Per quando tornerai

di Ale_xandra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Marea ***
Capitolo 3: *** Sei tu ***
Capitolo 4: *** Genova ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Io non sono più il tuo segreto. Perché non c'è più niente tra di noi”

 

 

“Io non ho mai amato...”

Abbasso lo sguardo. Penso. È vero? No che non è vero. Solo che mi prende sempre una fitta al cuore. E il naso scricchiola silenziosamente per rispondere alle lacrime sottopelle che urlano di voler uscire. Ma non le lascerò emergere. Muoiano pure sotto il peso del mio ricordo, fantasmi che io stesso produco e uccido infinite volte. Scaccio le voci, i colori, i suoni che già mi annebbiano la mente.

“Nessuno” Un nome che nega qualcuno di innegabile. Che da qualche parte ancora respira senza di me, che apre gli occhi la mattina, che forse piange la sera e sorride di notte, nel sonno.

“Prima di te” TU. Tu chi sei? Sei la persona giusta, ecco chi sei. Sei pura e io con te sono incontaminato. Anzi sono nulla. Sono un guscio vuoto che si lascia riempire. Una conchiglia che ha visto morire la creatura con cui ha condiviso l'esistenza e ora si lascia sommergere dall'acqua e zittire dalla sabbia. Ma è ormai morta anche lei. Deve solo rimanere qui perchè nessuno se ne accorga.
E semplicemente pensavo, mentre le dicevo quelle parole, che no: non la stavo lasciando entrare dentro di me, non avrebbe sostituito nessuno, non mi avrebbe riportato in vita, mi avrebbe avrebbe solo aiutato a fingere di non essere mai morto.

Un fantasma. Ecco ciò a cui mi sono ridotto. Un fantasma vestito di abiti umani che non trova nemmeno più difficoltà ad andare contro la propria natura, quando di fatto non ha ormai alcuna natura.

Sono nulla. E non capisco nemmeno come Claudia riesca ad amarmi. Cosa ama? Cosa vede dietro questi occhi. “profondi”: così li chiama lei. Certo, profondo è il baratro che vi si nasconde, dietro un vetro opaco che non riflette più da quell'ultima volta.

E ora sì che vorrei piangere. Per fortuna è buio e se abbasso le palpebre mentre i denti penetrano le labbra posso ancora vederli i suoi occhi verdi. Li bevevo e possedevo sulle mie iridi umide mentre si avvicinavano tanto da uscire dalla mia visuale.

L'ultimo bacio: al sapore di ciliegie, di sole, di rugiada... ma anche di vento, di pomeriggi grigi, di fiori appassiti sul davanzale. Damiano ti amo. Allora come adesso e adesso come allora. E quello non era l'ultimo addio perché ti dico addio ogni giorno e continuo a non crederci, nonostante gli anni passati.

Ancora spero di sentire la tua voce, da qualche parte nel vento. O nel mare. O nel cielo. Forse anche nella pioggia, quella che guardavamo cadere dalla nostra finestra, vestiti di lenzuola, scottandoci le pelli nude sul calorifero.
Ed eravamo sotto la pioggia anche quel giorno. E i baci erano amari anche se le tue labbra erano dolci, le lacrime fredde. Ti lasciavo andare, mi lasciavi restare.

Ti amavo troppo per viverti accanto. Troppa gioia, troppo dolore. Troppa vita. Tu eri troppo perché io riuscissi ancora a respirare in questo mondo in cui tutto spariva dissolto dalla tua presenza.  

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Capitolo 2
*** Marea ***


Non più lacrime, il mio cuore è arido
Non rido e non piango
Non penso più a te tutto il tempo
Ma quando lo faccio - mi domando perchè

devi uscire fuori dalla mia porta
e andartene, come hai già fatto in passato
so di aver detto di essere sicuro
ma gli uomini ricchi non possono immaginarsi poveri

Un giorno, tesoro, saremo vecchi
Oh tesoro, saremo vecchi
E penseremo a tutte le storie che potremmo aver raccontato

piccolo me, piccolo te
continuiamo a fare le cose che fanno gli altri
non ci pensano davvero a fondo
così come io non potrei mai pensare che tu sia sincero

eccomi di nuovo, ad incolparmi:
il senso di colpa, il dolore
la sofferenza, la vergogna
i padri fondatori del nostro aereo
che è bloccato tra nuvole pesanti di pioggia

