Creatore perdonami.

di StregattaLunatica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cenere ***
Capitolo 2: *** Preghiera ***
Capitolo 3: *** Odio ***
Capitolo 4: *** Ai caduti ***
Capitolo 5: *** Addio ***



Capitolo 1
*** Cenere ***


Un gesto secco della mano destra, e le guardie chiusero il portone della sala delle udienze. Thalìa Hawke sospirò pesantemente, prendendo lo spadone a due mani posandolo con la punta a terra di fonte a se. Chinò il busto in avanti, stringendo l'impugnatura con ambedue le mani e posando la fronte sul pomolo.

Perchè aveva accettato?
L'aveva detto lei stessa. Le sarebbe piaciuto entrare in politica, fare qualcosa di buono per quella città corrotta fino all'osso.
Ma non così. Non direttamente da visconte. Non aveva mai voluto tutto quel potere. 
Non aveva mai voluto il potere.
Eppure, che scelta aveva? L'avevano praticamente costretta sul trono.
La maggior parte dei cittadini la identificavano come Campionessa di Kirkwall. Altri, addirittura, come salvatrice.
Ma a lei pareva di stringere solamente cenere fra le mani.

Molti ancora la biasimavano per aver assecondato Meredith fino alla fine. Thalìa si era dimostrata favorevole al rito d'annullamento.
Era stata tollerante verso i maghi. Doveva esserlo. Suo padre e la sua sorellina erano due eretici. 
All'inizio Anders non era male per essere un mago. Ma i suoi vaneggiamenti eccessivi sulla libertà dei maghi la fecero progressivamente allontanare da lui. Lo sopportò, perchè era utile con i suoi poteri di guarigione. 
A stento guardava Merril, ed era molto tentata di reciderle la testa dal collo con un sol fendente. L'aveva allontanata per prima, quand'era divenuta visconte. Non che fosse stato difficile, nemmeno Merril era eccessivamente entusiasta della sua compagnia. Per una volta, era stata abbastanza intelligente da andarsene da Kirkwall prima che Thalìa le sguinzagliasse contro i templari.
Anders, invece, non riuscì nemmeno a vedere l'inizio del massacro. Lo aveva ucciso lì, davanti a ciò che restava della chiesa, senza la benchè minima ombra di rimorso sul volto o sul cuore.

Qualcuno si schiarì la voce nell'ombra alla sua sinistra, dove le candele non riuscivano a dissipare l'oscurità portata dall'ora tarda. «Non serviva entrare di soppiatto, potevi bussare.» disse voltando il capo, un mezzo sorriso le si stese sulle labbra.
«E perdere il mio fascino? Un entrata comune e prevedibile non interesserebbe mai a nessuno.» Il nano uscì dall'ombra, le mani posate sui fianchi ed un sorriso solare sul volto. Andavano d'accordo, sebbene talvolta lui la rimproverasse di esser troppo seria. Ma Thalìa non era mai stata una ragazza che puntava troppo sull'umorismo. 
«Che ci fai qui, Varric?» domandò lei tornando ad adagiarsi sul trono, la mano destra ancora stretta sull'impugnatura dell'arma. «Chiedo udienza alla persona più importante di Kirkwall.» Thalìa sospirò pesantemente, alzandosi dal trono con un colpo di reni. Si rigirò lo spadone fra le mani, andando a fermarsi dinanzi ad una delle finestre.
Il sole stava tramontando, stagliandosi con la sua luce sanguigna contro Monte Spezzato. Il cielo era traversato da sfumature che andavano dal viola al blu, mentre sulla linea dell'orizzonte le prime stelle iniziavano a brillare.
«Per favore, almeno tu non fare così.» gli rispose con tono di voce serio, senza voltarsi a guardarlo.

Il nano le si avvicinò, prendendosi qualche istante per osservarla nella luce del sole morente. Il fisico allenato di una guerriera, spalle dai muscoli allenati che male si adattavano agli abiti di corte. Per questo, continuava a portare abiti maschili, non disdegnando mai l'armatura. Sul volto dalla carnagione olivastra le labbra poco più scure, scolpite in una dura piega di chi da tempo non sorride con spontaneità e spensieratezza. I suoi occhi d'uno splendente verde menta non rilucevano più come una volta. Ora parevano spesso spenti, lontani. I capelli neri le arrivavano poco oltre le spalle, ma erano sempre acconciati in una coda bassa tramite dei nastrini di cuoio marrone scuro.

Varric le sorrise, ponendosi accanto a lei e contemplando a sua volta il paesaggio. «Beh sai, pensavo che ti avrebbe fatto piacere venire all'Impiccato a bere una pinta con me ed Isabela. Come ai vecchi tempi.»
Thalìa abbassò lo sguardo verso di lui, accennando un mezzo sorriso che non coinvolgeva lo sguardo. «Mi farebbe piacere. Ma appena metto piede fuori di qui tutti mi assillano. È ben diverso, da quando ero solo la Campionessa.»
«”Solo”? Alla faccia dello sminuire...» commentò con tono di voce ironico, concludendo la frase con una risata. «Copri il tuo bel faccino, e poi andremo da me, lontano dalla folla. Avere un proprio posto lì non è male sai? Evitiamo gli ammiratori.» Thalìa fece per rispondere, ma le parole le morirono sulle labbra. Ci pensò su. Se continuava a rimanere chiusa li dentro, non faceva che aumentare i suoi problemi. Prendere un po' d'aria, anche se era quella della Città Inferiore, magari l'avrebbe tirata un po' su di morale.
Quantomeno, Varric ed Isabela insieme erano una combinazione notevole per quello.
Tornò accanto al trono, recuperando il fodero dello spadone e passandoselo a tracolla per poi fissare l'arma dietro alla sua schiena. Indossò un elmo affinchè le coprisse il viso, calcandoselo bene sul capo e celando le ciocche di capelli scuri.
«Beh? Andiamo?»

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Capitolo 2
*** Preghiera ***


La serata fu abbastanza piacevole, la compagnia era certamente delle migliori. Ma lei non riuscì a distrarsi completamente. Non ci riusciva da tempo. Sorrise e rise con loro, ma non era partecipe. Ogni qual volta loro si distraevano o semplicemente distoglievano lo sguardo, la sua maschera andava in mille pezzi. Ed aveva appena una manciata di secondi per ricrearla.
Non era riuscita a dormire bene quella notte. L'ebrezza non l'aveva colta, e dopo esser tornata nel suo letto, non aveva fatto altro che rigirarvisi sinchè il sole non era tornato alto nei cieli.

Thalìa percorse le vie della città superiore a testa china, rimuginando sui suoi pensieri, sui suoi dubbi.
Sui suoi rimpianti.
Alzò lo sguardo verde chiaro, ponendolo dove una volta c'era l'imponente chiesa di Kirkwall. Aveva fatto rimuovere le macerie, i corpi che riuscirono a trovare ebbero gli adeguati riti funebri. Quelli che non trovarono o non identificarono, ebbero le loro preghiere.
Stava facendo ricostruire la chiesa, sebbene questa volta fosse un po' più piccola e non sfarzosa come l'altra.
Non era ancora completata, ma aveva fatto si che un edificio in disuso da tempo diventasse provvisoriamente luogo di culto. Vi si diresse, pregando nuovamente per le anime cadute a causa dell'insensata follia di Anders, mentre passava accanto al luogo maledetto.

