Something worth fighting for

di Trafalgar Norah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il grande orologio sulla parete alla sua sinistra segnava le 19.30. Osservando la lancetta dei secondi che si spostava, Koala sorrise: quello era certamente il momento della giornata che preferiva. Non perché entro mezz’ora il suo turno sarebbe terminato; quello era l’orario in cui la maggior parte degli studenti lasciava il grande edificio per dirigersi verso casa.

Era il momento in cui solo in pochi rimanevano a studiare e il brusio che faceva da sottofondo durante il giorno si interrompeva, lasciando la biblioteca immersa nel silenzio, in un’atmosfera magica spezzata solo dal rumore delle pagine che venivano sfogliate di tanto in tanto.

Molto raramente qualcuno veniva a chiedere libri in prestito a quell’ora, perciò lei sfruttava quel lasso di tempo per sistemare i volumi che erano stati restituiti durante il giorno.

Se possibile, senza farsi notare, si nascondeva tra gli scaffali e si prendeva il lusso di leggerne qualcuno. Ne approfittava in ogni momento, a dire il vero: la cultura non era certo rivolta a gente come lei e sarebbe finita nei guai se l’avessero scoperta. Fortunatamente però non era ancora successo e, con un po’ di attenzione, non sarebbe accaduto nemmeno in futuro.

 

Una volta riportati i libri al loro posto, Koala decise di fare un ultimo giro dell’edificio, per avvisare gli ultimi ragazzi rimasti che era ora di chiudere. Di solito non era un’impresa semplice, perché non sempre i nobili le portavano rispetto e l’ascoltavano, ma il venerdì la faccenda era molto più sbrigativa, poiché i ragazzi avevano l’abitudine di uscire con gli amici.

Raggiunse un paio di ragazze intente a chiacchierare sottovoce, che la squadrarono con aria di superiorità non appena le avvisò che avrebbero dovuto lasciare l’edificio.

Lei sostenne lo sguardo, sperando di non dover sentire un altro discorso “da nobili a plebea”. Per fortuna ciò non avvenne: si limitarono a raccogliere il loro materiale e ad allontanarsi ridacchiando.

Con un sospiro, Koala tornò al bancone della reception e si sedette alla sua postazione.

Avere a che fare con i nobili era l’aspetto che meno amava del suo lavoro, soprattutto per il fatto di doversi trattenere per non perdere l’impiego.

Tante, troppe volte era stata trattata con sufficienza dai rampolli dell’alta società e non aveva potuto fare nulla per difendersi, perché così funzionava la vita nel Regno di Goa: la gente comune non era assolutamente al livello dei nobili e nulla avrebbe cambiato questa tacita regola.

Per quanto non le piacesse, accettare quella direttiva era tutto ciò che poteva fare, almeno fino al momento in cui avrebbe avuto abbastanza soldi per realizzare il suo progetto.

 

 

 

 

 

 

Ciao!!

Eccomi qui con una nuova long-fiction! A dire la verità so che questo prologo è un po’ corto, ma se avessi scritto tutto quello che volevo scrivere sarebbe stato davvero troppo lungo e forse “pesante” come inizio. Quindi preferisco fare una cosa un po’ graduata.

Vi anticipo un paio di cose: ho messo l’AU perché, pur essendo sempre nel mondo di One Piece alcune cose cambieranno. Per prima cosa non ci saranno i pirati: ho provato solo una volta a scrivere una storia di pirateria, ma non me la sono cavata molto bene e ho paura di non essere in grado di rendere bene ciò che immagino.

Secondo, solo alcuni personaggi saranno punti fissi nella storia, almeno all’inizio. Oserei dire che altri faranno le comparse.

Beh, spero di avervi incuriosito almeno un po’. Intanto vi ringrazio se la leggerete, se mi lascerete una recensione e se la metterete tra le preferite e/o seguite.

Baci, Dianna

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


“Adesso basta!”

L’urlo fu seguito da un gran tonfo, come quello provocato da una pentola caduta a terra.

I clienti del bar si ammutolirono per pochi istanti, fissando la porta scorrevole oltre al bancone. In seguito scoppiarono tutti a ridere e tornarono a divertirsi bevendo e mangiando, come se non fosse successo nulla. In effetti, scene come quella non erano di certo novità allo Spade Café.

“Se ti becco ancora a ingozzarti dentro il frigo giuro che ti affogo!” gridò un ragazzo. Era alto e muscoloso, con i capelli neri e spettinati, sui quali portava un cappello da cowboy arancione. Indossava una camicia gialla e un paio di jeans neri fino al ginocchio, coperti da un grembiule bianco che recava qualche macchia.

“Ma io ho fame Ace!” si lamentò un altro ragazzo.

Se ne stava seduto su una cassa di legno, a distanza di sicurezza da Ace.

Era un po’ più basso rispetto al ragazzo e meno muscoloso. I capelli erano scuri come i suoi, ma più corti e spettinati. Anche il modo di vestire era simile: portava una camicia rossa e un paio di jeans. Anche lui indossava un cappello, ma di paglia, con una striscia di stoffa rossa.

“Rufy io questo cibo devo venderlo, se tu continui a mangiare qualsiasi cosa ti passi davanti come faccio a guadagnare dei soldi?”

