Fu il Conte a rispondere, con una frase che non solo consolidava un'amicizia nata sui banchi di scuola, ma che ne prometteva la trasmissione alle future generazioni.

"Solo se voi accetterete di esserlo del nostro nascituro".

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Capitolo 45
*** Sulle tracce di un amore ***





Capitolo XLV

Sulle tracce di un amore



Guardò fuori e si disse che il momento di andarsene sarebbe arrivato presto. La neve aveva iniziato ad imbiancare le cime più alte e a breve avrebbe avvolto tutto col suo manto candido.

Gustav, durante la sua ultima visita per portarle i rifornimenti, le aveva detto che era questione di settimane, un mese al massimo, e presto tutto sarebbe stato immerso nel bianco. La tentazione di restare fino ad allora era tanta, benché si rendesse conto che non avrebbe potuto sopravvivere diversi mesi bloccata lassù. E non avrebbe mai chiesto a Gustav di rischiare di raggiungerla anche solo una volta ogni tanto per portarle i viveri: anche se non avesse avuto moglie e figli, non avrebbe mai voluto che qualcuno mettesse a repentaglio la propria vita per un suo capriccio. Quindi doveva iniziare a pensare al ritorno.

Eppure continuava a provare l'irrazionale desiderio di trascorrere almeno qualche giorno nella stessa situazione vissuta da Sarah e Andrè. Forse perché li aveva seguiti fin lassù, forse perché ormai era come se li avesse conosciuti di persona, ma quel desiderio continuava ad impedirle di prendere una decisione.

Era come se soltanto rivivere anche quell'esperienza avrebbe potuto metter fine alle sue paure e farle ritrovare la propria vita.

Quando era fuggita da Cluny, aveva agito d'impulso, programmando ben poco del suo viaggio. Si era limitata ad un borsone con abiti e pochi effetti personali; sapeva di poter essere rintracciata da Edmund, se egli lo avesse voluto, attraverso carte di credito e cellulari, proprio per questo aveva chiesto l'aiuto di Monique, la quale le aveva dato accesso ad un conto che aveva aperto anni prima in una banca italiana e che usava per acquistare mobili e oggetti d'antiquariato durante i suoi viaggi in Toscana: Edmund non sapeva nemmeno che avesse un'amica a Cluny. Al suo ritorno le avrebbe restituito quanto speso.

Non aveva detto all'amica dove sarebbe andata e neppure per quanto tempo sarebbe stata via, del resto nemmeno lei lo sapeva; si era limitata a dirle che aveva bisogno di restare sola. Monique, nonostante non fosse d'accordo, aveva capito: conosceva le sue paure e, anche se non condivideva molte delle sue decisioni riguardanti l'amore, non la giudicava e sapeva darle i consigli più giusti. Era sempre stato questo il segreto della loro amicizia, ovvero la capacità reciproca di comprendersi senza pregiudizi, rispettando la privacy dell'altra.

A vederle dall'esterno era difficile capire come potessero essere amiche: molto diverse per carattere ed educazione, anche il loro stile di vita differiva sostanzialmente. Per non parlare delle idee riguardo la vita sentimentale: benché Nicole non si considerasse una sprovveduta, in confronto a Monique, spregiudicata e molto sensuale, poteva passare per la timida illibata d'altri tempi. Eppure, fin da quando si erano incontrate la prima volta allo Chateau, per valutare i mobili da restaurare, in un modo incomprensibile ad entrambe si erano sentite attratte l'un l'altra e fin dal loro secondo incontro erano uscite insieme a cena. Con la sua solita sfacciataggine, Monique aveva detto, ridendo, che quel loro improvviso interesse reciproco, in due donne diverse da loro due, sarebbe di certo sfociato in una relazione sentimentale, tanto era stato forte; ed era una fortuna che entrambe non avessero dubbi in merito ai rispettivi gusti sessuali, altrimenti quella con eventuali indecisioni, o anche solo aperta ad altre esperienze, avrebbe sofferto assai per il rifiuto dell'altra. Nicole le aveva dato della matta a quelle parole, ma aveva dovuto convenire con lei: non le era mai successo, infatti, di sentirsi tanto legata ad una donna da un sentimento di profonda amicizia; per quel motivo si era sentita come tradita quando aveva saputo che era stata a letto con Andrew. Poi, però, aveva ragionato che Monique, ai tempi della sua relazione col bell'americano, non poteva sapere che l'uomo affascinante che lei le aveva raccontato al telefono d'aver fotografato fosse lo stesso con cui stava trascorrendo notti infuocate.

Alla fine l'intelligenza di entrambe aveva prevalso sulla gelosia e, prima che Nicole partisse, si erano trovate a sorridere del fatto che era la prima volta che avevano gli stessi gusti in merito ad un uomo. In genere il rispettivo partner del momento non piaceva mai granché all'altra, soprattutto come personalità. Nicole non si era mai preoccupata più di tanto della cosa, perché considerava i suoi uomini, dopo Christopher, solo come semplici passatempi, relazioni senza alcuna importanza. Monique le aveva detto che l'incredibile caso che Andrew piacesse ad entrambe e non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche come persona, doveva stare ad indicare che forse era davvero l'uomo giusto per una delle due; il fatto che lui avesse preferito Nicole avrebbe dovuto convincerla che era davvero l'uomo fatto apposta per lei. Per cui, benché comprendesse le sue paure, Monique temeva che lasciarlo avrebbe significato correre il rischio di perderlo. Nicole ne era consapevole, ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a renderlo felice se prima  non avesse risolto i suoi casini interiori. Confidava che se davvero era l'uomo giusto per lei, in un modo o nell'altro si sarebbero ritrovati. Monique alla fine aveva capito ed aveva acconsentito ad aiutarla. E a quanto pareva era riuscita a mantenere il segreto, poiché nè Edmund, nè Marie-Antoinette l'avevano trovata.

Per quanto riguardava Andrew non aveva mai pensato che avrebbe potuto cercarla e raggiungerla. Per l'esperienza che aveva lei, gli uomini tendevano a considerare le ansie e i problemi di una donna come paturnie legate al ciclo mensile, che andavano e venivano assieme ad esso. In parte poteva dar loro anche ragione, ma non sempre era così e aveva avuto spesso prova che con difficoltà riuscivano a penetrare l'intima sofferenza femminile e, anche nei casi in cui la comprendevano, preferivano attendere che passasse da sè.  Del resto neppure suo fratello l'avrebbe cercata per assicurarsi che stesse bene o per aiutarla; lo avrebbe fatto, forse, solo se fosse rimasta introvabile sino alla fine di ottobre, quando ci sarebbe stato il ricevimento degli Spencer. Aveva già perso il ballo dei Pensworth e questo Edmund non glielo avrebbe perdonato tanto facilmente; non partecipare ad uno dei ricevimenti più importanti della stagione avrebbe decretato la sua fine in ambito sociale, almeno per quanto fosse stato in potere del fratello. Era una fortuna, quindi, che lei non avesse alcuna intenzione di continuare a vivere legata ad antiche tradizioni nobiliari inglesi, perché il giorno del ricevimento si avvicinava e lei non aveva alcuna voglia di tornare per tempo.

Il suo desiderio di fuggire dal suo mondo non era stato ancora placato.

