Se solo fosse vero

di LoveEverlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Annabeth Chase ***
Capitolo 2: *** Percy Jackson ***
Capitolo 3: *** INCONTRI ***
Capitolo 4: *** E' UN FANTASMA ***
Capitolo 5: *** Scoperte ***
Capitolo 6: *** Bip ***



Capitolo 1
*** Annabeth Chase ***


Due brevi parole prima di lasciarvi a questo piccolo capitolo.
E' la prima volta che scrivo in questo fandom e spero di scrivere alla meglio questa storia.
Come vedrete più avanti, Annabeth, per motivi di copione, è un medico e non un architetto.
Percy verrà presentato nel prossimo capitolo in cui verrà spiegata bene la sua storia.
Vi invito a recensire il capitolo e vi auguro una piacevole lettura.




Annabeth

Sento un'altra imprecazione di qualche passante che ho spintonato dalla fretta, il mio passo è veloce mentre percorro i corridoi dell’ospedale volendo raggiungere al più presto la paziente della 113.
Poco fa ho ricevuto una chiamata in cui m’informavano che Bianca di Angelo si era stabilizzata e che dovevo accorrere per aiutare.
La paziente è arrivata qui due settimane fa ed è ancora relegata nel letto con un tubo per aiutarla a respirare, unito alle cure di suo fratello Nico.
Da quando ho iniziato a curarla, non c’è stato giorno in cui non avessi visto il fratello accanto a lei parlarle di tutto, anche solo per tenerla sveglia.
Fortunatamente però la paziente è ormai quasi guarita, quindi sono più che contenta di andare da lei per aiutarla.
-Dottoressa Chase eccola, la paziente ha chiesto di lei- Piper McLean, la mia migliore amica e psicologa dell’ospedale mi passa la cartella di Bianca.
La conosco a memoria, quindi mi limito semplicemente a prenderla in mano, Piper mi rivolge un sorriso mentre mi segue dentro la camera.
La paziente, infatti, sembra ormai ripresa del tutto e si appoggia meglio allo schienale del suo letto tenendo la mano del fratello.
-Allora?- riesco a percepire la sua ansia, Nico poi sembra ancora più ansioso di lei mentre le strinse la mano tanto che vedo Bianca fare una piccola smorfia.
-Tutto benissimo signorina Di Angelo, quello che le consiglio è solamente di seguire alla meglio le indicazioni che le abbiamo dato e di ricominciare lentamente a svolgere le sue azioni quotidiane. È stata relegata in quel letto per abbastanza tempo- Nico sospirando di sollievo allenta la stretta sulla sua mano continuando però a tenerla mentre le accarezza dolcemente il braccio.
Piper continua a sorridere mentre spiega alla paziente cosa fare, ha sempre avuto una lingua ammaliatrice che riusciva a convincere anche i pazienti più testardi a seguire i consigli medici, per questo è diventata prima psicologa di New York e del nostro centro.
-Certo, mi occuperò io di tutto. La ringrazio ancora dottoressa Chase- annuisco rivolgendo un ultimo saluto a Bianca firmando anche la sua cartella.
Uscita consentita, è la cosa che preferisco in assoluto nel mio lavoro.
Permettere a un paziente di tornare alla sua vita mi rende felice e fiera di essere diventata quella che sono, mi fa capire di aver fatto bene a scegliere questa carriera invece di un'altra.
Avrei potuto fare l’architetto, in effetti ho anche quella laurea, ma quando mio padre mi ha convinta a fare domanda per entrare nel corpo medico di questo ospedale non avrei mai pensato di raggiungere certi livelli.
Eppure qualcosa del mio lavoro non mi è mai piaciuto: il dover passare ogni giorno dai pazienti in coma dicendo alle famiglie che tutto si sarebbe sistemato, quando invece la prima cosa che volevo sempre fare era staccare a spina.
Sapevo già che non sarebbero mai guariti, che una volta in coma la tua vita era finita e non avevi bisogno di soffrire ulteriormente.
Eppure molte famiglie non hanno mai perso la speranza, negandoci assiduamente il permesso di staccare la spina.
Lo squillo del cellulare di Piper mi riporta alla vita reale, fermandomi dal pensare.
-Certo, mi farebbe molto piacere Jason. Perfetto, ci vediamo stasera- sta trattenendo un gridolino, lo capisco da come stringe le mani facendo diventare le nocche bianche.
Inizia a rigirarsi una ciocca di capelli tra le dita, la maglia verde a fiori si alzava rapidamente a ogni suo respiro mentre camminava come un ebete.
-Allora?- un altro sospiro, sicuramente Jason deve averle organizzato qualcosa di fantastico per quella serata, ormai erano dieci mesi che stavano insieme.
Si erano conosciuti durante un’uscita, Piper non è il tipo da vestiti attraenti o trucco, cercava sempre di essere invisibile.
Eppure Piper è quel tipo di ragazza da guardare in ogni caso e proprio per questo aveva catturato Jason, che si era innamorato di lei proprio perché era diversa.
-Mi ha invitato a uscire a cena prima di andare da Leo, sicura di non voler venire Annie?- diniego nuovamente l’invito, avere qualcuno con cui stare non è al momento nei miei pensieri, ora devo solo pensare al lavoro.
Piper accanto a me annuisce, sa già quello che penso al riguardo così non va oltre, si limita invece a stare zitta come sempre in questi casi.
-Beh vedila in questo modo: ho sentito Clarisse lamentarsi per il figlio appena nato, almeno non avrai problemi di questo tipo per ora- sorrido abbracciandola prima che vada via, il mio turno finirà tra due ore, ossia poco prima di cena.
Mentre la saluto ripenso a Clarisse, che si è trasferita a Los Angeles dopo che Luke le aveva un offerto un lavoro per lei e Chris, il fidanzato.
Luke Castellan è il mio migliore amico insieme a Talia -con cui si sposerà tra tre mesi-, il padre ha la più grande associazione di poste e con i soldi guadagnati lavorando nel tempo con lui ha anche costruito una serie di navi: Andromeda.
Credo che Chris lavori su una di quelle navi insieme a Charles –il fidanzato di Silena- mentre Clarisse si occupa delle poste con il padre di Luke.
Controllando nuovamente l’ora mi dirigo nel mio ufficio, per firmare alcune carte prima di fare un altro giro di visite tra i pazienti.
 
Accendo la macchina iniziando a guidare per raggiungere il mio appartamento, ho un sonno incredibile e ho fame, ho bisogno di mangiare qualcosa o mi sentirò male come l’ultima volta.
Stando ben attenta alle macchine faccio girare la mia, accelerandone leggermente l’andamento perché è troppo lenta.
Sto girando ma il mio telefono inizia a squillare e abbasso lo sguardo vedendolo per terra davanti al sedile del passeggero.
Controllo che non ci siano macchine e mi chino, tentando di raggiungerlo ed esultando vittoriosa quando finalmente lo prendo.
Talia che mi ha lasciato un messaggio nella segreteria, sto per sentirlo quando sento un clacson e vedo una macchina bianca svoltare per tentare di evitarmi.
Poi tutto inizia a diventare nero.

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Capitolo 2
*** Percy Jackson ***


Ciao a tutti,
prima di lasciarvi al capitolo voglio ringraziare AnnabethJackson per essersi offerta di rileggere per me i capitoli.
Questo di oggi non è stato rivisto da Annie (posso chiamarti così?) perchè non ho potuto inviarglielo prima e non volevo poi farvi attendere.
Spero vi piaccia, ringrazio quindi Annie e Ramosa per le recensioni e spero di leggerne altre.




