Merry Christmas, Elliot and Leo!

di Leahia
(/viewuser.php?uid=570651)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 23 Dicembre ***
Capitolo 2: *** 24 Dicembre ***
Capitolo 3: *** 25 Dicembre ***
Capitolo 4: *** 26 Dicembre ***



Capitolo 1
*** 23 Dicembre ***


23 Dicembre



Elliot stava tranquillamente finendo di leggere un volume di Holy Knight, adagiato nella poltrona della fantastica biblioteca dei Nightray. Il camino scoppiettava felice, attutendo il freddo pungente altrimenti presente nella grande villa. Elliot era assorto nelle avventure del suo eroe (Edwin) e del vile sguattero del suo eroe (Edgar), quando sentì un colpo alla finestra. All’inizio non ci fece caso, pensando che fosse semplicemente il vento che faceva sbattere un ramo contro il vetro, ma quando lo risentì decise di alzarsi. Arrivò alla finestra e guardò in basso, dove vide Leo con una manciata di sassi in mano ed una specie di fagottino tra le braccia. Leo, impaziente, gli fece cenno di scendere ed Elliot, abbandonato il libro sulla poltrona, scese le scale ed uscì. Venne investito dal freddo di dicembre e si strinse ancora di più nel cappotto per raggiungere Leo, dall’altra parte del cortile ricoperto da un sottile strato di neve.
-Elliot!- si sentì chiamare. Leo gli stava venendo incontro, con un espressione che era un misto tra gioia e preoccupazione.
-Che c’è, Leo? Perché mi hai chiamato?- domandò il Nightray. Leo mostrò il fagottino che teneva in braccio ed Elliot rimase allibito. Era la sciarpa viola scuro di Leo, e dentro conteneva un gattino non più grande di tre mesi, bianco e nero, che tremava come una foglia. Se non avesse tremato si sarebbe detto morto.
-So che adori i gatti, Elliot, quindi evita di dire cose tipo “E allora?” e simili- disse sbrigativo Leo. Elliot arrossì un po’ sotto la sciarpa azzurra che gli copriva mezza faccia. Leo continuò- L’ho trovato mezzo morto sotto quella querce laggiù, l’ho subito avvolto nella sciarpa e sembra stare un po’ meglio, ma deve stare al caldo.
Elliot rimase interdetto. Verissimo, lui adorava i gatti e di norma non negava piaceri a Leo, ma il problema era che il resto dei Nightray non soffriva i gatti. Non soffrivano nemmeno Leo, se era per questo, ma quello è un altro discorso. Tuttavia non poteva assolutamente lasciar morire di freddo un gattino o fare triste Leo. Sbuffò.
-Ok, entriamo in casa. Ma non facciamoci vedere! E vieni qui, scemo, sennò finisci come il gatto- dichiarò, stringendo Leo contro di sé per evitare che morisse di freddo, visti i pochi abiti che indossava. A differenza di Elliot, infatti, Leo non soffriva molto il freddo, ma si strinse comunque con piacere al corpo del suo padrone.
-Sai Elliot, una volta saresti morto pur di non fare queste cose- lo punzecchiò Leo.
-Una volta non è adesso. Entriamo.
I due entrarono nella villa, badando di non farsi vedere, e raggiunsero la camera di Elliot. Leo allora posò il gattino sul letto morbido e quello parve risorgere. Aprì gli occhi, e i due videro che erano di due colori diversi. Uno era blu cielo e l’altro verde-giallo, del classico colore delle iridi dei gatti. Il gatto fece per miagolare, ma dalla bocca non uscì alcun suono. Elliot e Leo sorrisero, addolciti dalla scena, ed Elliot allungò una mano verso il cucciolo per accarezzarlo, ma quello per evitarlo inarcò la schiena ed iniziò a fare le fusa.
-Che dolce…- commentò il Nightray.
-Vero. Ma se non vogliamo che muoia di fame dobbiamo dargli da mangiare. Della carne cruda? Ci sarà in cucina?- disse Leo. Elliot lo guardò scettico.
-Certo. Ma che faccio, vado lì e “Ciao, ho voglia di carne cruda perché sono diventato un lupo mannaro, me ne dai un po’?”- replicò sarcastico. Leo scosse la mano sbrigativo.
-Ovviamente no, stupido. Vado io e ne frego un po’. L’ho già fatto, del resto. Con i pasti che mi dà la tua famiglia mi reggo in piedi solo grazie alla scuola e al pane clandestino- lo rassicurò. Elliot non ebbe particolari rivelazioni, era sempre stato convinto che sotto quella disordinata massa di capelli scuri lavorasse una mente perversa e criminale, ed era ovvio che prendesse da mangiare qualcosa senza permesso sennò sarebbe stato talmente magro da essere invisibile. Alzò le spalle e Leo se ne andò in cucina. Elliot rimase da solo con il gatto.
-Ehi gatto- esordì, non sapendo bene cosa si dovesse dire ad un gatto- sai che per colpa tua ho lasciato il mio libro a metà?
Il gatto lo guardò interrogativo e poi fece un miagolio molto roco. Elliot sorrise di nuovo. Gli ricordava Leo, quel gattino, per il comportamento sostenuto che teneva, sebbene fosse dolce. Ma un momento, era maschio o femmina? In quel momento rientrò Leo, con un piattino con sopra della carne non meglio identificata. Il gattino/a balzò giù dal letto ed andò con gioia verso il suo pasto, ringraziando Leo con i suoi occhi eterocromatici. Leo sorrise e pose il piattino a terra, lasciando il gatto a mangiare. Si sedette accanto ad Elliot.
-Sai, questo gatto mi ricorda te. Per quell’occhio azzurro, forse
Il Nightray arrossì, compiaciuto.
-Invece a me ricorda te. Per il comportamento. Ma prima di tutto non è meglio controllare se è maschio o femmina? E soprattutto, sapere se possiamo tenerlo?- domandò. Leo si alzò e controllò, ignorando bellamente la seconda parte della domanda e dichiarando poi che il cucciolo era un maschio.