Tutto era iniziato quando aveva letto il diario del Conte d'Harmon che credeva perduto per sempre: in quelle pagine, così vibranti di passione, di amore e di avventura, aveva riconosciuto il suo stesso desiderio di assaporare la vita; invece nelle parole scritte da Lady Sarah quando aveva abbandonato Andrè addormentato sulla Medea, aveva letto le proprie paure. La combinazione di emozioni tanto forti le aveva dato la spinta per rivedere le priorità della propria vita, e la decisione di andarsene era stata l'unica logica conseguenza. Scoprire inoltre cosa ci facesse uno chalet, sperduto da qualche parte sulle Alpi, tra le proprietà che aveva ereditato, le aveva fornito la meta della fuga. Nessuno sapeva di quel luogo, solo il suo avvocato ne aveva traccia  tra i documenti legali inerenti la successione del titolo di contessa, per cui a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarla lì, in un luogo che, a quanto aveva letto, era stato tanto importante per i suoi antenati. Del resto, prima di incontrare Andrew su quella spiaggia, stava tornando proprio da uno dei luoghi in cui aveva ricercato il diario perduto: già allora si era presa del tempo per ricostruire i pezzi mancanti di due vite tanto lontane dalla sua ma, chissà perché, tanto importanti per lei.

Si stava domandando se per caso l'assurda teoria di Andrew riguardo il Destino non fosse più azzeccata di quanto lei ancora faticasse a convincersene, quando sentì bussare alla porta.

Fu sorpresa e anche un pò intimorita, perché Gustav, l'unica persona che la raggiungeva sin lassù, era già salito il giorno precedente. Lo chalet era isolato, immerso nelle splendide vallate dei monti tirolesi, e altri rifugi distavano da lì parecchio: chiunque fosse alla porta era l'unico altro essere umano, oltre a Gustav, che avrebbe visto dopo settimane.

Cercò di guardare da una delle due finestre della stanza, ma dava sul fianco rispetto alla porta e non riuscì a scorgere il visitatore il quale, nel frattempo, aveva ripreso a bussare. Inutile sbirciare dall'altra, perché si affacciava sul retro.

"Chi è?" domandò con piglio sicuro, sperando che il visitatore, chiunque fosse, non percepisse la nota d'ansia che albergava in lei.

La sua domanda rimase senza risposta; solo l'insistente bussare fece eco alle sue parole.

Alla fine si decise ad aprire e, quando lo fece, rimase interdetta di fronte alla persona sulla soglia.

"Andrew..." riuscì a proferire solo il suo nome, incapace di staccare gli occhi dal suo sorriso.

"Finalmente ti ho trovato!" se ne uscì lui allegro, come se lo avesse visto solo il giorno prima e si fossero dati appuntamento in un luogo che lui aveva faticato ad identificare.

Quindi aggiunse: " Ti sei nascosta per bene! Sono settimane che ti cerco..."

La sua naturalezza la imbarazzò, ricordandole le parole che gli aveva scritto nella lettera con cui lo aveva abbandonato. Monique l'aveva rimproverata, dicendole che per lo meno avrebbe potuto parlargli con sincerità dei suoi timori, concedendogli l'opportunità di dimostrarle la sua comprensione. Si era difesa sostenendo che se gli avesse parlato non sarebbe mai riuscita a lasciarlo; in parte era vero, ma dentro di sè sapeva anche che il vero motivo era la scarsa fiducia che riponeva nelle capacità maschili di comprendere una donna, scordando che molta parte di questa incapacità derivava dalla propria ostinazione a chiudersi sempre in se stessa quando soffriva.

"Che ci fai qui?"

"Credevo fosse ovvio..."

"Non torno ancora. Secondo Gustav mi restano almeno un paio di settimane prima di non potermi più muovere e non ho intenzione di andarmene prima di allora" anticipò  decisa, per fargli capire che non intendeva assecondarlo.

"Chi è Gustav?"

"L'uomo che mi porta i rifornimenti..." rispose, spiazzata dalla domanda. Si aspettava che lui argomentasse la sua decisione di non andarsene, invece le chiedeva chi fosse Gustav, come se si fossero visti solo mezz'ora prima.

"Barba e baffi rossicci, capelli corti dello stesso colore e figura imponente?"

"Sì..."

"L'ho conosciuto, mi ha indicato come salire sin quassù. Una lunga passeggiata!"

"Sei salito sin qui a piedi?"

"Ho buone gambe."

"Ma... Ci vogliono ore, dal paese!"

"Nessun impegno... Ho tutto il tempo che voglio".

Quella conversazione stava iniziando ad avere i toni della farsa. Doveva darci un taglio.

"Andrew, che ci fai qui? E come mi hai trovato?"

"Ho collegato alcuni indizi e Marie-Antoinette ha svolto per me delle indagini. Quella ragazza non te la devi lasciar sfuggire, è un tesoro di valore inestimabile. A Natale ricordami di farle un regalo favoloso. Se lo merita, per come mi ha sopportato in questi mesi".

"Ma..."

"E sono venuto per darti questo..." aggiunse senza lasciarla continuare. Tirò fuori dallo zaino che aveva sulle spalle un grosso plico di fogli tenuti insieme da un nastro blu e  glielo porse.

Lei lo prese e lo guardò con aria stupita, poi sollevò lo sguado su di lui, in una muta domanda.

"Lo so... il nastro fa tanto manoscritto retrò, ma non sapevo se avessi un laptop con te e io non avevo voglia di portarmelo nello zaino. Inoltre così ha un'aria più romantica, che si addice molto al contenuto. Almeno credo. Però non illuderti: non è un manoscritto e neppure un dattiloscritto, almeno non nel senso di una vecchia macchina da scrivere. È la versione cartacea di un file word, assolutamente moderno e digitale", concluse il suo discorso col suo solito sorriso.

"È il tuo romanzo?" domandò lei, ancora stupita per come fosse riuscito a concluderlo in così breve tempo.

"La versione 1.0... riletta una sola volta e con un finale che ancora non mi convince del tutto. Ma sì, è il mio romanzo".

"Perché lo dai a me?"

"Credevo fosse ovvio: lo devi leggere e aiutarmi a renderlo pubblicabile".

"Io?"

"Certo, tu. Cosa credevi? D'aver finito di lavorare per me? Lady Sinclair, mi meraviglio di voi! Credevo foste ansiosa di venir citata tra i ringraziamenti del vostro scrittore preferito. Non crederete di cavarvela con semplici appunti e qualche racconto sui vostri antenati... vi aspetta ancora del duro lavoro!”

"Stai scherzando?"

"Niente affatto".

"Ma... ti ho lasciato... e con una lettera, neppure a voce..."

"Era una lettera molto carina. Un pò confusa, ma carina!"

"Oh, sei impossibile!" sbuffò infine lei, incapace di resistere oltre a quell'approccio spiazzante.

"Bene, hai tempo sino a domani sera per leggerlo e farti un'idea. Fra due giorni ci rimettiamo al lavoro. Mi piacerebbe che fosse nelle librerie per Natale quindi abbiamo meno di quindici giorni per renderlo pubblicabile".

"Hai intenzione di lavorare qui?"

"Certo. Visto che tu non hai intenzione di tornare... sai com'è il detto, no? Se Maometto non va alla montagna... O era la montagna che non andava a Maometto? Non ricordo mai chi dei due fosse il più duro da smuovere! Ad ogni modo sono già d'accordo con Gustav: mi porterà su per le otto e tornerà a prendermi alle venti. Dodici ore di lavoro e in una decina di giorni dovremmo aver terminato".

"Tu sei pazzo..."

"Ah ah! Attenta a quello che dite, Lady Sinclair. Vi rammento che siete ancora a mia disposizione".

"Ricordate male, mr. Andrews. Avevate rifiutato la mia consulenza".

"Dettagli..." disse lui, muovendo la mano nell'aria come a scacciare un insetto fastidioso.

Rimasero per un attimo a fissarsi negli occhi, quindi  riprese:

"Bene. Ora vado. Ci vediamo dopodomani" e si voltò verso la porta.

"Aspetta..." lo fermò lei "le giornate si sono accorciate molto, fra poco sarà buio. Non avrai intenzione di scendere al villaggio a piedi, da solo? O ti sei messo d'accordo con Gustav?"

