Rain.

di ___Lilith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Prologo. Venticinque dicembre. ***
Capitolo 2: *** #01. Caffè. ***
Capitolo 3: *** #02. Frammenti di memoria. ***
Capitolo 4: *** #03. Dipendenze. ***
Capitolo 5: *** #04. Patto muto. ***
Capitolo 6: *** #05. Un angelo custode riccioluto. ***
Capitolo 7: *** #06. Siamo amici, no?! ***
Capitolo 8: *** #07. Rain. ***
Capitolo 9: *** #08. Latte e biscotti. ***
Capitolo 10: *** #09. O la va, o la spacca. ***
Capitolo 11: *** #10. Passione e sentimenti. ***
Capitolo 12: *** #11. Destino avverso. ***
Capitolo 13: *** #12. Tira e molla. ***
Capitolo 14: *** #13. Persi nel loro piccolo mondo. ***
Capitolo 15: *** #14. Da sempre, sempre e per sempre. ***
Capitolo 16: *** #15. Precipizio. ***
Capitolo 17: *** #16. Luce e ombra. ***
Capitolo 18: *** #17. Again. ***
Capitolo 19: *** #18. Bip. Bip. Bip. ***
Capitolo 20: *** #Epilogo. ***



Capitolo 1
*** #Prologo. Venticinque dicembre. ***




Prologo. Venticinque dicembre.





Marco si strinse meglio nel suo giubbotto. Si aggiustò la sciarpa e infilò le mani congelate nelle tasche. Erano ore ormai che camminava senza meta. Il vento freddo pungeva contro il suo viso, le gambe doloranti chiedevano riposo.
Si guardò intorno. A pochi metri da lui avvistò una piccola panchina vuota. Si avvicinò e si sedette. Sfilò il suo fedele pacchetto di Malboro dalla tasca posteriore dei jeans. Estrasse una sigaretta e la accese. Se la portò alla bocca, lasciando che il fumo tossico penetrasse nei suoi polmoni per offuscare almeno un po' il dolore e la solitudine che provava.
Puntò lo sguardo verso la strada di fronte a lui. Era quasi totalmente deserta. Ad illuminarla c'era solo la luce fioca di un lampione e le piccole lucine degli addobbi natalizi posti sulle abitazioni circostanti.
Non c'era anima viva intorno a lui. Solo qualche macchina sfrecciava rapida sull'asfalto, probabilmente in ritardo per il cenone.
Era la notte di Natale. Un giorno di festa per quasi tutti, ma ancor più importante per Marco. Quel 25 dicembre compiva 18 anni.
Ed era da solo, terribilmente e dolorosamente solo. I suoi genitori, felici per la maggiore età raggiunta dal loro figlio, avevano però ricevuto quel giorno la notizia peggiore che potessero dargli. Marco aveva deciso di raccontare loro della sua vera sessualità. Un'idea che però si era rivelata non molto geniale.
Aveva detto si suoi genitori di essere gay. Sua madre era scoppiata in una fragorosa risata, dicendo: -Marco smettila con questi scherzi- ma, quando aveva visto l'espressione seria sul viso di Marco non mutare in una divertita e ironica, aveva capito che il figlio non stava affatto scherzando.
Il padre lo aveva trafitto con lo sguardo. Quei due occhi così simili ai suoi, quasi identici, come affermava spesso la madre, erano carichi di astio. Le sue due iridi color cioccolato lo guardarono come se quello non fosse suo figlio, come fosse un estraneo, un lebbroso, una persona malata da cui star lontano. E quello sguardo gli fece male, davvero troppo male.
Provò un truce dolore al cuore. Fu come se quegli occhi lo avessero colpito al petto e lo avessero ferito, come due lamine di metallo appuntite scagliate contro il suo cuore.
Si portò una mano sulla sinistra del suo petto. Era soprattutto la delusione che aveva dato al padre a fargli male. Lui, il fagottino che aveva stretto tra le braccia la prima volta, il ragazzino col quale vedeva la partita la domenica pomeriggio, ma che a Marco in realtà non era mai interessata molto, l'uomo al quale aveva insegnato come corteggiare una ragazza, si rivelava essere uno "stupido frocetto", come egli stesso lo aveva chiamato.
E così lo aveva cacciato di casa.
-Non sei degno di essere mio figlio- gli aveva detto, sbattendogli in faccia la porta. Non gli aveva dato neanche il tempo di prendere la sua roba.
E ora si ritrovava senza casa, senza amici, senza famiglia, senza alcun posto dove stare e con pochi spiccioli in tasca. Non aveva più nulla ormai.
L'unica cosa che sapeva di possedere era il suo cuore, dato il profondo dolore che provava dentro il petto. Ma ormai anche quello era distrutto, fratto a brandelli dai suoi stessi genitori.
Non aveva neanche un amico. Claudia, sua migliore amica dal primo giorno delle elementari, lo aveva abbandonato qualche mese fa, quando, dopo avergli rivelato tutto l'amore celato per anni nel suo cuore per il ragazzo, lui l'aveva rifiutata, senza darle una spiegazione concreta. Non lo aveva fatto perché era brutta, anzi con i luinghi capelli biondi e due giganteschi lapislazzuli al posto degli occhi era una delle ragazze più desiderate da qualsiasi uomo etero, ma lui aveva orientamenti sessuali decisamente diversi. Non aveva mai avuto il coraggio di parlarle della sua omosessualità, così l'aveva lasciata andare via per sempre.
Ed ora si ritrovava da solo. L'unica compagnia che aveva era quella sigaretta, ormai quasi mezza bruciata, che possedeva il magico potere di alleviare un po' il suo dolore.
Fece un respiro profondo, inalando tutto quel fumo tossico che creava una bolla irrespirabile intorno a lui. Solo così riusciva a sentirsi meglio.
Un fruscio, un lieve spostamento d'aria intorno a lui, attirò la sua attenzione. Voltò lievemente la testa di lato e quasi sobbalzò quando notò che una figura snella e riccioluta si era seduta accanto a lui.
Se ne stava immobile, con una bottiglietta di birra nella mano destra e il resto della confezione nella sinistra. Nella penobra riuscì a intercettare lo sguardo del ragazzo. Era puntato verso il nulla, su un punto imprecisato davanti a loro.
-Natale...- bofonchiò. Portò il boccale della bottiglietta di birra alle labbra e mandò giù un sorso. -Che inutile festa.-
Marco continuò ad osservare in silenzio quello strano ragazzo.
Bevve un altro sorso poi, come se solo in quel momento si fosse accorto della sua presenza, si voltò verso di lui.
Gli porse la birra, come a volergliela offrire. Marco la afferrò e bevve metà del liquido rimasto, poi la restituì al proprietario.
Tornò a rivolgere lo sguardo verso qualcosa che sembrava vedere solo lui. E Marco tornò a guardarlo incuriosito.
Il riccio si passò una mano tra le onde spettinate dei suoi capelli.
'Ha un bel profilo' pensò Marco. Aveva dei lineamenti fini, leggermente disegnati, con un delizioso e piccolo nasino e delle sottili labbra a forma di cuoricino.
La curiosità gli stava opprimendo lo stomaco. Voleva sapere per quale motivo quel ragazzo fosse lì e non a festeggiare il Natale. Forse era un'anima sola anche lui.
Bevve un altro sorso di birra. -Inutile- ripetè.
-Perché?- ebbe il coraggio di chiedergli Marco.
-Che senso ha festeggiare se non hai nessuno con cui farlo?- rispose. Notò che aveva un accento straniero, forse inglese, e ipotizzò che non fosse italiano.
Marco abbassò la testa, puntando gli occhi sulle diadora grigie che aveva ai piedi.
-Anche tu sei solo?- chiese con un flebile sussurro.
-Ora sì- fece ancora un altro sorso, -da un paio di ore più o meno.-
-Anche io- disse. Finalmente forse aveva trovato qualcuno che lo capisse. -Cosa è successo?-
-Love- rispose, accennando alla sua lingua originale. -Una delusione d'amore.-
-Ah...- borbottò. 'Non è gay' dedusse Marco.
-And you?- chiese, -Perché sei solo?-
Cercò rapidamente una scusa abbastanza plausibile. Non poteva di certo dirgli che era omosessuale, sarebbe scappato via e lui aveva tanto bisogno di un po' di compagnia in quel momento.
-Love- mentì, imitando il suo accento. Al riccio scappò un piccolo sorrisetto.
Bevve l'ultima goccia del liquido di quella bottiglietta, poi ne scartò altre due dalla confezione che aveva nell'altra mano. Gliene offrì una.
-Prendila- disse, -aiuta, credimi.- Marco fece come il riccio gli aveva detto e la prese. La stappò ed iniziò a bere.
-Comunque io mi chiamo Michael Holbrook Penniman Jr., piacere- si presentò, porgendogli una mano.
Il ragazzo la strinse, pensando che però quell'immenso nome non avrebbe mai potuto ricordarlo.
-Marco Mengoni- disse.
-Io sono libanese e vengo da Londra.- Aveva intuito bene, non era italiano.
-E che ci fai in Italia?-
-Mi sono trasferito per seguire il cosiddetto 'amore'- rispose, scrollando le spalle. -My love was italian.- Si scolò in pochi secondi tutta la bottiglietta, poi alzò gli occhi verso il cielo. Quella sera era particolarmente scuro. Grosse nuvole grigie coprivano la luna e le stelle, rendendo il cielo blu ancora più tenebroso.
-Sta per diluviare- disse Marco. In lontananza si vedevano fasci di luci elettriche che squarciavano il cielo e si sentivano i rimbombi dei tuoni che preannunciavano un violento temporale.
Le prime gocce cominciarono a cadere su di loro.
-Oh perfect- bofonchiò sarcastico il riccio. -Ho la macchina laggiù- indicò un auto blu a pochi metri da loro, -vuoi un passaggio?-
'Se solo avessi un posto in cui andare, accetterei'.
-No, grazie- rifiutò.
-Why?-
-Abito qui vicino- mentì. In realtà viveva più in periferia, ma non ci sarebbe comunque tornato a casa. Non poteva.
-Allora io vado- disse, sorridendogli. E, con la sua immensa luce, quel sorriso squarciò l'aria scura che li circondava. -Bye bye Marco.-
-Ciao Michael.- Il riccio si voltò e si diresse verso la sua auto. Marco lo osservò, mentre le gocce di pioggia picchiavano su di lui.
Si infilò nella macchina e partì. Marco la seguì con lo sguardo, finché non scomparve svoltando a destra al primo incrocio.
C'era qualcosa in quel ragazzo che lo attirava. Non sapeva perché, ma aveva ancora impresso davanti agli occhi il suo bel faccino incorniciato da quell'ammasso di ricci ribelli. E dovette ammettere che era davvero molto carino.
Il tonfo di un tuono che rimbombò nella quiete dell'aria circostante fece ridestare il ragazzino dai suoi pensieri.
La pioggia iniziava a scendere su di lui con un flusso più pesante.
Si guardò intorno, in cerca di un posto dove ripararsi. A qualche isolato di distanza da lui intravide l'insegna luminosa di un motel. Decise che per quella sera sarebbe andato più che bene. Con i soldi che aveva raccimolato prima di andar via avrebbe potuto sopravvivere non più di qualche giorno.
Cominciò a correre sotto la pioggia, tentando di schivare le gocce d'acqua rifugiandosi di tanto in tanto sotto i balconi che sporgevano sul marciapiedi.
Raggiunse il motel in pochi minuti e si precipitò dentro. Al bancone c'era un vecchio uomo con una barba lunga e i capelli bianchi. Gli si avvicinò.
-Buonasera- lo salutò.
-Benvenuto- disse cordiale l'uomo. -Posso aiutarla?-
-Mi serve una stanza per stanotte.-
-Certo- contrasse le labbra in un piccolo sorriso, facendo comparire delle rughe marcate ai lati della bocca. Si girò e, grattandosi la barba, prese una chiave.
-Singola va bene?- gli chiese.
-Sì.-
Si voltò e gli porse la chiave. -Ecco a te.-
Marco la prese e lesse il numeretto scritto sopra. Era nella stanza numero 6.
Lo ringraziò e, dopo aver pagato, si diresse verso le scale.
Una volta salito al piano superiore, percorse il breve corridoio leggendo sopra lo stipite delle porte il numeretto che c'era inciso. Quando trovò la stanza numero 6, infilò la chiave nella serratura e questa, dopo due scatti, si aprì.
Non era nulla di speciale. Era una stanzetta piccola, con un letto al centro, un comodino e un armadio.
Si levò il giubbino zuppo d'acqua e lo appoggiò ai piedi del letto, poi si stese sul materasso senza cambiarsi, non avendo nient'altro con sé al di fuori di quei pochi soldi che aveva in tasca.
Cercò di addormentarsi, ma il ricordo dello sguardo deluso di suo padre continuava a tormentarlo. Spostò allora la sua attenzione su qualcos'altro e la grossa testa riccia del ragazzo che aveva incontrato poco prima occupò la sua mente.
Un piccolo sorriso si fece largo sulle sue labbra. 'Era proprio carino però' pensò. 'E buffo' aggiunse. Almeno aveva scoperto che non era l'unico ad essere solo il giorno di Natale.
-Tanti auguri a me- disse, mentre guardava fisso il soffitto ingiallito della camera.

A causa dell'alto tasso d'alcol che aveva ingerito, Michael per poco non si scontrò contro un palo della luce mentre tornava nel suo appartamento. Quando arrivò, tirò un sospiro di sollievo. Era vivo e non aveva ammazzato nessuno. Poteva considerarsi più che fortunato.
Scese dall'auto e fece una piccola corsa per raggiungere la porta. La aprì e si rifugiò al caldo nella sua stanza.
Si spogliò e asciugò quel suo ribelle ciuffetto riccio che, bagnato dall'acqua piovana, sembrò non voler proprio stare al suo posto.
Arrendendosi all'idea che non sarebbe mai riuscito a dare un aspetto decente ai suoi ricciolini, si catapultò sul materasso.
Quell'enorme letto a due piazze sembrava così grande ora che c'era solo lui.
Poggiò una mano sulla parte vuota e la accarezzò come se ci fosse qualcuno. Davide se ne era andato, e non sarebbe più tornato.
Ma lui lo amava e non riusciva ad immaginarsi la sua vita senza il ragazzo. Quei suoi grossi occhioni verdi, i suoi capelli biondo cenere, le sue carnose labbra rosse erano impressi nella sua mente e da lì non sembravano voler andar via.
Ma se Davide lo aveva lasciato era solo colpa sua. Lo aveva tradito. Era stato solo un bacio rubatogli dal suo migliore amico, ma lui lo aveva ricambiato.
E ora se ne pentiva. Sapeva che Davide non lo avrebbe mai perdonato e lui non poteva dargli torto. Lo avrebbe fatto anche Michael se fosse stato al suo posto.
Prese il cuscino sul quale riposava solitamente il compagno e lo strinse forte. Ci immerse la testa dentro e respirò a fondo il profumo di Davide ancora intriso sul tessuto.
'Quattro lunghi anni buttati al cesso' pensò, mentre le prime lacrime bagnavano le sue soffici guance.
-Domani tornerò a Londra- disse. Non poteva rimanere nell'appartemento che avevano comprato insieme se non voleva che il dolore che provava dentro di sé distruggesse quel che ne era rimasto del suo povero cuoricino.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
So già cosa state pensando: 'È tornata di nuovo ?! Già ?!' Eh sì, sono ritornata con una nuova storiellina su questi due cucciolotti.
Ultimamente ho molta ispirazione, quindi date la colpa al mio stupido cervellino se sono ancora qui u.u
Vabbè ora passiamo alla storia. Lo so che non è niente di che e la trama fa un po' schifo, ma mi è venuta in mente in un momento di depressione e ho creato questa mezza schifezza u.u
Lascio a voi ulteriori commenti (saranno sicuramente critiche) su questo piccolo prologhetto ;)
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 2
*** #01. Caffè. ***




01. Caffè.





Due anni dopo...

L'odore aromatico di caffè invase le narici di Marco appena mise piede nel bar. Un odore che, però, ormai gli dava nausea.
Doverne preparare centinaia ogni singola mattina ti portava a detestare anche un profumo così buono.
Prese posto dietro al bancone, cominciando subito ad armeggiare con la macchina del caffè.
-Buongiorno Marco- lo salutò la sua collega Alessia con quel suo sempre presente sorriso stampato sulle labbra.
-'Giorno- rispose il ragazzo svogliatamente.
Sbadigliò ancora un po' assonnato e strizzò gli occhi. Il comodo e fresco letto non gli era mai mancato tanto come quella afosa mattina di inizio giugno.
Fuori il sole risplendeva sovrano nel limpodo cielo blu sgombro da qualsiasi accenno di nuvola. La temperatura era decisamente troppo alta e il condizionatore difettoso del bar non riusciva a rinfrescare per bene quell'area.
Ai vari tavolini si stavano già formando i piccoli gruppetti di clienti.
Sospirò stanco e si avvicinò ad uno di essi. Un altro faticoso giorno di lavoro stava per cominciare.

Michael infilò la chiave nella toppa di metallo della porta del suo appartamento a Ronciglione. Quando la aprì, un profondo senso di nostalgia scosse il suo corpo. Non tornava in quella casa da quando si era lasciato con Davide.
Era rimasto tutto esattamente come lo aveva lasciato. La polvere era ammucchiata sul pavimento e sui mobili in legno che ornavano le varie stanze, segno che nessuno aveva messo piede lì da quando era andato via.
Sul tavolino del soggiorno c'erano ancora le birre stappate che si era scolato quella sera di Natale. Con un dito passò sul contorno della bocca di una di esse e un piccolo ricordo sopito nella sua mente riaffiorò quasi come fosse stato un pezzo importante di sé che aveva a lungo tralasciato.
L'immagine di quel ragazzino seduto su una panchina da solo il giorno di Natale gli si parò davanti.
'Chissà come sta' si chiese Michael. In quel lontano 25 dicembre di due anni fa sembrava triste e tremendamente solo. Gli aveva fatto tenerezza e un po' si era riconosciuto in quel ragazzo. Anche Michael era solo quella sera.
E poi c'era qualcosa in lui che lo aveva incuriosito e spinto ad avvicinarsi e fargli un po' di compagnia.
'Mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio' pensò, 'sembrava anche simpatico.'
E inoltre era bello, forse anche troppo. Prima di andare da lui era rimasto alcuni minuti immobile ad osservare il suo visino chinato verso il basso. Aveva un delizioso profilo perfettamente scolpito, con un nasino adorabilmente un po' a punta e delle labbra da far invidia ad una donna. Sembravano essere fatte apposta per essere baciate.
Nella penombra di quella sera non era riuscito bene a distinguere il colore delle sue iridi, ma dovevano essere piuttosto scuri. Le sopracciglia ad ali di gabbiano, poi, risaltavano bene la forma dell'occhio.
I capelli erano castani e spettinatamente raccolti in un ciuffetto che ricadeva disordinato sull'ampia fronte.
Quel ragazzino era una meraviglia davvero. Peccato che Michael fosse stato troppo impegnato a rimpiangere il suo ex ragazzo, altrimenti avrebbe potuto provarci con lui, nonostante probabilmente non era gay.
Quando ritornò dal suo breve viaggio nei ricordi, Michael prese le bottigliette di birra vuote e le gettò nel cestino. Quella casa aveva bisogno di una bella ripulita.
Portò le valigie che aveva con sé in camera e le posò sul letto. Le aprì e cercò di iniziare a rimettere a posto la sua roba, ma un brontolio proveniente dalla sua pancia gli impedì di continuare.
Stava morendo di fame. L'unica cosa che aveva mangito nelle ultime ventiquattro ore era quella mini barretta al cioccolato che aveva acquistato prima di partire.
Siccome alla fame non riusciva proprio a resistere e in casa non c'era nulla di commestibile eccetto qualche cibo avariato rimasto lì da due anni, decise di andare a prendere qualcosa al bar che aveva addocchiato mentre raggiungeva l'appartamento.
Uscì di casa e si incamminò a piedi verso il locale. Non era molto lontano e, in pochi minuti, riuscì a raggiungerlo. Entrò nel bar e si diresse verso l'unico tavolino libero. Ma, mentre cercava di raggiungerlo, col pensiero già al cornetto ripieno di cioccolato, qualcuno sbattè contro di lui, rovesciandogli tutto il caffè della tazzina che aveva in mano sulla sua maglietta rigorosamente bianca.
-S-Scusa- balbettò il ragazzino che gli era venuto addosso.
-But what...- stava per dire Michael, ma le parole gli si bloccarono in gola quando il ragazzo alzò lo sguardo e lui potè riconoscerlo.
-TU?!- esclamarono all'unisono.
Si scrutarono per qualche secondo in silenzio.
Michael potè finalmente vedere il colore dei suoi occhi. Erano color caffè, proprio come la bevanda che gli aveva appena macchiato la sua bella maglia.
Ed erano profondi, forse più dell'immenso oceano. Pensò che, se mai qualcuno ci fosse finito dentro, anche essendo un esperto nuotatore, sarebbe inevitabilmente affondato. Quel mare color caffè sembrava immenso e incredibilmente senza fondo.
Quando si ricordò di ciò che gli aveva appena fatto, Michael cambiò espressione, trafiggendo il ragazzino con lo sguardo più adirato che riusciva a fare. Ma, con quel dolce faccino che si ritrovava, era impossibile essere arrabbiato con lui.
-M-Mi dispiace, d-davvero, io n-non volevo...- sibilò, continuando amabilmente a balbettare. E Michael si ritrovò a pensare a quanto fosse dannatamente tenero.
-Non importa- cercò di rassicurarlo, -non è nulla, è solo una macchia- 'gigantesca sulla mia bellissima maglietta bianca' pensò.
-Ma è stata colpa mia...-
-No, non preoccuparte- disse col suo italiano non ancora perfetto, -piuttosto, sai dirmi dove posso trovare il bagno?-
Marco annuì ed indicò la porta sulla destra. -È quello- rispose.
-Grazie.- Si voltò e si incamminò verso il bagno.
Una volta entrato, guardò l'enorme macchia di caffè.
-Maledetto ragazzino- bofonchiò tra sé e sé. Aprì il rubinetto di uno dei quattro lavandini in ceramica e strappò due fogli dal rotolo di carta posto all'entrata. Li bagnò e poi li sfregò contro la macchia.
-Oh very good- commentò ironicamente quando vide il risultato di ciò che aveva combinato. La macchia, invece di sparire, si era estesa ancora di più sul tessuto bianco.
Per evitare di fare altri guai, si arrese all' impresa di ripulire la maglia e tornò nel bar. Macchia o meno, alla sua colazione non avrebbe di certo rinunciato.

'Idiota' si schernì mentalmemte Marco, 'sei solo uno stupido idiota che non è capace neanche di servire ai tavoli senza andare a scontrarsi contro il possente dorso di quell'attraente ricciolino che ora ti avrà preso per un demente senza alcuna capacità di equilibrio.'
Era finito letteralmente addosso a quello che per molte notti era stato il suo tormento. Si era ritrovato spesso inconsapevolmente a sognarlo. Da quel giorno lo aveva cercato a lungo, ma dopo un po' si era arreso all'idea che probabilmente fosse ripartito per Londra.
Ed ora si era ritrovato spiaccicato contro il suo dorso, rovesciandogli sulla maglia il caffè bollente che avrebbe dovuto servire al signore seduto al tavolo di fronte alla finestra. E, se non si muoveva a prepararne immediatamente un altro, avrebbe perso anche il lavoro.
Ridestatosi dai suoi pensieri, azionò la macchinetta e preparò la bevanda, notando che il riccio era uscito dal bagno.

Questa volta Michael riuscì a raggiungere il tavolino senza trovarsi addosso altri ragazzini troppo attraenti e teneri che non sapevano neanche svolgere decentemente il loro lavoro.
A servirlo, però, fu di nuovo lui.
-Scusami ancora- disse, estraendo dalla tasca un piccolo taccuino, -cosa posso portarti?-
-Non fa niente- lo rassicurò ancora, sforzandosi di fare anche un piccolo sorrisetto per essere più convincente, -comunque un caffè- 'e cerca di non versarlo addosso a nessuno, please' aggiunse solo mentalmente, -e un cornetto a cioccolato.-
Guardò il ragazzino segnare concentrato la sua ordinazione, poi girarsi e allontanarsi. In fondo, forse non gli dispiaceva tanto per la maglia. Quel ragazzino era così carino che gli avrebbe permesso di rilovinargli anche la sua preziosa camicina di seta costatagli un occhio nella testa.
Notò che non era molto cambiato dalla prima volta che lo aveva incontrato. Il ciuffetto c'era ancora, i lineamenti delicati del viso erano sempre quelli, forse solo un po' più maturi, e sulle sue belle labbra a forma di cuoricino era calato ancora quel velo di tristezza.
Anzi forse qualcosa era cambiato in lui. La sua bellezza. Sì, quella non era la stessa di qualche anno prima. Era addirittura più bello di quanto si ricordasse. Somigliava tanto all'idea che lui aveva di perfezione. Probabilmente se Michael avesse mai dovuto immaginare un essere perfetto gli avrebbe dato il volto di Marco.
Scosse la testa, facendo ondeggiare i suoi disordinati ricciolini a destra e a sinistra, per cacciare via quel pensiero. Non doveva innamorarsi, non di nuovo di un italiano. E soprattutto non di quel ragazzino che già da quello sguardo all'apparenza tanto ingenuo presagiva un sacco di guai per lui.
Doveva godersi quella sua lunga vacanza, per adesso non voleva ulteriori problemi di cuore.
Dopo pochi minuti, Marco tornò portando un vassoio con la sua ordinazione. Prese il cornetto e lo adagiò attentamente davanti al libanese, poi fece lo stesso con il caffè.
-Ecco a lei- disse, sistemando vicino alla tazzina una piccola busina di zucchero.
-Thanks- rispose cordialmente Michael.
Il ragazzino si voltò e tornò dietro il bancone e il riccio potè finalmente gustarsi la sua meritata colazione.
Addentò il suo cornetto strabondante di cioccolato e lasciò che quella delizia riempisse quell'immenso buco che aveva allo stomaco.

Marco, mentre continuava a svolgere il suo lavoro e sgattaiolava tra i vari tavolini, continuava a tener d'occhio il libanese. Era carino anche mentre mangiava selvaggiamente.
La cioccolata del cornetto gli aveva sporcato leggermente il labbro inferiore. Si pulì passando la lingua sulla sua dolce boccuccia... Oh quella bocca... A Marco vennero in mente circa cinquecento modi diversi per assaporarla, per assaggiarla con le labbra.
Era sexy... decisamente troppo sexy.
Sentiva gli ormoni in subbuglio. L'istinto gli suggeriva di lasciare perdere quella stupida ordinazione e correre dal libanese, per poi prendergli il viso tra le mani e schiacciargli le labbra sulle sue.
'Calmati Marco, calmati' si ripetè mentalmente. Ma quell'istinto non sembrava volersi placare.
Si sforzò di concentrare lo sguardo su qualche altra cosa, ma i suoi occhi non davano cenno di volersi staccare da quell'essere così maledettamente sexy.
Non gli era mai successo prima. Aveva provato sì attrazione per altri uomini, ma quello era diverso. Totalmente diverso.
Era più di semplice attrazione, era passione. Pura e maliziosa passione.
Ed era forte, talmente forte che gli risultava difficile domarla.
Lo osservò fin quando non finì anche il caffè, dopodiché si diresse verso di lui per "sparecchiare".
-Quanto devo pagare?- gli chiese Michael.
-Niente- rispose, -offre la casa.-
-But...-
-Devo in qualche modo rimediare al disastro che ho combinato, no?!- disse, indicando l'enorme macchia scura sul tessuto bianco.
-Non c'è bisogno, davvero.-
-E invece sì. Ti ho rovinato la maglia e voglio cercare di ripagare.-
-Okay- si arrese il ricciolino. -Grazìe- disse, sbagliando accento. E a Marco sembrò di una tenerezza unica. Quei suoi piccoli errori rendevano il ricciolino ancora più attraente agli occhi del ragazzo. Poteva sembrare una sciocchezza, ma a lui piaceva da morire quell'accento anglicano che si ritrovava.
Persino il suo modo di parlare strano per Marco era sexy.
-A presto- lo salutò poi, alzandosi dalla sedia.
-A presto- ripetè Marco, sperando di non dover aspettare altri due anni prima di rivederlo.

Tornato a casa e cambiatosi la maglietta sporca, Michael cercò di cimentarsi nelle faccende domestiche, ma fu inutile.
Quel ragazzino, quello stupido ed idiota ragazzino, aveva ormai preso residenza fissa nei suoi pensieri.
Era bello e un po' maldestro, a giudicare da quello che aveva combinato. Ma questo lo rendeva ancora più attraente.
Bellezza e scoordinatezza... un mix perfetto che a lui piaceva tanto. Lo faceva sembrare così dolce, tenero.
Mentre continuava a pensare, però, qualcosa riuscì a sistemare e la giornata, tra una valigia e l'altra e tra pensieri non proprio casti su quel ragazzino, passò.

Marco uscì di casa. Era un po' in anticipo per il suo "appuntamento", ma decise che avrebbe fatto prima un giro per respirare un po' d'aria fresca.
Non stava facendo caso a dove stesse andando e le sue gambe lo riportarono in un luogo dove, dopo quel 25 Dicembre, era tornato spesso.
Si fermò solo quando fu di fronte a quella panchina. Lì ci aveva passato serate intere ad osservare le stelle in totale solitudine, forse aspettando inconsciamente di ritrivarsi una testolina riccia seduta di fianco a lui.
Sospirò e, come al solito, si sedette nella "sua" metà di panchina. E in quel momento gli sembrò così vuota, proprio come lo era il suo cuore.
La sua vecchia vita gli mancava. Ciò che era diventato in quegli anni gli faceva schifo. Provava pena lui stesso per quello che stava facendo. Ma era così, e non ci sarebbe stato modo di cambiarlo.
Stette fermo lì, aspettando qualcuno che non sarebbe mai arrivato. Quella parte di panchina sarebbe rimasta per sempre vuota.
E quando Marco si arrese a quell'idea e si decise che forse era meglio andar via, uno spostamento d'aria alla sua destra, proprio come due anni prima, attirò la sua attenzione.
Si voltò e quell'ammasso disordinato di ricciolini era lì accanto a lui che gli sorrideva come mai aveva visto fargli prima.





#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Rieccomi qui con il primo capitolino della mia storia xDD
Allora innanzitutto vorrei ringraziare quelle meravigliose persone che hanno recensito il prologo .. vi AMO.
Vabbè, tornando a noi, Marco ha un "appuntamento", ma con chi ?! Eheh lo scoprirete nei prossimi capitoli muahahahahaha *risata malefica*
Non riuscirete mai a immaginare che genere di appuntamento ha, e soprattutto per cosa (okay, forse sto fancendo un po' troppo la cattivella, ma mi diverte tanto lasciarvi sulle spine xDD)
Prima di lasciarvi però, vorrei avvisarvi che non so entro quanto riuscirò a scrivere il prossimo capitolo .. questa settimana è piena di interrogazioni e mercoledì ho il compito di latino DD: AIUTO.
Auguratemi buona fortuna o questa sottospecie di scrittrice potrebbe non arrivare viva al secondo capitolo hahaha xDD
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 3
*** #02. Frammenti di memoria. ***




02. Frammenti di memoria.





Michael, dopo quello stancante lavoro di pulizia del suo appartamento, decise di distrarsi facendo due passi in giro.
Camminava per le vie affollate di quel piccolo paesino facendo molta attenzione ai dettagli. Non voleva che, al ritorno, non si ricordasse la strada per tornare indietro.
Da lontano vide un'esile figura seduta su una panchina. Piegò la testa di lato e la scrutò.
Non ci volle molto prima che capisse che quello lì seduto era Marco e che qulla era la panchina dove lo aveva visto per la prima volta due anni fa.
Si avvicinò a lui e, come quel giorno, si sedette alla sua destra.
Solo in quel momento Marco si accorse della presenza del libanese.
Si voltò verso di lui e lo osservò per alcuni secondi, quasi come a volersi accertare che non fosse un'allucinazione, ma che Michael fosse realmente lì accanto a lui. Sbattè le palpebre più volte, finché non si convinse che accanto a lui c'era il ricciolino in carne ed ossa. Ed era proprio come lo aveva spesso sognato.
Non disse niente, si limitò a guardarlo in quelle due grosse iridi verdognole.
-Ci vieni spesso qui?- gli chiese il ricciolino, sostenedo il suo sguardo che non dava cenno dal volersi divincolare dai suoi occhi.
Marco scrollò le spalle. -Ogni tanto.- 'Ogni singola sera da quando ti ho incontrato'. -Tu, invece, ci vieni spesso?- chiese, fingendo di non sapere che lui da quella sera non ci era venuto più.
-No- rispose, -ci sono arrivato per caso, passeggiando, ti ho visto qui da solo e mi sono avvicinato. Proprio come...-
-Come due anni fa- Marco concluse la frase insieme al libanese. Le loro voci si sovrapposero e si intrecciarono tra di loro.
Rimasero alcuni secondi in silenzio. Si guardavano semplicemente negli occhi, cercando di capire cosa c'era nei loro sguardi che li attirava tanto e che li aveva fatti trovare di nuovo lì.
'Forse è il destino' ipotizzò Michael.
Davanti a lui vedeva solo due pozze enormi color caffè cariche di dolore. Celata nella bellezza dei suoi occhi c'era sofferenza, tanta sofferenza. Glielo si poteva leggere dentro se solo ti ci provavi a immergere un po'. Ma dovevi stare ben attento a non cadere, o saresti potuto addirittura annegarci.
Marco fu il primo a distogliere lo sguardo. Abbassò la testa, cercando di nascondere il crescente imbarazzo che provava in quel momento. Sperava solo che il libanese non si accorgesse di quella forte attrazione che provava per lui. Non voleva perderlo come aveva perso chiunque avesse saputo della sua sessualità.
-Mi è mancata Ronciglione- esordì il riccio, infrangendo la parete di silenzio che si stava creando tra loro.
Marco alzò la testa e lo guardò accigliato. -Sei stato via?- gli chiese.
-Yes. Sono partito il giorno dopo Natale e sono tornato a Londra. Non aveva più senso rimanere qui se non avevo nessuno per cui valeva la pena restare.-
-E perché sei tornato?- azzardò a chiedergli il ragazzo.
Michael sospirò. -I don't know- disse, -avevo bisogno di una vacanza dallo studio e ho pensato di passare l'estate here.-
-Resterai l'intera estate qui?-
-Sì, credo di restare for three month. Then I... mh- si bloccò, non era ancora molto ferrato con l'italino, -devo tornare a Londra e affrontare l'ultimo anno di universìta.-
Quel suo delizioso modo di sbagliare gli accenti fece sorridere Marco.
-Non sfotterme- lo schernì il riccio, ma, errando ancora con le parole, non fece altro che far aumentare la risata del ragazzo.
Incrociò le braccia al petto e contrasse le labbra in un'espressione offesa.
-Scusami- cercò di rimediare Marco, ma continuava a ridere senza contegno. -È che adoro il tuo accento inglese. È buffo.-
'E io adoro il delizioso suono della tua risata' avrebbe voluto dirgli, ma si limitò a sorridere.
Il silenzio calò di nuovo su di loro. Questa volta fu Marco a interrompere quel leggero imbarazzo che si era creato. -Cosa studi?-
-Lingue- rispose, -è un campo che mi afascina molto. Conosco quasi cinque lingue.-
-Ah ecco perché parli l'italiano così bene- constatò.
-And you?- chiese, -Lavori nel bar of this morning o studi anche?-
Marco sospirò al ricordo amaro che gli tornò in mente alla domanda del riccio. Lui avrebbe voluto continuare i suoi studi, ma era stato costretto ad interromperli quando era stato cacciato di casa. Si era cercato un lavoro "provvisorio" e aveva trovato impiego come barista, aspettando di poter ambire a qualcosa di più elevato. Ma, una volta entrato, da quel bar non ne era più uscito. E così ora si era trasformato in un impiego "fisso".
-Lavoro solo- rispose.
Michael, dal suo atteggiamento, capì che c'era qualcosa che non andava, ma preferì non indagare oltre. Puntò lo sguardo verso il cielo.
Quella sera era privo di nuvole. Un immenso tetto blu scuro costellato da milioni di minuscoli puntini luminosi si estendeva sulle loro teste.
A Londra un cielo così Michael non lo aveva mai visto. Era sempre ricoperto di nuvole oppure, nelle serate d'estate, era sfuocato a causa della leggera nebbiolina di smog. E, invece, quello di Ronciglione era limpido come l'acqua.
Al centro di quel tappeto meraviglioso c'era poi un'enorme luna piena. Tonda e splendente, brillava più di un prezioso diamante nella coltre scura.
-It's wonderful- biascicò il libanese senza distaccare lo sguardo dal suo panorama.
Marco, che invece si era perso nel fissare i particolari della maglietta a rigne bianche e verdi un po' troppo aderente al torace del libanese, alzò gli occhi e seguì quelli verdognoli di Michael.
Si ritrovò anche lui ad ammirare lo splendente cielo di Ronciglione. -Eh sì- disse.
Non si era mai accorto di quanto fosse bello fino a quella sera, o meglio se ne era dimenticato.
Un altro doloroso ricordo rimerse da qualche cassetto impolverato della sua mente.

Era in braccio a suo padre. La piccola manina indicava la luna piena, identica a quella che c'era quella sera. Le stelle sembravano cerare una corona intorno ad essa.
-Si dice che chi veda una stella cadente ed esprima un desiderio, questo poi si avvera- gli aveva detto, -ricordati di farlo se ne vedi una.-
Lui gli rispose che voleva chiedere alle stelle il nuovo modello di play station.
Restò per ore a contemplare il cielo, ma non ne vide neanche una.
Però la console, qualche giorno dopo, arrivò lo stesso. Gliela aveva reagalata sua padre.

Marco sentì un leggero pizzico all'occhio destro. Una lacrima minacciava di cadere. Quei piccoli frammenti di memoria facevano male.
La nostalgia per la sua vecchia vita era asfissiante. Voleva liberarsi di quel dolore, ma non ci riusciva. Suo padre, sua madre, l'unica amica che avesse mai avuto e tutto ciò che possedeva prima gli mancavano troppo.
Persino la scuola, quel luogo che tanto aveva odiato per gli atti di bullismo nei suoi confronti, considerato il "frocetto" dell'istituto, adesso sembrava mancargli.
Ma doveva essere forte e andare avanti. Era solo contro un mondo che non avrebbe mai accettato ciò che era. Sarebbe stata dura, ma in fondo lui ancora ci sperava che forse un giorno avrebbe potuto gustare il dolce sapore della felicità.
E, in quel momento, non si sentiva neanche più tanto solo. Quel ragazzo gli era ancora accanto e, nel suo silenzio, Marco sembrò leggerci la stessa sofferenza che provava lui.
Sperò con tutto se stesso di riuscire a vedere almeno una stella cadente. Avrebbe voluto chiedere che quel momento non finisse mai, di poter rimanere per sempre fermo ad ammirare la bellezza di quel ricciolino mentre guardava meravigliato il cielo.
Ma le stelle rimasero lì, nessuna sembrava voler lasciare il manto blu. E a Marco non rimase che sperare che il suo sogno si realizzasse, come quella volta, anche senza aver visto nessuna stella cadente.
Però il desiderio non si avverò.
Bastò una smplice vibrazione del suo cellulare ad infrangerlo e risvegliare Marco dalla dimensione dei sogni per riportarlo in quella reale.
Prese il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e controllò chi fosse, anche se, in fondo, già lo sapeva.
"Dove cazzo sei? Ti sto aspettando da più di venti minuti. Se non ti presenti, giuro che non la passi liscia questa volta" recitava il messaggio.
L'appuntamento. Se ne era completamente dimenticato. Doveva assolutamente andare o sarebbe finito in guai seri.
"Sono in ritardo, scusami. Dammi solo due minuti" digitò sulla tastiera del cellulare. Premette invio, sperando che quello sarebbe bastato a placare almeno parzialmente la sua ira.
La risposta arrivò quasi subito: "Due minuti. Non un secondo di più."
Marcò guardò il riccio. Aveva ancora lo sguardo rivolto verso il cielo. Sembrava un bambino che vedeva qualcosa per la prima volta e che, con gli occhi lucidi e un sorriso stampato sulle labbra, osservava meravigliato quella novità.
-Ora devo proprio andare- annunciò Marco, ma di alzarsi da quella panchina non ne aveva proprio voglia. Voleva rimanere lì con lui.
Il libanese smise di guardare il tetto blu scuro e puntò i suoi occhioni verdognoli su di lui. 'Sono bellissimi' pensò Marco
-Allora ciao- lo salutò. Nella voce si poteva percepire un tono leggermente amaro.
-A presto- 'Spero'.
Si alzò dalla panchina e cominciò a camminare verso il luogo del suo appuntamento. Una volta svoltato l'angolo e fuori dal campo visivo di Michael, infilò le mani in tasca ed abbassò la testa, inoltrandosi nelle buie e misteriose stradine di Ronciglione.

Michael rimase lì ancora qualche minuto. Ma restare ad osservare il cielo notturno non sembrava più tanto bello senza di lui.
Si chiese cosa avesse da fare a quell'ora. L'ipotesi più probabile era che dovesse vedersi con qualche ragazza. Non considerò neanche minimamente la probabilità che Marco potesse essere gay, forse perchè non voleva illudersi troppo.
Ma, comunque, quella dell'appuntamento con la ragazza non lo convinceva molto. C'era qualcosa di strano in lui, un velo di mistero che si celeva dentro quelle pozze color caffè.
Poggiò una mano sulla parte di panchina dove fino a pochi minuti prima era seduto il ragazzo. Il posto era ancora un po' caldo e si ritrovò a sperare che Marco tornasse di nuovo ad occuparlo.
Quando si accorse degli stupidi pensieri che la sua mente stava formulando su quel ragazzino, ritirò immediatamente la mano e si promise di non farlo più.
'Non di Marco, non ora' gli ricordò il suo piccolo cervellino che ogni tanto, seppur raramente, faceva sentire la sua presenza.
Si alzò e si incamminò verso casa. Ma, purtroppo, il pensiero era rivolto sempre verso Marco.
Dopo quello che era successo con il suo ex, anche se ormai erano passati due anni, il suo cuore aveva deciso di prendersi una pausa. Aveva sofferto troppo per quella storia che egli stesso aveva rovinato e non era ancora del tutto guarito.
A volte si ritovava ancora a pensare a quei due occhioni verdi. Ma questi pian piano si stavano sostituendo con due pozze profonde e scure.
Mentre ritornava al suo appartamento, s'imbattè nell'insegna luminosa del bar in cui aveva incontrato Marco quella stessa mattina. Senza capirne il motivo, si fermò davanti e rimase a osservare la porta socchiusa per alcuni secondi.
Anche se sapeva che Marco non era lì, decise di entrare. Aveva un urgente bisogno di bere qualcosa. L'alcol almeno lo avrebbe aiutato a non pensare per un po' a ciò che stava succedendo dentro il suo povero cuoricino.
Si diresse verso il bancone e ordinò una wodka. Una barista bionda e anche molto carina gli portò il bicchiere con il liquido che il riccio aveva richiesto.
-Grazie- le disse, buttando giù in un solo sorso la bevanda. La ragazza gli sorrise dolcemente. Poggiò i gomiti sul bancone e si posizionò di fronte a lui. Ci stava provando con Michael.
'Povera illusa' pensò, 'non ha nessuna speranza con me'.
Ordinò un altro bicchiere di wodka. La bionda esaudì immediatamente la sua richiesta, per poi tornare a guardare intensamente il riccio. Ma fu tutto inutile. Si ritrovò ad immaginare Marco sorridergli in quel modo.
L'alcol quella sera non era dalla sua parte. Non doveva pensare a Marco, e invece si ritrovava ad immaginarsi che ci provava con lui. Forse era meglio smetterla di bere e tornare a casa prima di peggiorare la situazione.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Eh sì, sono ancora viva hahaha
Per prima cosa vorrei scusarmi per il ritardo, ma, come vi avevo già anticipato, questa settimana non ho avuto molto tempo per scrivere a causa della scuola.
Comunque, nonostante ci abbia messo tanto, il capitolo fa veramente schifo. Non mi convince per niente.
E poi è solo un capitoletto di passaggio, non succede nulla di interessante. Ma nel prossimo scopriremo cosa sta combinando quell'idiota di Marcolino eheheh
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 4
*** #03. Dipendenze. ***




03. Dipendenze.





In pochi minuti Marco arrivò al luogo dell'appuntamento. Luca era appoggiato con le spalle al muro e guardava nella sua direzione. Il suo sguardo color ghiaccio provocò un piccolo brivido che si propagò lungo la schiena di Marco.
Gli si avvicinò con cautela, quasi come se temesse che potesse saltargli addosso all'improvviso e sbranarlo come una bestia feroce. E, considerato che il ragazzo era famoso per la sua "mania" di prendere a pugni la gente, poteva anche farlo per davvero.
«Finalmente ti sei degnato di arrivare» gli disse con quel suo caratteristico tono di voce tetro.
Sul suo viso era stampato un'espressione dura. Se ne stava con le braccia incrociate davanti l'addome, una gamba piegata e il piede appoggiato al muro.
«Mi sono già scusato.»
Luca rimase impassibile, non lo degnò neanche di una risposta. «Hai con te i soldi?» chiese.
«Sì» Marco sfilò due banconote da 50 euro da una tasca dei suoi jeans, «questi sono per quella precedente» gli porse la prima banconota, «e questi per quella di oggi» disse, dandogli anche la seconda.
«Bene» prese i soldi e li infilò velocemente nelle tasche, tirandone fuori una piccola bustina. La rigirò tra le dita e ci giocherellò per alcuni secondi, poi la lanciò a Marco, il quale allungò una mano di scatto e la afferrò.
«G-Grazie.» La voce di Marco era tremante e tradiva la paura che provava per quel ragazzo.
Luca ridacchiò. «A presto frocetto» lo salutò con disprezzo. Abbassò la testa e si incamminò negli scuri antri di quel piccolo e misterioso quartiere.
Luca era un ragazzo di soli ventitré anni, eppure aveva sofferto più di qualunque altro essere vivente a questo mondo, più dello stesso Marco. Suo padre era morto in un incidente quando lui aveva soli dodici anni.
Per quel che gli aveva raccontato, Marco sapeva che Luca aveva visto morire suo padre davanti ai suoi occhietti color mare. Si trovava in macchina con lui quando era successo. Il padre lo stava rimproverando per l'ennesimo due in matematica. Stavano ritornando a casa dopo che era andato a prenderlo a scuola. Era furioso e continuava ad urlare contro Luca.
Gesticolava con le mani sul volante mentre alternava lo sguardo da Luca alla strada. E poi non vide la curva, quella maledetta e terrificante curva che aveva ucciso migliaia di persone su quella strada.
Il padre di Luca riuscì a sterzare all'ultimo secondo, ma finì nell'altra corsia e si scontrò con una macchina che sfrcciava alla massima velocità sull'asfalto. Luca fu l'unico a sopravvivere.
Una volta, quando era completamente fatto, aveva raccontato a Marco la sua storia. Gli aveva descritto con precisione ogni particolare di quella scena. Marco ricordava ogni singola parola.

