Titanic - Il cuore dell'oceano

di Hendy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nave fantasma ***
Capitolo 2: *** La donna del disegno ***
Capitolo 3: *** Riflessioni sul passato ***
Capitolo 4: *** Partenza (Parte 1) ***
Capitolo 5: *** Partenza (Parte 2) ***
Capitolo 6: *** Primo incontro (Parte 1) ***
Capitolo 7: *** Primo incontro (Parte 2) ***
Capitolo 8: *** Se salti tu, salto anch'io ***
Capitolo 9: *** Il valore della vita ***
Capitolo 10: *** Invito ***
Capitolo 11: *** Il mondo dagli occhi suoi (Parte 1) ***
Capitolo 12: *** Il mondo dagli occhi suoi (Parte 2) ***
Capitolo 13: *** Qualcosa per cui lottare ***
Capitolo 14: *** Ancora di salvezza ***
Capitolo 15: *** Cena in prima classe ***
Capitolo 16: *** Una vera festa ***
Capitolo 17: *** Promesse ***
Capitolo 18: *** Una fredda colazione ***
Capitolo 19: *** Ti tengono in trappola ***
Capitolo 20: *** La mia scelta ***
Capitolo 21: *** Ritratto ***
Capitolo 22: *** Verso le stelle ***
Capitolo 23: *** Nulla in cambio ***
Capitolo 24: *** Ricatti e amici fidati ***



Capitolo 1
*** La nave fantasma ***


Se c’è una cosa di cui Kristoff Bjorgman andava fiero, quello era sicuramente il suo lavoro. Non molte persone si potevano vantare di essere cacciatori di tesori di successo. Era noto in gran parte dell’America e in altre località del mondo per la ricerca e il ritrovamento di oggetti di valore di navi affondate. La sua più famosa scoperta al momento fu dell’oro spagnolo di cui prese i diritti per il recupero. Ma ciò che ancora non sapeva, era che da lì a poco si sarebbe trovato per le mani la testimonianza di una storia sensazionale, che portava con sé il resoconto di un amore travolgente e inestimabile , svoltosi nientemeno che nel più grande e lussuoso transatlantico del mondo: il Titanic.

*

“Dovremmo esserci. Ormai dovrebbe entrare nel nostro campo visivo.”

Quella di oggi avrebbe potuto essere per Kristoff l’immersione più importante della storia, per non parlare delle sua vita.
Per tre lunghi anni era stato ossessionato dall’idea del recupero di un particolare diamante che si raccontava essersi perso negli abissi all’interno dell’ormai relitto del Titanic. Il diamante in questione era stato presumibilmente acquistato da un ricco uomo d'affari, di nome Hans Southern, passeggero del Titanic quando affondò ed ex proprietario della collana di diamante, prima che la regalasse alla sua ex fidanzata, Elsa Arendelle.

Kristoff e il suo equipaggio  si erano avventurati negli abissi alla ricerca della nave con sommergibili speciali. Furono fatte un sacco di spedizioni, avevano perquisito tutti i luoghi all’esterno del Titanic in un raggio di 50 metri per poi passare agli interni. Purtroppo non tutte le aree erano facilmente raggiungibili e per questo dovettero procurarsi dei robot telecomandati a distanza, resistenti alle elevate pressione del fondale marino, con tanto di telecamere per l’esplorazione degli interni. Fu proprio il loro contributo ad aver permesso di individuare finalmente l’area designata alle suite private del transatlantico. Lo scopo dell’immersione era entrare all’interno della suite dove alloggiavano Southern e la sua fidanzata, e recuperare più oggetti di valore possibili.

“Avviciniamoci alla prua.” Ordinò.

La vista ormai familiare di quel colosso gli fu subito davanti: tonnellate e tonnellate di ferro in fondo all’oceano, devastati da ruggine, correnti di fondo e microrganismi marini. Kristoff, che si era affacciato all’oblò del sommergibile per dare indicazioni sugli spostamenti, si allontanò un attimo e prese la telecamera che portava con sé. Aveva l’abitudine di registrare tutte le loro spedizioni, sia come prova reale di quanto stava succedendo, sia come ricordo delle esperienze che vivevano lì sotto. Molti dei video documentavano semplicemente informazioni di carattere generali, altri invece erano vere e proprie testimonianze di scoperte sensazionali e ritrovamenti inaspettati.
Kristoff sperava con tutto il cuore che il video di quest’oggi rientrasse nell’ultima categoria.

“Ok, silenzio tutti quanti. Registriamo.” Avvertì e schiacciò il tasto Rec, puntando la telecamera prima su di sé e poi sullo scenario esterno e parlando con voce teatrale.

“Vederla uscire dal buio come una nave fantasma mi fa sempre un certo effetto. È doloroso vedere il triste relitto della grande nave adagiato qui dove toccò il fondo alle ore 2.30 del mattino del 15 aprile 1912 dopo il suo inarrestabile sprofondare negli abissi.”

Lì affianco un membro dell’equipaggio scoppiò a ridere, guadagnandosi un’occhiataccia dal biondo.

“Certo che ne dici di stronzate, capo.” Disse schiamazzando.

“Sven, mi hai rovinato l’atmosfera!”

Sven Reindeer era, per dirla in breve, il migliore amico di Kristoff e compagno d’avventure. I suoi capelli corti castani e gli occhi marroni scuro gli davano un aspetto piuttosto giovanile, anche se ultimamente si stava lasciando un po’ trasportare da cibi in scatola e fast food, che gli avevano fatto guadagnare qualche chilo di troppo. I due si erano conosciuti al liceo e da allora non si erano mai più separati. Sven aveva partecipato a tutte le spedizioni di Kristoff e amava prendere in giro il suo migliore amico. E questo Kristoff lo sapeva bene. Ma d’altronde, Sven era anche uno dei più bravi nel suo lavoro e in questa precisa immersione, sarebbe stato di fondamentale importanza. Sarebbe stato lui al comando del robot che da lì a pochi minuti avrebbero liberato per addentrarsi all’interno delle camere del Titanic.
Ma d’altronde Sven era Sven, quindi prendersela con lui sarebbe stato del tutto inutile.
Prendendo la telecamera iniziò a girare tra i vari oblò, dando qua e là qualche informazione su coordinate, profondità, pressione dell’acqua… e tutto quello che gli veniva in mente di dire finchè non si stancò a sua volta.

“Basta con queste cavolate. Preparate il robot e posizionatelo nello stesso punto dell’altra volta. E’ il momento di iniziare con la roba forte.”
“Credi che oggi sarà il grande giorno?” chiese Sven.
“Lo spero amico mio. Non ci resta che scoprirlo! Su, vai a prendere i comandi.”

Dopo aver dato il tempo a Sven di prepararsi, un altro membro del equipaggio diede l’Ok per la partenza, e il robot venne liberato.
Kristoff si posizionò affianco a Sven dove uno schermo mostrava tutto ciò che il robot era in grado di vedere.

“Ora ricorda Sven, avanza lentamente. Tieni gli occhi aperti e massima attenzione.”
“Sì, sì. Lo dici come se fossi un principiante.”
“No no no, non è così, non sei un principiante, sei il migliore, il più meglio, cioè, il meglio più, cioè – aspetta, che?”
“Kristoff, lo so che sei nervoso, rilassati. Facciamo questo e andiamo ad aprirci una bella bottiglia di champagne, ok?”

Kristoff, ora rosso come un peperone dall’imbarazzo, non poté fare altro che approvare l’idea. Tendeva sempre a blaterare quando era nervoso. Ogni giorno sperava nel successo della spedizione e come un rituale, ogni giorno aveva i suoi due minuti in cui era vagante dal nervosismo. Prese un respiro profondo per calmarsi e tornò a concentrarsi sullo schermo. Una volta calmato, parlò di nuovo.

“Allora, sai dove andare. Prima di tutto scendi e supera le aree di prima classe. Dobbiamo entrare nel ponte B.”

Sven si mise subito all’opera. Il suo controllo era fenomenale. Dallo schermo si potevano vedere un sacco di oggetti ammuffiti, rotti e di nessun apparente valore. Un sacco di cianfrusaglie occupavano i pavimenti. Il robot superò porte scardinate, finestre infrante, una sala da pranzo dove ancora c’erano i resti di un pianoforte distrutto, scese scale e finalmente dopo quella che a Kristoff sembrò un’eternità, superarono una curva e si trovarono davanti l’ingresso della suite di Southern.

“Attento a non sbattere, attento a non sbattere.”
“Lo vedo, lo vedo. E’ tutto sotto controllo. Stai calmo capo.”

L’ingresso era appena abbastanza grande da far entrare il robot, ma una volta entrato, il gioco era fatto. Sven si asciugò il sudore sulla fronte e iniziò a perlustrare la zona. La camera all’interno era quasi irriconoscibile. Il suo vecchio splendore era solo un ricordo lontano. Oramai era diventata solo la dimora di pesci e batteri. Alcuni mobili erano ancora in piedi, un sacco di oggetti erano sparpagliati di qua e di là, probabilmente il contenuto di valigie da viaggio, un letto mezzo distrutto era situato in un angolo, unico segno visibile che quella una volta era stata una camera da letto, mentre assi di legno ricoprivano il suolo.
Un’asse in particolare attirò l’attenzione di Kristoff poiché sembrava poggiare su qualcosa. Il cuore di Kristoff cominciò a battere all’impazzata. Non si erano mai spinti fino a quel punto fino ad oggi. E forse ciò che stava cercando così passionatamente da anni, era proprio lì a portata di mano.

“Certo che avrebbero potuto mettere un po’ di ordine prima di lasciare la nave.” Scherzò Sven.
Ma Kristoff non stava ascoltando.

“Avvicinati a quell’asse. Quella lì sulla destra. C’è qualcosa…”

Sven fece avvicinare il robot fermandosi a mezzo metro dall’asse in questione.

“Pensi di aver trovato qualcosa?”
“Voglio vedere cosa c’è sotto. Toglila di torno.”
“Datemi l’uso delle mani.”
E una volta che il controller si fu esteso anche ai bracci meccanici, Sven si mise all’opera.

“Fai piano, se si spezza non riusciremo a levarla.” Ammonì Kristoff.

Ma Sven non aveva bisogno di aiuto né di consigli. Da lì a breve riuscì a spostare l’asse, facendo scappare due pesci che avevano trovato nascondiglio sotto di essa. Appena il robot si voltò a vedere cosa ci fosse sotto l’asse, Kristoff trattenne il respiro.
Davanti a loro videro una scatola quadrata, all’apparenza di metallo, ancora chiusa e in perfette condizioni, tralasciando l’ammontare di ruggine che la copriva. Una cassaforte. Kristoff e Sven non poterono che sorridere alla vista.

“Hai visto che roba capo?”

Tutto ciò che Kristoff poté dire fu:
“Prepara lo champagne amico.”



A/N: Ciao a tutti e grazie se siete arrivati fino in fondo a leggere. Due cose importanti da specificare:
1. Gli aggiornamenti saranno piuttosto variabili, così come la lunghezza dei capitoli credo.
2. All'inizio i dialoghi saranno molto simili a quelli del Titanic. Certe citazioni saranno esattamente le stesse con piccole sfumature. Questo perchè ci sono cose che non possono essere cambiate a mio parere, per esempio la storia del titanic e della collana ovviamente. 

Detto questo, alla prossima e grazie ancora.

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Capitolo 2
*** La donna del disegno ***


La felicità che irradiava Kristoff era assai contagiosa. Il rientro alla base fu uno dei più chiassosi di sempre, superava addirittura la gioia della scoperta dell’oro spagnolo. Tutto l’equipaggio schiamazzava, rideva e già si pregustava la sbornia che sarebbe seguita a questa scoperta. Una volta rientrati, Kristoff venne accolto nel ponte come un eroe. L’equipe rimasta sulla base lo accerchiò, dandogli pacche sulla spalla, urlando cose come “Ben fatto.”, “Finalmente l’abbiamo acchiappata!” e “Sei un mito, capo!”. Tutto ciò non fece che far aumentare la gioia di Kristoff, oltre al rossore della sua faccia, anche se lui lo attribuiva al calore di quella bellissima giornata di primavera e al sole che batteva sopra di loro. Liberatosi dei colleghi, si affrettò ad osservare il recupero della cassaforte.
Quest’ultima venne agganciata a cavi appositi per il recupero e riemerse poco dopo il loro arrivo, accolta da una serie di applausi. Vederla uscire dall’acqua, dopo quasi 85 anni, fece commuovere il ragazzone biondo.

“Potrei piangere.”  Affermò, quasi più come un sussurro.

Sven, che non aveva lasciato il suo fianco dalla riemersione, alzò gli occhi al cielo. La parte sensibile del suo compagno di avventure ormai era più che nota. La prima volta che il nome ‘Kristopher Bjorgman’ sbucò nel giornale locale con le lodi per il ritrovamento di alcuni effetti personali di un duca del ‘700, il giovane scoppiò a piangere a dirotto e si calmò solo dopo aver bevuto un paio di camomille e un bicchiere di gin. In quel momento la sua felicità era così alle stelle che non batté nemmeno ciglio per il fatto che il suo nome era stato scritto sbagliato. L’articolo era stato ovviamente incorniciato e ancora oggi (Sven lo sapeva bene) quando Kristoff ci passava davanti, si asciugava una lacrima fuggiasca.

“Su, su. Prendi questo.” E gli porse un fazzoletto, in cui Kristoff si soffiò rumorosamente il naso.

La cassaforte venne posizionata nel ponte e subito circondata da addetti specializzati, i quali iniziarono a lavorare per aprirla e rivelarne il contenuto. Il rumore delle loro seghe elettriche sovrastava il sussurrio dei presenti, troppo eccitati per proferire più di qualche parola sconnessa.
Kristoff prese un respiro profondo, assaporando l’odore di salsedine e di aria fresca che lo circondava. Il suo cuore palpitava così forte che si stupì che nessun altro riusciva a sentirlo. Si girò verso Sven che aveva gli occhi fissi sulla cassaforte, altrettanto ansioso come lui, con la bottiglia di champagne già pronta in mano.
Poi il rumore delle seghe si fermò, e con uno scattò piuttosto forte, girò la testa, sicuro di essersi procurato un colpo di frusta. I tecnici poi legarono un gancio metallico all’anta della cassa metallica e iniziarono a strattonarlo con forza finchè finalmente non riuscirono a scardinarla.

La cassaforte era stata aperta.

Sven senza perdere tempo stappò la bottiglia, accolto da altri applausi e urli di eccitazione.
Ma Kristoff, che si era avvicinato di tutta fretta quando l’anta era stata rimossa, si ritrovò di nuovo a trattenere il respiro.
Una volta aperta, dalla cassa iniziò ad uscire una certa quantità di acqua e sporco. Insieme all’acqua, uscirono anche una serie di quelli che sembravano fogli, seguiti a ruota da una scatola più piccola che in un secondo momento, Kristoff capì essere un album da disegno.
Inchinandosi, iniziò a frugare tra i scompartimenti della cassaforte, togliendo sudiciume, fango e i resti di altri fogli di carta. Continuò a rovistare, con l’ansia che traboccava da ogni centimetro del suo corpo, fino a che non raggiunse l’ultimo ripiano.
Vuoto.
Kristoff non riusciva a capire. Avrebbe dovuto essere lì, ne era così sicuro.
Ma quello che pensava essere stata l’immersione che avrebbe cambiato la storia, a quanto pare risultò essere solo un grande fallimento ed uno spreco di risorse. Imprecò.

“Non c’è.” Riuscì a dire.

Sven gli fu subito accanto, cercando a sua volta. Ma ormai le speranze erano andate. Con le mani sporche, bagnate e puzzolenti, resto inginocchiato a terra, stordito.

“Nessun diamante eh?” disse Sven dopo il suo controllo. E cercando di alleviare la tensione, aggiunse:
“Sai, effettivamente non è stata la tua immersione peggiore. Ti ricordi quella volta che abbiamo recuperato un’altra scatola metallica sigillata e l’unica cosa che abbiamo trovato dentro fu quel granchio scorbutico? Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto ad entrare. Volevo tenerlo come animale da compagnia, ma tu l’hai rilanciato in mare. Dovrebbero fare uno nuovo sport olimpionico, qualcosa tipo “il lancio del granchio”. Mai visto volare una cosa così distante.”
“Sven, se non vuoi che butti te in mare, ti consiglierei di stare zitto.”

Frustrato, si rialzò.

L’equipe portò il contenuto della cassaforte all’interno, mentre Kristoff si concesse una sigaretta e un caffè nero. Certo, dopotutto non era poi così sicuro che il diamante fosse lì. Era solo la cosa più ovvia da pensare. Poteva essere in altri mille posti ancora inesplorati: in mezzo ai detriti della suite, nella camera affianco, in qualche altra cassaforte… nello stomaco di qualche pesce… no, doveva essere positivo. Una volta che si fu calmato, rientrò in cabina e raggiunse gli altri.
Non fece in tempo a fare due passi all’interno della cabina che subito qualcosa attirò la sua attenzione.
Poco più distante un membro del suo equipaggio stava esaminando l’album da disegno appena rinvenuto. Uno dei disegni che ora stava cercando di riportare alla luce mostrava una donna, apparentemente nuda e disegnata a mano con dei pastelli, con al collo…
No, non poteva essere.

“Fatemi vedere.”  Disse, quasi urlando, avvicinandosi.

L’uomo, preso un po’ alla sprovvista, si fece da parte per dare una visuale migliore a Kristoff. Al collo indossava una particolare collana a forma di cuore. Una collana che avrebbe riconosciuto ovunque, anche ad occhi chiusi.
Prese a frugare nelle tasche dei jeans che stava indossando, dove recuperò un foglio accartocciato ai lati. Lo aprì con vigore e lo guardò, rivelando la foto di un diamante a forma di cuore. Lo confrontò con la collana davanti a lui, boccheggiando, e…

“Per tutte le renne…E’ lui.”

L’inconfondibile diamante blu a 56 carati che da tre anni stava così disperatamente cercando di recuperare. In basso, nel disegno, era stata scritta una data ‘14 aprile 1912’. Non c’erano più dubbi.

“E’ il Cuore dell’Oceano.”
*

Nel frattempo, in California, un’anziana signora era appostata in veranda, immersa nell’arte della ceramica. Gli unici suoni udibili erano la macchina che usava per lavorare, un debole cinguettio che arrivava all’esterno e uno speciale, inascoltato, che stava andando in onda dalla Tv appostata nel salotto accanto. Una brezza leggera le scompigliava i capelli bianchi e lisci mentre il profumo della primavera le pizzicava il naso. Nel mobile accanto erano appostate una serie di fotografie. Nella prima cornice, la foto sembrava molto vecchia, e ritraeva una giovane donna in bianco e nero seduta su una sedia. La donna aveva i capelli chiari, probabilmente biondi, ed era seduta composta con schiena dritta e un leggero sorriso sul volto. Accanto vi era una foto, altrettanto vecchia, di una famiglia. Dai vestiti si poteva dedurre che venissero da un ambiente di alta classe. Dietro ad esse vi erano un’altra coppia di fotografie, a colori, molto più recenti, dove una donna anziana stava accanto ad alcune persone, probabilmente i figli e i nipoti. La stessa donna anziana seduta nella veranda lì affianco. Era così concentrata nel suo lavoro che non sentì avvicinarsi una giovane donna, con in mano una tazza di porcellana.

“Nonna Elsa, ti ho portato il tè.”

Elsa, quasi si spaventò al suono della voce di sua nipote, una giovincella che aveva ereditato la bellezza della donna dai capelli chiari della foto.

“Oh grazie, Joan cara.”  Ringraziò Elsa.

Joan aveva capelli biondo platino, con occhi azzurri ghiaccio, identici a quelli della nonna. Il suo corpo sembrava essere stato scolpito da quanto perfetto sembrasse.
Ora che l’attenzione di Elsa si era spostata a sua nipote e alla tazzina di tè, le sue orecchie potevano facilmente percepire le parole udibili dalla televisione. A quanto pare stavano parlando di qualcosa a che fare con dei tesori.

Il noto cacciatore di tesori, Kristoff Bjorgman, ha deciso di raggiungere il più famoso relitto di tutti i tempi: il Titanic.

Appena udì “Titanic”, Elsa quasi lasciò cadere la tazzina da cui aveva appena sorseggiato un po’ della bevanda calda.
Si alzò velocemente, o almeno, tanto veloce quanto l’età le consentisse,  e prese ad avvicinarsi alla tv del salotto, armata di bastone. Davanti a lei si presentò l’immagine di un giovane dai capelli biondo sporco e dagli occhi color marrone, all’apparenza piuttosto muscoloso.

Tutti conoscono gli avvenimenti del Titanic” stava dicendo il giovane “la nobiltà, l’orchestra che ha suonato fino alla fine, eccetera. Ma quello che a me interessano sono le cose non raccontate, i segreti imprigionati nel cuore dello scafo del Titanic...”

Lo spostamento di Elsa attirò l’attenzione della nipote che le si avvicinò.

“Cosa c’è?”
“Alza il volume, cara.”
Sono circondato da validi esperti. Guarda cosa abbiamo trovato oggi: un pezzo di carta rimasto sott’acqua per 84 anni!

Alla tv mostrarono il disegno di una donna nuda distesa su un divano, con al collo una collana a forma di cuore. Le parole continuarono a scorrere ma la concentrazione di Elsa era tutta su quel disegno. Quel tratto, quella figura, quello schizzo… Com’era possibile che fosse sopravvissuto? Eppure eccolo lì. Inconfondibile. Le sue gambe iniziarono a tremare.

“Che mi venga un colpo.” Disse.

Avrebbe dovuto vederlo con i suoi occhi. Assolutamente.
*
 
Giunta la sera, Kristoff si stava preparando per un'ultima e veloce immersione nelle profondità degli abissi. Mancavano ancora pochi preparativi, ma prima che potesse anche pensare di provvedere agli ultimi ritocchi, Sven arrivò verso di lui, chiamandolo.

“Kristoff! C’è una telefonata via satellite per te!”
“Che? Ma stiamo per immergerci.”
“Lo so amico, ma fidati, non te la puoi perdere.”

Sbuffando contrariato, non poté fare altro che avvicinarsi al telefono presente nel ponte. Poco prima di prendere la cornetta, Sven lo avvisò.

“Parla ad alta voce, è in là con l’età.”

Kristoff sbuffò di nuovo, mandando gli occhi al cielo e portò la cornetta all’orecchio.

“Sono Kristoff Bjorgman, in che cosa posso aiutarla, signora…”
“Calvert, Elsa Calvert” gli venne incontro Sven.
“…signora Calvert?”

Dal ricevitore una voce roca ma smorfiosa parlò.

“Ero curiosa di sapere se avete già trovato il Cuore dell’Oceano.”

A questo Kristoff sgranò gli occhi, e guardò Sven scioccato. Sven gli rispose con un occhiolino e uno sguardo che diceva ‘te l’avevo detto che era importante’.

“Sono tutto orecchie, Elsa. Sa dirci chi è la donna del ritratto?”

Ma quello che Kristoff udì, era così inaspettato da non sembrare neanche vero perché la signora anziana rispose dicendo:
“Oh sì, la donna del ritratto sono io.”
 
 
A/N: Ringrazio Tenori per l’aiuto che mi sta dando e gli ottimi consigli. Un gelato non sarà mai abbastanza per ringraziarti.
E grazie a tutti voi per la lettura. See ya!

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Capitolo 3
*** Riflessioni sul passato ***


Impaziente, ecco la parola che meglio descriveva Kristoff in questo momento: camminava avanti e indietro sul ponte, borbottando tra sé e sé, e le poche volte che smetteva di camminare, lo si vedeva battere il piede a terra. I membri dell’equipaggio che lo avevano incrociato, potevano affermare che la sua scorta di sigarette stava per essere  messa a dura prova. Per di più, per accenderne una, aveva bisogno di più tentativi visto il tremore e la sudorazione delle sue mani e questo certo non aiutava la sua ansia, già parecchio elevata.
La conversazione avuta con Elsa Calvert continuava a ripetersi nella sua testa. Elsa aveva chiaramente nominato il Cuore dell’Oceano e questo era stato già di per sé uno shock. Ma come se ciò non bastasse, aveva affermato di essere lei la donna del ritratto.
Era uno scherzo.
Doveva esserlo, giusto? Ma avrebbe dovuto accertarsene. Se fosse vero, la fonte di informazioni che potrebbe ricavarne sarebbe stata incalcolabile e alquanto preziosa per il ritrovamento del diamante.
La signora poi aveva espresso il desiderio di vedere il ritratto. Ovviamente se voleva controllare che dicesse o no la verità, avrebbero dovuto trovarsi faccia a faccia, quindi perché non cogliere al volo l’occasione e invitarla a bordo? Kristoff si era gentilmente offerto di organizzare il loro incontro, mettendo a disposizione un elicottero privato per il suo arrivo alla nave, e avevano disposto l’incontro da lì a pochi giorni. E il giorno in questione era oggi. Il che spiegava l’agitazione di Kristoff.

Nei giorni precedenti le immersioni erano continuate: erano riusciti a recuperare alcuni effetti personali all’interno della suite di Southern tra cui uno specchietto scheggiato, un vecchio carillon, un pettine e un fermacapelli. Tutte cose molto vecchie, molto rovinate (con eccezione forse del fermacapelli) e molto inutili.
Del diamante, nessuna traccia.
Tutto però aveva un interesse diverso. Tutta l’attenzione di Kristoff era stata presa da quella telefonata satellitare e oggi sarebbe stato il giorno chiave. O almeno, avrebbe dovuto esserlo a meno che non si rivelasse tutto uno scherzo.

Kristoff era alle prese con l’ennesima sigaretta quando venne raggiunto dal suo migliore amico, Sven.

“Ti stai godendo l’aria di mare, capo?”

In risposta Kristoff grugnì.

“Oh ma come siamo maturi oggi. Qualcuno si è svegliato con qualche renna di traverso questa mattina?”
“Piantala. Sei venuto qui per prendermi in giro o hai qualche nuova notizia per me?”
“In verità, ho trovato qualcosa.”

Questo parve scuotere Kristoff. Il biondo aveva incaricato il suo compagno di cercare informazioni su Elsa Calvert in modo da avere un quadro generale su chi si sarebbero trovati davanti. Le ricerche avevano tenuto Sven appiccicato allo schermo di un computer per ore e ore. Ma a quanto pare aveva dato i suoi frutti. Nessuno dei due avrebbe voluto trovarsi davanti un impostore.

“Beh…” iniziò Sven. “come avevamo già scoperto grazie alle informazioni su Hans Southern, c’era una donna di nome Elsa Arendelle a bordo del Titanic che dovrebbe essere deceduta all’età di 17 anni, quando è affondato, esatto? ”
Kristoff annuì. “Si.”
“Nell’idea che fosse sopravvissuta, ora avrebbe oltre 100 anni.”
“102 per l’esattezza.”
“Vuoi sentire quello che ho da dire o no?” aggiunse Sven, irritato, che non voleva essere interrotto.

Il biondo alzò le mani come in segno di resa e aggiunse:
“Scusa, scusa, continua.”
“Nei registri di imbarcò non c’è nessun’altra donna che porta il nome ‘Elsa’. Questo ci porta ad un paio di ipotesi. La prima è che Elsa Arendelle e Elsa Calvert siano la stessa persona. La seconda è che Elsa Calvert sia riuscita ad infiltrarsi nella nave senza biglietto, anche se con la sicurezza a cui è stato sottoposto il Titanic la vedo dura, e i motivi per cui sia venuta a conoscenza della collana sono ancora ignoti… Terzo, è solo una maledetta bugiarda in cerca di soldi o pubblicità o chissà che altro. Una copia esatta di com’è andata a finire la storia di quella russa, Anastasia.
“Beh nessuno di noi vorrebbe un’altra Anastasia immagino. Sei riuscito a risalire al passato della Calvert?”
“A quanto pare, quando era giovane, intorno ai 20 anni, faceva teatro. Ha recitato un paio di ruoli minori in qualche opera in America ma all’epoca il suo nome era ‘Elsa Dawson’. Più avanti ha conosciuto questo Calvert, si sono sposati, si sono trasferiti in California dove hanno avuto un paio di figli e ora puff, ci è capitata addosso. Non sono riuscito a trovare nient’altro.”
“Quello che non capisco…” iniziò Kristoff “…è come ha fatto a sapere del diamante. Oramai coloro che ne sono al corrente dovrebbero essere morti.”
“E noi chi siamo? Gli zombie della porta accanto?” scherzò Sven.

Ma Kristoff non aveva sentito. Ora era immerso in un’altra ondata di pensieri.
Chi era veramente questa Elsa Calvert? Era veramente la donna del ritratto? E che dire del Cuore dell’Oceano?
Il suo rimuginare però venne fermato quasi subito dal rumore in lontananza di un elicottero. Si affrettò verso il parapetto della nave e si sporse quanto più possibile per vedere.
Qualcuno urlò “Stanno arrivando.” E fu allora che riconobbe lo stemma della loro base. Stavano arrivando davvero.
Si avvicinò a passo svelto all’area adibita all’atterraggio, pronto ad accoglierli, con Sven al seguito.
Più si avvicinava, più il rumore era assordante. Niente a cui non fosse abituato, ma lo trovava sempre piuttosto irritante. Man mano che l’elicottero scendeva il vento si fece sempre più forte, tanto che Kristoff rinunciò a sistemarsi i capelli e li lasciò svolazzare. Sven, dal canto suo, era piuttosto a suo agio.
Una volta a terra, la porta dell’elicottero scattò aperta e vennero accolti dalla più bizzarra delle visioni: valigie. Una moltitudine. Alcuni uomini le stavano trasportando al di fuori, ma alcune erano così grandi da nasconderli e dare l’impressione che ai bagagli fossero spuntate delle gambe e camminassero verso di loro da sole.

Dopo che più di una dozzina di borse furono state scaricate, gli uomini fecero scendere i passeggeri: la prima a scendere fu una donna anziana con un bastone, molto anziana in effetti, con capelli lisci di un bianco lucente, occhi azzurri e una corporatura a prima vista molto fragile. Indossava un golfino azzurro e dei pantaloni in tinta nera. Sulle sue spalle posava un scialle bianco fatto a mano a cui era aggrappata strettamente. Sven non poté trattenersi e sussurrò a Kristoff:

“Beh, non si può dire che non sia moooolto vecchia.  Questo è un punto a suo favore, giusto?”

Kristoff non rispose. La sua attenzione fu rivolta al secondo passeggero che scese. Una donna dai capelli biondo platino, raccolti in uno chignon, che prese l’anziana signora a braccetto per aiutarla. Gli occhi erano dello stesso colore e indossava una camicia verde bottiglia abbinata ad un paio di jeans aderenti che non potevano non esaltarne la forma perfetta.
Sven dovette agitare la mano davanti agli occhi di Kristoff per risvegliarlo dal suo sogno ad occhi aperti. Kristoff sbatté le palpebre un paio di volte e chiuse la bocca che non si era accorto di avere aperto, e si avvicinò alle due signore, che gli stavano venendo incontro, puntando lo sguardo alla più giovane delle due.
Tese una mano e disse:
“S-S-Sono Kristopher Bjorgman, cioè Kristoff, Kristoff Bjorgman, non Kristopher, e ti-andrebbe-di-uscire-con-me?”

Sven gli tirò un pugno nel braccio. Ma il danno era fatto e Kristoff era ormai tornato della sue consueta tonalità rosso-peperone. D’altra parte la ragazza arrossì leggermente e portò una mano davanti alla bocca per coprire la sua risata.

Adorabile” pensò Kristoff. Sven intervenne in suo aiuto.

“Scusate il mio amico, non ha avuto molto sonno la scorsa notte. Sono Sven Reindeer, e come ha cercato di dire prima, lui è Kristoff Bjorgman,  e saremo i vostri accompagnatori per il momento. Benvenuti nella nostra nave. E’ un piacere fare la vostra conoscenza.” E tese la mano.

La donna dai capelli bianchi tese la mano a sua volta e si presentò.

“Sono Elsa Calvert, il piacere è tutto mio. E questa qui…” disse indicando l’altra ragazza, “…è mia nipote, Joan. È stata così gentile da accompagnarmi, è lei che si prende cura di me di questi tempi. ”
“Piacere.” Disse Joan, sorridendo animatamente ai due.
“Direi che è il momento di mostrarvi i vostri alloggi, giusto Kristoff?”

Kristoff, che era rimasto imbambolato, perso di nuovo nei suoi sogni, si destò leggermente al suono della suo nome.
“Gli alloggi. Certo. Da questa parte signore.”

E le accompagnarono. Quando arrivarono a destinazione, la loro cabina era già occupata dalle loro valigie.

“Spero sia di vostro gradimento.” Disse Kristoff in un tentativo di rifarsi dalla figuraccia precedente.
“Non vi preoccupate. Ci abitueremo.” Rispose Elsa
“Bene, torneremo a controllare più tardi.” Aggiunse Sven.

I due compagni erano pronti ad andarsene quando Joan disse con un sorriso… 
“Ci vediamo dopo e grazie Kristopher.
…facendo l’occhiolino dopo aver pronunciato il nome. La porta della cabina poi si chiuse.
Kristoff non fu mai così felice di essere chiamato con il nome sbagliato e l’unica cosa che riuscì a far venire fuori dalla sua bocca arida fu un debole e inascoltato:

“E’ Kristoff.”
*

“C’è qualcosa che dovrei sapere tra te e quel ragazzone biondo?”
“Che? Nonna Elsa, che dici!”

Elsa rise nel vedere sua nipote arrossire in quel modo, portandosi la mano davanti la bocca, in un imitazione perfetta di come aveva riso precedentemente la ragazza. Joan era sempre stata di un’ottima compagnia, anche se le dispiaceva che dovesse passare il tempo con una vecchia come lei. Certo, questo la rendeva molto felice ma un po’ di rammarico rimaneva sempre.

Le due stavano sistemando le loro cose. Era una vecchia abitudine di famiglia portarsi dietro quante più cose potevano, e questo la faceva sentire a casa.
La cabina era piuttosto confortevole tutto sommato. Il profumo del mare passava attraverso le piccole fessure dell’unico oblò presente e si poteva sentire le onde infrangersi contro la nave. Certo, non era la California con i suoi paesaggi immacolati, ma non si poteva dire che non fosse carina. Mai Elsa aveva pensato che avrebbe rimesso piede in una nave, che fosse una nave di ricerca o un transatlantico lussuoso, e ancora di più, non pensava che sarebbe tornata in quelle acque. Quelle acque, che portavano con sé un sacco di ricordi. Solo il pensiero che sotto di loro ci fosse il Titanic bastò per farla rabbrividire. Il viaggio nel Titanic l’aveva cambiata, non poteva negarlo. Le sembrava un’eternità da quando era salita a bordo sbuffando e criticando ogni cosa le capitasse a tiro, odiando la sua vita così duramente. Ora invece riusciva a vedere il bello in ogni cosa ed apprezzare ogni singolo momento. E questo lo doveva solo a…

Un forte bussare la fece scattare dai suoi pensieri. Fu Joan a rispondere con un morbido ‘Si?’ e ad aprire la porta, rivelando i loro accompagnatori, Kristoff e Len? Sen? Qualcosa del genere.

“Tutto apposto?” chiese il ragazzo castano.

Elsa appoggiò l’ultima cornice che aveva in mano e si girò ad affrontarli e rispondere:
“Tutto alla meraviglia, grazie Len.”

Vide Kristoff sogghignare un attimo, senza capirne il motivo, prima di prendere la parola con aria più seria.

“Che cosa desidera? Posso offrirle qualcosa?”

A questo Elsa aveva la risposta pronta. Era qui per quello dopotutto, non aveva certo volato dalla California per fare un picnic sul ponte di qualche nave. Si schiarì la gola.

“Sì, desidererei vedere il mio ritratto per favore.”


I due uomini le accompagnarono nella stanza del ritratto. Il tragitto non fu lungo e Elsa non poté che esserne grata. 100 anni non erano pochi e il peso della vecchiaia era sempre più grande da portare. Quando entrarono la fecero avvicinare ad una teca di vetro, all’interno della quale, c’era un foglio di carta. Su di esso c’era disegnata una donna. Elsa poteva già sentire le gambe diventare deboli alla vista.

La donna era stata ritratta con un pastello nero su carta bianca, ingiallita probabilmente dal tempo passato in acqua. I capelli erano sciolti e appoggiati alle spalle nude. Il collo era adornato con una collana di diamante e la parte inferiore del corpo era nascosta da un velo che lasciava però scoperte le gambe e i piedi. Una mano era adagiata tra i suoi capelli mentre l’altro braccio era appoggiato al cuscino. In basso a destra era stata posta una data e al fianco una lettera. Era un’inconfondibile ‘A’, un po’ sbiadita, con l’angolo sinistro leggermente arricciato e l’angolo destro che si arricciava formando una specie di asola che sostituiva il trattino originale. La firma dell’autore.

La sua firma.” Pensò Elsa.

Eccola, davanti ai suoi occhi, la provo che Lei era esistita, esistita davvero, che la sua mano calda un tempo si era mossa su quel foglio, tracciando con i pastelli quelle linee, quelle ombre, quel suo ritratto. Chiudendo gli occhi avrebbe giurato di poter rivederla ancora una volta: Lei, con i suoi occhi azzurro mare, i capelli biondo fragola, il viso pieno di lentiggini....
Trovarsi davanti a quel disegno di nuovo era un miracolo.
Persa nei suoi pensieri non si rese conto che Kristoff aveva iniziato a parlare  e iniziò ad ascoltarlo.

“Luigi XVI indossava una pieta chiamata ‘il diamante blu della corona’. Sparì nel 1792 dopo la morte di Luigi. Secondo alcune fonti, il diamante della corona fu tagliato, assumendo la forma di un cuore, e fu battezzato ‘Cuore dell’Oceano’. Oggi avrebbe un valore immenso.”

Kristoff le mostrò la foto del diamante e oh, sapeva benissimo di cosa stava parlando.

“Era molto pesante.” Affermò Elsa. “Lo indossai solo quella volta per questo ritratto.”
“Nonna, sei certa di essere tu?”
Elsa parve offendersi.
“Ma certo! Avrò pure 102 anni ma questo non significa che mi invento le cose. E poi guarda, non ti assomiglia un po’? L’ho sempre detto a tuo padre che eri la mia copia esatta, due gocce d’acqua!”

Questa affermazione, Elsa notò, fece colpo sui presenti che iniziarono a comparare il disegno con Joan, provocando un leggero rossore nelle guance della ragazza. Kristoff poi tornò a fare riferimento alla collana.

“L’ho rintracciata grazie a dei documenti d’assicurazione. Una famiglia aveva acquistato il diamante in assoluta segretezza e quando è affondato sulla nave, hanno chiesto il risarcimento. Ha idea chi possa essere questa famiglia, signora Elsa?”
“Immagino fossero i Southern…” rispose senza un attimo di esitazione.
“Esatto!” quasi urlò. Kristoff chiaramente era al settimo cielo. “La collana venne data a Hans Southern che la comprò per la sua fidanzata, ovvero lei.”
“Se è vero che lei è quella donna…” aggiunse Sven in un mormorio “…questo significa che la collana…”

Joan che aveva perso il filo del discorso si intromise.

“Che cosa significa tutto questo?”
“Questo significa…” rispose Kristoff, con un certo scintillio nei suoi occhi “…che se Elsa Arendelle e Elsa Calvert sono la stessa persona, sua nonna indossava la collana il giorno in cui affondò il Titanic, e questo viene dimostrato dal ritratto. Vede la data in basso? 14 Aprile 1912.” Prese una pausa, prendendo un grande respiro per poi riprendere con voce tonante. “Quindi lei, Elsa, deve sapere che fine a fatto il diamante, giusto? Il che la rende la mia migliore amica!” finì il biondo.

Sven, nel sentire questo, sembrava leggermente irritato.
“Pensavo di essere io il tuo migliore amico!”

Elsa, dal canto suo, era persa di nuovo nei pensieri. L’ultima frase di Kristoff, insieme al colore dei suoi occhi (che Elsa si rese conto essere marroni) innescò un certo ricordo. L’autore del ritratto le tornò in mente e le sembrava di risentire la sua voce melodica dire:

I tuoi occhi non sono marroni. Sono color cioccolato! C’è differenza! Il che rende te il mio migliore amico!

Aveva quasi dimenticato questo ricordo del passato e si sentì subito nostalgica. Una piccola lacrima le scese nella guancia inosservata ma se l’asciugò immediatamente.

Kristoff e Sven poi posarono la loro attenzione ad un tavolo lì vicino dove c’erano alcuni oggetti. Kristoff stava dicendo qualcosa ma non stava ascoltando, probabilmente era immerso nella descrizione del recupero di questi oggetti. Una scatola rettangolare suscitò il suo interesse. Era intagliata in legno bianco, leggermente ammuffito ai lati, e, sulla superficie, vi era inciso un fiore, un croco per precisione, stemma degli Arendelle.
Un’altra memoria iniziò a prendere forma nella sua mente: qualcuno le prendeva il fianco e la avvicinava a sé, in un angolo un carillon suonava una dolce melodia che riempiva la stanza, il suo naso venne accolto con il dolce profumo di fiori, stavano oscillando, l’una stretta all’altra…

“Allora? Pronta a raccontarci la storia e ritornare nel Titanic?”

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti (di nuovo) da Kristoff. Non era sicura se dovesse dare la colpa al ragazzone biondo per bloccare così i momenti più interessanti della sua memoria o a se stessa per sognare ad occhi aperti. In ogni caso, rivolse un sorriso ai presenti e con decisione affermò:

“Sì, sono pronta.”

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Capitolo 4
*** Partenza (Parte 1) ***


“Si, sono pronta.”

Nella cabina si levò un silenzio carico di tensione ed eccitazione. Né Kristoff né Sven avevano mai pensato di raggiungere tale fonte di informazioni e questo era chiaramente scritto nei loro volti. Kristoff corse fuori dalla stanza e tornò poco dopo con un registratore portatile in mano. Joan invece era carica di emozione.
Elsa si avvicinò ad una sedia e si sedette sospirando. Sarebbe stata una storia lunga e non l’aveva mai raccontata a nessuno, nemmeno al suo defunto marito. Tanto valeva mettersi comodi. Gli altri seguirono il suo esempio.
Chiuse gli occhi per un attimo, preparandosi per ciò che stava per raccontare: sarebbe stata una storia emozionante per loro probabilmente, una di quelle storie di cui avrebbero potuto trarre un film, ma per lei era tutt’altra cosa. Quei ricordi erano i più belli che avesse mai avuto… e i più dolorosi.

“Sono trascorsi 84 anni…”
“Oh, non si preoccupi, ricordi quello che ries-”

Lo sguardo omicida che Elsa lanciò a Kristoff bastò per fargli capire che non voleva essere interrotta. Kristoff si fece piccolo nella sua sedia e Elsa riprese da capo.

“Sono trascorsi 84 anni e ancora sento l’odore della vernice fresca. I servizi di porcellana non erano mai stati usati, nessuno aveva mai dormito su quelle lenzuola. Il Titanic era chiamato ‘la nave dei sogni’. Lo era, lo era davvero.”

E così iniziò, raccontando quella che era la sua storia, di come si sentiva in trappola, di come incontrò qualcuno che la facesse sentire libera, di come imparò a prendere le sue scelte autonomamente, di come il viaggio del Titanic le avesse cambiato la vita, e di come imparò ad amare.

Ad amare lei.

Ad amare Anna.
*

Il porto di Southampton non era mai stato così affollato come ora. Questa città, situata nella contea dell'Hampshire nel Regno Unito, era da sempre un celebre approdo per i transatlantici che volevano raggiungere il Nord America, ma oggi l’attenzione di tutti non era rivolta su una qualche nave di passaggio, no. Tutti i presenti stavano ammirando l’imponenza del transatlantico più grande e lussuoso del mondo: l’inaffondabile Titanic.
La folla era in trepidazione. Al di sopra del trambusto, si potevano sentire le urla sorprese e le esclamazioni che acclamavano il Titanic:

“Non ho mai visto nave più grande!”
“E’ stupendo.”
“Un capolavoro!”

I bambini correvano avanti e indietro, passando in mezzo a file di bagagli, marinai all’opera e persone di ogni età in fila, in attesa di entrare nella grande nave.
Diverse passerelle affiancavano il Titanic per acconsentire ai passeggeri di entrare nei reparti designati. Erano smistati in base alla classe attribuita al biglietto e coloro che avevano già effettuato i controlli, si appostarono nei vari ponti per dare un ultimo saluto al porto britannico e ai propri cari rimasti a terra.

Una serie di clacson annunciò l’arrivo d’un paio di automobili, che entrarono nel porto facendosi largo tra la folla. Già da una prima occhiata si poteva capire che appartenevano a qualche signore o nobile di alta classe, e questo non si capiva solo dal fatto che la maggior parte delle auto portavano enormi quantità di valige e bagagli. Subito dopo infatti l’autista della prima auto, vestito con un completo nero e giacca bianca, uscì dalla vettura e si diresse ad aprire la porta ai passeggeri al suo interno.
Alcune persone si erano fermate lì accanto per guardare, curiose di chi potesse trovarvici dentro, e quando la porta venne aperta, la prima cosa che videro fu un guanto bianco, probabilmente di seta o qualche altro tessuto costoso, adagiarsi alla mano dell’autista. A seguire, una delle più belle donne mai viste scese dalla vettura, ergendosi in tutta la sua grazia. Indossava un abito blu scuro che terminava con una lunga gonna ricamata in nero alla base che le copriva appena le ginocchia. Abbinato portava un coprispalle dello stesso colore, anch'esso rifinito con dei bordi neri, che lasciava vedere le lunghe maniche dell'abito e il bianco colletto della camicia.
I capelli biondo platino spiccavano tra la gente e altre persone si fermarono ad ammirare la bellezza di questa giovane donna.

Elsa, d’altra parte, non sembrò interessata alle attenzioni che stava ricevendo da loro e anzi, li ripagò con una ferrea indifferenza. Tenne le spalle alte e la schiena rigorosamente dritta. Sembrò insensibile anche al profumo di salsedine che inondava il porto e all’aria di festa che regnava. L’unica cosa che sembrò interessarle fu…

“Che chiasso. Non capisco cos’hanno tanto da urlare.” Sbuffò.

Alzò lo sguardo e osservò il Titanic con scetticismo.

“Non sembra poi un granché.” Borbottò.
“Pensavo che almeno la vista del Titanic avrebbe sciolto il tuo animo di ghiaccio, Elsa cara, ma vedo che neanche il grande colosso riesce a farti fare una piega.” Rispose una voce maschile.

Elsa, che non si aspettava una risposta, sobbalzò leggermente ma non rispose al commento.
L’uomo che aveva appena parlato, altri non era che il futuro fidanzato della ragazza, Hans Southern, che era appena sceso dall’automobile. Era un ricco signore molto affascinante e galante, vestito con un cappotto blu dal colletto nero, abbinato al vestito di Elsa, e un paio di pantaloni scuri. In testa portava un cappello cilindrico dello stesso colore dei pantaloni, che rendeva visibili solo le basette dei suoi capelli ramati. I suoi occhi verdi spiccavano contro la sua pelle chiara e snella, rendendo l’insieme fonte di un effetto ipnotico per chi lo guardava.
Prima che Hans potesse anche notare la mancanza di una risposta, da dietro di loro uscì un’altra signora, dagli stessi lineamenti di Elsa. Indubbiamente era la madre della ragazza. Aveva il suo stesso portamento e, abbinato al suo vestito verde smeraldo , portava un ombrellino bianco per coprirsi dal sole di quella stupenda giornata d’aprile. Hans le si avvicinò.

“Certo che sua figlia è proprio difficile da sciogliere, Idun.”

Idun rispose con una risatina, ma cambiò subito discorso.

“Allora, è questa la nave che dicono essere inaffondabile?”
“La unica e sola! Niente e nessuno potrebbe affondarla.”

Elsa però non prestava attenzione, concentrata com’era a chiedersi come tanta gente potesse trovare incantevole e mozzafiato una barchetta simile. Per non parlare di quanto rumorosamente esprimessero il loro apprezzamento. Avrebbe di gran lunga preferito rinchiudersi nelle sue stanze a leggere libri d’arte o di avventura, con una tazza di un buon thè nero in mano, piuttosto che essere partecipe ad un simile… scempio.  

“Allora, le mie donne sono pronte ad andare?”

Hans era appena tornato, dopo che aveva lasciato per alcuni minuti per discutere con alcuni marinai sul trasporto dei loro bagagli, e prese la madre di Elsa a braccetto, iniziando a dirigersi verso la nave. Elsa, affiancata dalla sua cameriera personale, seguì la coppia, grata che le fossero davanti. Idun aveva il brutto vizio di non toglierle mai gli occhi di dosso. Era sempre pronta a criticarla per il suo portamento e ogni minimo errore che commetteva. La donna voleva solo il meglio, le imprecisioni non erano permesse, e tutto ciò che poteva intaccare la sua immagine di donna nobile andava eliminato all’istante. Tutto doveva essere perfetto. Anche se questo comprometteva il benessere di qualcuno.
Hans, invece, aveva l’abitudine di mandargli sguardi lussuriosi che le facevano venire il voltastomaco, e aveva controllo completo sulla sua vita. Non poteva nemmeno decidere da sé cosa mangiare perché lui non le dava possibilità di esprimersi. Non era sicura di amarlo, ma non aveva scelta. Tutta la sua vita era basata su seguire ciecamente e senza proteste le decisioni che altri avevano fatto per lei. Era come un topo in gabbia.

Perciò essere fuori tiro dallo sguardò di sua madre, anche se solo per poco, non poté che essere un sollievo per la giovane.
E mentre salivano la passerella, diretti alla nave più grande del mondo, nella quale avevano noleggiato la suite più lussuose disponibili, Elsa distolse l’attenzione dalla folla rumorosa, dai fischi che emetteva la nave, dalla luce che irradiava il porto, e si fermò a pensare.
Per gli altri il Titanic era la nave dei sogni, per lei invece era solo una nave carica di schiavi, che la riportava in America in catene. Agli occhi degli altri era sempre stata tutto quello che una ragazza di buona famiglia doveva essere, ma dentro, non poteva fare altro che urlare e chiedere aiuto, invano.
*

Il chiasso del porto era attutito dalle spoglie pareti del bar denominato “Oaken&Sons”. Il locale era quasi completamente vuoto dato che la maggior parte delle persone era in attesa della partenza del Titanic, non che di solito avesse molti clienti: il pavimento del bar sfoggiava uno spesso strato di sudiciume e polvere, i vetri esibivano macchie di sporco poco invitanti e i tavoli non erano nelle miglior condizioni. Due cose si potevano considerare positive di questo posto. Prima di tutto i prezzi erano bassi e le bevande non erano nemmeno così male; secondo, si potevano svolgere affari, loschi e non, senza essere disturbati. Il proprietario, un grosso omone alto due volte un uomo normale, che attualmente stava pulendo i tavolini con un panno sporco, non batteva ciglio e non proferiva parola con nessuno. Questo aveva attirato nel corso degli anni una clientela piuttosto misteriosa che gradiva la riservatezza e aveva fatto sì che il locale non finisse in bancarotta.
Gli unici clienti in quel momento erano quattro persone, sedute nell’angolo del bar, alle prese con una partita di Poker. Il silenzio era rotto solo dal tintinnio dei loro bicchieri e dallo sfregare del panno sui tavolini. Quattro borse erano appostate affianco a ciascuna sedia, segno che le persone erano solo di passaggio e pronti a lasciare il paese alla fine della partita. Tra di loro vi era una sola donna.

La donna in questione aveva dei bellissimi occhi azzurro mare e portava i capelli biondo fragola in due trecce, adagiate contro le spalle. Il suo viso era piano di lentiggini ma la cosa che più dava nell’occhio, era una piccola striscia bianca che partiva dal capo e terminava all’estremità della treccia destra. I vestiti che indossava però non le davano giustizia. Aveva capi di seconda mano, smessi che, la ragazza non aveva paura ad ammettere, anzi ci scherzava su, puzzavano leggermente di vecchio. Il suo vestiario comprendeva un paio di pantaloni beige chiaro con tanto di bretelle, una camicia verde giada di qualche taglia più grande, e una giacca grigio scuro pesante, lasciata aperta.
Emanava un leggero profumo di fiori, in contrasto con il forte odore di pesce andato a male e muffa, caratteristico del posto.
Tra i quattro giocatori, lei sembrava quella più rilassata anche se una piccola goccia di sudore si stava formando sulla sua fronte, segno del nervosismo e la tensione dell’aria che li circondava. La partita era ormai alla fine: ciascun giocatore aveva puntato tutto ciò che aveva e stavano per affrontare il momento della verità con l’ultima mano. L’uomo paffuto accanto alla ragazza, suo compagno nel gioco, le si avvicinò e le sussurrò in un orecchio:

“Anna, sei completamente paaazza!”

Anna di tutta risposta sorrise. Era più simile a un ghigno che ad un sorriso e in quel momento, i suoi occhi sembravano brillare di malizia. Avvicinandosi a sua volta al suo compagno, Anna gli disse di rimando:

“Quando non hai niente, non hai niente da perdere, Olaf.” E gli fece l’occhiolino.

Anna era una ragazza americana che amava viaggiare. Aveva visitato molti paesi tra cui Francia, Italia, Danimarca e Norvegia ed è in quest’ultima che incontrò Olaf, un ragazzone paffutello con occhi color marrone e capelli scuri e riccioluti. Da allora i due erano inseparabili. Olaf decise di lasciare la sua terra natia per andare all’avventura con Anna e i due, con solo pochi spiccioli in tasca e le valigie piene di sogni e ambizioni, avevano visitato insieme un sacco di paesi, finchè non arrivarono in Gran Bretagna dove al momento stavano affrontando questa partita di poker.
Olaf non era molto abile nel gioco d’azzardo, non ne capiva le regole, e non era nemmeno tanto bravo a mentire e fare bluff. Tutte le sue emozioni gli si leggevano in faccia. Questo poteva essere una cosa fantastica per alcune persone, ma sicuramente non molto utile in una partita così importante. Al momento era chiaramente terrorizzato.
La posta in gioco era enorme.
I loro due avversari avevano puntato i loro biglietti del Titanic assieme ai loro soldi, mentre Anna aveva puntato il suo prezioso ciondolo d’oro. Olaf sapeva bene che se c’era una cosa che Anna amava più della sua vita, quella era sicuramente la collana in questione. Ma Anna era fiduciosa, altrimenti non l’avrebbe puntata, e questo bastò per far tranquillizzare un po’ il ragazzone. Quando Anna tornò a guardare le sue carte, aveva già cambiato espressione e i suoi occhi tornarono attenti e concentrati.

Olaf iniziò a strattonarsi la sciarpa che portava al collo. I vestiti dei due avventurieri erano molto simili con le uniche differenze della sciarpa e del colore della camicia di Olaf, che era blu a righe bianche. I due si erano procurati i vestiti non molto tempo fa per gentile concessione di un’anziana signora che gli aveva ospitati nella loro stalla per qualche giorno.
Anna non mancò di notare l’agitazione del suo compagno e capì che avrebbe dovuto rompere la tensione e porre fine al tutto. Con un unico sorso finì la sua birra e posò violentemente il boccale contro il tavolino, causando un tonfo che scosse i presenti. I loro due avversari, dei tedeschi un po’ burberi, per poco non caddero dalla sedia per lo spavento.

“Va bene, ora basta indugiare. E’ il momento della verità.” Anna guardò i presenti con sguardo indagatore e si mise comoda sulla sedia.
“La vita di qualcuno qui sta per cambiare. Olaf?”

Olaf mostrò le carte, ma Anna sapeva già quello che avrebbe trovato nella sua mano.
“Niente.” Affermò Anna.

Olaf, dal canto suo, si fece piccolo piccolo nella sedia con uno sguardo di scusa per Anna, mentre i due tedeschi si scambiarono un’occhiata speranzosi. Anna proseguì.

“Tu, biondino con gli occhiali.” E puntò l’uomo affianco ad Olaf che a sua volta mostrò le carte.
“Niente nemmeno tu eh?” In risposta, lui grugnì.

Anna poteva già sentire le gocce di sudore scendere lungo la sua spina dorsale, ma ancora una volta non lasciò che le sue emozioni prendessero il sopravvento. Picchierellando le dita sul tavolo, si rivolse al terzo giocatore che aveva una folta chioma di capelli rossi.

“Tocca a te, cappelluto.”
Lui a differenze degli altri, sembrava molto più risoluto e mostrò le carte dando uno sguardo ad Anna che diceva ‘vediamo chi sarà l’ultimo a ridere’. Anna sospirò pesantemente, imprecando.

“Diamine… doppia coppia. ” Gli occhi di Anna si fecero increduli e tristi. Si girò verso il suo compagno.
“Olaf… io mi dispiace… ma…” Olaf, atterrito, puntò gli occhi verso il pavimento, senza dire nulla.
“Oliver, guardami.”

Oliver, era il nome che Anna usava per chiamare Olaf quando voleva essere ascoltata fino in fondo. Oliver era la variante inglese del suo nome, anche se preferiva di gran lunga l’originale. Al suono del suo nome detto con tanta forza, Olaf la guardò negli occhi.

“Olaf… credo proprio che dovremmo proprio prendere i nostri bagagli e andarcene…perché-stiamo-andando-in-America-sul-Titanic!!!”

E sbattendo la mano sulla tavola mostrò le carte ai tre giocatori sconvolti, mostrando la sua giocata, una scala reale. Olaf la guardò e si alzò abbracciando Anna con tutta la sua forza, tanto che i due caddero dalla sedia e si schiantarono sul pavimento sporco, esultando e urlando dalla gioia.

“Anna, non ti ho mai amato così tanto, piccola mocciosa impertinente!”

Anna rideva come non mai. Scansò Olaf da sopra di lei e si rialzò, porgendo la mano all’amico rimasto a terra. Una volta in piedi si poteva chiaramente vedere la differenza d’altezza dei due. Anna, seppur mingherlina, era di un buon 5 centimetri più alta del ragazzo bruno. Uno dei tedeschi, il biondo con gli occhiali, si alzò minaccioso, fermando i boati di gioia dei due giovani, ma ciò che non si aspettarono, era che iniziasse a prendere a pugni il suo compagno rosso. Questo diede l’avvio ad un altro attacco di ridarelle. La seconda risata fu interrotta dal proprietario, che si avvicinò a loro.

“Yoo hoo, credo proprio che voi non andrete da nessuna parte.”
“Aspetta, che?” disse sconvolta Anna. “Perché no?”
“Il Titanic sta andando in America, fra 5 minuti.”

Una luce di comprensione si fece largo tra gli occhi di Anna. Imprecò un’altra volta e corse verso il tavolo, aprendo la sua borsa.

“Presto Olaf, dobbiamo muoverci, stanno partendo senza di noi!”

Olaf le fu subito accanto, aiutandola a raccogliere la loro vincita, poi come dei fulmini, corsero fuori dal bar con le loro sacche in spalla, lasciandosi alle spalle il proprietario enorme, i due tedeschi che si azzuffavano e l’odore di muffa, e si fecero strada tra la folla.
Anna prese Olaf per mano. Superarono macchine parcheggiate, bambini intenti a giocare, marinai rimasti a terra e si diressero verso il Titanic. Le gambe iniziarono a fare male da quanto veloce stavano correndo ma loro le ignorarono. Videro la prima passerella che stava iniziando ad essere tolta.

“Fermi, fermi! Siamo passeggeri, siamo passeggeri!” urlarono.

E con un ultimo scatto la raggiunsero e iniziarono a salire. I marinai che a quanto pare avevano sentito il loro grido, li stavano aspettando.

“Avete fatto i controlli?” chiesero loro.
“Certo che sì! In ogni caso, sono americana quindi è tutto apposto, giusto? Ecco i biglietti, possiamo entrare?”

Il marinaio a bordo li squadrò per un attimo ma poi si fece da parte e li fece entrare.
Anna rideva. Non ricordava di essere mai stata così felice, e la sua risata doveva essere contagiosa perché dietro di lei sentì Olaf fare lo stesso.

E finalmente Anna stava tornando a casa.

Finalmente stava tornando in America.


N/A: Questo capitolo è stato veramente tosto. Se c’è una cosa che non so fare, quella è descrivere vestiti. Ringrazio tantissimo Tenori che mi ha aiutato con queste descrizioni e mi ha dato il supporto di cui avevo bisogno per non finire con il lanciare il computer contro la parete.

E un grazie infinite a chi legge questa storia, a chi l’ha messe nei preferiti/ricordata/seguite e a chi l’ha recensita. Siete dei tesori!
Se qualcuno fosse interessato… ho messo il mio sito Tumblr nel profilo, affianco alla foto (E’ l’icona a forma di palla che devo ancora capire a cosa assomiglia). Se volete che inizi ad aggiornare lo stato della storia su Tumblr, fatemelo sapere. Se non vi interessa beh, ignorate ciò che ho detto.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Partenza (Parte 2) ***


Sul ponte di terza classe il chiasso era assordante. Ogni singola persona al momento cercava di sporgersi dalla nave per salutare i conoscenti a terra, ma una coppia in particolare si era affacciata solo per il gusto di farlo e per assicurarsi un’ultima occhiata al porto britannico.

Anna e Olaf, appena furono saliti a bordo, non si fermarono molto ad indugiare sul posto. Ringraziarono il marinaio che si era fatto da parte e si fecero spazio tra la folla portando i loro bagagli con sé. L’entrata era ancora colma di passeggeri ritardatari e i due non avevano certo intenzione di rinunciare alla possibilità di vedere la partenza dal porto. Si diressero verso il ponte seguendo le indicazioni presenti nei corridoi. Una volta arrivati una miriade di persone erano già accostate contro il lato della nave. Riuscirono a malapena a trovare uno spazio per loro, ma una volta che Anna riuscì ad affacciarsi, iniziò ad urlare a squarciagola e a sventolare la mano calorosamente.

“Addio! Addio!”

Olaf sembrava un po’ spaesato.

“Anna, che stai facendo? ”
“Sto salutando.”
“Ma hai detto che non c’era nessuno qui che conoscevi?”
“Infatti.”

Ora Olaf decisamente sembrava sconcertato. Guardò Anna, alzò le spalle, decidendo di non fare più domande, e si affacciò a sua volta, imitandola.

“Addio Gran Bretagna!”

Anna rise, divertita.

“Così si fa Olaf! Addio bar puzzolenti!”
“Addio omone di montagna!”
“Addio nuvole di pioggia!”
“Addio cabine rosse del telefono!”
“Addio stelle di Londra!”

A questo la ragazza non replicò e guardò Olaf confusa.

“Il cielo non dovrebbe essere uguale ovunque?”
“Si, perché?”
“Hai appena urlato ‘stelle di Londra’?”
“Si, perché?”

Anna capì che forse sarebbe stato meglio non mettere in discussione più questa cosa, così tornò a gridare saluti sempre più strani assieme a Olaf, tanto che i passeggeri vicini iniziarono a chiedersi se avessero bevuto qualche bicchiere di troppo. I due avrebbero potuto sembrare fratelli  per il loro atteggiamento similare, ed eccoli lì, sorprendendo i presenti e divertendosi  come non mai senza nessuna preoccupazione al mondo.

La nave con un forte fischio, levò l’ancora e iniziò ad ondeggiare nel mare, sempre più distante dalla riva, rimpicciolendo l’isola britannica man mano che il tempo passava. Con un ultimo “Addio alla regina!” detto all’unisono dai due, i ragazzi si lasciarono scivolare contro il parapetto della nave e si sedettero.
Man mano che il tempo trascorse, il posto iniziò a svuotarsi, e anche i passeggeri di prima e seconda (di cui si sentivano le voci durante la partenza) iniziarono a rientrare, lasciando un certo silenzio nell’aria.
Approfittando di questo, Anna chiuse gli occhi, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli biondo-fragola. Il profumo di mare inondava l’aria, ma qualcos’altro raggiunse le sue narici: la vernice fresca della nave, l’odore del legno intagliato e…

Aspetta, cos’è questo profumo?” pensò. Annusò meglio e, una volta capito, non poté fare altro che sorridere tra sé.

Nevischio. Ovviamente questo è il profumo di Olaf.

Si chiese come aveva fatto a non rendersene conto subito.
Il sole batteva dietro le sue palpebre e il suono delle onde e dei motori accesi era piuttosto confortante una volta che ci si fosse abituati. Era fortunata, pensò, a non soffrire di mal di mare, altrimenti sarebbe stata una vera catastrofe.

Aprendo gli occhi, Anna decide di dare finalmente un’occhiata alla nave.
Il posto era, per usare un termine elementare, a dir poco ENORME: il corridoio del ponte era piuttosto largo, tanto che se due persone si fossero distese una dietro l’altra, ci sarebbero state comodissime.  Il legno usato era pregiato, le rifiniture eleganti, per non parlare del titolo che indossava “la nave inaffondabile”. Beh certo, aggiudicarsi i biglietti del Titanic con una partita da poker era stato veramente un colpo di fortuna inaspettato, ma sicuramente Anna avrebbe colto al volo l’opportunità e si sarebbe goduta il viaggio insieme a Olaf.

Girandosi a guardarlo, vide che Olaf aveva una faccia di beatitudine scritta in volto e si stava godendo la vista quanto lei.

“E’ proprio bello, vero Olaf?”
“Si, è bello davvero. Mi chiedo quanti pupazzi di neve riusciremmo a costruire in questo ponte.”  
“Chissà.”

Olaf aveva una certa fissa con i pupazzi di neve e le stagioni calde, il che lo rendeva ancora più unico. Anna si era fatta l’idea che probabilmente tutti i norvegesi erano amanti della neve e dell’estate perciò non fu sorpresa quando il bruno tirò in ballo l’argomento ‘pupazzi di neve’, anche se ammetteva che la fissa del suo compagno di viaggio si salvava per poco dal classificarsi come ossessione incurabile e paranoica.
Con un sospiro soddisfatto, si alzò velocemente e prese il suo enorme borsone.

“Andiamo alle cabine, O l i v e r.”

Questo parve riscuotere Olaf dal suo sonno ad occhi aperti e mise il broncio ad Anna che sorrideva scherzosamente verso di lui.

“Il mio nome è Olaf.”
“Sono certa che sia Oliver.”
“Olaf!”
“Oliver!”
“Olaf!”
“Oliver!”
“Annaaaa.”
“Si, quello è il mio nome.”
”Smettila!”

Il broncio di Olaf era una cosa meravigliosa agli occhi della ragazza che gli fece una pernacchia e si girò, pronta a scendere alle cabine, quando… si ritrovò a terra, dolorante, affianco al ragazzo bruno.

“Ehi!”
“Attenta a dove vai, Rossa.”

Alzando la testa, si ritrovò davanti un ragazzo muscoloso dai capelli castano scuro, gli occhi marroni chiari e uno strano pizzetto. Indossava un giubbotto blu con una camicia bianca a maniche lunghe sotto, pantaloni crema scuro e degli stivali marroni. Il suo sguardo era annoiato, ma quando guardò meglio Anna, i suoi occhi si illuminarono di colpo. Si inginocchiò davanti a lei e con un sorriso sghembo e gli occhi rimpiccioliti le disse:

“Ciao bella rossa.”

Anna avrebbe scommesso di aver sentito borbottare qualcosa che suonava come “sguardo che conquista”, ma il suo cervello era attualmente in standby. L’uomo con il pizzetto sembrò colpito da qualcosa e il suo volto mostrò una certa delusione, anche se Anna non ne capiva il motivo, anzi lo guardava ancora sotto shock.

“Strano che il mio sguardo non abbia funzionato. Di solito funziona sempre sulle ragazze. Sei la seconda che riesce a resistere. In ogni caso, dimmi un po’ bellezza. Sei single? Possiamo fare una cosa a tre se vuoi.”

*SLAP*

Un forte schiaffo risuonò nel ponte. Anna aveva la mano alzata e stava guardando con occhi omicida il ragazzo castano. Si alzò sbuffando, prese per mano Olaf e lo trascinò via borbottando. Olaf riuscì a capire solo “Che razza di mascalzone!”, ”Con che coraggio...”, e “Come osa!” tra uno sbuffo e l’altro. Ci volle l’intero tragitto a ritroso fino alla sala da dove erano entrati nella nave per calmare i nervi di Anna, ma quando capì dove li avevano trascinati i suoi piedi, si guardò intorno confusa. Guardò Olaf.

“Olaf, dove sono le nostre cabine?” Il ragazzo si girò intorno, incerto.
“Me lo stavo chiedendo anch’io.”
”Beh, guarda nei biglietti…”
“Che biglietti?”

Anna pensava che il ragazzo stesse scherzando, ma guardandolo in faccia capì che veramente non aveva idea a che  cosa si riferisse.

“I biglietti Olaf.”
“Ah giusto…”

Olaf però guardava ancora incerto la ragazza. Anna attese qualche segno di comprensione ma…

“No aspetta, che biglietti?”
“I biglietti della nave che abbiamo vinto a poker!”
“Aaah, si! I biglietti della nave, quelli che tu hai vinto mettendo allo sbaraglio i nostri averi, quei biglietti, quelli del Titanic, la nave inaffondabile, il grande colosso, la più grande nave del mondo! Quei biglietti?”
“Sì, quei biglietti.” Disse con un tono irritato nella voce anche se Olaf sembrò non coglierlo.
“Oooh.”

Ora il ragazzone sembrò veramente capire, infatti estrasse i biglietti dalla tasca in cui gli aveva accuratamente sistemati dopo l’ingresso e li studiò attentamente.

“Qui dice G60.”
“Perfetto, seguimi!”

Olaf la seguì fiducioso, canticchiando tra sé e sé, ma come si accorsero troppo tardi, sarebbe stato meglio non seguire l’istinto di Anna, che li portò invece nell’ala opposta alla loro destinazione. Ma lei non era il tipo che si arrendeva facilmente, perciò dopo aver sbagliato strada tre volte ed aver raggiunto la sala motori della nave senza capire come effettivamente fossero giunti lì, la ragazza ammise che forse avrebbero potuto chiedere informazioni. Così fecero e dopo neanche cinque minuti, raggiunsero (finalmente) la loro cabina che scoprirono essere non molto distante da dov’erano partiti, tanto per lo stupore di Anna.

Giunti alla porta non si diedero la pena di bussare, pensando di essere gli unici presenti al suo interno, ma aprendola vennero accolti da…

“Aspetta, che?” disse Anna.
“Oh, guarda, eheh, usa una padella.” Ridacchiò Olaf.

Davanti a loro un ragazzo castano era steso a terra con una biondina seduta sopra il suo stomaco, stringendo una padella. Il suo braccio era alzato, pronta a sferrare il colpo, e si era bloccato quando la porta era stata aperta. I suoi capelli erano molto lunghi e i suoi occhi di un verde brillante si erano incontrati con quelli di Anna.
Lo sguardo di Anna poi si spostò sul ragazzo che stava venendo maltrattato. Aveva un pizzo particolarmente fastidioso e sulla guancia sinistra esibiva il segno di una mano.

“TU!!!” Anna urlò.

Il ragazzo cercò di svignarsela ma la bionda lo stava ancora tenendo fermo. Uno sguardo di realizzazione si fece largo sul suo volto.

“E’ LEI! MI HAI TRADITO CON LEI!”

E questa volta la padella colpì lo sventurato.

“Ah quindi è così che è andata. Comunque piacere, il mio nome è Rapunzel e lui è…”
“Io sono Flynn Rider. ”
“No che non lo sei. Il suo nome è Eugene.”

La ruota degli eventi era decisamente cambiata. Anna e Olaf raccontarono dell’incontro con questo ragazzo, Eugene o Flynn o come si chiamava, e alla fine del racconto, la biondina si era calmata e chiese scusa. Ora Eugene esibiva un bernoccolo sulla fronte e un brutto segno di una mano sulla guancia di un rosso quasi viola. Erano tutti e quattro seduti sulle brandine, disposte in due letti a castello. Olaf aveva deciso di prendere il letto di sopra ed era seduto, ascoltando la storia dei due.

“Siamo in luna di miele! Eugene ha comprato i biglietti all’ultimo momento, perciò è riuscito a trovare solo quelli di terza classe. Anche voi siete in viaggio di nozze?”

Olaf si mise a schiamazzare e Anna si unì a lui.   

“Certo che no! Io e la mocciosa abbiamo vinto i biglietti ad una partita di poker!”
“Ehi non sono una mocciosa!”

Rapunzel e Eugene si unirono alle risate.

“E comunque io gareggio per l’altra squadra” disse Anna facendo l’occhiolino verso la coppia sposata, che non sembrò giudicare la scelta.

Dopodichè si alzò e iniziò a disfare il suo bagaglio, ma quando tirò fuori il suo paio di vestiti di ricambio, qualcosa scivolò fuori dalla sua borsa, sparpagliando fogli in tutto il pavimento. Rapunzel le si avvicinò e le diede una mano a raccoglierli quando si fermò ad osservarne uno.

“Questi sono disegni… e fatti molto bene aggiungerei. Li hai fatti tu?”

Anna arrossì e fece un cenno positivo con la testa.

“Sono fantastici Anna! A quanto pare abbiamo qualcosa in comune! Studio arte da quando ero piccola anche se io dipingo quadri!”
Anna ne rimase sbalordita. “Davvero?!”
“Siii!”
“Awww!”

Le due congiunsero le loro mani e iniziarono a urlacchiare divertite. Olaf e Eugene, sentendosi esclusi, si guardarono e scossero la testa, mormorando:
“Le donne.”

Ben presto i quattro fecero amicizia. Anna e Olaf raccontarono dei loro viaggi mentre la coppia sposata di come si fossero conosciuti. A quanto pare Flynn una volta era un ladro, ma aveva smesso da quando aveva conosciuto Rapunzel.

“Aww, l’amore cambia le persone.” Disse Rapunzel con voce sognante.
“Proprio vero!” confermò Olaf, che ora era sceso accanto a loro.
“Giusto!” aggiunse Eugene battendosi un pugno nel petto, orgoglioso, e in un sussurro, che solo Anna sentì, aggiunse:
“Ora quando prendo in prestito le cose, lasciò giù i soldi, proprio come questi biglietti che ho preso del Titanic.”

Anna fece finta di non sentire.
*

Le suite dove Elsa, sua madre e Hans alloggiavano era denominate “Royal Suite” e una volta che Elsa entrò all’interno, ne capì subito il motivo. Le cabine erano decorate in stile Luigi XVI e comprendevano un soggiorno, tre camere da letto (due singole e una matrimoniale), due bagni privati, due guardaroba e un ponte di passeggiata privata. Erano sicuramente le più eleganti di qualsiasi altro transatlantico, non avevano rivali.
I tre però sembravano abituati a tanta raffinatezza e non dimostrarono un grande stupore, anche se non si poteva dire lo stesso della cameriera personale di Elsa che guardò il tutto con crescente ammirazione e la bocca aperta.

Elsa non aveva assistito alla partenza del Titanic. Forse le sarebbe piaciuto, forse non le avrebbe davvero interessato, ma in ogni caso non le fu concessa una scelta, perciò non metteva in discussione questa possibilità. Secondo Hans “i reali non dovrebbero stare in mezzo alla plebe” perciò si erano diretti nelle suite subito dopo essere entrati.
Al momento Elsa era impegnata a sistemare le sue cose mentre il suo fidanzato si pavoneggiava delle sue ricchezze e del suo cosiddetto potere derivante dai soldi che possedeva nella cabina del capitano. La bionda non poteva che esserne felice. Un po’ di aria fresca prima del ritorno della tempesta era proprio quello che le ci voleva.

“Signorina, dove metto questo qui?”

Elsa era arrivata alla sistemazione dei quadri che si era portata appresso da casa. Amava l’arte ed era l’unica cosa in cui potesse sfogarsi e trovare conforto in questo inferno che tutti chiamavano vita. La sua cameriera le stava dando una mano e in questo momento aveva in mano un quadro di Picasso, “Les Demoiselles d'Avignon”.

“Uhm, appoggialo affianco a quello di “Jeanne d'Arc”, grazie Mel.”

Mel era l’abbreviazione di Mellow. Suo padre era il maggiordomo più devoto della casata degli Arendelle, Sebastian Marsh, anche se ora seguiva gli ordini di Hans. Elsa sarebbe stata persa senza Mel, la sua unica amica, seppur la loro amicizia doveva essere tenuta nascosta agli occhi di sua madre.

La sua collezione di quadri comprendeva una sorte piuttosto varia di opere: Monet, Picasso, Degas, Munch e così via…  

“Desidera che li tiri tutti fuori, signorina?”
“Si, per favore. Questa stanza è così monotona e così immensamente piccola.”
“Piccola, signorina?”

Mel sembrava piuttosto scettica a questa affermazione.

“Già. Dovrò appoggiare a delle sedie alcuni quadri, è così piccola che non ci staranno appesi tutti.”

Elsa stava pensando a come risolvere questo problema quando Mel la interruppe di nuovo.

“Mi scusi, mi è concessa una parola?”

La cameriera probabilmente aveva notato la concentrazione di Elsa e non voleva essere di disturbo. Elsa però fu di tutt’altro avviso. Si girò ad affrontarla, con uno dei suoi rari, caldi, sorrisi.

“Mel, certo che sì. Che c’è?”

Il sorriso datole da Elsa sembrò rincuorarla.

“Beh, se posso… Che ne pensa il signor Southern di…questi?”

Tutti oramai conoscevano la passione di Elsa per l’arte. Altrettanto conosciuta però era il disgusto di Hans che la credeva una cosa inutile e uno spreco di soldi. Seppur sua madre accettasse questa sua passione, Hans era di un’altra scuola.

“Ancora alle prese con quei scarabocchi, tesoro?”

E come a rispondere alla domanda di Mel e a confermare questo pensiero, eccolo entrare in cabina con un bicchiere di champagne in mano.

Quando parli del diavolo…” pensò Elsa. Si preparò la voce più falsamente amabile che potesse sfoggiare…

“Hans caro, dubito tu possa mai apprezzare l’arte. Io, a differenza di te, ho buon gusto e alta classe. Questi quadri sono affascinanti, più di questa “nave dei sogni” o come la chiamano.”
“La nostra regina di Ghiaccio colpisce ancora. Non ti capisco, Elsa. Potresti avere di meglio. Tutto ciò che mi chiederai potrà essere tuo, ma ti accontenti di questi… questi pezzi di carta rovinati.”

A questo Elsa dovette veramente chiamare tutto il suo autocontrollo per non gettare Hans giù dalla nave a calci in… Beh, si è capita l’idea, ma una signora non dovrebbe pensare a questo genere di cose, perciò indossando di nuovo la maschera che indossava da quando era nata, decise di ignorare e fingere di non aver sentito. Si allontanò con Mel al seguito verso un’altra parte della suite per sistemare gli altri dipinti.

Chiuse la porta alle sue spalle e si accasciò contro la porta, lasciando che il quadro si appoggiasse al suo fianco. Sospirò.

“State bene, signorina Elsa?”
“Diciamo di sì.”
“Quell’uomo è orrendo.”
“Lo so Mel, lo so.”
“Non potrete sopportarlo per tutta la vita, voi non lo amate!”

Elsa non replicò. Era vero. Lei non lo amava ma…
“Non ho scelta.”

E si portò le ginocchia al petto, prendendosi la testa fra le mani. Mellow si accasciò davanti a lei e le mise una mano sulla spalla con uno sguardo triste inciso in volto.

“Ci sarà qualcos’altro che potete fare per risolvere i problemi della casata di Arendelle.”
“Conosci mia madre, non vuole percorrere la strada più difficile. Vendere sua figlia ad un uomo le è sembrato la via più semplice.”

La casata degli Arendelle stava affrontando una forte crisi. Le finanze erano un disastro e rischiavano la bancarotta da un giorno all’altro. Il padre di Elsa infatti, era morto meno di un anno fa, lasciando una marea di debiti sulle spalle delle due donne di casa, debiti di cui entrambe non erano al corrente. Iduun si era rifiutata categoricamente di mettere all’asta anche un solo bene ed era disperata.
Un giorno però Hans Southern aveva bussato alla porta, chiedendo la mano di Elsa, e quale prospettiva migliore avevano?
Il peso di Arendelle era scivolato tutto sulle spalle di Elsa, che a malapena ne stava reggendo il peso.

Mel non sapeva che replicare. Sapeva benissimo la situazione qual era: la odiava a morte, tanto quanto odiava…

“Tesoro, la cena è pronta, ti aspetto in sala da pranzo fra 5 minuti, non tardare.”

…tanto quanto odiava Lui.

Sentirono i suoi passi allontanarsi dalla porta e Elsa si lasciò sfuggire un altro sospiro. Guardò la sua cameriera che stava guardando minacciosa la porta.

“Lo odio.”

A questo la bionda sghignazzò.

“Posso dirti un segreto, Mel?”
Annuì.
“Lo odio anch’io.” Disse facendo l’occhiolino.

Così, si alzò, trascinando i piedi poco elegantemente, pronta a tornare in trappola, pronta a dirigersi alla fossa dei serpenti.

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Capitolo 6
*** Primo incontro (Parte 1) ***


La partenza era filata tutta liscia. Gli ultimi passeggeri salirono a bordo a Queenston dove il Titanic fece una breva sosta per poi ripartire quella stessa sera verso l’immensa distesa blu che gli si parava davanti prima dell’arrivo a New York. Così, tra le lodi al Titanic, le acclamazioni di piacere nei confronti della sua maestosità, e un tempo per il viaggio meraviglioso, iniziò il secondo giorno di viaggio.

Approfittando del bel tempo, molte persone decisero di appostarsi al di fuori ed assaporare la brezza marina piuttosto che star rinchiusi in cabine o negli interni della nave. La gioia e l’entusiasmo che vibravano nell’aria erano contagiosi tanto che tutti i problemi sembravano essere rimasti al porto durante la partenza, lasciando imbarcare solo l’allegria e la spensieratezza.

Questo piacere però non fu concesso a tutti...

Il sole era alto nel cielo e l’orologio situato nello scalone di prima classe aveva appena scoccato l’ora di pranzo. Elsa era seduta tra Hans e Iduun, in modo che i due non la perdessero di vista. La ragazza avrebbe di gran lunga preferito stendersi in uno degli sdrai del ponte e godersi quella stupenda giornata di Aprile, saltando il pranzo e stando distante dai suoi due “sorveglianti”, ma ovviamente, come poteva lei, Elsa, figlia di Iduun, della nobile stirpe degli Arendelle e futura sposa di un Southern, perdersi un pranzo così importante, con così illustri, noiosi e pomposi ospiti?

La sera prima aveva trascorso la cena  immersa in presentazioni. La famiglia di Hans aveva sponsorizzato la costruzione del Titanic e grosse donazioni extra furono state fatte a loro nome per la sua realizzazione. Questo aveva reso Hans paragonabile a un Dio. O almeno, così si sentiva lui. Come se ciò non bastasse, aveva deciso di annunciare il fidanzamento ufficiale con Elsa a bordo della nave, davanti a tutti i nobili di prima classe, e alcuni preparativi dovevano ancora essere discussi, perciò la prima persona a cui Elsa fu presentata fu niente meno che il capitano.

Il Capitano Kai Smith era un ufficiale di marina inglese al suo ultimo viaggio prima della pensione. Era stato ufficiale comandante di numerose imbarcazioni. Era una persona gentile e amichevole, l’unica pecca era che veniva facilmente manipolato davanti ad un determinato ammontare di oro o dalla prospettiva del potere. Nonostante ciò, fu molto cortese e professionale e si offrì di invitarli nella sua cabina per un brindisi alla ‘futura coppia’, come l’aveva definita lui, in una delle sere a venire.