-Allora come lo chiamiamo?- continuò il moro.
-Non so... un nome preso da un libro, magari?- propose Elliot. Leo alzò lo sguardo per aria, concentrandosi. Poi gli venne un’illuminazione e schioccò le dita.
-Che ne pensi di Chesire?- domandò- E’ una variazione sul nome del Gatto del Cheshire, di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Elliot sorrise. Quel libro lo aveva inquietato non poco, ma il nome era molto carino e si addiceva ad un gattino insolito come quello. Annuì e Leo fece un’espressione molto soddisfatta. Poi, come me si fosse dimenticato qualcosa di molto importante, si abbassò vicino al cucciolo e disse:
-Importante, a te devono piacere le gattine femmine, capito, Chesire? Non prendere da quel tipo lì, quello è strano…
Elliot arrossì e si alzò furioso.
-Non dire cretinate, Leo!
-Bè, è vero, puoi negarlo?- disse Leo, avvicinandosi in modo sensuale all’altro ragazzo e intrecciando le loro mani.
-N… no… ma sei così anche tu, no?!- replicò Elliot, arrossendo ancora di più. Leo ridacchiò.
-Vero… ok Chesire, non prendere esempio da noi- rispose Leo, puntando però i suoi occhi in quelli di Elliot. Gli sfiorò le labbra con le proprie, ma quello non era il momento adatto.
-Non adesso- disse infatti Elliot. Poi continuò- Ma va detto ai miei parenti. Del gatto, intendo.
Leo sospirò deluso, ma acconsentì. Sollevò Chesire, che miagolò stizzito, e si diresse dietro ad Elliot fuori dalla camera. Elliot raggiunse la camera del padre e bussò.
-Avanti!- si sentì dire. Spinse la porta e vide il padre intento a leggere sul letto. Si schiarì la voce.
-Padre, volevo chiedere una cosa- esordì. L’uomo alzò gli occhi e li puntò in quelli del figlio- Dicevo, io e Leo abbiamo trovato un gattino fuori in giardino, e chiedevamo se potevamo tenerlo…
Il duca lo guardò per alcuni secondi in silenzio, poi rispose:
-Non li amo, ma li sopporto. Piuttosto, starà in camera del tuo servitore e…
-Ma io lo volevo in camera con me!- protestò Elliot. Il padre lo guardò, un po’ incredulo.
-Ma tu hai un servitore e sono i servitori che devono occuparsi di queste cose, non i loro padroni, giusto figliolo?
-Sì ma… volevo tenerlo io…- continuò Elliot. Il duca sospirò.
-Per me va bene, ma ti dovrai spostare in una delle camere nell’ala vuota, quelle con due letti, e tenere il gatto là. Mi dispiace che l’ala sia vuota, ma dubito che Gilbert e Vanessa gradirebbero un gatto in giro per la villa. E portaci pure il servitore, lassù. Non mi piace che sia tu a badare al gatto da solo- concluse il duca. Elliot chiuse la porta e poi guardò Leo, con un’espressione raggiante che vide riflessa anche nell’altro volto. Non solo potevano tenere il gatto, ma sarebbero stati in camera insieme al piano di sopra, che era vuoto!
-Oh, perché non ho trovato prima questo gatto!- gioì Leo, accarezzando con la guancia il piccolo gattino. Elliot a sua volta cominciò a fargli dei grattini dietro un orecchio, quando nel corridoio apparve Vanessa. I due si staccarono a velocità supersonica, tanto che Vanessa non si accorse nemmeno che erano stati vicini. Si accorse però del gatto.
-Cos’è quella cosa?- chiese, orripilata.
-E’ un gatto- spiegò Elliot- che “papà” ci ha dato il permesso di tenere, per il tuo giubilo nell’altra ala della casa.
Vanessa lasciò i due, sempre disgustata, e passò oltre. Elliot e Leo andarono subito nell’ala vuota, per trovare una camera di loro gradimento. Ne trovarono una ampia, con due comodissimi  e grandi letti vicini ma non attaccati e un bagno proprio accanto alla stanza.
Quella sera stessa si trasferirono nella nuova stanza, e scoprirono che la vista fuori dalla finestra era davvero spettacolare, se si era accanto al proprio ragazzo e con un gattino addormentato beatamente in mezzo ai due.
-Credo che non potessimo chiedere di meglio…- commentò Leo, la testa appoggiata sulla spalla di Elliot.
-Suppongo di sì. Anzi, forse ci aggiungerei qualcosa...- replicò il Nightray, e poi si avvicinò alle labbra di Leo e le sfiorò con dolcezza. Leo però rispose al bacio con molta più intensità di quella che Elliot aveva intenzione di trasferire, e presto, inconsciamente, si trovò sul letto, sopra a Leo che lo guardava divertito. Senza volerlo allungò una gamba all’indietro e Chesire, con un miagolio scocciato, balzò giù dal letto. Ad Elliot quella situazione non piaceva molto, ma un istinto ancora più forte gli ordinava da mandare all’Abyss tutte le prudenze e saltare addosso a Leo. Lo baciò con foga, lasciando che l’altro gli levasse la camicia, poi si fermò.
-Leo, ascolta, io non...- cominciò, ma venne interrotto dal moro.
-Levami la camicia, poi parliamo.
Elliot obbedì, come ad un ordine marziale, poi, ignorando che il contatto tra i due corpi lo eccitava e comprendendo che era per quello che Leo si era fatto levare la camicia, continuò.
-Va bene, adesso però ascoltami. Io non so quanto convenga... qui e adesso. Siamo a casa mia dopotutto, ci sono tutti i miei parenti...
Ma non ti piaceva l’idea di una camera nell’ala vuota?- lo stuzzicò Leo. Elliot non poté dire che il moro aveva torto. Già, gli era piaciuta eccome- Andiamo, arrenditi. Per favore...- lo supplicò Leo, baciando dolcemente il suo petto. Elliot gemette, rassegnato, e si gettò di nuovo sulle labbra del compagno, che adesso erano arricciate in un sorriso di vittoria. 