Chiuse la porta dietro di se, facendo attenzione a non far rumore. Si guardò attorno, e non vide nessuno. L'allodola aveva cantato da poco, perciò era improbabile che il luogo fosse affollato. Ed era proprio per questo che era lì. Preferiva pregare nella tranquillità e nel silenzio, affinchè nessuno la disturbasse.
Mentre si avvicinava all'altare sormontato da due statue del Creatore e di Andraste, sentì la porta dietro di se aprirsi di nuovo. Sospirò, pensando che avrebbe dovuto accontentarsi.
Voltò il busto mentre la porta si richiudeva, analizzando la figura appena entrata. 
Una volta avrebbe sorriso, e lo sguardo le si sarebbe illuminato di gioia nel vederlo. Una volta sarebbe arrossita, mentre fantasie di baci fugaci ed abbracci pieni di calore le avrebbero attraversato la mente. Il sentimento che provava per lui non era completamente svanito, ma il suo cuore aveva iniziato a coprirsi lentamente di un lieve strato di ghiaccio. Come una rosa esposta alle prime ore invernali, i cui petali vengono decorati da uno strato di gelida brina.
«Non sapevo che fossi tornato.» si limitò a dire, voltandosi completamente a guardarlo.
Sebastian le sorrise, avvicinandosele. Era sempre buono e gentile, sebbene fosse diventato anche lui più distante. Non perchè il suo sentimento fosse scemato, ma perchè credeva che Thalìa avesse solamente bisogno di tempo dopo quanto era successo. «Sono sceso in porto poco fa.» le rispose, mentre entrambe camminavano sino all'altare.
S'inginocchiarono davanti ad esso, giungendo  le mani in preghiera e rivolgendosi al Creatore ed alla sua devota sposa, Andraste.
Thalìa era stata ad un passo dal prendere i voti e servire la Chiesa accanto a lui. Ma era stato tempo fa, prima che Kirkwall le crollasse completamente sulle spalle, costringendola a reggerne il peso come le statue dorate della Forca fanno con le colonne.

Pregarono in silenzio, sino a che Thalìa non decise di alzasi. Senza dire una parola, voltò le spalle all'altare dirigendosi verso l'uscita.
«Vai già via?» le domandò Sebastian girandosi a guardarla. La conosceva, sapeva che non era solita a fermarsi così poco nella casa del Creatore. «Si. Ho delle urgenti questioni da sbrigare a palazzo e-»
«Non mentirmi.» la interruppe con tono di voce brusco, alzandosi per poterla raggiungere. Le posò la mano destra sulla spalla, rivolgendosi a lei col tono di voce più dolce e pacato che possedeva. «Sei cambiata da quando sei Visconte. Sei cambiata da quando quel Maleficarum ha assassinato tua-»
«Silenzio!» urlò Thalìa contro di lui, voltandosi di scatto ed allontanandosi violentemente dalla sua presa gentile. Lo guardò con ira negli occhi, ancora sensibile all'argomento dopo tutti quegli anni.
Non era così quando l'aveva vista per la prima volta, non era così nemmeno dopo aver riacquistato il titolo di nobildonna grazie ai frutti della spedizione nelle Vie Profonde.

Una volta i suoi capelli erano corti e sempre spettinati. Un taglio rozzo e poco accurato, probabilmente fatto in fretta e furia con una lama, durante la pausa fra una battaglia e l'altra. Quegli occhi verdi erano sinceri ed espressivi, e s'illuminavano ogni qual volta un sorriso solare le si dipingeva sulle labbra. Una ragazza semplice, che non cedeva alla vanità od all'orgoglio. Che era più abituata nel muoversi in un accampamento di guerrieri assieme al fratello, e non fra i nobili di cui non sapeva nulla.
Più di una volta, si era chiesto come potesse combattere con uno spadone pesante, quella dolce figura cui lui avrebbe donato solo rose. Era...un'altra persona, un'altra Thalìa.
Ma dopo la morte di sua madre, era cambiata. 
La pazienza si era sensibilmente ridotta, così come quel poco di tolleranza che aveva nei confronti dei maghi. Se prima cercava almeno di ragionare, poi lasciò che fosse il filo della sua lama ad esprimersi per lei. Con gli eretici, così come coloro che davano loro asilo in qualsiasi modo.

Sebastian sospirò, scuotendo il capo. «Capisco che per te tutto ciò che è accaduto al circolo sia stato difficile. Ma sono passati mesi, non è più tempo di piangere i morti.» un espressione di scherno e cinismo le si dipinse sul volto, arricciando il labbro superiore ed emettendo uno sbuffo secco. «Piangere i morti? Erano maghi. Maledetti dal creatore, falsi e bugiardi. La debolezza di uno poteva significare la sofferenza di tanti. Si meritavano ciò che è accaduto loro, non c'era modo di evitarlo.» lo sguardo dell'arciere si rabbuiò. «Parli come Meredith. Thalìa, quella donna non era in se.»
«Certo che non era in se! Ma solamente a causa dell'Idolo!» rispose allargando le braccia con fare esasperato.  «Avrà anche esagerato, ma lei aveva ragione Sebastian! Aveva ragione! L'ho supportata sino all'ultimo suo istante perchè era l'unica che capisse veramente. L'unica che poteva vedere e sapere.» sospirò, abbassando la voce. «Non eravamo così diverse. Anche lei aveva una sorella, una maga che aveva protetto con la sua famiglia. Me ne aveva parlato, e mi aveva detto anche di come fosse diventata un abominio. Sono un pericolo per loro e per noi. Dovevano morire, tutti dovevano morire. Kirkwall non era sicura con i maghi del sangue che c'erano in giro. Ed io non avrei mai tollerato che questa città diventasse il loro giocattolo. Meredith condivideva le mie preoccupazioni.» sollevò lo sguardo, puntandolo in quello di lui «Quanto pensi che sarebbe durata questa città senza di lei in questi anni? Meno di un soffio di vento! Il Creatore ha guidato la mia mano e la mia spada in quella torre maledetta. Se non avesse voluto che accadesse, mi avrebbe fermata in qualche modo.» tacque, osservandolo. Aspettando di vedere se avesse capito, sperando di averlo potuto convincere. 

« “Si meritavano ciò che è accaduto loro”...» le ripetè a bassa voce «...anche Bethany?» Thalìa rimase in silenzio per qualche istante, ma non distolse lo sguardo. «Anche Bethany.» rispose con freddezza tale che all'uomo corse un brivido luno la schiena. Non poteva credere alle sue parole. La dolce Thalìa Hawke, l'innocente Thalìa. «Non, provi neanche un po' di rimorso ad aver permesso a Meredith di ucciderla? Era tua sorella! Sorella, sangue del tuo sangue! Sarà anche stata una maga ma-»
«IO ODIAVO MIA SORELLA!» l'urlo della guerriera rimbombò nella chiesa, la sua voce rimbalzò da una parete all'altra, riempiendo il luogo  sotto lo sguardo severo del Creatore e della divina Andraste.

