Un'altra strada

di DirceMichelaRivetti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giuditta ***
Capitolo 2: *** Magister Templi ***
Capitolo 3: *** Verifica ***
Capitolo 4: *** Franchi Giudici ***
Capitolo 5: *** All'Avalon ***
Capitolo 6: *** Da Lucrezia ***
Capitolo 7: *** Conversazioni ***
Capitolo 8: *** Paimon ***
Capitolo 9: *** Congregazione Infestata, parte I ***
Capitolo 10: *** Congregazione Infestata, parte II ***
Capitolo 11: *** L'invito ***
Capitolo 12: *** Pranzo da Serventi, parte I ***
Capitolo 13: *** Pranzo da Serventi, parte II ***
Capitolo 14: *** Post pranzo ***
Capitolo 15: *** Un nuovo caso ***
Capitolo 16: *** Ricerche in biblioteca ***
Capitolo 17: *** L'ospitalità di Bonifacio ***
Capitolo 18: *** Gaspare ***
Capitolo 19: *** Il rituale ***
Capitolo 20: *** Preoccupazioni ***
Capitolo 21: *** Troppe rivelazioni per un solo capitolo ***
Capitolo 22: *** Il massacro di templari ***
Capitolo 23: *** Il ritorno di Isaia ***
Capitolo 24: *** Il Tredicesimo Apostolo ***
Capitolo 25: *** Serate ***
Capitolo 26: *** Inizi ***
Capitolo 27: *** Le preoccupazioni di Gabriel ***
Capitolo 28: *** Sul lago Averno ***
Capitolo 29: *** Confidenze ***
Capitolo 30: *** La verifica continua ***
Capitolo 31: *** La vendetta di Malpas ***
Capitolo 32: *** Discutere ***
Capitolo 33: *** Consolazioni ***
Capitolo 34: *** Unione delle menti ***
Capitolo 35: *** La prima richiesta ***
Capitolo 36: *** La seconda richiesta ***
Capitolo 37: *** Il doppione ***
Capitolo 38: *** La rabbia di Stefano ***
Capitolo 39: *** Ricordi ***
Capitolo 40: *** Apocalisse ***
Capitolo 41: *** L'apocalisse continua ***
Capitolo 42: *** Il figlio ***
Capitolo 43: *** Un inizio è una fine ***



Capitolo 1
*** Giuditta ***


Gabriel si svegliò di buon ora, andò in cucina e preparò la colazione che mise su vassoio e la portò a Claudia che era ancora a letto. La donna lo abbracciò e lo baciò per ringraziarlo. Si diedero il buongiorno, parlarono un poco, si prepararono ognuno per la propria giornata. Uscirono assieme, salirono sull’auto della psicologa che lasciò l’uomo presso la sede della Congregazione della Verità e lei si diresse verso il proprio studio.

Erano passati già due mesi da quando Gabriel era stato nominato capo del Direttorio; all’inizio era stato titubante, ma poi aveva accettato tale carica, non appena aveva saputo che avrebbe potuto esercitarla anche da laico. Non era mai successo prima d’allora che un non gesuita potesse occuparsi degli affari della Congregazione, ma la situazione era del tutto eccezionale: lui era comunque un ex membro, nipote di un Monsignore, ma soprattutto era quello più addentro alle vicende in corso, o almeno tale lo si credeva. Sicuramente era il più informato, assieme ad Alonso, delle attività del Candelaio, che lo riguardavano molto da vicino, suo malgrado; dall’altra era l’unico, sempre assieme al bibliotecario, ad aver avuto a che fare col misterioso e, incredibilmente, redivivo Ordine dei Templari.

Già, i Templari … Crudeli, spietati, insensati, ottusi … e ora anche Isaia era dei loro.

Si era stupito quando aveva visto l’amico nella cripta, quando aveva scoperto il suo tradimento … Non era la prima volta che veniva tradito da Isaia, lo aveva sempre perdonato, ma non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe arrivato a tentare di ucciderlo. Perché non aveva avuto fiducia in lui? Perché non aveva accettato il suo perdono e la sua offerta di dimenticare l’accaduto?

Era triste, era ferito, ma col tempo … se ne era fatto una ragione. Anzi, si diceva di essere stato uno stupido a non aver capito subito le intenzioni di Isaia. Perché si era stupito? In fondo lo aveva sempre saputo come fosse l’amico: fanatico, inquadrato, ligio fino alla nausea … vedeva l’opera del demonio in qualsiasi fenomeno fuori dall’ordinario ed era sempre stato fermo su un punto: qualsiasi metodo era consentito per fermare il maligno, era possibile ricorrere qualsiasi mezzo.

Lui, Gabriel, era stato troppo buono e non si era reso conto di quanto meschino e ottuso fosse Isaia. Ora, invece, lo conosceva per come fosse davvero … Era arrabbiato con l’amico, soffriva … non lo avrebbe mai più visto con gli stessi occhi, non lo avrebbe più chiamato fratello.

Via, non doveva pensarci. Quei pensieri, quei ricordi, non facevano altro che mettergli malumore e rabbia addosso, sentimenti che voleva tenere alla lontana.

Gabriel stava passando accanto alla biblioteca della Congregazione, ad aiutarlo a pensare altro fu Stefano che gli si avvicinò, lo salutò e gli consegnò tutti i plichi delle segnalazioni che erano arrivate in Congregazione e delle quali si sarebbe dovuto parlare in Direttorio per decidere quali tenere in considerazione e quali scartare e poi suddividerle per le assegnazioni.

Generalmente, il capo del Direttorio manteneva puramente il proprio ruolo istituzionale e si occupava solamente di scartoffie e burocrazia, ma questa non era certo la vita che piaceva a Gabriel, per cui aveva nominato un suo vice affinché si occupasse dell’aspetto più amministrativo. Lui, invece, si occupava dell’analisi generale della situazione e anche delle verifiche più particolari o complesse. Stefano era diventato il suo assistente: fungeva da segretario in Congregazione e da primo aiutante durante le verifiche, benché avesse ancora tutto da imparare.

