In un giorno di pioggia

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ombrello verde e impermeabile giallo ***
Capitolo 2: *** A cosa può portare una tazza di tè ***
Capitolo 3: *** Latte e biscotti ***
Capitolo 4: *** Dischi in vinile ***



Capitolo 1
*** Ombrello verde e impermeabile giallo ***


Ombrello verde e impermeabile giallo

 

E così, di nuovo. Si sentiva di nuovo come tanti anni prima, quando suo fratello si divertiva a tormentarla, quando l’aveva gettata in un tale abisso di paura da farle temere qualunque contatto con l’altro sesso. Ed era successo di nuovo, di nuovo quelle discussioni tra lui e suo padre, di nuovo quegli sguardi duri, quelle porte che sbattevano, tutte quelle incomprensioni… In una famiglia non dovrebbe essere così, non dovrebbe. Incapace di continuare a stare in quella casa, se n’era andata, le mani che cercavano di coprire le orecchie, di non sentire più niente…

Tuttavia pioveva, e nella fretta Anko aveva dimenticato di prendere un ombrello, un impermeabile… qualunque cosa! Ma avrebbe preferito prendere una polmonite, piuttosto che tornare là dentro. Stringendosi nel golfino rosa che indossava, si avventurò sotto la pioggia scrosciante, incurante di tutto, triste e arrabbiata.

Come se non fosse già stata abbastanza sconvolta, ci si misero anche degli stupidi ventenni in giubbotto di pelle a darle fastidio, facendola spaventare ancora di più.

-         Ehi, tesoro, dove stai andando? Ti ha mollato il ragazzo? Vieni con me, vedrai che saprò farti felice.

-         Quel golfino rosa bagnato è così sexy, ma so io come asciugarti…

Per fortuna sembravano solo degli sbruffoni in vena di battute un po’ pesanti, perché quando Anko si mise a correre spaventata, nessuno di quegli idioti la seguì.

 

Ormai camminava da parecchio, era stanca e bagnata… Era arrivata in una zona che non conosceva, e la pioggia a catinelle certo non aiutava. Per strada non c’era nessuno, a parte un cane dal pelo arruffato che sembrava più spaventato di lei. Si diresse verso un parco grigio e anonimo, e si sedette su una panchina sotto un albero spoglio. Erano solo gli inizi di marzo, la primavera tardava ad arrivare e quella pioggia fredda si insinuava nelle ossa, facendo tremare la povera Anko che ormai non sapeva più se erano gocce di pioggia o lacrime quelle che le rigavano le guance.

Anzi, a pensarci bene una differenza c’era: la pioggia era fredda, mentre le lacrime erano calde e bruciavano. Da quanto tempo stava piangendo in quel modo? Dov’era?

Ormai la povera ragazza si trovava in uno stato tale che cominciava a non importarle più niente: “Dopotutto a chi importa qualcosa di me? E poi perché dovrebbero? Ai miei interessano solo le apparenze, per mia madre l’unica cosa che conta è che sia sempre la signorina Uehara ben vestita e con buoni voti, per mio padre esiste solo mio fratello. Le mie “amiche” di un tempo adesso saranno in qualche karaoke con i loro ragazzi, e io sono qui e non importa a nessuno… Se sono un peso per tutti tanto vale che sparisca dalla loro vita, starebbero tutti molto meglio…”

-         Uehara, che cosa ci fai qui?

Sentirsi rivolgere la parola all’improvviso, in quel posto deserto, la destò dalle sue disperate elucubrazioni. Guardò verso l’alto e vide che un grande ombrello verde chiaro la stava riparando, sostenuto da uno Yoshikawa in impermeabile giallo, con in mano la borsa della spesa e un’espressione sorpresa e preoccupata dipinta in viso.

-         Come sei finita nel mio quartiere? È parecchio distante da casa tua. E poi sei tutta bagnata, con questo freddo… ti prenderai una polmonite. Uehara, mi hai sentito? Che cos’hai? Ti senti bene?

Ancora intontita dalla pioggia e dalla sorpresa di trovarsi davanti proprio lui, proprio Yoshikawa, Anko non aveva ancora spiaccicato parola. Ma alle parole del ragazzo si riscosse con un fremito e, guardandolo meglio, notò che l’impermeabile che stava indossando era enorme, più grande di almeno un paio di taglie.

-         Ehi, ma che cosa ti sei messo addosso? Sembri un pompiere! Non hai visto che era troppo grande per te? – esclamò la ragazza, accennando un sorriso.

Visto che Anko era ancora in grado di scherzare, Yoshikawa tirò mentalmente un sospiro di sollievo, e sorridendo a sua volta rispose:

-         Sì, è vero, è almeno un paio di taglie in più rispetto alla mia. Apparteneva a un mio zio, un fratello di mia madre, che era grande e grosso e faceva il pompiere. Comunque è l’ideale in questi giorni di pioggia, ripara alla perfezione e sotto si sta caldi e all’asciutto.

-         Ma scusa, a tuo zio non serve? Perché adesso ce l’hai tu? È forse… - Anko si fermò, pensando di aver detto troppo, ficcando il naso in questioni personali.

-         No, non gli è successo niente, non preoccuparti. È solo che adesso non gli serve più: durante una vacanza in Nuova Zelanda con dei colleghi ha conosciuto una ragazza maori e l’ha sposata, fermandosi là con lei.