Sua madre poi le presentò, seppur con una certa riluttanza, la signora Gerda Brown. La signora Brown, che insisteva nel volersi far chiamare “solo Gerda”, era una dei pochi a cui fu presentata, se non l’unica, che Elsa trovò in un certo senso incantevole. Sembrava conoscere i pensieri di tutti e afferrare al volo l’indole di una persona, cosa che in sé spaventava chi gli stava intorno, ma non si poteva negare che fosse una bella signora con carattere. Suo marito aveva trovato l’oro da qualche parte nel West, ed erano diventati incredibilmente ricchi. Apparteneva a ciò che la madre di Elsa definiva “i nuovi ricchi”, ed era questo che più di tutto infastidiva Iduun. Le due si erano conosciute in America e sebbene Gerda rispettasse l’altra donna e apprezzava in qualche modo la sua compagnia, le cose non erano le stesse per Iduun. Elsa, dal canto suo, la trovò molto piacevole, disgustando il pregiudizio della madre riguardo ai “nuovi ricchi”.

Fu poi presentata a molti altri, tutti coloro che avevano a che fare con la costruzione della nave, da chi diede il nome, a chi l’aveva progettata e poi costruita. Tutti loro avevano due cose in comune: la sete di oro e l’arroganza. In particolar modo, un uomo attirò l’attenzione della ragazza. Era un vecchio di bassa statura, con un grande naso a punta, baffi grigi e il parrucchino che si alzava ogni volta che faceva qualche movimento brusco. George Weselton si chiamava e ciò che a quell’uomo mancava di statura, veniva compensato con una dispregevole vanità. Elsa avrebbe tanto voluto vomitare dal disgusto.

Se per gli altri il primo giorno era stato il più entusiasmante della loro vita, per Elsa quello fu in assoluto il più stressante invece. Aveva dovuto indossare sorrisi finti, sforzare una risata a tutto ciò che apparentemente sembrava divertente, stringere mani sudate di rispettosi passeggeri e dimostrare un buon portamento. Tutto questo  la stancò così tanto, che al ritorno in cabina si lasciò cadere nel letto, addormentandosi prima ancora di aver toccato il cuscino.

Quello che era peggio è che il pranzo di oggi sembrava essere la perfetta fotocopia del precedente e Elsa non sapeva se sarebbe riuscita a trattenersi dall’alzarsi e scappare.

“E’ il più grande oggetto in movimento mai costruito nella storia dell’uomo.” Disse il signor Ismay, un signore presentato a Elsa la sera prima.

Ovviamente l'argomento di conversazione era sempre il solito: quanto grande è il Titanic, quanto bello è il Titanic, quanto lussuoso è il Titanic, quanto veloce è il Titanic... e se per miracolo non si parlava di questa barchetta inutile, si parlava di soldi. Soldi e solo soldi, ecco ciò che comandava nel mondo… stupidi, futili, soldi.

“Resisti. Sii la brava ragazza di sempre.“ si auto incoraggiò Elsa.

“Il nostro costruttore capo, il signor Andrews, ingegnere navale, l’ha progettata. ” continuò l’uomo.
“Sì beh, può anche darsi che io l’abbia messa insieme, ma la idea è stata sua, signor Ismay. Non faccia il modesto.”

Di certo questa conversazione era tutt’altro che modesta agli occhi di Elsa. Erano lì solo per vantarsi di ciò che avevano fatto per far invidia a tutti. Come se agli altri importasse… i loro modi pomposi erano assai disgustosi. Persino i camerieri intorno a loro dimostravano un certo disagio, ma ovviamente servire un tavolo di gente così importante, facendo bene il loro lavoro, significava una mancia sostanziosa che non potevano perdersi. Ma Elsa non poteva lasciar uscire nessuna emozione. Cercò di concentrarsi su altro pur mantenendo addosso la sua maschera, ma nemmeno il profumo delle varie pietanze servite ai tavoli vicini riuscirono a distrarla dalla sensazione di odio che si stava formando dentro di lei. Ma doveva controllarsi

“Celare, domare. Non lasciare che si mostri.

“Il signor Ismay aveva immaginato un piroscafo di dimensioni così grandi e così lussuoso che la sua supremazia non sarebbe mai stata sfidata. Ed eccola qui, eccola la realtà.”

La realtà eh? La realtà era che tutti loro erano solo un branco di idioti. Eccola la realtà. Elsa alzò gli occhi al cielo.
In quel momento arrivò il cameriere per prendere le loro prenotazioni. La sua postura mostrava chiaramente i segni della sottomissione e del timore, come se si trovasse davanti a qualche membro della casata reale.
Sbuffò. Avrebbe tanto voluto dire a quel cameriere di smetterla di fare il leccapiedi intorno a loro ma dovette trattenersi quando sua madre gli scoccò uno sguardò furioso. Si schiarì la gola e tornò ad ascoltare o meglio ripetere tra sé il suo mantra per stare tranquilla.

“Cosa desidera per pranzo signore?” fu il turno di Hans a rispondere.
“Ah, prenderemo agnello per due, al sangue con un pizzico di salsa di menta.”

Eccolo di nuovo a prendere decisioni per lei. Non le piaceva nemmeno la carne al sangue, e lui lo sapeva bene, ma continuava lo stesso a far di testa sua. Non sapeva quale forza disumana riuscisse a tenerla a bada per non urlargli contro… Elsa sentiva il suo viso teso dallo sforzo di stare calma.

“Ti piace l’agnello, vero zuccherino?” disse Hans con quel suo sorriso sfacciato e senza interesse.

Controllati.” Si disse Elsa.

Riuscì a fare un cenno verso il futuro fidanzato con un finto sorriso al volto, di cui Hans sembrò soddisfatto.
A quanto pare però, gli sforzi della bionda non parvero passare inosservati agli occhi di Gerda Brown, seduta davanti a loro.

“Hai intenzione di tagliarle anche la carne, Hans?” disse, sorridendo ad Elsa e mandando uno sguardo truce al ragazzo.

Ad Hans non piacque il commento. Gerda ridacchiò, una risata che diceva che lei la sapeva più lunga. Elsa abbassò lo sguardo e si guardò le mani. Era vero, Hans aveva completa padronanza sulla sua vita ma cosa poteva fare lei? Poteva fare qualcosa? E sapere che Gerda ne era a conoscenza, era umiliante. Ma la donna aveva agito in buona fede venendo in suo soccorso. Elsa sentì gli occhi diventare lucidi e la rabbia pulsarle nelle vene.

Niente emozioni, niente emozioni, niente…

Gerda poi chiese chi avesse dato il nome ‘Titanic’ e il discorso tornò su quel campo. Elsa però era troppo distratta e sentì solo alcune parole…

“…grandezza…”

Oh sì, Hans di sicuro si credeva chissà chi. Era altezzoso e presuntuoso.

“…stabilità…”

Sua madre le avrebbe sicuramente detto che avrebbe dovuto stare più dritta con la schiena, avere un portamento migliore.

“….forza…”

Quella di cui lei aveva bisogno ora e che non aveva mai avuto, altrimenti non si sarebbe trovata in questa situazione.

Chiamò il cameriere, si fece versare un po’ di vino e bevette, anche se con meno grazia di quello che avrebbe dovuto mostrare. L’alcool le bruciò la gola e scese giù verso il suo stomaco come fosse forza liquida.

“Elsa cara, sai che non approvo.” Disse Iduun con un tono falsamente gentile.

Tutto nella sua vita poteva rientrare nella parola “falso”. Ignorò la madre e bevve un altro paio di sorsi. Non era mai stata in grado di reggere bene l’alcool quindi anche se aveva bevuto solo due bicchierini, sentì da subito il suo effetto contro le sue viscere. Con una ritrovata energia si girò per affrontare Ismay che stava ancora parlando del perché aveva scelto il nome ‘Titanic’ e lo affrontò.

“Lo sa signor Ismay che un dottore austriaco ha apertamente dichiarato le sue preoccupazioni nei confronti dei maschi e la loro necessità di grandezza. Forse potrebbe interessarle. Potrei imprestarle una copia?”

Hans e Iduun rimasero congelati nei loro posti mentre la signora Brown scoccò uno sguardo divertito alle sue parole, probabilmente d’accordo con quanto appena detto. Hans poi allontanò il cameriere con il vino che era rimasto dietro di Elsa.

“Scusate il suo atteggiamento, a quanto pare la nostra piccola Elsa qui ha bevuto troppo.”

Detto questo, Hans si girò verso la bionda e sussurrò:
“Ora basta.”

Elsa lo guardò. Poi si girò a guardare la madre che aveva ancora uno sguardo di orrore scritto in volto. Posò con forza il bicchiere nel tavolo. Hans aveva ragione.

Ora basta!” pensò con forza.
“Hai ragione, ora basta.” Disse ad alta voce, con tono sprezzante.

Dopodichè si alzò dal tavolo e si voltò, allontanandosi a gran passi da quel posto. Con la coda dell’orecchio sentì Hans dire: “Che le prende?” ma Elsa voleva solo andarsene e scappare. L’alcool ancora scorreva nelle vene. Aveva bisogno di aria fresca, perciò decise di dirigersi verso il ponte, lasciandosi tutto alle spalle.
*

“Ehi, che stai disegnan– *slap*  Ehi! Punz perché mi hai colpito?!”
“Olaf, zitto! Non vedi che è concentrata?”

Quattro persone erano sedute in un angolo del ponte di terza classe sopra alcune casse di legno vuote. Il loro angolo gli dava una vista stupenda della facciata della nave, da cui si poteva osservare anche il ponte di prima e seconda classe, e un’altrettanta meravigliosa visione dei loro dintorni: l’orizzonte davanti a loro era mozzafiato. Si poteva benissimo vedere la linea orizzontale in cui il mare lasciava il posto allo spiazzo enorme di cielo, ricoperto di nuvole qua e là e dal sole ora alto che brillava tra loro.
Flynn si era messo comodo, appoggiato con la schiena contro il parapetto della nave, fumando una sigaretta, godendosi la vista di Olaf e Rapunzel che bisticciavano scherzosamente tra loro. Olaf aveva cercato di disturbare Anna guadagnandosi dalla bionda uno schiaffo sulla spalla con conseguente tentativo di vendetta da parte del ragazzo.

Anna, dal canto suo, non stava prestando nessuna attenzione ai due, anzi in quel momento avrebbero potuto far scoppiare una bomba all’interno della nave e lei non si sarebbe accorta di nulla. La concentrazione della ragazza era sorprendente quando si trattava dei suoi disegni. Pochi minuti fa stavano chiacchierando tutti e quattro, poi però l’attenzione di Anna si soffermò su una particolare coppia di persone. In seconda classe un padre con la sua figlia stavano osservando il panorama dall’alto e appena Anna lì vide scattò sull’attenti, prese il suo album da disegno, lo aprì in una pagina bianca, prese dall’astuccio che portava in tasca i suoi pastelli neri e iniziò, sotto le facce stupide dei presenti che non capirono immediatamente cosa era preso alla biondo-fragola per farla agitare in quel modo.  Olaf tentò di approcciarla ma prima che potesse anche finire la frase, ricevette quel colpo da Rapunzel.

Quest’ultima al momento stava solleticando Olaf che rideva così tanto da non riuscire a reggersi in piedi. Anna a malapena sentì l’urlo del bruno che chiedeva pietà.

“Fermati! Stop! Ti prego, morirò!”
“E’ quello che ti meriti, Oliver!”
“No, non anche tu! Bastaaaa.”

E questa volta Rapunzel diede una tregua al ragazzo che aveva le lacrime agli occhi dal ridere.

“Oh mammetta sono fuori forma.. ” disse Olaf, respirando a fatica. “Sei sicura che tu e Anna non siate sorelle perdute o cugini o parenti di qualche genere?”

Rapunzel sembrava un po’ sorpresa.

“Certo che non siamo parenti. Perché dici?”
“Oh non so… amate entrambe l’arte, vi piace fare il solletico a tradimento ai vostri amici… mi chiamate Oliver…”
“Oh, non mettere il broncio ora Olaf. Vieni qui che ti do un abbraccio.”

Olaf lasciò perdere il broncio e i suoi occhi si illuminarono.

“Veramente?! Oooh io amo i caldi abbracci!”

E dopo che i due si furono stretti forte forte, si lasciarono sorridenti. Flynn allora intervenne.

“Comunque Olaf, che le è preso alla rossa?”

Olaf diede un’occhiata ad Anna e rispose.

“Anna fa sempre così quando vede qualcosa che la ispira. Non succede spesso, di solito commissionava disegni, ma quando vede qualcosa che vuole assolutamente disegnare e che lei trova stupendo, deve assolutamente immortalare il momento.”

Flynn diede un accenno di comprensione, mentre Rapunzel, che aveva intuito la situazione, si rimise seduta sulla sua cassa di legno.

Nel frattempo, Anna concentrata com’era, non si accorse dello scambio tra i suoi amici e continuò a delineare le forme dei suoi due soggetti. Dopo un paio di minuti però questi si allontanarono, dando alla biondo-fragola la possibilità di distrarsi un attimo e riguardare ciò che aveva fatto. I punti principali erano stati già impressi nella carta: si poteva chiaramente vedere la piccola bambina, presa in braccio del padre, che l’aveva probabilmente alzata in modo da darle una migliore vista del panorama. Quel momento era così pieno di amore che Anna non poteva permettersi di lasciarselo scappare. La ragazza infatti amava disegnare panorami o scene familiari e amorose in cui le persone erano felici e si sentivano amate. Se la cavava bene anche con i ritratti ad essere sinceri. Amava disegnare perché ogni disegno portava con sé una storia e un ricordo unico.

Anna alzò la testa dal disegno e si guardò intorno. I suoi tre amici erano ancora lì, a rilassarsi all’aperto. Olaf era addirittura disteso a terra con braccia e gambe aperte in stile ‘stella marina’ a prendere il sole. Era così buffo che Anna dovette trattenere la risata che le stava salendo in bocca. Lasciò che i suoi occhi si persero nei dintorni del suo migliore amico. La sua vita aveva preso una svolta completamente in positivo da quando Olaf aveva accettato di diventare il suo compagno di viaggio. Si ricordò poi come avevano passato la sera precedente e sorrise al pensiero.

Il giorno prima Anna aveva insistito nel voler vedere il tramonto dalla prua della nave. Aveva convinto Olaf con una semplice frase…


“Dai Olaf, il tramonto!”
“Anna, sono stanco. Torniamo in cabina con Rapunzel e Flynn.”
“Ma il cielo sarà sveglio fra poco, e noi siamo svegli! Dobbiamo giocare!”


Anna sapeva di avere la vittoria in pugno dopo aver pronunciato le paroline magiche. Olaf d’altraparte si lasciò trascinare dalla ragazza fino alla prua della nave.
Quando arrivarono a destinazione Anna salì immediatamente sulla ringhiera della nave e si affacciò. Olaf fece lo stesso. Dopodichè si guardarono e i due urlarono nello stesso momento.


“Siamo i re del mondoooo!”

E si ritrovarono a ridere per l’ennesima volta quel giorno. I due lasciarono che il forte vento presente a prua gli accarezzasse il corpo. Anna aprì le braccia e rimase così per un po’. La sensazione era incredibile sembrava quasi di volare!

“Olaf sto volando!”
“Non sapevo fossi un uccello, perché non me l’hai mai detto?”


Il fatto strano è che quello di Olaf non era un tentativo di scherzare, ma sembrava profondamente offeso. Per avere diciott'anni, era di sicuro un ragazzo innocente, anche se da quando erano partiti insieme per viaggiare, Anna lo aveva decisamente corrotto, convertendolo ai giochi di azzardo, alle riviste di modelle in bikini, ai flirt con le ragazze…
Sì, lo aveva irrimediabilmente rovinato.

“Olaf sto scherzando!”
“Ah, mi sembrava strano. Non hai le penne…o le ali…o il becco. Non assomigli per niente ad un uccello.”


Anna sbuffò divertita. Si guardò intorno e uno spruzzò d’acqua attirò la sua attenzione. Non capendo si sporse un po’ più avanti e eccolo rispuntare dall’oceano, un delfino.

“Ehi, guarda, guarda! Un delfino!”
“Un cosa?”
“Un delfino! Sono tipo dei pesci lunghi che saltano davanti alle navi e che vivono in acqua ma sono mammiferi  perché… oh beh, lascia stare, ma guarda Olaf! Eccone un altro!”


Olaf si affacciò e emise un fischiò lungo per poi aggiungere:
“Oh ma io so cosa sono quelli! Sono delfini!”
“E io che ho detto?”
“Anna guarda!”


Il tempo passò così per i due giovani. Ammirarono i delfini fino all’ora del tramonto. Il cielo aveva sempre più colori, un unione perfetta tra arancio, rosso, giallo e blu e le loro sfumature che si intrecciavano, e nell’aria iniziò a sentirsi la brezza della sera che prese il posto al torpore che portava con sé il sole. Poco prima di lasciar il ponte per tornare in cabina, Anna prese Olaf e iniziò a volteggiare intorno in un ballo silenzioso, lasciando che la stanchezza si insinuasse in tutte le parti del loro corpo.


Anna dovette ammettere che di sicuro la brandina in cui dormì quella sera era più comoda della distesa di erba in cui avevano dormito qualche giorno prima, ma niente poteva paragonare la bellezza del dormire all’aperto e il suono dei grilli in confronto al russare di Eugene.
In ogni caso, si scosse dai suoi pensieri e tornò al presente. Stava ancora fissando Olaf, con l’unica differenza che ora lui stava ricambiando lo sguardo.

“Mocciosa, che stavi disegnando?”

Olaf aveva iniziato a chiamarla mocciosa da quando aveva sentito quel termine uscire dalla bocca di Anna. La volta in questione, i due si erano imbattuti in dei ragazzini che picchiavano un cagnolino e la biondo-fragola aveva detto con tono arrogante:
“Ehi mocciosi, lasciatelo stare se non volete passare dei guai.”
L’aura che emanava in quel momento era così spaventosa che i ragazzini scapparono a gambe levate ed è da allora che Olaf usava la parola ‘mocciosa’ con lei.

“Non è ancora finito, ma ho visto un padre con sua figlia nel ponte di seconda classe ed erano così belli insieme che non potevo non immortalarli.”
“Dove sono? Voglio vederli!” disse Rapunzel.
“Erano lassù” puntò il dito nel punto in cui prima si trovava la coppia “ma ora se ne sono -”

Anna bloccò la frase a metà, trattenendo il fiato e lasciando la bocca aperta.

“Che succede?”

Rapunzel lo disse con tono preoccupato. Le si avvicinò, passandogli la mano davanti alla faccia un paio di volte, ma Anna non dava segni di vita.

“- andati.” Finì la frase rilasciando il respiro che stava trattenendo.

Anna si era bloccata, i suoi pensieri persi chissà dove.
Il suo sguardo era attirato da una signorina elegante, vestita con un vestito di un tiepido azzurro, che stava affacciata al parapetto del ponte di prima classe, esattamente sopra a dove prima c’era la coppia che aveva ritratto. I suoi capelli, raccolti in uno chignon sopra la testa, erano biondo platino, così lucenti che ad Anna parve di rimaner accecata. I suoi occhi, chiari nonostante la distanza che li separava, erano inconfondibilmente di un blu ghiaccio. Chiunque avrebbe potuto sentirsi gelare dal suo sguardo… Anna invece si sentì surriscaldare. La donna aveva lineamenti tristi e la fronte corrucciata che preoccupò la biondo-fragola, che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La figura sospirò e girò la testa di lato. Per un attimo i loro occhi si incontrarono. Gli occhi azzurro mare di Anna affrontarono quelli blu ghiaccio. Anna si sentì arrossire in maniera incontrollabile. Non seppe mai se gli istanti che passarono fossero solo pochi secondi, dei minuti o ore intere, ma l’incanto finì quando un uomo dai capelli ramati raggiunse la donna e la riportò dentro.

I tre amici che le stavano intorno la scossero con forza e Anna tornò con i piedi a terra, anche se parte della sua mente rimasero legati alla figura che aveva appena visto.

 “Che hai visto?” chiese Olaf curioso.

Anna deglutì.

“Quello… era sicuramente un angelo…”

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Capitolo 7
*** Primo incontro (Parte 2) ***


A cena quella sera Elsa si rese conto di una cosa.

Era circondata dalle amiche, se così si potevano definire, di sua madre: ricche nobili signore che si vantavano di quanti beni preziosi avevano al collo e di quanti soldi avevano in tasca.

Ed è in quel momento che capì che la sua vita si sarebbe limitata sempre e solo a questo.

Pensò al suo futuro e non vide nulla di diverso. Era seduta al fianco di sua madre e in quel momento non importava se avesse diciassette, trenta o cinquant’anni, perché tanto la scena sarebbe stata identica. Era come se tutta la sua vita fosse già stata vissuta. Si sarebbe limitata a questo, un’infinita processione di feste, balli di società, yacht, partite di polo. Sempre la stessa gente meschina e vile. Sempre la stessa stupida ciarla.

E più il tempo passava più si sentiva sull’orlo del precipizio, pronta a crollare, senza nessuno che fosse disposto a trattenerla… senza nessuno a cui la cosa importasse davvero.

Celare, domare, non lasciare che si mostri.

Tutto il giorno aveva recitato quelle parole come una filastrocca. E continuò a farlo… finchè il suo mantra non smise di funzionare, e tutto quello che restava da fare era… lasciarsi andare.

 
Per la seconda volta quel giorno stava scappando, ma questa volta in qualche modo era diverso. Sarebbe stata l’ultima volta. Non sarebbe scappata mai più. Aveva fuggito per troppo tempo ed era stanca, così stanca della sua vita monotona e senza senso… Nessuno la capiva, a nessuno importava veramente di lei.  Ma presto sarebbe tutto finito. Il dolore se ne sarebbe andato.

Correva, senza guardarsi indietro, asciugandosi di tanto in tanto le lacrime che avevano preso possesso dei suoi occhi e che bagnavano il suo vestito.       
     
Correva, ignorando il palpitare doloroso dei piedi che protestavano contro i tacchi che stava indossando, dimenticandosi dello sforzo immenso che stava richiedendo alle sue gambe, fregandosene della grazia che avrebbe dovuto mostrare.

Correva, ignorando la voragine che si era aperta nel suo petto.
Insignificante. Inutile. Senza speranza. I suoi pensieri parlavano nella sua testa come se avessero una volontà propria. I tentativi di sbarazzarsi di loro si erano dimostrati futili al punto che iniziò ad ascoltarli e a crederci veramente.
Era insignificante. Era inutile. Dopotutto era vero.

Ed era sola.

I pochi passanti che la incrociarono si scansavano velocemente, lasciandola passare, senza rivolgerle un secondo pensiero.

Correva così forte che persino respirare era difficile.
Il suo cuore batteva e si faceva sentire, come se fosse consapevole delle intenzioni della ragazza, come se volesse farle cambiare idea.
Ma la scelta era stata presa. Giusta o sbagliata che fosse non importava. Voleva solo sbarazzarsi del dolore che le attanagliava l’anima, senza mai mollare la sua presa, nemmeno per un secondo.

Prima o poi anche la nostra Regina di Ghiaccio dovrà  cadere ai miei piedi.”

Senza spiegarsi il motivo, le parole che quell’uomo pronunciò quel pomeriggio, gli riecheggiarono in testa.
Oh ma lei gli avrebbe fatto vedere. Non era una bambola di pezza che potevano controllare a suo piacimento. Non più.
Una volta che tutto questo avrebbe raggiunto la fine, sia lui sia sua madre non avrebbero avuto più nessun altro con cui giocare ai loro stupidi giochi mentali.

Lei sarebbe stata in pace… e per pochi istanti, finalmente, sarebbe stata libera.
...
[Prima]

Quando rientrò in cabina, dopo la sua scenata davanti al tavolo da pranzo e la sua fuga nel ponte, si chiuse nella sua stanza, sbattendo la porta e chiudendola a chiave.

Hans era venuto a prenderla per rimproverarla probabilmente del suo comportamento, ma Elsa non lo aveva lasciato parlare. Gli sussurrò un “lasciami stare” con tono feroce e si fece riaccompagnare dentro in un silenzio spettrale. Il ramato lasciò il suo fianco solo quando era certo che Elsa non sarebbe più scappata e se ne andò senza una parola.

Elsa rimase lì, seduta sul pavimento, con la schiena contro la porta e le gambe strette al petto. Aveva assunto così spesso quella posa, che solo al pensiero le saliva la bile in gola, ma l’unico modo che conosceva per sfogarsi era chiudersi in camera e crogiolarsi in solitudine.
Pianse silenziosamente, lasciando uscire solo qualche singhiozzo di tanto in tanto, permettendo alla lacrime di cadere libere e all’alcool di essere smaltito. Rimase così per quasi un’ora, anche se per lei avrebbe potuto tranquillamente essere passata un’eternità, senza muoversi di un solo centimetro, quando inaspettatamente si sentì un leggero bussare alla porta.
Il suono sembrò arrivare da lontano, come se il mondo si fosse allontanata da lei, a miglia e miglia di distanza.
Alzò la testa, sentendo un palpitare sordo dentro il suo cranio e i muscoli tesi per essere stata nella stessa posizione per troppo tempo. La visione era offuscata da tutte le lacrime che aveva versato, gli occhi prudevano, e stupidamente si chiese se fosse invecchiata perché si sentiva almeno trent’anni più vecchia.
Poi le sue orecchie vennero accolte da una voce melodica e preoccupata.

Era Mellow.

“Elsa? Sei lì?”

Ma Elsa non avrebbe risposto. Non voleva farsi vedere in quello stato da nessuno nonostante gli spezzasse il cuore sapere che stava preoccupando l’unica persona che nel profondo era dalla sua parte.

Il tempo continuò ad avanzare. Le sue lacrime si erano fermate già da un po’, l’alcool non era più in circolo e ciò che restava era solo il vuoto. Vuoto totale. Il silenzio era rotto di tanto in tanto dal bussare leggero della cameriera preoccupata che le chiedeva di uscire e parlare con lei, ma Elsa non ascoltava. Aveva bisogno di stare da sola ancora per un po’, poi avrebbe aperto e sarebbe stato tutto come prima. Sarebbe tornata a indossare la maschera di sempre, a comportarsi come la brava ragazza che tutti credevano che fosse, ad essere la figlia e la fidanzata perfetta. E il circolo senza fine sarebbe ripreso, tortuoso e insignificante come lo era sempre stato.

Dei passi iniziarono a riecheggiare nella sala accanto assieme allo spostare di una sedia, segno che qualcuno si era alzato.
La voce di Mellow risuonò ancora una volta, seppur stavolta non fosse diretta a Elsa ma al nuovo entrato.

“Signor Southern.”

Elsa si sentì rabbrividire, la paura riprese a scorrere veloce nelle sue vene. Al suono della sua voce, si strinse ancora più forte a sé, tanto che le nocche delle sue mani presero una sfumatura bianca.

“Oh, non mi aspettavo di vederla qui, signorina Marsh… Posso chiamarla Mellow, giusto?”

Elsa immaginò di vedere la cameriera annuire. Poi la voce di Hans riprese, più viscida che mai.

“La nostra bellissima Regina di Ghiaccio è ancora qui?”

Seguirono qualche secondo di silenzio, l’atmosfera divenne ancora più tesa finchè…

“No signore, la signorina Elsa era affamata e ha deciso di lasciare la stanza.”

Elsa provò un moto di gratitudine e affetto nei confronti di Mel inimmaginabile e sentì le spalle rilassarsi leggermente. Si disse di dover ringraziare la ragazza più tardi e più avanti magari prenderle anche un regalo per la devozione di cui stava dando prova in questo momento.

“Capisco.” Rispose Hans, non del tutto convinto. “Beh non le dispiacerà se le lascerò un messaggio da parte mia allora. Le dica che non potrà fuggire per sempre e che presto dovrà decidere da che parte stare… Come se avesse una scelta.”

La sentenza si ruppe con una risata sarcastica e maligna. Elsa pensò che stesse lasciando la stanza e di essersi finalmente liberata di lui per ora, ma poi di nuovo quella voce ricomparse, questa volta con un tono più alto, come se lui sapesse che si trovava lì a pochi metri da lui, ed Elsa sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene mentre le lacrime ritrovarono la loro via negli occhi della ragazza.

“Prima o poi anche la nostra Regina di Ghiaccio dovrà cadere ai miei piedi.”

E se ne andò.

 
Elsa stava correndo, senza metà precisa, o meglio come unica metà la libertà. Scese scalini su scalini, scontrandosi con i passanti, ignari delle sue intenzioni. Arrivò al ponte di terza classe, con il fiatone e le gambe tremanti, senza dare nessuna tregua al suo corpo che urlava di rallentare e prendere aria. Strinse la presa sul vestito tenuto alto in modo che non la intralciasse, e si precipitò verso la poppa della nave.

Durante la sua corsa frenetica non si accorse di essere passata affianco ad una serie di panchine in cui stava distesa una ragazza, dai capelli biondo-fragola raccolti in due trecce, che stava ammirando sognante la trapunta di stelle sopra di lei.  

La differenza tra le due non poteva essere più palese.

Anna era stata tutto il giorno con la testa tra le nuvole. Sognava ad occhi aperti e di tanto in tanto, i suoi tre amici dovettero ricordarle di asciugarsi il rivolo di bava che prendeva forma sulle sue labbra rosee. Ovviamente Anna aveva raccontato a loro tutti i dettagli della sua visione: gli occhi azzurri angelici, i capelli biondi surreali, il pallore caratteristico che adornava il suo volto… Quando non era persa nei suoi pensieri, tutto ciò che poteva fare era parlare e parlare e parlare e parlare della misteriosa ragazza.
Secondo Olaf, Rapunzel e Eugene, se la storia fosse effettivamente vera e non solo un’allucinazione di Anna, la giovane non avrebbe avuto speranza e glielo avevano ripetuto di continuo, cercando di farla tornare in sé:

“Mocciosa, ascolta il tuo migliore amico e il miglior esperto in amore della zona. Non puoi provarci con un angelo! Sarebbe troooppo strano. Tu sei una persona umana, con il cranio e le ossa e tutto il resto. Non perderci la testa, ok? Ci sono così tanti mari nei pesci, cioè pesci nei pesci, cioè pesci nei mari. Si insomma, hai capito vero? Su, dammi un caldo abbraccio.”

“Beh secondo me è fuori dalla tua portata, Rossa. Anche se esistesse, e io ti credo di sicuro, non credo tu sia malata e nient’altro, è di tutt’altra categoria. E’ come se una principessa finisse con l’innamorarsi del criminale che le ha rubato la corona e alla fine si sposassero. Non potrà mai succedere! Quindi tornando al discorso iniziale… sei sicura di non volere quella cosa a tre? Magari possiamo aggiungere anche Olaf e ci divertiamo tutti insie – Ok, sto zitto. ”

“Non sapevo ti piacessero le bionde! Oh sono così felice, se troverai qualcuno devi farmelo sapere immediatamente ok?! Voglio essere la prima a saperlo e... oh, aspetta. Eugene e Olaf dicono che dovrei farti la ramanzina. Uhm beh… Non pensarci così tanto. Probabilmente nemmeno la vedrai più e beh, finiamola qui. Quindi, oltre alle bionde, ti piacciono anche le more per caso?”

Ma tutti i loro sforzi non servirono a molto con Anna che, stanca di sentirsi dire che quella donna era solo frutto della sua immaginazione dovuto all’eccesso di sole, si andò a cercare un angolino privato sul ponte e ci rimase per gran parte del giorno. Quando verso sera tornò in cabina per prendere una giacca più pesante, aveva annunciato che avrebbe saltato la cena e che sarebbe stata su al ponte ad ammirare il tramonto e le stelle che sarebbero poi giunte al calar del sole. Olaf ne rimase scioccato dato che, a suo parere, Anna non si era mai rifiutata di mangiare quando ne aveva l’occasione e definì la biondo fragola un “caso disperato”.

Ma per quanto Anna ci provasse (non che ci provasse sul serio ad essere sinceri), non riusciva a togliersi dalla testa quella figura angelica.

Al momento era distesa a pancia in su nella panchina del ponte, le gambe incrociate e le mani sotto la testa per darsi un appoggio più morbido. Il venticello serale era piacevole contro il viso scoperto sebbene si rivelò utile aver indossato uno strato di indumenti in più visto l’abbassamento repentino delle temperature durante la notte. Nell’aria riecheggiavano i mormorii lontani degli altri passeggeri che fecero quasi assopire la ragazza. Chiudendo  gli occhi, Anna avrebbe giurato di poter rivedere i lineamenti della donna del ponte in ogni suo singolo dettaglio. In particolare era stata incantata dai suoi occhi azzurri ghiaccio.

“Così perfetta.” Mormorò.

Approfittando della solitudine, si ritrovò a canticchiare una delle sue canzoni preferite alla quale si divertì a cambiare le parole.

Oggi per la prima volta,  proprio come per magia
ho visto colei che sognavo,  per una notte sarà mia...
 E' un'idea del tutto pazzesca, sembrerò  folle ma...
Spero di avere per davvero un'opportunità!


Anna ridacchiò al suo capolavoro, sprofondando ancora di più nella panchina cercando di trovare una posizione più comoda. Non ebbe neanche il tempo di sistemarsi che l’atmosfera venne interrotta dal suono di tacchi che si avvicinavano, risuonando sul ponte della nave.

La sua prima reazione fu quella di rimanere impassibile, evitando chiunque stesse arrivando. Voleva stare sola per continuare a gustarsi il suo sogno ad occhi aperti. I passi di corsa della persona che stava arrivando erano sempre più forti finchè la figura non passò a pochi centimetri dalla sua panchina, tanto che Anna si meravigliò che non si scontrasse duramente con essa.

Tutto successe in un attimo e in quel secondo il tempo smise di correre.
In quell’istante Anna riuscì, con la coda dell’occhio, a intravedere dei fili biondo platino e quella che sembrava una goccia di pioggia cadere dagli occhi chiusi della persona lì accanto. Il suo naso venne deliziato con il profumo di menta piperita,  ma prima che la biondo fragola si potesse rendere conto di chi si trattasse, o anche solo di cosa fosse successo, il tempo rimise a scorrere alla sua velocità normale, i fili biondi scomparvero dalla sua vista, come polverizzati, così come la persona che era passata per di lì.

Anna si mise seduta in fretta, così in fretta in effetti che la sua testa girò vertiginosamente e la sua vista si oscurò. Si maledisse mentalmente e appena la vista tornò funzionante, girò lo sguardo in direzione di dove era corsa la persona.

Non stava sognando, giusto? Si pizzicò forte la guancia e trattenne a stento il guaito che stava per uscire dalla sua bocca.
Stava decisamente non sognando, eppure nessuno era più in vista, il suono di passi era sparito, nessun filo biondo era visibile…

Era lei..?” si ritrovò a pensare, ma venne fuori più come una domanda che un’affermazione.

Quella goccia di pioggia…stava… piangendo.

Questa realizzazione bastò per farla scattare in piedi. Sperò vivamente che questo non fosse un sogno o un’allucinazione e si mise a correre verso dove era sparita la figura, pregando tutti gli dei di trovarla.
 


 
A/N: Ciao a tutti. Volevo solo dirvi che questo capitolo stava diventando un po’ troppo lungo e la mia amica, Tenori, mi ha consigliato di dividerlo in due. Mi sono lasciata prendere un po’ la mano… Se non lo divido verrebbe fuori un capitolone lungo 5000 passa parole e potrebbe diventare confusionario (esiste come parola? Uhm.)

Beh quindi ecco la parte 2 di “Primo Incontro.” Il prossimo capitolo lo intitolerò “Se salti tu, salto anch’io.” O qualcosa di simile, in modo da non dover mettere “Primo incontro Pt 3”. E’ poco originale.

Spero di non farvi attendere troppo, il bello sta arrivando! Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Se salti tu, salto anch'io ***


SBAM

Un forte tonfo riecheggiò nell’aria seguito da un leggero sbuffo poco signorile e un'imprecazione appena percettibile. Una coppia di ragazze era distesa sul ponte, a pochi metri dal parapetto della nave, una sopra l’altra. La giovane a terra aveva gli occhi chiusi e tremava come una foglia, rifiutando di lasciar andare l’unica cosa a cui era aggrappata: il braccio della ragazza biondo fragola sopra di lei, la quale si stava reggendo sulle braccia per non schiacciarla.

Un sospiro di sollievo uscì dalle labbra di quest’ultima.

“Wow, questa è stata una folle prova di fiducia.”

 
 [Prima]

Elsa aveva corso per quello che le era sembrato un secolo e si fermò a prendere fiato solo quando giunse alla poppa della nave. Il suo viso era ancora rigato dalle lacrime e adorno di un paio di occhi rossi e gonfi, segno che non aveva mai smesso di piangere, la gola era arida e dolente e cercava disperatamente di accogliere ogni spiffero di aria che poteva. Le sue gambe avevano iniziato a tremare ma non capiva se era per l’aria fresca della sera, la paura di ciò che stava per succedere o lo sforzo che aveva fatto per raggiungere questo posto.

Prima di proseguire girò la testa per vedere se qualcuno l’aveva seguita, se a qualcuno fosse importato ma…

Non c’era nessuno.

Nessuno era in vista, nessuno aveva chiesto come stava, nessuno aveva cercato di fermarla.
Questo confermava i suoi pensieri. Non c’era anima viva disposta a tendere la sua mano per salvarla. Era sola dopotutto.

Si voltò di nuovo e tornò a guardare la fine della nave. Gli ultimi metri che la distanziavano dal parapetto vennero coperti con passi lenti e traballanti, ad un ritmo quasi funebre.

Appoggiò la mano sulla ringhiera e strinse la presa per pochi istanti. Eccolo l’ultimo ostacolo da superare.
Lentamente iniziò ad arrampicarsi, passo dopo passo, e prima ancora di rendersi conto di ciò che stava facendo, si sporse e davanti a lei vide solo una cosa: la libertà.

Il mondo sembrò diventare improvvisamente muto. Tutto il caos della sua vita si era spento, come se qualcuno avesse appena gettato dell’acqua su di un camino acceso. Nessun suono era udibile, tutto sembrava immobile ai suoi occhi e le sue preoccupazioni erano sparite.

Sarebbe stato questo ciò che l’avrebbe attesa da ora in poi? Ripensandoci, non era poi così male.
Di cosa aveva paura? Avrebbe dovuto farlo molto prima.

L’oceano non era mai sembrato così invitante. Era così misterioso e oscuro. Lo sentiva dentro la sua testa, la stavano chiamando.

Le mani erano ancora serrate contro il parapetto a cui stava dando la schiena, sarebbe bastato un solo passo, un solo passo in più e tutto sarebbe finito. Il piede era già a mezz’aria pronto al salto quando…

“Si fermi!”  

Una voce da lontano la fece uscire dal suo stato di trance e la realtà le ripiombò in faccia.

Le sue orecchie vennero accolte dal boato delle onde che sbattevano contro la nave e dal rumore del motore in azione. Il suo vestito svolazzava incontrollato a causa del forte vento assieme ai suoi capelli che volavano da ogni parte, spettinandosi selvaggiamente.
La distesa di acqua sotto di lei, che pochi istanti prima le aveva dato quel senso di sicurezza e decisione, ora appariva ai suoi occhi minacciosa e orrenda, come se popolata da mostri oscuri. E come i suoi dintorni iniziarono a riprendere forma, così fecero i suoi pensieri, e la paura tornò, insidiandosi in ogni centimetro del suo corpo.

La sua presa sul parapetto si rafforzò.

Nel momento in cui si chiese il perché era tornata in sé, una voce chiara e decisa parlò.

“Non lo faccia.”

Elsa si girò di scatto. Dietro di lei una ragazza dai capelli biondo fragola era china su di sé, con le mani appoggiate alle sue ginocchia, a riprende fiato, come se avesse appena finito di correre in una maratona. Portava i capelli in due trecce spettinate e i suoi vestiti erano di seconda mano. Probabilmente in un momento normale, Elsa si sarebbe chiesta se la ragazza avesse almeno degli spiccioli per mangiare vista la sua forma mingherlina e snella, e come fosse finita in una nave tanto lussuosa quanto lo era il Titanic, ma questo non era un momento normale. Prima ancora che riuscisse a rielaborare qualche pensiero, la ragazza riprese a parlare senza sosta.

“Accidenti non pensavo foste così veloce, considerando quei tacchi che si ritrova. Se non fossi inciampata in quel secchio probabilmente sarei arrivata prima.”

La biondo fragola alzò la testa e i loro sguardi si incontrarono. Elsa si disse che aveva già visto quello sguardo da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove.

“Veramente, ha mai pensato di partecipare a qualche sport? E’ davvero difficile starle dietro. L’ho vista correre nel ponte e mi sono chiesta cosa ci faceva una così bella signora con un’espressione così triste dipinta in volto… E si fidi quando le dico che è veramente, veramente molto bella.  E carina. E stupenda. E dolce. Anche se ancora non so se lei sia dolce o no ma non è che mi dispiacerebbe conoscerla meglio. Ed è bella, l’ho già detto? E sensuale. Aspetta, questo non dovevo dirlo, cioè, aspetta, che?”

Il volto le diventò particolarmente rosso mentre gli occhi di Elsa si spalancarono in realizzazione di ciò che aveva detto. Le sue guance vennero accolte da una leggera sfumatura rosea.
Elsa non capì perché stava ascoltando il farfugliare incontrollabile di questa ragazza. Cercò di riprendere la sua linea di pensiero e si rivolse alla ragazza che ora si stava strofinando il retro della testa con la mano.

“C-chi è lei?”

Che stava dicendo? Miss treccine doveva averla contagiata con le sue idiozie. Di una cosa era sicura: questa non era esattamente la situazione migliore per fare quattro chiacchiere.

“Aspetta, n-non importa. Solo… D-deve andare via.”

Per sua sfortuna la sua voce non uscì autoritaria come voleva, ma anzi lasciò trasparire ogni singola goccia di ansia e paura. Si voltò di nuovo per nascondere il suo viso e ignorare la persona ora dietro di lei, posando il suo sguardo alle onde insidiose sotto di lei.

“Oh non mi sono presentata vero? Chiedo scusa. Sono Anna. Anna Dawson”

 
Anna aveva trascorso gli ultimi minuti in una ricerca disperata. La figura dai capelli lucenti era in nessun posto per essere vista. Il ponte era stranamente vuoto e irrimediabilmente enorme. Era rimasta nuovamente stupita delle dimensioni della nave anche se, questa volta, lo stupore racchiudeva una nota di irritazione.
Aveva deciso di provare a dirigersi verso la poppa della nave e appena questa fu a vista d’occhio, l’aveva trovata.

“E’ lei!” aveva quasi urlato.

La donna si stava arrampicando sul parapetto e Anna ingenuamente si era chiesta cosa ci trovasse una così bella signora di tanto interessante nel voler vedere le eliche della nave di notte. In ogni caso, la cosa era piuttosto pericolosa. Si era preparato allo scatto finale ma venne interrotta dalla comparsa di un secchio vuoto… O meglio, era riuscita a scontrarsi contro l’unico secchio vuoto presente in tutto il ponte che la fece cadere rovinosamente a terra. Ma la prospettiva che quello fosse un secchio magico apparso dal nulla, guastava di meno la sua dignità. Si era rialzata lasciando le imprecazioni libere di uscire dalla sua bocca senza nessuna nota di riguardo e aveva ripreso la sua corsa.

Prima di raggiungerla, rallentò la sua andatura e ciò che stava facendo la bionda divenne tutto più chiaro.

Al diavolo le eliche.” Aveva pensato.

E qui ora si trovava, davanti alla donna che aveva rubato i suoi pensieri per tutto il giorno, la quale le aveva appena chiesto di andarsene. Ma ad Anna non importava ciò che le era appena stato detto. Si concentrò solo sul tono di panico presente nella voce della bionda che ora aveva ripreso a tremare.

Ha paura…” si disse.

Dopo essersi presentata, giurò di aver visto la coda dell’occhio della bionda puntare sul suo viso. Decise di intervenire.

“Mi dia la mano, l’aiuto a tornare a bordo.”
“No!”

Anna spalancò gli occhi. Non si aspettava una risposta negativa vedendo quanta paura stava dimostrando in questo momento.

“Non si muova o s-salto.”

La biondo fragola sbuffò.
“Che? Impossibile. Non salterà.”

Ora fu il turno dell’altra ragazza di spalancare gli occhi e voltarsi di nuovo verso di lei. I suoi occhi erano pieni di lacrime e ora mostrava un broncio che Anna non poté non trovare…

Adorabile.” Pensò.

Si mise le mani in tasca e fece qualche passo in avanti, mantenendo comunque una certa distanza e si affacciò anche lei verso la nave. Distolse per un secondo lo sguardo dagli occhi azzurro ghiaccio e guardò giù. Era veramente alto. Tornò a guardare la bionda.

“Che significa? Non credere di potermi dire cosa posso o non posso fare. Lei non mi conosce.”
“Non intendevo dire questo. E’ solo che se lo volesse davvero, lo avrebbe già fatto, signorina…?”

La ragazza parve pensare alle sue parole per un attimo… Sembrò riluttante a dire il suo nome, ma poi mormorò qualcosa.

“Mi scusi?” disse Anna.
“Arendelle. Elsa… Elsa Arendelle.”

Anna contemplò per un momento il nome e se lo ripeté in testa un paio di volte.
Elsa, Elsa, Elsa, Elsa…
Non voleva dimenticarselo.

“E’ un bellissimo nome.” Sussurrò.

A quanto pare però, questa frase non doveva essere detta ad alta voce e tanto meno sentita da Elsa che arrossì di nuovo. Anna si portò una mano sulla bocca, scioccata per aver pensato ad alta voce. Si lasciò sfuggire una risata nervosa e si portò una ciocca di capelli randagi dietro l’orecchio.

Quel gesto attirò l’attenzione di Elsa che individuò, nei capelli della biondo fragola, una ciocca bianca che si faceva largo sul lato destro della sua testa, dalla radice alla punta del capello. Qualcuno avrebbe potuto pensare che quella ciocca fosse stata colorata o dipinta con qualcosa, ma a guardarla bene, sembrava che racchiudesse qualcosa di magico. Questa piccola distrazione però non durò a lungo poiché i suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Anna.

“Comunque, oramai non posso più andarmene. Ci siamo dentro insieme, giusto? E insieme risolveremo tutto.”

Sorrise.

Un sorriso caldo e dolce che Elsa pensò di non aver mai visto. Era la prima cosa vera e genuina con cui avesse avuto a che fare e si stupì che questa venisse da uno sconosciuto che aveva conosciuto da quanto? Cinque minuti? Dieci? Era così in contrasto con ciò che era abituata che si sentì quasi sollevata.

“Perciò se lei decidesse di saltare veramente, dovrò seguirla in acqua per salvarla.”

Anna allora si tolse la giacca per enfatizzare il suo punto. Come la ragazza aveva predetto, la bionda si spaventò nel vedere questo e quando parlò, il suo tono lasciò trasparire una cosa sola… terrore.

“N-non puoi. Moriresti! Una persona come te non può desiderare di morire così!”
“Beh, chiariamoci. Non è che ci tengo molto a saltare. In queste parti l’acqua è molto, molto fredda.”

Le ultime parole che disse, vennero appositamente dette lente e con una calma disarmante. Anna sapeva come giocare le sue carte e doveva fare attenzione a giocarle per il meglio.

“Allora se ne vada.” Giunse la risposta quasi urlata di Elsa.
“Non me ne andrò.”
“Non sia testarda!”

Elsa ora era esasperata. Era stanca, confusa e non riusciva a pensare chiaramente. E questa ragazza biondo fragola davanti a lei non rendeva le cose più semplici. Non voleva metterla in pericolo, non se lo sarebbe mai perdonata, ma questa Anna doveva essere per forza cocciuta come un mulo e prendere le parti del cavaliere. Non lo sopportava. Sentì le lacrime riprendere forma. Quando aveva smesso di piangere? Non lo sapeva nemmeno lei. Vedendo il volto deciso della ragazza, Elsa decise di permettersi una distrazione. Non voleva piangere davanti a lei. Tornò al precedente discorso.

“Quanto fredda?”

Anna parve rincuorata dal cambio di discorso e continuò ad enfatizzare le sue parole per dare più significato a ciò che diceva e far tornare Elsa dalla sua parte.

“Gelida. Appena qualche grado sopra lo zero. Lei è americana?”
“Che?”
“E’ americana?”

Ora questo sì che era un cambio di discorso disarmante. Elsa si chiese se la ragazza era solo stupida e voleva fare quattro chiacchiere o se volesse dire qualcosa di più. Decise di darle una possibilità. Annuì in risposta.

“E’ mai stata nel Wisconsin?”

Ok, darle una possibilità era stato decisamente una pessima idea. Voleva di certo fare quattro chiacchiere.

“N-non credo che…” ma venne interrotta.
“Vede, io vengo da un paesino di lì, e come saprà gli inverni in quelle parti sono tra i più freddi. Quando ero piccola, io e la mia famiglia andammo a pattinare sul ghiaccio. Non ero molto brava allora… non che ora sia meglio… cioè non ho mai più provato dopo quella volta perciò non ho potuto esercitarmi un granché, e sono veramente, veramente una schiappa, anche se sono brava in molte altre cose e…”

Anna alzò lo sguardò per vedere che Elsa la stava guardando infastidita. Capì di essere vagante e si schiarì la gola.

“…comunque… mia madre voleva insegnarmi, perciò andammo in un lago ghiacciato poco distante da casa nostra e beh, il ghiaccio cedette.”

Elsa trattenne il respiro.

“Sono caduta in acqua. Mi creda, non augurerei a nessuno una cosa del genere. Era come se fossi stata trapassata da mille lame che colpivano ogni centimetro del mio corpo, non riuscivo a respirare ed è come se la tua mente si congelasse. Puoi solo sperare di morire il prima possibile. La quantità di dolore è immensa e non ti abbandona fino all’ultimo secondo, quando ormai è troppo tardi.”

Mentalmente, la biondo fragola si stava lodando. Lo sguardo di puro spavento sul volto della donna le fece capire che la battaglia oramai era vinta. Aveva la vittoria in pugno. Iniziò ad avvicinarsi alla bionda con passo zelante.

“In ogni caso, se lei si butta, sarò costretta a seguirla, anche se ad essere sincera, spero che lei riscavalchi il parapetto e venga da questa parte così può ringraziarmi come una principessa farebbe con il suo cavaliere azzurro.” 

Le fece l’occhiolino. Elsa parve offesa e distolse lo sguardo.

“Tu sei pazza.” Sussurrò.

Ora non aveva dubbi. Era solo una stupida ragazzina americana che… che… stava filtrando con lei? Aspetta, che?
La sentì avvicinarsi e quando fu abbastanza vicino, venne accolta da una leggera fragranza di fiori. Era un profumo così dolce e vivido, diverso dai soliti odori presenti intorno a lei… Scoprì che non le dispiaceva la sua presenza accanto a lei.

Al suo commento, Anna sghignazzò. Non era l’unica ad averglielo detto, probabilmente era un tratto della sua personalità dal quale non si sarebbe mai liberata.
Allungò la mano verso Elsa, sfiorandola appena. Quel piccolo misero tocco bastò per farle sentire le farfalle nello stomaco. Si avvicinò al suo orecchio e mormorò.

“Si fidi di me.”

I loro sguardi si incontrarono nuovamente. Elsa un po’ esitante le prese la mano e iniziò a girarsi.

Si fidava davvero?

Appena le loro mani si giunsero insieme,  ogni dubbio sparì e la risposta alla sua domanda silenziosa le saltò in mente. Anna aveva una presa salda sul suo braccio, poteva stare tranquilla.

Sì, poteva fidarsi.

Ed è proprio quando credeva che a nessuno importasse di lei che la trovò. Trovò quella persona che sarebbe stata pronta a proteggerla e a difenderla e a dimostrarle che poteva continuare a vivere.
Finalmente l’aveva trovata. Provò una fitta di gratitudine e affetto per questa sconosciuta incommensurabile.

Ora le due erano faccia a faccia. Elsa poteva vedere ogni centimetro del volto di Anna e rimase sorpresa ancora una volta dal colore degli occhi della ragazza. Aveva già visto quegli occhi. Sembravano splendere, pieni di vita, di purezza e gioia. Erano di un azzurro mare particolare. Non rispecchiavano la distesa di acqua sotto di loro, paurosa e oscura, ma i giorni in cui l’oceano era calmo e ci si poteva divertire senza pericoli, sicuri che esso ti avrebbe protetto da tutto.

“Che ne dice di ringraziare subito il suo cavaliere per averla salvata? Magari con un bacio?”

Slap

Con questo, Anna si guadagnò uno schiaffo. Si sorprese di quanto forte poteva essere una signora di alta classe. In ogni caso però Elsa non aveva lasciato andare la sua mano e lo prese come una cosa positiva.

Elsa alzò il piede per scavalcare il parapetto ma appena il suo tacco si scontrò contro il metallo umido, questa scivolò.

Successe tutto in un attimo. In un primo momento Anna stava guardando il viso angelico di Elsa, poi tutto ad un tratto si sentì spingere verso il basso e il suo petto si scontrò pesantemente contro la ringhiera. L’urlo della bionda risuonò forte nell’aria e il suo braccio si chiuse ancora più con forza su quello di Elsa. L’aria aveva lasciato completamente i suoi polmoni durante lo scontro e iniziò a prendere respiri profondi, cercando di recuperare il fiato.

Sotto di lei Elsa si agitava, lo sentiva chiaramente dai scossoni che stava subendo il suo braccio.

“No!”
“Calmati, l’ho presa!”

Ma la bionda parve non ascoltare e continuò a strattonarsi…

“Elsa! ELSA!”

Al suo nome, la ragazza guardò all’insù. Anna la stava guardando con decisione e con tanta calma quanta poteva accumularne in un momento simile. Quando poi parlo, usò inconsciamente il “tu”, come se si fosse dimenticata che stava parlando con una signora.

“Ti ho preso Elsa. Mi hai sentito? Non ti lascerò andare. Va bene?”

Elsa annuì. Era strano fluttuare nell’aria in quel modo. Estremamente pauroso, certo. Ma la sicurezza di Anna era contagiosa.

“Forza!”

E con uno sforzo immenso, la biondo fragola cercò di tirarla su. Elsa la stava aiutando cercando di aggrapparsi al parapetto nuovamente e c’era quasi riuscita quando scivolò nuovamente mandando Anna a scontrarsi nuovamente contro il metallo scivoloso, senza però lasciar andare la presa.

“La prego, mi aiuti! Per favore, per favore!”

Elsa era tornata a divincolarsi, vittima di un’altra ondata di paura. La mano di Anna stava iniziando ad essere sudaticcia e non sapeva quanto ancora avrebbe resistito. Nonostante tutto però si fece forza. Aveva detto che non avrebbe mollato la presa, e lei era una donna di parola.

“Ti tengo Elsa! Riproviamoci un’altra volta, va bene? Al tre! Uno!”

Elsa e Anna presero un respiro profondo.

“Due!”

Anna si preparò a chiedere un ultimo sforzo a sé stessa. Si guardarono negli occhi: la decisione di Anna contro la paura di Elsa.

“TRE!”

Anna tirò più forte che poté, chiudendo gli occhi dallo sforzo e aiutandosi con entrambe le mani, mentre con le gambe cercava di mantenere salda la sua posizione nel ponte. Un suono metallico rimbombò nelle orecchie di Anna, come Elsa riuscì ad aggrapparsi al parapetto e si spinse con tutte le forse residue. Appena fu abbastanza in alto, la biondo fragola riuscì a prendere la ragazza per la vita e tirarla su completamente, e prima che le due potessero anche capire che finalmente il pericolo era passato si trovarono per terra seguite da un forte…

SBAM.

 
“Wow, questa è stata una folle prova di fiducia.”

Anna stava cercando di ignorare l’urlo di protesta dei suoi muscoli, ora doloranti, per l’azione che aveva appena compiuto. Sotto di lei, Elsa tremava così forte che si stupì non si fosse già formato un terremoto. Prima che anche riuscisse a registrare ciò che stava facendo, con una mano andò a spazzolare la frangia della bionda, mettendola da un lato. Al suo tocco la ragazza aprì gli occhi. Anna le sorrise vivacemente.

“Salve.”

Elsa la guardò e non poté che ridere a sua volta, portandosi una mano davanti la bocca. Una risata semplice e naturale per la prima volta da sempre.

E sentendo la sua risata, Anna dovette ammettere a sé stessa di essersi innamorata di questa donna, così pazza da scavalcare il parapetto e così bella da farla impazzire a sua volta.

Entrambe non si mossero dalle loro posizioni scomode, godendosi la reciproca compagnia, fino a che Elsa non alzò leggermente il capo e baciò Anna sulla guancia e le sussurrò una cosa all’orecchio.

 “Per ringraziare il mio cavaliere di avermi salvato.”

Anna ne rimase scioccata. Quando le labbra morbide di Elsa si appoggiarono delicatamente contro la sua guancia giurò che uno stormo di farfalle aveva preso il posto del suo stomaco.

E per la prima volta per sempre, proprio come per magia, sentì di avere per davvero una possibilità.

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Capitolo 9
*** Il valore della vita ***


Le due ragazze erano ancora distese una sopra l’altra. Il tempo per loro era come bloccato.

Elsa era distesa sulla schiena contro il pavimento duro e scomodo ma la sua attenzione non era fissa sul palpitante dolore del suo corpo che chiedeva di cambiare posizione, né sul livido che si stava formando sul suo braccio nel posto in cui la ragazza biondo fragola l’aveva presa e tenuta così saldamente. La sua attenzione invece era completamente rubata dal volto imbarazzato e sognante di Anna, a cui aveva appena dato un bacio.

Anna, dal canto suo, stava ancora credendo di sognare. Non la preoccupava il leggero tremitio delle sue braccia in protesta per la posizione attuale e, tantomeno, la turbava la contusione nella sua pancia causata dall’essersi scontrata ripetutamente contro il parapetto metallico. Era di nuovo senza fiato ma questa volta a causa della ragazza sotto di lei. La guancia in cui era stata baciata pulsava come non mai, prolungando il sentore delle labbra morbide che precedentemente l’avevano sfiorata. Sapeva di avere un’aria ridicola e di essere rossa come un peperone e il divertimento, misto a curiosità impressi negli occhi di Elsa, lasciava presagire che anche la bionda l’avesse notato.

Anna era persa ad ammirare quei suoi occhi azzurri ghiaccio, quando si sentì strattonare da qualcuno, lontano da Elsa. Non ebbe neanche il tempo di alzare la testa per vedere i suoi aggressori che si ritrovò improvvisamente premere contro il pavimento, a pancia in giù, con le braccia dietro la schiena. L’unica cosa che riuscì a fare era stata urlare un semplice “Ehi!” con voce roca.
Se prima il suo corpo trovava la posizione con la bionda alquanto scomoda, ora aveva dovuto ricredersi. Il modo in cui era messa ora era dieci volte peggio. Poteva sentire chiaramente ogni singola tavola di legno contro il suo corpo, il quale veniva fortemente tenuto a terra. Riusciva perfino a sentire l’odore umido e salato del ponte.

“Lasciami andare!” urlò.

Cercò di liberarsi ma ogni tentativo di lottare risultò vano. La sua testa era girata in direzione del parapetto, non consentendole di vedere la situazione di Elsa. Sentì solo una frase da quest’ultima:

“Lasciatela stare!”

A quanto pare però, anche l’altra ragazza venne ignorata perché i nuovi arrivati iniziarono a parlare tra loro.

“Dobbiamo chiamare il capitano?”
“Quella ragazza, non  è la signora di Southern?”
“Dovremmo chiamare lui?”
“Chiamiamo entrambi!”
“Vado io, voi tenete d’occhio questa poveraccia qui.”

Anna non capiva il senso di queste parole, troppo presa nel tentativo di liberarsi, ma pian piano le forze iniziarono a lasciarla e la stanchezza prese il possesso del suo corpo, tanto che dovette convincersi a stare ferma.
Sentì dei passi allontanarsi. Non riusciva a capire quante persone erano intorno a lei. Tre, forse quattro? E poi, cosa più importante… Elsa come stava? Non riusciva a capire come questi banditi avevano fatto ad avvicinarsi senza essere sentiti, ma probabilmente la colpa per questo era stata loro. Erano state così assorte nella reciproca presenza che i dintorni del luogo, così come i rumori della nave, erano stati persi e dimenticati, e fu probabilmente a causa di questo che non avevano minimamente sentito i passi di questi uomini in avvicinamento.

La presa dell’uomo che le stava sopra, si allentò un attimo e, approfittandone, Anna si mosse, riuscendo ad alzare leggermente il capo e a girarsi leggermente, quel tanto che bastava per avere la visuale dell’altra parte del ponte, seppur il movimento sembrò non piacere al suo aggressore.

“Muoviti di un altro centimetro e ti farò passare la voglia di respirare.” E rafforzò la presa.

Ma ora che Anna aveva questa nuova visuale, aveva un’altra priorità. Individuò subito Elsa a pochi metri da loro. Due uomini le erano accanto e sembrava piuttosto seccata. Aveva le braccia incrociate, la fronte corrugata e, a quanto pare, si rifiutava di parlare e dare spiegazioni a quello che Anna capì essere marinai eccitati. Almeno però Elsa stava bene, e questo era l’importante.

D’altra parte, Elsa non era mai stata favorevole alla violenza e vedere scaraventata a terra, così in malo modo, la sua salvatrice, certo non aveva aiutato il suo umore.  Ad essere sinceri era stata spaesata dal brusco cambio degli eventi: all’inizio la fragranza di fiori che emanava l’altra ragazza stava riempendo le sue narici e inebriando i suoi sensi, poi, con il loro arrivo, tutta quella magia venne dispersa nell’aria e ora era Anna quella incollata al terreno da un’altra persona.

Inizialmente non capiva il perché di tanto scalpore, ma dopo aver sentito la loro conversazione, e aver visto partire un marinaio alla ricerca del capitano e di Hans, Elsa capì la situazione.

A quanto pare le urla di Elsa non erano rimaste inascoltate e avevano attirato l’attenzione dell’equipaggio di bordo, il quale era accorso quasi immediatamente verso la provenienza del suono. Una volta giunti a destinazione, la scena che si trovarono davanti, non poté non sembrare poco piacevole. D’altro canto, chi non avrebbe cercato di salvare una ragazza di alta classe, apparentemente indifesa, tenuta a terra da una giovane che indossava abiti di seconda mano, leggermente sporchi, che sembrava avere la meglio? Inoltre c’era da aggiungere che i loro capelli spettinati lasciavano presagire un tentativo di lotta da parte della nobile, per non parlare delle urla che si erano sentite.

In ogni caso, tentare di ragionare con questi tre uomini era come cercare di far imparare ad Hans i nomi dei pittori più illustri dell’epoca. Un’impresa impossibile dunque.
Lo capiva distintamente dai loro volti felici. Solo degli idioti potevano essere eccitati dall’aver presumibilmente salvato la futura fidanzata ufficiale di un Southern. Una ricompensa, ecco cosa si aspettavano questi stupidi. Era disgustoso.

Guardò in direzione di Anna e il loro sguardo si incrociò. Provò un moto di pena per la ragazza incollata al pavimento e si prese un appunto mentale di chiederle scusa più avanti. Si girò verso i due marinai che le stavano affianco, preparandosi ad usare la voce più fredda e autoritaria che riuscisse a formulare in quel momento.

“Potreste dire al vostro amico laggiù di lasciar respirare quella povera ragazza? Non scapperà, ve lo posso assicurare.”

I due si guardarono, e l’uomo alla sua destra parlò.

“Ma signora, quella ragazza è peric-”
“Non lo ripeterò di nuovo. ” lo interruppe.

Un po’ avvilito, l’uomo si diresse verso il terzo marinaio, che anche se riluttante, lasciò andare Anna, seppur non togliendole gli occhi di dosso.
La biondo fragola si sedette e si stiracchiò, dando un accenno di ringraziamento verso di Elsa. Dopodichè si mise in piedi, lasciando che le sue mani scivolassero nelle tasche dei suoi pantaloni.

I cinque rimasero in silenzio per il tempo restante. Anna e Elsa si scambiavano di tanto in tanto qualche sguardo, ma nessuna parola uscì dalle loro bocche. Per loro fortuna non dovettero attendere molto per l’arrivo del capitano e di Hans, accompagnati dal quarto marinaio, un maggiordomo e il commissario di bordo.

Anna capì di avere davanti a sé persone importanti. Il capitano era riconoscibile dalla divisa bianca, diversa da quelle blu scure dei marinai intorno a lei, e della serie di medaglie che teneva appese al petto. Il commissario invece si distingueva per la sua divisa bianca che richiamava quella della polizia. Si differenziava da quella del capitano poiché portava nelle spalle due ‘P’ ricamate in oro e, al posto delle medaglie, aveva il simbolo di un distintivo con una targhetta che Anna però non riuscì a leggere. I tre erano affiancati da un uomo di alta classe dai capelli ramati e un paio di basette e dal suo maggiordomo. Entrambi erano vestiti con abiti che valevano almeno cento volte il prezzo del suo vestiario.
L’uomo con le basette, che la ragazza intuì essere il Southern di cui i marinai avevano accennato, sembrava piuttosto arrabbiato, e le prime parole che gli sentì pronunciare non furono affatto rincuoranti.

“Arrestatela e buttatela a marcire in qualche cella.”

Ok, era decisamente furibondo. Altro che fortuna, all’orizzonte Anna riusciva a vedere solo guai.

La ragazza venne fatta girare e un paio di manette le vennero poste sui polsi. Questa volta però non si diede la briga di lottare. Decise di aver fede in Elsa, la quale aveva ancora una faccia impassibile, anche se Anna riuscì a scorgere un misto di orrore e disprezzo sotto a quella maschera.
Alla bionda, al contrario, fu riservato un atteggiamento del tutto diverso. Il marinaio, seguito dal capitano, le si avvicinò, ponendole una coperta sulle spalle, e la avvicinò ad una panchina per farla sedere. Elsa si lasciò trascinare fino alla panchina, e, una volta seduta, si rivolse al capitano.

“C-capitano Smith -” iniziò tremolante.
“Solo Kai per te, signorina.” Le sorrise.
“Kai allora… c’è stato un fraintendimento. Quella ragazza non mi ha fatto nessun male. Mi ha…”

Si fermò un attimo, ripercorrendo con la memoria gli avvenimenti appena successi.

“Mi ha…salvato la vita.”

Kai la guardò un po’ scioccato, e per un po’ rimase in silenzio permettendo alle urla di Hans di riecheggiare ovunque.

“Tutto ciò è inammissibile!”
“Cosa ti ha fatto pensare di poter mettere le mani addosso alla mia fidanzata?”
“Ti farò uccidere per averla aggredita! Non mi importa se sei una donna.”

Elsa lanciò uno sguardo supplichevole al capitano che, per il sollievo di Elsa, gli mise una mano sulla spalla sorridendole.

“Non ti preoccupare. Risolveremo tutto.”

 E si girò per raggiungere gli altri. Elsa si alzò e si avvicinò a sua volta, ignorando le direttive del marinaio che le stava dicendo di stare seduta e in disparte. I suoi occhi erano ancora una volta diretti verso la biondo fragola, che aveva una faccia impassibile davanti alle provocazioni del suo futuro fidanzato.

Anna vide Elsa avvicinarsi e girò la testa in sua direzione per incontrare il suo sguardo, ma questo fece scattare Hans che la prese per il colletto, obbligandola a guardarlo dritto in viso. Le urlò in faccia.

“Guardami negli occhi, feccia!”
“Hans!”

Arrivò la protesta di Elsa, ma il ramato la ignorò. Anna dovette ringraziare di avere un paio di manette a tenerla ferma, altrimenti avrebbe già tirato un pugno a quest’uomo arrogante, che ora sembrava sul punto di picchiarla a sangue. Lo sfogo di Hans però venne interrotto  da Kai che lo richiamò.

“Penso che così possa bastare, signor Southern. A quanto pare c’è stato un equivoco. La ragazza ha salvato la vita alla sua fidanzata.”

Hans sgranò gli occhi e, per qualche secondo, guardò incredulo il volto di Anna, per poi spostarsi sul volto del capitano.

“E’ impossibile.” Sussurrò.

In ultimo, il suo sguardo si voltò su Elsa che annuì.

“Hans, è stato un’incidente.”
“Un’incidente? ”

Lasciò la presa sul colletto di Anna e si girò ad affrontarla, chiaramente in cerca di spiegazioni.

“Davvero.” Riprese Elsa. “Una sciocchezza. Mi ero sporta e sono scivolata.”

La bionda guardò Anna, la quale era chiaramente confusa, come se cercasse l’inspirazione per la scusa che stava formulando.

“Mi ero sporta un po’ troppo per vedere…” continuò, chiaramente in difficoltà.

Anna allora diede uno sguardo veloce intorno, e notando che nessuno la stava guardando, ne approfittò per sillabare con le labbra la parola “eliche” in un mormorio senza voce.

“… le eliche.”
“eliche?” disse Hans esterrefatto.

Elsa tornò a guardare l’uomo.

“Le eliche.” Confermò la bionda. “E sono scivolata. Sarei caduta in mare ma la signorina Dawson mi ha presa e mi ha salvata. Una volta tornate con i piedi a terra però, siamo scivolate di nuovo e siamo finite a terra sul ponte.”

E diede una risata, un po’ forzata, per dare un po’ di enfasi.

Anna pensò che la scusa era un po’ debole, ma a quanto pare gli altri erano di un altro avviso.
Il capitano scoppiò in una risata.

“Queste ragazze amanti dei motori! Ci creeranno solo dei guai!”

La biondo fragola poi si sentì nuovamente strattonare (aveva perso il conto di quante volte era successo questa serata) e il commissario si rivolse a lei.

“E’ andata così?”

Anna diede un cenno positivo del capo, notando con la coda dell’occhio lo sguardo supplichevole sul viso di Elsa. A quanto pare era giunto il momento di mettere in pratica le sue capacità di giocatore di poker.

“Sì signore. Più o meno è andata così.” Confermò.
“Visto, signor Southern? La ragazza è un’eroina!” disse il capitano. “Per l’amor del cielo, toglietele quelle manette, povera ragazza. Ben fatto, ben fatto!”

Queste parole vennero seguite da una forte pacca sulle spalle, così forte in effetti, che per poco le sue gambe non cedettero. Un leggero “click” annunciò che le sue mani erano finalmente libere dalle manette e inconsciamente si ritrovò a strofinarsi i polsi doloranti.

Hans stava per girarsi e andarsene quando la voce del capitano risuonò ancora.

“Allora, allora, come ricompenseremo la ragazza?”

Hans si bloccò, mentre Elsa a malapena riuscì a nascondere il sorriso nel vedere le facce dei quattro marinai così deluse. Anna invece si sentì arrossire leggermente. Stava per protestare, quando uno sguardo della bionda la mise a tacere, uno di quei sguardi che diceva “Dì solo una parola e ti taglio la lingua”, che fece venire i brividi ad Anna.

Hans allora si girò e chiamò a sé il maggiordomo.

“Signor Marsh, puoi dare alla ragazzina qualche bigliettone? Credo che 20 o 30 dollari possano bastare.”

Anna rimase vagamente offesa dal termine usato per descriverla, ma di una cosa era certa, non le interessavano i soldi di quel vile. Solo il pensiero bastò per disgustarla. Rimase però piacevolmente sorpresa quando fu Elsa a contestare le sue parole.

“Quindi il prezzo della mia vita, per te, vale 20 dollari? E’ questo il valore che dai al salvataggio della donna che ami?”

In qualche modo, Anna vide che Hans non sembrò arrabbiato per l’osservazione di Elsa, bensì divertito, e la sua risposta confermò i sospetti della biondo fragola.

“Oh, la nostra regina di ghiaccio è insoddisfatta? Quale novità.”

Regina di Ghiaccio?” pensò Anna. “Che significa?

“Che si può fare per accontentare la nostra regina?  Oh, ho un’idea.”

Detto questo Hans si riavvicinò a gran passi verso Anna, la quale era leggermente sospettosa sul da farsi.

“Che ne dite di unirsi a noi per cena, domani sera, signorina…?”
“Anna.” Rispose con decisione. “E sì, senz’altro.”
“Allora la aspettiamo. Con permesso.”

Kai parve soddisfatto dall’offerta e seguì Hans mentre quest’ultimo si allontanava, portando con sé Elsa.

Ad Anna sarebbe piaciuto salutare la ragazza che ora stava diventando sempre più piccola man mano che si allontanava, finchè non voltò l’angolo e non fu più in vista. Sospirò. Anche i marinai si erano dileguati, perciò si girò per andarsene a sua volta, quando si ritrovò improvvisamente davanti al maggiordomo di Hans. Per poco non lasciò uscire un urlo.

“Aah, che spavento!” pronunciò, ancora cercando si sopprimere l’urlo che le era salito in gola.

Prese alcuni respiri profondi nel tentativo di calmarsi.

“Signorina Anna, mi sono permesso di raccoglierle la giacca.” E gliela porse.
“Oh, ehm, grazie?”

Non era convinta del fatto che fosse lì solo per questo perciò attese che parlasse di nuovo, cosa che successe poco dopo.

“Non crede sia strano che la signorina sia scivolata così all’improvviso e lei abbia avuto il tempo di togliersi la giacca e correre a salvarla? Non le pare?”

Anna lo guardò con odio represso. Non poté farne a meno. Non si azzardò a rispondere e stese ferma in piedi nella stessa posizione anche dopo che il maggiordomo se ne fu andato,  rifiutandosi di muoversi neanche di pochi passi.
 
*

Elsa era seduta su una sedia, davanti allo specchio, a spazzolarsi i capelli. Un carillon stava suonando la sua musica, una musica dolce e nostalgica, una delle sue melodie preferite. Stava indossando una camicia da notte ed era quasi pronta ad andare a letto, anche se in quel momento, stava rivivendo gli eventi della serata. Solo poche ore fa credeva di non rivedere mai più questa stanza lussuosa… Solo poche ore fa credeva che avrebbe posto una fine a tutto… Solo poche ore fa era appesa a quel parapetto pronta al salto. Mille domande le si stavano formando in testa. Avrebbe saltato? Cosa sarebbe successo poi? L’acqua era così fredda com’era stata descritta? Era così disperata da voler porre la parola fine a tutto? Dopotutto, sarebbe stata una scelta folle. Cosa sarebbe successo se Anna non l’avesse presa?

Anna.

Un sorriso le sfuggì dalle labbra. Avrebbe dovuto ringraziarla, ma come? Aveva come l’impressione, anzi, ne era certa, che Hans l’avesse invitata a cena solo per farsi beffe di lei. Un regalo materiale inoltre non sembrava adatto a lei. Che avrebbe potuto fare? Avrebbe dovuto chiedere a Mellow… ma ora la cameriera stava dormendo.

Un bussare alla porta la scostò dai suoi pensieri e la fece sussultare. Era un bussare forte e deciso, caratteristico di una sola persona…
Hans.

La porta si aprì senza che la bionda disse nulla, rivelando l’uomo ramato. Elsa lo osservò dallo specchio e appoggiò la spazzola, aspettando che parlasse, senza voltarsi ma mantenendo il contatto visivo tramite la superfice vetrosa e argentea.

“So che sei malinconica. Posso anche non sapere il perché, ma ho una sorpresa per te.”

Elsa inarcò il sopracciglio. Doveva ammettere che queste parole erano sorprendenti già di per sé.

“Avevo intenzione di conservarlo per il galà del fidanzamento, ma dopo quanto successo questa sera, penso di poter azzardare a dartelo ora.”

Ci volle un po’, per la ragazza, a notare il cofanetto che stava portando con sé. Hans si avvicinò e si fermò affianco a lei, appoggiando la schiena sulla scrivania, e chiudendo con forza il carillon di Elsa, allontanandolo. Un’altra cosa che odiava di lui era questa: Hans non aveva rispetto per nulla se non i soldi.
Non ebbe tempo per criticarlo ulteriormente che Hans aprì il cofanetto, mozzandole il fiato in gola.

All’interno del cofanetto si trovava una collana a forma di cuore. Il cuore era di un blu scuro lucente e sembrava a tutti gli effetti…

“…un diamante?”
“56 carati per l’esattezza. Apparteneva a Luigi XVI che lo indossava nella sua corona. Veniva chiamato ‘il diamante blu della corona’. Più avanti questo diamante della corona fu tagliato, assumendo la forma di un cuore, e fu battezzato ‘Cuore dell’Oceano’.”

Hans prese il diamante e lo apposto intorno al collo della bionda che rimase a bocca aperta. Non si aspettava un regalo del genere e seppur odiasse quest’uomo, non riusciva a togliere gli occhi dalla collana. Era veramente stupenda e glielo disse.

“E’ stupendo.”
“E’ da reali.” Venne la risposta. “Trovo che stia benissimo al tuo collo, si intona agli occhi.”

Era vero. Non poteva negarlo. Ogni persona sarebbe rimasta piacevolmente colpita da quel diamante. Glielo legò al collo e Elsa allungò la mano per toccarlo. La superficie era liscia e fredda, contro la sua pelle. Ma il freddo non l’aveva mai infastidita, anzi. Lo trovava piacevole.
Hans poi si abbassò e iniziò a parlare un po’ più piano. Elsa continuò a fissarlo attraverso lo specchio.

“Sai, Elsa. Io posso darti tutto ciò che desideri. Non c’è nulla che ti negherei fintanto che tu resti dalla mia parte. ”

La ragazza, a questo si voltò, e lo guardò negli occhi.

“Questa è la somma dei sentimenti che provo per te. Pensi ancora che il valore della tua vita per me valga solo un paio di bigliettoni? Oh no.”

Elsa tornò a guardare lo specchio. La mano doveva ancora lasciare la collana. Hans si alzò, le prese il volto e con il dito le alzò il mento.

“Tu sarai mia, Elsa. Non te lo dimenticare.”

Abbassò il capo e le loro labbra si scontrarono con forza. Elsa si lasciò baciare senza muovere un dito, senza porre resistenza, finchè le labbra non le fecero male. A quel punto, Hans si allontanò e, senza una parola, uscì dalla stanza.

Elsa sapeva cosa significasse quel bacio per lui. E non lo sopportava. Non sopportava di essere l’oggetto di nessuno. Si tolse la collana e la ripose con poca grazia nel cofanetto a cui apparteneva.
Non voleva diventare come gli uomini di quella nave: avidi, arroganti e affamati di tesori. Avrebbe voluto godersi al meglio ciò che la vita le donava, ma la vita a lei non donava altro che dolore.

E ancora una volta, dirigendosi verso il letto, risentì la familiare sensazione di sentirsi in trappola. Lasciò le lacrime cadere e ripensò ad Anna.

Anna che aveva sorriso per un bacio, Anna che l’aveva salvata da quelle acqua torpide, Anna che aveva fatto una faccia disgustata quando sentì che la volevano ricompensare con dei bigliettoni, Anna… che aveva dato un valore alla sua vita che non conteneva nessuna cifra, nessun ammontare di denaro… solo sentimenti puri e genuini. Solo affetto.

Quell’affetto che Elsa non aveva mai imparato a conoscere.
 
 
 
 
Innanzitutto scusate per il ritardo. Il fattore “vita” ha contribuito al ritardo nel postare questo capitolo. Ho scoperto inoltre che il caldo uccide le mie idee… dovrò trovare una soluzione al problema. Mi fa impigrire in una maniera assurda!

Avevo ideato una scena bonus che pensavo di aggiungere a questo capitolo, ma credo la lascerò per il prossimo capitolo. Non voglio allungarlo troppo, anche se credo ad alcuni di voi farebbe piacere. In ogni caso, ho intenzione di “esplorare” un po’ le impressioni di Elsa su Anna, e viceversa, e il rapporto esistenti con i loro rispettivi amici.
Per adesso, con questo capitolo mi sono limitata a seguire gli avvenimenti presenti nel film del Titanic e mi sono fermata qui.

Ho deciso inoltre di aggiungere uno status sul mio profilo. Se visitate la mia bio, qui su efp, vedrete che c’è una scritta con “Stato attuale”. Ho pensato che ad alcuni potrebbe far piacere sapere se sto scrivendo il futuro capitolo o se sto affrontando una battaglia interiore con il caldo o se ho da fare con alcune cose che mi impediscono di scriverlo e ecco insomma. Quando sarà impostato su “Work in Progress” significa che sto effettivamente scrivendo.

Qui vi saluto. Grazie mille a tutti i sostenitori di questa storia! Siete fantastici!
Un caldo abbraccio a voi!

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Capitolo 10
*** Invito ***


Il sole pallido era sorto da poco all’orizzonte di quella fresca mattinata primaverile spargendo i suoi colori sul mare calmo in cui veniva cullato il Titanic. Il cielo perlaceo portava con sé le sfumature rosee dell’alba appena passata mentre le poche nuvole presenti si tinsero dei bagliori del sole, preannunciando un’altra  meravigliosa giornata per i passeggeri della grande nave.
Molti di loro erano ancora addormentati, persi nel mondo dei sogni a cui fra poco avrebbero dovuto dire addio, ma questo non valeva per la ragazza biondo platino che alloggiava nella suite presidenziale. Molte persone avrebbero approfittato di quel momento della giornata per assaporare la vista mozzafiato che regalava la nave e la brezza gelida del mattino, il tutto accompagnato dal melodioso fruscio delle onde, oppure avrebbero potuto sfruttare questo momento saggiamente e prepararsi al giorno imminente. La ragazza in questione però aveva altre cose per la testa.

In questo momento stava camminando avanti e indietro, misurando a grandi passi la stanza, senza darsi un attimo di tregua. Questo rituale era andato avanti da un po’ ormai e persino la sua cameriera, unica sua compagnia al momento che la stava osservando dal letto, aveva rinunciato a far sedere la ragazza .

“Io non capisco.” Sbottò la bionda all’improvviso. “Sono malata?”

A prima vista, qualcuno avrebbe pensato che potesse essere un’opzione plausibile visto il suo stato attuale: occhiaie scure sotto gli occhi, viso leggermente pallido, mani tremanti…
Ma la cameriera sembrò sapere perfettamente cosa ci fosse di sbagliato con l’altra ragazza anche se si stava evidentemente trattenendo dal dirlo apertamente.

“Perché crede questo, signorina Elsa?”
“Non lo so Mel. Io… beh…Il mio cuore batte forte, non ho chiuso occhio, c’è questo formicolio caldo nel mio petto che non so spiegare e non faccio che pensare a…a… ”

Qui però la frase si ruppe, e le guance di Elsa vennero accolte da una profonda sfumatura rossa. La cameriera non poté che sogghignare alla vista. Stava guardando la bionda con un misto di divertimento e simpatia che chiaramente la stava confondendo più di quanto già non fosse.

“Non crede che sia a causa di quella persona che si sente così?”

Elsa la guardò con un certo scetticismo, bloccando il suo cammino.

La bionda aveva passato l’intera nottata praticamente insonne, salvo per la piccola mezz’ora in cui era riuscita a chiudere gli occhi e questo spiegava il motivo del suo leggero pallore e delle occhiaie. Quando quella mattina la sua cameriera personale, Mel, era entrata in stanza, Elsa stava già camminando nervosamente avanti e indietro, in un’imitazione perfetta del suo stato attuale. Appena quest’ultima la vide, le corse incontro e la abbracciò calorosamente, cosa che stupì Mellow tanto che la sua prima reazione fu quella di credere di essere ancora a letto, vittima di qualche sogno strano. Dopo essersi staccata da lei, la bionda aveva iniziato a parlare a vanvera di tutto ciò che era accaduto la sera prima: la fuga dalla sala da pranzo, l’incontro con Anna, il salvataggio sul ponte da parte di Anna, il bacio sulla guancia dato ad Anna, l’arrivo di Hans che interruppe il momento con Anna, il ciondolo datogli da Hans e la chiacchierata serale con lui, il sorriso di Anna, il rossore di Anna, gli occhi di Anna e Anna, Anna e Anna.