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Capitolo 3
*** Odio ***


Il petto della guerriera s'alzava ed abbassava pesantemente, mentre cercava di contenersi. La rabbia che per anni era rimasta relegata in profondità nel suo cuore, trovava sfogo.
Per un attimo, temette d'esser preda d'un demone dell'Ira.
Poteva sentirlo chiaramente.
Quel peculiare calore partire dal proprio cuore. Dilagava ora liberamente, espandendosi con fiamme roventi all'interno del suo petto. Sostituendo persino l'aria che aveva nei polmoni, irrompendo violentemente nelle sue vene, prosciugandole il sangue solo per poterne prendere il posto.
Il bagliore di quelle fiamme si rifletteva persino nei suoi occhi. I tratti del suo volto venivano distorti dalla rabbia ad ogni respiro, non più capace di placare un incendio che per troppo tempo aveva cercato di contenere. 
Infine cedette, lasciando finalmente che le fiamme roventi dell'ira s'impadronissero di lei. 
Chiuse gli occhi, cercando di fare respiri profondi ed entrare a patti con quel sentimento, oramai suo padrone.

«Cosa...vuoi dire?» domandò Sebastian con debole tono di voce, guardandola con occhi sperduti ed increduli. 
Aveva visto la maga per solo qualche istante, poi era già entrata al Circolo quando si era unito al gruppo di Thalìa. 
Ma gli altri ne parlavano bene, sopratutto Varric ed Aveline. «Tu non puoi esser seria. Bethany era la tua sorellina. Mi hanno detto tutti che era una ragazza solare, dolce-»
«Era una maga! Era come tutti loro! Sono tutti uguali!» esclamò Thalìa facendo un passo avanti e sollevando la mano destra in un ampio gesto carico di nervosismo. 
In qualche modo, il principe si sentiva intimorito. Non l'aveva mai vista così, non se la sarebbe immaginata in quello stato nemmeno nel più pessimistico dei suoi pensieri.
«Non sopportavo quella maledetta mocciosa. Ha iniziato a creare problemi nel momento in cui è nata!» continuò Thalìa, bisognosa di sfogarsi.
Non le importava se Sebastian l'ascoltasse veramente o meno. Aveva bisogno di sfogarsi, di urlare al mondo tutto il suo odio, il suo disprezzo ed i suoi rimpianti.
Si voltò verso la statue del Creatore e di Andraste, fissandoli nella speranza che potessero aiutarla a placare la sua ira.

«Mostrò molto presto di essere maledetta. Aveva cinque anni, congelò la mano di Carver mentre lui le faceva i dispetti. Non dimenticherò mai l'urlo spaventato del mio povero fratellino. Mio padre dovette accorrere per curargli la mano prima che rischiasse di restare gravemente compromessa.» strinse con forza il pugno destro, rievocando il ricordo. «Corsi nella stanza con mia madre. Bethany piangeva, non capiva cos'era successo. Carver aveva un espressione terrorizzata sul suo viso. Ricordo che l'abbracciai cercando di consolarlo. Guardai mia sorella, aveva ancora della brina sulle mani. E li capii. Seppi subito che era pericolosa. 
Mia sorella era un mostro.» riprese fiato, voltando appena il capo verso Sebastian.

La stava ascoltando in silenzio, non volendola interrompere. E sopratutto, per cercare di capire da dove venisse tutto quell'odio.
Negli anni l'aveva sempre vista guardare con timore i maghi, persino quando Merril od Anders evocavano i loro poteri stava ben attenta a tenersene a distanza. Non era nemmeno tanto felice di farsi guarire dal Custode Grigio, sebbene fosse un guaritore esperto. Accettava le sue cure solamente in casi estremi, dicendogli sempre di occuparsi degli altri. 
I loro compagni scambiavano quel modo di fare per preoccupazione nei confronti degli altri feriti. 
Alle volte era anche vero, ma solamente lui e Fenris si erano accorti dello sguardo che aveva in volto quando le mani del guaritore le si avvicinavano.
Disprezzo, e timore che potesse farle del male approfittando della sua debolezza. 
Mentre la curava, non lasciava mai andare l'impugnatura della propria spada.

«Avrei tanto voluto denunciarla ai Templari. Lo desideravo ardentemente.» riprese la Campionessa. «Ma come potevo? Anche mio padre era un eretico. E mia madre cosa avrebbe fatto senza di lui, e senza la sua povera, piccola innocente Bethany?» sibilò fra i denti, sembrava sputare amaro fiele ad ogni singola parola. 
«Ringraziando il Creatore, non ero sola. Avevo Carver con cui stare. Il mio povero fratellino...» 
Abbassò lo sguardo, e per un istante la sua voce tremolò, al ricordo del fratello. Ma l'attimo fu breve, e riprese a parlare con voce ferma. 
«Eravamo due bravi guerrieri. Si allenava con me, era sempre brusco e si lamentava spesso, ma sapevo che mi voleva bene. Era il suo modo di dimostrarlo.» 
Lo sguardo verde incrociò quello freddo ed inanimato della statua del Creatore. 
«Andavo sempre in Chiesa. Trovavo conforto fra quelle mura, fra le braccia del Creatore e della divina Andraste.» 
Si portò ambedue le mani all'altezza del petto, stringendo la stoffa scura del mantello. 
«I Templari che stanziavano a Lothering erano pigri e poco vigili. E noi abitavamo nella campagna, poco più distanti dalle fattorie per non dare nell'occhio. Li conoscevamo tutti.» Corrugò le labbra in un espressione acida.
«Nostro padre ci aveva...costretto, a ricordare i loro volti. Per sapere quando dover mettere in guardia la sua piccola delicata maghetta per farla andare via.» Sospirò seccamente, scuotendo il capo. 
«Un giorno, ne arrivarono degli altri. Passarono a Lothering mentre stavano dando la caccia ad un Maleficar sfuggito al Circolo. 
Lo ricordo come fosse ieri. 
Erano in quattro, in sella ai loro destrieri, nelle loro scintillanti armature col simbolo dei templari impresso sulla corazza.» 
Un sorriso le solcò le labbra, un sorriso che per un attimo parve iniziare a placare l'incendio della sua ira. Come una leggera pioggia primaverile, che scende come un velo su di una foresta in fiamme. 