Note della Povera Pazza
Salve popolo di efp! Sono tornata prima di qunto potessi credere con quello che ho affettuosamente chiamato "il mio Orrore", e non avevo neppure intenzione di pubblicarlo, ma per colpa della mia migliore amica e di tutte le persone che mi conoscono alla fine l'ho pubblicato. Allora, essendo questa una storia a capitoli se vedo che non vi piace la fermo, quindi la mia gioia per la vita è nelle vostre mani (senza pressione, mi raccomando). Riguardo alla storia... ecco, non mi ricordo come mi è venuta in mente, assolutamente, quindi non vi fate domande, grazie. Ecco, tutto qui. Pertanto, non so se è chiaro ma VI PREGO RECENSITE. Goodciao, cari!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 24 Dicembre ***


24 Dicembre



La mattina seguente Elliot si svegliò prima di Leo, e si accorse che stava morendo di freddo. Una parte del suo cervello si connesse e si rese conto che quello nel quale dormiva non era l’unico letto disfatto, poi si ricordò la sera precedente per intero e si lasciò sfuggire un sorrisino, seguito da un brivido di freddo. Decise che il corpo di Leo non bastava a scaldarlo, e si alzò per andare a vestirsi. Dopo che fu pronto, anche Leo aprì gli occhi.
-Buongiorno- gli disse, stiracchiandosi. Elliot ricambiò il saluto, gli lanciò un involto di vestiti puliti e l’altro, dopo aver detto che avrebbe dovuto svegliarlo prima, si vestì. Appena ebbe finito si rivolse ad Elliot, che stava guardando preoccupato le lenzuola dell’altro letto.
-Allora che si fa con quelle?- domandò. Elliot sospirò.
-Non lo so proprio. Io l’avevo detto che non dovevamo farlo...- si rimproverò. In effetti il problema c’era e non era facile da nascondere.
-Dai, per adesso le rivoltiamo e basta, poi quando si mettono a lavare ci si inventa qualcosa- propose Leo, tranquillo, e rifece i due letti in pochissimo tempo.
-Ne hai fatta di strada da quando hai iniziato ad essermi servitore...- commentò ammirato Elliot, guadagnandosi un sorrisetto compiaciuto.
-Dai, scendiamo a fare colazione.
I due scesero in sala da pranzo, dove trovarono anche Vanessa e un Gilbert molto indaffarato. -Buongiorno- li salutò Elliot.
-‘Giorno Elliot- rispose Vanessa, ignorando Leo.
-Buongiorno a tutti e due- disse invece Gilbert- Io adesso me ne vado. Ciao!
E uscì dalla stanza. Aveva sempre tanto da fare a Pandora, lui... Elliot si sedette al tavolo e si lasciò servire da Leo. Lo faceva solo perché c’era anche Vanessa, infatti solitamente mangiavano esattamente alla pari.
-Elliot, stanotte stavo passeggiando per casa e ho sentito tipo dei mugolii venire dalla vostra camera...- disse sospettosa Vanessa. Elliot liquidò la questione con un gesto.
-E’ il gatto. Non si è abituato alla casa e ha miagolato tutta la notte. E’ stato uno strazio.
Leo trasformò una risata in uno sbuffo molto forte, ma il discorso di Elliot aveva placato Vanessa, all’apparenza- Piuttosto, che diamine ci facevi a passeggiare in casa di notte?
Vanessa non rispose, e la colazione si svolse in tranquillità, tra chiacchiere mondane tra Elliot e la sorella. Dopo un quarto d’ora però Vanessa aveva un impegno da un’amica e dovette uscire. Appena chiuse la porta Leo si abbandonò nella sedia accanto ad Elliot e afferrò una fetta di dolce. -Oggi avevo voglia di uscire a giro. Ti va?- chiese Elliot, aspettando tranquillamente che Leo finisse la colazione. Quello alzò le spalle.
-Perché no. Piuttosto, ieri sera è stato veramente uno strazio quel gatto, eh? Diamogli da mangiare o ci muore in camera- rispose Leo, sorridendo. Elliot arrossì. -Dovevo inventare una scusa, ok? Meglio di niente.
Dopo aver mangiato andarono in cucina a prendere il cibo per Chesire e risalirono nella loro camera, dove trovarono il gattino dolcemente accoccolato sul cuscino di uno dei due letti. -Ah, per la cronaca, il letto sul quale abbiamo lavorato ieri notte è il mio- dichiarò Leo, tranquillo. -Non potevi dire “il letto dove è il gatto”? C’era proprio bisogno?- lo rimproverò Elliot, guardandosi istintivamente intorno. Leo alzò le spalle.
-Bè, “abbiamo lavorato” può voler dire tante cose.
Elliot sbuffò rassegnato e mise il piatto con la carne in un angolo della stanza. Chesire si svegliò in quel momento e trotterellò verso il suo pasto, che attaccò con voracità. Chi ha mai visto un cosino di gatto che attacca un pezzo di carne cruda può immaginare l’iniezione di carineria che si erano sorbiti i due ragazzi.
-Wow, si è affezionato subito!- commentò Elliot sorridendo e avvicinandosi al servitore.
-Già- rispose Leo, prendendo la mano di Elliot.
Dopo aver osservato attentamente Chesire alle prese con un animale morto più grosso di lui decisero che era ora di sbrigarsi, se volevano uscire.
-Piuttosto, dove andiamo?- chiese Leo.
-Ehi, che ne dici se andiamo alla casa di Fiana?- propose Elliot, sorridendo. Sapeva quanto il ragazzo tenesse alla casa nella quale era cresciuto. Difatti Leo annuì con vigore e subito si vestì in modo consono. Dopo aver avvertito la famiglia scesero a prendere la carrozza, che in meno di un’ora fu davanti all’imponente edificio conosciuto come la casa di Fiana. I ragazzi scesero dalla carrozza, alla quale dettero ordine di rimanere nei dintorni in caso di partenze improvvise, ed entrarono. All’istante una decina di bambini si avventò addosso ai due ragazzi. Elliot trasalì e si ritrasse un poco, mentre Leo fece un enorme sorriso e si chinò per salutarli tutti.
-James, ciao! Helen, sei cresciuta parecchio ultimamente eh? Ma non ce la faccio più a prenderti in braccio, Kevin!
Elliot sorrideva nel vedere Leo così felice e sereno in mezzo a tutti quei bambini che per lui erano solo persone basse. Kevin vinse la battaglia, e Leo lo sollevò, non senza fatica. In quel momento accorsero le cameriere.
-Signorino Elliot! Leo! Che bella sorpresa!- esclamò la capo cameriera, un donnone molto gentile di nome Sonia. Una delle sue colleghe prese Kevin, togliendolo a Leo che parve non poco sollevato. -Quanto restate?- chiese Sonia, senza smettere di sorridere.
-Pensavamo di andarcene intorno alle quattro- disse Elliot. In realtà lo pensava solo lui, perché l’aveva deciso in quel momento, ma era un orario giustissimo, e neppure Leo ebbe da protestare. Erano appena le undici, e c’era tutta la mattina da passare. Elliot si fece trascinare da Leo a giocare con i bambini, estasiati dai due ragazzi più grandi che giocavano tranquillamente con loro. Naturalmente entrambi fecero di tutto per non far trasparire l’ombra di comportamenti anomali o non esattamente convenzionali al legame servitore-padrone. Elliot non si aspettava assolutamente di divertirsi tanto in un luogo grande e vuoto come quel posto, e sospettava che grandissima parte del merito si dovesse a Leo, che era tanto gioioso da poter contagiare chiunque sulla terra. Non smetteva mai di sorridere allegro e di accondiscendere a tutto quello che i bimbi gli chiedevano. Naturalmente “il signorino Elliot potrebbe anche essere esentato da questo lavoro, se vuole” a detta di Sonia, ma lui non si esentò: era curioso di sapere cosa divertisse tanto i bambini, e si divertì anche lui, pur non riuscendo a capire perché. L’ora di pranzo arrivò senza che i due quasi se ne accorgessero, dato che dovettero andare a chiamarli interrompendo un’agguerrita partita a nascondino (gioco nel quale Elliot non si era dimostrato particolarmente abile, visto l’impaccio e visto che doveva trovare dei cosi minuscoli e Leo, che in questo campo equivaleva a un circense). Anche il pranzo fu un gioco, non graditissimo al personale della casa, però. Insomma, non giocarono con il cibo, ma cantarono facendo molto rumore, e tutte le cameriere erano estremamente infastidite da ciò. Il pomeriggio i bimbi dovettero fare i compiti, e questo lasciò due ore buone libere a Elliot e Leo. Si ritirarono nella stanza che amavano di più: la biblioteca. Il luogo dove si erano conosciuti. Appena entrati in quella specie di minuscolo ripostiglio, Leo sembrò ancora più felice di quanto già lo fosse. Si mise esattamente dove era la prima volta che si erano visti e si voltò verso Elliot.