Aveva narrato il tutto tralasciando il fatto che volesse saltare dal ponte di propria iniziativa, lasciando come intendere che si fosse casualmente trovata sul ciglio di una nave che navigava in acque gelide in mezzo al nulla… cosa che la cameriera non indagò oltre e di questo Elsa ne fu veramente grata.

Quello di cui Elsa però fu sorpresa fu il fatto che a tenerla sveglia non furono i pensieri sull’ultima, pessima, chiacchierata con Hans, bensì il ricordo di una certa biondo fragola che occupava la sua mente dalla sera precedente.
Non riusciva a capire il motivo per cui Anna l’avesse presa così tanto. Forse per il suo sorriso vero, per la sua purezza, la sua gentilezza, il suo divagare amorevole, la sua forza…

Mi comporto come se fossi attratta da lei.” Aveva pensato.

Però ancora… Attrazione? Era impossibile, non tra due donne almeno.

Questo pensiero la tormentò per gran parte della notte finchè non giunse alla conclusione che l’unica ragione del suo comportamento era che aveva passato tanto tempo (troppo in effetti) con la sola compagnia di Mellow e nessun’altro. Con l’arrivo di Anna, la sua salvatrice, il suo mondo di isolamento e tortura era stato messo a dura prova e ora che aveva verificato che non tutti gli uomini del mondo erano odiosi e malvagi, sentiva il bisogno di mettersi alla prova e accolse questa ondata di novità con positività, nonostante questo l’aveva lasciata con una certa ansia da smaltire.

Non c’erano dubbi però. La causa del suo atteggiamento era dovuto proprio ad Anna.

Prese un respiro profondo e si avvicinò al letto, sedendosi accanto a Mellow. Si prese le mani e, con un leggero rossore, tenendo lo sguardo fisso sui suoi piedi, parlò.

“E’ la persona più vera che io abbia mai conosciuto.” Disse con una vocina così tenera che fece uscire un sorriso nel volto della cameriera.
“E poi quel suo sorriso Mel. Quel suo sorriso è così, così... Non ne avevo mai visto uno così bello.”

Elsa sentì una leggera pressione sulla sua spalla e girandosi vide che l’altra ragazza aveva appoggiato la sua mano su di lei. Con una certa dose di coraggio, la bionda incrociò il suo sguardo. La cameriera la stava guardando amorevolmente, con una certa lucentezza negli occhi che non capiva. Allungandosi leggermente prese le mani di Elsa e intrecciò le sue dita alle sue sfregandole leggermente, cosa che scoprì essere rilassante.

“Ora signorina Elsa, cerchi di calmarsi un po’. Faccia un respiro profondo.”

Elsa obbedì. Inspirò profondamente finche ogni singolo millimetro dei suoi polmoni fu riempito di aria per poi espirare leggermente. Ripeté la stessa cosa per altre due volte finchè non si sentì calma abbastanza.

“Apposto signorina?”

Al suo annuire, Mellow continuò a parlare.

“Perché non chiede alla fanciulla di vedersi con lei dopo pranzo?”
“Che?!”

Prima che potesse alzarsi e riprendere il suo camminare avanti e indietro per la stanza, Mellow la fermò, tenendo Elsa per le spalle, impedendole di alzarsi.

“Suvvia ora! Le ha salvato la vita! Si merita più di una cena in mezzo a pomposi barbari, non crede?”

Effettivamente Mellow aveva un punto. Sapevano entrambi che Hans non sarebbe stato un gentiluomo con Anna e che avrebbe provato qualsiasi cosa per mettere in imbarazzo la povera ragazza. Anna non si meritava questo.
Però ancora, anche se si fossero viste, che avrebbe dovuto fare? Non sapeva niente di uscite amichevoli né, tantomeno, come comportarsi con persone che non facevano parte della cerchia “aristocratica/nobile” che odiava così tanto.

“Certo, se la metti così… ma che devo fare? Cioè, ci incontriamo e poi? Di cosa si parla di solito? E cosa possiamo fare? Cosa fanno di solito le persone in queste circostanze?”
“Sia solo se stessa, signorina.”
Questo sì che semplifica le cose.” Pensò Elsa. Sbuffò.

Mellow parve cogliere i suoi pensieri perché le strinse la mano e le parlò con voce sicura e affettuosa.

“Vedrà che le verrà naturale. Non si preoccupi, andrà tutto bene.”

La bionda non poté fare altro che annuire. Ben presto però le venne una nuova idea e i suoi occhi accolsero una tonalità maliziosa che non piacque affatto alla cameriera che d’istinto si sentì indietreggiare.

“Ok, lo farò.” Disse Elsa. “Ma non posso certo presentarmi in terza classe. Hans e mia madre non me lo permetterebbero mai e l’equipaggio ormai mi conosce…”

Mellow sentì una goccia di sudore freddo cadere lungo la schiena.

“Perciò chi potrebbe mai andare a recapitare l’invito…?”

Si portò una mano al mento, in una perfetta imitazione di chi stesse cercando di risolvere un problema particolarmente grosso. La cameriera però sapeva benissimo cosa c’era in arrivo.

“Oh, signorina, io non credo che…” tentò Mellow, ma venne interrotta dalla voce di Elsa.

“Ma certo! Potresti andarci tu! Mi faresti un grande favore, grazie MarshMellow!”
“Non mi chiami così...” sussurrò lievemente la cameriera in una flebile protesta
.
Elsa non chiamava mai l’altra ragazza con nome e cognome a meno che non volesse incastrarla in qualche affare particolare o farle svolgere qualche favore che sapeva non le andava a genio. Pronunciava sempre il nome con un tono divertito, sapendo che infastidiva l’altra ragazza, ma per loro era più simile ad un gioco che altro.
La bionda sogghignò alla faccia che fece la sua cameriera. Alzandosi dal letto diede una pacca incoraggiante sulla schiena dell’altra ragazza e si allontanò in direzione della stanza accanto aggiungendo solo una cosa, seguito da uno sporadico occhiolino:

“Mentre ti prepari scriverò l’invito, così puoi subito portarglielo. Mi raccomando.”

Mellow però non sembrò prendersela così tanto. Per troppo tempo Elsa era stata senza amici al di fuori di lei e vederla così raggiante e scherzosa era un toccasana per il suo animo. Era stanca di sentire l’altra ragazza piangere di notte e sapere di poter fare poco, se non niente, per consolarla.

Si alzò dal letto e si preparò a dirigersi verso la sua camera. Passando affianco all’altra stanza vide con la coda dell’occhio una Elsa concentratissima nello scrivere l’invito per la sua salvatrice con al suo fianco già un bel mucchio di fogli stropicciati, chiaramente di tentativi non piaciuti o trovati insoddisfacenti. Sorrise verso di lei. Avrebbe dovuto ringraziare a sua volta la ragazza per aver reso così felice Elsa.  

“Faccio il tifo per te, Anna.”

Sussurrò al vento e lasciò la stanza senza far il minimo rumore.
 
*
 
Ora che il sole era sorto completamente, nei vari corridoi della nave era possibile sentire il frastuono caratteristico di persone in movimento. La maggior parte dei passeggeri era pronto a dirigersi a colazione mentre una piccola minoranza, formata per di più da bambini, godeva ancora dei propri sogni. I reparti addebiti alla terza classe erano sicuramente i più rumorosi e questo era dovuto principalmente al fatto che più della metà dei passeggeri risiedevano in quelle stanze.

Una camerata in particolare, targata con il numero G60, spiccava tra le altre per il rumore assordante che stava producendo. Botti e urla, attutiti dalla spessa porta e delle pareti della nave, erano udibili dall’esterno sebbene nessuno osò varcare la soglia né tantomeno bussare.

Un urlo in particolare fece vibrare la nave e rizzare i capelli a molti, un urlo che suonava come…

“EUGENE!!”

All’interno della famosa cabina il caos era assoluto. Vestiti erano sparsi ovunque, le borse da viaggio erano state svuotate e buttate ovunque e un paio di padelle erano sparpagliate qua e là vicino ai muri.

Il ragazzo in questione, Eugene, aveva tentato in tutti i modi (con successo) di schivare le padelle volanti lanciate dalla moglie presa da un altro attacco di gelosia, il che spiegava i botti assordanti sentiti dall’esterno, e ora stava cercando (senza successo) di sparire attraverso il muro. Come unica arma contro la furia della sua signora aveva la stessa padella che le aveva lanciato poco fa, mancando di un soffio il suo tanto amato naso.

“Eugene. Ridammi la padella.”
“Non se ne parla. Dovrai passare sul mio cadavere.”
“Bene. Riformulo. Dammi la padella o giuro che appena riuscirò a prenderti, ti farò pentire amaramente, e dico A m a r a m e n t e, di aver dato una sbirciatina ai suoi indumenti intimi, hai sentito? E non rifilarmi la scusa del ‘ho appena buttato l’occhio, non ho visto nulla’!”
“Ma è vero! In ogni caso, non è che lei stia particolarmente tentando di nascondere le sue mutandine verd-”
“Non andare oltre, Eugene!”

Il loro battibecco continuava già da una buona mezz’ora anche se la maggior parte degli occupanti della stanza G60 era ormai sveglia da tempo. L’unica eccezione era data da una certa biondo fragola che, inspiegabilmente, riusciva ancora a dormire, ronfando abbastanza sonoramente, il che sarebbe stato udibile se solo non ci fosse stato tutto questo trambusto nella stanza. I suoi capelli erano spiccati da tutte le parti vincendo la battaglia contro la gravità e un rivolo di saliva si era fatto strada sulla sua guancia finendo inesorabilmente sul cuscino in cui appoggiava. Indossava una maglia azzurra decisamente enorme per il suo flebile corpo, con al centro il disegno di un fiocco di neve, che giungeva fino alle cosce, lasciando intravedere appena l’intimo sottostante. La maglia in questione fungeva da camicia da notte e le dava l’aspetto di una bambina un po’ troppo cresciuta. Seppur senza saperlo, era lei la causa del battibecco tra i due sposi.

Nel letto sopra al suo sedeva invece il suo migliore amico, Olaf, che a differenza sua, era stato svegliato dalle risate di Eugene e Rapunzel, rimasti colpiti dall’aspetto mattutino di Anna, in particolar modo dai suoi capelli che ricordavano molto il nido di qualche uccello. Olaf aveva spiegato che erano poche le circostanze in cui i capelli della giovane non finivano in quel modo anche se non si prese la briga di specificare le varie condizioni. Da lì a poco iniziò il lancio a ripetizione di padelle e il discorso non venne più tirato in ballo.

Ora però il ragazzo si sentì il dovere di intervenire e, scendendo dal letto a castello, si avvicinò a Rapunzel, appoggiandole una mano sulla spalla.

“Rapunzel?”
“Si?”

La ragazza si girò e il suo sguardo omicida venne sostituito immediatamente da uno sguardo calmo e rilassato. Questo spiazzò il povero ragazzo. Si schiarì la gola e ricominciò.

“Ehm. Sai, Anna dorme sempre così, non le interessa granché e poi Eugene ha ragione…”

Lo sguardo tornò omicida. Sudore freddo iniziò a scendere dalla sua schiena e si ritrovò a chiudere gli occhi, tremante come una foglia.

“…cioè, b-beh… N-non sto cercando d-di scusarmi per lui, ma sai, è d-difficile non notarlo…e-ecco.”

Un sospiro della ragazza rifece aprire gli occhi a Olaf e vide con sollievo che Rapunzel sembrò riflettere sulle sue parole.

“Suppongo tu abbia ragione.” Disse poi.

Sia Olaf che Eugene rilasciarono il respiro che non si erano resi conti di tenere, rilassandosi.

“Ma la prossima volta non sarai così fortunato Flynn Ri-
“Elshaaaa. Un altroo. Mmh.”

Rapunzel non riuscì a finire la frase perché venne interrotta da un Anna parlante nel sonno. I tre si girarono a guardarla: la biondo fragola ora stava abbracciando il cuscino, mordendo e succhiando la parte di stoffa che le giungeva alla bocca, riempendola di saliva. Lo sguardo di beatitudine che aveva in volto era al dir poco esilarante.

Le facce dei tre passarono da shock a divertimento allo stato puro e, non riuscendo più a trattenersi, lasciarono fuoriuscire la risata che era salita alla gola. Risero a crepapelle fino a che le costole non iniziarono a solleticare e le lacrime non occuparono il loro viso.

“Credo sia ora di farla tornare tra noi, che dite?” disse Rapunzel.
“Perché? Dov’è andata?” arrivò la risposta di Olaf che la guardò confuso.

La bionda si limitò ad alzare gli occhi al cielo. Si avvicinò al letto di Anna e si inchinò, ridacchiando nuovamente alla vista. La scosse leggermente.

“Anna…”
“…”
“Anna, svegliati…”
“Cinque… minuti..”
“No Anna, ora!”
“…”

Rapunzel la guardò esasperata. La ragazza era persistente, doveva ammetterlo. Stava pensando di prendere una padella e provare con quella quando Eugene annunciò che sarebbe andato a prendere i posti a colazione, il che sviò i pensieri della bionda che si alzò e, scavalcando vestiti e borse, andò a salutare il marito dicendo solo una cosa:

“Olaf, prova tu!”

Olaf allora prese il posto di Rapunzel e si inchinò a sua volta, appoggiando la mano sulla spalla dell’addormentata.

“Ehi svegliati.”
“…”
“Dai, svegliati.”
“…”
“Perché non ti svegli?”
“…”

In quel momento Rapunzel tornò al suo fianco e si guardarono con una leggera esasperazione.

“Secondo te sa svegliarsi?”

Ma non ebbe il tempo di ricevere risposta che qualcosa di umido si fece largo sulla mano di Olaf che la ritrasse dalla spalla di Anna con un distinto “Ehw!”. A quanto pare la biondo fragola aveva lasciato il cuscino per dare un assaggio a qualcos’altro e la prima cosa che le era capitato a tiro era proprio la mano del suo migliore amico. Ovviamente a questo seguì un altro attacco di ridarella che questa volta, però, venne interrotto da un bussare alla porta.

Rapunzel si occupò di andare ad aprire mentre il ragazzo cercò di togliersi la bava dell’amica dalla mano.
Alla porta non c’era niente meno che Eugene, accompagnato da un’altra giovane ragazza, all’apparenza una cameriera. Una bella ragazza, non c’è che dire, ma Rapunzel, ormai abituata alle perversioni del marito, si ritrovò a rimproverarlo di nuovo.

“Eugene!”
“Aspetta! Calma, non è quello che pensi! E’ qui per Anna.”
“Anna?”
“Si, l’ho incontrata in fondo al corridoio, cercava informazioni su di lei. Dice di essere qui in nome di Elsa Arendelle.”
“Ah, allora esiste davvero!”

Ma il loro dialogo venne fermato qui perché una certa biondo fragola nel sentire quel nome si era destata dal suo sonno ed era rizzata a sedere in un lampo urlando incredulamente:

“ELSA?!”

A questo seguì un tonfo fragoroso e un gemito.

Anna, che fino a un momento fa stava rivivendo l’avventura di ieri sera nel suo sogno, si trovò improvvisamente ad osservare il soffitto con il corpo dolorante. Di una cosa era sicura: aveva sentito nominare Elsa. Nella fretta di alzarsi però era clamorosamente caduta dal letto e ora si trovava sopra a un leggero strato di vestiti, a pancia in su con mezzo piede ancora salvo in cima al letto. Per sua fortuna non si trovava nel letto sopra, altrimenti non se la sarebbe cavata così a buon mercato. In ogni caso, passato il momento di confusione iniziale, si rimise in piedi e corse alla porta.

“Hai detto Elsa? Chi ha detto Elsa? Dov’è Elsa?”

Guardandosi in torno però vide che non c’era nessuna Elsa nelle vicinanze, solo una ragazza che non aveva mai visto. La ragazza aveva dei bellissimi occhi verdi e i capelli castano chiaro erano raccolti in uno chignon un po’ disordinato. Indossava  un classico abito da cameriera che le donava molto anche se non sembrava molto più vecchia di lei.
Improvvisamente divenne consapevole del suo aspetto post-dormita e sentì il calore divampare sulle guance. Con una mano cercò di sistemarsi i capelli mentre con l’altra tentò di far svanire le tracce del rivolo di bava e un silenzio imbarazzante scese tra loro, rotto solo dopo quasi un minuto dalla voce di Eugene e Rapunzel.

“Direi che posso andare a prendere quei posti a colazione…”
“Oh giusto, bravo Eugene. Io credo che andrò a sistemare la stanza insieme a Olaf…”

Entrambi poi lasciarono e le due ragazze si ritrovarono in corridoio da sole.

“E’ lei Anna Dawson?”
“L’unica e sola direi.” E una risata imbarazzata lasciò le sue labbra.

Con una mano spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“E tu sei..?”
“Sono Mellow. Sono la cameriera personale della signorina Elsa Arendelle. Signorina Dawson…”
“Chiamami pure Anna.” Si intromise la biondo fragola.
“Oh va bene. Signorina Anna sono venuta a portarle un invito da parte della signorina Elsa.”

Detto questo le porse una busta azzurrina rettangolare in cui sopra c’era scritto il suo nome. Anna colse immediatamente il profumo di menta caratteristico della ragazza e si concentrò sul modo in cui il suo nome era scritto. Non c’era nessuna sbavatura e le lettere, scritte con i bordi leggermente arricciati e leggeri, si intrecciavano tra loro in maniera armoniosa. Non aveva mai visto una scrittura così bella… Avrebbe dato di tutto per poter vedere scritto il suo nome migliaia di volte in centinaia e centinaia di fogli… Ma non era quello il punto. Prese l’invito con mani tremanti, la curiosità crescente nel petto.

“Grazie.” riuscì a dire Anna in preda all’eccitazione.
“Perfetto. E’ stato un piacere conoscerla signorina Anna. E scusi se l’ho svegliata.”
“No no no, non fa niente. Ero sveglia da ore.”

E seppure quella fosse una bugia, ed entrambi ne erano a conoscenza, nessuno commento oltre e ognuno andò per la sua strada.

Appena Mellow superò l’angolo in fondo al corridoio e uscì di vista, Anna si mise ad aprire la busta con il massimo della cura possibile in modo da riuscire a conservare ogni piccolo straccetto di carta.

Il foglio all’interno era bianco e recitava:

Carissima Anna,
Avrei piacere di incontrarla quest’oggi allo scoccare delle due presso il ponte D. Vorrei ringraziarla come si deve per il gesto cavalleresco di ieri sera e come minimo offrirle qualcosa da bere. Attenderò tutto il pomeriggio se necessario perciò un rifiuto non è concesso. Se acconsente, ci ritroveremo sotto l’orologio del lato est del ponte.
Cordiali saluti,
Elsa Arendelle.


Anna dovette rileggere quelle righe per quattro volte di fila prima di rendersi conto ciò che era scritto. Rientrò in stanza lentamente, con una faccia ancora inespressiva che non lasciava far trasparire nulla. Questo preoccupò sia Rapunzel e Olaf che le si avvicinarono preoccupati.

“Allora?”
“Che voleva?”

Anna li guardò come se fossero distanti chilometri, come se la sua anima avesse lasciato il suo corpo. E quando i due iniziarono a mandarsi sguardi strani e preoccupati come per chiedersi quale disgrazia fosse potuta succedere per ridurla così, lei parlò.

“Mi ha mandato a chiamare.”
“Perché?! Che hai fatto?” risposero in coro i due.
“Vuole vedermi. Ringraziarmi. Offrirmi qualcosa da bere.”

Rapunzel e Olaf la guardarono confusi, non capendo il motivo della sua reazione, ma la loro domanda inespressa venne subito chiarita dall’affermazione successiva.

“Sto sognando, vero? Vuole vedermi! Me! Vuole vedere me! Oggi pomeriggio… io... la rivedrò di nuovo! Ho un appuntamento con lei. Oddio! Ho un APPUNTAMENTO! CON LEI! Olaf! Devi aiutarmi! Sei il mio esperto in amore!”
“Esperto in amore?” chiese Rapunzel, ignara del termine.
“Amo considerarmi un esperto in amore.” Rispose il ragazzo.

Anna però era già passata a divagare su altro.

“Devo trovare qualcosa da mettere! Non posso sembrare un contadino! Ma che dico… non ho altro da mettermi. E lei è così bella. Non posso andarci! Non sarei adeguata! Ha senso poi questa frase? Certo che no, ovvio che no, nulla ha senso. Ma se non vado lei dovrà aspettare. Ha detto che aspetterà tutto il giorno. Non posso farla aspettare! Devo andare là ora!”

E si avviò verso la porta, solo per essere fermata da Olaf che la prese da dietro e con un abile mossa la bloccò.

“Mocciosa fermati! Non saranno neanche le nove! Ora calmati e respira ok? Fai respiri profondi. Così, brava. Almeno altri cinquanta ora.”

Ci volle un po’ per calmare Anna ma gli sforzi furono ripagati quando la ragazza si mise a sedere sul letto e iniziò a pensare concretamente.

“Dobbiamo trovare qualcosa da metterti…” disse Rapunzel.
“Ma non ho praticamente nient’altro.”
“Non ti preoccupare, a questo ci penso io!” e le fece l’occhiolino “Puoi prendere in prestito qualcosa di mio.”
“Oh no, non potrei mai…!” arrivò la protesta della biondo fragola ma…
“Suvvia. A cosa servono gli amici se no? Vieni, cerchiamo qualcosa in questo caos che ti possa andare bene.”

Olaf rimase a godersi la scena per il tempo restante.

Era felice di vedere come le cose si erano sviluppate e Anna si meritava un po’ di amore nella sua vita dopo tutto quello che aveva passato. Si ritrovò a sorridere alla vista delle due ragazze immerse nella ricerca. Un brontolio alla pancia gli ricordò che dovevano ancora fare colazione, ma visto come si era sviluppata la mattina, certamente quello era l’ultimo dei pensieri per Anna e Rapunzel. Decise di andare da solo, raggiungendo Eugene. Avrebbe dovuto ringraziare questa famosa Elsa per aver reso così felice la sua migliore amica…

“Faccio il tifo per te, Elsa.” Disse in una flebile voce.

E lasciò la stanza con un sorriso.
 
 
 
 
 
A/N: Finalmente sono tornata! Queste settimane sono state un inferno tra lavoro e il resto… Ma ecco il nuovo capitolo.

Ieri ho scoperto che il nome corretto sarebbe “Marshmallow” e non “Marshmellow” come lo scrivo io. Ma ormai il danno è fatto, perciò portate pazienza e perdonate l’errore ;) (In ogni caso Mellow e più sensuale di Mallow a mio parere).

Per chi fosse interessato, ho aperto un account anche su Facebook, il link potete trovarlo nel mio profilo di Efp. Se ci sono dubbi, domande, pareri ecc fatemi sapere. Adoro i vostri commenti! :)

Ciao a tutti e grazie!

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Capitolo 11
*** Il mondo dagli occhi suoi (Parte 1) ***


Il ponte della nave era insolitamente tranquillo e silenzioso. Per essere il transatlantico più grande e rinomato del mondo si sarebbe pensato che un momento di pace fosse impossibile da trovare, soprattutto quando la nave pullulava di persone a destra e a manca, ma a quanto pare niente era impossibile per il colosso denominato Titanic. Certamente c’erano un paio di spiegazioni per chiarire questo particolare fenomeno, come per esempio il fatto che era ora di pranzo o che i pochi passeggeri che avevano finito di pranzare si erano già ritirati nelle cabine o nei bar interni, ma ad una certa biondo fragola la cosa era a dir poco irrilevante.

La ragazza in questione stava camminando con passo svelto, evidentemente nervosa, in direzione di qualche ponte al secondo piano della nave. Il suono leggero dei suoi passi era ovattato dal rumore delle onde del mare che quel pomeriggio, a differenza della mattina, sembrava essere più burrascoso. Le sue due trecce caratteristiche svolazzavano in aria, spinte via dal venticello che si stava alzando durante la giornata. All’improvviso nell’aria riecheggiò un rumore strano, una specie di brontolio sommesso che veniva proprio dalla ragazza.

“Vai così Anna, dimenticati di fare colazione e di pranzare… ” sbuffò.

Anna era stata tutta la mattina in cabina a prepararsi insieme a Rapunzel, dimenticandosi completamente di mangiare. Nulla di strano tenendo conto di ciò che l’attendeva quel pomeriggio. Nonostante Rapunzel si fosse offerta di dare ad Anna un paio di suoi vestiti, alla fine la ragazza si ritrovò a rifiutare l’invito. La bionda era solita indossare vestiti eleganti, con gonne vistose e merletti ovunque, ma Anna preferiva vestiti più semplici e maschili come quelli che indossava già. In ogni caso, l’intervento di Rapunzel risultò lo stesso prodigioso: i vestiti di Anna vennero puliti, rattoppati e sistemati in base alla sua misura. La sua camicia verde giada ora aveva un tocco decisamente più femminile e si adagiava al corpo della ragazza in modo perfetto, le maniche non dovevano più essere rimboccate e dopo una bella pulita, sembrava risplendere ancora di più. I pantaloni beige chiaro vennero stretti e accorciati a loro volta dando l’impressione di essere della misura perfetta, nonostante fossero stati di un uomo di un paio di taglie più grandi della sua. Inoltre Rapunzel si era offerta di dare ad Anna i suoi nastri per capelli che vennero appostati a ciascuna treccia. I nastri erano di un verde poco più scuro della sua camicia ed erano lunghi una ventina di centimetri. Secondo la ragazza, i nastri stavano meglio su Anna che su di lei, notando quanto gli occhi azzurro mare venivano risaltati dalla loro semplice presenza.

Tutto questo occupò praticamente tutta la mattinata e ora che Anna era pronta e aveva chiesto consigli a Rapunzel, aveva iniziato a dirigersi verso il luogo dell’appunt- … cioè. Verso il luogo dell’incontro, nonostante fosse solo l’una e un quarto.

“Deve solo ringraziarmi. Non è mica un A-a-a-ppunt-t-tament-o-o.”
“Punzie ha detto che andrà tutto bene. Devo solo rilassarmi.”
“Sii te stessa, sii te stessa, sii te stessa.”

Da quando era uscita dalla cabina, aveva continuato a ripetersi queste frasi in un vano tentativo di calmarsi e placare il nervosismo. A queste venivano poi alternati i consigli di Rapunzel che si potevano riassumere in cinque semplici “regole”:

1. Stai calma, non farti prendere dal panico, PENSA PRIMA DI PARLARE.

“Ok, questa è semplice. Devo solo respirare profondamente e non dire sciocchezze. Dov’è il problema? Sì insomma, sono l’essere più calmo, gentile e affettuoso del mondo e sto per vedere l’essere più angelico e meraviglioso dell’universo…Respira Anna, respira. ”

2. Assicurati di essere da sola e che non sia accompagnata da nessuno!

“…Se solo rivedo quelle basette ramate giuro che questa volta gli rompo il naso come si deve. Quel lurido bast-…”

3. E’ una signora perciò salutala come si deve.

“Su Anna, ricordati gli esempi che ti ha fatto Rapunzel. Vediamo… potrei provare con “Buongiorno signorina Arendelle.” Mah, suona così male… O “Salve signora.”. No, signora no. Non è mica sposata, credo… oddio, cosa faccio se è sposata? Magari provo con “Ciao Elsa!” Non la conosco, non posso chiamarla per nome. L’ho già fatto, ma quello era per un valido, validissimo motivo! Cioè, per l’amor del cielo, stava per tuffarsi in mare! Uhm…forse potrei non salutarla e dirle qualche frase diversa, qualcosa come “Ehi bellezza, nemmeno la Luna è comparabile alla tua bellezza”. Oddio, suona così cliché. Ci rinuncio! ”

4. Trova qualcosa di carino da dirle.

“Non è difficile trovare qualcosa di carino. Lei è così, così mozzafiato. Quegli occhi azzurro ghiaccio sempre un po’ tristi ma allo stesso tempo sorpresi, per non parlare di quei suoi lunghi capelli biondo platino che sembrano risplendere di luce propria, e poi c’è quel suo corpo così perfetto, e le sue curve, oddio le sue curve…"

5. Mostragli i tuoi punti di forza e non provare a dire che non ne hai! Certo magari sei un po’ disordinata, infantile, sfacciata, goffa, impacciata, eccentrica, esuberante, impulsiva ma hai anche un cuore d’oro! Sei gentile e premurosa! Punta su queste cose!

“Questo si può anche considerare un consiglio? Certo non è molto di aiuto.”

Continuò su questa linea di pensiero per un bel pezzo mentre inconsciamente si dirigeva verso il luogo dell’incontro. A quanto pare quando non si concentrava sul percorso da fare, il suo orientamento era decisamente migliore e si trovò prima del previsto nei pressi dell’area B. Si diresse verso il corridoio aperto che l’avrebbe portata al ponte prestabilito e strinse a sé l’album da disegno che si era portato appresso, non che avesse valore monetario o altro, solo ne era molto legata ed era considerato un porta fortuna. L’album era una delle due cose da cui non si separava mai. L’altra cosa era il ciondolo della madre che emergeva dalla sua camicia, di cui si vedeva solo la catenina dorata.

Rimase immersa nei suoi pensieri anche quando, una volta arrivata ad un bivio, girò a destra con una certa fretta, senza guardare, finchè non sentì qualcosa sbattergli contro. Di riflesso allungò la mano per afferrare la cosa che aveva colpito ma appena la sua mano si serrò, il suo corpo fu pervaso da un leggero brivido  e una sensazione di familiarità si impossessò di lei.
In quel momento tutti i pensieri delle ultime ore vennero spazzati via per lasciar il posto ad un solo, semplice, pensiero:

Il mio angelo è qui.”
*
 
Il corridoio al di fuori delle suite era al dir poco silenzioso. Sia l’equipaggio che gli altri passeggeri di prima classe non erano in alcun luogo dall’essere visti e l’unica cosa in movimento era una giovane ragazza biondo platino che stava vivendo una situazione molto simile alla fanciulla che si trovava qualche ponte più in là del suo: stava camminando con passo svelto e nervoso, facendo riecheggiare il suono dei suoi tacchi sulle pareti circostanti, il suo viso così come i suoi lineamenti, racchiudevano in loro una certa ansia che si poteva spiegare solo sapendo cosa sarebbe successo da lì a poco. Come se non bastasse, la ragazza continuava a borbottare tra sé cose senza senso o parole di auto incoraggiamento… Qualcosa come:

“Hai affrontato di peggio. Sei una Arendelle! Ovviamente hai affrontato di peggio. Stai calma Elsa, stai calma, stai calma…”

Elsa aveva passato gran parte della mattina a dormire… cosa meravigliosa se non fosse per il suo incontro e la sua neonata incapacità di prendere decisioni.

Quando la sua cameriera, Mellow, aveva lasciato la stanza con l’invito, si era stesa a letto e, a quanto pare, il sonno che non aveva avuto la sera prima giunse finalmente a destinazione. Si era addormentata con un sorriso in volto pensando a ciò che aveva appena fatto, ma la beatitudine durò assai poco. Quando Mel la svegliò un paio di ore più tardi, l’ansia tornò a lei come un’onda durante la tempesta, mettendola in un puro e completo stato di caos. L’orologio sembrava spaventosamente vicino alle lancette delle due e ogni decisione che doveva prendere sembrava essere diventata la cosa più complessa dell’universo, sebbene in una situazione normale il tutto sarebbe sembrato piuttosto semplice.

Aveva costretto la sua cameriera a passare tutta la mattinata con lei a risolvere ogni suo capriccio: che vestito mi metto, che scarpe abbino, come acconcio i capelli, verrà o non verrà, cosa faccio se non viene, come inizio una conversazione… e tutte le altre domande, inutili e non, che le passarono per la testa.

Alla fine si era buttata per un abito dallo stile semplice ma grazioso dalla gonna lunga color verde acqua che si ramificava in un rigido corpetto a cuore dall’allacciatura in bronzo sul quale erano disegnati dei graziosissimi ricami. Sopra le corte maniche nere, indossava infine un piccolo mantellino color magenta per proteggersi dalle eventuali folate di vento che potevano presentarsi quel pomeriggio. Aveva inoltre scelto di accociare i suoi capelli in una classica treccia francese, raccolta in un panino, che le dava un'aria più matura.

Finalmente, dopo essere stata costretta da Mellow a mangiare almeno un pezzo di pane con delle uova (che gli rimasero sgradevolmente serrate in gola) iniziò ad avviarsi presso il ponte B, nonostante fosse decisamente in anticipo.

Ben presto però si rese conto che le parole di auto incoraggiamento non stavano funzionando come sperava…

“Non preoccuparti dice. Andrà tutto bene dice. Non ha idea, nessuna idea di quanto sia difficile per me fare una cosa simile. Ma tanto lei è una cameriera! Per lei è tutto semplice! E’ abituata a questo genere di cose. Io d’altra parte non ho mai incontrato nessuno al di fuori di tutti quei nobili signori o quei cittadini illustri… E se si trovasse a disagio? Non voglio che se ne vada a causa mia. ”

“Mel ha detto che devo essere me stessa. Come faccio ad essere me stessa quando nemmeno so chi sono? Certo, per tutti sono la nobile di una delle casate più antiche dell’epoca, una Arendelle, e presto sarò una Southern, colei che avrà l’onore di sposare l’affascinante Hans Southern. Ma sono veramente solo questo? ”

“Mel dice sempre che sono riservata. Non posso dargli torto. Dice anche che sono gentile e altruista. Lei però vede sempre il bello delle persone… io però… forse è vero che ho qualche qualità. Beh di certo sono intelligente e attenta, non posso negarlo, e mi piacerebbe crederle. Ma quello che vedo io invece è solo una ragazza fragile, piena di rimorsi e che non sa farsi valere… Sono sicura che non si presenterà mai al nostro incontro. Forse dovrei tornarmene in cabina, tanto non verrà.”

Per una manciata di minuti era stata convinta che l’idea di invitare Anna a passare il pomeriggio con lei era stata a dir poco stupida. Probabilmente alla ragazza non interessava passare il tempo con lei. Quando questo pensiero le occupò la mente, si bloccò di colpo e si chiese se doveva tornare indietro o se avesse dovuto andare avanti.

Aveva qualche speranza che Anna si sarebbe presentata?

Non era meglio tornare in cabina e chiudersi a chiave?

Sarebbe veramente venuta solo per vedere lei?

“E’ un bellissimo nome.” Le parole che la biondo fragola aveva pronunciato le saltarono in mente.

“Ann- cioè, la signorina Dawson pensa che ho un bellissimo nome.” E il solo pensiero di questo bastò per farla arrossire.

Ancora una volta si ritrovò a pensare alla sera precedente e ai suoi inaspettati avvenimenti.
D’altro canto si era ripromessa di non guardarsi più alle spalle e di lasciarsi andare. Basta con il “Celare, domare, non lasciare che si mostri”, era il momento di affrontare le sue paure.

Le avrebbe dato una chance.

Riprese a camminare a passo spedito arrivando ben presto vicino al luogo dell’incontro. Solo una curva e un paio di metri la separavano dal punto prestabilito. Non si diede la briga di rallentare quando girò l’angolo e questo probabilmente fu il motivo per cui andò rovinosamente a sbattere contro qualcosa.

Si sentì cadere come a rallentatore. Chiuse gli occhi, pronta a subire il colpo e il dolore che sarebbe seguito, ma ciò che non si aspettava fu di essere presa al volo da qualcuno. La sua presa, il suo tocco, sembrava familiare e in un certo senso anche nostalgico. Fu in quel momento che si rese conto chi aveva davanti e la sua mente riuscì ad elaborare un solo pensiero:

Alla fine è venuta.”
*
 
Il loro semplice tocco bastò per riconoscersi a vicenda, ancor prima che i loro occhi entrassero in contatto. Quel piccolo gesto fu sufficiente per far sentire la propria presenza alla persona alla quale erano stati rivolti i pensieri delle ultime ore.
Una folata di vento scostò le due ragazze dal loro momentaneo torpore e fu allora che gli occhi color del mare incontrarono nuovamente quelli di ghiaccio e la loro essenza tornò ad intrecciarsi. Il profumo di primavera si fece largo tra la fragranza dell’inverno e tutta la sicurezza che era andata persa durante il loro distacco venne ritrovata all’istante, come se non se ne fosse mai veramente andata.

“Oddio, mi dispiace!”

Iniziò Elsa che fu la prima a riprendersi da quell’improvviso incontro…

“Non stavo guardando dove mettevo i piedi e poi sei sbucata fuori dal nulla e non ti ho visto arrivare e pensavo di cadere a terra e invece mi hai preso al volo e…”

E mentre lei divagava, Anna non potè che guardare, con un pizzico di divertimento e affetto crescente, la donna davanti ai suoi occhi, soffermandosi su ogni particolare del suo vestito e ogni piccolo dettaglio del suo viso. La pelle pallida si intonava perfettamente al colore dei suoi occhi, tanto quanto una tazza di cioccolato sarebbe stata bene accompagnata da una torta al cacao, per non parlare delle sue piccole e tenere labbra rosee che sembravano fatte di zucchero, e solo ora Anna si accorse di quanta fame avesse veramente, ma…

 “Aspetta…Sono delle lentiggini quelle? Aww, che carina.

In quel momento si rese conto di aver iniziato a sua volta a divagare seppur, a differenza sua, l’altra ragazza stava esprimendo i suoi pensieri ad alta voce.

“…e continui a comparire nella mia vita così, dal nulla, e ogni volta diventa così imbarazzante parlare con te e-”
“Uau Elsa, non sapevo avessi questa tendenza a cadere ai miei piedi.” La interruppe Anna.

Appena terminò la frase già si pentì di aver parlato perché Elsa le mandò uno sguardo spaventoso di rimando, uno sguardo che ricordava molto…

Slap

…il momento in cui era stata presa a schiaffi la sera prima.  

“Déjà-vu.” Si ritrovò a borbottare.
“E per la cronaca, è signorina Elsa per te.”

Continuò la ragazza, incrociando le braccia e girando il capo di lato.

Anna sogghignò alla vista del suo (stupendo) broncio.

“Oh mi scusi tanto Milady.”

Disse con tono falsamente dispiaciuto e si piegò in avanti in una perfetta imitazione di un inchino da nobile signore.

“Mi è venuto spontaneo visto il modo in cui si sta rivolgendo a me in questo momento.”

Le fece l’occhiolino. Elsa non capì subito cosa intendesse dire e rimase confusa per un po’ finchè non si rese conto di aver dato del ‘tu’ ad Anna per tutto questo tempo.
Sussultò leggermente, portandosi una mano alla bocca con una chiara espressione di terrore dipinta in viso. Si preparò a scusarsi ma non riuscì a dire nemmeno una sillaba che la biondo fragola la interruppe immediatamente.

“Niente scuse. Non si preoccupi. In cambio le darò del tu a mia volta, le va bene?”
“C-certo che sì, per chi mi ha preso?!”

Anna dovette ammettere che questo lato timido e scontroso di Elsa era veramente adorabile. Avrebbe tanto voluto conoscere ogni aspetto della vita della ragazza e ogni suo comportamento perché ogni suo nuovo lato era una nuova parte di lei che avrebbe amato.

Le sorrise.

Un altro di quei caldi sorrisi di Anna che spiazzavano Elsa e nonostante ella insistette a mantenere il suo broncio, con la coda degli occhi non perdeva di vista l’altra ragazza. Ora nel suo sguardo si poteva chiaramente vedere una nuova scintilla che portava con sé una felicità mai provata prima.

E’ in quel momento che entrambe lasciarono da parte i propri problemi, i propri dubbi e perplessità, e si spogliarono di ogni maschera, ogni barriera che le impedivano di mostrarsi per quello che erano veramente. Si prepararono a farsi conoscere per i loro valori, per il loro vero io e le parole congiunte di Rapunzel e Mellow sembrarono riecheggiare nell’aria:

Sii te stessa.

E finalmente entrambe capirono il significato di quelle parole.

Ad interrompere l’atmosfera fu un suono sommesso, molto simile a un brontolio, che arrivò da Anna. Nel suo viso si fece immediatamente strada un rossore molto forte e la ragazza ne era certa, ora assomigliava più ad un pomodoro che ad un essere umano.

Fa che non l’abbia sentito, fa che non l’abbia sentito, fa che non l’abbia sentito…

Ma lo scongiuro non funzionò visto che da lì a poco Elsa scoppiò a ridere, la mano destra irrimediabilmente davanti alla bocca. Rise così di gusto che ad un certo punto dovette tenersi la pancia.

“Sì, prenditi gioco di me… Uff.” sospirò Anna che voleva con tutta se stessa nascondersi sotto le tavole di legno del pavimento.
“M-mi spiace…è stato così…imprevisto…” disse tra una risata e l’altra.

Fu il turno di Anna a mettere il broncio ora e dopo che Elsa si asciugò una lacrima sfuggente, allungò la mano in direzione della ragazza.

“Vogliamo andare?”

La biondo fragola rimase a fissare la mano dell’altra per un po’, sorpresa di tale iniziativa, ma non aveva dubbi sul da farsi. Allungò a sua volta la mano e gliela prese, stretta per non lasciarsela scappare, e si lasciò trascinare per tutto il tragitto pensando che se fosse stato questo ciò che l’attendeva in futuro, non si sarebbe di certo lamentata.



 
A/N: Ringraziamenti ufficiali per questo (mezzo capitolo):

- Alla nostra amata Tenori che mi tiene con i piedi per terra quando sclero a causa dei capitoli e che ha scritto la descrizione dell'abito di Elsa! Grazie cicci :)
- A Eriok che mi dà ottimi suggerimenti sebbene questa volta non l'ho ascoltata. :D In ogni caso, grazie davvero!
- A voi lettori che leggete e recensite la mia storia! GRAZIE.

Per chi fosse interessato, ricordatevi di cercarmi su Fb con il nome di "Hendy Efp". Alla prossima (che spero sia il prima possibile)!

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Capitolo 12
*** Il mondo dagli occhi suoi (Parte 2) ***


“Posso veramente ordinare ciò che voglio? Cioè, costa tutto un occhio dalla testa! Non ho mai visto così tante cifre messe insieme! Non posso crederci. Sono dei ladr-”

Una risata appena udibile tagliò la sua sentenza a metà.

“Non ti preoccupare, offro io! Prendilo come un ringraziamento per avermi salvato.”

Due ragazze erano sedute su un tavolino nel lato del bar di bordo. La finestra affianco a loro dava una magnifica vista del mare agitato intorno a loro che, con le sue onde, sapeva ipnotizzare chi lo guardava. Il sole, pacato e lontano, illuminava mestamente l’interno del locale e le luci, sprigionate dai grandi lampadari di cristalleria, rischiaravano gli angoli non raggiunti dai raggi solari.

Il barista osservava le due stranito, quasi chiedendosi come una coppia tanto bizzarra potesse mai essere arrivata a conoscersi, ma non proferì parola e continuò a pulire i suoi bicchieri con serietà e velocità aspettando che le due fossero pronte per ordinare. Poco più in là due vecchie signore giocavano a carte su un tavolo della sala opposto al loro, sorseggiando ogni tanto un leggero thè e ascoltando con la coda dell’orecchio, il piccolo battibecco tra le due donzelle.

“Ma-“
“Insisto.”
“Però-”

Lo sguardo di ghiaccio della biondo platino calmò la protesta sul nascere e, a questo punto, solo una cosa era possibile fare…

“Va bene.”

…darle ragione.

Quando Anna aveva messo piede nel locale, pochi istanti fa, era rimasta piacevolmente sorpresa, in particolare era stata attratta dai colori cremosi del posto: i tavolini erano bianchi, in ferro battuto, e risaltavano contro le pareti scure in mogano attorno a essi.  Il suo primo pensiero fu stato “Sono all’interno di una casa fatta di cioccolato” , il che non aiutava la sua fame.

Elsa, dietro di lei, guardava con gioia la reazione di Anna. Per lei il posto non era niente di speciale, un posto come un altro. Erano tutte così le locande o no? Grandi lampadari, legni pregiati, bottiglie di liquore costosi… Il solito. Ma questa volta c’era qualcosa che rendeva il tutto unico, la presenza di una certa ragazza al suo fianco. Mai avrebbe pensato che esistesse una persona così adorabile come lei.

L’incanto finì quando lo stomaco di Anna brontolò di nuovo. Fu Elsa a scegliere i posti quando l’altra ragazza era troppo imbarazzata anche solo per alzare la testa e guardarla in faccia, ma ora che avevano il menù in mano, l’imbarazzo era stato dimenticato.

“Credo che prenderò la mousse di cioccolato! E una cioccolata calda!” rispose Anna, eccitata.
“Oh, ti piace il cioccolato?”
“No, non mi piace.”

Elsa la guardò confusa. Come poteva una persona ordinare così tanto cioccolato se nemmeno le piaceva? Era strano. Aprì la bocca per chiedere spiegazione ma l’altra ragazza la anticipò.

“Io lo AMO. C’è differenza, non trovi?” e le fece l’occhiolino.

Doveva immaginarselo. È di Anna che stiamo parlando.

“Indubbiamente.” Si ritrovò a rispondere.

Quando arrivò il barista, Anna fece la sua ordinazione con un’eccitazione così palpabile che Elsa trattenne a stento una risata. Quando arrivò il suo turno ordinò a sua volta una cioccolata calda. Alla menzione di essa, Anna spalancò gli occhi e la guardò sconcertata.

“Anche tu?!”

Ma Elsa aveva la risposta pronta questa volta e con tono molto simile a quello della biondo fragola disse:

“Io lo venero.” Rispondendo con lo stesso occhiolino che Anna aveva fatto in precedenza.

Anna non trovò da ribattere e rispose semplicemente con un sorriso, lo stesso sorriso di quando si trovarono nel ponte poco fa. Il che ricordò qualcosa a Elsa…

“Sbaglio o ti avevo detto di aspettare all’orologio?”
“Uhm, si perché?”
“Stavi andando dalla parte sbagliata.”

Anna la guardò, aspettandosi quasi uno scherzo ma Elsa non scherzava.

Sbagliato strada?” pensò. “Il che spiegherebbe perché in quel bivio ci siamo scontrate. Quindi vuol dire che… oddio non dirmi che l’ho rifatto! Ho sbagliato strada ancora?!

A quanto pare il suo orientamento era pessimo in qualsiasi circostanza, altro che “migliore quando non si concentrava sul percorso da fare”. Cercò di trovare una scusa…

“D-devo essermi confusa. Questa nave è così grande.”
“Oh? Davvero?”

Ma il tono con cui parlò lasciò intendere che non c’era cascata. E la scusa non funzionò, ovviamente. Anna deglutì, non osando proferir parola, aspettando che fosse Elsa a parlare per prima. La sua prossima domanda arrivò da lì a poco.

“Che dire di ieri sera? Cosa ci facevi nel ponte?”
“Oh, questa la so! Stavo guardando le stelle, il cielo era sveglio, perciò io ero sveglia!”

Il che era una risposta bizzarra ma a quanto pare avrebbe dovuto accettare questo lato della ragazza biondo fragola che in sé era sorprendente, doveva ammetterlo.

“Sei strana.” Le rispose.

Anna le sorrise.

“Lo so.”

Ma la domanda innescò in Anna il ricordo della sera prima e la situazione in cui era Elsa. Poteva immaginare ciò che passava per la testa alla ragazza dalla breve conversazione che avevano avuto, anche se ancora non conosceva praticamente nulla. Assunse un’espressione seria, guadagnandosi l’attenzione della bionda.

 “Mi stavo chiedendo cosa ti ha spinto nel ponte ieri sera…” mormorò e il viso di Elsa cadde in preda ad una profonda tristezza.

Come fa una persona così bella ad essere così triste?” si chiese tra sé e sé Anna.

Elsa non rispose, anzi, abbassò lo sguardo e si strinse le braccia al petto, come in preda a ricordi dolorosi e Anna non indugiò oltre, quasi pentendosi di aver detto una cosa simile. Si sporse in avanti, cercando di rimediare, e prese la sua mano, stringendogliela forte.

“Non cadere vittima dei tuoi pensieri. Non ti sei sporta su quel parapetto per saltare. Ti sei sporta per essere salvata.”

E quelle parole colpirono Elsa come una freccia, cambiando completamente la sua visione dell’accaduto. Quella sera voleva sentirsi libera, voleva essere seguita e fermata, ma più di tutto, voleva essere amata.

Restò a fissare le loro mani congiunte secondo dopo secondo, perdendosi nella stretta forte dell’altra ragazza, nella sua pelle morbida e allo stesso tempo ruvida come a confermare la sua bellezza e allo stresso tempo la sua forza d’animo. Alzando lo sguardo, si perse di nuovo nei lineamenti di Anna: il volto e il collo pieno di lentiggini, la tonalità vivace della sua pelle, le sue guance rosee, i capelli né biondi né rossi, per non parlare degli occhi, delle volte sfuggenti, delle volte talmente intensi da dover scostare lo sguardo.

Nonostante i suoi occhi fossero diventati lucidi, sorrise alla ragazza di fronte a lei che le teneva la mano, un sorriso che venne ricambiato da un altro sorriso puro ed entrambe ridacchiarono, lasciando che l’ansia e la tristezza scivolassero via.

“Ecco a voi signore.”

Le due sussultarono e si lasciarono la mano in fretta. Erano così prese dal loro momento di intimità che non si accorsero dell'arrivo del barista con le loro ordinazioni.

Ancora una volta, la differenza tra le due non poteva essere più palese.
Una sorseggiava con calma e decoro una cioccolata calda mentre l’altra invece gustava (con la gioia del suo stomaco) la mousse al cioccolato, che divorò in poche forchettate. Seguita da un’altra. E un’altra ancora.

Finalmente sazia, Anna si appoggiò allo schienale della sedia in modo grossolano, sospirando felice e iniziò a guardare l’altra ragazza, incantata dai movimenti decisi ma calmi della sua mano mentre beveva dalla sua tazza.
Elsa con la coda dell’occhio, seguì il suo movimento e non riuscì a trattenere il sorriso sorto sul volto, prontamente coperto dalla sua mano, e finì di bere la sua bevanda continuando a scambiare occhiate fugaci di tanto in tanto.

Sobbalzò quando riportò lo sguardo su Anna.

Il suo volto era vicino.

Troppo vicino.

La sua mano si stava avvicinando alla sua bocca e la stava fissando intensamente.

Il cuore di Elsa perse uno...due...tre colpi. Percepì il calore delle sue dita, il suo indugiare sulle sua labbra, e poi...sparì.

"Avevi un po’ di cioccolato..." fece, rivolgendo l’attenzione sul suo indice.

Elsa la guardò, come sospesa in mezzo a pensieri vaghi.
Poi fece i conti e capì.

"Ah..." mormorò, sfiorandosi le labbra con le mani, come per ricordare l’emozione appena provata.

Perse un altro colpo quando vide il dito sporco di cioccolato finire nella bocca di Anna.

Provò gelosia per quella goccia sfuggita al controllo.
E poi si vergognò del suo pensiero, annegando nell’imbarazzo.

Anna la guardava arrossire e si beò della sua bellezza, come di fronte a un evento raro, una stella cometa brillante nel cielo.

«Deliziosa... non trovi?» mormorò Anna eloquente, alzando il ciglio con fare audace.

Aveva assaporato da vicino  (molto vicino) il suo profumo. Profumava di bramosia. Era andata così vicina a baciarla… solo quel bacio indiretto era bastato per mandarla in delirio. Ora aveva sete, sete di lei, e più la guardava più la desiderava…

Elsa non rispose subito, persa a guardare le sue labbra sogghignare così come i suoi occhi. Brillavano.
Tutto era nuovo per lei, nuovo e confuso. Cos’era questa sensazione? E nonostante il caos presente nella sua testa, c’era una cosa di cui era sicura: questo le piaceva. Più di quanto potesse immaginare.

"Già..." affermò, prendendo il tovagliolo e pulendosi con calma "Deliziosa..." disse con voce calda, il ciglio che si alza.

Vide Anna arrossire, e cambiare direzione dello sguardo.

Ripresero a parlare, come se non fosse successo niente,  ma nel piccolo entrambe le ragazze riuscirono a cogliere l’emozione ancora presente intorno a loro. Le loro mani tremarono e dentro di loro una bolla di felicità sembrò dilatarsi, assorbendone il corpo e le membra.

Era una sensazione magnifica.

Anzi...Deliziosa.
*

Le ragazze stavano chiacchierando da almeno due ore adesso. Le loro ordinazioni erano state consumate da tempo ed erano state rimpiazzate da poco da due semplici bicchieri d’acqua. Entrambe erano venute a conoscenza di molte cose riguardanti l’un l’altra e un pensiero in comune le legava:

“Voglio conoscere ogni dettaglio su di lei.”

 Elsa aveva scoperto che il colore preferito di Anna era il verde, in tutte le sue tonalità e variazioni, che aveva assaggiato per la prima volta la cioccolata all’età di due anni, innamorandosene dal primo assaggio, e che ha sempre vissuto in povertà, viaggiando di luogo in luogo tramite scambi di favori o concessioni di persone di buon cuore. Come già sapeva dalla sera prima, la ragazza era originaria dal Wisconsin. Dall’America si era spostata in Canada e dal lì aveva trovato un passaggio per l’Europa. Si era fermata in Norvegia dove aveva conosciuto il suo compagno di viaggio Olaf e, insieme a lui, aveva poi visitato Francia, Italia e Danimarca per poi finire in Inghilterra. Quando aveva chiesto il motivo per cui stava tornando in America, Anna non aveva risposto. Il suo sorriso era svanito per un secondo e il suo sguardo cadde tra le onde del mare, al di là della finestra. La sua mano andò a chiudersi su una catenina che aveva al collo che Elsa prima non aveva notato… qualsiasi fosse il motivo, per Anna era importante. Non indugiò oltre.
Inoltre aveva notato che la ragazza tendeva a portarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio quando era agitata o nervosa e che parlava a vanvera molto spesso. Inoltre non era imbarazzata a parlare delle sue origini, anzi, sembrava esserne fiera e orgogliosa.

Anna dal canto suo aveva scoperto che Elsa amava il blu, specificando che le piaceva il blu cobalto e, per suo grande stupore, Elsa aveva avuto l’occasione di assaggiare il cioccolato solo dopo aver compiuto dieci anni e da allora teneva sempre una scatola di cioccolatini nascosta in camera. Come era facilmente intuibile, Elsa veniva da una famiglia nobile anche se in questo periodo stavano vivendo una brutta situazione a causa dei debiti del padre defunto di lei. Scoprì anche che quell’Hans Southern della sera prima, altro non era che il suo futuro fidanzato anche se Elsa sembrava non amarlo per niente. Gli unici viaggi che aveva compiuto, erano stati quelli tra un palazzo nobiliare e l’altro e, al momento, stavano tornando dalla celebrazione di chissà quale festa importante. Aveva poi scoperto che la misteriosa Mellow era la cameriera personale di Elsa nonché sua unica amica. Elsa poi adorava l’arte. Aveva trascorso dieci minuti buoni a parlare di quanto fossero belli i quadri di Picasso e di altri autori d’epoca, lasciando un’Anna sognante a bocca aperta.
Anna poi aveva notato che Elsa non rideva mai se non con la mano davanti alla bocca e ogni volta sembrava affrontare una battaglia interiore quando si trattava di comportarsi come si deve a tavola: quando si lasciava andare e notava di avere un portamento sbagliata, tornava ad essere rigida e ”perfetta”, come se avesse paura di ricevere una punizione per questo.

In ogni caso le domande che volevano farsi erano così tante che dopo due ore di chiacchiere, ancora sembravano al punto di partenza…

“Aspetta, che? Hai la mia stessa età?! Impossibile! Sembri più vecchia. C-cioè, non vecchia in senso anziana, solo più matura…”
“Beh, g-grazie. Compio diciott’anni a Luglio.”
“Eh? Allora sono più grande io!” e questo in qualche modo sembrava farla gioire. Sorrise maliziosamente. “Io ne compio diciotto il mese prossimo.”

Elsa allora non potè trattenersi e con tono scherzoso le disse:
“Beh tanti auguri allora!”

Anna la guardò scioccata, come se avesse appena imprecato o qualcosa simile.

“Sei matta? Porta sfortuna! Ora non avrò un compleanno felice! Oh no!”

E teatralmente si mise la mano sulla fronte, scivolando leggermente sulla sedia in cui era seduta con un’espressione di finto dolore in viso.  

Elsa scoppiò a ridere. Come poteva non farlo? Stare con Anna era tutto ciò che le serviva per essere felice. Solo la sua presenza bastava a rattoppare le ferite del suo cuore e a dare colore al suo mondo. Ciò che era ancora più confortante però, era sapere che anche per Anna ero lo stesso. Lo vedeva nei suoi occhi, la sicurezza di aver trovato qualcuno di speciale.

“Elsa… Arendelle.” Sussurrò poi la biondo fragola dal nulla. “Mi stavo chiedendo se hai un secondo nome.”

Elsa arrossì. Questo bastò a dare ad Anna la risposta che aspettava.

“Oh davvero? Dai, dimmi! Ti dico il mio se tu mi dici il tuo.”

La ragazza prese in considerazione la sua proposta e a questo punto cosa aveva da perdere? Glielo disse.

“Elsa Idun Marie Arendelle…”

Aspettò che l’altra ragazza scoppiasse a ridere ma quando il suo sguardo si incrociò tutto ciò che vide nei suoi occhi fu…. Amore? Questo la sorprese.
Anna allungò la mano.

“Piacere Elsa Idun Marie Arendelle. Io sono Anna Lily Dawson.”

Le prese la mano ma questa volta fu diverso.

Non gliela strinse.

Invece se la portò vicino alla bocca lentamente, abbassando il suo capo e andando ad incontrare a metà strada il dorso della mano con le sue labbra, congiungendosi.

E mentre Anna si lodava di questo gesto con pensieri del tipo “Oddio! Ho sempre voluto farlo! Le ho baciato la mano come fanno i principi! E oddio oddio oddio, l’ho fatto davvero!”, Elsa era completamente in tilt. Se in tutta la vita era arrossita un paio di volte, mai si era sentita così calda e rossa in tutto il viso. Se le orecchie potessero fumare, in questo momento le sue sarebbero completamente a fuoco.

Per la seconda volta quel pomeriggio si ritrovò confusa e senza parole, in balia di qualche emozione che lei non capiva…ma era così confortevole.

Anna dovette passare la mano davanti al suo viso un paio di volte per attirare la sua attenzione di nuovo.

“Ehilà, c’è nessuno?”
“C-che?”
“Ti sei incantata.”

Oh si, incantare era proprio la parola giusta. Anna doveva per forza conoscere una qualche sorta di incantesimo per farla sentire in quel modo. Era magica e oddio, era bellissima.

Aspetta, che? Torna con i piedi a terra, Elsa!

“S-si, scusami, mi sono distratta.”

Presto tornarono al loro giro di domande: cibo preferito (cioccolato escluso),  hobby preferito, animale preferito e così si scoprì che Anna amava i panini, avrebbe passato intere giornate a guardare le stelle e invidiava le volpi per la loro furbizia e agilità mentre ad Elsa piaceva la pasta, amava leggere e avrebbe veramente desiderato essere un uccello per essere libera di volare ovunque volesse.

“E dove sono i tuoi genitori ora?” chiese Elsa ad un certo punto ed Anna riprese il suo sguardo tetro e distante.

Così Elsa intuì il motivo per cui Anna stava tornando a casa…e le si ruppe il cuore.

“Spero in un posto migliore, dove possano guardarmi ed essere fieri di me.”

E sorrise di nuovo nonostante Elsa riuscisse a vedere quanto il ricordo di loro era ancora così doloroso, nonostante percepiva quanto alla ragazza mancassero, nonostante nei suoi occhi riuscisse a vedere quanto quelle persone erano importanti per lei.
E continuava ad amarli, facendosi forza per loro, ed Elsa si chiese come riuscisse anche solo a sorridere ancora.

“…Come?” sussurrò.

Anna non sembrò afferrare subito la domanda.

“…Come fai a sorridere ancora? Se ne sono andati per sempre, no?”
“No.”

Il suo tono era deciso, così deciso da far correre un brivido lungo la schiena della ragazza.

“Solo perché non posso più stringerli a me non significa che se ne sono andati. Rimarranno sempre qui, nel mio cuore. Finchè manterrò vivo il loro ricordo, vivranno insieme a me. E’ per questo che non posso permettermi di essere triste. Mi hanno dato la vita, non ho intenzione di buttarla via.”

Anna stava combattendo le lacrime ora seppur il suo sorriso non vacillò neppure per un secondo.

“Devono essere stati dei genitori meravigliosi… sarebbero così fieri di te.”
“Lo so… Anche io sono fiera di loro.”

Una lacrima fuggiasca percorse il volto di Anna.

Non sapeva cosa l’avesse spinta a dire queste cose ad Elsa ma in questo momento, tra le due, Elsa sembrava sicuramente la più fragile. Se c’era una cosa che voleva fare, quella era sicuramente far tornare alla ragazza la fede: fede nella vita, fede nella felicità, fede nell’amore.
Nel ponte la sera prima i suoi occhi erano il dipinto della paura e della sofferenza. Ora però poteva chiaramente distinguere un barlume di speranza. Poteva vedere il desiderio di credere che questa vita non sia solo sofferenza e crudeltà e che, sotto questo, si nascondesse altro, qualcosa di più prezioso.

Anna voleva mostrarle che ciò era possibile, che non era tutta una sua fantasia.

“Elsa… anche i tuoi genitori ti vogliono bene.”

La bionda sussultò a queste parole e sbuffò.

“Non credo.” Iniziò a sentire la rabbia salire sul petto. “Nessuno avrebbe messo la propria famiglia a rischio per denaro. Guarda mio padre… ci ha indebitati fino al collo e poi ha scaricato tutto su di noi. E mia madre. Mia madre che mi ha venduta ad un uomo solo perché era la via più semplice per lei.”

Si sentiva frustrata. Perché stava dicendo questo ad Anna? Stava perdendo il controllo. Probabilmente ora l’avrebbe considerata una pazza piagnucolona e se ne sarebbe andata, come tutti gli altri.

“…Non andartene…” pensò.

Ma non ci fu bisogno di pregare e sperare che restasse perché Anna non se ne andò. Anzi, fece di meglio: cercò di lenire il suo dolore…

“Sai, a volte le persone vedono nei soldi il potere di avverare i desideri. Credono che con il denaro si possa comprare tutto: macchine pregiate, ville enormi, vestiti eleganti, l’amore… I tuoi genitori non sono altro che vittime di questo mondo corrotto. Questo però non significa che non ti vogliano bene. Ai giorni d’oggi non possiamo fare a meno di ricorrere a delle maschere e celare i nostri sentimenti. Questo è un peccato, non trovi? Perché non c’è cosa più bella di dimostrare ad una persona quanto la ami.”

Le lacrime avevano iniziato a scendere da entrambe le ragazze rigando i loro volti. Il mondo intorno a loro si era dissolto. Erano sole a combattere con i propri sentimenti confusi, a esternare ogni piccola paura e debolezza, a trovare conforto nella presenza reciproca.

“C-cosa succede se finisce per fare male?” chiese Elsa.
“A volte è inevitabile. L’importate però è rialzarsi e volare ancora più in alto.”

Quando Elsa aprì la bocca per protestare, Anna l’anticipò.

“E non dirmi che non lo puoi fare. Lo so che puoi farcela, devi solo credere in te.”
“Come faccio a credere in me stessa quando non so neanche chi sono?”

Anna allora si sporse in avanti e le prese il viso tra le sue mani, pizzicando leggermente le sue guance.

“Vuoi sapere cosa vedo io?”

Elsa annuì.

 “Vedo una persona che ha paura di amare nonostante il suo cuore sia pieno di amore. Vedo una persona che è in grado di affrontare mille difficoltà reggendosi sulle sue gambe ma che ancora se ne deve rendere conto. Vedo una persona che può scrivere da sola il suo destino se quello che è stato deciso per lei non le piace.”

Anna sorrise e tolse le mani dalle guance e appoggiò l’indice sul naso di Elsa.

“Infine, vedo una persona stupenda, con delle bellissimi lentiggini appena appena visibili sul naso, che sono la fine del mondo!”

Elsa ridacchiò. A quanto pare la biondo fragola era veramente una persona unica. Stare con lei era…rinfrescante. E allo stesso tempo ti scaldava il cuore.

Si asciugò le lacrime, annuendo di nuovo, questa volta con il sorriso.

“Se ancora non ti basta, ti mostrerò il mondo come lo vedo io. Vieni con me.”

E per quanto bizzarra fosse questa dichiarazione, al momento, sembrava la cosa più semplice da fare.

Elsa si lasciò trascinare fuori dal bar, lasciando che l’essenza di Anna prendesse il sopravvento su di lei.

Con Anna tutto sembrava diventare semplice.

Tutto sembrava essere pieno di significato.

Con Anna tutto sembrava vero.
 


 
A/N: I ringraziamenti ufficiali per questo capitolo vanno a *rullo di tamburi* :

- Eriok, che mi ha aiutato a scrivere la prima parte di questo capitolo quando stavo male. A lei i diritti per la scena del bacio indiretto (a lei dovete la colpa per quanto è successo tra Elsa, Anna e la cioccolata…) *-*

- alla mia vicina di casa, che mi ha aiutato a scegliere i nomi per le nostre due protagoniste! (se non vi piacciono i nomi, la colpa è sua!) :P

- SaraJLaw che ringrazio per avermi sopportato e per avermi fatto scoprire OnceUponATime (che è il motivo per cui ci ho messo un po’ di più a scrivere il capitolo…. Prendetevela con lei!) xD

- Tenori che mi fa impazzire quando non risponde ai messaggi e che mi fa cantare "Do you want to build a snowman?" a tradimento quando sono disperata e cerco i suoi consigli. (a lei la colpa per la mia pazzia) u.u



GRAZIE DI CUORE A TUTTI. :)

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Capitolo 13
*** Qualcosa per cui lottare ***


Di una cosa era sicura: mai si era immaginata di ripercorrere a pieno le memorie di quei giorni sul Titanic, né di ritrovarsi a parlare di quella dolce e goffa ragazza all’equipaggio di una nave che aveva il compito di riportare a galla vecchi artefatti dell’epoca. La cabina era diventata, man mano che la storia proseguiva, sempre più affollata. La maggior parte dei marinai e dei tecnici avevano lasciato le proprie postazioni sulla nave, sospendendo il loro lavoro, per ascoltare la sua avventura ed ora erano lì, seduti intorno a lei.

Si era sempre chiesta come sarebbe stato raccontare questi avvenimenti ad alta voce a persone che non erano state presenti al disastro ma sicuramente non era proprio così che aveva immaginato che sarebbe successo. A dir la verità, tutta questa attenzione un po’ la imbarazzava, ma questo non le impedì di continuare a parlare. I marinai pendevano dalle sue labbra ed erano così immersi nella storia da avere la bocca spalancata e lo sguardo perso nel vuoto, come se tentassero di trasformare le parole in immagini da proiettare nella loro mente.

Dopo l’interruzione iniziale di quel ricercatore da strapazzo, Kristoff Bjorgman, ce ne furono poche altre, la maggior parte delle quali però consistevano in semplici richieste d’acqua e piccole precisazioni.
L’unica persona a cui era permesso interrompere la storia, a quanto pare, era sua nipote Joan, ed era esattamente quello che aveva fatto in quel momento.

“E tu nonna, la seguisti?”            
                   
Al ricordo Elsa sorrise.

“Sarebbe più giusto dire che mi trascinò fuori da quel bar a forza.” Ridacchiò. “Ma sì, andai con lei. Fu uno dei giorni più belli della mia vita. Non me ne sono mai pentita.” 

Una serie di “Oooh” seguì questa sua affermazione e la fecero arrossire leggermente.

“E dove ti ha portato?” chiese Joan.

“Siamo andate sul ponte a vedere le nuvole.”

Una voce nuova entrò nella conversazione, delineando la prima vera interruzione dall'inizio del racconto.

“Le nuvole?” Sbuffò.

Girando la testa, Elsa incrociò lo sguardo dell’omone castano, Sven, e gli lanciò un’occhiataccia, cosa che il ragazzo però non afferrò perché continuò a parlare.

“Cosa c’è di romantico nel vedere le nuvole? E’ una perdita di tempo, no? Non capisco cosa ci trovino le donne in queste stupidag- Ahi!”

Kristoff gli tirò una gomitata e con tono allarmato disse, quasi sussurrando:
“Sven! Stai zitto!”

A quanto pare lo sguardo omicida di Elsa era stato ben percepito da tutti gli altri marinai che sembravano sul punto di prepararsi a correre via a gambe levate. Quando Sven guardò le due bionde platino, si sentì raggelare. Non solo la signora anziana aveva quello sguardo spaventoso in volto, ma anche sua nipote aveva gli stessi suoi lineamenti. Inutile dire che non osò più proferir parola sull'argomento.

Elsa ne sembrò soddisfatta.

“Sì, signor Reindeer, le nuvole.” Disse con tono calmo e lento che dava  alle parole un’aria più spaventosa.

Sven deglutì.

Con gli occhi andò a cercare conforto dal suo migliore amico ma sembrava avercela ancora con lui.

“Che c’è?” gli chiese.
“Vedi? L’hai fatta arrabbiare! Ora non vorrà più parlarmi!” bisbigliò Kristoff.
“Chi? La vecchia?”
“Di certo non la vecchia Sven! Intendo Joan!”

Sven alzò gli occhi al cielo e lo ignorò. Questo nuovo Kristoff era decisamente fuori dalla sua portata. Tutto questa cosa del romanticismo e dell’amore non la capiva proprio. In ogni caso, aspettò che Elsa continuasse la sua storia.

Fu Joan a spronarla a continuare.

“Dimmi nonna, cosa successe?”

Elsa lasciò uscire un sospiro e sprofondò ancora di più sulla sedia. Chiuse gli occhi per aiutare la memoria, lasciandosi cadere nei ricordi, e per un momento credette di risentire la voce di Anna chiara nella sua testa.

Seguimi!

E con quelle parole nella mente, riiniziò a parlare.

“Mi prese la mano e con tutta la sua foga mi trascinò fino alla prua della nave. Mi disse che conosceva un posto magnifico per passare il pomeriggio. Arrivammo nei pressi di una panchina e, ad essere sinceri, ne rimasi delusa. Come poteva considerare quella panchina qualcosa di magnifico? Certo, il legno era pregiato e gli ornamenti erano rifiniti in maniera perfetta ma anche con questo…  Non capivo. Mi fece sedere...

Chiudi gli occhi. Non sbirciare! Guarda che ti vedo.

…Mi chiesi cosa ci fosse di speciale in quel posto da farla emozionare così tanto…

Ok, ora, stenditi. Così, brava. E… apri.

… Mi fece guardare in alto e tutto il mio disappunto scomparve all’istante, come se non ci fosse mai stato. Sopra di me aleggiava una distesa cristallina senza fine, coperta da nuvole di ogni forma e colore, con flebili raggi che tentavano di farsi spazio tra le nubi.

Davanti a me vidi l’infinito.

Per una come me, abituata a rimanere chiusa in una gabbia, quello sembrava il paradiso. Ero rimasta così avvolta nell’oscurità, che non mi rendevo conto di ciò che c’era intorno a me. La bellezza che si parava davanti ai miei occhi era indescrivibile, sembrava quasi una danza in cui luce e buio si davano battaglia per decidere chi avrebbe dovuto condurre quel ballo.

Poi lei arrivò, e mi mostrò tutto questo...

Smettila di guardare ai tuoi piedi. Guarda in alto, tieni la testa alta, fatti forza. Trova qualcosa per cui lottare. C’è un mondo stupendo qui fuori, basta solo sapere dove guardare.

…Quella ragazza aveva un dono, riusciva a capire le persone solo guardandole…e faceva sentire me una donna migliore. Mi insegnò la semplicità. Solo guardando il cielo mi fece capire quanto avevo perso in quegli anni. Intorno a me tutto profumava di vita. La vita che non avevo ancora vissuto. Sentivo l’aria avvolgermi e riempire i miei polmoni di speranza. E lei era lì. Con lei vedevo la luce come se la vedessi per la prima volta.

Fu il primo giorno in cui sentii di poter fare ogni cosa.”


Fece una pausa e respirò profondamente.

“Oh nonna, è così dolce.” Disse Joan.

Elsa riaprì finalmente gli occhi e sorrise alla nipote.

“Lo è davvero. E mi insegnò un’altra cosa importantissima.”
“Che cosa?”

La curiosità nella voce di Joan era a dir poco palpabile.

Come un richiamo, la voce di Anna risuonò un’altra volte nelle sue orecchie.

La tristezza non fa per te.

La ragazza aveva detto quelle parole con uno dei suoi stupendi sorrisi mentre i suoi occhi brillavano di gioia.

Avrebbe dato qualunque cosa per rivederla ancora.
…Le mancava così tanto…

Sentì il formarsi di lacrime negli occhi ma le spinse da parte.

Invece di piangere, sorrise verso Joan e la guardò, rispondendo alla sua domanda…

“Mi insegnò la forza di un sorriso.”
*

 
“A-Anna smettila, m-mi fai il solletico!”
“Mai!”

Nella prua della nave riecheggiavano, ormai da qualche minuto, le urla familiari di una donna. Le sue grida erano a malapena udibili sopra al vento ululante che si era fatto strada durante il pomeriggio perciò nessuno era ancora accorso nella scena per verificare eventuali problemi. Se però si tendeva bene l’orecchio, si poteva chiaramente distinguere la differenza tra le urla della sera precedente e quelle attualmente in corso: queste erano urla di gioia, gioia pura.

Elsa era rimasta stesa a guardare il cielo per una buona mezz’ora, rimanendo completamente attratta da esso. Le parole scambiate con Anna erano pane per la sua anima desiderosa di una svolta positiva nella sua vita, e con quei pensieri in testa si era lasciata avvolgere dal torpore che emanava la sua compagna e passò il tempo a rilassarsi.

Si trovava ad un passo dal cadere addormentata quando Anna si lanciò su di lei all’improvviso, attaccando i suoi fianchi e dando il via al più inarrestabile dei solletichi.
La cosa peggiore era che Anna non sembrava voler cedere al suo assalto. La bionda era sul punto di chiedere pietà quando finalmente la ragazza le diede una tregua.

“Se il tuo scopo è quello di uccidermi, ci sei quasi riuscita.” Sbottò tra un respiro affannoso e l’altro ma con un tono chiaramente divertito.
“Non ti preoccupare principessa, non lo farei mai.”

Anna non si rese conto di quello che aveva detto finché non vide lo sguardo sbalordito di Elsa e il cambiamento di colore del suo viso in cui si fece largo una spessa tonalità di rosso fuoco.

Da lì a pochi secondi, il viso della biondo fragola portava la stessa espressione e nella sua mente iniziarono a vorticare mille pensieri:

“Principessa? Davvero, Anna?”
“Mi è scappato. Oddio cosa faccio?!”
“Non potevo semplicemente dire  qualcosa di più intelligente?”
“Avrei potuto chiamarla bellezza ma oddio, è così da Eugene questa frase.”
“Potevo semplicemente  non dire niente!”
“… Principessa è bello…”


Il danno però ormai era fatto. Danno, poteva veramente definirlo così? In ogni caso, prese un respiro profondo e disse la prima cosa che le venne a tiro…

“Sì, insomma, bel tempo eh?”

E guardandosi intorno si rese veramente conto che stare in silenzio sarebbe stata la cosa migliore da fare. Il tempo era tutto a parte bello: il vento aveva portato con sé un sacco di nubi e il cielo aveva preso una tonalità molto scura, quasi pronto ad annunciare una tempesta.

Elsa la guardava ancora con quella faccia sbalordita e tra loro si creò un certo silenzio finché questo non venne interrotto da una risata. La sua risata.

Elsa stava ridendo. Per cosa? Non lo sapeva nemmeno lei. Ma ridere veniva così spontaneo con Anna nei paraggi e quest’ultima ora stava mostrando uno dei suoi più adorabili bronci che non fecero che accrescere il suo attacco di risa.

Quando la bionda si calmò, Anna si lasciò fuggire un piccolo sbuffò.

“Hai finito?” disse appena percettibile.
“Mi s-spiace. L-la tua f-faccia era s-stupenda.”

A questo Anna incrociò le braccia e approfondì il broncio. Ad Elsa servì tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a ridere di nuovo. Invece ne approfittò per avvicinarsi a lei e stuzzicarla un po’.

“Suvvia signorina Dawson, non tenga il broncio.”

Con la mano andò a pizzicarle la guancia ma l’altra ragazza rimase impassibile.

“Fammi un sorrisino, dai, la tristezza non fa per te.”
“E non usare le mie frasi contro di me!”

Ma a questo punto il suo broncio era già sfumato. Allungò la mano e andò a sua volta a pizzicare la guancia di Elsa che squittì in risposta.

“Ehi, mi hai fatto male!”

Fu il turno di Anna a ridere.

“Oh la principessa si è fatta la bua.” Disse con tono scherzoso ed Elsa la fulminò con lo sguardo, pronta ad un altro assalto.

E fu così che le due si ritrovarono a rincorrersi per il ponte facendosi dispetti a vicenda.

Le loro risate ancora una volta riecheggiarono lungo la prua della nave, mescolate al suono del mare e del vento. Per entrambe le ragazze quelle risa erano musica per le loro orecchie.

Era sorprendente quanto in così poco tempo fossero riuscite a legarsi. L’una era già indispensabile all’altra anche se ancora non se ne rendevano completamente conto, i problemi venivano dimenticati in reciproca presenza e lasciati da parte, e se anche fossero tornati a galla, entrambe sarebbero state disposte ad affrontarli e a combattere per la felicità della propria metà.

Qualsiasi cosa il destino avesse in serbo per loro, loro sarebbero state così. Insieme.

“Non ci posso credere.” Disse Elsa, risedendosi sulla panchina.
“A cosa?”
“A quanto tu possa essere maleducata, rozza e presuntuosa.”

Anna sogghignò, alzando gli occhi al cielo.

“Oh, è così? Povera principessa, con che persone ha a che fare.”
“Esatto. Ti ho invitata qui per ringraziarti e invece ho passato l’intero pomeriggio a rincorrerti!” Sbuffò.
“Ma ti sei divertita.”
“Sì, cert-”

Effettivamente però non poteva ammettere una cosa simile. Lei era una signora, per l’amor del cielo. E le signore non rincorrono le persone, né si fanno trascinare in giro per la nave in un modo così poco aggraziato. Dov’era finita la sua compostezza, le buone maniere?

“Sei così irritante.”

Ecco, appunto.

Anna la guardava sempre più divertita davanti a questo futile tentativo di riguadagnare tutto ad un tratto una certa dignità. Si era lascata andare fino ad ora, a cosa serviva cercare di nascondere il fatto che si fosse divertita?

“Sicuramente.” Le risposte, con lo stesso tono giocoso di prima.

E ancora una volta, guardandola, Elsa si rese conto che qualcosa in lei stava cambiando. Era come una sensazione di calore che partiva dal petto e si diffondeva in ogni parte del suo corpo. Era un’emozione così estranea a lei… ma non riusciva a trovare qualcosa di sbagliato in questo.

E’ così bella…” si ritrovò a pensare e subito sentì la necessità di distrarsi da quel pensiero, così intenso e sconosciuto.

“S-sai cosa ti dico? Cos’è quella cosa che ti porti sempre appresso?”

Se Anna aveva sentito il tremore nella sua voce, di certo non l’aveva dato a vedere. Anzi, abbassò il capo verso la panchina, dove riposava il suo album da disegno.
Elsa allungò la mano e lo prese.

Doveva ammettere che un po’ era pesante. A prima vista sembrava solo un brutto libro con le pagine malconce ma, come presto si rese conto, più che messo male questo “libro” era vecchio. In verità era tenuto molto bene anche se si potevano sentire i bordi della copertina esterna leggermente logorati dal tempo. Avrebbe potuto avere vent’anni, forse più. Quelle che aveva scambiato per pagine strappate invece erano semplicemente fogli da disegno.

“Tu…disegni?”

Aprendolo si trovò faccia a faccia con un disegno, non ancora completato, di un padre con una bambina appoggiati al parapetto del Titanic. Guardò Anna con occhi spalancati, sorpresa della bravura della ragazza. L’unica cosa che riusciva a pensare era:
Wow.

La biondo fragola, dal canto suo, alzò le spalle e rispose dicendo:
“Uhm, sì. Scarabocchio, ogni tanto.”

Ma la risposta di Elsa arrivò inaspettata…

“Mostrami.” Disse.

E così fece.

Si avvicinò a lei, prendendo l’album da disegno tra le sue mani e iniziò a sfogliare i disegni raccontando la storia di ognuno di essi e il posto in cui erano stati realizzati.

Elsa lasciò Anna parlare senza interruzioni, ammaliata dalle sue storie.

I disegni erano stati fatti con un pastello nero e in ognuno di loro vi era posto la data e la firma della ragazza, che consisteva in una ‘A’, con l’angolo sinistro leggermente arricciato e l’angolo destro che si arricciava formando una specie di asola che sostituiva il trattino originale. La maggior parte dei disegni erano di persone, famiglie felici, alcuni dei quali ancora incompiuti, ma tra questi spiccavano pure panorami perfetti di ogni parte dell’Europa che la ragazza aveva visitato.
Anna aveva talento. Non si poteva negare.

“Sono  belli. Davvero, sono  stupendi.” Le disse quando smise di parlare.

Anna arrossì, dando un cenno col capo.

“L’album apparteneva a mio padre. Mi ha insegnato lui le basi del disegno. All’inizio ero una frana, più che altro perché tendevo a distrarmi con ogni cosa. Però mi divertiva perciò non l’ho mai abbandonato. ”
“Beh è stata una fortuna allora.”
“Immagino di si. Per un periodo ho commissionato disegni. Dieci centesimi l’uno. Un vero affare, non trovi? Non hanno avuto molto successo ma non è per questo che mi piace. Amo disegnare perché ogni disegno porta con sé una storia e un ricordo unico. In più, mi ricorda della mia famiglia. È un modo per sentirla sempre con me.”

Si scambiarono un’occhiata e dagli occhi di Anna si rifletteva la tristezza che provava in quel momento, nonostante fosse sempre presente lo sguardo di amore nei confronti dei suoi disegni e la determinazione che caratterizzava il suo essere.

“Il mio sogno è quello di continuare a disegnare finché i miei disegni non avranno successo.” Disse Anna alzandosi.
“Continuerò a viaggiare, girerò il mondo, imparerò stili diversi e farò vedere a chiunque quanto un disegno possa essere stupendo e quante emozioni può portare con sé.”

Sorrise e i suoi occhi ripresero una nota malinconia…

“Era il sogno di mio padre.” Proseguì. “E ora anche il mio.”

E in risposta, Elsa annuì, travolta dalla passione nelle parole di Anna.

“E qual è il tuo sogno, Elsa?”

Queste parole colpirono Elsa come una freccia in pieno petto.

“Il mio sogno?” chiese confusa.
“Sì. Ne avrai uno, no?”

Sognare? Da piccola sognava molto. Quello era certo. Ma la verità è che nel suo mondo sognare era proibito. Nessuna aspettativa sul futuro, nessuna possibilità di scelta. Tutto era già scritto, ogni suo desiderio sfumato nel tempo…

”Nessuno me l’ha mai chiesto…”

O meglio, nessuno le aveva mai dato l’opportunità…

“Te lo sto chiedendo io.”

I suoi occhi erano così determinati da essere contagiosi.
Sognare? Con Anna al suo fianco poteva farlo.