-         Cosa? – Anko non sapeva se credergli o no, tuttavia non riuscì a non scoppiare a ridere – Mi prendi in giro, Yoshikawa?

-         Assolutamente no, te l’assicuro. Forse mio zio è sempre stato un tipo un po’ folle, ma ora è felice. E io ho guadagnato una zia straniera.

-         Dev’esserci una vena di follia nella tua famiglia. Anche tu sei un tipo un po’ strano, un otaku fissato con i videogiochi…

-         Può darsi, non ci avevo mai pensato. Però, Uehara, senti, tu sei tutta bagnata e rischi sul serio di prenderti qualcosa. Perché non vieni a casa mia, così potrai asciugarti un po’? È qui vicino, non ci metteremo molto.

La ragazza si alzò, accostandoglisi sotto l’ombrello verde. Notò che Yoshikawa si era alzato molto in quel periodo: non era più un nanerottolo, ormai era alto quando lei, se si voltava poteva guardarla tranquillamente negli occhi.

-         È per questo che stavi passando di qui? Stavi tornando a casa?

-         Sì, tagliando per questo parco ci si mette molto meno. È qui da sempre, l’hanno eretto quando non ero ancora nato, e da bambino venivo spesso qui a giocare. Sono andato a fare un po’ di spesa: mia madre non c’è, è andata a trovare mia nonna che abita fuori città e non si sente molto bene, mentre mio padre è via da un paio di giorni per lavoro.

-         Così sei da solo – ad Anko non passò nemmeno per la testa il pensiero che stava andando a casa di un ragazzo e che sarebbero stati da soli, e continuò a chiacchierare, cosa che le riusciva incredibilmente semplice quand’era in compagnia di Yoshikawa – Ma… allora devi arrangiarti in tutto? Prepararti da mangiare, fare la lavatrice…

-         …stirarmi i vestiti, pulire un po’… Sì, proprio così. Ma quando sei da solo non c’è poi molto da fare. Metto un po’ in pratica quello che ci insegnano a economia domestica.

-         Però, come sei bravo, Yoshikawa! Non sono molti gli uomini che si degnano di occuparsi di una casa, anche se solo per un paio di giorni! – esclamò Anko, non accorgendosi che l’aveva involontariamente chiamato “uomo”, e non “ragazzo”.

-         Beh, sai, casa mia è anche un appartamento abbastanza piccolo…

E così chiacchierando, i due ragazzi si diressero verso la casa di Yoshikawa, camminando sotto la pioggia che non sembrava più tanto fredda e pungente, anzi era diventata la cornice ideale di quell’inaspettato momento di intimità.

 

 

 

E il lime? E il rating arancione? Eh, eh… voi recensite, che io mi affretto a postare il prossimo capitolo!

 

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Capitolo 2
*** A cosa può portare una tazza di tè ***


A cosa può portare una tazza di tè

 

Una volta arrivati a casa di Yoshikawa, Anko si tolse le scarpe e fece per entrare, ma si bloccò.

-         Scusa, ma sono fradicia. Rischio di gocciolare dappertutto.

-         Aspetta un attimo, allora – Yoshikawa andò a prenderle uno straccio, che Anko usò per “strisciare” fino al bagno, appoggiandovi sopra i piedi.

-         Ma così non arriverò mai! – rise la ragazza, appoggiandosi a Noboru.

-         No, è qui in fondo al corridoio, guarda!

Anko fece un bel bagno caldo, ma visto che quando uscì dalla vasca le uniche cose asciutte erano le mutandine e il reggiseno, indossò solo quelle, con sopra una maglia extra-large dello zio pompiere che le arrivava quasi alle ginocchia. Non si sentiva affatto in imbarazzo, in fondo la gonna dell’uniforme scolastica era molto più corta!

-         Ti ho preparato un tè caldo. Ne vuoi un po’?

-         Sì, grazie, è proprio quello che ci vuole! – disse Anko accettando la tazza che Yoshikawa le porgeva e inginocchiandosi a capotavola, accanto a lui.

I due ragazzi sorseggiarono i loro tè per alcuni minuti, poi Yoshikawa si voltò a guardarla, tranquillo. Quando Anko se ne accorse, arrossì impercettibilmente, e disse:

      -     C-che cosa c’è? Ho qualcosa in faccia?

      -     Che cosa ti è successo? Sembrava stessi scappando da qualcosa.

La ragazza abbassò lo sguardo, amareggiata.

-         O da qualcuno?

Senza volerlo grosse lacrime calde cominciarono a scorrerle lungo le guance, e Anko si ritrovò, quasi senza accorgersene, a raccontare tutto a Yoshikawa… o meglio, al suo Noboru. Cominciò dall’inizio, da quella bambola distrutta di quand’era bambina che dominava i suoi ricordi, per poi arrivare alla repulsione per gli uomini che aveva contraddistinto la sua adolescenza e agli avvenimenti di quel giorno. Fu tutto un po’ confuso, naturalmente, e chissà quanto ne capì Yoshikawa, ma quando Anko alzò gli occhi non vide né sorpresa né compassione nel suo sguardo, solo un sorriso dolce e tranquillo. Come faceva quel ragazzo, che per colpa sua aveva tentato più volte di suicidarsi, a non perdere mai la testa quand’era con lei?