"Beh, no... oggi no."

"Non hai pensato che potresti perderti?"

"A dire il vero no. Forse perché avevo in mente altro..."

"Ah sì? E cosa?"

"Sicura di volerlo sapere?" domandò con aria divertita e al tempo stesso seducente, tuttavia non attese la sua risposta e proseguì:

"Immaginavo che avremmo letto insieme il frutto del nostro lavoro, stesi davanti ad un fuoco scoppiettante, dopo aver fatto l'amore..."

L'immagine che le sue parole le evocarono fu talmente vivida che la turbò oltre ogni dire: erano mesi che non lo sfiorava, che non veniva circondata dalle sue braccia e tutto ciò le mancava moltissimo. La sua fuga non aveva nulla a che fare con l'attrazione e l'amore che provava per lui. Inoltre l'idea di loro due stesi davanti al fuoco le rammentava la scena d'amore descritta nel diario perduto. Solo poco prima che Andrew arrivasse stava dicendosi che forse, per sconfiggere i suoi fantasmi, avrebbe avuto bisogno di trascorrere qualche giorno in quel luogo in una situazione simile a quella vissuta dai suoi antenati. Era probabile che si trattasse dell'ennesima scusa che si raccontava da mesi per non porre fine alla sua fuga, ma quale miglior occasione di quella per calarsi meglio nei panni di Lady Sarah? Di certo, in quello chalet, sarebbe stato più appassionante vivere delle ore d’amore piuttosto che trascorrerle da sola, circondata unicamente dal bianco.

"Li ho seguiti sin qui..." disse a fior di labbra, seguendo il filo del suo ragionamento.

"Che intendi?" domandò Andrew, incuriosito da quell'affermazione che, pur non essendo la risposta che sperava, apriva una piccola breccia nei pensieri della donna di cui era innamorato.

"Non sono andata da qualche parte senza una meta. Ho ripercorso, anche se non in sequenza, la fuga di Lady Sarah e del Conte Andrè, da Vienna sino in Francia. Per la precisione sono partita da Marsiglia e sono andata a ritroso sino ai piedi di questi monti. Poi mi sono spostata in Austria e ho seguito le loro tracce fin quassù. Ho persino alloggiato nella medesima locanda della prima notte della loro fuga... non ci crederai, ma esiste ancora ed è proprio come Andrè l'aveva descritta. Ho chiesto alla proprietaria e mi ha confermato che esiste dal 1830 e che è il loro fiore all'occhiello la tradizione di mantenerla il più possibile come allora. Sono persino riuscita a consultare il registro del 1856: li conservano tutti, e Frau Magda era incredula quanto me quando, nelle ultime pagine, in data 25 dicembre, ho scovato il nome di Nicholas Thornton".

"Deve aver usato il suo secondo nome e il cognome dello zio inglese per evitare che gli scagnozzi di Von Webb potessero scovarli..." disse pensieroso Andrew, affascinato da quanto lei gli stava rivelando.

"È ciò che ho pensato anch'io".

"Perché questo viaggio?" si decise a chiederle. Erano ancora in piedi, poco oltre la porta, lei con in mano la versione cartacea del suo romanzo e lui vestito con giaccone,  scarponi da montagna e zaino sulle spalle. Andrew avrebbe preferito parlare seduto comodo, tenendola tra le braccia, ma aveva timore di rovinare quel momento, che lei sembrava avergli concesso per miracolo.

"Dovevo andarmene. Tutto, con te, stava diventando troppo complicato e troppo rapido. I tuoi genitori ci vedevano già sposati e io non ero ancora sicura di volerlo. Poi ho letto il diario perduto e ho collegato questo luogo ad una proprietà che avevo da poco scoperto appartenermi, senza che riuscissi a capire il motivo dell'esistenza di un piccolo chalet sulle alpi al confine tra Austria e Italia. A quel punto non ho potuto fare a meno di mettermi sulle tracce di quell'amore immenso, forse nella speranza che mi aiutasse a capire il mio".

"Quindi mi ami?"

"Questo non è mai stato in dubbio".

"Forse per te. Ma ti ricordo che non hai mai fatto cenno con me dei tuoi sentimenti, se non in poche e confuse righe nella tua lettera, con la quale per altro mi comunicavi che te ne andavi".

"Hai ragione" dovette convenire lei.

"Ti è servito?"

"Forse... non ne sono ancora sicura".

"Capisco...".

Il tono rassegnato con cui lui pronunciò quell'unica parola le fece male al cuore. Se non lo aveva capito quando aveva accennato al camino acceso, in quel momento non poteva ancora pensare che l'avesse raggiunta solo per farsi aiutare col romanzo.

Visto che non sembrava propensa ad aggiungere altro, fu lui a concludere la conversazione, salutandola con una lieve carezza e voltandosi ad aprire la porta.

"Ci vediamo tra due giorni" disse, prima di chiudersela alle spalle.

Rimasta sola, si voltò come in trance ad osservare il fuoco e immaginò la scena che lui aveva evocato. Fu assalita da una sensazione di vuoto incolmabile, da un senso di perdita così enorme da percepirlo fisicamente.

Si precipitò alla porta, l'aprì e uscì, guardandosi attorno. La figura solitaria di Andrew si stava allontanando rapida.

"Aspetta..." gridò.

Quando non sembrò che avesse sentito, iniziò a correre nella sua direzione, gridando di nuovo il suo nome.

"Non andartene, resta con me" gli disse, dopo che l'ebbe raggiunto, quando finalmente si era fermato.

"Sei sicura che è proprio questo che vuoi?".

"Sì...".

"Lo sai cosa accadrà se mi fermo, vero? E quali implicazioni avrà per noi due... Non ti permetterò più di lasciarmi".

"Andrew... Potrei aver sempre la tentazione di fuggire. E non intendo solo in senso fisico" rispose lei, sconsolata.

"Allora vorrà dire che ti troverò ogni volta..." ribattè lui irremovibile, intuendo la sua resa.

"E se non dovessi riuscirci?"

"Ci riuscirò".

La sua sicurezza la indispettiva perché la rendeva cosciente della propria fragilità.

"E se ti stancassi di dovermi raggiungere?"

"E se invece fossi tu a stancarti di scappare?"disse infine lui, per chiudere il discorso. Lei non riuscì più a replicare. Si limitò a mormorare, con gli occhi lucidi di lacrime:

"Sono troppo fragile per te..."

"Tu non sei fragile" replicò Andrew "non saresti la persona che sei, col passato che hai avuto, se fossi fragile. Sei soltanto disabituata ad amare ma, soprattutto, a lasciarti amare. Sei convinta, nel tuo inconscio, di non meritartelo, perché è ciò che ti hanno fatto pensare le persone che più avrebbero avuto il dovere di farlo".

"Ho paura... Soprattutto di deluderti..."

"Non accadrà. Ti amo e tu ami me. Ci vorrà un pò di tempo, ma troveremo la nostra dimensione". Quindi, abbracciandola, aggiunse:

"Ora che ne dici di rientrare al calduccio e continuare il discorso davanti al fuoco?"

 

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Capitolo 46
*** -epilogo - Scritto nel Destino ***


Capitolo XLIV

Epilogo

Scritto nel Destino



Terminò la lettura e depose il plico di fogli sul tavolo. L'emozione che stava provando era indescrivibile e per un attimo sentì gli occhi umidi di lacrime.

Il romanzo era meraviglioso. Certo, come aveva detto il suo autore, andava ancora limato in alcuni punti, e poi necessitava di un finale più all'altezza del resto, ma nell'insieme era davvero eccezionale.

Per quanto riguardava la revisione di alcune parti non vi erano dubbi che in quattro o cinque giorni di lavoro sarebbero riusciti a sbrigarsela.