“Ah… non ci avevo pensato” nonostante stesse subendo l’ennesimo rimprovero, esibiva un sorriso vivace.

“Fuori dalla cucina” sospirò Ace. “Non rimettere piede qui dentro finché non te lo dico io”

“Va bene” borbottò Rufy con una smorfia.

Passò davanti al ragazzo, accelerando il passo per evitare di ricevere un pugno. Oltrepassata la porta, si ritrovò dietro il bancone del locale, guardandosi intorno nella speranza di trovare qualcosa da mettere sotto i denti.

“Non riuscirai a evitare padelle e coltelli per sempre, sai?”

Rufy posò lo sguardo davanti a sé e il suo sorriso si allargò: “Ciao Sabo! Non sapevo fossi qui”

“Ace era venuto a dirtelo. Che hai combinato?”

“È ora di cena e io ho fame, ma lui non vuole darmi da mangiare… così mi sono arrangiato” spiegò tranquillamente.

“Ma che dici? Di solito cenate molto più tardi delle sette” gli fece notare Sabo.

“Qualsiasi ora è adatta per mangiare… Comunque sono quasi le otto” disse Rufy, indicando l’orologio.

Sabo rimase un attimo perplesso. “Ma che stai dicendo?”

“Mancano venti minuti alle otto” disse Rufy.

Sul volto di Sabo si dipinse un’espressione di stupore, mista a terrore. Saltò giù in fretta dalla sedia e prese dei soldi dalla tasca dei pantaloni, lasciandoli sul bancone.

“Devo scappare! Salutami Ace, digli che ci vediamo lunedì”

Uscì dal locale senza attendere la risposta dell’amico. Prese la bicicletta che aveva lasciato accanto alla porta e iniziò a pedalare velocemente, lasciandosi alle spalle il quartiere del Grey Terminal.

Non si era reso conto di quanto fosse tardi. Non si era nemmeno reso conto di che giorno fosse.

Ultimamente, a dire il vero, quelle che di solito erano le sue priorità erano passate totalmente in secondo piano: gli studi, il suo futuro, non avevano più molta importanza.

Negli ultimi tempi viveva alla giornata, pensando più al divertimento che al suo dovere. E si sentiva bene: non era mai stato così bene in vita sua.

Però, quella spensieratezza gli sti stava ritorcendo contro e il fatto che si ritrovasse a pedalare come un pazzo verso l’università a venti minuti dalla chiusura ne era la prova.

Doveva assolutamente arrivare in tempo: quella relazione doveva essere pronta per lunedì e non gli sarebbero state concesse proroghe. Se avesse portato a casa un altro brutto voto sarebbe stato di certo un dramma, anche se sarebbe stato solo il secondo di tutta la sua carriera scolastica.

Purtroppo, il tragitto dal Grey Terminal all’università non era così corto: pedalando al massimo delle sue possibilità avrebbe impiegato circa 15 minuti a raggiungere l’edificio.

Sentiva i muscoli delle gambe bruciare intensamente e, durante il percorso, rischiò anche di investire un paio di persone, ma non se ne curò più di tanto. Non si curò nemmeno della pioggia, che aveva iniziato a scendere copiosamente, inzuppandolo fino alle ossa. Non guardò più neanche l’orologio, temendo di non riuscire ad arrivare in orario.

Era un fascio di nervi e si rilassò, solo leggermente, quando si accorse di essere a un centinaio di metri di distanza dall’università, un complesso di edifici costantemente rimodernato, con grandi finestre e porte che lasciavano uno scorcio dell’interno, attorniato da mura in cemento bianco. Oltrepassate quelle mura, si diresse a sinistra, notando che la luce dell’ingresso era ancora accesa. Abbandonò la bicicletta vicino al muro, senza perdere tempo a mettere il lucchetto (suo padre l’avrebbe ucciso se l’avesse visto) e aprì la grande porta, salendo in fretta le scale.

Con un sorriso di trionfo, e sull’orlo di un infarto, aprì la porta della biblioteca e raggiunse la reception.

“C’è nessuno?” chiese, ansimando a causa del fiatone.

Non ricevette nessuna risposta. Iniziò a imprecare: doveva esserci qualcuno per forza, altrimenti la luce non sarebbe stata accesa. No, era impossibile che la bibliotecaria se ne fosse dimenticata, sarebbe stata licenziata in tronco. Provò a suonare il campanello, ma non ricevette alcuna risposta.

Con un sospiro, si coprì il viso con le mani, facendosi prendere dal panico.

Era finito: suo padre non l’avrebbe perdonato stavolta. Sua madre avrebbe iniziato a piangere, chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritarsi un figlio del genere. Per non parlare di quel parassita che viveva con lui e che si trovava costretto a chiamare fratello: lui avrebbe assistito alla scena ghignando, sorridendo tronfio nel vederlo nei guai con i genitori.

“E adesso che gli dico?”

“Ti serve qualcosa?”

