Storie ordinarie di api e di fuchi

di kk549210
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Evaristo, il fuco del Bar Polline ***
Capitolo 2: *** Melissa, ape operaia ***
Capitolo 3: *** Amilcare, fuco politico ***
Capitolo 4: *** Giuditta, ape architetto ***
Capitolo 5: *** Aristocle, fuco filosofo ***
Capitolo 6: *** Mafalda, ape bambinaia ***



Capitolo 1
*** Evaristo, il fuco del Bar Polline ***


STORIE ORDINARIE DI API E DI FUCHI (1991)
 
In un mondo fatto di dolcezza e di miele vivono degli insetti molto laboriosi, le api, insieme ad alcuni loro simili un po’ meno laboriosi, i fuchi. Ma forse la dolcezza, anche nel mondo delle api, esiste solo nel miele; è ora di dare un’interpretazione, in chiave fantastica, di alcuni fenomeni che avvengono ogni anno nelle colonie di api: la nascita delle piccole larve, l’inattività dei fuchi, corrispondente ad un incessante lavoro da parte delle instancabili api, la conseguente morte dei maschi nel periodo in cui le api, inspiegabilmente inferocite contro di loro, smettono di nutrirli come avevano fatto fino a poco tempo prima.
 
 
EVARISTO, IL FUCO DEL BAR POLLINE
 
Quando, ogni mattina, il gestore del Bar Polline, un discreto localetto in via Pappa Reale, alzava la saracinesca del suo esercizio, si vedeva subito spuntare il fuco Evaristo all’angolo della strada, dove si trovava la sua casetta, in cui viveva mantenuto dalla zia Melissa e dalla sorella Beatrice, indefesse lavoratrici nella fabbrica di miele del locale alveare.
Evaristo, ormai non più tanto giovane, era un cliente abituale del bar: si presentava al mattino in ciabatte e camiciola fiorita aperta sulla grossa pancia marrone, dopodiché si sedeva fuori dal bar, su una seggiola e chiedeva il giornale sportivo, aspettando che arrivassero gli altri fuchi suoi compagni, per commentare con loro gli ultimi avvenimenti del giorno e starsene in ozio completo, mentre le api lavoravano in fabbrica o negli sconfinati campi di fiori tutt’intorno.
Anche quella mattina tutto si svolse secondo la quotidiana routine: non appena il barista ebbe tirato su la saracinesca, subito si vide comparire Evaristo all’angolo.
- Come va, Gaspare?- gridò repentinamente, appena sbucato fuori, al proprietario.
Gaspare rispose con un mugugno al saluto del suo amico e cliente. Conosceva ormai da un pezzo Evaristo, e così, ben sapendo ognuno i difetti dell’altro, la reciproca sopportazione era divenuta abbastanza difficile per entrambi.
Evaristo afferrò, com’era sua abitudine, il suo giornale sportivo favorito, “Api Sport”, ed iniziò a leggere le notizie del giorno. Ce n’era una che lo interessava particolarmente: quella della partita di calcio che si era disputata il giorno prima tra la squadra locale e quella d’oltrefiume, e subito si risvegliò la sua loquacità, tipica un po’ di tutti i fuchi che trascorrono le loro giornate al bar.
- Eh, ieri i nostri hanno proprio giocato bene!- esclamò Evaristo, tenendo il giornale aperto, sollevato per aria con le zampine.
- Beh, a dire il vero hanno un po’ faticato a vincere: gli altri erano veramente in forma!- ribatté Gaspare, i cui antenati avevano un tempo sciamato fin lì dall’altra parte del fiume.
- Abbiamo vinto noi, però, con un bel 2 a 1, grazie al nostro straniero, il fuco di città Zucchero di Canna.
- I giocatori della nostra squadra mi sono sembrati però un po’ fiacchi!- soggiunse il barista, che quella mattina si era svegliato con la voglia di contraddire il suo cliente più fedele.
- Ci credo! Di là dal fiume tutti gli anni ci sono splendidi fiori e così gli atleti possono nutrirsi di ottimo miele, tanto da sembrare più bravi, ma questa è pura e semplice apparenza!- esclamò Evaristo, che voleva difendere fino in fondo la sua squadra del cuore.
- Avevano ragione allora i miei antenati, quando dicevano che i fiori di là dal fiume sono migliori di quelli di questa sponda!- disse Gaspare, orgoglioso del suo albero genealogico.
- Senti un po’, amico mio, non credi che sia ora di smetterla con queste noiose chiacchiere?- sbuffò scocciato il cliente - In ogni caso, i nostri giocatori possono contare sull’aiuto di esperti, come la dottoressa Mariolina Nettarina.
La conversazione andò avanti per lungo tempo; si aggiunsero anche gli altri amici di Evaristo, che dovevano passare il tempo in qualche modo. Se ne stettero lì tutto il giorno, finché, al tramonto del sole, ognuno tornò a casa sua.