“Io...io voglio fuggire e diventare un’artista e vivere in una soffitta. ” disse tutto ad un fiato.
“Davvero? Non mi sembra tu abbia tanta esperienza con le soffitte. Non resisteresti due giorni senza l’acqua calda e il caviale...”
“Sono fortunata allora perché io detesto il caviale. E detesto che siano gli altri a dirmi quali sogni dovrei e non dovrei avere. Tutti si aspettano che io sia una delicata fanciulla ma non è così. Io sono forte, sono forte come un cavallo! Non voglio più essere la bella statuina, sono qui per fare qualcosa. Sono stanca dell'inerzia della mia vita e sono stufa di sentirmi come se fossi all'interno di una stanza affollata in cui io urlo a pieni polmoni e nessuno ci fa caso…"

E senza accorgersene il tono della sua voce stava diventando sempre più forte e deciso. Dire a voce alta tutto questo era liberatorio come mai avrebbe creduto fosse possibile…

“C’è qualcosa in me Anna, come un’energia. La sento. Non so cos’è, non so se dovrei diventare una pittrice, una scultrice o magari una danzatrice! Forse potrei diventare addirittura un’attrice del cinema! Ma mi basterebbe anche solo andarmene via e vivere, vivere davvero, come sto facendo con te ora… e sarebbe abbastanza…”

Anna le appoggiò una mano sulla spalla e con il tono più affettuoso che l’altra ragazza avesse mai sentito disse:
“Potrai farlo Elsa, solo non smettere di crederci.”

Con un pizzico di coraggio che non credeva di avere, Elsa riprese a parlare.

“Promettimelo Anna, anche se dovessero rimanere solo parole.”
“Te lo prometto. Viaggeremo insieme per il mondo. Possiamo andare in Germania a bere birra… e in Norvegia a vedere i fiordi...”
“…e a vedere Torre Eiffel!”
“Sì, Parigi… la città dell’amore." disse Anna sognante. "Poi potremmo andare anche al luna park insieme e mangiare cioccolato fino a scoppiare!”
“E non dimenticare le montagne russe!” si intromise la bionda.
“Certo che no. Faremo il giro di tutte le giostre fino ad esaurirci!"
“Suona come un piano.”

Si sorrisero. Ma prima che potessero anche prendere fiato e continuare a parlare, il cielo le accolse con gocce di pioggia.

“Accidenti, doveva proprio piovere?”

Come in risposta, la pioggia iniziò a scendere più selvaggiamente.

La biondo fragola imprecò sottovoce, cosa che ad Elsa non sfuggì però, e si ritrovò a ridere. Facendo qualche passo in avanti, prese la mano di Anna e fu il suo turno di trascinarla per il ponte questa volta.

“Andiamo al coperto, presto!”

Corsero sotto la pioggia tempestosa ridendo, scivolando di tanto in tanto e tenendosi in  piedi a vicenda. Bastarono pochi minuti per arrivare al ponte coperto di prima classe ma quando arrivarono era ormai troppo tardi.

“Siamo fradice!” sbottò Elsa ancora ridendo.

Ma Anna non aveva nessuna intenzione di permettere alla pioggia di rovinare la giornata.

“Togliti le scarpe.” le disse ed Elsa la guardò come se fosse impazzita.

Forse un po’ lo era.

“Aspetta, che?” venne la risposta della bionda.
“Togliti le scarpe, dai!”

Per quanto strano sembrasse una richiesta del genere, Elsa accettò e se le sfilò dai piedi. Le calze che indossava erano in assoluto l’indumento più bagnato che avesse addosso.

“E ora?”

Anna  copiò l’azione di Elsa e si tolse le scarpe che indossava. Anche per lei valeva la stessa cosa: le calze erano fradice più di tutto il resto. Tenendo le scarpe in mano, la ragazza lanciò un’occhiata a Elsa.

“E ora corri!”

Prendendole entrambe le mani si lanciarono in una rincorsa eccitante ma paurosa (soprattutto per Elsa) lungo il corridoio per poi fermarsi tutto ad un tratto e lasciare che i calzini scivolassero sul legno.

Questa era di sicuro la cosa più pazza che Elsa avesse mai fatto!

Quando si fermarono ed Elsa aprì gli occhi (quando li aveva chiusi? Non se lo ricordava…) era miracolosamente ancora in piedi.

“Sei folle!” squittì verso Anna.

Anna rise.

“Lo facciamo di nuovo, principessa?”  le fece l’occhiolino.

 …Come poteva una persona essere così adorabile..?

“Facciamolo.” Rispose con gli occhi luccicanti come quelli di un bambino davanti al suo giocattolo preferito.

In fin dei conti, così si sentiva. Una bambina a cui era permesso di divertirsi, a cui era stata concessa la possibilità di sognare. Guardava il mondo con occhi nuovi e per quanto banale fosse scivolare sul pavimento, in questo momento era la cosa che più la rendeva felice.

Ripeterono la stessa cosa uno, due, tre volte tanto che le gambe iniziarono a pulsare. Intorno a loro la pioggia teneva il ritmo dei loro movimenti con i suoi ticchettii sulla nave.

E più questo proseguiva più la voragine nel suo cuore si stava riempendo. Ogni piccolo gesto, ogni parola di Anna, ogni nuova avventura andava a riempire quello spazio, colmandolo di gioia. Lo teneva segretamente lì, nascosto alla vista, in un angolo del suo cuore così, se un giorno si fosse ritrovata ancora una volta sul ciglio di una nave, pronta a saltare, si sarebbe ricordata di quei momenti e avrebbe ritrovato la speranza. In fondo Anna era questo per lei. Speranza.  

Ma come il tempo passò e la pioggia smise di scendere, la realtà arrivò su di lei troppo presto.

Le due ragazze si stavano tenendo per mano e si stavano preparando ad un’altra rincorsa quando una voce molto familiare arrivò da dietro di lei, facendole raggelare il sangue.

“Elsa? Cosa stai..?”

E tutto ripiombò su di lei in un’istante…

“Oh no...Mamma...”


A/N: Questa volta il computer si è messo di mezzo impedendomi di pubblicare. Chiedo scusa per il ritardo!
 
Ringrazio SaraJLaw che mi ha aiutato con la revisione nonostante non siamo riuscite a revisionare insieme tutto quanto (per ora) e Tenori che ogni tanto rispunta fuori con ottimi consigli xD Grazie.

Per il resto, grazie ancora a tutti voi lettori che siete giunti fino a qui!
 Un bacione a tutti!

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Capitolo 14
*** Ancora di salvezza ***


“Oh no… Mamma…”

Anna non aveva sentito i passi in avvicinamento annunciati dallo scricchiolio del ponte della nave. Era troppo presa a sentire le risate di Elsa che riecheggiavano nelle sue orecchie.
Non si accorse nemmeno di non essere più sola su quel ponte e di essere osservata da più occhi curiosi. Per lei esisteva solo Elsa, Elsa e basta. 
Non percepì nemmeno di essersi cacciata in una situazione che avrebbe dovuto evitare.

Era da biasimare? Forse no.

Nonostante questo però non tutto le era sfuggito.

Aveva notato lo sguardo di puro terrore che Elsa aveva assunto quando, poco prima di voltarsi, una voce le aveva interrotte dal loro pomeriggio perfetto.
Si rese pure conto, dolorosamente, del momento in cui la mano di Elsa lasciò la sua e di come le sue dita si allungarono per cercare di trattenerla, ma invano.
Ciò che rimaneva ora era solo una mano vuota e il ricordo del suo calore.

E con il cuore un po’ più vuoto di prima, Anna si girò a sua volta per affrontare la causa del loro distacco.

Ciò che vide però, guardandosi intorno, non fu esattamente ciò che si aspettava.

La prima cosa che le saltò all’occhio furono dei nastrini, tanti nastrini, seguiti da merletti e tagli di stoffa pregiata. Il tutto andava a ricoprire la forma di tre donne che stavano ritte nelle loro schiene in una posa perfettamente rigida ed equilibrata.
Anna era sicura di non aver mai visto così tante cose inutili sul corpo di una donna in una volta sola. Per non parlare di quei…

Corsetti? Così stretti? Scherziamo?!

Affermare che era scioccata era dir poco. Solo a guardarli si sentiva mancare il fiato… Non avrebbe voluto nascere in una nobile famiglia neanche in un sogno!

Doveva ammettere però che quegli abiti erano ben fatti e Anna sapeva che la bellezza aveva il suo costo. Quasi sicuramente, con il denaro speso per quei pezzi di stoffa, avrebbe potuto tirare avanti per più di un anno.
Non che si lamentasse di come viveva la sua vita, anzi, era molto divertente non sapere cosa aspettarsi il giorno dopo ma certo, avere la sicurezza di un piatto caldo almeno una volta al giorno, quello un po’ mancava.

Fu a causa di tutto quel divagare che Anna ci mise un po’ a registrare le parole di Elsa.

Mamma eh? Deve essere sul serio una principes- A-a-aspetta, che? M-M-M-MAMMA?!

Guardando meglio le tre donne in volto poteva chiaramente distinguere quale tra quelle fosse la madre di Elsa. La somiglianza era incredibile: stessi capelli lisci, stessa forma degli occhi, stessa corporatura. L’unica differenza era il colore degli occhi e dei capelli, rispettivamente verde chiaro e castano scuro.

Certo poteva capire da dove Elsa avesse ottenuto la sua bellezza. Di sicuro però non capiva da dove il suo buon cuore avesse avuto origine. Quella donna era identica ma allo stesso tempo così diversa.
 
Il suo sguardo era di una freddezza incredibile e tutto il suo corpo emanava un’aura glaciale che ti colpiva dritto al cuore. Nulla di questo richiamava l’essenza di Elsa. Tutto ciò che rinchiudeva in sé era  disprezzo puro. Agli occhi di Anna la somiglianza tra questa donna e un’arpia era incredibile.

Ora però capiva il motivo del terrore scritto nel volto della bionda affianco a lei. Appena gli occhi verde chiaro si spostarono su di lei, Anna sentì un brivido farsi strada lungo la sua schiena, anche se fece di tutto per rimanere impassibile e non darlo a vedere.

Elsa, dal canto suo, si avvicinò alla madre e con il tono più disinvolto che potesse ricreare disse:

“Madre, che bello vederti.”

E Anna dovette veramente trattenersi dall’alzare gli occhi.

Sì, immagino.” Pensò. “Di sicuro quella è una donna che si vuole tutto a parte vedere.

“Posso presentarti Anna Dawson?”
“Aspetta, che?”

Inutile trattenersi oltre. Lo sguardo scioccato che Anna mandò ad Elsa attirò l’attenzione di tutti i presenti così come le parole che uscirono dalla sua bocca senza che se ne rendesse conto .
Di tutta risposta, l’altra ragazza le mandò un sorrisino di scusa adorabile a cui Anna era tentata di rispondere con una smorfia.

La madre della ragazza si girò verso Anna una seconda volta e la ispezionò con occhi ancora più freddi di prima, tracciando ogni centimetro del suo corpo.

Anna si sentì indietreggiare. Tentò di sorridere per dare una buona prima impressione ma…

“Incantata, davvero.” Rispose la donna seccata.

Guardandosi, Anna si rese conto che la possibilità di aver una buona impressione sulla donna era sfumata già dall’inizio. O meglio, non c’era mai stata. I suoi vestiti erano ancora bagnati e raggrinziti dalla pioggia e dagli scivoloni precedenti, i capelli avevano ciuffi ribelli in ogni parte della nuca, le trecce erano rovinate e ad un passo dallo sciogliersi. Come se non bastasse, una mano teneva ancora le scarpe mentre i suoi piedi erano appoggiati sul ponte ricoperti solo da un leggero strato di stoffa, il ricordo dei suoi calzini che ora erano così bagnati e rovinati da essere irriconoscibili.

Doveva ammettere però che anche Elsa, a sua volta, non aveva decisamente un’aria aggraziata. Le sue condizioni erano tali e quali alle sue.

E quello non era certo un punto a loro favore.

Lo sguardo gelido della castana tornò ad affrontare la figlia, la quale stava ancora cercando di trovare una scusa per l’imbarazzante situazione in cui erano state scoperte o, almeno, di sviare il discorso verso qualche altro argomento.

“Te ne ho accennato ieri sera, ricordi mamma? E’ la ragazza che mi ha salvato la vita.”

Anna notò con piacere però che l’unica persona ad essere contrariata era proprio la madre di Elsa. Le altre signore erano più predisposte a conoscerla e lo capiva dai loro sguardi gentili e curiosi. A quanto pare la storia del salvataggio di Elsa da parte di una ragazza di terza classe aveva già raggiunto le loro orecchie. A quel punto cosa importava se un’arpia fastidiosa le stesse lanciando occhiate omicida?

In particolare la sua attenzione venne attirata da una signora che la guardava con uno strano sguardo. Era la più curiosa di tutte ma allo stesso tempo sembrava inviarle segnali positivi. Emanava questa sensazione di empatia inaspettata.
La signora in questione aveva occhi marroni brillante e capelli bruno scuro raccolti in uno chignon spettinato e quando il loro sguardo si incontrò, fece l’occhiolino ad Anna, il che la spiazzò.  Si vedeva chiaramente che era una bella signora forte e di carattere e la biondo fragola si trovò interessata a sua volta alla donna. Rispose semplicemente con un cenno del capo ed un sorriso prima che entrambe tornassero a concentrarsi sulla voce di Elsa che stava rivivendo  gli avvenimenti della sera prima, tanto per il dispiacere di sua madre e la gioia dell’altra signora di alta classe che le stava accompagnando.

“…e mi ha salvata. Non so come Ann- cioè, la signorina Dawson faccia ad avere così tanta forza. È incredibile.”
“Beh, Anna… ” si intromise la signora bruna, “…sembra che tu sia diventata la sua ancora di salvezza.”

Quella frase spiazzò le due ragazze che si guardarono, confuse, ma se avessero avuto o meno intenzione di chiedere spiegazioni, la possibilità non gli venne comunque data visto che, da lì a pochi secondi, venne annunciato che la cena sarebbe stata servita presto.

 “E’ già cosi tardi? Credo che dovremmo andare tutti a prepararci ora, non credete?”

Fu di nuovo la signora gentile a parlare e Anna si fece un appunto mentale di ringraziarla per aver rotto la tensione che la madre di Elsa aveva creato. Senza proferire parola, madre e figlia si allontanarono insieme, la prima con una presa ben salda sul polso dell’altra. Dagli occhi dell’arpia si capiva che ad Elsa aspettava un lungo discorso sul “codice di abbigliamento e di comportamento di una signora”. Al solo pensiero Anna rabbrividì.

“Che arpia spregevole.” Mormorò sottovoce, impercettibilmente.

Proprio nel momento in cui Anna si rassegnò a doverla vedere a cena senza prima salutarla, Elsa si girò e mormorò un lieve “A dopo” con il sorriso, cosa che scaldò l’altra ragazza più di ogni altra cosa quel giorno. Sventolò appena la mano per farle capire di aver ricevuto il messaggio e da lì non le staccò gli occhi di dosso fino a che non diventò un punto minuscolo in fondo al corridoio. Fu allora che si rese che non era sola ma che qualcuno era rimasto al suo fianco.

Quella persona non era altri che la signora gentile.

“Allora cara, toglimi una curiosità.” disse con tono cortese che scioccò Anna.

Non pensava che una signora nobile potesse mai usare un tono simile con…beh, con una come lei…

“Hai la minima idea del guaio in cui ti sei cacciata?”
“G-guaio? Che?”

La ragazza era più confusa che mai e sentì la donna sospirare.

“Come immaginavo. Hai niente da indossare per stasera? Stai per entrare nella fossa dei serpenti d’altronde.”
“Quello che sto indossando non va bene?”

Tra loro calò il silenzio, ma non era un silenzio teso. Era più simile all’attimo prima che un’idea venga in mente e infatti, da lì a poco, la donna la prese per la mano e dicendo solo “Vieni con me” la trascinò via, verso l’ignoto.
 
*
 
“Signora Brown-“
“Gerda, mia cara.”
“Giusto. Gerda, lei è sicura che questo sia necessario?”

Anna era alle prese con l’acconciatura dei capelli. Mai nella sua vita avrebbe immaginato che sarebbe giunto il momento in cui anche lei avrebbe avuto bisogno di trucchi, acconciature e abiti sfarzosi.

Aspetta solo che lo racconti a Olaf.” Pensò.

La ragazza era seduta su una sedia, davanti ad uno specchio enorme negli alloggi di Gerda. La donna aveva appena finito di appuntare i capelli in uno chignon e ora stava intrecciando l’altra parte dei suoi capelli in modo da utilizzare la treccia che ne sarebbe uscita come fascia intorno allo chignon. Il tutto era  tenuto fermo dalla coppia di nastri di Rapunzel da cui Anna non voleva separarsi.

Quando venne trascinata via dal ponte, la biondo fragola non si aspettava di venire accolta in una camerata di prima classe né di essere messa alle strette dalla “signora gentile” che l’aveva presa sotto la sua ala.

Era rimasta piacevolmente sorpresa quando aveva varcato la soglia e si era ritrovata in una villa in miniatura, costruita in stile rinascimentale. La cabina era molto lussuosa e del tutto differente da quelle di terza classe. Quelle infatti avevano brandine scomode, spazi ristretti… Lì invece tutto era spazioso e raffinato al meglio, il legno era più pregiato e il letto beh… solo a guardarlo veniva voglia di saltarci sopra. C’era un piccolo soggiorno, la camera da letto, il bagno privato e perfino un guardaroba!

“Questo posto è…fantastico! Quanto le hanno fatto pagare? Non che mi interessi, davvero, io ho vinto i biglietti ad una partita a poker quindi non saprei proprio quanto sarebbero costato ma per un posto così deve aver sborsato veramente un sacco di soldi! Potrebbe essere una villa! E poi è tutto così ordinato! Nella mia cabina ci sono vestiti e padelle ovunque, e quando dico ovunque intendo ovunque. Siamo piuttosto disordinati ma questo è…questo è…Solo wow.”

Anna passò due minuti interi a perlustrare ogni angolo di quel piccolo paradiso sotto l’occhio divertito della signora accanto a lei e a divagare su ogni nuovo dettaglio che scopriva senza nemmeno farci caso. Quando la ragazza riuscì a calmarsi e a frenare l’emozione, la signora Brown stava ridendo di gusto e la prima cosa che fece fu prendere Anna e stringerla in un abbraccio stritola ossa, per poi dirigersi a cambiarsi d’abito.

Come Anna scoprì presto, Gerda era una donna dal cuore d’oro. Aveva messo subito in chiaro due cose: la prima era che ad Anna non era concesso in alcun modo di indossare gli abiti che portava solo venti minuti prima, almeno non alla cena di prima classe a cui era stata così calorosamente invitata; la seconda invece consisteva nel dover chiamare la signora Brown solo “Gerda” perché, a parole sue, “Signora Brown mi fa così vecchia.

Non sapeva cosa avesse spinto la donna a prendersi cura di lei ma di sicuro doveva averla mandata qualcuno dal cielo perché quella signora era un angelo. A quanto pare il Titanic ne era pieno zeppo!

In qualche modo Gerda era riuscita pure ad infilarle un bell’abito con tanto di corpetto. La ragazza ancora si stava chiedendo come fosse riuscita a convincerla…

Anna aveva dapprima guardato quell’abito con gli occhi disinteressati di chi non aveva ancora capito che quell’abito fosse destinato a lei. Quando però la signora Brown aveva iniziato a spogliarla, la biondo fragola era entrata nel panico.

“Io non indosserò mai quell’abito!” aveva urlato.

Bastò uno sguardo, uno sguardo glaciale per la precisione, per farle cambiare idea. Ed ora eccola lì, vestita e obbediente.

Il vestito in sé non era molto elaborato. Il famoso corpetto che spaventava tanto Anna era nero con un disegno strano al centro di color blu, azzurro e rosa che lei ancora doveva capire se rappresentasse qualcosa in particolare oppure fosse stato messo lì a caso. Le estremità presentavano allacciature d’orate che ne delimitavano il contorno mentre le maniche (si potevano anche considerare tali?) consistevano in una fascia verde scuro con rigature rosa che si adagiavano appena sulla spalla, tanto che ogni qualvolta era costretta a dargli una sistematina per raddrizzarle. Il tutto continuava in basso con una gonna verde oliva caratterizzata da dei decori rosa, porpora e verde scuro che si ripetevano intorno e nascondevano i pantaloni sottoveste color panna e le calze bianche abbinate. Gerda era stata così gentile da prestarle anche un paio di scarpe nere basse che si abbinavano perfettamente al vestito.

Per quanto Anna trovasse quel vestito incantevole, si stupì di quanto scomodo fosse: il corpetto stringeva, i pantaloni sotto veste prudevano e i piedi già facevano male. Gerda però era stata irremovibile, e d’altronde non poteva veramente lamentarsi dopo tutto il duro lavoro della donna.

Parlando insieme, Anna scoprì che quel vestito avrebbe dovuto essere destinato alla figlia di Gerda che la stava aspettando in America con il marito. Avrebbe dovuto essere un regalo ma tutte le proteste della ragazza sul “Ma è un regalo.” e “E’ di sua figlia, non posso indossarlo” vennero messe a tacere o ignorate.

Gerda aveva semplicemente risposto con: “Ne hai più bisogno tu.”

Al momento però Anna era alle prese con qualcosa di peggiore e stava veramente cercando di non urlare. La bruna dietro di lei stava mettendo a dura prova i suoi nervi soprattutto perché, per quanto la donna fosse graziosa e piena di grinta, non si poteva certo negare che avesse la delicatezza di un uomo!
L’acconciatura dei capelli sarebbe rimasta impresso nella sua mente per sempre! Dire che fosse un incubo, era dir poco.

Quando per l’ennesima volta Anna sentì i suoi capelli essere strattonati con forza, decise che era il momento di avviare un nuovo discorso che la distraesse.

“Gerda, posso chiederle una cosa?”
“Certamente.”

Guardandosi allo specchio, la biondo fragola poteva vedere il viso della donna tutto concentrato nel suo lavoro. Anna abbozzò un sorriso.

“Prima ha detto una cosa strana…”

Con la coda dell’occhio, Gerda la guardò confusa.

“Ha nominato la fossa dei…serpenti? Erano serpenti?”
“Oh sì.” Disse annuendo leggermente.
“Cos’è?” chiese Anna ora interessata.
“Diciamo che è’ un modo più carino di dire “sala da pranzo con persone con cui non vorresti mai avere a che fare”, piena di persone affamate di potere e di ricchezze, che si nascondono dietro ai soldi per ogni cosa. Un po’ come i serpenti che si nascondono dietro alle foglie per preparare gli agguati alle loro prede. Loro sono così. Passano la vita con lo scopo di catturare qualcuno e prosciugarlo di ogni dollaro che possiede.”

Anna un po’ rabbrividì al paragone, ma come darle torto? A questo però seguì un altro dubbio.

“Ma tu non sei come loro, anche se sei ricca.”

Gerda sorrise all'innocenza della ragazza.

“Oh cara. Il discorso è diverso per me. Io non sono nobile, ho solo avuto la fortuna di aver trovato un uomo meraviglioso e un bel mucchietto d’oro a portata di mano al momento necessario.”

Aveva senso allora la questione. Annuì.

La ragazza non continuò subito il discorso, il silenzio tra loro si estese per un po’. Anna ne approfittò per ripensare alla sue parole. Era veramente così brutto entrare in quella “fossa”, come la chiamava Gerda? Ripensò anche al discorso fatto sul ponte e subito le saltò alla lingua una nuova cosa da chiedere.

“Uhm, Gerda?”

Aspettò il suo cenno per continuare e, una volta dato, chiese ciò che ancora da prima la incuriosiva.

“Prima, sul ponte coperto, ha detto qualcosa sull’essere l’ancora di salvezza di qualcuno.”

A quello Gerda si fermò e incontrò lo sguardo della ragazza dallo specchio. Restò così per attimo per poi riprendere il suo lavoro, ridacchiando leggermente.

“Non te ne sei resa conto, vero?”
“Resa conto di cosa?” chiese sorpresa.
“Ogni volta che quella povera ragazza ti guarda, le spunta un sorriso.”

Stava parlando…di Elsa? Glielo chiese.

“Intendi Elsa?”

Non ricevette una risposta precisa però, anzi, la donna continuò come se non fosse stata interrotta...

“Per una come lei, abituata a stare in gabbia, tu sei diventata il suo sfogo e la sua unica via d’uscita. Quella ragazza ha bisogno di te più di quanto immagini.”

Beh, quella era di certo un’esagerazione. Cosa mai ci troverebbe Elsa in una come lei?

“Sai, la cosa più spaventosa è fare tutto ciò che credi sia giusto fare e non riuscire lo stesso a scappare dal tuo destino. A quanto pare però è arrivato qualcuno che può aiutarla con questo e che le ha fatto tornare la speranza. Per una come me, aperta a nuove aspettative, vedere queste cose è normale. ”

Queste cose?” pensò Anna.

“I suoi occhi brillano di luce quando ti guarda, quella luce che tu le hai dato aprendoti a lei. Te ne sarà per sempre grata. E non c’è solo luce nei suoi occhi. C’è anche qualcos’altro. Qualcosa di più forte, di più intenso, la cosa meno tangibile di questo mondo eppure la più potente e devastante.”

Ora poteva definirsi veramente confusa. Cercava risposte ma Gerda non faceva altro che darle altri dubbi… dove voleva arrivare?

“Non capisci Anna? Quella giovane Arendelle è innam-“

Un forte bussare interruppe le due a metà frase, seguita da una voce profonda.

“Signora Brown? La cena verrà servita a breve.”

Anna si sentì quasi arrabbiata per l’interruzione appena avvenuta ma era troppo persa a riflettere per fare altro. Cosa stava per dire? Tanta era la sua concentrazione che non si rese conto che Gerda aveva terminato con la sua acconciatura né che avesse risposto all’uomo dietro alla porta. Solo una leggera pacca sulla spalla, data appunto dalla donna, la liberò da quel turbine di pensieri.

“E’ ora di andare.” Le disse con tono affettuoso.

Avrebbe potuto farle mille domande, chiedere altrettante spiegazioni, ma l’ultima cosa che chiese fu semplicemente:

“Perché fa tutto questo?”

Perché avrebbe dovuto perdere il suo tempo per una come lei? Cosa aveva in cambio da darle? Era solo una poveraccia… Eppure questa donna fiera e orgogliosa le aveva appena dato una cosa che non tutti sarebbero disposti a dare: una possibilità.

O meglio… LA possibilità.

La possibilità di rincorrere Elsa e di avvicinarsi a lei di nuovo…

“Perché ti meriti un lieto fine.”

Detto questo, Gerda si girò in direzione della porta e scomparve, solo per tornare subito dopo e fermarsi sulla soglia di nuovo.

“Ah, Anna. Quasi dimenticavo. Sei bellissima.”

E se ne andò, questa volta sul serio, lasciando Anna da sola nella stanza con l’unica compagnia dell’eco delle sue parole, ora impresse nel cuore.




N/A: Ho finito di scriverlo questa notte alle 4.20….. Io non farò mai più una cosa del genere xD

Precisazioni:
- L’abito che Anna indossa non è niente di meno che l’abito che indossava nel film durante l’incoronazione.
- Per chi non lo sapesse, Gerda è il nome di una delle cameriere del castello. Nel film vengono accennati a “Gerda e Kai”. Beh, Kai è diventato il capitano della nave e Gerda questa brava signora.


Ringraziamenti:
-
Alle solite due, SaraJLaw e Tenori che sono così gentili da sopportare i miei capricci e sono sempre pronte a dare una mano nelle parti in cui ho maggior difficoltà. Vi costruirei un trofeo.
-  A Calime che è da due giorni che mi sente dire “Voglio sbattere la testa contro il muro” e che mi ha tenuta sana di mente per non farlo sul serio.
- A Eriok che mi ha fatto compagnia questa notte di scrittura intensa, tenendomi sveglia e permettendomi di finire!

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Capitolo 15
*** Cena in prima classe ***


A/N: Capitolo super lungo. Doveva essere spezzato ma ho deciso di tenerlo unito e rifilarvelo tutto ad un fiato.  C’è un glossario presente a fondo capitolo, prima dei soliti ringraziamenti. Buona lettura.


“A dopo”.

Aveva detto quelle parole in un momento di coraggio improvviso, quando l’adrenalina era ancora in circolo e pompava forte nelle sue vene.

Lo aveva detto senza sapere quanto quelle due parole stavano influenzando ogni suo gesto, ogni sua azione, ogni sua parola.

La speranza che quelle parole le avevano dato, ardeva come una fiamma nel suo petto e allontanava il freddo che fino a pochi giorni fa era una caratteristica onnipresente della sua vita. Fino a pochi giorni fa, prima di conoscere Anna.

Perché da quando c’era lei tutto era cambiato.

Anna le aveva dato una spinta in più e questo avrebbe continuato a ripeterlo all’infinito, tanta era la gratitudine nei confronti della ragazza. Al solo pensiero di lei si sentiva inspiegabilmente arrossire…

Da quando aveva lasciato il ponte coperto ed era stata separata dalla sua salvatrice, Elsa era rimasta con il sorriso in volto. Nemmeno la ramanzina che sua madre le aveva fatto appena mezz’ora prima era riuscita a scalfire quel suo entusiasmo. Durante il tragitto Idun non aveva fatto altro che brontolare parole sconnesse tra loro con un tono molto freddo e arrabbiato.

“…farti vedere in quel modo…”

Si stava solo divertendo, che c’era di male?

“…come sei conciata…”

E com’era conciata Anna. Era così buffa.

“…la nobile casata degli Arendelle rovinata…”

Più di quello che già era? Non credeva fosse possibile.

Durante il cambio d’abito invece, arrivò la vera e propria tirata d’orecchie.

“Non hai imparato nulla in questi anni, Elsa? Cosa ti ho insegnato? Devi sempre mostrarti al meglio, sempre essere presentabile, sempre -"

Ma Elsa non era disposta a sentire tutto ciò che sua madre aveva da dirle per l’ennesima volta. Quelle parole le venivano ripetute di continuo da diciassette anni. Così la interruppe, finendo la frase per lei.

"-sempre tenere la schiena dritta, mostrare grazia e forza, mai sembrare debole ed elogiare le proprie ricchezze e la propria bellezza. Lo so mamma.”

Mai prima di allora aveva osato interrompere sua madre, cosa che comunque ad Idun non piacque molto e lo si capì dalla rinnovata forza che trovò quando fu il momento di stringerle il corsetto. Di solito sarebbe stato compito di Mellow ma di certo Idun non poteva perdere l’occasione di esternare il suo disappunto.

“Non usare quel tono con me signorinella.” Disse in tono glaciale. “Non lo tollero.”

Solo l’arrivo di Hans, che arrivò a prenderle per accompagnarle a cena, aveva fermato le prediche di sua madre e di questo ne fu grata.

Elsa, di solito, provava un indescrivibile senso di fastidio misto a odio mentre percorreva il tratto tra la suite presidenziale e la sala da pranzo.  D’altronde il corridoio e il successivo scalone erano ciò che separava la giovane biondo platino dalla posto che amava più del Titanic al posto che meno preferiva: rispettivamente la sua stanza e la sala da pranzo.

Quel giorno però aveva qualcosa per cui essere felice e la certezza che a momenti avrebbe rivisto Anna era ciò che differenziava il tutto. Quell’aura fredda era stata sostituita da un mix di emozioni completamente opposte.

Elsa era a dir poco raggiante. Il dolce sorriso che era impresso nel suo viso e la sua camminata sciolta ne erano la conferma. Inoltre si sentiva nervosa e allo stesso tempo eccitata. Il cuore le batteva forte e la ragazza inconsciamente stava scadendo ogni suo battito con i piedi; se qualcuno avesse prestato attenzione, si sarebbero resi conto che la camminata della ragazza era più affrettata del solito.

Aveva inoltre deciso di indossare uno dei suoi abiti migliori, azzurro ghiaccio, in modo da fare una bella impressione su Anna. Nella sua mente vorticavano mille pensieri riguardanti la ragazza che andavano dal “Speriamo che le piaccia” a “Vorrei tanto stringerla a me”.

Era così impegnata ad arrossire dei suoi stessi pensieri che non stava neanche tentando di prestare attenzione a ciò che la circondava, altrimenti avrebbe notato che Hans stava apparentemente cercando di fare conversazione con una delle due donne, senza risultato, e che Idun era ancora così arrabbiata da non aver più proferito parola dallo loro partenza e continuava a lanciarle occhiate di traverso. Ma se anche avesse prestato attenzione, dubitava che il discorso di Hans fosse qualcosa che valesse la pena ascoltare, così come non la avrebbero turbata gli sguardi della madre che comunque, non erano una novità.

Quelli che solitamente dovevano essere dieci minuti, nella testa di Elsa passarono in un lampo e prima ancora di rendersene conto, arrivò ai piedi del grande scalone di prima classe.

Questa scala collegava tutti i ponti riservati alla prima classe. I pannelli di ciascun pianerottolo erano in legno chiaro mentre le balaustre erano in ferro battuto, alleggerite da fiori e foglie in bronzo. Nelle pareti circostanti erano situati grandi quadri mentre sul pianerottolo principale era incassato un orologio molto grande che annunciava ogni mezz’ora l’orario con i suoi forti rintocchi.

Dall’alto della scalinata cercò con lo sguardo qualche segno della ragazza tra il via vai delle persone che si stava accumulando per cena ma non la trovò. Il pensiero di vederla l’agitava molto perciò prima di fare anche solo un passo, fece qualche respiro profondo.

“Dovrà ancora finire di prepararsi.” Borbottò.

Lasciò che Hans e Idun passassero davanti a lei prima di iniziare a scendere a sua volta. Guardandosi meglio intorno poté avere uno sguardo migliore dei presenti: Gerda Brown era già arrivata, così come la maggior parte degli ospiti che avrebbero accolto nel loro tavolo quella sera tra cui i signori Weselton e Ismay, che si stavano già dirigendo verso la sala da pranzo; dopodiché c’erano una fila di persone che aspettavano qualcuno prima di entrare. C’era un signore paffuto che stava stringendo la mano ad una donzella, una signora bruna che si inchinava leggermente per salutare il suo partner, una biondo fragola che da dietro stava cercando di fare lo stesso movimento anche se in modo più goffo, una coppia che si stava tenendo a braccetto e…

“Aspetta, che?”

Tornando indietro con lo sguardo colse nuovamente la signora dal familiare colore dei capelli, di cui riusciva a vedere a malapena il volto, e iniziò a rallentare il passo per ammirarla.

La donna sembrava risplendere.

La gonna del vestito che indossava era di un verde acceso, brillante, dello stesso colore dei suoi occhi che si intravedevano appena, le spalline mettevano in risalto le lentiggini sulla sua pelle rosea e il corsetto accentuava il suo fisico snello. I capelli erano raccolti in uno chignon elaborato da cui pendevano un paio di nastrini e il tutto dava un’aria di maturità e signorilità alla donna in questione.

Nel momento in cui Idun e Hans le passarono affianco, la ragazza alzò la mano in segno di saluto ma venne bellamente ignorata. Dopodichè si voltò, come alla ricerca di qualcuno, e Elsa poté finalmente vedere il suo viso.

Di colpo si bloccò. Era possibile? Ma poi quegli occhi li avrebbe riconosciuti ovunque, non c’erano dubbi. Quella era proprio…

 “Anna?”

Non appena le sue labbra pronunciarono il suo nome, gli occhi della biondo fragola si posarono su di lei e Elsa si sentì praticamente nuda davanti al suo sguardo.
Vide la ragazza iniziare ad ispezionarla da capo a piedi e fermare lo sguardo sul suo petto per qualche secondo in più del necessario, per poi trattenere il fiato e incontrare il suo volto a bocca aperta.

Ora ne era certa, quella era proprio la sua Anna. Chi altri poteva sembrare così dannatamente buffa ma allo stesso tempo meravigliosa?

Elsa, ferma sui suoi piedi, si sentì arrossire e sentì le gambe iniziare a tremare leggermente, ma la reazione di Anna bastò a far allontanare tutti i dubbi della mezz’ora precedente e si ritrovò a sorridere verso la ragazza.

Sembrava risplendere davvero.

Iniziò a scendere gli ultimi scalini aggraziatamente verso la ragazza che si trovava in fondo allo scalone, senza mai perderla di vista, e una volta arrivata alla base, aprì la bocca per parlare ma Anna la precedette.

“Wow Elsa.”

Ma più come un complimento sembrava essere uscito dalla sua bocca per caso, quasi come se non se ne fosse accorta e a questo Elsa ridacchiò, portandosi una mano davanti alla bocca come era stata abituata a fare.

Questa era la dote di Anna: esprimere ciò che provava anche solo con una frase apparentemente senza senso.

Non sapendo come commentare ciò che era stato appena sussurrato, la biondo platino decise di farsi forza e ricambiare.

“Sei molto bella.”

Vide Anna sussultare leggermente ed accompagnare una ciocca di capelli dietro l’orecchio e la risposta venne immediata.

“Grazie. Tu sei spaventosamente bella! Non spaventosa in senso da spavento, solo…”

E tagliò la frase a metà.

Anna poi si avvicinò a lei e in un attimo di intimità rubata, in mezzo a tutta quella folla, sfiorò con le labbra il suo orecchio dandole una lieve sensazione di solletico, e sussurrò il resto della frase con tono malizioso.

“…solo… più bella.”

Elsa sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena e le guance prendere fuoco. Deglutì a fatica e la bocca divenne inspiegabilmente arida.
Riuscì a mettere insieme un piccolo “grazie” balbettante, e subito dopo, senza nessun tipo di preavviso, si sentì strattonare da Anna che la prese sotto braccio.
E seppur sorprendentemente tenace, quel gesto era esattamente ciò di cui Elsa aveva bisogno per calmarsi definitivamente: il contatto con Anna, sentire la sua pelle contro la sua, farsi avvolgere dal suo profumo… era il suo piccolo paradiso privato che la salvava dall’inferno che la circondava.
 


Elsa stava avendo un momento difficile a trattenere le risate quando vide quanto l’altra ragazza si stava impegnando per sembrare una signora in tutto e per tutto. Doveva ammettere che la sua concentrazione era ammirevole.

Anna stava facendo del suo meglio per tenere la schiena dritta e di evitare di ciondolare il braccio libero che non era intrecciato ad Elsa. Inoltre si poteva chiaramente vedere che non era abituata alle scarpe che stava indossando: di tanto in tanto la ragazza si lasciava sfuggire smorfie di dolore e la sua camminata, di solito spensierata e vivace, prendeva un andamento incerto, segno che i suoi piedi dovevano già essere doloranti.

Insieme  le due si fecero largo tra i passeggeri, diretti verso l’entrata della sala da pranzo, ma vennero fermate sulla soglia da Idun e Hans, risbucati all’improvviso davanti a loro ma, dal loro sguardo, Elsa capì che i due avevano finalmente riconosciuto la biondo fragola e la stavano guardando da un lato sorpresi e dall’altro seccato.

“Anna Dawson,  ma che bella sorpresa vedervi con noi. Vedo che ha trovato un abito…adatto.”

Il ramato sputò le ultime due parole con tanto disprezzo che ad Elsa venne il terrore di sentire la ragazza accanto a lei  irrigidirsi e attaccar briga ma non successe niente del genere. Anzi. Anna gli tenne sorprendentemente testa.

“Trovo anch’io che sia delizioso, ma di certo non potrò mai raggiungere il livello della nostra Elsa qui. Devo dire che il suo abito è una meraviglia, si intona perfettamente alla sua bellezza naturale.”

Lo disse in un modo un po’ sfacciato e possessivo ma con una faccia così seria che Elsa quasi le credette, quasi iniziò a credere di essere bella sul serio ai suoi occhi. E non le importava se anche Hans la pensava allo stesso modo o dell’opinione che avesse sua madre di lei. Anna le aveva appena detto che era bellissima. E questo era tutto ciò che al momento riusciva a pensare.

Al contrario ad Hans il commento non piacque molto. Il suo sopracciglio si inarcò vistosamente, quasi come fosse sul punto di confutare qualcosa, ma le ragazze sapevano bene che non avrebbe mai fatto una scenata davanti a tutti. in ogni caso, trovò lo stesso un modo per rovinare il loro momento.

“Ben detto. La MIA Elsa non ha concorrenti in fatto di bellezza. Andiamo tesoro?”

E rivolse alla biondo platino il suo braccio come per enfatizzare quel “mia” appena pronunciato. Ma staccarsi dalla ragazza affianco a lei sarebbe stato troppo doloroso ora come ora. Aveva ancora bisogno di lei. Come se capisse i sentimenti di Elsa, Anna fece un passo avanti, pronta a protestare ma Idun fece lo stesso, schierandosi dalla parte di Hans e parandosi davanti a lei come per fermarla dal fare qualsiasi altra mossa.

Nonostante questo però mantenne le distanze, quasi avesse paura di toccare Anna per paura di sporcarsi o venire infettata da qualche malattia immaginaria di chissà quale genere. Davanti a questo, Elsa decise di sciogliere le loro braccia e di fare a sua volta un passo verso Hans. Per un breve istante, sentì la presa di Anna stringersi intorno al suo braccio, ma come era comparsa sparì, lasciandola andare. Fu in quel momento che sentì sua madre dire, con tono autoritario

 “Ah, mi scusi un attimo signorina Dawson…”

Ma venne allontanata subito dopo e non potè sentire il seguito. Si aspettava di non vedere Anna per un po’ ma non  ebbe il tempo di sentire la sua mancanza che già la ragazza li raggiunse, seguendoli a ruota, come se nulla fosse successo. Non aveva bisogno di girarsi per sentire che la ragazza era lì a pochi passi da lei perché riusciva a percepirlo con ogni sua parte del corpo: il cuore aveva aumentato il suo battito, i polmoni avevano iniziato  a richiedere più aria, il suo stomaco era contorto come se uno stormo di farfalle avesse preso il sopravvento…

Sembrava quasi essere in balia di una febbre, con l’unica differenza che un’influenza ti avrebbe fatto sentire a pezzi, lei invece si sentiva al settimo cielo, con il cuore colmo di gioia. Gioia e amore.
*

Per quanto avesse viaggiato, Anna non aveva mai visto niente di così lussuoso quanto la prima classe del Titanic. Non che ne avesse avuto l’opportunità prima di allora ma lo stupore che provò appena entrata in questo nuovo e spettacolare ambiente non potè essere trattenuto. La prima cosa che attirò la sua attenzione fu l’enorme cupola in vetro che sovrastava l’atrio illuminando l’intero ambiente. Bronzo e oro sovrastavano la scena e tutto intorno erano incastonati oggetti di valore e quadri preziosi di ogni genere, tutte cose che all’interno della terza classe o non c’erano o c’erano in parti così misere da non notarle neanche. D’altronde nei suoi alloggi era stato privilegiato il ferro.

Pochi poi l’avrebbero potuta preparare alla vista della sala da pranzo che fu una delle prime cose che la ragazza andò a sbirciare appena arrivata. Era l'area più spaziosa riservata alla prima classe e Anna era sicura che poteva ospitare almeno cinquecento persone. Le pareti e il soffitto erano stuccati di bianco mentre le sedie erano rivestite in pelle verde e si intonavano perfettamente con i mobili in rovere presenti nella stanza. Purtroppo l'effetto era rovinato dal pavimento di piastrelle in linoleum fantasia che Anna trovò poco azzeccato. L'ambiente era illuminato grazie a moltissime plafoniere e la cosa migliore di tutti era la musica dal vivo suonata da un quartetto d’archi, accompagnati da un pianoforte.

La musica era particolarmente vivace ma allo stesso tempo sontuosa e risuonava nell’aria dando una sensazione di calma e buon gusto. Fu grazie a questo che Anna si sentì più leggera e pronta a ciò che l’aspettava. Almeno era sicura di avere un compagno assicurato: essere accompagnata da quella melodia in quella “fossa”, per usare il termine di Gerda, non sarebbe stato poi così male.

Se questo all’inizio sembrava la cosa migliore che avesse mai visto, molto presto però si trovò a ricredersi. Niente e nessuno avrebbe mai potuto prepararla alla vista di una certa ragazza che da lì a poco entrò nell’anticamera della sala da pranzo.

I primi accenni della sua presenza arrivarono con Idun e Hans che le fecero capire quanto la ragazza fosse poco distante da lei. Con lo sguardo iniziò a cercarla tra la folla intorno a lei e appena gli occhi percorsero la grande scalinata che aveva superato in precedenza, la trovò.

Elsa.

La sua principessa.

In tutto il suo fascino.

L’abito che stava indossando era a dir poco angelico. Il vestito era blu ghiaccio, della stessa tonalità dei suoi occhi, e risaltava il pallore della sua pelle e la lucentezza dei suoi capelli. Ad esso erano abbinati tacchi alti dello stesso colore ma la prima cosa che saltò agli occhi alla povera ragazza fu lo spacco lungo il lato destro della gamba, che arrivava fino alla parte alta del ginocchio.

“Le sue gambe sono così perfette.” Si ritrovò a pensare.

Salendo con lo sguardo vide che il vestito comprendeva uno di quei corpetti fastidiosi e stritola ossa ma su Elsa aveva un effetto particolare: erano gli altri a sentirsi senza fiato appena lo guardavano. C’era una cosa che veniva risaltata più delle altre grazie a quel corsetto, esattamente all’altezza del petto…

Oddio. ODDIO. Ok, Anna. Puoi farcela. Respira, respira, respira…

Deglutì.

Le maniche erano lunghe e di color blu polvere ma le spalle erano praticamente scoperte, lasciando una magnifica visione della sua pelle liscia e morbida. Per dare il colpo di grazia, la ragazza portava i capelli in una treccia laterale che poggiavano sulla parte sinistra della spalla e la frangia era stata portata all’indietro sopra la testa.

A questo punto Anna si ritrovava senza parole e con il fiato in gola. Sentì la sua bocca aprirsi e gli occhi sbarrarsi leggermente e finalmente raggiunse il viso di Elsa.

Per sua gran sorpresa,  Anna notò poi che i suoi occhi avevano una strano scintillio che li rendeva ancora più adorabili. Non aveva mai visto la ragazza così felice nel corso delle quasi ventiquattr’ore in cui si erano conosciute. Se fosse a causa sua ancora non lo sapeva ma guardandola scendere dalle scale, fu grata di aver avuto la possibilità di incontrarla e di mettere il suo stampo nella sua vita.

E poi doveva ammetterlo. Sentire il suo ridacchiare contro il suo orecchio era la sensazione più bella del mondo.

Quella ragazza, con il suo animo dolce e forte e la sua bellezza, le avevano rapito il cuore. Quel suo cuore che tanto desiderava amare e ricevere amore.

Con l’arrivo di Hans però arrivò anche la parte negativa dell’esistenza di Elsa. Non che lei avesse colpa per questo. Non si meritava tutta quella sofferenza ma ciò che più di tutto infastidiva Anna era il modo insopportabile in cui Hans la guardava. Quella avidità e lussuria presente nel suo sguardo e quel ghigno da “lei è di mia proprietà” le facevano venire il voltastomaco.

Da quando lo aveva visto, Anna non aveva desiderato altro che prenderlo a pugni anche se per il momento si era semplicemente accontentata di rispondergli a tono. Ad Hans però non erano piaciute le sue avances ad Elsa né tantomeno l’atteggiamento che aveva preso nei suoi confronti.

Ma d’altronde a lei quel pallone gonfiato non piaceva affatto quindi andava bene così.

Tuttavia nella sua mente iniziò a formarsi spontaneamente un dubbio: davvero Elsa poteva essersi innamorata di lui? Da come lo guardava però non si sarebbe detto. Nei suoi occhi vedeva solo disgusto e qualsiasi fosse il loro rapporto o la loro situazione, la ragazza era chiaramente infelice.

Anna trovava quella cosa ingiusta, soprattutto ora che Elsa stava iniziando ad aprirsi a lei.

A peggiorare la situazione si intromise pure la madre di Elsa, pronta a fare la sua parte per tentare di rovinare la loro serata.

Quando la donna si era parata davanti a lei, Anna si era sentita ghiacciare i piedi e nello stesso momento nel suo petto sentì crescere un sentimento che di rado aveva provato: Odio profondo. Ma non avrebbe mostrato neanche il piccolo cenno di fastidio, non avrebbe dato questa soddisfazione ai due “reali”.

Avrebbe fatto di meglio.

Avrebbe fatto capire ai due di loro con chi avevano a che fare.

Quando Idun le chiese di parlare, Anna non né rimase sorpresa. La sua mossa era assai prevedibile, sapeva benissimo cosa aveva in mente. Anzi, a dire il vero si aspettava di meglio da quell’arpia prepotente. Le sue esatte parole furono:

“Veda di non metterci in imbarazzo di fronte ai nostri commensali  e soprattutto stia lontano da mia figlia.”

Banale, davvero banale.

E questa sarebbe una minaccia che dovrebbe incutere terrore?” pensò ironicamente.

Buffo come Anna pensasse la stessa cosa. Se c’era qualcuno che doveva stare lontano da Elsa, quelli erano proprio loro.

Avrebbe potuto rinfacciarle la stessa frase.   

Elsa si meritava di meglio ma di certo non l’avrebbero lasciata andare così facilmente. Avrebbero continuato a stringere la loro presa intorno a lei fino ad ucciderla.

Non l’avrebbe permesso.

Con lo sguardo più accattivante che potesse mai avere, le si avvicinò e le rispose mormorando un poco udibile ma convincente:

“Mi metta alla prova.”

E la superò, andando a raggiungere Elsa.

Anna non aveva idea di cosa i due avessero in mente di preciso ma di una cosa era certa: l’arpia e quel Hans-faccia-da-schiaffi avevano intenzione di separarle e quello non sarebbe successo.

Così, come per dimostrare il suo punto, la biondo fragola riuscì, in un momento di  distrazione generale dovuta all’arrivo degli ultimi invitati, a sedersi affianco ad Elsa e a tenere saldo il suo posto. Ovviamente l’altra ragazza ne rimase piacevolmente soddisfatta nonostante dall’altro lato della sua sedia ci fosse un Idun e un Hans  particolarmente offesi e fumanti dall’ira. Ormai però la partita era stata vinta e non poterono fare altro che rosicare in silenzio.

Fu proprio in quel scenario che Anna ed Elsa iniziarono a parlare. Quest’ultima stava facendo del suo meglio per far sentire a suo agio la biondo fragola e per questo Anna ne era molto grata. Apprezzava lo sforzo che stava facendo.  Tutto questo per lei era estraneo, a partire dall’ambiente per arrivare poi agli invitati alla loro cena. Da lì a breve, Elsa iniziò a sussurrare in orecchio i nomi e qualche informazione casuale su quei famosi “commensali” a cui si riferiva Idun che li avrebbero seguiti a tavola.

Comprese loro due sarebbero stati in dieci.

Oltre Miss Arpia e a Mister Basette Prepotenti, che presero i posti nel loro lato della tavola con Hans affianco ad Elsa e Idun affianco a lui, con loro si sarebbe seduta anche Gerda che si sedette davanti ad Anna e che la accolse un grande sorriso.

Anna non ebbe bisogno di presentazioni per sapere chi fosse ovviamente. Anzi, voleva azzardare di poter essere considerate due amiche, o almeno, compagne d’avventura.

Ai lati di Gerda presero posto due signore, una delle quali era presente sul ponte poco prima.

“Eleganti, non troppo arroganti. Sono sorelle. Quella a capotavola, alla destra della signora Brown, ha sposato il signor Ismay mentre l’altra è ancora una vecchia zitella…”

La somiglianza non si notava affatto. Una era bionda, l’altra era mora e avevano lineamenti completamenti differenti. Come aveva detto che si chiamavano? Beh che importava, tanto non le avrebbe più riviste.

Dopodiché tra loro aveva preso posto un signore strano, molto basso, con il parrucchino che penzolava dalla sua nuca, un grande naso a punta e dei baffoni grigi. Prese posto affianco alla sorella bionda e cupa e, seppur fosse un uomo serio, Anna non poté che trattenere una risata.

“Quello è George Weselton. Molto avido, odioso e estremamente ricco Non farti ingannare dalla statura. È sempre in cerca di nuovi tesori.”

Sì, tesori e parrucchini. A vederlo sembrava solo un fifone. E poi quel nome, Weseltown, era così ridicolo.

La sedia al suo fianco era occupata da un uomo, il signor Andrews. Avrebbe potuto essere un uomo piuttosto virile se non fosse per il suo atteggiamento pomposo.

“Se potesse, sposerebbe una nave. Non ha messo su famiglia. Va in giro sul Titanic a vantarsi di questa sua impresa titanica. Si beh, come tutti. E’ ingegnere navale nonché  costruttore capo”

Non si era nemmeno degnato di alzare la testa e riconoscerla. La maleducazione qui non aveva fine.

Nell’altro lato della capotavola invece c’era il già precedentemente nominato Signor Ismay.

“Ideatore della nave. Lui e sua moglie pranzano sempre con noi. Sempre la stessa storia, coppia vecchio stile, vecchi ideali. Un classico.”

Più che classico. Preistorico! Almeno avrebbe potuto vantarsi di aver conosciuto l’inventore. Forse.

“Fai finta di essere una signora con un possedimento d’oro nascosto da qualche parte e tutto andrà bene. Stai tranquilla Anna.”

Semplice a dirsi. Ma più che della presenza di così tante persone cosiddette famose, Anna si stupì maggiormente della dimensione della tavola rettangolare in cui erano sedute e della quantità di bicchieri e posate che aveva davanti. Per non parlare delle candele e della composizione floreale che abbinavano ogni singolo tavolo in tutta la sala.

Tutto ciò la confondeva.

Intorno a loro iniziarono ad aprirsi conversazioni casuali e prima ancora di rendersene conto, iniziarono ad arrivare camerieri a portare antipasti, primi e secondi.

Se non fosse per Gerda, probabilmente la ragazza avrebbe fatto una figuraccia già in partenza.

Alla sinistra di quello che doveva essere il suo piatto, erano appoggiate tre forchette di cui Anna non conosceva l’utilità. Alla sua sinistra invece non uno ma ben due coltelli differenti occupavano il tavolo. In più, in corrispondenza del coltello, in alto, c’erano la bellezza di due bicchieri, uno davanti all’altro, di diversa grandezza. Per finire, come se già non bastassero, in alto era appoggiata anche un’altra forchetta, affiancata da un coltello e un cucchiaino.

Man mano che la prima portata iniziò ad arrivare, Anna guardò supplichevolmente Gerda che già aveva iniziato a fissarlo da tempo. Con un flebile sussurro disse:

“Fai quello che faccio io.”

E iniziò a gesticolare cosa prendere di preciso e come tenere adeguatamente la posata. Fu grazie a lei se non fece da subito una figuraccia e riuscì a comportarsi educatamente.

Giunti alla seconda portata, Anna notò che nessuno aveva ancora chiesto qualcosa riguardo a lei né avevano cercato di renderla partecipe alle chiacchiere che erano andate formandosi nel corso della cena. Nonostante questo però sentiva gli sguardi curiosi e arroganti su di lei e questo le metteva una certa ansia nonché la sensazione di essere giudicata. Gli unici occhi che incrociava e che la ricambiavano con affetto erano quelli di Gerda, che si stava comportando quasi quanto una mamma chioccia, ed Elsa.

Le loro occhiate erano decisamente frequenti e la loro l’intensità era  a dir poco magica. Tra tutte le persone e la confusione che c’era intorno, per loro due sembrava di essere chiuse in una bolla dove solo loro avevano il permesso di stare. Nemmeno la considerazione che Idun e Hans ancora non avevano rinunciato a renderle la vita difficile era riuscita a rompere la magia di quel momento.

Ci fu un momento particolare in cui Anna e Hans si guardarono. Il ramato era visibilmente infuriato e la ragazza gioì nel vedere questo. Di rimando gli sorrise sfacciatamente e si avvicinò ad Elsa per sussurrarle in un orecchio, il tutto per provocare maggiormente Hans e per far intendere una cosa molto chiara che ancora lui si ostinava a non capire: Elsa aveva occhi solo per lei.

Anna sapeva bene che ad Elsa non era sfuggito questo piccolo scambio tra di loro ma nonostante si trovasse tra due fuochi a quanto pare non ebbe bisogno di molto tempo per decidere da che parte stare.
 



A dire il vero, Anna si stancò presto di stare con la schiena dritta a tavola. Fare la signora proprio non era un lavoro adatto a lei. Ci fu un momento, durante la cena, in cui permise a se stessa di appoggiarsi allo schienale e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Inaspettatamente però la mano cadde lungo la sua gamba e andò a sfiorare per sbaglio quella della ragazza affianco a lei.

Il contatto fu abbastanza per farle sussultare e far diventare rossa Elsa.

Si guardarono e la biondo platino assunse subito un’espressione preoccupata. Di sicuro doveva aver notato la stanchezza presente nel suo viso, per non parlare della tensione in cui si trovava. Tutto questo tenere testa ai “reali” e comportarsi a modo, la stavano drenando…

Forse fu per questo o forse semplicemente ad Elsa andava di farlo, ma pochi secondi dopo la ragazza ricongiunse le loro mani sotto il tavolo e Anna si ritrovò con la mano intrecciata alla sua.

Il tocco di Elsa era il calmante di cui aveva bisogno. Ma una cosa la sorprese: le mani di Elsa stavano tremando come se fosse spaventata per qualcosa. Guardandola Anna capì subito dove fosse il problema, glielo si leggeva bene in viso. Era il posto in sé, quella “fossa dei serpenti”, che più la spaventava. Che fosse per l’ambiente, le persone o lo stile di vita, Anna non lo sapeva. Ma se Olaf in quel momento fosse lì, le avrebbe sicuramente detto qualcosa di simile a:

“L'amore è mettere il bene di qualcun altro prima del tuo."

Perciò, nonostante si sentisse fuori luogo e fosse nervosa per la prova che stava affrontando, ora era il suo turno (e suo dovere morale) di tranquillizza Elsa. E così fece. Sfilò la sua mano da quella di Elsa che per un attimo la guardò confusa, spaventata che quel gesto, quella confidenza, avesse infastidito la ragazza ma subito i suoi timori vennero messi a tacere quando Anna girò il palmo della sua mano e, rivolgendola verso l’altro, iniziò con l’indice a tracciare dei disegni invisibili sulla sua pelle.

La ragazza ci mise un po’ a capire che quelli non erano segni a caso.

Anna mantenne lo sguardo sui dintorni per non dare sospetti ma tenne comunque d’occhio Elsa che, man mano che i segni continuavano a ripetersi, iniziò a capire.

La conferma venne quando la sua bocca si incurvò leggermente verso l’alto e gli occhi riacquisirono quella scintilla di felicità che piano piano stava svanendo.

Quei segni altro non erano che lettere che unite significavano
"Sono qui con te."

*

 
Entrambe le ragazze si stavano giusto chiedendo quando Anna avrebbe cominciato a partecipare alla conversazione. Erano certe che almeno due delle persone che partecipavano a quella cena, morivano dalla voglia di mettere in imbarazzo la ragazza o trovare un motivo per togliersela di torno per sempre. Fino ad allora Anna, seppur nervosa, non si era mai tradita e non mostrò mai un segno di esitazione. Nessuno, eccetto per i partecipanti alla tavola, la riconobbe per una di terza classe, il che risultò un successo.

Ma le loro domande silenziose ricevettero risposta appena venne servita la frutta. Fu proprio Idun a prendere l’iniziativa con l’appoggio complice di Hans.

“Ci racconti della vita in terza classe signorina Dawson. Ho sentito che non sono niente male per gli standard di chi ci alloggia.

E ovviamente non poteva certo tirare in ballo qualcosa che rispecchiasse le qualità della biondo fragola.

Durante la cena Anna aveva continuato a lanciare sguardi provocatori verso i due che sedeva dall’altro lato di Elsa, soprattutto nel tentativo di infastidire Hans, e mentre la biondo fragola riusciva ad attirare l’attenzione dell’altra ragazza, lo stesso non si poteva dire per lui. Elsa continuava ad ignorarlo ed a preferire la compagnia di Anna.

A quanto pare tutto questo altro non era che la loro piccola rivincita personale.

Intorno al tavolo tutti si ammutolirono, compresa Elsa che era sul punto di girarsi per avvertire la madre di non dire sciocchezze, e l’avrebbe pure fatto se Anna non le avesse stretto la mano come per dirle che andava tutto bene.

Volevano sfidare? Beh, Anna era pronta a ballare.

“Sono molto meglio di quanto si possa credere. Un po’ affollati forse, ma la compagnia e una buona chiacchierata non mancano mai.”

Rispose con un’occhiata di sfida, pur mantenendo un sorriso molto convincente e vide le signore affianco a lei annuire in segno di approvazione alle sue parole.  


Dopodichè fu il turno di Hans ad intromettersi.

“Dovete sapere che la signora Dawson si è unita a noi dalla terza classe come ringraziamento per aver aiutato la mia fidanzata la scorsa notte.”

Fidanzata eh?” pensò Anna.

E poi, se questo era un ringraziamento, avrebbe di gran lunga preferito starsene in terza classe assieme ai suoi amici di viaggio. Certo però doveva ammettere che un po’ lo scambio di frecciatine la stava divertendo.

“Si beh, a quanto pare la signorina Elsa ha una certa vena artistica per cacciarsi nei pasticci.” Disse con tono scherzoso, provocando una risata generale da tutti a parte dai due reali.

Aveva voluto enfatizzare sulla parola signorina giusto per ricordare ad Hans che ancora nulla era stato fatto e che Elsa era ancora libera di prendere le sue scelte.

Ovviamente questo lo aveva fatto infuriare ancora di più ma ciò che preoccupò Anna fu il ghigno che assunse subito dopo.

“Ovviamente, se è interessata, potremmo invitarla al nostro fidanzamento ufficiale che terremo durante l’ultima notte di viaggio, proprio qui sul Titanic. Non penso che un posto in più a tavola sia un problema. Io e la mia futura moglie, i futuri signori Southern, saremmo lieti di invitarla alla cerimonia.”

Anna vide Elsa gelare sul posto mentre lei cercava di comprendere ciò che il ramato aveva appena detto.

Nella mente iniziarono a vorticare le sue parole:

 “…fidanzamento ufficiale…ultima notte di viaggio…futura moglie…fidanzamento ufficiale…ultima notte di viaggio…futura moglie…

Le ci volle un attimo per afferrare il messaggio, dopodichè a stento riuscì a trattenere il suo “aspetta, che?” tipico che per sua fortuna, riuscì a tenere per sé.

Ok, questo non era molto divertente.

Doveva aspettarselo. Era stata sciocca a credere di avere più tempo per conquistare Elsa. Il tempo non aspettava mai nessuno.

Ma si sarebbe tirata indietro? Certo che no! Aveva già raggiunto un punto di non ritorno. Era follemente innamorata della donna che al momento le stava ancora tenendo la mano sotto il tavolo.
E se ad Elsa lei non interessava? Se la volesse solo come amica? Se fosse così però si sarebbe comportata in maniera completamente diversa. Elsa sembrava già così affezionata invece e felice con lei.
E se…? No, basta “se”. Avrebbe dato del suo meglio, lo aveva deciso già prima di tutto questo, sapeva a cosa andava incontro e non si sarebbe arresa.

Mai.

Mentre viaggiava con la mente, la ragazza perse il discorso di Elsa riguardo le sue abilità di pittrice e giovane artista in cui la lodava e cercava di guadagnare punti a suo favore agli occhi degli altri invitati. Non sentì neanche la domanda che Idun le rivolse successivamente.

Solo la stretta forte di Elsa e il debole calcio che arrivò poco dopo per destarla la riportò alla realtà.

Imbarazzata, si trovò a chiedere di ripetere la domanda.

 “Mi scusi?” disse con aria innocente e una leggera risata si levò intorno a loro.

Vai così Anna, mostra quanto sei ridicola veramente davanti a tutti.” si maledisse internamente.

“Le stavo chiedendo, signorina Dawson, dove vive di preciso.”
“Oh! Certo. Beh  al momento e per i prossimi giorni, diciamo che posso dire di vivere in questa lussuosa nave…”

E con un cenno si rivolse al signor Ismay, che sorrise di rimando, chiaramente fiero del suo lavoro.

Ovviamente per recuperare da questa piccola scivolata, doveva giocare le sue carte migliori. Sapeva quanto queste persone amassero essere elogiate, perciò non fece altro che dare pane per i loro denti. Era un gesto perfetto per riacquistare la dignità che aveva perso poco prima con quella distrazione.

 “…per il resto chi lo sa! Sarà una sorpresa.”

Fu quella specie di duca con il parrucchino, il signor Weseltown o Weserton o come si chiamava a proseguire con la prossima domanda e ad intromettersi successivamente.

“Ma, signorina Anna, dove trova il denaro per viaggiare?”

La sua voce sembrava molto ad un gracidio e la ragazza fu grata che questa sarebbe stata la prima e ultima volta che avrebbe parlato con lui. Quel suo tono la infastidiva un sacco.

 “Beh sa, il denaro non serve sempre a tutto.”

Mai lo avesse detto. La reazione fu immediata.

Anna vide il baffuto spalancare gli occhi, seguito a ruota da Idun, Hans e il signor Andrews. Tutti la stavano guardando come se avesse detto una bestialità ma prima che potesse essere interrotta, continuò il suo discorso.

“Intendo dire… Per farvi un esempio, il biglietto del Titanic l’ho vinto ad una partita a poker e in tasca avevo solo un fazzoletto sporco e qualche spicciolo. Una mano fortunata, una manna dal cielo. D’altronde… mi ha permesso di incontrare un angelo…”

L’ultima parte venne sussurrata appena, tanto che solo Elsa colse ciò che venne detto. Questa volta, a differenza della precedente, il messaggio venne colto subito e il suo viso, diventato completamente rosso lo dimostrava.

“In ogni caso…” continuò con indifferenza “…trovo sempre il modo di spostarmi. Piccoli favori, la generosità della gente. Cose così. C’è tanta brava gente la fuor-”

Venne bloccata da Idun che, a quanto pare, non aveva nessuna intenzione di sentirsi dire quanto la gente possa essere gentile e generosa.

“Scusa se la interrompo, ma mi dica. A lei piace la sua vita? Questa vita senza radici e senza una casa in cui tornare?”

Che era un colpo basso… perfino Gerda sembrava sul punto di alzarsi per dare uno schiaffo alla donna.

Anna ispirò profondamente prima di rispondere. Non aveva intenzione di cedere, era stata chiara in precedenza. D’altra parte stava combattendo una battaglia, si aspettava anche domande poco leali e al limite della scorrettezza.

Tutto era lecito in guerra e in amore. E questa, era un po’ entrambe le cose.

“Sì, mi piace.” Disse, sorprendendo tutti. Avrebbero potuto pensare che fosse una bugia, ma la convinzione nelle sue parole bastò. E non si fermò qui.

“D’altronde, non mi serve altro che una giacca, un cambio d’abito e il mio album da disegno per stare bene. Mi piace svegliarmi la mattina e non sapere cosa mi capiterà o chi incontrerò, dove mi ritroverò. Ho viaggiato un sacco, ho visitato molti paesi d’Europa e ho conosciuto un sacco di persone che mi hanno cambiata, mi hanno fatto crescere e fatto diventare ciò che sono oggi. Sono fiera di quello che sono.

Oggi per di più ho avuto il piacere di conoscere gente raffinata come vuoi, di condividere dello champagne insieme, e di sedermi accanto ad una delle persone più meravigliose che abbia mai incontrato e guardatela, chi non vorrebbe sedersi accanto a lei? E’ così bella e forte, dal cuore d’oro, ed è intelligente e-“

Un colpo di tosse, arrivato da Gerda, bloccò il suo divagare a metà. Sentì le guance andare in fiamme quando si rese conto cosa stava dicendo. Con la coda degli occhi cercò Elsa, la quale aveva lo sguardo fissò verso il basso nel tentativo di nascondere il rossore che era vistoso tanto quanto il suo. Quante volte era arrossita quel giorno? In ogni caso si schiarì la gola e continuò come se niente fosse successo.

“Si, comunque. La vita non smette mai di stupirmi, per questo sono convinta che sia un dono prezioso e non ho intenzione di sprecarla. Vivo giorno per giorno dando il massimo di me stessa e così imparo ad accettare la vita come viene... così ogni singolo giorno ha il suo valore.”

Il suo discorso zittì tutti i presenti, una persona in particolare.

Elsa non azzardava rialzare lo sguardo. Anna era stata molto romantica e dolce con quel suo divagare ma non era tanto quello che l’aveva zittita. Era più il significato profondo che stava dietro a quelle sue parole e il modo in cui lo aveva detto: gli occhi di Anna avevano iniziato a brillare di una strana luce che emanava una certa sicurezza, le sue mani avevano gesticolato molto, enfatizzando ciò che stava dicendo, e le sue labbra si erano mosse così velocemente che era certa che Anna dovesse ancora prendere fiato.

Solo una persona, tra i presenti invece, ebbe il coraggio di sbuffare appena percettibile. Ovviamente, chi altri se non Hans? Seppur non fosse l’unico che sembrava inorridito dal discorso. A dargli manforte c’era il signor Weselton, il quale imitò uno sbadigliò e alzò gli occhi al cielo. In compenso i signori Ismay erano particolarmente colpiti, così come Gerda che approvarono il discorso.

Qualsiasi commento però venne fermato da Elsa che subito alzò il calice per fare un brindisi.

“Al valore di ogni giorno” recitò la ragazza.

E tutti, chi con malavoglia e chi no, alzarono in alto i loro calici.


 
La cena non durò ancora molto dopo quell’avvenimento e continuò tranquilla, animata dalle vicissitudini di Gerda e di altri racconti spiritosi.

Elsa e Anna trovarono comunque del tempo per chiacchierare e commentare qualcosa insieme accontentandosi di poche parole per stare bene tra loro e stuzzicandosi a vicenda ogni tanto sotto la tavola con qualche pizzicotto improvviso o tentativi di solletico.

A porre fine al tutto intervenne Hans che, alzandosi da tavola, dichiarò conclusa la cena.

“Bene, immagino che sia tempo di separarci. Noi uomini abbiamo delle scommesse da fare e delle partite a poker a cui partecipare. Certo, questa non è cosa per le donne.”
“E perché no?” si intromise Anna.

Hans la guardò come se un insetto fastidioso si fosse appena posato sul se suo abito pregiato.

“Oh senti senti. La nostra vincitrice di poker ha parlato. Senza quel colpo di fortuna non saresti qui con noi… Sarebbe stato un peccato vero?”
“Sì, proprio un peccato.” Fece eco il signor Weseltown.

Certo, se non sapevano fare di meglio… Anna però non aveva ancora finito con loro. Non sembravano aver capito con chi avevano a che fare e sinceramente si stava stancando delle loro idee da quattro soldi secondo le quali i ricchi avevano il controllo su ogni caso.

“Perché non giochiamo?” li sfidò.

I due scoppiarono in una risata vigorosa.

“Non abbiamo tempo per i giochetti.”

“Non ho oro da offrirvi e immagino che dei cinque dollari che ho in tasca non vi importi nulla… ma possiamo trovare dei compromessi, non credete?”

Colpito e affondato. Hans a questo parve rizzare le orecchie e diventare improvvisamente interessato. Con un ghigno malvagio si avvicinò ad Anna e nell’orecchio le sussurrò:

“Io metterò in gioco tutti i soldi che avrò, ma se vinco non dovrai neanche più permetterti di guardare Elsa.”

Anna annuì convinta con un altrettanto ghigno.

“Credo che il signor Ismay potrebbe farti da partner.”
“Oh ma io sono già apposto.” Ribatté.

Hans la guardò confuso.

“Elsa è il mio partner.”

E la perplessità dei presenti venne esternata proprio dalla biondo platino che guardò sbalordita la ragazza affianco a lei e quasi le urlò:

“Aspetta, che?”

Anna si avvicinò alla ragazza che ora, oltre a sorpresa, mostrava accenni di terrore e sfiorandole l’orecchio come aveva fatto in precedenza, le sussurrò un dolce e tenero “Fidati di me principessa.”

Prendendola per mano, si diressero insieme ad Hans in una sala adiacente aperta anche ai fumatori, lasciando gli altri ospiti a guardarsi scioccati. Presero posto su un tavolo quadrato non molto grande ma lavorato nello stesso stile di quello da cui si erano appena allontanati, con Elsa e Anna uno affianco all’altra, Hans affianco ad Anna e il signor Weselton, il partner scelto dal ramato, tra quest’ultimo ed Elsa.

Hans accese una sigaretta, seguito dal suo compagno di gioco. Il cameriere poi portò una bottiglia di brandy e le carte da gioco.

Appena le carte toccarono il tavolo, Anna guardò il suo peggior avversario che a sua volta si mise a guardarla con quel suo ghigno fastidioso.

E tra l’odore di sigaretta, l’aria fresca che arrivava dalla finestra accanto e la tensione sempre più alta e percettibile, Hans si servì il primo bicchiere di brandy e arrogantemente diede inizio ai giochi, proclamando con forza il suo:

 “Iniziamo.”
*

Dire che era ansiosa era dire poco. Le sue mani stavano sudando, le sue gambe non avevano più smesso di tremare e la sua bocca era arida nonostante la quantità indulgente di acqua che aveva attraversato la sua gola negli ultimi venti minuti.

Venti minuti.

Ecco il tempo che erano rimasti seduti su quelle sedie da quando Anna e Hans si erano lanciati la sfida.

I due avevano dettato alcune regole prima di iniziare il gioco:

Punto Primo: “Si giocava a coppie. La mano vinta da uno dei due giocatori sarebbe andata a sommarsi ai punti della squadra.”
Di questo Elsa capì solo che fin tanto che Anna avesse vinto, lei non aveva bisogno di fare altro che stare seduta e guardare le carte a caso.

Punto Secondo: “La partita si sarebbe conclusa solo quando una delle due squadre avesse raggiunto quota cinque vittorie.”
Ok, a questo c’era arrivata. Cinque mani vinte e tutto sarebbe finito.

Punto Terzo: “Qualsiasi imbroglio avrebbe decretato come vincitore la squadra  che non aveva barato, indipendentemente dal risultato raggiunto.”
O almeno, così sarebbe stato se qualcuno fosse stato sorpreso a barare. Ma Hans era furbo. Sperava solo che Anna lo fosse di più.

Hans poi aveva prestato ad Anna metà dei suoi soldi in modo che potessero giocare in modo tradizionale. Da quel che sapeva Elsa, se Anna avesse vinto, la ragazza avrebbe potuto tenere i soldi, altrimenti avrebbe dovuto ridarglieli indietro. Ma la biondo platino sapeva che i loro compromessi non si erano limitati a quello. C’era qualcos’altro sotto, solo che ancora doveva scoprire cosa fosse.

Prima di iniziare, la biondo fragola aveva chiesto il permesso ad Hans di parlare con Elsa in privato per spiegarle le regole, permesso che le venne concesso. Si erano allontanate di pochi metri ma al posto di sentirsi elencare una sfilza di nomi di carte e combinazioni incomprensibili come si aspettava, Anna semplicemente ne aveva approfittato per rassicurarla.

“Mi spiace averti tirata in ballo così ma non volevo proprio stare in coppia con uno di loro. Sono dei barbari!”

Le aveva detto, mantenendo con difficoltà un tono della voce basso. Poi le sorrise.

“Andrà tutto bene vedrai. Non ti preoccupare se non sai le regole. Una volta che hai le carte in mano concentrati solo su numeri o colori e segui il tuo istinto. Al resto ci penso io, va bene?”

Era stata molto dolce. Si stava preoccupando un sacco per lei e lo trovava ammirevole. Ma sarebbe bastato? Sperava di sì.

Una volta tornate al tavolo, sempre sotto l’occhio vigile di Hans, le due ripresero i loro posti ed è lì che iniziò il finimondo.

In venti minuti erano state giocate otto mani e ancora Elsa doveva capirci qualcosa.

La prima partita era stata vinta da Hans che fiero e orgoglioso vinse con quello che Anna aveva chiamato un “Tris”. Aveva esultato svuotando l’intero calice di brandy che aveva davanti e accendendosi un’altra sigaretta. La dea della fortuna continuò a baciarli fino alla terza mano, dopo che il signor Weselton vinse la mano con Full.
Elsa non aveva idea di cosa fosse un “Full”, sapeva solo che a quanto pare era più potente delle carte sue e di Anna e questo non le piaceva.

La ruota però poi girò e finalmente al quarto turno riuscirono a vincere e togliere quel sorriso dal volto dei due ricconi da strapazzo. Fu la biondo fragola, ovviamente, a guadagnarsi il punto con una semplice Doppia Coppia.

“Solo fortuna.” Sentenziò Hans, per niente preoccupato.

E come dargli torto, il risultato era ancora tre a uno per la sua squadra!

Ma la mano successiva venne vinta di nuovo da Anna con le stesse carte di prima, Doppia Coppia, e come in precedenza i due uomini commentarono con uno sbuffo.

Il turno successivo non furono così fortunate. Per quanto la riguardava, Elsa non aveva nessuna carta con lo stesso numero né dello stesso seme che valessero qualcosa e a giudicare da come finì quella partita, la cosa valse un po’ per tutti: il punto venne dato ad Hans, che vinse con una Coppia.

Fu in quel momento che iniziò ad agitarsi più di prima: quattro a due non prometteva niente di buono. Alla distribuzione successiva delle carte, Elsa tenne gli occhi chiusi per gran parte della giocata e quando si decise ad aprirli, scoprì di avere quattro carte uguali di quattro semi diversi nella sua mano. Così, prima che Anna potesse puntare, prese lei una manciata abbondante di dollari e li spinse a metà tavolo, sopra a quelli già presenti, sperando di aver fatto la cosa giusta. Tutti e tre la guardarono sorpresi per un attimo ma poi Anna le sorrise e annuì con forza e questo le diede un po’ più fiducia.

Come si dimostrò alla fine di quella mano, Elsa aveva in mano un Poker, una delle combinazioni più toste del gioco. Ovviamente, la vittoria andò a loro.
Quattro a tre. Potevano ancora farcela.

L’ottava mano fu un’altra mano piuttosto abbondante. Weselton aveva in mano una Doppia Coppia mentre Elsa si ritrovò una coppia d’assi. Al turno di Hans, il ragazzo sbatté sul tavolo una Scala, convinto di avere la vittoria in pugno, solo per vedersela sfumare dal Full di Anna che, sorridendo, portò per la prima volta da quando era iniziata, il risultato in pareggio.

Quattro a quattro.

Era questa la situazione che stavano affrontando in quel momento e che stava provocando ad Elsa tutta quella ansia.

Con la coda dell’occhio vide Anna con le carte in mano con aria impassibile: nessuna goccia di sudore, nessun tremolio di mano, nessun sopracciglio alzato. Se ne stupì. La ragazza ci sapeva fare, era una giocatrice impeccabile.

Al contrario, i due uomini davanti a loro non sembravano così tranquilli. Weselton stava tremando così tanto che perfino il parrucchino si stava muovendo mentre Hans sembrava quasi imbronciato.

Entrambi avevano già puntato tutto il denaro che potevano puntare. Ora non restava che mostrare le carte. Il momento della verità era giunto.

Fu Weselton a mostrare le sue carte per primo. Nulla. Zero assoluto.

Elsa sentì parte della sua ansia diminuire.

Poi fu il suo turno. Doppia Coppia. Niente di grande, ma pur sempre qualcosa giusto?

Accanto a lei Anna e Hans si guardarono. La biondo fragola aveva ancora un viso senza emozioni ma alla vista della furia dipinta negli occhi del ragazzo, che stava cercando a tutti i costi di nascondere anche se senza successo, iniziò a notarsi un certo sollievo.

Prima di mostrare le sue carte, la ragazza si girò di lato e le fece l’occhiolino. Dopodichè con fare molto teatrale, mostrò le sue carte. Tris.

Beh, non era proprio una cosa magnifica si ritrovò a pensare Elsa. Anna però non sembrava d’accordo e capì presto il perché.

Hans era ancora paralizzato al suo posto. In un moto d’ira iniziò lentamente a stritolare le carte che aveva in mano e le lasciò andare solo quando erano ormai state stropicciate in modo irreparabile.

Si alzò di scatto e andò verso di Anna, raggiungendo il suo braccio e stringendoglielo con forza.

“Goditi la vittoria, poveraccia. Questi saranno gli unici soldi veri che vedrai in tutta la tua vita.”

Elsa si alzò dalla sedia ed era sul punto di fermare i due quando anche l’altra ragazza si alzò e staccò la mano di Hans dal suo braccio, spingendolo lontano da lei.

“Molto maturo da parte sua, Hans. Non sai accettare una sconfitta?”
“La tua è solo fortuna, sgualdrinella.”  Sputò in risposta.

Anna rise davanti all’infantilismo di lui. Elsa però era ancora troppo spaventata per concedersi questo lusso.

“Sei patetico. Sai, dicono che si sia fortunati in amore o nel gioco. A quanto pare ci sono le eccezioni. C’è chi, come me, che è fortunato in entrambi e chi, ahimè, non è fortunato in niente. A quale categoria pensi di appartenere?”

Lo punzecchiò.

“E comunque. Non ho bisogno dei tuoi soldi, tienili come premio di consolazione.”

Elsa vide gli occhi di lui socchiudersi e il suo corpo iniziò a tremare ma di certo non dal freddo. Prima che potesse anche rendersi conto di ciò che stava succedendo, Anna la prese con sé e con un flebile “Ti riporto di là, principessa” ritornarono nella sala da pranzo.

La sua salvatrice non fece tutto il tragitto con lei. A qualche metro dall’arrivo, la ragazza si fermò e si guardò intorno. Dopodichè disse con tono vagante che aveva una cosa veloce da fare ma le promise che sarebbe tornata in men che non si dica.

Per questo motivo, quando arrivò al tavolo, venne vista arrivare da sola e con un’aria un po’ solitaria.

Le signore erano rimaste sedute a spettegolare per tutto il tempo e quando Gerda vide la ragazza, la fece subito accomodare affianco a lei.

“Allora? Com’è andata?” disse con una certa eccitazione.

Com’è andata? Era una bella domanda. Era andata bene perché avevano vinto, male perché Hans se l’era presa così tanto e aveva quasi picchiato Anna, bene di nuovo perché la biondo fragola le aveva dimostrato ancora una volta quanto era fenomenale e male perché era certa di aver perso almeno cinque anni di vita dopo tutta quell’ansia.

Però c’era da dire una cosa. Sorridendo guardò la signora Brown e glielo disse ad alta voce.

“Mi sono divertita.” Proclamò sorridendo e con tono quasi infantile. “In più, abbiamo vinto!”

A questo seguirono gli esulti di tutte che per lo più batterono le mani e bisbigliarono tra loro compiaciute, affermando di aver sempre creduto che le donne fossero meglio degli uomini e che questi ultimi si davano un sacco di arie. Ovviamente una persona rimase in disparte. Idun a differenza di tutte sembrava sbalordita e incredula.

Anna tornò poco dopo, come aveva promesso e si fermò in piedi affianco ad Elsa.

Teatralmente fece un inchino e alzò le mani come segno di vittoria provocando molte risatine.

“Stupende signore, è stato un piacere conoscervi! Penso però che sia giunto il momento di tornare nei miei quartieri.”

Una serie di “no” prolungati e dispiaciuti accompagnò questa sentenza ma Anna aveva occhi solo per una persona: lei.

Elsa era dispiaciuta, glielo si leggeva in faccia. Ne era sicura perché non aveva la forza di celarlo agli occhi dell’altra ragazza. Voleva più tempo con lei.