«Erano capeggiati da un grande guerriero. Aveva uno sguardo così fermo e sicuro. Squadrava la zona con grande attenzione. 
Bethany non uscì di casa sin quando non se ne andarono. 
Io invece, andavo ancora più spesso in chiesa, per poterli osservare. Non avevo mai provato tanto rispetto per qualcuno. 
Nemmeno per mio padre.» 
L'ultima osservazione venne colta da un silenzio innaturale, sembrò come cadere lentamente in un pozzo senza fine. 
«I miei genitori s'infuriarono quando scoprirono che un giorno andai a parlare con loro. Erano terrorizzati che potessi dire qualcosa riguardo il mostro che ci tenevamo in casa. Pensavano sempre e solo a lei, io e Carver quasi non c'eravamo, se non nei momenti di bisogno.» 
Diede le spalle alla statua del Creatore, voltandosi verso Sebastian a braccia incrociate dinanzi al petto.
«Quella piccola ingrata bastarda avrebbe potuto ammazzarci tutti se solo fosse scivolata fra i sussurri di un Demone o non avesse controllato i suoi poteri. Era pericolosa, come tutti quelli della sua specie! 
Il mio posto non era con loro, non era in quella casa colma di corruzione. Volevo andare via di lì. Prendere Carver e scappare con lui, portarlo al sicuro.» Chiuse gli occhi abbandonando il capo all'indietro. Sospirò pesantemente, corrugò il volto in un espressione sofferente mentre il suo respiro tremava. «Non era quella la mia vita. Non era quello il mio posto.
La mia più grande aspirazione, il mio più grande sogno e desiderio. Il mio più grande rimpianto...»

Abbassò lo sguardo, incrociando quello dell'arciere. L'ira nei suoi occhi si era placata, lasciando spazio ad altro.
Le fiamme erano state spente, lasciandoli lucidi e colmi di dolore. 
«Non ho mai chiesto questa vita. Non l'ho mai voluta. Non ostante tutti i vantaggi che mi ha portato... non la volevo. 
Se potessi la getterei al vento, solo per riprendere i miei passi. Non avrei mai dovuto lasciarmi ostacolare dai miei genitori. 
Non avrei mai dovuto permettere a quella...cosa immonda di far si che la mia vita girasse attorno a lei. 
Era mia sorella, ed allora!? Per colpa sua ho dovuto accantonare i miei sogni ed i miei desideri più ardenti.» 
Si zittì, lasciando che la sua voce smettesse di produrre quel lugubre eco che aveva riempito l'edificio per tutto il suo racconto. 
Lasciò che si prolungasse, mentre l'aria pareva riempirsi dalla tensione da lei stessa prodotta.
«Me lo impedirono, mi dissero che non potevo. Che era troppo pericoloso...per Bethany. Non per me, no, non ci hanno pensato neanche un istante. Era troppo pericoloso...per lei. 
Per lei!» Scattò in avanti, allargando le braccia, senza controllarsi più.
Assestò un potente calcio ad una delle panche di legno su cui potevano sedersi i fedeli. La colpì così forte da farla cadere, producendo una reazione a catena che fece cadere le altre messe in fila dietro ad essa. 
«Carver era l'unico che mi appoggiava! Lui era come me, soffriva al pensiero di doversi nascondere!» Riprese ad alzare la voce, sino ad urlare. 

Non le importava più di nulla.
Cosa contava il parere degli altri?
Che valore poteva avere il giudizio di un altra persona?
Nessuno.
Oramai tutto era cenere.

Sebastian scattò all'indietro quando vide il suo scoppio di violenza, non volendo rimanervi coinvolto. Aprì la bocca per dirle di calmarsi, ma le parole gli morirono in gola. Cos'avrebbe potuto dire per placarla? Niente. Non voleva essere placata, non aveva bisogno di consolazione, di amore o di qualsiasi altra cosa. Vederla in quello stato fu come un pugno allo stomaco. Il suo sguardo si rabbuiò, mentre si rendeva conto che non era questa la donna di cui si era innamorato anni addietro.
Si chiese come poteva aver contenuto tanta rabbia, disprezzo e dolore per tutti quegli anni, celandola così bene. 
Aveva mentito per tutti quegli anni? Od in lei rimaneva qualcosa della dolce Thalìa? 
Non avrebbe saputo in nessun modo far collimare le due immagini della donna che aveva in mente.
Sapeva dove voleva arrivare, l'aveva capito.
Ma infondo, non poteva che sentirsi dispiaciuto per lei. Solo il dolore e la rabbia possono plasmare così intensamente qualcuno.
E quando questi sentimenti vengono repressi, i loro cambiamenti diventano due volte più violenti.

Un urlò di rabbia proruppe dalle sue labbra, mentre si portava le mani all'altezza della nuca, facendo affondare le dita fra i capelli. Piegò il capo verso il basso, con un espressione di sofferenza dipinta su di esso. 
«Non saremmo mai dovuti venire a Kirkwall! Carver sarebbe ancora vivo! Mia madre sarebbe ancora viva! Avrei dovuto proteggerlo dai Prole Oscura! Avrei dovuto proteggerla e dai maghi! Il Creatore possa maledirli! Creature immonde, fratelli di sangue sin da quando invasero la Città Dorata! Siano maledetti!» 
Il respiro si fece affannoso, mentre sollevava lentamente il capo, lasciando scivolare le braccia tremanti lungo i fianchi.
Il volto rigato da lacrime, che come gemme splendenti le scivolavano lungo le guance per andare a morirle sulle labbra.
Le spalle tremarono, mosse dai singulti del pianto che cercava a stento di trattenere.
L'aura d'ira ed odio andò lentamente ad affievolirsi, dando così modo a Sebastian di potersi avvicinare. Mentre muoveva i primi passi verso di lei, vide le sue gambe tremare.

La ragazza che aveva fatto fuggire la sua famiglia dal Flagello.
La rifugiata che aveva fatto irruzione nelle Vie Profonde.
La nobile che aveva sconfitto l'Arishok in singolar tenzone.
La Campionessa che aveva ripulito Kirkwall dai maghi, e salvato la città.
Ed infine, visconte di Kirkwall.

In quel momento, una donna forte e potente, riuscita a costruirsi dal nulla; cadde in ginocchio.
L'uomo le accorse affianco, inginocchiandosi accanto a lei.
Ma Thalìa sembrava non vederlo.
In ginocchio, osservava la statua del Creatore. Sembrava ancora più grande e potente, ora che la rabbia era stata smorzata dal dolore.
Allargò le braccia, in un gesto di supplica, ignorando completamente l'arciere che le stringeva la spalla con rinnovata preoccupazione. 
In quel momento, c'erano solamente lei ed il Creatore.
«Avrei dovuto, seguire il mio cuore.» disse con voce tremante mentre lacrime amare continuavano a rigarle il viso «Non ascoltare nessuno. Nessuno al di fuori di te, Creatore! Sentivo che non era quello il mio destino, lo sapevo! Ed invece mi sono fatta forviare da questi effimeri legami terreni!» sospirò, interrotta da un singulto del pianto che le scosse il petto.
«Desideravo ardentemente unirmi all'Ordine. Io ho sempre desiderato...diventare un Templare.» abbassò le braccia, posandosi le mani sulle ginocchia.