Il cuore di Sabo saltò un battito: da chissà dove era spuntata una ragazza, all’incirca della sua età. I capelli color caramello incorniciavano un viso dolce. Indossava una camicia bianca sopra una minigonna nera e ai piedi calzava stivali dai tacchi alti. Lo fissava curiosa con i suoi grandi occhi neri, chiedendosi probabilmente cosa ci facesse uno studente in biblioteca a quell’ora.

“Dimmi che non stai andando via” la implorò.

“Beh, a dire la verità…” iniziò lei, ma Sabo la interruppe.

“Ti prego, puoi aspettare? Mi servono assolutamente dei libri per una ricerca. Se non la finisco entro lunedì posso iniziare a scavarmi la fossa da solo”

Koala guardò stupita il damerino biondo di fronte a lei: per essere figlio di nobili era veramente poco sveglio. Com’era possibile ricordarsi all’ultimo minuto dei propri doveri di studente?

“Scusa ma sto già chiudendo…”

“Cavolo, per favore! Ti prego, ti scongiuro, sai che avrai la mia vita sulla coscienza se non mi aiuti?”

La ragazza sbuffò: se lei avesse avuto il permesso di studiare, di certo l’avrebbe fatto seriamente. Odiava vedere i nobili avere tutto a disposizione e sprecarlo come se nulla fosse.

“Cosa sarebbe successo se io non fossi stata qui?”

“Te l’ho detto, in quel caso mi sarei già sotterrato”

Koala gli lanciò un’occhiataccia, lasciando cadere la giacca e la borsa vicino al computer.

“Prega che i libri che ti servono non siano nelle mani di altri furbi come te”

Sapeva di non poter parlare ai nobili in quel modo, ma non le importava: non vedeva l’ora di andare a casa, doveva preparare la cena e pulire la cucina. Se la stanchezza gliel’avesse permesso si sarebbe anche concessa un bagno caldo.

“Mi dispiace” si scusò ridacchiando.

“Immagino… dammi pure la lista”

Sabo le porse un foglio, dove erano scritti i titoli dei libri e dei saggi che gli servivano.

Per un po’ calò il silenzio tra i due: Koala batteva velocemente sulla tastiera, segnando altrettanto velocemente i codici dei libri, mentre Sabo la osservava, rilassandosi un po’ di più a ogni aggiunta che la ragazza segnava sul foglio.

“Direi che hai proprio una fortuna sfacciata” strappò il foglietto e gli diede una delle due metà. “Tu cerca questi, io cerco gli altri due”

“Sul serio?”

“Senti, so che ci metterei solo cinque minuti in più, ma la storia del tempo prezioso non vale solo per voi nobili. Ora, visto che per colpa tua sto facendo uno straordinario non retribuito, sarebbe il caso di collaborare, non credi?”

Sabo annuì sbalordito. Nessuno gli aveva mai parlato così; beh, a parte Ace ovviamente. Di solito le persone del ceto medio e dei poveri facevano tutto ciò che i nobili ordinavano, senza fiatare. Lei, invece, non solo aveva parlato, ma aveva anche preteso di essere aiutata. Gli venne da ridere: non era infastidito dal suo comportamento, anzi. Era una delle poche volte in cui era stato trattato come una persona normale.

Seguì la ragazza verso l’ala di scienze politiche, dove entrambi iniziarono a cercare il materiale di cui aveva bisogno, sempre in rigoroso silenzio.

In tutto erano tre libri e quattro saggi: Koala si chiese come avrebbe fatto quel ragazzo a finire tutto entro lunedì.

Sempre senza parlare tornarono alla reception, dove Koala inizio la registrazione.

“Nome e numero di matricola” disse con voce automatica.

“Outlook Sabo, G.U.220988” rispose con una smorfia.

“È solo un nome” gli fece notare la ragazza.

“Comincia a starmi stretto questo nome” affermò scocciato.

Koala non osò fargli domande, si vedeva che non aveva voglia di parlarne.

“Tieni. Hai tempo un mese per riportarli e… beh, immagino tu conosca le altre regole”

Lui prese i libri e sorrise. “Non so come ringraziarti”

“Lasciami andare a casa, per cominciare” Koala spense il computer, poi si infilò la giacca e si diresse verso l’uscita, seguita dal ragazzo.

“Sul serio, c’è qualcosa che posso fare?”

“Non presentarti mai più all’ora di chiusura” disse sorridendo.

Lui annuì. Scesero le scale insieme, senza parlare. Avrebbe potuto andarsene, ma preferì attendere che la bibliotecaria chiudesse la porta.

“Perché sei ancora qui?”

“Non è bello lasciare una ragazza da sola al buio”

Koala scoppiò a ridere.

“Non ho certo bisogno di una guardia del corpo… ma grazie del pensiero. Buona serata”

 

“Dove sei stato?”

Sabo alzò gli occhi al cielo. Ecco l’accoglienza della sua famiglia: non un saluto, niente “Come stai?” o “Va tutto bene?”. No, quell’accoglienza era riservata a Stelly.

A lui erano riservate le occhiatacce, i rimproveri e qualsiasi altro gesto che potesse farlo sentire uno schifo.

“In biblioteca papà”

“Sai che devi essere a casa prima di cena. Specialmente se abbiamo ospiti”

“Mi dispiace, stavo studiando e non mi sono accorto di quanto fosse tardi” disse, in tono meccanico.