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Capitolo 2
*** Melissa, ape operaia ***


 
MELISSA, APE OPERAIA
 
Era stata una dura giornata quella per Melissa. Il governo aveva stabilito che ogni ape doveva lavorare almeno tredici ore al giorno, per far fronte ai bisogni della società in continua espansione demografica: la regina aveva deposto molte uova, il mese precedente, e le larve neonate avevano bisogno di mangiare.
Lavorare, lavorare senza mai fermarsi! Melissa era ormai allo stremo delle forze. Il sole stava tramontando e tra breve sarebbe suonata la sirena che annunciava la sospirata uscita dalle fabbriche. - Datevi da fare, pigrone - gridava il responsabile del reparto - oppure lavorerete il doppio domani! - Melissa cercava di accelerare il ritmo di lavoro, raccogliendo vasetti ricolmi di miele e riponendoli negli appositi imballaggi, destinati alla vendita nei vari negozi della città;  stava ormai per cadere a terra dalla stanchezza, quando finalmente la sirena suonò.
L’ape raccolse le sue cose ed uscì dalla fabbrica. Appena fuori, notò una serie di cartelli che invitavano le api ad un’assemblea generale per discutere la creazione di un sindacato per tutelare i loro diritti, per garantire loro una pensione durante la vecchiaia... - Un sindacato! Ecco la soluzione per tutti i nostri problemi! - disse Melissa alle sue colleghe - E così, la sera seguente, si recarono tutte insieme all’assemblea: il relatore, un giovane fuco di idee democratiche da poco entrato nel consiglio comunale, con parole vibranti invitò le api a scuotersi dal torpore in cui si trovavano da tanti anni, di smettere di farsi sfruttare, accettando supinamente le decisioni che venivano dall’alto... Tutte quante le api furono conquistate da quelle parole e decisero di porre fine ad anni ed anni di sfruttamento: firmarono una carta che sanciva la nascita del “Libero Sindacato delle Api Operaie”.

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Capitolo 3
*** Amilcare, fuco politico ***