Gabriel chiese rapidamente al giovane se ci fossero novità particolari, la risposta fu negativa. Entrambi raggiunsero la stanza dove si riuniva il Direttorio. Una volta che tutti i membri furono arrivati, iniziò la discussione delle varie faccende.

Una gran noia per Gabriel: non era tagliato per quel ruolo, lo sapeva benissimo, lui era adatto per studiare i singoli casi, non di analizzare le situazioni generali. Quando non era impegnato in una verifica, svolgeva i propri compiti controvoglia e non faceva altro che pensare a quando, la sera, avrebbe rivisto Claudia.

Quel giorno, tuttavia, la monotonia fu d’improvviso interrotta. Quando si rese conto di quel che stava accadendo, però, l’animo di Gabriel non seppe se sentirsi sollevato o preoccupato.

Infatti, inaspettatamente, una ragazza di circa venticinque anni, alta, di corporatura robusta; aveva capelli neri, mossi, lunghi fino a più di metà schiena; il suo abbigliamento era singolare: cappello da cowboy scamosciato in testa; maglia senza maniche celeste, con una scollatura a V che stringeva il prosperoso seno; sopra, tenuta aperta, una camicetta viola corta, con maniche a sbuffo che arrivavano appena sotto le spalle; braghe larghe verde militare; fusciacca blu e rossa attorno alla vita; sandali di cuoio; a tracolla una sacca sempre in pelle.

Il suo ingresso provocò sorpresa e indignazione tra i membri del Direttorio, specialmente tra coloro che erano sopravvissuti all’attacco di Jacopo.

La ragazza avanzò, sporgendo le mani in avanti, come a volerli calmare, infatti disse: “Seduti, seduti, non è necessario vi alziate in piedi per me.”

Arrivò a capotavola esattamente di fronte a dove si trovava Gabriel.

Continuò: “Non preoccupatevi, vi lascio subito alle vostre faccende, devo solo fare una domanda rapida, rapida. Antinori, giusto te!” lo indicò con l’indice, stendendo il braccio “Dov’è Isaia?”

I Monsignori si stavano scambiando occhiate perplesse, ma non borbottavano più: c’era stato qualcosa in quella gestualità, in quella voce, che li aveva ammutoliti.

Gabriel era indeciso se essere sconcertato, imbarazzato, indignato o addirittura furioso. Capiva, però, bene l’animosità della ragazza, nonostante non potesse certo tollerare quell’intromissione mantenne la calma e con tono fermo le disse: “Giuditta, come puoi vedere, in questo momento sono piuttosto impegnato. Quando avrò finito qui, ti dirò tutto quello che so; d’accordo?”

La giovane fece una smorfia, poi guardò i Monsignori in un misto di disprezzo e severità e poi chiese: “Quindi, tu sei il capo del Direttorio adesso, per quel che vedo.” si mise ad applaudire in maniera lenta e sarcastica “Ma bravi, bravi, davvero complimenti ad eleggere lui.”

“Adesso smettila!” ordinò seccamente Gabriel, innervosendosi.

“Calmati! Mi stavo solo congratulando con la loro coerenza: si sono dati come capo un uomo che fino a un paio di mesi fa, almeno, ritenevano essere il male, un pericolo tremendo e che volevano allontanare il più possibile dalla Chiesa.” volse il capo verso un Monsignore e, sorridendo, gli domandò: “Dica un po’ la verità: avete scelto lui, così da poter continuare a sorvegliarlo, nevvero?”

“Hai parlato abbastanza.” ribadì Gabriel, pur sapendo che ogni tentativo di metterla a tacere sarebbe risultato inutile, se non fosse stata lei a decidere di smettere.

Giuditta scosse la testa, uno strano luccichio nei suoi occhi profondi, poi replicò: “Oh, no … ci sarebbero tante cose da dire e che, sono sicura, interesserebbero parecchio lor signori ... ma aspetterò di aver prima parlato con te. Tra quanto finisce questa riunione?”

“Non lo so.” rispose Gabriel, poi voltò il capo verso Stefano, in piedi dietro di lui, e gli disse: “Accompagnala da Alonso e aspettatemi lì.”

“So benissimo dov’è Alonso.” gli ricordò lei.

Gabriel si limitò ad un’occhiataccia e a fare cenno a Stefano di andare.

La donna uscì senza aggiungere altro e Stefano dovette affrettarsi per raggiungerla, lei non si degnò neppure di guardarlo. Nonostante fosse lui a dover condurre lei, il ragazzo si trovava indietro di un passo rispetto alla giovane. Non appena l’aveva avvicinata, aveva avvertito una strana sensazione, come se ci fosse un alone invisibile che la circondasse e che tenesse gli altri a distanza.

Stefano voleva parlarle, ma si sentiva un po’ in imbarazzo; dopo un po’ riuscì a chiederle: “Quindi … tu sei un’amica di padre Morganti?”

Giuditta si fermò, voltò il capo verso l’altro, sorrise e rispose con voce calda: “Oh, no, sono molto di più …”

Stefano strabuzzò gli occhi e rimase interdetto, con un’espressione allibita.

La giovane scoppiò a ridere, divertita; poi porse la mano e si presentò: “Giuditta Morganti, sono la sorella di Isaia.”

“Ah!” si riprese il ragazzo, poi si scosse, strinse la mano e replicò: “Stefano Fabbri, sono l’assistente di Gabriel.”

“So tutto di te.”

Un’altra espressione di stupore si dipinse sul volto del giovane.

Giuditta riprese a camminare e domandò: “Tu eri stato mezzo posseduto da un tedesco nazista, giusto?”

“Reincarnazione …”

“No, la reincarnazione è una cosa diversa … Hai la media del 30 all’università, giusto?”

“Sì, esatto, ma tu come …?”

“Mio fratello mi scriveva ogni giorno, ogni tanto ha parlato anche di te.”

“Oh, carino da parte sua … Aveva una buona opinione?”