Yoshikawa si scostò leggermente dal tavolo, e davanti ad un’Anko sconvolta e scossa dai singhiozzi, accennò il semplice gesto di allargare le braccia. Un gesto spontaneo e gentile, che ad Anko sembrò la cosa più genuina che avesse mai visto fare da qualcuno, e come una bambina spaventata vi si rifugiò senza indugio.

 

Chissà per quanto tempo rimase lì, accoccolata contro il petto di Yoshikawa, la testa sulla sua spalla, a piangere… Doveva essere davvero stremata, perché senza accorgersene passò dal pianto al sonno. Quando si svegliò, sentì un leggero profumo di tè, e un attimo dopo si rese conto che il suo naso premeva contro il collo di Yoshikawa. Arrossendo vistosamente, alzò il capo e incontrò gli occhi scuri e tranquilli del ragazzo che la osservavano.

-         Stai meglio? – le chiese.

-         S-sì, ma… mi sono addormentata?

-         Per un po’…

-         Un po’… quanto?

-         Diciamo una mezz’oretta.

Anko non riusciva a credere alle proprie orecchie: aveva dormito per mezz’ora tra le sue braccia? E lui non si era spostato da quella scomoda posizione sul pavimento solo per lei? Ah, Noboru… ehi, no, un momento: ma che andava a pensare?

-         Mi… mi dispiace, scusa. I-io non… - da quando in qua balbettava in continuazione? Le sembrava di essere tornata a quelle assurde giornate a Okinawa, accidenti!

“Insomma, Anko, un po’ di contegno!” pensò la ragazza, prima di accorgersi che per tutta la conversazione non si erano spostati dalla loro posizione. Senza voltare la testa, sentiva un braccio di Yoshikawa che le circondava la schiena e le toccava il gomito, mentre l’altro stava all’altezza della vita della ragazza. Le loro gambe si toccavano, dandole un senso di calore che non aveva mai provato.

-         Non preoccuparti, nessun disturbo – le disse il ragazzo coi suoi soliti modi gentili – Piuttosto, non vorrei che avessi preso freddo…

Freddo? Ma se stava meglio che sotto al kotatsu… (*)

Preso un po’ di coraggio, Anko alzò leggermente la testa:

-         Ecco, io… - cominciò.

-         Sì?

-         Grazie… - sussurrò sorridendo, prima di accorgersi che levando il capo in quel modo, la distanza tra le loro labbra diminuiva notevolmente, arrivando al massimo a una decina di centimetri. Anko arrossì ancora, se possibile, e senza rendersene conto socchiuse le labbra.

Aveva la mano appoggiata sulla maglia di lui, contro il suo petto. Strinse un po’, e sentì la stoffa tra le dita. Il cuore cominciò a batterle talmente forte che pensava di averlo ormai in gola, e allo stesso tempo smise quasi completamente di respirare.

Chi si avvicinò per primo? Bella domanda. Forse entrambi, nello stesso momento, cominciarono a diminuire piano piano la distanza che li separava. Strofinarono un po’ la punta dei loro nasi, in una tenera carezza, poi toccò alle labbra. Da un leggero sfiorarsi, passarono ai baci veri e propri, lunghi, senza fretta, mentre ciascuno assaporava il sapore del tè rimasto sulle labbra dell’altro. Entrambi sentirono un forte calore partire dalla bocca e irradiarsi per tutto il viso, per poi scendere verso il collo e il resto del corpo. In realtà non si mossero: si strinsero solo sempre di più l’uno all’altra, ma solo le loro labbra si cercavano.

Fu Anko a prendere l’iniziativa successiva. Prese il labbro inferiore del ragazzo, mentre Yoshikawa si dedicava a quello superiore di lei. Piano piano le loro bocche si aprirono sempre di più, finché le lingue si incontrarono. Entrambi sentirono una scossa percorrere loro la schiena in tutta la sua lunghezza, mentre le intimità ormai si sfioravano. Yoshikawa, di rimando, sentì un forte calore venire dal basso e rispondere all’impulso di poco prima, complici forse i seni di Anko che gli premevano sul petto, e che il ragazzo poteva sentire in tutta la loro morbidezza attraverso la maglia.

Per questo fu il primo a staccarsi, stordito e ansimante, e mentre cercava di calmarsi Anko riappoggiò la testa sulla sua spalla, felice, anche se il suo naso, premuto di nuovo contro il collo di lui, lo faceva infiammare. Se Yoshikawa avesse chinato un po’ la testa, avrebbe poggiato la guancia contro i morbidi capelli di lei, ma il loro profumo giungeva lo stesso a torturarlo.

Avrebbe dovuto togliersi in fretta da quella situazione, per non peggiorare le cose, ma non poteva semplicemente scostarsi da Anko, visto lo stato d’animo in cui si trovava la ragazza. In quel momento lei aveva bisogno di lui, era vulnerabile, e non l’avrebbe ferita per niente al mondo.

Tuttavia qualcosa si era risvegliato dentro di lui, qualcosa addormentato da tanto tempo che era il caso di tenere a bada. Perciò disse la prima cosa che gli venne in mente:

-         Ti vanno latte e biscotti?

 

 

(*) kotatsu: sistema di riscaldamento tradizionale costituito da un braciere o una stufetta elettrica, posti sotto un tavolino basso ricoperto da una trapunta.