Anna parve capire e si abbassò verso di lei, prendendole la mano. Avvicinò il suo viso a quello di Elsa così tanto che quest’ultima fu invasa dal suo profumo di fiori e primavera. Si trovò inspiegabilmente più calma e chiuse gli occhi, beandosi di questa sensazione finché un paio di labbra le sfiorarono la guancia sinistra e andarono ad appoggiarsi lì in un bacio candido e puro come la neve.

“Per te, principessa.” Sentì mormorare e nello stesso momento, sentì tra le mani un pezzettino di carta che Anna fece scivolare nelle sue senza farsi notare.

E mentre la ragazza si allontanava dal tavolo, diretta chissà dove, Elsa assicurandosi che nessuno se ne accorgesse, aprì il biglietto.

Quindi era questo che era andata a fare poco prima quando era sparita. La prima cosa che le saltò all’occhio fu la scrittura un po’ disordinata di Anna. Era piccola, con qualche macchia di inchiostro in più di qua e di là, ma era perfettamente leggibile. Doveva ammettere che la rappresentava molto e non potè trattenere il sorriso che le si aprì in faccia.

Il biglietto recitava:
Sei pronta ad una vera festa?
Ti aspetto fra 15 minuti all’orologio di oggi pomeriggio. Non tardare.
A dopo.
 
Subito ne rimase sorpresa. Poi questa sorpresa si trasformò in dubbio.

Lo rilesse un’altra volta.

Che aveva in mente di fare Anna? Doveva seguirla?

Ma poi il biglietto le fece ripensare a come Hans aveva arrogantemente affermato che era “sua” e a come Anna invece gli avesse dimostrato il contrario. Ripensò alla malinconia della sua vita e alla velocità del suo cuore quando pensava ad Anna. Ripensò alle sensazioni che vorticavano nel suo stomaco quando Anna le parlava e a tutte le volte che era arrossita per un suo commento.

E ancora una volta, la scelta le venne naturale.

Sorridendo, strinse il biglietto al petto. Aveva deciso.

Sì, a dopo andava benissmo.
 
 
 
A/N: Siete tutti ancora interi? Giunti alla fine senza essere morti di noia? Chiedo scusa per l'enorme ritardo. Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolone!
 
Ecco per voi il punteggio del Poker per chi non si intendesse, dalla combinazione più scarsa a quella vincente:
Carta isolata o carta alta: Comunemente corrisponde all'espressione "avere nulla", o "avere niente", "nessun punto" ecc. Esso è composto da 5 carte di seme diverso tutte di valore diverso e non in sequenza.
Coppia: formata da due carte di stesso valore e da altre 3 carte di diverso valore. In caso di più coppie vince quella di maggior valore.
Doppia Coppia: è composta da due carte di un valore, da altre due carte di un altro valore e da una carta spaiata.
Tris: è composto da 3 carte di stesso valore e da due carte spaiate
Scala: è formata da 5 carte tutte in sequenza e solo da 5 carte e non tutte dello stesso seme.
Colore: è composto da cinque carte di uno stesso seme. È diverso dalla scala colore perché si può comporre anche con carte di diverso valore non consecutive.
Full: è un punto formato da cinque carte, ottenibile quando si hanno tre carte di uno stesso valore e le rimanenti due di uno stesso valore (ovviamente diverso da quello del tris). In altre parole il full si ottiene quando si ha in mano contemporaneamente una coppia e un tris, di valori diversi.
Poker: è un punto formato da 4 carte di stesso valore più una carta spaiata.
Scala a colore: è composta da 5 carte in sequenza dello stesso seme.
Scala reale: è formato dalle 5 carte più alte di un solo seme.
Comunque se cercate su Google Immagini  “Punteggio Poker”, penso capirete meglio.
 
RINGRAZIAMENTI:
- SaraJLaw: Ha il merito per la maggior parte delle stesura di questo capitolo, anche solo per il fatto che più di una volta mi ha dimostrato che avrebbe volentieri preso un treno per venire a trovarmi e picchiarmi a sangue. Mi ha spronato, mi ha aiutato, mi ha sistemato un sacco di frasi, mi ha addirittura ridetto tre volte le regole del galateo perché continuavo a perdere gli appunti. GRAZIE SIS.

- Calime: Le nostre infinite chiamate di Skype e il suo immenso aiuto sono stati fondamentali. Non posso ringraziarla abbastanza per tutto il tempo che ha sprecato per me, per aver avuto la pazienza di starmi dietro e di aver rinunciato ai suoi impegni per permettermi di pubblicare. Ha pure fatto qualche ricerca a mio conto. Ti ringrazio, sei una criceta fantastica.

- Kengha: Voleva 10.000 parole. Arrotondando anche anche ci arriviamo. Grazie degli urli spronatori e continui e stressanti, mi hanno aiutata a passare quello stupido blocco che mi aveva preso. In più, mi hai aiutata a distrarmi dai cattivi pensieri. Perciò grazie ancora!

- A tutti voi recensori, lettori anonimi, amici di Fb vecchi e nuovi che mi siete stati vicino e avete avuto la pazienza e la voglia di aspettare fino ad oggi.


SPERO NE SIA VALSA LA PENSA.
CON AFFETTO,
VOSTRA HENDY.

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Capitolo 16
*** Una vera festa ***


Nove rintocchi batterono l’ora risuonando nel ponte D, seguiti lontano dallo loro stessa eco che si espanse nell’aria come polvere nel vento.

La sera era ormai giunta. Il suo ritorno era stato accompagnato da un calo delle temperature piuttosto rigido e lo si sentiva dal freddo pungente che faceva battere i denti e dalla brezza che fischiava fin dentro le orecchie delle povere persone che si trovavano strette nella sua morsa.

In lontananza era possibile udire le voci e gli schiamazzi dei festanti di prima classe che ancora davano spettacolo mentre l’orchestra accompagnava le risate con un’armonia vivace e allegra adatta a mantenere l’entusiasmo alle stelle e incentivare la consumazione di qualche bicchiere in più di vino.

Solo una persona se ne stava in piedi, solitaria, affianco al grande orologio dell’ala est del ponte in balia del gelo di quella sera. Ogni tanto il cigolio di una porta, unito all’aumento del vociare le faceva alzare il capo e il biondo platino dei suoi capelli veniva messo in risalto dal bagliore della luna, ma dopo essersi accertata che coloro che stavano uscendo fossero solo alcune persone sconosciute pronte a ritirarsi nelle loro rispettive cabine, la ragazza tornava a concentrarsi sui rumori che inondavano la nave.

La serata era tranquilla e serena. Il Titanic sembrava stesse danzando tra le onde che si infrangevano con grazia lungo il lato della nave, ovattando il rumore delle eliche in funzione.
Il cielo era coperto da una spruzzata di nuvole candide che spinte dal vento correvano lontane, lasciando alla luna il suo compito di risplendere e riflettersi sul mare.

Un brivido corse lungo la schiena della giovane che senza preavviso iniziò a battere violentemente i denti in un vano tentativo di recuperare il calore perduto della sala in festa.

Alzando la testa verso il cielo si maledisse di non essersi portata appresso qualcosa di più pesante dell’abito semi scoperto che stava indossando, desiderando ardentemente qualcosa che la riparasse dal venticello che si era alzato.

Come terminò il pensiero, sentì all’improvviso un peso sulle spalle che nulla aveva a che fare con il carico emotivo che era solita sentire su di sé. Quello, in quel momento, era confortevole ed emanava un calore rasserenante che bloccò all’istante il suo tremore.

Si rese conto che quella sensazione era data da una giacca grigio scuro, piuttosto pesante e larga, che emanava un leggero profumo di fiori, mischiato all’odore di fieno e, rise al pensiero, di vecchio. Si chiese se era quello il profumo della felicità.
Non aveva bisogno di conoscere il volto della nuova arrivata per capire chi fosse. Quel profumo era indimenticabile e insostituibile.
Le sue orecchie poi vennero accolte dal suono armonioso della sua voce.

“Bella serata.”

E sì, quella serata era bella davvero.

Anna si trovava al suo fianco, appoggiata all’orologio con la spalla, guardando il cielo con aria stupefatta di chi vedeva le stelle per la prima volta nonostante le innumerevoli volte che indubbiamente si era fermata ad ammirarlo. Proprio come un bambino, innocente e puro.

“Scusami, non ti avevo sentita arrivare.” Si scusò una volta che i loro sguardi si incrociarono.
“Scusami tu principessa. Quelle scarpe erano devastanti! Dovevo assolutamente disfarmene.”

E guardandola meglio, notò che la ragazza si era cambiata e aveva ripreso i suoi vestiti originali. Indossava infatti la camicia verde giada e i pantaloni beige chiaro con tanto di bretelle di quello stesso pomeriggio, con l’unica differenza che stava indossando anche una sciarpa. Il vestito di quella sera le stava bene, certo, ma il completo che indossava in quel momento era più caratteristico di lei, era più nel suo stile.

Si chiese come avevano fatto ad essere già asciutti e ben piegati viste le condizioni di qualche ora prima ma la domanda silenziosa ricevette ben presto risposta.

“Gerda li ha fatti asciugare e li ha inviati alla mia cabina.”

Nei suoi occhi vide la gratitudine e un pizzico di imbarazzo che raggiunse anche il tono della voce. Elsa si ritrovò a sorridere guardando il suo viso. Anna era molto umile e modesta e-

Un pensiero la colpì.

Guardando la ragazza affianco a lei, Elsa poteva dire di certo che anche quei vestiti non erano adatti al clima attuale. Il che spiegava il motivo per cui Anna si era portata appresso la giacca ma quella al momento si trovava sulle sue spalle.

“Starai ghiacciando!”

Ciò che voleva dire però assunse un tono più alto uscendo quasi come un urlo disperato. Anna rimase spiazzata per un attimo da questo ma poi ridacchiò, controbattendo l’affermazione.

“No. TU stavi ghiacciando.”
“Non è vero.” Rispose difensiva, incrociando le braccia. “E poi, il freddo non mi ha mai infastidito.”
“Già, e io sono stata baciata da un troll.”

Guardandosi poi le due scoppiarono a ridere. Una delle cose che ad Elsa piacevano di Anna era in assoluto la risata di quest’ultima. Era gioiosa come la primavera, pura come la neve e contagiosa come il sole in estate. Più importante, la risata di Anna riusciva a sciogliere anche il suo cuore che aveva dimenticato quanto quel semplice suono potesse cambiare la giornata.

“Vogliamo andare?” chiese la biondo fragola una volta che le risa si furono placate.

E raggiungendo il suo braccio, intrecciandolo a sé, Elsa azzerò gli ultimi centimetri che le separavano.

“Tu sei pronta?” le chiese facendo l’occhiolino.
“Sono nata pronta.” Rispose Anna di rimando e le due presero a camminare fianco a fianco, consapevoli che in quell’istante nessuno avrebbe potuto interrompere nulla, consapevoli di essere diretti lontano da occhi inopportuni, consapevoli di essere, per la prima volta da sempre, libere di fare tutto ciò che desideravano come, per esempio, stare l’una affianco all’altra.  
 


Il tragitto per la terza classe non risultò essere lungo. Ci fu solo un momento in cui Anna sembrò tentennare e per poco non presero la direzione sbagliata ma, oltre a questo, tutto filò liscio.
Stavano raggiungendo l’entrata della terza classe da cui già si potevano sentire i suoni soffocati di una festa in corso, quando Anna iniziò a rallentare il passo. Durante il percorso avevano parlato del più e del meno ma, a differenza di prima,  la ragazza assunse uno sguardo serio e allo stesso tempo imbarazzato.

“Comunque…” iniziò il discorso “…a proposito dei miei amici. Sai, non voglio spaventarti ma possono essere leggermente sfacciati, soprattutto Eugene che di sicuro proverà a farti quel suo sguardo che conquista che non conquista nessuno.
Sono anche affettuosi, un po’ troppo forse. Olaf ti chiederà sicuramente un caldo abbraccio! Ma è innocuo! Non morde. Certo, c’è stata quella volta che per poco non mi ha morso un dito… ma è stato un incidente!
Poi sono chiassosi. Molto chiassosi. Cioè. Rapunzel a volte minaccia le persone con delle padelle. Ma ehi! Tutti abbiamo il nostro lato oscuro, no?
Potrebbero rivelarsi anche testardi ma sono brave persone e sono dolci e-”
“Anna!”

La ragazza non si era accorta di aver iniziato a gesticolare in modo vistoso e di aver dato il via a una parlantina in cui non ebbe neanche il tempo di respirare.
Grazie alla sua interruzione però, la biondo fragola poté riprendere fiato, anche se ancora sembrava sul punto di riiniziare a divagare. Per calmarla ulteriormente Elsa posò le sue mani nelle guance di Anna e la guardò negli occhi.

“Tranquilla, sembrano meravigliosi.” Disse con il tono più convincente e tenero che potesse raggruppare.

Sembrò funzionare perché la ragazza annuì in risposta e iniziò a respirare allo stesso ritmo di prima.

Insieme quindi si avvicinarono alla porta in legno davanti a loro. Passo dopo passo la musica e i rumori si fecero sempre più udibili ma nulla poteva preparare Elsa alla vista di ciò che c’era dentro.

Quando Anna si fece avanti e la aprì, la ragazza venne accolta dalla musica più bella che avesse mai sentito. Non era nulla di simile alla melodia da sala che ogni tanto suonavano in prima classe e faceva assopire, anzi. Era diversa. Quella che suonavano lì le faceva venire voglia di correre in pista e ballare e lasciarsi andare, trascinata da nient’altro che da un senso di gioia e divertimento che regalava quel miscuglio di note piene di energia.

La stanza poi era spaziosa, illuminata artificialmente e molto molto affollata. Tutto lì sembrava l’esatto opposto della prima classe.
In prima classe c’erano camerieri ovunque che dovevano sottostare ad ogni capriccio dei nobili presenti mentre lì ogni persona poteva servirsi ciò che voleva, quando voleva, in qualsiasi quantità. Inoltre ognuno poteva sedersi dove voleva, il che significava nessuno tavolo assegnato, nessuna compagnia sgradevole e nemmeno la minima presenza di sedie dure e scomode. La cosa che più le saltò all’occhio fu però la mancata usanza delle regole dell’etichetta. Ovviamente ognuno era ben educato ma c’era chi stava mangiando ai piedi di una scala, bambini che usavano le mani per afferrare del cibo ed Elsa giurò di aver sentito qualcuno parlare con la bocca piena! E a nessuno importava nulla! Non si giudicavano, non si scambiavano sguardi minacciosi, ognuno era libero di sottostare alle proprio regole. Agli occhi di Elsa, questo posto era a dir poco…

Fantastico!” pensò.

“Questa che vedi principessa è quella che noi comuni plebei chiamiamo Festa.”

Anna si allungò per prenderle la mano e, una volta che le dita furono intrecciate saldamente, le ragazze iniziarono a farsi largo tra la folla, schivando persone ubriache e facendo attenzione a non scivolare sul pavimento insudiciato da alcool rovesciato e resti di cibo.

Raggiunsero un tavolo lungo dove almeno tre compagnie diverse erano sedute, posizionato ai margini della pista da ballo che praticamente comprendeva tutta la stanza. Non fecero a tempo a sistemarsi che Anna venne subito invitata a ballare da una coppia di bambini, probabilmente fratelli.

La ragazza doveva aver conquistato molte persone ed essere molto popolare tra i passeggeri di terza classe. Quei ragazzini sembravano adorarla. Con un sorrisino di scusa, la biondo fragola si tuffò in pista e iniziò a ballare, lasciando indietro Elsa. A dire il vero però stare sola non le dispiaceva, non lì almeno dove tutto era caldo e accogliente. Lasciandosi accompagnare dalla musica, cominciò a battere le mani a tempo insieme alle persone al suo fianco.

Elsa si incantò a guardare i movimenti spensierati di Anna.

La ragazza si muoveva seguendo perfettamente  il ritmo, ma il suo non era proprio un ballo. Era più un giocare insieme alla musica e riusciva a trascinare pure quei bambini in questo.

La bellezza che emanava era disarmante. Elsa sentì ogni muro che aveva eretto nel corso degli anni sgretolarsi. Quante volte aveva pensato ad Anna nelle ultime ventiquattr’ore? Pensandoci meglio però si rese conto che non ci fu neanche un istante in cui non l’avesse pensata. Guardando il modo in cui si stava divertendo, iniziò a capirne finalmente il motivo.

Anna era veramente stupenda.

Quella sensazione che sentiva quando stava con lei, a cui ancora doveva dare un nome, era sempre più chiara. Il suo cuore batteva forte, come se prima non avesse saputo farlo. Il suo stomaco si contorceva ad ogni contatto, ad ogni sguardo rubato, ad ogni sorriso ricambiato. Il tempo con lei sembrava non essere mai abbastanza e quanto aveva desiderato che l’orologio si fermasse per non doversi separare da lei?
Ogni volta che sentiva pronunciare il suo nome implorava che fosse la sua voce che la chiamava. La sua vita aveva finalmente il suo valore e più di tutto, si sentiva viva, come se prima non fosse mai esistita.

Si era chiesta spesso, nelle ultime ore, cosa tutto ciò significasse. In quel momento, mentre la guardava danzare ed era immersa nella magia dei suoi pensieri, era più vicina alla risposta di quanto non avesse mai creduto.
Non era quello forse il significato del-

“Amore vi dico! A m o r e!”

La voce che aveva parlato arrivò da un ragazzo seduto sul tavolo dietro al suo. Era un ragazzo paffutello dai capelli scuri e riccioluti con un paio di ciuffi che sembravano volessero sfidare la gravità e che alla ragazza ricordava molto un ramoscello. All’apparenza sembrava essere molto dolce e sedeva al tavolo con una coppia piuttosto rumorosa: lui, castano scuro, muscoloso e con tanto di pizzetto che stava seduto con la testa appoggiata alla mano, e lei snella, dai lunghi capelli biondi e due occhi verdi brillanti che sembrava sul punto di saltare dallo sgabello in cui era seduta dall’eccitazione.

A quanto pare il ragazzo bruno stava cercando di spiegare agli altri due di aver trovato “la ragazza perfetta” perché alle orecchie della biondo platino giunsero frasi del tipo:
“Questa è davvero la nave dei sogni!”
“Il suo sorriso, avresti dovuto vederlo! E’ più bella perfino dell’estate!”
“E’ successo ad Anna, perché non può accadere anche a me?”

Aspetta. A-Anna? Quella Anna?

Non si rese conto che stava fissando i tre fino a che il suo sguardo non fu così intenso da attirare la loro attenzione. Quando i loro occhi si incrociarono, Elsa si sentì subito imbarazzata. Si girò di scattò e tornò a contemplare il tavolo sotto di lei pregando di non aver attirato troppa attenzione.

Capì che la sua preghiera non fu ascoltata quando l’uomo con il pizzetto le si avvicinò e, inchinandosi vistosamente, le disse:
 “La signora vuole ballare? Sguardo che conquista.”

Seguito immediatamente dopo dall’arrivo della ragazza dagli occhi verdi che gli diede uno schiaffo in testa, aggiungendo a tono di voce molto alto un “Eugene! Lascia stare la signora!” e il loro successivo bisticciare.

Elsa rimase scioccata per la piega che aveva preso quella cosa e non sapeva se dovesse intervenire per rassicurarli che era tutto bene o che altro, ma prima di potersi anche solo decidere, accanto a lei prese posto il ragazzo paffutello, porgendole una birra.

“Tranquilla, fanno sempre così!” disse con un sorriso a trentadue denti.

Elsa accettò il bicchierone e ne prese subito un sorso abbondante, lasciando che l’alcool scivolasse giù per la gola.

“Mi spiace di essere la causa del loro litigio.”
“Figurati! Non è colpa tua. Ieri mattina si sono rincorsi per il corridoio lanciandosi padelle! E’ stato stupendo!”

Certo che ce n’era di gente strana al mondo. Di sicuro erano persone particolari. Doveva ammettere però di non sentirsi affatto fuori luogo, tutt’altro. Erano un trio piuttosto affiatato, lo si poteva capire dalla prima occhiata e il fatto che l’avessero già presa sotto la loro ala non la disturbava affatto.

Ben presto si ritrovò a ridere assieme al ragazzo affianco a lei del litigio della coppia che proseguì per i minuti successivi.

Ma perché le sembrava di aver già sentito parlare di loro?

Ci mise un po’ a rendersi conto di chi effettivamente avesse attorno.

Padelle, sguardi che conquistano, il nome di Anna. Dovevano essere loro per forza.

“Aspettate ma voi siete gli amici di-
“Non starete ubriacando la mia principessa spero.”

Anna rientrò in scena proprio in quel momento. Era sudata e con il fiatone, e la prima cosa che fece fu saltare nelle braccia del ragazzo riccioluto che le aveva offerto la birra poco prima.

“Ehi mocciosa! Ti ho vista in pista. Eri stupenda!”

La biondo fragola rispose con un pizzicotto al complimento dell’amico per poi girarsi verso Elsa.

“Vedo che avete già fatto amicizia!”

Quella affermazione, detta con il tono più esuberante che Elsa avesse mai sentito, fu seguita da quattro paia di occhi sbarrati che la fissarono alla ricerca chi di qualche spiegazione, chi di una conferma.

“Andiamo, vi presento. Ragazzi, questa è Elsa!”

Un coro di “ELSA?!” si fece largo intorno a lei, seguiti da visi scioccati e bocche spalancate. Dalle loro espressioni era chiaro che avevano già sentito parlare di lei e anche tante volte. Fu proprio quella consapevolezza a far apparire un certo rossore nelle guance della ragazza. Anna, dal canto suo, ne sembrò entusiasta come se volesse puntualizzare qualcosa. Probabilmente, immaginò Elsa, la sua salvatrice aveva così tanto parlato di lei ai suoi amici da renderla quasi paragonabile a un mito.

Anna poi passò a presentare uno per uno i suoi amici.

“Questi sono Eugene e sua moglie Rapunzel. Ci siamo conosciuti qui sulla nave. Devo dire che Eugene non mi ha fatto una buona prima impressione…”  Eugene sollevò il sopracciglio nel sentir questo. “… ma poi siamo diventati amici. Mentre per quanto riguarda Rapunzel, beh, lei è diventata la mia migliore amica!”

“Ehi!” Arrivò la protesta del ragazzo riccioluto che mise un broncio adorabile mentre Rapunzel, al contrario, mormorò un “Aww” nei confronti di Anna.

“Pensavo di essere io il tuo migliore amico! Avevi detto che, siccome ho gli occhi marroni, non potevi non reputarmi tale!” continuò la sua lamentela il ragazzo.
“I tuoi occhi non sono marroni. Sono color cioccolato! C’è differenza! Il che rende te il mio migliore amico!”

Quello per fortuna sembrò rincuorarlo.

 “Tutto ciò che ha a che fare con il cioccolato è amico mio!” Aggiunse poi Anna. “Comunque lasciati presentare per bene. Questo è-”
“Ciao. Io sono Olaf e amo i caldi abbracci!”

Guardandoli, Elsa si sentì sopraffatta da così tanto calore nei suoi confronti. Erano ancora degli sconosciuti eppure già nei loro sguardi vedeva affetto e riconoscimento. Non avrebbe avuto problemi ad aprirsi con loro e riusciva a capire come mai Anna sembrasse così legata ai suoi amici. Sorrise, cercando di ricambiare i loro sguardi nel migliore dei modi.

“Piacere, io sono Elsa.”


 
I minuti successivi furono caratterizzati da una sfilza di domande dei tre che comprendevano curiosità sulla prima classe, sui suoi gusti e hobby (Rapunzel si animò quando nominò l’arte) o semplicemente cose banali come quanti vestiti avesse nell’armadio. Il tutto venne sorvegliato dagli occhi attenti e vigili di Anna che si assicurava che nessuno facesse domande inopportune o esagerasse nel bere visto che l’interrogatorio venne accompagnato da calici di birra uno dietro l’altro.

Fu Anna ad interrompere il tutto dopo ben venti minuti di discussione e una quindicina di bicchieri vuoti.

“Su gente. Non vorrete privarmi dell’onore di stare con questa bellissima donzella. Io e la signora dobbiamo ballare.”
“Che?” si fece sfuggire Elsa.

Pensava di essersi abituata ad Anna e alle sue idee bizzarre ma a quanto pare ancora quella ragazza riusciva a sorprenderla. A differenza di prima però non le avrebbe permesso di vincere quella battaglia.

“Oh no, io non ballo.” Rispose decisa.

Non fu esattamente una scelta saggia visto il sorriso che prese forma nel viso di Anna e il luccicare improvviso dei suoi occhi. Elsa deglutì.

“Io scommetto di sì.”

Anna riusciva ad essere così persuasiva a volte, oltre al fatto che era testarda senza misura. Fu così che si ritrovò in mezzo alla pista da ballo, inspiegabilmente, e con un’altra vittoria da aggiungere in favore dell’altra ragazza.

Non è che odiasse ballare a dire il vero. Le piaceva ogni tanto gironzolare per la sua stanza saltellando, ma quello non si poteva certo definire ballare. Era terrorizzata e il fatto che si trovasse al centro di una stanza piena di persone non stava aiutando.

“In verità non so ballare.” Sussurrò ad Anna.
“In verità nemmeno io. Lasciati guidare.”

La mano di Anna andò a posarsi sul suo fianco con un tocco statico. Brividi corsero lungo la schiena nel sentire la leggera pressione che esercitava la ragazza contro di lei e la sua stretta decisa non fece altro che far aumentare di colpo la temperatura della stanza.
Anna poi la portò più vicina a sé, facendole posizionare la mano sulla sua spalla. Fu in quel momento che la musica partì. Una musica ritmica, allegra, spensierata, ma era così presa dalla paura di sbagliare che si muoveva rigida tra le braccia dell’altra ragazza. I suoi piedi sembravano piombo e tutto d’un tratto sentì il bisogno di rimanere con la schiena dritta, come se dovesse far conto a qualcuno del modo in cui stava ballando.

Alla biondo fragola ovviamente non sfuggì quella cosa e dopo averle fatto fare una giravolta su se stessa accorciò di nuovo le distanze per sussurrare con tono dolce una breve frase.

“Non pensare a nulla, pensa solo a me.”

E pensare ad Anna era così semplice.

Chiuse gli occhi e decise di concentrarsi sulla ragazza: il suo profumo, il suo fiato sul collo, la sua mano contro il fianco, gli occhi splendenti, la cioccolata calda, la pioggia, le stelle... Tutto oramai era ricollegabile ad Anna.

Riuscì a rilassarsi e quando aprì gli occhi, si accorse che non aveva mai smesso di muoversi. I suoi movimenti erano cambiati, erano più sciolti e più fluidi. Avrebbe potuto essere una piuma lasciata libera nel vento. Capì di essere diventata un tutt’uno con la musica e i suoi gesti erano quelli di Anna, sincronizzati come non mai prima di allora.

“Vedi? Ci sai fare! Sei fantastica.”

Era vero! Ci stava riuscendo. Stava ballando sul serio!

Incuranti della folla, le ragazze iniziarono a danzare intorno, reclamando sempre più spazio e attirando sempre più occhi su di sé. Accompagnati dal battito delle mani e dalle note della musica, presero a girare, a saltare, a scatenarsi irrefrenabilmente, senza tregua, fino a far girare la testa perfino a coloro che guardavano, con l’unico effetto collaterale di una nausea data da un’eccessiva dose di felicità.

Non ancora soddisfatta, Elsa spinse Anna sopra ad un tavolo e ripresero a ballare in alto, sopra tutti, quasi come se fossero in cima ad una montagna lontano dagli altri, sfidandosi a fare i passi migliori. Una mossa dopo l’altra, alternandosi, iniziando da un tip tap e continuando con i passi del tango, le ragazze diedero il via ad una vera e propria battaglia. La melodia non cessava, anzi, sembrava adattarsi al loro gioco e le risate sembravano essere parte del componimento, intrecciandosi perfettamente nell’atmosfera che le circondava.

Quella che iniziò come una competizione però finì con una tregua in cui le due decisero di rintrecciare le loro braccia e tornare a ballare insieme, decretando come vincitore la sola canzone che le accompagnava.

Il ballo terminò con un coro di applausi pochi minuti dopo, seppur il momento di euforia durò ancora molto.

I bambini ormai erano andati a dormire ma la festa, quella vera festa, continuava e non aveva intenzione di fermarsi. Intorno a loro c’era chi chiacchierava, chi giocava a poker, chi si sfidava in giochi sciocchi per decretare il più forte e chi ancora si stava dando all’alcool. Perfino Elsa si fece la sua scorta di birra affermando con decisione che “solo perché sono di prima classe non significa che non sappia reggere l’alcool.”

Il bello di stare in terza classe era la diversità. Su nella fossa dei serpenti tutti conoscevano tutti, ogni persona aveva un nome la cui fama li precedeva e la gente pensava  solo a sé stessa. Lì, invece, stavano persone che parlavano lingue diverse, che avevano tonalità di pelle  differenti, e si doveva faticare per trovare qualcosa che li accumunasse oltre al fatto di essere in terza classe.  Ma in quel luogo almeno tutti erano uguali, senza nessuna discriminazione e non importava quale mestiere facessi, quanti soldi avevi in tasca o che nome avessero avuto i tuoi antenati. Seppur non conoscendo nulla di tutto questo, ci si aiutavano a vicenda. Come una grande famiglia.

Un momento in particolare le diede la conferma di questo.

Mentre la musica si ripeteva, una canzone dopo l’altra, un paio di persone si presero per mano e, saltellando intorno alla stanza, iniziarono a trascinare gli altri passeggeri nel loro piccolo gioco. Uno dietro l’altro, ognuno cercava di prendere per mano qualcun altro finchè ogni persona presente venne resa partecipe di quella catena in cui si lasciò parlare le risate, lasciando da parte ogni cosa, ogni problema, e permettendo alla spensieratezza e all’unione di prendere forma sotto tutto quell’intreccio di persone.
 


Era passata appena un’ora e mezza da quando le ragazze erano giunte in quella sala e Elsa iniziava ad avere i piedi doloranti. Più le lancette dell’orologio giravano, più il trambusto aumentava e la fine della festa sembrava sempre più distante.

Fu proprio in quel caos piacevole che successe.

Le due stavano tornando al loro tavolo per ricongiungersi con Olaf e gli altri e riposare un po’ i piedi, quando Anna venne spinta improvvisamente di lato da un passeggero ubriaco che passava di lì e finì per scontrarsi con Elsa.
Per poco Anna non fece cadere entrambe e il bicchiere di birra che era in mano sua, inevitabilmente andò a rovesciarsi contro la parte superiore del vestito di Elsa.

La prima reazione della biondo fragola fu il panico.

 “Scusami! M-mi dispiace, n-non volevo! Mi ha spinta e sono un’idiota e scusami!“

Tirando fuori un fazzoletto dai suoi pantaloni, si piegò in avanti verso Elsa, e prese a strofinarlo contro la macchia di alcool che si trovava precisamente sul suo…

Petto.

Anna si bloccò.

Cercò di trattenere il suo rossore prima di alzare lo sguardo ed affrontare l’altra ragazza con un’espressione mortificata. Quando si guardarono però, qualcosa in loro scattò. Il ghiaccio dei suoi occhi si ritrovò improvvisamente immerso nell'azzurro mare di quelli di Anna, in una combinazione esplosiva di colori, quasi surreale ai loro sensi.

Fu in quel momento che tutto intorno a loro iniziò ad abbassare di volume. Le voci divennero soffocate e l’unico odore che arrivava al loro naso altro non era che il profumo dell’altra, così forte da essere quasi palpabile.

Piano piano iniziarono ad avvicinarsi, come se fossero spinte da una forza superiore. Così vicine da farsi male, così lontane da non toccarsi ancora. Procedevano lentamente quasi volessero assaporare ogni minimo istante e ricordarsi ogni dettaglio, ogni piccolo movimento di quel momento.

Elsa sentì il labbro inferiore tremare e se lo morse leggermente. Subito dopo vide Anna leccarsi le labbra aride e vogliose.

Lo stomaco iniziò a brontolare, affamato di un desiderio viscerale, carnale ma allo stesso tempo profondo e sincero che mai era stato provato prima. Pelle d’oca cominciò a prendere forma in ogni centimetro di corpo, contrastando il calore presente al suo interno.

La mani iniziarono a sudare.

Erano così vicine che i centimetri di altezza erano l’unica distanza che le separava.

Solo un po’ di più, un altro po’.

Anna alzò la testa per far combaciare meglio i loro volti.

E come iniziò, tutto venne sfumato quando un grande fracasso alle loro spalle le fece sussultare e girare di scatto.

L’ubriaco che aveva contribuito a macchiare l’abito di Elsa era andato a finire contro il tavolo del rinfresco, rovesciando clamorosamente una decina di piatti e ribaltando un paio di sedie.

La sala scoppiò a ridere dopo un silenzio di tomba durato pochi secondi.

Nessuno, a parte Elsa e Anna, sembrò essersi accorto di ciò che stava succedendo tra loro due.

Si guardarono di nuovo ma al posto dell’imbarazzo, nei loro visi c’era solo il riflesso della felicità seppur macchiato da una leggera frustrazione.

Anna fece spallucce, con un sorriso malizioso in volto, quasi volesse dire “ci sarà un’altra occasione”.

Ancora in balia di quel desiderio primordiale, Elsa non poté che sperare di avere per davvero un’altra opportunità.

Lo sguardo della biondo fragola poi si posò nuovamente sulla macchia del vestito dell’altra ragazza.

“Stai bene?” le chiese con tono colpevole.

Elsa ridacchiò davanti a quel visino dolce e all’espressione da cucciolo che aveva appena assunto la sua salvatrice.

“Non sono mai stata meglio.”

E intendeva davvero quelle parole.

Non avrebbe potuto essere più felice di così.

Era parte di qualcosa, in compagnia di una ragazza stupenda che non l’avrebbe lasciata mai.

Nessuna serata era mai stata magica quanto quella, nessuna interruzione indesiderata era avvenuta.

Tutto andava veramente bene.

Nessuno però aveva notato la presenza di uno degli scagnozzi di Hans nella sala, ai cui occhi non era sfuggito nulla.

E per quanto tempo ancora le cose sarebbero andate bene, era un mistero che sarebbe stato risolto solo l'indomani...

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Capitolo 17
*** Promesse ***


Tornare alle loro cabine quella sera non era mai sembrato così surreale.

Anna aveva insistito nel voler accompagnare l’altra ragazza fino all’entrata del corridoio che dava inizio all’area riservata alla prima classe. Sebbene però la loro separazione si fosse conciliata con un dolce e casto bacio sulla guancia, una volta allontanatesi le due si ritrovarono con una sensazione di nostalgia attanagliata al petto. Durante il corso della giornata si erano così abituate a cercarsi con lo sguardo, a quei tocchi rubati e giocosi, a quel loro profumo elettrizzante a tal punto da mandare in tilt la mente, da non volerne più fare a meno. Ma entrambe, nonostante fosse doloroso e non voluto, dovettero inevitabilmente prendere strade diverse.

Non si fecero nessuna promessa di rivedersi, non si dissero nulla se non una flebile “Buonanotte” sussurrata, ma entrambe erano ormai consapevoli che il loro destino era stato intrecciato e che non servivano parole come “ A presto” per sapere che si sarebbero riviste.

 
Quando Elsa arrivò nella sua stanza, non si aspettava di trovare le luci accese vista l’ora ormai tarda. Da sotto la porta usciva una flebile luce e il suo primo pensiero fu che Hans la stesse aspettando. Non sapeva se sarebbe stata in grado di affrontare una conversazione con lui in quel momento perché avrebbe significato rovinare la serata perfetta che aveva appena vissuto e, visto la sua recente sconfitta a poker, sicuramente non sarebbe stato di buon umore. Prima di entrare quindi, cercò di captare qualche suono per capire chi potesse esserci al di là di quella porta. Non sentendo però alcun rumore si avvicinò e piano piano abbassò la maniglia, stando attenta a non far cigolare la porta. Quando fu aperta abbastanza, sbirciò al suo interno ma quello che vide fu di gran lunga rincuorante.

Mellow era seduta su una sedia affianco al letto, ancora con il suo vestito di cameriera addosso, guardando un punto indefinito della stanza . Elsa sospirò di sollievo ed entrò, richiudendo dietro di sé la porta.

“Mellow, mi hai spaventato. Pensavo ci fosse Hans ad aspettarmi! Non puoi immaginare quello che- aspetta. Mel?”

La cameriera sembrava stesse sognando ad occhi aperti. Lo sguardo perso nel vuoto, le guance arrossate, la bocca appena aperta; se non fosse stato per le labbra incurvate all’insù in un dolce e tenero sorriso, Elsa sarebbe stata certa che si fosse presa un raffreddore.

Avvicinandosi la chiamò più volte, senza ricevere risposta. Solo quando le sfiorò la spalla con il palmo della mano, l’altra ragazza si destò dai suoi pensieri.

Al contatto, Mellow si girò di scatto sbarrando gli occhi come se fosse stata appena colta in fragrante, ma appena vide il volto di Elsa si rilassò visibilmente, prima di scattare in piedi nuovamente terrorizzata e iniziare a scusarsi.

“S-signorina Elsa! Non mi ero resa conto del suo ritorno! Chiedo umilmente perdono! Mi spiace, sono mortificata!”

La scena avrebbe potuto essere divertente se non fosse per il fatto che Mellow si sentiva veramente dispiaciuta.

“Ehi Mel, calmati, va tutto bene davvero.”

Elsa tentò di calmarla, cercando di usare un tono più confortante possibile, ma la ragazza a quanto pare non la stava ascoltando.

“Di sicuro starà morendo dal sonno! Che ore sono? Oddio, è così tardi! Le preparo il bagno? Le vado a preparare della cioccolata? O preferisce il thè? Le corro a prendere la camicia da notte! Posso darle una mano con quel vestit- aspetti. Che sta indossando?”

Elsa ebbe bisogno di qualche secondo per registrare quella frase e spostare lo sguardo su di sé. Guardandosi notò che stava ancora indossando la giacca di Anna.

Oh, giusto. Me l’ha ridata.” 

Elsa era arrivata alla vera festa indossando ancora la giacca della biondo fragola. Nonostante fosse un luogo chiuso, la sala non era riscaldata come in prima classe perciò si era trovata più a suo agio con quella addosso. La situazione cambiò però quando fu invitata a ballare. Ad un certo punto l’atmosfera era diventata così calda che aveva sentito il bisogno di togliersela e così fece, affidando la giacca a uno degli amici dell’altra ragazza. 
Tuttavia, nel momento in cui le due uscirono, pronte a tornare ai loro alloggi, Anna gliel’aveva gentilmente adagiata contro le spalle dicendole:

“Non voglio mettere in dubbio il fatto che il freddo non ti infastidisca, ma ho ballato così tanto da non avere più la forza di portarla. Non ti spiace tenerla un po’ tu, vero principessa?”

Era una scusa così banale. Ma nel modo in cui Anna pronunciò quella frase, Elsa non poté che accettare senza fare storie. La sua salvatrice si preoccupava così tanto per lei che ne rimase colpita. Quella giacca poi aveva un effetto tranquillizzante su di lei che non le dispiaceva averla avvolta intorno a sé. Era calda e sembrava di stare tra le braccia della sua salvatrice, protetta e amata.

Sorrise a Mellow.

“E’ di…Anna. Era preoccupata che prendessi un malanno con il freddo glaciale che c’è la fuori.”

Mellow si lasciò sfuggire un mugolio di piacere al sentire quella frase.

“Quindi devo presumere che sia andato tutto bene?”

Ad Elsa si illuminarono gli occhi e corse a prendere le mani della cameriera, stringendogliele forte in una stretta che emanava tutta la sua eccitazione.

“Oh Mel, è stato così, così stupendo!”

E liberatasi le mani, si allontanò roteando su se stessa, incapace di trattenersi.

“Anna indossava questo magnifico vestito e la cena sarebbe stata una noia mortale senza di lei! Ha pure sfidato Hans a Poker! E indovina un po’? Ho giocato con lei! E abbiamo pure vinto!”

“Il che spiega perché è tornato così incavolato…” mormorò la cameriera con un fil di voce, ma le sue parole non giunsero alle orecchie della biondo platino che con il tono infantile di chi aveva appena scartato i regali di Natale, aveva dato il via al racconto della serata, volteggiando di continuo come se stesse rivivendo con ogni passo le emozioni provate.

“Abbiamo ballato tutta la sera, è stata una festa magnifica! E lei balla così bene, Mel! Ma è finito tutto così in fretta. Voleva pure accompagnarmi fino a qui! Per tutto il tragitto non ha fatto altro che tenermi la mano per paura che congelassi. Eravamo così vicine che potevo sentirla respirare! Respirare Mel! Non volevo più lasciarla andare ma non ho avuto il coraggio di dirle che non volevo andarmene e penso che per lei fosse lo stesso. O almeno lo spero. E mi ha pure dato un bacio!”
“Un bacio?!” affermò scioccata la cameriera.

Ricoprì velocemente la distanza che Elsa aveva messo tra loro volteggiando a destra e sinistra e sembrava sul punto di urlare dalla gioia quando…

“Sulla guancia!”

E tutta la sua felicità sembrò svanire in un lampo.

Elsa non capiva. Era una notizia stupenda! Avrebbero dovuto gioire insieme ma Mel sembrò quasi delusa.

“E’ stato un bacio semplice e tenero ma mi ha riscaldato come avrebbe fatto una cioccolata calda.”

Stava veramente paragonando il bacio di Anna alla cioccolata? Che le era preso? D’altronde, come poteva darsi torto? Quel bacio era stato di una dolcezza infinita e avrebbe voluto volentieri  riceverne un altro. Ma che dire di Hans?

“Oh ma al diavolo.”  Si lasciò sfuggire ad alta voce, sorprendendo se stessa e facendo sussultare perfino la povera cameriera.

Era una novità per lei. Di solito non imprecava mai. Al momento però non le importava cosa fosse giusto e cosa no perché il suo cuore non aveva spazio che per la felicità che Anna le aveva fatto provare.

Felicità.

Improvvisamente si ricordò dello sguardo nel vuoto di Mellow.

“Mel! Dovremmo parlare di te! Come mai avevi quello sguardo prima? Non sei malata, vero?”              

A questo Mellow assunse una tonalità molto colorata in volto e girò la testa di lato in un vano tentativo di nascondere il rossore.

“Che dire d-di me? N-non c’è niente da dire.”

Ma Elsa non se la sarebbe bevuta. Si vedeva chiaramente che c’era sotto qualcosa e dalla sua reazione doveva essere qualcosa di veramente emozionante. Tentando di mettere a proprio agio l’altra ragazza, la biondo platino la spinse sul letto, facendola sedere al suo fianco.

“Su, sono tutta orecchi. Che è successo mentre ero via?”

Mellow era parecchio tesa e cercò in tutti i modi di evitare lo sguardo di Elsa. Quest’ultima sentì crescere l’ansia per quel suo strano atteggiamento e la preoccupazione di prima riprese il sopravvento, ma Mellow cedette presto allo sguardo di supplica sul volto di Elsa appena i loro occhi entrarono in contatto.

“I-io… ho conosciuto qualcuno.”

Elsa trattenne a stento il gridolino che le stava nascendo in gola e nascose la sua sorpresa portando una mano davanti alla bocca. Probabilmente la reazione iniziale della sua cameriera personale era stata dettata solo dall’imbarazzo e subito tutto il nervosismo scivolò via lasciando spazio alla curiosità.

Doveva essere qualcuno di speciale se stava facendo comportare Mellow in quel modo: agitazione, rossore, occhi sognanti… Le ricordava se stessa quella mattina quando stava pensando ad Anna. Per un attimo si rispecchiò in lei.

“Qualcuno chi?”
“Un r-ragazzo.”

La curiosità certamente in quel momento salì alle stelle anche se Mellow non sembrava sul punto di voler raccontare molti altri dettagli. Con gli occhi da cucciolo, guardò la castana in cerca di ulteriori informazioni e come si poteva resistere a quel suo sguardo? Elsa sapeva che quella era la sua arma migliore.

“Va bene, hai vinto.”

Un urletto vittorioso stavolta uscì sul serio dalla biondo platino che si risistemò meglio nella sua parte di letto e si preparò a sentire la storia, incoraggiando la ragazza affianco a lei a raccontare. E prima ancora che se ne rendesse conto, Mellow si catapultò nel discorso e la sua voce risuonò tutto attorno a loro.

“E’ il ragazzo più dolce che io abbia mai conosciuto. Ha gli occhi color marrone che sembrano emanare calore e sprizza felicità da tutti i pori. E i suoi capelli hanno quei buffi ricciolini che appena li guardi ti viene voglia di toccarli e giocarci. Ama l’estate e il caldo e mi ha aiutata prima, quando camminavo sul ponte. Mi era caduta una cosa e lui l’ha raccolta per me ed era così imbarazzato da non riuscire a dire nemmeno il suo nome. Mi ha invitata subito a prendere qualcosa con lui e come potevo rifiutare? E’ stato così dolce. ”

Dolce come il sorriso che Mellow aveva stampato in viso. Elsa era così contenta per lei ed era felice che le due stessero vivendo quel momento di condivisione.

Da quando aveva conosciuto Anna, Elsa stava iniziando a capire sempre di più quanto anche Mellow fosse importante per lei. Era inevitabile. Anna le faceva vedere le cose belle della vita, e Mellow era una benedizione nonostante il loro rapporto signora-cameriera. Quando aveva iniziato a considerarla più di una semplice subordinata?

La loro amicizia man mano che il tempo insieme trascorreva, cresceva sempre di più e se ne stava rendendo conto più che mai durante quello scambio di informazioni, in quel loro momento di tenerezza che stavano condividendo così affettuosamente ripensando alle loro nuove conquiste, senza badare alle formalità.

“E’ proprio vero che l’amore cambia le persone.” Mormorò Elsa distrattamente.

“H-hai detto qualcosa? Mi spiace, devo aver parlato troppo!”
“Niente affatto. Sono felice che anche tu abbia trovato la tua felicità, Mel.”
“Grazie, Elsie. Sono felice anch’io.”

Le due si guardarono, grate che qualsiasi barriera potesse esserci fra di loro in quel momento fosse svanita e si abbracciarono. Mellow usava quel nomignolo raramente con lei, ma quando lo usava era sempre ben gradito. Erano quegli istanti in cui si trovavano ad essere amiche e nient’altro, cosa che negli ultimi tempi, tra una circostanza e l’altra, erano riuscite a far poco. Ma in quelle occasioni ognuno supportava l’altra, si scambiavano gesti semplici di amicizia che poche volte tra loro si erano visti ma di cui entrambe avevano cura e avrebbero tenuto nel loro cuore per sempre.

Stettero così per una buona dose di tempo. Quando si staccarono Mellow aveva gli occhi lucidi dall’emozione. Probabilmente quell’attimo che avrebbero tanto voluto che potesse essere prolungato all’infinito, era stato uno dei momenti più teneri che avessero mai condiviso.

Tornando con i piedi a terra però, Elsa vide Mellow aggrottare la fronte e prima che potesse anche chiedere a cosa stesse pensando, Mellow esternò i suoi dubbi con voce preoccupata.

“Credo sia meglio non mostrare quella giacca al signor Southern. Sarebbe meglio nasconderla prima che la veda e ne faccia un dramma. Era già di cattivo umore questa sera.”

Non aveva tutti i torti.

“Non ti preoccupare.” Le rispose con un sorriso rassicurante. “La nasconderò nell’armadio e alla prima occasione la ridarò ad Anna.”

Staccarsene sarebbe stato difficile. Era bello essere in possesso di qualcosa che le ricordasse l’altra ragazza. Ma non poteva certo tenerla per sempre, doveva ritornare al suo proprietario. A quello però avrebbe pensato l’indomani. Non avrebbe occupato la mente con quei pensieri, tutto ciò che voleva fare era essere felice. E le riusciva così bene.

Più tardi quella sera, quando si stese a letto e chiuse gli occhi, sognò di balli e musica, di giacche profumate, di sorrisi trionfanti e di Lei.

Di nuovo.

E si lasciò cullare dai sogni, ignara del sorriso che le adornava le labbra mentre dormiva.
 
*
 
La serata, dal punto di vista Anna, non sarebbe potuta andare meglio.

Non si aspettava che il suo rapporto con Elsa potesse crescere in modo così intenso in così poco tempo. La prima sera che si erano viste, la biondo platino era sembrata una ragazza dolcissima a cui però piaceva mantenere le distanze e, dal modo in cui si comportava, pensava fosse un osso duro da conquistare. Invece durante il corso della giornata si dovette ricredere. Avevano condiviso assieme un sacco di teneri momenti, dalla cioccolata calda alla corsa sotto la pioggia, per non parlare poi della cena in prima classe. Erano gesti semplici ma Anna era riuscita a guadagnarsi la fiducia dell’altra ragazza più di quanto lei avrebbe creduto possibile, ed era certa di aver lasciato il segno.

Era di per sé una conquista personale, una delle molte che aveva avuto quel giorno: aveva indossato un vestito elegante senza aver fatto nulla di disastroso per rovinare la sua immagine, aveva vinto un’altra partita a poker che come premio aveva niente meno che Elsa in persona ed era pure riuscita a convincere quest’ultima ad accompagnarla alla festa in terza classe.

Un colpo da maestro!

E quello di cui più era grata era di essere riuscita a far stare bene Elsa. Da quando si erano conosciute, i sorrisi di quella sera erano stati quelli più sinceri e passionali. Anna non credeva che una donna già perfetta potesse sembrare ancora più bella.

Quando si decise a tornare alla sua cabina, dopo aver passato una buona mezz’ora a ciondolare per il ponte ad ammirare il cielo, la ragazza trovò le luci completamente spente. Magari avrebbe avuto qualche chance in più di trovarle aperte se non avesse tardato così tanto, ma certo non avrebbe potuto lasciare la ragazza in balia di una nave piena di ubriachi di notte! Perciò, quando entrò, cercò di non fare neanche il più piccolo dei rumori e si avvicinò al letto in punta di piedi.

Lanciò le scarpe da una parte e si stese, cercando di far cigolare il materasso il meno possibile e nel momento in cui la sua testa si posò nel cuscino, la voce di un certo ragazzo riccioluto si sparse nella stanza, facendola sussultare rumorosamente.

“Allora sei tornata mocciosa.”

Anna non si aspettava di trovare qualcuno ancora sveglio e il suo battito cardiaco accelerato ne era la prova. Prima che potesse anche rispondere, un’altra voce, stavolta femminile, si unì alla precedente.

“Non avrai creduto che stessimo dormendo!”
Ovviamente no…” pensò la ragazza.

E il suo pensiero finì con il dolce russare dell’unico uomo così intelligente da essere addormentato.

“O almeno. La maggior parte di noi è sveglia.” Decretò Rapunzel.

Anna sghignazzò leggermente.

I suoi amici. Doveva aspettarselo, di cosa si stupiva? Pensandoci bene, avrebbe fatto lo stesso. Cioè, avrebbe tentato! Ma era famosa per addormentarsi appena sfiorato il cuscino, cosa che comunque quella sera non poteva succedere vista la quantità di adrenalina che aveva ancora in circolazione. Non poteva negare però che aveva degli amici fantastici. Fantastici e impazienti pure!

“Dobbiamo estrapolarti le risposte che vogliamo a forza di solletico o hai intenzione di collaborare?” chiese Rapunzel con tono di chi aveva già pronta la padella sotto il cuscino.
“Oh io amo il solletico!” Olaf, ovviamente.

Cercò di fare la dura, nascondendo il suo divertimento con tutte le forze.

“Mi spiace per voi ragazzi ma io NON soffro il solletico.”
“Ma avevi detto che lo soffrivi.” Arrivò la risposta desolata di Olaf.
“Era una bugia? Non si dicono le bugie Anna!”
“Olaf, non è-”
“Quella volta che dormivi e ti sono venuta a svegliare però-”

Oh… Era nei guai. Si ricordava quella volta e se Rapunzel ne fosse venuta a conoscenza sarebbe stata la sua fine.

“OLAF, NON -”
“-mi ricordo di averti toccato appena i piedi-”
“OLIVER, stai-”
“e sei letteralmente saltata sul letto-”
“Ti prego!”
“scoppiando in una risata isterica-”
“Olaf.”
“e hai detto di non farlo più perché-”
“Ola-”
“sui piedi proprio non puoi sopportare-”
“Ol-”
“il solletico.”
“…”
“…”
“Ti odio.”

A quanto pare cercare di interromperlo non servì a nulla. La cosa peggiore era che Olaf nemmeno si rese conto del guaio in cui l’aveva cacciata. Quel ragazzo parlava sempre troppo! Ma ciò che più la terrorizzò fu la risata malefica di Rapunzel e il suo successivo:

“Olaf ha ragione Anna, non si dicono le bugie.”

Quello era decisamente spaventoso. La verità? Sì. Soffriva irrimediabilmente il solletico.

Arrivati a quel punto avrebbe potuto sistemare la faccenda solo in un modo.

 “Va bene, va bene. Che volete sapere?”

Arrendendosi. Non seppe mai cosa avrebbe potuto essere peggio tra il solletico da cui era riuscita a salvarsi a malapena e la sfilza di domande che le vennero fatte subito dopo la sua sentenza di resa. L’unica cosa di cui era certa è che quelle domande uscirono con una velocità quasi irraggiungibile per l’essere umano. Olaf iniziò a chiedere domande accettabile tra cui “Com’è andata la giornata?”, “Vi siete divertite?” “Com’era la prima classe?” mentre l’unica cosa a cui Rapunzel sembrava interessata era “Vi siete baciate?”, “Vi siete baciate?”, “Vi siete baciate?!” e fu quella a farla arrossire. Per un attimo fu grata del fatto che la cabina fosse quasi completamente oscurata, salvo per i raggi di luna che entravano dal piccolo oblò. Tuttavia poteva chiaramente sentire l’eccitazione di Olaf che, emozionato, stava facendo cigolare il letto sopra al suo con i suoi continui saltelli, e il fremito nella voce di Rapunzel che probabilmente si stava trattenendo solo per non interrompere completamente il sonno del suo amato. Fu solo quando i loro toni si alzarono un po’ troppo di volume che Anna intervenne in modo da non svegliare Eugene.

 “Ora vi racconto ma fate silenzio!”

E così prese a raccontare in dettaglio tutto ciò che avvenne, lasciando che la sua voce risuonasse tra le pareti di quella stanza buia, interrotta solo ogni tanto da i mormorii di stupore dei due ascoltatori e dal leggero russare di Eugene. Non tralasciò neanche un particolare, descrivendo perfino le sue emozioni e lasciando che il tremolio della sua voce facesse intuire quanto quella giornata fosse servita a far legare le due ragazze che fino al giorno prima erano totalmente estranea l’una all’altra.

“…e per rispondere alla tua domanda Punzie, le ho dato un bacio sulla guancia… e avresti dovuto sentire la sua pelle! È così morbida. Nessuna delle due voleva tornarsene indietro ma lei non poteva fare troppo tardi. Spero non si cacci in troppi guai per questo. E spero solo di vederla domani di nuovo.”

Finì il discorso sospirando. Per tutto il tempo aveva mantenuto una voce sognante e allegra ma sperava davvero di poter vedere Elsa di nuovo. A dire la verità, già sentiva la sua mancanza.

“E la tua giacca?” intervenne Olaf che aveva ascoltato con fervore il racconto di Anna, quasi fosse una favola della buonanotte.
“L’ho appoggiata….là.” L’ultima parola venne mormorata appena, tanto che nessuno eccetto lei la percepì. Ma un pensiero l’aveva colpita. Era vero, che fine aveva fatto la sua giacca? L’ultima volta che l’aveva vista era sulle spalle di…

ELSA!” urlò mentalmente.

Era stata così presa ad ammirare la sua principessa da essersi addirittura dimenticata di riprendersela!

Perché sono così sbadata!”

Continuò a rimproverarsi mentalmente per qualche secondo ma quella che all’inizio sembrava una disgrazia, ben presto divenne una fonte di nuove idee.
Si bloccò di colpo e nella sua mente, al posto delle imprecazioni, iniziarono ad aprirsi una carrellata di possibilità e il suo sorriso, nascosto ai presenti, tornò malizioso sul suo volto carico di desiderio.

Quello di dimenticarsi la giacca era stato un colpo di genio! E anzi, non le dispiacque per niente.

Se lei ha la mia giacca significa che dovremmo rivederci per forza.” Ridacchiò soddisfatta, festeggiando internamente quasi come avesse appena vinto un trofeo.

Ma la questione al momento era un’altra. Come avrebbe risposto ai due ragazzi? Non poteva certo tenerglielo nascosto…

Decise per la sincerità. 

“Potrei aver dimenticato di riprendermi la giacca.” Disse, non riuscendo a nascondere il tono vittorioso e soddisfatto.
“E’ così eh?” rispose Rapunzel, che probabilmente aveva già capito le intenzioni dell’amica.
“Non è che lo abbia fatto apposta, davvero!” si difese. “Solo ero un po’ distratta e l’ultima cosa a cui stavo pensando era quella giacca e non è che gliel’abbia lasciata perché voglio vederla. Cioè. Ovviamente voglio vederla! Ma non è che mi dispiaccia di averla dimenticata!”

Avrebbe veramente dovuto tagliare il discorso a metà perché più andava avanti con quella parlantina, più la cosa si stava facendo imbarazzante. Quasi come fosse diventato uno scioglilingua, Anna continuò senza sosta, ripetendosi di volta in volta finchè non si morse la lingua e fu costretta ad uno stop. Riprendendo fiato, finì la sua sentenza con un esasperato:

“Quindi direi che è stato solo un colpo di fortuna! O insomma, chiamatelo come volete.”

Il ridacchiare dei due le fecero assumere ancora più colore in volto e di nuovo si ritrovò a ringraziare l’oscurità presente che la nascondeva alla vista dei suoi diabolici amici.

Le risposte di Olaf e Rapunzel arrivarono immediatamente.

“E’ destino!”
“Il fato.”
“…Un cavallo.”

Tre persone sussultarono all’ingresso di una quarta voce, più profonda e mascolina, che si era unita a loro pronunciando quell’ultima affermazione. Voce che assomigliava molto a quella di…

“Aspetta, che?”

Anna non riuscì a trattenersi, confusa per quello che aveva appena sentito ma il russare che ne seguì rese le cose più chiare.

A quanto pare Eugene parlava nel sonno e stava sognando proprio…

“Cavalli? Sul serio amore?” sussurrò divertita Rapunzel e il suono di un bacio risuonò nell’atmosfera, prima che quella venisse pervasa dagli schiamazzi il più possibile silenziosi di Anna e Olaf.

Chi avrebbe mai detto che il temerario Eugene potesse essere una creatura così dolce mentre dormiva? Il solo pensiero li fece rotolare dalle risate.

“Che mi dite invece di voi ragazzi?” disse Anna dopo un po’, asciugandosi le lacrime, in modo da portare l’argomento altrove.

Fu la voce dell’altra ragazza presente nella stanza a rispondere.

“Io e Eugene abbiamo passato un po’ di tempo da soli, ma il nostro Olaf si è dato alla caccia!”
“Caccia?” rispose interrogativa, rivolgendo il suono della sua voce verso il ragazzo riccioluto.

Di tutta risposta, Olaf urlò.

“HO TROVATO UNA RAGAZZA!”

Inutile dire che alle sue grida si unirono presto quelle di Anna che scattò in piedi e saltò sul letto sopra al suo, raggiungendo il suo amico e iniziando a scompigliargli i capelli.

Era lì per chiedergli chi fosse quella “ragazza” quando Eugene si destò dal suo sonno e iniziò ad inveire con tono furioso contro i due.

“C’è chi cerca di dormire! Dove pensate che ci troviamo, al mercato?!”
“Avrei detto in una nave da crociera.” Rispose buffamente  sua moglie.

Quella frase venne inevitabilmente seguita da un altro coro di risa e dal grugnito adirato del castano che sembrava essersi appena lanciato un cuscino in testa per attutire i rumori.

Ad essere sinceri però, Eugene non aveva tutti i torti. Era veramente tardi e avrebbero fatto meglio ad andare tutti a dormire.

Così fecero.

Anna si alzò dal letto del suo migliore amico e tornò sul suo, non prima però di aver scompigliato ancora una volta i capelli di Olaf e avergli sussurrato un tenero “Domani mi dovrai raccontare ogni cosa!”

E con quello, dopo essersi dati la buona notte, i tre smisero di fare rumori e si lasciarono cullare dalla nave finché il sonno non sopraggiunse, e uno dopo l’altro si addormentarono.

 
Lo scricchiolio del ghiaccio che si spezza, un tonfo assordante e un urlo agghiacciante. Poi il silenzio.

Era buio, intorno a lei non riusciva a vedere nulla. Quando si era addormentata? Stava dormendo? Non se lo ricordava. Ricordava il freddo però e il ricordo dell’acqua gelida che la circondava era ancora ben impresso nella mente.

Stava precipitando. Da quanto tempo? Nessuno era presente per rispondere alle sue domande.

Una luce bianca l’avvolse .

La scena cambiò.

Stava correndo lungo un corridoio completamente bianco, senza pareti né porte, completamente vuoto. Da cosa stava scappando, se stava scappando, non lo sapeva. Perché non c’era nessuno?


[Il suo respiro diventò affannoso. Iniziò a contorcersi.]


Era alla ricerca di una meta, vagava senza sapere dove stava andando, senza azzardare a fermarsi.

Dov’erano tutti?

Appena lo pensò, una folla le si parò davanti. Si sentì rallegrare ma appena li raggiunse, desiderò di non averlo fatto. Centinaia di persone iniziarono a circondarla, ma dei loro volti non c’era nessuna traccia.

Volti vuoti, come il posto in cui si trovava.


[Emise un profondo gemito. Iniziò a scalciare.]


Cercò di allontanarsi facendosi largo tra la folla. Non voleva stare lì un secondo di più.

Iniziò a spintonare  finché non arrivò al centro della sala dove si era creato un’enorme spazio, lasciato libero e vuoto.

Non era l’unica ad aver cercato riparo in quel luogo. Un’altra ragazza, poco più giovane di lei, dal suo stesso colore di capelli, stava guardando un cumulo di oggetti presenti poco più in là.

A guardarla bene, non erano solo i capelli biondo fragola che li accomunava. Quella ragazza era la copia esatta di sé stessa. Era lei, Anna, qualche anno prima ma nel suo volto era dipinto uno sguardo di puro terrore.

Guardò nella sua stessa direzione e quello che a primo impatto le era sembrato un ammasso di oggetti, altro non era che un mucchio di corpi senza vita.

Si sentì sbiancare.


[Il gemito che lasciò la sua bocca la seconda volta fu molto più forte. Il suo corpo non trovava pace, continuando a contorcersi, lottando contro le coperte.]


I volti erano privi di qualsiasi luce. Due corpi però, spiccavano più di altri per i loro contorni più vividi. Si avvicinò.

Erano un uomo e una donna, la bocca ancora spalancata in un urlo che non ebbe mai fine. Sul corpo, ferite da arma da fuoco erano bene in vista.

Ma lei conosceva quei volti.


[“No…” mormorò.]


Come avrebbe potuto dimenticarli? I capelli biondo fragola di lei, così simili ai suoi. Gli stessi tratti facciali eccetto per il naso e gli zigomi. Quelli erano più simili al corpo al suo fianco, a quello dell’uomo i cui occhi erano serrati in una smorfia di dolore.


[“No!” più forte. Lacrime iniziarono a lasciare i suoi occhi chiusi e tormentati.]


Erano i suoi genitori.

L’altra se stessa più giovane guardava la scena senza riuscire a staccare lo sguardo. Orrore. Paura. Solitudine. Poi parlò. Nella sua voce conteneva rabbia, sconforto e il più grande dei dolori.

“Avevate promesso!”

Cercò di coprirsi le orecchie.

“Avevate detto che sareste tornati presto! Avevate detto che finalmente avremmo potuto sederci davanti al fuoco con una pagnotta di pane in mano! Siete dei bugiardi!”

Non voleva sentire, non voleva sentire niente di tutto questo! Chiuse gli occhi.

 
[Urlò.]


Quando li riaprì la scena era cambiata di nuovo.

Si trovava in una casa malandata e su uno sgabello ammuffito c’era sempre lei, qualche anno più giovane che fissava con occhi vuoti il foglio di giornale tra le sue mani.

In prima pagina un articolo a caratteri cubitali dominava la frase:
 
La rivolta del pane finita in miseria.
Centinaia i contadini rimasti feriti.
Numero dei morti ancora da accertare.
 
I suoi genitori erano andati a protestare in quella stupida manifestazione. Non avrebbe dovuto permetterglielo. Avrebbe dovuto fermarli.

Guardò la giovane appallottolare il giornale e lanciarlo sul camino spento.

La scena mutò.

Singhiozzi riecheggiarono lungo le pareti spoglie della casa. Poco più avanti, la luce di una candela illuminava una delle poche stanze presenti.

“Shh, calmati. Andrà tutto bene.” Qualcuno sussurrò. Una voce maschile.

Una ragazzina dai grandi occhi azzurro mare si trovava sul ciglio della porta in ascolto. I capelli biondo fragola portati in due codini le donavano per la sua tenera età.

Le si avvicinò, guardando dallo stesso piccolo spiraglio da cui stava osservando la scena.

Chi stava piangendo? I suoi genitori non piangevano mai ma riconosceva quella bambina, quelle pareti, quelle voci.

Dovevano essere loro per forza.

“Non siamo riusciti a darle neanche della zuppa calda. L’acqua inizia a scarseggiare. Oh, come faremo?”

Sua madre.

Era sua madre che stava piangendo, consolata da suo padre, altrettanto devastato.

Risentire quelle voci era una sofferenza.

La loro disperazione, i loro rimpianti.

Faceva male.


[“Non voglio.” La sua presa febbrile non lasciava andare le coperte. Era così forte che le nocche avevano iniziato ad assumere una tonalità bianca. “No, smettila, basta!”]


Di nuovo si ritrovò catapultata in un altro luogo.

Lo scricchiolio del ghiaccio che si spezza, un tonfo assordante e un urlo agghiacciante. Poi il silenzio.

E di nuovo si ritrovò a rivivere quella scena, come se tutto fosse tornato indietro.

Quanto sarebbe durata questa tortura?

La giornata al lago era stata perfetta. Ormai aveva quasi imparato a pattinare, le mancava così poco per padroneggiare la tecnica. Si stava impegnando. Poi il ghiaccio cedette.

E rovinò tutto.

L’urlo dei suoi genitori fu l’ultima cosa che sentì ma sotto quello strato d’acqua in cui era precipitata il silenzio regnava sovrano.


[“Non respiro.” Gemette di nuovo.]


Era di nuovo buio. Aveva gli occhi aperti o chiusi? Provò a sbattere le palpebre.

Era ancora viva?

Se lo stava chiedendo quando iniziò a vedere qualcosa.

Una figura.

Una donna.

Un angelo?

Probabilmente, in una situazione normale, si sarebbe spaventata o quanto meno stupita ma era così stanca ed aveva così freddo che perfino il suo cuore sembrava essersi ghiacciato ed aver fermato i suoi battiti.

Stava morendo, vero?

“Non avere paura, piccola Anna.”

Una voce aveva parlato. Era una voce soave, ultraterrena.

Era stata quella donna a parlare? Il  suono melodioso  si espandeva tutto attorno, lo sentiva dentro la testa.


[“Anna?”  Gemette di nuovo.]


La figura le si avvicinò, portandole una mano alla testa e nel punto in cui la toccò, sentì come una scossa che partì dal capo e si diffuse in tutto il corpo.

“Ho altre cose in serbo per te. C’è una persona che ha bisogno di te là fuori. Vai.”

Ancora quella voce. Che significava?

Non aveva la forza per pensarci. Quando sarebbe finito questo tormento?

“Manca poco.”


[“Anna.” Stava sudando, febbricitante. Nessuna tregua.]


Cosa voleva dire? Voleva chiederglielo ma prima che potesse radunare le forze per rispondere una forte mano le prese il braccio.

Si sentì scuotere.


“Su, Anna, svegliati.”


La riportarono in superficie e finalmente riprese a respirare. Non era mai stata così grata di poter respirare ma lo shock era ancora grande.

Respirava affannosamente.


“Anna!”


Cercò di aprire gli occhi ma non riusciva a farlo! Era in trappola!

Il panico iniziò a divorarla, ad impadronirsi di lei.


“ANNA!”


Spalancò gli occhi.

Qualcuno la stava guardando dall’alto, una persona.

Tutto era ancora sfuocato.

Dove sono?” si chiese.

Sbattendo le palpebre, piano piano i contorni iniziarono a riprendere forma.

“Sei sveglia mocciosa?”

Olaf. Era la voce di Olaf.

Lentamente si mise a sedere e si guardò intorno, confusa, con le immagini ancora vivide di ciò che aveva appena vissuto. Cos’era stato?

“Stavi avendo un incubo.”

Un incubo? Quello sicuramente spiegava il sudore e il palpitare forte del suo cuore. Ma il suo migliore amico era lì con lei in quel momento. Era al sicuro.

Cercò di sistemarsi meglio e una ciocca di capelli le cadde lungo la spalla. Una ciocca bianca.

Più che un incubo, quel sogno era un insieme di ricordi.

Quella volta, all’età di sette anni, aveva davvero sentito il pianto di sua madre, disperata per non essere riuscita a sfamarla per due giorni di fila, dovendosi accontentare di qualche radice sporca.

Era davvero scesa in paese quel pomeriggio di qualche anno fa alla ricerca dei suoi genitori. Avevano promesso di tornare ma erano in ritardo. Non era mai stata famosa per la sua pazienza e aveva deciso di correre loro incontro. Era partita da casa felice di avere una famiglia al proprio fianco ed era tornata orfana, dopo essersi trovata davanti i volti cadaverici dei suoi genitori. Il giorno seguente, il giornale cittadino aveva riportato i loro nomi nella lista dei decessi e lei li aveva letti, arrabbiandosi per non aver mantenuto quella semplice promessa. La promessa di una famiglia felice.

Da piccola aveva davvero sentito l’urlo di sua madre prima di cadere nel ghiaccio. Lo ricordava benissimo quel dolore pungente in ogni membra del suo corpo e ricordava le braccia di suo padre che l’avevano salvata, riportandola a galla e scaldandola con il suo calore.

Era anche vero che, inspiegabilmente, si era ritrovata quella ciocca di capelli bianchi nel lato destro, dove quella figura femminile l’aveva toccata.

I suoi genitori avevano urlato al miracolo.

I dottori avevano  certificato quella striscia come una conseguenza dello shock dato dalla paura e dal freddo.

Aveva provato a spiegare ciò che era successo là sotto ma nessuno le aveva creduto. Allucinazioni, avevano detto.

Ma Anna sapeva che era stato qualcosa di più. Quella voce poi era in un certo senso nostalgica e piena di amore.

Manca poco” le aveva detto. Che significato nascondeva quella frase e perché ricordarglielo proprio in quel momento?

“Va tutto bene, Anna?”

Era ancora notte fonda ma la ragazza riusciva chiaramente a vedere il viso preoccupato di Olaf che la stava fissando, impaurito. Si rese conto di non aver spicciato parola da quando si era svegliata.

“S-Sto..” la voce le tremò. Non un bell’inizio.

Si schiarì la gola e riprovò.

“Sto bene.” Gli rispose. “Mi spiace di averti svegliato.”

Olaf la abbracciò e Anna si accoccolò nel suo abbraccio, approfittando del suo calore per riscaldarsi e assaporando il suo profumo di nevischio.

“Non ti preoccupare. Fin tanto che stai bene, sto bene pure io.”

La ragazza annuì contro la sua spalla. Allontanandosi quanto bastava per mostrargli il suo volto, gli sorrise rassicurante. Dopodiché il ragazzo si stese affianco a lei, aprendo le braccia.

“Grazie.” Mormorò Anna, adagiandosi contro il suo petto.

Al momento aveva solo bisogno di sentirsi protetta e al sicuro. Olaf lo sapeva bene, non per nulla era il suo migliore amico.

Sentì le braccia dell’amico racchiudersi su di lei e si lasciò coccolare.

“Gli amici sono qui per questo.” Le sussurrò in risposta.

Con lui affianco sicuramente sarebbe stata al sicuro.

Voleva dirgli che gli voleva bene, ringraziarlo di nuovo o dirgli qualche parola dolce per spiegargli quanto lui significasse per lei. Ma con Olaf certe cose non servivano.

Olaf intuiva ogni cosa naturalmente.

Quando sentì il leggere russare del ragazzo, Anna si ritrovò a ripensare ancora alle parole di quella figura misteriosa.

Era davvero stata solo un’illusione?  

Qualcuno ha bisogno di te.”

La prima persona che le venne in mente fu Elsa.

Forse era lei la persona che avrebbe dovuto aiutare, la risposta a tutto?

E con il pensiero fisso di lei nella mente, si lasciò scivolare nel mondo dei sogni, lasciando che la stanchezza prendesse il sopravvento.

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Capitolo 18
*** Una fredda colazione ***


Svegliarsi quella mattina fu surreale quanto andare a letto la sera precedente ma per i motivi opposti. Se sperava di trovarsi ben sveglia e riposata, Anna si sbagliava di grosso.
 
Era andata a letto con l’adrenalina ancora pompante nelle vene, più felice che mai, con il cuore che brulicava di amore. Quella mattina però le sensazioni erano state prosciugate. Si sentiva drenata, confusa e le immagini dell’incubo erano ancora vivide nella mente continuando a tormentarla.
 
Quando aprì gli occhi, lottando con la pesantezza delle palpebre e il bisogno di dormire che ancora si faceva sentire, i raggi del sole avevano da poco iniziato ad entrare, filtrando dall’oblò ed illuminando i dintorni della cabina silenziosa, la cui pace era disturbata di tanto in tanto da qualche mugolio inascoltato degli altri tre occupanti.
 
Il suo primo istinto fu quello di rimettersi a dormire ma la luce del giorno che si stava propagando nella stanza, le stava rendendo il compito difficile.
 
Cercò di cambiare posizione, alla ricerca di un angolino del suo letto che fosse immune ai raggi solari ma appena si mosse, si sentì stringere. Alzando il viso, notò che era ancora abbracciata al suo migliore amico, il quale, durante la ore rimanenti della notte, se l’era tenuta stretta tra le braccia senza averla lasciata andare.
 
Quello sì che era un caldo abbraccio.
 
Olaf era ancora beatamente addormentato perciò Anna si limitò a stiracchiarsi un po’. All’inizio cercò di riprendere sonno ma man mano che le lancette dell’orologio avanzavano, un fascio di luce andò a colpire la ragazza biondo fragola in volto, che di tutta risposta grugnì poco signorilmente, vanificando ufficialmente tutti i suoi tentativi.
 
Rassegnandosi, si decise a rimanere sveglia. Piano piano riprese a spostarsi ma con il nuovo cambio di posizione, notò che sul petto del suo migliore amico si era formato un alone circolare umido.
 
Arrossendo andò a toccarsi la bocca e come immaginava, la sua pelle era intrisa di bava.
 
Bel modo per ringraziare un amico.” Pensò.
 
Senza pensarci, cercò di nascondere il viso nella spalla del ragazzo ma quel movimento destò Olaf dal suo sonno.
 
Il ragazzo aprì gli occhi, puntando subito lo sguardo verso la fonte che lo aveva svegliato e si ritrovò il volto imbarazzato di Anna a pochi centimetri da sé, in tutto il suo rammarico per averlo svegliato.
 
Le sorrise.
 
“Buongiorno mocciosa.”
 
La sua voce era assonnata ma quello spruzzo di felicità che lo caratterizzava velava ancora il suo tono.
 
“B-buongiorno.” Le fu impossibile trattenere il balbettio che uscì dalla sua bocca.
 
Sia lei che Olaf aggrottarono la fronte nel sentire la sua voce. Sembrava così diversa dal suo solito. Non era da lei! Non immaginava che potesse suonare così stanca e debole. L’ultima volta che se l’era sentita così, era stato…
 
Il giorno dopo della morte dei suoi genitori.
 
L’incubo doveva averla colpita più di quello che credeva.
 
 “Stai bene?” chiese Olaf.
 
Anna guardò il suo migliore amico e vide la vista appannarsi un po’. Con la mano andò a sfregare gli occhi e con il palmo sentì le lacrime scorrere  sulle guance. Andò ad asciugarle prima che qualcun altro nella stanza lo notasse ma prima che potesse rispondere al ragazzone, una nuova voce maschile si unì alla conversazione.
 
“Chi è che non sta bene?”
 
Eugene.
 
A quanto pare si erano svegliati anche gli altri due membri della cabina.
 
Anna non aveva idea precisamente di quali fossero le sue condizioni quella mattina ma non dovevano essere delle migliori dato che, in un lampo, Rapunzel e Eugene scattarono in piedi per andare da lei, con sguardi preoccupati.
 
Entrambi gli amici rizzarono seduti, uno dopo l’altro e prima che Rapunzel saltasse sul letto della biondo fragola per controllare eventuali lesioni, malesseri o quant’altro, Anna parlò cercando di nascondere il tremolio della sua voce per rassicurare i due sposi e cercare di calmarli.
 
“Sto bene… ho solo avuto un incubo stanotte e questo bambinone stava controllando su di me.”
 
Ovviamente però quello non servì molto per tranquillizzare la bionda che andò immediatamente a porre le sue mani sulle spalle della ragazza.
 
“Che incubo? Stai veramente bene?” le disse.
“Dalla faccia che hai non sembrerebbe, Rossa.”
 
Distogliendo lo sguardo dalle iridi verdi dell’amica, Anna sussurrò la risposta alla sua domanda.
 
“Riguardava… la mia famiglia.” La voce quasi le si ruppe a fine frase ma stavolta riuscì a trattenere le lacrime.
 
Accanto a lei sentì Olaf irrigidirsi. Non aveva ancora detto all’amico su cosa fosse il sogno, ma Olaf sapeva ogni cosa. Era stato lui che più di tutti l’aveva aiutata ad uscire da quella malinconia e solitudine che era andata inevitabilmente a formarsi nel suo cuore. Dal canto loro però, i due neo sposi si guardarono confusi ma Anna non credeva di essere pronta a raccontare a loro quei fatti, soprattutto non quando il ricordo dell’incubo era ancora così impresso nella sua mente.
 
Il suo sguardo si rabbuiò per un attimo.
 
Fu il calore di una mano, posata sulla sua guancia, a destarla da quei ricordi bui, con il suo tocco leggiadro e gentile. Era di Rapunzel e la sua sensibilità era un calmante naturale per la biondo fragola. Prima che potesse anche solo pensare a cosa fare dopo, Rapunzel le si avvinghiò al petto, in un abbraccio stritola ossa che valse più di mille parole e spiegazioni.
 
Dov’era finita la felicità del giorno prima? Cos’era quel senso di oppressione che si sentiva all’interno? Perché aveva avuto quell’incubo?
 
Tutti questi pensieri scivolarono via sotto quell’affetto che i suoi amici le stavano dando e si sentì subito un po’ meglio.
 
Non volendo preoccupare ulteriormente i suoi amici però, si staccò da Rapunzel cercando di sorriderle.
 
“Sto benone, davvero.”
 
O almeno, lo sarebbe stata veramente una volta messo da parte quelle immagini dolorose. Aveva solo bisogno di distrarsi o di una boccata di aria fresca. O entrambe le cose.
 
“Sai di cosa avresti bisogno bellezza?”
 
E forse la distrazione che necessitava stava arrivando dalla persona più inaspettata di tutte, Eugene. Il perché usasse nominativi come  “belle biondine”, “belle more”, “belle rosse”… ancora era un mistero per lei. Per di più, aveva paura della risposta. Ebbe il coraggio di rispondere pur sapendo che la risposta le sarebbe arrivata in ogni caso.
 
“Di cosa?”
“Di quella bellissima biondina di ieri sera!”
 
Eccolo di nuovo con il “biondina”. Non che Elsa non fosse bionda, anzi, i suoi capelli erano una delle cose più belle di lei, ma almeno poteva avere la decenza di chiamarla per nome! Era una signora! Una creatura divina! Il SUO angelo!
 
“Si chiama Elsa, Eugene! E-L-S-A.”
 
Alzò un dito in finto avvertimento, cercando di intimorirlo, puntualizzando quanto detto e scadendo bene le lettere finali.
 
“E io che ho detto?”
 
Con scarsi risultati.
 
Sbuffò ma ad essere sincera trovò la cosa alquanto divertente tanto che alzò gli occhi al cielo drammaticamente, sorridendo. Quel sorriso era già più sincero di quello di pochi secondi fa. Scherzare con loro era sempre piacevole ma quel leggero segno di tranquillità svanì presto dal suo volto, lasciando il posto ad uno sguardo malinconico.
 
 Era vero che Elsa già le mancava. Il che era strano ma sentiva quel bisogno di starle accanto inspiegabile.
 
“Eugene ha ragione, Anna. Se conosco una persona che sa farti tornare il buon umore e dimenticare i brutti pensieri, quella è sicuramente lei. Ieri sera alla festa eri probabilmente la persona più felice della nave, forse perfino di tutto il mondo.”
“Esagerata.” Controbatté Anna.
“Forse un po’.” Le disse l’amica, lasciando uscire una risatina dolce e sincera ma subito dopo il suo sguardo si fece più serio che mai. “Ma non esagero quando dico che quando c’è lei intorno la tua felicità è contagiosa e solo a guardarvi insieme ci sentiamo tutti un po’ invidiosi. Siete fatte per stare l’una accanto all’altra, Anna. E tu ora hai bisogno di lei.”
 
La ragazza rifletté intensamente su quelle parole ma stranamente i suoi pensieri erano ancora intorpiditi e bloccati. Per quanto trovasse veritiera quella frase, non riusciva a trovare una spiegazione al dilemma.
 
“Che devo fare?”
 
Si lasciò sfuggire, disperata.
 
“E ce lo chiedi?!” Disse Rapunzel. “VAI A CERCARLA!”
 
Era davvero così semplice? Bastava davvero quello per risolvere tutto?
 
“Ma dovevamo parlare di Olaf…”
 
Suonava quasi come una scusa. In verità però le dispiaceva davvero di aver rovinato l’atmosfera della sera precedente. Erano così spensierati e festosi, e lei aveva mandato tutto all’aria con il suo nuovo umore.
 
Olaf però non perse tempo a rassicurarla.
 
“Avremo tutto il tempo più tardi, appena torni, o domani! Io non scappo.”
“Su, andiamo!”
 
Rapunzel la tirò in piedi con una forza inaspettata. La guardò da capo a piedi e poi annuì vistosamente.
 
“Prima di tutto, laviamo via quella faccia triste, ok?“
 
Si sorrisero.
 
Quella volta non trovò da obiettare. Non poteva di certo mostrarsi ad Elsa in quelle condizioni e il solo pensiero di lei bastò per farle ritrovare la forza e la speranza che quell’incubo le aveva tolto mentre il peso nel suo cuore iniziò a diminuire.
 
Si lasciò trascinare dai suoi amici più cari, consapevole del fatto che ogni nuovo passo, sarebbe stato rivolto a lei e se tutto fosse andato bene, presto si sarebbero riviste.
 
*
 
Il leggero tintinnio di posate risuonava nel salottino privato della suite residenziale. Un unico tavolo era presente nella sala, adornato dalle più svariate pietanze che avrebbero potuto tranquillamente  sfamare molte più bocche delle due lì presenti, bocche che, dall’inizio della colazione, non erano mai state aperte se non per degustare il ricco banchetto che avevano davanti.
 
Ogni tanto nella sala riecheggiava il rumore dei passi dei camerieri che passavano a riempire tazze o bicchieri svuotati ma, una volta che il loro dovere era stato fatto, si allontanavano immediatamente dalla stanza, lasciando le due persone presenti sole.
 