Un giorno, tesoro, saremo vecchi
Oh tesoro, saremo vecchi
E penseremo a tutte le storie che potremmo aver raccontato 

Asaf Avidan



Le prime volte è dura. Le prime volte ti sembra di impazzire. Le prime volte piangi e non riesci a smettere. Le prime volte... tornano sempre.
Ma nel frattempo, anche se vorresti continuare a piangere, le lacrime non scendono più. E smetti di cercare il suo numero nella rubrica. Sospeso tra piacere e dolore, tra euforia e disperazione, vai avanti. A volte cadi ma vai avanti sbucciandoti le ginocchia. Grattando via la pelle dalle articolazioni contro l'asfalto. 
Vai avanti. 

L'ho fatto. Mi sono rialzato. Ho creduto di farlo. L'ho fatto credere.
E ora sorrido senza felicità. Sorrido ad un giorno, un altro giorno, sempre più lontano da un passato che non mi trascina più. Sono io a trascinarlo. Mi lego quotidianamente il suo peso intorno alla vita, ma no. Lui non vuole seguirmi ormai. 
Solo che amo il dolore che mi procura. Le ferite che incide nella mia pelle, tra le costole...


Temevo, in quegli anni, di essere diventato solo uno stupido masochista. Sfortunatamente non avevo molte altre possibilità. Avrei dovuto pensarci prima, ma mi ero illuso che da quella relazione ne sarei uscito felice, anzi che non ne sarei uscito affatto.
Tuttavia non ho mai rinnegato nulla. Viviamo tutti di illusioni, sogni, speranze irrealizzabili. E forse non sarei neppure in grado di svegliarmi la mattina se la follia di vivere non mi cogliesse puntalmente.
Solo una volta infranti gli specchi delle illusioni, la realtà, nuda, si lascia scoprire nella sua tragicità.
A quel punto puoi piangere, urlare, disperarti. Poi devi decidere se continuare a lasciarti affondare dalla vita o fingere di dimenticare e tornare ad amarla, come se non fosse questa il più crudele degli esseri. 
Io non ho scelto. 
Ho solo aspettato. 
È arrivata l'alta marea e poi è tornata la bassa. Hanno lottato entrambe per possedermi in maniera esclusiva per anni, senza mai produrre vincitori. 
Io ho pazientato. Ho trattenuto il fiato nei tempi di acqua alta e riassaporato l'aria quando il livello scendeva fin alle caviglie. Non ho preteso. Non ho ringraziato.
Muto e ad occhi chiusi mi sono lasciato calpestare e sollevare dalla vita. Ciò che ne rimaneva perlomeno. 
Mi chiamo Damiano. Qualcuno mi chiama Vincenzo. Ho venticinque anni, un'esistenza traballante quanto una barchetta di carta lasciata navigare in una pozzanghera dopo la pioggia, ma la malinconia rende indifferenti persino rispetto a questo.
Per cui mi lascio trasportare dalla brezza pomeridiana, scivolo lungo le sponde dell'Arno in questa magnifica Firenze e aspetto che il tramonto riflesso nelle sue acque mi quieti l'animo, lo liberi dalla disperazione che lo turba di giorno come di notte e lo ospiti in questa terra di mezzo.










Non prometto più nulla. Ma io come Damiano in questo periodo ho voglia di aggrapparmi a qualcosa per mantenermi in vita. E voglio disperatamente scrivere. Perciò vi prego, credete in me, credeteci che avrò le forze di continuare. Ne ho bisogno e so esattamente come proseguire, per cui incrocio le dita per me stessa e rincomincio a tessere le fila di questo discorso interrotto. 
Per chi vuole esserci, a cadenza settimanale, aggiornerò la storia.



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Capitolo 3
*** Sei tu ***


Sei tu sei tu

 

Se avessi potuto andare avanti senza pensare l'avrei fatto. Se, come abbiamo scoperto, non pensarti era impossibile, avrei preferito rimanere immobile nella mia vallata di lacrime ad attendere il nulla infinito. Ma ti avevo lasciato perché tu ed io potessimo emergere dalla palude in cui affondavamo sotto il peso del nostro abbraccio, e rimanere lì ora che mi ero concesso la possibilità di risalire senza di te sarebbe parso infame.