 

Non è finita, non è finita. Ma col cavolo che la finisco se qualcuno non recensisce! Anche solo per dirmi: “Maledetta! Non dovevi prendere in prestito il titolo della più bella canzone dei Modena City Ramblers per la tua fanfiction! Non ti perdonerò mai!” o per ribattere: “Ma come? Non era una citazione di “Kiss me Licia”?”. Assolutamente no! Comunque è vero che il titolo l’ho preso dagli MCR, non picchiatemi per questo.

Però vi prego, vi supplico, vi scongiuro… una recensione! Piccola, piccola, ma mi basta. E poi posto il terzo capitolo.

 

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Capitolo 3
*** Latte e biscotti ***


Latte e biscotti

 

-         Ti vanno latte e biscotti?

Anko temette di non aver sentito bene. Si scostò leggermente, alzò un po’ la testa e chiese:

-         Come?

-         Scusa, potrà sembrarti un po’ strano, ma il fatto è che sono quasi le sei. Potremmo fare merenda, che ne dici?

La ragazza si spostò del tutto, staccandosi finalmente dal corpo di lui.

-         Cosa? Merenda? A quest’ora? – lo guardò come se a parlare fosse stato un bambino delle elementari.

-         Non guardarmi in quel modo. So che ti sembra assurdo, ma immagino che dopo la camminata che hai fatto sotto la pioggia ti sarà venuta fame, e ti assicuro che qualcosa di dolce è l’ideale per chi si sente giù di morale. Allora? Ne hai voglia?

Quel “ne hai voglia” suonò alle orecchie di Anko come qualcosa di più di una semplice offerta di latte e biscotti. Ma era comunque di qualcosa di caldo e dolce che aveva bisogno, perciò, con il sorriso di una bambina, rispose:

-         D’accordo!

 

Sembravano due bambini che si svegliano di notte e, come ladri, vanno in cucina ad ingozzarsi delle cose più dolci che trovano: Yoshikawa riscaldò il latte e, dopo che lo ebbe versato in due tazze belle capienti, lo porse ad Anko. La ragazza lo prese, guardandolo dubbiosa, come soppesando un pensiero, poi si decise a chiedere:

-         Yoshikawa, hai del miele?

Senza fare domande, il giovane aprì la dispensa e ne tirò fuori un vasetto.

-         Ne vuoi anche tu? – domandò Anko.

-         Sì, grazie – rispose lui, per poi dedicarsi con serietà alla ricerca dei biscotti, mentre la ragazza addolciva il latte con due generose cucchiaiate di fluido ambrato.

-         E al diavolo la dieta! – la sentì mormorare, soddisfatta.

Yoshikawa aprì la dispensa.

-         Allora, abbiamo una scelta abbastanza ampia – esordì – Ci sono biscotti secchi, integrali, dei pasticcini da tè e i cookies.

-         Caspita! Ma cos’è? Un biscottificio? – chiese Anko, colpita.

-         No, tranquilla. È che i biscotti secchi e integrali piacciono molto a mio padre, mentre i pasticcini da tè li compra mia madre per quando incontra le amiche. Le piacciono i vecchi usi occidentali, e ogni tanto prepara il tè all’inglese.

-         Non mi dire! Davvero? – domandò allegra Anko.

-         Già. E poi… ci sono i cookies.

-         Sono dei biscotti americani, vero?

-         Sì, quelli piuttosto grossi con le gocce di cioccolato…

-         … e pieni di burro…

-         Mi sembrava che poco fa avessi detto: “Al diavolo la dieta!” – le fece notare Yoshikawa, sorridendo.

Anko arrossì:

-         M-ma… mi hai sentito?

Il ragazzo si limitò a continuare a guardarla sorridendo, senza rispondere, facendo così arrossire la ragazza ancora di più.

-         Allora, ti vanno? – chiese alla fine.

-         C-certo! Perché no? – rispose lei. Ah, che figura!

“Fortuna che Yoshikawa non fa caso a queste cose” pensò Anko, vedendo che il comportamento del ragazzo non era cambiato. “No, infatti, non è proprio da lui”.

-         Bene, serviti pure! – disse il giovane, presentandole davanti agli occhi piattini con sopra ogni sorta di biscotti, e interrompendo le sue riflessioni.

Anko alzò lo sguardo, e quegli occhi scuri e tranquilli la rassicurarono ancora una volta. Con lui stava così bene! Perché?

-         Grazie mille! - esclamò lei.

-         E buon appetito – rispose lui, come se si fossero trovati di fronte ad un lauto banchetto.

Anko non aveva mai pensato che, dopo il suo primo bacio, si sarebbe ritrovata a far merenda con il ragazzo che l’aveva appena baciata, e che oltretutto avrebbe avuto a disposizione una tale varietà di biscotti e dolcetti. Era sicura che a nessuna delle ragazze della sua classe era mai successa una cosa del genere.

…ma che importa? Con lui mi sento a mio agio. Posso mangiare miele e cioccolato, farmi i “baffi” con la schiuma del latte, sporcarmi la bocca di briciole, leccarmi le dita... sembra che per lui non cambi niente.   

E così rimasero lì, nella calda cucina di casa Yoshikawa, a bere latte e a mangiare biscotti, chiacchierando per chissà quanto tempo. Sembrava che le ore e i minuti avessero perso il loro significato, come all’interno di una bolla di sapone, e l’unica cosa che importava davvero fosse la presenza della persona che avevano di fronte.