Percy Jackson

Sbuffo contrariato un ulteriore volta alla vista di un’orrenda casa che l’assistente immobiliare, Katie Gardner, mi sta mostrando.
Innanzitutto le pareti sono fin troppo esagerate per l’innumerevole quantità di quadri che si ritrova, inoltre ci sono troppe statue che finirò certamente per rompere non appena avrò lasciato andare Katie.
Provo a sedermi sul divano, tanto per convincermi che almeno qualcosa di bello questo appartamento lo possiede, invece mi ritrovo solamente a sprofondare in una massa di cuscini che di comodo non hanno nulla.
-Bene, allora le piace l’appartamento? Devo dire che è delizioso, così... artistico- Artistico, l’unica parola che userei per  descrivere quest’appartamento.
Mi guardo ancora una volta intorno, pensando se prenderlo o meno, ma l’unica cosa che alla fine continua a dirmi la mia mente è: No, no, no.
NO, perché l’arte non fa per me e rischierei di rovinare qualcosa.
NO, perché il divano non è assolutamente come lo voglio.
NO, perché l’unico motivo per cui lo prenderei è perché ha qualcosa che mi ricorda Rachel, ma mi sono trasferito proprio per allontanarmi il più possibile dalla mia vita passata, da cui mi sto ancora riprendendo.
-No, la ringrazio miss Gardner ma preferisco passare oltre, qualcosa di moderno- con riluttanza Katie annuisce scortandomi all’uscita e continuando a parlare del nostro prossimo appartamento, che a quanto pare si trova vicino a Central Park ed è super richiesto, ma che ha lasciato in sospeso per me.
Entrando dentro qualcosa inizia a farmi apprezzare il luogo, forse le pareti bianche e blu o la scala di vetro che porta a una terrazza dove posso pranzare.
Il salone è ampio, comodo quindi questo va tutto in suo vantaggio.
C’è anche un bellissimo divano rosso su cui mi fiondo per valutarlo: è comodo se non fosse che quando tento di appoggiarmi nel mezzo cado all’indietro perché non ha lo schienale a sorreggermi.
-Lo prendo come un no, signor Jackson- si morde il labbro ed io annuisco mentre la seguo ancora più avvilito verso un nuovo appartamento.
No, se il divano è sbagliato, allora non fa proprio per me.
-Sa miss Gardner, l’appartamento deve comunque rilassare- Katie si rallegra per un attimo facendomi strada verso il nuovo appartamento.
a quanto pare l’hanno usato anche per dei servizi fotografici, è tenuto in perfetto stato ed è l’appartamento più rilassante che posso trovare.
Mi fa entrare da una porta di legno levigata, a primo impatto mi viene da pensare che questo sia l’atrio: un basso tavolino di legno con dei cuscinetti e un quadrato con delle pietre e della sabbia, il tutto illuminato da delle grandi finestre.
-Ehm, mi scusi Katie. Io lo avevo chiesto arredato- Katie sbatte gli occhi confusa, guardandosi intorno tanto per assicurarsi che si tutto in ordine.
Guardandola credo di scorgere una nota di… forse incredulità?
Quando ritorna a concentrarsi su di me capisco che mi ha preso per pazzo, in quanto mi indica tutto l’appartamento, con fare ovvio e da vera esperta del suo lavoro.
-Questo appartamento è arredato- mi guardo un'altra volta intorno.
No, questo appartamento non fa decisamente per me.
Non è nemmeno arredato come lo intendo io.
La precedo, aprendole la porta e uscendo fuori sconfitto per un'altra visita andata a vuoto, non troverò mai un appartamento che mi piaccia.
Forse Rachel ne avrebbe trovato uno che mi sarebbe sicuramente piaciuto, sapeva predire in anticipo tutto quello che avrei adorato.
Se non fosse morta per quella stupida malattia forse ora non sarei qui, a rimpiangere la nostra vita dopo ancora due anni, ma sarei con lei nella nostra casa a giocare magari a palla con due nostri bambini.
-Sa signor Jackson, se mi spiegasse qualcosa di lei, forse potrei aiutarla meglio- Mi allontano velocemente da Katie che continua però a seguirmi, l’unica cosa che mi ero ripromesso di non fare era parlare agli altri di quello che mi era successo.
Non avrei raccontato a nessuno di Rachel, l’unico che sapeva per interno la storia era il mio amico Grover e i miei genitori con cui però parlavo poco ormai.
Un foglietto di carta si attacca alla mia gamba e sbuffando lo getto via.
-La ringrazio ma preferisco non parlarne- 
Lo stesso foglietto rosa si attacca nuovamente a me, questa volta però al braccio facendomi sbuffare una seconda volta.
-Sa signor Jackson, forse dovrebbe aspettare prima di continuare a cercare- 
La terza volta il biglietto mi vola direttamente in faccia, sto per strapparlo dalla frustrazione, quando leggo le parole scritte lì sopra.
Un appartamento è stato liberato ed è possibile affittarlo, c’è la vista sulla città, tutto arredato, confortevole.
-Può chiamare qui, per favore?- Katie prende il foglio riluttante mentre io mi dirigo velocemente verso l’appartamento nonostante le sue proteste.
Dietro di me, dopo una lamentela inziale la sento chiamare e parlare con il proprietario finendo poi poco prima che io apra la porta.
-Deve pagare l’affitto ogni mese- di questo non mi preoccupo così entro dentro e lo vedo, ammobiliato e con una splendida vista dalle innumerevoli finestre.
Smetto di sentire quello che Katie dice e salgo una rampa di scale che ho visto, ritrovandomi così su un bellissimo terrazzino non decorato.
-Bella vista. E chi se lo sarebbe aspettato- annuisco facendo un giro per osservare la città e scendo nuovamente le scale, camminando fino al salotto.
Un bellissimo divano blu è posto in un lato della stanza, mi siedo sopra e lo trovo perfetto: comodo, con schienale, il tavolino è fantastico.
-Immagino che…- 
-Lo prendo- fermo Katie sul nascere e la sento boccheggiare per un momento sorpresa, sicuramente non aspettandosi quella risposta.
Annuisce, dirigendosi verso la porta mentre io scruto solo il luogo dove abiterò.
-Le farò avere presto il contratto… spero- annuisco lasciandola andare, la vista dalle finestre è davvero fantastica e riesco anche a vedere l’Empire State Building da lontano dove mio padre lavora insieme a zio Zeus.
Dovrò sicuramente passare a fargli visita o lo sentirò gravemente arrabbiato tramite la prossima chiamata-iride, lo Skype del momento.
Mi sento meglio, inizio a credere che questa sarà realmente la mia nuova vita.
Mando un messaggio a mia madre, mi aveva avvertito di voler ricevere subito una chiamata non appena avrei trovato l’appartamento.

Trovato casa, ci vediamo presto.
Un bacio, Percy.

Dopo il messaggio decido subito di prendere una birra dal frigo già fornito e di sedermi sul divano, quello che mi aveva tanto attirato e guardare dei video.
Avevo visto il matrimonio con Rachel poco prima di partire, non volevo ripercorrere ancora tristi ricordi, eppure rivedere il suo viso continua ad essere il mio primo pensiero in ogni momento.
Riprovare le emozioni di quando ridevamo insieme, ricordare di quando scappavamo insieme dai domestici del padre.
Ricordare la mia ragazza e poi mia moglie, ricordare tutto quello che insieme avevamo passato nel pieno della felicità. 
E non mi importa che soffrirò nel ricordarla, in questo momento voglio soltanto ritornare indietro nel tempo, quando ero realmente felice.

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Capitolo 3
*** INCONTRI ***


*Entra di soppiatto senza far rumore*
Ciao!
Come state?
Voglio dire giusto due parole prima di lasciarvi al capitolo:
Grazie mille ai recensori che ogni volta commentano questa storia e grazie a AnnabethJackson, che con tanta pazienza ha riletto questo capitolo prima che venisse pubblicato, sei un tesoro.
Spero vi piaccia, in ogni capitolo sto cercando di scrivere cose che pssano rimandare alla saga, anche semplici parole e spero di esserci fin ora riuscita.