L’uomo sospirò: “Vai a prepararti, gli ospiti saranno qui tra poco”

Sabo annuì, oltrepassando suo padre. Salì in fretta le scale, per poi chiudersi nella sua stanza. Non aveva nessuna voglia di accogliere gli ospiti di suo padre quella sera. A dire la verità nemmeno nelle altre occasioni ne era stato entusiasta, ma quella sera era ancora peggio.

Vestirsi bene, discutere di tutte le cavolate frivole tipiche dei nobili, sorridere a battute stupide e a malcelati sguardi d’invidia non faceva più parte di lui.

Odiava l’idea di dover essere il perfetto rampollo di buona famiglia, pronto a sposare una snob e a migliorare la propria posizione sociale ad ogni costo. Proprio come suo padre. Ultimamente, si era chiesto spesso se il vero figlio degli Outlook fosse lui o il parassita. Nonostante avesse solo quattordici anni, Stelly si stava rivelando il perfetto cocco di mamma e papà. Erano tutti così fieri di lui. E Sabo non capiva perché i suoi genitori si ostinassero a riporre le loro speranze in lui, invece che Stelly.

Sabo stava cercando di allontanarsi da quel mondo e più ci provava, più la sua famiglia cercava di trattenerlo. Ma lui non aveva più voglia di farsi trattenere.

Voleva essere libero, pensare con la sua testa e cambiare vita.

La sua e quella di molti altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Saaaalve!! Ecco il primo capitolo, spero che vi piaccia.

Spero anche di poter aggiornare presto, ma mi devo laureare, quindi farò un po’ di fatica.

Intanto ringrazio Sayan_lover per la recensione.

Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le preferite e/o seguite,

baci Dianna

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Il suo appartamento era completamente al buio. Prima di uscire aveva chiuso tutte le finestre, a causa dei nuvoloni che popolavano il cielo quella mattina. Purtroppo, o per fortuna, la giornata si era mantenuta stabile e il suo gesto si era rivelato inutile, e ora nella casa aleggiava quell’odore di aria viziata che tanto la infastidiva.

Decisa a far entrare un po’ di aria sana nell’appartamento, premette l’interruttore della luce del salotto, ma non successe nulla. Perplessa, lo premette ancora due o tre volte, ma la luce non arrivò.

“Oh, perfetto” borbottò irritata.

Lasciò aperta la porta, per sfruttare la luminosità data dalle lampade all’ingresso del condominio, quindi raggiunse il piccolo corridoio che conduceva alla sua stanza, sperando che anche quella lampadina non fosse bruciata.

Fortunatamente, solo la luce del salotto aveva deciso di abbandonarla. Tuttavia, la cena sul divano che aveva pianificato avrebbe dovuto essere rimandata, dato che non aveva lampadine di ricambio.

Tornò all’ingresso per chiudere la porta, quindi si recò in cucina sperando di trovare qualcosa che le andasse bene per cena. Non aveva molta voglia di cucinare, ma il suo stomaco stava protestando vivamente, perciò si costrinse a prendere una pizza dal congelatore e accendere il forno.

Mentre aspettava che si scaldasse, ripensò alla giornata che era appena trascorsa.

Di solito, il lavoro la stancava terribilmente: annuire, eseguire ordini, essere sempre sorridente anche quando non voleva. Il suo lavoro non era fare la bibliotecaria, bensì sopportare della gente che non la rispettava e una situazione passeggera che di passeggero sembrava non avere nulla.

Quasi ogni sera rincasava abbattuta, chiedendosi per quanto ancora quella storia sarebbe andata avanti.

Eppure, per quanto quella giornata si fosse rivelata identica alle altre, una piccola nota positiva l’aveva resa meno pesante.

Era la prima volta che le capitava un episodio del genere: di solito gli studenti non arrivavano all’ora di chiusura rischiando di sputare un polmone e implorandola di poter prendere dei libri in prestito. Inoltre aveva risposto a tono ad un nobile e questo non era di certo consentito: un altro studente le avrebbe sicuramente fatto perdere il posto, ma lui no. Anzi, l’aveva pure aiutata, anche se in un certo senso era stato costretto.

Forse stava viaggiando un po’ troppo con la fantasia, ma l’incontro con quel ragazzo l’aveva lasciata perplessa quanto piacevolmente sorpresa. I suoi genitori le avevano insegnato a non fare di tutta l’erba un fascio, ma vivendo a contatto con i nobili si era chiesta spesso se avessero o meno ragione. A lei sembravano tutti uguali: persone con la puzza sotto il naso, che disprezzavano chiunque fosse inferiore a loro. Alcuni fintamente moralisti, altri spudoratamente menefreghisti, interessati solo ad arricchire la propria posizione sociale, non esitando a farsi la guerra l’uno con l’altro per arrivare il più in alto possibile.

Forse, quello di oggi era stato solo un episodio isolato. Forse, la settimana seguente il ragazzo sarebbe tornato in biblioteca, comportandosi come qualsiasi altro giovane rampollo dell’alta società. Ma nonostante questo, non poteva non ammettere che quell’incontro l’aveva piacevolmente colpita.