Ma il tempo passò comunque. Non lo si può fermare in ogni caso.

Ad un certo punto, dopo essersi appena pulita un baffo di cioccolata da una guancia, Anko gettò un occhio all’orologio appeso alla parete della cucina.

-         Oh, santo cielo! Sono già le nove? – esclamò esterrefatta. Come aveva fatto il tempo a volare così?

-         Devi tornare a casa? – le chiese Yoshikawa.

-         Io… - fece Anko, pensierosa. Improvvisamente realizzò la cosa: doveva proprio tornare là? Là da loro? Come poteva tornare nell’ipocrita casa Uehara dopo aver sperimentato il calore di casa Yoshikawa, la spontaneità del suo Noboru? Le venne un vago senso di nausea solo a pensarci – Io…

-         Se vuoi puoi fermarti qui – fu l’improvvisa offerta di Yoshikawa.

-         Cosa? – domandò lei, alzando repentinamente il capo e arrossendo vistosamente.

-         Se non te la senti di tornare a casa, puoi passare la notte qui – spiegò lui pazientemente, volendo ben chiarire quello che intendeva dire – I miei non ci sono, avresti un intero letto matrimoniale a disposizione…

-         Ah… - rispose Anko, tirando mentalmente un sospiro di sollievo. Ah, era questo che intendeva. Yoshikawa non si smentiva, era gentile come al solito. Per un attimo si era spaventata. Solo spaventata? No, per un attimo c’era stato anche qualcosa di più, oltre all’incredulità per l’offerta di lui. Per un attimo era arrossita anche per un altro motivo. Passare la notte con lui? Se trascorrere insieme un noioso pomeriggio di pioggia era stato così piacevole, forse di notte… più vicini… più al caldo…

“Basta, Anko, che vai a pensare? È Yoshikawa, Yoshikawa! L’otaku fissato con i videogiochi, eccetera eccetera. Come può anche solo venirti in mente un’eventualità del genere?” Sì, ma l’otaku fissato con i videogiochi tu l’hai anche baciato, giusto tre ore fa, disse una vocina nella sua testa. Quindi… 

-         Quindi che cosa? – esclamò la ragazza, non accorgendosi di aver parlato ad alta voce.

-         Eh? Cosa intendi dire? – le chiese Yoshikawa, un po’ sorpreso.

-         Eh? Cosa? B-beh, ecco, io… - balbettò Anko, imbarazzata. Yoshikawa doveva aver pensato che fosse ammattita, a parlare da sola a voce alta, all’improvviso.  E quindi…

-         Quindi cos’hai deciso? – le domandò lui ancora una volta, paziente – Ti fermi qui?

-         Io… sì - accettò finalmente la ragazza -  Non so come ringraziarti… - tanto ormai non capiva più nulla…

-         Bene, ne sono contento. Vieni, ti faccio vedere la stanza dei miei. Se vuoi riesco anche a trovarti un pigiama per la notte…

 

 

Sono sicura che se li facessi davvero solo dormire, mi lincereste in massa. Quindi immagino sappiate tutti come andrà a finire… d’altra parte, altrimenti, che soddisfazione c’è? Nell’anime non succede niente (il manga non l’ho letto, perciò non so)… quindi dobbiamo arrangiarci da soli.

Quando l’ho scritta dovevo ancora fare colazione… penso che si veda.

Ringrazio darkmoon87 , che anche se non lo sa è stata la prima persona in assoluto a recensire un mio scritto. Grazie mille per l’incitamento!

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Capitolo 4
*** Dischi in vinile ***


Dischi in vinile

 

Avviso per una lettura migliore:

se avete sottomano un qualsiasi CD, iPod, Mp3 e tutte quelle diavolerie meccaniche, con qualche canzone di Simon & Garfunkel, vi pregherei di ascoltarle mentre leggete questo scritto.

Sono state la colonna sonora di questo capitolo.

 

Yoshikawa riuscì a trovare, per Anko, una camicia da notte della madre. Le andava un po’ corta ed era un po’ piccola, ma di solito la ragazza metteva cose ben più attillate, perciò le andò benissimo.

-         Ma a tua madre non dispiacerà? – chiese Anko, un po’ preoccupata che la signora Yoshikawa si accorgesse che il figlio aveva usato una sua camicia da notte durante la sua assenza.

-         No, non preoccuparti – la rassicurò il ragazzo – Domattina la metterò subito in lavatrice e poi nell’asciugatrice. Entro mezzogiorno sarà ritornata al suo posto, vedrai.

La ragazza rimase per un momento ammirata dalla semplicità di quello che Yoshikawa le aveva appena detto. Sembrava così tranquillo, sapeva sempre cosa fare, la cosa giusta al momento giusto. Forse perché era a casa sua. A scuola non l’aveva mai visto così. Però anche a Okinawa, quando si erano perduti in quelle grotte marine, Yoshikawa non aveva mai perso la calma.

-         Adesso andiamo un po’ in soggiorno, ti va?

Al cenno di assenso di Anko, il ragazzo la condusse in un’altra stanza, arredata secondo un gusto occidentale un po’ antico.

-         Ehi, ma questi sono dischi in vinile? Ma quanti ne hai?– chiese stupita la ragazza, notando due scaffali della libreria pieni zeppi di copertine lunghe e strette.