Come potevo sperare che tu, voltato l'angolo, imboccassi la via per la tua personale città dell'oro, se io stesso mi fossi lasciato morire prima che scendesse la notte?

Ti ho lasciato volare via perché ti amavo, per quanto banale possa sembrare. Mi avevi avvisato, ne ero più che consapevole, ma era giunto il momento di preservare me stesso. Perché non sono mai stato un egoista.

E spero di rivederti un giorno felice come non sono mai stato capace di renderti.
Sono solo servito da anestetico. Una malsana ancora di salvezza che prima o poi si sarebbe spezzata. Avevi bisogno di camminare sulle tue gambe, anche se probabilmente stai ancora gattonando e piangendo per il dolore che ti ho procurato. Non ti accorgi di come il tuo petto sia più leggero, ora che sei libero di volare.

Se fossi qui con me, Lorenzo, ti direi di nuovo di scappare, correre, urlare. Inseguire tutto ciò che hai sempre cercato.

Non era il momento per noi due. Forse non lo sarà mai. Ma se c'è un modo per essere felici, lì fuori, per entrambi, allora è il caso di trovarlo.

Noi due insieme non lo eravamo.

 

Visto dall'esterno, anche se nessuno poteva vedermi, chiunque avrebbe pensato che fossi una povera anima abbandonata. Ed era così che mi sentivo. Ma Lorenzo, dopotutto, non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarmi. Neppure se non mi avesse amato. Un innato stato d'inerzia lo portava a mantenere intatte anche le situazioni più dolorose.

Dal canto mio, non sono un masochista e, innamorato com'ero, appena mi resi conto di quanto poco ero stato in grado di renderlo la persona più felice e serena della Terra, l'ho lasciato andare via.

Non perché credessi che quella ragazza su cui stava progettando di ripiegare l'avrebbe mai reso tale, ma se ancora pensava, lui, di poter essere felice mentendo e sacrificando se stesso, allora non era pronto. Non era pronto per me, per noi, per la vita.

Doveva smettere di sognare. Smettere di fingere d'essere qualcun altro. Smettere d'uccidersi. Smettere di vedere nero dove io gli indicavo il bianco.


I primi tempi... I primi tempi sono stati puro, folle dolore. E nonostante tentassi di lasciarmi convincere dalle più che plausibili motivazioni per cui avevo agito, sapevo solo che mi mancava enormemente. Io forse non gli mancavo, forse gli sarei mancato più tardi.

Intanto mi sentivo così vulnerabile e fragile.

Così perso e sconfitto dalla vita. Ma un'altra parte di me, forse il Vincenzo su cui Damiano si è sempre appoggiato, mi ricordava che la voglia stessa di sopravvivere mi avrebbe permesso di superare anche questo, soprattutto questo, perché niente mai era stato tanto difficile.

Forse essere lasciato sarebbe stato più facile, per quanto agghiacciante sia tale consapevolezza, ma aver rinunciato a lui era stato stato come strapparsi via un pezzo malato di cuore e aspettare di vederlo ricrescere, contro ogni logica. Dovevo solo aver fede, sperare.

In bilico tra emozioni e razionalità, tra ciò che il mio cuore esigeva di diritto e ciò che la mente gli vietava per proteggermi... Li odiavo entrambi. Avrei tanto voluto non provare alcun sentimento e allo stesso tempo zittire quella coscienza prudente che mi aveva strappato via ciò che più amavo al mondo.

Ma mi prometteva tanto in cambio di quel sacrificio; aspettava solo che io mi rimettessi i piedi, scostassi la calce e i detriti della battaglia dalla mia anima logora, e partissi alla ricerca del mio premio.

Non sapevo neppure che forma avesse, sapevo solo come avrei dovuto sentirmi quando me lo sarei trovato di fronte.