«Mio padre stava gridando, mi stava riproverando per il brutto voto» gli aveva detto, «io mi limitavo ad annuire e a promettergli che sarei migliorato. Poi il rumore di una frenata» i suoi occhi glaciali, puntati in quelli di Marco, sembrarono quasi dilatarsi e assumere un colore ancor più freddo, «uno schianto. La mia testa che sbatte contro il parabrezza. Un dolore lancinante al capo e rivoli di sangue che sgorgavano dal mio naso. Mi girai verso mio padre. Aveva il capo poggiato sul volante e la faccia completamente ricoperta dal sangue. Non si muoveva. Io provai a scuoterlo, ma sembrava morto. E, dopo poche ore, lo divenne per davvero» le sue orbite oculari si riempirono di lacrime. Non aveva mai visto Luca piangere. Aveva gettato la sua maschera e aveva scoperto il suo vero volto. Non era il ragazzo stronzo e figo che voleva far credere, era solo una persona che aveva sofferto molto e che si stava creando una barriera intorno per evitare succedesse ancora. «L'ho ucciso, Marco» una piccola goccia solcò il suo viso, «l'ho ucciso» ripetè, «è morto a causa mia.»

Quella era stata la sera in cui si era innamorato di lui. Aveva scoperto chi era veramente Luca. Non era un semplice tossicodipendente che si "faceva" solo per essere alla moda, ma una persona sola e segnata nell'animo, come lui.
Però Luca era un ragazzo sveglio e aveva capito fin da subito che Marco aveva degli orientamenti sessuali diversi. Lo chiamava sempre "frocetto", però era l'unico che era rimasto con lui dopo aver saputo della sua omosessualità. E, nonostante continuasse sostenere che lo faceva solo perché era il suo miglior "cliente", Marco sapeva che non era così. Luca era l'unico vero amico che avesse mai avuto.
Ora non era più innamorato di lui, anche se, spesso, si ritrovava a far pensieri decisamente poco casti sul ragazzo.
Guardò la piccola bustina che gli aveva dato. Sospirò, ormai arreso all'idea di non poterne più farne a meno.
Si incamminò verso "casa". Viveva ancora in quella sottospecie di motel. Aveva stretto un buon rapporto con il vecchio proprietario, Vincenzo, e sua moglie, Sabrina, che ormai lo consideravano come un figlio. Spesso non si facevano pagare neanche a fine mese per il piccolo appartamento.
La sera capitava che lo invitassero a cenare con loro, soprattutto di domenica. Di solito Sabrina cucinava il piatto preferito di Marco, la carbonara. Lo apprezzava molto, ma quel piatto fumante e il suo tipico buon odore gli riportavano alla mente sua madre. Lei cucinava spesso quella pietanza. Era squisita, aveva un sapore insuperabile. E a Marco mancava.
Aveva la nostalgia di vedere sua madre ai fornelli armeggiare con i mestoli e le pentole, afferrare le spezie da un ripiano un po' troppo alto alzandosi in punta di piedi per riuscire a raggiungerlo, mescolare la pasta, aggiungere un pizzico di sale e poi esclamare "è pronto" mentre impiattava la sua speciale carbonara.
'Smettila stupido cervello' imprecò il ragazzo contro se stesso. Ultimamente la sua mente si stava perdendo troppo in piccoli e nostalgici flashback. E lui non aveva alcuna voglia di ricordare quei dolori sepolti in fondo al suo cuore.
Osservò ancora la bustina che aveva in mano. Appena avrebbe mandato al suo cervello la polverina bianca che conteneva, i ricordi e la sofferenza lo avrebbero abbandonato almeno per quella sera. Ma sapeva che il giorno dopo si sarebbe svegliato di nuovo ridotto come uno straccio e tutto il dolore sarebbe tornato a impossessarsi di ogni membra del suo corpo. Quello della cocaina, purtroppo, era solo un effetto temporaneo, troppo breve.
Ogni volta che la assumeva si sentiva libero dalle catene del passato, proiettato in una dimensione dove lui poteva essere felice. Ma poi quell'universo parallelo sfumava via come il fumo scompare velocemente nell'aria e si mescola ad essa, e Marco ritornava sul mondo crudele a cui sentiva di non appartenere. E si ritrivava a sperare di ruscire a guadagnare una mancia abbastanza corposa il giorno dopo per potersi procurare un'altra dose di quella polverina magica.
Tornato al motel, tirò dritto fino alla sua camera. Lanciò un sorriso e un saluto con la mano a Vincenzo dietro al bancone, poi sparì sulle scale ed entrò nella sua stanza.
Posò la bustina di cocaina sul tavolo, poi sfilò il portafoglio dai suoi jeans e ne tirò fuori una banconota da 10 e una vecchia carta di credito, ormai non più valida da anni, datagli dai suoi genitori quando ancora lo consideravano loro figlio.
Aprì il pacchetto. Sparse la poverina bianca sul legno scuro del tavolo e, aiutandosi con la tessera, la ordinò in una sottile linea. Arrotolò la banconota su se stessa, creando un piccolo tubicino. Ne avvicinò un'estremità alla poverina bianca e all'altra ci avvicinò il naso. Chiuse gli occhi, come faceva sempre prima di iniettare quella sostanza nel suo organismo. Di solito pensava a cosa avrebbe voluto dimenticare per quella sera. Ma, questa volta, immaginò un ragazzo dai voluminosi capelli ricci che gli sorrideva e gli tendeva una mano mentre lui era sull'orlo di un profondo precipizio. Sembrava volerlo salvare.
Marco cancellò immediatamente quell'immagine dalla sua mente. Nessuno avrebbe potuto salvarlo. Riaprì gli occhi e tirò sù col naso la polverina, anche se lo fece con un po' più titubanza del solito.
Degli attimi che si susseguirono dopo non si ricordò nulla. Sapeva solo che si sentiva felice e libero. Ma era solo un'illusione e presto sarebbe finita.

Mentre continuava il suo viaggio verso casa mezzo ubriaco, Michael riconobbe da lontano un profilo familiare. Silenziosamente si avvicinò.
Quando fu abbasfanza vicino da intravedere i lineamenti del ragazzo, rimase spiazzato nello scoprire chi fosse. Era Davide. E stava baciando un'altra persona che Michael conosceva bene: Andy, il ragazzo con il quale lo aveva tradito.
Non poteva essere vero. Michael non riusciva a credere a quell'immagine che si ritrovava davanti. Si strofinò gli occhi con le mani, poi li riaprì, per accertarsi che quella non fosse un'allucinazione dovuta all'alcol che era in circolo nel suo corpo.
Ma i due erano ancora lì.
Il ricciolino sapeva che, ritornando a Ronciglione, ci sarebbe stata la possibilità di rivedere il suo ex. Ed era pronto ad affrontare quell'eventualità nel caso si fosse presentata, ma non credeva fosse successo in quel modo, mentre amoreggiava insieme al ragazzo con il quale era stato tradito. Sembrava quasi la trama di una fiction piuttosto contorta. Peccato che fosse tutto reale.
Avrebbe voluto tirare un doloroso pugno su quei bei faccini che si ritrovavano, ma quel poco di lucidità che gli rimaneva gli suggeriva di andare via da lì prima di combinare qualche guaio. Così mise da parte il suo istinto omicida e si convinse a tornare al suo appartamento.
Quando arrivò, si gettò sul suo comodo letto e immerse la pesante testa, che sembrava voler scoppiare, nel morbido cuscino.
Ci stava male per quella scena che aveva visto poco prima. Ma non perché il suo ragazzo stava baciando un altro, bensì per chi stava baciando. Era stato piuttosto strano.
Però doveva superare il passato. In fondo, era tornato lì per questo. Dietro la scusa della vacanza, c'era una motivazione molto più profonda. Tornando a Ronciglione si sarebbe ritrovato nuovamente ad affrontare ciò che lui stava continuando ad ignorare. E, per riuscire a superare questa situazione, sapeva che doveva prima fare i conti con il passato, che ogni tanto continuava ancora a incombere sulla sua vita.

La fastidiosa suoneria della sveglia interruppe il sonno di Marco, addormentatosi neanche tre ore prima. Erano le sei e lui doveva andare a lavoro.
Ciò che gli rimaneva della sera precedente erano solo un doloroso mal di testa, piccoli frammenti sfuocati di un ragazzo dai capelli ricci e la voglia di raccimolare più soldi possibili per pagarsi un'altra dose.
Dopo essersi lavato, vestito ed aver ingurgitato un bocchiere di latte al volo, Marco si diresse a lavoro. Camminò sotto il sole bollente di giugno. Le strade erano quasi deserte, solo qualche macchina ogni tanto passava.
Probabilmente era qualche ricco lavoratore che stava andando a rinchiudersi in un ufficio per il resto della giornata. Marco pensò che non avrebbe mai potuto fare un lavoro del genere. Armeggiare tra scartoffie e restare incollato dietro una scrivania per ore non faceva di certo per lui.
Preferiva di gran lunga il suo modesto lavoretto da cameriere. Scivolando tra i tavolini incontrava nuove persone, conosceva storie diverse, si immaginava cosa potesse esserci dietro alle espressioni della gente e si divertiva a indovinare quale potesse essere il motivo della loro felicità o, a volte, della loro tristezza. Amava quell'aspetto del suo lavoro. Gli permetteva di conoscere un caleidoscopio infinito di sfaccettature della vita. E poi gli aveva permesso anche di rincontrare, dopo tanti anni, Michael.
Il pensiero del ragazzo slittò inevitabilmente su di lui. Sperava che anche quella mattina il riccio avesse tanta fame da tornare ad ordinare un cornetto al cioccolato nel suo bar.
Sospirò ed entrò nel locale. Fabrizio, il suo capo, era dietro al bancone al posto di Marco e guardò il ragazzo avvicinarsi a lui con un'espressione alquanto adirata dipinta sul volto.
«Finalmente il signor Mengoni ci ha onorati con la sua presenza» lo schernì. Una piccola e placata risatina smorzata arrivò da Alessia, che stava servendo un caffè a pochi metri da loro.
Marco si voltò verso di lei e le fece la linguaccia, mentre Fabrizio continuava a rimproverare il povero ragazzo per quell'ennesimo ritardo.
Annuì alle raccomandazioni del capo, ma senza prestargli realmente attenzione. Prese posto dietro al bancone e si infilò il suo grembiule da barista.
Quando la gente iniziò a popolare il locale e lui dovette volare da un tavolo all'altro per prendere le ordinazioni, pensò che forse un lavoro dietro la scrivania non gli sarebbe dispiaciuto poi così tanto.
Almeno non avrebbe dovuto fare i conti con una massa di belve affamate che reclamavano a gran voce la loro colazione.
Poi la porta d'entrata si aprì di nuovo e fece la sua entrata una testa riccioluta disordinata. E Marco pensò che forse doveva aggiungere un'altra voce alla lista delle sue dipendenze.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Finalmente sono riuacita ad aggiornare yeahhh hahahaha
Vabbè il capitolo, come al solito, non mi piace neanche un po' .. avrei voluto riuscire a trascrivere meglio le emozioni di Marco, la storia di Luca, e trasmettervi ciò che i due hanno provato .. ma boh, mi è uscita fuori solo questa mezza schifezza u.u
Cooooomunque il nostro Marcolino è caduto in un giro "vizioso" e pericoloso .. riuscirà mai ad uscirne?!
Lo scoprirete nei prossimi capitoli muahahaha (come sono perfida, eh?!)
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 5
*** #04. Patto muto. ***




04. Patto muto.





Michael tornò, anche quella mattina, nel locale in cui lavorava Marco. Entrò e si diresse subito al posticino che aveva occupato il giorno prima.
La sala non era piena. C'erano solo alcuni anziani radunati davanti al bancone che parlottavano tra di loro, sorseggiando il caffè che avevano appena ordinato. Per il resto, il bar era quasi vuoto.
Aspettò con pazienza che qualcuno venisse a servirlo, sperando inconsciamente che quel qualcuno fosse quel dolce ragazzino che il giorno prima gli aveva versato il caffè sulla sua maglietta bianca.
Picchiettò con le dita sul tavolino. Il suo stomaco stava incominciando già a brontolare.
Puntò, allora, lo sguardo oltre il bancone, cercando con gli occhi la vera ragione, che non era affatto la colazione, per la quale era tornato in quel locale.
Lo sorprese mentre, con un'espressione alquanto accigliata sul volto, imprecava contro la macchinetta del caffè. Le diede un ceffone, ma quell'arnese sembrava non voler collaborare con lui quella mattina. A Michael, che osservava la scenetta dal suo tavolino, scappò un piccolo risolino.
Il ragazzino sbuffò, arrendendosi all'idea che non sarebbe mai riuscito a far funzionare quell'aggeggio infernale, e disse qualcosa all'altra barista, che prese il suo posto.
Marco, quindi, liberatosi di quella stupida macchinetta del caffè, poté saettare tra i tavolini. Mentre si avvicinava ad uno di quei pochi clienti presenti, sembrò quasi cercare con lo sguardo qualcuno, proprio come aveva fatto Michael pochi minuti prima, scandagliando da cima a fondo tutta la stanza.
I suoi occhi, inevitabilmente, si scontrarono con quelli del ricciolino.
Ma Michael mise subito fine a quel contatto visivo, abbassando lo sguardo sulle sue mani, che stavano giocando con un piccolo fazzoletto di carta preso dal tavolo, non riuscendo a sostenere quei due profondi occhioni color caffè.
Dopo essersi occupato di un paio di clienti, Marco, finalmente, lo raggiunse.
«Ciao» lo salutò.
Il ricciolino increspò un po' le labbra all'insù.
«Buongiorno» disse.
«Cosa posso portarti?»
«Cornetto al cioccolato e caffè» rispose il libanese.
«D'accordo» bofonchiò, appuntando la piccola ordinazione.
Marco indossava un grembiulino da barista bianco con, al centro, una grossa scritta che indicava il nome del locale. Sotto spuntava un pantalone di jeans a sigaretta che fasciava stretto le magroline gambe del ragazzo. Nella mano sinistra aveva un taccuino e in quella destra una penna nera, che, mentre scriveva, stava mordicchiando con i denti.
Poi, scritta l'ordinazione, il ragazzino si voltò e tornò dietro al suo bancone.

Marco si affrettò a preparare la colazione al riccio, premurandosi di fare un caffè abbastanza decente e di prendere il cornetto che, dall'aspetto esteriore, sembrava quello più appetitoso.
Appoggiò il tutto su un vassoio e poi tornò nuovamente dal riccio.
«Ecco» disse, sistemandogli accuratamente la sua ordinazione sul tavolo.
Michael lo ringraziò e, quando il ragazzo si spostò verso un altro tavolo, cominciò a mangiare. Ma i suoi occhi e il suo pensiero erano sempre rivolti a Marco. Rischiò addirittura di strozzarsi quando il ragazzo si voltò verso di lui e, notando che lo stava osservando, gli fece un lieve sorrisetto. Inghiottì il boccone di cornetto che aveva in bocca, ma questo rimase bloccato in gola, rischiando quasi di strozzarlo. Tossì e agguantò la tazza di caffè. Lo bevve tutto in un sorso e, quando sentì il liquido caldo scivolargli in gola, tirò un sospiro di sollievo.
Marco, nel frattempo, aveva assistito a tutta la scena e non poté trattenere un risolino. Michael gli lanciò un'occhiataccia e il cameriere aumentò ancora di più le risate.
'Non solo stavi per ammazzarmi con quello splendido sorrisetto che ti ritrovi' pensò il riccio, 'ma hai anche il coraggio di prendermi in giro. Brutto bastardo.'
Per evitare di finire all'altro mondo, il libanese si sforzò di puntare lo sguardo su ciò che stava mangiando e non sul bel cameriere sexy.
Finito di ingurgitare quella delizia, Michael, per fortuna ancora vivo, prese il portafoglio e ne estrasse una banconota da 20. La lasciò sul tavolo e, approfittando della distrazione del ragazzo, impegnato a scrivere sul suo taccuino, sgattaiolò velocemente fuori dal locale per evitare che tornasse e potesse offrirgli di nuovo la colazione.
Quando Marco, però, tornò a rivolgere lo sguardo verso di lui, al posto di quella chioma riccioluta, trovò solamente una sedia vuota. L'espressione solare che si era materializzata sul viso del ragazzo al suo arrivo scomparve e, al suo posto, ne aleggiò una triste.
'Avrebbe almeno potuto salutarmi' pensò.
Si avvicinò al tavolo per riscuotere il conto, ma notò che la mancia che gli aveva lasciato il ricciolino era decisamente troppo elevata. Sarebbe bastata da sola per comprare quasi metà della sua dose di droga.
Lo stipendio mensile da barista spesso non gli permetteva di far "visita" a Luca ogni giorno, a stento gli bastava per pagare l'appartamento nel quale viveva e le cose basilari. Quindi, per saziare la sua dipendenza, non gli restava che sperare in delle buone mance.
Ma le persone normali non sono così generosi e spesso lasciavano a stento pochi spiccioli. Per non parlare poi dei clienti abituali che, ormai considerati come amici, spesso non pagavano neanche il caffè che venivano a prendersi ogni mattina.
E Marco allora doveva aspettare un altro giorno, finché non avesse ricavato un gruzzoletto abbastanza soddisfacente, mentre dentro di sé il bisogno di quella polverina bianca cresceva sempre di più, fino a diventare quasi insopportabile.
Quando il suo turno si concluse, Marco contò i soldi racimolati durante la mattina.
54 euro. Perfetto, sarebbero bastati per la sua dose giornaliera.
"Ho abbastanza soldi per un'altra dose" scrisse in un messaggio che inviò a Luca.
"Stasera. Al solito posto. Alla solita ora." fu la risposta dell'altro ragazzo.

Come il giorno precedente, Marco, prima di andare da Luca, decise di passare vicino a quella panchina, dove sperava di ritrovarci il suo bel libanese.
Si avviò a piedi e, quando fu distante solo pochi passi, notò che era già occupata per metà da qualcuno. E, con quell'ammasso di cespuglio riccioloso e i suoi quasi due metri di altezza, non gli fu difficile riconoscere che quello lì seduto era proprio Michael.
La tenue luce del lampione gli permise di ammirare, ancora una volta, la bellezza dei suoi tratti. Il raggio giallo accarezzava dolcemente i lineamenti del riccio, illuminando la già meravigliosa perfezione del suo viso. Lo sguardo lo teneva puntato sulle sue mani, nelle quali stringeva due bottigliette di birra. E più lo guardava, più Marco pensava che quel ricciolino iniziava a piacergli davvero.
Si avvicinò ancora un po' alla panchina, poi si sedette accanto a lui.
Il libanese si era accorto già da un po' della presenza del ragazzino e dei suoi occhi che avevano indugiato per qualche secondo su di lui. Si voltò nella sua direzione e cominciò a ridere. Marco lo guardò accogliato.
«È buffo» disse, «e strano.»
«Cosa?» chiese il ragazzino, confuso.
«Che tu è qui e io sono qui» rispose, incespicando col suo strano italiano.
«Molto strano.»
Michael arricciò il suo dolce nasino e, cercando di calmare le risate, biascicò: «Inquietante.»
«Oh puoi dirlo forte» sbottò Marco.
Sembrava quasi un appuntamento, il loro. Ma, in realtà, non era stato mai sancito. Era più un patto muto, un segno del destino. Qualche entità soprannaturale voleva chiaramente che quei due si incontrassero.
O forse a volerlo erano solamente loro, ma di questo ancora non se ne rendevano conto.
Il riccio inarcò un sopracciglio. «Perché devo dirlo forte?»
Marco si portò una mano sulla fronte e scosse la testa. «È un modo di dire, Michael.»
Il riccio fece una smorfia, poi cambiò discorso.
«Comunque» cominciò, «Che ci fai di nuovo qua?»
Marco, per un secondo, andò in panico. 'Avevo una voglia matta di rivederti' pensò. Ma questo non poteva di certo dirglielo. «Beh...» ci pensò un po' su, «tu che ci fai qui?»
Michael rimase spiazzato. «Io... Ehmm...» la realtà era che gli avrebbe anche risposto, se non fosse che era da circa un'oretta che continuava a farsi quella stessa domanda, «I don't know. Questo posto mi aiuta a pensare, a riflettere. E poi volevo vedere te e speravo di trovarte qui» ammise infine, «and you?»
Le guance di Marco incominciarono ad assumere lo stesso colore della maglietta che in quel momento indossava. Rosso fuoco.
'Volevo vedere te.' Era bastata quella piccola frase a mandare in tilt il suo cervellono.
«Beh» rispose, «anche io.»
Il sorriso, già presente sulle labbra di Michael, si estese ancora di più.
Il riccio, poi, stappò una delle due birrette che aveva in mano, mentre l'altra la porse a Marco, offrendogliela. Questa volta, però, il ragazzino esitò.
«Un goccio d'alcol può solo aiutarti a dimenticare per po' la tua sofferenza» tentò di convincerlo.
Ma Marco aveva un altro modo per rimuovere i pensieri tristi dalla sua mente. E l'alcol in quel momento non poteva aiutarlo.
«No, grazie» rifiutò.
«Okay, allora vuol dire che le bevo tutte e due io» disse e si portò alla bocca la prima bottiglietta.
'Oh perfetto!' pensò il ragazzino, 'Un alcolista e un tossicodipendente... Andiamo di bene in meglio!'
Restarono per più di un'ora insieme su quella panchina. Ne approfittarono per conoscersi meglio, per parlare un po' della loro vita.
Ma, nonostante ciò, dalla bocca di nessuno dei due uscì la parola "gay". Avevano entrambi paura di non essere, per l'ennesima volta, accettati.
E Marco non poteva permettersi di perdere l'unica persona che, in quel momento, poteva considerare la cosa più simile ad un amico, anche se, però, il ragazzino faceva un enorme sforzo a cercare di vederlo come tale e reprimere l'istinto selvaggio di afferrare quella testolina, immergere le sue dita lunghe e affusolate in quell'ammasso di ricciolini, e baciare le sue labbra fino a dovorarle completamente.
Quello che, invece, Michael voleva in quel momento, vedendo il ragazzino così triste e tormentato, era solo stringerlo a sé e cancellare da quei due grossi occhioni color caffè tutto quel dolore che trapelava limpido dalla sua espressione. Voleva poter aiutarlo, scoprire quale fosse il suo problema e risolverlo. Voleva riuscire a portare un po' di luce sul suo viso spento.
«Oh cazzo!» esclamò Marco, ricordandosi improvvisamente di Luca, «Io ora devo andare.» Scattò in piedi e, allontanandosi a passo svelto dalla panchina, sibilò un "A presto Michael".
Non ci furono altre parole tra i due. Nessun appuntamento per il giorno successivo, magari su quella stessa panchina. Ma entrambi già sapevano che si sarebbero ritrovati la sera dopo di nuovo lì. Ormai avevano stretto un patto muto. Quello sarebbe stato il luogo dei loro incontri inconsapevoli, il luogo che avrebbe visto nascere una profondo rapporto d'amicizia tra i due.

***



E così fu. Ogni singola sera si ritovavano lì e cominciavano a parlare. O meglio, era Michael a parlare, mentre Marco si limitava ad ascoltare e annuire di tanto in tanto.
Accadeva spesso che il ragazzino si immergeva così tanto nelle parole del ricciolino che finiva addirittura per perdersi nei suoi racconti. Gli aveva parlato della sua infanzia, poco felice e piuttosto movimentata, e delle conseguenze a cui aveva portato, ossia della sua dislessia. Gli aveva detto che, però, grazie alla musica, era riuscito a trovare una nuova ragione per andare avanti, per trovare la forza di lottare per realizzare i suoi sogni. Gli disse anche che aveva scritto molte canzoni, ma che ogni casa discografica a cui si era presentato gli aveva sbattuto la porta in faccia. E così aveva deciso di iniziare a studiare lingue, nonostante la dislessia gli desse non pochi problemi.
«Non so neanche leggere un orologio» gli confidò.
«E allora perché ne porti uno?» Marco indicò l'oggetto di metallo che il riccio portava al polso.
«It's cute» rispose, scrollando le spalle, «mi piacciono gli orologi, nonostante siano così complicati. Sono degli oggetti affascinanti. A volte mi incanto a guardare le lancette scorrere da un numero all'altro e mi chiedo come è possibile che quei piccoli e apparentemente insignificanti movimenti possano scandire il tempo.»
Incuriosito dal discorso di Michael, il ragazzo guardò l'orologio che anch'egli portava al braccio. Tentò di seguire il ragionamento del riccio, ma non riusciva a trovarci nulla di interessante in delle freccette che giravano sopra a dei numeretti. L'unica cosa che riuscì a notare fu che era, di nuovo, tremendamente in ritardo.
Quando stava con Michael era sempre così. Non si accorgeva del tempo che scorreva veloce intorno a lui. Poteva rimanere ore ed ore nel suo piccolo mondo ad osservare semplicemente le labbra del bel ricciolino muoversi e ascoltare il dolce e affascinante suono che aveva la sua voce.
«Michael io devo...» disse, alzandosi dalla panchina.
«Sì, lo so» lo interruppe il libanese, «devi andare.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo e annuì.
«Allora a domani» lo salutò il ricciolino, sorridendogli dolcemente.
«A domani.»
'Tanto prima o poi lo scoprirò dove vai' pensò Michael, mentre guardava il ragazzo camminare verso chissà quale meta.

«Ciao Marco» lo salutò Luca quando lo vide arrivare, «è da un po' che non ci si vede, eh?!» lanciò a terra un mozzicone ancora fumante di sigaretta e ne calpestò la punta con un piede, «Hai cambiato spacciatore o il tuo ridicolo lavoro da servetto in quel bar non riesce più a coprire le tue spese "extra"?» Dalla sua bocca uscì il suono gutturale di una risata, che rieccheggiò tutt'intorno a lui.
«No» rispose, «semplicemente non ne avevo bisogno.»
Ed era vero. Da quando il ricciolino era entrato nella sua vita il bisogno di quella sostanza stava via via diminuendo. Inconsapevolmente, gli stava salvando la vita.
Luca sgranò gli occhi, incredulo. «Non ne avevi più bisogno?» inclinò un po' la testa di lato, «E allora perché adesso sei qui?»
«Perché adesso mi serve, invece.»
Infatti, era da un po' di tempo che si era accorto che l'attrazione che provava per Michael stava tramutandosi in qualcos'altro di più profondo. Ma lui doveva cancellare quello strano sentimento che si stava facendo largo nel mio cuore e stava distruggendo tutte le sue difese. Non poteva permettersi di innamorarsi. Così, non avendo altra scelta, aveva deciso di tornare a reprimere i suoi sentimenti nella droga.
Allungò una mano verso il biondino e gli fece cenno di consegnargli la roba.
«Prima i soldi» ringhiò Luca.
Ritrasse la mano e la infilò in tasca. Una volta trovati i contanti, li porse al ragazzo.
Luca afferrò i soldi con una tale violenza che quasi gli strappò una mano. «Tieni» disse, dandogli la dose di cocaina che gli spettava, «A quando ne avrai di nuovo bisogno, frocetto.»
E, detto questo, girò sui tacchi, scomparendo dopo pochi passi dietro un angolo scuro.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Lo so, sono di nuovo tremendamente in ritardo e, tra l'altro, ho scritto un capitolo penso, ma ho avuto un po' da fare in questi ultimi giorni.
E poi questo capitolo ho dovuto riscriverlo ben 3 volte perché non mi piaceva come era venuto fuori e, tuttavia, non mi convince ancora.
Ma non volevo farvi aspettare oltre e ho deciso di pubblicare la versione che mi sembrava più decente. Cercherò di farmi perdonare con il prossimo (non vi garantisco nulla però xDD)
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 6
*** #05. Un angelo custode riccioluto. ***




05. Un angelo custode riccioluto.





«Sai, sono un tipo piuttosto timido. Se vado a una festa devo bere tre drink prima di riuscire ad attraversare la stanza...»
Mentre parlava, Michael gesticolava con le mani. Lo faceva sempre, Marco se ne era accorto da un bel po'. Ed amava osservarlo mentre con le mani cercava di mimare qualche parola e le sue dita sfioravano leggiadre l'aria.
«Che ti piace molto l'alcol» disse Marco, «l'avevo già notato.»
«Aiuta me» si difese il ricciolino col suo adorabile accento inglese, «quando sono triste sembra l'unica cosa in grado di capirme. E aiuta me a dimenticare il motivo per cui non sorrido. Capisce cosa intendo?»
'Ti capisco meglio di quanto tu possa immaginare'. «Sì.»
«So che non fa molto bene bere troppo, ma non è una vera e propria dipendenza la mia» spiegò, «lo uso solo quando mi serve davvero, solo quando so che l'unica cosa che potrebbe farme stare meglio è bere un pochettino, oppure quando la timidezza prende il sopravvento su di me. Con qualche drink in circolo nel mio sangue mi sento molto più sicuro di me.»
E, ancora una volta, Marco si immerse nel caldo flusso delle parole di Michael.
Se lo immaginava ad una festa, incollato al bancone dei drink, con lo sguardo confuso e impaurito di chi si trova in un mondo che non gli appartiene.
Era così che si sentiva anche Marco, con l'unica differenza che quella sensazione di trovarsi nel posto sbagliato lo accompagnava, non solo ad una stupida festa, ma ovunque andasse. Ovunque tranne che con lui su quella panchina.
Quello era il suo posto, il suo mondo. E lì stava bene. Ma tutto svaniva quando, fattosi troppo tardi, doveva tornare nel mondo reale, dove lui era un tossicodipendente e aveva un "appuntamento" con la sua polverina bianca scacciasentimenti.
E, anche quella sera, il tempo stava scorrendo troppo velocemente.
Rivolse il suo sguardo verso Michael. Gli stava ancora raccontando di quando si era ubriacato tanto da aver passato tutta la notte con la testa conficcata nel gabinetto a vomitare. E Marco pensò che gli sarebbe tanto piaciuto tenergli una mano sulla fronte, l'altra nel cespuglio riccioluto che aveva in testa, e sussurrargli: "ci sono io con te, Michael".
Ma quella era solo una sua stupida fantasia irrealizzabile. Come avrebbe potuto aiutare lui se non sapeva aiutare neanche se stesso?
Restò ad ascoltare il suo racconto, incurante dei minuti che passavano, finché il ricciolino non concluse il discorso con un "e da quel giorno il water è diventato uno dei miei migliori amici".
Marco lo guardò con gli occhi di uno che capiva bene ciò che il riccio provava. Anche lui aveva un migliore amico: il suo era la droga però.
Qualcosa dentro di lui stava urlando che doveva dirglielo, che doveva confidarsi con Michael, che avrebbe potuto aiutarlo.
Ma le sue labbra non emisero alcun suono, e il sapore aspro di quelle parole non dette gli rimase in bocca.
«Adesso io devo...» cercò di dire, ma il riccio lo interruppe.
«Yes, I know» affermò, «devi andare.»
Marco annuì e Michael abbozzò un piccolo sorrisetto.
«Beh allora ciao» lo salutò il ragazzino.
«Bye bye» disse il riccio, mentre guardava Marco alzarsi e, a passi svelti, allontanarsi da lui.
Per un momento gli balenò in mente l'idea di provare a seguirlo. Era da molto tempo ormai che desiderava scoprire dove avesse tanta fretta di andare quasi ogni sera.
Ma il libanese scosse la sua testolina riccioluta e ricacciò indietro quello stupido pensiero.
'Non puoi seguirlo' gli riproverò la sua coscienza, 'pensa a se ti scoprisse... Ti prendererebbe per uno stalker!'
E, gli costava ammetterlo, aveva ragione. Non osava neanche immaginare che cosa avrebbe fatto Marco se lo avesse scoperto a seguirlo.
Eppure la curiosità gli opprimeva lo stomaco. 'E se è in qualche grosso guaio?' si chiedeva, 'E se, invece, è un appuntamento con qualche ragazza?'
Sì, era tremendamente geloso. Lui voleva - e doveva - assolutamente scoprire dove si stesse dirigendo il suo bel cameriere sexy.
Così, senza pensarci oltre, si alzò anch'egli dalla panchina e iniziò a seguirlo, tenendosi a pochi metri di distanza dal ragazzo e nascondendosi, talvolta, dietro a qualunque cosa si trovasse davanti capace di coprire il suo troppo slanciato corpo.
E, man mano che camminava, la curiosità e i dubbi aumentavano.
Il ragazzino svoltò in un angolo buio. Lì c'era uno dei quartieri più malandati della città.
Le strette stradine erano illuminate da rari lampioni, il più delle volte non totalmente funzionanti, e, ai lati, si trovavano file di case interminabili, addossate l'una all'altra.
Ma per strada non c'era anima viva. Sarebbe potuto sembrare quasi un quartiere abbandonato, se non fosse stato per le luci che filtravano dalle finestre sbarrate di quelle abitazioni.
Un brivido attraversò il corpo di Michael quando, dietro di lui, qualcosa, tra dei cassonetti dell'immondizia ormai straboccanti di sacchetti, si mosse. Ruotò meccanicamente la testa e tentò di scorgere cosa avesse provocato quello spostamento. Un gattino, che sotto quella scarsa luce sembrava quasi nero, stava rovistando tra gli scarti.
Michael tirò un sospiro di sollievo e tornò a voltarsi verso Marco, che, proprio in quel momento, stava girando a destra.
'Ma che diavolo deve fare in un posto del genere?!' si chiese il ricciolino, mentre le sue gambe continuavano a marciare sull'asfalto.
E, quando si ritrovò la soluzione di tutti i suoi dubbi davanti agli occhi, quasi non voleva crederci.
Marco si era fermato davanti ad un ragazzo poco più alto di lui, dai capelli biondi e gli occhi rigorosamente azzurri, ma che, dell'atteggiamento, non lasciava trapelare nulla di buono per chi aveva a che fare con lui.
'In che razza di guaio ti sei cacciato, Marco?' pensò.
Sentendosi troppo esposto, Michael cercò con lo sguardo qualcosa dietro cui potesse nascondersi. Alla sua destra, scorse un piccolo muretto. Cautamente, si spostò, cercando di non far troppo rumore, e si accucciò sulle ginocchia, lasciando che il muro coprisse per bene la sua immagine. Sporse leggermente la testa riccioluta al di fuori, in modo da aver ben chiara la scena sotto il suo sguardo.
Nell'aria aleggiava un inquietante silenzio. Solo il fruscio del vento, che batteva sulle vecchie mura delle case circostanti, interrompeva la più totale quiete.
Il biondino fece cenno a Marco di avanzare ancora un po' verso di lui, il quale, titubante, fece un paio di passi in avanti. Che Marco aveva non poca paura lo si poteva scorgere dal leggero tremolio che aveva alle ginocchia quando, per camminare, si erano mosse.
Il silenzio che regnava sovrano in quel luogo non aiutò, però, Michael a sentire cosa i due stessero dicendo. Sussurravano così piano che il riccio poteva vedere solo le labbra del biondino muoversi, mentre alle sue orecchie non arrivava altro che un leggero brusio incomprensibile.
Di riuscire a capire cosa si stessero dicendo dai movimenti della bocca non se ne parlava proprio. A causa della sua dislessia a stento riusciva a leggere tra le righe di un libro, figurarsi poi il labiale.
Quindi, a Michael non restò altro da fare che rimanere accucciato lì e tentare di capire qualcosa dalle espressioni del viso del biondino, dato che quelle di Marco non poteva scorgerle poiché, dalla sua prospettiva, gli appariva di spalle.
Il ragazzo dagli occhi azzurri sembrava piuttosto arrabbiato, mentre Marco bofonchiava probabilmente qualche scusa. Parlarono tra loro per qualche minuto, poi il biondino si accigliò, strinse le mani a pugno e si protese verso Marco.
Il ragazzo indietreggiò, incespicando nei suoi stessi passi, ma il biondino lo afferrò per il bordo della sua mogliettina verde e alzò un pugno. Lo puntò dritto sulla faccia di Marco, poi lo colpì.
Michael sussultò alla vista del forte impatto che ebbe la mano del ragazzo sul dolce visino di Marco. Poi, di nuovo, il biondino si preparò a scagliare un altro pugno.
Ma il riccio non poteva restare a guardare senza far nulla il massacro di quel povero ragazzino. Con uno scatto, si alzò dalla sua postazione. Il braccio, però, urtò contro qualcosa, provocando un tenue rumore che, nella tranquillità di quel luogo, fece, inevitabilmente, attirare l'attenzione su di sé.
Sia Marco che il biondino puntarono lo sguardo verso di lui.
«M-Michael?!» balbettò il ragazzo.
«Chi è lui?» Luca puntò l'indice verso Michael, «Lo conosci?»
Marco annuì. «E che cazzo ci fa qui?»
«N-Non lo s-so» lanciò uno sguardo confuso al riccio, cercando una risposta nei suoi occhi.
«Che ci fa qui?» ripeté. Il tono della voce si fece più autoritario. Afferrò di nuovo Marco per il bavero della maglia. «L'hai portato tu? Eh?»
Il ragazzo, ormai col corpo percosso da tremolii, scosse la testa.
«Lascialo in pace!» esclamò Michael, intromettendosi nel loro discorso.
Il biondo voltò la testa verso di lui, ma senza allentare la presa su Marco. «Vai via prima che perda la pazienza» disse, cercando di mantenere un tono calmo, «è una questione tra me e Marco.»
Marco lo guardò e con gli occhi sembrò intimargli di seguire il consiglio di Luca. Ma Michael non poteva lasciarlo lì, da solo, con quel biondino che aveva tutte le intenzioni di spaccargli la faccia.
«No» affermò, «lascia in pace Marco.»
«D'accordo» Luca lasciò la presa sul ragazzo e si avvicinò, con un'espressione di sdegno dipinta sul volto, al riccio. «Vorrà dire che le prenderai tu» gli puntò un dito contro, «al posto suo» lo puntò, poi, su Marco.
Michael, nonostante la stazza possente del biondino, appariva piuttosto sicuro di sé. Non gli avrebbe permesso di torcere più neanche un solo capello al suo cameriere sexy.
Luca, non vedendo titubanza nello sguardo di Michael, perse totalmente quel po' di pazienza che cercava di mantenere. Le dita si strinsero nuovamente in un pugno.
«Ti pentirai di esserti messo in mezzo» ringhiò, a denti stretti. Scagliò la mano contro il riccio, puntandola dritto alla pancia. Ma il libanese, molto più veloce e agile di lui, riuscì a bloccare il suo braccio prima che raggiungesse il bersaglio.
Il biondino storse il muso e tentò ancora, puntando questa volta il suo viso. Michael, però, inclinò leggermente la testa di lato e lasciò che la mano colpisse l'aria.
«Brutto bastardo.» Luca si accigliò e provò un'ultima volta a colpirlo. Ma fu tutto inutile. Il ricciolino era troppo agile per il ragazzo.
Lasciò oscillare lo sguardo da Michael a Marco, poi, quasi come una minaccia, disse: «Questa me la paghi cara, Marco» li guardò entrambi con disprezzo, «molto cara.» E quella "promessa" fu l'ultima cosa che disse prima di voltarsi e allontanarsi, con le mani in tasca e la testa rigorosamente alta, da loro.
Quando Luca fu completamente scomparso nel buio dei piccoli vicoletti di quel quartiere, Michel si precipitò immediatamente da Marco.
«It's okay?» gli chiese. Poggiò una mano sulla guancia rossa e gonfia del ragazzo e la accarezzò con le sue lunghe e affusolate dita. Fu un tocco delicato, leggero.
Marco si lasciò andare a quella tenue carezza. Chiuse gli occhi e pensò a quanto amasse sentire i palmi del riccio sfiorargli delicatamente la guancia.
I suoi polpastrelli freddi donavano un leggero sollievo alla pelle dolente del ragazzino. E fu meraviglioso sentire le sue dita massaggiarlo, sfiorarlo, mentre il dolore lasciava rapidamente il posto ad una piacevole sensazione di benessere.
Socchiuse gli occhi, abbandonandosi a quel leggero tocco. 'Un angelo' pensò. Sì, quel ricciolino era decisamente il suo angelo custode. Lo aveva difeso e salvato, proprio come spesso si era ritrovato a sognare.
Ed ora, mentre continuava a sfiorarlo con le dita, credeva di essere in paradiso. Ma sapeva bene che quello non era il posto per lui. Non meritava tutto questo, meritava solo di marcire all'inferno. Era lì che doveva stare.
E il paradiso scomparve nel momento in cui Michael ritrasse la mano. «Marco, tu sta bene?» chiese ancora, non avendo ottenuto risposta.
Il ragazzo annuì. «Tu deve metterci qualcosa sopra» disse, «altrimenti si gonfièra ancora di più.»
Marco si toccò il punto dolente e notò che, effettivamente, si stava gonfiando.
«Viene con me» propose il libanese, «a casa ho del... Mhmh ice?!»
«Ghiaccio» gli suggerì Marco.
«Sì, ghiaccio.»
Marco annuì ancora e allora Michael cominciò a camminare, facendo cenno al più piccolo di seguirlo.
Il già naturale silenzio di quel quartiere fu mantenuto dai due ragazzi che, durante il loro tragitto, non aprirono bocca. Solo il rieccheggiare dei loro passi sull'asfalto e il loro lento respirare erano segno che stavano passando di là. Per il resto, sembrava il tutto incredibilmente senza vita.
L'imbarazzo tra i due era palpabile. Marco non sapeva come giustificare il perché Luca avesse tanta frenesia nello spaccargli la faccia e Michael, d'altra parte, non sapeva come spiegargli che ci faceva nascosto lì dietro.
Entrambi, quindi, si chiusero nel loro silenzio, pensando ad una scusa abbastanza plausibile da poter raccontare.
Quando arrivarono all'appartamento, Michael aprì la porta e invitò il ragazzino ad entrare.
Marco scandagliò con gli occhi l'ambiente circostante. Era una casa non troppo grande, che all'apparenza sembrava poco vissuta, arredata con uno stile moderno e a tratti bizzarro. Una moltitudine di colori caratterizzava ogni singolo oggetto di quell'appartamento, a partire dalle pareti giallo ocra, per poi finire col divanetto in pelle blu elettrico.
Michael lo condusse in cucina. Gli disse di accomodarsi su una sedia, mentre lui andava a prendere del ghiaccio. Aprì lo sportello del piccolo congelatore, posto sotto al frigorifero, dove, attaccati con delle calamite a forma di animaletti strani, c'erano alcuni disegnini. Sembravano essere stati fatti da un bambino di prima elementare per la semplicità e l'innocenza che lasciavano trapelare.
Michael, nel frattempo, aveva preso i cubetti di ghiaccio e li aveva avvolti in un panno di stoffa.
Tornò da Marco e poggiò il ghiaccio sulla guancia dolorante del ragazzo. Pressò leggermente sulla parte gonfia, provocando un gemito di dolore da parte di Marco.
«Scusame» disse, allentando un po' la pressione della mano.
«N-Non p-preoccuparti» balbettò il ragazzino, cercando, inutilmente, di nascondere il suo imbarazzo per quella situazione. Ma le sue capacità cognitive erano già andate a farsi fottere da un bel po', quando il riccio si era avvicinato così tanto a lui.
A dividerli c'erano solo pochi centimetri. Marco riusciva persino a sentire il suo respiro fresco sfiorargli la pelle. Le perfette labbra a cuoricino del libanese erano troppo vicine alle sue, i loro nasi quasi si sfioravano e gli occhi annegavano gli uni nella profondità degli altri.
Il cuore di Marco ormai era totalmente impazzito. Batteva violentemente contro il petto e quasi sembrò voler uscire da lì.
'È la fine' pensò, 'sì questa è davvero la fine per me. Credo di essermi innamorato di quest' angelo'.
Gli sarebbe bastato spingere leggermente la testa in avanti per congiungere le loro labbra e placare finalmente quel desiderio inconscio che lo attanagliava dalla prima volta che lo aveva incontrato.
Solo pochi centimetri e avrebbe potuto baciare la perfezione.
Solo pochi centimetri che lo dividevano dal realizzare il suo sogno.
Solo pochi centimetri...