-         Sono di mio padre – spiegò Yoshikawa – È appassionato di trentatrè e quarantacinque giri da quando aveva la mia età.

-         Ma non sa che nel frattempo hanno inventato anche le audiocassette, i CD… - chiese divertita la ragazza – Qui sembra di essere in un negozio di antiquariato!

-         È vero, ma mio padre mi ha sempre detto che questi dischi hanno un fascino particolare – rispose Yoshikawa tirandone fuori uno con attenzione – Dopo tanto tempo, conservano ancora il profumo del negozio in cui li comprò. Tanta gente tiene un diario, ma a lui basta tirare fuori uno di questi dischi, ascoltarlo e sentirne il profumo per rivivere un periodo della sua giovinezza.

Anko era sinceramente colpita. Da quel che sapeva, il padre di Yoshikawa era un semplice impiegato in una piccola azienda: niente incarichi importanti, stipendio minimo, ferie d’azienda… eppure aveva appena scoperto, grazie al figlio, un suo piccolo segreto, una scheggia della personalità di un uomo che appariva a tutti uno dei tanti “colletti bianchi”. Era stupefacente, se ci si pensava bene.

“Ecco perché Yoshikawa”, si ritrovò a pensare la ragazza, “è apparentemente insignificante, eppure così speciale. Forse è qualcosa che contraddistingue tutta la sua famiglia”.

Anko arrossì di botto non appena si rese conto di ciò che aveva appena pensato. Speciale? Yoshikawa? Macchè! E allora… allora perché le batteva così forte il cuore?

Il ragazzo sembrava non essersi accorto di nulla. Stava guardando con attenzione la fila di dischi sullo scaffale, finché sembrò trovare quello che stava cercando.

-         Questo è uno dei miei preferiti – spiegò – Da piccolo volevo sempre che mio padre me lo facesse sentire.

-         Dai, prova a metterlo su! – lo incoraggiò Anko, curiosa.

Yoshikawa non se lo fece ripetere e, non appena una canzone ritmata e melodica incominciò, i due ragazzi si sedettero sul divano ad ascoltare.

-         Non l’ho mai sentita. Che cos’è?

-         “Mrs. Robinson”, di Simon & Garfunkel.

-         Sono due cantanti americani?

-         Sì, ma la punta del loro successo è stata negli anni Sessanta. Oramai non molti ragazzi della nostra generazione ricordano chi sono.

-         Non è male – disse Anko, chiudendo gli occhi per ascoltare meglio.

-         Io trovo che sia bellissima – rispose Yoshikawa, guardandola (a chi si starà riferendo? ndA; ah, se non lo sai tu! ndTutti).

Dopo un po’ erano tutti e due appoggiati allo schienale, con gli occhi chiusi. Ad un certo punto, non appena la canzone finì, cominciarono a diffondersi le note di “Scarborough Fair”.

Anko aprì gli occhi, si voltò verso Yoshikawa e, senza nemmeno chiedersi che cosa stesse facendo, lo baciò sulla guancia.

Il ragazzo aprì gli occhi, un po’ sorpreso, e la guardò. Poi si avvicinò un po’, e la baciò a sua volta su una guancia.

Fece per ritrarsi, quando le loro labbra si ritrovarono ad una distanza così infinitesimale da non poter essere ignorata. Come avevano fatto qualche ora prima, si avvicinarono l’un l’altra contemporaneamente, e si baciarono. Stavolta tra i due non c’era la minima traccia di imbarazzo: Yoshikawa le circondò la schiena con le braccia, poco sotto il reggiseno, mentre Anko gli infilò le dita tra i corti capelli neri.

Le lingue cominciarono subito ad accarezzarsi, avide, e non si lasciarono finché anche il minimo sapore di latte e biscotti non fu definitivamente scomparso dalle loro bocche.

Yoshikawa, nuovamente in preda al calore al basso ventre che lo aveva attanagliato prima, le scostò i capelli dal collo con la punta del naso e la baciò su quella pelle candida e intatta, mai toccata da un uomo prima d’ora. Anko era talmente stordita da non riuscire più a stare seduta in equilibrio. Pensava che sarebbe caduta da un momento all’altro, perciò si sdraiò piano sul comodo divano mentre Yoshikawa non si staccava dal suo collo.

Ad un certo punto la ragazza non riuscì a reprimere un gemito.

       -     Ah, Yoshikawa… fai-fai piano, non voglio che rimangano i segni… - fu quello che riuscì a     

              dire, mentre era in preda ad un piacere mai provato.

       -     Non preoccuparti, non si vedrà niente – mormorò lui, col fiato corto.

Anko, con le labbra ormai secche dal tanto ansimare, andò a reclamare nuovamente la bocca del ragazzo, e ripresero a baciarsi. Non c’era foga nei loro baci, né fretta di arrivare subito al sodo. La passione si stava sì impadronendo di loro, ma si trattava di un calore eccitante che li attraversava a ondate languide, mozzando loro il respiro. Ne avevano quasi paura.

Rimasti quasi completamente senza fiato, si interruppero un attimo, respirando a pieni polmoni dopo quella piacevole apnea.