Buongiorno folli creature (masochiste direi) che osate aprire ancora gli aggiornamenti di questa storia malata - come lo sono poi tutte le storie del genere umano - e perché no? mi fate sapere che ci siete. Tra l'altro scusate se non ho mai risposto, ma progettavo di farlo nel momento in cui sarei stata sicura di tornare, di riportare in scena i miei amati Damiano e Lorenzo. Ora il cerchio è completo. Avete sofferto insieme a loro (e mi avete odiato... sentimento assoolutamente necessario per la buona riuscita del piano), nel momento del brusco allontanamento, avete vissuto i primi attimi di "Puro e folle dolore" come lo chiama Damiano attraverso i pensieri di Lorenzo e Damiano stesso, e ora, finalmente, iniziate a scoprire il perché di tutto ciò, a partire dal fatto che sì, come si può intuire dal terzo capitolo di questo prologo infinito, è stato Damiano a porre fine alla loro relazione. 
Ora che voi siete pronti a proseguire e lo sono anch'io, possiamo ritornare ad immergerci nelle vite di Damiano e Lorenzo, che un po' sono anche le mie (vi capita mai di rivedervi in alcune delle loro scelte? a me sì... ma sarà perché ne sono l'autrice). 
Per caso ho notato che il 26 è l'onomastico di Damiano. E il 27 quello di Vincenzo. NOn è straordinario?? :) un segno del destino... che devo aggiornare proprio il 26. Ed è questo che farò, sperando che ci siate anche voi a festeggiare insieme il nostro amato Damiano Vincenzo;) 
Piccolo consiglio: ascoltatevi Videogames di Lana del Rey. se quella canzone non esistesse, probabilmente non esisterebbe questa pagine di Word, per quanto scarsa... 

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Capitolo 4
*** Genova ***


Genova, abbi cura di lui

 

Strinsi Claudia a me alla vista di quelle immagini, quasi nel tentativo di proteggerla, ma il mio pensiero intanto era corso veloce esattamente lì dove evitavo che andasse la maggior parte del tempo.

Viveva in centro, mi ero quasi sembrato di scorgere la sua, la nostra casa tra le riprese del telegiornale.

Mi accorsi di non respirare. Con uno scatto mi sollevai dal divano lasciandola lì. Non sapevo dove andare, non sapevo cosa cercare. Mi rifugiai in bagno nel tentativo di recuperare un respiro regolare.

Se gli fosse successo qualcosa... No, dovevo essere razionale. Abitava al quarto piano.

E se invece si trovava fuori quella notte? Se era da Alessio o chissà da quale altra parte? Se era rimasto bloccato in macchina?

Ma soprattutto, adesso, come stava?

Claudia era lì tranquilla, ancora sul divano, la mia vita perfetta ed equilibrata era oltre la porta di quel bagno, ma il mio passato aleggiava ora libero tra le mura di piastrelle bianche, nonostante tentassi di recuperarlo e impedirgli di esplodere.

Vivi come se non l'avessi mai incontrato, mi ero detto per tutti quegli anni. Ti ha concesso la possibilità di essere felice senza di lui, di liberarti dalla dipendenza che ti teneva paralizzato, ora dimenticalo. Dai il tuo contributo.

Ma aveva importanza tutto ciò in un momento come questo? Il mio castello di carte virtuale poteva impedirmi di correre lì fuori a cercare Damiano tra le strade martoriate di Genova?

Sentii bussare e fu come svegliarsi da un sogno, ma l'incubo non era finito. L'incubo era la realtà, era lei a bussare a quella porta chiedendomi di scegliere se lasciarmi contaminare col rischio di ammalarmi nuovamente o se procedere indifferente.

Lui cosa avrebbe voluto che io facessi? Non lo sapevo. Probabilmente mi avrebbe intimato di stargli lontano, quasi avesse la peste, purché il suo sacrificio non fosse stato vano.

Ma Claudia dall'altra parte bussava ancora e mi chiedeva se stessi bene.

Girai la chiave nella toppa e abbassai la maniglia. Non la guardai. Mi lasciai guardare. Lasciai che si preoccupasse senza capire.

“Cos'è successo? Hai qualcuno lì a Genova?”
“Amici...” La lucidità iniziava a tornare, la mia maschera era ormai troppo resistente per sfaldarsi anche in un momento come questo “Spero stiano bene. Non so, è da tanto che non li sento ormai”
“Prova a chiamarli”
“Non ho più il loro numero” continuai avanzando e chiudendomi la porta alle spalle. Era vero. D'un tratto mi tornò alla mente quel giorno in cui aveva scelto l'opzione elimina e confermato senza più possibilità di ritorno. Esattamente tre anni prima. Aveva resistito per ben un anno, ma poi, finalmente, mi ero sentito pronto. Se lo fossi davvero non saprei dire, sta di fatto che aspettare era troppo rischioso. Ora, per la prima volta, potevo pentirmene senza sentirmi in colpa.