 

Sabo era solito dare un voto agli eventi indetti dai suoi genitori o dai loro amici. Era un semplice ordine di numeri, da uno a dieci. Più si annoiava, più sarebbero stati i drink offerti da Ace, il quale era in grado di prepararne di veramente forti. Era arrivato spesso a sette, magari anche otto. Meno frequente erano stati nove. Solo due volte aveva raggiunto il massimo punteggio.

E quella era la terza. Sabato sera sarebbe tornato a casa ubriaco come non mai.

Casa sua era stata addobbata in modo più sfarzoso del solito. Se paragonata alle case di altri nobili non era una reggia, ma quella sera sembrava molto meglio di tante altre abitazioni nelle quali era stato.

La servitù aveva lavorato più duramente del solito e tutto era lustro come uno specchio. Ovunque si sentiva l’odore del bucato fresco e il tavolo in sala da pranzo era stato apparecchiato a regola d’arte, con una tovaglia bianca bordata d’oro, sopra alla quale era stata sistemata la migliore argenteria che la famiglia Outlook possedesse.

I suoi genitori avevano acquistato dei vestiti nuovi, probabilmente i più costosi che avevano trovato nei negozi: suo padre indossava uno smoking blu scuro che a malapena conteneva la sua pancia, e sua mamma aveva optato per un abito pieno di volant color salmone che, a parer suo, era veramente osceno.

Lui e Stelly erano scampati alla maledizione dello smoking. Sua madre era stata abbastanza compiacente per quanto riguardava il loro abbigliamento, dando ad entrambi il permesso di indossare un semplice completo nero con una cravatta dello stesso colore, che li faceva assomigliare a degli impresari di pompe funebri. Il comportamento della donna si era rivelato strano sin da quando era tornato a casa: per prima cosa aveva liquidato il suo ritardo come se fosse una faccenda di poco conto. Inoltre, mentre era intento a prepararsi, non faceva altro che ripetere quanto fosse bello suo figlio, quanto fosse cresciuto bene, accompagnate da altre sviolinate che Sabo raramente aveva sentito in vita sua.

Più tardi, durante la cena avrebbe avuto modo di capire il motivo di tutti quei complimenti.

Suo padre non aveva invitato a cena un semplice amico, bensì un uomo che Sabo non aveva mai incontrato di persona, ma che conosceva grazie ai giornali e alle riviste che parlavano continuamente di lui.

George Baker era un politico molto influente, forse anche troppo. Ricopriva una delle più alte cariche al governo ed erano in molti a vederlo come favorito alle prossime elezioni. Per quel che ne sapeva, si circondava solo di collaboratori pronti a tutto pur di assecondarlo. La sua presenza avrebbe avuto un senso se suo padre fosse stato in politica, ma non era altro che un imprenditore che si era arricchito schiavizzando il ceto medio. Nemmeno il fatto che Sabo studiasse Scienze Politiche poteva influire: quando mai un uomo del suo calibro si era interessato ad un semplice studente?

“Prego signor Baker, accomodatevi, fate come se foste a casa vostra” sentì dire a suo padre, che parlò con la voce più melliflua che avesse mai sentito.

Il signor Baker era accompagnato dalla figlia Samantha, che frequentava i suoi stessi corsi all’università. Non si conoscevano molto bene, lei stava con gente molto più importante rispetto a Sabo; non si erano mai nemmeno parlati o scambiati un saluto.

Però, durante la cena, Sabo si ritrovò a recuperare le conversazioni mancate negli ultimi due anni: sua madre aveva cordialmente insistito affinché si sedessero l’uno accanto all’altra.

Per tutta la sera, Samantha non aveva fatto altro che parlare: lui non era riuscito a dire molto, la ragazza era estremamente logorroica e ogni sua frase iniziava con “Io”.

Sarebbe stato di gran lunga più interessante chiacchierare con suo fratello.

“Dimmi, Sabo, cosa ti piacerebbe fare una volta laureato?” chiese il signor Baker all’improvviso.

Sabo non sapeva esattamente come rispondere a quella domanda: fino a poco tempo fa la risposta sarebbe stata ovvia. Ma da quando la sua visione della vita era cambiata, di ovvio non c’era più nulla.

“Sabo aspira alle più alte cariche politiche, naturalmente” spiegò suo padre, prima che lui potesse aprire bocca (Sabo si ritrovò a ringraziarlo inaspettatamente per quel salvataggio).

“Ottimo, ottimo. Fa sempre piacere avere dei giovani intraprendenti al governo. Come mia figlia, ad esempio: lei ogni estate partecipa ai tirocini indetti dal governo per fare pratica” si vantò, lanciando un’occhiata piena di orgoglio alla ragazza, che sorrise in risposta.

“Sabo ha sempre studiato sodo anche durante l’estate” affermò sua madre.

Per forza, non avevo altra scelta.

“Ecco perché i tuoi voti sono i migliori del corso. Per quanto io mi impegni non sono mai riuscita a salire più in alto di te in graduatoria” disse Samantha. Per la prima volta durante la serata, era riuscita ad ammettere di non essere la migliore in qualcosa.