Yoshikawa si accorse che la musica si era fermata, dato che si erano ormai esaurite le canzoni incise su quel lato del disco. Approfittando della pausa, si alzò un momento e andò a girarlo. Il ritmo di “Me and Julio down by the schoolyard” accompagnò il suo ritorno al divano, ma non si sedette subito. Rimase un momento in piedi, contemplando Anko che, con le guance arrossate e i capelli adorabilmente in disordine, si era rialzata e poi seduta con le gambe incrociate, infischiandosene per una volta della buona educazione giapponese. Il problema era che, in quella posizione, la camicia da notte le lasciava le cosce quasi completamente scoperte.

Yoshikawa se ne accorse (beh, logico, è un uomo anche lui. Vuoi che non se ne accorga? ndTutti; Ah, il mio allievo sta diventando grande! ndOnizuka; Ehi, tu da dove spunti? Non eri in America? ndA) e ne rimase incantato. Ma la razionalità che gli era rimasta ancora gli diceva di stare fermo dov’era, di non muoversi per niente al mondo…

Fu Anko a sbloccare la situazione. Incrociando il suo sguardo, gli sorrise e gli si avvicinò. Alzandosi sulle ginocchia, lo guardò negli occhi, lo prese per la maglia e lo attirò a sé. Quando furono naso a naso, quasi ridendo si baciarono di nuovo, rapiti, e poi Anko cadde all’indietro, trascinando Yoshikawa con sé. Mentre ripiombavano sul divano la ragazza, avendo ancora le ginocchia piegate e i polpacci indietro, per evitare di farsi del male aprì automaticamente le gambe e vi accolse il bacino di lui.

Yoshikawa si irrigidì immediatamente, con un gemito, mentre il corpo di Anko si rilassò, e lei comiciò a tormentagli la mandibola con una serie di piccoli baci, per poi passare al collo.

Sentiva chiaramente qualcosa di duro e caldo premere contro la sua intimità, mentre ondate di eccitazione stavano facendo strage della razionalità di Yoshikawa.

Senza quasi rendersene conto, strinse convulsamente la vita di Anko, quasi incastrando i loro bacini, mentre una mano andava ad alzarle l’orlo della camicia da notte e ad accarezzarle una coscia calda. La ragazza sentiva degli impulsi elettrici quasi insopportabili attraversarle di continuo la schiena e arrivarle al cervello, stordendola quasi completamente.

Da tempo ormai non parlavano più, e solo i loro gemiti e sospiri sempre più affannati riempivano l’aria nella stanza, sommandosi alle note di “The Sound of Silence”.

I gemiti di Anko raggiunsero il culmine quando Yoshikawa le alzò definitivamente la camicia da notte per andare ad accarezzarle i fianchi con movimenti lenti e torturanti, attraendola ancor più verso di sé.

Si guardarono per un momento, la vista annebbiata, gli occhi velati dalla passione. Anche volendo, non avrebbero più potuto lasciar perdere una volta arrivati fino a quel punto. E non ne avevano nemmeno la minima intenzione.

Senza dire una parola, Yoshikawa si alzò, seguito da un’Anko che non si staccava dal suo abbraccio. Continuarono a baciarsi lungo il corridoio, completamente persi l’uno nell’altra, finché arrivarono in una stanza che la ragazza non aveva ancora visto.

       -   Noboru, questa è camera tua? – chiese piano, avvicinandosi alla semplice scrivania e alla

           finestra.

      -   Sì – rispose lui, la voce un po’ roca, aprendo l’ultimo cassetto di un mobile.

      -   Che cosa stai cercando? – fece Anko, avvicinandosi e posandogli una mano sulla nuca (*).

      -   Un vecchio lenzuolo – rispose lui – Mia madre li tiene qui, ma non se ne fa niente…

Finalmente Yoshikawa tirò fuori un lenzuolo leggermente consunto, ma bianco e pulito.

      -   E a cosa serve? – chiese la ragazza, un po’ sorpresa. Perché fare una cosa del genere in un

          momento simile?

     -   Beh, io… - iniziò Noboru, voltandosi verso di lei - … immagino che sia la tua prima volta…

Anko comprese in un lampo, dandosi mentalmente della stupida. Avrebbe dovuto pensarci lei, accidenti! Possibile che dovesse occuparsi lui anche delle sue esigenze da ragazza? Beh, però dopotutto… il divano era il suo, quindi era naturale che si preoccupasse di non sporcarlo… però non era sicura che, in una circostanza simile, molti altri ragazzi ci avrebbero pensato…

      -   Anko… - la stava chiamando il ragazzo.

      -   Sì?

      -   Vuoi stare qua o torniamo in soggiorno? – le chiese.

      -   Beh… - fece lei con un sorriso sornione, avvicinandosi piano al suo orecchio e leccandone

          lentamente il lobo, provocando violenti brividi lungo il corpo del ragazzo – … ormai

          avevamo scaldato il divano, no?

Noboru la guardò, baciandola di nuovo all’improvviso (ehi, ma come ci siamo lasciati andare! ndA; beh, sei tu che ce lo stai facendo fare! ndAnkoeNoboru; sì, ma non ditemi che non vi piace… ndA; ..o//o.. ndAnkoeNoboru, imbarazzatissimi), mentre Anko rispondeva con slancio.

Così tornarono in soggiorno, mentre la puntina del giradischi continuava a premere a vuoto sul vinile, le cui canzoni erano terminate ormai da un pezzo. Yoshikawa la tolse dal disco, per evitare che lo rovinasse, e tornò da quella che poteva ormai considerare… beh, la sua ragazza.