“Stima senza dubbio le tue conoscenze e la tua dedizione allo studio, ma ritiene parecchio invalidante il tuo attaccamento ad Antinori.”

“Beh, sono naturali la stima e l’affezione che ho per Gabriel, lui mi ha salvato la vita! Vedi, era successo che …”

“Conosco la tua storia.” lo interruppe lei “Ma, se ti fa piacere raccontarla, ti ascolto volentieri.”

Il viso di Stefano si illuminò di gratitudine e, tutto contento, iniziò a narrare. L’altra ascoltò tutto con attenzione, senza perdere una parola, una pausa, un tono, un sospiro, un’espressione del volto.

Nel frattempo erano arrivati nello studio di Alonso, ma il bibliotecario non c’era.

“Non sapevo che padre Morganti avesse una sorella.” osservò Stefano, dopo che era calato qualche secondo di silenzio.

Giuditta stava guardano il dorso dei volumi negli scaffali, rispose: “Abbiamo anche un fratello più piccolo.”

“Ah sì? Strano, già tra te e padre Isaia c’è una notevole differenza di età.”

“Dieci anni. Lui è nato quando i nostri genitori erano piuttosto giovani; poi mia madre ha aspettato di fare carriera, prima di avere una seconda maternità.”

“Che mestiere fa?”

“È curatrice in un museo d’arte medievale e moderna. I nostri genitori si sarebbero fermati a due soli figli, ma quando nostro padre si rese conto che non avrebbe mai convinto Isaia a dedicarsi al mestiere di famiglia, l’avvocatura, decise che era necessario un altro figlio maschio che portasse avanti la dinastia. Questo è quanto, contento? O vuoi sapere altro?” non era sembrata affatto seccata, anzi era risultata cordiale.

Stefano rimase ancora un po’ in silenzio, dubbioso. Continuava ad avere l’impressione che quella donna avesse qualcosa di strano, oltre al carattere. Aveva ancora la sensazione che un alone d’energia invisibile la circondasse, ma ora non lo percepiva più come respingente, bensì come qualcosa di caldo e accogliente. Che stranezza!

Un po’ assorto in queste osservazioni, il seminarista domandò, curioso e perplesso: “Come mai ora sei gentile, mentre al Direttorio sei stata così scortese e arrogante?”

Giuditta si voltò a guardarlo, mentre rispondeva: “Sono arrabbiata con Antinori: mio fratello è sparito da due mesi e lui non s’è preso nemmeno la briga di farmi una telefonata. Il tempo e la possibilità li avrebbe avuti, se avesse voluto.”

“Conosci bene Gabriel?”

“Un po’ … venivo spesso a trovare mio fratello, fino a qualche anno fa.”

“Dopo che è successo? Hai iniziato a lavorare?”

“Sì; si può dire sia stato per quello.” si voltò e tornò a guardare i libri.

“E di cosa ti occupi …?”

“Ricerche, studi, conferenze … questo genere di cose.”

“Ah, sei una ricercatrice universitaria, quindi …” il ragazzo stava cercando di capire.

“Non proprio, lavoro per un’istituzione privata.”

“E qual è l’ambito dei tuoi studi?” era incuriosito.

Giuditta gli diede un’occhiata e domandò scherzosa: “Visto che io sono informata su di te, tu vuoi metterti in pari sul mio conto?”

“Beh, ecco … mi pare il minimo.”

Si rivolse a lui, senza farsi distrarre dai libri: “Non è semplice da dire, spazio alquanto tra religioni, antropologia, letteratura, arte … sia per quello che comunicano esteriormente, sia, anzi, soprattutto ciò che comunicano occultamente. Le mie indagini si concentrano su questo.”

“Interessante!” Stefano era sincero “Quindi sono studi che si avvicinano un po’ al lavoro della Congregazione. Cioè noi indaghiamo su fenomeni paranormali che possono avere radici in quello che tu studi.”

“Pressappoco.” sorrise lei “Effettivamente, quando ci si addentra molto in una cultura e in pratiche religiose, si riscontrano fenomeni inspiegabili per la comune scienza.”

“Quindi tu e tuo fratello avete in comune l’interesse per questo genere di cose … bello!”

“Vero, ma abbiamo diversi modi di considerarli. Non c’è però da stupirsi di questa passione comune: finché non è entrato in seminario, è stato lui a crescermi.”

Stefano rifletté qualche momento, poi osservò: “Non credo fosse il tipo di fratello che legge le fiabe …”

“Oh, qualcuna sì, ovviamente accompagnata dalla spiegazione esoterica.”

Il ragazzo fece un’espressione stralunata e disse: “So che ci sono ricerche al riguardo, sono molto complessi ed è difficile distinguere i riferimenti reali da quelli casuali o inseriti inconsapevolmente, poiché diventati topoi della tradizione fiabesca popolare. È complesso!”

“Dai, secondo me qualcosa lo intuisci anche da te: che riferimenti occulti puoi trovare in Biancaneve?”

Biancaneve?!”

Stefano rimase un poco perplesso, poi iniziò ad ipotizzare: “Allora, lei ha i capelli neri, la pelle bianca e le labbra rosse … Nigredo, Albedo e Rubedo sono le tre fasi alchemiche che designano l’evoluzione spirituale.”

La giovane annuì e lui si sentì incoraggiato a continuare: “Poi i nani sono sette che è un numero certamente importante è sacro e … No, ma certo!” esclamò “Sono minatori, rappresentano i sette minerali basilari dell’alchimia!”

“Ottimo.”

“E la morte da cui si risveglia può essere il simbolo della morte iniziatica.” concluse soddisfatto il giovane.

“Bravissimo; visto? Non è difficile.”

“Eh, ma io sono all’università e sto studiando queste cose; invece voi eravate dei bambini!”