Elsa era stata accompagnata in sala da Mellow ed era arrivata in ritardo di dieci minuti a causa di una piccola deviazione che si erano concesse, trovando in tavola già tutto servito e un fidanzato molto arrabbiato che sorseggiava il suo caffè, rifiutandosi di alzare lo sguardo per riconoscere la presenza della ragazza.
 
Inevitabilmente gran parte della colazione quel giorno finì per essere molto silenziosa.
 
Di solito Hans avrebbe trascorso il tempo parlando dei suoi vari impegni, di quante persone ricche avrebbe conosciuto, di quanto popolare fosse, ma quel giorno però qualcosa era diverso.
 
Nulla uscì dalle sue labbra. Non aveva ancora proferito parola.
 
Era ancora arrabbiato per la partita di Poker? Era solo poker per l’amor del cielo! La ragazza si diede solo una spiegazione: uomini.
 
Di certo non sarebbe stata lei ad iniziare una conversazione, non quando l’uomo si stava dimostrando così infantile, ma qualcosa dentro di lei stava suonando, come un campanellino di allarme che la teneva in allerta da quando era arrivata.
 
Non capì il motivo di questo finché Hans, ad un tratto, alzò lo sguardo nella sua direzione, e le parlò con tono quasi sorpreso e un po’ rammaricato. Era chiaro che stava fingendo una calma che non aveva.
 
“Speravo che venissi da me, stanotte.”
 
Dove voleva arrivare? Anna aveva vinto, si era guadagnata il permesso di stare con lei.
 
Non poteva decidere della sua vita.
 
In ogni caso, aveva bisogno di una scusa.
 
“Ero stanca.” Svogliata, disinteressata. Lo disse con un tono che non lasciava intendere nulla.
 
Non era proprio una bugia, era tornata in cabina veramente distrutta. Solo per un motivo diverso che non avrebbe gradito sentire e che richiedeva la massima segretezza…
 
“Oh, non ti posso biasimare, d’altronde dopo il comportamento irrispettoso di ieri sera sicuramente sei tornata stanca.”
 
Il campanello interiore suonò più forte che mai. Il veleno nelle parole dell’uomo si estendeva ad ogni sillaba.
 
Lo sapeva.
 
Sapeva esattamente cosa aveva fatto la sera precedente.
 
Come?
 
Hans continuò a parlare.
 
“Pensavo di averti educata meglio che l’andare in quel sudicio squallore che chiamano terza classe insieme a quella, quella gentaglia! Per non parlare di quella poco di buono con cui stavi ballando.”
 
Educata? Lui non l’aveva educata proprio a fare nulla! Era libera di fare quello che voleva!
 
Come aveva fatto a scoprirlo?
 
Lo guardò negli occhi, affrontandolo con lo sguardo, e subito la risposta le salì alle labbra.
 
“Mi hai fatto spiare?! Mi hai fatto seguire da quel tuo cagnolino che tu chiami maggiordomo!”
 
Oh, quel suo tono non gli piacque affatto. Lo  sguardo sbalordito di Hans si trasformò presto in rabbia e la sua voce divenne ancora più glaciale.
 
“Ho fatto di meglio che spiare il tuo comportamento squallido! Sebastian! Portami quella cosa!”
 
A gran voce chiamò il suo maggiordomo che nient’altri era che il padre di Mellow, il quale arrivò con passo svelto, portandosi appresso un fagotto di tessuto molto familiare.
 
Sul volto di Elsa si dipinse uno sguardo confuso che si trasformò presto in orrore quando Hans prese in mano l’oggetto e lo srotolò, rivelandone la sua vera forma.
 
La ragazza avrebbe voluto urlare.
 
In mano Hans teneva la giacca di Anna, la stessa identica giacca che aveva toccato le sue spalle la sera prima, la stessa che avrebbe dovuto essere rinchiusa nel suo armadio.
 
“H-hai frugato tra le mie cose.” Uscì quasi come un sussurro.
 
Elsa sentì la rabbia aumentare. A stento trattenne il tremore che prese a scuotere il suo corpo ma non riuscì a controllare l’ira che venne urlata contro quello che doveva essere il suo futuro fidanzato con le sue successive parole.
 
“Hai frugato tra le mie cose! Come hai potuto?! Come hai osato!?”
“Come ho osato? C-come.”
 
L’uomo non prese bene le sue parole. La sentenza della bionda sembrò essere un colpo basso e nel suo volto iniziarono a mostrarsi i tratti di un folle, accecato dalla pazzia.
 
Per la prima volta, Hans la stava spaventando veramente. Anzi. La stava terrorizzando.
 
Il suo sguardo divenne maniacale e per un istante Elsa credette che stava per giungere la sua fine.
 
“Io oso!” Urlò il ramato. “Posso fare tutto quello che voglio con ciò che è mio!”
 
Con forza bruta, alzandosi di scatto, capovolse la tavola facendo rovesciare tutto ciò che era appoggiato sopra. Piatti caddero a terra frantumandosi, schegge di vetro si sparpagliarono ovunque, tutto il cibo presente andato sprecato.
 
Il tonfo provocato da quegli oggetti risuonò come cannoni nelle orecchie della ragazza, ma Hans non si fermò lì.
 
Ancora abbagliato dall’ira e dalla gelosia, riprese la giacca di Anna che aveva abbandonato sulla sedia pochi secondi prima, e prendendo le due estremità iniziò a strapparla.
 
Se il fracasso di prima era stato fastidioso, il rumore del tessuto che si lacerava fu come un colpo di pistola in pieno petto per Elsa che guardò inorridita la scena, impotente davanti a ciò che l’uomo stava facendo.
 
Per un attimo, tutto sembrò andare a rallentatore. In un momento la giacca era intatta e il momento dopo Elsa stava osservando come ogni punto, ogni cucitura, stava saltando via. Quel  prezioso tesoro che la ragazza era così contenta di custodire, stava venendo squarciato di fronte a lei.
L’istante dopo, quando ancora doveva registrare l’accaduto, Elsa si ritrovò con i brandelli della giacca, ora divisa in tre pezzi, nelle mani e prima che potesse rendersene conto, Hans era davanti a lei, con gli occhi iniettati di sangue e le mani strette ai poggioli della sua sedia che stringeva così forte da avere le nocche bianche.
 
“Non ti comporterai mai più in quel modo, Elsa, sono stato chiaro? Sei la mia fidanzata. La MIA proprietà! E anche se non siamo ancora sposati pretendo che ti comporti come tale. Mi rispetterai e farai tutto ciò che ti dirò di fare. Sei sotto il mio controllo, mia cara Regina di ghiaccio. E io non farò la figura del pagliaccio. Non mi metterò in ridicolo per colpa di una squattrinata! Per colpa di un mostro! E non permetterò che tu la veda ancora.”
 
Le sue urla si fermarono, lasciando che l’eco della sua voce parlasse per lui, mentre il rumore dei suoi respiri profondi iniziarono a sostituirsi al frastuono.
 
Il cuore di Elsa stava battendo all’impazzata come se stesse cercando di terminare i suoi battiti prima del previsto, come se si stesse chiedendo il motivo per cui lo stava ancora facendo.
 
“Sono stato chiaro?”
 
Elsa trasalì, ancora troppo spaventata dal comportamento dell’uomo per rispondere. Sentì la formazione di un nodo in gola e tutto, anche respirare, sembrava essere diventato difficile.
 
Ma a quanto pare, il silenzio non era una risposta che lui avrebbe accettato.  
 
Hans le prese il viso tra le mani con un certo vigore, portando Elsa a guardarlo negli occhi, occhi che aveva cercato in tutti i modi di evitare.
 
La sua stretta contro la sua mascella la bloccava dal fare qualsiasi movimento ed era così serrata da farle male.
 
“Ho detto. Sono stato chiaro?”
“S-sì.” Riuscì a mugolare.
 
All’improvviso Hans si lanciò su di lei e unì le loro labbra, baciandola. Un bacio sforzato, ruvido, insapore.
 
Disgustoso.
 
Ma Elsa era ancora paralizzata. Lasciò che la lingua di lui entrasse all’interno della sua bocca e lo lasciò fare, troppo spaventata per opporre resistenza.
 
Dopo quello che sembravano secoli, il ramato si staccò, soddisfatto da quanto successo. La guardò un’ultima volta, lasciando solo un’ombra dello sguardo maniacale che aveva prima.
 
“Con permesso. “
 
E lasciò la stanza nel suo completo caos.
 
 
 
Appena Hans girò l’angolo e non fu più in vista, Elsa sentì il suo respiro accelerare. Si rese conto di tremare violentemente, la sua vista si stava appannando e, in un disperato tentativo di calmarsi, si portò le mani al petto, stringendo con forza i resti della giacca di Anna, ancora troppo terrorizzata per fare altro.
 
Non si accorse dell’arrivo di Mellow che aveva sentito chiaramente lo sfogo di Hans ed era pronta ad intervenire se l’uomo avesse tentato di farle del male, ma sentì il suo tocco che disegnava cerchi immaginari contro la sua schiena.
 
“Va tutto bene, Elsa, non è successo nulla.”
 
La voce preoccupata dell’amica riempì la stanza. Il suo tono era dolce, le sue parole pure, e cercava di calmarla mentre Elsa non poté fare altro che borbottare le sue scuse.
 
“Abbiamo avuto un incidente. ”
“Non è niente, va bene.”
“Sono stata una sciocca, mi dispiace, mi dispiace.”
“Ora è tutto passato.”
 
Guardandosi intorno, Elsa vide i reali danni che aveva causato Hans. Si lasciò cadere sul pavimento, inginocchiandosi e lottando contro il tremore, e allungò la mano per raccogliere i cocci sparpagliati in giro. La mano però non raggiunse mai il pavimento perché la cameriera la fermò.
 
“Ci penso io qui, non ti preoccupare.”
 
Alla sue parole fu invasa da una serie di singhiozzi che non riuscì più a trattenere. Mellow la fece adagiare contro di sé e prese ad accarezzarle i capelli.
 
Tutto ciò che successe dopo per Elsa fu sfuocato.
 
Ricordava però le mani gentili di Mellow che la sorreggevano mentre la riaccompagnava in cabina e in un attimo, come se si fossero catapultati da una parte all’altra, si ritrovò seduta sulla sedia della sua camera e Mellow la stava aiutando a slacciarsi il vestito.
 
A differenza di dove si trovava pochi istanti fa, lì la camera era ordinata e quello sembrò darle un moto di sollievo. Abbassando gli occhi su di sé e vide il motivo per il quale la cameriera era così indaffarata. Durante il litigio, del caffè si era rovesciato sulla gonna, rovinandola con una scura macchia enorme e di certo nessuno le avrebbe permesso di gironzolare nel ponte con l’abito sporco. Mellow lo sapeva bene.
 
“Mi spiace per quello che ha fatto mio padre.”
“Non è stata colpa sua. E’ Hans che…” ma non finì la frase.
 
Era Hans il problema. Lui aveva dato l’ordine di frugare tra le sue cose, lui aveva ordinato di spiarle, lui era quello da incolpare.
 
“Credo che si possa riparare.” Disse Mellow.
 
Di cosa stava parlando? Guardandosi meglio, la ragazza vide che non aveva mai smesso di stringere la giacca di Anna. La teneva stretta a sé, come se da esse dipendesse la sua stessa vita.
 
Strano che non se ne fosse accorta prima.
 
Ispezionando la stanza con lo sguardò poté vedere che le ante dell’armadio erano ancora aperte e probabilmente non erano mai state chiuse da quando Sebastian aveva ricevuto l’ordine di frugare al suo interno.
 
Non avrebbe dovuto essere così incauta.
 
Sentì la frustrazione crescere dentro di sé ma quella volta non era rivolta ad Hans o al suo maggiordomo o chi altri. Era rivolta tutta verso a se stessa.
 
“Dopo proverò a rammendarla, non ti preoccupare. Sarà come nuova!”
 
Elsa le sorrise. Era grata a quella ragazza.
 
L‘avrebbe aggiustata. Sarebbe tornato tutto come prima.
 
Quella piccola speranza la fece sentire quasi meglio e le fece ritrovare la forza. Si alzò in piedi decisa a credere che per una volta potesse esistere anche per lei un lieto fine e si lasciò togliere gli ultimi strati del vestito.
 
Mel parlò di nuovo quando fu il momento di infilare il corpetto dell’altro vestito.
 
“Non può permettere ad una simile persona di impossessarsi della tua vita.”
“La cameriera ha ragione, Elsa.”
 
Brividi.
 
Quella voce. Apparteneva a sua madre.
 
Quando era arrivata? Come faceva a sbucare sempre ovunque?
 
“Non dovresti dare corda alle sgualdrinelle.” continuò Idun.
 
A quanto pare, per loro fortuna, la donna pensava che il discorso fosse rivolto ad Anna e non al vero protagonista del momento. Con una mano mandò via Mel che con uno sguardo di scusa lanciato ad Elsa, lasciò la stanza, inchinandosi prima di uscire e lasciando madre e figlia da sole.
 
Idun le si avvicinò e come al suo solito quando era arrabbiata, si mise a stringere i fili del suo corpetto, facendole mancare il fiato ad ogni stretta. Il suo viso era crucciato, invecchiando la sua pelle e facendola sembrare più avanti con l’età.
 
“Non devi mai più vedere quella ragazza, hai capito?”
 
Ordini, nient’altro che ordini. Perché nessuno a parte Mellow riusciva a vedere quanto Anna la rendesse felice?
 
Cercò di protestare, nonostante il litigio con Hans fosse ancora piuttosto vivido.
 
“Oh smettil-”
“Non me ne starò zitta mentre tu rovini tutto il mio duro lavoro. Questo non è un gioco. E la ragazza ha una brutta influenza su di te.”
 
Come poteva pensarlo veramente? Si girò di scatto verso la madre.
 
“Il suo nome è Anna e non ha fatto nulla di male!”
“Non permetterò che mia figlia venga considerata un errore della natura come quella ragazza! E’ bastato che lei entrasse nella tua vita per un giorno e già sta mandando in monte il nostro piano. Viviamo in una situazione precaria. Sai come siamo ridotti!”
 
Di nuovo la storia dei debiti.
 
Sapeva benissimo qual era la loro situazione. Sapeva che si trovavano nei guai a causa dei debiti del padre, sapeva che il buon nome di suo padre era l’unica cosa che le salvava dal fallimento, sapeva che per continuare ad essere benestanti doveva sposare Hans.
 
Ma ora come ora, era veramente quello che voleva?
 
Nascondere, non sentire.
 
“Non voglio sposare un uomo che conosco appena.” Mormorò.
“Oh non essere egoista.” L’aggredì Idun.
 
Voleva ribattere ma Idun alzò le mani al cielo dopo aver visto lo sguardo di incredulità sul volto della figlia e non la lasciò parlare, alzando il tono di voce. 
 
“Non ti capisco. Tu e quel Southern siete una coppia perfetta. Grazie a lui assicureremo la nostra sopravvivenza. Non possiamo fare altro!”
“Magari semplicemente potremmo rimboccarci le maniche e fare qualcosa di più umile!” scattò.
 
Un’altra discussione. Di nuovo.
 
Poteva veramente tenerle testa? Era così esausta di urlare, di cercare di farsi capire, di parlare e non essere ascoltata.
 
Scosse da parte i pensieri.
 
“Vuoi veramente vedermi lavorare come cucitrice, Elsa?” la voce le si ruppe. “E’ questo che vuoi? Vuoi vedere tutto buttato al vento? E per cosa poi? Una bambinetta che si diverte a comportarsi da adulta? Quella ragazza non merita di entrare nella tua vita, abbiamo già abbastanza problemi senza di lei.”
 
Questo la colpì più di tutto quello che aveva detto in precedenza.
 
Davvero Anna non meritava di entrare nella sua vita? Già per colpa sua aveva dovuto confrontare Hans per lei. In che guaio la stava cacciando? Ma più di tutto, una cosa la tormentava da quando aveva conosciuto la ragazza. Una persona come lei  meritava davvero Anna?
 
Senza accorgerne aveva riniziato a pronunciare il suo motto mentalmente.
 
Celare, domare...
 
Non aveva mai avuto il lusso di essere felice. Sarebbe stata così egoista da rovinare la felicità di Anna per la propria?
 
Sii la brava ragazza di sempre.
 
La brava ragazza…
 
Non aveva nessun potere di cambiare la sua vita, non senza mettere nei guai gli altri. E mettere a rischio l’altra ragazza non era un prezzo che era disposto a pagare.
 
Ripensò alle parole di Hans e a quella di sua madre.
 
Senza rendersene conto si ritrovò rassegnata, ogni barlume di speranza era stato spento e brutalmente strappato dal suo essere.
 
“E’ così… ingiusto.”
 
Ma non poteva permettere che Anna ci rimettesse.
 
“Certo che è ingiusto. Siamo donne. Le nostre non sono mai scelte facili.”
 
Come se la conversazione fosse finita lì, Idun girò nuovamente Elsa e si mise a sistemare il vestito ma quell’ultima frase riecheggiò forte nella mente della ragazza anche quando i rumori della stanza si limitarono a pochi sussurri.
 
Scelte?
 
Lei non aveva scelte, non aveva mai avuto quel lusso.
 
Non aveva il permesso di stare con Anna e tantomeno non le era concesso di essere felice.
 
Era stato tutto un miraggio, la fantasia di una notte.
 
Scelte.
 
Che poteva fare?
 
Nulla.
 
Avrebbe solo dovuto dire addio ad Anna.

 
 
A/N: Ehi là. Volevo scusarmi con tutti voi per la lentezza con la quale i miei capitoli vengono pubblicati. Per un motivo o per l’altro sono rallentata molto, e boh, spero questa cosa non continuerà all’infinito. So quanto è brutto e snervante aspettare un capitolo che non esce!

Comunque, con questa nota volevo anche informarvi che TCO (abbreviazione di questa ff per chi non lo sapesse/non mi seguisse su Fb) sbarcherà nei tetri meandri di Fanfiction.net!!!
Ho trovato un compagno-di-avventure che mi aiuterà con la traduzione. Lodiamo tutti insieme "GeneraleKesserling".
 
Da gennaio 2015 (data precisa ancora da stabilire) sarà pubblicato una volta al mese un capitolo, yay!


Detto questo, grazie della vostra pazienza e del vostro incoraggiamento. Siete persone stupende, non potrei chiedere di meglio!
Un caldo abbraccio,
Hendy 

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Capitolo 19
*** Ti tengono in trappola ***


“Cara Anna,
ti scrivo questa lettera perché-”
 
Perché…
 
Perché non ho il coraggio di dirti a voce “Addio per sempre” e sono una codarda.
 
Era probabilmente la decima lettera che cercava di scrivere, ma Elsa ancora non aveva trovato la forza di dire ad Anna che non avrebbero più potuto vedersi. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a scrivere, ma la conversazione con la madre ancora riecheggiava chiaramente nella sua mente.
 
Stava facendo la cosa giusta? Avrebbe rovinato la vita di Anna se le fosse stata accanto.
Esisteva un’altra soluzione? Non c’erano via d’uscita o compromessi per lei.
 
Ogni volta che la penna fermava il suo struscio da sopra la carta, i pensieri tornavano a tormentarla, senza sosta lasciando che mille emozioni negative si diffondessero in lei: rimorso, odio, senso di colpa, rabbia, paura…
 
E come le lettere precedenti, si ritrovò a stropicciare anche quella che stava scrivendo, gettandola a terra, dove si unì al mucchio di fogli già presenti nel pavimento.
 
Erano solo un ammasso di parole vuote. Vuote come il suo essere.
 
Si prese la testa tra le mani, strofinandosi le tempie per fermare l’inizio di un mal di testa. Serrò gli occhi per un attimo, lasciandosi cullare dal profumo di legno fresco e inchiostro presente nella sua stanza.
 
Come poteva dire addio all’unica persona che la faceva sentire viva e amata?
 

 
Poteva quasi vedere con il retro della mente il sorriso svanire dal volto di Anna e i suoi occhi spegnersi mentre il dolore la attanagliava, quasi come fosse una visione dell’imminente futuro. Non avrebbe sopportato dirle a voce quelle parole. Doveva finire quella lettera.
 
Sospirò.
 
Riaprendo gli occhi, la ragazza cominciò nuovamente  a scrivere.
 
“Cara Anna,” recitò ad alta voce.
 
Con quel semplice foglio, avrebbe spezzato il cuore di due persone: non poteva concedersi nessuna esitazione. Doveva essere decisa, anche al costo di fingere.
 
Cercò qualche scusa su cui aggrapparsi che potessero dare una spiegazione ragionevole ad Anna, qualcosa che non comprendesse “non ho scelta” o “per favore, dimmi tu cosa devo fare”.
 
Fece un altro paio di tentativi mentre i fogli di carta sul pavimento aumentavano di minuto in minuto e il suo cuore tornò ad essere freddo come lo era prima di conoscere la ragazza.
 
Le sue mani tremavano ma non perse tempo a dare peso alla calligrafia e lo si notò dalle piccole imprecisioni presenti nel foglio che aumentavano man mano che continuava a scrivere. Solo Anna avrebbe dovuto leggerla e di certo la ragazza non avrebbe giudicato.
 
Rilesse quelle lettere un centinaio di volte, forse un migliaio e solo il rintocco dell’orologio che segnò le dieci pose fine alla sua scrittura, seguito a ruota da un leggero bussare.
 
Non aveva bisogno di vedere la persona al di là della porta per capire chi fosse. Quel tocco morbido, senza pretese, apparteneva sicuramente a Mellow. Nessun’altro si sarebbe dimostrato così gentile.
 
Elsa però non diede nessuna risposta, ancora concentrata a fissare la lettera tra le sue mani. Non che importasse granché: conosceva Mellow, la cameriera sarebbe entrata lo stesso.
 
Come a confermare quell’affermazione, la porta si aprì piano, lasciando entrare uno spiffero di aria fredda che avrebbe fatto rabbrividire chiunque, ad esclusione di Elsa.
 
Ad esso seguì la giovane cameriera.
 
Con la coda dell’occhio, la biondo platino vide Mellow entrare con aria frizzante con un sorriso stampato in volto, quasi volesse portarle una bella notizia.
 
Ma non c’erano belle notizie per lei. Non aveva mai avuto quella fortuna.
 
Quando Mellow alzò la testa per incontrare Elsa, capì subito che qualcosa era cambiato nelle ragazza e la sua felicità di spense di colpo. Se avesse sentito o meno la conversazione con la madre, quello non le era dato sapere ma dal modo in cui il suo dolce sorriso si trasformò in un ghigno preoccupato, era facile dedurre che nulla le era sfuggito.
 
Elsa si era rifiutata di parlare con Mellow della discussione con la madre ma la cameriera era una persona intelligente e, cosa più importante, la conosceva da tanti anni.
 
Qualsiasi cosa volesse dire, le morì in gola.
 
“S-signorina Elsa.” Disse guardinga.
 
I muri che Elsa aveva riiniziato a costruire intorno a lei erano palpabili. Tutti i progressi fatti in quei giorni grazie ad Anna sembravano essere spariti nel nulla.
 
“E’ ora della messa.” Finì, senza aggiungere altro.
 
Dal tono di voce era chiaro che qualsiasi cosa volesse dire alla bionda, aveva cambiato idea e si era limitata a quella frase. Mentre abbassava lo sguardo intimidita, i suoi occhi caddero sulla lettera che Elsa teneva in mano e la guardò in confusione.
 
 Ignorando quanto appena detto dalla sua cameriera, Elsa parlò con tono autoritario e distaccato, che fece chiaramente gelare il sangue nelle vene all’altra ragazza.
 
“Ho bisogno che tu faccia una cosa.”
 
La voce fredda e rassegnata non sembrava neanche più la sua. Se ne rese conto anche la stessa Elsa, ma non se ne curò più di tanto.
 
Prima di rispondere, Mellow si prese un attimo per guardare attentamente la sua amica, squadrandola da cima a fondo.
 
Se c’era una cosa che la cameriera aveva notato chiaramente, era che da quando Elsa aveva conosciuto Anna era più sciolta e spensierata che mai. La versione davanti a lei però teneva la schiena perfettamente rigida, le spalle si erano rifatte carico di tutti i problemi della propria famiglia e i suoi occhi erano vuoti. Così vuoti da credere di averla persa per sempre.
 
“Qualsiasi cosa, signorina.” Riuscì a dire, usando quanta più gentilezza poteva concedersi.
 
Elsa ancora si rifiutava di guardarla.
 
“Porterai questa lettera alla signorina Dawson assieme alle altre cose di sua proprietà il prima possibile. Non aspettare risposta. Siamo intesi?”
 
E per la prima volta, da quando era entrata in stanza, Elsa alzò gli occhi verso Mellow la quale sembrava quasi le stesse chiedendo il motivo di tutta quella farsa. Ma lo sguardo morto sul suo viso non lasciava tralasciare nulla.
 
Riconcentrandosi sulla lettera, prese una delle sue busta e gliela infilò. Una volta chiusa, scarabocchiò il nome di Anna.
 
Alla signora Anna Lily Dawson.” Recitava la busta.
 
Alzandosi, si avvicinò a Mellow e le porse la lettera senza aggiungere una parola.
 
La superò ed era pronta ad uscire dalla stanza quando sentì la mano della cameriera fermarla sulle sue tracce.
 
“Non puoi permettere questo, Elsa. Parla con me, troveremo una soluzione. Abbiamo tutte una scelta.”
 
Ma Elsa non reagì. Rimase ferma, immobile e impassibile.
 
Non si prese la briga neanche di guardare in faccia Mellow.
 
Ormai aveva gettato la spugna davanti al suo destino.
 
Con lentezza, Mellow lasciò andare il suo braccio che scivolò dalla sua presa e subito dopo uscì, lasciando una Mellow sgomenta all’interno.
 
Non avrebbe più visto Anna, non le avrebbe più parlato, non avrebbe più sentito il suo profumo.
 
Era tutto finito.
 
*
 
“Vi ho detto di lasciarmi entrare!”
“Signora, non può entrare qui.”
“Devo solo parlare un attimo con una persona!”
“Le ripeto che non è autorizzata.”
 
Che diavolo significava che non era autorizzata! Manco fosse il palazzo della regina!
 
Stai calma, Anna. Calma.” Pensò mentalmente.
 
Doveva vedere Elsa assolutamente, o quanto meno farle capire che si trovava qui fuori e che la stava aspettando. Ma quei tizi di guardia non la lasciavano entrare!
 
“Razzisti.” Bofonchiò, guadagnandosi un’occhiataccia.
 
Anna ci aveva messo un po’ a prepararsi e riprendere la forza necessaria per affrontare la giornata che aveva davanti. Grazie all’aiuto di Rapunzel e dei suoi amici, la ragazza aveva ritrovato se stessa ma ciò che contribuì più di tutto il resto fu il pensiero di vedere Elsa. Bastò immaginarsi quel momento per risollevarle il morale quanto basta per darsi una nuova carica per la giornata e dimenticare, almeno in parte, l’incubo.
 
Una volta uscita dalla cabina, aveva cercato Elsa ovunque, prendendosi la briga di gironzolare in prima classe. Guardò in ogni posto che riuscì a pensare o raggiungere ma senza trovarne traccia. Stava per perdere la speranza e riprovare più tardi quando sentì dei passeggeri parlare di una messa tenuta nella piccola cappella della nave. Fu così che capì di aver guardando nei posti sbagliati e con una rinnovata felicità, si piombò di corsa in direzione della cappella.
 
Non le volle molto per raggiungerla, nonostante avesse dovuto fare più di un tentativo per trovare il percorso esatto. Quando la vide in fondo al corridoio, si sentì subito più leggera ma non avrebbe dovuto abbassare la guardia e darsi false speranze perché fu lì che le cose iniziarono a complicarsi.
 
Due uomini stavano bloccando la porta e avevano fatto di tutto a parte lasciarla entrare.
 
Avevano parlato di un certo “Codice d’abbigliamento” e “Non essere nel ponte dedicato alla sua classe”.
 
Tutte sciocchezze.
 
Ormai erano sembrate ore da quando aveva iniziato a cercare di convincere i due a lasciarla entrare.
 
La conversazione era passata velocemente da tranquilla e ragionevole, a seccata e infastidita. I toni erano andati via via aumentando ma ancora non l’avevano fatta entrare e la cerimonia chissà quanto sarebbe durata ancora.
 
Stava iniziando a perdere la pazienza.
 
“Ero qui ieri sera, deve avermi visto sicuramente!”
“Tempo proprio di no, signorina e la prego di stare calma.”
“Io sono calma!” Sbottò.
 
No. Non lo era.
 
Era un’ingiustizia bella e buona. Era così vicino dal vedere Elsa da poterla sentire quasi cantare al di sopra dei cori che risuonavano nell’atrio.
 
E menomale che il suono della preghiera cantata copriva tutto il resto perché presto arrivarono ad urlarsi contro.
 
“Per la miseria, è solo per un minuto! Un dannato misero minuto!”
“Gli ordini sono ordini!”
 
A quel punto, non poté che mandare all’aria le buone maniera. Sarebbe passata con la forza.
 
Nel momento in cui si tirò su le maniche della maglia, un leggero cigolio fu udibile e dalle porte della cappella uscì niente meno che Sebastian Marsh, il padre di Mellow.
 
Non sembrò sorpreso di vederla, forse perché l’aveva già notata poco prima. Nonostante lo sguardo rigido presente nei suoi occhi, Anna sentì subito una speranza in più. Speranza che venne subito spenta quando iniziarono a parlare.
 
“Oh finalmente è qui, può dire a queste persone che-”
“Il signor Southern e la signora Arendelle le sono grati per il suo aiuto e mi hanno chiesto di darle i soldi della vincita di ieri sera in segno di gratitudine.”
 
Anna lo guardò per un attimo divertita. Voleva scherzare?
 
Dalla tasca interna però, l’uomo tirò fuori una manciata di banconote e gliele porse.
 
Ora Anna poteva dirsi veramente scioccata. E infastidita. E infuriata.
 
“Non me ne faccio nulla dei soldi, voglio solo vedere Elsa!”
 
Perché non lo capivano? Non sembrava di chiedere troppo!
 
“Mi hanno anche chiesto di ricordarle che lei ha un biglietto di terza classe e che la sua presenza qui non è più gradita.”
 
Di sicuro era in vena di scherzi. Lo guardò quasi aspettandosi un coro di “Buon compleanno, Anna! Era tutta una montatura!” ma per prima cosa quel giorno non era il suo compleanno e per secondo Sebastian sembrava molto serio e convincente.
 
Che cosa stava succedendo? Non le sembrava di aver fatto una brutta impressione a meno che non fosse una vendetta per la partita di Poker persa la sera prima.
 
In ogni caso, non era disposta a cedere.
 
Si preparò a ribattere e a ribadire il suo bisogno di vedere la ragazza ma davanti alla sua insistenza, Sebastian usò la carta che più di tutto Anna odiava: la corruzione.
 
“Signori, assicuratevi che la signora Dawson torni ai suoi alloggi e far sì che ci rimanga.”
 
Divise poi le banconote in due e le spartì in parti uguali ai due sorveglianti, senza togliere di dosso gli occhi da Anna , mantenendo il contatto visivo.
 
E ancora una volta, Anna si trovò ad odiare gli uomini e la loro avarizia. Ovviamente i sorveglianti diedero un cenno di assenso, scambiandosi uno sguardo incredulo e soddisfatto davanti alla mancia appena guadagnata. 
 
Le si avvicinarono, ognuno da un lato e la presero per le braccia, iniziandola a strattonare con fare orgoglioso.
 
Lanciò un’occhiataccia a Sebastian che sorrise beffardo alla vista, e quello la fece ancora più arrabbiare. Con una spallata, riuscì ad allentare la loro salda presa, e si diresse rassegnata verso l’uscita, brontolando tra sé e sé.
 
In fondo al corridoio i due la lasciarono andare, intimandola di non farsi più vedere intorno e tornando alle loro postazioni ammirando la grana fresca appena ricevuta.
 
Ma Anna aveva altri pensieri per la testa.  
 
“Che significa tutto questo?” Mormorò una volta sola.
 
Svoltò l’angolo in fondo e si stava giusto chiedendo cosa fare, quando una voce femminile e formale, la chiamò da lontano.
 
“Signorina Dawson!”
 
Girandosi, vide una faccia conosciuta venirle incontro di corsa. I capelli castano chiaro, gli occhi verdi familiari e la divisa da cameriera, le fecero rilassare lievemente. La ragazza molto probabilmente l’aveva notata da distante e aveva affrettato il passo per raggiungerla prima che se ne andasse.
 
Anna si fermò ad aspettarla.
 
La cameriera arrivò davanti a lei con un fagotto tra le mani e subito si chinò per riprendere fiato. Anna sorrise rincuorante alla vista. Le aveva da subito fatto una bella impressione ma…
 
Aspetta, qual era il suo nome?
 
Sentì il panico crescere. Che figura avrebbe fatto se avesse sbagliato nome con la cameriera di Elsa?!
 
Iniziò a pensare intensamente.
 
Assomigliava al nome di qualcosa di dolce. CIOCCOLATA! No, di certo non cioccolata, quello me lo sarei ricordata. Pensa Anna, pensa. Probabilmente iniziava con una M. Miele? M… Macedonia. Bleah. M-allow. MALLOW! Anzi no. Mellow!”
 
Per un attimo si sentì fiera di se stessa come non mai. Abbassò lo sguardò verso la ragazza che si era appena unita a lei ed era quasi sul punto di farle sapere che si ricordava il suo nome quando il suo buon senso non le fece notare che quella sarebbe stata una cosa molto stupida da dire.
 
 Si fermò dal commentare e aspettò un attimo prima di parlare in modo da farle riprendere fiato.
 
“Mellow, quante volte ti ho detto di chiamarmi solo Anna?” disse con tono scherzoso.
“Una sola a dire il vero, signorina Anna.” Rispose seria, rialzandosi con il busto.
 
La ragazza non aveva tutti i torti. Quello era solo il loro secondo incontro.
 
Ora che si era raddrizzata poté vedere meglio ciò che teneva tra le mani e la riconobbe immediatamente.
 
“Ehi ma è la mia giacca!” quasi urlò.
 
Il suo cuore perse un battito. L’ultima volta che l’aveva vista, una manciata di ore fa, quella giacca era sulle spalle della sua principessa. Le era successo qualcosa? No, era impensabile. Avrà chiesto semplicemente un favore a Mellow, doveva essere così.
 
“La signorina Elsa mi ha chiesto di restituirgliela.”
 
Menomale, non era successo niente di grave.
 
“Grazie.” Le rispose sinceramente, con un sorriso genuino.
 
Si allungò per prenderla e se la appoggiò al suo braccio. Con suo grande stupore, sentì un nuovo profumo contrastare gli altri odori della nave: il profumo di menta e aria invernale.
 
O in altre parole, il profumo di Elsa.
 
Sembrava quasi come se il profumo  di Elsa si fosse appena materializzato vicino a lei e avesse assunto la forma della sua giacca.
 
Non vedeva l’ora di rivederla.
 
A proposito di quello, alzò lo sguardo e guardò Mellow speranzosa. Aprì la bocca per parlare ma venne subito interrotta dalla mano dell’altra ragazza che aveva alzato per chiederle di darle la precedenza.
 
“Mi ha anche chiesto di consegnarle questa.”
 
E le porse una lettera.
 
Sentì un senso di déjà-vu davanti a quella scena, quasi fosse tornata indietro nel tempo alla mattina precedente quando una situazione simile si era svolta qualche ponte più giù.
 
Qualcosa però attirò subito la sua attenzione.
 
La busta era nuovamente azzurrina e rettangolare, come quella precedente, e sulla sua superficie c’era scritto il suo nome. Notò che il suo nome era scritto per intero, con tanto di secondo cognome ma non fu quello a sembrarle strano. Era il modo in cui era scritto che la fece allarmare.
 
Anna ricordava bene la precisione della scrittura di Elsa: nessuna sbavatura, i bordi leggermente arricciati e leggeri, quasi fossero note dipinte in uno spartito.
 
L’armonia e la bellezza di quell’intreccio che avevano quelle lettere le avevano subito scaldato il cuore.
 
In questa busta però le lettere erano più deformate, scritte di fretta ed erano presenti alcune imprecisioni.
 
Strano. Non dava l’idea di un invito a pranzo, quello era certo.
 
La prese con decisione e la aprì. E con lo sguardo preoccupato di Mellow  su di sé, quasi si stesse chiedendo pure lei cosa ci fosse mai scritto dentro quella busta, prese la lettera, la aprì e si mise a leggere.
 
Cara Anna,
Ti scrivo questa lettera per dirti che non possiamo più vederci. Il tempo trascorso con te è stato piacevole ma come già sai, il mio comportamento non è stato adatto ad una persona della mia classe. Sono promessa sposa ad Hans Southern e porto sulle mia spalle il nobile nome della casata degli Arendelle. Non posso permettere che il mio comportamento influisca ulteriormente sull’immagine dei miei cari. A malincuore, mi trovo costretta a dirti addio. Perciò, addio per sempre. Ti prego di capirmi e rispettare la mia scelta.
I miei migliori auguri per il tuo futuro,
Elsa Arendelle

 

 

 
Anna si sentì gelare il sangue. Le mani iniziarono a tremare e il foglio di carta si stropicciò sotto il suo tocco.
 
“Cerca di capirmi” recitava quasi alla fine. Oh sì, lei l’aveva capita eccome.
 
Guardò Mellow con un viso senza espressione e le pose una semplice e diretta domanda.
 
"Lo ama?"
 
Aveva bisogno di averne la conferma.
 
La cameriera sembrò capire subito il contenuto della lettera o almeno, probabilmente lo intuì dallo sguardo che la biondo fragola aveva avuto per tutta la durata della lettura. Uno sguardo che richiamava solo incredulità e un pizzico di amarezza.
 
“Hai visto come ti guarda?” Iniziò lei. “Se c’è una cosa di cui sono certa è che qualcun’altro ha rapito il cuore della signorina Elsa, quel giovane e martoriato cuore che ancora non aveva mai amato nessuno.”
 
Come pensava.
 
Quelle scritte nella lettera erano bugie, bugie belle e buone. La sua insicurezza era leggibile in ogni macchia d’inchiostro fuori posto presente nel foglio, in ogni sbavatura, in ogni tremolio.
 
Sentì la rabbia bruciare dentro. La stavano ricattando e minacciando!
 
Quale essere umano si meritava tutto quello?
 
Elsa era così dolce e speciale. No, non avrebbe tagliato la corda così, non sarebbe scappata, non l’avrebbe abbandonata.
 
Doveva vederla.
 
“Non posso permetterlo.” Sussurrò.
“Signorina Anna, Elsa crede di non avere scelta! E’ spaventata. È sempre stata carico di un peso enorme sulle sue spalle e la tensione che quei due mascalzoni le stanno mettendo, la fa tornare fredda come una volta.”
 
Aspetta, due?
 
“Due?!” Chiese. Non era solo Hans, quindi?
“Il signor Southern e la madre.”
 
Fantastico. Davvero fantastico.
 
“Mellow, io non posso rinunciare a lei. L’avrei fatto se sapessi che ama qualcuno e che è felice ma… Devo fare qualcosa.”
“Se sapesse di avere una scelta, di certo sceglierebbe lei, Anna. E’ sempre stata circondata dalla tirannia di quei due e ha iniziato a vivere la vita veramente solo da quando l’ha conosciuta neanche due giorni fa. Se c’è qualcuno che può farle cambiare idea quella-”
“Quella sono io.” Finì la frase.
 
Mellow annuì.
 
Aveva bisogno di un piano. Doveva trovare un travestimento o una via di accesso per la prima classe o una distrazione o tutte e tre le cose! Ma quello di cui aveva più bisogno era:
 
OLAF!” pensò trionfante.
 
Olaf era la persona adatta per creare un piano e riuscire ad intrufolarsi. Non aveva tempo da perdere.
 
“Grazie mille Mellow, te ne sarò riconoscente per tutta la vita. Non dica niente ad Elsa. Devo andare.”
 
E iniziò a camminare verso l’uscita dopo aver praticamente detto quelle parole senza neanche respirare.
 
Sentì di nuovo la voce di Mellow chiamarla da lontano, poco prima che raggiungesse la porta.
 
“Dove sta andando?!”
“A preparare un piano d’attacco!”
 
Si fermò e girandosi guardò Mellow negli occhi, sorridendo.
 
“Ho una principessa da salvare!”
 
Notò a malapena il sorriso di gratitudine della cameriera perché prese immediatamente a correre.
 
Ripercorse a ritroso i ponti della prima e della seconda classe, senza guardarsi mai indietro e senza perdersi. Era come se le sua mente avesse impostato il pilota automatico, sapevano perfettamente dove andare e quella volta non doveva permettersi nessun errore.
 
In un battibaleno raggiunse il ponte G e raggiunse la sua cabina, dove entrò di corsa, con il fiatone, scaraventando la porta aperta.
 
Ed proprio lì che trovò la persona che stava cercando.
 
“Ehi, sei già di ritorn-“ ma la frase si bloccò a metà appena ebbe il tempo di vedere le condizioni in cui si trovava la sua migliore amica: capelli spettinati, guance rosse, fiato in gola e una strana determinazione in volto.
 
Senza darsi un attimo di respirò, la ragazza appoggiò la giacca e la lettera sul suo letto e si avvicinò al ragazzo che aveva appena finito di far colazione.
 
“Che succede?” le chiese.
 
E senza mezzi termini, con il cuore palpitante nel petto e un tremolio alla voce, glielo disse.
 
“Olaf, ho bisogno che tu mi dia una mano ad entrare in prima classe inosservata in modo che io possa parlare con Elsa.”
 
*
 
“Non credo questa sia una buona idea.”
“Oh Punzie, non è sicuramente una buona idea. Ecco perché è così geniale!”
 
Rapunzel e Olaf stavano come sempre bisticciando. Per tutto il tragitto, dalla terza all’inizio della prima classe, non avevano fatto altro che rimbeccarsi come cane e gatto. La bionda aveva iniziato ad esternare i suoi dubbi riguardo il piano appena Anna e Olaf, che avevano passato l’intera mattinata a fare progetti e avevano deciso di chiamare loro due come rinforzi, glielo avevano illustrato.
 
Eugene era stato così eccitato all’idea da essersi preso la briga di “prendere in prestito” giacca e cilindro di un signore di seconda classe molto raffinato, che avrebbero dato ad Anna il travestimento perfetto per infiltrarsi. Rapunzel però, preoccupata della cosa, era stata un po’ in pensiero per le sorti del marito se fossero finiti nei guai, ma la biondo fragola le aveva dato la sua parola che ogni cosa che era stata presa, sarebbe tornata al proprietario legittimo.
 
Ora che erano ad un passo dall’iniziare però, e ognuno era pronto a raggiungere la loro postazione, la ragazza cercò in tutti i modi di trovare un’altra soluzione al problema.
 
“Okay, ma non capisco perché dobbiamo essere noi a distrarre i buttafuori e non Olaf!” disse Rapunzel ancora scettica.
 
Anna a vedere l’amica in quello stato, decise di abbracciarla senza preavviso, tanto che per poco le due non caddero a terra.
 
“Andrà tutto bene, Punzie. Tu e Eugene siete la coppia perfetta per distrarre quei tizi.”
 
La bionda si lasciò coccolare nell’abbraccio. Sospirò, notando che in ogni caso era in minoranza e quella sfida non l’avrebbe comunque vinta.
 
“Che mi dici di te però?”
 
Anna si allontanò per guardarla in faccia.
 
“Ho già tutto sotto controllo. Mentre voi li distraete, Olaf mi spingerà sul ponte dove indosserò il travestimento e potrò andare indisturbata a cercare Elsa. Sei con me?”
“Certo che siamo con te, rossa!” si intromise Eugene e le diede una pacca così forte sulla spalla che Anna sentì le gambe tremare e sorreggere a malapena il suo peso.
 
Rapunzel le sorrise rassegnata.
 
“Iniziamo su, prima che cambi idea.”
“Ognuno ai propri posti!!!” urlò Olaf, divertito.
 
Per quanto fosse una missione importante, era impossibile essere tristi intorno a loro. Presero posto ridendo e diedero via al piano.
 
Mentre la coppia di neo sposi si diressero verso i buttafuori, qualche metro più avanti di loro, Anna e Olaf aggirarono il ponte e andarono dalla parte opposta, in modo da trovarsi esattamente alle loro spalle.
 
Fatto questo, avevano calcolato che l’altezza di Olaf avrebbe permesso di raggiungere almeno il primo paletto del parapetto presente lungo tutto il ponte, perciò appena sentirono Rapunzel e Eugene iniziare la loro scenetta sul “Oddio, pensiamo di esserci persi. Eugene, è tutta colpa tua!” e videro quest’ultimo fargli segno di procedere, Olaf si coricò Anna sulle spalle e la spinse su quanto bastava per issarsi su.
 
Sembrava strano vista la piccola staffa del ragazzone, ma Olaf aveva molta forza. E menomale!
 
Una volta arrampicatasi con successo, si girò verso Olaf per fargli l’occhiolino e, una volta indossati la giacca e il  cappello praticamente rubati, Anna fece un cenno di ringraziamento verso i due neo sposi e se ne andò indisturbata lungo il ponte.
 
Non aveva idea di dove fosse Elsa in quel momento e tanto meno di come arrivare all’interno.  
 
Era già passata l’ora di pranzo ma come prima cosa, Anna voleva cercare nella sala da pranzo per vedere se le signore si fossero attardate per qualche motivo, ma come se la fortuna fosse dalla sua parte, Elsa uscì dalla porta in fondo al corridoio proprio nel momento in cui lei svoltò l’angolo.
 
Appena la vide, fu quasi presa dal panico e tornò subito a nascondersi dietro alla parete per sbirciarla da lontano.
 
La luce negli occhi di Elsa era spenta, quasi come la notte che si erano conosciute e quello spezzò il cuore di Anna più di tutte le parole false scritte sulla lettera che le aveva mandato.
 
La ragazza era circondata da Gerda, Idun e altre signore, probabilmente per il loro consueto giretto dopo pranzo.
 
“Devo solo aspettare il momento giusto.” Si incoraggiò Anna mormorando con un filo di voce.
 
Per i successivi venti minuti però non ebbe molta fortuna. Aveva iniziato a seguire le signore a distanza, cercando di non sembrare sospetta ai passanti e nascondendosi quelle poche volte che qualcuno della compagnia si girava.
 
A un certo punto, arrivarono al di fuori della cabina del capitano e mentre Idun era impegnata a parlare con uno degli ammiragli di bordo, Anna tentò di avvicinarsi ad Elsa che si era distanziata leggermente per non rischiare di essere buttata in ballo nella conversazione della madre.
 
Anna vide Elsa sospirare, chiudere gli occhi e cedere alla fatica, appoggiandosi alla cabina del capitano inosservata ma quando Anna era a soli una manciata di metri da lei, una voce ruvida e mascolina fece scattare le due all’attenti, tanto che Anna dovette nascondersi di corsa dietro ad un mucchio di bauli di fortuna li accanto.
 
“A proposito della mia fidanzata, pensavo giusto di annunciare ufficialmente il nostro fidanzamento e le future nozze con una sera di anticipo. Non crede anche lei che sia una bella idea, capitano Smith?”
 
Anna cercò di farsi sempre più piccola dietro a quei bauli. Tra una fessura e l’altra poteva vedere chiaramente Elsa, la quale sembrava essere stata congelata sul posto, con il respiro bloccato in gola. Osservando la cabina, la biondo fragola notò che la porta era stata socchiusa e ciò permise alle due ragazze di sentire quella conversazione privata tra i due.
 
“Signor Southern, una sera in anticipo significa domani sera!”
“Proprio quello che voglio. Di certo non le creerà problemi, non è forse vero?”
 
A quello seguì un attimo di silenzio.
 
Probabilmente il capitano aveva sbuffato o sospirato o fatto qualche cenno di assenso inascoltabile visto il leggero chiasso presente all’esterno, perché subito dopo si risentì di nuovo la voce di Hans.
 
“Vedo che ci siamo capiti. Eccellente! Voglio mettere finalmente chiaro e tondo che Elsa è mia e solo mia.”
 
Per l’ennesima volta, Anna si ritrovò a reggere l’impeto di prendere a pugni quel mascalzone da strapazzo. Avrebbe tanto voluto entrare in quella cabina e spaccare la faccia a quell’essere ma si trattenne solo perché vide la tristezza e la rassegnazione negli occhi di Elsa, che peraltro sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
 
Come immaginava, quella lettera era stata frutto della sua immensa paura.
 
Anna imprecò. Non poté farne a meno.
 
La discussione all’interno della cabina finì quando un membro dell’equipaggio che né Elsa né Anna aveva sentito arrivare, comparve davanti la porta socchiusa e bussò.
 
“Capitano, è arrivato un nuovo telegramma.”
 
Successivamente si sentì il capitano mormorare un “Allarme Iceberg in questa stagione, non c’è da stupirsi… Dai l’ordine di azionare le caldaie, acceleriam-” ma le sue parole vennero spente quando Hans, uscendo, fece sbattere la porta dietro di lui, chiudendola ermeticamente. Se ne uscì fiero  come non mai per la sua piccola vittoria personale e si sistemò la giacca in modo da coprirsi dal venticello di quella bellissima giornata. Non si accorse subito di Elsa, ma quando la notò, stranamente non fece altro che sorridergli con compiacimento per poi andarsene.
 
Anna fu distolta dai suoi pensieri, che includevano prendere a pugni Hans, prendere a calci Hans, prendere a schiaffi Hans, spingere giù dalla nave Hans, solo dalla voce di Idun che intimò Elsa a riunirsi al gruppo.
 
L’inseguimento quindi riebbe iniziò ma quella volta si prolungò per soli altri tre minuti. Infatti, le signore si fermarono di nuovo per esaminare le scialuppe non molto distante da dove si trovavano in precedenza, e fu allora che Gerda si accorse di Anna, dopo aver girato l’ennesimo corridoio esterno, e aver sorpreso la ragazza mentre sbirciava da dietro l’angolo.
 
Anna subito rimase pietrificata ma si calmò quando la signora le fece un occhiolino di incoraggiamento e alzò una mano mostrando un tre.
 
Tre?” pensò Anna, non intuendo subito il significato.
 
Ma non poté chiedere chiarimenti in quanto, subito dopo, Gerda iniziò vivacemente a raccontare una delle sue barzellette sul the inglese che appassionarono tutte le presenti, esclusa forse Idun che però si finse interessata.
 
Senza preavviso la donna, intelligentemente, spinse Elsa un po’ fuori dal gruppo e le fece segno di guardare all’indietro.
 
Anna non pensava di poter stimare così tanto una persona. Avrebbe come minimo dovuto costruirle una statua. O quantomeno ringraziarla con tutta se stessa perché Elsa, girandosi, la vide.
 
I loro sguardi si incrociarono per la prima volta quel giorno, mandando brividi lungo la schiena di entrambe. Lo sguardo di shock presente sul volto di Elsa sarebbe stato a dir poco memorabile nella mente di Anna. Sembrava sul punto di urlare ma riuscì a contenersi e a mimare un “ANNA?!” assai sorpreso.
 
Sul suo viso sembrò nascere di nuovo la luce ma si spense appena Elsa si ricordò della lettera che le aveva scritto. Sembrò sul punto di rigirarsi ma Anna giocò la sua carta migliore: gli occhioni da cucciolo smarrito.
 
Sapeva di essere inarrestabile e su Elsa sembrò funzionare perché la ragazza non riuscì a resisterle.
 
Altro che lo “sguardo che conquista” di Eugene! Quello era un vero e proprio sguardo conquistatore!
 
Senza dare nell’occhio, Elsa riuscì ad allontanarsi esattamente nel momento in cui Gerda alzò due dita.
 
Anna in quel momento capì. Era il tempo che avevano a disposizione.
 
E lei avrebbe sfruttato ogni secondo.
 
Appena la raggiunse, Anna prese Elsa per mano e la spinse in un cabina vuota che avevano da poco passato.
 
Una volta dentro, Elsa e prese le distanze e la guardò da capo a piedi. Sembrava si stesse chiedendo come mai Anna fosse ancora lì, con quella energia e quella forza, dopo il male che aveva intenzionalmente deciso di farle provare. Ma Anna ora era più decisa che mai. Le avrebbe dimostrato di essere un valido candidato.
 
Pensava di averle distrutto il cuore? Beh, forse un po’. Ma sapeva che c’era sotto qualcosa e i suoi amici avevano ragione. Non si sarebbe arresa. Non era nella sua natura.
 
 “Anna sent-”
“Mi piaci Elsa.”
 
Oddio, non poteva credere di averlo detto ad alta voce!
 
Lo sguardo scioccato di Elsa era lo stesso che avrebbe avuto Anna se non fosse stata così decisa a non perdere l’altra ragazza.
 
La biondo platino sembrò sul punto di questionare la cosa quando Anna si tolse il cilindro che stava ancora indossando e si ripeté.
 
“Elsa Idun Marie Arendelle. Tu mi piaci.”
 
Quello la ammutolì.
 
Elsa aprì e chiuse la bocca un paio di volte senza che nessuna parola venisse fuori, ma meglio così.
 
Anna avrebbe risposto a quella lettera, che lo volesse o no.
 
“E ti dirò di più. So che anche tu provi qualcosa per me. E so che hai fatto quello che hai fatto per paura di mettermi in mezzo a guai o altro. E posso capire che tu creda di fare la cosa giusta o che non senti di meritare la felicità che hai provato con me, ma ti prego di considerare anche ciò che voglio fare io. Ormai ci sono troppo dentro, non puoi chiedermi di lasciarti andare così.”
 
Da dove spuntava tutto quel coraggio, quell’egoismo e quella comprensione dei fatti? Dire quelle parole ad alta voce, guardandola negli occhi, le fece improvvisamente capire il significato di molte altre cose. Una di queste per esempio era il motivo per cui Gerda le avesse fatto quel discorso sull’essere l’ancora di salvezza di Elsa, o  il motivo per cui il suo cuore batteva così forte ogni volta e tante altre cose, piccoli o grandi dettagli che fossero. Si concesse di essere egoista un altro po’. Voleva che Elsa capisse.
 
“Voglio stare con te. So di non avere niente da offrirti, lo so bene. Ma ho giusto una vita a portata di mano che voglio condividere con te. Voglio te al mio fianco e non smetterò mai di lottare per e con te. E mi piaci, Elsa. Non per la maschera che ami tanto indossare, ma per quello che sei, per quello che mi fai provare, per il modo in cui mi guardi. Sei la persona più fantastica che io conosca. E ti ripeterò all’infinito che sono disposta a lottare per te e a vincere la battaglia. Non posso andarmene senza sapere che starai bene.”
 
Anna prese un respiro profondo. Il petto sembrava pronto ad esplodere e sapeva che pure Elsa era rimasta senza parole. Entrambe poi sapevano che Anna era testarda abbastanza da fare sul serio ogni cosa che aveva appena detto.
 
“I-io… Questo non è possibile.” iniziò Elsa.
“Elsa, ti prego! Se salti tu, salto anch’io, ricordi?”
 
Ma Elsa sembrava ancora troppo spaventata.
 
“I-io… Sono fidanzata! Non posso fare un t-torto alla mia famiglia. Non dovrei nemmeno essere qui con te in questo momento!”
 
Era vero.
 
Eppure l’aveva seguita lo stesso. Era troppo tardi ormai per stare distanti l’una dall’altra.
 
“Io n-non avevo mai creduto possibile l’amore tra due donne e poi arrivi tu e mi sconvolgi così la vita e…”
 
Fu il turno di Elsa di sospirare ma quel semplice atto non calmò i nervi alla ragazza, che aveva iniziato a tremare visibilmente.
 
“Non posso metterti in pericolo. Voglio solo proteggerti!” le urlò in faccia, con gli occhi lucidi.
“Tu non devi proteggermi, io non ho paura! Non escludermi di nuovo dalla tua vita.”
 
Elsa sembrava sul punto di crollare e un singhiozzò uscì dalla sua gola. Anna non voleva sforzare il discorso ma Elsa sembrava ancora convinta di doverla lasciare.
 
“Ti tengono in trappola Elsa. E morirai se non ti liberi.”
“Sarò forte abbastanza.” Ribatté lei.
 
Anna le sorrise.
 
“Sei in effetti una delle persone più forti che conosca. Ma devi liberarti da questa gabbia in cui sei rinchiusa. Ti faranno sempre più male, così tanto che finiranno per spezzare quelle tue belle ali e impedirti di andare oltre.”
 
I due minuti ormai erano passati e Anna sapeva di non avere più tempo.
 
“Non spetta a te salvarmi.” Mormorò Elsa.
“Lo so. Quello spetta solo a te stessa.”
 
Sospirarono entrambe di nuovo, nessuna veramente sicura di cosa fare.
 
Anna però decise di fidarsi di lei.
 
“Ti ricordi il nostro primo incontro due sere fa?”
 
Elsa non annuì né rispose ma la biondo fragola sapeva di essere ascoltata.
 
“Mi troverai in quello stesso posto alle sei in punto. Ti aspetterò per tutta la notte se sarà necessario.”
 
Non furono dette altre parole, non furono scambiati altri sguardi. Elsa abbassò il suo mentre Anna decise di darle il suo spazio per pensare.
 
Non si scambiarono nessun bacio d’addio, nessun abbraccio, nessun saluto.
 
Si separarono e basta.
 
Sarebbe stata una lunga attesa.
 
E Anna sperava solo di non dover aspettare invano.




 

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Capitolo 20
*** La mia scelta ***


Il Café Parisien poteva essere facilmente considerato il luogo più elegante dell’intero Titanic. L'ambiente era ideato per assomigliare a una tipica passeggiata parigina, completa di piante rampicanti e mobili in vimini. Perfino il cibo e le bevande che venivano servite al suo interno erano di una raffinatezza invidiabile.
 
Era proprio quel posto a raccogliere nel pomeriggio un’orda di passeggieri di prima classe di proporzioni smisurate. Il the delle cinque era un rituale ormai diffuso in ogni membro dell’alta società e l’effetto tranquillante di quella sala era un toccasana aggiuntivo ben gradito.
 
Quello che però era solito funzionare da calmante, nella mente di una certa biondo platino, seduta ad uno dei tavoli di legno bianco della sala, non stava altro che peggiorando la crisi che stava vivendo.
 
Elsa aveva tentato di ignorare i propri pensieri per tutto il pomeriggio, cercando ogni sorta di distrazione che l’aiutassero ad evitare il fattore “Anna”. Ciò che la sorprese fu che c’era riuscita quasi completamente. Fino a quel momento.
 
Intorno a lei, le amiche di sua madre parlavano senza fine ma erano diventate solo un brusio di sottofondo. Aveva finito gli argomenti per distrarsi e ogni cosa a cui cercava di pensare, la portavano involontariamente a pensare a quello che era accaduto poche ore prima. Per di più, non aveva scampo. Sua madre e le sue amiche non avevano intenzione di lasciare la sala molto presto e si raccontavano a vicenda i pettegolezzi più succulenti, o la tiravano in ballo per motivi sciocchi senza però coinvolgerla davvero.
 
Elsa dal canto suo,  non si sforzava neanche di sembrare presente. Lo sguardo era fisso davanti a lei, a malapena sbatteva le palpebre. Se fosse stata ripresa da sua madre, si sarebbe scusata dicendo di essere stanca.
 
C’erano così tante persone in quella stanza ma nessuna così importante da farle pensare ad altro.
 
Nella sua mente c’era solo Anna. Lo sguardo di Anna, la convinzione di Anna, la fiducia di Anna, l’amore di Anna.
 
Elsa Idun Marie Arendelle. Tu mi piaci.
 
Perché tra tutte le cose a cui doveva pensare, proprio quelle parole le saltarono in mente?
 
Si sentì subito arrossire e cercò di concentrarsi su ciò che stava intorno a lei.
 
Dal posto in cui si trovava aveva una visuale perfetta di tutte le signore, bambini compresi, che si trovavano nei paraggi. Una cosa avevano in comune. Tutte, senza nessuna distinzione, seguivano rigorosamente le regole che da una vita si era sentita ripetere: compostezza a tavola, schiena dritta, mignolo in alto in segno di grazia, e così via. Si comportavano a modo, con la consapevolezza di avere ricchezze a non finire e volerne sfoggiare la bellezza.
 
Mentre era distratta, sua madre aveva iniziato a parlare di lei di nuovo, tirando in ballo altre figuracce per metterla in ridicolo o chissà che. Di tutto il discorso captò solo poche parole le quali, senza spiegazione, la travolsero in un vortice di pensieri e fu invasa dai ricordi.
 
“Quando Elsa era piccola…” sentì dire da Idun.
 
Com’era quando era piccola? Aveva già rinunciato a tutto? Aveva mai avuto dei sogni che cercava di avverare?
 
Riguardando al passato, poteva vedere quanto la sua vita fosse stata basata su bugie e sciocchezze.
 
Ricordava suo padre mentre a cena parlava di quanto bene andassero i suoi affari al posto di chiedere a lei o sua madre com’era andata la loro giornata. Ricordava la faccia di sua madre quando ricevette la lettera che suo padre era morto durante un viaggio di affari: un viso devastato, non tanto per la morte di suo padre in sé ma per la lettera dei debiti arrivata appena la notizia della morte era stata annunciata. E ricordava i suoi genitori che a turno le ripetevano quanto l’amore fosse una cosa intangibile e inesistente.
 
Aveva mai sognato dell’amore? O si era sempre rassegnata alle parole dei suoi genitori?
 
“…E  ai suoi dieci anni comprammo un vestito alla pari con quelli dei reali.”
 
Ricordava quel vestito. Tutti merletti e fiocchetti, esattamente come le bambine che sedevano intorno a lei, scomodo e fastidioso. Lo aveva indossato mostrando il suo sorriso più grazioso per far fiera i suoi genitori. Genitori che, ovviamente, non si congratularono né niente. Era solo un’altra ricorrenza per loro per mostrare la loro villa e rendere invidiose un po’ dei loro cosiddetti “amici”.
 
Centinaia di invitati. Nessun amico. Nessuno veramente lì per lei.
 
L’unica nota positiva di quella giornata fu che per poco era riuscita a fuggire da quell’enorme salone in compagnia di Mellow. Fu quel semplice atto, di due ragazzine così diverse eppure così volenterose ad andare oltre ai pregiudizi e alle classi sociali, ad averle fatte legare più che mai. Ma la loro fuga era durata molto poco.
 
Idun le trovò in men che non si dica ed entrambe finirono in punizione. Da allora non aveva mai tentato un’altra fuga con Mellow e il loro rapporto appena nato, iniziò già a prendere le distanze.
 
Elsa sospirò.
 
Mai come in quel momento si era sentita così persa. Dire addio ad Anna le aveva fatto mettere in discussione ogni cosa. I suoi diciassette anni di vita erano stati tutto un insieme di doveri e obblighi, neanche un minuto dedicato a giocare o a godersi le piccole cose. Stava cercando di aggrapparsi alle certezze della sua vita, ma com’era possibile fare una cosa simile quando l’unica certezza era il senso di oppressione che provava?
 
Di nuovo, si ritrovò ad ascoltare il chiacchiericcio delle signore intorno a lei mentre le parole di Anna iniziarono a ripetersi nella sua mente, sostituendo i ricordi di quando era piccola.
 
La biondo fragola le aveva detto delle belle cose, certo.
 
“Mi piaci. Non per la maschera che ami tanto indossare, ma per quello che sei, per quello che mi fai provare, per il modo in cui mi guardi.”
 
Ma che ne poteva sapere Anna? Lei era libera. Poteva fare tutto quello che voleva senza mai sembrare banale, senza nessuno che teneva gli occhi puntati su di lei pronta a rimproverarla.
 
“Se salti tu, salto anch’io, ricordi?”
 
Aveva avuto così tanto freddo in quegli anni, incatenata a quella vita che la rendeva sempre di più un burattino privo di sentimenti. Era arrivata al punto di non riuscire più a vedere la luce, al punto da smettere di lottare e salire su quel parapetto per saltare. E fu proprio in quel momento che era arrivata lei, tendendole la mano e prendendola al volo prima di cadere. Ma anche così…
 
“Voglio te al mio fianco e non smetterò mai di lottare per e con te.”
 
In cuor suo sapeva che anche lei avrebbe fatto la stessa cosa. Anna era disposta a tutto, a dimostrarle che l’avrebbe sostenuta e l’avrebbe amata come mai nessuno aveva mai fatto prima di allora. Meglio ancora, le sue non erano solo parole. Era già passata ai fatti. A differenza sua che non aveva fatto altro che appoggiarsi a lei. Avrebbe dovuto prendere le redini della situazione e fare qualcosa, perché Anna…
 
Anna…
 
Anna la stava aspettando.
 
Non aveva bisogno di vivere in una villa o un castello e quello non era il posto in cui avrebbe voluto essere.
 
Lasciarla era servito solo a mandarla più in crisi di quanto già non fosse. Aveva stracciato l’unica cosa che contava davvero per lei e non se lo sarebbe mai perdonata. Ma non era più disposta a farlo. Oh no.
 
Doveva aprire il suo cuore e seguire il suo istinto, e sapeva benissimo dove voleva andare. Quella realizzazione la caricò di nuova speranza.
 
Anna le aveva detto di non aver paura. Era giunta l’ora di dimostrare che anche lei era disposta a lottare.
 
Le nostre non sono mai scelte facili” aveva detto sua madre.
 
Facile sarebbe stato stare con Hans e fingere di amare una persona che non amava.
 
Facile sarebbe stato continuare a vivere come aveva fatto fino ad ora, vuota e morta dentro.
 
Però sarebbe stato difficile tuffarsi in un amore con una donna, vivere una vita di attimi, di incertezze, di soldi a stento guadagnati con l’unica sicurezza di un amore ricambiato.
 
E scegliere l’amore era la scelta più difficile di tutte.
 
L’avrebbe coinvolta a livelli devastanti e ciò che coinvolge il cuore è ciò che rende le persone più fragili ma allo stesso tempo più forti.
 
Per la prima volta, decise di seguire il consiglio di sua madre.
 
E in quel momento non aveva più dubbi su che cosa avrebbe scelto.
 
La risposta era sempre stata lì.
 
Avrebbe scelto lei.
 
Lei e basta.
 
Fu il rintocco dell’orologio a farla tornare al presente, ma nei suoi occhi non c’era più quel senso di smarrimento che si era insinuato su di lei quella mattina.
 
I suoi occhi brillavano di una decisione mai vista prima.
 
Guardando l’ora però si rese conto di non avere più molto tempo.
 
Cinque e mezza.
 
Quanto avevano intenzione di parlare quelle donne? Aveva bisogno di un piano per andarsene da lì e ne aveva bisogno in fretta.
 
Ma avrebbe dovuto giocare bene le sue carte per non destare alcun sospetto dalla madre.
 
Più il tempo passava, più in quella stanza si sentiva soffocare. Le lancette giravano più veloce di quanto desiderasse, e ancora lei non aveva trovato un’idea.
 
Solo una persona in sala si rese conto del suo disagio: Gerda.
 
Quella stessa signora che aveva aiutato Anna a fare bella figura in prima classe e che aveva fatto in modo che stessero insieme. Forse era l’unica persona di cui poteva fidarsi ma non ebbe bisogno di chiedere nulla perché con uno solo sguardo, Gerda capì.
 
Elsa non capì se fu quello sguardo brillante ma disperato o la sua lieve agitazione o solo la grande gentilezza della donna a far in modo che andasse in suo soccorso.
 
Sta di fatto che trovò subito una scusa, affermando e convincendo le signore che ritirarsi prima, visto il freddo della serata in arrivo, sarebbe stato la cosa migliore per preservare la loro bellezza. Di solito avevano l’abitudine di fare un’altra passeggiata sul ponte interno, ma Gerda le convinse a non farla.
 
La biondo platino, non potendo ringraziarla come si deve, le fece un cenno del capo, sperando che almeno quello bastasse a farle capire che era in debito con lei.
 
Ma prima di poter correre da Anna, doveva fare ancora una cosa.
 
Aveva bisogno di un altro stratagemma. Non avrebbe di certo potuto andarsene sperando di non dare sospetti. Conosceva sua madre. Così, con calma zelante, si diresse con Idun alla cabina, separandosi solo una volta che giunsero all’entrata.
 
Sperava unicamente che Mellow fosse lì. Aveva un piano.
 
Quando chiuse le porte della sua stanza, Elsa sentì un leggero trambusto arrivare alle sue spalle. Prima di girarsi, lasciò andare la maschera che aveva indossato per Idun, e l’ansia iniziò ad invaderla, tanto che da lì a poco si dimenticò pure di quei rumori strani appena sentiti. Nella stanza, proprio davanti all’armadio, stava la persona che cercava.
 
La sua cameriera aveva un’aria altrettanto agitata. Stava per chiedersi il motivo di quell’atteggiamento ma il suo sguardo cadde verso l’orologio e notò che erano già scoccate le sei. Doveva sbrigarsi.
 
Mellow con aria impacciata si appoggiò all’anta dell’armadio che aveva appena chiuso.
 
“Mellow ho bisogno di te.” Le disse disperata.
 
Sembrava titubante a lasciare l’armadio ma fece subito un passo verso di lei, preoccupata. Sembrò fissarla un attimo con aria critica ma appena i loro occhi si incontrarono, il suo sguardo si addolcì, pronta ad ascoltare.
 
“Ho bisogno di un diversivo.”
“Un diversivo?”
“Ho preso la mia scelta.”
 
Lo disse tranquillamente, con decisione e felicità crescente. Non serviva spiegarle nulla. La sua gioia parlava da sé.
 
“Ma c’è un problema.”
 
La ragazza castana le sorrise comprensiva.
 
“Sua madre?”
“Mia madre.”
 
Annuì, iniziando a pensare.
 
“Ho bisogno di andare ora, mi sta aspettando! Ma se mia madre lo viene a sapere, mi proibirebbe di andare o mi manderebbe qualche tirapiedi a seguirmi oppure-”
 
Non si rese conto di aver iniziato a parlare sempre più veloce e sempre più in ansia finché Mellow non le prese le mani e gliele strinse.
 
“Elsie, sono qui io. Va tutto bene. Posso coprirti! Dimmi solo cosa dire e corri da lei. Dal modo in cui continui a guardare quell’orologio posso immaginare tu sia già in ritardo, perciò sbrighiamoci, okay?”
 
Elsa si commosse a quelle parole e la gratitudine per lei non poté che crescere. Senza preavviso la prese tra le braccia e la strinse a sé .
 
“Grazie.” Le sussurrò all’orecchio.
 
Dopo un ultimo scambio di abbracci, le ragazze si misero all’opera.
 
Analizzando la situazione e tenendo conto della vicinanza all’ora di cena, le ragazze arrivarono alla conclusione che solo due potevano essere scuse plausibili per giustificare un eventuale assenza della biondo platino.
 
Elsa propose la classica scusa del “Sta facendo il bagno.”
Mellow invece propose qualcosa di ancora più classico ma che funzionava sempre: “Non sta molto bene.”
 
Decisero di buttarsi con l’idea di Mellow. Quella era in assoluto la bugia più grande che avrebbero mai detto, entrambe loro. Ma il bisogno di vedere Anna era più forte e giustificava il tutto.
 
Girò sui tacchi, pronta ad andarsene ma prima di uscire si ricordò dell’espressione della sua amica poco prima.
 
“Mellow, tu tutto bene?”
 
La ragazza annuì con vigore, felice come non mai.
 
“Mai stata meglio.”
 
Non poteva chiedere di più. La sua più cara amica era al settimo cielo e lei lo sarebbe stata appena avesse raggiunto le braccia confortevoli di Anna.
 
 “Ora vai.” La incitò la ragazza.
 
Nel girarsi di nuovo, le sembrò che qualcosa nell’armadio si fosse mosso, ma lo attribuì al movimento brusco e non si fece altre domande.
 
Chiuse la porta e con passo svelto lasciò l’anticamera.
 
Stava andando da Lei.
 
*
 
Elsa stava correndo, come quella sera in cui conobbe Anna. Stava correndo ma questa volta, aveva una meta e uno scopo. Ripercorse gli stessi scalini, con il fiatone e le gambe tremanti, senza dare nessuna tregua al suo corpo che urlava di rallentare e prendere aria. Esattamente come quella sera si stava precipitando verso la poppa della nave.
 
Si ricordava di aver pensato al futuro e di non essere riuscita a vedere nulla, convinta di essere una persona dalle “limitate possibilità”.
 
Ma per la prima volta, il futuro che vedeva davanti a lei non le sembrava poi così male. Non se aveva Anna al suo fianco. Aveva trovato quel qualcuno che era disposto a trattenerla, quel qualcuno per cui lei fosse più importante di ogni altra cosa.
 
Passo dopo passo, i sogni per il suo futuro presero forma. E in ciascuno di essi vedeva Lei.
 
Che ore erano? Era certa che fosse passata più di un’ora dall’orario che le aveva dato Anna e maledisse i marinai in cui si era imbattuta per averla trattenuta. Aveva  dovuto trovare mille scuse per liberarsene e quello le fece perdere tempo prezioso.
 
Anna la stava ancora aspettando? O aveva perso la speranza?
 
Iniziò a rallentare prima di girare l’ultimo angolo e cercò di calmarsi, sebbene il cuore non smise di battere velocemente nemmeno per un istante.
 
Una volta preso il suo tempo per risistemarsi, prese un respiro profondo e svoltò.
 
In quell’istante venne quasi accecata dall’improvviso chiarore del sole e si ritrovò a sbattere le ciglia più volte per adattare la visuale. Ma quando li riaprì dopo un paio di tentativi, fu come se qualcuno le avesse bendato gli occhi per poi toglierle la benda e augurarle “Sorpresa!”.
 
Perché quando lì riaprì, si ritrovò improvvisamente emozionata.
 
In fondo, esattamente nel punto in cui Elsa si era sporta, stava Anna che le dava le spalle e fissava il tramonto.
 
Le nuvole che si perdevano nell’orizzonte le facevano da sfondo mentre il mare e il cielo si fondevano in un unico essere.  L’esplosione di colori che tingevano il cielo risaltava le caratteristiche di Anna. I capelli cullati dal vento di poppa e legati in due trecce, sembravano come dorati e le sue ciocche intrise di luce pura. Tutto il contorno della sua figura sembrava emanare una certa aura che rendeva l’immagine della ragazza ancora più soave e ultraterrena, quasi come fosse la sua chiamata verso la salvezza.
 
Era la visione più bella della sua vita.
 
Si trovò come spinta da una forza superiore a camminare avanti, verso di lei. Passo dopo passo, non importò più se fossero le sei o le sette, se fosse mattina, pomeriggio o sera. Non importava che avesse un leggero accenno di sudore per la corsa che aveva fatto e Anna i capelli spettinati che – qualcuno la aiuti - le stavano d’incanto.
 
Ciò che le importava era che Anna fosse lì.
 
L’aveva aspettata.
 
Non si era arresa.
 
Non si ERANO arrese.
 
Non sapeva in quanti secondi, minuti, ore aveva percorso quella breve distanza. Ma quando Anna si accorse della sua presenza, si girò e non sembrò neanche sorpresa di vederla. Anzi. Sorrise.
 
Le era mancato quel sorriso. Come avrebbe potuto farne a meno?
 
E prese quel suo sorriso e lo mise da parte, nascosto tra le cose che più teneva in questo mondo, nei pressi della sua anima. Perché se un giorno qualcosa o qualcuno l’avesse mai fatta dubitare di nuovo dei suoi sentimenti, lei avrebbe cercato in questo posto, e avrebbe trovato la forza per andare avanti.
 
Voleva parlare, chiedere scusa del ritardo, aveva provato almeno un centinaio di volte il discorso che voleva farle mentre la stava raggiungendo, ma l’unica cosa che uscì dalla sua bocca fu:
 
“Ho scelto te.”
 
E quasi si commosse di quelle tre parole uscite dalle sue labbra.
 
Anna allungò la mano verso di lei.
 
“Ti fidi di me?”
 
Quel tono di voce, quel timbro, quelle labbra.
 
E ancora, come quella sera, Elsa capì di fidarsi come non mai. Quando le loro mani entrarono in contatto, Elsa non aveva dubbi da far sparire. Aveva solo conferme.
 
Quella stessa presa salda e fiduciosa, forte e sincera, disposta a proteggerla sempre.
 
Trovare Anna era stata la cosa più bella della sua vita.
 
“Sarà una folle prova di fiducia.”
 
La biondo fragola rimase piacevolmente sorpresa di quella risposta. A quanto pare aveva riconosciuto quelle parole, le stesse che l’altra ragazza le aveva detto dopo averla salvata. Scossa dal nervosismo, Anna ridacchiò un attimo e con la mano libera, andò a sistemarsi una ciocca di capelli, spingendola dietro l’orecchio.
 
Si guardarono, assaporando la dolce presenza dell’altra e Elsa si lasciò trascinare contro Anna al punto che le loro fronti si toccarono.
 
Rimasero così pochi istanti. Fu Anna ad interrompere quel momento mormorando qualcosa.
 
“Chiudi gli occhi.” Le disse.
 
E Elsa obbedì.
 
Ma anche con gli occhi chiusi, il mondo non sembrava affatto oscuro. Anzi. Era più brillante che mai.
 
Poteva sentire il respiro di Anna sul suo viso e i suoi capelli stuzzicarle il collo. Non ebbe il tempo di bearsi di quella loro vicinanza perché fu spinta in avanti prima del previsto e si separarono.
 
Anna la avvicinò al parapetto, poteva sentire il metallo freddo contro il suo corpo che l’aiutava ad orientarsi. Si sentì quasi tentata di aprire gli occhi ma come se le avesse letta nel pensiero, l’altra ragazza l’ammonì.
 
“Non sbirciare.”
 
Era così un libro aperto per lei?
 
“Non era mia intenzione!” rispose con finta innocenza.
 
Anna ridacchiò.
 
Con piccoli altri comandi, la fece salire sul parapetto. Ma non aveva paura. Non se l’altra ragazza era lì con lei. L’aveva già presa una volta.
 
Sentì le sue mani scorrere lungo le braccia fino a congiungere le loro dita insieme. Se le sentì aprire mentre il corpo di Anna si adagiò al suo da dietro. Il profumo di fiori caratteristico della biondo fragola, mischiato all’odore di salsedine, era sempre più forte.
 
Poi le mani di Anna si spostarono sul suo torace, rassicurandola e mantenendola in equilibrio.
 
“Apri ora.”
 
Li aprì.
 
E si sentì mancare il fiato.
 
Il sole, pronto ad essere cullato dalle onde del mare, dominava la scena con i suoi ultimi raggi. Già si potevano vedere le stelle riprendere forma per la notte imminente, pronte a risplendere assieme alla luna.
 
Si respirava felicità nell’aria. Intorno a lei solo il paradiso.
 
Sì sentì librare in cielo. Niente più limiti, niente più tempo. Potevano volare, lasciare finalmente quella gabbia.
 
Poteva sentire pompare la gioia e l’adrenalina nelle vene.
 
 
La sensazione era incredibile…
 
“Possiamo volare!”
 
E viaggiare liberi nel vento e toccare le nuvole e non stancarsi mai.
 
Solo lei e Anna. Insieme.
 
Quello era il mondo di Anna. Vederlo dagli occhi di lei aveva aperto i propri. E ora che era in grado di vedere ciò che mai nessuno le aveva insegnato a guardare, non desiderava altro che vivere al meglio questa nuova vita.
 
Sentì Anna urlare di gioia e non sapeva se ridere o piangere per quell’ondata di emozioni. Così fece la cosa che più si sentiva di fare.
 
Girò la testa di lato, abbassando le braccia per recuperare quel contatto perduto poco fa, e riprese le sue mani. Incontrò il suo sguardo ma la ragazza già la stava guardando con così tanto amore, vero amore, di quello che non aveva mai conosciuto.
 
 E senza pensarci due volte baciò Anna.
 
La bacio.
 
Con quanto più amore potesse esprimere.
 
La baciò.
 
Mentre il sole scompariva all’orizzonte, lasciando solo la sfumature del suo passaggio dipinte nel cielo.
 
E fu la cosa più bella del mondo.
 
*
 
[Presente]
 
Un serie di fischi di approvazione esplose nella sala, seguiti da un caldo applauso.
 
I tempi erano decisamente cambiati. Ammettere di aver baciato Anna ottant’anni fa era impensabile. Ora invece la cosa era diversa e lo si vedeva dalla reazione dell’equipaggio davanti a lei, grondante di gioia.
 
 Quel trambusto ben gradito stava dando ad Elsa la possibilità di riprendere fiato un attimo e ripensare per bene a quella sera che mai aveva lasciato la sua mente e il suo cuore.
 
Anna le aveva fatto capire che anche una come lei poteva amare ed essere felice. Non lo aveva creduto possibile fino a quel momento. Eppure con lei tutto era stato magico. Non aveva paura ad ammetterlo.
 
Quel bacio le era rimasto impresso come nulla altro.
 
Lo ricordava come se fosse ieri.
 
Il sapore della labbra di Anna, il fiato corto, la voglia di non staccarsi mai. Tutte le promesse per il future scambiate così, con questo dolce gesto. Si promisero di stare l’una affianco all’altra, di amarsi incondizionatamente, di lottare. Capirono quanto l’una valesse per l’altra e mai come allora si sentirono così vicine, pronte a spiccare il loro volo. Ricordava il formicolio nello stomaco, i brividi nella schiena, il cuore che andava al ritmo loro amore: inarrestabile, potente, pieno di vita.
 
Anna era il suo angelo. Lo era tutt’ora. Dovunque fosse in questo momento, sapeva che la stava guardando.
 
Avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederla anche solo per un brevissimo istante…
 
 
“Quella fu l’ultima volta che il Titanic vide la luce del giorno.” Disse, smorzando l’entusiasmo.
 
Il ragazzone biondo davanti a lei era l’unico dell’equipaggio a non aver fischiato insieme ai suoi compagni. Bensì, era arrossito leggermente, sorridendo. Solo un’altra persona si comportò in quel modo: Joan.
 
Pure i due interessati parvero accorgersi di questo perché scambiarono uno sguardo di poche parole per poi guardare lontano, più imbarazzati di prima.
 
Kristoff si schiarì la gola per tornare a concentrarsi sul suo lavoro, prima di parlare.
 
“Quindi siamo finalmente giunti al tramonto del giorno del naufragio. Mancano più o meno sei ore al grande disastro.”
“Per tutte le renne.” Si intromise Sven. “Perché il capitano Smith se ne sta buono nonostante l’avviso iceberg? Sappiamo con certezza che ne era al corrente, allora perché non ha fatto rallentare la nave?”
 
La sua sentenza provocò un certo silenzio carico di tensione.
 
Elsa però sapeva benissimo la risposta.
 
E non era l’unica perché fu proprio sua nipote a dar voce ai suoi pensieri.
 
“Era troppo accecato dalla notorietà. Per quegli uomini era tutto no? Nemmeno la sua esperienza poteva far nulla davanti alla prospettiva di un articolo di giornale con la sua foto in prima pagina.”
 
Era proprio sua nipote. Aveva ereditato il buon animo di Anna che Elsa aveva cercato di trasmettere a sua figlia, nonché madre di Joan.
 
Anna in qualche modo era parte della sua famiglia.
 
“Che poi, c’è finito lo stesso in prima pagina.” Aggiunse Sven. Non a torto.
“Insieme all’articolo su quanto effettivamente fosse costruita male quella nave. Tutta bellezza estetica.” Finì Kristoff.
 
Vero anche questo.
 
La nave dei sogni. Il transatlantico inaffondabile. L’imbarcazione più lussuosa di tutti i tempi.
 
Tutti bei nomi.
 