Il finale, invece, era un'altra faccenda. Era come se ad Andrew mancasse il coraggio di concluderlo.

Guardò i fogli, sul primo dei quali il titolo faceva bella mostra di sé.

Sorrise rileggendo l'ultima parola delle tre che lo componeva, scritta addirittura con la prima lettera in maiuscolo: alla fine, in un modo o nell'altro, quel termine continuava a ricorrere nei pensieri di Andrew, al punto che lo aveva utilizzato sia per il titolo del romanzo, che per quello delle tre parti di cui era composto.

Del resto non avrebbe potuto che essere così: tutta la trama era un continuo succedersi di personaggi che all'inizio sembravano gettati lì a caso ma che poi, col procedere degli eventi, si rivelavano ad uno ad uno predestinati ad incontrarsi. 

Aveva cambiato i cognomi e le casate nobiliari, ma Andrew non aveva fatto altro che narrare l'incredibile susseguirsi di fatti che, a partire dal 1856 fino a quel momento, avevano portato al loro incontro, così come li aveva vissuti e percepiti con la sua sensibilità di scrittore.

Forse era quello il motivo per cui il finale era scarno e sembrava buttato lì tanto per chiudere. Nel cuore di Andrew non vi era ancora una conclusione a quella vicenda ed egli non era riuscito, oppure non aveva voluto, inventarne uno. Sembrava un gesto scaramantico, per evitare di condizionare il vero finale della loro storia.

Si voltò ad osservarlo, mentre dormiva steso a terra davanti al camino. La sera prima, una volta rientrati nello chalet, non erano riusciti ad attendere neppure un attimo prima di gettarsi l'uno tra le braccia dell'altra. Andrew aveva iniziato a spogliarla con ancora lo zaino sulle spalle. Quando lei aveva proposto di utilizzare il giaciglio sul soppalco, lui non aveva voluto sentire ragioni e aveva recuperato il materasso per  piazzarlo a terra, nel poco spazio davanti al camino. Si erano amati per lunghe ore su quel letto improvvisato e Nicole si era ritrovata a pensare che mai era stata meglio in tutta la sua vita.

Non si trattava solo di soddisfazione fisica, anche se Andrew era sempre molto generoso nel donarle piacere; era piuttosto una sensazione di benessere e di completezza, di piena appartenenza ad un luogo, ad un momento, ad una persona... sentiva d'aver trovato finalmente il proprio posto e il proprio ruolo nel meccanismo infinito della Vita.

Forse in parte quella sensazione era dovuta anche al ritrovamento del diario del conte André d'Harmòn, o all'aver voluto ricercare a tutti i costi le tracce di quell'antico amore giunto sino a loro, che incastrava l'ultimo tassello nel complicato mosaico della sua discendenza materna ma, soprattutto, chiudeva un cerchio di cui lei era una parte importante. Oppure tutto si riduceva alla vicinanza di Andrew. O, forse, ad entrambe le cose.

Tornò a stendersi accanto a lui e subito percepì il tepore confortante dei loro corpi vicini. Non riuscì ad impedirsi di abbracciarlo. Lui era caldo, morbido ed emanava un sensuale odore di uomo. In quel luogo lontano dal mondo quelle sensazioni le sembrarono più primitive ed eccitanti del solito.

All’improvviso si sentì come trasportata indietro nel tempo, come se la sua mente proiettasse immagini del passato: due corpi avvinghiati, mentre facevano l'amore proprio dove lo avevano fatto lei ed Andrew poche ore prima.

La sensazione di deja-vu fu così forte che si sentì sopraffatta da un improvviso senso di timore e si allontanò bruscamente dal corpo dal suo uomo. Andrew mugulò di insoddisfazione, si voltò verso di lei e, afferratala alla vita, la tirò di nuovo accanto a sè.

"Mhmm... mi piaceva di più così".

"No..." tentò di divincolarsi, ancora turbata.

"Cosa ti succede, Nicole?" chiese lui con dolcezza, allentando la stretta ma senza laciarla andare.

Indecisa se confessargli una paura così assurda e irrazionale, disse solo:

"Scusami... È così sciocco...".

Lui si sollevò ad osservarla in un chiaro invito a proseguire.

"Ho avuto una strana sensazione... quasi un deja-vu..." si risolse a dirgli. Forse parlandone sarebbe scomparsa.

Lui annuì: "Come se avessi visto Lady Sarah e il Conte André?"

"Anche tu?" domandò stupita.

"È da quando sono entrato in questo chalet, ieri, che le loro immagini non mi abbandonano. È paragonabile ad un film!" disse divertito lui.

"Ma... non ti sei spaventato?"

"E perché mai avrei dovuto? È’ da una vita che mi capitano cose simili... Ammetto, però, che questa volta sono più forti e più reali. L'ho sempre attribuito alla mia fervida immaginazione, anche se da ieri tutto è così intenso che sembra quasi vero!"

"A me è successo per la prima volta ora, dopo che sono tornata a stendermi accanto a te. Che sia stato perché ho appena letto il tuo romanzo?"

"Lo hai letto tutto?"

Lei annuì, divertita di fronte alla sua espressione stupita e al tempo stesso ansiosa.

"Dopo che ti sei addormentato non riuscivo a prendere sonno. L'ho iniziato, dicendomi che avrei letto finché non mi si fossero chiusi gli occhi. Invece ha vinto la curiosità e l'ho letto sino alla fine".

"E...?" la sollecitò lui. Era impaziente di avere la sua opinione, l'unica di cui gli importasse davvero.

"È meraviglioso, Andrew" lo gratificò lei, sorridendogli con dolcezza.

"Lo pensi sul serio?"

"Sì. Ho solo qualche riserva sul finale, che non è proprio all'altezza del resto."

"Ti ho anticipato che non mi convince".

"La faccenda mi sembra più complicata. Tu non hai scritto un vero finale".

Lui sorrise. "Ero sicuro che te ne saresti accorta!"

"Mi stai dicendo che lo hai scritto di proposito per farmelo leggere così?"

"Già... E il perché dovresti saperlo o averlo capito da sola. Io un finale ce l'ho in mente, ma sei tu che devi dirmi se sarà quello".

"Non puoi parlare sul serio..."

"Assolutamente sì".

"D'accordo", cedette lei, "sentiamo questo finale".

"Un matrimonio, la sera della vigilia di Natale"

"Perché proprio la vigilia di Natale?"

"Ah, ah, non ha letto con attenzione, Lady Sinclair! I protagonisti fuggono da Vienna dopo la festa di Natale per festeggiare il compleanno dell'Imperatrice d'Austria. Il periodo del matrimonio, quindi, deve essere quello. Inoltre la vigilia di Natale ha un'importanza anche per la parte di vicenda americana".

"Tuo nonno... disperso in Vietnam la vigilia di Natale..." annuì Nicole, ricordando il cenno che lui aveva fatto nel romanzo quando aveva introdotto il personaggio che nella realtà era suo padre. Un matrimonio proprio quel giorno per i due personaggi più recenti sarebbe stato un altro legame tra le coppie di quell'incredibile cerchio.

"La sposa che arriva in carrozza... perché appartiene alla nobiltà europea da generazioni e non può - nè vuole - evitarlo... è il suo sogno fin da quando era bambina"  proseguì lui, rammentando ciò che lei una volta gli aveva raccontato della sua infanzia.

A Nicole si riempirono gli occhi di lacrime, nel rendersi conto di quanta attenzione aveva prestato ad ogni più insignificante particolare che gli aveva confidato.

"La chiesa, antica e solenne, addobbata con rami di pino e stelle di Natale..." aggiunse lei, per fargli comprendere, senza dirlo a parole, quanto desiderasse partecipare a quel finale.