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Rieccomi, stranamente puntuale, con un nuovo capitolo :33
Bene, ora vado subito a nascondermi prima che mi strozziate per avervi lasciate nel momento più interessante dell'intero capitolo.. Ma un po' di suspense ci vuole u.u (sono sempre la solita scrittrice bastarda muahaha)
Beh, a voi i commenti.. Fatemi sapere cosa ne pensate ;)
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 7
*** #06. Siamo amici, no?! ***




06. Siamo amici, no?!





Pochi centimetri che, però, non furono mai azzerati.
Michael improvvisamente, resosi conto di quella pericolosa vicinanza, si allontanò dal suo viso. Aveva le gote arrossate, il cuore era ormai impazzito nel suo petto. Si sforzò di guardare ovunque, tranne che nella direzione del suo sguardo color caffè, per non inciampare di nuovo in quegli occhi capaci di fargli perdere la ragione.
Tolse il ghiaccio dalla guancia di Marco e, smorzando quel leggero velo di imbarazzo calato tra i due, gli chiese: «Va un po' meglio?»
'Mai stato peggio' avrebbe voluto rispondergli il ragazzino. Sì, stava male, ma solo perché quella distanza tra loro, invece che accorciarsi, si era allungata.
Lui voleva quelle labbra appiccicate sulle sue, le dita intrecciate tra i ciuffetti di quella criniera riccioluta, i loro sguardi che comunicavano parole che la bocca non aveva il coraggio di pronunciare.
Ma niente di tutto questo accadde. E il desiderio di Marco, che non sapeva fosse anche quello di Michael, rimase sepolto dentro di lui.
La codardia, la paura, il timore di perdere tutto ciò che avevano, ossia l'uno di perdere l'altro, accecavano gli occhi di entrambi, incapaci di vedere i sentimenti che trasparivano limpidi dai loro occhi.
Marco si limitò ad annuire alla domanda del libanese.
«In effetti» Michael poggiò due dita sulla sua guancia e la tamponò, «si è leggermente sgonfiatà.» Quel dolce e innocente accento inglesino, però, non fece altro che aumentare l'eccitazione di Marco, che credeva non sarebbe resistito ancora a lungo.
Ridacchiando, cercò di placarla. Ma non funzionò.
'Marco calmati' si ritrovò a dire a se stesso. Il suo autocontrollo stava ormai per cedere all'istinto di assaltare quel bel ricciolino. 'No, non puoi violentare questo dolce angelo nella sua cucina se non vuoi essere denunciato per violenze sessuali'.
Tra loro la tensione stava crescendo, ed entrambi la percepirono.
«Posso offrire te qualcosa?» chiese il riccio, nel vano tentativo di cancellare quell'imbarazzo che ormai vorticava nell'aria, «un caffè?»
Il ragazzino scosse la testa. 'L'unica cosa che in questo momento voglio sei tu'.
Cercò di spostare i suoi pensieri su altro. Se sarebbe rimasto a pensare solo per un altro secondo a lui e a quanto poteva essere sexy il suo culetto che ora gli stava sventolando davanti, mentre armeggiava con qualcosa in cucina, il suo autocontrollo avrebbe finito per abbandonarlo del tutto.
«Che ci facevi lì?» gli chiese infine. Era una domanda che gli rimbombava in testa da quando lo aveva visto lì, dietro a quel muretto, alzarsi e prendere le sue difese.
Michael si voltò verso di lui. Il viso era contratto in un'espressione turbata. «Potrei farte la stessa domanda.»
«Quelle sono questioni mie» Marco sentì pian piano l'eccitazione svanire e lasciare il posto a piccoli rivoli di rabbia, «tu non dovevi essere lì.»
«Ma la mia presenza mi è sembrata necesarìa.» Questa volta l'accento sbagliato di Michael non fece ridere il ragazzo.
«Tu non dovevi essere lì» ripeté con tono più grave, «Dimmi cosa stavi facendo.»
Michael sospirò, «Io...» esitò per qualche secondo, poi si decise a dirgli la verità, «stavo seguendo te» ammise infine.
«M-Mi stavi s-seguendo?!» balbettò. L'espressione che era calata sul suo viso sembrava un misto tra incredulità e rabbia.
«Yes.»
«E perché cazzo mi stavi seguendo?» grugnì.
«Ora tocca a te rispondere alle mie domande» disse, puntandogli un dito contro, «Perché quasi ogni sera vai da quel ragazzo? Chi è? E, soprattutto, che problemi hai con lui?» Nel modo in cui Michael pronunciò quelle domande si potè scorgere una punta di gelosia che, però, Marco, accecato dalla troppa rabbia, non riuscì a captare.
«Non sono affari tuoi» gli rispose freddo.
«Sì che lo sono» ribatté il libanese.
«Perché dovrebbe interessarti ciò che faccio io ogni sera?»
«Perché io a te ci tengo. E lui voleva farte del male» disse, quasi in un sussurro.
Quelle parole gli provocarono uno strano formicolio allo stomaco e il suo cuore, che sembrava essersi calmato, riprese a battere troppo forte contro il petto.
'Io a te ci tengo' gli aveva detto. La rabbia che provava Marco si dissolse in quelle piccole, tenere parole.
«Ora tu rispondi a me» la voce del riccio lo riportò alla realtà.
Che cosa avrebbe dovuto dirgli? Che era un tossicodipendente? Che aveva dei debiti con Luca e che per questo lo avrebbe massacrato? Che con il suo intervento aveva solo peggiorato le cose? No, non doveva coinvolgerlo in questa faccenda. Già aveva fatto fin troppi guai e, se Luca lo avesse rivisto, si sarebbe sicuramente vendicato.
«Non dovevi seguirmi» fu la semplice risposta di Marco.
«But...»
«È un problema mio» disse, «e tu non c'entri niente.»
«Non voglio che...»
«No» lo interruppe ancora, «quello che mi succede sono solo fatti miei. Tu non sei nessuno per immischarti nella mia vita.»
'Tu non sei nessuno.' La durezza di quella frase spinse il riccio ad arretrare di qualche passo e a puntare gli occhi nei suoi. Sembravano più scuri del solito, di un colore tendente al nero.
«Scusame per averti salvato da quello» disse con una punta di sarcasmo nel tono di voce, «per avete difeso e per aver curato la tua guancìa. La prossima volta lascerò che lui ti fa male.»
Per Marco era già abbastanza dura cercare di sembrare arrabbiato con lui e, se poi si metteva anche a parlare in quel modo così tenero, non sarebbe riuscito a fingere ancora per molto. Ma non doveva coinvolgerlo, doveva fare in modo che si allontanasse da lui.
«Hai solo peggiorato le cose. Forse me la sarei cavata con un occhio nero e il naso rotto, adesso invece me la farà pagare molto cara per quello che TU» e sottolineò quell'ultima parola con un tono di voce più alto, «hai fatto.»
Si pentì subito delle parole amare che aveva detto. Michael non si meritava quel trattamento da parte sua.
«Me?!» esclamò, «I saved you!»
«Forse è meglio che vada» decretò, infine, Marco alzandosi dalla sedia.
«Sì, forse è meglio.»
Lanciò un'ultima occhiata al ricciolino, quasi a voler chiedergli scusa per il modo in cui lo aveva trattato, ma lui non sembrò coglierne il significato, poi si diresse verso la porta ed uscì.
Michael si afflosciò su una sedia. Poggiò i gomiti sul tavolo e si massaggiò le tempie. La testa sembrava scoppiargli e il cuore, invece, si era bloccato nel suo petto. Dopo le dure parole di Marco, era fermo immobile lì alla sua sinistra, ferito da quelle lame appuntite che il ragazzino gli aveva lanciato contro.
Il libanese credeva che forse stava iniziando a provare qualcosa di molto profondo per lui e che, per questo, sentiva il bisogno di proteggerlo. Il solo pensiero che Marco potesse pagare delle conseguenze perché aveva cercato di proteggerlo gli faceva male, lacerava il suo cuore anche di più di quelle amare parole.
Ma di una cosa era certo: non avrebbe permesso a nessuno di torcere anche un solo capello a Marco. Lui lo avrebbe protetto.

***


Gli occhi di Marco oscillavano dai clienti del bar alla porta, in cerca di quell'ammasso di ricciolini che, ne era certo, sarebbe comparso lì dentro da un momento all'altro. Quella mattina, però, aveva tutte le intenzioni di evitarlo. Ancora non era riuscito ad escogitare una bugia abbastanza plausibile per spiegargli il perché Luca volesse spaccargli la faccia e, in quel momento, non sarebbe riuscito a sorreggere il suo pesante sguardo indagatore.
E poi eccolo che, puntualmente, faceva ingresso nel locale in tutta la sua bellezza. Indossava una leggera camicina di seta blu e un pantalone leggermente più scuro che fasciava stretto le secche gambuccie lunghe. In testa aveva il solito cespuglietto riccio che faceva da cornice a cotanta perfezione.
Come sarebbe riuscito a non saltargli addosso ancora non lo sapeva, ma, appena notò che gli occhi verdognoli del ragazzo iniziarono a vagare per la sala in cerca dei suoi, si rifugiò dietro al bancone. Prese una tazzina e finse di essere indaffarato a preaparare un caffè.
«C'è il tuo amico lì» era la fastidiosa ed irritante vocina di Alessia che stava parlando. Indicava con un dito il solito punto dove il ricciolino prendeva posto ogni mattina.
«Va' a servirlo tu» le disse. Gli occhi azzurrini della ragazza sembrarono illuminarsi e, come per magia, si materializzò vicino al tavolino di Michael. Almeno adesso sapeva che non era l'unico su cui il bel ricciolino aveva un effetto simile.
Cercando di non farsene accorgere, osservò con la coda degli occhi i due. La biondina flertava senza pudore con il riccio e una punta di gelosia si fece spazio nel suo cuore. A flertare con Michael voleva esserci lui.
Ma il libanese sembrava piuttosto turbato dal comportamento di Alessia. Cercava di farle un sorriso cordiale, però si vedeva che, in realtà, la sua presenza lo infastidiva, e non poco.
Lanciò uno sguardo verso Marco e, con l'espressione del viso, sembrò chiedergli: "Perché diavolo mi hai mandato questa?!"
Il ragazzo scrollò le spalle e ridacchiò. Un cliente lo chiamò e lui dovette dirigersi tra i tavoli, interrompendo quel breve contatto visivo.
Michael, nel frattempo, cercava di sfuggire dalle grinfie di quell'affascinante biondina.
Avrebbe voluto alzarsi dal tavolo, avvicinare il viso al suo e, a pochi millimetri dalle sue labbra, esclamare: «IO SONO GAY! G-A-Y. Quindi evapora dalla mia vista e manda qui quel gran figo del tuo collega che sembra volermi evitare.» Si immaginò l'espressione che avrebbe fatto la ragazza, un misto tra stupore e odio. Si sarebbe voltata senza dir nulla e avrebbe sculettato fino al bancone, riflettendo, per quanto potesse fare il cervellino di quella biondina ossigenata, su quella scioccante rivelazione. L'avrebbe segnata nel profondo, se ne sarebbe ricordato per anni.
Ma Michael non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Per ora nessuno doveva sapere della sua omosessualità, tantomeno quel ragazzino. Non voleva perderlo, era troppo importante per lui.
E, quando quegli occhioni color caffè tornarono su di lui, gli mimò un: "Questa me la paghi." Poi si alzò dal tavolo e, con una pessima scusa, si dileguò fuori dal locale senza aver consumato la sua colazione.

***


«Scusami» le loro labbra si mossero insieme, creando un magico intreccio di voci intersecate l'una nell'altra. Sia Michael che Marco scoppiarono a ridere, mentre le loro guance assumevano un colore scarlatto.
Fino a quel momento erano rimasti entrambi in silenzio seduti su quella panchina, senza spiaccicare parola. Marco fissava, come al solito, un punto indistinto davanti a lui, immergendosi nei suoi pensieri muti, mentre Michael scrutava i suoi dolci lineamenti di nascosto. Poi, insieme, avevano deciso di chiedersi scusa.
«Scusami, davvero» cominciò il riccio, «non dovevo seguirte, I know. Ma ero curioso e mi sembrava strano il tuo comportamento.»
«Beh scusami anche tu. Dopo quello che hai fatto per me, dopo avermi protetto da Luca, non meritavi quel trattamento da parte mia.»
«Non preoccuparte» alzò leggermente gli angli della bocca, «ma mi devi ancora qualche spiegazione.»
«Lo so» Marco abbassò lo sguardo sulle sue mani che si stavano torturando a vicenda.
«Mi dici che voleva quel ragazzo da te?» gli chiese.
«Soldi» rispose, «ho un debito con lui.»
«Un debito per cosa?»
Un groppo gli salì in gola. «Gli ho chiesto in prestito dei soldi perché con il mio misero stipendio da barista non riuscivo a pagare l'affitto della mia camera» mentì, «ora li rivuole indietro e io non li ho.»
Michael aveva capito da subito che Marco non diceva la verità, ancora prima che cominciasse a parlare. Lo aveva capito dallo sguardo, che continuava a sfuggire al suo, dalle dita che si stavano torturando, dall'esitazione che aveva avuto prima di parlare e dal tremolio nella voce mentre pronunciava quelle parole. E poi continuava ad inumidirsi le labbra e deglutire, come se avesse paura di qualcosa.
Probabilmente paura che Michael scoprisse la verità.
«Sono dislessico» disse Michael, «ma non sono scemo, Marco. Capisco quando una persona sta mentendo.»
In effetti Marco non era mai stato molto bravo a dire bugie. Si ricordò quando, al primo anno di liceo, aveva fatto filone con la sua migliore amica. Sua madre, quando tornò a casa, gli chiese se era andato tutto bene a scuola, come faceva ogni giorno. Lui aveva abbassato lo sguardo a terra, puntandolo sui piedi, e aveva bofonchiato un tenue "sì" non molto convincente. La madre aveva subito capito che il figlio le stava mentendo e lo aveva costretto a dirle la verità.
Quel giorno Marco aveva capito che non era decisamente un bravo bugiardo. Era per questo che aveva esitato prima di mentire a Michael, perché sapeva che non sarebbe stato abbastanza convincente.
«Devo davvero dei soldi a Luca» replicò.
«Sì, ma perché?»
«Beh... io...» i suoi occhi continuavano a sfuggire da quelli del riccio, «io... è che...» cominciò a mordersi nervosamente il labbro inferiore, «io... sono....» un piccolo rivoletto di sangue scese dal labbro che i suoi denti stavano torturando. 
«Ehi...» Michael allungò una mano sul viso del ragazzo, «you're bleeding.» Il suo pollice sfiorò la bocca del ragazzo. A quel tocco, gli occhi di Marco inciamparono in quelli del riccio.
Si guardarono con le pupille incastonate le une nelle altre. Il leggero contatto fisico tra i due creò un'aria di imbarazzo intorno a loro.
Il dito di Michael indugiò qualche secondo sulla sua pelle, mentre lui si era ormai perso nell'immensità di quei due occhioni color caffè.
Lentamente, passò il pollice sul labbro inferiore di Marco e trascinò via la goccia di sangue.
Il contatto fisico si interruppe, ma quello visivo si intensificò. I loro occhi sembravano parlare al posto loro, rivelare segreti che i due non riuscivano a dire con parole. I loro sguardi lasciavano trapelare quella profonda attrazione che provavano l'uno per l'altro.
«Perché?» chiese Michael, «Perché non vuoi dirmi che razza di debiti hai con Luca?» Gli occhi rimasero incastrati in quell'intreccio magico.
Marco fece un respiro profondo. Aprì la bocca, come per dire qualcosa, poi la richiuse. Cosa doveva fare? Rivelargli il suo "piccolo" problemino che aveva con la droga? Oppure era meglio tacere?
«È complicato» biascicò infine. Dal leggero tono di voce si poteva scorgere quanto poco entusiasmo aveva nel parlare di quell'argomento.
«Ma io voglio aiutare te» cercò di spronarlo a parlare, «e per farlo ho bisogno di sapere in che guai tu si è cacciato.»
«Te l'ho detto» Marco scrollò le spalle, «ho dei debiti con lui.»
Michael alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Non vuoi proprio dirmi il perché hai questi debiti, eh?»
Marco scosse la testa. Nella sua dolcezza, sembrava un bambino testardo che aveva combinato qualche grosso guaio e non voleva dirlo ai genitori. Era tenero, pensò Michael.
«Va bene» si arrese, «ti capisco. Ma ciò non significa che non ti aiuterò. Se hai bisogno, io posso...»
«No» lo interrruppe Marco, «è un problema che devo risolvere da solo. Non voglio che tu venga coinvolto.»
«Ma io non ho problemi economici e potrei aiutarti volentieri.»
«Se sapessi perché ho dei debiti con Luca, non lo diresti.»
Michael scrollò le spalle. «Sei tu che non vuoi dirmelo.»
«Ma non puoi sganciare soldi solo perché...»
«Perché ci tengo a te?! Sì che posso.»
'Ci tengo a te', lo aveva detto di nuovo. L'istinto di stringerlo a sé e baciarlo su quelle dolci labbrucce tornò ad opprimergli lo stomaco.
«Non voglio che ti succeda qualcosa.» Lo disse con un filo di voce, tanto piano da apparire quasi un sussurro.
Ed ecco che il cuore di Marco tornava a perdere il controllo. Lo sentiva battere forte, troppo forte, contro il petto.
«Anche io ci tengo a te» confessò. Le sue guance ormai sembravano aver preso fuoco. «Ed è per questo che voglio tenerti lontano dal mio problema.»
«Non credo sia una cosa tanto terribile» ribatté il riccio, «E poi ogni problema tuo è anche mio. Siamo amici, no?!»
'Amici', questo vocabolo, invece, faticava ad entrargli in testa. Lui non voleva essergli solo amico, ma ben altro.
«Sì, lo siamo» disse quelle parole con un tono pesante, come se fosse faticoso pronunciarle.
«E i buoni amici condividono i segreti» cantilenò.
«Michael...» sospirò, «è così difficile...»
«Mika» il riccio gli sorrise, «chiamami Mika. È così che mi chiamano i miei amici.» Il tono della sua voce era così caldo, rassicurante.
'Posso fidarmi' pensò, 'sì, di lui posso fidarmi'.
Inspirò, riempiendo i polmoni d'aria, poi espirò nuovamente.
«Mika» disse quel nome con una tale enfasi che, se il riccio non fosse stato troppo concentrato su qualle fosse il terribile problema di Marco, si sarebbe accorto del profondo sentimento che il ragazzino nutriva dentro di sé,  «io sono un...» stava per dirlo, stava per rivelargli il suo segreto, ma, proprio del momento in cui stava per pronunciare quella parola, il suo telefono vibrò.
Infilò subito una mano in tasca e controllò il display. Un nuovo messaggio.
«Che c'è?» chiese curioso il riccio.
«Un messaggio» rispose Marco. Lo aprì. Il suo viso sbiancò, il cuore si bloccò per qualche secondo.
«Di chi?»
Marco ingoiò un grosso groppo di saliva. «L-Luca» balbettò. La voce era tremolante nel pronunciare quel nome.
«E cosa vuole?»
Il ragazzò gli piazzò davanti agli occhi il display del cellulare.
"Rivoglio i miei soldi, ora. Hai al massimo sessanta minuti. Non uno di più o me la pagherai cara."
«Oh...» fu l'unica cosa che riuscì a dire il libanese.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Siccome oggi la nostra amatissima Em_TheRipper compie 18 anni, ho deciso di farle un regalo.. Così mi sono cimentata nella difficile impresa di scrivere un intero capitolo in una notte e di dedicarlo a lei :33
Quindi se fa pena, perdonatemi.. È stato il massimo che sono riuscita a fare >.<
Vabbeh ora vado :*
Ancora tanti auguri Emma ❤
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 8
*** #07. Rain. ***




07. Rain.





'Sono spacciato' pensò Marco, 'e questa volta il mio angelo riccioluto non riuscirà a salvarmi.'
Stringeva forte tra le mani il suo cellulare, con una pressione tale che le sue dita stavano quasi per sfondare lo schermo. Era teso, e non poco. E Michael se ne accorse.
«Quanto tu deve dare a Luca?» gli chiese.
«Troppo per riuscire a trovarli in un'ora» rispose il ragazzo. L'amara consapevolezza che presto sarebbe finito agognate su un marciapiede col capo fracassato l'aveva già digerita.
«Quanto?» ripeté il libanese. La sua voce risultò severa e autoritaria.
«Duemila» sputò finalmente fuori la cifra.
«Posso darteli io.»
«No!» esclamò, «Tu non devi...»
«Deve, invece» ora stava quasi urlando, «Io non vuole che quello ti fa male. Quindi io DEVE assolutamente aiutarte.»
Lo guardò con quei suoi grossi occhioni verdognoli, mentre si passava una mano nel suo ciuffetto riccioluto. Quello sguardo, dall'accento preoccupato e dispiaciuto per lui, gli pesò quasi quanto un'enorme roccia sulle sue spalle.
'Oh Michael... Perché non mi lasci perdere?!' si chiese, 'Non devi cacciarti in questo guaio solo per salvare me.' «Non voglio che...»
«Io voglio.»
Avrebbe fatto di tutto per cercare di convincerlo a cambiare idea. Non voleva spingerlo dentro una situazione che non gli apparteneva e che era tremendamente pericolosa per il riccio, soprattutto dopo aver umiliato Luca, che, sicuramente, avrebbe cercato vendetta.
Ma, dall'espressione ferma che aveva in viso, capì che non avrebbe potuto far nulla. Quel ricciolino era troppo testardo. E poi Marco avrebbe fatto la stessa cosa per lui. «Grazie, Mika» si arrese infine.
«Per te questo ed altro.»
E il suo cuore perse ancora un battito, per poi riprendere la sua corsa sfrenata. Quell'uomo gli avrebbe fatto venire un infarto prima o poi se non la smetteva di essere così dannatamente dolce con lui.
Andarono a casa di Michael, il quale, dopo aver preso un gruzzoletto di banconote ed averlo consegnato al ragazzino, gli disse che non lo avrebbe lasciato da solo e che doveva permettergli di andare con lui. Marco, nonostante avesse provato ad obiettare, alla fine fu costretto ad accettare. Così, i due si diressero insieme al solito vicoletto scuro dove Luca riceveva i suoi clienti.
Camminarono l'uno affianco all'altro con il capo chino sull'asfalto del marciapiede e la mente persa nei loro prorompenti pensieri.
«Michael...» cominciò Marco, «ehm, scusa, Mika» si corresse. Il riccio alzò lo sguardo e si voltò verso di lui, in attesa che il ragazzo continuasse. «Beh... io volevo dirti che...» 'Coraggio Marco, ora o mai più', «ehmm... io... sono...» strinse le mani, appoggiate lungo i fianchi, a pugno e sospirò, facendosi in questo modo coraggio, «io sono un drogato. È per questo che ho un debito con Luca, per la droga» concluse, tutto d'un fiato.
Si lasciò andare ad un sostenuto sospiro, mentre era in trepidante attesa della reazione del riccio. Cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore, gesto che faceva ogni qualvolta che era in ansia.
Nel frattempo entrambi si erano bloccati sul marciapiede. Marco guardava ancora a terra, ma lo sguardo di Michael era sempre puntato su di lui.
«Droga?» chiese il libanese.
Marco ondeggiò la testa in avanti. «Sì» rispose, «e se ora non vuoi più aiutarmi ti capisco. Hai ragione. Ma io dovevo dirtelo, non potevo prendermi i tuoi soldi senza che tu sapessi perché ho quel maledetto debito.»
«Adesso non abbiamo tempo» lo smorzò, «andiamo da Luca, paghiamo questo debito e poi dopo ne riparliamo.»
Sorpreso che il riccio volesse ancora aiutarlo, Marco annuì e, insieme, raggiunsero il luogo dove Luca lo aspettava.
Quando arrivarono, trovarono il biondino intento a parlare con un uomo. E, se già Luca poteva incuotere paura con i suoi 177 centimetri d'altezza e i bicipiti ben palestrati che trasparivano dal sottile tessuto della maglietta azzurrina che indossava, l'altro, alto quasi due metri e ricoperto di muscoli dalla testa ai piedi, poteva decisamente essere paragonato ad un grosso e possente armadio.
Quando i due si accorsero della loro presenza, ruotarono leggermente il capo nella loro direzione e li squadrarono dalla testa ai piedi.
«E lui?» Luca indicò con l'indice il ricciolino, «Che ci fa qui?»
«Non sono affari tuoi» ringhiò Marco.
«Lo sono, invece» lanciò al libanese uno sguardo pieno di disprezzo, disarmante, poi tornò a rivolgersi a Marco, «ti ricordo che l'altra volta ho lasciato una questione in sospeso con lui. Deve avere la giusta punizione per aver osato affrontarmi.»
«Lascialo stare, Luca. Ti prego» sembrava quasi una supplica quella di Marco.
«Mhmh...» il biondino finse di pensarci un po' su, poi scosse la testa, «No. Me la dovete pagare, entrambi.»
«È colpa mia» disse Marco, cercando di scagionare il ricciolino, «Punisci solo me.»
«Nah, sarebbe troppo noioso» un angolo della bocca si curvò, mostrando un sorrisetto sadico, «invece, se vi faccio dare una bella lezione dal mio caro amichetto» lanciò un'occhiata all'uomo-armadio, «sarebbe molto più divertente.»
«Abbiamo i soldi» s'intromise Michael, «non c'è bisogno di alzare le mani.»
Luca si voltò rapidamente verso di lui. «Dove sono?» chiese.
«Eccoli» Michael estrasse dalla tasca destra una busta bianca, nella quale aveva riposto i contanti, «sono duemila.» Si avvicinò a lui e gli porse la busta.
Il biondino la afferrò e, dopo averla aperta, cominciò a contare le banconote. «Perfetto» disse. La vista delle banconote sembrava aver calmato la sua brama di prendere a pugni il bel libanese. «È stato un piacere far affari con voi. Non mi vendicarò, non stasera. Ma ti consiglio di non farti più vedere da queste parti» disse, rivolgendosi a Michael. Il suo volto era contratto in un ghigno divertito, «A presto, Marco.»
Fece un cenno con la testa all'uomo-armadio e, dopo pochi secondi, entrambi imboccarono un vicoletto stretto e buio, situato tra le mura pericolanti di due vecchie palazzine, e la loro immagine pian piano si dissolse nella notte.
«Grazie Michael» disse il ragazzino. Lo aveva salvato, per la seconda volta.
Un debito forse era estinto, ma ne aveva contratto già un altro, con Michael questa volta. Gli era debitore della sua vita.
'Forse tu sei davvero il mio angelo custode.'
«Per te questo ed altro» rispose il riccio, accennando un piccolo sorriso, «però tu deve promettere me una cosa.»
'Tutto ciò che vuoi'. «Dimmi...» lo spronò a continuare.
Michael puntò gli occhioni, che alla poca luce che c'era in quel luogo sembravano scuri come cioccolato, nei suoi e, con voce ferma e persuasiva, disse: «Tu promette che non chiamerà più Luca?»
«Mai più» affermò, «promesso.»

***


«Stasera fa un po' freddo» bofonchiò Marco, sentendo un fastidioso vento gelido soffiare sulla sua pelle.
Era passata più di una settimana da quel giorno e la loro amicizia non aveva fatto altro che intensificarsi incontro dopo incontro. Ormai conoscevano tutti i segreti l'uno dell'altro. Tutti tranne uno.
Il riccio annuì, strofinandosi le mani sulle braccia, che la sua maglietta a mezze maniche lasciava scoperte.
Alzò gli occhi al cielo. Non c'era neanche una stella, il notturno manto scuro era reso ancora più cupo da grossi nuvoloni grigi che presagivano un brutto temporale, nonostante dovesse essere un'afosa serata di inizio luglio.
«Sta per diluviare.»
Un lampo squarciò il cielo a qualche chilometro da loro. Non ci sarebbe voluto molto pima che il temporale si spostasse sulle loro teste.
«Questa scena ricorda me qualcosa» disse il libanese ridacchiando.
Marco lo guardò, inarcando un sopracciglio. «Cosa?»
«Il nostro primo incontro» rispose Michael, «do you remember?»
Il loro primo incontro... Eh sì, quella piovosa notte di Natale, il giorno in cui era cambiata la sua vita, il giorno in cui aveva per sempre concluso un capitolo della sua esistenza e ne aveva iniziato a scrivere un altro, tra le cui righe, però, aleggiava sempre quella testolina riccioluta.
Come avrebbe mai potuto dimenticarsene?! Era stato il compleanno peggiore che avesse mai festeggiato, ma quella sera aveva ricevuto un regalo che non si sarebbe mai immaginato poter anche solamente ammirare... Due grossi e splendidi occhioni verdognoli pronti a sconvolgere del tutto la sua vita. E, se Michael il giorno dopo non fosse partito, se lo avrebbe rincontrato, forse non avrebbe mai cercato di affogare i suoi dolori nella droga. No, non lo avrebbe fatto, perché quell'angelo, se ne avesse avuto la possibilità, lo avrebbe salvato anche ai quei tempi, ne era sicuro.
«È vero» esclamò, cercando di reprimere quei pensieri nostalgici. Poi, proprio come accadde per quella famosa sera, dal cielo iniziarono a scendere le prime gocce di pioggia.
«Sta... pioggiando!» il riccio, travasando ancora le parole, scatenò una pesante risata da parte di Marco.
«Si dice piovendo» lo rimproverò, continuando a ridere fragorosamente.
Quel dolce suono, provocato dalla boccuccia di Marco, rimbombò nelle orecchie di Michael. Ai suoi timpani sembrò la più sublime delle melodie.
'Sbaglierei altre mille volte pur di sentirti ancora ridere così' pensò.
ll flusso delle goccioline che scendevano dai grossi nuvoloni grigi iniziò ad aumentare, battendo copiosamente sulle loro teste.
«Credo che sarebbe meglio trovare un posto dove poter ripararci» disse Marco, «o rischiamo di prenderci una bella bronchite.»
«Giusto» rispose il riccio. «Viene a casa mia? È più vicino.»
Lo aveva invitato a casa sua, di nuovo. «O-Okay» balbettò.
«Good. Came on!» esclamò, cominciando a correre sotto la pioggia. Saltellava felice tra le pozze d'acqua che si stavano pian piano creando sull'asfalto, e non smetteva di ridacchiare. Non poteva esserci immagine più tenera.
Trasmetteva un profondo senso di spensieratezza e libertà, cose che Marco non provava ormai da troppi anni. Ed era bello vedere che anche a venticinque anni un uomo potesse avere la stessa mentalità di un innocuo bambino.
Marco scosse la testa, ormai rassegnato alle stranezze di quel ricciolino, e lo seguì, cercando di mantenere il suo passo. Ma con quelle gambe chilometriche che si ritrovava era di circa due metri più avanti di lui.
«Aspettarmi» urlò tra gli affanni. Michael si fermò e si voltò verso di lui.
«Lumaca!» gli fece la linguaccia, «tu è molto pigro, Marco.»
«È facile per te» ribatté il ragazzo, «che hai tre metri di cosce.» Si piegò in due, ansimando per la corsa, e poggiò le mani sulle ginocchia. Dal suo ciuffetto ricadevano alcune goccioline d'acqua, e Marco non sapeva se fossero di pioggia o di sudore. Lanciò uno sguardo al ricciolino, che, qualche passo più avanti, stava ridendo di lui.
Col viso leggermente bagnato e i capelli fradici appiattiti in testa, non più vaporosi e disordinati, sembrava, agli occhi del ragazzo, ancora più bello. La maglietta giallastra che indossava, anch'essa fradicia, si era attaccata all'addome del ricciolino, mettendo ben in risalto le forme dei suoi addominali.
E lui era così attratto da quel corpo meraviglioso che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto repellere l'istinto di appiccicare le labbra sulle sue e assaporare cotanta perfezione.
Ne era più che sicuro: ormai era perdutamente innamorato di lui.
E capì che l'amore può essere come la pioggia, come quella che in quel momento batteva sulle loro teste. Può arrivare quando meno te lo aspetti, sottoforma di acquazzone o di leggera pioggiarella estiva.
Puoi cercare di ripararti ma qualche goccia ti sfiorerà sempre... E in quel Marco si ritrovava proprio sotto un violento temporale, senza vie di scampo.
Così fece un paio di passi verso il riccio. Sentì il suo sguardo confuso su di sé. Ma non gli importava.
'Ora o mai più' pensò. Un altro passo e fu proprio di fronte a lui.
'Questa volta quei maledetti centimetri non mi fermeranno'.
E poi lo baciò. Dovette alzarsi sulle punte per arrivare alla sua altezza, ma alla fine riuscì a raggiungere le labbra di Michael.
Poggiò la bocca delicatamente sulla sua, unendole in un dolce e tenue bacio a stampo. Ma subito la passione prese il sopravvento e il bacio si trasformò in un qualcosa di molto più intenso.
Mosse le labbra su quelle di Michael che, inizialmente, preso alla sprovvista, non ricambiò e rimase immobile, come pietrificato.
'Che sta succedendo?!' si chiese. Quei pochi neuroni che aveva nel suo bacato cervello non riuscirono subito a connettersi e capire che quelle labbra, tanto bramate, erano appiccicate sopra le sue.
Riuscì a captare la frase 'Marco-sta-baciando-me' solo quando le sue capacità cognitive superarono lo shok iniziale e ritornarono a funzionare normalmente. E, allora, capendo che ciò che aveva sempre sperato che accadesse adesso stava succedendo davvero, iniziò a muovere la bocca a ritmo di quella smaniosa dei Marco.
Unite insieme, le labbra dei due ragazzi crearono una danza armoniosa, un intreccio di passione e desiderio, imprigionati per troppo tempo nel loro petto.
'Eccolo, il paradiso' fu quello che pensò Marco. E assaporò fino in fondo quel piccolo assaggio di grazia che, ancora non sapeva come, gli era stata concessa. 'Un sogno' si disse, 'Sì, sto sicuramente sognando. Ma, vi prego, non svegliatemi.'
La pioggia, nel frattempo, continuava a scrusciare sui loro corpi, facendo da cornice a quello che poteva considerarsi davvero un quadro perfetto.
Erano ormai zuppi, ma nessuno dei due sembrava preoccuparsene. Si sarebbero presi sicuramente un malanno, e neanche questo a loro importava. In quel momento stavano bene e niente avrebbe potuto distrarli da ciò che stavano facendo. Si erano catapultati in un altro universo, un'altra dimensione, e non avevano alcuna intenzione di ritornare sulla Terra.
Marco infilò una mano tra quei ricciolini bagnati, realizzando un altro dei suoi sogni. Le dita affondarono in quell'ammasso di capelli, mentre con l'altra sfiorò dolcemente le sue gote e poté constatare che la sua pelle era liscia e morbida, quasi come quella di un neonato.
E, così, erano stati colpiti entrambi da quella pioggia, non erano riusciti a ripararsi. Ed ora si ritovavano affetti dalla malattia più pericolosa, ma allo stesso tempo meravigliosa, al mondo.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Ultimamente sono piuttosto puntuale, eh?! Non è da me hahaha
Vabbeh spero che questo capitolo vi piaccia e vorrei cogliere l'occasione per ringraziare tutte quelle personcine meravigliose che recensiscono la mia stupida storiella, quelle che l'hanno inserita tra le preferite, quelle che l'hanno messa tra le seguite e anche quelle che se ne stanno lì, in silenzio, senza dire una parola, a leggere ❤
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 9
*** #08. Latte e biscotti. ***




08. Latte e biscotti.





Dopo minuti, che nell'immensità di quel momento sembrarono non finire mai, le loro labbra si staccarono, ma i loro volti rimasero pericolosamente vicini. Michael poteva sentire il respiro di Marco sulla pelle.
Il ragazzino portò anche l'altra mano nei suoi ricciolini e poggiò la testa nell'incanvo del collo del libanese.
Le mani di Michael, invece, afferrarono i suoi fianchi, mentre abbassava il capo su quello di Marco. La sua guancia entrò in contatto con la fronte del ragazzo.
Sprivgionava un calore innaturale.
Era calda. Troppo calda.
«Marco?!» lo chiamò.
«Mhmh» mugugnò il ragazzo, perso ormai nel suo paradiso.
«Tu è caldo» disse. Con le mani, ancora avvinghiate ai fianchi di Marco, lo spostò leggermente dal suo corpo, poi gli sfiorò la fronte con le dita. Bastò quel leggero tocco per capire che il ragazzo aveva la febbre alta. «Deve tornare a casa, now.»
«No» ribatté. La voce ridotta ad un flebile mugugno. «Io voglio restare con te qui, per sempre.» Con le braccia si ancorò nuovamente al corpo del libanese e tornò ad appoggiargli il capo sulla spalla.
«Resterei molto volentieri» disse il riccio, divincolandosi dal suo abbraccio, «ma dobbiamo andare.»
Cominciò a camminare senza correre troppo sotto la pioggia, trasportando Marco, che sembrava non volersi muovere da lì, afferrandolo per un braccio. Cercò di camminare sotto le sporgenze dei balconi dei palazzi circostanti, per evitare che Marco si bagnasse ulteriormente.
Arrivati a casa sua, aprì la porta e spinse il ragazzo dentro. Lo condusse, sempre con la forza perché sembrava non aver neanche l'energia per camminare, fino alla camera da letto.
Lo fece sdraiare sopra e si accinse a ricoprire il suo corpo con le coperte, ma si accorse che, con i vestiti totalmente fradici, sarebbe stato inutile.
Decise di prestargli qualcosa di suo. Anche se gli sarebbe andato un po' grande, almeno era asciutto. Si diresse verso l'armadio di fronte al letto e aprì la prima anta. Frugò per qualche secondo tra i vari indumenti, poi ne tirò fuori una tuta blu.
Si voltò verso il ragazzino per consegnargli la tuta e fargliela indossare, ma notò che aveva gli occhi chiusi. Si era addormentato.
Le sue palpebre erano fermamente serrate, aveva le guance rosse e le goccioline d'acqua gli incorniciavano il dolce viso. 'È così... Perfetto' pensò.
Ritornò vicino a lui e, scuotendolo con una mano sulla spalla, disse: «Marco, sveglia! Deve cambiarte... Non può dormire con questi vestiti bagnati.»
Ma il ragazzo non dava alcun segno di voler riaprire gli occhi. «No» bisascicò, «ho sonno.»
Un idiota, ecco cos'era. Addormentarsi con i vestiti bagnati addosso nonostante avesse chissà quanto di febbre e non volersi svegliare un attimo per cambiarsi era da idioti. Ma lui a quel dolce idiota si era affezionato e di certo non poteva lasciarlo così, infreddolito e tremolante in quei panni fradici.
L'unica alternativa plausibile che riuscì a trovare fu quella che doveva essere lui a cambiarlo e, considerato che i suoi ormoni si erano eccitati solo alla vista del dolce faccino di Marco con gli occhi chiusi, spogliarlo senza aver l'impulso di violentarlo seduta stante si prpspettava un'impresa davvero difficile, se non addirittura impossibile.
Portò una mano alle estremità della sua maglietta azzurra e, delicatamente, iniziò a sfilargliela, cercando di tenere a bada l'eccitazione. Con un po' di fatica, dato che Marco non voleva collaborare per niente, riuscì a togliergli la maglia, poi passò ai jeans. Con le mani tremanti, gli slacciò la cerniera e, pian piano, fece scivolare via i pantaloni lungo le gambucce secche del ragazzo.
Gli ormoni stavano letteralmente impazzendo dentro di lui e si sforzò di non guardare il fisico mezzo nudo di Marco, puntando lo sguardo su qualsiasi altra cosa ci fosse in quella stanza. Ma il suo occhio cadde, inevitabilmente, su di lui.
Non era un fascio di muscoli prorompenti, ma aveva il suo fascino. Le gambe lunghe erano toniche e rassodate, sulla superficie della pancia si potevano distinguere i lineamenti degli addominali appena accennati. Non troppo muscoloso, né troppo magro. Sì, era proprio perfetto.
Ci volle tutto il suo autocontrollo per tenere a bada l'eccitazione, che continuava a fremere dentro di lui. Il più velocemente possibile, si accinse a infilargli gli indumenti asciutti.
'Non guardarlo' si ripeteva, mentre le mani scorrevano lungo il suo fisico.
Non capì mai come, ma riuscì a rivestire il ragazzo senza far prevalere su di lui i suoi istinti poco casti. D'altronde, non era colpa sua se quel dannatissimo cameriere aveva un fisico così provocante.
Sistemò i vestiti bagnati del ragazzo su una sedia, sperando che per il giorno fossero asciutti, poi tornò da lui.
Gli portò una mano sulla fronte e, purtroppo, fu costretto a constatare che la temperatura era aumentata ancora. Gli rimboccò con gran premura le coperte, assicurandosi che il ragazzo fosse al caldo.
«Mi prenderò cura di te» sussurrò, passandogli una mano nel ciuffetto che portava sulla fronte.
Passò minuti ad osservarlo, forse più di un'ora. Guardava il suo torace sollevarsi e poi abbassarsi per respirare, soffermava lo sguardo sulle labbra che, a volte, si muovevano e pronunciavano parole sconnesse, senza significato.
Per qualsiasi altra persona sarebbe stato uno spettacolo noioso, ma Michael ne era attratto, come una calamita. Non riusciva a staccare gli occhi verdognoli dal suo dolce visino e, ogni volta che lo sguardo finiva sulle labbra a cuoricino del ragazzo, si ritrovava a pensare a quel bacio che qualche ora prima aveva ricambiato.
Fino ad allora, occupato a prendersi cura della salute del suo bel cameriere sexy, non ci aveva ancora riflettuto su quel gesto improvviso ed istintivo di Marco.
L'idea che anche il ragazzo fosse gay gli si stava cominciando a formare in testa. In effetti, pensò, non gli aveva mai parlato della sua vita sentimentale. Niente di niente. Quell'argomento sembrava essere un tabù per lui.
Gli venne in mente quando una volta, parlando normalmente come ormai accadeva ogni sera su quella panchina, erano caduti involontariamente su un discorso riguardante la loro vita privata.

«L'hai più rivista?» gli aveva chiesto Marco, «la tua ragazza, quella che ti aveva lasciato il giorno di Natale...»
Ragazza, aveva detto, al femminile.
«Preferisco non parlarne» tagliò corto Michael, e si convinse che, in fondo, non stava mentendo. Di quello stronzo di Andy non aveva la minima intenzione neanche di pronunciarne il nome. «Tu, invece, ce l'hai una ragazza?»
A quella domanda, il ragazzo sembrò deglutire. «Beh, i-io...» balbettò. Si inumidì le labbra con la lingua, aprì la bocca, come per dire qualcosa, poi la rinchiuse. Reazione alquanto strana, decretò Michael.
Rimase alcuni secondi in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto, poi sbottò un «Preferisco non parlarne» anche lui.

Quella era stata una delle rare volte in cui il loro discorso era sfociato su argomenti simili.
Entrambi volevano evitare di parlarne, senza sapere che era per lo stesso motivo.
Quando le palpebre cominciarono a pesargli e il sonno cominciò a farsi sentire, Michael dovette raccattare alcune cose, tra cui il pigiama, una coperta e un cuscino, ed uscire dalla stanza.
Siccome non c'erano altri letti in quell'appartamento, fu costretto a crearsene uno sul suo scomodo divano.
Decise di farsi una bella doccia rigenerante per rimuovere l'odore del sudore misto all'acqua piovana dalla sua pelle.
Il getto d'acqua della della doccia gli ricordò quello della pioggia sotto la quale due labbra, a lungo desiderate, si erano posate sulle sue. E le innumerevoli domande, che poco prima lo avevano tormentato, ritornarono a gettare dubbi tra i suoi pensieri.
Era gay? Perché lo aveva baciato? Perché provava le stesse cose che provava anche lui? Oppure era stata la febbre ad agire al posto suo?
Troppe domande, troppe risposte, troppi pensieri contrapposti... Ormai stanco e con le palpebre che gli chiedevano urgente riposo, declinò il tutto in cassettino della sua mente.
Asciugò il suo corpo bagnato e si infilò nel suo pigiama, dopodiché ritornò in salotto e sistemò il cuscino e la coperta, poi cercò di addormentarsi. Ma quella notte a popolare i suoi sogni ci fu solo pioggia, occhi color caffè, labbra a cuoricino e ancora pioggia.