Piegò il busto in avanti, tanto che la fronte toccò terra.
Il pavimento liscio era gelido a contatto con la sua fronte imperlata di sudore.
Battè con forza i pugni a terra, mentre i singulti continuavano a sconquassare il suo corpo.
«Ho lasciato che la loro magia corrompesse anche me! Ho lasciato che il mio odio dilagasse bruciando tutto attorno a me! Ho lasciato che il dolore offuscasse il mio giudizio!»
Sebastian le passò affettuosamente una mano sulla schiena, scuotendo il capo «Ora che hai confessato i tuoi peccati, sono certo che il Creatore e la divina Andraste ti perdoneranno per aver provato questi sentimenti nei confronti della tua famiglia, anche se erano maghi. La divina Elthina diceva che siamo tutti figli del creatore.» Una stilettata di dolore trafisse il cuore di Sebastian al ricordo della donna, cui era legato e che ancora rimpiangeva. Ancora una volta, una tomba scavata a causa di un mago.

«C-cosa?» domandò lei con voce tremante, tirando su il capo quel poco che bastava per poterlo guardare. «No, Sebastian. Io non ho avuto la forza...» s'interruppe mentre stringeva i pugni sino a far sbiancare le nocche, ed ancora lui cercava di consolarla. «Non ho avuto la forza di fare ciò che andava fatto. Sono stata un ingenua.
Avrei dovuto unirmi ai Templari, e salvare la mia famiglia.
Avrei dovuto denunciare mio padre alla chiesa.
Ed appena quel...piccolo mostro svelò i segni della sua maledizione,avrei dovuto prenderla per il collo e tenerle la testa sott'acqua sinchè non fosse affogata.» L'arciere rimase gelido, mentre lei confessava i suoi pensieri con tanta naturalezza.
«Invece li ho tenuti nascosti. Li ho protetti, da brava figlia e sorella maggiore. E mi sono unita all'esercito del Re Calin assieme a Carver. Ho sbagliato! Ho sempre e solo sbagliato!» esclamò con voce tremante, raggomitolandosi su se stessa.
«Ti ho deluso...sono stata una debole incapace. Perdonami...» mormorò con voce scossa dal pianto, per poi alzare la voce in un ultimo urlo disperato. Colmo di tutto il dolore ed i rimpianti repressi negli anni.
«Creatore perdonami!»

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Capitolo 4
*** Ai caduti ***


I colpi alla porta d'ingresso rimbombarono per tutto l'atrio.
Fenris alzò gli occhi dalla spada che stava affilando, nella mano sinistra stringeva la pietra da cote, mentre lo straccio imbevuto di acqua ed olio era abbandonato accanto a lui.
Si immobilizzò, aspettando di sentire se avrebbero insistito. Ci fu qualche altro secondo di pausa, poi altri forti colpi.
Mise da parte l'arma e gli utensili, scendendo velocemente gli scalini della villa per recarsi all'ingresso.
Si avvicinò alla porta con cautela, in modo da non far sentire i propri passi dall'esterno, ma abbastanza da poter sentire suoni esterni.
«Fenris, sono io.» disse una voce femminile dall'altra parte con tono abbastanza alto da farsi sentire attraverso la superficie lignea.
L'elfo aprì la porta quel tanto che bastava perchè la Campionessa potesse sgusciare all'interno della casa.
«Sai che non dovresti venire tu qui da me. Di giorno potrebbero vederti più facilmente.» Thalìa fece un mezzo sorriso, mentre si levava il cappuccio «Lo so. Il Visconte non dovrebbe nemmeno permetterti di vivere qui, figurarsi venire a trovarti.» fece uscire la mano destra da sotto il manto, passandogli una borsa. Fenris si accigliò un istante per poi aprirla e guardarvi dentro.
Vi erano quattro bottiglie di vino, Agreggio Pavali. L'elfo le fece un cenno di ringraziamento col capo ed uno dei suoi pacati sorrisi, che la guerriera ricambiò.
Da quando il proprietario della villa aveva lasciato lì alcune bottiglie di quel vino, e Fenris le aveva raccontato di come Danarius glielo facesse servire agli ospiti per intimorirli, era in qualche modo diventato il loro vino. Una piccola rivincita in qualche modo, bere il vino degli schiavisti che prima era costretto a servire. Una cosa simbolica.
Quand'erano finite le bottiglie, poi Thalìa aveva fatto in modo i farne arrivare altre dal Tevinter.

Le fece salire le scale, sino a portarla nello studio, dove aprì due bottiglie per poi accomodarsi con lei. 
«Cos'è successo?» le domandò mentre le versava del vino nel bicchiere di vetro trasparente. Thalìa si accigliò, avvicinando il bicchiere a se «Perchè me lo chiedi?» Fenris le indicò con un gesto fugace della mano il suo volto. «Quell'espressione. Hai delle  preoccupazioni.» lei lo squadrò con aria interrogativa, facendolo sorridere. «Più del solito, intendo. Hai un aria tormentata.»
Thalìa stava per cercare di sorridere, stava per tentare di dirgli che andava tutto bene, che non era nulla.
Ma non era più tempo di fingere.
Aveva smesso di fingere nel momento in cui, la mattina precedente, aveva sfogato i suoi sentimenti repressi dinanzi gli occhi del Creatore e della sua divina sposa, Andraste.
Lo osservò alcuni istanti prima di rispondergli. Si fidava di lui, fra tutti i suoi compagni probabilmente era quello in cui riponeva più fiducia.  La pensavano allo stesso modo sulla faccenda dei maghi, e frequentemente si trovavano d'accordo anche in discussioni di natura diversa. Oltretutto, era affidabilissimo sul campo di battaglia. Entrambe combattenti a due mani, si erano trovati spesso spalla contro spalla ad affrontare un avanzata nemica. Se sul campo avesse dovuto decidere a chi affidare la propria vita, avrebbe scelto lui.

Prese il bicchiere con la destra, avvicinandoselo alle labbra per far scivolare parte di quel liquido cremisi lungo la sua gola.
«Sebastian. Se n'è andato.» rispose rigirandosi il bicchiere in mano. «Non sapevo nemmeno che fosse tornato.»
«E non tornerà più.» disse con tono di voce fermo e freddo. Fenris rimase zitto, soppesando le parole con cautela, prima di pronunciarle. «Porto Brullo richiede più attenzioni del previsto? Oppure non ha più...motivo di tornare?» Thalìa apprezzò la delicatezza con la quale glielo aveva chiesto, e lo dimostrò facendogli un mezzo sorriso sincero. «Ambedue.»
«Mi dispiace.» la donna sospirò, prima di mandar giù un altro sorso di vino. «Sono pazza? Ho esagerato? Come Meredith, intendo.» gli chiese, sapendo di poter contare sulla sua sincerità. Non era il tipo da indorarti la pillola.
Fenris si adagiò sullo schienale della sedia, facendo un cenno di diniego col capo. «Avrei fatto le stesse cose che hai fatto tu.»
«Anche uccidere tua sorella?» 
«Ti ricordo che se non me lo avessi impedito, quel giorno all'Impiccato, lo avrei fatto. Perciò si, anche quello.» rimase zitto qualche istante, abbassando lo sguardo. «Hai avuto dei ripensamenti?» la donna scosse il capo «Mai. Neanche per un istante. Sono convinta fino all'ultimo di ciò che ho fatto. Ad essere sincera, mi rammarico di non averlo fatto prima. Forse avrei risparmiato altre sofferenze.» Fenris non potè fare a meno di annuire alle sue parole.
Thalìa voltò il capo, osservando la finestra impolverata che lasciava appena intravedere uno scorcio della Città Superiore.
La fioca luce che a stento penetrava la lastra le carezzava il volto, mentre alcuni pulviscoli danzavano pigramente all'interno del raggio solare.