"Lo sposo in un elegante abito da sera scuro e la sposa, bellissima, in uno splendido abito in seta rossa..." continuò Andrew, con un sorriso.

Lei si rese conto che stava descrivendo gli abiti che avevano indossato alla festa di inizio estate.

"...coperto, tuttavia, da una corta cappa di pelo bianco, per ripararla dal freddo e moderare la scollatura, che davanti all'altare sarebbe eccessiva" aggiunse lei, proseguendo la sua descrizione.

"Però niente pellicce di animali, non mi va che delle povere bestiole ci rimettano la pelle per il nostro finale. E poi ormai fanno accessori in pelliccia sintetica che nulla hanno da invidiare al pelo vero" aggiunse.

"L'importante è che se la tolga al ricevimento che seguirà al castello del duca suo fratello e che tutti gli invitati possano ammirarla nel suo splendore" pretese lui.

"Ma il duca sarà d'accordo di ospitare il ricevimento?" domandò lei, del tutto calata nel gioco di immaginare quello che ancora riteneva soltanto il finale di un romanzo, anche se sapeva essere il desiderio di Andrew per loro due.

"Il futuro sposo gliene ha già parlato ed è d'accordo. Anzi, ci tiene ad essere lui ad offrirlo agli sposi, oltre al regalo di nozze, ovviamente".

"Non avrai parlato davvero con mio fratello?" domandò lei sbigottita.

"Beh... a chi altri avrei potuto chiedere la vostra mano, milady?"

"Non dici sul serio..."

"Tu che ne pensi?" rispose lui, con un sorriso disarmante.

Nicole comprese solo in quel momento che tutto ciò che le stava dicendo lo aveva pianificato con accuratezza e non si trattava di idee che gli arrivavano all’improvviso.

Era giunto il momento di parlare senza mezzi termini.

"Hai già organizzato tutto quanto, vero?"

"No. Non ancora. Ma Marie-Antoinette aspetta solo una nostra telefonata per fare in modo che tutto ciò che ho messo su carta si trasformi in realtà. È sufficiente che tu dica sì... e che aggiunga il dettaglio della pelliccia bianca al quale, mi tocca ammetterlo, non avevo pensato".

"Sei tremendo..."

"Lo so. Ma converrai con me che un finale simile è molto meglio di quello attuale".

"Su questo non vi sono dubbi. Eppure... manca ancora qualcosa".

"Qualunque dettaglio vorrai cambiare o aggiungere non mi offenderò, nè mi opporrò" disse lui accondiscendente, credendo che lei si riferisse alla pianificazione del loro matrimonio

"Mi sembra che tu abbia pensato a tutto per la cerimonia. È al finale del romanzo che manca qualcosa" e si alzò, lasciandolo a domandarsi di cosa stesse parlando.

Mentre la osservava aprire il baule posto accanto all'ingresso, la provocò:

"Pensavo di poter lasciare all'immaginazione dei lettori le fasi relative al concepimento e la nascita del nostro primo erede... ma se lo desideri posso sempre aggiungerle!"

Tornò da lui con una antica scatola in legno tra le mani:

"Ti sei divertito a scrivere le scene d'amore che hai sparso qua e là, vero?"

"Mhmmm... Dovevo pur trovare un modo divertente per trascorrere il tempo in tua assenza! O avresti preferito che mettessi la stessa passione in incontri sensuali con altre donne? Non ci crederai, ma è stato un duro lavoro!" rispose divertito. Poi, osservando con curiosità ciò che teneva tra le mani, chiese:

"Cos'è quella?"

"Il mio dono per dirti che ti amo e che sì, desidero sposarti".

Con un'espressione raggiante lui fece per abbracciarla, ma lei lo fermò.

"Dopo... Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Ora aprila" gli disse porgendogli la scatola.

Andrew la prese e fece come lei gli aveva detto. Non appena vide il contenuto, sollevò lo sguardo, stupito ed emozionato al tempo stesso.

"Non ci posso credere... Sapevi che erano qui?"

"No. L'ho trovata per caso, il secondo giorno, curiosando nel baule. Non appena l'ho aperta, ho capito subito di cosa si trattava".

"Le lettere d'amore che André scrisse alla moglie negli ultimi mesi di vita... Le hai lette?"

"Sì. Non ho saputo resistere. L'ultima credo possa diventare il finale perfetto per il tuo romanzo".

"Mi stai dicendo che mi dai l'autorizzazione a pubblicarla nella versione originale?"

"Come ti ho detto è il mio regalo di nozze".

"Quindi questo finale non esclude il matrimonio?"

"Ovvio che no. L'idea di una sposa in rosso mi piace assai! Comunque prima leggile, in particolare l'ultima. Sono sicura che la troverai interessante. Così come sono certa che riuscirai ad utilizzarla per la conclusione del romanzo, incastrando le parole del mio antenato con un matrimonio la notte della vigilia di Natale".

"Hai molta fiducia nelle mie capacità..."

"Ho imparato a conoscerti. E, cosa più importante, a fidarmi di te. Tu non molli mai. Quando ti metti in testa qualcosa, procedi imperterrito, finché non hai raggiunto il tuo obiettivo. Non mi meraviglio più che tu abbia conquistato il successo in così giovane età".

"Nicole, hai detto una cosa bellissima. La più bella che potessi dirmi".

"Adesso non esagerare!" replicò lei, fraintendendo la sua osservazione. "Mi sono limitata ad osservare la tua tenacia".

"Non mi riferivo a quello, ma a quando hai detto che ti fidi di me. Lo sai, vero, che è proprio la fiducia uno dei fondamentali dell'amore? Assieme alla fedeltà, al rispetto reciproco, al sapersi donare e al saper mettere al primo posto il bene dell'altra persona".

"Parli dell'amore come di un allenamento di basket!" sorrise lei.

"Se per questo, i fondamentali sono  un concetto che appartiene a qualunque sport. Però ammetto che il basket è il mio preferito. E noto che anche tu ne sai qualcosa".

"Ne ebbi a che fare per lavoro, per un servizio fotografico".

"Ad ogni modo hai capito ciò che intendo: senza la fiducia la passione non diventa amore. È un pò come riuscire a centrare un canestro senza essere capaci di palleggiare, passare la palla o senza saper fare il terzo tempo: puoi fare due tiri con gli amici, ma non potrai mai dire di saper giocare a basket. Così è per l'amore: ti puoi innamorare di qualcuno, ma finché non hai fiducia, non sarà mai vero amore. Certo, talvolta ti può anche tradire..." aggiunse lui, prevenendo quella che sapeva sarebbe stata una sua obiezione, "in quel caso puoi anche decidere di impedirti di amare... È un pò come abbandonare la squadra in cui si gioca perché delusi dall'allenatore o dai compagni... ma se si continua a giocare, i fondamentali non possono essere accantonati, altrimenti non sarebbe più basket. Se vuoi amare di nuovo, la fiducia deve rientrare nei termini dell'equazione, altrimenti è una partita persa in partenza".

"Credo tu abbia ragione" confermò lei, riconoscendo di aver compiuto quel primo passo, "però è tanto difficile...".

"Per questo chi pratica uno sport passa anni ad allenarsi sui fondamentali, perché sono movimenti non spontanei e devono invece diventare naturali, come fossero parte di te. La stessa cosa vale per l'amore".

"Tanto duro allenamento?"

"Certo, soprattutto per ciò che ci riesce più difficile e la fiducia è al primo posto in questa classifica. Perché non comprende, a mio avviso, solo la capacità di fidarsi dell'altro, ma di fidarsi in generale."