AMILCARE, FUCO POLITICO
 
Amilcare era un vecchissimo fuco, il più vecchio di tutta la comunità: nessuno sapeva dare un’età ai suoi peli ormai bianchi e le sue zampette ormai deboli e stanche avevano camminato a lungo per i corridoi del Palazzo, durante le lunghe stagioni in cui il vecchio fuco aveva esercitato il potere nella comunità. Ad ogni ciclo di elezioni veniva rieletto, più per abitudine che non per merito, tanto che i suoi concittadini lo avevano soprannominato scherzosamente Calcare, perché dicevano che la presenza di Amilcare nel Palazzo era paragonabile a quella delle incrostazioni di calcare: una volta attaccatosi, non si poteva più staccare. Amilcare non prestava attenzione a queste chiacchiere e se ne andava per la sua strada: ogni giorno, immancabilmente, si recava al lavoro con la sua valigetta, pronto ad affrontare una montagna di scartoffie, inviate dalle api più giovani per avere diritto all’istruzione, oppure dalle più anziane per ottenere al termine della carriera la meritata pensione; sulla sua scrivania, inoltre, vi erano infinite domande di un lavoro decente.
Sotto il suo governo i posti dirigenziali erano tenuti solamente dai fuchi, che passavano le loro giornate negli uffici esagonali agli ultimi piani dei più moderni grattacieli di cera, spesso senza combinare nulla di utile alla comunità, anzi, il più delle volte, facendo andare tutto quanto storto. Amilcare e gli altri dirigenti e politici si dicevano tanto occupati, da doversi fare letteralmente mantenere, anzi sfamare, dalle api, le uniche in tutta la società ad avere conservato in sé il senso del dovere.
Quella mattina, Amilcare aveva un’importante seduta in Parlamento, poiché bisognava varare una nuova legge sulle pensioni. Alcuni dei fuchi sostenevano che l’età del pensionamento delle api dovesse essere alzata, altri ritenevano addirittura che esse dovessero lavorare fino allo stremo delle forze, finché non fossero state portate al cimitero, poiché la produzione di miele non era sufficiente ai fabbisogni della società. Amilcare fece un appassionato discorso a sostegno di quest’ultima proposta, affermando che tutti dovevano prendere esempio da lui, che, pur essendo ormai tanto vecchio, lavorava ancora (sempre che si possa definire “lavoro” starsene tutto il giorno dietro una scrivania senza combinare nulla). Un giovane fuco, eletto da poco per le sue idee democratiche, ancora poco conscio del fatto che fare politica, per i suoi  colleghi, significava cercare di star bene e di fare lavorare gli altri al proprio posto, affermò che un provvedimento di legge tanto ingiusto avrebbe scatenato l’ira delle principali industrie del paese, che avrebbero così scioperato ad oltranza, tenendo per sé il miele e facendo morire di fame loro, i fuchi, incapaci com’erano  di procacciarsi da soli il cibo. Nessuno dei vecchi conservatori gli diede ascolto e addirittura quelli che si erano sempre dichiarati democratici gli voltarono le spalle. E così la legge venne approvata ed entrò in vigore nel giro di pochi giorni (cosa assai rara nel mondo della politica).
Subito si verificò quello che il giovane fuco aveva previsto durante la famosa seduta in Parlamento. Seguirono giorni di sciopero: le api non si presentarono al lavoro, sfilando con cartelli e striscioni di protesta di fronte al Palazzo del Potere ed ovviamente cessarono immediatamente di nutrire la classe politica, responsabile della loro rovina: tutti quanti i dirigenti della comunità perirono assai tragicamente, compreso il vecchio Amilcare.
Ci fu così un rinnovamento nella classe dirigente e la legge sulle pensioni approvata dal governo Amilcare fu abrogata.

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Capitolo 4
*** Giuditta, ape architetto ***