Fenris piegò leggermente il capo nell'osservarla, sorseggiando il suo Agreggio Pavali.
Gli altri la vedevano come se fosse completamente cambiata, stravolta addirittura rispetto a quando la incontrarono la prima volta.
Lui non la vedeva affatto stravolta. La vedeva cresciuta, vedeva come la dura realtà l'avesse colpita fuori dal Ferelden, forgiandone il carattere sino a renderla ciò che era ora. Non era cambiata, semplicemente le sue esperienze avevano tirato fuori la vera Thalìa dal suo guscio delicato.
La donna non fece caso ai magnetici occhi dell'elfo su di se. Sapeva benissimo che era un tipo silenzioso ed estremamente riflessivo.
Un altra delle ragioni per la quale erano sempre andati d'accordo. Non è sempre necessario parlare in continuazione.
Fenris era quel tipo di amico col quale potevi condividere un profondo silenzio che valeva più di mille parole, e rimanere comunque a tuo agio.
L'elfo alzo appena il bicchiere che teneva in mano, attirando la sua attenzione. «Ai caduti.» Thalìa sorrise mestamente, condividendo però il suo gesto.

Dopo un paio d'ore di conversazione pacata interrotta da quieti silenzi, Fenris si fece sfuggire una breve risata. Thala si accigliò, mentre metteva da parte la seconda bottiglia di vino, oramai vuota. Le sue gote avevano un lieve colorito più rosato per via del vino, sebbene la sua mente fosse ancora lucida. «Perchè ridi?» domandò all'elfo che scosse appena il capo, per poi alzarsi e dirigersi alla finestra. La donna lo seguì, osservandolo col capo appena piegato verso sinistra. 
Lui aveva un sorriso appena accennato sulle labbra sottili, e lo sguardo lontano. Thalìa gli mise una mano sulla spalla, cercando di farlo voltare verso di lei. «A cosa stai pensando?» domandò con voce seria, non capendo. 
Fenris si voltò verso di lei, ed alzò ambedue le mani, posandole sulle sue guance. La campionessa non capiva, ma non si mosse. Accettò il contatto, posando la propria mano destra sulla sinistra di lui. «Sai Hawke...» iniziò lui con la sua voce calda e roca «...noi siamo molto simili. Oserei dire quasi uguali. Alle volte mi chiedo perchè non è mai nato nulla fra di noi.» Per un attimo, la risolutezza di lei vacillò, facendole abbassare gli occhi, mentre quell'interrogativo s'insinuava in lei. 

Sarebbe cambiato qualcosa? La sua fermezza sarebbe diminuita od aumentata?Ma sopratutto...come sarebbe stato avere una persona accanto in quegli anni? Sebastian, si era resa conto, non era stato nulla più che un idea. Si era innamorata dell'idea che lui trasmetteva. Della sua incrollabile fede, della determinazione nel compiere il volere del Creatore e della Chiesa. Non si era veramente innamorata di Sebastian, ma di ciò che lui rappresentava, del fatto che era totalmente immerso in una realtà che lei aveva bramato per tanti anni...senza poterla però mai abbracciare.
Fenris invece, era reale. Lo era sempre stato, ma lei non lo aveva mai considerato più di un amico, un compagno di battaglia. Ed ora, improvvisamente veniva posta dinanzi un quesito ed un punto di vista che non l'aveva mai sfiorata prima. Perchè?

Sentì l'elfo carezzarle delicatamente le gote con i pollici, senza interrompere il contatto. Molte volte aveva visto quelle mani strappare via la vita alle persone grazie al lyrium innestato nella sua pelle, ma mai le aveva considerate capaci di tanta delicatezza.
Si diede della sciocca per quello, per non aver mai considerato uno dei suoi più fidati compagni anche al di fuori del combattimento e di una serata in compagnia all'Impiccato.
Sollevò nuovamente lo sguardo, incrociando gli occhi grandi e luminosi che caratterizzano tanto gli elfi, e li trovò più caldi che mai.
Socchiuse le labbra per dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma rimase in silenzio.
Per un attimo pensò alle risate che avrebbe fatto Varric se l'avesse vista così. Senza parole e totalmente disarmata.

Prima che se ne rendesse conto, Thalìa sentì le labbra dell'elfo premere sulle sue. Trattenne il fiato, mentre istintivamente portava le mani ai sui fianchi, sentendo la necessità di un appiglio. Fenris fece scivolare la sinistra dietro alla sua schiena, cingendola a se, mentre la destra affondava nei suoi capelli.
Fu un bacio lungo e passionale. Lo strinse a se con più veemenza, e l'elfo non fu da meno. Ma la cosa fece rendere conto Thalìa che non solo il fuoco della rabbia e dell'odio potevano far ardere una persona, rischiando di farle perdere il controllo. 
E la cosa, la spaventò.
Dopo alcuni istanti, si costrinse a staccarsi delicatamente da lui, e Fenris non fece resistenza per tenerla a se.

La donna lo guardò negli occhi senza dire nulla, col fiato corto ed il cuore che batteva a mille. Fenris rispettò il suo silenzio, le sorrise scostandole alcune ciocche di capelli dalla fronte.
Il silenzio non era mai stato un problema fra di loro. Ma per la prima volta, Thalìa sentiva che era un silenzio di natura completamente diversa...
Scosse il capo, mentre un sorriso confuso si dipingeva sulle sue labbra rosee.
«Perdonami. Non avrei dovuto...» disse improvvisamente l'elfo, scostando la mano dal suo volto, facendo qualche passo indietro.
Thalìa non sapeva come replicare, come rispondergli. Incrociò le braccia sotto al seno, guardandolo con la coda dell'occhio. «Non devi scusarti di nulla.» disse semplicemente, per poi fare qualche passo verso il proprio mantello, abbandonato su di una sedia.
«Non posso mancare a lungo dal Palazzo. O cominceranno a chiedersi dove sono finita.» si rimise il mantello in spalla, e scese al piano inferiore dirigendosi alla porta. «Stammi bene, Hawke.» le disse l'elfo, mentre lei gli faceva un mezzo sorriso, calandosi il cappuccio sul volto con la sinistra. Con un gesto un po' impacciato, allungò la mano destra per posarla sulla sua guancia. Gli fece un mezzo sorriso, carezzandolo fugacemente. «Riguardati Fenris.» si scambiarono un cenno d'intesa. Dopodichè, Thalìa se ne andò richiudendo la porta dietro di se senza far rumore.