Sistemarono il lenzuolo ben piegato e, felici come non mai, ricominciarono da dove avevano interrotto, tranquillamente, senza fretta, con una passione che dirompeva non come un fiume in piena, ma come le onde del mare che, languide, lambiscono la spiaggia senza stancarsi mai.

Si spogliarono lentamente, mentre il fruscio dei vestiti si confondeva con i loro gemiti.

Un po’ impacciati, ma completamente persi l’uno nell’altra, fecero l’amore. Proprio quella sera, dopo una giornata disastrosa per Anko, una fuga sotto la pioggia, un incontro fortuito con un ombrello verde, una tazza di tè e una merenda a base di latte e biscotti, senza contare una capatina nel passato grazie alle canzoni dei vecchi dischi del padre di Yoshikawa.

Lo fecero una volta soltanto, ma bastò ad entrambi.

Quando furono troppo stanchi per continuare, si trasferirono in camera di Noboru, dove si addormentarono profondamente, abbracciati l’uno all’altra.

Si svegliarono all’alba, vale a dire circa alle sette di mattina.

        -   Buongiorno – fece lucido Yoshikawa, abituato ad essere mattiniero.

        -   Mmh… buongiorno… - gli rispose Anko, la voce ancora impastata dal sonno. Lei nei       

            fine-settimana dormiva sempre fino a tardi, ma era abbastanza sveglia da salutare il suo

            Noboru con un bacio sulla punta del naso.

        -   Dormito bene? – le chiese.

        -   Certo – rispose lei, chiudendo di nuovo gli occhi.

        -   Hai fame? Facciamo colazione?

        -   Mmh… che c’è da mangiare?

        -   Latte e biscotti.

Anko spalancò gli occhi, lanciando un’occhiata in tralice a Yoshikawa che la osservava, sorridendo divertito.

        -   Dopo tutti quelli che abbiamo mangiato ieri sera? È un miracolo che non li abbia ancora

            sullo stomaco!

        -   Beh, è normale che tu li abbia digeriti, con tutto il movimento che abbiamo fatto…

La ragazza si alzò quel tanto che bastava per prendere il cuscino e tirarglielo in testa. Lui lo prese e se lo mise sotto il capo.

Resasi conto che sarebbe stata costretta ad appoggiare la testa sul nudo materasso, Anko si alzò e andò a reclamare di nuovo il cuscino. Il lenzuolo e la trapunta la coprivano solo fino alla cintola, lasciandole il busto completamente nudo.

        -   Lo sai che hai un bel seno? – le disse Noboru, contemplandola ammaliato – Il più bello che

            abbia mai visto…

        -   Diciamo che è anche l’unico – aggiunse lei, arrossita ma felice di quel complimento.

        -   Sì, è vero… - ammise il ragazzo, abbracciandola.

Anko sembrava rimuginare qualcosa.

        -   Senti, andiamo a fare colazione da qualche parte. Offro io! – propose.

        -   Mmh… e dopo?

        -   Dopo torneremo qui e mi farai ascoltare altri dischi della collezione di tuo padre – continuò.

        -   E dopo ancora?

        -   Dopo ancora… vedremo di digerire la colazione… - concluse la ragazza con un sorriso

             sornione, ma terribilmente sensuale.

        -   Bel programma. Sono parecchie le canzoni che vorrei farti sentire… conosci gli Eagles?

        -   Chi?

 

The End

 

 

(*) Piccolo riferimento a quello che Jane fa con Holden ne “Il giovane Holden” di J.D. Salinger.

 

** Tutti i titoli riportati sono di canzoni scritte dal duo Simon & Garfunkel **

 

 

Povera Anko! Non ha ancora capito che noi patiti della vecchia, sana musica non molliamo proprio mai!

Questo Yoshikawa influenzato dai gusti musicali del padre mi è venuto sul momento, ma mi sembra ci stia bene. Dopotutto di lui sappiamo solo che è un otaku fissato con i videogiochi, ma tutto il resto? Le persone di cui non si sa niente sono quelle che nascondono i segreti e le passioni più impensabili… ma questa è un’opinione personale.

Commenti a parte, ho finito. Un po’ mi dispiace, però. Certo che questi due sono proprio fatti l’uno per l’altra.

Sapete, gli antichi filosofi greci dicevano che l’Amore non è un dio, ma una specie di demone, perché incompleto. L’amore è desiderio, e dove c’è desiderio c’è la mancanza di qualcosa. Quel qualcosa che cerchiamo disperatamente in tutte le persone che incontriamo e, quando ne troviamo una che possiede quello che a noi manca, ecco che ci innamoriamo.

Se poi all’altra manca proprio quello che invece noi possiamo, con tutto il nostro cuore, offrirle… beh, allora è la felicità completa. Quanti la trovano? A me non è mai capitato.

Quanti vaneggiamenti…

Un punto d’onore va ai doppiatori Emanuela D’Amico e Marco Vivio, che hanno caratterizzato così bene Anko Uehara e Noboru Yoshikawa nell’anime. Mentre scrivevo immaginavo come sarebbero state queste scene doppiate da loro e, visto che il risultato mi piaceva, ho continuato seguendo l’ispirazione.

Insomma, per quanto la tiri per le lunghe, è proprio finita! Piaciuta?

 

Grazie, darkmoon87, per avermi avvisato del problema. Non mi ero accorta che il computer non l’avesse caricata. 

 

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