Ma per lei aveva un solo nome.
 
La nave che le cambiò la vita per sempre.
 
 
 
 
N/A: Buonasera a tutti! E’ da un po’ che non scrivo note d’autore credo (?) ma per questo capitolo sono d’obbligo! Volevo scusarmi con tutti voi per il ritmo super lento che ha preso questa storia. Purtroppo ultimamente la mia salute sta cospirando contro di me e a quanto pare necessito di più tempo per sbrogliare le idee. Volevo inoltre farvi sapere che questo capitolo non sarebbe qui questa sera senza l’aiuto prezioso di Calime che mi ha aiutato a correggere un sacco di errori e a sistemare altrettanti frasi che mi stavano facendo impazzire. Quindi un grazie enorme a lei! (:

Spero di non avermi fatto maledire troppo per il ritardo. Nel caso, siete liberi di prendermi a sprangate v.v Sto scherzando, ehi, ci tengo alla mia vita. Detto questo, vi ringrazio per essere sempre qui a leggere. Vi voglio un bene immenso e beh, da qui in poi le cose non possono che essere più movimentate ;)
 
Un caldo abbraccio a tutti voi,
Hendy

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Capitolo 21
*** Ritratto ***


Delle volte si sente il bisogno di guardare il mondo con i propri occhi o, se non si è ancora in grado, con quelli di qualcuno più forte disposto a farcelo vedere dal suo punto di vista.
 
Altre volte invece bisogna solo lasciarsi trasportare dai propri desideri e tastare la vita attraverso tutti gli altri sensi e le emozioni che ci regala.
 
Questo era esattamente quello che stava succedendo ad Elsa che si stava lasciando travolgere, con ogni fibra del suo essere, da quel bacio passionale, mentre inconsciamente si preparava ad affacciarsi ad una nuova realtà in cui sarebbe stata libera di amare e di fare ciò che più desiderava.
 
Si trovava ancora in piedi sulla prua del Titanic, che andava incontro al tramonto a tutta velocità, e ciò che stava vivendo sembrava a tutti gli effetti uno dei più bei sogni di sempre ma era tutto reale, nonostante alcuni di essi, in quel momento, si stessero realizzando davvero.
 
Gli occhi di Elsa erano chiusi ma, allo stesso tempo, non erano mai stati così aperti.
 
Ogni emozione nuova vibrava dentro di lei, cullandola e regalandole attimi che mai aveva provato prima.
 
Il forte vento le scompigliava quelle ciocche ribelli che si ostinavano  a non rimanere acconciate, anche se non poteva di certo paragonarle a quelle di Anna che poteva sentire svolazzare contro il suo viso, dandole una piacevole sensazione di solletico.
 
Era il loro primo bacio e Elsa era già completamente persa di quella ragazza a tal punto da ricordarsi appena come si faceva a contare, al punto da avere solo una cosa in testa: il nome di Lei.
 
Il dolce profumo della donna che la teneva stretta a sé come se fosse ciò che di più prezioso esistesse al mondo la faceva inebriare, la sua presa salda le dava sicurezza e le labbra…
 
Oh quelle labbra.
 
Era sempre stata abituata a baci veloci, rudi e privi di qualsiasi sentimento ma quello che stava ricevendo in quel momento gliene faceva desiderare ancora e ancora. La morbidezza di quelle labbra fine e carnose, delicate e decise, stava facendo impazzire il cuore, il quale batteva furiosamente come se non dovesse farlo solo per lei, ma anche per la donna che ormai era diventata la sua unica ragione di vita.
 
Ma la sensazione più forte la stava vivendo dentro di lei. Il suo stomaco aveva preso a svolazzare, all’apice della felicità. Aveva appena conosciuto Anna, ma le sembrava di averla sempre conosciuta, i loro corpi erano come due pezzi di un puzzle che combaciavano alla perfezione, anime gemelle staccate l’una dall’altra in principio.
 
Si staccarono poco dopo, a corto di fiato. Aprendo gli occhi, Elsa si trovò davanti al perfetto colore del mare, racchiuso negli occhi della sua amata, ma non si diedero un attimo di tregua perché subito ricongiunsero le loro labbra, beandosi del calore che emanavano, come se da quelle dipendessero la loro stessa esistenza. Questa volta però, Elsa aprì la bocca quanto bastava per far scivolare la sua lingua nella bocca di Anna, dando inizio ad una danza infinita in armonia perfetta.
 
Il nuovo contatto sembrò accendere un fuoco completamente diverso e ogni emozione appena provata aumentò d’intensità, rendendo difficile trattenere i gemiti. Era una sensazione così primordiale, un bisogno primario che aveva appena iniziato ad essere soddisfatto.
 
Senza accorgersene si trovarono l’una avvinghiata all’altra, con nessuna intenzione di lasciarsi andare. Entrambe però sapevano che non potevano stare lì in eterno.
 
Fu Elsa la prima a staccarsi dalle labbra di Anna, interrompendo il contatto all’improvviso, quasi come le fosse venuto in mente qualcosa. Quel gesto provocò un mugolio da parte dell’altra ragazza in risposta.
 
“No, non smettere.” Sussurrò Anna, ricercando quel calore appena perso.
 
Ma la biondo platino che sembrava tutto ad un tratto molto eccitata per qualcosa, scosse la testa e andò a baciarle il collo una volta, due, tre, fino a raggiungere l’orecchio e sussurrare a sua volta.
 
 “Andiamo nella mia stanza.”
 
Usò il tono più soave e seducente che riuscì e a quanto pare diede l’effetto sperato perché il rossore che prese vita nel volto di Anna non poté essere più intenso.
 
La ragazza fu chiaramente presa alla sprovvista dall’improvvisa audacia da parte di Elsa, e lo si capì dal mondo in cui la guardò ma non fece domande.
 
Anzi.
 
Nonostante il suo sguardo rimase sbalordito per un bel po’, accennò un sì con il capo e segui l’altra ragazza verso la cabina, ancora ignara di cosa la biondo platino avesse in serbo per lei.
 
*
 
La prima cosa che si sentì quando la porta della Royal Suite venne aperta fu il verso di sorpresa che emise Anna, il quale si propagò nella stanza con una leggera eco. Non fu tanto la grandezza della stanza o il suo lusso a sorprenderla. Dopotutto, aveva già visitato la stanza di Gerda e, sebbene non fosse allo stesso livello di questa, le somigliava molto. Invece, fu l’immensità di quadri presenti adagiati contro il pavimento, appesi alla parete, appoggiati su sedie e divani e l’impressione di essere appena entrata in un museo d’arte, a farla rimanere di stucco.
 
“E’ un sogno.” Disse Anna a bocca spalancata.
 
Elsa ridacchiò dietro di lei, lievemente impacciata. Non aveva mai trovato nessuno veramente interessato ai suoi quadri. Molte volte si trattava di persone che non capivano nulla di pittura e che gentilmente le facevano i complimenti per il suo buon gusto o che spicciavano appena qualche parola, giusto per non essere maleducati. Con Anna però era diverso. Quest’ultima si girò verso di lei e con due occhioni dolci, come se fosse tornata ad avere cinque anni e fossero al Luna Park, chiese il permesso tacito di dare un’occhiata in giro al quale Elsa acconsentì.
 
E mentre Anna iniziò a girovagare nella stanza, con la mente rivolta solo a ciò che aveva intorno, dimenticandosi il perché si trovassero lì, Elsa mise a punto il suo piano.
 
Senza farsi sentire si allontanò dal salone e si diresse verso la sua camera lasciando la ragazza ignara sola.
 
Poteva benissimo sentire la parlantina della ragazza da dove si trovava ed era giunta alla conclusione che niente era più adorabile.
 
Sentì lodare i suoi quadri di Degas e un particolare elogio fu rivolto a Monet.
 
Da un lato fu grata che Anna era così presa da non rendersi nemmeno conto della sua momentanea assenza, dall’altra invece si maledisse internamente per non essere in grado di vedere la faccia della sua amata.
 
Una volta sistematosi, le venne un’ulteriore idea e senza fare rumore si avvicinò alla cassaforte, aprendola.
 
Sarebbe sicuramente valsa la pena di indossarla per il suo progetto.
 
Tornò nella  stanza affianco nell’esatto momento in cui Anna finì il suo adorabile sproloquio su un quadro di Picasso.
 
“-uso di colori incredibilmente fantastico! Ha descritto le zone d’ombra in maniera sublime, senza dover fare uso alla tecnica del chiaroscuro. Picasso è in assoluto un genio incompreso.”
 
Stava ammirando la tela delle Demoiselles d'Avignon e la biondo platino non poté che essere d’accordo con il suo parere.
 
Prima di farsi notare però si fermò un attimo ad ammirare Anna. Ad ogni frase la ragazza gesticolava in maniera vistosa e la sua parlantina non conosceva freni. Saltava da un quadro all’altro senza sosta, affamata di curiosità e ammirava ogni quadro evidenziandone le caratteristiche che lei trovava più interessanti. I suoi occhi poi brillavano di gioia ed esternavano quanto la sua passione fosse grande.
 
Elsa non poté che innamorarsi di nuovo, tutto da capo, di lei.
 
Lei che la faceva sentire capita, lei che non la faceva mai sentire fuori posto, lei che aveva avuto il coraggio di andare a prenderla dall’inferno che stava vivendo e trascinarla fuori, verso la luce.
 
Aveva trovato finalmente qualcuno con cui poter esprimere la sua opinione ed essere se stessa e non si sarebbe mai stancata di ammettere che Anna le aveva letteralmente salvato la vita.
 
“E oddio. OH MIO DIO.”
 
Elsa uscì dai suoi pensieri così, con quell’affermazione quasi urlata e piena di sorpresa e incredulità. Guardò la biondo fragola e notò che si era bloccata in mezzo alla stanza, guardando un punto preciso sul muro.
 
“Non ci posso credere.”
 
Elsa le si avvicinò in silenzio, pur mantenendo una certa distanza,  e notò che stava fissando con occhi spalancati niente meno che il ritratto Jeanne d'Arc. Dal tono incredulo di Anna era chiaro che quel quadro significasse qualcosa per lei.
 
Si avvicino di corsa e iniziò a guardare ogni dettaglio del dipinto, ogni rilegatura, ogni sfumatura di colore come per assicurarsi che fosse proprio chi sperava che fosse.
 
“E’ proprio lei! Joan! Oh sei così stupendamente stupenda!”
 
Sembrava davvero una bambina in quel momento, la sua eccitazione era palpabile nell’aria. Il quadro raffigurava una giovane Giovanna D’Arco in armatura, in sella al suo cavallo bianco, mentre impugnava con le mani una spada e uno scudo. Era come se Anna avesse appena ritrovato un’amica persa da tempo.
 
 “Elsa, è Joan!! Io AMO questo dipinto, hai visto quanto è perfetta e poi ci sono così tanti dettagli e- Elsa?”
 
Non sentendo nessuna risposta da un po’, la ragazza si voltò ma quello che vide le mozzò il fiato.
 
Elsa era ferma lì, dietro di lei, con solo una vestaglia di lino addosso che si adagiava perfettamente lungo la sua figura, risaltandone i contorni. La guardava con uno sguardo strano, che subito Anna non riconobbe. Era un misto di desiderio e di adorazione che presto, inconsciamente, prese forma pure su di lei, quasi fosse contagioso.    
 
Anna si sentì avvampare. Il calore si sparse selvaggio per ogni zona del suo corpo e più la guardava, più si sentiva bollire. Era veramente nuda sotto quello strato di lino o…?
 
Deglutì.
 
La ragazza non seppe mai se fu la sua bocca spalancata e arida a far capire alla biondo platino le sue più che piacevoli inquietudini o se quest’ultima avesse improvvisamente imparato a leggere la mente. In ogni caso però Elsa sembrò capire.
 
Aveva fatto colpo.
 
Piegò la testa di lato, sorridendo con un misto di divertimento e dolcezza.
 
Sarebbe stato sicuramente esilarante tastare le reazioni di Anna, così Elsa si passò la lingua sulle labbra, con deliberata lentezza. La biondo fragola fremette visibilmente, in balìa del suo stesso bruciante desiderio. Gli occhi saettarono in direzione della sua bocca e non si staccarono da lì nemmeno quando l’altra ragazza ebbe terminato.
 
Soddisfatta del risultato, Elsa continuò a stuzzicarla.
 
“Cosa dicevi di Joanne d’Arc?” le disse e il suo venne fuori come un sussurro carico di tensione.
 
Anna si sentì chiaramente in difficoltà. Qualsiasi pensiero avesse avuto prima era stato cancellato davanti la figura di lei, e venne sostituito da un turbine di domande senza fine che presero forma nella sua mente.
 
Quando era successo?
 
Quando si era cambiata?
 
Come aveva fatto a non accorgersene?
 
Cosa sarebbe successo se Elsa si fosse tolta la vestaglia?
 
Sentì il cuore iniziare ad accelerare il suo battito. Quell’ultimo pensiero non sembrò nemmeno così male ma non la aiutò a calmarsi. Tutt’altro.
 
Aprì la bocca un paio di volte per poi richiuderla. Le ci volle più di un tentativo prima di riuscire a spicciare qualche parola, che uscì a fatica dalla sua gola arida e desiderosa.
 
“C-chi? N-no, nulla. Q-quando… uhm… Come… E-el…sa.”
 
Anna si schiaffeggiò mentalmente. Come poteva quella ragazza, che solo qualche giorno prima sembrava la persona più insicura del mondo, farle questo? Non che le dispiacesse, certo. Quello Elsa parve capirlo molto bene e di certo non la stava aiutando.
 
Aveva trasformato quell’angelo in un concentrato di pura seduzione. E quella era la cosa più eccitante del mondo.
 
“Se questo è il caso…” rispose vaga la biondo platino.
 
Non ebbe il tempo materiale di questionare l’altra ragazza che la vide alzare le braccia e, con una lentezza disarmante, farsi scivolare di dosso l’unico capo che permetteva ad Anna di rimanere aggrappata alla sua sanità mentale.
 
La vestaglia cadde graziosamente a terra, ai piedi della sua principessa, lasciandola libera nella sua nudità.
 
Le sue intenzioni però ancora non le erano chiare. Cosa aveva in mente Elsa? Da un lato voleva urlarle di fare l’amore con lei in quell’esatto momento,  l’altra invece, ancora sbigottita, non capiva se fosse un sogno o uno scherzo.
 
In entrambi i casi, Anna era certa che se fosse morta ora, sarebbe sicuramente morta felice.
 
Cercò di sforzarsi con tutta se stessa di mantenere lo sguardo fisso sul viso di lei o su qualsiasi altra cosa che potesse tenerla lontana dalle sue intimità e dalla sua figura perfetta, ma con ogni secondo che passava il desiderio crebbe sempre più intenso.
 
Sentì il suo sguardo iniziare a cadere, così come ogni briciolo di resistenza che si era imposta di mantenere. Passò in rassegna le sue labbra una seconda volta, per poi scendere lungo il collo e notare una catenina luccicante sulla quale vi era appeso il più grande diamante che Anna avesse mai visto. Era certa che fosse l’unico oggetto che la sua amata stava indossando ma ciò che veramente desiderava stava leggermente più in basso della collana. 
 
Si stava preparando per ciò che avrebbe visto quando Elsa si passò una mano sull’addome, come per coprirsi.
 
E nonostante fu grata di questo, in quanto era quasi certa che non avrebbe davvero più resistito, non poté che sentire un pizzico di malcontento, seppure il desiderio rimase forte e vivo in ogni viscera del suo corpo.
 
Elsa sorrideva ma piano piano il sorriso svanì, lasciando spazio a un ghigno appena visibile. I suoi occhi divennero scuri e con passi lenti e decisi si avvicinò ad un Anna completamente tesa, accorciando la distanza a pochi centimetri.
 
Come Anna, la biondo platino lasciò vagare il suo sguardo sul volto di lei ancora una volta. I loro occhi si incontrarono e il mix di emozioni che stavano vivendo in quel momento erano dipinte tra le iridi azzurre di entrambe.
 
Fu Elsa a muoversi per prima visto che la biondo fragola sembrava ancora sotto l’effetto ipnotico del suo corpo.
 
Con la mano spostò qualche ciocca dei capelli di Anna, spostandoglieli dietro l’orecchio. Il contatto sembrò destare leggermente la ragazza che rilasciò il respiro che non si era accorta di trattenere da quando Elsa le si era avvicinata.
 
"Faresti una cosa per me?" Le disse quest’ultima, con voce roca mentre la fissava.
 
Con l’unico filo di voce che poté permettersi di recuperare, la ragazza trovò la forza di rispondere.
 
“Ogni cosa."
 
Elsa accennò un sorriso. Abbassando il capo, andò nell’incavo del collo di Anna e posò un bacio su di lei.
 
"Voglio che tu mi ritragga con questo addosso."
“Aspetta, che?”
 
Per un attimo la sentenza della ragazza la stordì.
 
Cosa intendeva Elsa? E poi, per quale ragione? Non che fosse importante ma perché proprio lei?
 
Tutte le domande le morirono in gola quando la biondo platino posò un altro casto bacio nello stesso punto di prima e con le mani, partendo dalle sue spalle, iniziò a scendere, accarezzando il collo e la parte di torace che la maglia che indossava non copriva.
 
Iniziò palesemente a stuzzicarla. Tutto il calore di prima sembrò riconcentrarsi di nuovo ed improvvisamente si sentì avvampare un’altra volta. Quando le mani di Elsa finirono di passare in rassegna il suo petto, queste passarono sui lati, continuando a scendere lentamente, sfiorando il contorno dei seni fino ad arrivare lungo i fianchi dove si bloccarono.
 
Anna poi si sentì spingere verso Elsa e i loro corpi si unirono lasciando una distanza pari a zero.
 
Solo lo strato dei vestiti della biondo fragola separavano le due, ma entrambe potevano sentire la tensione e l’eccitazione dell’altra radiare dal corpo.
 
E per la seconda volta in quasi un’ora, Elsa sussurrò con voce bassa e sensuale all’orecchio di Anna, scandendo bene ciascuna parola.
 
"Con. Solo. Questo. Addosso."
 
Passò qualche secondo di perfetto silenzio.
 
Anna rimase completamente immobile, come incantata dentro un mondo che solo la sua mente poteva esplorare.
 
Probabilmente, pensò giocosamente Elsa ancora stretta a lei, doveva aver causato una qualche sorta di blackout. A dire il vero però la ragazza stava vivendo una vera e propria battaglia con se stessa.
 
“Sento le sue… il suo… contro di me. Io non. Non può essere. E’ un sogno. Svegliati. No, non può essere un sogno. Il suo, sento il suo s-s-se-n-n-no contro di me, non può essere un sogno. Calmati Anna, calmati. C-Certo, Elsa ti ha preso un po’ alla sprovvista ma non è che non ti farebbe piacere fare… cosa doveva fare? Perché si era spogliata? Concentrati. Ma aveva veramente il suo s-s-se-n-n-no contro il suo e per di più era n-n-n-nuda. Sto per svenire. Elsa, prendimi.”
 
Il suo volto sembrava completamente perso, tanto che a un certo punto la biondo platino, non capendo il problema, dovette intervenire.
 
“Anna?”
“Uhm?”
 
Almeno dava segni di vita. Piegò la testa di lato allontanandosi un po’ dal suo collo per guardarla meglio.
 
Sì, decisamente era completamente persa. O forse il problema era stata la sua proposta? L’aveva messa in difficoltà? Al pensiero di aver rovinato il momento perfetto che aveva creato, si rattristì non poco.
 
“Forse la luce non va bene? O è il posto? Dobbiamo spostarci di là?”
“Cosa?”
 
Nulla, ancora vuoto. Quindi il problema era un altro e Anna forse non sapeva come dirglielo.
 
“F-forse… non vuoi?”
 
Quelle tre parole, sussurrate tristemente, sembrarono finalmente far scattare Anna dai suoi pensieri.
 
“No! Cioè! Sì! Cioè. Certo che voglio! Va bene, solo che pensavo che dato che insomma, cioè visto che sì, cioè no, cioè va bene. Ma non stai indossando nulla, ma proprio nulla nulla, al momento a parte quella bella, bellissima, stupenda collana e-”
 
La risata di Elsa inondò l’aria, fresca, leggera, viva.
 
Quindi era questo il problema. Anna era solo imbarazzata.
 
Si stava preoccupando per nulla.
 
Anna era così buffa. Decise di continuare con il suo piano iniziale: provocare la ragazza.
 
“Oh, l’hai notato. Si, voglio che tu mi ritragga così. Esattamente così.
 
Elsa non seppe mai quanta forza di volontà dovette richiamare Anna per accettare, nonostante il rossore molto evidente nel suo volto e il tremolio eccitato della sua voce. In ogni caso, la ragazza accettò con un flebile: “O-okay.”
 
I minuti successivi furono spesi per preparare il necessario.
 
Insieme spostarono un piccolo divano verso il centro della stanza dove Elsa avrebbe potuto stendersi e adagiarono dei cuscini in modo da renderla comoda una volta stesa.
 
Mentre Anna prendeva il suo album di disegni e il carboncino per disegnare che portava sempre appresso, le venne un dubbio. Di certo non potevano farsi scoprire, non quando Elsa – che durante la preparazione si era rimessa la vestaglia – avrebbe posato nuda, cosa che le aveva permesso di riacquistare un tono di voce pacato e comprensibile.
 
“Sei sicura che non debba arrivare nessuno? E che quel lurido verme schif-cioè, Hans, non sarà di ritorno?”
“E’ davvero un lurido verme schifoso e balordo!” Ridacchiò. “E tranquilla, finchè sarà impegnato a fumare e bere senza sosta non corriamo nessun pericoloso.”
“Dobbiamo solo sperare che i sigari siano abbastanza quindi.”
 
Anna scherzò ma sperava davvero fosse così. Elsa però ne parve convinta perciò non doveva fare altro che fidarsi.
 
Dando un’occhiata in giro per vedere se tutto era pronto, la biondo fragola notò che tutto in quella “Royal Suite” era della portata di Elsa: i cuscini pregiati, il raro tessuto, le rifiniture lucidate, non facevano che risaltare la perfezione del suo corpo.
 
Improvvisamente tutto ciò che aveva portato con sé iniziò ad avere un peso diverso davanti a quello che avrebbe dovuto fare. Non sapeva se essere grata o meno di saper disegnare, ma si sentì per un secondo incapace. Sapeva di avere talento, ma sarebbe veramente riuscita a ritrarre Elsa? Qui stavano parlando di cose forse fuori dalla sua portata e-
 
No, respira. Sono solo ansiosa e, uhm, eccitata. Elsa si fida di me, non posso deluderla. Darò il massimo.”
 
Prese un respiro profondo per calmarsi e si adagiò contro la sedia che aveva preparato in precedenza.
 
Mentre appuntava il suo pastello, Elsa si ritolse la vestaglia e si sedette sul divano.
 
“L’ultima cosa di cui ho bisogno è un altro ritratto in cui sembro una bambola di porcellana. Voglio essere ritratta per come tu mi vedi e per come sto iniziando a vedere me stessa, la vera me.”
 
Anna alzò lo sguardo verso di lei. Il suo tono era deciso e scherzoso ma allo stesso tempo anche incerto. In fondo, per lei, tutto quello che stava vivendo era nuovo e dopo aver passato diciassette anni costretta a seguire ordini, era normale che si sentisse ancora insicura. Quella considerazione bastò a spronare la biondo fragola.
 
Aveva già mostrato ad Elsa cosa aveva da offrire questo mondo.
 
Era giunto il momento che le mostrasse cosa vedeva di tanto speciale in lei. E aveva l’occasione di farlo con i suoi compagni di una vita: pastelli neri e fogli bianchi.
 
“Mi aspetto di ottenere quello che voglio.” Riprese Elsa con giocosa severità.
“Come desidera, mia principessa.”
 
Rispose con una confidenza del tutto nuova, abbassando il capo in segno di rispetto, quasi fosse davvero una reale, con un sorriso beffardo dipinto in volto.
 
Fu il turno di Elsa di arrossire.
 
Passarono solo pochi minuti prima che Anna dichiarò di essere pronta. Doveva solo decidere la posizione migliore per l’altra ragazza. La guardò un attimo, evitando intensamente le sue intimità di nuovo scoperte e cercò di prendere una decisione.
 
“Come mi devo mettere?” le chiese innocentemente Elsa. Niente secondi fini questa volta o toni provocatori. Anna si stava concentrando e lo si vedeva dai tratti seri del suo volto.
 
Annuì silenziosamente a se stessa prima di rispondere.
 
“Stenditi sul divano.” Iniziò, e piano piano la posizionò nel modo che credeva migliore.
 
Elsa rimase sbalordita dal lavoro di Anna e dalla sua serietà. Stava attenta a tutti i dettagli, dalla punta delle dita alla posizione dei cuscini. Quello era il suo lato professionale, la sua meticolosità, la sua concentrazione. Era la prima volta che Elsa lo vedeva ma già aveva scoperto qualcos’altro di Anna da amare.
 
“Ora, tieni gli occhi fissi su di me.”
 
Non era un comando così difficile, non aveva fatto altro da quando l’aveva conosciuta. Non era mai riuscita veramente a staccarle gli occhi da dosso. Tutto di lei sembrava attrarla. E quella sensazione sapeva per certo essere reciproca.
 
Diedero inizio così al lavoro di Anna.
 
Un primo tratto,  seguito da un secondo, fino a ricreare il contorno della figura.
 
L’attenzione alla prospettiva, le dimensioni, le proporzioni,  per rendere giustizia alla perfezione di lei.
 
I capelli erano stati lasciati sciolti e poggiavano sulle spalle nude. Il collo era adornato con la collana di diamante e la parte inferiore del corpo era nascosta da un velo che lasciava però scoperte cosce, gambe e piedi. Una mano era adagiata tra i suoi capelli mentre l’altro braccio era appoggiato al cuscino.
 
L’idea del velo era stata di Anna. Le disse che una volta, in uno dei suoi viaggi, conobbe un signore che le raccontò il significato di esso nell’arte e nell’iconografia in generale. Secondo quell’uomo, il velo era simbolo di unicità e rispecchiava l’individualità di ogni persona. Per di più, secondo altre teorie, era l’emblema della verità, in quanto rimandava alla credenza generale che quando una donna scopriva il suo volto, lasciava con sé ogni sua maschera permettendo di vedere attraverso di essa, svelandone il contenuto.
 
E quello era esattamente il loro obiettivo: ricreare una Elsa priva di maschere, rivelandone la vera persona in tutta la sua unicità.
 
La ragazza fu subito favorevole all’idea e acconsentì a posare con quel velo adagiato sulle sue cosce.
 
Restarono così per un po’. Elsa stesa sul divano confortevole e Anna concentrata sul suo lavoro.
 
Ora che quest’ultima aveva iniziato a ritrarre la biondo platino e a concentrarsi su tutti i particolari da disegnare nel suo foglio, poteva confermare una volta per tutte che davvero, non aveva mai visto niente di più bello.
 
Mai prima di allora.
 
Nemmeno i fuochi d’artificio erano così ipnotizzanti e il gusto della cioccolata (in assoluto il preferito di Anna) era di una categoria inferiore per quanto strana fosse quella affermazione.
 
Progetti per il futuro: inventare un cioccolato al gusto di Elsa.” Appuntò mentalmente.
 
L’imbarazzo tra loro ormai era stato dimenticato.
 
Per quanto fosse comoda però, la biondo platino non volle perdere l’occasione di conoscere ancora di più l’artista che le si trovava davanti, e cercò di fare conversazione.
 
"Te lo porti sempre appresso?"
“Uhm?” chiese confusa la ragazza.
“L’album.”
“Oh!”
 
Anna di solito non era una persona che parlava molto mentre stava disegnando, ma aveva tempo per distrarsi un po’ soprattutto ora che stava ancora tracciando le forme base.
 
"Beh, io vedo i disegni come degli attimi che restano impressi per sempre. Ogni disegno porta con sé una storia e un momento unico. In essi riesco a racchiudere sentimenti, che siano pace, amore, tristezza, imbarazzo. E’ l’unico modo che conosco per far sopravvivere i ricordi: li disegno. Così non potranno essere cancellati dalla mia mente, nessun pezzo può essere spostato e resteranno intatti. Posso tenerli vicini a me, momenti di una vita intera, che non verranno mai spazzati via. Quindi sì, lo porto sempre appresso. Non so mai quando vedrò  qualcosa che non voglio assolutamente dimenticare, anche se si tratta solo dell’espressione di una persona. Se qualcosa mi arriva dritto al cuore, devo assolutamente immortalare il momento. Per di più era di mio padre.”
 
Elsa ricordava la faccia rabbuiata di Anna quando, nella sala da the, era stato tirato in ballo la sua famiglia. Le aveva detto che non c’erano più e che sperava fossero fieri di lei ma  non era mai entrata nei dettagli. Non sapeva ancora quanto poteva addentrarsi in quel argomento ma avrebbe rispettato i suoi spazi.
 
Poi qualcosa attirò la sua attenzione.
 
Anna si chinò un attimo per avere un’angolazione diversa e qualcosa scivolò fuori dalla maglia.
 
Era un ciondolo che sembrava fatto d’oro, a forma di cuore. Era di un colore spento, segno che era stato indossato per molto tempo, molto più degli anni che aveva la ragazza. Allo stesso tempo però, era stato sicuramente tenuto con molta cura.
 
Prima che potesse anche chiedere, Anna continuò a parlare.
 
“Non vorrei essere indiscreta ma posso sapere la storia di quella collana? Sembra essere di valore.”
 
La ragazza si riferiva sicuramente al Cuore dell’Oceano. A quanto pare entrambe avevano dato una sbirciatina alla collana dell’altra.
 
“Vale sicuramente molto ma per me è solo una grossa pietra pesante. Nessun valore affettivo, pensavo solo potesse rappresentare il mio passato. Ciò che ero non se ne andrà mai via e volevo si notasse sul ritratto, anche se ora sono libera di mostrarmi agli altri, nuda di tutte le mie preoccupazioni e della prigione che mi era stata imposta.”
 
Anna annuì. Aveva intuito il motivo per cui la ragazza avesse deciso di tenere il diamante. Era una chiara contrapposizione con il velo: ciò che era prima e ciò che era disposta a diventare da oggi in poi.
 
“A proposito di collane. Che mi dici di quel tuo ciondolo invece?”
 
Abbassando la testa, notò che il ciondolo in questione era scivolato fuori dalla sua maglia.
 
“Oh questo. Di sicuro non ha un valore monetario molto elevato.” Ridacchiò.
“Ma avrà la sua storia, vero? Deve essere molto importante per te.”
 
Anna annuì e smise di disegnare. Con la mano andò a stringere il ciondolo.
 
Elsa notò il gesto. Era sicuramente un oggetto importante, altrimenti non lo avrebbe stretto in quel modo. Era una presa carica di amore e di nostalgia, lo teneva come un ricordo prezioso ma che nascondeva una sofferenza profonda.
 
“Lo è. Fa parte della mia famiglia da generazioni.”
 
La biondo platino si irrigidì. Forse sarebbe stato meglio non aver chiesto.
 
“Mi spiace, non avrei dovuto chiedere.”
“Non ti preoccupare, principessa. Nella mia famiglia è tradizione passarsi questo cimelio da generazione in generazione. All’inizio era un semplice ciondolo vuoto, ma ogni suo possessore lo tenne con cura. Se il discendente era maschio, avrebbe dovuto regalarla alla sposa in segno di amore. Se la discendente era femmina, non avrebbe dovuto fare altro che tenerlo al collo. Non sono molte le cose che mi sono rimaste della mia famiglia ma questa collana giunse nelle mani di mia madre e lo diede a me il giorno della sua morte. Dovevo stare a casa da sola per un po’ e non voleva sentissi la loro mancanza, perciò mi disse di tenerlo con cura fino al loro ritorno. Da allora è rimasto con me. ”
 
Calò il silenzio.
 
Elsa rimase immobile dov’era, non sapeva se muoversi o meno ma la ragazza le aveva detto tutto quello guardandola negli occhi e in questi poté vedere solo fierezza e fedeltà.
 
La sua voce aveva parlato con un accenno di malinconia ma per il resto, non ebbe problemi a parlarne, ma si sentì lo stesso il dovere di chiedere se stava bene.
 
“Ehi. Va tutto bene?”
 
Anna annuì nuovamente, sorridendo.
 
“Tutto bene.”
 
E non mentiva. Non aveva motivo di essere triste. Era vero che i suoi genitori non c’erano più, ma erano ancora nel suo cuore e il loro spirito viveva all’interno di quel suo secondo cuore d’orato che teneva al collo. Aveva affrontato tempo fa quel trauma e nonostante il vuoto della loro assenza non fu mai riempito, Anna riuscì lo stesso a tornare a sorridere. Così avrebbero voluto i suoi genitori. Così aveva intenzione di fare.
 
“Sto bene, davvero.” Rispose rassicurane ad un Elsa non ancora del tutto tranquilla ma si calmò dopo aver ricevuto quell’ulteriore conferma.
 
“Continuiamo?”
 
E riprese da dove aveva lasciato, lasciando che tornasse il silenzio e i pastelli riprendessero a tracciare quelle linee, quelle ombre, quel suo ritratto.
 
Entrambe iniziarono a studiarsi a vicenda, in cerca dei tratti nascosti dell’altra ragazza.
 
Elsa notò che i tratti decisi del pastello di Anna rispecchiavano la sua personalità.
 
Risoluta, determinata. Forte, piacevole.
 
In quel momento il pastello scivolò dalle mani di Anna che con il piede per poco non fece cadere l’album…
 
Impacciata e imbarazzante.
 
Era esattamente il suo stile.
 
Ci fu un momento in particolare in cui  Anna prese a delineare i contorni di Elsa. Si vide subito quando arrivo a delineare certe zone perché il volto della ragazza prese una sfumatura molto rosea.
 
“Stai forse arrossendo, signora Grande Artista?” la stuzzicò.
“F-figurati.”
 
Ma da allora lasciò che Anna si concentrasse.
 
Passò almeno una buona mezz’ora che la biondo fragola cambiasse il ritmo del suo disegno.
 
La vide chinarsi in basso. Fermarsi. Ritoccare. Poi ripetere il gesto per un’altra manciata di minuti.
 
Infine la vide fare un strano gesto con la mano e sorridere allegramente.
 
“Finito!” le disse con tanta gioia che subito Elsa sentì le labbra arricciarsi all’insù, contagiata da lei.
 
Rizzò a sedere, stiracchiando le ossa leggermente indolenzite per poi recuperare la vestaglia e rimettersela addosso.
 
La curiosità la stava uccidendo.
 
“Ho una regola quando disegno.”  Le disse Anna. “Una volta che la firma è stata posta, non ritoccherò più il mio disegno.”
“Suona molto professionale” fu la risposta di lei che le sorrise, per poi guardare la ragazza.
 
Se il disegno era finito significava che poteva vederlo, giusto? Quindi poteva avvicinarsi? Cercò nel suo volto la risposta alla tacita domanda.
 
Anna le sorrise, prendendo in mano l’album e avvicinandosi a lei. Le si sedette affianco sul divano e glielo consegnò.
 
La prima cosa che notò fu un segno posto in basso, nell’angolo destro del disegno.
 
Era un’inconfondibile ‘A’, ben visibile e delineata, con l’angolo sinistro leggermente arricciato e l’angolo destro che si arricciava formando una specie di asola che sostituiva il trattino originale. Era la sua firma. Affianco invece, era posta la data, 14 aprile 1912.
 
La sua scrittura era molto più precisa rispetto al biglietto che le aveva consegnato la sera prima, segno della meticolosità del suo lavoro.
 
Elsa le aveva chiesto la perfezione. Anna aveva fatto il suo meglio.
 
Esplorò poi con gli occhi il resto del foglio e si trovò faccia a faccia con sé stessa.
 
Il disegno fatto con il carboncino aveva le sue stesse sembianze, un lavoro da maestro, ma qualcosa la colpì maggiormente. I suoi stessi occhi. Erano pieni di luce e di speranza, carichi di emozioni come non lo erano mai stati e tutto di lei sembrava risplendere.
 
Non era come guardarsi allo specchio. Era come guardarsi l’anima. L’essenza di lei dipinta con il cuore di Anna.
 
Sentì le lacrime salire.
 
C’era riuscita. Aveva creato un capolavoro.
 
Non solo c’era lei in quel ritratto, c’era pure Anna.
 
Quel disegno sarebbe stata la prima cosa di loro proprietà. Perché ogni sua fattezza era ritratta con una tale passione e dedizione che ogni linea e sfumatura racchiudevano in sé l’amore che le legava l’una all’altra.
 
“Grazie.” Sussurrò.
 
La biondo fragola la sentì tirar su con il naso commossa. Parve capire subito, non ebbe bisogno di spiegazioni. Si avvicinò alla ragazza e le pose un bacio sulla guancia, sussurrandole all’orecchio.
 
“Prego.”
 
La voglia di baciarla era incredibile. Perciò Elsa fece proprio quello. Si girò e la baciò, con forza e passione, esprimendo tutta la sua gratitudine con quel gesto. Fece scivolare per la seconda volta la lingua dentro di lei, gustandosi il suo sapore a pieno, in preda ad una nuova ondata di emozioni che dalla loro bocca si estese in tutto il corpo.
 
Quando si staccarono, a corto di fiato, Anna tenne la sua fronte unita a quella di Elsa, beandosi di quel contatto e del respiro accelerato della biondo platino sul suo volto.
 
Restarono così per un po’.
 
“Sai perché amo così tanto Giovanna D’Arco?” chiese la biondo fragola.
 
Sentì Elsa scuotere il capo.
 
“Santa Giovanna d’Arco. Era un eroina che ha guidato la riscossa francese contro gli Inglesi durante la guerra dei Cento anni. E’ stata una figura chiave in quella battaglia. Come saprai, ebbe una fine a dir poco tragica ma ogni volta che guardo qualcosa che ha a che fare con lei, mi ricorda che anche noi donne possiamo avere la nostra parte nel mondo, possiamo farci valere, combattere per ciò che riteniamo giusto e difenderci con le nostre forze.”
“Sembra un personaggio interessante.”
“Lo è. E’ il mio idolo.”
“Beh se un giorno avrò l’onore di avere una mia famiglia, chiamerò mia figlia Joan.”
 
Entrambe ridacchiarono.
 
Un brivido di freddo costrinse la ragazza più grande a fermare la risata, cosa che non passò inosservata agli occhi della sua amata che la obbligò ad andare a cambiarsi.
 
I minuti successivi furono spesi così: Elsa alla ricerca di un abito nel suo guardaroba e Anna riordinando le sue cose.
 
Fu proprio in quel momento che la biondo fragola, dopo aver appoggiato sulla scrivania il suo album da disegno, notò una scatola rettangolare che suscitò il suo interesse. Era intagliata in legno bianco, e, sulla superficie, vi era inciso un fiore, un croco per precisione, che aveva già visto in qualche abito di Elsa.
 
“Oh, e questo cos’è?” chiese al vento, senza aspettarsi una risposta.
“Un carillon.”
 
Anna saltò, trattenendo l’urlo che le era salito in gola. Si voltò di scattò e vide proprio l’altra ragazza dietro di lei, vestita con un abito che non aveva mai visto.
 
“ELSA!”
 
Elsa portò una mano davanti alla bocca e rise di gusto. Quell’espressione le sarebbe rimasta impressa per tutta la vita, ne era certa.
 
Passato lo spavento, Anna ebbe il tempo di guardare il nuovo abito.
 
Non era molto diverso dall’abito che indossava la sera prima alla cena di prima classe, anzi, avrebbe scommesso che fossero stati commissionati dalla stessa persona. La differenza però stava più che altro nel colore. Aveva delle sfumature verdi che andava da una tonalità più bluastra a una più verde intenso, e presentava qua e là qualche perlina, ricreando l’effetto luccicante dell’abito gemello.
 
Le stava d’incanto.
 
“Woah, Elsa.”
“Sempre quel tono sorpreso.” Le sorrise.
 
Tornarono poi a concentrarsi sulla scatola bianca che aveva attirato l’attenzione di Anna.
 
“Quello è un carillon. Porta inciso lo stemma degli Arendelle. Vuoi sentire? E’ una delle mie melodie preferite.”
 
Anna annuì rigorosamente, eccitata all’idea.
 
Il suono che ne uscì quando Elsa alzò il coperchio, fece capire immediatamente il motivo per cui quella era la melodia preferita della sua amata. La sua musica era dolce e al contempo nostalgica e mentre riecheggiava nell’aria entrando non solo nelle loro orecchie ma anche nei loro cuori, Anna si sentì come trascinare verso la biondo platino. Allungando le mani e le prese i fianchi, avvicinandola a sé. Si lasciò trasportare dalle note mentre il suo naso venne accolto dal dolce profumo di menta. Si ritrovarono ad oscillare, l’una stretta all’altra, dando il via ad un ballo lento e al contempo romantico, dove diedero spazio alle carezze, ai piccoli baci, al contatto delle loro dita.
 
La melodia stava ancora riempendo la stanza quando Elsa parlò, tra le braccia di Anna.
 
"Ho passato molto tempo a cercare di spiegarmi le ragioni per cui sono rimasta e penso che in buona parte sia stato per paura. Avevo paura di lui e di ciò che sarebbe successo. Avevo paura che se avessi cercato di andarmene, mi sarebbe potuto succedere qualcosa di peggio."
 
Era una riflessione improvvisa, dettata più che altro dal rimorso di non aver fatto prima quel passo con le sue forze. Continuò a parlare.
 
"Ho sognato molte volte un nuovo inizio e la possibilità di trovare qualcuno come te beh, diciamo che non era nei piani. Ma ora che sei qui, voglio riempiere i miei giorni con te, voglio far diventare reale ogni mio sogno. Avevo paura dell’ignoto ma questo viaggio con te sarà un’avventura che voglio fare e inizia con una certezza. La certezza che sei al mio fianco. Con te sento di avere ciò che non pensavo di avere mai: un futuro.”
 
Le parole di Elsa erano così cariche di emozioni che Anna sentì salire la commozione.
 
“Ci sarò per te, Elsa. Farò tutto ciò che è in mio potere fare per renderti felice. Nelle gioie e nelle difficoltà, se tu ci sarai, io ci sarò. Sei la mia principessa ora. Ti terrò al sicuro io.”
 
*
 
[Present]
 
“Ho avuto il cuore in gola per tutto il tempo. Se posso essere sincera, fu il momento più eccitante della mia vita, fino ad allora perlomeno.”
 
La maggior parte dei presenti avevano la faccia dipinta di un rosso acceso. Nessun membro della ciurma avrebbe potuto immaginare la piega degli eventi.
 
Un argomento in particolare però rimase sulla punta della lingua di una certa biondo platino, seduta affianco a Elsa, che tanto le ricordava se stessa nei suoi tempi d’oro.
 
“Quindi il mio nome e quello di mia madre…”
“Sì, diedi a mia figlia il nome di Anna, in suo ricordo: Anna Lily Calvert. Prima di andare a letto le raccontavo sempre di quella ragazza che conobbi quando ero giovane che amava tanto  le avventure di Giovanna D’Arco. Quando nascesti tu, abbiamo deciso insieme di chiamarti Joan. Non ho mai raccontato a tua madre chi fosse veramente Anna per me, ma capì quanto per me fosse stata importante.”
 
Le sorrise con cura, come solo una nonna nei confronti di una nipote tanto amata può fare. Joan era la prima della sua famiglia a conoscere nei dettagli la sua storia e sapeva che ne avrebbe fatto tesoro. Certo, aveva detto alla sua Anna che avrebbe chiamato “Joan” sua figlia, ma viste le circostanze delle ore successive che presto si sarebbe trovata a rivivere, dubitò che la ragazza potesse essersela presa con lei per aver dato il suo nome alla figlia e aver aspettato sua nipote per mantenere quanto le aveva detto.
 
“E p-poi che è successo?” chiese Kristoff, il rossore del suo volte era il più accentuato della stanza.
"Vuole sapere se lo abbiamo fatto?"
 
Kristoff sussultò così vistosamente che cadde addirittura dalla sedia dalla sorpresa.
 
La risata generale che ne seguì fu a dir poco esilarante. Pure Elsa si unì alle risate davanti alla sua goffaggine.
 
“Mi dispiace deluderla, Christofer. Anna era una vera professionista nel suo lavoro e non si approfittò di me in nessun modo. La risposta quindi è no. Non l’abbiamo fatto. Non quella volta almeno.”
 
L’ultima frase venne sussurrata appena e le poche persona che la sentirono parvero averla immaginata. Solo Joan, che conosceva sua nonna, parve cogliere subito perché il suo viso venne accolto da un pizzico di imbarazzato in un battibaleno. Elsa rispose facendole l’occhiolino e ridacchiò.
 
Non era sicura di essere veramente pronta per ciò che avrebbe dovuto raccontare dopo. Poche scene ancora la separavano dall’accaduto. Bastò il pensiero a farla rabbuiare.  
 
Ancora poche ore la separavano da quel fatidico momento.
 
Poche ore, all’evento che segnò la sua vita così in profondità, che ancora ne portava le cicatrici.
 
 
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N/A: Ciao a tutti i lettori di Tco! Mi spiace essere sparita per così tanto e qualsiasi scusa possa tirare fuori, nulla mi farà perdonare quanto questo capitolo (credo). Spero vi sia piaciuto ma volevo fare alcuni ringraziamenti in particolare.
 
Durante questi due mesi in molti mi sono stati vicini, ma questo capitolo sarebbe ancora a metà della sua stesura se non fosse per Calime e SaraJLaw che mi hanno aiutato un sacco! Sia come idee, sia come storia, sia come tutto insomma. Perciò volevo ringraziarle ufficialmente per il duro lavoro.
Ma non solo loro mi sono state affianco. Pure Pixer e GK hanno continuato a sostenermi, facendomi apprezzare il mio lavoro e continuando a riempirmi di complimenti.
 
Inoltre molti di voi lettori hanno continuato a ripetermi che avrebbero aspettato anche fino alla fine del mondo per leggere i miei capitoli (esagerati, lo so), ma vi ringrazio di cuore per il vostro continuo supporto.
 
Spero che questo capitolo possa valere come scusa per il mio ritardo e che venga apprezzato! Ci ho sudato l’anima probabilmente e il prossimo capitolo non sarà da meno.
 
Grazie per la vostra pazienza, per essere rimasti, per aver continuato a leggere, per essere arrivati fino a qui insieme a me. Tco ha già praticamente un anno fra poco e non sarei giunta fino a qui senza di voi. Perciò GRAZIE. Non smetterò mai di ripeterlo.

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Capitolo 22
*** Verso le stelle ***


Avvertenze: Questo capitolo è IL Capitolo.


Una cosa fu certa di quella sera: la musica nella stanza si propagò per molto tempo.
 
Sulle sue note vennero improvvisati uno dietro l’altro balli di ogni genere, nonostante la melodia fosse sempre la stessa. Venne ripetuta così tante volte che nella mente di entrambe le ragazze era già stata ormai incisa e, sebbene al momento le due stavano sedute a parlare senza nessun sottofondo se non i loro respiri, nella loro mente ancora stava riecheggiando, intrappolata nell’incanto della sua stessa eco.
 
Si persero in chiacchiere e racconti, sia dai toni tristi e amari che più allegri e buffi.
 
Fu come ripetere la scena del Café solo che avevano superato la fase del “Qual è il tuo colore preferito”. In quel momento si parlava di vita. Vita passata.
 
Anna si trovò a raccontare meglio dei suoi genitori. Le raccontò i suoi migliori ricordi, della sua striscia sui capelli e del giorno della Rivolta del Pane, fino a narrare le avventure più belle nei suoi viaggi in Europa.
Elsa dal canto suo le raccontò della sua situazione a casa e di come era finita nelle grinfie di Hans. Non c’erano molti episodi felici da poter esternare, ma le raccontò di Mellow e di come era stata di conforto durante quegli anni bui.
 
Entrambe giovarono di quella loro conversazione; fu come togliersi un peso che opprimeva il petto. A quanto pare, tra le due, la più emotiva era Anna. O forse era solo colei che aveva vissuto gli orrori più sgradevoli, ma non erano lì per competere su chi fosse stata più male e decretarne il vincitore. Lo facevano per loro stesse. Ad Anna vennero gli occhi lucidi, immersa nei ricordi dei suoi genitori, e aveva faticato a trovare le parole ma alla fine di tutto, Elsa l’aveva abbracciata e ringraziata.
 
Passarono così la serata, tra un abbraccio, una parola e qualche bacio rubato.
 
Su richiesta di Elsa, Anna aveva in precedenza riposto il diamante e il ritratto della biondo platino all’interno della cassaforte, assicurandosi di chiuderla per bene.
 
Tra le mille cose che fecero dopo aver finito il ritratto, al momento le ragazze stavano approfittando di quel tempo insieme per vagare nuovamente per la stanza. Non si persero di vista come in precedenza, anzi si goderono per bene la presenza l’una dell’altra. Si divertirono per di più a commentare ogni quadro che guardavano, proponendo una propria interpretazione personale e rendendola più buffa e comica possibile.
 
Erano lì a ridacchiare, dimenticandosi ogni preoccupazione, quando queste ultime riaffiorarono su di loro in modo brutale con un semplice bussare alla porta.
 
Ad esso, seguì la voce del maggiordomo di Hans.
 
“Signorina Elsa?”
 
Un brivido corse lungo tutta la spina dorsale di entrambe le ragazze. Il tempo apparentemente era volato. Erano lì dentro da troppo ma perché Sebastian Marsh si trovava fuori dalla porta? Era venuto per lei o sapeva di Anna? Elsa impallidì a quel pensiero ma la sua mente lucida ebbe la meglio.
 
Trascinò la biondo fragola nella stanza accanto prendendola per il braccio, evitando di farsi sentire.
 
“Che facciamo ora?” le chiese, senza lasciar andare la mano della ragazza.
 
Sentirono la porta aprirsi con un cigolio. Erano a corto di tempo e ormai sarebbero state sicuramente scoperte.
 
Non c’era altro da fare. Anna la guardò.
 
“Facciamo quello che hai fatto sempre. Scappiamo.” Le disse con tono deciso. “Ma questa volta, lo si fa insieme. Perciò corri, corri, corri!”
 
Iniziò a spingerla e nonostante la situazione fosse alquanto tragica, Anna sentì di aver voglia di ridere. Certo, sarebbe stato alquanto spiacevole essere scoperti ma, d’altro canto, il loro sentimento era così forte e chiaro che si chiedeva come avrebbero anche mai potuto tentare di nasconderlo. Erano come due calamite, incapaci di staccarsi l’una dall’altra e in continua attrazione.
 
Passarono per la porta che collegava la stanza della madre alla sua, facendosi spazio tra le cianfrusaglie della proprietaria e cercando di non fare neanche il più piccolo dei rumori.
 
Ma la fortuna a quanto pare non era dalla loro parte perché nella fretta di uscire dalla stanza, Elsa, senza accorgersene, con la scarpa spostò uno dei tappetti presenti nel quale subito dopo Anna inciampò, andando a sbattere con il ginocchio sul fondo del letto.
 
Il rumore sordo fu abbastanza forte da essere sentito in tutta la suite e anche la più piccola speranza che non fosse in realtà così, venne sfumata quando il suono di passi iniziò a ticchettare contro il pavimento in legno con maggior velocita, dirigendosi verso la loro direzione.
 
La biondo fragola fece di tutto per trattenere il gridolino che per poco non uscì dalla sua bocca e i suoi occhi si riempirono di piccole lacrime.
 
Elsa voleva tanto restare ad ammirare il musetto di Anna, ma le priorità erano altre perciò la strattonò per un braccio per farle capire di muoversi e filarono fuori dalla stanza, fino al corridoio.
 
Presero  a camminare a grandi passi cercando di non attirare attenzione ma, come sospettavano, oramai erano state scoperte e dalla porta dalla quale erano uscite poco prima, si affacciò il signor Marsh con un’aria alquanto imbronciata.
 
Fecero tutto il possibile per non destare sospetti ma era veramente troppo tardi per fingere e ogni tentativo risultò vano.
 
Vennero riconosciute subito.
 
“Andiamo Anna!” urlò Elsa.
 
Dovevano seminarlo. Perciò si diedero alla fuga.
 
La ragazza più grande era al comando, conoscendo la strada meglio della biondo fragola. Il corridoio della prima classe era lungo e avrebbero potuto percorrere tutto il tratto di corsa ma invece optarono per girare a destra alla prima occasione, in direzione degli ascensori.
 
Arrivarono esattamente nel momento in cui uno degli ascensori stava per chiudere le porte e riuscirono ad entrare per un soffio, a differenza del maggiordomo che arrivò quando era appena partito.
 
Per la prima volta videro bene la faccia di Sebastian Marsh e al momento sfoggiava un’intensa tonalità rossa e non sembrava molto contento. Anzi. Era colmo d’ira.
 
Non che fosse importante.
 
Prima di sparire dietro la parete, Anna lo salutò con la mano facendogli una pernacchia.
 
“Adieu signore.” Disse zelante con accento francese, fingendo poi un inchino.
 
Una volta giunti al piano di sotto, i ruoli si invertirono e fu Anna a prendere il comando, nonostante non avesse nessuna idea di dove andare. Iniziò a trascinare in giro Elsa, affidata alla più imprevedibile delle cose: il destino.
 
“Andiamo di qui, di qui!”
“Sai almeno dove stiamo andando?!”
“Nessuna idea!”
 
Corsero senza meta, scontrandosi contro persone, inciampando, chiedendo scusa a coloro che incrociavano per strada e che probabilmente le consideravano ubriache.
 
Forse avrebbero dovuto porre più attenzione e provare almeno un po’ di terrore per ciò che stava succedendo. Invece si stavano divertendo. Risero quasi fosse un gioco e stessero giocando a nascondino.
 
Si fermarono solo due piani più sotto, non lontano dalle cucine, per una piccola pausa.
 
I loro corpi erano ancora scossi dalle risate e si tenevano i fianchi in un tentativo di placarle.
 
“E’ come essere rincorsi da un mostro di ghiaccio.” Buttò lì Anna.
 
Era classico di lei uscirne con frasi così senza senso. Fece ridere l’altra ragazza ancora più forte.
 
“Un pupazzo di neve gigante.” Aggiunse.
 
Lasciarono calmare le risa fino a farle diventare semplici sbuffi e riuscire finalmente a reggersi ritte in piedi.
 
Anna poi alzò la mano e andò a spostare una ciocca di capelli biondi dal viso di Elsa. I suoi capelli erano tutti spettinati e la visione incantevole. Lasciò la mano scorrere dietro il suo orecchio, accarezzandola dolcemente con quel gesto.
 
Si allungò in avanti per baciarla ma, con la coda dell’occhio, riuscì a scorgere una figura in avvicinamento fin troppo familiare.
 
Sebastian le aveva raggiunte.
 
Si fermò a metà strada tra le sue labbra e preferì darle un bacio veloce sulla guancia.
 
“Pare che non abbiamo ancora finito.”
 
Elsa ridacchiò.
 
“Abbiamo a malapena cominciato.”
 
E ripresero a correre, prendendo quante più deviazioni possibili per confondere l’uomo. Non avevano molte scelte, soprattutto andando alla cieca come stavano facendo. Il rischio era quello di finire in un vicolo a senso unico perciò Anna optò per l’unica cosa sensata che le venne in mente. Spinse Elsa dentro la prima porta aperta che trovò e la chiuse a chiave dietro di sé.
 
All’entrata un forte rumore penetrò nelle loro orecchie mentre l’odore di metano si faceva spazio nelle loro narici. Era diventato improvvisamente caldo e c’era solo una spiegazione a tutto questo: la sala macchine.
 
Si trovavano nell’anticamera della sala dove chissà quanti meccanici, tecnici, marinai e quant’altro si stavano dando da fare.
 
“E adesso?” chiese Elsa. Dovette urlarlo di nuovo per farsi sentire.
 
Di certo non potevano tornare indietro e scegliere un’altra porta nella quale nascondersi. Molto probabilmente il maggiordomo non era molto distante dallo scoprirle. Perciò scesero di sotto e si ritrovarono nel centro dell’enorme sala, in cui la temperatura sembrava essere aumentata di almeno una decina di gradi. Non sembrava proprio il posto adatto per due ragazze ma almeno garantiva una via di fuga.
 
Prima che qualcuno potesse anche solo avere il tempo di far loro la ramanzina, ripresero a correre, superando le decine e decine di operai a lavoro che le guardavano male mentre Anna urlava cose a caso a tutti loro per far ridere Elsa.
 
“La Regina sarà fiera di voi!”
“Ottimo lavoro, ragazzi.”
“Oh, hai un po’ di fuliggine addosso!”
 
Non si curarono dei fastidiosi fischi né del fumo che usciva dalle caldaie e tantomeno del posto in cui si trovarono o dell’attenzione che stavano indubbiamente attirando.
 
Rallentarono solo un attimo, appena prima di raggiungere le scale per l’anticamera opposta.
 
Elsa si fermò di colpo e fece voltare Anna verso di lei. La prese e senza tante parole, senza tanti sguardi, senza nemmeno darle il sentore di quello che aveva intenzione di fare, la baciò. Perché non poteva averne abbastanza. Perché era insaziabile. Perché una volta uscite da lì ed essersi ributtati nella mischia, cosa potesse succedere era imprevedibile.
 
E non voleva perdere l’occasione di poterla baciare perché le sembrava di aver aspettato così tanto per trovarla. E l’aveva trovata ed era lì. E quale scusa migliore del baciare una persona del perché le si vuole bene.
 
 
Con loro grande sorpresa, proseguendo, si ritrovarono nella stiva della nave.
 
Un’enorme sala piena di bauli, casse e automobili, la maggior parte dei quali bloccati con reti e corde. Era un po’ polverosa visto che pochi ne avevano accesso e, prima dello sbarco in America, nessuno avrebbe avuto motivo di entrati lì. Il cambio di temperatura si fece sentire, tanto che entrambe le ragazze presero massaggiarsi le braccia in un tentativo di trattenere il calore.
 
Era un posto particolare ma almeno avevano trovato un luogo in cui nascondersi.
 
Si guardarono intorno, come se fossero appena giunte nel paese dei balocchi, come se fosse la loro base segreta dove da piccoli ci si nascondeva per fare qualche marachella.
 
Guardarono intorno nell’immensità di quegli oggetti, soffermandosi di tanto in tanto per toccare qualcosa o osservare attentamente qualcos’altro.
 
Una macchina in particolare attirò l’attenzione di Anna.
 
Era una macchina molto elegante, un modello probabilmente uscito da poco, rosso fuoco con rifiniture nere. Sul cofano erano state incastonata le lettere C e K, una affianco all’altra, in oro puro. Il loro significato era sconosciuto alle due ragazze ma il suo valore era indubbiamente inestimabile. Fu il mistero di quelle lettere probabilmente ad attirare Anna, che di certo non era interessata ad ammirarne i sedili in pelle e la carrozzeria appena verniciata.
 
Infatti non perse tempo a giocherellare.
 
Si avvicinò a gran passi, seguita da un’Elsa incuriosita e affascinata.
 
Una volta giunta davanti alla macchina, Anna aprì lo sportello, rizzandosi con la schiena e porgendo la mano ad Elsa per farla salire.
 
“La sua carrozza è arrivata, mia signora.” Affermò con un finto accento norvegese.
 
Tipico di Anna. Elsa ridacchiò prima di prenderle la mano e salire sui sedili posteriori. Erano particolarmente comodi, in cuoio e dal suo abitacolo poteva vedere il conducente di spalle. Un enorme finestrino separava le due cabine sebbene in quel momento fosse già abbassato e Elsa non aveva nessuna intenzione di chiuderlo.
 
Anna andò a sedersi sul posto dell’autista. Si mise comoda, stringendo il volante con aria molto altezzosa.
 
“Dove posso portare la mia principessa?” Mantenendo il suo accento.
“Uhm, mi faccia pensare.”
 
Elsa però trovava il tutto molto eccitante. Loro due, sole. In una stiva. Su una macchina di lusso.
 
Si spostò sul sedile esattamente dietro alla ragazza e avvicinò il capo al suo orecchio.
 
“Su una stella.”
 
Anna sentì un brivido correre lungo la schiena e si girò verso di lei confusa fino a far toccare i loro nasi. Il respiro di lei contro il suo viso era quasi affannoso. Il freddo di prima venne completamente dimenticato. Le sue iridi erano tinte di uno strano colore scuro. Sembravano quasi preda di un desiderio, un impulso, un bisogno. Bramavano qualcosa o meglio qualcuno. E quel qualcuno era esattamente davanti a lei.
 
Elsa la prese per le braccia in un impeto di bramosia  e la trascinò dentro la vettura. In un batter di ciglio si ritrovarono sul sedile posteriore.
 
 Vicine.
 
Così vicine.
 
Ma non ancora abbastanza.
 
Si guardarono, si studiarono a vicenda. Come a chiedersi a che punto fossero disposte ad arrivare. Anna cercò la mano di Elsa e gliela strinse forte, quasi come alla ricerca di una conferma. In risposta, Elsa alzò le loro mani congiunte e le portò a mezz’aria, lasciando che le loro dita si intrecciassero.
 
I loro occhi erano ancora fissi l’una sull’altra, il contatto visivo rimase ininterrotto e le loro labbra iniziarono ad inaridirsi, desiderosi di altri baci.
 
C’era solo Anna per Elsa. E c’era solo Elsa per Anna. Non avrebbero guardato altro, perché non c’era altro di cui avevano bisogno.
 
Lasciarono parlare gli altri sensi e le loro emozioni, come se potessero sentire, annusare, tastare l’immensità del loro legame basandosi solo sull’aria che le circondava. Erano l’essenza stessa del loro amore.
 
“Vivimi, Anna. Come una prima volta e al contempo l’ultima. Piano, veloce. Come il primo giorno, come dopo una vita intera. Senza controllo. Vivimi, Anna. Perché hai fatto di me una persona nuova, pronta a far parte di un mondo interamente nostro. Hai preso me. Ho scelto te. Voglio fare l’amore con te.”
 
A queste parole Anna sentì un bisogno immenso di baciare l'altra ragazza. Che fosse per il tono di voce con cui lo disse, per la voglia di unirsi a lei dopo quelle parole o per il fatto che Elsa si morse le labbra dolcemente, facendo scattare lo sguardo della biondo fragola verso il basso per ammirare quel gesto, non lo sapeva ma nulla era lì a trattenerla.
 
E lo fece.
 
La baciò trasmettendo tutta la sua passione in quel contatto, lasciando che parlassero i sentimenti, lasciando che Elsa capisse che anche per lei valeva la stessa cosa e che accettava. Accettava di fare l'amore con lei e di continuare a farlo per tutta la sua vita, fino alla fine.
 
Si baciarono lentamente, quasi come per memorizzare quel momento, come per sancire l’inizio di qualcosa di nuovo. Volevano ricordarsi ogni gesto, ogni momento, ogni brivido. Si abbandonarono a quel sentimento puro e allo stesso tempo così peccaminoso mentre la lingua di Elsa si faceva spazio dentro la bocca di Anna e la mano di quest'ultima si adagiava contro il petto della biondo platino, a contatto con il suo cuore accelerato.
 
Si staccarono solo per riprendere fiato qualche secondo prima che Anna iniziasse a baciare il collo di Elsa, lasciando viaggiare le mani lungo il suo corpo. Per Elsa trattenere i gemiti fu impossibile. Il tocco di Anna era dolce, sensuale, audace, non le lasciava scampo.
 
I vestiti iniziarono ben presto ad essere di troppo.
 
“Fidati di me.” Le disse la biondo platino, sussurrando nel suo orecchio.
“Sono tua.”
 
Non tardò a rispondere.
 
Ed era tutto ciò di cui aveva bisogno.
 
Elsa afferrò il colletto della camicia di Anna per avvicinarla a sé, per poi lasciar scendere le mani che andarono a slacciare i bottoni. Uno dopo l'altro, fino a sfilarle l'indumento dalle spalle. Le sue mani poi raggiunsero il petto di lei e andarono ad accarezzarle delicatamente i seni, poi l'addome, con estenuante lentezza, fino ad arrivare al bottone dei pantaloni, che slacciò senza pensarci due volte.
 
I capi andarono ad ammucchiarsi sul tappetino dell'auto, già dimenticati, mentre Anna rimase completamente esposta agli occhi di Elsa. Si era trovata a fantasticare di continuo sul suo corpo negli ultimi giorni ed ora eccolo lì, senza nulla addosso, pronto per lei.
 
Anna si lasciò travolgere dal contatto di Elsa mentre la ragazza la stuzzicava ma, non volendo essere da meno, tornò a baciarla. Si adagiarono contro il sedile in cuoio, Elsa sotto di Anna, mentre i primi baci iniziarono a trasformarsi in qualcosa di più.
 
Portò la mano destra sul ginocchio flesso di Elsa risalendo con altrettanta lentezza lungo la sua coscia tonica. Stava per ricambiare il favore e liberare anche la sua donna da quello strato fastidioso di tessuto che le separava, perciò inizio ad alzarle il vestito a sua volta.
 
Prima che potesse andare oltre però, Elsa si alzò di scatto e capovolse le loro posizioni, sedendosi a cavalcioni sui fianchi di Anna.
 
Il movimento sorprese la ragazza ma trovò la nuova posizione molto più comoda per completare ciò che stava facendo. Per quanto possibile cercò di mettersi a sedere e cominciò a baciare il collo di Elsa mentre con le mani le tirò su il vestito; si separò dalla pelle della bionda solo per sfilare definitivamente l'indumento, lasciandola finalmente libera.
 
Era una fortuna che la ragazza non avesse nessun corpetto addosso e Anna ne approfittò come meglio credette. Le sfiorò il seno con le dita, assaporando la sensazione di quella pelle morbida che rabbrividiva di piacere sotto il suo tocco. Alle mani sostituì poi le labbra, con le quali baciò lo spazio tra i seni, fino a dove poteva spingersi, solo per il gusto di sentire quei piccoli gemiti della donna sopra di lei.
 
Poteva sentire il calore del corpo di Elsa che radiava fuori di lei. Sapeva che anche lei poteva sentire il suo. E questo non fece che aumentare la loro eccitazione.
 
Elsa lasciò aderire i loro corpi l'uno all'altro per la prima volta e ciò scatenò una scarica di adrenalina e eccitazione mai sentita in vita loro. La pelle di Anna era candida come la seta.
 
Andò poi a cercare le sue labbra e scambiò un altro lungo bacio in cui le loro lingue furono le protagoniste mentre danzavano l'una con l'altra.
 
I loro seni combaciavano alla perfezione, così come le loro labbra e le loro mani che viaggiavano senza sosta.
 
Anna ad un certo punto mugolò di piacere, sopraffatta da quelle sensazioni, e quello fu forse il suono più bello che Elsa avesse mai sentito.
 
Voleva risentirlo a tutti i costi.
 
Lasciò la mano correre in basso, superando lo stomaco, l'addome piatto, raggiungendo finalmente l'interno coscia. Nello stesso momento, Anna pose la sua mano nel suo petto, stringendo forte il seno di Elsa tra le sue dita.
 
Entrambe si lasciarono sfuggire gemiti di piacere.
 
Il respiro di Anna divenne man mano sempre più affannoso mentre si lasciava sciogliere dal tocco sempre più incalzante della sua amata. Cercava di ricambiare ma si sentiva come paralizzata, immersa nel piacere più puro.
 
Quella ragazza, la sua ragazza, la stava facendo esplodere.
 
I suoi mugolii divennero man mano più intensi. Elsa invece non aveva ancora tolto gli occhi dal volto della ragazza.
 
Trovava Anna così dannatamente sexy. Gli occhi chiusi, la bocca che arraspava aria, i capelli che avevano iniziato ad appiccicarsi sul viso a causa del sudore. La sue guance erano arrossante e sentì la ragazza sotto di lei tremare leggermente, come se l'eccitazione la stesse travolgendo ma non fosse ancora abbastanza.
 
Anna voleva di più.
 
Decise di accontentarla. Si abbassò di nuovo verso il suo petto e andò questa volta a stringerle i capezzoli con i denti. La reazione fu immediata e provocò una nuova ondata di piacere. Sentì Anna aggrapparsi ai suoi capelli e ansimare più forte.
 
Quel suono era musica per le sue orecchie.
 
"Non. Fermarti." Sentì dire dalla ragazza.
 
Buon per lei, perchè non ne aveva nessuna intenzione. Anzi. Quelle due parole, dette con quella sua voce che sembrava quasi un gracidio, tra un mugolio e l'altro, non fece altro che accaldare ancora di più la ragazza.
 
Sentì nuovamente il corpo di Anna contorcersi sotto di lei mentre il piacere aumentava e aumentava, senza sosta.
Le emozioni erano così forti che Anna ormai era fuori controllo, persa in quel tocco passionale, mentre Elsa non le dava scampo, mordendola e stuzzicandola continuamente, viaggiando lungo le lentiggini del corpo di Anna, fino a farle perdere la testa.
 
Si trovò a mordersi il labbro inferiore, quasi come per cercare di ritrovare un po' di controllo sul suo corpo, ma Elsa a quanto pare non parve essere della stessa idea. Anna smise ben presto di porle resistenza, perdendo quella sfida con se stessa. Le sue mani si spostarono sulle spalle di lei che ancora era ferma sul suo petto, tenendola forte, quasi per dirle ancora una volta di non fermarsi.
 
"Elsa." la intimò.
 
Quella fu la parola d'ordine. Perchè Elsa diede tutta se stessa nel minuto successivo. Minuto? Forse secondi. Forse ore. Non aveva importanza. Perchè Anna esplose sotto il suo tocco, lasciando che tutto il suo piacere raggiungesse il culmine, lasciando che il nome della sua amata venisse urlato un’ultima volta, persa in quell'incantesimo d'amore.
 
Anna crollò nel sedile, non capendo quando il suo corpo aveva deciso di inarcarsi in quel modo.
 
Elsa la lasciò riprendere fiato, sorridendole. Si sedette sulle sue gambe, rimanendo ad ammirarla da lì.
 
Ancora non poteva credere di essere lì, con lei. Lei. Finalmente e perfettamente sua. Era sicura che non voleva altro che continuare a farle provare piacere in quel modo, ancora e ancora. Ogni giorno della sua vita. Perché non esisteva nulla di così bello.
 
“Siete incredibilmente sensuale quando prendete voi il timone, signorina Arendelle. Gliel’hanno mai detto?”
 
Fu la prima frase che Anna disse dopo aver riacquistato il controllo del suo corpo. Elsa trattenne a stento la risata, davanti il viso compiaciuto della biondo fragola.
 
“Lei parla troppo, signorina Dawson.” Rispose seria, andando a porle un bacio sulla fronte. “Stai bene?”
“Sei bellissima.”
 
La prospettiva da lì era diversa. Le dava una nuova luce e il suo volto sembrava più felice che mai. Elsa era davvero uno spettacolo unico, la più meravigliosa delle creature su cui mai avesse posato occhio.
 
“Grazie.” Portò una mano davanti alla bocca, ridacchiando. “Ma temo che questo non risponda alla mia domanda.”
 
Anna ghignò. Stava scoprendo una Elsa molto più insistente, nonché molto più sensuale.
 
“Sto bene, non preoccuparti principessa.”
 
Si ribaciarono, di nuovo.
 
Lasciarono passare pochi istanti di silenzio, perse ancora una volta su quanto appena successo.  Cercarono di imprimere quel momento non solo nella mente ma nell’anima, dove nemmeno la morte avrebbe potuto strapparglieli.
 
Fu Anna a parlare per prima.
 
“Credo sia arrivato il mio turno.” Disse con tono malizioso.
“Solo se riesci a prendermi.”
 
Non che potesse scappare ma cercò di allontanarsi da Anna. Quest’ultima si rizzò a sedere mentre cercava di tenere ferma la ragazza che tentava giocosamente di non farsi prendere.
 
Anna ne uscì vincitrice e la bloccò, prima di riavvicinarla a lei e abbracciarla forte per tenerla ferma.
 
“Come se ti lasciassi scappare.” Sussurrò.
 
E si baciarono perché Elsa sapeva che l’unico modo di zittire la sua amata era baciarla.
 
Ripresero così a fare l’amore, lasciando che fosse Anna stavolta a far inebriare l’altra ragazza.
 
E restarono lì, a non fare altro, fino a quando i vetri della macchina non si appannarono, fino a quando il sudore non riempi i loro corpi nudi, finchè i loro cuori non iniziarono a battere all’unisono, come un unico essere.
 
Ripresero senza più intenzione di fermarsi, desiderando che quel momento non finisse mai.
 
 
 
N/A: Buongiorno, buonasera, buon pomeriggio a tutti! Finalmente ho il nuovo capitolo pronto e i soliti ringraziamenti devono essere fatti.
 
Ringrazio SaraJLaw che più di tutte mi ha aiutato a realizzare quest’ultima scena con la quale io avevo enorme difficoltà. Mi è stata davvero di grande aiuto e sono così grata di averla intorno. Non faccio altro che stressarle l’anima ma sa che le voglio bene v.v
 
Ringrazio poi Calime per i soliti accorgimenti che mi dà alla storia. Sei un angelo!
 
Ah e oggi è il compleanno di Lia, una delle mie recensitrici  diciamo fisse xD Perciò ti faccio ancora tanti tanti tanti auguroni.
 
Ah, le lettere C e K incise nella macchina non hanno nessun scopo ‘tecnico’. Sono un tributo a Kengha, alla quale avevo promesso che l’avrei citata da qualche parte nella storia xD C è l’iniziale del suo nome, mentre K il  suo nome su efp.
 
Vi ringrazio per la pazienza che mi state dimostrando.
 
Vi voglio bene, un caldo abbraccio,
 
Hendy.

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Capitolo 23
*** Nulla in cambio ***


Ci furono molte cose a rendere quella notte, quell’ultima notte, la più magica di tutte. Era una serata come un’altra sotto molti versi. Il cielo era limpido, nessuna nuvola copriva le stelle incastonate nel suo manto. Il mare buio e piatto se ne stava lì a cullare la nave così dolcemente che alle onde venne privata l’opportunità di intonare il suo suono. Non un filo di vento sorvolava l’aria in quella notte silenziosa.
 
Per altri versi invece, quella notte fu ricca di eventi.
 
Elsa e Anna si trovavano sul ponte, sole, sedute su una delle panchine messe a disposizione per i passeggeri. La biondo fragola aveva iniziato a spiegare le regole del poker ad una Elsa attualmente molto confusa, sorridendo davanti il suo viso concentrato e al contempo spaesato.
 
“Quindi se io ho cinque carte tutte in sequenza, faccio poker?” Tentò.
“No, scala.” Corresse Anna.
“Oh, giusto. Quindi poker è quando ho…tre…”
“Quattro. Quattro carte dello stesso valore .”
 
Stavano lì a chiacchierare nell’aria notturna come se niente fosse, immaginando di avere un mazzo di carte davanti ma con il pensiero diretto a poco prima.
 
Erano scese dalla macchina in silenzio, trattenendo i sorrisi e allontanandosi da un Sebastian che molto probabilmente era ancora sulle loro tracce. Alle due parse di aver raggiunto un nuovo livello di comprensione reciproca e di intimità. Quell’avventura, quella loro prima volta, era stata l’esperienza più bella della loro vita e sembrò averle unite definitivamente con un filo incantato, come se da allora in poi qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe segnato entrambe le ragazze indistintamente.
 
“Che gioco complicato.” Sbuffò Elsa.
“Ci devi solo prendere la mano.” Disse Anna divertita, andando a spostare una ciocca di capelli ribelli dal viso di Elsa.
 
A quel tocco la guancia di Elsa si poggiò sulla sua mano. Anna si concentrò su quanto fosse morbida la sua pelle e con il pollice gliela accarezzò, beandosi di quel contatto innocente. L’espressione di Elsa però divenne improvvisamente seria. La biondo fragola la guardò, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di male, cercando di capire cosa stesse pensando l’altra ragazza, i cui occhi risplenderono improvvisamente di una strana risolutezza. Vide Elsa prendere un profondo respiro e parlare con decisione, rispondendo alla sua domanda tacita.
 
 “Quando la nave attraccherà, io scenderò con te.”
 
Anna non registrò subito ciò che aveva appena sentito. Per un attimo rimase solo una frase campata in aria ma quando il significato di quelle otto parole si fece chiaro, non seppe come reagire. Provò una serie di emozioni diverse.
 
Era sorpresa, perché sapeva quanto un gesto simile potesse cambiare le cose.
 
Era emozionata, perché significava che tutte le fantasie delle ultime ore, l’andare al luna park, viaggiare per il mondo, erano più reali che mai.
 
Era felice. Perché avrebbe potuto conoscere Elsa di più e passare più tempo insieme. Ogni nuova scoperta sarebbe stata sinonimo di nuovi lati della ragazza da amare. E desiderava così ardentemente amare ogni parte di lei.
 
Aprì la bocca un paio di volte, ancora incredula, ripetendo nella mente le sue parole mentre la mano appoggiata alla guancia di Elsa scivolò giù. “Quando la nave attraccherà, io scenderò con te.” Scenderà con lei. Appena possibile. Al prossimo porto. Una vita insieme. La loro possibilità.
 
“Elsa. Questo è-”
 
Ma Elsa le pose un dito sulle labbra per fermarla.
 
“Non dire niente.” Aveva capito Anna, non le servivano spiegazioni per sapere quanto significassero per la ragazza  quelle parole. “Credo in noi, Fiocco di Neve.”
 
Beh. Quello era buffo.
 
“Fiocco di Neve?” ripeté la biondo fragola, curiosa e al contempo emozionata, tanto da lasciar uscire una risatina dolce e imbarazzata.
 
“Si, ecco. Ci pensavo da un po’. Non so se lo sai, ma il fiocco di neve è il simbolo della purezza. Dicono che abbia la capacità di coprire le impurità della vita e di farci scoprire chi siamo, ricordarci che possiamo rinascere sotto il loro manto. In alcune culture poi è simbolo di forza. So che ti piace sapere il significato delle cose e beh, tu sei stata come un fiocco di neve. Mi hai ricordato che posso essere ancora io, nonostante i miei difetti e il mio passato, e sei stata la mia forza. Sei la mia forza. Perciò… pensavo che potesse essere un soprannome azzeccato…se a te piace…”
 
Anna si ritrovò di nuovo senza parole e la guardava con occhi sgranati e lucidi.
 
Era commossa.
 
“N-nessuno…” Provò.
 
La sua voce suonava roca. Se la schiarì.
 
“Nessuno mi ha mai detto una cosa simile.”
 
Non riuscendo a formare altre parole, prese il volto di Elsa tra le mani e se lo portò vicino al suo, baciandola dolcemente e con decisione. Le loro labbra si toccarono, dando vita ad una serie di brividi che percorse l’intera spina dorsale di entrambe, mentre le loro lingue andarono ad esplorare la bocca dell’altra.
 
Se le sue parole erano suonate incerte, lo stesso non si poteva dire di quel gesto carico di emozione.
 
Non si sa ancora come le cose fossero potute precipitare così in basso, come un momento così perfetto potesse essersi trasformato in uno dei ricordi più dolorosi che Elsa avesse mai sperimentato. L’unica cosa che sapevano per certo era che tutto iniziò con una scossa simile ad un terremoto che obbligò le ragazze a staccarsi di scatto, guardandosi intorno incerte.
 
La magia si spense.
 
Tutto ciò che avevano esternato, ritornò al massimo volume e improvvisamente non erano più le uniche a trovarsi fuori sul ponte. Potevano sentire le urla dei marinai intorno a loro che avevano iniziato a correre alla disperata. Nessuna delle due capiva perché, almeno finché un enorme montagna spuntò come dal nulla accanto a loro, spezzandosi contro la nave e riempendo il ponte di pietra bianca.
 
Le ragazze barcollarono a causa di quella seconda scossa, allontanandosi quanto bastò per essere fuori tiro. Ma ciò che avevano banalmente identificato come una montagna, si fece più chiara quando osservarono meglio uno dei pezzi rocciosi che le aveva mancate per poco.
 
Non era pietra.
 
Era ghiaccio.
 
E quello era l’iceberg più grande che le due avessero mai visto.
 
“Stai bene?” chiese Anna incrociando lo sguardo della biondo platino.
 
Quest’ultima annuì per poi si avvicinarsi al parapetto, con un Anna guardinga che non le toglieva gli occhi di dosso, osservando il lato della nave e l’imponente iceberg che si stavano lasciando al loro fianco.
 
Si resero conto che non erano più le sole a trovarsi in quel punto preciso e che un altro paio di passeggeri si affacciarono con loro.
 
La scossa era stata causata dallo scontro con la montagna ghiacciata. La fiancata ne portava indiscutibilmente i segni.
 
Uno dei passeggeri dichiarò quello che tutti avrebbero voluto poter ignorare.
 
“Questa nave sta imbarcando acqua!” Affermò, urlando dalla paura per l’incredulità della sua stessa sentenza.
 
Quella non era assolutamente una cosa positiva.
 
Anna prese Elsa per mano, in modo da esser sicura di non rischiare di separarsi e, guardandosi intorno, scorse dei marinai. Si avvicinò loro ma all’ultimo momento Elsa la fermò. La trascinò di lato, facendola nascondere dietro un angolo e tappandole la bocca quando cercò di grugnire infastidita. Pochi secondi dopo, sentirono  le voci dei marinari in avvicinamento discutere.
 
“Sono state chiuse le porte stagne?”
“Come è potuto succedere?”
“Hanno virato tutto a babordo, ma dei scompartimenti stanno già imbarcando acqua.”
 
Sussurravano tra loro così, spiattellando notizie che le due ascoltavano con terrore crescente.
 
A quanto emerse il capitano aveva dato l’ordine di chiudere i motori, il che spiegava l’innaturale silenzio che nessuno, nel caos attuale, si era accorto esserci.  La collisione aveva recato più danni di quanto si potesse pensare. Locali allagati, danni nella stiva, scompartimenti inaccessibili.
 
L’estrema gravità della situazione bastava a mettere i brividi.
 
Un altro dei passeggeri scorse i marinai e si avvicinò, chiedendo la stessa cosa che la biondo fragola aveva intenzione di chiedere.
 
“Cos’è appena successo?”
 
Ma i marinai mentirono. Anna, subito incredula, realizzò poi che nessuno di loro avrebbe detto la verità per non creare il panico. Elsa però lo aveva predetto e grazie a questo avevano tutte le informazioni – o almeno, la maggior parte – dell’accaduto. Si guardarono, studiandosi a vicenda.
 
Cosa potevano fare?
 
Si trovavano in mezzo all’oceano, a miglia e miglia di distanza dalla terra ferma. La loro nave imbarcava acqua e i motori erano spenti.
 
Nessuna delle due perse la testa. Avrebbero dovuto quanto meno avvisare i loro cari della situazione.
 
“Dobbiamo avvertire mia madre e Cal.” Disse Elsa, sebbene “cari” non era la definizione che avrebbe usato per descriverli. Erano comunque l’unica famiglia che aveva.
“Mellow dev’essere con loro!” concluse.
“Dobbiamo trovare anche Olaf, Rapunzel e Eugene. Dovrebbero essere più vicini, andiamo prima da loro.” Continuò Anna.
 
Elsa accettò.
 
La biondo fragola non sapeva da dove iniziare a cercarli. Considerando l’ora tarda pensò di dirigersi verso la terza classe, giusto per avere un punto di partenza. Si avviarono verso la porta d’entrata ai corridoi interni ma appena varcarono la soglia, vennero rispinte fuori da un gruppo di persone agitate.
 
Tra la massa, con loro grande sollievo, c’erano proprio Rapunzel e Eugene che nel trambusto del momento non le avevano notate.
 