“Allora durante l’estate ti unirai a Samantha. È giunta l’ora di inserirti nel mondo del lavoro ragazzo, non trovi?”

Ancora una volta, suo padre rispose al posto suo: “Vi ringrazio per l’opportunità. È una splendida idea, non trovi, Sabo?”

“Certamente”

Come no.

 

Il supermercato era decisamente affollato, molto di più rispetto allo scorso fine settimana. A Koala non piaceva stare in mezzo alla gente, meno persone le si trovavano vicino, meglio era. Purtroppo per lei, il frigo e la dispensa erano quasi completamente vuoti e la lampadina doveva essere sostituita. Inoltre era quasi a corto di detersivi, necessari per pulire casa. Di conseguenza si era vista costretta ad uscire di casa, nonostante non ne avesse affatto voglia. Seppure la lista della spesa fosse molto lunga, aveva deciso di comprare solo alcune cose essenziali: trasportarle fino a casa non sarebbe stato semplice ed era fermamente intenzionata ad uscire da quel manicomio il più presto possibile.

Mentre era in coda alla cassa, le venne da ridere pensando a cosa avrebbe detto sua madre se avesse visto il contenuto del carrello: niente di tutto ciò che Koala aveva preso poteva definirsi salutare. Sulla sua tavola vi erano rigorosamente cibi surgelati, pronti in pochi minuti. Le piaceva cucinare, ma non aveva mai molto tempo, quindi le possibilità erano limitate. La sua abitudine peggiore, però, era quella di bere the in grandi quantità. Anche quel giorno ne aveva acquistate quattro buste, poiché a casa non ne aveva più e non poteva assolutamente farne a meno.

Le poche persone che conosceva la deridevano un po’ per questa sua fissa, ma lei non poteva farci nulla, quella era l’unica cosa che amava bere.

Una volta pagati i suoi acquisti si diresse verso l’uscita: era una giornata decisamente strana. Nonostante fosse primavera, il sole tardava a mostrarsi, nascondendosi dietro grosse nuvole che minacciavano pioggia. Giorni come quella non facevano altro che demolirla, sia fisicamente che mentalmente. Per fortuna, dopo aver sbrigato le faccende avrebbe avuto il tempo per fare un lungo bagno rilassante e dedicarsi un po’ a se stessa.

“Koala!”

La ragazza si voltò: a chiamarla era stata una persona che conosceva bene. Una donna alta e dai lunghi capelli neri che incorniciavano un viso a cuore, addolcito dai grandi occhi azzurri.

“Ciao Robin!” Koala esibì un gran sorriso non appena la vide. “Non lavori oggi?”

“No, stiamo ristrutturando il museo, perciò mi hanno dato una settimana di vacanza”

“Oh, che fortuna! Non so cosa darei per un po’ di riposo” disse Koala sconsolata.

“Non ti può sostituire nessuno al lavoro?”

“Potrebbero, ma non vogliono assumere personale se non è strettamente necessario. Ti andrebbe di venire a casa mia a bere un caffè?”

“Certo, molto volentieri” disse Robin con un sorriso.

Si diressero verso l’appartamento di Koala, senza smettere un attimo di parlare: non si vedevano da un paio di mesi, poiché Robin era partita spedizione archeologica. Il lavoro di Robin era veramente interessante e le permetteva di viaggiare molto spesso.

“Ti invidio davvero Robin” disse, dopo aver ascoltato il racconto dell’amica riguardo l’ultimo viaggio.

“E che mi dici di te?” chiese.

“Niente di speciale. Lavoro per dei nobili che mi guardano dall’alto in basso dalla mattina alla sera cinque giorni a settimana e vivo come un’eremita” spiegò, versando del caffè in una tazzina.

Robin rise: “Beh, potresti cercare un altro lavoro. Avresti anche l’occasione di conoscere gente nuova, sai?”

“Ci ho pensato. Ma questo lavoro è pagato abbastanza bene e sai che devo risparmiare soldi” sospirò Koala.

“Posso chiederti a che cifra sei arrivata?”

“Diciamo a metà della somma che mi serve. Finché andavo a scuola era facile risparmiare, ma vivendo qui devo stare attenta ad ogni centesimo che spendo”

Robin sorseggiò il suo caffè, fissando l’amica in silenzio.

Il progetto di Koala era molto ambizioso, forse anche troppo. Non che non avesse fiducia in lei, anzi. Ma realizzare il suo sogno da sola era quasi impossibile, soprattutto per il fatto di trovarsi nel Regno di Goa.

“E poi che farai? Voglio dire, acquistare i locali è solo la parte iniziale” le fece notare Robin.

Koala annuì: “Lo so. Purtroppo non ho idea di come muovermi in seguito, ma preferisco fare un passo alla volta”

“Capisco. Ma ti avverto, forse dovresti camminare un po’ più veloce”

“Più veloce?” ripeté Koala, non capendo cosa l’amica volesse dirle.

“Certo. Perdona la schiettezza, ma sarebbe un’impresa troppo grande da realizzare da sola. Hai bisogno di conoscere gente, qualcuno che abbia ambizioni simili e i mezzi necessari per concretizzare questa tua idea” spiegò Robin con un sorriso.