Non c'era più alcun tipo di legame. Il filo invisibile che ci aveva tenuti uniti si era spezzato per sempre. Io ancora non me ne capacitavo. Quattro anni erano passati così velocemente. Scomparsi in pratica. Lui nella mia memoria non era minimamente cambiato. E il fatto che fosse stato lui a chiudere quella ultima conversazione l'avevo rimosso. Ecco perché inconsciamente sapevo che non si sarebbe mai fatto vivo, che, nel caso, io e solo io l'avrei cercato.

Nei primi sei mesi gli avevo scritto per email, due o tre volte. Mi aveva risposto l'ultima, su richiesta. Cinque righe in risposta ad una mia confessione lunga forse una decina di pagine. Un'ammissione anzi: ammettevo tutto. Le mie paure, il mio orgoglio, il mio egoismo, il mio carattere borderline. E lui, lui che diceva di sapere, di aver sempre saputo. Lui che, lo capii in quel momento, ci arrivava prima di me alle cose. E mi conosceva meglio di quanto non facessi io. Che mi smascherava e mi umiliava. E mi augurava una buona vita.

Ma ora che ero sempre più solo dentro me stesso, mi mancava. Più di quanto avessi immaginato. E stupidamente pensavo che non fosse cambiato di una virgola. Pensavo mi aspettasse a braccia aperte, pronto ad accogliermi nel suo letto, ad accarezzarmi i capelli.

Le mie fantasie si riducevano a incontri casuali, infiniti incontri, sempre diversi, variegati, colorati. Sognavo di farlo ingelosire, di farlo innamorare ancora e ancora di me. Sognavo ancora noi due, in un mondo impossibile.

Eppure all'università non l'avevo più visto. Ero rimasto in macchina sotto casa sua alle ore più improbabili della notte, pur di sentirlo più vicino, in quell'ultimo anno, ma visto mai.

Era un fantasma del passato che, nonostante le innumerevoli prove della sua scomparsa, io continuavo a credere di poter far risorgere a mio piacimento da un momento all'altro.

In realtà non avevo mai avuto il coraggio di renderlo irraggiungibile. Il suo indirizzo email era ben impresso nella mia memoria come anche in quella della mia casella elettronica, e il suo numero l'avevo eliminato solo per non vederlo più comparire nella lista dei contatti whatsapp: comunicavamo sporadicamente tramite gli stati del profilo, come nel caso del suo compleanno. E diventava difficile giustificare certe affermazioni senza un senso apparente agli altri membri della mia rubrica, Claudia innanzitutto. Oltre al fatto che dipendessi dalla visualizzazione del suo ultimo accesso: il mio umore era legato alla durata della scritta “online” accanto al suo nome: passati i tre minuti sapevo per certo che stava scrivendo a qualcuno e improvvisamente la mia voglia di parlare o anche solo di avere contatti col mondo scompariva.

Gli dedicavo frasi estrapolate da canzoni che non poteva non conoscere, che non poteva non collegare a noi. Una volta era successo addirittura che le copiasse nel suo stato. E allora era come se fosse lì accanto a me, sul divano, tra le mie mani. Mi pensava.

Poi improvvisamente, o forse in maniera graduale – non ricordavo – aveva smesso. L'avevo visto sorridere di più nelle foto e i suoi stati non avevano più alcun collegamento col sottoscritto, anzi. Erano inni alla gioia che visto il contenuto non potevano in alcun modo richiamare a me.

E anche solo vedere il suo volto mi faceva male. Sapere di averlo avuto tutto per me, quel viso perfetto, e di averlo perso per sempre non mi faceva onore.
Senza contare poi che Claudia aveva preso la cattiva abitudine di prendere tra le mani il mio telefono, di commentare i profili nella mia rubrica whatsapp. Ed era meglio che lui non ci fosse. Non volevo sapesse della sua esistenza, in alcun modo. Lui non doveva esistere. E forse era arrivato il momento che smettesse di esistere anche per me, mi ero detto.

Ma le domeniche di pioggia in cui ancora mi ritrovavo a rimpiangerlo forse non sarebbero mai finite davvero.

Anche quella era una domenica di pioggia. Al telegiornale le immagini della mia povera Genova mi scavavano una voragine dentro al cuore. Lo sfondo del nostro amore, delle nostre passeggiate, delle nostre liti: erano rimasti fango e detriti, auto sommerse. Ecco cosa ne era stato di noi.