«Mhmh» con un gemito indistinto Marco riaprì gli occhi, ritrovandosi immerso nel buio più totale. Tentò di mettersi seduto, in un luogo che sentiva di non conoscere. Tastò alla cieca con una mano alla sua destra, finché non si scontrò contro l'interruttore di quella che doveva essere un'abat-jour. La accese, ma l'improvvisa e violenta luminosità che emanò lo costrinse a richiudere gli occhi, per poi riaprirli con calma qualche secondo dopo, abituandosi alla luce.
Si guardò intorno, cercando di capire dove fosse finito. Ma quella stanza non l'aveva mai vista prima. Si concentrò allora sulle pareti giallo ocra, l'unica cosa che gli sembrava familiare in quell'ambiente sconosciuto.
Conosceva solo una persona che aveva l'intonaco di quel colore. Michael.
'Come diavolo ci sono finito qui?' si chiese. Ma il lancinante dolore che provava alla testa gli impedì di cercare una risposta.
Scostò le coperte, notando però che i vestiti che aveva addosso non erano decisamente di sua proprietà.
Era in casa di Michael, nella stanza di Michael, nel letto di Michael, sotto le calde coperte di Michael con probabilmente la tuta di Michael addosso. Bene. Peccato solo che non ricordava come ci fosse finito lì.
Accanto a lui, la seconda piazza del letto era vuota e le coperte erano intatte, segno che non ci aveva dormito nessun altro.
Indolenzito, infreddolito e con un intenso bruciore in gola, tentò, vanamente, di alzarsi dal materasso, ma, quando poggiò entrambi i piedi a terra e sollevò il peso sulle sue gambe, queste cedettero e si ritrovò con la faccia spiaccicata contro le fredde piastrelle rettangolari, che scoprì essere di un colore verdognolo. Colore che gli ricordò gli intensi occhi del riccio.
Il rumore che provocò il corpo del ragazzo quando cadde a peso morto sul pavimento rieccheggiò sulle pareti della casa e, pochi secondi dopo, poté notare la porta aprirsi e un uomo alto e riccioluto fare la sua comparsa sulla soglia.
«Marco, ma che sta facendo?» Era davvero la voce di Michael quella che stava udendo? O stava ancora sognando?
«Sono caduto» La voce uscì in un sussurro stridulo e dolente dalla gola in fiamme.
«Deve avere la febbre ancora alta» ipotizzò il riccio, ricevendo in risposta uno sguardo alquanto confuso da parte di Marco. Gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi, stringendo le mani intorno al suo bacino e sollevandolo di peso. Lo aiutò a sedersi sul letto, poi lo affiancò alla sua destra. «Dopo che tu mi ha baciato nel bel mezzo di un temporale sotto la pioggia» cominciò a spiegare, «io ha appoggiato la guancía sulla tua fronte e ha notato che era troppo calda, così ti ha portato a casa mia.»
Ma Marco non ascoltò quasi niente di ciò che il riccio gli aveva detto. La sua mente era rimasta bloccata alla prima frase pronunciata. «Dopo che io ho fatto cosa?!» chiese incredulo e sbigottito da quelle parole.
«Non ricorda?» un velo di tristezza e delusione calò sulla sua voce, «Tu mi ha baciato.»
Marco cercò con la mente di tornare indietro a qualche ora prima. Pioggia, magliette troppo fradice e labbra perfette fu ciò che rammentò. Poi, continuando a riflettere, anche l'immagine di lui che baciava il riccio si parò davanti ai suoi occhi.
«Ohh...» bofonchiò.
«È meglio che tu torna a dormire» gli disse Michael. Ma aveva nel tono qualcosa di... strano, amaro. Sì, era decisamente amaro e distaccato. «Forse è colpa della febbre» gli poggiò una mano sulla fronte. Il ragazzino sussultò al contatto di quella mano gelida contro la sua pelle ardente. «Sì, è ancora molto alta.»
Marco annuì, visibilmente imbarazzato. Ringraziò per un momento quella temperatura alta perché almeno gli permetteva di camuffare il rossore delle sue gote.
Si distese sul letto e Michael, con una dolcezza che non gli avrebbe mai attribuito, gli sistemò le coperte, prendendosi ancora una volta cura di lui.
Poi si alzò dal letto e spese l'abat-jour, facendo calare di nuovo il buio assoluto nella camera. Marco sentì i suoi passi allontanarsi, ma, prima che fosse troppo lontano, riuscì ad esclamare: «G-Grazie Mika.»
Lo disse un po' balbettando, ancora scosso da quello che poco prima aveva ricordato di aver fatto, ma con sincerità. Aveva bisogno di ringraziarlo per tutto quello che stava facendo per lui.
Nessuno lo aveva mai fatto prima, nessuno si era mai interessato a quel ragazzino strano e solitario col broncio sempre sulle labbra. Nessuno, ma quel ricciolino sì.
L'idea che qualcuno si occupasse di lui era totalmente nuova e inaspettata e gli riempiva il cuore di tenerezza.
Michael si bloccò e, anche se Marco non poteva vederlo, percepì che s'era voltato verso di lui.
«Di niente» disse, poi il rumore dei passi ricominciò.
E Marco si ritrovò da solo, con la testa che pulsava forte come se volesse scoppiare, le fiamme in gola e la consapevolezza di aver fatto qualcosa che avrebbe per sempre compromesso il suo rapporto con il riccio.


Quando le palpebre di Marco si riaprirono, i dolori che lo avevano afflitto quella notte erano ancora lì.
Non osò neanche riprovare ad alzarsi, gli era bastato il primo tentativo. Ancora gli doleva il naso, che poche ore prima era finito schiacciato sul pavimento, e non voleva peggiorare la situazione.
Alcuni rumori - probabilmente di piatti che si scontravano tra loro - arrivavano dalla cucina. Pochi secondi dopo, sulla porta della camera, si materializzò il bel ricciolino con un vassoio in mano.
«Buongiorno ammalato» gli sorrise lievemente, «stamattina è io il tuo cameriere.»
Si avvicinò a passi piccoli al letto e poggiò il vassoio sulle gambe del ragazzo. Marco si tirò a sedere e sbirciò cosa gli aveva portato il riccio: una tazzona di latte fumante e un pacco di biscotti alle gocce di cioccolato.
«Io ha pensato di preparate latte e biscotti come faceva mia mama quando io era ammalato.»
«Oh non dovevi...»
«Per te questo ed altro.»
Quella frase, di nuovo. Pronunciata da quelle labbra, di nuovo. E il suo cuore che perdeva un battito, di nuovo.
Infilò la mano nella busta dei biscotti e ne tirò fuori uno. Lo immerse nel latte caldo, poi lo portò alla bocca e cominciò a mangiare.
Michael lo osservava con i suoi due occhioni verdognoli nascosti, però, dietro un velo di tristezza. Era forse per quel bacio che ora, anche se si sforzava di sorridere, non poteva nascondere un briciolo di delusione? Perché aveva scoperto che era gay? Perché lo aveva in questo modo deluso? Però, se ben ricordava, aveva ricambiato il bacio. E allora qual era il problema?
Continuò a rimurginare in silenzio mentre inghiottiva il terzo biscotto. Decise poi di lasciar perdere i biscotti, dato che la sua gola emetteva un bruciore di protesta ogni volta che qualcosa di solido la attraversava, e di sorseggiare il suo latte bollente, che, invece, gli apportò sollievo.
Quando Marco, finito di bere, rialzò il capo, Michael lo stava scrutando con l'accenno di un sorriso divertito stampato sulle labbra.
«Ti è rimasta una goccia di latte...» Il pollice di Michael si mosse automaticamente verso l'angolo sinistro della sua bocca.
Lo poggiò lentamente sulla pelle del ragazzo, poi lo tirò via, portandosi con sé il residuo di latte.
Ma, prima che la mano di Michael fosse troppo lontana dal suo volto, Marco gli afferrò il polso. Lo bloccò e, per un attimo, esitò, temendo di star osando troppo. Ma ormai il guaio lo aveva combinato già il giorno prima, sotto la pioggia. Riavvicinò il pollice del riccio alle sue labbra, portandolo questa volta al centro della bocca per poi succhiarlo leggermente.
«Era un peccato che andasse sprecato» disse Marco, lasciandogli andare il polso.
Il ragazzo non sapeva bene da dove avesse preso tutta quell'audacia, forse era la febbre che annebbiava la sua paura e la sua timidezza, o forse semplicemente voleva smettere di fingere e mostrare ciò che realmente era.
«Marco...» Michael sussurrò quel nome così piano che il ragazzo a stento riuscì a sentirlo, «dobbiamo parlare.»





#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Lo so, questo capitolo fa pena.. Ma perdonatemi, l'ho scritto in fretta perché non so se nei prossimi giorni avrei potuto aggiornare e non volevo farvi aspettare troppo.
Inoltre, è un capitolo dolce, fin troppo per i miei gusti. Non è da me. Rimedierò nel prossimo (muahahaha)
La scrittrice bastarda ritornerà, non vi preoccupate.. Intanto vi lascio con questa mezza schifezza u.u
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 10
*** #09. O la va, o la spacca. ***




09. O la va, o la spacca.





Per un attimo Marco rimase in silenzio. Una tremenda paura prese ad attanagliargli lo stomaco.
"Dobbiamo parlare" due parole che non lasciavano presagire nulla di buono quando venivano pronunciate. E il tono che Michael aveva usato, così flebile da non essere quasi percettibile, non faceva altro che avvalorare la sua tesi.
Ma riuscì in qualche angolo remoto della sua mente a trovare un briciolo di coraggio.
«Dimmi pure» lo incoraggiò con amarezza a continuare. Sentiva la gola secca al solo pensiero di quello che avrebbe potuto dirgli.
Michael lo guardò negli occhi. Quei due pozzi verdognoli celavano dentro di loro dubbi ai quali Marco presto avrebbe dovuto rispondere.
«Io non sa bene cosa è successo ieri» disse, «tu mi ha baciato e io ha ricambiato... But... Perché tu mi ha baciato?»
Perché credo di essermi innamorato di te, sarebbe stata la più giusta e sincera risposta. Ma quel poco coraggio che aveva raccimolato non bastava anche per confessargli quei suoi sentimenti di cui aveva un tremendo timore.
Così, come il peggiore dei codardi, tentò di rigirare la frittata. «Tu perché hai ricambiato?»
«Marco» il riccio pronunciò il suo nome con un tono ammonitore, «io ha bisogno di un chiarimento.»
«Sì, credo sia un tuo diritto» dovette, purtroppo, dargli ragione. O la va, o la spacca si disse, mentre cercava le parole adatte per potergli spiegare il gesto istintivo che aveva fatto il giorno prima. «Tu mi sei sempre piaciuto» cominciò, «fin dalla prima volta che ti ho visto. Io sono gay, ma credo che sia inutile ribadirlo, penso tu l'abbia già capito» si inumidì le labbra, ormai diventate troppo secche, passandosi la lingua insalivata sulla bocca, «Quel venticinque dicembre era il giorno del mio compleanno, compivo finalmente diciotto anni...» iniziò il suo racconto, parlandogli di aspetti della sua vita che prima non aveva mai avuto il coraggio di rivelargli, arrivando fino al momento in cui i suoi genitori lo avevano cacciato di casa, «Sapevo non avrebbero capito, ma addirittura...» una lacrima ribelle rigò il suo viso, «addirittura ripudiarmi come non fossi neanche loro figlio... Non credevo potessero davvero farlo.»
Michael avvicinò l'indice alla goccia d'acqua che scendeva dai suoi occhi e la catturò, portando via dal suo visino perfetto quella fastidiosa traccia che lo deturpava. Occhi così belli non avrebbero mai dovuto essere velati dalle lacrime.
«Anche io è gay» si decise a rivelarsi anche lui, «e anche a me tu è piaciuto da subito. Ma io mi era appena lasciato con il mio fidanzato» e sottolineò con accento più grave il maschile, «e non voleva di nuovo soffrire.»
Quasi il cuore di Marco rischiò di bloccarsi nel petto e non riprendere più a battere, tanto che il ragazzo temette di poter avere un collasso di lì a poco. «Q-Quindi io t-ti piaccio?» riuscì a balbettare. O le sue orecchie gli stavano giocando un brutto scherzo, o davvero il riccio aveva pronunciato quelle parole.
«Sì» rispose, «io ha tanto desiderato quel bacio che, quando è arrivato, quasi non ci credeva.»
Tu non ci credevi?! E io allora che stento a crederci tutt'ora?!
Lo stesso intrinseco desiderio che Marco aveva di sfiorare anche solamente per un secondo le sue labbra, l'aveva avuto anche lui, la stessa attrazione che lo tormentava dalla prima volta che aveva visto quegli occhi verdognoli e quel sorriso splendente, attanagliava anche lui, e gli stessi sentimenti che si stavano pian piano facendo spazio nel suo cuore, stava scoprendo di provarli anche lui.
Entrambi erano attratti l'uno dall'altro e Marco rimase quasi spiazzato da questa nuova, ma meravigliosa, consapevolezza.
Questo sogno sta durando decisamente troppo si disse. Era troppo incredulo per poter accettare che quella fosse davvero la realtà. E spero che duri ancora per molto. Non voglio svegliarmi, mai più.
«E allora baciami» sbottò infine Marco. Si sorprese, ancora una volta, di tutta la tenacia che era capace di sprigionare.
Forse poteva dare la colpa alla febbre, ma sapeva che in fondo colpa era di quel maledetto libanese riccioluto e della sua bellezza sovrannaturale. Lo stava cambiando, gli stava donando tutto il coraggio di prendersi ciò che più ardamente avesse mai desiderato.
Michael non se lo fece ripetere due volte e si avvicinò lentamente al suo viso. A pochi millimetri dalle sue labbra si fermò, lo guardò intensamente per qualche secondo negli occhi, poi con grande smania si avventò sulle sue labbra.
Lo travolse con tutta la passione che aveva barricato dentro di sé per tutto quel tempo e finalmente ne lasciò venir fuori ogni più piccola briciola.
Il sapore dei biscotti al cioccolato e del latte caldo era ancora presente sulla bocca di Michael e contribuì a rendere più duraturo quel loro bacio. Michael aveva sempre amato il sapore del latte bollente. Era dolce, ma lasciava quel retrogusto acido quando attraversava lo stomaco, e amava anche quello delle gocce di cioccolato dei biscotti, che si squagliavano a contatto col liquido caldo.
Le loro bocche, insieme alle loro lingue, si intrecciarono e si fusero insieme. Si muovevano in simbiosi, quasi come fossero una cosa sola e non due bocche separate. Sembravano non aver fatto altro per tutta la vita.
Il tempo ormai era diventato solo un'unità di misura paradossale.
Passarono secondi, forse minuti, ma loro non se ne accorsero. Erano ritornati nel loro mondo e nessuno dei due voleva più uscirne.
La va, decretò Marco.
Sì, stava tutto andando esattamente come aveva sempre desiderato. Niente e nessuno poteva rimuovere il sorriso che gli si era materializzato sulle labbra quando quelle di Michael dolcemente si erano separate dalle sue.
Il sogno più bello che io abbia mai fatto. Ma, si sa, a volte anche i sogni possono trasformarsi in incubi. E sembrò decisamente prendere quella direzione il sogno di Marco, quando Michael portò due dita sulle sue labbra e, dopo essere rimasto alcuni secondi in silenzio a riflettere, l'espressione che comparve sul suo volto fu tutt'altro che felice.
Un misto di tristezza e malinconia calò sul perfetto viso del libanese.
«Io non doveva farlo» disse, abbassando la testa per evitare di inciampare nello sguardo di Marco che, invece, cercava di capire dai suoi occhi la causa di quell'improvviso cambio di umore.
«Non capisco» scosse la testa, «Tu mi piaci e hai detto che anche io ti piaccio... Perché mai credi di aver sbagliato?»
«Perché ora sarà più difficile dirti che...» si bloccò. Le parole non volevano uscire dalla sua bocca.
Michael non voleva ferirlo, non dopo che gli aveva raccontato quanto nella sua vita avesse sofferto.
«Dirmi che?» lo spronò Marco, anche se sapeva che se il riccio avesse continuato sarebbe finito col cuore ridotto in tanti piccoli brandelli.
«Che...» esitò ancora per qualche secondo, poi sembrò prendere coraggio e continuò: «che noi non possiamo andare oltre l'amicizia, non dobbiamo costruire un rapporto che implichi qualcosa in più a quello di confidenza e bene che stavamo pian piano creando.»
Ma Marco continuava a non capirne il motivo. «E perché?»
«Perché poi sarebbe troppo difficile separarmi da te. Già lo è ora, dopo questo bacio, dopo quello sotto la pioggia.»
«Perché mai dovremmo separarci?»
«Marco, tu sa benissimo che io abito a Londra. Tra poco più di un mese deve ripartire, non resterò ancora per molto qui» spiegò. Nella sua voce era facile cogliere un velo di amarezza e sconforto.
Eh no, mi sbagliavo: la spacca. «Oh...» fu l'unico suono che riuscì ad emettere la bocca di Marco.
Il riccio aveva ragione. Aveva pienamente e maledettamente ragione. Ma quella consapevolezza era dura da digerire, da mandare giù.
Non ci aveva mai pensato fino ad allora. Aveva ignorato quel piccolo, ma importante, dettaglio che si sarebbe frapposto tra lui e la sua felicità.
Da una parte, il suo istinto lo spingeva a chiedergli di non partire e restare con lui. Ma dall'altra parte c'era la ragione, certa che il libanese avrebbe rifiutato. In fondo, per Michael era solo un ragazzo di cui si era preso una cotta e non avrebbe mai rinunciato alla sua famiglia, ai suoi studi, ai suoi amici, alla sua vita per lui.
Quindi sarebbe stato inutile insistere. Era una storia impossibile la loro, come una di quelle che si leggevano spesso sui libri, quelle delle favole, o dei telefilm. Ma quelle avevano sempre e comunque un lieto fine, mentre la loro non sarebbe mai neanche iniziata.
«Devo andare» esordì improvvisamente Marco, infrangendo quel silenzio che li stava avvolgendo.
Entrambi si erano chiusi dentro i loro pensieri a rimuginare su ciò che stava capitando ai loro sentimenti ed entrambi volevano cancellare quei baci, almeno se avrebbero continuato ad essere ignari dell'attrazione che l'uno provava per l'altro la sofferenza sarebbe stata più lieve.
Il ragazzino fece per scendere dal letto, ma una mano si posò sul suo torace e lo bloccò.
«No, non può» ribatté Michael, «tu ha ancora la febbre e non può andare in giro in queste condizioni.»
«Ho bisogno di stare da solo» poggiò una mano su quella che Michael aveva sul suo petto e la fece scivolare via, «restare qui non farebbe altro che peggiorare la situazione.»
«But you don't...»
«Michael» incastonò lo sguardo nei suoi occhi, «ti ho appena detto che mi piaci, ci siamo anche baciati e tu hai infranto ogni mia speranza di poter costruire una relazione con te. Ho bisogno di metabolizzare la cosa e passare altro tempo qui a casa tua con te non può giovare di certo ai miei sentimenti.»
«D'accordo. Io capisce, se vuole andare...»
«Sì, voglio» disse, alzandosi dal letto. Si ricordò solo in quel momento che, però, non indossava i suoi vestiti.
«Dove sono i miei...» ma non riuscì a finire la domanda che Michael già aveva preso la maglia e i jeans che indossava il giorno prima.
«Sono ancora umidi» disse, tastando il tessuto degli indumenti di Marco. «Non può metterli. Tieni la mia tuta, poi viene a prendere i vestiti quando sta meglio.»
Marco annuì. «Sei stato tu a spogliarmi?» gli uscì di bocca mentre prendeva le scarpe, che Michael aveva precedentemente sistemato accanto al letto, e le infilava.
«Yes» gli rispose il riccio. Il suo viso aveva assunto un colore scarlatto. Era la prima volta che Marco lo vedeva in imbarazzo e purtroppo doveva ammettere che anche il rosso gli donava.
Il ragazzo allacciò le stringhe delle sue Diadora bianche, poi si rialzò in piedi, ma un truce dolore gli fece girare la testa.
Si portò una mano alla tempia, barcollando leggermente sulle sue molli gambe. Michael aveva ragione, aveva ancora la febbre alta.
Ma era deciso ad andare via il prima possibile da quella casa. Doveva riflettere da solo, digerire quell'amara consapevolezza e cercare di andare avanti, dimenticarlo, anche se l'impresa si prospettava più che impossibile.
Camminò fino alla porta della stanza, cercando di mantenersi in equilibrio e sentendo il pesante sguardo del libanese su di lui.
«Sicuro di voler andar via?» tentò un'ultima volta.
«Sì.»
Si avviò all'uscita dell'appartamento e, una volta arrivato, esclamò un «A presto» al riccio, che però era rimasto fermo in camera. Aprì la porta e varcò la soglia, richiudendosela poi alle spalle.
Una volta in strada, prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e cominciò a rivivere ogni attimo di quelle ultime ventiquattro ore insieme a lui.
Il bacio sotto la pioggia. Era stato sicuramente un suicidio quello. Errore più grande, ma allo stesso tempo più bello, non avrebbe potuto commetterlo. Aveva messo in gioco i suoi sentimenti e il risultato era che adesso anche dai suoi occhi stavano cominciando a sgorgare gocce d'acqua copiose.
Il bacio che poi gli aveva dato Michael. Quello era stato un omicidio invece. Con quel bacio, era come se Michael avesse pugnalato Marco dritto allo stomaco e poi avesse estratto il pugnale lentamente, cullandolo agognante tra le sue grosse braccia.
E, infine, la rivelazione dell'imminente partenza del riccio. Era stato il colpo decisivo, quello al cuore. Gli si era frantumato in mille pezzi quando aveva capito che Michael aveva ragione, che non potevano iniziare una relazione se presto lui se ne sarebbe andato.
Marco si era preparato ad accettare un qualsiasi rifiuto. Ma quello era peggio. Non potevano stare insieme, e riusciva anche capirlo, ma il fatto che tra un mese non lo avrebbe più rivisto, che la sua testa riccioluta non sarebbe più apparsa ogni mattina nel bar in cui lavorava, che quella panchina diventasse di nuovo mezza vuota, questo non poteva sopportarlo.
Ormai quel suo angelo custode riccioluto aveva preso il posto della droga. Aveva bisogno del suo sorriso per andare avanti. Era diventato la sua nuova dipendenza.
Ma presto sarebbe andato via e lui non poteva farci nulla. La sua vita sarebbe tornata inutile ed apatica come prima.
Era la speranza che presto avrebbe scontrato i suoi occhi verdognoli che ogni singola mattina lo spingeva giù dal letto pochi minuti prima che suonasse la sveglia. Sul suo viso compariva un sorriso spontaneo, cosa che prima che il riccio entrasse a far parte della sua vita non succedeva mai, e si dirigeva a lavoro quasi saltellando per la strada.
Ma quel Marco felice e spensierato non sarebbe più esistito se Michael fosse andato via. Lui era la ragione del suo sorriso e solamente lui poteva fargli dimenticare quanto triste e senza scopo fosse la sua esistenza.
Questi pensieri tormentarono il povero Marco durante tutto il suo tragitto verso casa. Rischiò un paio di volte di inciampare sui suoi stessi piedi, un po' perché sovrappensiero, un po' perché la febbre si stava alzando.
Una volta arrivato al motel, puntò dritto verso la sua stanza e si gettò sul letto, non morbido e accogliente come quello di Michael, ma ugualmente rilassante.
Si strinse le gambe al petto, mentre sentiva una lacrima spingere affinché venisse liberata. Il profumo di Michael, impregnato nei panni che indossava, invase le sue narici. E ciò non fece altro che aumentare la sua malinconia.
"Non possiamo stare insieme" aveva detto, "Non resterò ancora per molto qui". Frecce appuntite, ecco cosa erano quelle parole. Ed erano state scagliate proprio contro il suo petto.
Per una volta che aveva trovato qualcuno a cui piaceva, qualcuno che lo accettava così come era, qualcuno simile a lui, il destino glielo portava via. Che male avesse mai fatto per dover soffrire così tanto ancora non lo aveva capito.
L'unica cosa che sapeva che avrebbe potuto aiutarlo - se escludeva il sorriso di Michael - a cancellare per un po' il dolore che gli avevano provocato quelle frecce era quella polverina bianca che ultimamente aveva messo da parte.
Istintivamente, afferrò il cellulare che aveva poggiato sul comodino e andò nei messaggi. Cliccò sulla voce "crea nuovo" e cominciò a scrivere.
"Ho bisogno di una doppia dose per stasera" digitò sulla tastiera di quell'apparecchio. Inserì anche il numero del mittente, ma indugiò pochi secondi prima di premere il tasto invio.
Non puoi farlo. Lo hai promesso a Michael, gli rimproverò la sua coscienza. Ma quella promessa non voleva più, non se Michael sarebbe presto partito e lo avrebbe lasciato nuovamente da solo.
Chiuse gli occhi e il pollice agì automaticamente, inviando il messaggio a Luca. Neanche due minuti dopo, arrivò la sua risposta.
"Solito posto, solita ora."




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
La scrittrice perfida: il ritorno muahahahahahaha
Okay, la smetto con le risate malefiche.
Passiamo al capitolo.. Vi avviso, non sono minimamente soddisfatta di come è venuto fuori (e quando mai lo sono?) ma cercherò di farmi perdonare con il prossimo, che vi avviso sarà più emozionante (o almeno lo sarà per me che sono cattivella xDD) e ricco di colpo di scena.
Vabbeh non ho nient'altro da aggiungere, quindi scappo via xDD
Al prossimo (schifoso) capitolo :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 11
*** #10. Passione e sentimenti. ***




10. Passione e sentimenti.




E non c'è niente da spiegare
E non c'è niente da rifare
Adesso lasciamoci andare
Adesso senza più parole.



«Sei sicuro di riuscire a reggere una doppia dose, Marco?» gli chiese Luca. Tra due dita stringeva quella sua solita sigaretta mezza consumata, mentre l'altra mano l'aveva conficcata in una tasca dei suoi stretti jeans trasandati, cercando ciò che il ragazzino gli aveva chiesto.
«Non credo siano affari tuoi, Luca» ringhiò. Quella domanda lo aveva leggermente infastidito.
Adesso aveva solo bisogno di ciò che gli aveva chiesto e non aveva la minima intenzione di discutere con lui su quanta droga dovesse ingerire.
Per cancellare quel forte dolore che non aveva la minima intenzione di lasciar in pace il suo povero cuoricino, occorreva una dose più abbondante del solito.
«Sì che lo sono» sbottò il biondino. Nel tono di voce Marco riconobbe fin troppa enfasi.
Era preoccupazione quella? Anche Luca aveva dei sentimenti? Sembrava impossibile, eppure era  così. Luca, il ragazzo dagli occhi e il cuore di ghiaccio, si stava preoccupando per lui. Era la seconda persona nel giro di ventiquattro ore che lo faceva.
«Cioè, non vorrei che, nel caso tu finissi in ospedale per overdose, riuscissero a risalire a me» si affrettò a precisare.
Ma Marco sapeva che stava mentendo. Nei suoi glaciali occhi azzurri per la prima volta ci aveva letto un briciolo di emozione.
«Non preoccuparti» lo rassicurò, «sono in grado di badare a me stesso»
«Lo spero» estrasse finalmente dalla tasca quella polverina bianca e Marco gli porse i soldi. Controllò che fossero giusti, poi consegnò la merce al ragazzo.
«A presto» lo salutò e, prima di voltarsi e sparire nel buio, bofonchiò un «sempre se sopravviverai.»
E Marco rimase lì da solo circondato dal buio più totale. Ma non aveva paura dell'oscurità intorno a lui. No, non era questo ciò che temeva.
La sua paura più grande era la solitudine. E, in quel momento, era solo.
Ancora una volta, la sua unica amica era la polverina bianca, che presto lo avrebbe fatto sentire meglio, o peggio.

Michael si girava e rigirava nel letto, cercando di trovare una posizione comoda per dormire. Ma la sua mente in quel momento era troppo occupata a rimuginare sugli eventi di quel giorno per riuscire a riposarsi.
Era stato uno stronzo, lo sapeva. Prima aveva rivelato i suoi sentimenti a Marco, poi lo aveva illuso con quel bacio e, infine, lo aveva rifiutato dicendogli che non sarebbero potuti mai stare insieme.
Ma non era colpa sua se, tra meno di un mese e mezzo, sarebbe dovuto tornare nella sua città, a Londra.
Michael stava davvero incominciando ad affezionarsi al suo bel cameriere sexy e il solo pensare di non rivederlo più gli provocava una fitta al cuore.
E dopo le cose che si erano detti, poi, la situazione era addirittura peggiorata. Ancora non aveva la certezza per poter dire se quello che provava per Marco fosse davvero amore, ma sapeva che, qualunque cosa fosse, era forte e che quel ragazzino era ormai diventato parte fondamentale della sua vita. Farne a meno sarebbe stata un'impresa dura.
Ma sapeva anche che le relazioni a distanza non funzionavano. Non vederlo per giorni, settimane, mesi, per poi poter stare con lui di tanto in tanto non avrebbe potuto sopportarlo. Michael aveva bisogno di stare con lui sempre, ogni momento della sua vita.
E, proprio quando i suoi occhi si erano decisi a cedere alla stanchezza e le sue palpebre a serrarsi, una suoneria proveniente del suo cellulare irruppe nel silenzio irreale della stanza.
Chi mai poteva essere a quell'ora? Afferrò con stizza il telefono e controllò chi gli avesse fatto perdere nuovamente il sonno sul display. Era un numero che non aveva salvato nella rubrica. Cliccò sul pulsante verde e rispose.
«Pronto?» mugugnò con voce impastata dal sonno.
«M-Michael sono i-io, Marco» balbettò la voce dall'altro capo del telefono.
Marco?! Aveva il suo numero?!
La sua testolina cercò di ricordare se glielo avesse mai dato e gli venne in mente quando, dopo aver pagato Luca e essersi fatto promettere che non lo avrebbe più cercato, gli aveva lasciato il suo numero, dicendogli che, se mai ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto chiamare lui.
Quindi era successo qualcosa, dedusse il riccio.
«H-Ho bisogno d-di te» ansimò con voce tremolante. 
«Marco, che ha?» gli chiese. Cominciò a salirgli una strana ansia.
«V-Vieni da m-me» continuò a balbettare, «Ho b-bisogno di t-te.»
«Aspettami. Arrivo» lo rassicurò, «Dove sei?»
«N-Nel quartiere d-dove di s-solito incontro L-Luca» biascicò.
«Non muovere di lì.»
Con uno scatto saltò giù dal letto e afferrò dall'armadio le prime cose che gli capitarono sottomano.
Si catapultò in strada e, a passo svelto, si diresse dove gli aveva detto Marco.
Il quartiere era buio come al solito e, a quell'ora della notte, faceva ancora più paura.
Mentre percorreva le strette stradine, Michael si chiese più volte che ci facesse Marco lì, temendo che la risposta fosse quella più ovvia e scontata: era tornato da Luca.
Ma non era quello il momento adatto per pensare se Marco avesse ricominciato a drogarsi o meno. Doveva trovarlo, aveva bisogno di lui.
Il timore più grande di Michael era quello che Luca avesse potuto fare del male al suo Marco. Dal tono di voce con cui gli aveva parlato poco prima aveva capito che non stava affatto bene. E, se il biondino aveva osato torcergli anche un solo capello, lui gli avrebbe spaccato quel visino da finto angelo che si ritrovava.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorse nemmeno di aver raggiunto la sua destinazione.
«M-Mika» una flebile voce, proveniente da un angolino ancor più oscurato del resto dello spazio circostante, chiamò il suo nome.
«Marco?» chiese avvicinandosi a passi silenziosi, «sei tu?»
«Sì.» Tono tremate e basso, quasi impercettibile.
«Sta bene?» Domanda più stupida non poteva farla, era ovvio che non stava bene.
«No.»
«Luca ti ha fatto qualcosa?» si era avvicinato ancora di più fino a ritrivarsi a pochi passi da lui e riuscire a distinguere l'immagine accovacciata del ragazzo.
Era rannicchiato su se stesso col corpo scosso da tremolii. Lo sguardo era puntato su di lui e la sua espressione era un misto tra paura e sconforto.
Vederlo in quello stato, dopo aver iniettato nel suo corpo chissà quali sostanze, provocò nel riccio un profondo senso di colpevolezza. Era a causa sua e degli sbagli che poche ore prima aveva fatto se Marco era in quello stato pietoso.
Sapeva perfettamente quanto per un drogato era difficile liberarsi della sua dipendenza e Marco ci stava anche riuscendo, peccato che poi lui gli avesse distrutto tutte le sue speranze, inducendolo inconsapevolmente di nuovo ad autodistruggersi.
«No, sono stato io» rispose, articolando finalmente una frase con soggetto e predicato.
«Cosa tu ha fatto?» altra domanda inutile e, anche questa volta, la risposta non poteva essere che scontata.
«Non ho mantenuto la promessa» parlò tra i singhiozzi, «M-Mi d-dispiace.»
Michael si piegò sulle ginocchia e gli posò una mano sulla spalla. «Torniamo a casa dai.»
Il ragazzino annuì e, appoggiandosi al muretto, cercò di alzarsi. Anche se con difficoltà, riuscì alla fine a rimettersi in piedi.
Cercò di fare un passo, ma finì col cadere in avanti, schiacciando la faccia sul dorso del libanese.
«Ehi ti aiuta io» disse dolcemente Michael, passandogli una mano tra i capelli.
«Ho esagerato questa volta, Mika» La voce gli arrivò ovattata poiché aveva il viso immerso nella maglietta del libanese.
«Non preoccuparte» strinse una mano intorno al corpo del ragazzo, «ora ci sono io con te.»
«Sei il mio angelo» mugugnò, affondando ancora di più il capo nel petto del riccio.
Michael sospirò. Avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che per lui ci sarebbe sempre stato, che lo avrebbe aiutato in qualsiasi momento, che con lui non sarebbe stato più solo. Ma prima o poi sarebbe dovuto ripartire e avrebe dovuto lasciare di nuovo Marco.
Gli lasciò un dolce bacio tra i capelli, poi disse: «Andiamo dai.»
«Non voglio tornare in quello squallido motel» protestò, «Mi ritroverei di nuovo da solo e farei qualche altra calzata.» Aveva la voce scossa da piccoli singhiozzi e una sua mano si aggrappava fortemente a un lembo della maglia di Michael.
«Andiamo a casa mia. Ci sarò io con te.»


Appena Michael varcò la porta del suo appartamento e accese l'interruttore della luce, poté vedere davvero in che condizioni fosse ridotto Marco.
Aveva gli occhi rossi e due grosse borse livide ne facevano da contorno. La carnagione del ragazzo, già normalmente chiara, aveva assunto un colore ancora più pallido.
«Mi dispiace» si scusò come se fosse stata davvero colpa sua se Marco si fosse ridotto in quello stato.
«Non devi dispiacerti per me. È colpa mia e mi merito di stare così male.»
«Io non permetterà più che tu soffra.»
Michael avvolse le braccia intorno al suo corpo e lo strinse forte a sé. Il ragazzo si perse in quell'abbraccio, assaporandone fino in fondo tutto il calore e la sicurezza capace di trasmettergli.
Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, che potesse restare per sempre così, avvinghiato al corpo del suo angelo riccioluto.
«Non sei più solo, Marco» percorse su e giù con una mano la sua schiena, «ora ci sono io qui accanto a te.»
Marco alzò il viso, che aveva nascosto tra il collo e la spalla del ragazzo, e lo guardò negli occhi. In quei due pozzi verdognoli ci lesse tutto ciò di cui aveva bisogno e che non aveva mai ricevuto: protezione e affetto.
In quel momento il pensiero della partenza di Michael sembrava una questione marginale, lontana mille miglia da loro e che non li riguardava minimamente. Adesso c'erano solo loro due, il loro mondo e il loro amore. Tutto il resto non contava.
Era così bello perdersi in quegli attimi di infinita dolcezza che nessuno dei due voleva più staccarsi da quell'abbracio, anzi sentivano il bisogno di approfondire ancor di più quel contatto.
Possibile che io mi stia di nuovo innamorando?!, si stava chiedendo Michael. Era così forte l'affetto che provava per quel ragazzino che non poteva trattarsi di semplice bene. No, andava ben oltre.
E lo aveva capito solo quando, sprofondando nel suo petto, avrebbe voluto solo cancellare qualsiasi briciolo di sofferenza dalla sua vita. Voleva proteggerlo, stargli accanto, abbracciarlo, e magari anche riassaporare le sue labbra per blindare per sempre quel profondo sentimento che stava scoprendo nascere dentro di sé.
Si stavano ancora guardando intensamente, con i loro occhi che si scrutavano e si perdevano gli uni negli altri. E in quel momento fu tutto chiaro: si desideravano entrambi come mai avevano desiderato nulla.
Bramavano un contatto molto più profondo di quel semplice abbraccio, qualcosa di intenso che andava ben oltre e che sapevano avrebbe sancito per sempre l'entità dei loro sentimenti.
Si volevano, entrambi, allo stesso modo.
Qualsiasi cosa ora sembrava lontana, niente e nessuno avrebbe mai potuto separarli.
La distanza?! Avrebbero trovato un modo per superarla. Il loro desiderio vinceva qualsiasi cosa avversa. Era troppo forte, tanto che neanche loro stessi sarebbero riusciti a controllarlo.
L'intensità di ciò che provavano aveva riempito l'aria intorno a loro. Chiunque avrebbe potuto accorgersi che quei due si amavano.
«Al diavolo Londra, Roma e tutto il resto!» esclamò Michael prima di avventarsi con foga sulle labbra di Marco. Finalmente la loro brama si stava placando, anche se non del tutto. Ma era pur sempre un inizio.
Ciò che le loro labbra crearono fu un intreccio di passione e sentimenti, che si mescolavano e inersecavano tra loro, creando un connubio indissolubile tra quei due elementi che raramente riuscivano a convivere insieme.
«C-Credo di e-essermi innamorato d-di te» rivelò il più piccolo, balbettando.
«Io...» Michael non sapeva che dire, «oh Marco, anche io!» E in quel momento Marco non capì nuovamente se stesse sognando o se tutto quello stesse succedendo davvero. Dentro di lui il confine tra fantasia e realtà era sfocato e piuttosto confuso.
Aveva davvero detto che lo amava o era solo la sua mente che stava farneticando?!
Michael prese il suo viso tra le mani e con foga si avventò nuovamente sulle sue labbra. Il ragazzo ricambiò fino in fondo ogni bacio, ogni carezza e ogni rivolo d'amore che il riccio gli offrì.
Se è un sogno, posso fare tutto ciò che voglio, si convinse Marco. Aveva tenuto per così tanto tempo segregati dentro di sé i suoi sentimenti che ora stavano venendo fuori tutti e tutti insieme, scatenando un ciclone di inaudita violenza.
Si staccò bruscamente dal riccio e lo guardò con un piccolo ghigno soddisfatto per la reazione che ebbe. Lo stava scrutando con un'aria confusa sul volto e la mascella serrata in un'espressione di protesta.
Ma Marco non aveva intenzione di porre fine a quello che stavano facendo, qualsiasi cosa fosse. Anzi, voleva aporofondirlo di più, andare fin in fondo, dove prima d'allora non si era mai spinto.
Ritornò sulla sua bocca, intrappolandogli il labbro inferiore tra i denti. Michael emise un piccolo gridolino di protesta, ma sorrise leggermente quando Marco si spostò vicino al suo orecchio e gli sussurrò: «Credo che se ci spostassimo sul letto staremmo più comodi.»
«Marco» protestò il libanese con quel poco di lucidità che gli rimaneva, «non voglio approfittarme di te in queste condizioni.»
«È, invece, ti conviene approfittarne» ribatté, fiondandosi di nuovo sulle sue labbra, «un Marco così audace non credo lo vedrai mai più.»
E, a quel punto, la forza di protestare ancora gli venne meno, lasciando che Marco si prendesse ciò che voleva.
Continuando a baciarsi con smania sempre crescente, i due raggiunsero in qualche modo il letto a due piazze nella stanza del libanese.
Marco afferrò i fianchi del riccio e lo fece stendere dolcemente sul materasso. Si posizionò a cavalconi su di lui, infilando una mano sotto la sua maglia. Percorse con le dita le linee dei suoi addominali, sentendo dentro di sé l'eccitazione crescere e il desiderio di far completamente suo quel corpo farsi sempre più forte.
E fu così che la maglia sparì in qualche angolino remoto della camera, insieme a tutti gli altri vestiti che i due indossavano.
Michael assecondava i suoi gesti, facendo combaciare ad ogni carezza o bacio del ragazzo una carezza o un bacio anche da parte sua.
Ormai rimasti solo in boxer, Marco si bloccò, sotto lo sguardo malizioso del riccio, a godersi il panorama. Tutte le fantasie che si era fatto sul suo bell'angelo nudo non rendevano mimamente giustizia alla meravigliosa perfezione che trasudava da ogni angolo del suo corpo.
«Niente male, davvero» commentò, prima di riprendere ad esplorare quella meraviglia.
«Neanche tu» gli rispose il riccio, «ma dimmi una cosa...» prese il viso del ragazzino tra le mani e lo portò a pochi millimetri dal suo, «che ne ha fatto tu del mio dolce e timido Marco?»
«Quale dolce e timido Marco?!» finse di non sapere di cosa stesse parlando, «Io non lo conosco.»
Marco sorrise e le loro bocche si congiunsero ancora, assaporandosi ed esplorandosi come mai aveano fatto fino a quel momento.
«Però questo nuovo Marco mi piace» constatò il ricciolino.
«Ma adesso basta parlare» disse Marco, «piuttosto dedichiamoci ad altro.»
Il tono malizioso e lo sguardo disarmante che gli rivolse, fecero capire a Michael che ormai non aveva più scelta: era completamente in balia di Marco. Tutte le sue barriere erano crollate insieme al suo non voler rischiare di legarsi nuovamente a qualcuno. Ormai c'era dentro fino al collo e non aveva la minima intenzione di uscirne.
Così lo lasciò fare, mentre trafficava con i suoi boxer e glieli sfilava del tutto.
«Michael girati...» gli sussurrò con voce roca e Michael lo fece senza esitazioni. Gli lasciò un bacio sulle labbra e poi si mise di spalle, con le mani strette ai cuscini del letto.
Marco sfilò anche i suoi boxer e lo sfiorò con la sua erezione bagnata, la lasciò scivolare tra le sue natiche e si soffermò sulla sua apertura. Lo sentì irrigidirsi sotto di lui, ma non si fermò e lo penetrò lentamente.
«Oh Marco...»
Era una tortura la sua. Sì, Marco lo stava torturando con la lentezza e la delicatezza con la quale entrava in lui.
«Ti prego...» Quando sentì supplicarlo, il ragazzino si decise a entrare del tutto dentro di lui. Le spinte si fecero man mano più forti e decise e Michael fu costretto ad impiantare le unghie nel cuscino.
Gemiti e respiri affannosi riempirono la stanza mentre i due raggiungevano il limite del piacere. «Ti amo, Marco» disse Michael quando il ragazzo cadde sfinito sul letto accanto a lui.







#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Visto?? Ho scritto un capitolo dolce (e anche piccante direi eheh).. L'ho fatto per ringraziarvi di tutti i complimenti che ogni volta mi fate e per aver fatto entrare la mia piccola e schifosa storiella nelle classifica 20 più seguite. Grazie mille, davvero ❤
I versi a inizio capitolo sono estratti dalla canzone "Avessi un altro modo" di Marco e li ho inseriti perché credevo ci azzeccassero col capitolo xDD
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 12
*** #11. Destino avverso. ***




11. Destino avverso.





«Anche io» bofonchiò Marco con voce roca, mentre si sistemava meglio sul letto. Posizionò la sua testolina sul ventre del riccio, usandolo come cuscino, e le gambe vennero intrecciate alle sue. Gli lasciò un bacio sul torace, sulla sinistra, proprio sopra il suo cuore.
Poteva essere una scena romantica, se non fosse stato per un piccolo dubbio che ossessionava la mente di Michael dal momento in cui il ragazzino era scivolato fuori di lui.
«Marco» pronunciò il suo nome cercando di richiamare l'attenzione del ragazzino, ormai quasi mezzo addormentato sul suo petto, su di sé, «Ti prego dimmi che tutto ciò che tu ha detto, ogni parola che ha pronunciato, ogni cosa che ha fatto, era tu e non la droga ad agire al posto tuo» gli passò una mano, quasi tremate, tra i capelli umidi impregnati di sudore.
Marco impiantò un braccio sul materasso e fece leva per sollevarsi un po', in modo da poter guardare Michael negli occhi. «Forse la droga mi ha aiutato ad essere più coraggioso stasera» ammise e vide il volto del riccio tramutarsi in un'espressione triste, «ma una cosa è certa: ciò che provo per te non è il frutto di nessuna sostanza.»
Sporse il viso leggermente verso di lui, facendo incontrare le loro labbra e lasciandogli un tenue bacio. Dalla passione di pochi minuti prima, ora erano passati ad una dolcezza inaudita.
Entrambi sorrisero, felici di ciò che nei loro cuori stava nascendo. Qualcosa di nuovo e meraviglioso aveva preso vita dentro di loro e parola dopo parola, carezza dopo carezza, bacio dopo bacio, cresceva sempre di più.
Ripoggiò il capo sul petto di Michael e, sotto il suo sguardo vigile, pochi minuti dopo le palpebre cedettero alla stanchezza e si lasciò andare al sonno.
Michael sospirò. Era tutto così dannatamente meraviglioso, forse anche troppo. Doveva godersi questo momento perché aveva una strana sensazione che presagiva che non sarebbe durato ancora molto.
Come ogni volta che aveva amato, sapeva che prima o poi la sofferenza sarebbe arrivata, nulla mai andava liscio come voleva.