-Ti ricordi?- domandò.
-Come fosse adesso- rispose sorridente Elliot, andando a sedersi accanto a lui, che gli poggiò la testa su una spalla. Rimasero in silenzio un po’ di minuti, persi nei loro pensieri. Fu la voce di Leo a rompere il silenzio, pacata ma quasi divertita, intrisa di ricordi.
-Non avrei mai immaginato che sarei arrivato ad amarti, sai?- disse, lo sguardo puntato a terra. -Figurati io- rispose Elliot, accarezzando delicatamente i capelli di Leo, rendendo l’atmosfera incredibilmente dolce.
L’altro non disse altro, ma sorrise soddisfatto e si accoccolò accanto ad Elliot, chiudendo gli occhi. Anche Elliot si addormentò, cullato del respiro regolare di Leo e dal silenzio e la riservatezza di quella specie di ripostiglio nascosto. Si svegliarono circa due ore dopo, fortunatamente prima che a qualcuno venisse in mente di cercarli lì. Si diressero in sala, dove vennero di nuovo accolti con gridolini di gioia ed un attacco massiccio al povero Leo, che, intontito per il pisolino, cadde rovinosamente a terra. Guardarono l’orologio da parete, e videro che, a loro malincuore, già segnava le quattro e mezzo.
-Mi dispiace, bambini, ma io e il fratellone dobbiamo tornare a casa!- dichiarò Elliot, alzando Leo da terra. I bimbi si lasciarono andare a gemiti di stizza e tristezza.
-Ma tornerete a trovarci, vero, fratellone?- chiese una bimbetta. Leo le scompigliò gentilmente i capelli.
-Certo! Adesso però è davvero tardi, e ce ne dobbiamo assolutamente andare.
I bimbi li salutarono entrambi, così come le cameriere, ma pochissimo prima di uscire la figuretta di un marmocchio trotterellò attraverso il salone ed andò a tirare una manica del cappotto di Elliot, che si voltò, incontrando due vispi occhi verdi pieni di curiosità.
-Signore, ma tu e il fratellone siete fidanzati?- chiese il piccolo. Elliot diventò rosso fiammante, come Leo che aveva sentito la domanda. Grazie al cielo arrivò una cameriera, che aveva anch’ella sentito la conversazione, e lo prese in braccio sgridandolo.
-Non si fanno queste domande, Tom! Ma cosa ti viene in mente? Perdonatelo, davvero. Mi dispiace, non so cosa...
-Mpf- sbuffò solo Elliot, e salutò cortesemente per poi uscire e montare in carrozza.
-Elliot, ti pare che abbiamo sbagliato qualcosa? Forse ti sono stato troppo vicino?- domandò apprensivo Leo, appena la vettura fu partita.
-Non mi pare, no- rispose Elliot, mettendosi la testa fra le mani- Ma sai, era un bimbo, e i bimbi fanno spesso domande sconclusionate. Sicuramente non ha notato niente.
Leo non pareva del tutto convinto, ma si arrese alla consapevolezza che era inutile piangerci sopra. Raggiunsero la villa e scesero dalla carrozza, per poi entrare in casa.
-Andiamo in cucina a prendere qualcosa per il povero Chesire?- propose Leo, ed Elliot annuì. Entrarono in cucina e presero un po’ di carne, poi Leo posò il piattino sul tavolo e parlò, con naturalezza ma un po’ di sensualità implicita.
-Sai, ho sofferto non poco a non poterti fare nulla, oggi- disse, avvicinandosi al corpo di Elliot e passandogli le dita sul petto come se stesse suonando un pianoforte.
-Leo...- mormorò Elliot, sfilando lentamente gli occhiali all’altro, che lo lasciò tranquillamente fare. Poi si avvicinò al suo viso e i nasi si sfiorarono, provocando ondate calde di piacere ad entrambi. Le labbra si toccavano ogni tanto, con leggerezza, mentre i due stavano abbracciati stretti. Erano completamente persi nel loro mondo onirico, quando udirono la porta aprirsi. Sulla porta c’era Gilbert, rosso come un pomodoro che guardava allibito e scandalizzato il fratello e il servitore, che nel frattempo si erano staccati. Leo era stralunato, incredulo, ed Elliot più che altro semplicemente terrorizzato.
-Elliot?!¬- fece Gilbert, guardando Elliot, sempre sgomento. L’altro non sapeva cosa rispondere, visto che tanto era inutile negare. Aveva il cervello completamente spappolato, e l’unica ancora alla realtà erano gli occhiali di Leo, che teneva ancora in mano.
-Elliot, ma che accidenti fai?! Stavi... stavi...- tentava di dire Gilbert. Voleva sgridarlo, era evidente, ma non riusciva a trovare le parole giuste per esprimersi. Leo si attaccò ancora di più al muro, quasi sperando che lo potesse inghiottire, e d’istinto Elliot gli tese la mano, che l’altro afferrò prontamente come si afferra una cima di salvataggio. La cosa migliore era sapere di non essere il solo in quella situazione.
-Elliot, ma ti rendi minimamente conto del... di... insomma, ELLIOT, MA CHE DIAVOLO FAI?- continuava Gilbert, color fuoco brillante, muovendo a scatti dita accusatorie contro il fratello e contro Leo. Ma, a riprova del fatto che le disgrazie vengono sempre in coppia, ecco apparire Vincent dietro a Gilbert. Del resto, ovunque fosse Gilbert si poteva giurare che in dieci secondi il fratellino sarebbe stato lì. Vincent guardò i due ragazzi attaccati al muro con fare curioso, poi giunse alla ovvia e lampante conclusione. Sotto gli occhi increduli dei tre batté le mani compiaciuto.
-Oh, che bella cosa! Siete veramente una chicca, insieme- cinguettava felice il biondo. Gilbert lo guardava come se non lo riconoscesse, mentre Elliot e Leo erano troppo confusi per far caso a una qualunque cosa in quella stanza. Poi Vincent si v0ltò verso suo fratello maggiore e gli sorrise malevolo- Sai Gil, loro hanno proprio un bel rapporto. . . anche a me piacerebbe avere un rapporto così...- e lo abbracciò, felice come non mai. Gilbert all’istante se lo staccò di dosso come un insetto fastidioso e lo mise fuori dalla stanza, poi chiuse la porta e guardò di nuovo Elliot e Leo, che erano rimasti fermi impalati da quando lui era entrato. Sospirò, grave.
-Gilbert, ascolta, io non...- disse Elliot roco, sempre senza muoversi di un passo. Parte del pallore mortale era sparito, ma era ancora inquietante.
-Non dire nulla. Allora, non sono un tuo consanguineo ma sono tuo fratello. E non so come si deve comportare un fratello maggiore in queste situazioni- replicò Gilbert, più pacato.
-Sì, ma...
-Ditemi solo una cosa- lo interruppe di nuovo Gilbert, guardandolo negli occhi- Le cameriere che sono venute a ritirare le vostre lenzuola, stamani, avevano un buon motivo per tenere espressioni così confuse?
Elliot e Leo arrossirono come era arrossito Gilbert poco prima, e il moro boccheggiò. Erano spiazzati, si sentivano la terra mancare da sotto i piedi. Gilbert si fece sfuggire un gemito di esasperazione.
-Ma vi rendete minimamente conto della situazione in cui siete? Io posso anche tenere il segreto, e dico posso anche, ma Vince... lui è una mina vagante. Che accidenti vi viene in mente di fare quelle cose senza chiudere la porta?- sbuffò il maggiore. Elliot e Leo erano abbastanza sollevati, in fondo Gilbert non si era dimostrato contrario in modo palese.
-Bè. . . se tu non lo dici e chiedi di non farlo nemmeno a Vincent... lui non ti negherebbe mai un favore, lo sai- disse Elliot, certo che sarebbe stato così. Gilbert lo guardò e poi sospirò.
-Va bene, va bene. Farò del mio meglio. Ma non posso giurarvi niente, soprattutto riguardo a Vanessa...- rispose Gilbert. Elliot sospirò, leggermente rassicurato, e Gilbert li lasciò di nuovo soli nella stanza.