Passò qualche giorno, e Thalìa svolse i doveri che le erano stati imposti a palazzo. La maggior parte delle udienze venivano richieste da nobili che venivano solo per sperare in privilegi maggiori. Litigi per un terreno o l'altro, monete che non erano state risarcite...
Nulla riusciva a farle salire più velocemente la nausea.
Ma Thalìa riceveva anche postulanti di classi sociali inferiori, o che non appartenevano nemmeno ad una classe sociale. Cercava di essere magnanima con loro, ma non appena arrivava qualcuno anche solamente sospettato d'utilizzare la magia veniva giustiziato sul posto. Se fossero stati maghi del sangue, sarebbe stato troppo pericoloso tenerli in cella.

Una mattina, decise di ritornare dall'elfo. Non aveva intenzioni strane nei suoi confronti, aveva solo bisogno di parlare con qualcuno che non la vedeva come una specie di folle fanatica. Di mostro. Talvolta, persino Varric od Isabela la guardavano storto.
Bussò più volte quando giunse alla sua porta, ma non rispose nessuno.
«Fenris? Sei in casa?» domandò a voce alta, bussando ora con più forza. La porta cigolò sotto i suoi colpi, aprendosi.
Rimase ferma qualche secondo all'uscio, maledicendosi per aver lasciato la spada a palazzo in modo da non insospettire nessuno per strada. Non era da Fenris lasciare la porta aperta. Doveva essere successo qualcosa.
Entrò cercando di essere il più circospetta possibile, sebbene non avesse neanche un po' della furtività di Isabela.
Il silenzio regnava sovrano all'interno della grande villa, un posto pieno di nascondigli per ladri ed assalitori. L'immobilità permeava l'aria, rendendo il luogo più spettrale del solito.
Salì le scale sino al piano superiore, dove l'elfo passava la maggior parte del suo tempo. Aprì la porta con cautela, ma nessun rumore proveniva dall'interno. Sbirciò attraverso la fessura appena creata. Non vide nulla. Sbarrò gli occhi mentre apriva del tutto la porta, guardandosi attorno confusa.

La stanza era vuota. Nessuno degli effetti personali dell'elfo era presente all'interno della stanza. «Fenris...?» chiamò con voce flebile, muovendosi per la stanza in cerca di qualcosa che smentisse l'inequivocabile situazione. Qualsiasi cosa... Indietreggiò sino a scontrarsi inavvertitamente contro il tavolo. Trattenne il fiato per qualche secondo, mentre si lasciava lentamente cadere su di una sedia. Lo sguardo si fece vacuo mentre sentiva un opprimente senso di sconforto salirle in gola come non accadeva da tempo. Il suo amico più fidato, il suo punto di forza all'interno del gruppo...Nessun singulto scosse il suo petto. Ma una limpida lacrima cristallina le scivolò sul volto, andando a morirle sulle labbra tremanti.
Se n'era andato.
Fenris, se n'era andato.

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Capitolo 5
*** Addio ***


Lo spadone ruotò sopra il suo capo prima di recidere di netto la testa del manichino. In uno sbuffo della paglia uscì dal collo di pezza spargendosi a terra. La donna aveva il fiatone, aveva passato tutto il giorno ad allenarsi per temprare ulteriormente il fisico, ma sopratutto cercare distrazione. Ma in un moto di nervosismo aveva brandito lo spadone menomando dei manichini innocenti.
Lasciò andare l'arma con un gesto secco, essa rimbalzò a terra con un cacofonico suono metallico.
La campionessa indossava una fascia che le stringeva e riparava in seno, brache semplici e scarpe d'uguale fattura. Eccetto lei ed il suo Mabari, il campo d'allenamento era completamente vuoto. L'ora era tarda,  ed aveva chiesto d'esser lasciata sola.
Non riusciva a non pensare a Fenris, perchè se n'era andato? Lei non l'avrebbe mai trattenuto contro la sua volontà, ma avrebbe voluto che almeno la salutasse prima di andarsene...
Sospirò, andando a posarsi con la schiena contro il colonnato, sollevando il capo per guardare il cielo.
Il segugio uggiolò, percependo il suo stato d'animo. Le si andò a posare con il capo sulla gamba, allungando il muso per poterle sfiorare una mano.
Thalìa fece scivolare la schiena lungo la colonna, sino a sedersi a terra. Guardò il segugio, prima di abbracciarlo per fagli le coccole.
«Sto bene, non preoccuparti.» gli disse con voce pacata, facendogli i grattini dietro alle orecchie. «Forza, facciamo quattro passi.»

«Che cosa!?» esclamò ad alta voce, attirando l'attenzione della cameriera poco distante. Si ricompose, sistemandosi il cappuccio sul capo e chinandosi più verso il tavolo. «Se n'è andata anche lei?» ripetè in un soffio, mentre Varric posava il proprio boccale.
«Si. Isabela è riuscita a recuperare una nave, e Fenris s'è imbarcato con lei.» la campionessa era tentata di chiedergli se sapeva dove se ne fossero andati, ma aveva forse importanza? 
Thalìa scosse il capo, sospirando. «Non mi hanno...nemmeno salutata. Dopo tutto quello che abbiamo passato assieme.» alzò lo sguardo verso il nano «Almeno tu sei riuscito a salutarli?» domandò con un filo di voce mentre l'altro scuoteva il capo. «No. Sono partiti e basta. Sai com'è fatta Isabela, e penso che nemmeno Fenris sia il tipo da adii.»
Thalìa dovette dargliene atto, facendo un mezzo sorriso per nulla convinto. «E tu?» domandò infine scivolando sullo schienale della sedia, mentre l'amico la guardava senza capire. «Tu quando te ne andrai?» Il nano abbassò lo sguardo, rigirandosi il boccale di birra fra le mani. E lei capì che anche la sua partenza non era molto lontana. Un moto di nervosismo colse il suo animo, mentre l'amarezza tornavano a farsi largo in lei, straziando le sue carni per poter fuoriuscire ed avere libero sfogo. 
«Va bene, ho capito. Nessuno...vuol star vicino alla donna con le mani sporche di sangue. All'ombra di Meredith, vero?» disse con acidità nella voce, mentre arricciava le labbra e le narici si dilatavano. Le sopracciglia si corrugarono ed il suo volto divenne una maschera di nauseabondo disgusto. «Ma no Hawke è solo che...» lei si alzò di scatto, rimettendo in malo modo la sedia al suo posto. «Non c'è nessun problema Varric. Davvero. Tu avrai sicuramente i tuoi...affari da svolgere, così come io ho i miei. Ma per quanto tu e gli altri possiate fare gli schizzinosi con me; ricordati che le vostre mani sono sporche di sangue quanto le mie. Le frecce che hai scagliato con Bianca, così come i pugnali di Isabela, e tutte le nostre armi, grondano del sangue dei maghi della Forca.» mise la mano destra nel borsello. Estrasse qualche moneta, per poi gettarla sul tavolo. Gli diede le spalle, indirizzandosi verso la porta. «Talos!» il cane accorse al richiamo della padrona, seguendola.
La donna si fermò sulla soglia, posò la mano sullo stipite della porta, per poi voltare appena il capo verso Varric, che la guardava allibito. «”Ed Hawke se ne andò, voltando le spalle ai suoi più cari amici, che tanto l'avevano delusa.” Puoi concludere così il tuo prossimo racconto, che ne dici?» gli disse aspramente, per poi andarsene via.