“E dove lo trovo qualcuno disposto a seguirmi in una pazzia del genere?” chiese Koala, un po’ scettica.

“Beh” esordì Robin, intrecciando le mani sotto il mento “Conosco un po’ di persone che potrebbero aiutarti”

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di Dianna:

Salve!! Ci sono molte cose che dovrei fare prima di scrivere questa storia… ma che volete farci, mi sento ispirata! ;-)

Che dire, è un capitolo che può apparire un po’ pesante: io stessa la penso così, non succede nulla di particolare, a parte il pezzetto finale…

Però mi serviva qualcosa del genere, perché non voglio correre troppo nella scrittura, non mi piace che venga rivelato tutto subito.

Come sempre, ringrazio chi ha letto la storia, chi l’ha messa tra le seguite e/o preferite e chi ha lasciato un commento.

Spero che vi possa piacere e fatemi sapere cosa ne pensate.

A presto, Dianna.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


“Robin non vorrei risultare polemica… Ma come fanno queste persone ad avere più soldi di me?” chiese Koala titubante.

L’amica si era presentata a casa sua quella sera alle nove, dopo aver faticato non poco per convincerla ad uscire.

L’aveva portata al Grey Terminal, in un locale che non aveva mai notato, seppur la zona fosse familiare.

“Per ora non è questione di soldi, a te mancano i contatti. Può non sembrare, ma molte di queste persone sono come te: sono molto acculturate, ma le leggi del paese non permettono loro di mettere in pratica le proprie conoscenze. Vedi quel tipo laggiù?” disse, indicando un uomo alto, con dei capelli azzurri acconciati in modo molto strano. “Si chiama Franky. È un carpentiere eccezionale e potrebbe tranquillamente dirigere l’azienda più importante del paese. Però non può farlo, perché non è un nobile e deve accontentarsi di lavorare come dipendente” spiegò.

“Capisco” disse Koala.

“Poi c’è Ace, il proprietario di questo bar. Realizza dei cocktail buonissimi e il suo socio è un cuoco fantastico. Ma questo lo sappiamo solo noi, per i motivi che conosci bene.

Ciò che voglio farti capire è che ci sono molte persone che sarebbero felici di aiutarti: dare un futuro a dei ragazzini non è una cosa semplice, ma se tu avessi qualcuno disposto ad aiutarti… beh, credo che il traguardo sarebbe molto più vicino”

Koala annuì. “Il problema è che io non conosco nessuna di queste persone. Inoltre, le leggi non mi permetterebbero di realizzare un’impresa simile”

Robin scosse la testa: “Per le conoscenze ci sono io, ti ho portata qui apposta. Riguardo alla tua impresa invece, all’inizio potresti fare tutto clandestinamente. Il governo finge di tenere tutto sotto controllo, ma sono molte le cose che non sa. E nel frattempo dovresti metterti in contatto con un nobile disposto ad ascoltarti e a fare in modo che la legge venga approvata, anche se questa parte non potrà di certo essere realizzata subito”

“Perché, esistono nobili che sarebbero disposti a farlo?” chiese sarcastica.

“Ce n’è uno proprio qui stasera. Vieni, andiamo a bere qualcosa e ti presento un po’ di gente”

Si fecero strada attraverso la gente, faticando per raggiungere il bancone. In mezzo a tutta quella gente, Koala non si sentiva molto a suo agio. Era abituata a lavorare nel silenzio e in totale tranquillità; per quanto il locale potesse piacerle, non era semplice per lei trovarsi lì dentro e il miniabito che Robin aveva ripescato dal suo armadio non contribuiva certo a farla stare bene.

“Cosa bevi?” chiese Robin, alzando la voce per farsi sentire.

“Un mojito” rispose, urlando a sua volta.

Quando finalmente ebbero ricevuto i drink, Robin la condusse verso un’uscita laterale. “Dovremo patire un po’ il freddo, ma è sempre meglio che stare lì in mezzo. Inoltre ho detto ad un amico di raggiungermi qui non appena gli fosse stato possibile” disse, sorseggiando la sua bevanda.

Koala annuì e per un po’ rimasero in silenzio. Nonostante il locale fosse quasi pieno, non poté fare a meno di notare quanto l’atmosfera fosse rilassata. Certo, i baristi avevano molto da fare, ma tutto si svolgeva con una scioltezza inaspettata, come se tutte le persone lì dentro si fossero spogliate dei loro numerosi problemi per godersi una serata in compagnia. Non poteva certo sentire i loro discorsi, ma si capiva come parlassero del più e del meno, scherzando e divertendosi, a differenza dei nobili e delle persone del ceto medio, sempre pronti a lamentarsi per qualsiasi cosa.

“Va’ tutto bene Koala?” le chiese Robin.

“Sì, sì, tranquilla. Ogni tanto mi incanto ad osservare le persone” spiegò, con un sorriso.

“Magai ce n’è qualcuno più interessante di altri?” Koala notò una punta di malizia nelle parole dell’amica.

“No, non credo di essere una che attira i ragazzi” affermò, scuotendo il capo.

