Blu come lo zaffiro, giallo come l'oro

di IleWriters
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Una normale mattinata ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Un nuovo inizio? ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Una normale mattinata ***


E’ da un’ora che aspetto le mie due migliori amiche e i miei due cugini. Dovevano essere qui alle sette e sono già le otto di mattina.

«Mamma mamma!» urla una vocetta dal salotto «Matt mi ha rubato la barbie!» esclama la mia bambina.
«E Vicky mi obbliga a vedere Rossana!» esclama mio figlio in risposta.

Maledicendo tutti e sei i miei amici, mi alzo dalla sedia e vado nel salotto, non è enorme, ma nemmeno microscopico, diciamo che basta a contenere una madre diciottenne single e i suoi due figli iperattivi.
E’ ben illuminato grazie all’enorme porta finestra che porta sul balcone, c’è un divano in camoscio bordò a quattro posti con la penisola, un’intera parete è occupata dalla libreria in mogano che straborda di libri e una lampada di quelle alte accanto a essa.

«Allora? Cos’è tutto questa confusione?» domando incrociando le braccia sotto al seno e guardando i miei due figli seduti sul pavimento a mattonelle bianche davanti la TV nera accesa che trasmette una vecchia puntata di Rossana.
 

Ok mettiamo un piccolo blocco alla storia e analizziamo la scena. C’è mio figlio Matthew, 3 anni, anche se a maggio di quest’anno ne fa 4, capelli rosso fuoco come i miei tirati su in una piccola cresta e gli occhi blu incorniciati dalle lunghe ciglia rosse ereditati da me che tenta di staccare la testa della Barbie di Victoria, l’altra mia figlia e gemella di Matt, 3 anni, i miei stessi capelli rosso fuoco ricci ma gli occhi incorniciate dalle lunghe ciglia rosse sono gialli, gialli come gli occhi che infestano i miei sogni. Ma torniamo alla scena. In questo momento la mia faccia è tipo “Kill me, please” e loro sono nel pieno di una battaglia per il dominio della TV.
Non fraintendete, amo i miei figli e darei la vita per loro, ma quando bisticciano e non la smettono più o fanno le bizze li vorrei uccidere.
Cosa? Credete che sia una mamma crudele? Bhe sappiate che tutte le mamme avrebbero voluto ucciderci quando facevamo così, e se la vostra vi dice che non è vero… Beh ho una notizia per voi, spara stronzate. Avrebbe voluto uccidervi quando urlavate come pazzi nel mezzo alla piazza per un gelato, o come minimo voleva abbandonarvi lì a piangere da soli e tornare a prendervi quando le vostre fontanelle si fossero chiuse.
Ma torniamo alla mia storia.

 
Vicky mi guarda con gli occhioni dorati lucidi e indica Matt, colto nel bel mezzo della marachella.

«Vuole decapitare Lucia» dice Vicky con la vocina rotta.

Io mi passo una mano sul volto stanco e guardo Matt, che capisce solo dal mio sguardo severo che deve restituire la bambola a Vicky.

«Ma lei mi obbliga a guardare Rossana! E’ una lagna!» borbotta il mio piccolo ometto mentre restituisce la bambola alla gemella.

Io prendo il telecomando e metto su Boing, dove stanno trasmettendo Dexter.

«Ciuffo! Ciuffo rosso! Naso all’insù!» cantano i miei figli ridendo e battendo le loro piccole manine.

Almeno per ora ho un po’ di pace, sino al prossimo litigio.
Mentre torno in cucina sento suonare il campanello così vado a aprire e mi ritrovo davanti Angie, Martina, Armin e Alexy.
Incrocio le braccia sotto il seno e li scruto.

«Alla buon’ora eh!» esclamo sbuffando.
«Scusa cuginetta, ma ci siamo fermati al bar, e il cameriere era un figo da paura» cinguetta Alexy, il mio cugino dai capelli turchini e gli occhi viola/rosa, in base al tempo, ha 18 anni pure lui, ma lui ne compie 19 a aprile mentre io a ottobre.
«Mamma cos’è un figo da paura?» mi domanda la piccola Vicky correndo verso di noi con al seguito il piccolo Matt.

Alexy si guadagna un’occhiataccia da parte mia e gli bisbiglio.

«Modera il linguaggio, per carità! Ripetono ogni cosa che sentono!» mormoro all’orecchio del turchino, che prende in braccio i miei due frugoletti.
«Uhm… E’ una persona molto bella» dice Armin, il gemello di Alexy, anche se lui ha i capelli neri e due occhi azzurri come un cielo estivo senza nuvole
«Quindi io sono un figo da paura?» domanda Matt pieno di orgoglio e gonfiando leggermente il petto.
Tutti scoppiamo a ridere annuendo, poi mi scosto da davanti la porta e li faccio entrare.
 