-Elliot- disse Leo, dopo dieci secondi di silenzio- Ho una voglia assurda di baciarti. Quindi ci conviene andare in camera.
Elliot sorrise un po’ impacciato e si diressero verso la loro camera, dove appena chiusa la porta si scambiarono un bacio particolarmente lungo e intenso. Si sedettero sul letto di Leo (che aveva le lenzuola pulite, a questo punto) e stettero in silenzio.
-Vuoi sapere un regalo di Natale che avrei voluto?- chiese Leo.
-Penso di averlo perfettamente intuito- rispose pacato l’altro battendo con un gesto eloquente la mano sul letto. Leo sorrise.
-Vedo che mi conosci bene. A questo punto però mi sa che non potrà essere esaudito, il mio bel desiderio... piuttosto, tu cosa avresti chiesto?- replicò il moro, curioso.
-Sai benissimo cosa avrei chiesto. E sai benissimo anche che neppure il mio potrà essere esaudito- disse Elliot, pungente. Lui avrebbe voluto esattamente la stessa cosa di Leo.
-Mi dici cosa mi regalerai?- disse Leo, quasi facendo le fusa. Elliot sorrise.
-Assolutamente no. Mi dici piuttosto come mai adesso abbiamo tanta voglia? Fino alle scorse vacanze era tabù un bacio in questa casa, e adesso...- rispose Elliot. Non si spiegava affatto quel brusco cambiamento sensoriale. Improvvisamente sentirono una voce che li chiamava dal salone e scesero, curiosi. Trovarono Vanessa e il padre in cappotto da viaggio, con aria frettolosa e preoccupata.
-Mi dispiace non sai quanto, Elliot, ma credo che il giorno di Natale lo passerai senza di me- disse Vanessa sull’orlo delle lacrime- C’è una mia amica che sta molto male, e io e papà andiamo a trovarla. Dovremmo tornare per il ventisette... e soprattutto non ci sono neppure i domestici, perché gli abbiamo dato una vacanza... mi dispiace così tanto...- continuò, poi si slanciò verso il fratello e lo abbracciò, piangendo. Entrarono anche Vincent e Gilbert e il discorso fu di nuovo ripetuto, poi Vanessa e il padre salutarono e uscirono. Gilbert fece un mezzo sorriso e si voltò verso i due ragazzi, che erano rimasti sconvolti.
-Visto che io passerò il Natale da Oz, e parto adesso, voi due sarete soli soletti in questa casa, eh? Ad Elliot e Leo brillarono gli occhi dalla contentezza, ma non lo dettero troppo a vedere. Annuirono soltanto, e salutarono anche Gilbert e Vincent, che uscendo chiusero la porta sulla casa, abitata adesso solo da Elliot, Leo e un gatto.
-Bè- disse Leo- Dopo la pioggia viene sempre il sole, eh?
E lo baciò. Era una sensazione bellissima farlo lì, nel centro del salone, sapendo che solo il loro gatto avrebbe potuto vederli. Quando si staccarono Leo corse a controllare fuori dalla porta e vide che la carrozza di Vanessa era sparita e che non c’era traccia di Gilbert o Vincent nei paraggi. Sorridendo malignamente chiuse la porta, poi si voltò.
-IO SONO INNAMORATO PAZZO DEL MIO PADRONE, ELLIOT NIGHTRAY!- urlò, suscitando inaspettatamente le risa del suddetto padrone, solitamente imbarazzato ed estremamente restio ad ammettere qualsiasi affetto non necessario.
-E IO SONO INNAMORATO PAZZO DEL MIO SERVITORE, E CHISSENE SE E’ UN MASCHIO E IO SONO UN NOBILE!- gridò Elliot in risposta, sollevandolo dai fianchi. Scoppiarono a ridere in maniera incontrollabile ed Elliot lasciò Leo a terra.
-Cosa facciamo?- disse Leo, in preda alla gioia più sfrenata e totale.
-Balliamo!- dichiarò Elliot e lo prese per la vita iniziando a volteggiare per il salone, senza nemmeno seguire della musica, solo il ritmo delle loro risate e della felicità che aleggiava nella stanza, avvolgendola quasi in una coltre tiepida. Dopo dieci minuti si lasciarono cadere a terra, stanchi. Avevano anche smesso di ridere.
-Nemmeno ai balli in società hai mai fatto un’esibizione del genere!- si complimentò Leo. Elliot arrossì.
-Per forza, adesso ballavo con te.
-Oh, mi lusinghi.
Elliot arrossì di nuovo e si rialzò.
-Esaurita la vena di scoppio felice?- chiese Elliot, alzando anche Leo.
-No- rispose l’altro, e si gettò sulle labbra del Nightray, che, sorpreso, ricadde a terra sbattendo la testa.
-AHIA!- gridò, e Leo subito si alzò, ma poi rise di nuovo. Elliot arrossì- Perché ridi? Mi hai fatto male!
-Perché sei divertente, Elliot!- disse Leo fra i singulti delle risate. Elliot lo guardò male. Leo smise di ridere e spostò dal suo viso una ciocca di capelli scuri.
-Eddai, scusa.
Ma per Elliot il gesto di spostarsi i capelli era stato una scusante sufficiente. Abbassò Leo su di sé e prese a baciarlo con irruenza impacciata. Dopo un po’ Leo si staccò.
-Ehi, fermo. Dai, se vuoi fare qualcosa almeno andiamo su un letto o un divano. Sai, a te non cambia molto, ma io mi faccio male a essere sbattuto in terra ripetutamente.
-LEO!- gridò Elliot, arrossendo furiosamente e alzandosi a sedere, sistemandosi un po’ i vestiti sgualciti. Leo ridacchiò.
-Bè, è vero. Tu stai sopra e non te ne accorgi, ma...
-BASTA!- disse di nuovo Elliot, voltandosi una volta per tutte e salendo le scale per la camera a passo di marcia. Leo rimase fermo, divertito come mai prima di allora. Dopo poco si affrettò a raggiungere il padrone in camera. Entrò e lo trovò fermo sul letto che guardava il soffitto. Il rossore sulla guance non si era affatto attenuato.
-Elly... Elliot...- lo chiamò, ma l’altro non rispose. Preoccupato, adesso, si avvicinò al letto e si sedette.
-Elliot, io non credevo di averti offeso tanto, scusa... non credevo che- disse, ma fu interrotto. -Non è quello- sbuffo Elliot- Cioè, anche, ma il fatto è che mi sembra che tu non prenda seriamente la cosa.
Leo rimase decisamente interdetto.
-Cosa intendi? Non prendo seriamente la cosa?
-Mi sembra che tu non creda che la nostra sia una cosa seria- disse Elliot. Non c’era traccia di scherzo nella sua voce, anzi, era molto più serio del solito. Leo capì che fare una battuta in quel momento era rovinare qualcosa di molto fragile e difficilmente riparabile.
-Tutt’altro- rispose, serio anche lui. Era raro che discutessero così. Ma Elliot sembrava doversi sfogare.
-Insomma, non fai che prendermi in giro, e fare battute stupide, come se fossi un divertimento! Leo, io sto andando contro a tutto perché ti amo, capisci? E sembra che invece tu giochi con me! Elliot era arrabbiato. Leo a quel punto era decisamente scioccato. Elliot non aveva mai, mai, detto che lo amava. E mai si era sfogato tanto, o aveva fatto pesare la difficoltà della situazione. Era un momento molto, molto delicato.
-Elliot- disse Leo, quasi in un sussurro. Si avvicinò ancora di più all’altro- Elliot, non dire mai più una cosa del genere. Sai che ti amo, e se non lo sai te lo dico adesso. Ti amo. Tantissimo. Ma se preferisci io posso anche andarmene, almeno non ti creo problemi. Non pensavo che le mie battute ti facessero tanto dispiacere. Ma il fatto è che io sono così, anche se potrei provare a cambiare non ci riuscirei. Tu sei più forte di me, tu ce la faresti. Uno come te ce la può fare, ma io no. Sono sempre stato da solo, e adesso trovare te mi ha scombussolato tanto che non riesco a dirti quello che provo come vorrei, scusa.
Elliot guardò Leo interdetto, alla ricerca di qualche barlume di ironia, ma gli occhi dell’altro, anche se da dietro le lenti non si vedeva bene, erano serissimi.
-Tu non te ne vai, hai capito? E’ colpa mia, sono stato esagerato.
Elliot sorrise, parlando, e anche Leo, capendo che la situazione era risolta, più o meno. Si sdraiò accanto al padrone.
-Non so se hai notato, Elly, ma adesso siamo su un letto- disse Leo, con un sorriso malevolo sul volto. Eliot di colpo era sopra di lui e sorrideva allo stesso modo.
-Ho notato, ho notato.