La dolce carezza di una mano che passava tra i suoi ciuffetti di capelli disturbò il leggero sonno di Marco che, con un gemito di protesta, fu costretto ad aprire gli occhi.
«Buongiorno» una voce candida e dolce gli arrivò alle orecchie. Un sorriso e due deliziose fossette gli si pararono davanti.
Non poteva esserci risveglio migliore di quello di ritrovarsi a pochi centimetri dal suo volto l'uomo che tanto amava.
Eh?! Chi?! A pochi centimetri da cosa?! Stava ancora sognando o era davvero Michael quello che lo stava guardando dolcemente con i suoi due pozzi verdognoli?!
«Mika?!» esclamò il ragazzino incredulo della visione che gli si offrì ai suoi occhi. Michael, completamente nudo, con solo un brandello di lenzuola a ricoprirgli le parti intime, era appoggiato sui gomiti di fronte a lui sul letto della sua camera. Ma... Che ci faceva lui lì?! E soprattutto perché Michael era nudo?!
Cercò di mettere a fuoco la situazione, ma i suoi ricordi andavano ad affievolirsi dopo l'immagine di un premuroso Luca che gli consegnava la droga, raccomandandogli di stare attento.
«Marco che ha?» gli chiese Michael con un'espressione piuttosto accigliata sul viso.
Nel frattempo, Marco stava continuando a cercare di rimettere insieme gli elementi che aveva racimolato da quei pochi ricordi di cui era a disposizione.
LUCA - LA DROGA - LETTO DI MICHAEL - NUDO.
La soluzione non poteva che essere quella più ovvia e scontata. Era accaduto ciò che più temeva: aveva fatto l'amore con Michael mentre era completamente fatto e, cosa ancora peggiore, non riusciva a ricordarsi un bel nulla.
Michael, vedendolo completamente assente, sventolò una mano davanti ai suoi occhi, ridestandolo dai suoi pensieri.
«Mika...» Marco parlò con timore, con la paura di ciò che stava per chiedergli. Ma doveva farlo, doveva sapere se ciò che aveva ipotizzato era successo per davvero, nonostante la risposta lo spaventasse a morte. «Che cosa è successo ieri?»
Il volto del ricciolino si accigliò e vi comparve una smorfia di sgomento. «Marco tu non ricorda...?»
«No.» Alla risposta negativa del ragazzo, Michael scattò giù dal letto e recuperò i suoi indumenti.
«Doveva immaginarlo» imprecò contro se stesso mentre si infilava i boxer, «tu era completamente fatto... Perché io non ti ha fermato?!»
Perché lui non è l'unico ad essere dipendente da qualcosa. Anche tu lo sei di lui, gli ricordò una fastidiosa vocina dentro di lui. Ma, gli costava ammetterlo, aveva pienamente ragione. «Oh sono proprio uno stupido!»
Disse qualche altra parola in inglese, che però Marco, con la sua scarsa conoscenza della lingua, non riuscì a capire.
«Mi dispiace... Io non doveva approfittare di te.»
Calò la testa sul pavimento, incapace di incrociare il suo sguardo. Doveva solo vergognarsi per ciò che aveva fatto... Approfittarsi di un ragazzo non del tutto lucido, sapendo che ciò che stava facendo poteva non volerlo per davvero, era da vigliacchi. Avrebbe dovuto prendersi cura di lui, invece ne aveva abusato solo perché non sapeva tener a bada i suoi stupidi ormoni. E lui non si ricordava neanche ciò  che era successo.
«Ha bisogno di stare un po' da solo» disse, «fa come se fossi a casa tua. Io va a prendere una boccata d'aria.»
Uscì dalla stanza e, dopo pochi secondi, Marco sentì la porta d'ingresso sbattere rumorosamente.
Idiota. Sei sempre il solito idiota, si ripeteva il ricco mentalmente mentre percorreva a falcate il marciapiede.
Come aveva potuto farlo? Approfittare di un Marco non cosciente e fare l'amore con lui essendo pienamente consapevole che avrebbe potuto dimenticare tutto era da perfetti idioti.
Ma, come aveva detto quella antipatica vocina, così come Marco quella sera era drogato di cocaina, Michael era drogato di lui. E, si sa, quando si ha una dipendenza è difficile, se non quasi impossibile, controllarsi.
Michael aveva così tanto desiderato quel corpo che, quando poche ore prima gli si era offerta la possibilità di placare la sua brama, aveva ceduto senza alcuna esitazione.
Ed era stato bellissimo. Inspiegabilmente meraviglioso. Si erano detti di amarsi, si erano uniti in un solo corpo ed erano stati così maledettamente bene, peccato che Marco fosse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.
E ora Micahel non riusciva più a capire quale fosse la realtà dei suoi sentimenti. Era stata solo la droga a parlare? Oppure lo amava davvero? Queste erano domande a cui avrebbe voluto dare una risposta, ma si vergognava troppo per ritornare da Marco e farsi spiegare fin dove la droga lo aveva condizionato.
Chissà cosa stava pensando in quel momento di lui. Che era un aporofittatore, che lo aveva solo usato per una notte di sesso, che era un maniaco con gli ormoni in subbuglio... Tutte cose non vere, ovviamente. Lui era innamorato pazzo di quel ragazzino complicato e sofferente e per questo sapeva che non avrebbe mai dovuto cedere.
Ma, purtroppo, ciò che era successo non si poteva cancellare e a Michael non restava che sperare di poter in qualche modo rimediare.

Nel frattempo, Marco si era alzato dal letto e aveva cominciato a vestirsi, mentre con la mente cercava in tutti i modi di ricordarsi qualche piccolo dettaglio della notte precedente.
Aveva fatto l'amore con Michael e della sera precedente non ricordava altro che un enorme vuoto. Perfetto.
E più pensava e più i ricordi venivano meno. Una vibrazione, proveniente dalla tasca sinistra dei jeans che aveva appena infilato, ridestò il ragazzino dai suoi pensieri. Scavò nella tasca e ne tirò fuori il cellulare.
C'erano una decina di chiamate perse e un messaggio da parte di Alessia, la sua collega.
"Che fine hai fatto? Sono due giorni che non ti presenti a lavoro. E sei stato licenziato, complimenti!"
Quando lesse ciò che la ragazza gli aveva scritto, sgranò gli occhi. In effetti in quegli ultimi due giorni non era andato al bar e si era completamente dimenticato di avvisare il proprietario, nonché suo capo, della sua assenza.
Ma non poteva aver perso il lavoro, era già al verde per la sua doppia dose del giorno precedente.
Velocemente, sgattaiolò fuori da quella casa e si diresse verso il locale. Doveva provare a recuperare il lavoro o sarebbe stato spacciato.

Niente lavoro. Niente soldi. Niente amore. Solo come un cane. Ecco era così che in quel momento si sentiva Marco.
Era nella stessa situazione di due anni prima e non sapeva come uscirne. Perché il destino gli era così avverso?
Evidentemente al fato non doveva essere per nulla simpatico.
E ora si ritrovava a vagabondare per le vie di Ronciglione con la testa che gli scoppiava per i troppi pensieri. Aveva provato a parlare con il suo capo, ma non gli aveva concesso una seconda possibilità.
A Michael, tra l'altro, non aveva detto nulla e non sapeva neanche che fine avesse fatto, se, tornando a casa e non ritrovandolo, avesse provato a cercarlo, oppure - ipotesi molto più probabile - era stato felice di essersi liberato di quell'enorme peso che costituiva per lui.
Se solo non fosse stato al verde, avrebbe richiamato Luca. Ma non poteva neanche affogare i suoi dispiaceri nella droga, poiché gli ultimi risparmi che aveva cercato di racimolare li aveva usati tutti per quella stupida doppia dose.
Non c'era cosa che andasse per il verso giusto nella sua stupida, insignificante e dolorosa vita.
Aveva fatto l'amore col ragazzo del quale era innamorato e non si ricordava un bel nulla... Si poteva essere più sfigati?! No, non si poteva.
Se adesso una macchina guidata da qualche ubriaco lo avesse investito e avesse messo fine per sempre alla sua sofferente esistenza, lui lo avrebbe persino ringraziato. Se non altro da morto non avrebbe potuto più provare nulla, o almeno lo sperava.
Non si era neanche accorto che si era fatto buio. Le luci dei lampioni sui marciapiedi si erano già illuminate da un bel po', insieme alle insegne dei vari locali presenti lì intorno. Stanco ormai di camminare, intravide quella di un bar che conosceva bene. Ci aveva passato notti intere lì dentro con una birretta in mano ad ubriacarsi.
Decise che avrebbe potuto farci un salto, quei pochi spiccioli che gli rimanevano in tasca gli permettevano di prendersi almeno un paio di birre.
Così attraversò la strada, ritrovandosi a sperare nuovamente che qualche macchina si trovasse a passare proprio in quel momento. Ma non accadde e raggiunse l'uscio della porta del locale vivo e vegeto.
Sbuffò e brontolò qualcosa sul fatto che, quando servono, i pirati della strada non ci sono mai.
Spinse la maniglia a leva del bar ed entrò.
Appena ci mise piede dentro un odore aspro di alcool misto al fumo delle sigarette, che creava una nube irrespirabile nella sala, penetrò nel suo naso. Un amaro sorrisetto comparve sulle sue labbra al ricordo di quando prima era proprio come quel ragazzo che quella sera occupava il suo posto al bancone. Lo sguardo basso, fisso sul bicchiere di wodka, una mano che lo reggeva e l'altra che stringeva tra due dita una sigaretta appena accesa.
Chissà quale pene stava scontando. Amore?! Famiglia?! Lavoro?! O forse era solo un povero emarginato della società come lui.
Si accomodò anche Marco, occupando lo sgabello vuoto accanto a quel ragazzo.
Tamburellò con le dita sul legno vecchio del bancone, in attesa che la cameriera, intenta a flertare con un ragazzo non molto distante da lui, si decidesse ad occuparsi anche degli altri clienti.
Quando finalmente si ricordò di essere a lavoro e non nella sua camera da letto, la ragazza ritornò dietro il bancone. E, notando Marco, le carnose labbra ricoperte del solito rossetto rosso fuoco si spalancarono in un caldo sorriso.
«Marco» disse, facendogli un cenno di saluto con la mano.
«Sarah» rispose cortese, ma non alzando lo sguardo.
«È da un po' che non ti si vede» gli portò una mano sul viso e gli lasciò un paio di buffetti, «credevo avessi cominciato a mettere la testa a posto.»
«Il nostro Marco un bravo ragazzo?! Nah impossibile» esordì una terza persona che il ragazzino neanche si era accorto avesse occupato il posto accanto al suo.
Si voltò, avendo però già riconosciuto quell'irritante e glaciale voce. Ciuffo biondo, braccia incrociate sul bancone, ghigno divertito sulle labbra e due occhi così freddi da poterti congelare con un solo sguardo. «Ciao frocetto.» Luca.

Ritornato al suo appartamento, Michael controllò se Marco fosse ancora lì e dovette constatare, con estrema amarezza, che il ragazzino era già andato via. Ma doveva assolutamente parlargli, doveva chiarire cosa era successo la notte prima. Non poteva lasciargli credere che lui era uno stronzo che aveva abusato di lui quando era meno lucido.
Deciso a non mollare, il riccio uscì nuovamente di casa per cercare Marco.
Camminava per le strade con sguardo viglie, scrutando in volto ogni persona e sperando ogni volta che fosse lui. Il problema era che Michael non sapeva bene dov'era che Marco alloggiava e, se fosse tornato a casa, probabilmente non lo avrebbe trovato.
Decise di far partire la sua ispezione dal bar dove il ragazzo faceva da cameriere. Forse era passato di lì o forse c'era ancora visto che ci lavorava.
Ma, quando entrò, dietro al bancone vide solo la biondina che ci aveva provato più volte con lui. Di Marco nemmeno l'ombra.
Gli si avvicinò e la salutò furtivamente, chiedendole subito dopo se sapesse dove fosse l'altro cameriere.
«È appena stato licenziato» gli rispose, «però forse so dove potrebbe essere... Di solito, quando non lavora, si rifugia in quel vecchio bar di alcolisti...» gli spiegò per bene dove si trovava il locale e, dopo averla ringraziata, Michael corse dal suo Marco.
Aveva perso il lavoro ed era in un bar di alcolisti. La situazione non prometteva nulla di buono e, se non si sarebbe mosso a raggiungerlo, temeva avrebbe fatto una delle sue solite cazzate.

«Ciao Luca» Marco salutò il biondino con un pizzico di amaro nel tono di voce. Se ora era in quelle condizioni era anche un po' colpa sua.
«Vedo che non hai avuto complicazioni» constatò, «e, visto che hai reagito bene, potrei darti anche un'altra dose se hai i soldi» batté con la mano sulla tasca sinistra leggermente rigonfia dei suoi jeans.
Marco, udendo quelle parole, perse del tutto quel po' di pazienza che gli rimaneva. «Non ho avuto nessuna complicazione?!» esclamò, battendo prepotentemente un pugno sul bancone. Il rumore che provocò riecheggiò all'interno del locale, attirando l'attenzione di tutti i clienti su di lui che, incuriositi da quella eccessiva aggressività del ragazzo, cominciarono a parlottare tra loro.
I nervi di Marco ormai erano andati in fumo e quel vociare di quei vecchi alcolisti non fece altro che peggiorare la situazione.
«Sai cosa è successo ieri?! Dopo aver preso la tua doppia dose mi sono sentito male» sbottò e poté cogliere un piccolo cambiamento nell'espressione di Luca, che sembrò nuovamente quasi preoccuparto per lui. Ma in quel momento Marco era troppo fuori di sé per occuparsi di quel piccolo, ma significante, dettaglio. «Ma questo non importa. Ho chiamato Michael per aiutarmi, lui mi ha portato a casa sua e abbiamo fatto l'amore. Eppure nemmeno questa è la cosa peggiore. Anzi, sarebbe stata la cosa migliore che mi fosse mai capitata, se solo riuscissi a ricordare anche solo un minuto di quella stupida sera. Ma nulla, non ricordo un cazzo! E vuoi sapere qual è la ciliegina sulla torta?! Che sono stato anche licenziato e avrei tanto bisogno di quella dose, ma sono completamente al verde. Ed è tutta colpa tua. Solamente tua e di quel maledetto giorno che ti incontrai e mi offristi la via più semplice per non soffrire. Peccato l'effetto sia solo temporaneo e dopo ti ritrovi con un dolore ancora più forte di prima. Sei contento ora?!»
Erano parole dure quelle che aveva appena sbattuto in faccia a Luca e Marco sapeva bene che lo avevano colpito nel profondo del suo cuore di ghiaccio.
Luca si era sempre sentito in colpa per la morte del padre ed ora attribuirgli anche quella della sua distruzione non era di certo una bella cosa. E Marco sapeva che non era a lui che doveva dare la colpa, ma solo a se stesso per essere caduto in quel profondo baratro e non essere più riuscito ad uscirne.
Il biondino calò gli occhi sul pavimento trasandato del locale e, con una flebile voce, bofonchiò un «Mi dispiace.» E si poteva cogliere chiaro dal tono che quelle scuse erano vere.
Restarono alcuni minuti senza parlare, troppo imbarazzati per la situazione che si era venuta a creare.
«Non volevo rovinarti la vita» fu Luca a rompere il silenzio per primo, «Vorrei in qualche modo ripagare per averti fatto perdere il posto e, se vuoi, potrei offrirti di lavorare con me... Potresti aiutarmi nella vendita...»
«No» una voce ferma e risoluta dietro di loro impedì al biondino di completare la sua offerta. I due ragazzi si votarono e videro Michael a pochi passi da loro avvicinarsi. «Marco non farà nulla del genere... Tu deve smetterla di coinvolgere lui in questa merda. Se tu vuole restarci, bene... Ma non portare giù con te anche Marco.»
Luca non ebbe neanche il tempo di ribattere che il ricciolino aveva già afferrato Marco per un braccio e lo aveva trascinato con sé fuori dal locale.
«Possibile che io non può lasciarte per qualche minuto da solo che subito riesce a cacciarti in qualche guaio?!» gli urlò contro. Sembrava davvero arrabbiato, aveva il dolce visino contratto in un'espressione crucciata che stonava con i suoi lineamenti angelici.
«M-Ma io n-non...» cercò di parlare, ma il riccio lo ammutolì con le sue pungenti parole. «Sta zitto Marco, please.»
Il ragazzo serrò immediatamente la bocca e lasciò che il libanese lo trascinasse in casa sua.
«Di cosa tu è fatto stasera?» gli chiese Michael, buttandosi sfinito sul divano. Si passò una mano tra i ricciolini, sbuffando rumorosamente. «Tu è ubriaco? Drogato?»
Marco, ancora fermo all'ingresso, gli si avvicinò e lo affiancò, sedendosi accanto a lui. «Sono lucido» rispose, «Ho solo fumato qualche sigaretta di troppo, ma non ho preso nulla al bar e non avevo soldi per pagarmi la roba.»
«Allora io può parlare senza che tu domani ti scorda tutto quello che ti dica?» Da quel tono quasi cinico che utilizzò si poteva cogliere quanto la storia dell'amnesia gli avesse fatto male. Non riusciva proprio a mandarla giù. «Sì.»
«Good» disse, «io voleva scusarme per quello che è successo ieri. Io non voleva abusare de te in quello stato but... You.. Oh you were so sexy...» lo guardò negli occhi, incatenando insieme le loro pupille. Era sempre meraviglioso riuscire ad immergersi nel suo sguardo verdognolo. «Mi dispiace, non voleva.»
Tu non hai nessuna colpa, non devi scusarti. Sono io l'unica causa dei mali di entrambi, avrebbe voluto ribattere. Ma ora aveva anche lui da scusarsi per qualcosa. «E a me dispiace non ricordarmi di quando il mio sogno si è finalmente realizzato ma ero completamente fatto per godermelo a pieno.»
«What?!» il riccio si accigliò, contraendo il viso in una smorfia confusa.
Gli si doveva spiegare proprio tutto?! Non capiva che il suo sogno fosse sempre e solamente lui?!
Coraggio Marco, ora o mai più. Devi pur sempre farti perdonare, si disse per poi prendere un respiro profondo e cominciare a confessargli tutto, questa volta però da lucido.
«Il mio sogno è poterti toccare» posò una mano sulla sua guancia e, sfiorandola con due dita, gli lasciò una leggera carezza, «è poter giocarellare con i tuoi ricciolini» continuò, infilando la mano nei morbidi capelli del libanese, «è poter assaggiare le tue labbra ogni volta che ne ho voglia» portò il viso quasi a contatto col suo e, dopo una breve esitazione, posò dolcemente la bocca sulla sua e ci lasciò un tenero bacio a stampo, «è poter fare l'amore con te» le sue labbra si sposarono sul collo, dove, questa volta, intrappolò un lembo di pelle tra i denti, lasciandogli un piccolo morso, «il mio sogno sei tu, Mika» concluse.
Michael non poté far altro che rimanere immobile sotto il tocco di Marco. «Sei sicuro di non aver preso niente, Marco?» gli chiese, sorpreso e confuso dei gesti inattesi del ragazzo.
«No» scosse la testa, sorridendo, «stasera sono fatto. Ma sono drogato di te, Mika. Tu sei la mia droga preferita.»
E detto da un tossicodipendente, constatò Michael, doveva essere una bella cosa.
Marco gli aveva appena confessato il suo amore e in quel momento non c'era alcuna sostanza stupefacente che stava parlando al suo posto o che gli facesse dimenticare tutto quando, l'indomani mattina, i suoi occhi si sarebbero aperti.
«E tu la mia» rispose con semplicità, ma mettendoci tutto ciò che provava in quelle poche parole.
Le mani del ricciolino si posarono sul viso di Marco e lo avvicinarono al suo, facendo unire le loro labbra in un tenero bacio. Tutto ciò che era successo in quelle ultime ventiquattro ore si stava via via cancellando nella dolcezza di quel contatto.
Le labbra del ragazzo si dischiusero leggermente, dando la via libera alla lingua di Michael di infilarsi nella sua bocca. Le mani del ricciolino, dal viso di Marco su cui erano ancora poggiate, scivolarono più giù e andarono ad intrecciarsi dietro al suo collo.
Finalmente potevano amarsi come mai prima erano riusciti a fare. Potevano dichiarare i loro sentimenti attraverso quel bacio senza più niente di cui aver paura. Non c'era più la droga, non c'era la prossima partenza del libanese, non c'era il resto mondo. C'era solo il loro amore e questo bastava ad entrambi per placare la loro dipendenza l'uno dall'altro.
Lentamente, Michael si staccò, ormai senza fiato. «Io ti trascinerà via dalla tossicodipendenza, Marco. Te lo promette» soffiò sulle sue labbra, «Io ti salverà.» E avrebbe mantenuto quella promessa, costi quel che costi. Lo avrebbe aiutato, gli sarebbe stato accanto e gli avrebbe offerto ciò che il ragazzino non aveva mai avuto: una persona che lo amava e che si prendesse cura di lui.
Quelle parole lo colpirono nel profondo, azzerando del tutto qualsiasi suo dubbio. Quel ricciolino era un angelo caduto dal cielo, ormai era palese.
«E io te lo lascerò fare» rispose, «Salvami.» E lo baciò ancora, cercando di fargli capire quanto avesse bisogno di qualcuno che lo salvasse per davvero, che lo aiutasse a trovare un senso alla sua vita. Anzi, forse un senso lo aveva già trovato: era ormai quel ricciolino la ragione della sua esistenza.
Forse, pensò Marco, il destino non gli era poi tanto avverso.





#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Lo so, sono tremendamente in ritardo, ma ho avuto un piccolo blocco e non riuscivo ad andare avanti con la ff, però ho quasi concluso una OS a cui stavo lavorando da un mese.
Comunque ora l'ispirazione è tornata e in due giorni sono riuscita a scrivere questo capitolo, che, per farmi perdonare, ho deciso di allungare con l'ultima parte che, in realtà, doveva essere la prima del prossimo capitolo.
Spero che sto coso penoso vi piaccia ❤
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 13
*** #12. Tira e molla. ***




12. Tira e molla.





Erano ore ormai che stavano accoccolati l'uno all'altro su quel divano, abbracciandosi e baciandosi come avevano sempre desiderato fare.
Le gambe di Michael erano distese su tutta la lunghezza del divano, con il dorso che si sorreggeva su uno dei braccioli laterali e la testa chinata ad osservare il ragazzino che, invece, era avvinghiato come un bambino al suo corpo.
Teneva le gambe incrociate alle sue e le braccia ancorate alla vita del libanese. Il capo era dolcemente poggiato sul lato sinistro del petto e stava attentamente ascoltando i battiti del suo cuore. Poco prima gli aveva rivelato che erano la melodia più bella che avesse mai udito.
Il riccio gli aveva sorriso, aveva preso il suo volto tra le mani e lo aveva baciato con passione. «E il sapore delle tue labbra è la cosa più buona che io ha mai assaggiato» gli aveva detto, interrompendo per un attimo il bacio, ma poi riprendendolo più fugacemente di prima.
In quel momento, mentre si lasciava cullare dalle muscolose braccia del suo ricciolino, la bocca di Marco gli si aprì in un grosso sbadiglio.
«Non crede sia ora di andare a casa a dormire, Marco?» chiese il ricciolino, anche se vedere Marco così avvinghiato al suo corpo gli provocò un moto di tenerezza nello stomaco. Avrebbe voluto stringerlo in quel modo per sempre, o almeno per tutta la notte, dato che l'eternità era un periodo di tempo un po' lungo, e lui col suo bel cameriere sexy avrebbe voluto far anche altro. Ma per quella notte poteva accontentarsi di quel piccolo premio, gli sarebbe bastato, purché Marco fosse lì con lui.
Tuttavia non poteva giovarsi ancora molto di quella compagnia perché, suo malgrado, sapeva che il ragazzo era molto stanco e dopo ciò che aveva combinato il giorno precedente aveva senz'altro bisogno di riposo.
«Sì... Ma io voglio restare ancora un po' con te...» rispose Marco. Si accoccolò meglio tra le sue braccia, ritenendo che il corpo del libanese potesse andare più che bene come sostituto del letto. Era morbido, caldo, comodo... E, cosa più importante, era Michael.
D'altro canto, neanche il ricciolino aveva voglia di rispedire a casa il suo Marco. Aveva il bisogno di tenerlo con lui quella notte, giusto per accertarsi che ciò che stava accadendo fosse davvero reale.
«Allora resta con me stanotte» si azzardò a proporre. Nella voce si poté scorgere un pizzico di timore, dovuto alla possibilità che il ragazzo fraintendesse. Non aveva alcuna intenzione di far l'amore con lui quella sera, ma voleva solo stringere a sé il suo esile corpo, cullarlo tra le braccia, vedere i suoi occhi chiudersi e ore dopo riaprisi e ammirare il suo dolce visino scompigliato di prima mattina.
«Oh... Davvero posso?» Marco sembrava quasi stupito, come se si fosse arreso all'idea di  doversi presto staccare da lui e che quella proposta lo avesse colto di sorpresa.
«Certo.»
Sul viso di Marco si spalancò un enorme sorriso. «D'accordo» accettò, «ma, ti avverto, credo che non riuscirò a resistere alla tentazione di usarti come cuscino. Sei disposto a sopportarmi tutta la notte?!»
«Sopportazione più bella non esiste.» Quelle parole semplici, ma alla orecchie di Marco così profonde, fecero diraniare nel suo corpo una scarica di brividi. Nessuno mai era stato così dolce con lui e sentirsi tanto importante per una persona era un aspetto completamente nuovo per il ragazzo, e ciò provocava in lui un senso di inadeguatezza, di essere incerto su cosa fare, come comportarsi. Non era mai stato bravo nelle relazioni - quelle poche e più che brevi relazioni che aveva avuto - e tentava di essere il più naturale possibile. Ma come si poteva riuscire ad essere naturali quando si ha il capo schiacciato su una dura parete di addominali perfetti?!
«Andiamo a letto dai, tu è molto stanco» disse il libanese. Marco annuì. Aveva proprio ragione, dopo quella lunga e stancante giornata non iniziata nel migliore dei modi, ma conclusasi come meglio non poteva, il ragazzino non vedeva l'ora di addormentarsi abbracciato al dorso di Michael.
Sorrise a quell'idea e si alzò dal divano insieme a lui. La mano di Michael scivolò intorno a quella di Marco e la strinse forte nella sua. A quel contatto, il ragazzino ebbe un sussulto. Non se lo aspettava. O meglio non si aspettava niente di tutto ciò che stava accadendo quella sera. Raggiunsero così, mano nella mano, la camera da letto.
«Tu ha bisogno di un pigiama» Michael si avvicinò all'armadio, ci ficcò dentro la sua testolina riccioluta e cominciò a frugare tra quell'ammasso di indumenti. «Questo può andar bene?» gli chiese, riemergendo e mostrandogli una T-shirt di cotone blu e un paio di pantaloni corti dello stesso colore, solo leggermente più scuri.
Marco fece cenno di sì con la testa e allora il riccio gli lanciò i vestiti che il ragazzo, data la sua precaria prontezza di riflessi, non riuscì ad afferrare, lasciandoli cadere per terra. Si chinò a raccoglierli, mentre sentiva il dolce suono della risatina di Michael in sottofondo.
«Posso usare il bagno?» domandò.
«Yes» rispose il riccio. Con un dito gli indicò la porta di fronte alla stanza e Marco si affrettò ad andare in quella direzione, mugugnando un tenue «grazie.»
Quando fu da solo in bagno, il ragazzo non poté far altro che accasciarsi sul lavandino, sorreggendosi sulle mani che si stringevano attorno alla ceramica bianca.
Stava con Michael, tra poco avrebbe indossato i suoi indumenti che profumavano di lui e avrebbero persino condiviso lo stesso letto. Ed era decisamente troppo da sopportare per una sola serata.
Sapeva perfettamente che la notte precedente erano andati ben oltre, ma non era lucido e non se ne ricordava. Ora, invece, era tutto così vero. Quasi stentava a crederci.
Si diede un pizzicotto sulla guancia destra, facendosi anche male, per accertarsi che non fosse il solito sogno.
No, era proprio tutto reale.
Si guardò allo specchio che era posizionato di fronte a lui. Ritraeva l'immagine di un uomo stanco che sembrava non dormisse da giorni. Aveva un aspetto pessimo e si stava chiedendo come il ricciolino non fosse scappato vedendo le condizioni mostruose del suo viso.
Pelle tanto bianca da poter far invidia ad Edward Cullen e due occhiaie violacee che si estendevano al di sopra delle sue guance. Per non parlare poi degli occhi rossi, residui della troppa cocaina assunta il giorno prima.
Sì, poteva decisamente sembrare un vampiro in quello stato.
Mika deve essere proprio un angelo per essere innamorato di un mostro come me pensò.
Decise di darsi una sistemata e si sciacquò la faccia. Sistemò anche i ciuffetti capelli, che, sparati in aria in maniera del tutto senza senso, dopo essere stati torturati per ore dalle ditina di Michael, sembravano peggio di quelli di Goku.
Bene, era un mix tra un Sayan e un vampiro, cosa poteva esserci di peggio?!
Ma ovviamente la sua missione "rendersi più decente agli occhi del suo nuovo ragazzo" era fallita miseramente.
Sbuffò scocciato e si arrese alla consapevolezza che non ci sarebbe mai riuscito.
Cominciò a spogliarsi ed infilarsi quella sottospecie di pigiama che gli aveva rifilato il riccio.
Naturalmente, essendo di minimo una quindicina di centimetri più basso di lui e avendo una corporatura leggermente meno muscolosa della sua, la maglia risultava andargli eccessivamente lunga e larga intorno al suo addome, così come i pantaloni che, invece di arrivare sul ginocchio, gli arrivavano fino sopra ai polpacci.
Ridicolo. Orrendo. Un mostro.
Uscì dal bagno e tornò nella stanza, ritrovandosi davanti un Michael sdraiato comodamente sul suo letto, con la testa sorretta su di un braccio, una canottiera stretta a ricoprirgli il petto e sotto solo un paio di boxer. La stanza era illuminata solo dalla luce fioca proveniente dall'abat-jour sul comodino che proiettava ombre sul suo viso, enfatizzando ancor di più lo splendore dei suoi lineamenti.
Bellissimo. Meraviglioso. Perfetto. In poche parole, gli esatti opposti. Ma, si sa, gli opposti si attraggono.
Quando Michael lo vide entrare, conciato in quel modo, non riuscì a trattenere una risata.
«Non sfottermi» lo canzonò Marco, incrociando le braccia al petto.
«Io non te sto sfo... Ehm... Sfottendo» ma continuava a ridacchiare, mentre i suoi occhi lo scrutavano divertiti.
Marco mise il broncio e si sistemò nel suo lato del letto, cercando di rimanere il più lontano possibile dal ricciolino per dispetto. Ma sentì presto un paio di braccia stringerlo da dietro e trascinarlo a sé fino ad entrare a contatto col suo corpo. Una bocca si posò nell'incanvo del suo collo e ci lasciò un leggero bacio.
Marco per un attimo si perse in  quel contatto, ma poi, ricordando le risate del riccio, tentò di divincolarsi, agitandosi nella sua stretta.
«Lasciami andare» afferrò un cuscino e glielo lanciò sul volto. Le braccia si allentarono e Marco ne approfittò per sgattaiolare via, rifugiandosi, seduto sulle ginocchia, ai bordi del letto.
«Ahi» si lamentò il libanese, allontanando il cuscino dal suo viso.
Marco scoppiò in una fragorosa risata. Ora era il suo turno di ridere.
«Questa me la paga» il libanese si avvicinò gattonando sulle lenzuola al ragazzino e, quando vi fu abbastanza vicino, si mise nella sua stessa posizione. Marco fece per scappar via di nuovo, ma un braccio gli circondò la vita, impedendogli di muoversi ancora, e lo attirò nuovamente a lui. I loro petti si scontrarono, i loro visi si ritrovarono a pochi centimetri di distanza.
«Tu è tanto sexy anche conciato così» gli disse, poi le sue labbra si posarono su quelle del ragazzo e le baciarono dolcemente. Le mani di Marco andarono a stringersi dietro al collo del libanese, rendendo quel bacio più intenso. Quelle di Michael, invece, si ancorarono ai suoi fianchi, e fecero stendere il ragazzo sul materasso. Si posizionò a cavalconi su si lui, senza staccarsi dalle sue labbra.
Da quanto tempo era che Marco non stava così bene?! Da sempre. Non era mai stato realmente bene con nessuno e in nessun altro luogo. E, ora, invece sentiva finalmente di aver trovato tutto ciò di cui la vita lo aveva sempre privato.
Non era solo, non più. Lì, attaccato alle sue labbra, c'era una persona che teneva realmente a lui e che lo stava tirando fuori da quel baratro in cui era inciampato.
Non puoi nemmeno immaginare quanto ho atteso il tuo arrivo.
Sentì le calde mani del riccio cominciare a viaggiare sul suo corpo. S'infilarono sotto la maglia, gli accarezzarono dolcemente il petto, poi scesero giù, finendo dentro i pantaloni, dove cominciarono a stuzzicarlo e torturarlo un po'.
Marco gemeva sotto quel tocco caldo e delicato che percorreva il suo corpo, soprattutto quando le mani arrivarono a sfiorare la sua intimità da sopra i boxer. Inerme, incapace di muoversi e anche solamente pensare, si lasciava andare alle sue carezze, assaporando e godendosi quel momento.
Le labbra di Michael, ancora incollate a quelle di Marco, si staccarono all'improvviso, senza preavviso, seguite dalle mani, che cessarono di esplorare il corpo del ragazzo.
Le sopracciglia gli si contrassero in un'espressione confusa e lo guardò come un bambino a cui avevi appena rubato la caramella che stava schiudendo.
«Vendetta» spiegò Michael ridacchiando. «Ora dorme, tu è molto stanco.» Le sue labbra si posarono sulla fronte di Marco per due secondi, lasciandoci un tenero bacio, poi si stese accanto a lui, ridendo ancora dello stupore dipinto sul volto del ragazzo.
Brutto bastardo. Come aveva potuto prima illuderlo e tentarlo per poi uscirsene con un semplice "ora dorme"? Altro che angelo, quel riccio era il demonio in persona.
Sbigottito e arrabbiato, si scostò di qualche centimetro da lui, facendo nuovamente la parte dell'offeso.
Un tira e molla era il loro. Nessuno dei due, facendosi dispetti l'un l'altro, sembrava dimostrare quella sera più di dieci anni.
«Preferisce dormire lì solo soletto?» lo provocò il riccio, «no è più comodo il mio petto?» allargò le braccia, invitando il ragazzo ad accocolarcisi dentro.
Ribadisco, il demonio in persona. «No» ringhiò, girandosi dall'altro lato. Credeva di potersi prendere gioco di lui?! Si sbagliava.
«Sicuro che non vuole stare tra le mie braccia?» Ce la stava mettendo tutta Marco per ordinare alla sua testa di scuotersi a destra e a sinistra per fargli cenno di no, ma come poteva rifiutare quell'invito così dannatamente delizioso?!
Oh al diavolo! Certo che ci voglio stare! Si voltò verso di lui e rotolando su se stesso raggiunse le braccia spalancate del riccio, che subito si chiusero intorno al suo corpo. Ecco, era esattamente lì che voleva stare.
Era una perfetta serata di estate inoltrata e faceva caldo, anche troppo. E stare accoccolato a Michael non faceva altro che aumentare il calore. Ma a Marco questo non importava. Stava bene e niente lo avrebbe scollato dal suo bel ricciolino.
La stessa cosa valeva per Michael, che non aveva la minima intenzione di lasciare il ragazzino. Se avesse potuto, avrebbe lo avrebbe stretto ancora più a sé.
«Non me lo da il bacio della buonanotte?» nel tono aveva ancora quel pizzico di divertimento. Marco si arrampicò sul petto di Michael per raggiungere la sua bocca, dove ci lasciò un bacio a stampo e a fior di labbra sussurrò una dolce «buonanotte.»
«Ma io vuole un bacio vero» ribatté il ricciolino con una vocina da ragazzina viziata. Portò una mano sotto il mento di Marco e schiacciò nuovamente le labbra sulle sue, questa volta unendole in un bacio più profondo. Avventò la bocca di Michael con un misto di smania e passione, assaporandola e travolgendola con la sua.
Solo quando ebbe bisogno di riprendere aria, si staccò con estrema lentezza da Marco e, ansimando per quel lungo bacio, disse: «Good night, my love.»
Le facoltà mentali di Marco, alterate già di suo, ma ancor più scarse dopo quel bacio, non captarono subito le parole appena pronunciate dal riccio. Ritornò alla posizione iniziale, accuciato tra le sue braccia.
ASPETTATE UN ATTIMO... 'My love' significa 'amore mio'... Sorrise tra sé e sé e lasciò un tenero bacio sul petto del riccio.
Passarono alcuni minuti e Marco sentì che gli occhi stavano per cedere alla pressione del sonno, quando la voce flebile di Michael lo chiamò. «Marco... È ancora sveglio?!»
Si era avvicinato con le labbra al suo orecchio e poteva percepire il fiato del riccio soffiargli sul lobo mentre parlava.
Prima gli diceva che doveva riposarsi perché era stanco e poi quando stava per addormentarsi lo chiamava?! Quel libanese era proprio matto.
«Sì» bofonchiò.
«Te può chiedere una cosa?»
Tu puoi qualsiasi cosa, mio angioletto-demonio. «Certo»
«Perché?»
In un primo momento Marco non capì a cosa il riccio si stava riferendo, ma non gli ci volle molto per arrivare alla conclusione che stava parlando della droga.
Tirò un sospiro. «Ero solo» si inumidì le labbra, rese secche e screpolate dai baci di Michael, passandoci sopra la lingua, «non avevo più nessuno. E ho incontrato Luca che mi ha offerto la via più semplice per dimenticare.»
«Ma ora non è più solo» un dito gli accarezzò lo zigomo, «ci sono io con te» lo rassicurò ancora.
Michael avrebbe voluto chiedergli perché era solo, dove erano i suoi familiari, amici... Ma lasciò cadere il discorso con quella sua frase. Poteva percepire il disagio di Marco nel parlare di quell'argomento nell'improvvisa tensione che gli si era insinuata nel corpo quando gli aveva fatto quella domanda.
Così, cominciò a canticchiargli una dolce ninna nanna in inglese - di cui Marco non capì nemmeno una parola, ma che trovò comunque una cosa infinitamente tenera -.
La sua voce, vellutata e dolce come qualche frutto di cui Marco ora non ricordava il nome tant'era preso dalla melodia che stava uscendo da quella boccuccia, penetrò con lentezza nei timpani del ragazzo, il quale non poté far altro che lasciarsi trasportare da quelle sublimi note. Pensò che era piuttosto intonato, avrebbe potuto provare a fare il cantante un giorno. Sicuramente avrebbe conquistato il cuore di chiunque con quelle armi letali - gli occhi, il sorriso e la voce - che solo in lui erano così speciali.
Michael, nel frattempo, riusciva a percepire che, parola dopo parola, il corpo di Marco tornava a rilassarsi e che si stava abbandonando alla stanchezza.
«Hai una bella voce» bofonchiò il ragazzino, ma dal tono si poteva capire che era già quasi del tutto immerso nel mondo dei sogni.
Non molto tempo dopo, il riccio vide le sue palpebre chiudersi completamente. Restò per un po' ad osservarlo, poi poggiò io capo sul suo e si lasciò cadere anch'egli nel sonno.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Sono in ritardissimo, perdonatemi.
Purtroppo non mi sono sentita molto bene e non avevo voglia di scrivere ://
E da dove mi è uscito questo capitolo boh non lo so hahaha.. Credo che Michaels con la sua dolcezza abbia contagiato anche me (mannaggia a te u.u)
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 14
*** #13. Persi nel loro piccolo mondo. ***