Ma il suo numero, da qualche parte, dovevo averlo trascritto. Se solo fossi stato in grado di ricordare dove.

“Sicuro? Non hai nemmeno le email?” continuò lei stringendosi nell'accappatoio blu cobalto, in tinta con quegli occhioni enormi che si ritrovava.

“Non penso” dissi scuotendo il capo rassegnato, ma già progettavo di mettere a soqquadro la scrivania in cerca di quel quaderno o quell'agenda in cui avessi avuto lo folle idea di annotare il suo numero “Proverò a cercare”

Dovevo essere parso poco convinto, quasi indifferente. Come se tutto ciò fosse insignificante. Invece cercai per ore, senza alcun risultato. Ricordavo persino di aver scritto il numero in diagonale sulla seconda pagina, con un pennarello blu quasi senza più inchiostro. Ma mi mancava il dato principale.

Mi arresi nel primo pomeriggio. Claudia era a letto a guardare Breaking Bad sul computer, aprii la porta della camera per avvisarla di portarmi il computer quando avesse finito.

Purtroppo internet sul mio telefono era inutilizzabile. La rete, con la pioggia incessante, era precaria Non sapevo bene cosa stessi facendo. Non sapevo quali fossero le mie intenzioni. Sapevo però che non aver ritrovato il suo numero non mi stava allarmando, e non perché avessi accettato di rinunciare, ma anzi perché la mia volontà era talmente ferrea in quel momento da risultare immune agli ostacoli o alle difficoltà.

Si era addormentata col portatile sulle ginocchia, come avevo immaginato ben conoscendola.

Quindi l'avevo portato in cucina, chiudendomi ogni porta alle spalle. E una volta seduto a quel tavolo iniziai a sentire la pressione. Se non fossi stato in grado di trovare un contatto tramite internet, ero praticamente destinato a rincontrarlo solo nei miei sogni. Ma forse non era questa la mia più grande paura: era piuttosto la perdita di quell'illusione a spaventarmi.

Sperare ingenuamente di poterlo rivedere o sentire, prima o poi, mi aveva permesso di non cadere nella disperazione in tutti quegli anni. Non volevo nemmeno immaginare cosa avrebbe comportato rinunciare per sempre a questa possibilità.

Certo potevo sempre parcheggiare sotto casa sua e aspettare di vederlo uscire di casa, all'alba, ma questo richiedeva già una dose di coraggio che io non avrei mai raggiunto.

Dunque, col cuore in gola, nonostante l'avessi già fatto innumerevoli volte in passato, digitai il suo nome su Google. Solite cose: profilo facebook privato, visitato già troppe volte e troppo spesso perché la foto profilo, come anche lo sfondo, mi fossero nuovi.
Riprovai con una nuova ricerca e stavolta sostituii “Damiano Reginato” con “Damiano Vincenzo Reginato numero”.

Nulla poteva prepararmi per ciò a cui mi trovai di fronte.

 

 

 

 

 

 


Perdonate la lentezza e la brevità di questi capitoli, ma nonostante a livello di elaborazione mentale abbia ripreso alla grande, faccio fatica ad aggiornare a causa del poco tempo. L'unico momento in cui posso scrivere è la sera, ma nell'ultimo mese la stanchezza, arrivata ad una certa ora, mi ha impedito anche solo di avvicinarmi al computer. Quindi pazientate un po', tornerò ad aggiornare con regolarità il prima possibile con capitoli più lunghi, è che per ora pubblicare capitoli lunghi significa far passare più di due mesi... quindi preferisco usare il contagocce, per così dire, ma farvi sapere che ci sono perlomeno.

Altra cosa: avendo collocato Damiano e Lorenzo a Genova, non posso che soffrire per ciò che sta accadendo in questi giorni. Certo nella storia nessuno dei due vive più in città, ma comunque mi tocca ciò che è successo. Il loro palazzo, Alessio, la pizzeria... immaginare tutto circondato da acqua e fango mi mette i brividi. È come se avessi vissuto lì insieme a loro dopotutto.


PS Certi dettagli putroppo non li ricordo: come ad esempio cognomi, nomi di parenti e così via. Se per caso notate qualche incongruenza nella storia rispetto alla prima parte fatemelo sapere. 

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