Note della Povera Pazza
Ehi voi! Sono tornata con il secondo capitolo del mio Orrore, che ha avuto più successo di quanto avessi mai potuto sperare *commossa*. Comunque, ci sono sicuramente parti incongruenti o scritte male, me ne scuso, ma sono una persona disordinata… poi bo, non credo che ci sia altro da dire, complessivamente mi piace abbastanza, come capitolo, anche se il preferisco il prossimo. E niente, spero piaccia anche a voi, e detto questo me ne ritorno nel mio angolino a combattere contro il Blocco dello Scrittore che mi sta rovinando le giornate. Ci si rivede martedì prossimo con il Natale dei nostri fidanzatini!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 25 Dicembre ***


25 Dicembre



La mattina seguente si svegliò prima Leo, leggermente intontito e con dei morsi allo stomaco indicibile. La sera prima non avevano toccato cibo. Un secondo dopo si svegliò anche Elliot, e Leo colse subito l’occasione.
-Buongiorno e buon Natale, Elliot!- augurò, guardando negli occhi azzurri del padrone. -Buongiorno e buon Natale a te, Leo- aggiunse Elliot, sfiorando le labbra di Leo con un bacio molto dolce e casto. Leo sorrise felice e si alzò dal letto, pronto per scendere a fare colazione.
-Leo... mi dai il tuo regalo?- chiese Elliot, supplichevole. Leo gli toccò la punta del naso con un dito. -Sognatelo, Nightray. Il mio regalo arriva dopo colazione, dato che sto morendo di fame.
-E va bene. Tanto anche io ho una fame da lupi- sbuffò Elliot, e si alzò a sua volta per scendere a fare colazione. Mangiarono come se non toccassero cibo da secoli, poi andarono in biblioteca e si sedettero di fronte al camino accesso e scoppiettante.
-Va bene, adesso posso anche darti il mio regalo- decise Leo, ed uscì di corsa per rientrare poco dopo con una mano dietro alla schiena.
-Allora, visto che non ho soldi sono costretto ad un regalo artigianale. Una canzone te l’ho già regalata, un bacio mi sembra idiota, dato che ti ho già regalato ben di meglio di un bacio- Elliot arrossì furiosamente- Quindi... ho provato così.
Consegnò, arrossendo, un piccolo pacco di fogli al suo padrone. Poi spiegò.
-E’ un raccontino. Lo so, fa schifo, ma ero davvero senza idee, quindi...
Elliot lo abbassò e lo abbracciò forte.
-E’ un regalo meraviglioso e stasera lo leggiamo prima di andare a letto. Anzi, me lo leggi te.
-Hai ancora bisogno della balia?- domandò Leo, malevolo. Elliot lo guardò scocciato, poi il suo volto fu preso da un’enorme agitazione e contentezza.
-Adesso tocca a me. Il mio è un po’ più in grande, visto che sono ricco- disse, poi tappò gli occhi a Leo con le mani- Tranquillo, è poca strada.
Leo si fece condurre da Elliot, fiducioso, per un corridoio e una rampa di scale. Agitato per il regalo non si era affatto concentrato su dove il Nightray potesse averlo portato. Alla fine si fermarono, ed Elliot disse, con la voce trepidante di ansia e attesa:
-Ecco, guarda.
Tolse la mano dagli occhi di Leo e il moro restò a bocca aperta. Era difficile sbagliarsi su che regalo potesse essere. Un bellissimo pianoforte a coda nero troneggiava al centro di una stanza vuota. Piccola, ma del tutto vuota. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, incredulo, poi tentò di deglutire, ma aveva la gola secca.
-Ti piace?- chiese Elliot, teso. Leo non rispose. Non lo guardò neanche. Si avvicinò in trance allo strumento e si sedette sul panchetto.
-Elliot- disse, dopo una decina di secondi- Mi sento uno schifo.
Elliot rimase turbato.
-E come mai?
-Io ti regalo una stupida storiella e tu mi regali un pianoforte?- sbottò Leo, evidentemente infastidito dalla cosa. Effettivamente doveva essere abbastanza umiliante. Elliot arrossì e si sedette accanto a lui. -No, io adoro il tuo regalo, davvero. Ho sempre voluto chiederti se scrivevi dei racconti, visto quanto leggevi, e non vedo l’ora di sapere come è questo! Il pianoforte l’ho preso perché so che ami suonare, ma la mia famiglia non vuole che tu suoni i pianoforti che abbiamo, quindi ho risolto la questione prendendo questo e mettendolo in una stanza vuota, almeno non possono lamentarsi- spiegò il Nightray. Leo comunque si sentiva decisamente uno schifo.
-In ogni caso mi sento scemo. Anche se quello scemo sei tu.
Elliot sbuffò e Leo ridacchiò, poi propose di inaugurare il pianoforte con uno dei loro concerti a quattro mani per i quali erano invidiati da tutta la Lutwidge. Attaccarono una melodia dolce e un po’ nostalgica, che sembrava fatta di nuvole e frammenti di ghiaccio. Si persero nelle note leggere della musica, incrociavano le dita con naturalezza e facilità, costruendo in due una sola poesia perfetta. La musica si concluse con un unico arpeggio volante suonato da Elliot, e dopo il secondo di staticità assoluta che segue ogni esecuzione pianistica, si sentirono degli applausi venire dal piano di sotto. Elliot e Leo si ghiacciarono. Si guardarono sgomenti, poi scesero alla velocità della luce. Nel salone trovarono Gilbert, Oz e Alice. Oz batteva le mani strabiliato, Gilbert sorrideva fra il complice e il compiaciuto e Alice stava semplicemente ferma in un angolo a braccia incrociate.
-Siete davvero fantastici!- esclamò Oz, correndogli incontro.
-Vessalius- sibilò Elliot fra i denti, allontanandolo da sé. Leo sorrise e gli apparve la solita aura di fiorellini intorno al volto.
-Non essere scortese, Elliot! Sono venuti a trovarci!- disse, salutando gentilmente i nuovi arrivati. Elliot si era sempre chiesto come diavolo facesse Leo a recitare così bene. Anche lui voleva che li lasciassero soli, era ovvio, palese e normale, per quanto normale potesse essere la situazione. Gilbert si avvicinò di soppiatto ad Elliot e gli sussurrò:
-Non c’è stato nulla da fare. Appena gli ho detto che eravate da soli è voluto venire a “tirarvi su di morale”.
“Dovrebbe buttarsi sotto una carrozza per tirarmi su il morale” pensò Elliot, ma non lo disse, perché sapeva benissimo quanto Gilbert volesse bene a quel ragazzino. Alice, come sempre, faceva da scorta. Appena i cinque raggiunsero la biblioteca Oz sorrise radioso.
-Cosa stavate facendo quando siamo arrivati?- domandò. Elliot lo guardò storto. Ma era scemo o cosa? Non li aveva sentiti?
-Stavamo suonando, genio.
-Lo so, ma prima?- insistette il biondo. Elliot sentì una minuscola traccia di rossore invadergli il viso e si voltò verso il fuoco per mascherarla.
-Abbiamo fatto colazione- svicolò Leo, come se fosse la cosa più banale del mondo.
-Uffa... certo che non vi divertite mai in questa casa- sbuffò Oz. Sia Elliot che Leo ebbero un accesso di risatine nervose, che riuscirono a mascherare con dei colpi di tosse, guardati con occhio consapevole da Gilbert.
-Idea! Perché non ci fate vedere la vostra camera?- chiese Oz. Elliot e Leo strabuzzarono gli occhi. -NO!- gridarono, in coro. Se fossero entrati avrebbero notato che un solo letto era disfatto. Fortunatamente a Leo venne l’illuminazione.
-Oh, l’altro giorno abbiamo trovato un gattino, lo abbiamo chiamato Chesire. Lo volete vedere?- domandò. Oz si esaltò moltissimo (come se non fosse già sufficientemente esaltato) e Gilbert rabbrividì, mentre Alice alzava le spalle. Elliot corse subito a prendere il gattino e a tirare su il letto, nel caso avessero dovuto farli entrare in camera proprio per forza. Scese di nuovo in biblioteca portando il gattino con sé, e quando entrò fu accolto da esclamazioni di “quanto è carino. . .” e cose del genere. Persino Alice lo volle accarezzare. I due fidanzati sotto copertura erano ben felici di aver distolto l’attenzione da loro due.
-Ehi Gil, ci possiamo fermare per pranzo?- chiese Oz, voltandosi verso Gilbert.
-Assolutamente no. Io ho un mio appartamento, al massimo andiamo lì- rispose Gilbert tassativo. -Il tuo appartamento è piccolo, buio e umido. Qui è meglio- dichiarò Alice, risoluta. Oz, entusiasta, si affiancò alla ragazza e le dette manforte.
-Inoltre Elliot e Leo si annoiano a star qui da soli- sbuffo sonoro da parte di Elliot con conseguente scappellotto di Leo- e possiamo fargli compagnia.
-Ho detto no- ripeté Gilbert, deciso. Elliot e Leo gli erano molto grati, ma sentivano entrambi che non avrebbe vinto la battaglia.
-Come tuo padrone ti ordino di farci restare qui a mangiare- disse Oz, imperioso, guardando Gilbert con occhi di fuoco. Gilbert strabuzzò gli occhi. Non poteva disobbedire ad un ordine del padrone, pensava Elliot, anche se con lui Leo lo faceva sempre. “Ma tu e lui non siete esattamente padrone e servitore, siete più sopra e s...” gli bisbigliò una vocina maligna all’orecchio, che lui si affrettò ad eliminare.
-E va bene- si arrese Gilbert, abbassando la testa. Oz esultò e Alice fece spuntare un sorriso compiaciuto. Si diressero in sala da pranzo, dato che fra una cosa e l’altra già era l’una, e Gilbert preparò qualcosa alla buona.
-Che tristezza, pensare che questo dovrebbe essere il pranzo di Natale...- commentò Oz.
-Colpa tua, Vessalius. Potevi restare a casa- commentò acido Elliot. Oz gli puntò contro una forchetta.