Mentre andiamo verso la cucina afferro al volo la povera Martina, alta, slanciata, lunghi capelli neri lisci come spaghetti, dal finire con le chiappe a terra per colpa di una pallina vagante dei miei figli.

«Grazie Ile!» esclama Marty tenendo la sua mano pallida dalle dita lunghe e affusolate sulla mia spalla con le unghie laccate di viola, molto vicino all’ametista dei suoi occhi.
«Sai dovresti evitare i tacchi in una casa infestata di giocattoli da bambini» le dico sorridendo, ma so che lei va ovunque con i tacchi, probabilmente anche a letto non si toglie i tacchi.
«Eh già! Ma se li tolgo divento alta come un tappo e invece che 18 ne dimostro 15 egli anni» afferma ridendo e dirigendosi in cucina.
 
La seguo e entro nella piccola cucina luminosa.
Ha le pareti color crema, un frigo di metallo, il ripiano in marmo grigio con venature bianco perlato, i mobili appesi al muro sono color avorio lucido e quelli a terra color antracite lucido.

«Allora… Ok non vi offro nulla dato che avete già mangiato» affermo ridendo.
«Ma io ho ancora fame!» esclama Angie, ha lunghi capelli ricci neri, ma i suoi sono più boccolati, mentre i miei e quelli dei miei figli sono più come quelli di Merida di “Ribelle-The Brave” gonfi come la criniera dei leoni e crespi se non usiamo i prodotti anti crespo.
«Ma che novità» dico sarcastica alla piccola e pallida Angie, che tiene in braccio Matt che le mostra una macchinina rossa e le fa “brum brum” mentre le passa la macchinina sul braccio.

Angie è la più piccola tra noi, ha solo 16 anni, anche se ne dimostra meno per colpa della sua statura, ma mentalmente batterebbe molte mie coetanee.
Angie mi punta i suoi occhi blu addosso e arriccia il labbro superiore
.
«Meno chiacchiere e più cibo!» afferma ridendo e poi torna con lo sguardo sul piccolo Matt.

Alzo gli occhi al cielo e apro il forno, prendendo la metà della torta della nonna rimasta ieri dal pranzo con i miei e ne taglio sette fette, poi prendo i succhi di frutta e metto la teglia e le bottiglie sulla penisola in marmo.

«Saziatevi» dico sedendomi sullo sgabello da bar in pelle nera che ho alla penisola e guardo Armin, che tiene Vicky sulle gambe e le spiega come giocare a Resident Evil alla PSP.
«Anche voi due» dico guardandoli senza sbattere le palpebre.
«Appetta mamma! Claire sta uccidendo il boss!» afferma Vicky ridendo.
«Ma zia Agatha non te lo toglie mai quel maledetto arnese?» chiedo a Armin incrociando le braccia.
«Sì, ma io la trovo sempre» alza per un secondo lo sguardo e sorride furbetto, poi torna a concentrarsi sul videogioco con mia figlia, che segue ogni movimento della protagonista con il suo sguardo dorato e curioso.

Sorrido e torno a guardare gli altri tre ospiti e poggio la mano sotto il mento.

«Beh? Che avete da dirmi di tanto importante?»

Prima si guardano tra di loro poi a parlare è Marty.

«Torna al liceo» mi dice seria mentre io spalanco gli occhi.

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Un nuovo inizio? ***


Ho ancora gli occhi spalancati mentre Marty parla, ma vedo solo le sue labbra abbastanza carnose tinte del rosa lucido del lucidalabbra muoversi senza che io riesca a udirne le parole che fuoriescono da quelle labbra.
 
 
Chiariamoci, non sono certo una studentessa brillante, sicuramente non prenderei 110 e lode con tanto di abbraccio accademico, ma nemmeno una somara clamorosa, sono una studentessa nella media.
Ma tornare al liceo, svegliarsi presto la mattina e stare 5 ore con il culo sulla sedia scomoda non mi fa di certo impazzire come idea.
Cosa? Io ho due figli quindi dovrei essere abituato a svegliarmi presto? Sì grazie al cazzo, ma dato che i miei figli quest’anno andranno all’asilo sapete a che ora dovrò essere in piedi? Avete fatto due calcoli? Bene ora sono sicura che potete comprendermi. Quindi preferirei continuare i corsi di studio on-line.
Poi vogliamo parlare dei “simpaticissimi” commenti su di me appena al mio liceo “G. Falcone” appena videro l’accenno del mio pancione? Sono sempre stata una ragazza forte ma non ho voglia di ritrovarmi con la scritta “TROIA” in rosso sull’armadietto blu.
 