“Giusto: merito o colpa del nostro nonno materno, era un importante antiquario e trattava sia mobili, sia quadri, sia libri, che leggeva sempre con cura, prima di rivenderli e i più interessanti li teneva per sé. Un suo vecchio professore, solo, era appassionato di esoterismo e occultismo, era un grande collezionista, e aveva trasmesso in parte quest’interesse a mio nonno, a cui aveva lasciato in eredità tutto quanto. Mio nonno condivise questa passione ad Isaia e insieme contagiarono me.”

Stefano sorrise: non aveva mai saputo nulla della vita di Isaia; in realtà non lo aveva mai preso troppo in considerazione: gli sembrava totalmente l’opposto rispetto a Gabriel!

“Come mai ha poi deciso di fare il prete? Cioè, una simile formazione non avrebbe dovuto allontanarlo dalla Chiesa?”

“No. Hanno radicato sempre più in lui la convinzione dell’esistenza di Dio, del Bene, ma anche il fatto che fosse nascosto da tantissimi veli, come il Sole in una giornata nuvolosa, oppure come il centro di un labirinto. Isaia, sicuro di avere trovato Dio, la Verità, ha sentito di non potersi sentire completo e realizzato se non al servizio di Dio, difendendo gli innocenti e punendo i malvagi.”

“È inquietante.”

“No, è naturale: l’undici è il suo numero. È nato il cinque novembre. Quindi i suoi numeri sono 5 e 11”

“Aspetta, ti stai riferendo al fatto che nella kabala il numero 11 simboleggia la giustizia divina, la lotta, il martirio?! Mentre il 5 è la religione ... Tu ci credi?”

“In buona parte.”

Stefano era meravigliato, ma anche interessato, per cui chiese: “E il tuo numero qual è?”

“Ho il 4 e il 9.”

Stefano fece mente locale per ricordare a cosa fossero collegati, ma non fece in tempo a dire nulla, poiché nella stanza entrò Alonso.

L’archivista non si aspettava di trovare qualcuno nel proprio studiolo e si sorprese ancora di più nel vedere la ragazza, l’abbracciò e le fece varie domande.

“Quindi la conosci anche tu?” domando il seminarista.

“Certo! Esta chica veniva da ragacina a spiare Isaia o a studiare con lui e io dovevo quasi sempre nasconderla dai monsignori del Direttorio.” si mise a ridere.

“Ah! Ho un regalo per te!” disse la donna.

Giuditta frugò nella propria sacca e tirò fuori un portasigari in argento, con sopra incisa una panoramica di Gerusalemme stilizzata.

Alonso fu molto contento e la sua gratitudine aumentò quando lo aprì e vi trovò dentro alcuni pregiati sigari orientali.

“Come mai es venuda da este parti?”

“Cercavo mio fratello. Da due mesi, circa, ha smesso di scrivermi, sono dunque venuta di persona qui e mi sono bastate un paio di domande per scoprire che non lo vedete da altrettanto tempo. Non essere stata avvisata, mi ha fatto adirare parecchio.”

“Beh, non es proprio desaperesido, se n’es andato, faciendo entiendere che non voleva piò stare achi. Gabriel te racontarà melio. Spero tu non sarai delusa.”

“Penso che al massimo potrò essere addolorata.”

Alonso scosse la testa e poi si accese subito uno dei sigari, stando ben attento a non mettere a rischio i libri.

Non trascorsero molti altri minuti, prima dell’arrivo di Gabriel. Antinori entrò nello studiolo con cipiglio piuttosto irritato e, dopo aver salutato rapidamente il bibliotecario, si rivolse subito alla ragazza, rimproverandola: “Cosa ti salta in mente di piombare nel mezzo di una riunione al Direttorio e rivolgerti a me e ai Monsignori con quei toni?!”

Giuditta, senza scomporsi, replicò: “Non credevo ti avrebbe dato fastidio. Per quanto ne so, sei tu quello che ha sempre criticato il formalismo del Direttorio, le sue procedure, apparenze etc … Non è così? O, adesso, visto che a comandare sei tu, pretendi quel rispetto che non hai mai concesso ad altri?”

“Ma di che stai parlando?!” protestò Gabriel.

“Di tutta l’arroganza che hai sempre usato davanti al Direttorio … e anche con mio fratello, ma questa è un’altra questione.”

“Cosa? Quando mai io sarei stato arrogante con Isaia?!” si meravigliò Gabriel.

“Beh, ci sarebbero quelle volte in cui lui si preoccupava per te e tu lo accusavi, dicendo che ti stava solo controllando per ordine del Direttorio. Oppure … per un anno non hai fatto altro che occuparti solo ed esclusivamente di cercare informazioni su Serventi, in quel periodo mio fratello teneva le proprie e le tue lezioni all’università e si incaricava anche delle verifiche che sarebbero spettate a te; poi è arrivato un tale, Vargas, a consegnarvi un sacco di materiale proprio sull’uomo che stavi cercando e tu, di punto in bianco, ti sei disinteressato alla faccenda e hai sdegnato quei documenti e hai a stento acconsentito alla richiesta di mio fratello di esaminare quelle carte, come se stessi facendo un favore a qualcuno e la faccenda non ti riguardasse affatto. Per fortuna ci ha pensato Alonso!”

“Non parlare a vanvera! Stavo passando un pessimo periodo, era normale che fossi nervoso e, per come sono andate le cose, avrei fatto meglio ad essere ancora più brusco e non dirgli assolutamente nulla.”

“Ah, sì? E, dimmi, come sono andate le cose?” lo incalzò lei.

“Isaia ha tentato di uccidermi. Mi ha tradito e assieme a un pazzo mi ha teso una trappola per ammazzarmi!”

“Sì, su una cosa hai ragione.” disse severamente Giuditta “Avresti fatto meglio, forse, a non dirgli nulla.” poi parve mitigarsi e continuò: “So della profezia e posso solo immaginare quanto tu abbia sofferto, tuttavia nei sei stato il solo ad essere tormentato. Eri preso dai tuoi problemi e non ti sei reso conto di quanto fosse difficile anche per Isaia.”