-Anche tu fai tristezza, Elliot. E’ Natale, cerca di sorridere!
“Io sorridevo, poi siete arrivati voi” pensava Elliot, e più o meno anche Leo pensava a varie maledizioni o malefici assortiti da scagliare contro gli ospiti. Dopo il tristissimo pranzo di Natale Oz propose, fortunatamente senza essere stavolta soddisfatto, di restare per il pomeriggio. Uscirono dalla casa alle tre, salutando i due rimasti con allegria. Appena si fu allontanato Leo si accasciò sul divano della biblioteca.
-E io che avevo in progetto di passare tutta la giornata con te... me ne hanno fatta volare via la metà- disse, lamentoso. Elliot sorrise malevolo e si mise sopra di lui.
-Non tutto è perduto- dichiarò, avvicinando i loro nasi e facendo in modo che si sfiorassero. Leo sorrise e gli accarezzò una guancia.
-Su, non siamo troppo melensi.
-Va bene...
Elliot si alzò e insieme si diressero verso la loro stanza. Quando entrarono videro Chesire addormentato sul davanzale della finestra.
-Ehi, che ne dici se proviamo a disegnare?- propose Leo all’altro. Elliot inclinò la testa e lo guardò curioso.
-Disegnare? Da quando ti interessa?
-Da adesso. Proviamo?- ripeté Leo. Elliot alzò le spalle e andò a prendere dei fogli da disegno e alcuni carboncini, e i due si sedettero sui loro letti e stettero in silenzio a disegnare. Dopo un’oretta Leo strillò.
-Maledetto gatto! Guarda che hai fatto!
Elliot subito si voltò e vide il moro che sventolava un foglio completamente macchiato di carboncino a forma di zampe di gatto e Chesire che stava tutto soddisfatto accanto al povero sabotato.
-Dai su- lo consolò Elliot avvicinandosi e guardando meglio il foglio rovinato- Non era granché. Leo lo guardò malissimo e dette una sbirciata al foglio di Elliot ma dovette tacere. L’altro infatti aveva disegnato il gattino mentre mangiava in maniera strepitosa, ombreggiando nei punti giusti e dandogli una dolcezza incredibile. Elliot, accortosi che Leo osservava il suo disegno si affrettò e nasconderlo.
-No!- lo fermò il moro- E’ bellissimo! Davvero, sai disegnare in modo fantastico!
Elliot arrossì e borbottò che non era nulla.
-Ma se l’hai fatto anche a memoria!- protestò Leo, irritato dalla modestia dell’altro.
-Cos’è, hai voglia di farmi i complimenti?- lo stuzzicò Elliot, cosa che irritò ancora di più Leo.
-No, ma se una cosa è vera la riconosco! E SAI DISEGNARE BENISSIMO!
Elliot sbuffò di nuovo, segretamente molto compiaciuto per la cosa. Disegnare era una cosa che non aveva quasi mai sperimentato, ma sapeva di essere più bravo della media. Decise di far cadere il discorso, per evitare ulteriori imbarazzi.
-Ti va di uscire?- disse, posando fogli e carboncini. Leo sospirò e guardò fuori dalla finestra. -Perché? In fondo non...- ma si fermò alla fine della frase, osservando estasiato il panorama. Elliot, che non vedeva la finestra, non capiva.
-Cosa...?
-Elliot,nevica!- annunciò esaltato Leo, alzandosi di scatto.
E nevicava da quella mattina, a giudicare dai trenta centimetri buoni di fredda neve morbida che ricopriva il grande cortile. Uscirono di corsa, dopo essersi vestiti molto pesanti, e si fermarono poco fuori dalla porta. Mentre Elliot guardava il cielo quasi bianco una palla di neve lo colpì in piena schiena.
-Ah, era l’ora! E’ l’ottava che ti tiro!- esclamò Leo pimpante. Elliot lo guardò di sbieco, per poi avvicinarsi a lui. Leo si ritrasse, un po’ preoccupato, ma Elliot non fece altro che levargli i grossi occhiali tondi.
-Ecco, adesso dovresti vederci meglio- giudicò, mettendoseli in tasca. Leo sorrise sarcastico e scosse la testa. Abbassò il capo in un gesto di rassegnazione filosofica, ma appena lo chinò un freddo mucchio di neve lo colpì sui capelli neri.
-Non avrai forse pensato che te l’avrei fatta passare liscia, Leo?- lo schernì Elliot, per poi scappare nella neve. Leo afferrò una grossa manciata di neve e tentò di tirargliela ma l’altro la schivò abilmente. Fu un’ora molto combattuta a pallate di neve, ed Elliot sembrava in netto vantaggio, ma purtroppo non si accorse del gigantesco ammasso di neve prossimo a colpirlo e a farlo cadere. Infatti se non eccelleva in mira e velocità, certo Leo eccelleva in potenza. Insomma, Elliot si ritrovò irrimediabilmente atterrato, e prima di riuscire ad alzarsi il volto soddisfatto e felice di Leo gli fu sopra.
-Scusa, padrone- lo prese in giro. Elliot voleva ridere, ma ne avrebbe sofferto la sua immagine da bravo asociale inespressivo e decise di trasformare la sua risata in uno sbuffo stizzito. Ovviamente Leo si accorse alla perfezione che Elliot voleva ridere e rise a sua volta, aiutandolo ad alzarsi. Elliot arrossì un po’ per la brutta figura fatta ma si riprese subito.
-Non devi ridere di me- ordinò Elliot. Leo lo guardò sbilenco.
-Perché non dovrei- domandò.
-Io sono il tuo padrone- gli ricordò Elliot. Non era frequente che sbandierasse la sua supremazia sull’altro, ma ogni tanto ricordagli che Elliot era il suo padrone avrebbe fatto un po’ abbassare la cresta al moro impertinente.
-E se io non mi concedo più per un mese?- sorrise maligno Leo.
-LEO!- gridò scandalizzato Elliot, che era arrossito violentemente. Leo rise e abbracciò il padrone teneramente. Purtroppo il padrone aveva salutato l’equilibrio da tempo e caddero insieme nella neve. La situazione prese all’improvviso un’accezione estremamente tenera e dolce, in quanto non esiste quasi nulla di più romantico della neve. Leo accarezzò dolcemente il viso di Elliot, che ricambiò passando la mano tra i capelli arruffati e scuri dell’altro ragazzo. Si avvicinarono, fino a far quasi toccare le loro labbra, poi Leo scartò e si alzò in piedi ad una velocità sorprendente.
-Se vuoi un bacio mi devi prendere!- lo informò, e prese a correre. Anche Elliot si alzò e prese ad inseguirlo. Dopo una decina di minuti di tentativi inutili finalmente Elliot riuscì a bloccare l’altro al tronco di un albero e si prese l’agognato bacio.
-Adesso rientriamo, è buio- disse poi, e fu seguito da Leo. Entrarono di nuovo nella grande villa deserta e lanciarono i cappotti bagnati sulla poltrone, poi si sedettero sul divano.
-Che ore sono?- domandò Leo. Elliot guardò l’orologio appeso alla parete.
-Le sei, più o meno- lo informò poi. Leo sospirò.
-Gira e rigira guarda che ora è. Riposiamoci, sennò stasera non ce la faccio a leggerti tutto il racconto- disse Leo. Elliot annuì e chiuse gli occhi. Nessuno dei due si addormentò, ma rimasero a tempo indeterminato fermi, Leo appoggiato alle gambe di Elliot ed Elliot che meccanicamente gli accarezzava i capelli.
-Elly, mi sto annoiando- dichiarò Leo dopo un po’ di minuti di calma piatta.
-Pure io. Ma non ti alzare, mi piace questa posizione- rispose Elliot. A Leo comparve un ghigno cattivo sul viso e si girò in modo da avere il volto davanti all’inguine di Elliot.
-Così ti piace di più?- chiese. Elliot si imporporò e si alzò all’istante.
-SEI UN CRETINO!- gli gridò, furente. A Leo venne da dire una delle sue battute pungenti che lasciavano sempre offeso Elliot, qualcosa tipo “Bè, ma stanotte non mi è parso ti dispiacesse” ma voleva assolutamente evitare situazioni simili a quella del giorno prima, così sorrise dolcemente, tornò da lui e per farsi perdonare gli stampò un piccolo bacio sulle labbra alzandosi in punta di piedi.
-Non farlo mai più- ordinò Elliot, una volta che Leo si fu staccato.
-Cosa, di baciarti? O di provocarti?
-La seconda.
Improvvisamente Leo si batté una mano sulla fronte.
-Elliot, il gatto! Dove è finito?
Elliot spalancò gli occhi.
-E’ vero, il gatto!
Salirono di corsa per le scale, e trovarono il cucciolo addormentato sul letto di Elliot, che era quello rifatto.
-Wow, se la cava meglio lui di noi- commentò il moro, sedendosi ed accarezzando il gattino che, accortosi del tocco, lanciò prima un miagolio roco e poi iniziò a fare leggerissime fusa. Di nuovo Elliot e Leo si sciolsero, come ogni volta che quel gattino faceva le fusa.
-Ma dobbiamo ancora trovare qualcosa da fare prima di cena...- protestò Leo. Elliot sospirò, dato che il moro aveva ragione, ma era difficile trovare qualcosa di divertente da fare.
-E se andassimo in biblioteca a leggere?- propose poi. Leo alzò le spalle e si diressero verso la biblioteca, dove si accoccolarono sulla stessa poltrona e iniziarono a leggere in silenzio. Gli unici rumori erano il crepitare allegro del fuoco e lo sfogliare delle pagine. Dopo due ore e mezzo lo stomaco di Elliot iniziò a brontolare, e Leo, che se n’era accorto, rise e disse che era l’ora di andare a mangiare. Dopo cena salirono nella loro camera e si sistemarono nel letto di Elliot, Leo sedendosi tra le gambe dell’altro.
-Bene, leggimi quel racconto- ordinò il Nightray, abbracciando il servitore. Leo lo guardò incredulo. -Vuoi davvero leggerlo?
-Certo!
Leo alzò le spalle e andò a prendere il racconto, poi tornò tra le braccia di Elliot e iniziò a leggere. Il racconto era molto appassionante, ma all’una e mezzo Leo crollò addormentato, e fu seguito a ruota da Elliot.