 
Torno sul pianeta Terra grazie alla mano pallida con le lunghe unghie laccate di viola che mi viene sventolata davanti, e solo ora noto la moltitudine di braccialetti che la mia amica porta al braccio.
 
«Terra chiama Ilenia, ci sei?» mi chiede Martina studiandomi con lo sguardo ametista.
«Sì ci sono…» rispondo con poca convinzione «E la risposta è no»
«Ma perché no? Dopotutto hai ottimi voti ai corsi on-line!» esclama Angie, cercando di far smettere Matt di passargli la macchinina sul braccio pallido e snello.
 
Ci penso sopra, accarezzandomi le sopracciglia coperte dalla frangetta sulla fronte, so per certo che la scusa che devo badare ai bambini non potrebbe tenere, ma tentar non nuoce.
 
«Devo badare a Vicky e Matt» dico con voce stanca, non è la prima volta che affrontiamo questo discorso tutti e cinque insieme.
«Stronzate» borbotta Alexy.
«Mammina cosa vuol dire “stronzate”?» domanda la piccola Vicky, alzando il suo sguardo dorato dalla console portatile di Armin.
«Non vuol dire nulla, è una brutta parola, e le bambine che vogliono i regali da Babbo Natale non dicono quelle brutte parole» dico accarezzando i capelli di Vicky e fulminando Alexy con lo sguardo.
«Capito mamma» dice Vicky alzandosi e correndo in camera.
 
La guardo e sorride, è una bambina sveglia, le piace che la sera le vengano lette delle storie ed è vivace.
Sono sicura che abbia ereditato dal padre le due adorabili fossette che le vengono sulle guance quando sorride, perché ne io ne Matt le abbiamo.
Dopo poco torna con una scatola rossa di cartone con un foro in cima e la posa vicino a Alexy.
 
«Fanno 10 euro zio Alex» dice Vicky sorridendo angelica.
«E perché?» chiede Alexy, perplesso con gli occhi rosa spalancati.
«Hai detto una parolaccia, quindi devi pagare la multa» dice Vicky, indicando la scatola «Fanno 10 euro per ogni parolaccia che dite» dice Vicky sorridendo.
«Ma questo è un furto! Porca p-» dice Alexy, bloccandosi mentre viene scrutato dagli occhioni gialli di Vicky e dice «Porca paletta» poi infila i 10 euro nella fessura sopra  la scatola.
«E’ una bella idea vero?» dico sogghignando verso Alexy.
«Con questo trucco finirò per pagarle il college» dice Alexy sbuffando.
«Grazie zietto, ora vado a vedere “I Fantagenitori”» dice Vicky soddisfatta, poi scocca un bacio sulla guancia di Alexy e torna in camera seguita dal piccolo Matt.
 
Sorrido e trovo letteralmente incredibile che siano già passati 3 anni, quasi 4, da quando li ho dovuti partorire con il cesareo per evitare che Vicky nascesse morta, dato che le si era avvolto il cordone ombelicale intorno al collo, e aveva poco spazio per muoversi, dato che erano in due e Matt era più grosso di lei.
Mi siedo sul divano e torno al quel 12 maggio 2010.
 
 
Erano le 8:30 del mattino, l’aria frizzante primaverile mi accarezzava le braccia lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte. La tipica maglietta nera con scritto “Arrivo a giugno” anche se nel mio caso era più adatta “Arriviamo a giugno” ma il venditore non le aveva, così mi accontentai.
Esatto, avete capito bene, i miei bambini sono nati prematuri di un mese. Ero rimasta incinta a ottobre, dopo aver passato un’estate davvero catastrofica, ero spesso sotto effetto di alcool e Marijuana.
Molte sere facevo le sveltine nei bagni luridi delle discoteche con i primi ragazzi che mi capitavano.
Però poi nei miei ricordi neri e bui si sono infiltrate sfumature dorate, due occhi dorati che mi hanno salvata dal nero che era diventata la mia vita, i litigi dei miei, il mio primo amore finito prima a letto con me e poi con altre cento.
E adesso ero lì, con due figli in grembo, e ero sicura che fossero di occhi dorati, so che è scemo ma ho un vuoto su quel periodo e non ricordo ne il suo nome, ne la sua voce, profumo o volto. Solo gli occhi. Dorati e intensi, e pieni di promesse che probabilmente sono andate in mille pezzi, come una palla di vetro che cade da un ripiano.
E i feriti? Probabilmente il cuore del ragazzo e il mio, già ammaccato e ferito da mesi.
La brezza mi scompigliava i lunghi capelli ricci e biondi, palesemente tinti e con ricrescita rossa fuoco, in quanto da quando ero incinta mi ero rifiutata di fare qualsiasi tintura, anche quelle senza ammoniaca, non avevo certo voglia di rischiare.               
Mi sistemai la borsa sulle spalle e entrai nello studio della mia ginecologa, una donnetta bassa, capelli corti biondi tinti, snella e praticamente lei mi ha vista da quando ero un fagiolo nella pancia di mia madre.
La dottoressa Sonia Beilard, appena mi vedette entrare mi sorrise dolcemente e si alzò da dietro la scrivania.
 