INCONTRI

Premo Play, davanti a me compare l’immagine di Rachel che sorride mentre mio suocero la filma insieme alla parrucchiera.
Indossa già l’abito bianco, che le avvolge dolcemente la figura e le mette in risalto i capelli rossi, illuminati dalla luce sulla città.
-Dai Rach, ti stai per sposare, sorridi un po’ di più.- Rachel ride guardando lo specchio e salutando il padre con la mano. La parrucchiera copre parte della visuale e la truccatrice le ricolora il viso già pallido.
-Papà non dovresti andarti a vestire? Tra poco dobbiamo andare.- da dietro la telecamera il padre ride, smuovendo la telecamera e filmando per un attimo tutta la stanza, messa in disordine da Rachel.
-D’accordo ho capito vado, non sia mai che Percy scappi.-
Singhiozzo ancora una volta, il peso sul petto si fa sempre più opprimente costringendomi a bere ancora una volta dalla bottiglia.
Non riesco ancora a dimenticare il suo viso, il suo sorriso, i suoi dipinti.
Il momento in cui mi aveva proposto di disegnare ed io, per chiederle originariamente di sposarmi, avevo provato a fare un disegno.
Il risultato finale non era stato dei più stupefacenti, sembrava più che altro un anatra dalla pelle rossa che prendeva una scatola con il becco.
Rachel però l’aveva conservato, incorniciato e appeso nel corridoio e ogni volta che qualcuno chiedeva cos’era lei rispondeva: 
-Percy ha dipinto l’anatra che ha rubato il mio anello, non è stupendo?-
Prendo un altro sorso dalla bottiglia, ammucchiandola ormai finita tra le altre sul pavimento, ho la testa che gira ma non mi importa.
Mando avanti il filmato arrivando alla festa, nel giardino di casa Dare dove abbiamo lasciato tutti gli invitati scappando neanche due minuti dopo la cerimonia, per la luna di miele a Parigi.
-Benvenuti tutti a casa Dare, divertitevi.- brindiamo e la telecamera smette di filmarci, nel momento esatto in cui abbiamo deciso di scappare.
Le domestiche erano già pronte con le valigie quindi non è servito neanche molto tempo per partire e chiamare poi mia madre dall’areoporto.
Il padre di Rachel stava per sguinzagliare la sicurezza dopo la prima mezzora in cui ci eravamo assentati.
Mi alzo per prendere dell’altra birra dal frigo, ne sono rimaste solo tre, nello pomeriggio uscirò per comprarne altre.
Sento le voci cambiare, un nuovo video partire automaticamente, mi sembra di sentire la voce di mia madre mentre canta “Tanti auguri”, forse per il mio compleanno pochi mesi dopo il matrimonio.
Sento un insulto e mi dirigo in salotto. Questo non fa di sicuro parte del video. Due secondi dopo vedo una donna dai capelli biondi guardare astiosa il video con Rachel in primo piano che accende le candele.
-Cosa diamine è successo qui? Questa non è casa mia!- senza nemmeno far caso a me inizia a raccogliere le bottiglie da terra, annusandole e rimettendole sul pavimento stando persino attenta che non ne cada una goccia.
-Il sottobicchiere… perché non è stato messo il sottobicchiere?- si avvicina al tavolo per pulirlo ma si ferma poco prima di toccarlo, girandosi non appena mi sente fare un rumore mentre cammino sul pavimento.
-Tu… cosa ci fai in casa mia?- 
-Questa a dire il vero è casa mia- rispondo a tono, lei ride mentre m’indica le birre per terra e il tavolo sporco di birra.
-Questa, signore, è casa mia e lei ne sta violando la proprietà.- alzo le mani per calmarla.
Comprato l’appartamento mi hanno assicurato che non vi abitava nessun’altro nel mio piano e che i vicini erano tranquilli, questa lo è di meno.
-Credo ci sia un errore, ho affittato questa casa e... O cielo ho capito, ci hanno fatto affittare la stessa casa così che prendessero un pagamento doppio, capito?- ancora una volta ride, questa volta in modo sarcastico mentre mi prende sicuramente per pazzo. Non sembra spaventata come mi sarei aspettato.
In ogni caso io non intendo spostarmi da qui, possiamo direttamente chiamare gli avvocati e fare causa ai proprietari, sempre che lei non faccia storie.
-Dio mio che Testa D’alghe. Senti questa è casa mia, vuoi che ti faccia uno schema? Ti pago anche un motel, ma questa non è casa tua d’accordo?- sento montare la rabbia, questa donna non è per niente educata ed inoltre è sfrontata mentre si permette di darmi del Testa D’Alghe. Che poi non ho proprio idea di cosa significhi.
Poso la birra immaginando che ci vorrà ancora del tempo per farla sgombrare dalla casa e mi avvicino lentamente. Sembra quasi pronta a colpirmi con la lampada che ha accanto.
-Senti tu, Sapientona, primo non sono un vagabondo, secondo questa è casa mia e terzo… beh non c'è un terzo punto.- la bionda si dirige verso il tavolo, pronta a spegnere anche il televisore. Riesco a prendere il telecomando prima di lei.
Mi giro per posarlo sul mobile dietro di me e quando mi rivolto verso di lei, non la vedo più.
Guardo le birre, sicuramente sono state quelle a farmi male. Così decido di spegnere davvero tutto ed andare a dormire.


Chiudo l’acqua calda della doccia. Non ho nessun mal di testa per le troppe birre bevute, così decido di andare a trovare Grover.
Mi aveva chiamato ieri ma non gli avevo risposto, non mi andava di parlare in quel momento, eppure so già che se non lo chiamo me lo ritroverò in casa prima di pranzo. Mi avvolgo con l’asciugamano e apro la tenda della doccia.
-Ah bene ci siamo decisi.- salto in aria mentre la donna di prima mi compare davanti, appoggiata alla porta con le mani incrociate.
-Tu non esisti.- evidentemente la sbornia non deve essermi ancora passata, quindi decido semplicemente di lavarmi i denti al lavandino facendo finta di nulla.
Due secondi dopo infatti lei non c’è più.
Non ricordavo che bere mi facesse questo effetto. Sinceramente non ricordavo che bere mi facesse qualsiasi effetto. Mi guardo allo specchio, sapendo già cosa vedrò:
Un uomo triste, ubriaco, qualcuno che al momento ha seriamente bisogno di aiuto viste le sue costanti visioni.
-Rachel.- mi ritrovò a sussurrare quel nome, ogni volta che la mia mente inizia ad impazzire, ogni volta che sono tentato di farla finita il suo nome mi riporta alla realtà, e ogni volta mi fermo e rifletto, sapendo già quanto lei odiava vedermi così.
Con un sospiro mi ricompongo, mentre prendo i vestiti dalla sedia. Ho solo bisogno di sentire Grover o Thalia, gli unici in grado di ascoltarmi nel momento del bisogno.
Di nuovo.
Mando un messaggio ai miei amici invitandoli fuori a cena, dandomi così il tempo di passare da mamma e papà. Li ho già fatti attendere troppo.