"Ovvero?" domandò lei, affascinata e incuriosita dal suo discorso. Scoprire le sue idee era uno degli aspetti più affascinanti del conoscerlo. Andrew aveva salde opinioni su tutto e per alcune di queste talvolta aveva anche una sua originale visione personale, segno di profonda riflessione.

"Fidarsi della Vita; credere fermamente che il Destino abbia in serbo per noi qualcosa di meraviglioso".

"Ero certa che l'ultima lettera del mio antenato fosse la degna conclusione al tuo romanzo. Tu e lui avete in comune davvero molto".

"Che intendi?" chiese lui, incuriosito e al tempo stesso spiazzato da quell'osservazione.

"Leggila e lo capirai".

 

 

***

Entrò nello studio di André e, come le capitava oramai da un mese, ogni volta il suo cuore perdeva un colpo e gli occhi le si riempivano di lacrime. Lo sguardo cadeva sempre sulla poltrona davanti al camino, dove aveva trovato il corpo senza vita del marito. Vedendola vuota, l'illusione che fosse altrove le riempiva per brevi attimi il cuore di una speranza giovanile, per precipitarla immediatamente dopo nel profondo dolore che riempiva ogni istante della sua vita da ormai quattro settimane.

I giorni successivi alla morte del Duca di Lyndham, o Conte d'Harmòn com'era meglio conosciuto nella sua città natale, erano stati frenetici e molto faticosi: tutto il borgo si era riversato al castello, per porgere le condoglianze alla moglie e ai figli, che l'avevano raggiunta non appena avevano saputo della morte del padre.

La prima ad arrivare era stata Jane Elizabeth, che aveva ricevuto dalla madre superiora il permesso di rivedere la famiglia in quella triste occasione. Andrew Alexander era arrivato poche ore dopo con la moglie e i quattro figli, tre maschi e una femmina; li accompagnava anche Eleanor, madre di Daisy e nonna dei ragazzi: il marito, Thomas Clyde, amico di André dai tempi della scuola, benché più giovane, li aveva già lasciati da un anno.

Nicholas Joseph era stato preceduto dal fratello di mezza giornata ed era accompagnato solo dal figlio maggiore poiché sua moglie Caroline, di quindici anni più giovane, aveva partorito da pochi mesi e non si era ancora ripresa, per cui era rimasta a casa con le gemelline di cinque anni e la bimba in fasce.

Alexandra Nicole era stata l'ultima ad arrivare. Quando il marito e la figlia, che avevano seguito di poche ore Andrew, erano scesi dalla carrozza erano soli. Sarah Jane, che portava lo stesso nome della nonna, aveva detto che la mamma li avrebbe raggiunti entro sera.

Sarah non se n'era sorpresa: conosceva la figlia e sapeva quanto fosse attaccata ad entrambi. Era l'unica che, da quando si erano trasferiti in Francia per restarci per sempre, non si limitava ad un paio di visite all'anno di pochi giorni, ma trascorreva con loro diverse settimane. Ian accompagnava moglie e figlia e tornava a riprenderle dopo quindici giorni; tuttavia era capitato anche che Alexandra fosse arrivata da sola, per visite più brevi. Adorava il padre e ogni volta che si trovava a Cluny trascorreva moltissimo tempo assieme a lui, mentre la madre si occupava della nipote.

Alexandra e André avevano moltissimo in comune e, fin da quando era bambina, mentre erano insieme talvolta davano l'impressione di escludere il mondo attorno a loro; Sarah aveva imparato a non farsene un cruccio, poiché amava entrambi ed era felice di osservarli assieme. Inoltre la figlia non mancava di essere affettuosa anche con lei, benché fosse evidente a tutti la predilezione per il padre. La morte di André doveva averla prostrata non poco e, conoscendola, sapeva che aveva bisogno di trascorrere del tempo da sola prima di affrontare tutti quanti.

Ian le aveva detto che avevano viaggiato insieme sino sul continente, dopodiché le aveva lasciato la carrozza per permetterle di fermarsi alcune ore al vecchio collegio alle porte di Parigi che aveva frequentato da ragazza per terminare gli studi: in quel luogo viveva ancora l'ormai ottantenne insegnante di filosofia di Alexandra, con la quale aveva instaurato sin da ragazza un profondo legame di stima e di amicizia, che durava nonostante gli anni.

Quando li aveva raggiunti in serata appariva più serena, segno che il colloquio con mademoiselle Blancharde era riuscito a darle pace: infatti, oltre all'immenso dolore per la perdita del genitore, Alexandra avrebbe dovuto affrontare anche l'idea di essere diventata l'erede del titolo di Contessa d'Harmòn, con tutte le proprietà annesse e connesse.

La volontà del padre di suddividere le tre eredità tra i figli, facendo della più giovane una tra le prime donne ad aspirare ad un titolo per linea di successione e non per far le veci di un marito mancato all'improvviso, era stata innovativa e molto azzardata, tipica del Duca. Sarah sapeva che Alexandra era orgogliosa della decisione del padre; tuttavia, giunti al dunque, le nuove responsabilità avrebbero potuto sopraffarla.

Anche Andrew, che alla morte di André diventava il nuovo Duca di Lyndham, avrebbe dovuto far fronte alle nuove responsabilità dal punto di vista legale e non solo da quello pratico, come già faceva da tempo aiutando il padre; l'unico che da alcuni anni aveva acquisito a tutti gli effetti il titolo di Lord Montagu, subentrando nella linea di successione allo zio materno dopo la sua morte, era Nicholas, che oramai iniziava a vedere i frutti della sua accurata amministrazione. Se per i due eredi maschi tutto ciò era un qualcosa di scontato sin dalla nascita, Alexandra avrebbe dovuto combattere, e non poco, i pregiudizi dell'alta società, che non avrebbero visto di buon occhio la faccenda; inoltre, nell'amministrare le proprietà francesi, avrebbe potuto trovare ostacoli anche da parte di uomini coi quali avrebbe dovuto avere a che fare. Certo, Ian l'avrebbe aiutata, inoltre il padre l'aveva preparata da tempo; nonostante questo le responsabilità sarebbero state molte.

L'arrivo di Alexandra aveva chiuso il cerchio dei familiari più stretti, ma non quello di tutti coloro che avevano desiderato porgere i loro omaggi ad un uomo che avevano imparato ad ammirare e ad amare. Il giorno del funerale l'antica abbazia era invasa da una folla che, in rispettoso silenzio, aveva accompagnato con affetto e stima l'ultimo viaggio terreno del signore del castello.

Avevano sepolto André in una piccola radura, appena oltre il bosco, dal lato delle scuderie. Ricordava ancora quando l'aveva condotta per la prima volta in quel luogo: a quei tempi trascorrevano solo le estati in Francia e quella era la seconda volta che lei si trovava nella residenza della famiglia dei conti d'Harmòn.

André era voluto uscire a cavallo e lei l'aveva accompagnato volentieri, come sempre. A Lyndham Park avevano l'abitudine di cavalcare assieme per un paio d'ore ogni giorno e il marito aveva ripristinato l'uso delle scuderie anche nei suoi possedimenti in Francia proprio per poterlo fare anche lì. Erano giunti in quella radura dopo aver attraversato il bosco. Sarah era convinta che fossero ormai usciti dalle terre dei d'Harmòn, invece André l'aveva sorpresa dicendole che anche quel luogo era loro.

Il bosco si apriva in un'ampio prato in cui il sole entrava prepotente; un ruscello, che poco oltre si rintanava nel terreno, aveva scelto proprio quello spiazzo per emergere in superficie, quasi a voler ricercare la luce, anche solo per un breve tratto. Una distesa di fiori di campo colorava l'erba, che cresceva rigogliosa, mentre l'aria era attraversata da insetti e farfalle variopinte. Era un luogo di pace e serenità. Quando lo aveva mormorato incantata al marito, lui le aveva detto deciso:

"È qui che voglio riposare per sempre".