Qualche giorno dopo, Thalìa aveva da poco congedato servi e postulanti, chiedendo d'esser lasciata sola nella sala del trono. 
Ma il Capitano delle Guardie aveva necessità di conferire con lei. Perciò, ignorando volutamente i suoi ordini, si diresse verso la sala, che anni prima era stata teatro della sanguinosa battaglia fra Thalìa e l'Arishock.
Aveline si fermò dinanzi le grandi porte, sollevando il braccio destro per poter bussare un paio di volte. Attese qualche istante, aspettandosi di sentire la voce dell'amica che dava il secco ordine di allontanarsi. Eppure, dall'interno non venne il benchè minimo rumore. Si accigliò, e mandando a quel paese le convenzioni sociali, spalancò la porta. La sala del trono era parzialmente illuminata dai raggi di sole morente che trapelavano dalla finestra, aiutati dai candelabri e dalle torce appese alle pareti. Il silenzio regnava sovrano, e non le ci volle più di qualche istante prima di rendersi conto che...era completamente vuota. S'accigliò, dirigendosi di corsa verso le stanze private di Thalìa. Spalancò la porta con la mano sinistra, la destra che stringeva la spada, temendo di trovarla nei guai, per quanto fosse poco credibile.
 Thalìa dava le spalle alla porta, intenta a lasciare qualcosa sopra al tavolo posto sotto alla finestra della camera. Una lettera sigillata.
Aveva un mantello scuro, dietro alla schiena s'era fissata lo spadone a due mani e su una spalla portava una grossa sacca da viaggio.
Talos scodinzolava accanto a lei, e quando vide la porta spalancarsi trotterellò di corsa verso la donna di capelli rossi, abbaiando.
Quando Thalìa si voltò, Aveline potè notare che era in armatura completa, l'elmo tenuto sotto il braccio. Ma non era l'armatura della Campionessa che le era stata regalata anni prima dagli altri nobili. Era un armatura anonima, di ottima fattura ma che la faceva sembrare una persona qualsiasi.
«Cosa c'è scritto?» le chiese l'amica, scostando la mano dalla spada. Thalìa le andò incontro, soffermandosi a poca distanza da lei. «Fra le altre baggianate per tener buoni i nobili?Che me ne vado. E che voglio che sia tu, a dare una mano.» Aveline assottigliò lo sguardo, quasi non capendo. «Vuoi dire...»
«Si, vorrei che gestissi tu la città. Sei imparziale, severa e terribilmente cocciuta. Io non ho più niente da fare qui. So che non è il...tradizionale sistema d'elezione. Non voglio darti l'onere del Visconte vero e proprio. So quanto detesti certe cose ma non voglio lasciarla in mano agli altri nobili. La distruggerebbero in men che non si dica.» fece per oltrepassarla, ma Aveline l'afferrò per la spalla, trattenendola. «Non puoi andartene così! Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che abbiamo fatto...la città si fida di te!»
«Si fida di noi! Non ho più nulla da fare qui. Qui non è rimasto altro che cenere, rabbia ed odio. Ed io non ho intenzione di rimanere un secondo di più!» il capitano delle guardie studiò l'amica. Conosceva quello sguardo intenso. Non avrebbe accettato un rifiuto da parte sua, a rischio di doverla sbattere contro il muro. Non ne avrebbe intralciato la strada. 
Aveline abbassò la mano, limitandosi ad annuire. «Dove hai intenzione di andare?»
«Il Creatore guiderà i miei passi.» si studiarono in silenzio, ed Aveline si abbassò per carezzare il segugio. «Ho sistemato tutte le questioni più gravi ed urgenti in questi giorni. A parte lo sbigottimento iniziale non dovresti avere problemi.» Talos fece le feste alla donna corpulenta, strusciandosi contro le sue gambe mentre questa tornava ad alzarsi. «Già, sperando di non dover incorrere in chissà quante insurrezioni...» 
«Buona fortuna Aveline.» tagli corto Thalìa, ponendosi l'elmo sul capo. Allungò poi ambedue le mani, stringendo le spalle dell'amica.
L'altra ricambiò la stretta. Un singolo cenno del capo ed uno sguardo.
Thalìa uscì assieme al segugio, chiudendo la porta dietro di loro senza fare rumore.

«Come? Tutto qui? Nessuna uscita di scena in grande stile? Se n'è semplicemente...andata.» Varric rise guardando l'espressione delusa sul volto del Toro di Ferro. «Già. Non ho più saputo nulla di lei. In realtà, all'inizio non l'ho nemmeno cercata. Non dopo il nostro...tragico addio.»
«Non puoi veramente biasimarla.» ribattè Cullen, andando a sedersi con gli altri.«Infine forse ha calcato troppo la mano, come Meredith, ma aveva le sue buone ragioni.» Varric sospirò, alzando ambedue le mani in segno di resa. «Sono stato in mezzo a questi battibecchi sui maghi troppo a lungo, preferirei tirarmene fuori per un po'!»
«Continuo a chiedermi se la Campionessa ed il Comandante si siano incontrate...» aggiunse sovrappensiero Cassandra ravvivando il fuoco, per poi scambiarsi uno sguardo con Leliana, che aveva ascoltato la storia in disparte e senza aprir bocca. Anche gli altri voltarono lo sguardo verso il bardo, ben sapendo che lei era stata compagna di viaggio del Custode Grigio durante il Flagello nel Ferelden, e che aveva incrociato brevemente la Campionessa un paio di volte.
La donna dal limpido sguardo azzurro fece qualche passo avanti, incrociando le braccia sotto al seno e sospirando. «Se si fossero incontrate, non so quanto sarebbero andate d'accordo. Il Comandante non era così fiscale con i maghi. Non aveva nulla contro di loro, anzi. Andava molto d'accordo con l'eretica che ci seguiva, erano...”amiche”. Sempre che Morrigan conoscesse veramente il significato di questa parola. Un tempo era una donna davvero molto ambiziosa. Almeno finchè...» sospirò, scuotendo appena il capo, per poi riprendere. «Ma era anche una fedele credente del Creatore e di Andraste. Infondo, potrebbero parlare la stessa lingua.» Varric studiò la donna, carezzandosi fugacemente la barba incolta sul mento. «Perchè non ci racconti qualcosa del Comandante? Si chiama Reyna, giusto? Reyna Cousland?» Leliana sorrise, scuotendo appena il capo «Non ora. L'inquisitore tornerà a momenti. Ma anche io talvolta mi chiedo di Reyna e Thalìa...» Il nano sorrise, quel suo sorriso sornione che gli si dipingeva sul volto come quando gli chiedevano di raccontare qualcosa. Il sorriso di chi sa giù tutto quanto. «Beh...non ci rimarrà che attendere, e scoprirlo.»

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