Giro la chiave nella serratura ed entro nella casa dei miei.
È proprio come la ricordavo, semplice, accogliente, che sa di casa.
Sa del posto dove mi sono sentito più amato, del posto dove sono cresciuto, dove ho conosciuto il mio fratellastro e gli sono diventato fratello vero e proprio.
-Chi… Oh, ciao tesoro.- 
Mia madre, Sally Jackson, è ferma sulla porta della cucina con un sorriso stampato sul volto mentre mi guarda dopo tanto tempo.
È bellissima, e nonostante il tempo che passa continua ad avere la sua freschezza, la sua forza. La mamma migliore del mondo.
-Ciao mamma.-
Corre ad abbracciarmi incespicando sui piedi ed io non posso far altro che stringerla, mentre la sento singhiozzare dalla gioia.
Ormai non si aspettava più di vedermi, non dopo il mio trasferimento, non dopo le numerose chiamate durante i fine settimana.
-Mi sei mancato Percy. Ma perché non hai avvisato? Avrei preparato i muffin blu.-
Sorriso. I muffin blu sono una cosa solo tra me e la mamma.
O meglio, qualsiasi cibo blu è solo nostro. Da un semplice dolce lei riesce sempre a farne uscire qualcosa di un blu profondo, commestibile.
-Volevo farvi una sorpresa. Papà?- 
Si asciuga le lacrime mentre mi porta in giardino, dove papà ha fatto costruire una “piccola” casetta in cui ha messo degli acquari.
La luce tenue dal colore dell’acqua illumina tutta la camera. Mio padre, seduto su una sedia, osserva dei carpa koi che, non so come, ha fatto arrivare qui.
Quando io e Rachel lo avevamo saputo, ricordo che eravamo sdraiati su una spiaggia in vacanza. Avevamo riso pensando ad un piccolo acquario con alcuni pesciolini, e poi gli avevamo mandato una oto con dei carpa koi, sicuri che non potesse averli.
Al nostro ritorno non avremmo mai immaginato di trovare davvero quei pesci nella sua nuova casetta.
-Chi è Sally? Oh, ciao figliolo.-
Si alza, il suo aspetto è leggermente più invecchiato ma rimanda sempre ad una strana aura di uomo forte che aveva sempre avuto.
-Ciao papà, come stanno Daisy e Wren?-
Chiedo indicandogli i suoi carpa koi nella vasca.
-Oh bene, hanno avuto tre marmocchi: Lampo, Scilla e Milo... o Mila. Non ho ancora capito se è un maschio o una femmina.-
Ritorna ad osservare il pesce, sempre più vicino, come se davvero riuscisse a capirne il sesso, cosa che io non ero in grado di fare.
-Sicuro papà, che siano…-
Non so come continuare la domanda senza offenderlo.
Non credo che si arrabbi, ma la curiosità è forte.
-Certo figliolo, sono o non sono il re dei mari?-

 

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Capitolo 4
*** E' UN FANTASMA ***


Eccoci qua!
Come sempre prima di lasciarvi al capitolo ringrazio AnnabethJackson per averlo ricontrollatto!
Spero vi piaccia!




-Allora Percy, come stai?- 
Ecco, Grover davanti a me, parte subito con la domanda peggiore, finendo di mangiare la coppa gelato che ha appena comprato nel bar.
Cosa posso dirgli? Come posso dirgli che nulla va davvero bene e che in questo momento sto vedendo una donna che nemmeno esiste in casa mia?
Sia lui che Thalia mi guardano attenti. Non devo proprio sembrare al massimo della mia forma in quest’ultimo periodo.
Prima ricevevano continuamente foto di coppe e trofei vinti nelle gare di nuoto, poi, dopo la morte di Rachel mi sono ritirato per cercare di riprendere il controllo della mia vita, eppure non ci sono ancora riuscito.
-Sembri una Testa D’Alghe lo sai?-
Guardo Thalia pensando di trovarci quella donna bionda, invece vedo solo l’immagine di mia cugina mentre beve dal suo bicchiere.
Sicuramente devo essermi sbagliato. Non ho sentito quello che realmente deve avermi detto, non possono esserci tutte queste coincidenze.
-Puoi ripetere?-
Thalia sembra confusa, dopo un secondo però scuote la testa e ripete.
-Ho detto che sembri una Testa D’Alghe.-
Ecco, ora sono sicuro che non sia stata la mia immaginazione a farmi sentire quel soprannome che aveva usato anche la donna bionda.
Sbatto un po’ le palpebre mentre Grover muove velocemente una mano davanti al mio viso tanto per accettarsi che non sia caduto in trance.
-Non è possibile.-
Mi guardano confusi mentre scuoto la testa e prendo dell’acqua. La mia mente continua a riportarmi immagini della donna mentre mi chiama Testa D’alghe.
-Come puoi chiamarmi con lo stesso soprannome di quella donna?-
Thalia continua ad essere confusa, probabilmente tutto quello che sto dicendo non ha senso per lei ma la rendono solo più confusa.
-Quale donna, Percy?-
Scuoto la testa, per scacciare l’immagine di lei.
Non voglio che la sua immagine sostituisca ancora una volta quella di Rachel, che deve invece rimanere il mio unico pensiero come mi sono sempre prefissato.
Davanti a me però sia Thalia che Grover finiscono per essere interessati a tutta questa storia, tanto da allontanare i piatti per concentrarsi su di me.
-Una donna che ho visto.-
Un fischio da parte di Grover, contento che finalmente abbia deciso di andare avanti… cosa che però non ho ancora fatto.
-Una donna impertinente che compare ogni tanto in casa mia e che mi ha dato quel soprannome che hai appena usato tu, Thalia.-
Si concentra su quest'ultima parte. Lascia andare la sigaretta che stava fumando fuori dal bar e la spegne nel posacenere.
-Deve proprio essere intelligente allora.-
-Se è anche bella, Percy, ti do la mia piena benedizione.-
Guardo entrambi che sembrano contenti.
Io non voglio dimenticare Rachel e soprattutto non voglio uscire con una donna che è solo frutto della mia immaginazione, o se proprio vogliamo dirla tutta, non voglio stare con un fantasma che non so da dov'è uscito.
-Allora, è bella quanto una delle donne delle lista di Afrodite?-
La lista di Afrodite è l'elenco delle 30 donne più belle che possono essere considerate come le figlie della fantomatica dea Greca.
Alla domanda di Grover non posso far altro che pensare al suo aspetto.
È bellissima sì, bellissima nel suo essere naturale, con gli occhi grigi accesi e i capelli biondi che posso immaginare lunghi se li lasciasse liberi dall'elastico.
-Ottimo allora, è perfetta per te.-
Grover ha deciso solo lanciandomi uno sguardo.
Il problema in tutto questo è che non hanno ancora capito che questa donna, in realtà, non esiste e che vorrei solo sfogarmi con loro.
-Mi sa che è sposata, Grover.-
Lui guarda Thalia mentre cerca una conferma da me.
No non è sposata, almeno credo, dato che mi sembra di non aver visto alcun anello sulla sua mano.
Anzi, la donna non sembrava indossare qualunque gioiello, se non si conta una collana di perle abbastanza vecchia che sembra riportare alcuni simboli incisi su ogni perla.
-Non credo Thalia, solo che non è reale.-
Sbotto l’ultima parte, volendo arrivare subito alla fine del discorso senza senso.
-Cosa intendi dire?-
Scuoto la testa. L’unica cosa certa è che la donna con cui mi vedo in vari momenti durante la giornata non è reale.
Non è reale perché non ci sono passaggi segreti in casa mia.
Non è reale perché ho cambiato la serratura e lei è ancora in casa.
Non è reale semplicemente perché non deve esserlo.
-Mi sa che devo chiamare Piper per aiutarlo. Non la vedo da quando…-
Thalia scuote la testa per scacciare qualche assurdo pensiero dalla sua mente e all’improvviso si rabbuia per qualche triste motivo.
Prende dell’acqua per calmarsi e subito dopo sento il suo telefono squillare.
-È Luke, devo tornare perché Nathan non si sente molto bene.-
Annuisco mentre aspetto che si metta il cappotto e la borsa. Abbracciandola prima di salutarci la vedo leggermente cresciuta, o forse è solo perché porta i tanto odiosi tacchi che è obbligata a mettere quando lavora.
Proprio oggi infatti è venuta da me uscendo prima da lavoro.
-Salutami Nate e May, promesso?-
Annuisce sulla mia spalla prima di allontanarsi definitivamente da entrambi.
-Amico, invece di andare dalla psicologa… perché non vieni come me? Dovresti festeggiare con qualche ragazza lo sai?-

Tornando a casa non posso fare a meno di controllare se quella donna è ancora in casa o se è scomparsa definitivamente dalla circolazione.
Quando sono sicuro di non trovarla mi dirigo in camera, sdraiandomi sul letto a doppia piazza. Il cuscino è incredibilmente comodo.
Quando sto per addormentarmi sento, purtroppo, una voce urlarmi di togliermi dal letto obbligandomi ad aprire gli occhi.
Ancora lei. Questa volta sembra ancora più arrabbiata mentre mi indica il cuscino su cui mi sono appoggiato.
-Passi il tavolo, ma il mio cuscino e la mia foto non dovevi toccarla.-
Rimango confuso mentre cerco di capire a quale foto si stia riferendo.
Purtroppo però non sembra molto facile, non vedo nessuna foto in questa camera che possa poi sembrare rovinata.
Il cuscino poi non riporta particolari marchi, se non una minuscola A e una C nell’angolino della stoffa.
-Si può sapere chi sei?-
Boccheggia per un attimo prima di dirigersi arrabbiata verso il salotto.
-Ehi, aspetta!-
Ma un secondo dopo lei non c’è più. Al suo posto rimango solo io che continuo a guardarmi attorno confuso. Alla fine decido di buttare le birre.