Non ne avevano mai più parlato, da allora, ma Sarah era certa che quelle fossero le sue volontà anche a distanza di anni. Ne aveva avuto conferma dal loro avvocato, non appena gli aveva comnicato la notizia della morte del marito.

Ora la tomba di André Francois Nicholas, conte d'Harmòn e duca di Lyndham, si ergeva in quel luogo di pace, in un angolo della radura, accanto ad un grande albero che le regalava ombra nelle ore più calde della giornata. Sarah aveva dato disposizioni affinché il prato attorno alla lapide fosse sempre tagliato per permettere a chiunque avesse voluto pregare sulla tomba di farlo senza problemi, accomodandosi sulla panchina che aveva fatto sistemare. Inoltre aveva fatto ampliare il sentiero che dalle scuderie del castello portava sin lì in modo che potesse transitare anche un piccolo calesse.

Da quando André non c'era più lei aveva trascorso ore intere seduta su quella panchina. Per i primi giorni, a turno, le avevano fatto silenziosa compagnia figli e nipoti, ma ogni volta che le dicevano di tornare, lei rimandava sempre sino al tramonto, finché non arrivava William, il figlio di Lynnette, a riprenderla.  Quando i figli e i nipoti erano ritornati alle loro vite, lei aveva continuato a farsi accompagnare lì ogni giorno.

Aveva provveduto anche a comunicare all’avvocato la volontà di essere sepolta accanto al marito, per non correre il rischio che i figli pensassero altrimenti e decidessero di tumularla in Inghilterra, nella tomba di famiglia dei Montagu, accanto al padre, alla madre e al fratello. Lei voleva riposare per sempre accanto all'unico uomo che avesse mai amato. Si augurava soltanto che quel momento arrivasse presto.

Si fece coraggio ed avanzò nello studio del marito, richiudendosi la pesante porta di legno alle spalle.

Si guardò attorno: tutto era rimasto come la mattina del 14 luglio quando, svegliata prima dell'alba dalla sensazione del posto vuoto accanto a sè, si era affrettata a scendere ancora in vestaglia; si era diretta senza esitare nel luogo dove immaginava di trovare il marito addormentato, poiché sapeva che si coricava sempre molto tardi e diverse volte era capitato che lo trovassero che dormiva nel suo studio. In genere apriva gli occhi non appena lo sfiorava. Invece quella mattina André non si era più svegliato.

Guardò la scrivania e la fugace immagine del marito intento a scrivere le apparve come reale: quante volte lo aveva visto chino sui suoi quaderni, intento a mettere nero su bianco i pensieri che gli affollavano la mente?

Era capace di andare avanti per ore e quando lo rimproverava, lui rispondeva che aveva molte cose da scrivere. Lei faceva un cenno infastidito, che lui sapeva essere diretto ai suoi diari segreti e la faccenda finiva lì.

Un giorno però, dopo che aveva avuto un leggero attacco di cuore, le aveva detto che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto leggerli. Lei era rimasta sorpresa e al tempo stesso commossa, perché sapeva quanto il marito fosse sempre stato geloso dei suoi scritti e temeva che la decisione fosse dovuta al fatto che André sentisse imminente la propria fine. Nonostante ciò non aveva detto nulla e aveva iniziato da quelli giovanili, leggendone qualche pagina alla sera prima di adormentarsi. Presto, tuttavia, la lettura l'aveva appassionata sempre più e aveva proseguito con maggiore rapidità, ricordando quanto, già molti anni prima mentre leggeva il diario andato perduto sulla Medea, le parole dell'uomo che amava l'avessero coinvolta.

Quando aveva trovato il corpo senza vita di André, le mancavano solo una decina di diari ancora da leggere e in quelle ultime settimane li aveva letti seduta sulla panchina davanti alla sua tomba. Le parole scritte del marito le recavano conforto e le facevano sentire meno la sua mancanza.

Era giunta alla fine dell'ultimo quaderno proprio quel pomeriggio, dopo neppure un'ora che era seduta accanto a lui. Nonostante faticasse a leggere a causa della vista che negli ultimi tempi le si era velata, le parole di André scorrevano via sempre troppo rapide e, prima di arrivare alle ultime pagine, aveva già preso la decisione di ricominciare dal primo. Era l'unico modo che conosceva per sopravvivere al dolore per la sua perdita, nell'attesa che le ultime battute del proprio destino si compissero anche per lei. Quando però era arrivata a leggere ciò che André aveva scritto proprio nelle ultime ore di vita, aveva scoperto che altri suoi scritti l'attendevano.

L'uomo che amava le aveva scritto delle lettere d'amore!

Trattenendo emozione e curiosità sino a quando i domestici l'avrebbero lasciata sola, aveva cenato e solo dopo si era diretta nello studio dove, era certa, avrebbe trovato quei preziosi scritti.

Finalmente, il momento tanto atteso era arrivato.

Si avvicinò alla scrivania e passò con amore una mano sopra a ciò che stava sullo scrittoio, oltre alla lampada ad olio: il calamaio con la penna d'oca che gli aveva visto innumerevoli volte tra le dita, un foglio di carta assorbente appena utilizzato, tampone,  ceralacca e diversi fogli bianchi, impilati in un angolo. Nessuna traccia, però, delle lettere.

La sedia era ancora nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata André, spostata un pò di sbieco rispetto allo scrittoio, per permettergli di alzarsi; senza muoverla, si sedette al suo posto e, da quella posizione notò subito uno dei due cassetti con un piccolo spiraglio, come se fosse stato lasciato aperto di proposito o come se, chi avrebbe dovuto chiuderlo, non fosse riuscito a farlo.

Lo aprì e capì subito d'aver trovato ciò che stava cercando.

Si rese conto che la mano le tremava e gli occhi le si erano colmati di lacrime, mentre estraeva le lettere dal cassetto. Le scorse rapidamente: ne contò venti e ognuna di esse iniziava con Amore mio, Mio tesoro, Sarah mia adorata... e terminavavo tutte con una frase d'amore e una firma, Tuo A.

Sorrise nel riconoscere la lettera a puntata con cui lui siglava ogni scritto che lasciava a chiunque lo conoscesse:  era come un espressione di familiarità, che concedeva solo a familiari e a chi considerava suo amico.

Con quei preziosi fogli in mano si alzò, per andarsi ad accomodare sulla poltrona accanto al camino. Prima, tuttavia, mandò a chiamare William: aveva preso una decisione e voleva che egli la sapesse subito.

L'uomo arrivò proprio mentre la madre, la fedele Lynnette, le stava coprendo le gambe con un plaid, dopo averle consegnato la scatola in legno intarsiato che aveva chiesto di portarle. 

Lynnette li lasciò soli e, mentre William provvedeva a ravvivare il fuoco, si fece promettere che, alla sua morte, avrebbe portato di persona quella scatola e tutto il suo contenuto nello chalet in montagna che lui ben conosceva, senza che nessun altro, figli compresi, fosse messo al corrente della cosa. Solo sua madre Lynnette avrebbe saputo di dovergli consegnare quella scatola.

L'uomo tentò di obiettare che figli e nipoti avevano diritto di sapere, ma lei fu irremovibile: quelle parole erano per lei sola e tali dovevano restare. I diari del padre sarebbero rimasti a disposizione di tutti, ma quelle lettere no.

Sapeva in cuor suo che quello sarebbe stato anche il desiderio di André e, dopo essere arrivata all'ultima lettera, le parole che lesse le confermarono d'aver preso la decisione giusta. In tutti quegli anni trascorsi assieme aveva imparato a conoscerlo molto bene e non si sorprese più di tanto nel leggere le sue ultime parole.