“Difficile?!” fu la sprezzante reazione di Gabriel “Non mi sembra proprio: che cosa c’è di difficile nell’obbedire ciecamente al Direttorio? Non doveva neppure fare lo sforzo di pensare al da farsi. Inoltre mi è sembrato piuttosto deciso e tranquillo, quando ha tentato di uccidermi nella cripta.”

“E non pensi che avesse le sue buone ragioni?”

“Oh, certo, far bella figura davanti al Direttorio! Non sapeva che, alla fine, i Monsignori sarebbero stati più intelligenti di lui.”

“Certo! Quando Isaia non si comportava come tu ritenevi fosse meglio, allora lo faceva solo per il Direttorio! Le ultime lettere che mi ha scritto mio fratello, contenevano tutto il dolore del conflitto tra affetto e dovere. Il dramma di accettare quella che sembrava essere la realtà, pur con la paura di sbagliare. Era alla ricerca disperata di una speranza. Ti chiedeva di essere rassicurato, circa il fatto che tu non fossi un pericolo e tu cos’hai fatto? Nulla! Da un lato c’era il Direttorio che continuava a ripetere che tu fossi una minaccia e pretendeva da Isaia delle risposte. Sai quanti rimproveri ha preso perché ti trattava con troppa amicizia? Dall’altro lato, c’eri tu che non facevi altro che piagnucolare, dicendo di non saperti controllare, di essere un pericolo, di avere un oscuro potere che ha il sopravvento sulla tua volontà. Passeggia per strada e, dietro di sé, sente la voce di Bonifacio che ribadisce come tu abbatterai la Chiesa. Si ostinava a non crederlo, nonostante avesse visto davanti a sé te che trasformavi in un demone un uomo. Tutto, attorno a lui, lo induceva a pensare che tu fossi un pericolo.”

“Ma nella cripta gli ho dimostrato che non era così! Gli ho offerto il perdono e la pace, ma lui non ne ha voluto sapere. Non voglio avere più nulla a che fare con lui, almeno finché non avrà riconosciuto di essere in errore e non mi avrà chiesto perdono. Fino ad allora, lui, con me, ha chiuso.”

Giuditta guardò l’uomo, alquanto furioso; lei avrebbe avuto ancora molto da dirgli, ma decise di non farlo e si limitò a chiedere: “Sai dove possa essere, ora, mio fratello?”

“No, non ne ho idea.” disse Gabriel, calmandosi un poco “Sappiamo che è entrato in un Ordine segreto, pare addirittura i Templari.”

La donna aggrottò la fronte.

Gabriel si sentì più sicuro e continuò: “Proprio così: templari e, per quello che abbiamo potuto constatare, sono dediti a massacrare la gente dotata di poteri paranormali. È questo che fa Isaia, adesso. Mi sento pienamente autorizzato ad avercela con lui.”

Giuditta rimase come ammutolita, pareva non sapere che cosa ribattere.

Gabriel non riuscì a continuare a guardarla severamente, si addolcì: in fondo lei si era così arrabbiata perché preoccupata per il fratello.

Alonso sussurrò a Stefano: “Me despiace por lei; lo sapevo che sarebe stata delusa.”

Il ragazzo annuì: da quel poco che le aveva sentito raccontare poco prima, supponeva che lei dovesse sentirsi parecchio affranta; sentì un po’ di empatia verso di lei.

Gabriel sospirò e le disse: “Senti, so che è difficile da accettare che Isaia ora abbia deciso che quella sia la strada corretta da seguire: fa molto male anche a me, per questo sono arrabbiato con lui. Non posso sopportare che lui abbia preferito quei pazzi sanguinari a me, il suo migliore amico … Io … io non so come reagirò quando me lo troverò di nuovo davanti.” sospirò ancora “Se ci aiuterai ad indagare su quest’Ordine, quando ce ne sarà l’occasione, prima di qualsiasi nostro intervento, tu potrai cercare di parlare con Isaia e farlo ragionare. Ti sta bene?”

“Certamente.” rispose Giuditta, molto educatamente; poi prese un foglietto e scrisse qualcosa, lo consegnò ad Antinori, spiegando: “Ci sono i miei due numeri di cellulare e il numero e l’indirizzo dell’albergo in cui potete trovarmi. Dovrò incastrare le ricerche con il lavoro, per cui avvisatemi per tempo, quando avrete bisogno di me.”

“Non stai dai tuoi genitori?” chiese Gabriel, stupito.

“Ci passerò, è inevitabile, quando ne avrò il tempo. L’albergo dovrei usarlo come ufficio, ma finirò coll’abitarci, almeno per le prime settimane: ho un sacco di incontri in attesa di essere fissati.”

Antinori, dubbioso, prese il biglietto e se lo infilò in tasca.

Giuditta guardò l’orario, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, è già tardi. Mi spiace, ma devo salutarvi: non posso far attendere i miei clienti e devo pure prepararmi prima di incontrarli.” andò alla porta “Profonda pace a tutti voi!” e se ne uscì.

Alonso scosse il capo. Stefano rimase interdetto e dopo qualche istante disse: “Credo che mi abbia mentito sul proprio mestiere.”

“Perché? Cosa ti ha detto che fa?” si interessò Gabriel.

“La ricercatrice per un’associazione privata … ma da come ha parlato, adesso, sembra tutt’altro. Tu sai che cosa faccia?”

“Non ne ho idea. Negli ultimi anni, Isaia era piuttosto evasivo, circa le sue attività, nonostante nulla facesse presupporre che il loro rapporto si fosse incrinato.”

Intervenne Alonso: “Si è mesa a fare la strega por la gente rica.”

Gli altri due uomini si stupirono e Gabriel domandò da che cosa gli fosse nata quella convinzione.

Dos anni fa, un francescano mi amico me dise che voleva segnalare alla Congregacione una chica che, a suo dire, praticava magia, facendose pagare por previsioni e incantesimi. Je disi che de solito este persone erano trufadori e che, quindi, prema de mobilitare la Congregacione, avrei fato una prima indagine io. F cossì che con muy stupore me retrovai davante Giuditta.”