Niente.
Questo è il terzo ciarlatano che crede di aver davvero tolto di mezzo il fantasma.
La Sapientona accanto a me lo guarda mentre quello mi mostra una scatolina dove dice di aver intrappolato lo spirito.
-Si, certo. Peccato soltanto che io sia qui e che quelli siano metal detector.-
Non posso far altro che annuire a quella frase.
Inizio a pensare che quelli siano realmente dei metal detector e che abbiamo soltanto fatto rumore quando si sono avvicinati al tavolo.
L’uomo, Octavian, con quel suo pupazzo che si è portato dietro, mi guarda contento come una pasqua mentre io purtroppo non posso far altro che cacciarlo.

Mi fermo davanti ad una libreria del sovrannaturale. Ormai questa è sul serio la mia ultima spiaggia, l’ultima opportunità che ho per liberarmi di lei.
Al bancone trovo tre persone, quindi mi dirigo verso di loro.
Mi dicono di chiamarsi Nico, Bianca e Hazel ed io non posso far altro che annuire, sperando solo che almeno uno di loro sappia cosa fare.
-Ho un fantasma in casa che vorrei cacciare. Sapete cosa fare?-
Nico annuisce e mi porta verso degli scaffali dedicati agli spiriti.
Il problema è che non sono molto interessato ai libri quanto più ad un lavoro pratico. Ormai i libri non mi sono molto utili.
-Vorrei un aiuto sul campo.-
Spiego la mia situazione, gli racconto di questo fantasma che mi sta in un certo senso tormentando da tempo.
-D’accordo ho capito, posso venire lì e vedere.-
Annuisco avvilito. Ormai non credo nemmeno più che la situazione possa migliorare e che lui possa aiutarmi sul serio.

Gli ho mostrato la casa e lui è rimasto incredibilmente silenzioso, concentrato solo sulle sensazioni che quella casa gli dava.
Alla fine quella donna ritorna, ritorna e si diverte a prendere in giro Nico, che secondo lei non sarà utile come tutti gli altri.
-Dovresti andartene sai? Sento un impulso negativo.-
Sorpresa, lei si siede dandogli ragione e complimentandosi per la prima persona sana di mente che sembra io abbia trovato.
Invece non mi sembra molto utile nella mia situazione.
Mi dirigo in cucina sbuffando e lei mi segue, parlandomi del perché io debba andarmene o soprattutto chiedendomi perché sono testardo.
-Non sarà per una donna? Magari una che ti ha proprio lasciato?-
A quel punto non ci vedo più, parlare con lei è inutile e soprattutto parlarle di Rachel sarebbe inutile, non sembra nemmeno capace di essere delicata.
A quel punto la lascio stare ed esco, per dirigermi verso il piano superiore, verso l’attico di cui in quel momento ho proprio bisogno.
Faccio solo in tempo per sentire Nico dirle.
-Sai, forse dovresti capire quando qualcuno perde la persona amata.-

Sento dei passi dietro di me ma continuo a guardare la città.
Dietro di me sento sospirare mentre lei si siede alla mia destra, abbastanza lontano perché possa decida se cacciarla o meno.
Le gambe le penzolano dal muretto. O non ha paura o non se ne accorge.
Ha i capelli sciolti e, come prova del fatto che non è reale, non li vedo muoversi al vento come quelli di una persona normale.
-Scusami.-
Per la prima volta mi sembra di sentirla parlare seriamente. Non sento nessuna vena d’ironia dalla sua voce.
Continua a guardare davanti a sé, sorridendo alla vista delle luci della città.
-Cosa le è successo?-
Mi giro a guardarla. Anche questa volta però la vedo seria e interessata.
Non come pettegola ma preoccupata seriamente per la storia.
-Dovevamo uscire, era tornato dopo un lungo periodo di gare. Era andata in camera a prendere un altro paio di scarpe… si era portata le mani in testa e…-
Mi blocco, non riesco a concludere la frase.
Non riesco a spiegarle che Rachel era morta per...
-Ictus celebrale.-
La guardo e annuisco. La Sapientona ha ragione.

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Capitolo 5
*** Scoperte ***


Eccoci qui.
Inizio con il chiedere scusa per questo madornale ritardo, visto che non so cosa dire ringrazio come sempre i recensori ed AnnabethJackson.
Vi lascio al capitolo.




Mi risveglio immerso in un mare di coperte, un odore di gelsomino si espande per la stanza nonostante non ci fossero quei fiori.
Ricordo di essere andato a letto abbastanza tardi ieri sera, mi ero fermato a parlare con la Sapientona e avevo perso la cognizione del tempo.
Mi risulta incredibile pensare alla Sapientona -si perché ormai lei per me era diventata Sapientona- come una persona gentile, sembra che la scoperta del mio passato l’avesse in qualche modo ammorbidita nei miei confronti.
Mi stiracchio, pronto per la corsa mattutina che mi rimetterà in forze.
Il mio maestro del campo estivo, Chirone, aveva sempre detto che avrei avuto un futuro felice, che ero destinato a grandi cose.
Tutto quello che, insomma, si dice a un bambino quando entra a far parte di un nuovo gruppo, quando si cerca di rassicurarlo alla meglio.
Clarisse la Rue in questo momento mi avrebbe sbeffeggiato dandomi del mollaccione, in qualche modo però avrebbe avuto ragione.
Lascio il caffè sui fornelli a prepararsi mentre cerco una tazza abbastanza grande da contenere tutta quella quantità di caffeina.
Ne trovo una bianca, con dei fiori disegnati attorno e la scritta: Annabeth, fatta probabilmente da qualche bambino.
Lascio cadere il liquido nella tazza e mi dirigo in salotto, su una poltroncina davanti all’enorme finestra mentre osservo la città con un libro in mano.
-Sembra che non abbiamo ancora imparato a usare il sottobicchiere.-
Mi giro, sorridendo a quel fantasma che ormai continua a parlarmi ogni giorno.
Prende posto accanto a me, non che qualche possa essere stanca, quanto forse solo per sentirsi più a suo agio.
Incrocia le gambe piegandole sotto la poltroncina, si sposa dalla sua posa iniziale, mentre cerca di vedere la mia lettura.
-Guarda che se vuoi leggere puoi anche chiedere.-
Le sorrido posandole il libro sul tavolo in modo che possa osservarlo.
Sul libro sono mostrate delle foto di vari giardini fai-da-te che puoi copiare e modificare a tuo piacimento, progetti che aiutano gli inesperti come me a decorare la loro casa alla meglio.
-Beh si è carino, anche se delle modifiche non sarebbero male.-
La guardo mentre m’indica dei punti sulla foto e cerca di modificarli con una matita, che però, non riesce ad afferrare.
Sbuffa, facendomi ridere e obbligandomi ad aiutarla per non sentirla inveire contro quel povero oggetto che non le ha fatto nulla di male.
Quando vede che ho deciso si collaborare, tutta emozionata inizia a mostrarmi punti in cui si potrebbe aggiungere un vaso in più e in punti dove -almeno per il nos… mio terrazzo- posso far aggiungere un gazebo o altro.
Alla fine lo schema che abbiamo fatto è molto carino, immagino però che l’idea che lei aveva in mente fosse sicuramente più bella del mio obbrobrio.
Sembra però non farci caso, mentre continua a osservare il disegno annuendo ogni tanto per i punti che le piacciono particolarmente.
-Allora, ieri ti ho parlato solo di me. Siccome immagino, non te ne andrai facilmente da questo posto, cosa sai dirmi di te? Sei un architetto?-
Si blocca, iniziando a pensare senza però riuscire a spiccicare parola come suo solito, sembra totalmente confusa dalla mia domanda.
Come se in qualche modo il mestiere di architetto centri con lei, eppure dalla sua espressione riesco a capire che -forse- l’architetto non è il suo lavoro ma che è quello che le sarebbe piaciuto fare.
-D’accordo andiamo avanti… nome?-
Ancora una volta sbatte gli occhi, non riesce nemmeno a ricordare il suo nome.
Il suo deve essere proprio uno di quei casi da fantasmi con super problemi, perché almeno per lei ricordare il nome è complicato.
-Cosa ti ricordi?-
Appoggia la testa sullo schienale, con la mano destra si massaggia la tempia tentando di ricordare qualche notizia, mentre con l’altra ticchetta nervosamente le dita sul bracciolo.
-Solo, uhm… un qualcosa chiamato Andromeda?*-
Annuisco mentre prendo il pc dal tavolo e digito “Andromeda”, cercando più che altro associazioni o news recenti.
Saltando le prime notizie -tra cui quella su una star chiamata Andromeda e su una statua ritrovata- mi fermo su quella che mi sembra, poter essere la più accreditabile in questo momento.
Leggo il nome di Luke Castellan e mi fermo per un momento, ricordandomi poi solo dopo della nave del fidanzato di Tahlia.
Stavo ancora aspettando il loro matrimonio, sia per mangiare ancora il loro cibo gratis e sia perché zio Zeus sembrava alquanto infuriato dopo il parto anticipato di Tahlia, che aveva fermato le nozze dopo un qualche incidente.
-Non ho trovato qualcosa di specifico, però c’è una nave Andromeda del fidanzato di mia cugina che sta inaugurando una gemella. Ti va se andiamo?-
 