Robin inarcò un sopracciglio. “Beh, il vestito che indossi dice tutto il contrario. E non hai nulla da invidiare alle ragazze che trovi in giro; sono certa che qualcuno stasera ti ha già messo gli occhi addosso”

“Punto primo, il vestito me lo hai portato tu. Punto secondo, non credo nemmeno di essere in grado di interagire con qualcuno”

 

“Ace, stai alleggerendo i drink per caso?”

“Cosa te lo fa pensare? Rufy, lascia stare i salatini!”

“Il fatto che io sia ancora sobrio! Ti ho detto che ho avuto una serata difficile ieri… ho bisogno di bere!”

Ace scoppiò a ridere: “Lo faccio per te amico! Come credi di riuscire a studiare domani, se devi smaltire una sbronza colossale?”

“Quindi dovrei ringraziarti?” chiese il ragazzo scettico.

“Decidi tu. E ricorda che Robin aveva bisogno di parlarti, dovrebbe essere già arrivata. Rufy, la pizza devo servirla, non puoi mangiarla tu!”

Sabo scosse la testa e svuotò il bicchiere tutto d’un fiato, per poi voltarsi a cercare l’amica. La individuò poco dopo, notando la sua mano alzata per attirare la sua attenzione.

“Ehi, Robin! Come stai?” chiese abbracciandola, una volta che l’ebbe raggiunta.

“Si sopravvive” rispose lei sorridendo.

“Ace mi ha detto che volevi parlarmi… qualcosa non va’?”

“No, no, tranquillo, ma è un discorso un po’ delicato. Lei è Koala, una mia carissima amica che avrebbe bisogno del tuo aiuto” disse, posando una mano sulla spalla della ragazza.

Sabo guardò la ragazza sorridendo: “Ci siamo già incontrati” disse, porgendole la mano; Koala la strinse: “Immagino che la relazione sia già finita e pronta per essere consegnata”

“Ehm… diciamo che ho iniziato a leggere i libri. Ma ho tempo fino a mercoledì, quindi non è il caso di allarmarsi”

Koala spalancò la bocca, esterrefatta: “Avevi detto che era per lunedì!”

Sabo rise, imbarazzato: “Scusami, ma non mi avresti mai aiutato se ti avessi detto la verità. Non sapevo se avrei trovato i libri lunedì, perciò ho improvvisato”

Vedendo che Koala stava per ribattere, Robin rise: “Koala, avrai tempo per vendicarti di Sabo e delle sue trovate da idiota, credimi, anche perché ne dovrai sopportare molte altre. Però adesso che ne diresti di bere qualcosa e parlare con lui di ciò che hai in mente?”

Koala scosse la testa: “Non ho sete”

“Passo anche io, Ace mi sta rifilando chissà cosa per non farmi ubriacare. Venite, andiamo a parlare fuori” disse, spingendo la porta dell’uscita laterale.

Non appena sentì l’aria sferzarle il viso, Koala fu percorsa da un brivido di freddo. Rimpianse di non aver indossato qualcosa di più pesante.

“Bene signorine, sono a vostra completa disposizione” disse sorridendo.

“Mi chiedevo” esordì Robin “Che fine avessero fatto le tue aspirazioni politiche”

Sabo rise amaramente. “Non hanno fatto nessuna fine. Anzi, direi che la mia carriera sembra aver preso una svolta”

“Sul serio?”

“Ieri sera a cena, ti giuro che ancora non so come sia stato possibile, abbiamo avuto come ospite George Baker e sua figlia. Mi ha offerto un tirocinio per l’estate”

“Ma è fantastico!” disse Robin, tanto sincera quanto ironica.

“Come no, un’estate intera in mezzo a quei bastardi. So che per arrivare in alto dovrò fare buon viso a cattivo gioco… ma ti giuro che l’idea mi disgusta” affermò con una smorfia.

“Considerala una sorta di gavetta. Poi, quando comanderai tu le cose cambieranno, giusto?”

Sabo alzò gli occhi verso Robin: “Suonano alquanto positive queste tue parole”

“Sono fermamente convinta che la speranza sia sempre l’ultima a morire. Ora, tornando a Koala: quello che vuole fare è mettere su una scuola clandestina qui al Grey Terminal, poi quando tu entrerai in politica, renderai tutto questo legale”

 “Mi stai chiedendo di fare qualcosa di illegale e insabbiare tutto come se niente fosse?”

“Il fine giustifica i mezzi Sabo, dovresti saperlo anche tu. Ed è per una buona causa”

“Aspettate” disse Koala all’improvviso “Robin, forse non è il caso. Non voglio che troppe persone ci rimettano per colpa mia. Magari ho pensato troppo in grande e…”

“È proprio qui che ti sbagli Koala” la interruppe Sabo “Nessuno corre dei rischi per paura di quello che potrebbe succedere. Però così facciamo il loro gioco: ci voglio ignoranti e senza spina dorsale” disse irritato.

“Lo so, ma…”

“Niente ma. Senti, io fino a mercoledì sono impegnato, ma potremmo incontrarci nel fine settimana, stilare dei programmi, un budget… ci sono un po’ di cose a cui pensare”

“Quindi ci stai?” chiese Robin eccitata.

“Esatto. E giuro che farò di tutto per la riuscita di questa impresa”

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