“Ecco perché Isaia non ne voleva parlare!” esclamò Gabriel.

Alonso proseguì: “Imagino sia cossì. È un pecato che quela chica abia deciso de usare in esta maniera le sue conoscenze. Con la sua parlantina, un po’ de ogeti folkloristici e tanta teatralità, riesce ad amaliare muy persone.”

“Quindi è una truffatrice?” nel chiederlo, Stefano parve deluso.

“Così pare.” rispose Alonso “Se non altro, ha solo clienti muy bienestanti e non aprofita dei poveri.” diede le ultime boccate al sigaro.

“Non è comunque qualcosa di cui dovrebbe occuparsi la Congregazione?” chiese Stefano.

“No; noi dobbiamo solo distinguere i dotati dai ciarlatani e interveniamo circa i primi, non sui secondi.” spiegò Gabriel.

Stefano non parve convinto, rimase pensieroso ancora un poco, poi chiese: “E voi siete sicuri che lei si limiti davvero ad imbrogliare?”

“L’ha ameso lei stesa, quando le ho ablato.” disse Alonso “Me dise che non c’era nada de sovranatural ne le sue opere.”

“E tu le hai creduto?” rimase perplesso il ragazzo.

“Certo, porquè non avrei dovuto?”

“Beh, sa benissimo di cosa si occupa la Congregazione, probabilmente non voleva avere problemi di sorta e, quindi, ha negato ci fosse qualcosa di paranormale.”

Gabriel era rimasto colpito da quell’osservazione e fece notare: “Il tuo ragionamento è logico e plausibile, però … in tutti gli anni che la conosco, non ho mai notato nulla: se avesse delle capacità particolari, me ne sarei accorto. Che cosa non ti convince?”

“Non lo so …” si sentì in difficoltà Stefano “In realtà è una mia sensazione, niente di più, non so neppure da cosa sia determinata …”

Alonso replicò: “Le piace inserire sempre referimenti esoterici nei suoi descorsi, por esto può dar la sensazione de avere a che fare col magico por davero.”

“No, non è questo: io ormai sono abituato a sentire parlare di queste cose. È altro.” scosse un poco il capo e guardò nel vuoto alla ricerca di una risposta.

Gabriel era alquanto interessato e chiese: “Che cos’è?”

“Non lo so, scusami. È davvero puramente una sensazione … mentre ero con lei, mi sembrava quasi di poter toccare l’energia che emanava … è strano, non so come dire …”

“Va bene Stefano, non ti preoccupare.” lo tranquillizzò Gabriel “Voglio che tu segua questa tua sensazione. Fa una piccola indagine su di lei.”

“Come?” sbalordì il seminarista.

“Sì. Proprio come se si trattasse di una verifica: se scoprirai qualcosa, sarà un bene; se confermerai, invece, le parole di Alonso, avrai fatto pratica. In ogni caso sarà produttivo.”

“D’accordo Gabriel, come vuoi tu.”

Stefano era alquanto emozionato per la responsabilità affidata e per il dover intraprendere la sua prima verifica da solo: non doveva e non voleva assolutamente deludere il suo maestro.

 

 

 

Nota dell’Autrice.

Salve a tutti! Innanzitutto, grazie per essere arrivati fino in fondo alla lettura.

Questa storia è un ipotetico proseguimento della serie, dopo i fatti della seconda stagione.

Ne ho scritta un’altra, sempre con la medesima intenzione, che potete trovare sempre qui su efp; si intitola: “Terror degli angeli apostati” ed è incentrata sulla figura di Isaia. È piuttosto apocalittica e vede l’azione di Gabriel Oscuro.

Nella fanfic che mi accingo a scrivere ora e di cui avete appena letto il primo capitolo, continuerò a valorizzare il punto di vista di Isaia, ma la trama e lo sviluppo sarà (ovviamente) del tutto diverso. Cercherò di mantenere lo stile della serie e quindi raccontare alcune delle verifiche della Congregazione, sottendendo la trama principale, ma in realtà non garantisco il buon esito.

Mi spiace non poter dirvi molto di più, ma al momento ho chiari alcuni punti centrali della storia, ma devo ancora capire bene il percorso per arrivarci. Spero di non superare i 10 capitoli.

Come avrete capito, voglio cercare di valorizzare il personaggio di Stefano (glielo devo, specie dopo che l’ho trattato malissimo nell’altra fanfic), non so ancora quanto sarà centrale nella storia, ma sarà alquanto presente.

Un altro elemento che non mancherà sono le speculazioni più o meno filosofiche e/o esoteriche.

Ecco, dopo avervi scoraggiati con queste parole confuse, vi do un saluto e vi aspetto al prossimo capitolo.

 

Ciao!

 

Dirce

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Capitolo 2
*** Magister Templi ***


Dopo l’improvvisata di Giuditta in Congregazione, Gabriel era tornato a pensare ai propri compiti, senza più curarsi di quella faccenda, tanto che a sera, praticamente, non se ne ricordava più.

Circa alle diciassette e trenta, Antinori uscì dal palazzo della Congregazione e attese lì davanti alcuni minuti l’arrivo di Claudia. Quando la donna giunse, lui salì subito sull’auto, le diede un bacio e le chiese come fosse andata la giornata.

“Come al solito: una depressa, un’agorafobica, un tale con un complesso di inferiorità … e che altro? Ah, sì, un ragazzo il cui vero problema è la nonna troppo apprensiva che lo sta crescendo.”

“Una giornata piena! Sicura che non sia faticoso?”

“Le mie giornate sono sempre state spesso anche più piene di così.”

“Sì, ma ora sei incinta e, quindi …”

“Oh, Gabriel, sei tenerissimo a preoccuparti per me, ma ti assicuro che al momento sono in piena forma. In fondo, sono solo al secondo mese.”

“Sta iniziando il terzo …”

“Non sono un’incosciente! L’hai visto benissimo anche tu che, quando mi sono stanca, mi riposo senza indugio. Comunque, ho avuto una lunga pausa pranzo, tre ore; Teresa è venuta con del cibo cinese e abbiamo mangiato assieme. Meno male che, quando le ho scritto di avere voglia di pollo alle mandorle, lei non era ancora andata a comprare nulla!”