Salgo sul ponte della nave, la camicia che ho indossato per fare bella figura inizia ad asfissiarmi, soprattutto con questo caldo.
Varie persone si affrettano a camminare sul ponte, alcuni anche in completo casual tanto che inizio a dubitare della mia scelta.
Poco lontano ci sono dei bambini a giocare con delle animatrici, tra cui riconosco i miei nipotini che sembrano divertirsi tantissimo.
-O MIEI DEI.-
Vengo travolto da un mare di capelli e un da un abbraccio abbastanza forte da bloccarmi la circolazione.
Quando -da dietro i capelli- inizio a mettere a fuoco le figure che hanno accompagnato il mio aguzzino, vedo Luke con le braccia incrociate che osserva la scena divertito.
-Non ci posso credere. Indossi una camicia! E sei venuto dal tuo stato asociale.-
Tahlia mi lascia finalmente per permettermi di salutare Luke, anche lui in completo casual, che mi stringe in un ulteriore abbraccio.
-Potevo mai perdermi il cibo?-
Luke inizia a ridere mentre mi scorta con Tahlia lungo tutta la nave, un cameriere ci porta un vassoio con dei bicchieri di champagne che prendo volentieri.
Inizio a parlare con loro, che si dilungano in discorsi inutili anche solo per non lasciarmi da solo.
La Sapientona è scomparsa poco prima che raggiungessi la nave, stavamo parlando mentre io fingevo di essere al telefono, poi all’improvviso non ho più sentito la sua voce rispondermi.
Rispondo a Tahlia, che viene però chiamata con Luke, infondo quella nave è loro e non possono certo rimanere sempre con me.
Quando i due si allontanano, decido di raggiungere i miei nipoti che in tutto questo tempo non mi hanno notato, troppo impegnati a divertirsi sulla nave.
-Hey piccoli, non si saluta più lo zio Percy?-
Nate e May mi raggiungono correndo quando si accorgono di me.
Abbandonano l’animatrice che aveva appena lanciato una palloncino d’acqua a May, che però, bagna tutto il pavimento dopo la caduta.
-Wow, i bambini ti amano molto.-
Annuisco impercettibilmente alla Sapientona, senza farmi accorgere dai piccoli e aggiusto un po’ i capelli di May, che nonostante siano stati acconciati in una bellissima treccia sono stati rovinati durante le ore di gioco.
Così come la madre non ama molto dover essere sempre perfettamente vestita.
Se non fosse per i nonni che le regalano dei vestiti, probabilmente i bambini andrebbero in giro come Tahlia li vuole.
E molto probabilmente, May non indosserebbe nemmeno delle ballerine.
-Hey Percy!-
Sia io che la Sapientona ci giriamo verso la cabina, dove mia cugina ci raggiunge correndo a perdifiato su quei tacchi.
Tahlia si ferma davanti a me, la Sapientona s’irrigidisce guardando mia cugina, poi però scuote la testa e sembra dimenticare nuovamente tutto.
-Percy vieni, Luke sta per aprire la sala.-
Saluto i miei nipoti che tornano verso l’animatrice e seguo Tahlia insieme alla Sapientona all’interno della sala ristorante.
Luke, con un bicchiere di vino in mano, inizia il discorso non appena entriamo, ringraziando la sua fantastica fidanzata per averlo reso quello che era e ringraziando tutti gli ospiti che li avevano raggiunti quel giorno.
Brindo anch’io, prendendo uno dei bicchieri che un cameriere sta portando e vado a sedermi con mia cugina a un tavolo, occupato anche dai nostri genitori.
Il primo piatto che ci viene portato è un antipasto di mare offerto da mio padre, che collabora con Luke per i pranzi a base di pesce.
Ne prendo il primo boccone, sentendo subito il gusto espandersi dolcemente per tutto il palato facendomi sorridere.
I cuochi della nave sono i migliori che potessero trovare nel mondo, dopo una serie di ricerche e assaggi avevano trovato due donne e due uomini che si occupavano della gestione dello staff.
All’improvviso mentre mi fermo a parlare con Zio Zeus sento un tonfo sul pavimento, davanti a me un uomo è crollato per terra mentre la fidanzata lo scuote disperatamente cercando di salvarlo.
-Aiuto! C’è un medico per favore?-
La Sapientona corre verso le due figure, accovacciandosi come la donna mentre osserva l’uomo non riuscendo però a toccarlo, con la mano che trapassa la figura.
La raggiungo allontanando le persone con l’aiuto di Tahlia e di Luke.
La donna sta piangendo disperatamente, i singhiozzi sempre più frequenti sono l’unico rumore che si sente in quel momento nella sala.
Tocco l’addome dell’uomo seguendo man mano i consigli della mia amica.
-Dobbiamo liberargli le vie respiratorie. Fatti dare della vodka veloce!-
Faccio come mi ha detto, ancora sconvolto dalla situazione.
Sento lo sguardo di Tahlia fisso su di me e decido di non girarmi, sarebbe soltanto sconveniente e difficile da spiegare.
Un cameriere mi porta la bottiglie e ascoltando il consiglio della Sapientona la svuoto, iniziando a berla velocemente.
-NO TESTA D’ALGHE! Devi incidere la pelle.-
Annuisco, iniziando a versare velocemente il contenuto della bottiglia prima di...  mi chiedo a cosa possa servirmi la vodka in questo momento.
Solo quando mi indica il coltello capisco di dover incidere la pelle, ed in quel momento prendendolo in mano non riesco a far altro che tremare nervosamente.
La mia mano non si muove di un millimetro mentre la tengo alzata.
Sento la Sapientona sbuffare e un secondo dopo non riesco più ad avere il controllo sul mio corpo, la voce della Sapientona nella mia testa continua a dirmi di non preoccuparmi ed io dentro di me annuisco.
Chiudo gli occhi, mentre la sento incidere la pelle dell’uomo e solo dopo, quando capisco di riavere il pieno controllo di me stesso apro gli occhi.
L’uomo ha appena ripreso a respirare.
 