13. Persi nel loro piccolo mondo.





Quando Michael si risvegliò, la sua testa non era più appoggiata a quella di Marco e tra le braccia non stringeva più il suo esile corpo.
Sbadigliò e portò le mani strette a pugni sugli occhi e li strizzò, cercando di capire se quello che ricordava essere successo la sera precedente fosse solo un sogno.
Affondò la testa nel cuscino e sentì l'odore di fumo di sigarette mischiato a un fresco profumo di sapone tipico della pelle del ragazzino. Se c'era il suo odore sul letto significava che era stato davvero lì.
«Marco...» chiamò il suo nome con voce ancora impastata dal sonno e con un tono che poteva risultare quasi patetico.
Forse si è svegliato prima ed è andato in cucina a fare colazione, pensò. Ma una risatina, proveniente da qualcuno che non era molto lontano da lui, smentì le sue supposizioni.
«Buongiorno.» La voce del ragazzo arrivava dallo stipite della porta, dove era appoggiato con le braccia incrociate davanti al petto e un sorriso divertito stampato sulle labbra.
O forse mi sta osservando e sta ridendo di me. «Good morning» bofonchiò irritato.
Quando i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco per bene l'immagine del ragazzo, poté notare che era già vestito e i capelli, che il giorno prima sembravano una massa incolta di cespugli che crescevano sulla sua testa, erano radunati in un ciuffetto ordinatamente sparato in aria. Il suo viso, poi, non aveva più quell'aria stanca e pallida del giorno prima, ma sembrava rilassato e splendere di luce nuova. Che la causa di quel piccolo cambiamento fosse lui?!
Sorrise tra sé e sé a quell'idea. Si alzò dal letto e andò a dare il buongiorno come si deve al ragazzo. Gli si avvicinò e contornò la sua vita con le braccia, per poi unire le loro labbra in un dolce bacio.
«La prossima volta io vuole che tu sta vicino a me quando mi sveglia» protestò.
Marco non poté fare almeno di rivolgergli uno sguardo intenerito. «Va bene» gli promise. «Vado a preparare un po' di caffè, posso?»
«Non preoccuparte» disse, «faccio io.»
«Ricordati che sono un ex cameriere... Nessuno sa fare il caffè meglio di me» si vantò il ragazzino.
«Oh sì, il mio cameriere sexy» sorrise maliziosamente.
«Solamente tuo» afferrò con la mano un lembo della canottiera che indossava il riccio e lo attirò ancora di più a se, facendo scontrare le loro labbra in un passionale bacio. Con la lingua tracciò i contorni di quella perfetta boccuccia, constatando che aveva una forma a cuoricino, poi gliela infilò dentro, cominciando ad esprorarla.
Fu uno di quei baci che di prima mattina ti lasciano quel sapore delizioso di un dolce risveglio, capace di rimanere impresso sulle labbra per tutta la giornata e di riuscire a renderla migliore anche quando sei solo e colui che ti ha dato quel bacio non è con te, ricordandoti che non lo sarai ancora per molto, che presto le vostre labbra si uniranno ancora e con un altro bacio chiuderete la giornata.
Ecco, era esattamente quello il bacio che Marco gli stava imprimendo. E dire che volesse non finisse più era un eufemismo.
Ma ogni cosa è destinata ad avere una fine e così, dopo pochi minuti, sentì Marco staccarsi da lui. Un distacco che il riccio avrebbe voluto non arrivasse tanto presto. Voleva quelle labbra ogni secondo di più e, bacio dopo bacio, percepiva crescere dentro di lui il bisogno di averne ancora, e ancora, e ancora.
Cosa gli stesse succedendo non lo aveva ancora capito. Anche quando stava con il suo ex non gli era mai capitato di volere qualcosa così intensamente. Eppure lo amava, ma forse quello che sentiva per Marco andava ben oltre qualsiasi sentimento avesse mai provato.
«Io è totalmente innamorato di te» gli scappò di bocca. Marco lo guardò con occhi commossi, quasi lucidi. Gli spostò un ricciolino che copriva uno dei due occhi di Michael dietro l'orecchio, lasciando una leggera carezza quando il suo dito gli sfiorò la pelle.
«Anche io.» Sorrise, ma con un sorriso che Michael non aveva mai visto sulle sue labbra. Ogni traccia di tristezza, ogni piccolo squarcio di sofferenza, sembrava che stavano quasi scomparendo dal suo dolce visino.
E, ogni volta che gli angoli della bocca di Marco si alzavano, sfoggiando la perfetta dentatura bianca, il riccio non poteva non innamorarsi sempre di più. Era bello vederlo così, senza più quelle espressioni buie che rendevano quel meraviglioso volto così scuro.
Gli occhi sembravano aver assunto addirittura una tonalità più chiara. Se prima erano color caffè, adesso parevano di un chiaro e luminoso color nocciola. E il rosso che contornava le iridi era quasi del tutto sparito. Il suo sguardo era così bello che Michael pensò dovesse essere incorniciato ed esposto in un museo.
Ma la cornice naturale che già aveva, ossia il suo meraviglioso viso, andava più che bene. E quel splendido quadro apparteneva a lui. Era suo, solamente suo, come aveva detto il ragazzo.
Poteva ammirarlo quanto voleva e, ne era certo, non si sarebbe mai stancato di quella visione.
Il ragazzo si sfilò dalle sue braccia e cominciò a percorrere il corridoio che portava alla cucina. Michael lo seguì con la mente che in parte ancora viaggiava nel suo mondo costituito interamente dal sorriso di Marco, e poi dallo sguardo di Marco, e anche dal ciuffetto spettinato di Marco e infine ancora da qualsiasi altra parte del corpo di Marco, il tutto contornato da uno sfondo di un meraviglioso color nocciola.
Si lasciò scivolare su una sedia, mentre il ragazzino raggiungeva i fornelli. Lo osservò mentre accendeva il fuoco sul piano cucina, poi si girò verso di lui, chiedendogli dove avrebbe potuto trovare la caffettiera e gli altri ingredienti. Michael gli indicò un mobiletto in basso a destra per la macchinetta e uno un po' più in alto per il caffè e lo zucchero.
Era bello anche solo vederlo destreggiarsi tra i fornelli. Un cameriere tutto suo... Mhmh gli piaceva molto come idea.
Incapace di starsene fermo sulla sedia ad aspettare, si alzò e gli si avvicinò da dietro. Le sue braccia gli si andarono a stringere intorno ai fianchi e il suo viso si posò sulla spalla. Con il naso spostò un po' di lato il tessuto sottile della maglietta, permettendo alle sue labbra di venire a diretto contatto con la pelle morbida e profumata del ragazzino.
«Mhmh... Frutti di bosco... Ha usato il mio bagnoschiuma?» borbottò, lasciandogli un lieve bacio.
«Sì» rispose Marco, «Ho fatto una veloce doccia mentre tu ancora dormivi e volevo sentire il tuo odore sulla mia pelle... Così ho usato il tuo bagnoschiuma, spero non ti dispiaccia.»
«Certo che dispiace me» sbraitò mentre si accingeva a dargli un altro bacio, «se tu profuma come me, io poi non sente più il tuo odore che a me piace tanto. Ma ti perdona solo se prossima volta, quando fa la doccia, aspetta anche me.»
«Oh... Proposta alquanto allettante» si rigirò tra le sue braccia, ritrovandosi con la faccia pericolosamente vicino alle sue labbra, «Credo che la prenderò in considerazione.»
«Se vuoi posso darti un assaggio di ciò che potrei farti sotto quella doccia» disse. Gli occhi erano fissi nei suoi e Marco poté scorgerci dentro un piccolo lampo di malizia. Si avvicinò alle sue labbra e lo baciò con trasporto e passione. Le mani si fecero più strette sui fianchi, mentre quelle del ragazzo si avvinghiarono alla sua schiena, stringendo tra le dita la canottiera che il riccio ancora indossava.
«Mhmh credo che non mi basterà solo un assaggio» ribatté Marco, quando le loro bocche si separarono.
«Neanche a me.» Ed ecco che le loro labbra tornarono ad assalirsi a vicenda, alternando passionali baci a piccoli morsetti. Michael ne diede uno un po' più fugace, addentandolo con troppa forza, e Marco sentì il sapore metallico del sangue invadergli la bocca. «Scusame» con la lingua leccò un rivolo del liquido rosso che stava cominciando ad uscire dalla piccola ferita.
Ma ciò non impedì ai due di continuare ciò che stavano facendo. Anzi, le labbra di Michael scesero lungo il collo, cominciando a torturare anche quella parte del corpo di Marco.
Le sue labbra umide si spostavano sulla pelle lasciando una scia di saliva e dei morsetti che, più che altro, potevano definirsi piccoli succhiotti. E Marco non poté fare a meno di piegare la testa all'indietro, lasciando la sua bocca emettere un piccolo gemito soffuso.
Sarebbero presto finiti entrambi senza vestiti, a fare l'amore sul piano cucina, se non fosse stato per il rumore sordo della macchietta, che annunciava ai due che il loro caffè era finalmente pronto.
«Mika... Il caffè...» trovò la forza di dire Marco.
«E chi se ne frega» replicò. La bocca nel frattempo aveva disceso qualche altro centimetro, arrivando ai bordi dello scollo della sua maglietta.
Dovrei fermarlo, si disse il ragazzino. Ma il suo corpo non aveva alcuna intenzione di porre fine a quel piacere. Dovette fare un enorme sforzo perché le sue labbra pronuncisssero il nome del riccio ancora una volta. «Mika...» cercò di richiamarlo, «non ora e non qui...»
«Why not?!» chiese. Fermarsi a quel punto gli sembrava un'idea assurda.
Marco riuscì in qualche modo a mandare un comando alle braccia, che si staccarono dalla schiena del riccio e si posizionarono sul suo petto. Fece un po' di pressione e lo allontanò di qualche centimetro dal proprio viso. 
Michael sbuffò, ma sapeva che in fondo il ragazzo aveva ragione. Quello non era né il momento né il luogo adatto. Le braccia lasciarono libero il corpo di Marco e mise tra le loro labbra qualche centimetro di distanza. «Forse ha ragione» disse. Ma nel tono di voce aveva sempre quel pizzico di divertimento.
Marco si girò e spense il fornello, mentre vide Michael prendere due tazzine. Ci versò dentro il caffè ed entrambi ci aggiunsero un cucchiaino di zucchero.
Il primo ad assaggiarlo fu Michael, che portò la tazza alla bocca e cominciò a mandar giù il liquido. Ma sulla sua faccia si materializzò subito un'espressione schifata che gli fece arricciare il nasino. Il viso di Marco, invece, si contrasse in un piccolo sorriso alla vista di quella buffa espressione.
«Nessuno sa fare il caffè meglio di me, eh?!» il libanese citò le parole del ragazzo, «me dispiace deluderti, ma fa veramente schifo. » Posò la tazzina sul piano cucina e Marco fece lo stesso, non volendo neanche assaggiare quell'intruglio.
«È colpa tua» scrollò le spalle, «Sei tu quello che non voleva lasciarmi andare, così il caffè si è bruciato.»
«E allora adesso ne prepara un altro io» ribatté, «ma non mi interrompe, capito?»
Marco alzò le braccia al cielo. «D'accordo» disse, ridacchiando.
Si accomodò su una sedia, scuotendo la testa divertito. Questa volta toccò a lui però osservare il suo bel ricciolino muoversi tra i fornelli e, doveva ammetterlo, capì perfettamente perché Michael lo avesse assalito mentre lì c'era lui.

***



Michael era in giro per le strade di Ronciglione, cercando di ricordarsi dove gli avesse detto Marco che alloggiava. Si accorse un paio di volte di aver preso la strada sbagliata ed era stato costretto a tornare indietro, ma in compenso si era imbattuto in una pizzeria e aveva comprato due piccole pizze e due bottiglie di birra. Almeno non si sarebbe presentato a mani vuote a casa sua.
Era passato più di un giorno dall'ultima volta che lo aveva visto, quando, dopo aver dormito e pranzato a casa sua, il ragazzo gli aveva detto di dover andare in cerca di un lavoro. Così, siccome lui non riusciva proprio a trovarsi un impiego ed era costretto a passare la giornata intera in giro, Michael aveva deciso che quella sera sarebbe andato lui a trovarlo. Lo aveva chiamato poco prima, facendosi spiegare come arrivare a casa sua.
Finalmente riuscì a scorgere a qualche metro di distanza l'insegna del Motel. Nel frattempo, il calore che traspariva fino a pochi minuti prima dal cartone del contenitore delle pizze era sparito, segno che dovevano essersi già raffreddate. La cosa opposta, invece, accadde alle birre, che erano quasi ghiacciate, ma, col caldo asfissiante che incombeva nonostante fosse sera, si erano riscaldate. Beh cosa poteva farci lui se non conosceva ancora bene quella maledetta città e il tempo aveva deciso di mettersi contro di lui?!
Imprecò mentalmente contro gli agenti atmosferici, mentre raggiungeva il Motel.

Qualcuno bussò alla porta del suo appartamento e Marco poté facilmente immaginare chi fosse, dato che lo aveva avvisato poco prima del suo arrivo. Si catapultò immediatamente ad aprire e il viso sorridente di Michael comparve sulla soglia. Teneva in equilibrio su una mano due pizze e sollevò l'altra a mostrargli le birre.
«Le pizze sono fredde e le birre calde» lo avvisò, «but dovrebbe essere ancora digeribili e...» ma il riccio non ebbe la possibilità di continuare ciò che stava dicendo. Le labbra di Marco si erano già avventate sulle sue, impedemdogli di proferir altra parola. Riavere la sua bocca su di lui fu un sollievo. Anche se era passato un solo giorno dall'ultima volta che si erano baciati, l'aveva bramata ogni secondo di ogni singola ora che era stato lontano da quel ragazzino.
Marco gli posò una mano sulla guancia e Michael ebbe l'istinto di abbracciarlo e stringerlo di più a sé, ma aveva la loro cena a impedirglielo e, se non voleva combinare un macello e rimanere digiuno quella sera - cosa che non gli sarebbe dispiaciuta se a placare la fame ci fossero state le labbra del ragazzo al posto del cibo -, era meglio restare fermo.
La bocca di Marco, però, si staccò da lui troppo in fretta. «Se mi aspetta un'accoglienza del genere, crede che verrà più spesso a trovarte» cercò di riavvicinarsi al suo viso, ma Marco fece un passo indietro.
«Sarebbe meglio se prima ti faccio entrare e posare le pizze, se non vogliamo vederle spiaccicate sul pavimento» ridacchiò.
«Però poi dopo ricomincia ciò che ha interrotto» ribatté il riccio.
«D'accordo.» Marco si spostò di lato per farlo entrare, poi lo condusse nel piccolo salotto. Che, in realtà, non si poteva definire salotto, pensò Michael, quel divano a due piazze trasandato con un tavolino davanti e un televisore talmente vecchio che credette addirittura potesse ancora essere in bianco e nero.
Quell'appartamento sembrava un buco rispetto al suo, che neanche tanto grande era, ma decisamente lo era più di quello.
Marco indicò il divano ed entrambi si accomodarono sopra. Accese la tv, che Michael scoprì con suo grande sollievo e stupore essere a colori, e si sintonizzò su un canale a caso, dove mandavano uno di quei squallidi film d'amore. Ma a nessuno dei due importava granché.
«Che avevi detto a proposito di continuare qualcosa?» chiese il ragazzino, con fare provocatorio.
Michael fece finta di pensare, poi scosse la testa. «Non ricordo io ha mai detto una cosa del genere» ci godeva proprio a prendersi gioco di lui, eh?! «anzi, adesso ha un po' di fame...»
Offrì una delle due pizze, che teneva ancora in mano, a Marco, il quale la prese con un'espressione indignata sul viso e allungò i piedi sul tavolino, incrociandoli l'uno sull'altro. Michael lo imitò, ridendo divertito sotto i baffi.
«Ha preso una capricciosa» quel ghigno divertito sembrava proprio non volerlo cancellare dal suo viso, «il nome di questa pizza mi ricordava te e pensava ti sarebbe piaciuta.»
Gli ricordava lui? Quel riccio era proprio incorrigible. «Guarda che non sono io il capriccioso tra i due» sbottò. Sollevò il coperchio del cartone della sua pizza e ne afferrò un trancio, portandoselo poi alla bocca.
Anche Michael fece lo stesso ed addentò un grosso morso della sua fetta. Marco lo osservava con la coda dell'occhio, cercando di non farsi accorgere in modo da non potergli dare un'altra occasione per prenderlo in giro.
Riusciva a vedere le sue labbrucce muoversi per masticare il boccone. Erano perfette e così impossibilmente sexy anche quando mangiavano e altro non avrebbe voluto fare se non consumarle di nuovo con le sue.
Non dargli questa soddisfazione, Marco si disse, è ciò che vuole, farti impazzire. Decise che per il momento si sarebbe limitato a mangiarle con gli occhi, poi, quando si sarebbe presentata l'occasione, sarebbe toccato alle sue labbra. Doveva essere solo paziente. Ma nemmeno la pazienza era uno dei suoi pregi. Cominciava quasi a dubitare di averne anche solo uno.
Quando, dopo aver finito il primo trancio di pizza, Michael stappò la bottiglietta di birra e portò il boccale alla bocca in un modo così sensuale, Marco sospettò che lo avesse sgamato. Infatti, finito di bere, il riccio leccò con la lingua le labbra cercando di provocarlo.
Confermo, il demonio. Si poteva essere più perfidi?! Probabilmente no.
Ripresero a mangiare e Marco tentò di non guardarlo troppo, fingendosi interessato al film che veniva trasmesso. Entrambi finirono ben presto la loro pizza e Marco si scolò la sua birretta, mentre Michael ne bevve solo metà.
Ma c'era qualcosa in Marco che già da qualche ora lo stava assillando. Era come un bisogno forte, una mancanza, un vuoto che provava dentro di sé. E sapeva benissimo a cosa era dovuto, per questo non poteva permettersi di cedere.
«La finisci quella?» indicò la bottiglia mezza vuota che Michael aveva posato sul tavolino, insieme ai cartoni vuoti.
«No» il riccio scosse la testa, «ma non te la da... Stasera ti vuole sobrio.»
«Oh ci vuole ben altro per farmi ubriacare» allungò una mano e afferrò il collo della birra, «reggo molto bene l'alcol, credimi.» Finì il liquido restante anche di quella bottiglia, sentendo leggermente attenuarsi quel bisogno asfissiante, ma senza sopprimerlo del tutto. Marco decise semplicemente di ignorarlo, tutto ciò di cui aveva bisogno quella sera era lì accanto a lui sul suo divano.
Calò un silenzio che a Marco sembrò un po' strano. Che il riccio avesse capito che c'era qualcosa che non andava? No, impossibile. E poi, in realtà, non c'era niente che non andasse. Era lì con il suo angelo e niente poteva andare male.
Ma Michael aveva cominciato a torturarsi le mani e a mordicchiarsi il labbruccio inferiore. Qualsiasi forma di divertimento che aveva fino a poco prima era sparita del tutto e Marco aveva la sensazione che non fosse affatto lui ad esserne la causa. No, era decisamente qualcos'altro a cui stava pensando.
«C'è qualcosa che non va?» gli chiese. Posò una mano sulla sua spalla, cercando di incoraggiarlo a parlare.
Questa volta la sua testa si mosse avanti e indietro, facendo cenno di 'sì'. «Tu sa che io deve partire a breve, vero?»
Ah, giusto. Londra. Si era praticamente dimenticato di questo piccolo - beh in realtà non tanto piccolo - particolare, ma, a quanto pareva, al libanese non era sfuggito. Ed aveva anche ragione ad essere così preoccupato, se fosse partito chissà quando si sarebbero rivisti e per Marco che non riusciva a reggere più di un giorno lontano da lui sarebbe stato davvero un calvario aspettare settimane intere prima di poterlo baciare di nuovo.
Anche per Michael valeva lo stesso discorso, ma quella stessa sensazione di poco prima suggerì a Marco che non era preoccupato per quello. No, non era neanche vera e propria preoccupazione la sua, era ansia. Sì, ma per cosa?!
«Sì, lo so» rispose il ragazzino e rimase in attesa che Michael continuasse.
«E tu non ha un lavoro, e, da quanto io ha capito, tu è molto solo.» Anche questo lo sapeva benissimo, che motivo c'era di ricordarglielo?! Per quanto si sforzasse, Marco non riusciva proprio a trovare il nesso tra le due cose. Che stesse cercando delle scuse per lasciarlo?! No, era più che sicuro che non fosse neanche quello.
«Beh io voleva fare te una proposta» non lo stava guardando negli occhi mentre gli parlava, ma teneva lo sguardo fisso sulle sue mani, «però non sa come tu può prenderla... Può sembrare affrettato siccome noi sta realmente insieme solo da pochi giorni, ma il tempo stringe e la data di partenza si avvicina... Crede che, in fondo, ora o tra qualche settimana non cambia poi molto... Ma preferisce fartela ora così tu ha più tempo per pensare...» alzò la testa e lo guardò finalmente negli occhi, «vuole venire con me a Londra?»
Marco rimase per qualche secondo sbigottito, immerso in quegli occhi verdognoli. Tutto si aspettava tranne una proposta del genere. «Io... Io...» non sapeva davvero che dire. Avrebbe accetto all'istante, ma poi si era fermato un secondo a pensare. Voleva davvero lasciare il suo paese di nascita seguendo un ragazzo con il quale si era da poco messo insieme? Voleva davvero lasciare tutto ciò che aveva lì per andare a vivere con il suo angelo a Londra?
Tutto ciò che aveva lì... Restò un attimo a ragionare su quell'insensata affermazione. Lui non aveva più nulla, nessun legame, nessuna famiglia e odiava da sempre quell'insulso paesino in cui era bloccato. Aveva sempre sognato di andar via e adesso l'unica cosa che gli era rimasta, il suo angioletto riccioluto, gli aveva proposto di partire con lui. Quale senso aveva restare? Nessuno.
«Oh certo che voglio» gli saltò letteralmente addosso, posizionandosi sulle sue gambe e gettandogli le braccia al collo.
«Marco tu non deve darmi una risposta subito» disse il ricco, «ha tutto il tempo di pensare... Non prendere decisioni troppo affrettate di cui potresti pentirti.»
«Ma io non potrei mai pentire di questa decisione. Tutto ciò che voglio è stare con te, anche se per farlo dovessi seguirti in capo al mondo» affondò le labbra sulle sue, baciandolo in modo così prepotente da riuscire a trasmettergli tutta la convinzione che aveva della risposta che gli aveva appena dato. «E poi io rinuncerei a qualsiasi cosa per te, anche se, a dirti la verità, non dovrei rinunciare a nulla seguendoti. Anzi, probabilmente così mi terrei stretta l'unica cosa a cui non potrei mai rinunciare. Vedi? È puro egoismo il mio.»
Michael scosse la testa, allargando la sua dolce boccuccia nel sorriso più luminoso che Marco gli avesse mai visto fare. «Oh Marco... I love you so much.» Un'altra scarica di baci tavolse i due, che ormai si erano persi nel loro piccolo mondo.
Non importava più se fossero a Londra o a Ronciglione, ciò che avevano non sarebbe mai cambiato. Qualsiasi luogo sarebbe stato indifferente, bastava che stessero insieme e tutto sarebbe stato meraviglioso, tanto ormai avevano un mondo tutto loro.





#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Scommetto che vi state chiedendo dov'è finita tutta la mia bastardaggine.. Beh, è in vacanza, per ora. Mica li posso far soffrire sempre sti due?! Dai un piccolo periodo di tregua se lo meritano pure loro xDD
Godetevi la dolcezza finché non ritorna il mio lato malvagio muahahaha
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 15
*** #14. Da sempre, sempre e per sempre. ***




14. Da sempre, sempre e per sempre.





Marco, che si trovava ancora sulle gambe del riccio, gettò il capo all'indietro, appoggiandosi al dorso di Michael, e portò le mani alla tempia, tentando con un massaggio di attenuare un po' il mal di testa che gli era venuto.
Erano stati avvinghiati l'uno alla bocca dell'altro per più di mezz'ora, staccandosi solo per ripetersi per la centesima volta quanto si amavano. A guardarli, sembravano una di quelle coppie che stavano insieme da anni, che ormai si conoscevano così bene da non aver bisogno di altro che stare vicini. Una di quelle coppie indistruttibili, a prova di bomba, che nulla avrebbe potuto neanche scalfire. Eppure erano ufficialmente una coppia da così poco, ma a Marco piaceva pensare che forse lo erano stati anche in un'altra vita, in cui erano stati insieme per anni, e che il loro amore fosse così forte da spingerli a cercarsi inconsapevolmente anche in questa. Doveva sicuramente essere così, altrimenti Marco non si spiegava come potesse avere la sensazione di conoscere quel meraviglioso ricciolino da sempre.
«Che c'è?» gli chiese Michael. Passò il pollice sulla sua guancia, lasciandogli una delle sue solite dolci e rassicuranti carezze.
«Niente» rispose il ragazzo, «Ho solo un po' di mal di testa, tutto qui.» E Marco sperò davvero che fosse solo un'emicrania innocua e che non avesse in qualche modo a che fare con quel bisogno che sentiva non essersi ancora placato dentro di lui.
«Tu ti stressa troppo, Marco» disse Michael. Si mosse sotto di lui, aprendo le gambe e facendo scivolare Marco tra di esse. Portò le sue grandi manone sulle spalle del ragazzo e cominciò a fargli un leggero massaggio.
Il ragazzo chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dall'improvviso sollievo che subito si insinuò nelle sue memba. Quelle ditina lunghe e affusolate cominciarono a muovrsi sulla pelle di Marco, separate da essa solamente da una leggera T-shirt di cotone.
Il suo tocco era qualcosa di magico, capace di alleviare qualsiasi dolore provasse. Era rilassante sentire quelle mani massaggiare le sue spalle, quasi gli fece dimenticare il mal di testa, che a poco a poco lo stava abbandonando.
«Mhmh» mugugnò.
Le dita si sposarono alla base del collo. Creavano cerchi concentrici sulla pelle, che in quel punto era nuda, e salivano su, per poi scendere nuovamente giù. Marco avrebbe potuto sciogliersi da un momento all'altro, ne era certo.
«Te piace?» Il viso del ricciolino doveva essersi avvicinato al suo orecchio perché sentì una folata di fiato caldo sul lobo.
«Oh sì» rispose. Le labbra umide di Michael si posarono sulla pelle dietro l'orecchio e ci lasciarono un tenero bacio.
«And this? Te piace?»
«Oh Mika, a me piace qualsiasi cosa tu faccia.» Sentì qualcosa di duro premere alla base della sua schiena e si irrigidì all'istante. A quanto pareva, Michael si stava eccitando... E non poco.
E Marco non poteva dire che il riccio era il solo, perché anche lui non sarebbe riuscito ancora per molto a tenere gli ormoni a bada.
Entrambi fecero finta di nulla, anche se Marco poteva percepire il ghigno soddisfatto che aveva Michael stampato sulle labbra. Le sue mani, nel frattempo, continuavano il loro massaggio.
«Rilassati» gli disse. Le sue dita si soffermarono pima sulle spalle, poi nuovamente sul collo, per poi riscendere sulle spalle. «Tu è molto rigido» stava ridacchiando di nuovo, «se ti stende sul divano io può occuparme anche della tua schiena.»
Marco non obiettò, nonostante si sentisse deriso per l'ennesima volta dal suo ragazzo. Si distese sul divano, mentre il riccio si posizionava su di lui. Impiantò i ginocchi nei cuscini e si sedette sulla base della sua schiena, dove Marco percepì di nuovo la sua erezione troppo gonfia. Lo stava facendo apposta, ne era più che sicuro. Ma d'altronde gli cominciava a piacere essere il bersaglio preferito di Michael, in fondo non era poi così male.
Un dito tracciò la linea della sua spina dorsale, poi le sue mani ripartirono con i loro massaggi. I muscoli che, fino a poco prima sembravano rigidi come pietre, pian piano si addolcirono sotto quei tocchi perfetti.
Ecco un'altra cosa che Marco doveva appuntare sulla sua lista de "le mille abilità del mio angelo custode riccioluto": saper fare messaggi ineguagliabili.
«Crede che sulla pelle nuda i massaggi sarebbero più efficaci» Michael stava ritornando all'attacco con il suo fare malizioso, «dovreste togliere la maglietta.» Una mano si infilò sotto di essa ed entrò a contatto diretto con la sua pelle. Marco ebbe dei brividi lungo la spina dorsale che gli attraversarono le vertebre una per una. Non rispose, si limitò a lasciargli fare qualsiasi cosa volesse.
Sentì ben presto la sua T-shirt sollevarsi e alzò le braccia per lasciarsela sfilare completamente.
Il massaggio ripartì e Marco si lasciò trasportare del tutto dal benessere che stava provando. Chiuse nuovamente gli occhi. Qualsiasi preoccupazione, qualsiasi dolore fisico e psicologico, qualsiasi bisogno che non fosse legato al riccio, lo abbandonò del tutto. La sua mente, sgombra da tutti quei pensieri, sembrava in quel momento così libera. Ed era una sensazione così bella che Marco avrebbe voluto rimanesse per sempre.
«Marco ti è addormentato?» Le parole del riccio insieme alla sua irritante risata strappò in modo brusco il ragazzino dal suo stato di benessere, riportandolo tutto ad un tratto alla realtà. Non che fosse poi tanto male la realtà... Aveva pur sempre un angelo seduto su di sé che si stava prendendo cura di lui.
«Non puoi proprio fare a meno di prendermi in giro, eh?!» sbottò. Cercò di fingersi offeso, ma il tono che gli uscì fu più che altro un flebile lamento.
Michael rise ancora, le sue mani si bloccarono sulla schiena di Marco. Si piegò su di lui, in modo da avere il viso a pochi millimetri da quello del ragazzo. «Oh sì, l'adoro» gli scoccò un bacio sulla guancia, «e poi è solo la mia vendetta.»
Marco aprì gli occhi, girando il viso di lato. Si ritrovò così immerso in quel mare verdognolo e dovette faticare per non perdersi nuovamente dentro. «Vendetta?!» sbraitò, «E per cosa?!»
«Per tutte le volte che tu mi ha sfottuto per il mio accento» spiegò il riccio, «all'inizio, ricorda?! Mi era promesso che prima o poi mi sarei vendicato.»
«Ma non vale così però» ribatté, «e poi sarà stato al massimo un paio di volte.»
Michael contrasse le sue labbruccie in una smorfia contrariata. Sarebbe inutile dire che Marco lo trovò immensamente adorabile, ma ormai quale cosa di Michael non era per lui deliziosa?!
«Beh, la mia vendetta è anche un po' perché tu è molto smemorato e non ricorda la nostra prima volta.»
«Oh...» mugugnò Marco, mentre sul suo volto si faceva largo un sorrisetto malizioso, «puoi sempre aiutarmi a ricordare...» Lasciò la frase a mezz'aria e si morse il labbro inferiore con fare sensuale.
E a quel gesto Michael non poté rimanere indifferente. «Smettila di morderti il labbro da solo» lo rimpoverò, «quello è compito mio.» Marco liberò il labbro, ma qualche secondo dopo venne subito intrappolato dai denti di Michael. Lo mordicchiò e lo succhiò talmente tanto che temeva si sarebbe consumato. Quindi lo lasciò, solamente per poi cominciare a baciarlo. Una mano di Marco andò ad affondare nei boccoli perfetti del riccio, mentre lui si accingeva a divorare la sua bocca. Gli afferrò i fianchi e lo rigirò sotto il suo corpo.
Cominciò a vagare e palpeggiare il dorso di Marco, mentre lui faceva scivolare via dal dorso di Michael la leggera maglietta azzurra che indossava.
«Tu non ti ricorda, ma l'altra volta tu ha fatto così...» Michael afferrò le mani del ragazzo e le fece aderire al suo torace. Le guidò affinché viaggiassero sui suoi addominali, li accarezzassero e ne tracciassero il contorno.
«Mhmh comincio a ricordare qualcosa» disse Marco, «e ho fatto anche questo, vero?!» aveva avvicinato il viso al suo dorso e poi aveva cominciato a tempestarlo di baci, uno su ogni centimetro di pelle.
«In realtà, non ricorda questa scena, but I like it» Michael non poteva far altro che lasciare campo libero al ragazzo. Prenditi ciò che è già tuo, pensò, tanto a me non importa, basta che tu abbia ciò che vuoi. E glielo avrebbe anche detto, se non fosse stato troppo occupato a gemere ad ogni suo più piccolo tocco.
«E questo?» Marco aveva stretto le mani sopra i fianchi del riccio e ora lo stava spostando sotto di sé, mentre si posizionava a cavalconi sul suo corpo. Le dita finirono sulla stoffa ruvida dei jeans che indossava il riccio e si accinsero a sbottonarlo velocemente, calandogli del tutto i pantaloni. «Questo l'ho fatto?»
«Oh yes» sorrise con gli occhi chiusi, che aveva serrato quando poco prima il ragazzo aveva cominciato la lenta tortura al suo torace, «Tu può fare tutto ciò che vuole.» Rabbrividì quando sentì le mani di Marco cominciare a stuzzicargli il membro ben visibile dai boxer e quasi urlò quando si strinsero intorno ad esso.
«Tutto ciò che voglio, eh?!» chiese Marco con fare provocatorio, «Non avresti dovuto dirmelo.» Michael sentì il cotone dei boxer scivolare giù e abbandonare del tutto il suo corpo, lasciandolo completamente nudo. «Ora ne pagherai le conseguenze.» A quell'affermazione Michael ebbe un po' di paura, ma subito si rassenerò pensando che il suo Marco non avrebbe potuto far altro che procurargli piacere, qualsiasi cosa avesse in mente di fare.
Il riccio vide il viso di Marco avvicinarsi al suo membro e capì al volo le intenzioni del ragazzo.
La bocca di Marco si spalancò, per poi richiudersi subito dopo sull'erezione di Michael. Un gemito straziante uscì dalla gola del libanese, mentre il ragazzo cominciava a muovere la lingua intorno alla sua pelle. Iniziò a succhiare e Michael cercò di assecondarlo con piccoli movimento del bacino.
Il piacere ormai era un'emozione che riempiva tutta la stanza, battendo contro le pareti per poter uscire di lì perché ne era talmente tanto che ci stava stretto nel piccolo appartamento di Marco. L'ansimare di Michael non era altro che una piccola manifestazione di tale piacere, che si irradiava sempre di più dai loro corpi.
E sentì presto che non ci sarebbe voluto ancora molto per raggiungere il culmine. «Oh Marco...» gemette, «Non vorrai mica farmi...» ma non riuscì a concludere la frase perché fu costretto a stroncarla quando un altro gemito gutturale gli uscì dalla gola. E poi non riuscì più a trattenersi, venendo nella bocca del più piccolo.
Le labbra di Marco si siflarono pian piano dalla sua erezione. Il ragazzo sorrise soddisfatto, mentre Michael imprecava contro di lui. «Tu rischia di farme impazzire seriamente» disse, «Tu è un piccolo cattivone molto audace, sa?! And I love you for this.»
Marco si avvicinò al suo viso e posò le labbra su quelle del riccio. Sulla bocca aveva ancora il sapore salato del suo seme, poté constatare Michael. Fu un bacio delicato, di una dolcezza estenuante. Sembrava quasi che il ragazzino volesse dirgli in quel modo che anche lui lo amava. E, se era così, ci stava riuscendo alla grande perché Michael poté sentirci tutto quello che Marco provava per lui solamente sfiorando quelle labbra.
«No, io mi sbagliava» sbraitò Michael quando le loro bocche tornarono ad essere due entità separate, «Tu mi ha già fatto impazzire. Oh Marco, io è completamente pazzo di te.»
«Anche io» rispose. Michael fece per tornare a baciarlo, ma Marco gli posò un dito sulle labbra, mimando un "nono" con la bocca, «io ancora non ho finito con te... Hai detto tutto ciò che voglio, no?!» il riccio annuì, «e beh, io voglio te.»
Marco ci mise un tono così intenso in quella dichiarazione che il cuore di Michael fece un triplo salto mortale nel petto. Forse per chiunque altro sarebbe potuta sembrare una frase logica e scontata in un momento come quello, ma non era così. Non se era pronunciata dalle perfette labbra di Marco, non se lo aveva detto come se non aspettasse altro nella sua vita.
«Dillo di nuovo, please» quasi sembrò supplicarlo, ma aveva troppo bisogno di sentirselo dire di nuovo.
«Che cosa?! Che ti voglio?!» chiese il ragazzino leggermente confuso.
«Oh yes» il riccio lo stava guardando dritto negli occhi in quel momento e a Marco sembrò calare in un'altra dimensione, «Again, please.»
«Ti voglio» disse e, quando vide le labbra di Michael spalancarsi ancora di più, non poté fare a meno di ripeterlo ancora, sperando che quel sorriso non sparisse mai più dal suo volto, «Ti voglio, ti voglio, ti voglio...»
Michael afferrò il piccolo visino di Marco tra le sue lunghe mani e lo pressò fote contro le sue labbra. Lo baciò con avidità e passione, come un fuoco che ardeva rapido e impetuoso. Marco lo strinse più forte a sé, facendo sfregare le pelli nulle dei loro dorsi. Una mano di Michael arrivò giù fino ai suoi pantaloni, li sbottonò e li fece sparire dalle gambe del ragazzo, che si ritrovarono nude come le sue.
A separarli ora restava solo un piccolo pezzo di stoffa che, se non fosse stato tolto all'istante, rischiava di non riuscire più a contenere la prorompente erezione di Marco. Come aveva fatto per i pantaloni, Michael fece dileguare anche i boxer.
E dire che era eccitato era un eufemismo. Il suo membro era così rigonfio che il riccio quasi temette il dolore che avrebbe potuto provocargli entrando in lui.
«Girati» gli ordinò Marco e Michael, inciampando per un attimo nei suoi occhi color cioccolato, poté riuscire a scorgerci un piccolo lampo di lussuria attraversargli le iridi. Eseguì il comando, voltandosi a pancia in sotto.
Marco si sistemò meglio su di lui. Il riccio sentì le mani del ragazzo accarezzare la pelle del suo sedere con quel tocco delicato e allo stesso tempo passionale che solo lui possedeva.
E poi affondò in lui, quasi senza preavviso, tanto che Michael fremette quando sentì il suo membro farsi largo tra le sue carni. Urlò forte per il dolore, ma questo subito venne rimpiazzato dal piacere, che quasi lo copriva del tutto. Il riccio strinse tra i denti un labbro e sentì ben presto il sapore metallico del sangue invadergli la bocca.
Le spinte furono fin da subito veloci ed incalzanti e Michael non poté fare a meno di gemere sempre più forte. Pensò alla loro prima volta e, nonostante fosse stata altrettanto bella, decise di cancellarla, eliminarla completamente dai suoi ricordi. Marco non se ne ricordava e non era lucido quel giorno, quindi lui preferiva pensare che la loro prima notte d'amore fosse questa, e non quella. In fondo, era anche di gran lunga migliore.
Marco usciva e entrava dentro di lui a ritmo costante. Veloce e deciso, come non lo era mai stato fino ad allora. E Michael da ciò non poteva che ricavarne ulteriore goduria, che andava a sopprimere del tutto quel po' di sofferenza che provava. Era così piacevole che nulla avrebbe potuto fargli male in quel momento.
Non era mai neanche riuscito ad immaginare di poter provare per una persona un sentimento così forte come quello che sentiva per Marco. Era piombato nella sua vita da un giorno all'altro, cambiandogliela pian piano ad ogni sorriso che gli dedicava. Ed ora era arrivato ad un punto di non ritorno, un punto dove sperava di rimanere per sempre. Quel ragazzo non si era limitato semplicemente a sconvolgergli la vita, se ne era impossessato. Ed era sua, da sempre, sempre e per sempre.
Dopo numerose spinte, Marco arrivò al culmine del piacere, inondandolo col suo caldo seme. «Questa volta» il ragazzo ansimava e ancora non era uscito totalmente da lui, «credo proprio che me ne ricorderò.»
«Nel caso non te ne ricorda» disse il riccio, mentre lui e Marco tornavano ad essere due corpi separati, «io sarà più che felice di darti qualche ripetizione.»
Marco ricadde sfinito e col respiro affannato accanto a lui. «Un ripasso?!» chiese, inarcando un sopracciglio, «Beh... Comuncio già a non ricordare...»

Senza sapere come, Michael e Marco si erano ritrovati nel letto di quest'ultimo. Avevano continuato a baciarsi e stuzzicarsi a vicenda - come ormai era consueto tra i due -, poi stanchi e assonnati, si erano trascinati, ormai già in uno stato avanzato di dormiveglia, nella camera del ragazzino. O meglio, Michael era mezzo addormentato, mentre Marco era sfinito, ma ancora con gli occhi ben aperti.
Si erano avvinghiati su quel letto ad una piazza, che sarebbe potuto risultare scomodo per due persone normali, ma, siccome erano incastrati come due pezzi di puzzle completamente combacianti, a loro andava più che bene.
Michael teneva le gambe intrecciate a quelle di Marco, le braccia intorno al suo corpo come al solito e la testa abbandonata sul cuscino. Era sprofondato nel sonno già da un bel po', ma Marco, appoggiato al suo petto, quella notte non riusciva proprio a chiudere occhio.
E il perché lo sapeva più che bene. Quella strana sensazione di aver bisogno di qualcosa era tornata e la testa aveva cominciato nuovamente a pulsare dolorosamente. Peccato che, però, in quel momento non ci fossero le mani del riccio ad alleviare il suo dolore.
Si costrinse più volte a pensare ad altro, a sviare la sua mente su qualsiasi cosa che fosse il più lontana possibile da quell'esigenza straziante. Ma nulla funzionò, neanche il ricordare quando pochi istanti prima aveva ottenuto ciò che aveva sempre desiderato.
Inoltre, aveva anche una tremenda paura ad attanagliargli lo stomaco. E se non fosse riuscito a resistere a quell'impulso?! Se quel bisogno avesse avuto la meglio su di lui?! E se avesse mandato tutto all'aria?!
Questi erano i suoi più grandi timori e aveva la sensazione che se avesse ceduto tra lui e Michael si sarebbe spezzato qualcosa. Quindi doveva stringere i denti e resistere. Prima o poi sarebbe passato, no?!
Però non fu così. Tre ore dopo aveva ancora gli occhi spalancati e Michael riposava beatamente sotto di lui. Il dolore alla testa era peggiorato, il bisogno aumentato. Non ce la faceva più. Aveva un tremendo sonno, ma non riusciva a dormire, aveva l'esigenza di qualcosa, ma non poteva averla. E lui sapeva benissimo che cos'era che il suo corpo tanto bramava, ma aveva tentato di reprimere quel pensiero sul nascere, fallendo però miseramente.
Una sigaretta, ecco che cosa avrebbe potuto aiutarlo. Si sfilò lentamente dalle braccia di Michael, cercando di non farlo svegliare e rimpiazzando il suo corpo con un cuscino. Poi, una volta in piedi, con solo i boxer addosso, fece il giro del letto, raggiungendo il comodino, che si trovava dall'altro lato. Aprì il primo cassetto e ci trovò il suo pacchetto da venti ancora nuovo e l'accendino. Lo afferrò e corse al balcone della stanza. Lo aprì, cercando di far il meno rumore possibile, e uscì sul pianerottolo.
Era una bellissima notte d'agosto. Le stelle splendevano in tutta la loro luce nel manto blu, dove al centro vi era una luna quasi piena di un candido colore bianco. Marco sospirò al ricordo di quando Michael era rimasto incantato dalla vista del meraviglioso cielo di Ronciglione e calò lo sguardo sulle sue Marlboro. Un piccolo sorriso amaro aleggiò per qualche secondo sulle sue labbra al pensiero che, da quando stava col suo riccio, aveva sì e no fumato al massimo un paio di sigarette. Ogni cosa buona che gli stava capitando in quell'ultimo periodo poteva essere accreditata a lui.
Afferrò la linguetta della bustina di plastica trasparente che le impacchettava e la strappò, poi alzò il coperchio, spostò col pollice la cartuccia metallica e sfilò la prima sigaretta. La posizionò tra l'indice e il medio, la accese e la portò alle labbra, inalando la prima ventata di quel fumo tossico.
Subito si sentì un po' meglio. La sigaretta era sempre stata la sua più fidata amica e non lo stava tradendo neanche quel giorno. Non rimpiazzava del tutto la droga, però lo stava aiutando a reprimere almeno in parte quel suo bisogno.
Nei minuti che seguirono, consumò quasi metà pacchetto, perdendosi talvolta nei ricordi più lontani. Ma almeno non pensò a nient'altro e, anche se sapeva che presto le sigarette sarebbero finite e il mal di testa sarebbe ritornato, si sentiva almeno un po' più sollevato.
Doveva ormai essere quasi mattina, probabilmente intorno alle cinque e mezza, ma stranamente non aveva neanche un briciolo di sonno. Non si poteva però dire lo stesso della stanchezza, che ormai si era insinuata nel midollo di ogni osso presente nel suo corpo.
Il rumore di alcuni piedi nudi che marciavano sul pavimento freddo dell'appartamento rapì la sua attenzione. Si voltò e vide che Michael stava avanzando verso di lui, con una mano sulla bocca a nascondere uno sbadiglio e solo i boxer a coprire le nudità del suo perfetto corpo.
I suoi deliziosi occhi verdognoli lo squadrarono per qualche secondo con un'espressione accigliata. «Che ci fa tu qui tutto solo a quest'ora del mattino?!» gli chiese.
Marco scrollò le spalle con fare indifferente e gli mostrò la sigaretta mezza consumata. «Non riuscivo a dormire» spiegò, «e sono venuto a fumare.»
Intanto Michael gli si era avvicinato e aveva posato le mani sui suoi fianchi. «Però la prossima volta avvisame» parlò guardandolo dritto negli occhi, «me sono svegliato con un cuscino tra le braccia invece del tuo corpo e mi è preoccupato tantissimo» dal su tono di voce si capiva che non stava affatto scherzando, ma che era davvero stato preoccupato per lui, «mi promette di non farlo mai più?»
È adorabile, pensò Marco. Come faceva ad avere bisogno di qualcos'altro quando aveva lui?!
Marco gli rispose con un bacio che gli lasciò a fior di labbra. Dolce, quasi come il cioccolato, ma rovinato da uno sgradito aroma al tabacco. «Promesso.»
Michael arricciò il naso e allontanò le sue labbra da quelle del ragazzino. «Ma quanto ha fumato?» gli chiese, «Tu puzza tanto.» Sfilò la sigaretta mezza consumata dalle sue dita e la gettò giù dal balcone. «Ti fa male fumare troppo.»
Marco contornò il corpo del libanese con le braccia e affondò il capo nel suo dorso nudo.
«Ehi, Marco» gli passò una mano sulla testa, «che ha?» Il ragazzino alzò la testa e impiantò lo sguardo in quello di Michael. Non voleva farlo preoccupare inutilmente, quindi cercò di fare il sorriso più convincente che poté. «Niente.»
«Se è per quello che è successo... Se io ha fatto qualcosa di ma...»
Marco gli posò un dito sulle labbra, impedendogli di sparare altre sciocchezze. «Non è nulla, davvero» tentò di rassicurarlo, «semplicemente non ho molto sonno. E poi quello che è successo è stato...» cercò l'aggettivo giusto prima di continuare, «bellissimo. Sì, è stato davvero bellissimo.»
Ogni goccia di preoccupazione sembrò svanire dal volto di Michael, che riprese a sorridere mostrando quelle due fossette che Marco tanto amava. Lo strinse forte tra le sue braccia che quasi gli fece male. Ma a Marco non importava, stava bene lì e avrebbe potuto anche stritolarlo, purché non lo avesse lasciato più.
«Guarda, amore» il cuore di Marco si bloccò per qualche secondo nel petto quando Michael lo chiamò in quel modo. Seguì con lo sguardo il suo braccio, che si era staccato da lui per indicare qualcosa, e vide che davanti ai loro occhi stava sorgendo il sole. Il cielo era dipinto di un surreale arancione, che si diraniava da dietro due montagnelle scure. Pian piano una palla giallo-arancio spuntò fuori, illuminando lo spazio con la sua splendente luce.
Entrambi rimasero a guardare l'alba con occhi stupiti, quasi come fosse una magia, un qualcosa non possibile in natura, rimanendo sempre abbracciati l'uno all'altro. «Abbracciami più forte» sussurrò Marco quando sentì allentarsi un poco le braccia del riccio, «più forte.»
Nella richiesta del ragazzo, Michael riuscì a scorgerci qualcosa di strano, qualcosa che voleva nascondergli. Ma decise di non rovinare quel momento e si strinse ancora di più intorno al corpo.
«È meravigliosa l'alba, vero?!» gli chiese.
Michael annuì. «Mai quanto te però.»