Anna spinse Elsa di lato e prese a sventolare la mano per farsi vedere, chiamando a gran voce i suoi amici.
 
“Eugene! Rapunzel! Ehi!”
 
Quest’ultima si girò di scatto verso di lei e i loro sguardi si incontrarono. Subito negli viso di Rapunzel apparve una nota di riconoscimento.
 
 “Anna, grazie al cielo sei qui!” Le corse incontro, andando ad abbracciarla forte.
 
“Cos’è successo? Come mai siete qui con tutte queste persone?”
 
Ma ora che anche Eugene si era avvicinato notò una cosa. Guardandoli, sia Rapunzel che Eugene erano vestiti in modo strano, come se si fossero vestiti di fretta da capo a piedi.
 
Rapunzel aveva solo la camicia da notte e la giacca del marito sulle spalle.
 
Eugene invece aveva infilato i pantaloni a rovescio e la camicia era ancora mezza sbottonata.
 
E senza aspettare una risposta alle domande di prima, si concentrò su di loro.
 
“Come mai siete conciati in quel modo? Cosa stavate facendo? Non avete l’aria di chi stava dormendo.” Chiese dubbiosa.
 
Rapunzel arrossì mentre Eugene fece un ghigno. Si fece avanti con fare molto orgoglioso.
 
“A differenza di te, Rossa, io ci do dentro con la donna che amo.”
 
Anna ci mise un po’ a cogliere quanto appena detto. Quando capì cosa effettivamente i due erano intenti a fare, Elsa era già arrossita e stava guardando  il pavimento con più interesse del necessario.
 
Arrossì anche lei.
 
Anna girò la testa  di lato verso Elsa, sbuffando.
 
“Forse non avrei dovuto chiedere.”
 
E sussurrò appena qualcosa che suonava molto come: “E poi non sei certo l’unico  qui che ci ha dato dentro.”
 
A quanto pare venne sentito solo da Elsa, nonostante Rapunzel avesse uno sguardo incredulo che però venne colto di sfuggita solo dalla biondo platino.
 
Fu lei a prendere la parola, schiarendosi la gola per attirare l’attenzione.
 
“Q-quindi, che è successo?”
 
Tornando seri, Rapunzel e Eugene iniziarono a raccontare. A quanto pare, dopo la forte scossa, i due si erano alzati dal letto per capire cosa fosse successo e nell’appoggiare i piedi per terra avevano notato che l’acqua era iniziata a penetrare nella nave e già stava bagnando il ponte di terza classe, il più basso.
 
Una grossa folla si era radunata e aveva deciso di uscire sul ponte prima che le cose peggiorassero ma a quanto pare si erano divisi perché solo una ventina di persone erano arrivate e sapevano che molti di più dovevano trovarsi ancora intorno sulla nave.
 
Ma se l’acqua era già al loro livello, le cose erano ancora più gravi del previsto.
 
Dovevano affrettarsi ad avvisare tutti.
 
Elsa e Anna si guardarono e si fecero un cenno, come se si leggessero nel pensiero.
 
Raccontarono brevemente della conversazione sentita dai marinai, sussurrando in modo da non farsi sentire dal gruppo intorno a loro.
 
“Se vedete Olaf, avvisatelo. Noi andiamo in prima classe ad avvisare la famiglia di Elsa!”
“Ma Olaf-!”
 
Anna non la lasciò finire e si precipitò di corsa nel corridoio. Se ne andarono, cercando di fare il più in fretta possibile.
 
Corsero al limite delle loro forze, superando passeggeri confusi, marinari preoccupati, porte chiuse e passaggi infiniti. Rallentarono solo quando entrarono nell’ultimo corridoio che le separava dalla Royal Suite. Camminarono decise, riprendendo fiato, ed Elsa prese per mano Anna. Non tanto perché dubitava di aver scelto lei. Anzi, non era mai stata più convinta a stare con lei e non aveva intenzione di giocare a nascondino per sempre. Era più che altro un modo per accumulare le forze per fare ciò che andava fatto e sentire Anna accanto a lei era la miglior fonte di energia che potesse avere.
 
Tuttavia aveva un brutto presentimento ma non voleva sembrare troppo pessimista. Forse era semplicemente dovuto al fatto che avrebbe dovuto rivederli dopo tutto quello che era successo nelle ultime ore.
 
Fuori dalla porta della suite trovarono niente meno che Sebastian Marsh. Anna strinse la presa.
 
“Vi stavamo cercando.” Disse con voce melliflua.
“Come se non lo sapessimo.” Borbottò la biondo fragola sottovoce, ma per il resto non ribatterono, ignorando il maggiordomo e non degnandolo nemmeno di un cenno.
 
Entrarono nell’ampia stanza con Sebastian alla calcagna che chiuse la porta alle sue spalle.
 
Hans era lì in piedi affianco a una Idun molto irrequieta che marciava a gran passo lungo la stanza. Una squadra di ufficiali in divisa erano appoggiati alla parete di lato mentre dietro di loro nell’angolo, a chiudere il quadro, c’era una Mellow molto spaventata.
 
Si sentirono in trappola, come se la loro libertà fosse stata bruscamente lasciata fuori dalla porta nel momento in cui venne chiusa ed era una sensazione spaventosa.
 
Il primo istinto di Elsa fu quello di avvicinarsi a Mellow che alla sua vista iniziò a tremare ancora di più, ma appena fece un passo verso di lei, Hans le gettò un’occhiata che la paralizzò sul posto.
 
L’aria era tesa e Anna si fece più vicino alla biondo platino, mantenendo le loro mani congiunte.
 
In ogni caso erano lì per un motivo per cui Elsa si fece coraggio e parlò.
 
“E’ successa una cosa tremenda.” Disse guardando i presenti. “La nave sta per affondare.”
 
Ma quella notizia non parve destare nessuno di loro. Rimasero impassibili: non chiesero spiegazioni, non parvero preoccupati, non batterono nemmeno un ciglio, quasi fossero indifferenti a tutto questo.
 
Elsa si sentì spiazzata. Guardò Anna interrogativa e con un moto di impazienza fu lei a rivolgersi al gruppo.
 
“Avete capito quello che ha detto? La nave sta affondando, sta già imbarcando acqua!”
 
Tutto si sarebbero aspettate. Urla, panico, incredulità… la lista era lunga. Tutto. Eccetto il sentire qualcuno ridere.
 
La risata di Hans fece eco nella stanza, fredda e agghiacciante.
 
“Tremenda, eh? Per quanto la vostra notizia possa sembrare catastrofica, qualcosa di assai peggiore e irreparabile è successo qui stanotte. Qualcosa che per me vale molto di più del sapere che la celebre nave inaffondabile sta imbarcando qualche goccetto d’acqua.“
 
Si avvicinò alle ragazze, entrambe basite. Una vena nella tempia del ramato stava pulsando, segno di quanto fosse veramente arrabbiato. Ma la sua voce rimase pacata e, secondo Anna, molto teatrale.
 
“Questa sera sono sparite due cose a me molto care. E ora che una di queste è tornata, so per certo dove trovare l’altra.”
 
Anna lo guardava senza capire. La situazione era tragica. Stavano affondando. Erano giunte lì per avvisare tutti del pericolo imminente, sebbene avessero potuto tranquillamente tenerselo per sé. Avevano deciso di essere oneste e dar loro una mano avvisandoli ma erano state ignorate alla grande. Come se non bastasse, sembrava fossero appena entrate nella gabbia di un serpente molto arrabbiato e avido di vendetta.
 
La parola successiva di Hans fece fremere le due ragazze.
 
“Perquisitela.” Disse indicando Anna.
 
Lei sgranò gli occhi. Doveva aver capito male. Cosa speravano di trovare quando non aveva nemmeno un soldo in tasca! Uno dei tre ufficiali presenti le si avvicinò prendendola per il braccio ma si allontanò brutalmente da lui.
 
“Posso sapere almeno cosa sta succedendo?!”
 
L’ufficiale che aveva appena strattonato le si riavvicinò, questa volta con un altro in suo aiuto.
 
“Si tolga la giacca. Coraggio.”
 
Non avendo niente da nascondere e molto infastidita, Anna si tolse la giacca lanciandola all’ufficiale mentre l’altro compagno le frugava nei vestiti. Si sentiva umiliata e quando le mani di lui andarono a palpare palesemente il suo sedere, Anna gli lanciò un’occhiata che lo fece rialzare ed allontanare.
 
Fifone.” Pensò, orgogliosa di se stessa.
 
Elsa dal canto suo era infastidita quanto Anna. Lo trovava disgustoso e di certo non le era passato inosservato il gesto indecente di quell’ufficiale. Forse fu quello a farla inveire contro Hans ed era sempre più stanca di quel suo comportamento beffardo.
 
“Hans. Cosa stai facendo! Siamo nel bel mezzo di un’emergenza, non c’è tempo per i tuoi giochet-”
 
Ma la frase le morì in gola. L’ufficiale stava togliendo dalla tasca della giacca di Anna il diamante che aveva indossato quella sera per fare il ritratto.
 
“E’ questo?” disse l’ufficiale.
“Sì. Il Cuore dell’Oceano. Non ci sono dubbi.” Rispose Hans nel cui volto, nel guardare gli occhi inorriditi di Anna, comparve un ghigno.
 
Anna rimase come scioccata. L’ufficiale passò la collanina a Hans che se la mise in tasca e fu in quel momento che Anna esplose.
 
“Sono tutte fesserie!” Urlò. Ma la rabbia si placò subito, non appena vide il viso sbalordito di Elsa.
 
Elsa doveva crederle! Se non le avesse creduto lei, se non si fosse fidata… Non le aveva mai mentito, era stata sincera dal primo istante e quando finalmente l’aveva conquistata… Ma lei non aveva fatto nulla, era innocente.
 
“Non credergli, Elsa.” La disperazione nella sua voce era palpabile.
 
La guardò in volto, sperando di farle capire e di non vedere quella fiducia che aveva per lei crollare.
 
Non poteva perderla.
 
Elsa era lì che la guardava, altrettanto confusa, altrettanto perplessa. Riuscì a sussurrare un “Non potevi farlo…” ma parlava più con se stessa che con i presenti, cercando in ogni centimetro del viso di Anna quale fosse la verità.
 
Hans la sentì.
 
“E’ un gioco da ragazzi per una professionista come lei. Pure questa giacca, non sembra di una donna, no? Probabilmente avrà rubato ogni cosa che indossa.”
 
Molte cose successero in quell’istante.
 
A quelle parole la rabbia di Anna tornò a pompare più forte che mai nelle vene. Fece un enorme passo in avanti e, alzando il braccio, andò a colpire Hans sul volto, mandandolo a terra. Idun urlò. Gli ufficiali si affrettarono a tenere ferma Anna che si dimenava cercando di fare il più male che poteva ad Hans ma la forza dei tre ufficiali erano superiore alla sua e la spinsero contro il muro. Presto delle manette vennero poste nei suoi polsi, più strette che mai e al suono dei suoi gemiti di dolore, Elsa si avvicinò a loro, non degnando Hans di uno sguardo e cercando di aiutare Anna.
 
“Non fatele del male! Sono sempre stata insieme a lei, non può averlo fatto! Non è stata lei!”
 
Venne prontamente allontanata.
 
“Tu, lurida feccia ignobile!” Urlò Hans rialzandosi in piedi, massaggiandosi la guancia in cui Anna lo aveva colpito con tanta forza.
 
“Hans devi fermare questa pazzia. E’ assurdo!”
 
Ma Hans aveva appena iniziato a dare sfogo ai suoi pensieri e non aveva nessuna intenzione di smetterla. Guardò sua madre in cerca di supporto ma Idun se ne stava in disparte, guardando tutto senza nessun dispiacere. Sembrava godesse ad osservare quella scena.
 
E senza preavviso, il ramato le si avvicinò e parlò piano con voce roca.
 
“Forse l’ha fatto mentre ti stavi rivestendo.”
 
Elsa sgranò gli occhi, così come Anna che si era placata appena sentì la voce di Elsa venuta in suo soccorso.
 
Quella frase bastò per ricollegare tutti i pezzi.
 
Erano stati loro. Uno di loro. Era tutta una montatura, una farsa per liberarsi di lei.
 
“Bella mossa, Hans. Ti sei guadagnato il titolo di cazzone dell’anno. Sono stati loro a infilarmela in tasca, non è vero?”
 
Pure Elsa parve fare quel ragionamento ma la conferma venne da Mellow. La sua cameriera da qualche minuto cercava di attirare l’attenzione di lei ed era appena riuscita nel suo intento. Con le labbra formò le parole “Ti sta ingannando”, scuotendo la testa quasi per dirle di non fidarsi di lui. Sentì il suo cuore più leggero che mai. Non aveva commesso un errore a fidarsi di Anna.
 
Nel frattempo però Anna e Hans avevano preso ad urlarsi contro.
 
“Stai zitta! Hai la minima idea di chi tu abbia davanti?"
 
Anna rise disgustata.
 
"Mi stavo giusto chiedendo la stessa cosa."
“Non voglio perdere tempo con le tue accuse infondate. Abbiamo le prove. E’ finita per te, signorina Dawson.”
 
Sputò il suo nome con tanto disgusto che la ragazza si pentì subito di non averlo picchiato più forte.
 
Hans si girò dall’altra parte mentre Anna riprese a strattonarsi.
 
"Tu non sei all'altezza di Elsa!" Gli urlò dietro.
 
Lui si fermò, voltandosi lentamente per fronteggiarla.
 
"No, Anna. TU non sei all'altezza di Elsa. Io al contrario sarò l'eroe che porterà onore alla sua famiglia. Ho delle cose da fare ora. Con permesso, potete andare.”
 
E avvicinandosi al suo orecchio, pronuncio le sue ultime parole per lei.
 
“Buona... nuotata." Sorrise sprezzante.
 
Con un cenno alla porta e recuperando tutta la sua supremazia, comandò agli ufficiali di portarla via, seguiti a ruota da Sebastian.
 
Anna oppose resistenza invano e riprese ad urlare.
 
“Non dargli ascolto, Elsa! Non sono stata io! Non ascoltarli! Sai che non sono stata io!”
 
Elsa si mosse verso di lei, convinta della sua sincerità e con l’intenzione di far ragionale gli ufficiali mentre questi ultimi varcarono la soglia, trascinando la ragazza che ancora si dimenava con forza. Il suo piano però non andò a buon fine. Hans le bloccò il braccio in una stretta dolorosa e le sussurrò:
 
“Fai un altro passo verso di lei e ti prometto che porrò fine alle sue sofferenze di povera sgualdrinella, magari puntandole una pistola alla tempia. Che te ne pare? Non mi scapperai più, mia Regina di Ghiaccio. Ti ho in pugno.”
 
Elsa non osò muovere un muscolo. Non poteva essere. Non voleva crederci.
 
Erano state sincere, avevano fatto la cosa giusta. Avevano pensato che forse, in questo modo, avrebbero ricevuto almeno un ringraziamento. Invece si erano lanciate a capofitto nella sua trappola. Anna aveva rischiato la sua vita per lei e aveva accettato di avvisare la sua famiglia pur sapendo che tipo di persone erano.
 
In cambio cosa aveva ricevuto? Era stata arrestata.
 
Proprio quando avevano una prospettiva per il futuro, un’idea di cosa fare, un progetto.
 
Ancora una volta le avevano messo il bastone fra le ruote.
 
Forse era vero che dal destino non si poteva fuggire.
 
E il suo destino era quello di essere vittima della tirannia di Hans.
 
Forse per sempre.
 
 

 
N/A: Sono tornata. Chiedo nuovamente scusa per il ritmo molto lento che ha preso questa storia. Vi chiedo di avere pazienza e di godervi nel frattempo questo nuovo capitolo fresco fresco. Sono grata ad ognuno di voi che sta leggendo queste righe per essere ancora con me e non aver abbandonato questa storia. Non potrò mai dimostravi quanto vi sono riconoscente.  
Grazie con tutto il cuore ♥

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Capitolo 24
*** Ricatti e amici fidati ***


N/A: Ricordo che la storia è un rating arancione, adatto a storie in cui sono trattate tematiche sessuali o violente, laddove però le descrizioni delle scene ad esse riferite non si soffermino sui particolari.
Questo capitolo contiene contenuti sensibili – scene con tematiche violente.



L’odore dei piani inferiori era ben diverso da quello della prima classe. Ogni zona aveva un profumo che la contraddistingueva: le zone adibite ai gran signori emanava fragranze di vernice fresca, cera e legno fresco, tutto ciò che poteva richiamare la fastosità del posto. Dove si trovava ora, invece, tutto odorava di sporcizia e umidità. La cabina in cui l’avevano rinchiusa, in particolare, puzzava di marcio nonostante fosse convinta appartenesse a qualche comandante da strapazzo. Era decorata intorno alle pareti da una fitta rete di tubature non molto invitanti, in contrasto con le pareti di legno bianco. Non sembrava venisse usata molto ma qualcosa le diceva che l’odore centrasse più con l’affondamento in corso che il resto. Non molto confortante, ad essere sinceri. Anna era stata trascinata per gran parte del tragitto di peso rendendo difficile capire in che punto della nave fosse effettivamente finita. Ma una cosa sapeva per certo: da sola avrebbe fatto poco, se non nulla. Erano ben poche le possibilità di liberarsi, tanto valeva risparmiare le energie, perciò da metà tragitto in poi si arrese alla realtà dei fatti, ponendo fine alla sua futile lotta.

Sebastian Marsh, il maggiordomo di Elsa, non l’aveva persa di vista un attimo. L’ufficiale che l’aveva arrestata l’aveva brutalmente ammanettata a un tubo per poi andarsene borbottando quanto odiasse il suo lavoro, lasciando al maggiordomo il compito di sorvegliarla. In quell’ufficio sperduto c’erano solo loro due e Anna già aveva da ridire sulla la posizione in cui si trovava: in piedi, legata a un tubo, in una cabina che puzzava di fogna. Meraviglioso, davvero. Ben presto il silenzio che c’era tra i due iniziò a pesarle e, non avendo nient’altro da fare, Anna parlò al suo unico compagno del momento, che quantomeno si era seduto in una comoda sedia imbottita. Giusto per farle un po’ di invidia.

“Comodo qua sotto, non credi? Molto intimo.”

Non che avesse molto da dire. Sebastian la ignorò, tamburellando le dita sulla scrivania davanti a sé, in un chiaro segno di noia.

“Chissà quand’è stata l’ultima volta che qualcuno ci ha messo piede. Probabilmente i costruttori, dopo aver lasciato morire qualche topo e averli buttati qui vicino.”

Ancora niente. Decise di azzardare qualcosa di più avventato.

“Mi chiedo se anche quello stronzo di un Southern puzzi di fogna come questo posto, visto che è un pezzo di merd-“
“Lei si è sempre divertita con poco, vero signorina Dawson?”

Bingo.

Anna fece spallucce, non era poi così difficile farlo parlare. Poteva ritenersi soddisfatta.

“Mi stavo giusto chiedendo se anche tu trovi divertente quello che fai.”

Il maggiordomo rinunciò al suo gioco con le dita, voltandosi ad affrontare la ragazza. Anna aveva una certa espressione che gli fece capire che aveva zero intenzioni di smettere di parlare. Sospirò.

“Dovrebbe portare rispetto per chi è di un rango maggiore del suo.”
“Come se me ne importasse qualcosa. Porto rispetto a chi mi porta rispetto e né lei né quel Southern siete nella lista.”

A questo la ragazza non ricevette risposta. Sebastian se ne stava semplicemente seduto a contemplarla, cercando di capire dove volesse attivare. Anna, dal canto suo, non capiva come l’uomo potesse essere davvero dalle sua parte. Sembrava un uomo apposto. Eppure.

“Perché lo fai?” gli chiese allora.
“Perché faccio cosa, signorina?”

Lo guardò, cercando di capire se stesse giocando con lei o no. Forse, semplicemente, non voleva parlare. Non che se ne stupisse. Provò di  nuovo a puntare su qualcosa di avventato.

“Perché aiuti quel viscido figlio di p-“
“Linguaggio, signorina.” Rispose lui, scocciato.

Anna sbuffò, borbottando un “certo” poco convinto e tornò a premere sul discorso.

“Perché lo aiuti? Non mi dire che è un brav’uomo perché potrei vomitare.”

Silenzio. “Insisti” pensò.

“Ti paga molto? È per questo?”

Nulla. “Di più.

“Ti ha promesso che avrebbe reso la vita tua e di tua figlia uno splendore e tu c’hai creduto?”

Un sussulto.

Anna ghignò.

“Non mi sorprenderei se quel miserabile mettesse le mani addosso pure a Mel-“
“Non osare nominare mia figlia!!!” urlò alzandosi dalla sedia e sbattendo la mano sulla scrivania davanti a sé.

Un punto a me.” Pensò, sebbene fosse rimasta sorpresa dalla reazione esagerata dell’uomo al solo pronunciare la figlia. Sapeva, dalle chiacchierate con Elsa, che Mellow era la figlia del maggiordomo assegnato ad Hans. Nominarla era giocare sporco, soprattutto perché la cameriera si era mostrata la persona più gentile del mondo. Ma aveva bisogno di capire e sforzare la mano era necessario. Mise da parte i sensi di colpa e continuò con il suo piano.

“Io oso. Tua figlia non merita di lavorare intorno a persone simili e tu meglio di chiunque altro dovresti saperlo e fare qualcosa a riguardo! Che razza di padre sei!”

Un tremitio. Il viso del maggiordomo si contorse in una smorfia. Poteva quasi sentire la rabbia crescere in lui.

“Sono il tipo di padre che protegge la propria figlia.”
“Facendola lavorare sotto persone come lui?!”
“Assicurandomi che persone come lui non le facciano del male!”
“Non mi sembra tu abbia molto a cuore tua figlia visto ciò che le fai passar-“
“Lei non sa niente, CHIUDA QUELLA BOCCA!!”

Sebastian scattò rabbiosamente verso di lei, con gli occhi fuori dalle orbite. Era palesemente sconvolto. La ragazza era riuscita nel suo intento ma il signor Marsh sembrava carico d’ira. I suoi lineamenti si fecero più rabbiosi che mai.

“Lei non sa niente, niente! Non si permetta mai più di dire che non ho a cuore mia figlia! Farò ogni cosa che è in mio potere per proteggerla, anche escogitare stupidi stratagemmi per farla tacere e riportare la signorina Arendelle tra le braccia di quel dannato pur di tenerlo lontano dalla mia adorata Mellow!”

Fu grazie a questo che Anna capì la situazione. Fece due più due e si rese conto che non era questione di rispetto o fiducia o contratti di lavoro. Era questione di paura. Il maggiordomo era intimorito da Hans.

“Minaccia sua figlia?” chiese allora, cambiando completamente il tono, passando da accusatore a empatico.

La risposta gli si lesse in faccia quando gli occhi di lui si indurirono. Non spiccò parola. La ragazza cercò di capire quanto potesse essere difficile per lui vivere in una situazione simile.

“Deve ribellarsi.” Disse, convinta.

Fu il turno di Sebastian di sbuffare.

“Oh lei la fa facile, signorina Dawson. Lei non ha nulla da perdere, nulla. E io non posso rischiare di perdere Mellow. È l’unica famiglia che ho. Ho sempre servito gli Arendelle ma da quando ci sono i Southern, e io venni assegnato al signor Hans, le cose sono cambiate. La signorina Elsa non mi ha fatto nulla ma c’è in gioco la vita di mia figlia. Non mi lascerò piegare da questa situazione e non rischierò di provocarlo. So cosa è in grado di fare quell’uomo.”

Anna sospirò. Avrebbe volentieri preso a pugni quel Southern. Non era crudele solo con Elsa ma con chiunque gli stesse intorno. Avrebbe voluto dire a Sebastian molte cose. Voleva dirgli che era dalla sua parte, che Mellow avrebbe lottato insieme a lui per questo, lo avrebbe desiderato con tutta se stessa. Potevano essere una squadra, combattere per la stessa causa. Vincere insieme. Era pronta a dare la sua risposta ma non ne ebbe il tempo. Qualcuno bussò alla porta. Sebastian si allontanò da lei per aprire. Era un marinaio, venuto a riportare che il maggiordomo era richiesto negli alloggi del signor Southern. Sospirò di nuovo, pronto ad andarsene.

“Non ho altro da aggiungere, signorina Dawson. Si goda la permanenza sulla nave inaffondabile.”

Anna sorrise, tristemente, sapendo che Sebastian non avrebbe potuto vedere quel suo gesto malinconico. Lei avrebbe potuto aggiungere molto invece. Si limitò a due semplici frasi.

“Sua figlia vuole bene ad Elsa come ad una sorella. Stai tradendo la sua fiducia, Sebastian.”

Vide quest’ultimo bloccarsi per un attimo sulla soglia, senza girarsi, come a contemplare quelle parole. Poi se ne andò senza dire nulla, portando con sé le chiavi. Sentì un rumore metallico e capì di essere stata chiusa a chiave nella stanza.

Anna rimase lì, sola, a fissare l’unica via di fuga presente.

L’amore non è una porta chiusa in faccia” concluse.

Poi pensò ad Elsa e capì che sebbene preferisse le porte aperte, per una persona come lei si sarebbe scontrata contro tutte le porte chiuse dell’universo.
*
Negazione.

Rifiutava di credere in quello che era successo. Non è che non avesse fiducia nella ragazza. Credeva in Anna e credeva in Mellow che le aveva confermato la sua innocenza. Ma ora che la biondo fragola non era più nella stanza, il suo mondo stava crollando, pezzo dopo pezzo. Si sentiva in balia di un mare burrascoso, che chiamava a gran voce una tempesta in arrivo, da cui non avrebbe avuto scampo. Avevano trascinato via Anna senza darle l’opportunità di difendersi, senza permetterle di spiegarsi. L’avevano allontanata da lei e lei non aveva lottato per tenersela stretta.

Non voleva crederci.

Sua madre si era voltata verso di lei con aria scocciata. Blaterava qualcosa su quanto la sua piccola bambina, la sua primogenita, erede della nobile casata degli Arendelle, fosse un disappunto per lei e quanto il suo cuore non potesse reggere un simile scandalo. Iniziò a mettere in discussione la sanità mentale di Elsa ma lei non stava prestando attenzione. La sua mente non stava recependo nulla di tutto quello e nemmeno le sarebbe interessato. Per sua madre, Elsa era un disappunto in ogni caso. Non era mai stata troppo bella, troppo educata, troppo nobile. Era sempre stata solo ed esclusivamente troppo poco. L’unica cosa che recepì fu quando sua madre girò sui tacchi e uscì dalla stessa porta in cui se n’era andata Anna. Anna che a momenti sarebbe rientrata per prenderla e portarla via. Perché Anna aveva promesso di non abbandonarla quindi sarebbe tornata di sicuro, giusto? L’avrebbe salvata di nuovo, come aveva fatto dal primo minuto in cui si erano conosciute.

Fissava la porta con desiderio sfrenato, in attesa. Ciò che il suo corpo rifiutava di credere però era che avrebbe potuto attendere in eterno, ma di lei non ci sarebbe stata nessuna traccia in ogni caso. 

“Non può essere.” Sussurrò.

Aveva bisogno di una certezza. Aveva bisogno di sicurezza. Aveva bisogno di lei. Guardò Mellow di nuovo, in cerca di risposte. Di sicuro c’era una via d’uscita e la sola persona che poteva garantirgliela era l’unica amica presente nella stanza. L’unica amica che  aveva mai avuto.

Mellow però non si era mossa di un millimetro. Era impaurita, glielo si leggeva in viso, quello stesso viso che colse lo sguardo di Elsa. Mellow sapeva leggerla come un libro aperto. Vide quel briciolo di speranza ancora negli occhi della biondo platino, vide la sua fede in bilico, colse la richiesta di ritrovare un luogo sicuro in cui rifugiarsi.

E scosse la testa. Perché Anna non c’era davvero, Hans aveva ripreso il suo dominio e tutto ciò che era rimasta era la disperazione negli occhi di entrambe. La flebile luce nello sguardo di Elsa si spense e Mellow non poté fermarlo perché lei per prima aveva dimenticato cosa significasse lottare.

Elsa non voleva crederci.

“Lei non…”

Lei non poteva.

Non notò lo sguardo di un certo ramato su di loro che scrutava l’interazione tra le due e Hans, Hans non era uno stupido. Era vile, egocentrico, e tante altre cose, ma non stupido. 

Intuì che la resistenza di Elsa alla sua versione era dovuta alla sua cameriera e non l’avrebbe passata liscia.

Aveva osato mettersi contro un Southern, doveva pagare.

Rabbia.

Hans si avvicinò a Mellow. La sua espressione si era trasformata in rabbia omicida verso la ragazza. Era pronto a metterle le mani addosso e fare tutto il necessario per eliminare l’ennesimo ostacolo che si parava davanti a lui. Fu allora che Elsa si accorse di lui. Fu in quel momento che la ragazza iniziò a sentire altro, oltre al rifiuto per ciò che era successo. Non comprese subito ciò che la stava attanagliando ma voleva con tutta se stessa urlare contro ad Hans, dirgli di lasciare in pace Mellow, di uscire dalla sua vita per sempre, ma il mondo era diventato improvvisamente muto. Non riusciva a spifferare mezza sillaba. Perciò cercò di agire. Si mosse verso di Mellow con uno sforzo immane, prima che Hans potesse raggiungerla, mettendosi tra lei e quel diavolo, con lo sguardo ancora vuoto, il dolore ancora forte e gli occhi pieni di rabbia.

“Togliti di mezzo, stupida!”

E fu allora che la riconobbe. Rabbia. Perché Anna non c’era, l’aveva persa ed era colpa sua. Lei l’aveva spinta a tornare indietro e Hans aveva potuto attuare il suo giochino a causa sua. Quindi era tutto vero, non era un sogno. Era di nuovo dentro un incubo ad occhi aperti. Fissava Hans come se fosse un mostro. E lo era. I suoi lineamenti erano grotteschi, il corpo pronto a colpire, a far del male. Pronto a ferire più di quanto avesse già fatto quella sera. Si erse in tutta la sua grandezza, cercando di prevalere sulle due con la sua semplice presenza.

Elsa non cedette. Cercò di tenergli testa. Aveva coinvolto pure la sua migliore amica e non era giusto. Voleva davvero combatterlo ma a quel punto Hans prese la sua pistola e la puntò direttamente al viso di Mellow. Elsa poté sentire la ragazza dietro di lei irrigidirsi. La voce di Hans tuonò nella stanza.

“Un altro passo falso e potrai dire addio alla tua cara vita! Toglierò di mezzo te e il tuo adorato paparino se non impari a chiudere quella bocca!”

Hans non usava spesso la sua pistola. Era stato un regalo di suo padre, giusto per alimentare il suo ego, ma non la usava comunque. L’aveva portata con sé senza un reale motivo. La cosa aveva infastidito Elsa, ma non aveva spiccato parola a riguardo. Ora desiderava con tutta se stessa di averlo fatto.

Mai si sarebbe immaginata di vedersela puntare contro – o vederla puntare contro a un suo caro.

La biondo platino voleva implorarlo di risparmiare la sua amica e cercò con tutta se stessa di coprirla per intero. Hans colse subito lo sguardo implorante di Elsa e tra sé e sé sembrò prendere una decisione. I loro occhi si incontrarono e Elsa vide che non era in vena di perdono quella sera. Qualcuno doveva pagare. Se non era Mellow la vittima, sarebbe stata Elsa e questo sembrò andargli a genio.

“Vattene da qui prima che ti ammazzi! Vattene!”

Mellow era ancora pietrificata e non si mosse. Fu Elsa a spingerla via, con mani tremanti e gli occhi che la imploravano di andarsene e mettersi al sicuro, promettendole che sarebbe andato tutto bene. Doveva solo allontanarsi. Non poteva mettere in gioco pure la sua vita. Era disposta a sacrificarsi. La responsabilità era solo sua, non avrebbe pagato qualcun altro per lei.

Mel capì, perché Mel capiva sempre.  A malincuore cedette. Elsa dopotutto era ancora la futura fidanzata di Hans. Lui non gli avrebbe fatto del male, credeva.

Sbagliava.   

Lasciò la stanza.

Negoziazione.

C’erano molti modi per ferire una persona e Mellow questi non li aveva considerati. La tempesta era finalmente arrivata e Elsa era nell’occhio del ciclone.

Erano rimasti soli. Hans rimise a posto la pistola ma la sua vendetta era appena iniziata.

Tremava. Non riusciva più a guardare quell’uomo in volto. Si sentiva impotente. Avrebbe dovuto fare di più. Non si era aspettata nulla da quel momento. Era ancora scioccata da tutto ciò che era successo. A quest’ora avrebbe dovuto trovarsi sul ponte insieme ad Anna e i suoi amici e invece era diventata la preda di una bestia spietata. Sentiva le gambe intorpidite, pronte a cedere al peso delle sue emozioni.

Non sentì Hans avvicinarsi a lei. Se ne accorse troppo tardi, quando la sua mano aveva già fatto collisione con la guancia. Fu uno schiaffo talmente forte da ferirle pure l’anima. Indietreggiò.

“Sei diventata anche tu una sgualdrinella ora?” sputò lì Hans.

La guancia di Elsa pulsava ma lei ancora rifiutava di alzare lo sguardo verso di lui. Vide il piede di Hans avanzare verso di lei e le mani di lui aggrapparsi rigidamente alle sue braccia. Strinse la presa. Le stava facendo male, di nuovo.

“Guardami quando ti parlo!”

Sentì il respiro del suo fidanzato a pochi centimetri da sé. Era certa che il ramato avrebbe goduto nel vederla annegare nella sua stessa disperazione e anzi, avrebbe contribuito a spingerla più a fondo.

Una parte di lei voleva rifiutarsi di mostrarsi debole davanti a lui. Una parte di lei, quella orgogliosa, quella fiera, quella vittoriosa, voleva dimostrare a quell’uomo di che pasta fosse fatta. Ma questa parte, quella di cui ora aveva più bisogno, aveva lasciato la stanza insieme ad Anna e Mellow. Si era sbriciolata ovunque, lontano da lei, e l’unica cosa su cui sembrava riuscire a concentrarsi era la brama di risposte. Ne aveva bisogno. Perché Hans l’aveva fatto? Sapeva com’era fatto, ma anche così. Cosa lo aveva spinto a tanto, cosa spingeva un uomo ad essere così malvagio?

La parte mancante di lei avrebbe potuto rispondere in molti modi alle urla del ramato. Ciò che rimase in lei però era morto. Era stata svuotata di ogni cosa e solo i sentimenti negativi avevano resistito a questa strage. Solo loro erano rimasti.

“Peccato non mi sia tenuto il disegno… Chissà quanto varrà quando lei morirà.”

Sussultò. Il gelo delle sue parole fu abbastanza per farla raggelare e Elsa capì che era tutta questione di possesso. Non era fidanzata, donna, essere umano. Era solo un oggetto, il suo giocattolo preferito, il gioiello della sua corona. Hans poi odiava perdere e lei non se la sarebbe fatta scappare mai.

La tempesta l’aveva riportata sul parapetto del ponte. Era di nuovo lì, pronta a saltare di sotto, per la seconda volta.

Aveva perso.

Depressione.

Avrebbe giurato di sentire già dei lividi formarsi sotto la sua presa ferrea, così in contrasto con ciò che era abituata a sentire da Anna.

“Questa è la tua ultima possibilità. Deludimi ancora e dovrai prepararti a vivere una vita di inferno.”

Ciò che lui non capiva era che questo era già il suo inferno. Qualsiasi luogo, qualsiasi mondo, qualsiasi realtà dove non ci fosse Anna, lo sarebbe stato. Le era stato tolto quel qualcosa per la quale lottava. Era questa la realtà che doveva affrontare d’ora in poi? Non c’era via d’uscita, ora lo capiva.

Non voleva stare vicino ad Hans ma lui sembrava di un altro avviso.

“Sei mia.” Le disse viscidamente.

Le mani del ramato mollarono la presa sulle sue braccia solo per girarla bruscamente e spingerla contro il muro. L’impatto le graffiò un gomito, nel tentativo inconscio di evitare maggiori danni. La parete era fredda, liscia, e lei era posata contro essa con quasi tutto il corpo. Cercava di far pressione con le mani per allontanarsi da quel freddo inospitale ma alle sue spalle ad accoglierla fu il calore di Hans che la teneva in posizione con le sue braccia.    

“No.” Sussurrò impercettibilmente.

Le mani di lui indugiarono sulle sue spalle mentre Elsa si sentì schiacciare con forza, forza che lei non riusciva a contrastare. Cercò di muovere le gambe ma venne bloccata nuovamente. Riusciva solo ad agitarsi pateticamente. Il freddo che prima sembrava inospitale ora le sembrava l’unico posto sicuro, lontano da lui, lontano dal suo calore. Il suo tocco era nauseabondo.

Voleva vomitare.

“No.” Ripeté.

Hans  era pronto a strattonarle il vestito, era pronto a riconquistare i possedimenti che aveva perso. Lo sentiva dal respiro umido sul suo collo che aveva preso a baciare vigorosamente, succhiandole via la vita. Poteva sentire il suo odore intorno a lei, avvolgerla, pronto a farla soccombere nel suo veleno.  E mentre le labbra di lui si scontravano contro il suo collo, ogni briciola del suo corpo chiedeva pietà. Cercò di strattonarsi di nuovo, sgusciare via, crearsi uno spiraglio.

Non ci riuscì.

Voleva urlare aiuto, voleva chiedere perdono.

Tutto a parte questo, tutto a parte questo.

E capì cosa significasse odiare una persona al punto di desiderare la sua morte perché era tutto ciò che stava augurando ad Hans mentre le sue mani si facevano strada lungo i suoi fianchi, tracciando i suoi lineamenti, invadendo il suo spazio vitale.

Uccidendo il suo spazio vitale.

Ogni tocco sembrava una pugnalata. Il panico Iniziò ad impadronirsi di lei. Sentiva il cuore pulsare più che mai, cercando di fare il suo meglio per resistere ad un simile assalto.  

Qualcosa poi in lei scattò.

Aveva due scelte.

Accettare ciò che le stava succedendo, smettere di lottare e lasciare che il destino facesse il suo corso, o non accettare e prepararsi per ciò che una lotta avrebbe potuto portare.

Fu forse la scelta più importante della sua vita ed era tutta questione di accettazione.

Accettazione

Che lei non avrebbe concesso perchè quella sera sul ponte aveva deciso che non sarebbe più scappata e avrebbe imparato cosa significava guardare avanti a testa alta. Il giorno dopo aveva imparato il significato di “vita”. La sera stessa aveva imparato cosa significasse lottare. In questo momento stava imparando cosa si intendesse per soccombere al destino e lottare per riprenderselo tra le proprie mani.

Con una nuova forza decise che non avrebbe permesso a se stessa di saltare da quel parapetto in cui si sentiva incatenata. Si diede una spinta all’indietro, allontanando un Hans sorpreso da sé e si voltò per guardarlo in faccia, pronta a lottare, pronta a urlargli un “no” deciso, senza timore. Pronta a distruggere il mondo se fosse stato quello il prezzo per la sua libertà.

Ma non ne ebbe bisogno e fu il bussare alla porta a interrompere la loro sfida.

Ad entrare fu un marinaio assieme a Sebastian.

Il maggiordomo guardò i due e subito intuì qualcosa, lo sguardo trasformato subito in shock. Elsa non sapeva in che condizioni fosse, ma di sicuro aveva affrontato giorni migliori. Il vestito era tutto scomposto e per la prima volta da quando era iniziata quella lotta notò le lacrime che le rigavano il volto, quasi incontrollate. Sentiva le guance calde, il sudore lungo la schiena e il respiro singhiozzante contro la gola, tremando in maniera incontrollata.

Hans, invece, sembrava a tutti gli effetti una bestia, un ringhio disegnato in volto, gli occhi pieni di desiderio e conquista, e il respiro profondo di chi cerca di calmarsi dopo una corsa. Era ancora rigido e sorpreso dalla reazione finale della ragazza.

Elsa si concesse di indietreggiare, fino a raggiungere di nuovo il muro in cui cercava riparo in precedenza e lasciò che la sua colonna portante la reggesse. Sentiva le gambe deboli e il fiato corto. Vide Hans voltarsi verso Sebastian, rimproverandolo per l’interruzione, e si concesse un respiro di sollievo. Non vide però il ramato lanciarle un ultimo sguardo perverso per poi porre la sua concentrazione sul maggiordomo, che gli consegnò delle chiavi: le chiavi delle manette di Anna. Hans le prese e se le infilò nella tasca del soprabito.

E fu quel gesto semplice a far risalire Elsa dal parapetto della nave in cui si trovava e farla tornare a bordo. Fu di nuovo Anna, il ricordo di Anna, a farle ritrovare il significato di speranza.

Hans fu costretto ad allontanarsi definitivamente da lei per continuare la sua discussione con il marinaio lì presente e Elsa rimase finalmente sola.

La fiamma che le era nata in corpo, questa ritrovata energia, non l’avrebbe più abbandonata, ne era certa. Non si sarebbe più trovata su quel parapetto. Non sarebbe più crollata a causa di Hans.

Doveva tutto questo ad Anna e doveva assolutamente liberarsi da quella situazione.

Poteva salvarsi da sola ma c’era una certa persona che necessitava il suo aiuto.

Era il suo turno di salvare qualcuno e quel qualcuno era Anna.
*
 
Il tempo sembrava essersi fermato in quella cabina. L’unica cosa che scandiva i secondi che passavano era il battito cardiaco della ragazza al suo interno, la quale non capiva se fossero solo minuti quelli ad essere passati o addirittura ore. In quest’ultimo caso però si sarebbe già trovata in fondo all’oceano e, la momentanea mancanza di acqua all’interno della stanza, le fece quantomeno intuire che non era poi così tardi per trovare una soluzione.

Al posto di pensare a risolvere il problema però, Anna si stava domandando quando le cose avevano preso una piega così drastica nella sua vita. Aveva di certo compreso che quel Southern non voleva dire nulla di buono per lei, ma da “rivale prepotente e maschilista in amore” a “assassino spietato  senza cuore” la differenza era enorme. Tuttavia Elsa era una di quelle persone per la quale avrebbe attraversato l’oceano a nuoto e lei non sapeva nuotare; questo la diceva lunga su quanto la biondo platino ne valesse la pena. Ma mentre se ne stava ferma in piedi, a contemplare la vita passata, realizzò che se le cose sarebbero andate avanti così, di questo passo sarebbe diventata davvero la nuova tappezzeria di una nave nella profondità degli abissi.

Doveva agire e doveva farlo subito.

Le manette erano strette abbastanza da lasciarle il segno sui polsi ma cercò di liberarsi lo stesso, strattonandosi con forza. Cercava il punto debole del tubo in cui era legata ma non riusciva a fare altro che ferirsi maggiormente.

I suoi grugniti di frustrazione si stavano facendo sempre più acuti. Rinunciò al tubo e cercò allora di avvicinare la sedia in cui era seduto poco prima Sebastian, unico oggetto mobile intorno a lei. Non che avesse in mente qualche piano ma era pur sempre qualcosa in più di quanto avesse ora. Anch’essa però era fuori dalla sua portata e nonostante provasse ad allungarsi in tutti i modi, la sedia era irraggiungibile.

Imprecò. 

Contemplò un momento la possibilità di chiamare aiuto ma odiava l’idea di mettersi ad urlare come una fanciulla in pericolo. Non che non lo fosse… in pericoloso, s’intende. Quel pizzico di orgoglio però che le era rimasto le proibiva di fare una cosa simile perciò strattonò le manette per un altro paio di minuti, con crescente frustrazione, fregandosene del baccano che stava facendo. Tra tintinni e borbottii alla fine perse la sfida contro le tubature intorno a lei.

“Dannazione!” urlò, per poi dare un calcio ad uno dei condotti vicini.

L’impatto non aiutò molto il suo umore, anzi. Ora aveva pure le dita doloranti e si trovò a saltellare su un piede per una manciata di secondi. Non gliene andava bene una. Tutta la magia che la notte aveva portato con sé era stata spazzata via. Era bastato un pezzetto di ghiaccio per distruggere ogni cosa e far girare la ruota della fortuna.

“Stupido ghiacciolo.”

La delusione per quanto successo quella sera stava raggiungendo il picco, pronta ad esplodere. Si trattenne dal dare un altro calcio alla parete e, ad un tratto, tutto quello che stava provando svanì.

Delusione, frustrazione, rabbia.

Spariti.

Anna si lasciò sostenere da quei maledetti tubi e, atterrita, accolse la sconfitta con un sospiro. La tristezza iniziò ad invadere ogni centimetro del suo corpo come in una tormenta. Elsa ormai era andata, perduta nelle fauci di quell’essere e lei… Lei non aveva nessuna chance di uscire di lì.

Avrebbe voluto esserci stata prima. Avrebbe voluto avere più tempo, portare Elsa a vedere Parigi o la Norvegia, andare all’avventura con lei, portarla a cavallo. Gliel’aveva promesso. Se si fossero conosciute prima magari avrebbe potuto mantenere quella dannata promessa.

Eppure.

“Dannazione.” Ripeté, con meno forza questa volta.

Appoggiò la fronte sul tubo freddo, chiudendo gli occhi, lasciando che la sensazione la percorse come un brivido lungo tutto il suo corpo. Si stava facendo tutto più freddo.

Sentì uno scricchiolio, ma lo ignorò. Ormai tutto stava scricchiolando intorno a lei, pezzi di vita che crollavano con ogni nuovo battito di cuore.

Era disperata. Non si sentiva così dalla morte dei suoi genitori. Era come se avesse perso tutto di nuovo, in un circolo vizioso infinito.

Un altro scricchiolio, seguito da un leggero grugnito. Veniva dalla porta ma non aveva la forza di aprire gli occhi.

Forza. Credeva di essere stata forte, credeva di esserlo abbastanza per proteggere ogni persona che aveva a cuore. Ma come se non bastasse, i suoi cari erano tutti in quella nave e da lì a poche ore sarebbero tutti morti.

“Quanto fredda?”
“Gelida. Appena qualche grado sopra lo zero.”


La sua conversazione con Elsa le risuonò in testa. C’era solo da chiedersi chi sarebbe morto annegato e chi assiderato.

L’ennesimo scricchiolio.

Il destino a volte sapeva essere piuttosto crudele. Cercò di aggrapparsi a qualcosa, prima che i suoi pensieri diventassero troppo cupi. Iniziò a ripetere tra sé e sé i nomi dei suoi cari: Elsa, Rapunzel, Eugene, Olaf. Elsa, Rapunzel, Eugene, Olaf. Elsa, Rapunzel, Eugene…

Lo scricchiolio venne sostituito da una botta, seguito poi da un tonfo a pochi metri da lei. Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò davanti un ragazzone goffo e paffuto, disteso a terra a faccia in giù, con una carota tra le mani. La porta dietro di lui era spalancata.

I suoi capelli scuri e riccioluti erano inconfondibili.

…Olaf.

“Aspetta, che?”

Non voleva sembrare troppo sorpresa e disperata ma la sua voce venne fuori strozzata e acuta. Non aveva notato quanto i suoi pensieri l’avessero portata al limite delle lacrime. Quello però era proprio Olaf in carne e ossa. Carne, ossa e carote.

“Oh, ehi, mocciosa!” ridacchiò, alzando la testa. “Sapevo di trovarti qui.”

I loro occhi si incontrarono e finalmente Anna vide la luce in fondo al tunnel. Una possibilità. Olaf era arrivato in suo soccorso con il suo solito tempismo perfetto.

“Non immagini quanto io sia felice di vederti.” Sussurrò all’amico.

Olaf si alzò e si avvicinò a lei, abbracciandola per quanto le manette e le tubature potessero permettere. Un caldo e lungo abbraccio. Si sentì invadere dal suo calore e il freddo che aveva provato fino a poco prima sembrò come sparire.

“Tutto bene, Anna?”
“Ho avuto giorni migliori.”  E di certo bastava guardarla per capirlo.

Le trecce erano solo un ricordo, sembravano più due code visto la quantità di capelli che erano fuori usciti dalla sua acconciatura classica. La camicia era sbottonata in alcuni punti e copriva ben poco i polsi, i quali erano di un rosso quasi bordeaux. Si stavano già formando dei lividi nel luogo in cui si era strattonata per cercare di liberarsi dalle manette. Gli occhi invece erano lucidi ma, mai come allora, si sentì in debito con l’amico, che la stava guardando con tanto di quell’affetto e preoccupazione che si sentì la persona più fortunata del mondo.

“Come facevi a sapere che ero qui?”
“Oh beh. E’ una lunga storia. Ma lunga davvero.”

Olaf era impaziente di raccontarla. Si agitava sul posto come a trattenere la lingua dal parlare troppo. Anna non voleva negargli la possibilità di raccontarle la sua versione e, nonostante il tempo avesse ripreso a correre fin troppo in fretta, pensò che più informazioni avesse, meglio avrebbe potuto affrontare il futuro che l’aspettava.

“Puoi farmi un riassunto!”

E comunque, non riusciva a dire di no al suo migliore amico.

Così Olaf iniziò.

“Quindi, uhm, potrei essere stato con Mel tutto il giorno.” Disse arrossendo al pronunciare il nome della ragazza.
“Mel?” chiese, stupita.
“Si, hai presente la cameriera di Elsa, quella che ti ha portato l’invito, quella con cui ho passato un intero pomeriggio di cui non sono riuscito a parlarti e con cui sono uscito di nascosto ieri? Molto bella, giovane…”

Anna alzò gli occhi al cielo. Il ragazzone era proprio cotto! E non aveva capito un accidente.

“Sì, certo, ma intendevo. Da quando la chiami con il nomignolo?”
“Oh beh. Diciamo che ci siamo legati molto.”

Olaf si passò una mano sui capelli, per placare il rossore che si stava facendo largo su tutta la faccia. I suoi occhi però erano eccitati, per nulla imbarazzati. Anna ricordò di aver visto il ragazzone con la stessa espressione la sera prima del suo incubo. Quella stessa sera, Olaf aveva accennato a una certa ragazza, ma non aveva avuto il tempo di indagare con tutto quello che era successo con Elsa. In quei pochi momenti in cui si videro, notò lo stesso un certo cambiamento nell’amico. Intuì essere Mellow il motivo della sua recente felicità e non ne fu per niente dispiaciuta. Avrebbe dovuto ringraziarla alla prima occasione e darle la sua benedizione. 

“Per quel che mi riguarda Oliver, hai buoni gusti in fatto di ragazze.” Gli disse, dimenticando la sorpresa.

Se possibile, il sorriso di Olaf divenne ancora più grande.

“Quindi approvi?” chiese, speranzoso.
“Certo! Qualsiasi persona ti renda felice è la benvenuta!”

La ragazza poi si concentrò sulle altre parole del ragazzo.

“Che poi… hai detto che sei rimasto con lei tutto il giorno? Ma Elsa ha detto di essere stata aiutata da Mellow e tu non c’eri.”
“In verità sì.”
“In che senso ‘in verità sì’?”
“Ero nascosto nell’armadio.”

E no, non stava scherzando. Dire che era sorpresa era dire poco. Olaf anticipò la sua domanda successiva e proseguì con la storia.

“Sono uscito con Mellow oggi pomeriggio e mi ha portato a vedere le suite, dopo aver fatto una passeggiata, perché ero curioso. Poco dopo essere entrati però abbiamo sentito dei rumori. Pensando fosse qualcun altro e non volendo mettermi nei guai, Mel mi ha fatto nascondere nel guardaroba. Poi è entrata Elsa dicendo di aver bisogno di lei e non volevo interromperle. Ormai ero nascosto perciò sono rimasto dov’ero per evitare situazioni imbarazzanti.”

Solo Olaf poteva cacciarsi in simili intoppi. Decise di non indagare sulla cosa visto che alla fin fine non era successo nulla. Lo avrebbe preso in giro più tardi, quando tutto si sarebbe placato.

Il ragazzo fece un respiro profondo e riprese.

“Dopo che Elsa se n’è andata, siamo stati insieme un altro po’ e l’ho portata a fare un giro. Sai, le solite cose. Passeggiata per mano, chiacchierate sotto le stelle… “

Anna però smise di prestare attenzione. Quello era il momento in cui lei e Elsa erano tornate nella cabina. Elsa si era spogliata  e aveva richiesto il ritratto, portando a tutto ciò che era seguito dopo.

Arrossì al pensiero, con una certa nostalgia.

Era stato il loro momento perfetto.

Olaf nel frattempo aveva smesso di parlare e stava guardando la ragazza, cercando di attirare la sua attenzione. Dovette sventolargli la mano davanti alla faccia un paio di volte prima di riuscire a farla tornare con i piedi a terra. Lei si scusò e tornò a concentrarsi sull’amico.

“Non ci siamo accorti di quanto tardi si era fatto. L’ho riaccompagnata in cabina ma è stato allora che abbiamo notato che un certo Hans era tornato in cabina. Mellow è entrata per non farlo insospettire della vostra assenza ma subito dopo quell’uomo ha trovato un certo disegno e ha capito che qualcosa non andava. Ha iniziato ad urlare e sbraitare. Lo sentivo da fuori la porta. Mi sono messo a sbirciare dalla fessura  della porta e ho notato che quel fetente aveva iniziato a strattonare Mellow chiedendole dove foste. Ha pure tirato fuori una pistola da non so dove. Stavo per intervenire ma dalla stanza accanto è entrato il padre di Mellow. Lei è stata coraggiosa e non ha parlato. Suo padre ha cercato di difenderla ma Hans era furioso. Mai visto un uomo così arrabbiato in vita sua. È completamente pazzo, Anna!”

Anna ci mise un po’ per digerire ciò che aveva fatto Hans. La reazione di Sebastian al nominare la figlia ora aveva senso. Quello di prima era stato solo un tentativo per farlo parlare ma a quanto pare Anna non aveva tenuto in conto quanto effettivamente avesse sofferto il maggiordomo. Si sentì un po’ in colpa.

“Sì… l’ho notato anch’io.” Rispose ad Olaf. “Ha minacciato il padre di Mellow?” chiese per avere conferma.

Olaf annuì.

“Hans gli ha urlato contro che quando lui riavrà la sua fidanzata indietro, Sebastian avrebbe potuto aver indietro Mel.”

I tasselli del puzzle si stavano collegando uno a uno. Ormai aveva una chiara visione di quanto successo prima. Anna poteva immaginarseli. Hans e Sebastian che progettavano il piano per incastrarla, aspettando solo il loro ritorno. Si spiegava tutto.

“Quando ho saputo che volevano arrestarti, mi sono allontanato e sono venuta in cerca di te. Mel è riuscita a uscire per un po’ e mi ha detto di non preoccuparmi e di stare al sicuro, di non pensare a lei.”

Poteva vedere la preoccupazione negli occhi dell’amico. Doveva essere stata dura per Olaf abbandonarla in balia di quegli uomini.

“Starà bene, Olaf. Appena finirà questo casino, andremmo via tutti insieme.” Cercò di consolarlo.

Ci fu un momento di pausa in cui il castano cercò di ricomporsi. Poi tornò al racconto, spiegando di essere andato in terza classe a cercarla.

“Ho trovato solo Rapunzel e Eugene o Flynn o Eugene e…”
“Oliver.” lo interruppe.
“Si insomma, loro e beh erano un po’… impegnati.”

Anna ripensò allora a Eugene che le spiegava il motivo per cui erano conciati in quel modo. Se ricordava correttamente, l’amico aveva affermato che lui e sua moglie ci stavano dando dentro. Immaginò la faccia sconvolta di Olaf quando li aveva trovati e scoppiò a ridere. Gran parte della tensione che sentiva se ne andò insieme alle sue risa.

“Non c’è nulla da ridere, mocciosa. Sono ancora sconvolto! Comunque li ho avvisati di tutto e ho detto loro di prepararsi e dare l’allarme. Non trovandoti, ho ripreso la ricerca con qualche difficoltà. A quanto pare la terza classe è stata chiusa.”

Questo fece preoccupare la ragazza.

“Chiusa in che senso?”
“Non volevano far salire i passeggeri di terza classe sui ponti. Un discorso di precedenza, non so. Non ne ho capito molto.”

Anna però aveva capito eccome. Avrebbero avvantaggiato prima la prima classe e tutti i nobili pomposi ovviamente. Poi in ordine la seconda classe, seguiti dalla terza. La ‘feccia’, come l’aveva chiamata Hans. Ma Rapunzel e Eugene erano sul ponte ora, avevano superato il blocco, quindi avevano una possibilità in più di salvarsi e Olaf si rasserenò nel saperlo.

“Sono riuscito in qualche modo a trovare una strada per uscire di lì fino a che non ti ho vista in manette mentre entravi qui dentro con il padre di Mel. Ho capito di essere arrivato troppo tardi. Sono andato in cerca di qualcosa per aprire la porta ma ho trovato solo questa carota. Utile, però! Non sapevo fossero così efficaci.”

Olaf e i suoi piani strampalati! Solo lui avrebbe potuto escogitare un piano così assurdo per liberarla. Una carota, davvero? Aveva funzionato, accidenti se aveva funzionato. Ma mancava un particolare.

“Olaf quella carota non aprirà mai le mie manette. Ha uno spiraglio troppo piccolo. Devi prendere le chiavi o un’ascia, qualsiasi cosa. Anzi, l’ascia no. Non mi piacciono le asce. Solo… Cerca Elsa, lei saprà dove trovarle.”
“Non se ne parla, non ti lascerò qui da sola.”

Olaf incrociò le braccia in un chiaro segno di protesta.

“Olaf.”
“No!”
“Olaf…” sussurrò, in modo più affettuoso.

Prese un respiro profondo.

“Olaf ti ricordi quel giorno in cui stavo disegnando il padre e la sua bambina sul ponte? Non ti ho mai spiegato perché mi ha colpito così tanto. Vuoi saperlo?”

Aspettò che il ragazzo annuisse e continuò.

“Quello della famiglia è un amore puro e a me manca la mia. Ci sono dei giorni in cui mi manca terribilmente. Ma da quando ti ho conosciuto, le cose sono andate in meglio. Con te risento quell’amore che ho tanto cercato. Con te mi sento al sicuro. Sei la mia casa. La mia famiglia sei tu, Olaf. Non posso perderti. E ora ho bisogno tu mi faccia questo favore. Sei stato grande finora. Sono fiero di te.”

Olaf tirò su con il naso. Anna vide i suoi muscoli rilassarsi, in segno di resa. Si avvicinò a lei, a braccia aperte.

Un altro abbraccio.

Un altro dolce, tenero e pupazzoso abbraccio.

“Elsa, quindi?” gli chiese, ancora avvinghiato a lei.
“Elsa, sì. E fai attenzione, per favore. Niente nuotate in acqua gelida, niente sparatorie, niente fare a botte. Niente di niente. Stai lontano dal pericolo, ok?”

Si allontanò da lei per guardarla in volto.

“A volte vale la pena mettersi in pericolo per qualcuno.” Le rispose.

Anna si sentì così grata di avere un amico come lui. Gli sorrise in risposta.

“Farò attenzione. E tu, mocciosa. Tu non scappare! Anzi, se riesci a liberarti meglio, ma non ti muovere! E la carota me la porto con me.”

Anna ridacchiò mentre Olaf si allontanava oltre la porta. Poi si ricordò di qualcosa.

“Olaf…Olaf!”

Olaf tornò indietro di corsa, pensando fosse successo qualcosa, anche se erano passati neanche cinque secondi da quando si era allontanato.

“Cosa? Dov’è il mostro di neve? Lo trattengo io, tu scappa!”

Olaf e la fissa con i pupazzi. Non se ne sarebbe mai stancata.

“Niente mostro di neve. Solo… puoi dare ad Elsa un messaggio da parte mia?”

Si era appena ricordata che Elsa poteva ancora dubitare di lei. Aveva fiducia in lei ma in caso servisse una spinta in più, doveva dirle qualcosa.

Olaf annuì. Le diede il suo messaggio e, dopo averlo memorizzato, il ragazzo si preparò ad andarsene per la seconda volta, e di nuovo Anna lo stoppò.

“Oh e Olaf. Grazie.”
“A cosa servono gli amici?”

Le fece l’occhiolino e riprese la sua corsa verso il ponte, stavolta alla ricerca di Elsa.

Anna rimase da sola, di nuovo. Questa volta però Olaf aveva fatto la differenza. Il suo migliore amico aveva riacceso la speranza, le aveva donato un’indistruttibile voglia di lottare.

Era certa che Elsa sarebbe venuta a salvarla, così come in parte aveva fatto Olaf.

Ora non le restava altro da fare che aspettarla.
*

Era ormai notte.

Una moltitudine di persone si era raggruppata nella sala da pranzo. I tavoli erano stati spostati di lato e le sedie erano tutte sparpagliate a destra e a manca, per far sedere signore o bambini mezzi addormentati. Il brusio di fondo era piuttosto fastidioso. I camerieri si facevano largo tra la folla, portando bevande calde agli ospiti mentre ogni marinaio che passava – puntualizzando essere tutta un’esercitazione - veniva bloccato da più persone per rispondere alle loro insistenti domande.

Si capiva subito che nessuno aveva idea del perché fossero stati tutti radunati lì. I loro volti erano seccati ma tranquilli e avevano solo borbotti di proteste tra le labbra. Erano così insofferenti alla situazione che erano tutti vestiti a puntino, come se fossero pronti ad un galà di qualche tipo.

“Se solo sapessero la verità” pensò Elsa triste, immaginando il panico che si sarebbe formato.

Un ufficiale era venuto a prenderli poco prima per scortarli nella sala. Durante tutto il tragitto, la ragazza aveva mantenuto le distanze da Hans e sua madre, avvicinandosi quanto più possibile alla loro scorta. Una volta arrivati, si era piazzata in un angolo della sala per avere una visuale migliore di tutto ciò che stava accadendo.

Stava cercando di elaborare un piano per prendersi la giacca del ramato, ma ancora non aveva avuto successo. Vide dei bambini giocare poco distante da lei e questo la distrasse per qualche minuto. Pregò che almeno loro, piccoli innocenti, avessero la possibilità di sopravvivere al disastro imminente.

Al suo fianco una lunga schiera di finestre le davano una perfetta vista del ponte, dove l’equipaggio si stava dando da fare per preparare le scialuppe da salvataggio, lottando contro il freddo gelido di quella notte fin troppo calma. Ogni loro respiro era visibile nell’aria grazie alla condensa che emanavano mentre eseguivano gli ordini del loro comandante.

Elsa tornò a concentrarsi sulle persone intorno a lei, cercando Hans con lo sguardo. Il giovane aveva trovato un altro ufficiale con cui lamentarsi. Elsa ne fu grata, non voleva affrontarlo ora come ora. Non avevano parlato dalla loro interruzione ma Hans aveva preso a guardarla da distante, come ad assicurarsi che non spifferasse ogni cosa al primo di passaggio. Quello che più la scocciava, era che nemmeno cercava di nasconderlo. Ogni volta che Elsa lo sorprendeva a guardarla, Hans non faceva finta di niente, anzi. Stava lì fermo a fissarla, ammonendola con lo sguardo. Una continua e insistente minaccia che la faceva innervosire.

Avrebbe tanto voluto la compagnia di Mellow, per alleggerire la tensione che sentiva e avere finalmente qualcuno dalla sua parte, ma la ragazza non era in vista. Sperava con tutto il cuore che non le fosse successo niente.

In aggiunta a ciò stava cercando in tutti i modi di non trovarsi troppo vicino a sua madre che ancora si rifiutava di parlarle. A differenza di Hans però, Idun la stava bellamente ignorando, fin tanto che non fosse a portata di parola.

Per quanto la riguardava invece, Elsa aveva bisogno di un piano d’azione e ne aveva bisogno quanto prima. Tornò ad architettare una strategia dopo l’altra, ancora indecisa su come fare a riprendersi le chiavi senza destare sospetti.

Fu in quel momento che, ancora persa nei suoi pensieri, sentì qualcosa toccarle la spalla. Si voltò di scatto, terrorizzata, allontanandosi il più possibile dalla persona che le si era avvicinata, andando a scontrarsi con un altro passeggero che passava di lì.

“Guardi dove sta andando.” Borbottò questi.

Ma non ne prestò la minima attenzione, troppo concentrata a capire chi l’avesse toccata poco fa.

Appena vide lo sguardo preoccupato di Gerda Brown, sentì il panico dileguarsi.

Sospirò di sollievo.

“Tutto bene, cara?”

Si prese qualche secondo per rispondere. Posò una mano sul petto in un tentativo di calmare il respiro e sentì il battito del cuore pulsare contro la cassa toracica a velocità accelerata.

“Sì, signora Brown, tutto apposto.”

La sua voce non suonava convincente nemmeno a lei però vi era un certo tono di sfida impresso, di chi ha visto e vissuto troppo, ma è pronto ad affrontare qualsiasi altra cosa abbia in serbo la vita.
Gerda lo colse ma non bastò a togliere la preoccupazione dal suo volto.

“Quante volte devo dirtelo?” disse Gerda, avvicinandosi per sistemarle il cappotto che, nel precedente scontro con il signore di passaggio, aveva perso la sua immacolatezza. “Gerda va più che bene.”

Le sorrise. Gerda riusciva, in qualche modo a lei ancora sconosciuto, a metterla sempre a suo agio. La mano poi passò dal cappotto alla guancia. Gliela accarezzò e questo le provocò un sussulto.

La guancia era ancora un po’ indolenzita nel punto in cui aveva ricevuto lo schiaffo.

“Che è successo alla tua guancia?”
“N-nulla.” rispose, troppo veloce.

Il suo sguardo ritrovò Hans e nemmeno questo passò inosservato alla donna, la quale sospirò, capendola al volo.

Non le si poteva nascondere niente.

“Anna dov’è?”

Elsa abbassò lo sguardo, concentrandosi molto intensamente sul pavimento. Sentì gli occhi punzecchiare. I sensi di colpa tornarono come una valanga dentro di lei. Cercò con tutta sé stessa di trattenere le lacrime che minacciavano di cadere.

“Non lo so.” Riuscì a spifferare.
“Oh, tesoro.” Sussurrò a sua volta Gerda.

Fece un passo avanti, annullando la distanza che le separava, la prese tra le braccia e la abbracciò.
Sentì l’affetto di una madre invaderle il corpo, sostituendosi al rimorso.

Era il primo abbraccio materno che riceveva e che mai aveva pensato di poter ricevere. Avrebbe tanto desiderato farsi coccolare da quelle braccia per tutta la notte. Era così surreale, e al contempo così vero, da farle dimenticare, per quei pochi secondi, ogni problema passato, presente e futuro. La stretta di Gerda era così sicura da farle credere che tutto sarebbe andato liscio come l’olio, nessun ostacolo avrebbe potuto impedirle di fare quello che aveva in mente.

Il suo corpo si rilassò interamente, ogni cosa intorno a lei svanì. C’erano solo lei, Gerda e l’affetto che le avvolgeva.

E prima di rendersene conto, Elsa si ritrovò a ricambiare l’abbraccio, stringendo la donna con tutta la forza che le era rimasta, liberandosi della frustrazione, della rabbia, della paura provate quella sera.

A un certo punto, Gerda allentò la presa e, istintivamente, Elsa  si ritrovò a stringere più forte i vestiti di lei in un tentativo di non porvi fine, come se da quell’abbraccio dipendesse la sua stessa vita.

Permise a se stessa un altro paio di secondi, concedendo a Gerda la possibilità di vedere la parte più fragile e bisognosa di sé. Parte che probabilmente non era mai sfuggita ai suoi occhi attenti e dolci.

Piano piano Elsa allentò la presa e sorrise tristemente alla donna, ringraziandola in silenzio.

“Un po’ meglio ora?” le chiese.

Elsa annuì in risposta.

“Vuoi parlarne?”

Attese. Guardò nuovamente Hans, ancora distratto, ricordandosi degli sguardi che gli aveva lanciato fino a poco prima. Non sapeva davvero cosa fare ma questa volta non fu necessario rispondere. La domanda successiva di Gerda la spiazzò completamente

“Vi ha scoperto insieme?”
“Io…che?”

Sentì il rossore divampare sul suo volto. Non c’era vergogna però, solo imbarazzo. Guardò la donna confusa.

“Oh cara, non credo ci sia nulla che possa sfuggirmi.” Ridacchiò. “Perché quella faccia rossa? Non c’è nulla di male!”

Fu sorpresa della reazione. Pensava non ci fossero persone a loro agio con queste cose, eccetto per chi direttamente coinvolto. Ma sapere che non veniva giudicata, le fece guadagnare fiducia.

“A lei non dispiace?”
“Certo che no, tesoro. La totalità delle persone qui dentro magari potrebbe pensare a uno scandalo, ma non io. Ho visto quella ragazza! È difficile non farsela piacere.”

Così Elsa si ritrova a parlare di quello che era successo nelle ultime ore. Dopo un inizio titubante, partì senza sosta a parlare, saltando solo pochi particolari, non dando a se stessa il tempo di respirare tra una frase e l’altra, tanta era la voglia di condividere la sua notte più bella e la parte più terribile di essa. Gerda la lasciò parlare, senza interruzioni, e quando Elsa finì, si sentì più leggera. Aprendosi si era liberata di un peso. Le sembrò di avere una complice in più, un altro compagno con cui schierarsi.

“L’hanno rinchiusa da qualche parte. Hans ha le chiavi delle sue manette nel cappotto.” Finì e finalmente prese fiato.

Gerda aveva preso stranamente bene la notizia dello scontro con l’iceberg. Al suo nominare l’accaduto, non aveva battuto ciglio. Quando si era interrotta per chiederle come si sentiva a riguardo, la donna aveva risposto che si aspettava una situazione simile. Per nessuna ragione avrebbero buttato giù dal letto i passeggeri durante il viaggio inaugurale del Titanic, se non per una vera catastrofe. Lo scherzo è bello finchè dura poco recitava il detto, e la storia dell’esercitazione reggeva fino a un certo punto. Assicurò ad Elsa che se la sarebbe cavata e non aprirono più bocca sul discorso.

Al contrario, Gerda si stava davvero scervellando per la questione di  Anna. Iniziarono a borbottare qualcosa insieme, cercando di escogitare qualcosa di buono  finchè, finalmente, vennero pronunciate le parole chiave:

“Abbiamo un piano.”

 
Buffo come i piani migliori vengano dalle idee più semplici. Elsa non doveva fare altro che stare lontana mentre il gioco sporco, per così dire, sarebbe toccato esclusivamente a Gerda.

La donna era andata a sedersi con nonchalance su un tavolino a portata di tiro di Hans, il quale stava farfugliando con altri nobili di quanto la situazione fosse ingiusta e inaccettabile nei loro confronti. Come aveva predetto, anche Idun e le sue amiche vennero a prendere posto al tavolo, pensando che la cara e vecchia Gerda avesse riservato loro il posto. Le due signore che la accompagnavano avevano entrambe il salvagente, mentre la madre di Elsa si rifiutava categoricamente di metterlo.

“Indossare un capo simile dovrebbe essere contro le leggi di un aristocratico” ripeteva a chiunque la invitasse a indossarlo, tanto che ormai nessuno insisteva più.

Gerda aveva poi ordinato del the e del liquore caldo con il pretesto che la moltitudine di marinai, che continuava a fare avanti e indietro  dal ponte al salone, portavano con sé l’aria fredda della notte.

Non soddisfatta, iniziò a lamentarsi di quanto non sopportasse proprio la corrente gelida che sentiva dalle finestre intorno a loro, brontolando di tanto in tanto del raffreddore imminente.

Una volta teso l’amo, doveva solo far abboccare il pesce. Hans, per loro fortuna, non si era mosso più di tanto e, sfoggiando a pieno le sue doti teatrali, si rivolse a lui.

“Ehi, tu.” Lo chiamò, ma non venne ascoltata.

Riprovò, con tono più severo.

“Ehi tu, con le basette.”

Hans si girò, si guardò intorno fino a notare la donna seduta poco distante da lì.

“Ho freddo, mi dia il suo cappotto.”
“Come, prego?”

Il ramato la guardò come se avesse ingoiato un rospo. Recependo il suo disappunto, Gerda gli fece segno di avvicinarsi.

“Posso offrirle un po’ di brandy?” gli disse.

Una volta che fu a portata di tiro, la donna allungò il braccio in sua direzione con un calice colmo in mano. Lui la guardò con fare scocciato, non del tutto convinto.

“Quanto siamo gentili questa sera.” Rispose, scettico. “E mi dica, perché dovrei darle il mio cappotto?”
“Oh suvvia, non sia così pessimista. È solo un favore. E mentre glielo spiego, favorisca! Non ho certo intenzione di stare qui tutta la notte.”

Prese il bicchiere, mantenendo ugualmente le distanze. Bevve un sorso prima di incalzare la questione.

“Allora?” sbuffò contrariato.

Le signore al tavolo erano tutte concentrate sul loro scambio, Idun in particolare. Gerda iniziò a spiegargli che, a causa del via vai costante, si stava raffreddando e che non voleva certo arrivare in America con il naso colante. Aveva una certa immagine da sfoggiare e lui per primo avrebbe potuto capire cosa intendeva. Senza sapere del suo piano, le sue compagne di tavolo iniziarono a concordare la sua versione, esternando preoccupazione per la loro povera Gerda.

Fu così che arrivò al punto.

“Quindi potrebbe farmi la cortesia di prestarmi il suo cappotto?”

Elsa aveva assistito allo conversazione da dietro una parete che faceva da separé nella sala. Stava lodando Gerda per il suo sangue freddo e la sua capacità di manipolare la situazione a suo favore. Aveva ripreso a sentire l’ansia scorrerle in corpo e le gambe stavano piano piano tornando a tremare. Hans doveva solo cadere al gioco di Gerda, sperando che la semplicità della richiesta non destasse nessun sospetto nell’uomo.

 “Abbocca, ti prego, abbocca.” Pensava.

Elsa capì solo in quel momento quanto fosse fondamentale la presenza delle compagne di Gerda. Le signore stavano letteralmente mandando sguardi increduli al giovane, come a dire:
“Cosa aspetta?”, “Vergognoso”, “Che razza di signore è”, “Non aiuta nemmeno una povera donna in difficoltà”…

Fu quello più di tutto a far cedere Hans. Perché Hans sapeva benissimo cosa significasse avere una facciata da mantenere e passare per insensibile non avrebbe giovato alla sua immagine di gentiluomo.

Consegnò la sua giacca a Gerda senza una parola e senza un doppio pensiero, per poi andarsene e spingere a sé il primo marinaio che passava per di lì.

“Va nella mia suite a prendermi un cappotto.” Ordinò.
“Ma signore, io non sono un maggiordomo.”

Prese dei bigliettoni dalla tasca dei pantaloni e glieli lanciò in malo modo senza nemmeno contare quanti effettivamente fossero.

“Ora lo sei. Vai a prendermelo e vedi di fare in fretta”

Elsa poi lo vide andare in cerca di altro liquore, allontanandosi definitivamente dal tavolo, e Elsa ebbe la sua opportunità di avvicinarsi, rendendo nota la sua presenza. Gerda le sorrise soddisfatta per poi cambiare subito atteggiamento, assumendo un tono serio, quasi severo.

“Oh Elsa cara, sei qui. Vorrei scambiare due parole con voi se non vi dispiace. In privato.”

Idun non fiatò. La squadrò per un attimo per poi tornare alla sua tazza di the, lo stesso disappunto di prima scritto in volto.

Elsa non la degnò di importanza, a malapena riusciva a contenere la gioia.

Si allontanarono da occhi indiscreti e Gerda frugò nel cappotto fino a trovare le chiavi. Gliele consegnò e, nel momento in cui strinse il metallo tra le dita, Elsa si sentì carica come non mai e, più di tutto, fiera di ciò che grazie a Gerda era riuscita a fare. Chiuse per un attimo gli occhi, beandosi in questa sensazione di vittoria, per poi riaprirli verso di Gerda, riconoscente.

“Grazie infinite, Gerda. Non era costretta a farlo.”

Non sapeva davvero come esprimere la sua gratitudine. Le parole sarebbero state davvero troppo poche questa volta

“Ti dirò una cosa che ho detto anche ad Anna.” Le rispose, attirando la curiosità della ragazza. “Sono amante dei lieto fine e tu, tesoro, ne meriti uno. Se posso contribuire a realizzarlo, lo farò.”

Erano le parole di conforto più belle che avesse mai ricevuto da chi poteva quasi considerare una madre, dopo tutto ciò che aveva fatto per lei. Avrebbe voluto rispondere, avrebbe voluto abbracciarla ma non ebbe il tempo di pensare a nulla che qualcosa da fuori la finestra attirò la sua attenzione.

Un giovane ragazzo riccioluto, più o meno della sua età, stava sventolando la sua mano con tutta la forza che aveva in corpo da fuori la finestra. Alcuni signori che passavano di lì si erano fermati ad osservarlo mentre un altro paio si tenevano bene alla larga, evitandolo alla bell’e meglio. Il suo sguardo però era diretto verso di lei, con il sorriso di chi aveva appena vinto una caccia al tesoro.

Gerda le accarezzò di nuovo la guancia, richiamando la sua attenzione. Si fece coccolare nuovamente da quel tocco fresco e materno, prolungando il contatto.

“Vai, ti stanno aspettando. Ti copro io.”

E senza farselo ripetere due volte, prese a correre in direzione del ragazzo, cercando il primo accesso al ponte aperto, lanciandosi fuori come un missile.

“Olaf!” lo chiamò.
“Oh mammetta, menomale mi hai visto! Stavo per andare a farmi sostituire il braccio!”

Si fermò a pochi passi da lui per riprendere fiato, felice di rivederlo. Non avevano avuto molte occasioni per conoscersi ma, in qualche modo assurdo, sentiva di conoscerlo da una vita. Che fosse a causa della sua connessione con Anna? Questo non lo sapeva. Poteva solo fidarsi del suo istinto e del giudizio della ragazza.

La prima cosa che fecero, dopo i saluti, fu allontanarsi dal punto in cui si trovavano, in modo da evitare sguardi curiosi dei nobili dall’altra parte della parete vetrata. Olaf aveva attirato già fin troppa attenzione. Decisero di rifugiarsi in una porzione di corridoio collegata agli alloggi, sia per la mancanza attuale di passeggeri, sia come scudo dal freddo sempre più gelido della notte.

Una volta assicuratosi che nessuno, a parte loro, fosse in ascolto, presero insieme un respiro profondo e all’unisono dissero:

“Anna è stata arrestata e so dirti dove si trova”
“Anna è stata arrestata ma non so dove si trovi”

Si guardarono increduli.

“Come fai a saperlo?” ripeterono nello stesso momento.

Elsa si portò inconsciamente la mano davanti le labbra e si lasciò sfuggire una piccola risata. Olaf aveva già dimenticato che tutto ciò che era successo, era capitato con lei presente. Anna aveva raccontato in più di un’occasione  delle figuracce che avevano fatto a causa di questo

“Prima tu.” Disse Olaf, in un tentativo maldestro di fare il galantuomo.

Così si scambiarono la loro versione dei fatti. Elsa cercò di non tralasciare nemmeno un dettaglio dal loro rientro in cabina e di come aveva recuperato le chiavi mentre Olaf spiegò a Elsa del piano di Hans, di come Mellow si fosse schierata irremovibilmente dalla sua parte, di come avesse seguito il padre fino all’ufficio del capitano d’armi e della sua conversazione con Anna.

“Hai più visto Mellow, poi?” chiese la ragazza, dopo aver finito di ascoltare la versione dell’amico.
“No, speravo fosse con te.”

Venne detto con tono malinconico e Elsa si sentì in colpa per tutto ciò che Mel aveva passato a causa sua. Olaf però si era preso cura di lei e la biondo platino riusciva quasi a leggere, sul suo volto, tutto l’affetto che lui provava. Si sentì rincuorata da questo. Anche Mellow aveva trovato qualcun altro con cui condividere la sua vita e si sentì riconoscente.

Dei rumori li interruppero.

Svelti svelti, andarono a nascondersi dietro l’angolo del corridoio cercando di fare il minimo rumore. Una manciata di marinai stava percorrendo la strada a ritroso verso il ponte, borbottando qualcosa. Elsa afferrò solo piccole cose ma non sembravano buone notizie. Capì “S.O.S.”, “affondare”, “prima pagina” e niente più. Il resto era un rimasuglio di parole che dalla loro distanza non riuscì proprio a cogliere.

Questo ricordò loro quanto i tempi fossero stretti. Avevano parlato fin troppo, era tempo di tornare ad agire.

“Trova Mellow e tienila al sicuro.” Disse Elsa.
“E tu corri da Anna!” gli rispose lui, ancora sorridendo.

Si chiese per un attimo se ci fosse qualcosa che potesse far rattristire davvero il ragazzo. Se esisteva davvero, sperò stesse alla larga da lui.

L’allegria di Olaf era in un certo senso contagiosa.

“Sai, la mocciosa aveva ragione a dire che somigli ad un angelo.”
“Anna ha detto questo?” chiese, sorpresa.

Annuì, facendola arrossire.

“Oh e a proposito, ho un messaggio per te da parte sua.”

Questo la colse ancora più di sorpresa.

Un messaggio?” pensò. “Cosa avrà voluto dirmi?

Non sapeva di preciso se fosse una cosa buona o meno, e i pochi secondi che Olaf impiegò per prendere un respiro e ripetergli il messaggio che aveva imparato a memoria dalla biondo fragola, sembrò essere eterno.

“Mi ha detto di dirti: ‘Che ne pensi di un’altra folle prova di fiducia, Fiocco di Neve? E’ il tuo turno salvare una principessa in pericolo.’”

Rise di cuore, chiedendosi se la dolcezza di Anna avesse un limite. Sperò con tutta se stessa che non ne avesse uno. In qualche modo la nottata era tornata ad essere bella e luminosa ai suoi occhi. Aveva inoltre capito quali fossero per lei le persone che contavano davvero nella sua vita.

Olaf, dal canto suo, aveva ripreso a parlare in quarta, brontolando del freddo che sentiva. Stava cercando di scaldarsi le mani con il respiro e saltellava sul posto per creare un po’ di calore.

“Non mi è mai piaciuto troppo il freddo, ma non è male. Ottimo per i pupazzi di neve ma un po’ di caldo ora non guasterebbe neanche e-”
“Grazie Olaf.”

Lo interruppe, senza dargli modo di finire il discorso. Il ragazzone venne quasi colto alla sprovvista dal sorriso che Elsa aveva impresso in volto e fu ancora più sorpreso quando lei lo abbracciò.

Olaf non ci mise mezzo secondo a ricambiare l’abbraccio.

Si strinsero forte forte, senza mollare la presa. Era il secondo abbraccio in meno di mezz’ora per Elsa. Non ne era abituata ma ne sentiva un gran bisogno.

“Amo i caldi abbracci.” Disse il castano, contento.

Elsa sorrise, con la testa appoggiata sulla spalla di lui, lasciando che ogni fibra del suo essere si ricaricasse il più a lungo possibile.

“I caldi abbracci, sì. Sto iniziando ad amarli anch’io.”
 
 
A/N: “Sono trascorsi 84 anni….”
No ok, seri. Sono imperdonabile. Lo so, lo so. Non ho scusanti. Sono stata sul punto di cancellare questa storia un sacco di volte. Poi una settimana fa mi sono svegliata e il seguito si è scritto da sé. Ci sono un sacco di persone che dovrei ringraziare e ancora di più quelle con cui dovrei scusarmi ma terrò questo per me e vi dico solo: SONO TORNATA.

Grazie di essere ancora qui.
Un piccolo appunto per la lettura. Ci sono delle parole in grassetto nella seconda parte. Per chi non lo sapesse, l’ho fatto per evidenziare le cinque fasi dell’elaborazione del lutto.
Cose psicologiche, molto nerd. 

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