Mi richiudo la porta alle spalle gettandomi sul divano mentre mi massaggio la testa, troppe cose in un solo giorno.
La Sapientona si siede accanto a me, poggiata sul tavolino mentre mi guarda tentando di scusarsi senza parlare.
-Non sono arrabbiato con te, Ok? Solo non capisco come sia successo, forse sei un medico e non te lo ricordi. Non ci sono altri ricordi che possiedi della tua vita passata? Qualcosa che possa aiutarci?-
Scuote la testa mentre osserva la città davanti a lei, si stringe nelle spalle nonostante il caldo e non accenna a muoversi.
È terribilmente tesa, il respiro sempre più affannato è scosso da piccoli fremiti.
-Hey, stai piangendo?-
Scuote la testa ma la raggiungo comunque.
Ha la faccia triste, non riesce a piangere ma è come se volesse farlo.
-Sono stanca Percy, ricordo una donna e il nome di Piper, solo Piper-
Dopo un secondo scompare davanti ai miei occhi, dissolvendosi sotto la sua volontà. Non vuole farsi vedere in quello stato e quindi ha preso la via più facile al momento, scappare via dai problemi.
Piper, sento di aver già sentito quel nome da qualcuno, in un passato molto vicino solo che non riesco a ricordarmi il momento preciso.
-Mi sa che devo chiamare Piper per aiutarlo. Non la vedo da quando…-
Prendo il telefono di Tahlia, sperando di riuscire a contattarla prima che prenda l’aereo per andare in quel viaggio di una settimana con le cacciatrici di Artemide.
Un gruppo di sole donne che ogni tanto partiva per alcune missioni e di cui ne faceva parte anche mia cugina, credo che oggi dovessero andare da alcuni bambini nei paesi più poveri.
-Percy che cosa?-
-Non ora Tahlia, per favore. Puoi dirmi, dove lavora Piper?-
 
Entro nell’ospedale di New York, salendo tramite l’ascensore al piano dei pazienti ricoverati lì per i danni più gravi.
Girando l’angolo mi sento spinto da una strana forza verso un’ala del piano.
Ho costretto la Sapientona a seguirmi e ora aspetto solamente di veder arrivare Piper per chiederle aiuto.
Sto per raggiungere una reception quando mi fermo, guardando sconvolto una camera spoglia illuminata solo da alcuni disegni.
Lì, distesa su quel letto c’è la Sapientona, il suo corpo è immobile mentre una macchina la sta tenendo in vita.
Accanto a me, anche lei guarda sconvolta il suo corpo.
-Non sei morta, solo… in coma.-

 

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Capitolo 6
*** Bip ***


Eccoci qui al Capitolo. 
Allora, sarò breve perchè so che mi dimenticherò qualcosa. 
Ringrazio Ramosa12 per un pezzo che leggerete più avanti in grassetto che mi ha prestato dalla sua storia "Love heals the broken" è scritto in terza persona proprio perchè è stato fatto così e non ho voluto cambiarlo. Ho adorato quella parte così le ho chiesto di cedermelo e lei è stata così carina da farlo.... 
Una seconda persona che devo ringraziare è AnnabethJackson, che così pazientemente legge e corregge i capitoli di questa storia. Davvero, non so come dirti grazie, ti adoro! 
Detto questo mi sembra che sia tutto... un appunto che volevo fare nel capitolo precedente (se non sbaglio è il precedente) è perchè ho dato i nomi di May e Nate... la bambina immagino sappiate perchè, mentre per Nate è nato tutto dopo essermi ricordata il nome dell'attore di Ermes, che per me rimmarrà sempre Castle (quanto lo adoro!!). detto questo ho voluto scrivere questo appunto solo per ripicca in quanto l'ho scordato in precenza.
Vi lascio al capitolo.





Sono seduto al tavolo del bar dell’ospedale con Piper. Come psicologa non fa altro che osservarmi e cercare di capire ogni mio pensiero... è snervante!
-Allora, come ha conosciuto Annie?- 
Cerco di essere il più calmo possibile, facendo finta di nulla e rispondendo a quelle sue domande che suonano più come un interrogatorio. 
-Ci siamo conosciuti... ehm… mentre compravo casa.- 
Lei annuisce non sapendo se credere o meno alla mia risposta. Lo capisco perché, anche se cerca di non farlo notare, la sua faccia è contratta in una smorfia.
-Beh mi dispiace che vi siate dovuti separare, per così dire.- 
Forse non saremo realmente fidanzati, eppure la risposta di Piper è comunque un colpo al cuore, un colpo che mi fa notare quello che ho perso fin ora. 
Annabeth è in coma e non posso nemmeno aiutarla a risvegliarsi. Se solo fosse stata un fantasma avrei almeno potuto farla passare oltre.
-Senta, tra poco ho una visita. Se vuole, può vedere Annie per cinque minuti.- 
Credo che il mio sguardo si sia illuminato, perché la vedo sorridere ed alzarsi in fretta dalla sedia per dirigersi verso l’uscita. 
La seguo, stando ben attento a non urtare nessuno dei pazienti che girano per l’ospedale. I corridoi ne sono pieni e ognuno di loro -anche i pazienti meno gravi- mostrano l’aria afflitta per le amicizie che si sono formate. 
Una sola volta sono andato in un ospedale: quando mamma si ferì a una gamba. 
Ricordo ancora il clima di amicizia e confidenza che si era creato con le sue compagne e che, purtroppo, si era spento alla morte di una di loro. 
-Ecco. Solo cinque minuti, signor Jackson.- 
La ringrazio ed entro velocemente nella stanza. Alle pareti sono appesi vari disegni fatti da qualche bambino che ritraggono sempre Annabeth e, per la maggior parte dei casi, una donna dai capelli scuri.
-Ehi, Sapientona.- 
Annabeth appare dietro di me. Sembra non far caso alla mia presenza perché si avvicina al suo corpo, toccando la propria mano e cercando di svegliarla.
-Come può essere successo?- 
Scuoto la testa. In certi casi, e in particolare nel suo, non so cosa dire. Sono bloccato, senza voce. 
Mi sento inutile, non servo a nulla, nemmeno ad aiutare Annabeth, che per me è ormai diventata molto importante.
-Mi dispiace.- 
Nonostante sia solo la sua aura, la vedo piangere, vedo scendere dai suoi occhi delle vere lacrime e non posso far altro che abbracciarla. 
Non importa se qualcuno mi vede, non importa nulla in questo momento se non di poter in qualche modo sentire il respiro di Annabeth farsi più regolare.
-Sistemeremo ogni cosa.-
Lei annuisce sulla mia spalla prima di allontanarsi al bussare della porta. 
Piper entra nella stanza e mi chiede di uscire, e io non posso far altro che annuire mentre la seguo nuovamente per il corridoio con Annabeth.
-Cosa le succederà?- 
Piper si blocca, e la mano con cui regge la cartella trema per un attimo, prima di girarsi verso di me provando a sembrare forte.
-I genitori hanno deciso di staccare la spina. Dopodomani.- 

Mi getto sul mio letto senza sapere cosa fare. 
Vorrei poter fermare il tempo, chiedere di non staccare la spina, ma so che questo non succederà perché nessuno mi crederebbe realmente.
Mi copro gli occhi con una mano.
Non voglio pensarci, non voglio pensare che Annabeth molto presto morirà del tutto.
-Cosa posso fare?-
Qualcuno mi stringe la mano, non ho bisogno di vedere chi sia, per sapere chi è. 
Annabeth è l’unica che ha libero accesso a questa casa; Annabeth mi conosce abbastanza da sapere che in questo momento le parole sono inutili, per entrambi. 
-Credo... credo che se tu mi toccassi ancora, forse potrei sentirti.- 
La guardo, sdraiata nel letto che mi regge la mano. 
È così piccola in questo momento, così spossata da non sembrare più nemmeno lei. Sembra si sia completamente arresa all’idea che presto morirà.
-Forse possiamo ancora farcela, Sapientona. Non smettere proprio ora di essere forte. Tu non sei così, devi reagire!- 
Annuisce sulla mia spalla non provando realmente a combattere.
-Sono stanco di perdere le persone, con te non succederà.-
Cerco a tentoni il telefono sopra al comodino. Se lei non vuole provare a vivere, allora sarò io che lotterò anche per lei. 
-Cosa vuoi fare?- 
Compongo un numero, l’unico che mi possa realmente aiutare.
-Chiamo un mio amico, Grover. Lui verrà con me a prendere il tuo corpo.-
Sento la mano di Annabeth irrigidirsi ed aumentare la stretta nella mia. 
-Grover… mi ricordo di un certo Grover.-
Le stringo la mano. 
-Allora perché non mi parli di lui? È un modo per scacciare la tensione.-