Avrebbe desiderato essere più forte e riuscire a centellinare quegli scritti nelle lunghe e solitarie giornate che l'attendevano, ma non ci riuscì: le divorò una dietro l'altra con una rapidità straordinaria considerata l'età e la vista sempre più affaticata.

Sorrise, pianse, se le strinse al cuore... ogni frase le procurò gioia e dolore al tempo stesso; ogni passaggio le suscitò ricordi meravigliosi.

Dopo aver riposato gli occhi per alcuni minuti ed essersi ripresa da quel turbinio di emozioni, ricominciò daccapo, rileggendole ad una ad una con calma, soppesando ogni parola, ogni singola frase ed immaginando André mentre le scriveva.

Non si accorse di nulla, nè del tempo che trascorreva, nè di Lynnette che, preoccupata di non averla ancora vista tornare in camera per la notte, per ben due volte era scesa a cercarla. Aperta in silenzio la porta, non aveva osato dirle nulla, vedendola ancora intenta a leggere.

Ad un certo punto si rese conto di essere molto stanca, eppure non riuscì ad alzarsi e a staccarsi da quei fogli. Li ripiegò ad uno ad uno e li mise nella scatola, trattenendola in grembo, quasi fosse un neonato da abbracciare. Tenne tra le mani solo l'ultima lettera, che rilesse altre volte. Non riusciva a staccarsi dagli ultimi pensieri dell'uomo che aveva tanto amato.

Il pendolo in ingresso suonò le tre e lei si stupì di essere ancora sveglia a quell'ora.

Seduta sulla poltrona che aveva accolto l'ultimo respiro del marito, con la testa e il cuore pieni delle sue parole, si sentì nell'unico luogo in cui avrebbe voluto essere. Reclinò il capo e si addormentò, cullata dai ricordi e dall'amore coi quali André l'aveva avvolta.

Nel sonno doveva essersi mossa un po' poiché, ore dopo, Lynnette la trovò  rannicchiata di fianco, la testa appoggiata nel punto in cui, settimane prima, vi era stato il cuore di suo marito. Ad osservarla sembrava fosse in grembo a lui, sprofondata nel suo sonno eterno. Stringeva al petto la scatola di legno intarsiato e tra le mani un foglio, stropicciato e bagnato dalle lacrime.



Amore mio,

 

questa mattina ti ho osservato mentre ti occupavi dei tuoi fiori. Passeggiavi tra le aiuole e ti fermavi a togliere le foglie secche o i petali ormai appassiti; oppure abbassavi il volto per aspirarne il profumo. Mi ha ricordato come ti occupavi dei bambini quando erano piccoli: giocavi con loro, li accudivi quando erano ammalati, ascoltavi con pazienza i loro racconti oppure ti soffermavi a guardarli dormire. Come per i fiori, non hai mai voluto che se ne occupasse qualcun altro.

 

Il flusso dei ricordi si è spinto oltre e il pensiero è andato alla prima volta che ti vidi. Non so se sono mai riuscito a farti capire sino in fondo ciò che provai in quel momento: quando ebbi posato per la prima volta lo sguardo su di te, sentii che la mia vita era ad una svolta. Il Destino ti aveva messo sulla mia strada e, se non lo avessi assecondato, lo avrei rimpianto per sempre.

So che ti sembrerà strano che io, proprio io, accenni al Destino: sono sempre stato un uomo pragmatico, che ha sempre creduto che fosse l'Uomo l'artefice della propria esistenza. Pensare che la vita sia solo nelle mani del Destino renderebbe l'Uomo del tutto passivo e completamente rassegnato agli eventi; lo priverebbe della spinta a migliorare, a credere in se stesso, a prendere qualunque decisione.

Eppure, col tempo, sono giunto alla conclusione che negare il Destino sia una forma di arroganza: priva del Destino la vita dell'Uomo si ridurrebbe ad una serie di occasioni perdute; vivremmo nel continuo rimpianto di ciò che non è stato e che invece avrebbe potuto essere, di ciò che non abbiamo fatto e che invece avremmo potuto fare. Il presente diverrebbe così soltanto un'occasione perduta e, al posto di viverlo, non faremmo altro che sprecarlo.

Forse la verità sta proprio nel mezzo: il Destino ci pone davanti a delle situazioni; come le affrontiamo ci condurrà su una strada piuttosto che verso un'altra e questo fatto potrebbe condizionare ciò che il Destino ha in serbo per noi. Però penso anche che se il Destino di un uomo è molto forte, qualunque strada egli prenda alla fine arriverà dove era predestinato che arrivasse.

Penserai che siano le farneticazioni di un vecchio, e probabilmente avresti ragione, ma è da un po’ di tempo che penso che il nostro incontro abbia messo in moto un meccanismo che ho la presunzione di immaginare destinato a muoversi nel tempo.

Ultimamente nei miei pensieri ricorre spesso il diario che lasciai sulla Medea: forse è solo la vana speranza di un uomo che ancora rimpiange, dopo anni, quella perdita; eppure ho come la sensazione che quel diario non sia andato smarrito... magari è finito nelle mani di qualcuno che lo ha già letto. Oppure altre persone lo leggeranno: in quelle pagine è narrata una storia d’amore, la nostra storia d'amore, e mi piace immaginare che un giorno ci sarà chi vorrà saperne di più sull'uomo e la donna che vissero quell'amore; un giorno, forse, qualcuno si spingerà oltreoceano, sulle tracce di un conte francese e di una nobildonna inglese che si incontrarono alla corte di Francesco Giuseppe e salvarono la vita dell'Imperatrice Sissi. Allora i miei diari racconteranno tutta quanta la storia...

Queste lettere, però, vorrei che rimanessero solo nostre. E se un domani qualcuno le dovesse comunque ritrovare, vorrà dire che era Destino che accadesse.

 

Da parte mia, il mio Destino lo ringrazio ogni giorno per aver contemplato nei suoi progetti per me il nostro incontro, il nostro amore, la nostra vita insieme.

 

Tuo per sempre, A.












Fine







E così questa lunga avventura è terminata: desidero rigraziare tutte le persone che, nel corso di questi anni, sul sito dove fu inizialmente pubblicata, qui su EFP o privatamente, hanno letto e, soprattutto, recensito questa trilogia:  grazie, è stato bellissimo vivere assieme a Voi questa esperienza, che ha arricchito e continua ad arricchire la mia vita di splendidi momenti.

 
Mi sarebbe tanto piaciuto che l'esperienza di scrivere insieme a Mac potesse concludersi con questa fanfic, che chiude la trilogia di "SCRITTO NEL DESTINO", soprattutto perché questa storia (o almeno l'idea di questa storia) l'avevamo pensata assieme. Purtroppo non è andata così.  Per questo motivo questa fanfic è dedicata alla "mia socia": è un augurio perché la Vita possa regalarle ancora le stesse emozioni che abbiamo vissuto entrambe scrivendo insieme.

Grazie, MAC, per i bei momenti e per tutto il divertimento! Spero che questo racconto, benché sappia che è un pò diverso da come lo avevamo immaginato, ti possa comunque piacere e tu lo possa considerare la degna conclusione della nostra avventura nella Storia.

 
Vorrei dedicare questa fanfic anche Desi, la nostra revisionatrice: pur non avendo usufruito dei tuoi servigi per questo ultimo capitolo (e la tua mancanza, credimi, si è sentita eccome!), sei stata un valido aiuto per i due capitoli precedenti, oltre che una grande sostenitrice, fin dalla sua genesi, di tutto il progetto.

Infine dedico questa fanfic anche a Cate e Laura, che mi hanno sempre sostenuta, per anni, nel mio lato nascosto di "scrittrice", con tutte le paranoie annesse e connesse con cui le ho stressate!

Alexandra




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Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.

Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.

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