"Sarà bellissimo
E l'alba si illumina
Raccolgo le tracce che ho di te
E finalmente torno a vivere
E sarà dolcissimo
E forse non smetterà
Abbracciami e resta qui con me
In questo tempo che somiglia a te"






#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Vi avviso: le scorte di dolcezza mi si sono esaurite mentre scrivevo questo capitolo, quindi ne è venuto fuori questo misto di tenerezza, passione e un po' di bastardaggine. Mi sa che la vacanzina della nostra scrittrice cattivella è quasi giunta al termine.. Sta per tornare DD:
Ah.. I versi a fine capitoli sono tratti dalla canzone "Bellissimo" di Marco e mi sembravano davvero perfetti.
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96

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Capitolo 16
*** #15. Precipizio. ***




15. Precipizio.





«Rientriamo dai» furono le parole calde e dolci quasi sussurrate da Michael a spezzare quel magico momento, «andiamo a fare colazione, poi mi spiega bene che ti prende.» Liberò il corpo di Marco dalle sue braccia e gli afferrò una mano. La strinse forte tra le dita, trascinadolo con sé fino alla cucina.
Lo fece sedere su una sedia, e andò a controllare cosa ci fosse di commestibile nel frigo. A parte un limone mezzo marcio, regnava la più totale desolazione in quell'elettrodomestico.
Si voltò verso di lui con un'espressione talmente sconvolta dipinta in viso che Marco non riuscì a trattenere una piccola risata. «Non ha niente da mangiare?»
Il ragazzino sembrò pensarci un po' su, poi con un dito indicò la credenza in alto, di fianco al frigo. «Dovrebbero esserci un barattolo di Nutella e qualche fetta di pan carré» disse, «potremmo fare colazione con quello.»
«Oh perfect» Michael batté le mani come un bambino, «adoro la Nutella.»
Aprì il mobile e tirò fuori gli ingredienti, posandoli poi sul tavolo, con un sorriso sornione sulle labbra. Si divertì da matto a preparare le due fette di pan carré con un quintale di Nutella in mezzo. La splamò col coltello in un modo così sensuale che a Marco balenò in mente l'idea di ricoprirlo di cioccolata e violentarlo sul posto.
Quando ebbe finito il suo "capolavoro", leccò la Nutella rimasta sul coltello con quel suo solito tono provocatorio, mentre lanciava di sottecchi sguardi eloquenti al ragazzo. Non riuscendo ad ignorare le provocazioni del riccio, Marco si alzò dalla sedia e lo raggiunse. Gli strappò il coltello da mano e lo portò vicino alla sua bocca, passandoci sopra la lingua nel modo più sexy che conoscesse. Se voleva la guerra, Marco di certo non si sarebbe tirato indietro.
«Tu è terribile» ridacchiò, «e io adora te anche per questo.»
«Io adoro te per tutto» gli soffiò Marco dopo essersi avvicinato così tanto alle sue labbra che a separarle non restava altro che un piccolo centimetro facilmente azzerabile. «Per come sbagli almeno un accento in ogni frase, per come ti prendi gioco di me, per come mi deridi ogni momento» ora le loro bocche quasi si sfioravano. Cercando di non farsi vedere, allungò una mano sul tavolo e cercò le fette di pan carré che aveva preparato il riccio. Quando le trovò, ne agguantò una. «E adoro te per...» finse di stare per dare un bacio a Michael e, siccome sulle sue labbra aleggiava quel sorrisetto divertito, gli ficcò in bocca il pan carré.
Michael, stupito e arrabbiato per lo scherzo del ragazzo, si affrettò a ripulirsi la bocca con un fazzoletto, lanciando uno sguardo di sfida a Marco, che sgattaiolò via da lui, rifugiandosi dall'altra parte del tavolo.
«Oh questa me la paga davvero cara» gli disse il riccio, scattando all'inseguimento del ragazzino. Marco corse via, cercando di mettere qualche metro di distanza tra di loro, ma sapeva benissimo che il libanese con le sue gambe chilometriche non ci avrebbe messo molto ad acciuffarlo. E questo era proprio ciò che voleva.
Infatti, sentì ben presto due braccia intrappolare il proprio corpo in una forte stretta, che lo tirò indietro, facendo scontrare la sua schiena nuda col petto muscoloso del riccio, nudo anch'esso. Un fremito partì dalla pelle a contatto con quella di Michael e lo attraversò per ogni membra. Si lasciò intrappolare in quella presa ferrea senza opporre resistenza. Era così bello stare stretto a lui che non gli importava più di nulla ormai. C'erano solo Michael, il petto nudo di Michael e i suoi ormoni impazziti.
Il riccio gli lasciò un morso, che avrebbe dovuto essere doloroso, ma che Marco percepì più come una leggera carezza, alla base del collo.
«Ora è mio progioniero» disse, «e non ti libera più.»
«E chi ti ha detto che voglio essere liberato?!» Michael scosse la testa, bisbigliò un "incorreggibile" a denti stretti e, per dispetto, sciolse la presa intorno al suo corpo.
«Andiamo a mangiare» sbraitò con finto tono offeso, «io ha molta fame.»
Si diresse di nuovo in cucina, mentre Marco lo seguiva ridacchiando. Caro mio, non sei l'unico in grado di provocare qui.
Si sedettero al piccolo tavolo nell'ancora più minuscola cucina dell'appartamento di Marco l'uno di fronte all'altro. Michael addentò il suo pan carré senza distogliere gli occhi da lui. Il ragazzo cercò di fare l'indifferente, ma come si poteva rimanere calmi sotto lo sguardo verdognolo del riccio?! Era scientificamente impossibile.
«Smettila» sbottò fingendosi irritato.
«What?» lui, invece, si finse del tutto innocente.
Marco alzò gli occhi al cielo. «Dannato me e il mio cuore che non riesce a fare a meno di amarti anche quando fai lo scemo» imprecò più volte contro di sé, ma ben presto ci pensò Michael ad azzittirlo. Si era allungato un po' verso di lui, sporgendo il collo e il viso a sfiorare quello del ragazzino. I loro nasi si accarezzarono e Michael lo arricciò un po', mentre le labbra, sorridenti più che mai, si affrettavano a congiungersi con quelle di Marco. Fu un bacio del buongiorno dal gusto di cioccolata, sapore presente ancora sulle bocche di entrambi. Inebriante e travolgente come un vino generoso che esalta già dal primo bicchiere. Allora ne vuoi ancora per saziare quella brama crescente che ti ha procurato, e non puoi smettere più di bere. E, bicchiere dopo bicchiere, le tue capacità cognitive vanno ad affievolirsi fino a lasciarti ubriaco e completamente incapace di intendere e di volere altra cosa all'infuori del liquido che ti ha mandato in quello stato.
Così, con le loro menti inebriate e ormai private di qualsiasi abilità di ragione, si baciarono finché i polmoni sfiniti non ebbero bisogno di una ricarica d'ossigeno. E allora si separano, boccheggiarono per qualche secondo, facendo buona scorta d'aria, e poi ricominciarono d'accapo.
Trascorsero il resto della mattinata così, restando allacciati l'uno all'altro in un bacio infinito. Presto, siccome Marco si dichiarava piuttosto stanco, dalle scomode sedie della cucina, passarono al mini salotto e si avvilupparono su quello che ormai era diventato il loro divano. Passarono ore interi mezzi nudi, con le bocche appiccicate e gli sguardi avvinghiati.
Ma non ci fu nulla di malizioso o passionale. No, quella mattina si amarono mettendo a nudo solo i sentimenti e lasciando al coperto i loro istinti fugaci. Carezze, abbracci, dolci baci sul collo, così si amarono. Perché, in fondo, a loro bastavano anche solo quei piccoli gesti, l'importante era stare insieme. Il rifugio che si erano creati nel loro piccolo mondo tornò ad accoglierli. Ci si immersero e quasi rimasero intrappolati dentro - cosa che a nessuno dei due sarebbe dispiaciuta -, ma poi la realtà li riportò violentemente indietro, quando, senza preavviso, un dolore lancinante alla tesa colpì Marco.
L'espressione sul suo volto cambiò in un lampo, e Michael non poté non notarlo. Da spensierato, felice, giocoso era rapidamente passato a preoccupato, ansioso, addirittura sofferente. Il viso, che fino a poco prima era illuminato da una brillante luce di felicità, si era improvviso rabbuiato, spento.
Michael gli spostò un ciuffetto ribelle che gli era caduto sugli occhi con un dito. Cercò di incrociare il suo sguardo, ma lo aveva abbassato, fissandolo sulla linea di intersezione tra due delle mattonelle di quel vecchio pavimento.
«Che succede, Marco?» aveva provato a chiedergli il riccio. Ma come risposta aveva ricevuto solo un pesante silenzio, che di certo non sembrava essere un buon segno.
Marco aveva allontanato le braccia del libanese dal suo corpo, liberandosi dalla sua presa. Si era poi alzato e aveva cominciato a correre in direzione del bagno. Si chiuse dentro, sbattendo violentemente la porta alle sue spalle. Ci si accasciò contro, lasciando che le gambe cedessero al peso del suo corpo. Si sedette sul freddo pavimento e sentì una lacrima solcargli la guancia.
Stava male. Il dolore alla testa era insopportabile e questo dover fare i conti con il bisogno di droga che continuava ad attanagliargli lo stomaco lo stava pian piano distruggendo.
Pensava che, una volta smesso, tutti i suoi problemi sarebbero spariti, volatilizzati nella certezza di avere accanto a sé qualcuno che avrebbe preso il posto di qualsiasi sostanza stupefacente. E invece no. Non era così semplice come credeva.
Aveva sentito parlare di crisi d'astinenza, ma, da sciocco qual'era, aveva creduto di poterla gestire a suo piacimento. Una volta che aveva avuto il suo angelo custode riccioluto con sé di cosa altro avrebbe mai potuto aver bisogno?! Niente, pensava. Ma si sbagliava di grosso.
Il rumore di nocche che battevano sul legno scadente della porta del bagno lo scosse per un attimo da quei pensieri.
Nel frattempo il ragazzo si era alzato. Ora, era accasciato sul lavandino, con lo sguardo fisso sul rubinetto, ma senza in realtà guardare nulla. Cercando di nascondere la sua angoscia, esclamò un "Mika non preoccuparti, va tutto bene."
Ma Michael sentiva chiaramente i singhiozzi rimbombare tra le strette pareti del bagno e poteva immaginare le lacrime rigare quel suo bellissimo viso. E una tale meraviglia non doveva essere rovinata dal pianto, era un grave torto contro ciò di più perfetto al mondo c'era.
«Marco, ti prego, dimmi cosa sta succedendo.» Lo stava quasi implorando e si sarebbe persino messo in ginocchio pur di far sputare al ragazzino che cosa gli stava capitando.
Ancora nulla. Solo silenzio misto a piccoli singhiozzi soffocati. Appoggiò una mano sulla porta. Avrebbe potuto benissimo aprirla dato che non era chiusa a chiave, ma preferiva che fosse Marco a farlo.
Forse però, pensò Michael, il ragazzino aveva solo bisogno di un po' di tempo per capire. Forse nemmeno lui sapeva bene cosa gli stesse succedendo.
Una piccola idea il riccio se l'era fatta e probabilmente anche Marco se la stava facendo. Se era ciò che pensava, capiva che non doveva dargli fretta e lasciarlo digerire il tutto da solo.
«È quasi mezzogiorno» esclamò, «e tu non ha niente da mangiare. Io fa un salto a casa mia per cambiarmi e poi prende qualcosa al supermercato. Ma, quando torna, vuole che tu mi spiega tutto, capito?»
Gli stava dando del tempo, ecco cosa stava facendo. Non voleva mettergli pressione e sapeva anche che aveva bisogno di stare un po' da solo per metabolizzare meglio la cosa prima di potergli dire cosa diavolo avesse.
Marco si avvicinò esitate alla porta e la aprì lentamente. Il riccio lo fulminò con lo sguardo per qualche secondo, poi si chinò su di lui e gli lasciò un tenero bacio sulla fronte.
«Ricorda che, per qualsiasi cosa, io c'è sempre.» Si voltò e sparì nella camera, dove in fretta si rivestì con i panni del giorno precedente. Poi si accinse ad uscire, salutando Marco con un carico "a dopo" che il ragazzo sapeva bene significare "preparati un bel discorsetto nel frattempo perché io voglio sapere tutto."
E così Marco restò in casa, da solo. Per un po' non ci sarebbe stato Michael lì con lui e, neanche due secondi dopo, capì che già lo rivoleva accanto. Era l'unica che lo tratteneva dal prendere il suo cellulare e digitare in fretta un messaggio a Luca.
Tra quei due bisogni non riusciva a capire quale fosse più forte. Ma sapeva che, se il riccio non fosse tornato presto, a quello della droga avrebbe sicuramente ceduto.
Così cercò qualche distrazione. Riprese le sue sigarette e ne accese una. Inspirò il fumo, ma non gli sorbì alcun effetto calmante. Niente.
E il dolore alla testa pulsava sempre di più, quasi come un martello pneumatico posto sopra il suo cranio. Spense la sigaretta nel portacenere sul tavolo e afferrò il resto del pacchetto tra le dita. Le strinse tanto forte da ridurlo ad una piccola pallina di cartone arrovigliata. Lo lasciò sul tavolo e cominciò ad andare avanti e indietro per la stanza. Si torturava le dita e mordicchiava freneticamente il labbro inferiore.
Quasi come un'illuminazione, vide il suo cellulare, dimenticato chissà quando sul davanzale del piano cucina. Ne fu letteralmente attratto e gli si avvicinò. Allungò un braccio nella sua direzione e le dita si strinsero intorno al piccolo apparecchio. Per qualche secondo rimase immobile, indeciso sul se afferrarlo o lasciarlo lì. Poi i suoi arti si mossero da soli e il cellulare finì nella sua mano destra. Due opzioni gli si pararono dinnanzi agli occhi.
Avrebbe potuto chiamare Michael, chiedergli di tornare immediatamente e spiegargli il tutto. Insieme avrebbero affrontato meglio la situazione, avrebbe potuto aiutarlo, gli avrebbe donato una ragione per continuare a contrastare quel bisogno. Ma non avrebbe potuto fare altro che attenuarlo, senza mandarlo via per davvero. Sarebbe rimasto lì, nella sua testa a rovinargli ogni singolo istante della sua stupida vita.
C'era però anche una seconda possibilità: mandare un messaggio a Luca. Gli avrebbe potuto chiedere la sua buona dose, che quel cervello inutile che si ritrovava tanto bramava. Sarebbe stato meglio, si sarebbe sentito soddisfatto. Sapeva che era solo un effetto temporaneo, ma ne aveva così tanto bisogno.
Tintennò con le unghie sullo schermo del cellulare, rovinandolo addirittura un po', poi il suo pollice scivolò sui tasti e compose uno dei due numeri.

Michael era appena rientrato a casa. Andò in camera sua, prese i primi vestiti puliti che trovò sottomano e si ritirò in bagno. Si fece una doccia veloce, mentre nella sua testa scorrevano le immagini degli ultimi attimi vissuti con Marco. E quell'atteggiamento strano che aveva avuto in più di un'occasione non gli sembrava presagire nulla che avrebbero potuto superare facilmente. Era anche per questo che aveva deciso di fare un salto a casa sua, per indagare meglio sul comportamento del ragazzo.
Uscì dalla doccia, lasciando una scia di gocce d'acqua lungo il pavimento, e si passò rapidamente un asciugamano su ogni lembo di pelle. Indossò il jeans e la maglietta a righe azzurre che aveva pescato distrattamente dall'armadio poco fa e, prima di uscire dal bagno, si diede uno sguardo allo specchio.
Naturalmente, quell'ammasso riccio di capelli che aveva in testa era aggrovigliato in un cespuglio crespo. Sbuffò e perse un po' di tempo a cercare di rimetterlo a posto, ma fu tutto inutile.
Tornò in camera sua e scivolò sullo sgabello davanti alla scrivania. Accese quella sottospecie di pc un po' vecchiotto che aveva, ma che non usava quasi mai, e si connettè ad internet.
Digitò sul suo motore di ricerca preferito le parole "astinenza da cocaina". Era più che sicuro che la causa del suo malessere fosse quella sostanza che non aveva fatto altro che danneggiare il suo piccolo cameriere sexy. E ne ebbe la conferma quando, apparsi sullo schermo numerosi link che più o meno sembravano dire la stessa cosa, cliccò sul primo.
"A differenza di altre sostanze stupefacenti, l'improvvisa cessione dell'uso di cocaina" recitava il testo che gli si era parato davanti, "più che causare malesseri fisici, ha sintomi prettamente psichici..." I suoi occhi scivolarono velocemente sulle righe, soffermandosi sulle parole che più potevano essere associate al comportamento di Marco: "il sintomo principale è a carico dell'umore..." Lo collegò al momento in cui, quando poco prima erano abbracciati sul suo divano, Marco aveva improvvisamente cambiato espressione del viso ed era corso via da lui con una scusa banale. Il primo sintomo combaciava, quindi continuò la sua lettura.
"disturbi del sonno" e ancora "insonnia" c'era scritto. Anche questo sintomo riuscì a collegarlo al ragazzo. La sera prima si era svegliato piuttosto presto per andare a fumare, aveva detto lui. Ma, in realtà, sospettava non si fosse neanche mai addormentato, cosa che era molto probabile, dato che gli aveva detto di essere molto stanco. E, infatti, altra cosa che il sito dichiarava sintomo dell'astinenza era la "stanchezza psichica e fisica."
Più leggeva e più vedeva la speranza che non fosse ciò che temeva sfumare via. "Le persone che si trovano in astinenza di cocaina spesso abusano d'alcol" diceva ancora. E, in effetti, Marco si era scolato quasi due birre la sera precedente.
I sintomi c'erano tutti e lo spazio per i dubbi ormai era ridotto drasticamente. Era in astinenza da cocaina, Michael ne era più che sicuro. I suoi occhi, però, si bloccarono sulla frase "in genere è presente un forte desiderio per la sostanza". E allora capì. Capì che aveva fatto male a lasciarlo da solo, che doveva tornare da lui e impedirgli di tentare di procurarsi nuovamente droga, capì che probabilmente adesso stava lottando con sé stesso nel cercare di non ricadere nella sua dipendenza.

Marco avrebbe dovuto fare tutto molto velocemente, doveva sbrigarsi perché sapeva il riccio avrebbe fatto il suo ritorno da un momento all'altro. Alla fine, senza pensarci troppo, aveva scelto di inviare un messaggio a Luca.
"Ho bisogno di una dose. Immediatamente" gli aveva scritto poco prima.
Ora si ritrovava seduto sul suo divano, con cellulare poggiato sul tavolino di fronte, gli occhi fissi sullo schermo nero e il pollice della mano destra che torturava nervosamente quello della mano sinistra.
Una piccola vibrazione, poi lo schermo si illuminò. Lo afferrò e controllò chi fosse il mittente del messaggio che gli era appena arrivato: Luca.
"D'accordo. Tra due minuti al solito posto."
Balzò in piedi. Corse subito in camera e si vestì così rapidamente da non fare neanche caso a ciò che si stava mettendo. Poi si avvicinò al comodino e aprì l'ultimo cassetto, riempito da una pila poco ordinata di calzini. Scavò con una mano tra di essi, cercando quello che ormai era diventato il suo "salvadanaio". La gente normale riponeva i suoi risparmi in un porcellino grassoccio rosa con una piccola apertura sulla testa, invece lui no. Aveva un logoro calzino vecchio, che ormai non usava più perché aveva perso il suo gemello. Quando lo trovò, ci tastò un po' sopra con le dita, assicurandosi che fosse quello con le banconote stipate al suo interno. Sentì il rumore della carta che scricchiolava e capì che era quello giusto.
Lo estrasse e lo rivoltò a testa in giù sul letto, lasciando venir fuori il contenuto.
Erano tutte banconote da cinque e due da dieci. Più o meno arrivavano a stento a sessantacinque euro. Ed erano i suoi ultimi risparmi.
Rimase per qualche secondo indeciso sul se prenderli o meno. Se li avrebbe spesi per la droga, calcolò che gli sarebbero rimasti a stento quindici euro.
Quei soldi erano tutto ciò che gli rimaneva e, non avendo un lavoro, assumevano per lui un valore decisamente più alto di quello che effettivamente avevano.
Ma il suo cervello ormai andava verso un'unica direzione: la droga. E qualsiasi tentativo di ragionare sui pro e i contro - era perfettamente consapevole che i contro erano molto di più, ma non voleva pensarci troppo - di ciò che stava per fare veniva polverizzato all'istante, soppiantato dal bisogno sempre crescente che ormai invadeva ogni angolo della sua mente.
Prese i soldi e li conficcò nella tasca destra dei suoi jeans. Sgattaiolò velocemente fuori da quello squallido motel, tenendo la testa bassa per non incrociare alcuno sguardo. Quasi corse sul marciapiede ardente. Il sole brillava luminoso nel cielo e l'aria era afosa, tanto che l'asfalto sembrava sciogliersi sotto i raggi caldi. Aveva poco tempo e la temperatura decisamente troppo elevata non faceva altro che rallentarlo. Ma, in qualche modo, riuscì a raggiungere il luogo dell'incontro.
Inutile a dirlo, Luca era già là, appoggiato all'ombra ad un muretto. Solita sigaretta in bocca e solito sguardo gelido da "odio tutti, statemi lontani".
Quando si accorse dell' arrivo del ragazzo i suoi occhi azzurri si posarono riluttanti su di lui. Non parlò, allungò semplicemente una mano. Marco gli si avvicinò, posò le banconote sul palmo e aspettò che lui gli consegnasse la droga. E, appena il biondino ebbe contato i soldi e si fu accertato che fossero giusti, gli passò la bustina. Lanciò un ultimo sguardo di ghiaccio a Marco, poi, senza pronunciare alcuna parola, si voltò e scomparì dopo pochi passi alla vista del ragazzo.
Marco ritornò in un lampo a casa sua. Prima di cacciare fuori la roba, controllò che nel frattempo Michael non fosse rientrato. Setacciò da cima fondo tutte le stanze dell'appartamento e, piccolo com'era, non ci mise neanche molto. Solo quando fu completamente certo di essere solo, ritornò in cucina.
Prese la bustina, che aveva conficcato in tasca, e la aprì, riversandone il contenuto sul tavolo. Fece tutte le cose che ormai erano routine per lui: sistemò la cocaina in una linea ordinata e arrotolò una banconota da dieci in modo da formare un tubicino.
Ma poi si bloccò. Guardò per qualche istante la polverina bianca e, come già gli era successo altre volte, davanti gli occhi gli apparì il volto deluso del suo ricciolino che scuoteva la testa a destra e a sinistra, lasciando ondeggiare i boccoli perfetti nell'aria, facendogli cenno di no.
«Mika...» Pronunciò il suo nome sulle labbra come se potesse sentirlo, come se fosse davvero davanti a lui e quell'immagine non fosse solo una fantasia del suo bacato cervello.
Però Michael non era lì. Nella stanza era da solo e a fargli compagnia non aveva altro che suo odioso mal di testa che continuava a martellargli il capo.
E poi c'era anche l'unica cosa che avrebbe potuto cancellare il dolore, che gli avrebbe offerto un vero sollievo: la cocaina.
Era bloccato sull'orlo di un precipizio, schiacciato tra il gettarsi giù o il tornare indietro.
Ad ogni modo, poteva nasconderlo quanto voleva ma, se avesse deciso di cedere, Michael lo avrebbe scoperto lo stesso. Se ne sarebbe accorto, non poteva evitarlo. E questa era l'unica cosa che gli impediva di buttarsi.
Tirarla o non tirarla?! Questo è il problema., pensò scherzosamente guardando la sostanza incolore.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Lo so, lo so.. Sono proprio una bastarda. Ma che ci posso fare, adoro concludere i capitoli mettendovi ansia muahahaha
È nella mia natura, perdonatemi xDD
A presto :*
Un bacio, la vostra scrittrice malvagia che vi ama tanto (non sono molto credibile, ma è la verità u.u) ❤

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Capitolo 17
*** #16. Luce e ombra. ***




16. Luce e ombra.





«Mai più, promesso.»
Quella di non chiamare più Luca era l'unica promessa che avesse mai fatto a Michael. Eppure era già la seconda volta che l'infrangeva.
La cocaina era ancora sistemata in una linea ordinata sul tavolo, mentre Marco si era ranicchiato sul suo divano. Aveva portato le gambe al petto e le aveva strette tra le braccia, raggomitolandosi in una posizione fetale.
Marco il suo problema non era ancora riuscito a risolverlo. I minuti scorrevano nella struggente confusione che provava in quel momento. Che cosa fare lui non riusciva proprio a capirlo. Guardava semplicemente quella sostanza, pensando all'appagamento, seppur temporaneo, che gli avrebbe procurato.
Eppure c'era qualcosa che lo teneva incollato al divano, che gli impediva di alzarsi e di avvicinarsi all'oggetto del suo desiderio. Una forza più potente di qualsiasi altro bisogno, un qualcosa che lo frenava dal commettere l'ennesimo errore. E quel qualcosa si chiamava Michael. Era solo per lui se la cocaina non era ancora finita nel sistema nervoso. La terrificante paura di poter vedere dipinta sul suo visino perfetto un'espressione delusa e di esserne la causa creava un muro invisibile tra lui e la sua tanto agognata felicità illusoria.
Era un muro invalicabile, ma allo stesso tempo sembrava tanto fragile. Gli sarebbe bastato semplicemente ordinare ai suoi arti inferiori di alzarsi e raggiungere quel piccolo concentrato di finta pace.
Per quanto riguardava la sua povera e dolente testolina vuota, in quel momento aveva preso a fargli male ancora di più. Il suo cervello tutt'altro che funzionante gli intimava di assumere quella maledetta roba, mentre il cuore lo teneva fermo, sperando di veder comparire il prima possibile alla porta il suo angelo. Così, oppresso da due desideri contrastanti, Marco era incastrato su quel divano.
Era in procinto di impazzire da un momento all'altro. Agli occhi di uno sconosciuto sarebbe potuto sembrare un malato mentale che faceva capricci per non assumere la sua razione quotidiana di medicina. Peccato che, nel caso di Marco, non era medicina quella a cui cercava di resistere.
Mika torna, si continuava a ripetere mentalmente. Sperava, anche se sapeva benissimo che era impossibile, che Michael potesse intercettare la frequenza dei suoi pensieri e leggerli, materializzandosi poi in men che non si dica accanto a lui. Telepatia e teletrasporto, Marco si chiese se gli angeli non possedessero questi due poteri.
Cosa il riccio avrebbe pensato, quando sarebbe tornato, vedendo la cocaina, non gli importava. Ora voleva lui. E lo voleva subito.
Come se davvero fosse in possesso di quei due poteri, il ricciolino comparve sull'uscio della porta, lasciata aperta a metà. Esclamò un "I'm here, Marco" e fece un passo all'interno dell'appartamento. Già il solo sentire la dolce e armoniosa voce di Michael pronunciare il suo insulso e stupido nome lo fece sentire meglio, come se finalmente il suo angelo custode fosse arrivato lì e avesse potuto salvarlo. Si voltò verso di lui e vide la sua sagoma snella e slanciata fare alcuni passi nel salotto.
Il riccio cominciò a vagare per la stanza con lo sguardo alla ricerca del ragazzino e non gli ci volle molto prima di riuscire ad individuarlo. Davanti a lui gli si parò una scena talmente straziante da fargli gelare il cuore: due occhioni color cioccolato, ma nascosti da un pesante velo di lacrime, incontrarono i suoi, intimandogli un disperato aiuto. Vide Marco rannicchiato in un piccolo angolino del suo vecchio divanetto e, sul tavolino di fronte, una scia bianca che Michael aveva già capito cosa avrebbe potuto essere.
Corse subito verso il ragazzo e si bloccò solo una volta raggiunto il divano. Lo contemplò per alcuni secondi, analizzando per bene la situazione. Sembrava in uno stato si shock, incapace di intendere e di volere. Si strinse immediatamente attorno a lui, avvolgendolo in un immenso e rassicurante abbraccio.
Quando sentì il contatto tra il suo corpo e quello del riccio, Marco ebbe la sensazione di essere al sicuro, in un posto dove quella dannata sostanza bianca non avrebbe più potuto tentarlo. Era finito di nuovo nel loro piccolo mondo e lì altro non poteva esserci che lui e il suo Michael. Niente droga, niente mal di testa, nient'altro che loro.
Immerse il viso nel petto di Michael. Aveva il suo stesso odore di sempre, solo che quella volta sembrava più forte e penetrante. Probabilmente aveva appena fatto la doccia e quel limpido profumo ai frutti di bosco ebbe il potere di calmare qualsiasi bisogno controproducente del ragazzino.
«Marco» la voce che uscì da quelle perfette labbra gli infondeva dolcezza, sicurezza, «andiamo via di qui.» Marco ebbe addirittura la forza di pronunciare, anche se con flebile e quasi impercettibile voce, un placato "Sì".
Il riccio aiutò il ragazzo a rimettersi in piedi. Portò una mano sul suo fianco, mentre con l'altra lo sorreggeva all'altezza delle spalle. Le gambe in quel momento sembrarono voler collabora con lui e, aggrappato al corpo di Michael, riuscì ad arrivare fino alla porta.
Ma, mentre ne varcava l'uscio, Marco non riuscì ad evitare di lanciare un ultimo sguardo a quell'invitante sostanza bianca. Ora la vedeva allontanarsi sempre di più, diventando una strisciolina sottile sul tavolino marrone, fino a scomparire del tutto dal suo campo visivo.
Due sensazioni diverse, quasi opposte, presero a scontrarsi dentro di lui: da un lato, si sentì come se finalmente si stesse liberando di una pesante catena che lo aveva tenuto intrappolato per anni in una prigione che egli stesso si era costruito pian piano intorno, ma che adesso aveva trovato il modo per evadere; dall'altro, invece, quella catena era stata per così tanto tempo la sua unica compagnia che abbandonarla per sempre gli sembrava come dover rinunciare a un qualcosa che era diventato ormai parte fondamentale di sé.
Però doveva farlo. Certo, la testa gli doleva ancora e il bisogno di quella sostanza non era diminuito, ma ora era oscurato dall'amore che provava per quell'uomo che, per l'ennesima volta, lo stava trascinando via dal buco nero nel quale era finito. E cosa più bella non poteva esserci dell'essere salvato dalla persona che ami.
Sentiva che ad ogni ostacolo che superavano insieme quel legame, che già sembrava superare i limiti dell'immaginazione, si rafforzasse sempre di più. Era qualcosa di unico, qualcosa di superiore a qualsiasi altro sentimento avessero mai provato. Era amore, puro, vero e meraviglioso.
Marco, preso da un piccolo istinto rabbioso, scivolò via dalla presa di Michael e, mentre lui lo osservava confuso, ritornò vicino al tavolo.
Lo osservò, inclinando leggermente la testa di lato. Ci passò sopra una mano nel punto in cui giaceva ancora la striscia di cocaina e lasciò che venisse scaraventata a terra, mischiandosi con la fuliggine di polvere che vorticava nel piccolo movimento d'aria causato da quel gesto.
Si ripulì le dita, alle quali era rimasta attaccata un po' di quella sostanza, sfregandole sulla maglietta che indossava.
Voltò il viso verso Michael, ancora fermo imbambolato a qualche metro da lui, e, quando si rese conto di ciò che aveva appena fatto il ragazzino, sul viso del ricciolino si fece largo un piccolo sorriso.
«Io è così fiero di te» disse. Marco gli lanciò un'occhiata torva, carica di disaccordo. Come faceva a essere fiero di lui?! Aveva quasi ceduto nuovamente alla sua dipendenza, aveva infranto la sua promessa. Non c'era proprio niente di cui essere fiero, anzi aveva tutto il diritto di essere arrabbiato.
Scosse la testa. Non poteva crederci che non provasse neanche un po' di rancore, che il suo viso fosse sereno, quasi come se non fosse successo niente, e neanche un briciolo di irritazione gli aleggiasse intorno. Forse, pensò, gli angeli non erano capaci di arrabbiarsi con nessuno. Erano troppo buoni loro, proprio come Michael.
Il riccio gli si avvicinò. Allungò una mano per posarla sulla spalla di Marco, ma lui si ritrasse. «Che c'è?» chiese, spaesato, Michael.
«Niente» ora gli occhi di Marco erano fissi sulle vecchie Diadora consumate che portava ai piedi, «credo solo che non dovresti essere così fiero di me. Non dopo quello che ho fatto.»
«Di questo ne riparla dopo» disse Michael, «ora andiamo, dai.»
Marco si mosse meccanicamente verso la porta, mentre il riccio gli si affiancò in silenzio, ma scrutandolo attentamente con le sue pozze verdognole.
Quando quegli occhi erano posati su di lui, Marco sentiva sempre un senso di irriquietudine attraversargli il corpo. Erano così dannatamente dolci e infiniti da farlo sentire in imbarazzo, soprattutto quando lo guardavano con quell'accento così indagatore.
Silenzio. Si poteva dire che quella era la parola che più era adatta a descrivere la scena. Solo il fruscio del vento, il rombo dei motori delle macchine che percorrevano veloci la strada mentre si dirigevano verso casa di Michael impedivano il totale silenzio tra i due.
Però, per tutto il tragitto, Marco si accorse che lo sguardo del riccio non si staccò per un solo secondo da lui.
«La smetti di guardarmi in quel modo?» sbottò il ragazzo. Nel frattempo, erano arrivati davanti la porta e Michael stava infilando la chiave nella toppa di metallo sempre con gli occhi puntati sul ragazzino.
«Scusa» finalmente distolse lo sguardo, «stava solo cercando di capire se tu stava bene.»
Marco sbuffò. «Ti sembro per caso uno che sta bene?» Gli uscì un tono pungente ed irritante, che il ragazzino non aveva alcuna intenzione di fare. Ma, non sapeva perché, tutta quella situazione gli dava immensamente fastidio.
Non sopportava il fatto di aver infranto di nuovo quella promessa, di non essere capace di resistere ad una tentazione così banale. E non sopportava il sorriso fiero di Michael, le sue parole troppo buone, quando poi ciò che meritava erano solo due grosse sberle.
Il tono pungente di Marco sembrò, però, non urtare minimamente il riccio. Che quegli sbalzi d'umore erano solo un effetto collaterale della sua astinenza Michael lo sapeva benissimo. Quindi, decise semplicemente di far finta di nulla, di ignorare Marco finché non usciva da quella fase in cui si sentiva un "fallito cronico incapace di resistere a un po' di schifosa polvere bianca".
Aprì la porta e diede la precedenza al ragazzo, seguendolo poi ad un passo dietro di lui. Lo vide dirigersi direttamente verso la cucina con andatura frettolosa ed incalzante e aprire il frigo. Ne estrasse una delle bottiglie di birra che Michael aveva conservato.
«Posala» lo ammonì. Ma Marco sembrò non sentirlo e la aprì. «Ha detto che deve posarla.»
Lo ignorò ancora. Si portò il boccale alle labbra e cominciò direttamente a bere.
Aveva il bisogno irrefrenabile e opprimente di qualcosa che fosse capace di mettere a tacere quella parte di lui che continuava a reclamare a gran voce la cocaina che aveva sprecato gettandola via.
Buttò giù il primo sorso, facendolo immediatamente seguire da un secondo e un terzo. «Marco, smettila» Michael, che gli si era avvicinato, tentò di strappargli la bottiglia da mano, ma Marco lo schivò prontamente e ricominciò la sua alcolizzazzione anti-droga. Quarto. Qunito. Sesto.
«Marco...» Settimo. Ottavo. Nono. La prima bottiglia era andata. Allungò un braccio verso il frigorifero per prenderne un'altra, ma Michael si appoggiò con la schiena contro lo sportello, bloccandone in questo modo l'apertura.
«Spostati» sbraitò, sbuffando scocciato. Michael fece cenno di no con la testa. «Smettila di fare la mammina, smettila di tentare di salvarmi. Lasciami in pace con le mie dipendenze.»
«Io non te abbandonerà mai, Marco.» Voce calma, vellutata, che avrebbe sciolto il cuore di qualsiasi essere umano sulla faccia della terra. E poi quegli occhi penetranti, che lo trafiggevano in un modo così straziante, erano impossibile da ignorare.
Così, qualsiasi accenno a ribattere, qualsiasi rabbia innebbiasse la sua mente, si dissolse nell'estrema dolcezza di quell'uomo, che, ancora appoggiato al frigo, lo afferrò e lo attirò a sé. Un braccio si strinse intorno alla vita del ragazzino, mentre l'altra mano gli sollevava il mento. «Io ti ha promesso che ti salverà, e io lo farà.» L'alito sfiorò la pelle di Marco, gliela accarezzò, infondendogli un tiepido calore che pervase tutto il suo corpo.
«Io.. Io..» balbettò, non sapendo bene cosa dire, «Io.. Sono un totale disastro.»
«No, tu no lo è.» Le labbra del ricciolino si porsero verso le sue, arrivarono quasi a sfiorarle, ma non ci riuscirono. Marco si era tirato indietro, impedendo al riccio di raggiungere il contatto che cercava.
«Non lo merito, Mika» disse, «Non merito il tuo amore.» Fece un altro passo indietro, staccandosi dal riccio. «Sono solo un problema per te e non...»
Michael gli posò un dito sulle labbra, azzittendolo. «Sta zitto, piccolo scemo» azzerò nuovamente la distanza tra di loro, «Tu non è un problema. Tu è la cosa più bella che mi è mai successa.» E a quel punto le loro labbra non resistettero più, si attirarono l'una all'altra senza che i due neanche se ne accorgessero. Si ritrovarono allora nel bel mezzo di un bacio passionale e intenso, smaniosi di risentire le loro bocche ricongiunte l'una all'altra.
Il riccio era per Marco come una forte luce, che brillava onnipotente nell'oscura ombra che lui si era creato intorno. Era così forte da illuminare tutto il suo mondo, da rischiarare quell'aura buia che lo circondava.
Luce e ombra. Erano gli esatti opposti. Eppure l'una senza l'altra non poteva esistere.
«Un giorno dovrai spiegarmi come fai ad amare un errore come me» disse e, spezzato quel bacio, appoggiò la testa sulla spalla del riccio.
«Come deve fare io a spiegarte che tu è la cosa più bella della mia vita?!» Marco non riuscì più a trattenere le lacrime, che scesero copiose dai suoi occhi e bagnarono il sottile tessuto della maglietta del riccio. «No piangere, piccolo mio» gli passò una mano sulla cute, «con l'aiuto di un dottore tu riuscirà a...»
«No» esclamò. Balzò all'indietro, scostandosi dal corpo di Michael. «Non voglio nessun dottore» parlò con la voce decisa di chi non ammetteva compromessi, «Io ho bisogno solo di te» il tono andò ad addolcirsi su quelle ultime parole, «solo di te.»
«Ma io non può...» Michael provò a contestare, ma il ragazzino non glielo permise.
«Ho bisogno semplicemente di non restare da solo, di stare con te.»
«E io non ti lascerà mai più» promise il riccio e un'altra scarica di baci tempestò l'aria.

«Marco...» Michael gli agitò con una mano la spalla destra, «Marco...» Il ragazzino, disteso su un lato nella sua parte di letto, aveva appena chiuso gli occhi quando sentì la vocina del libanese chiamarlo e la sua mano scuoterlo.
«Quella di chiamarmi proprio nel momento in cui credo di essermi addormentato è un'abitudine?!» sbottò, sarcastico, riaprendo leggermente i suoi occhietti marroni.
«Scusame» disse il ricciolino, «voleva solo chiederti una cosa e non poteva aspettare a domani.»
Marco si voltò verso di lui e, dopo aver fatto un piccolo e delizioso sbadiglio che intenerì Michael, chiese con una vocetta roca a causa del sonno: «Che cosa c'è di così importante da non poter aspettare qualche oretta?»
«Io stava pensando a quello che è successo oggi e...» esitò, prendendosi il tempo per cercare lo guardo di Marco nell'oscurità e, solo una volta che lo ebbe trovato, proseguì, «Marco, andiamo via da questa città. Andiamo a Londra, domani stesso. Un paio di biglietti all'ultimo minuto si trova sempre. Vieni con me.»
Gli occhi del ragazzino, ancora quasi mezzi chiusi, si spalancarono. «Domani?! A Londra?! Davvero?!»
sembrava quasi incredulo dalla proposta che gli aveva appena fatto il riccio e, anche se il buio ne impediva bene la vista, Michael riuscì a scorgere quei dentini perfettamente bianchi farsi spazio sul suo bellissimo viso. «Sì, sì, sì, sì, sì!» esclamò, gettandosi letteralmente su di lui.
Lo strinse forte, come se con quell'abbraccio potesse tenerlo sempre con sé, come se più la stretta si facesse forte e più la possibilità di separarli si allontanasse.
Marrco lo stava stringendo con talmente tanta pressione da farlo quasi male, ma il riccio non si lamentò. Sembrava tanto magrolino e deboluccio, ma quel ragazzo aveva muscoli forzuti e ben definiti, e Michael lo sapeva bene.
Se avesse stretto ancora un po' di più, gli avrebbe bloccato la circolazione di ossigeno nel sangue, ma nemmeno questo a Michael importava. Era così bello vederlo davvero contento per qualcosa che non gli avrebbe mai impedito per nulla al mondo di manifestare la sua felicità.
Per Marco andare via da lì per sempre e passare il resto della sua vita con l'uomo che amava era tutto ciò che di più bello potesse desiderare.
Poteva lasciarsi alle spalle quel passato burrascoso e difficile, poteva cancellare quel capitolo buio e sofferente, iniziandone a scrivere uno nuovo, nettamente differente, cominciandolo con un nome: Michael. E, insieme a lui, avrebbe potuto anche dire per sempre addio alla sua dipendenza, strappandone le pagine una ad una e riempiendo solo con emozioni positive quelle ancora bianche.
Un nuovo capitolo, una nuova storia in ci credeva che spazio per la sofferenza non ce ne sarebbe più stato. Ma ciò che non sapeva era che si sbagliava di grosso. Il destino, purtroppo, gioca spesso brutti scherzi proprio quando crediamo che nulla potrebbe andare male e che tutto sembra andare per il verso giusto.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Sono in un ritardo imperdonabile. Fucilatemi, se volete. Vi do il permesso di farlo.
Però poi non saprete mai come andrà a finire la ff. Quindi non vi conviene gné gné :P
Questa sottospecie di capitolo di passaggio è una vera schifezza, lo so. Se fosse stato per me lo avrei escluso dalla storia, ma mi serviva per il prossimo capitolo che già vi annuncio sarà super iper mega bastardo. Muahahaha ✌
Detto questo, siete liberissimi di farmi tutte le critiche che volete (per il ritardo, per quanto fa schifo sto capitolo di merda, per la mia malvagità senza limiti..)
Perdonatemi (per tutte le cose che ho detto nella parentesi di prima ma che mi scoccio di riscrivere) ❤
A presto :*
Un bacio, la vostra Lady Malvagità ❤

PS: Ah quasi dimenticavo di dirvi che la ff sta per concludersi.. Mancano più o meno 3 capitoli più un piccolo epilogo e poi finalmente vi libererete di me ✌

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Capitolo 18
*** #17. Again. ***




17. Again.





Marco non riusciva a smettere di osservare la meraviglia di quell'uomo così perfettamente intatta anche mentre dormiva. Si era svegliato prima di lui e, non riuscendo a resistere alla squisita tentazione di poter contemplare il suo angelo finché non ne fosse stato abbastanza sazio, aveva cominciato a squadrare ogni suo piccolo dettaglio.
I suoi occhioni verdognoli erano fermamente serrati, la bocca leggermente socchiusa. Un filo di barbetta, quasi invisibile, la contornava, donando a quel visetto da bambino quell'accenno all'uomo maturo che avrebbe dovuto essere, ma che, a parte quel piccolo dettaglio, non sembrava affatto.
Un ricciolino, fuori dalla cerchia di boccoletti che erano disordinatamente sparsi sul cuscino, creando una criniera intorno alla testa, gli ricadeva sulla fronte, intaccando la perfezione di quel viso. Con un dito, glielo scostò, facendolo riunire al resto della sua massa cespugliosa.
Era tanto bello il suo Michael, di quella bellezza infantile, fanciullesca che, crescendo, si perde nel progressivo abbandono della spensierata freschezza che si ha da bambini. Ma, per quell'uomo, non era così: di quella bellezza non ne aveva persa neanche un goccio, anzi era ancora tutta concentrata in lui, in un connubio di puro splendore tra quei tratti così infantili misto a quel pizzico di maturità che lo caratterizzava.
Si avvicinò piano alla sua invitante bocca e, cercando di essere il più delicato possibile per non svegliarlo, gli impresse un piccolo bacio a stampo. Le labbra del riccio, calde e lisce sotto le sue, si mossero leggermente, increspandosi un po' all'insù.
«Ti amo, Mika» ci alitò sopra il ragazzo. Il tenue sorriso si allargò sempre di più, fino a scoprire del tutto i suoi grossi dentoni bianchi.
«E io ama questi dolci risvegli» rispose il ricciolino, socchiudendo leggermente gli occhi. «Buongiorno, amore mio.»
«Buongiorno» un sorriso si posò anche sul suo viso, «amore mio.»
Le palpebre, non ancora del tutto aperte, si spalancarono a poco a poco, focalizzando l'immagine su quel meraviglioso ragazzino di fronte a lui. Tutto spettinato, con alcuni ciuffetti di capelli che gli ricadevano scoordinati sua fronte, l'espressione ancora assonnata e una mano che stropicciava l'occhio destro mentre l'altra nascondeva un piccolo sbadiglio era decisamente la più lieta delle visioni. «Io è tanto felice se solo pensa che da domani tutti i risvegli sarà così» disse dolcemente con un filo di voce.
Marco fece una smorfia di dissenso. «Mh... Sei davvero sicuro di voler passare il resto della tua vita con questo disastro?» chiese, inarcando un sopracciglio.
«Sì» rispose, «e tu sei davvero sicuro di voler passare il resto della tua vita con questo rompipalle?»
«Sì» le guance di Marco assunsero quel colore scarlatto che solo la voce vellutata del riccio era capace di causare, «lo voglio.»
Un bacio violento e fugace trasportò con sé la bocca di Marco. Fu così ardente da consumargli letteralmente le labbra. Le sentì bruciare, mentre quelle del riccio fermevano sulle sue. E in quel momento capì che Michael aveva proprio ragione, un risveglio del genere meritava di essere ripetuto ogni santissima mattina.
Ancora con le labbra incollate alle sue, al libanese scappò una piccola risatina. «Sembra una promessa di matrimonio.»
Marco si unì a lui e il melodioso rumore delle loro risate si librò nello spazio intorno a loro. E suono più bello non poteva esserci di quello che le loro labbra stavano producendo, la dolce melodia della loro felicità. «Vero» constatò.
Michael prese una mano di Marco tra le sue. Il ragazzo trasalì e un brivido si insinuò nel profondo delle sue ossa come succedeva ogni qualvolta il riccio lo anche sfiorava solamente. «Beh.. Allora facciamola per bene..» aveva immerso i suoi occhi verdognoli in quelli scuri, ma rilucenti di una strana luminosità, di Marco. «Vuoi tu, Marco Mengoni, prendere come tuo sposo il qui presente Michael Holbrook Penniman Jr.?»
Il cuore di Marco fece un balzo, si scontrò così violentemente contro la gabbia toracica che per poco non ci si spiaccicò contro e poi ritornò indietro. Il tutto in una frazione di secondo. Questo "rituale" si ripeté circa una cinquantina di volte mentre la sua gola tentava di emettere una risposta: «Sì, lo voglio» la voce secca tradiva la sua troppa emozione, «E vuoi tu, ricciolino dal nome impronunciabile, prendere come tuo sposo il qui presente errore umano?»
«Sì, lo voglio» tono calmo e controllato, sensuale e caldo, l'esatto opposto del suo. «Ci dichiaro marito e marito» non riuscì a trattenere una risata, «ora può baciare lo sposo» lo invitò, toccandosi provocante le labbra. E Marco non se lo fece ripetere due volte. Brandì con un dolce bacio quella promessa. In fondo, pensò, non serviva a nulla una vera cerimonia di matrimonio. Se c'era l'amore, se erano sposati per finta o davvero poco contava. L'unica cosa importante erano loro e ciò che provavano l'uno per l'altro.
Bastava osservare il modo in cui si guardavano a vicenda, con i loro occhi che sembravano fare i salti di gioia ogni qualvolta si scontravano, per capire che ciò che li legava era un sentimento forte e indissolubile.
I baci appena svegli, quando le bocche non sono ancora timbrate della consueta freschezza, ma hanno un sapore dolciastro, quasi un po' amarognolo, con le labbra secche, possono considerarsi i più belli. E fu così anche per loro. Più di qualsiasi altra volta, brandirono qualcosa di profondo, la loro ennesima promessa che aveva bisogno di un sigillo. E quel bacio ebbe il potere di imprigionare per sempre il loro amore.