Note della Povera Pazza
Salve. Stasera non sono felice, anzi, sono in preda a raptus omicidi causati dal mio maledettissimo computer che ha deciso che non mi vuole far pubblicare questo capitolo. Bah, forse ha ragione lui. In ogni caso, questo è un po’ il “clou” della vicenda (ma noooo). Spero di non essere stata poco chiara e di aver comunque scritto qualcosa di piacevole! Per i disegni, so che è una cosa un po’ strana, ma non so perché ce lo vedo troppo Elliot a disegnare! Spero quindi che non sia orribile come il mio computer mi fa credere! A martedì prossimo con il finale!
Ps: sono certissima che avrei altro da scrivere, ma ovviamente non me lo ricordo. Chiedo perdono.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 26 Dicembre ***


26 dicembre
 
 
La mattina era soleggiata e la neve nel cortile brillava come diamante. Vanessa camminava decisa per il corridoio della camera del fratello, per svegliarlo e rimproverarlo di essere ancora a letto quando era così tardi. Raggiunta la fatidica porta Vanessa la aprì, e vide una scena che mai si sarebbe aspettata: c’era Elliot addormentato, appoggiato al cuscino che era alzato contro il muro, e Leo, anch’egli addormentato, adagiato sul petto di Elliot, che lo stringeva teneramente per la vita. In mano Leo aveva quello che pareva un manoscritto, e parecchie pagine erano sparse sul terreno. In fondo al letto dormiva beato anche il gattino che avevano trovato tre giorni prima. Vanessa chiuse la porta. “Ok, sicuramente Elliot ha chiesto al suo servitore di riscaldarlo... sì, deve essere per forza così” si ripeteva. Non poteva accettare che al fratello interessassero i ragazzi. Non. Poteva. Insomma, lui era un Nightray, santo cielo... Scosse la testa e bussò forte.
-ELLIOT! Che ci fai a letto a quest’ora? Sveglia!
La ragazza sentì che lentamente i due si stavano svegliando. Un minuto dopo il fratello aprì la porta, vestito ma con gli abiti sgualciti.
-Vanessa? Che ci fai tu qui?- chiese stupito. La ragazza sbuffò irritata.
-Sono tornata prima, ti dispiace?- rispose. Elliot non ebbe tempo di ribattere che comparve Leo.
-Signorina Vanessa, bentornata.
Lei lo ignorò, come sempre e scese le scale, lasciando i ragazzi da soli. Leo sospirò.
-Uffa... non mi piace che ci sia altra gente...
-Che ci vuoi fare, è la mia famiglia- alzò le spalle rassegnato Elliot- Se mi vuoi bene devi accettarla.
-Ma se non la accetti nemmeno tu!
Elliot ammise la ragione dell’altro, e scesero in salotto, dove trovarono già anche il padre, che li salutò gentilmente. Mangiarono la loro colazione sentendosi particolarmente osservati, sensazione decisamente comprensibile, visto che Vanessa non li perdeva d’occhio nemmeno per un secondo. Appena finito di mangiare salirono per suonare il pianoforte nuovo di Leo, affermazione alla quale Vanessa lanciò uno sbuffo d’indignazione. I ragazzi la ignorarono e salirono fino a raggiungere la stanza del piano, e si sedettero di nuovo accanto per suonare qualcosa.
-Tu credi che Vanessa sospetti qualcosa?- chiese Leo teso, prima di iniziare a suonare.
-Non lo so...- rispose Elliot. Anche lui aveva avuto la stessa sensazione, ma non era possibile che li avesse visti e non avesse detto niente. Suonarono i loro pezzi migliori, e dopo un quarto d’ora ogni dubbio cattivo era scomparso, e c’erano solo loro due e le loro labbra a contatto. Nemmeno sapevano come erano finiti in quella situazione. C’era Leo seduto sulle ginocchia di Elliot, che lo cingeva all’altezza dei fianchi e lo baciava con passione. Si erano quasi dimenticati di non essere soli in casa. Ma ebbero modo di ricordarselo presto. La porta si aprì ed entrò Vanessa, che li guardò esterrefatta. A quel punto era inutile sperare. A suo fratello piacevano i ragazzi. E non i ragazzi in generale, ma Leo. Il suo servitore.
-ELLIOT?!- gridò, non sapendo che altro fare. Quanto ai due, la stavano guardando sentendosi crollare il mondo addosso.
-Vanessa...- mormorò Elliot.
 
                                                                  ****************************
 
I passi di Leo risuonavano nei viottolini di ghiaia fredda sotto le sue scarpe. Si strinse nel cappotto e camminò ancora più velocemente, finché non raggiunse la meta. Una tomba, una tomba bianca di marmo con un nome dorato a lettere molto eleganti: “Elliot Nightray”. Leo guardò la tomba, e come sempre le lacrime fecero capolino dai suoi occhi. Si inginocchiò di fronte a tutto ciò che gli rimaneva di Elliot, del suo Elliot, di quello che aveva tradito ogni tradizione per stare con lui, perché si amavano più di quanto chiunque potesse capire. Si lasciò andare ad un pianto disperato, singhiozzando sulla tomba del ragazzo. Dopo un paio di minuti parve riacquistare il dono della parola.
-Ciao, Elliot- salutò roco- Sono venuto a trovarti qui per l’ultima volta. Oggi è il ventisei dicembre, il giorno in cui ci hanno scoperti tutti, ricordi? Come puoi non ricordartelo... è stato esattamente un anno fa, prima che...- la voce gli si strozzò in gola e Leo sciolse il nodo facendo scorrere altre lacrime calde lungo le guance- E vedi, sono tornato. Prima devi sapere un po’ di cose: il pianoforte che mi hai regalato lo hanno distrutto, e il mio racconto lo ha bruciato tuo padre pochi giorni dopo quella notte. Chesire sta bene, l’ho affidato ad Ada Vessalius, spero che mi perdonerai, e lei ha promesso che se ne prenderà cura. Sai, il gatto ti cercava, i primi tempi. Oh, e un’altra cosa- aggiunse, sorridendo tra le lacrime. Mise una mano nella giacca e tre fogli ingialliti caddero sulla tomba bianca. Ritraevano tutti una sola cosa: Leo. Leo che suonava, che leggeva, che guardava da un’altra parte, irritato, sorridente. E ce n’era uno che ritraeva a tutta pagina Leo addormentato, con un’espressione serena e dolce sul viso, i capelli disordinati sul cuscino e sulla coperta. I tratti erano morbidi, delicati, che sembravano quasi eterei, e il carboncino era riuscito persino a rendere l’idea del sole sulla pelle, i primi raggi, quelli che ingentiliscono ma non illuminano. In fondo al foglio c’era una firma in bellissima calligrafia: “Elliot Nightray”. Leo guardava i fogli, sorridendo.
-Questi li hai fatti tu. Li ho trovati nella rimessa del tuo letto. Disegni veramente in maniera divina, Elliot, non ho mai visto qualcuno più bravo di te. Sono bellissimo in quei ritratti.
Guardò i fogli ancora per qualche secondo, nel quale il gelo parve chiedersi la prossima mossa di Leo, muovendo con un vento secco e freddo i disegni. Poi il moro tirò fuori dalla giacca un’altra cosa, un coltello. Un coltello affilato, d’argento. Lo alzò all’altezza del petto e si lasciò andare di nuovo ai singhiozzi.
-Perdonami, scusa, ma devo farlo. Io non ce la faccio a svegliarmi tutte le mattine e pensare che tu non sei nel letto accanto al mio, e che non ci sarai più. Che non mi ritrarrai a mia insaputa, come certamente hai fatto. Se tu ci fossi me lo impediresti, ma ho sempre avuto la tendenza a non obbedire ai tuoi ordini, no? Quindi non importa se non ti piacerà. Voglio solo smettere di stare qui. Scusa se facevo cadere i vassoi quando ti servivo. Scusa se non ti ho mai ascoltato abbastanza. Scusa per la battute che non ti piacevano. Scusa per tutto. Ti amo.
Sempre piangendo Leo mise il coltello più vicino al cuore, la lama brillò per un secondo alla luce di metà mattina, poi affondò.
 
Ben arrivato.
 
 
 
 
 
 
 
Note della Povera Pazza
Saaalve… buonasera a tutti… Per iniziare, IMPLORO PERDONO IN GINOCCHIO VI CHIEDO SCUSA!!! Mi sono tormentata tutta la settimana perché ero indecisa se pubblicare o no questo capitolo, molto più corto degli altri e decisamente più brutto. Mi hanno costretta. Mi dispiace tantissimo! Oltretutto la prima parte oltre a essere inutile è anche davvero inguardabile, da quant’è brutta. Comunque adesso è finita, ovviamente, e spero quindi che mi perdonerete per questa specie di “sfogo”, nato dalle mie mani possedute. Per spiegare una svolta così netta nel mio stile (che poi in realtà e quello drammatico, e non romantico), dopo aver finito di scrivere la scoperta di Vanessa, sentivo che mancava qualcosa e le manine mie sante (vi ucciderò) hanno prodotto il meraviglioso finale con il quale ho quasi fatto piangere due persone. Ho pubblicato la storia con un giorno di anticipo perché domani sera devo studiare, ma questo è irrilevante. In ogni caso, bè, è finita, e credo che non mi farò più vedere per qualche tempo perché ho perso ogni traccia di ispirazione e quella di due mesi fa (dalla quale sono nate tutte le storie che ho pubblicato) non ha prodotto altro di decente. Per cui, in conclusione, scusatemi molto per quest’estro letterario di un mesetto e… a risentirci, forse. La Pazza se ne va.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2597050