“Cibo cinese … non l’ho mai sentito, dovrò provarlo.”

“Mai mangiato cinese?” sbalordì Claudia “Dobbiamo assolutamente porvi rimedio! Ma come mai? I preti non mangiano il cibo dei pagani?” scherzò lei.

Gabriel rise e disse: “Non prendermi in giro: noi gesuiti ci siamo adattati perfettamente alla corte di del Celeste Imperatore.”

“Noi?!” scherzò la psicologa, pur lasciando vagamente un tono di dispiacere o disapprovazione.

“Scusa, forza dell’abitudine.”

Cadde il silenzio per qualche minuto. Claudia sapeva che due mesi erano pochi per adattarsi completamente ad un radicalo cambio di vita, tuttavia aveva sperato che l’amore aiutasse Gabriel ad abituarsi facilmente; invece, eccolo che ancora parlava di sé come se appartenesse alla Chiesa. Beh, effettivamente, ne faceva ancora parte: seppur laico, passava più tempo in mezzo ai Monsignori che con lei. Questo proprio Claudia non riusciva a mandarlo giù. Non ne aveva mai parlato con Gabriel, se ne sarebbe sentita sciocca, ma si rendeva conto di essere gelosa di Gabriel nei Confronti della Chiesa. Insomma, lui aveva scelto lei, la amava, era suo, perché allora rimaneva così legato alla Chiesa? Lei era stata felicissima, mesi prima, quando lui le aveva annunciato che non solo avrebbe abbandonato il sacerdozio, ma pure avrebbe rinunciato alla cattedra per andare altrove, assieme a lei, per cominciare da zero una nuova vita, lei ne era stata entusiasta. Certo, avrebbe significato lasciare le amicizie e doversi fare una nuova clientela … ma che importava? L’idea di una vita assolutamente nuova le piaceva parecchio: poter stare con Gabriel, senza che nessuno sapesse la loro storia, senza pregiudizi, senza convenzioni … insomma, avrebbero potuto reinventarsi assieme e, invece … Certo, Gabriel ora viveva con lei, aspettavano un figlio e sarebbero presto stati una famiglia, tuttavia non era la stessa cosa. Sì, ciò a cui più teneva, lo aveva ottenuto, però avrebbe preferito essere altrove e, soprattutto, che Gabriel avesse una differente occupazione.

Claudia aveva creduto di porre finalmente termine all’assistere a quegli inquietanti fenomeni di cui si occupava la Congregazione. Certo, alcuni, grazie alla sua straordinaria intelligenza, era riuscita a spiegarli, a dimostrare come non avessero nulla di sovrannaturale, ma molte altre volte aveva dovuto riconoscere che, per quanto lo stato d’animo potesse influenzare, c’erano fattori che sfuggivano alla logica: l’uomo nero, per quanto costruzione mentale della sua amica, l’aveva aggredita realmente; Vera si era rivelata una reale vampira; Yuri, seppure temporaneamente, guariva davvero le persone … e molti altri casi ancora.

Nemmeno questo aveva mai confidato all’amato: lei aveva paura di quelle persone e, soprattutto, di quei fenomeni che sfuggivano alla sua impeccabile logica.

Aveva davvero sperato tanto che Gabriel chiudesse definitivamente anche con quelle faccende e, invece, ora si ritrovava a capo del Direttorio. Perché?

Si era sentito davvero così indispensabile per la Congregazione? Lei glielo aveva detto più di una volta che doveva smettere di credere che tutto dipendesse da lui! Ma lui non l’aveva ascoltata.

Lei era sicurissima che Alonso, i Monsignori e tutta quella combriccola di visionari avrebbero saputo gestire benissimo anche da soli le loro solite faccende e le ricerche su Serventi e su quel pazzo sciagurato di Isaia: non le era mai piaciuto quell’uomo, lei aveva subito intuito il marcio che c’era in lui!

Perché Gabriel permetteva che la Congregazione lo rubasse a lei? Perché continuava a farsi influenzare da quella gente?

Forse, lui non se l’era davvero sentita di troncare nettamente con il passato e aveva provato sollievo e rassicurazione, nello scoprire di poter conciliare la vecchia e la nuova vita: di poter tenere un piede in due scarpe. Questo non piaceva per niente a Claudia: significava che, in fondo, Gabriel forse non era così sicuro di voler stare con lei, quindi si teneva libera una via di fuga … No, non poteva essere così: lui l’amava! Quel pensiero, però la spaventava parecchio.

Erano, intanto, arrivati a casa. Erano appena scesi dall’auto, quando Gabriel osservò: “Devo affrettarmi a prendere la patente!”

“Perché?” si stupì Claudia e, per un attimo, temette che lui non volesse più girare in auto con lei.

“Beh, tra qualche mese tu non potrai più guidare o, per lo meno, ti sarà difficoltoso. Se vorrai continuare ad uscire di casa, converrà ch’io possa guidare, inoltre, quando avrai le doglie, dovrò per forza di cose portarti io in ospedale, non credi?”

“Si, hai ragione!” si addolcì lei e lo baciò.

Entrarono poi in casa e si sedettero sul divano per coccolarsi un poco, prima di iniziare a pensare alla cena.

“Beh, a te, invece, com’è andata la giornata?” chiese la donna, poi aggiunse ironica: “Quanti indemoniati hai incontrato, oggi?”

Gabriel sbuffò una risata e disse: “Nessuno … su, non scherzare su queste cose.”

“Beh, devi ammettere che sarebbe divertente, se anche solo la maggior parte delle persone di cui vi occupate, avessero invece solo bisogno del mio aiuto. Comunque, tralasciando questo, com’è andata? Ci sono novità nelle ricerche?”

“No.” scosse il capo lui.