«Ilenia! Mia cara! Vieni ho già acceso la macchina» disse lisciandosi la gonna nera e indicandomi l’apparecchio per le ecografie.
«Grazie mille» dissi sorridendo e poggiando la borsa sulla sedia rossa davanti la scrivania bianca della dottoressa poi andai alla macchina e mi stesi sul lettino e guardai lo schermo bianco e nero.
 
Dopo poco anche la dottoressa si sedette su una sedia vicina a me e mi passò il gel freddo sulla pancia scoperta per poi passarci sopra l’ecografo.
Solo quando sentimmo il battito cardiaco debole di uno dei due bambini e zoommando sull’ecografo capimmo che la piccola Vicky era in serio pericolo.
Così venni portata di corsa in ospedale, chiamarono i miei genitori che arrivarono di corsa con i miei quattro amici e firmarono per farmi fare il cesareo.
Furono sei ore lunghissime, tra le acque rotte dai dottori e l’induzione ad avere almeno qualche contrazione.
Ricordo la sensazione che qualcosa mi venisse tirata via di forza dall’utero e poi il debole vagito di uno dei miei figli, Matthew, che un’ostetrica mi porto vicino una volta misurato e pesato. Era sporco di sangue e liquido amniotico, ma io lo trovai il bambino più bello del mondo, forse un po’ troppo piccolo, ma infondo era prematuro di un mese.
Poi sentii tirare un’altra volta e dopo 30 secondi, troppi per la mia salute mentale del giorno, sentì il debolissimo vagito di Victoria, che quando mi venne mostrata aveva la faccia un po’ blu per colpa del cordone, ed era pure più piccola di Matt.
Li portarono subito via per metterli nelle incubatrici e io venni ricucita e portata nuovamente nella stanza che dividevo con un’altra ragazza di 23 anni, castana con occhi rossi, di nome Mary e aspettava il suo terzo pargoletto, dopo due femminucce il suo primo maschietto, Patrick.
Ricordo che venni sfinita di domande da parte di Angie e Marty sull’aspetto dei miei bambini, e io risposi semplicemente che li avevo visti per troppo poco tempo e non avevano aperto nemmeno gli occhi.
Io dopo tre giorni tornai a casa, ma lasciare per un mese i miei due piccoli all’ospedale fu molto dura.
Ma ora siamo tutti e tre qui.

 
 
Quando esco dal mio stato di trance per colpa del ricordo, noto che i miei quattro amici mi stanno fissando, e che Martina ha dei fogli in mano.
«Ile, avanti, prova almeno a pensarci al liceo» dice passandomi un’opuscolo.
 
Leggo il nome del liceo sulla carta patinata “Liceo Dolce Amoris” e la guardo inarcando un sopracciglio.
 
 
Parliamoci chiaro, chi cazzo andrebbe in un liceo con un nome del genere, anche se poi l’aspetto è di un liceo normale. Per fortuna, andiamo voi mettereste piede in un liceo che sembra un rigurgito di unicorno? Bhe io no, ma nemmeno andrei in giro a dire.
 
«Sai io vado al liceo Dolce Amoris! Sì esatto! Quel liceo tutto rosa che sembra cagato dall’unicorno che sogna di avere mia figlia.»
 
 
Sto ancora fissando Marty con gli occhi sgranati quando Alexy afferma.
 
«Noi ci siamo già iscritti, e dato che in questo posto nessuno conosce la tua storia non ci sarà il rischio di pettegolezzi e scritte crudeli sui muri» dice stringendomi le mani
«Poi entri e esci in tempo per andare a prendere e portare Vicky e Matt all’asilo» dice dolcemente Angie e sorride mentre io passo le dita tra i capelli vermigli.
«Sentite ci penso, non è un sì» dico guardandoli.
«Ma nemmeno un no!» esclama Marty battendo le mani e sorridendo e io non posso fare a meno di sorridere a mia volta mentre guardo l’opuscolo tra le mie mani.
 
Che questo liceo sia la mia salvezza e l’inizio di una svolta nella mia vita incasinata?

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