GIUDITTA, APE ARCHITETTO
 
 
Era ormai tarda notte e Giuditta era  ancora al lavoro, nello studio, curva sul suo tavolino da disegno. L’indomani sarebbe stato un giorno importante per lei: la commissione edilizia avrebbe esaminato i suoi progetti per le nuove abitazioni popolari e... chissà se li avrebbe approvati! Ogni volta che la commissione giungeva nell’ufficio per approvare dei nuovi piani urbanistici, Giuditta sentiva battere forte il cuore per l’emozione e sperava che le sue idee potessero essere apprezzate da quel gruppo di burocrati antiquati e retrogradi. Ciò però non si verificava mai: dopo una sommaria occhiata ai progetti, i commissari scuotevano il grosso testone e le dicevano che non erano realizzabili sul piano  pratico, perché non rispondevano alle esigenze di funzionalità presenti nella comunità, oppure perché i costi di realizzazione erano troppo elevati. Insomma, si trovava sempre qualche scusa per non tradurre in realtà i progetti di Giuditta che, nonostante raccogliesse quasi sempre giudizi negativi dalla commissione edilizia, era un valente architetto.
- Basta così! - disse l’ape tra sé e sé - Sono due ore che sto riguardando questi lucidi... anche se questo non porterà a nulla di costruttivo! La commissione non vuole mai realizzare i miei progetti, a parte quando le spese di realizzazione sono davvero basse... questo avviene solamente perché loro, come quadri dirigenti, vivono in splendide residenze, mentre le operaie e gli altri lavoratori sono costretti a vivere in abitazioni anguste e malsane! Non vedo l’ora di andare in pensione, così almeno potrò ritirarmi da questo mondo corrotto dell’edilizia! Ah, se potessi rinascere un’altra volta! Cambierei di certo mestiere, oppure, ancora meglio, chiederei all’ape regina di farmi nascere fuco, così potrei starmene in ozio completo dalla mattina alla sera! - Ormai scoraggiata, Giuditta si alzò dalla sedia, ripose i progetti in un cassetto, uscì dall’ufficio chiudendo delicatamente la porta e tornò a casa, dove crollò subito addormentata.
L’ape iniziò a sognare: si trovava in una grande e solare colonia di api, dove tutte le case erano luminose e gli abitanti allegri e gioviali; le operaie si dirigevano verso le fabbriche fischiettando allegramente e le piccole larve saltellavano spensierate in immensi parchi, pieni di alberi e di piccole casette di legno per giocare... Quella era la città che l’ape architetto progettava da tanto tempo... Ad un certo punto Giuditta udì una voce che la chiamava: nella piazza principale c’era una gran festa e la banda cittadina suonava un allegro motivo. Il sindaco voleva donare all’ape le chiavi della città, in segno di gratitudine per il suo instancabile lavoro di architetto. Giuditta era felicissima ed emozionata... ma si svegliò di soprassalto e vide sopra di lei il soffitto della sua celletta, realizzato con cera di mediocre qualità ed esclamò con amarezza: - Era solo un sogno...

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Capitolo 5
*** Aristocle, fuco filosofo ***


ARISTOCLE, FUCO FILOSOFO
 
Il fuco Aristocle era un tipo molto tranquillo che se ne stava un po’ in disparte rispetto agli altri suoi concittadini. Viveva infatti in periferia, tra gli alberi di acacia, in un luogo adatto alla meditazione, che costituiva il suo pane quotidiano: Aristocle era un filosofo e dedicava le sue giornate all’osservazione della natura che lo circondava ed alla speculazione metafisica. I suoi bisogni materiali erano molto limitati, perché egli era assai temperante ed spesso addirittura si doleva di essere un peso per la società, di essere per sua stessa natura inerte ed improduttivo, anche se però era contento, in un certo senso, di essere nato fuco: riteneva infatti che questa sua condizione gli permettesse di porsi certi interrogativi che alle api non passano nemmeno per la testa, prese come sono dal loro frenetico ritmo di lavoro.
In un bel pomeriggio di maggio, Aristocle se ne stava nel boschetto con il suo discepolo preferito, un giovanissimo fuco di nome Eudosso, ed insieme dialogavano sul loro argomento preferito, la vita delle api e l’organizzazione della loro società.
- Maestro Aristocle, perché tra le api solo la regina può avere figli, generando fuchi ed api? - chiedeva Eudosso, bramoso di apprendere.
- Mio caro Eudosso, le api sono animali molto strani: vivono e lavorano solo per la società, visto che non possono farlo per la loro prole, come invece fanno tutti gli altri esseri della terra, cominciando dai più infimi sino all’uomo (ciò l’ho scoperto osservando il mondo intorno a me durante tutta la mia lunga vita). Probabilmente ciò accade perché esse sono assorbite così totalmente dal lavoro da non avere il tempo per occuparsi di una eventuale prole. Forse è meglio così: se le api avessero dei figli sarebbero probabilmente madri poco premurose ed allo stesso tempo pessime produttrici di miele. Il bello della nostra società è la categorica suddivisione dei compiti: ognuno fa ciò che deve fare, e lo fa bene, perché deve occuparsi solo di quello!
- Perciò la regina mette al mondo nuovi fuchi e nuove api, l’ape bambinaia accudisce le piccole larve, l’ape architetto progetta le nuove abitazioni di cera, l’ape guardiana sta attenta che nessuno entri nell’alveare, l’ape bottinatrice raccoglie il polline che diventerà poi dolcissimo miele...
- Bravo, Eudosso! Sei proprio un filosofo nato!
- E noi fuchi, qual è la nostra funzione nella società, maestro Aristocle?
- Me lo sono chiesto molte volte, ma una risposta soddisfacente, ad essere sincero, non l’ho ancora trovata. Forse noi fuchi abbiamo la testa più grossa perché dobbiamo ragionare, dobbiamo essere dirigenti, politici o filosofi, oppure puri e semplici fannulloni, condannati ad esserlo per sempre. 