L'acqua batteva con delicatezza sul suo corpo, lasciando una scia di piccole goccioline che, con quel filo di luce penetrante dalla tendina ricamata del bagno, sembravano minuscoli diamanti luccicanti incastonati nella pelle di Marco.
La mente ormai era persa nei meandri del suo piccolo angolo di felicità che si stava facendo sempre più spazio tra i suoi pensieri bui spazzandoli pian piano via. Era così rilassante ripensare a tutto quello che gli stava succedendo mentre il caldo e vaporoso getto d'acqua gli massaggiava con dolcezza la pelle.
Tutti i suoi desideri si stavano avverando, e tutti in una volta. In quel breve lasso di tempo aveva avuto anche più di quanto la sua mente aveva anche solamente provato a sognare. Aveva Michael, stava per andare via da lì, ed era felice. Sì, era decisamente troppo per lui.
Ed era così perso nel suo vagabondare tra i ricordi che non si accorse neanche di non essere più solo nella doccia. Solamente quando due manone gli si pararono davanti agli occhi, oscurandogli la vista, fece ritorno sulla terra.
«Indovina chi è» cantilenò una vocina melodiosa e sensuale che Marco riconobbe subito.
«Mika... O un serial killer che vuole ammazzarmi sotto la doccia» disse sarcastico, «ma dubito fortemente che un assassino possa intrufolarsi nella doccia per farmi scherzetti del genere e, siccome non c'è nessun altro in casa, non puoi che essere quell'idiota del mio ragazzo.»
«Okay» ridacchiò, ridonando la vista al ragazzino, «ha indovinato... Now tu merita un bel premio.» Tono giocoso e furbo: stava sicuramente architettando qualcosa.
«Un premio?!» Marco tentò di voltarsi verso di lui per capire cosa quel pazzoide avesse in mente, ma il riccio glielo impedì.
«No, tu resta girato di spalle. Me piace la visione del tuo bel culettino nudo» il ghigno divertito si fece nuovamente presente nella sua voce, «e io ora mi prende cura del tuo corpo» gli strappò di mano il bagnoschiuma e la spugna che Marco stava usando per lavarsi, «ora questi serve a me.»
«Ma...» provò a ribattere, ma il riccio lo interruppe.
«Shh» disse, «lascia fare a me.» Rovesciò un bel po' di bagnoschiuma sulla spugna e cominciò a passarla delicatamente sulla pelle del ragazzo. Un delizioso odore di frutti di bosco si innalzò dentro quella piccola cabina doccia.
«Ti aveva detto che un giorno noi fa una doccia sexy insieme...» sentiva il suo caldo fiato alle sue spalle, «Beh, crede che quel giorno è arrivato.» Un morso, violento e passionale, lasciò una macchia rossastra sul collo del ragazzo.
Le mani del riccio, lasciata cadere a terra la spugna, cominciarono a muoversi leggiadre su tutto il corpo di Marco. «Tu è molto sexy tutto bagnato» disse, continuando a provocare il ragazzo che, sotto il tocco poco casto di Michael, stava già cominciando a perdere la cognizione del tempo e dello spazio intorno a lui.
Lo sfiorava, lo stuzzicava, lo toccava nei posti in cui sapeva avrebbero fatto perdere il controllo al ragazzo, giocherellava con i suoi punti deboli, si divertiva a vederlo completamente in balia del suo volere e non dava cenno di voler smettere.
Era una provocazione continua quell'uomo. Era nella sua natura infantile, e Marco lo amava anche per questo.
Il membro di Marco era già perfettamente eretto. Le mani di Michael scivolarono velocemente su di esso, cominciando a punzecchiarlo. Lo percorse su e giù con un dito, tracciandone il contorno, poi lo avvolse completamente tra le sue dita. Il piacere che quell'uomo, giocando e torturando la sua parte più intima, riusciva a infondergli fece emettere un gemito strozzato al ragazzino. «M-Michael...» borbottò ormai completamente in estasi.
Michael spinse delicatamente il corpo di Marco contro la parete della cabina. Le mani scivolarono sulla pelle bagnata, la bocca procedeva da sé attraversando il corpo.
Con una sola spinta fu dentro di lui. Un piccolo urlettino soffuso si alzò dalla gola di Marco.
Fecero l'amore lì, in piedi, sotto quel getto d'acqua che ricordava tanto il battere della pioggia che era stata un punto fondamentale della loro storia sin dall'inizio.
Consumare la loro passione sotto la tenue carezza delle gocce che picchiavano delicate sulla loro pelle fu come tornare indietro nel tempo. Il loro primo incontro, il secondo, il loro primo bacio.. Era tutto avvenuto con l'ausilio della pioggia. In quel momento non c'era di certo una nuvola sulle loro teste e i tuoni che rimbombavano fortemente nelle loro orecchie, però i capelli erano ugualmente fradici, le goccioline scorrevano sul loro visi, si insinuavano tra le ciglia, per poi scendere lungo il naso e, arrivate alla punta, tuffarsi giù.
Era tutto un gioco del destino, che si divertiva a ingarbugliare la loro storia in una serie di nodi intorno ad un unico filo conduttore. Si stava prendendo gioco di loro, era beffardo. Ma fino a che punto sarebbe durato il suo gioco?
Bruciarono il loro amore in quell'atto, riducendone la volgarità al minimo ed enfatizzandone al massimo, invece, il lato romantico di ciò che stavano facendo.
Gemiti, ansimi, urli, spinte, baci, morsi, carezze andarono pian piano a costruire la cornice di quel quadro infinito in cui erano dipinti solo loro due nel bel mezzo del nulla, circondati dall'immensa aura che sprivgionava il loro sentimento.
Marco si sosteneva con le mani pigiate alla parete. Spinta dopo spinta il dolore aumentava di pari passo con la velocità con cui Michael entrava ed usciva da lui. Aveva le labbra sul suo collo e, alternate a piccoli baci, gli sussurrava parole dolci, delicate, facendo dimenticare così quel barlume di sofferenza che il ragazzino stava provando. Solo il piacere, misto all'amore, regnava sovrano tra di loro.
«Tu è mio, forever» la voce era rotta da ansimi, ma neanche in quel momento perse la sua peculiare sensualità. Lo strinse con le braccia da dietro mentre con un'ultima potente spinta raggiungeva il culmine del piacere.

Appena mise piedi fuori alla doccia, Marco sentì una grossa asciugamano avvolgergli il corpo gocciolante. Era Michael che, uscito due secondi prima di lui, aveva provveduto ad infilarsi un accappatoio e a procurare un asciugamano per il ragazzo.
Lo coccolò tra le sue braccia, mentre con le mani lo aiutava ad asciugarsi.
Marco si sentì protetto, al sicuro, anche se non sapeva da cosa. Sapeva soltanto che lì tra le braccia del suo Michael stava così maledettamente bene che avrebbe voluto restarci per sempre.
Affondò nella calda e morbida asciugamano, infradiciandola con l'acqua ancora presente sul suo corpo. Michael lo osservò con gli occhi percorsi da una fiaccola ardente di tenerezza.
«Sembra un pulcino tutto bagnato» disse. Gli sorrise, mentre Marco sentì il sangue affluirgli alle guance. Caldo. In quel bagno la temperatura era decisamente troppo troppo alta. O forse era semplicemente il calore spigionato dal corpo di Michael così dannatamente a stretto contatto col suo.
Si presero cura a vicenda l'uno dell'altro in un leggero clima scherzoso e spensierato. Sembravano padre e figlio, con l'unica differenza che tra i due non riusciva a capirsi chi era il padre e chi il figlio. Erano entrambi talmente infantili e allo stesso tempo premurosi verso l'altro da scambiarsi più volte i ruoli. Ed era proprio quella l'espressione più alta dell'amore. Non avere ruoli, ma confondersi l'uno con l'altro, l'uno nell'altro. Si ingarbugliarono insieme nel filo del phon, scoppiando più volte in fragorose risate, si fecero, come di consueto, continui dispetti, tentarono di lavarsi decentemente i denti, ma finirono con lo spargere ovunque il dentifricio. Di riuscire a rimanere seri non se ne parlava, amavano viversi così, come in uno scherzo perpetuo che sembrava non avere alcuna fine.
«Mh...» mugulò Michael. Era dietro di lui e Marco poteva scorgere l'espressione beffarda dal riflesso dello specchio che gli era davanti.
«Che c'è?» il ragazzo stava torturando il suo ciuffettino, tentando di dargli una conformità quantomeno decente.
«Mhmh...» lo afferrò da dietro, bloccando il suo bacino tra le possenti braccia. Marco, preso alla sprovvista, sussultò.
«Amore, smettila» lo canzonò, «sto cercando di aggiustare 'sto ciuffo.»
«Mhmhmh...» continuò, ignorandolo. Affondò la testa nei capelli del ragazzino, lasciandogli un tenero bacio.
«Dai...» Marco si contorse tra le sue braccia, tentando, invano, di liberarsi.
«Mhmhmhmh...» Niente. Di smetterla proprio non se ne parlava.
«Mi dici che cavolo vuoi?» stava perdendo la pazienza. Tra i capelli che non davano cenno di voler stare al loro posto e Michael che non smetteva di fare l'idiota, gli erano ormai saltati i nervi. La pazienza non era uno dei suoi pregi.
«Tu sa cosa io vuole.» Marco poté scorgere l'espressione furba che si era materializzata sul suo volto. Oh sì, lo sapeva bene cosa voleva.
«Ancora?!» gli chiese, voltandosi verso di lui.
«Yes» l'angolino del labbro destro gli si alzò leggermente, «again, again and again.»
Marco roteò gli occhi al cielo. Insaziabile, pensò. «Però adesso è il mio turno.»

Michael era appoggiato allo stipite della porta. Stava aspettando Marco, ritornato al suo appartamento per preparare i bagagli. In qualche modo, il ricciolino era riuscito a trovare un paio di biglietti per un volo che sarebbe partito tra meno di due ore.
Quando lo intravide, spuntato dall'altro capo della strada trascinandosi dietro un'esile valigia, sul suo viso si fece spazio un ampio sorriso, ricambiato a pieno dal ragazzino. Due paia di occhi, due sorrisi, si incrociarono, scontrandosi consapevolmente gli uni negli altri.
Con lo sguardo fisso su Michael, Marco attraversò la strada. Rimase sulle strisce pedonali, ma commise un grave errore: troppo occupato a non staccare gli occhi dal riccio, non guardò a destra e a manca per controllare se qualche macchina stesse per passare. E, dato che il destino aveva deciso proprio di continuare quel suo crudele gioco con loro due, esaudì il desiderio che Marco espresse in un momento cupo della sua vita e che, in modo tanto crudele e imprevedibile, aveva deciso di mettere da parte, per poi tirarlo nuovamente in gioco quando i due meno se lo aspettassero. E quello sembrava proprio essere il momento più opportuno.
Meschino come non mai, il destino portò a compimento il suo piano. Una macchina, che sfrecciava sull'asfalto ad una velocità nettamente superiore al livello massimo, travolse in una frazione di secondo il povero Marco, che se ne accorse solamente quando ormai l'impatto era inevitabile. Non ebbe neanche il tempo di metabolizzare la triste consapevolezza di essere spacciato, che si ritrovò scaraventato, quasi privo di sensi, sulla strada.
Il rumore dell'impatto sembrò diffondersi in uno straziante crescendo dal punto in cui lo scontro era avvenuto.
«Marco!» un urlo terrorizzato, acuto, stridente, che andò ad affievolirsi sul finale, quando ormai l'immagine di Marco, steso per terra grondante di sangue, era stata recepita dal suo cervello.
Persone, che fino a un attimo prima passeggiavano tranquille sul marciapiede, ognuno con i propri problemi a cui far fronte, con la propria vita da mandare avanti, accorsero subito sul luogo. Si accerchiarono intorno al ragazzino, qualcuno chiamò un'ambulanza, qualcuno si improvvisò medico.
Michael, invece, rimase per qualche secondo fermo, impietrito sul posto. Sentiva il panico affluirgli nelle vene, le lacrime pungere alle basi degli occhi.
Ebbe finalmente la forza di muoversi. Corse veloce, facendosi spazio sgraziatamente tra la gente che aveva creato un muro impenetrabile intorno a lui.
Quando gli fu davanti, si accasciò per terra. Le lacrime cominciarono a schizzare a fiotti dai suoi occhi, con lo stesso ritmo con il quale il sangue sgorgava dalle ferite di Marco.
Una pozza rossa scarlatta si era formata tutt'attorno al ragazzo. Il dorso, anche se lentamente, continuava ad alzarsi ed abbassarsi, segno che ancora un briciolo di vita rimaneva in quel corpo che, a prima vista, ne sarebbe potuto sembrare ormai privo.
Il mormorio della gente, fastidioso e ed irritante, che ipotizzava quante possibilità avesse il ragazzino di poter sopravvivere - a detta di molti, piuttosto scarse - a quel tragico incidente, non fece altro che aumentare le ansie del riccio. Gli circondò il corpo con le braccia e se lo portò, con estrema delicatezza, al petto.
«Ti prego» un tono disperato, implorante dell'impossibile, «Non abbandonarme» singhiozzi e lacrime gli attraversavano la voce, «Io ha tanto bisogno di te. Ti prego.»
Cosa però avesse deciso il destino a nessuno era dato saperlo: forse lo avrebbe salvato, avrebbe compiuto un piccolo miracolo, concludendo quel suo gioco con un lieto fine, oppure lo avrebbe concluso tragicamente, nel peggiore dei modi. Per il momento, si limitava a continuare a prendersi beffa di loro, ancora.




#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Sono sempre più in ritardo, lo so. E i capitoli fanno sempre più schifo, so anche questo.
Purtroppo ultimamente, tra i vari impegni scolastici, tempo per dedicare alla scrittura ne ho sempre di meno. E questa piccola schifezza ne è il risultato.
Beh.. Vi ho già detto che amo iniziare i capitoli nel più dolce dei modi e poi finirli in quello più doloroso?! Probabilmente sì, ma ve lo ripeto lo stesso. Adoro essere dolce e bastarda al tempo stesso, mi dispiace per voi.
Ma, come vi ho già detto, manca poco alla fine. Solo un paio di capitoli e non sarete più costretti a leggere le oscenità che vengono fuori dalla mia perversa mente.
Perdonatemi ❤ vi amo ❤
Per sicurezza, però, vado a nascondermi, nel caso il capitolo vi susciti atti non poco violenti nei miei confronti.
A presto :*
Un bacio, la vostra Lady Malvagità ❤

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Capitolo 19
*** #18. Bip. Bip. Bip. ***




18. Bip. Bip. Bip.





Il rumore ripetitivo e assordante di un'ambulanza si faceva man mano più chiaro. Gli occhi di Michael erano lucidi e le mani macchiate del rossastro sangue. Il cuore si era ripiegato più volte su se stesso a causa della troppa enfasi del dolore che provava.
Riuscì a scorgere, nonostante l'alone delle lacrime gli offuscasse la vista, avvicinarsi a gran velocità il veicolo, per poi parcheggiarsi proprio di fronte a lui. Scesero due infermieri, esaminarono prima con la sguardo la gravità della situazione, poi armeggiarono col corpo di Marco e lo adagiarono su una barella, trascinandolo all'interno dell'ambulanza.
Michael lo seguì, non staccandosi per nulla al mondo da lui. Finì col litigare persino con uno degli infermieri - poiché si ostinava a sostenere che non potesse andare in ambulanza con loro - ma alla fine i suoi occhi, tramutatisi in due pozzi che riflettevano pienamente la situazione del suo cuore, parlarono per lui. Nessuno avrebbe mai potuto resistere alla tristezza che persino solamente incrociando il suo sguardo poteva essere letta. E, quando l'infermiere ci entrò in contatto, non poté fare a meno di cedere.
Strinse forte una mano su quella fredda e immobile di Marco. Osservava le flebo che gli erano state infilate nei bracci, il bendaggio provvisorio intorno alla ferita sul capo intingersi sempre più di sangue. Il bianco si riduceva poco a poco, facendo spazio all'accesso e fluente rosso.
Michael era fisicamente lì, ma in realtà era completamente assente. Perso in chissà quale universo parallelo, non riusciva a capacitorsi di ciò che stava accadendo. È un brutto sogno, un incubo si ripeteva mentalmente. Non poteva essere vero, il suo Marco non poteva essere in uno stato transitorio tra la vita e la morte. No, non lo era.
Il viaggio fino all'ospedale fu una lenta e logorante tortura. Più passava il tempo, più le speranze di salvare Marco si affievolivano e più Michael si sentiva pian piano morire dentro. Gli stette vicino finché, arrivati al reparto del pronto soccorso, la barella non fu condotta all'interno di una di quelle sale riservate ai casi più urgenti. Il riccio tentò di seguirlo anche lì, ma un uomo in camice bianco chiuse la porta prima che riuscisse ad entrare.
L'attesa fu lunga e incredibilmente straziante. Trascorse le ore camminando avanti e indietro nel corridoio, senza fermarsi nemmeno per un attimo, tanto che il pavimento sembrò quasi consumarsi sotto i suoi piedi.
Di tanto in tanto lacrime nuove straboccavano dalle orbite oculari. Le dita si torturavano a vicenda. Nessuno usciva da quella sala, la porta era ancora fermamente chiusa. E se fosse un bene o meno a Michael non era dato saperlo.
L'ansia gli stava sfracellando lo stomaco. Non riusciva più ad aspettare, aveva bisogno di sapere se il suo Marco fosse ancora a questo mondo o stesse per lasciarlo per sempre. Se qualcuno non avesse aperto immediatamente quella maledetta porta, l'avrebbe sfondata.
Ma, finalmente, proprio in quel momento, qualcuno uscì. Michael lo riconobbe. Era lo stesso dottore in camice bianco che lo aveva chiuso fuori. Il suo viso era imperturbabile, non lasciava trasparire nulla, fermo come una statua di marmo.
«Come sta Marco?» chiese d'impeto Michael. Le mani gli tremavano, tutto il corpo era scosso da spasmi.
«È sopravvissuto...» a quella piccola rivelazione tirò un sospiro di sollievo, «ma...» il medico calò la testa. L'espressione che aveva dipinta in viso sembrava più che affranta.
«Ma?!» fremette, incapace di attendere ancora per capire come diavolo stesse il suo ragazzo.
«Ma... Ha riportato un forte trauma alla testa... Ha perso i sensi e beh... Potrebbe risvegliarsi a breve, oppure potrebbe volerci un po' di tempo... O, peggio ancora, mai più» il cuore di Michael a quelle parole si rifiutò per qualche istante di svolgere la sua vitale funzione. «È in coma e non si sa per quanto tempo potrebbe rimanerci.»
«C-Coma?!» balbettò. Era una delle poche parole italiane che non conosceva ancora, ma aveva capito perfettamente a cosa quell'uomo si riferisse.
«Sì.» Risposta secca, che non lasciava nulla nel vago.
Le parole "Marco - coma" non gli sembravano poter stare insieme in una sola frase.
Ma, quando la consapevolezza di quella notizia fu metabolizzata dal suo cervello, Michael sentì le gambe perdere la loro capacità di sorreggere il peso del corpo.
Allungò una mano verso la sinistra e cercò a tentoni un appiglio. Quando toccò il gelido e ruvido muro, ci si appoggiò contro. Si lasciò scivolare lungo la parete, fino a finire con il sedere per terra.
«Si sente bene?» chiese il dottore. Ma Michael lo ignorò. Non percepiva più il mondo intorno a lui, non sentiva nulla. Nella sua mente le parole pronunciate dal dottore sembravano ripetersi come un disco inceppato.
Le sue orecchie non percepiamo più alcun suono. Né il medico che continuava a chiedergli come stesse, né il rumore delle barelle che correvano avanti e indietro dalle stanze intorno, né le urla delle persone disperate, né il suono che penetrava ovattata dalle pareti dell'ambulanza che stava nuovamente partendo...
Nessun rumore arrivava più ai suoi padiglioni auricolari. E stessa cosa poteva dirsi per il resto dei suoi sensi. Non percepiva neanche l'odore nauseante dei medicinali, dei disinfettanti, delle bende, misto a quello acre del sangue. Nulla. Assolutamente nulla.
«Si sente bene?» era l'ennesima volta che quell'uomo gli faceva la stessa domanda. E, data la situazione di instabilità mentale nella quale si trovava, Michael non riuscì a non perdere la pazienza.
Si rialzò con fatica dal pavimento. Le gambe continuavano a tremare e fu costretto ad appoggiarsi alla parete. «COME DOVREBBE SENTIRSE SECONDO LEI UNA PERSONA CHE HA APPENA SCOPERTO CHE L'UNICA RAGIONE DELLA SUA ESISTENZA È IN UNO STATO DAL QUALE PUÒ NON RISVEGLIARSE MAI PIÙ?! COME?!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, afferrando il dottore per il bavero del suo camice. Gli occhi di tutti si posarono su di lui.
Le lacrime ormai si erano scavate un letto sulle sue guance nel quale far scorrere il loro copioso fiume.
Rabbia, dolore, incredulità... Si accavallarono tutte nel suo petto, tutte insieme, l'una sull'altra, tutte in una volta, sfociando in un tornado di inaudita potenza che si abbatté contro egli stesso.
«Distrutto» rispose il dottore. E vocabolo migliore non avrebbe potuto sceglierlo. Aveva ragione, era completamente, totalmente distrutto.
Michael allentò piano a piano la presa, fino a lasciarlo del tutto. Ispirò a fondo, tentò di darsi una calmata, poi si precipitò immediatamente dal suo Marco. Appena lo videro, gli infermieri si apprestarono a concludere ciò che stavano facendo ed uscire. Uno di loro, gli lasciò una pacca calorosa sulla spalla, rivolgendogli un amaro sorriso.
Solo quando la stanza si fu svuotata e lì non rimase altri che lui, riluttante per la situazione, ebbe il coraggio di guardare il ragazzo adagiato sul letto. Il fiume sulle sue guance si trasformò in un oceano.
Gli scostò la coperta che gli arrivava fino a metà busto. Fasciature intrise di rosso ricorprivano il braccio e la gamba sinistra, che Michael ipotizzò essersi rotti per l'impatto. Altre medicazioni più piccole erano sparse un po' ovunque, su ferite probabilmente superficiali. E, infine, una benda, non meno sporca delle altre, gli avvolgeva la fronte.
Gli occhi erano serrati, così come la bocca. Il suo normale colorito roseo aveva ora una sfumatura quasi bianca. Poteva addirittura sembrare fatto di ceramica per il pallore che aveva assunto la sua pelle.
«Marco...» voce bassa come un soffio di vento, «Torna. Please.»
Cercò un contatto con lui e decise di riprendere a stringere le dita intorno alla sua mano sinistra, facendo attenzione a non muovere la flebo che era incastrata nel polso. «Please» lo supplicò ancora.
Bip. Bip. Bip. Era il rumore snervante riprodotto ad intervalli regolari dalla macchinetta che monitorava il battito del suo cuore.
Bip. Bip. Bip. Sempre lo stesso, sembrava non variare di un millimetro.
Bip. Bip. Bip. Almeno sapeva che fino a quando la macchina avesse prodotto questo suono il suo Marco era ancora vivo.
Bip. Bip. Bip. Prima o poi sarebbe impazzito.
Bip. Bip. Bip. Ma ancora non sapeva che sarebbe diventato la colonna sonora della sua vita per giorni, settimane, mesi...
Così come Marco era entrato in coma quella sera, anche l'anima di Michael sembrava essersi bloccata in uno stato quasi vegetativo, mentre la vita gli veniva risucchiata via attimo dopo attimo.

Il tempo passava, portandosi con sé giorni interi. E Marco non sembrava avere miglioramenti.
Michael era ormai ridotto ad uno straccio. Passava tutto il giorno lì in ospedale a prendersi cura del suo Marco. Quella era ormai diventata la sua nuova casa.
Nella vecchia ci tornava di tanto in tento, quando aveva bisogno di cambiarsi o quando il suo stomaco reclamava qualcosa di più sostanzioso del caffè poco digeribile delle macchinette automatiche dell'ospedale.
Le occhiaie ormai avevano preso residenza fissa sul volto, il suo fisico appariva visibilmente deperito. Già prima aveva una costituzione fin troppo esile, ma ora di lui non rimaneva altro che qualche ossuccia che a stento riusciva a tenersi in piedi.
Aveva conosciuto molte persone in quel periodo, persone che prima avevano abbandonato Marco al suo triste destino e ora sbucavano dal nulla, fingendosi dispiaciuti per il ragazzo.
I suoi genitori, appena venuti a sapere dell'accaduto, si erano precipitati lì. La madre, che anche se Michael ormai vedeva ogni giorno non sarebbe riuscito a riconoscerla se l'avesse incontrata per strada, mostrò da subito compassione per il ricciolino. In fondo, il dolore che provavano era molto simile.
Il padre, però, si era rivelato scontroso e diffidente verso di lui. Gli lanciava occhiatacce e ripeteva che quella era la giusta punizione al loro essere diversi.
Veniva a trovarlo di tanto in tanto, ma non aveva versato una sola lacrima per il figlio.
L'unica cosa che colpì Michael di quell'uomo apparentemente senza cuore, fu l'enorme somiglianza fisica che aveva con Marco: era semplicemente la versione invecchiata del ragazzo. Stessi occhi, stessi tratti del viso, stessa corporatura, solo qualche ruga in più sul viso. Ma completamente diverso era il carattere. Non c'era in lui neanche un barlume della dolcezza, della sensibilità appartenenti al figlio.
Ogni settimana esatta, di che giorno Michael non avrebbe saputo dirlo perché ormai gli era nulla la cognizione del tempo, veniva a trovarlo anche quella che si era definita la sua 'ex migliore amica'. Neanche quella ragazza Michael sarebbe riuscita a distinguerla al di fuori di lì. Ormai non vedeva più nulla.
Si alternavano amici, familiari, parenti lontani che Michael si chiese da dove sbucassero dato che Marco aveva da sempre lamentato la sua condizione di totale solitudine.
Spesso si fermavano a parlare con lui, soprattutto la madre. Ma Michael si limitava ad annuire, senza proferir parola. L'unico con cui parlava era Marco, quando ormai era talmente tardi che in ospedale rimanevano solamente gli infermieri e i medici dal turno di notte e quando i poveri ricoverati stipati nella stessa stanza di Marco erano immersi nel loro profondo sonno.
I dottori dicevano che sentire la voce di una persona cara gli faceva bene.
E, siccome quella era l'unica cosa che potesse fare per il suo Marco, gli parlava per tutta la notte, finché le prime luci dell'alba non si innalzavano in cielo.
Per il resto era muto, eccetto quel "Ci sono miglioramenti?" ogni qualvolta i medici facevano gli ormai quotidiani controlli.
Ma la risposta era sempre negativa. La situazione sembrava non volersi sbloccare: non migliorava, non peggiorava. Stabile, bloccata, congelata.
Erano ormai già passate tre settimane, quando, un giorno, si era presentato persino Luca. Appena lo aveva visto, Michael si sforzò di rivolgergli il più sdegnato dei saluti. In realtà avrebbe voluto cacciarlo a calci fuori da lì, ma alla fine decise di lasciare che facesse vista a Marco. Non c'era più spazio nel suo cuore per il rancore.
Il biondo ci era rimasto un bel po' lì dentro con il ragazzo e, quando era uscito, Michael avrebbe giurato di avergli visto gli occhi leggermente lucidi. Occhi di ghiaccio sciolti dal dolore.
«Mi dispiace. Meritava davvero di rifarsi una vita insieme a te» gli aveva detto, «peccato probabilmente gli sarà sottratta anche quella che aveva prima.»
Freddo, insensibile, ma vero. Era l'unico che era stato capace di sputare fuori la verità nuda e cruda: aveva ragione, ormai era passato molto tempo e le possibilità di salvezza di Marco si facevano sempre più lontane.
Sputate fuori quelle crude frecce, era andato via. Quella fu l'ultima volta che Michael vide la sua sfacciata e arrogante faccia.
Scivolavano via sempre più velocemente i giorni. Eppure ogni ora sembrava una dolorosa tortura da dover scontare. Mattina e sera, giorno e notte, ormai si erano fusi insieme. Michael non riusciva più a distinguerli.
Rimaneva per quasi tutto il tempo nella stanza vuota e senza finestre di Marco e lo guardava. Osservava il suo viso immobile, che non mutava di un solo millimetro, disteso su quel lettino così scomodo sul quale addormentarsi sarebbe stato impossibile. Eppure lui stava dormendo, e da molto ormai.
Ma la parte peggiore della giornata era quando il buio scendeva e, come ogni notte, prendeva la sedia, la avvicinava al letto di Marco, perdendosi ad osservare il suo corpo accarezzato dalla luce artificiale delle lampadine al neon. Così, dopo aver versato qualche lacrima iniziava il suo quotidiano monologo notturno.
Cominciava a parlargli di tutto ciò che era avvenuto quel giorno. E, anche se non c'era molto da dire, lui continuava a parlare.
Ogni tanto incespicava in qualche accento sbagliato o qualche verbo coniugato male. «Ora non c'è più tu che me correge e mio italiano sta peggiorando. Deve tornare, amore mio. Io ha bisogno di risentire tuo meraviglioso suono di risate quando io sbaglia. Vuole che tu me sfotte all'infinito, che te prende gioco di me. Vuole che tu smette di dormire. Risvegliate Marco, please.»
Ma il ragazzino rimaneva fermo, immobile, e la macchinetta che monitorava l'andamento del suo cuore produceva sempre il solito ripetitivo suono.
Tirò un sospiro afflitto e riprese a lasciar venir fiori tutto ciò di cui poteva parlargli. Quando esauriva le notizie giornaliere, iniziava a immergersi del passato.
Vagava nei ricordi, ripescando piccoli aneddoti della sua vita che non aveva mai avuto l'opportunità di raccontargli. Faceva tuffi nell'infanzia, non molto felice, poi sboccava nell'adolescenza, anch'essa tormentata, fino ad arrivare all'origine del suo star finalmente bene: Marco.
«E poi io ha incontrato te. Era Natale, do you remember?» fece una breve pausa, come se si aspettasse che lui rispondesse, poi continuò, «Faceva freddo, molto freddo e tu era avvolto nella pesante sciarpetta che portava al collo. E io mi è sentito attratto da te, come una calamita, come due poli opposti, sin dal primo istante.»
Dall'altro lato in risposta arrivava solo silenzio, come al solito. Però Michael non si rassegnava e la speranza che prima o poi le sue labbra si sarebbero mosse e avrebbero prodotto qualche suono non lo abbandonava mai.
Si avvicinò alla sua fronte e ci poggiò delicatamente la bocca sopra. Gli lasciò un piccolo e dolce bacio.
Sfiorò la sua guancia con un dito e poté giurare di sentire il suo viso muoversi leggermente sotto il suo tocco. Ritrasse la mano, fissando la figura del ragazzo con attenzione. Le palpebre stavano tremolando, un dito della sua mano destra si era leggermente mosso.





#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Ovviamente, mi scuso ancora per i miei imperdonabili ritardi. Non riesco mai a essere puntuale. La puntualità non è decisamente uno dei miei pregi.
E beh, che dirvi?! Siamo arrivati alla fine. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, poi finalmente non avrete più questa rompiscatole tra i piedi.
Nel frattempo, vi lascio questo capitolo che fa seriamente schifo.
A presto :*
Un bacio, _Lollipop_96 ❤

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Capitolo 20
*** #Epilogo. ***




Epilogo.





Marco sorrideva sornione mentre il suo sguardo era attratto da quello che il piccolo oblò gli mostrava. Sembrava non aver mai visto nulla di così bello, un bambino che apriva gli occhi per la prima volta. E Michael sorrideva guardando lui sorridere.
Era da un bel po' che il riccio non lo faceva, le sue labbra erano rimaste statiche in un'espressione cupa, triste. Ma ora finalmente tornavano ad allargarsi e a mostrare al mondo i suoi grossi dentoni. Stava rinascendo pian piano.
Michael si spostò lungo il sediolino, finendo ancora più vicino a lui e, approfittando della sua distruzione, lo intrappolò in un ferreo abbraccio, lasciandogli poi un piccolo bacetto sulla guancia. Il leggero strato di barbetta che ricopriva il suo viso gli punzecchiò le labbra.
Il sorriso che Marco aveva dipinto sul faccino gli si allargò ancora di più e, voltando il capo leggermente verso Michael, lasciò che i loro sguardi si scontrassero. In quel momento l'impietrito cuore di Michael tornò a battere.
«Tuoi occhi è bellissimi» gli disse. E non mentiva affatto, quegli infiniti pozzi color cioccolato erano così srabondanti di amore che Michael non avrebbe desiderato altro che poter rimanere incastrato in quello sguardo per il resto della sua vita.
«Sarà la centesima volta che me lo ripeti da quando sono 'tornato'» sbuffò Marco.
Michael scrollò le spalle. «Mi è mancati tanto e io non vuole più farne a meno.»
Sulle labbra di Marco il sorriso gli si affievolì un po'. «Mi dispiace» parlò come se lui fosse il colpevole e non la vittima, «prometto che starò più attento quando attraverserò la strada e che dei miei occhi non dovrai più farne a meno.»
«È una promessa» sottolineò Michael, «E le promesse sono fatte per essere mantenute.»
«Certo, amore» avvicinò le labbra a quelle di Michael. L'impatto tra le loro bocche fu fatale. Si scontrarono prima l'una con l'altra, per poi finire col mescolarsi e fondersi insieme.
Dolci, calde, morbide... Assaggiare le labbra di Marco era sempre così bello. Se Michael non voleva vedere altro che i suoi occhi, allo stesso modo non voleva gustare altro che la bocca del ragazzino.
«Ti amo» sussurrò ragazzo e il fiato solleticò le labbra di Michael. In quel momento fu proprio come rinascere. Il cuore aveva ricominciato a voler sfracassare la gabbia toracica e lo stomaco aveva preso a contorcersi su se stesso.
Ora che Marco era tornato a poter guardare la luce del sole, Michael stava pian piano uscendo da quello stato di morto vivente nel quale aveva rischiato di inabissarsi.
«Me too» rispose. Marco ridacchiò e fece una smorfia contrariata con il volto.
«Non parlarmi in inglese» lo canzonò, «lo sai che non lo capisco per niente.»
«Dovreste iniziare ad imparare. Tra poco noi è a Londra.»
Marco annuì e Michael, sorridendo, gli prese il piccolo faccino tra le mani, riattirandolo sulle sue labbra.

Una ventina di baci dopo, una voce metallica proveniente dagli altoparlanti aveva avvisato i viaggiatori che l'aereo stava per atterrare.
Quando l'impatto col suolo avvenne, i due scesero dall'aereo, andando a recuperare i loro bagagli.
Michael si offrì di prendere anche quelli di Marco che, dopo aver opposto non poca resistenza, glieli lasciò. Michael sosteneva che il ragazzino fosse ancora debole e non voleva farlo sforzare. In fondo, si era risvegliato solo da qualche settimana.
Fuori il tempo non era per nulla sereno. I soliti nuvoloni grigi ricoprivano il cielo e una pioggerella scaltra si abbatteva al suolo.
Si ripararono sotto una piccola sporgenza appena fuori dall'aeroporto, in attesa che qualche taxi passasse e li portasse all'appartamento di Michael.
«Come si dice pioggia?» gli chiese Marco, osservando l'acqua aumentare minuto dopo minuto intensità.
«Rain» rispose Michael, sfoggiando il suo perfetto accento anglicano.
«Rain» ripeté il ragazzino, battendo le mani, «la mia prima parola in inglese, mi piace.»
Non passò molto prima che un taxi si accorgesse della loro presenza e, dopo aver caricato i bagagli ed essersi infilati il più velocemente possibile nella vettura, partirono in direzione di quello che sarebbe stato il loro nuovo nido d'amore.
Marco si perse nuovamente ad osservare il mondo all'esterno. I suoi occhi sembravano catturati dal paesaggio che, nonostante fosse offuscato dallo scrosciare della pioggia, era comunque chiaramente visibile.
«Londra è... È...» blaterò il ragazzino con la faccia praticamente schiacciata contro il vetro.
«Wonderful?!» gli suggerì il riccio.
«Beh.. Sì, quello che hai detto tu.. Qualsiasi cosa voglia dire.»
Era tutto esattamente come Michael aveva sempre sognato. Persino quel temporale e i lampi che squarciavano il cielo non facevano altro che rendere il suo sogno sempre più meraviglioso. In fondo, la pioggia aveva accompagnato la loro storia sin dall'inizio, era stata una sottospecie di cupido. Solo che, al posto delle frecce, erano state pesanti gocce d'acqua a colpirli.
Il taxi si fermò davanti ad una casetta modesta, né troppo lussuosa, né troppo piccola. Graziosa, con un cancelletto in ferro battuto e un piccolo giardino che appariva un po' abbandonato. Ma era normale, Michael aveva lasciato incustodita quella casa per quasi un anno.
Scesero dall'auto. Da perfetti idioti, avevano dimenticato di portare degli ombrelli. L'acqua si accanì su di loro.
Michael aprì con una chiave il cancelletto, che cigolò mentre la porta si spalancava. Corsero lungo il breve viale e raggiunsero l'entrata. Il riccio aprì anche quella e insieme fecero il loro ingresso in quella casa.
Erano fradici e il pavimento color rosa antico sotto di loro si impregnò d'acqua al loro passaggio.
«È davvero molto bella» disse il ragazzino, girando su se stesso per avere una panoramica completa della casa.
«Mai bella quanto te, amore» Michael gli cinse il bacino con le braccia e attirò quell'esile corpo a sé, facendolo scontrare col suo petto.
«Dobbiamo recuperare un bel po' di tempo che noi ha perduto» gli sussurrò. Il viso di Michael s'intrufolò nell'incanvo tra il collo e la spalla del ragazzo e gli lasciò un dolce e tenero bacio sulla morbida pelle. Inspirò a fondo il suo odore. Quel giorno profumava della pioggia che s'era abbattuta su di lui e aveva impregnato il corpo di Marco del suo profumo. Un aroma che gli si addiceva alla perfezione.
E quello era l'unico odore che il suo naso avrebbe mai voluto annusare.
«Mh...» Marco sorrise, «e come avresti intenzione di recuperare questo tempo?!»
«Oh, adesso io ti fa vedere come.»
Un braccio del riccio si strinse intorno alla vita di Marco, mentre l'altro si posizionò all'altezza delle sue ginocchia, che, facendo un po' di pressione, si lasciarono andare alla presa di Michael. Sollevò il suo corpo senza sforzo, quasi come pesasse meno di una piuma. Il ragazzino scalciò e lanciò un urletto stridulo, alimentando la ridarella del riccio che già aveva cominciato a farsi sentire da qualche secondo.
Di fronte a lui si ergeva una breve rampa di scale che portava al piano di sopra, dove vi erano due camere e un bagno. Divorò il piccoli gradini in un lampo ed entrò nella prima stanza che gli si parò davanti. Era la camera di Michael e nel suo mezzo splendeva un enorme lettone a due piazze.
Gettò Marco sul materasso, che ricadde di schiena a peso morto, dopodiché gli saltò letteralmente addosso.
«Io vuole recuperarlo così» con fare malizioso gli passò un dito sul bordo della camicia che indossava e ne slacciò il primo bottone. «E poi...» gli stampò un bacio là dove il prezzo di stoffa aveva lasciato scoperto un lembo di pelle, «noi deve inaugurare il nuovo letto...»
«Oh...» Marco si morse con fare sensuale il labbruccio inferiore, «Credo che farò molti corsi di recupero.»
Eccola, Michael la sentiva. La vita stava tornando a scorrere nelle sue vene. Marco se l'era portata via e ora lui stesso gliela stava ridonando. E sensazione più bella non poteva esserci di quella che il ricciolino provò quando pian piano ogni sensazione dentro di sé riaffiorò.
Gli posò una mano sul petto e cominciò a farla vagare sotto la camicia ancora mezza abbottonata del ragazzo.
E così come altra cosa all'infuori di lui non avrebbe voluto guardare, come altra cosa all'infuori delle sue labbra non avrebbe voluto assaggiare e altra cosa all'infuori del suo profumo non avrebbe voluto respirare, anche per le sue mani vigeva la stessa regola... Altra cosa all'infuori del suo corpo non avrebbe voluto toccare.

«Michael...» un sussurro dolce e lieve arrivò alle sue orecchie, «Michael, svegliati» ma la voce non era affatto quella di Marco. Era una voce femminile, un po' roca, di una donna anziana. E decisamente quello non era il suono che Michael avrebbe voluto sentire.
Si svegliò spalancando le palpebre. «Marco?!» Si guardò intorno, spaesato.
«Lui dorme ancora.» Era la madre di Marco quella che gli stava parlando.
«No... Lui non...» cercò di dire, ma il suo sguardo ricadde sull'ancora immobile corpo di Marco disteso su quel lurido lettino d'ospedale.
«Ma... Marco era sveglio...» blaterò, sentendosi pian piano il cuore spegnersi così come si era riacceso, «Io l'ho visto... Era...»
«Era un sogno, Michael» ecco che la vita tornava a prosciugarsi, «solo un meraviglioso e bellissimo sogno.»
Si alzò dalla sedia sulla quale si era addormentato con una tale violenza che quest'ultima ricadde all'indietro, schiantandosi col freddo e nudo pavimento.
Di fronte a lui c'era una piccola e buia finestra. Nel vetro Michael riusciva a vedere il suo viso riflesso... Pioveva.





#MySpace
Ciao carissimi lettori,
Beh, finalmente l'ultimo. Vi siete liberati di me.
E, ovviamente, mica la vostra Lady Malvagità poteva lasciarvi con un "Happy Ending"?! No, non poteva.
È nella mia natura, mi dispiace. xDD
Arrivata a questo punto non mi resta che ringraziarvi.. Senza di voi questa piccola Lady Malvagità non sarebbe nulla.
Vi amo. ❤
A presto (spero) :*
Un bacio, _Lollipop_96

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