LA PRIMA PARTE IN CORSIVO E’ QUELLA DI RAMOSA, POI IL POV DI ANNABETH

-Mamma! Perché nevica?- domandò una bambina sui quattro anni mentre guardava la candida e bianca neve che scendeva fuori dalla balconata.
Aveva tutta la maglietta sporca di pennarello e le mani, anch'esse sporche, si poggiarono contro il vetro della finestra, osservando con gli occhi grigi carichi di meraviglia, il cielo invernale.
Atena le sorrise -Perché,- disse avvicinandosi alla figlia -Quando fa freddo, la pioggia si congela e così nascono dei cristalli di ghiaccio e attorno a questi si unisco delle goccioline d'acqua che vanno a formare un fiocco di neve.-
La donna prese in braccio la sua adorata figlia e si sedette sul divano.
-Annabeth mi prometti una cosa?-chiese la donna accarezzando i capelli biondi della bambina che annuì vigorosamente.
-Qualunque cosa succeda, bella o brutta che sia, tu starai vicino a tuo padre. Me lo prometti Annabeth?-
-Te lo prometto mamma.- sorrise Annabeth abbracciando forte la donna.


Fu come un lampo; un’immagine di me e mia madre a guardare l’esterno dalla finestra della nostra casa. 
Queste immagini continuano a susseguirsi senza tregua e le figure di Grover e di un’altra bambina continuando ad essere collegata quell’episodio.

-Talia, Grover, fermatevi!-
Poggio le mani sui fianchi arrabbiata, dopo che i miei amici mi hanno ricoperta di palle di neve, alleandosi contro di me.
Mia madre ci guarda divertita dalla finestra mentre legge un libro con la copertina blu, che papà le ha regalato ieri.
-Oh, andiamo Annie! Se ti abbassi non succede nulla!-
Sbuffo prendendo una palla e lanciandola a Grover, che però prontamente si china, facendola finire su un altro bambino dai capelli biondi.
-Ehi, tu! Perché non…-
Il bambino si blocca, indeciso se parlare o meno mentre osserva la figura di Talia.
Grover ride di nascosto, mentre la nostra amica cerca di coprirsi meglio per il freddo.
-Senti, se vuoi ti do la mia sciarpa.-
Io e Grover sorridiamo, sapendo che tra i due nascerà un’amicizia.


Sbatto più volte le palpebre una volta finito il racconto. 
-Beh, fantastico. Anche mia cugina si chiama Talia.-
Sorrido, dopo il suo tentativo di tirarmi su il morale. 
È stato carino ed io, con la mia depressione, forse non lo sono stata tanto.
-Allora, quand’è che tu e questo Grover andrete a prendere il mio corpo?- 
Mi stringe la mano sorridendomi.
-Domani.- 
Ricambio la stretta, sdraiandomi nuovamente vicino a lui e cercando in qualche modo di dormire, o almeno di sentirmi ancora viva.
Viva come solo lui mi fa sentire.

PERCY

Aspetto Grover nel furgoncino che papà mi ha prestato. 
Gli ho detto che mi serviva per dei traslochi, il che è vero, ma non gli ho parlato di che tipo di traslochi fossero i miei.
Con cinque minuti di anticipo, Grover bussa alla porta del furgoncino perché io lo apra, e sale.
-Allora, cosa dobbiamo fare in ospedale?- 
Guardo Annabeth dietro di me che osserva continuamente la strada preoccupata.
Questa mattina abbiamo discusso della mia idea. Si era svegliata ricordandosi della mia decisione così ha iniziato a pregarmi di non farlo. 
-Oh, nulla di che.-

Con Grover mi dirigo nella sala attrezzi, dove prendo un respiratore e una barella. 
-Nulla di che? Percy che stai facendo?-
Cerco di far finta di nulla, non posso dirgli che sto realmente per prelevare un corpo, non ne capirebbe il motivo.
-Senti, devo… devorubareuncorpodiunapersonaacuitengo.- 
Alza un sopracciglio, non ha capito nulla del mio borbottare e questo, purtroppo per me, lo ha reso ancora più preoccupato.
-Devo rubare un corpo, ok?-
Lascia cadere quello che aveva in mano, alzandole entrambe e fermando il mio lavoro. Sapevo già che non sarebbe stato d’accordo.
-Cosa?- 
Sospiro, sapendo che questo momento sarebbe arrivato ma sperando solo di poterlo ritardare.
-La ragazza di cui ti parlavo, esiste. Ma è in coma è devo svegliarla!-
Annabeth è ferma sulla porta mentre ci osserva. Non sarebbe dovuta venire, assistere a quella scena non è per lei la cosa migliore.
-Cosa? Ma Percy, perché?-
Mi mordo il labbro, cercando una via d’uscita che però non trovo.
Lei mi osserva continuando a tormentarsi le mani, e cercando di sembrare calma ma ormai riesco a capire quando sta solo fingendo. 
Lei che cerca ancora di farmi demordere per non rischiare l’arresto. 
Lei che ho chiamato antipatica, poi Sapientona e poi Annabeth.
Lei che fino a poco tempo fa mi tormentava e ora è parte della mia vita.
-Perché… Perché io sono innamorato di lei.-
Annabeth trattiene il fiato guardandomi ed io non posso far altro che cercare i suoi occhi ancora, perché ormai è l’unica cosa di cui m’importa realmente.
Ciò a cui mi aggrappo quando mi sveglio la mattina insieme al suo sorriso.
-Beh, in questo caso… dov’è il corpo?-

Entro con Grover nella sala mentre Annabeth controlla i corridoi.
Non mi ha parlato dopo quella frase, mi ha solo stretto la mano prima di andare avanti e dirigersi velocemente verso la stanza.
-Wow… ma questa è Annie!- 
Grover si ferma ad osservarla, scostandole i capelli dal volto per vederla meglio.
-La conosci?- 
Annuisce, stringendole la mano e sorridendo al corpo.
-Ci conosciamo fin da bambini con Talia e Luke.-
Annabeth mi guarda sconvolta, sembrare non collegare la figura di Grover a quella del suo vecchio amico, eppure ora sembra che ogni tassello stia lentamente tornando al suo posto.
In qualche modo io e lei eravamo destinati fin dall’inizio.
In qualche modo, qualcosa ci aveva legato e fatti incontrare ancora.
-Percy, se prima ti consideravo idiota per l’idea folle, ora mi unisco al club.-
La carichiamo sul letto, camminando per i corridoi con i nostri camici.
La prima guardia che incontriamo ci lascia rapidamente passare, ma un medico nell’ospedale ci nota e non fa altro che peggiorare la situazione chiamando la sicurezza dell’intero ospedale.
Corro con Grover al mio fianco.
Corro perché voglio salvare Annabeth e questa è l’unica volta in cui posso farlo.
Corro perché Grover si è appena lanciato su una guardia per lasciarmi passare.
Corro perché la amo.
Ed è quando la guardo che il mio mondo crolla, la spina del respiratore si è staccata ed ora lei sta lentamente morendo.
La cosa che ho voluto evitare sta per accadere a causa di un mio errore.
La figura di Annabeth vicino a me si fa sempre più sbiadita, le parole le escono in sussurri e le persone dell’ospedale mi guardano sconvolte.
-Anch'io ti amo.-
La figura scompare del tutto, trascinata via da questo mondo.
Ed è qui che mi decido a fare l’ultima cosa che mi viene in mente, prima che le guardie mi prendano: la bacio, cercando di darle il mio amore coltivato in quei piccoli momenti.
Sento delle mani afferrarmi per le spalle e buttarmi a terra.
È finita mi dico, o forse no, perché lo sento: il bip del cuore di Annabeth che ritorna a battere.

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