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Capitolo 6
*** Mafalda, ape bambinaia ***


MAFALDA, APE BAMBINAIA
 
Anche quella mattina, un’intensa giornata di lavoro si presentava alla giovane ape Mafalda, preposta alla cura delle piccole larve. Appena sentì suonare la sveglia, Mafalda si sognò dal dolce sogno in cui era immersa, stirò a lungo le zampette, poi si alzò un po’ controvoglia. Attraversato in tutta fretta il mini-appartamento di cera mentre si vestiva e si pettinava, uscì di buonora per recarsi all’asilo nel quale lavorava. Lungo la strada, l’ape pensava la suo lavoro di bambinaia e rimuginava: - Io sono giovane e ho voglia di divertirmi, perché devo occuparmi di piccole larve piagnucolone, che tra l’altro non sono neppure mie figlie? Per quanto riguarda le apine, non mi dispiace molto cambiare loro il pannolino, anche se spesso non è molto profumato, ma i fuchettini, proprio, non riesco a sopportarli! Non posso tollerare di dover prendermi cura di chi mangia alle spalle della società e continuerà a farlo per tutta la vita! Neanche fossero i miei figli! - Stava per continuare a seguire il filo dei suoi pensieri, quando un’atroce constatazione le balenò davanti - Ma nessuna ape, a parte la regina, può avere figli! - pensò tristemente Mafalda - Questo  non riesco proprio a capirlo! Come posso fare per trovare una spiegazione a questo fatto? Andrò da Aristocle, dicono che sia un filosofo... chissà, forse lui potrà darmi una risposta! Basta che faccia una piccola deviazione lungo la strada e poi, dopotutto, arrivo sempre in anticipo all’asilo. - La giovane ape imboccò una stradetta tra le acacie e ben presto arrivò alla piccola casetta, quasi nascosta dai rami delle giovani piante, dove viveva Aristocle. Il saggio fuco sedeva sulla soglia, sorseggiando una coppa di biondo miele ed osservando l’armonioso movimento della natura intorno a lui. Vedendo arrivare Mafalda, il vecchio fuco si stupì alquanto che una giovane ape venisse a fargli visita, ma le regalò ugualmente il suo famoso sorriso.
- Salve, mia giovane amica! Posso aiutarti in qualche modo?
- Sì, saggio Aristocle... tu che conosci tutto...
- Aspetta un attimo, mia cara, io sono un filosofo, non conosco nulla...
- Comunque tu osservi la natura tutto il giorno...
- Sì, proprio così!
- Puoi dirmi allora perché tra le api solo la regina può avere figli?
- A dire il vero non lo so...
- Ma com’è possibile? Esisterà pure un  motivo!
- Certo, ma a nessuno di noi è dato di conoscerlo: vedi, io sono un fuco, ma non so perché non lavoro come fate voi api, ma penso e filosofo tutto il giorno, e neppure la regina sa perché è costretta a deporre migliaia di uova, durante la sua vita... Consolati, mia piccola amica: nessuno di noi lo sa.

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