“Quindi, sia Serventi che Isaia sono ancora latitanti …” sospirò lei, delusa: sinceramente, sperava che, una volta risolti quei due problemi, Gabriel si sarebbe definitivamente ritirato a vita privata.

“Già … Ah, in compenso, però, è venuta a farci visita, a suo modo, la sorella di Isaia.”

“Isaia ha una sorella?” si meravigliò Claudia “È una suora di clausura o di quelle che insegnano alle scuole elementari, traumatizzando i bambini?”

“Nessuna delle due. Non credo si troverebbe bene con le suore, pur nutrendo lei una viva fede; vedi, ha un modo tutto suo di rapportarsi con … tutto.”

“Che vuoi dire?”

“Probabilmente avresti da lavorare per anni, prima di capirci qualcosa di quel che gira nella sua testa. È molto particolare.”

“Con un fratello come Isaia, non può essere del tutto sana di mente. Quanto somiglia a lui?”

“Beh … a livello di idee e convinzioni e pure interessi, sono del tutto affini, ma nel carattere e nell’atteggiamento, sono tutt’altra cosa! È irruente e se c’è qualcosa che la irrita lo dice a gran voce, a volte in maniera inopportuna. Lei è esuberante e disinvolta, quanto Isaia è severo e controllato.”

Dev’essere un tornado, allora.”

“Già, ma non parliamo di lei: s’è presentata, senza permesso, davanti al Direttorio e ha iniziato a fare una sceneggiata che, se solo ci ripenso, mi torna il nervosismo.”

“Una sceneggiata?”

“Sì e, più tardi, mi ha pure accusato di aver trattato male Isaia.”

“Che faccia tosta!” si irritò “Tu gliel’hai detto, vero, che quel traditore voleva ucciderti?”

“Sì, certo; e lei ha tentato di difenderlo comunque.”

“Spero non la dovrai rivedere.”

“Non lo so. Dopo si è calmata e io le ho proposto di aiutarci per scoprire qualcosa su questi Templari.”

“Non avresti dovuto! Innanzitutto, non sai se ti puoi fidare di lei; in secondo luogo, sono sicura che ti farà innervosire ogni volta che la vedrai. Da quello che mi hai detto, mi sembra proprio una a cui piace far leva sul vittimismo per cercare di impietosire o far sentire in colpa gli altri.”

“Beh, no, non mi pare …”

“Non ci pensare!” lo interruppe Claudia “Lo so io cosa ti ci vuole per ritrovare la calma!”

La donna si alzò, andò vicino allo stereo e mise su un cd di musica jazz, scelse la traccia, poi tornò da Gabriel e tese le braccia verso di lui. L’uomo si alzò e iniziarono a danzare, abbracciandosi teneramente e guardandosi e perdendosi come solo due innamorati sanno fare.

 

Molto lontano da Roma, anzi, nell’antica capitale del sacro, Gerusalemme, era già sera. Le lancette della vecchia sveglia segnavano le 20-30. Isaia era steso su un letto duro e impolverato, ma non gli dispiaceva: l’alternativa era dormire per terra. Era stato un segno di rispetto nei suoi confronti il dargli un letto; nella stanza accanto, i suoi compagni di viaggio si stava accontentando di una stuoia.

Pochi giorni dopo quel che era accaduto nella cripta, il totale fallimento di ogni cosa: la sua missione, il suo dovere, la sua amicizia …, Isaia si era recato ad Istanbul, secondo le istruzioni che gli aveva lasciato Vargas, in caso di sua morte. Aveva subito raggiunto il contatto che gli era stato indicato, un templare di nome Abdel Nassen, dal quale si era fatto riconoscere, mostrandogli lo scrigno. Fu con grande stupore che trovò alloggiato, in quella stessa abitazione a Istanbul, Monsignor Sartori. Il vecchio capo del Direttorio non era morto durante l’attacco di Jacopo, bensì si era limitato a sparire, secondo le direttive di Vargas, e aveva raggiunto Istanbul, in attesa di notizie. Sì, anche Sartori era un Templare; morto Castello, che aveva iniziato l’operazione di cooptare Isaia, Vargas aveva deciso di cambiare strategia per avvicinare il gesuita, quindi aveva ordinato a Sartori di incaricarlo delle indagini su Castello e di fargli cenno circa l’Ordine segreto, in modo tale che fosse Isaia stesso ad arrivare a loro, parzialmente già consapevole circa cosa aspettarsi. Ecco perché, quando il gesuita si era recato presso la sede dell’opera missionaria Luce di Cristo, Vargas lo stava aspettando: Sartori lo aveva avvisato.

Sartori sapeva dunque benissimo che Vargas aveva designato come proprio successore, alla guida dell’Ordine, Isaia. Il suo compito era appunto quello di testimoniarlo davanti al resto dei templari, che certamente sarebbero stati stupefatti e basiti nello scoprire che un novizio sarebbe diventato il loro nuovo Grande Maestro. Isaia stesso, in un primo momento, era rimasto sorpreso da quella scelta, ma poi Vargas gli aveva spiegato e lui aveva compreso: quel titolo era suo per diritto di nascita.

Isaia voltò il capo e gettò un’occhiata allo scrigno sulla scrivania: non avrebbe mai creduto che ci potesse essere qualcosa in grado di rivoluzionare le sue convinzione, che potesse … non cambiare la sua vita, semplicemente illuminarla con un’altra luce e dargli una differente prospettiva; invece dentro quel cofanetto aveva trovato la Verità e lo aveva costretto a rivedere molte cose.

Si era reso presto conto che la maggior parte di ciò che aveva appena trovato o, per meglio dire, riscoperto, erano cose che già sapeva, semplicemente non le aveva mai comprese pienamente; quello che, invece, doveva imparare di nuovo, si era accorto che riusciva a comprenderlo facilmente, anzi, intuiva le cose senza fatica.

Da ormai due mesi si rapportava con quella rivelazione … anzi, Svelazione!

Isaia, ora, non considerava falsità ciò che credeva prima, semplicemente doveva riconoscere che quella precedente era una verità parziale: adesso, invece, era come se gli si fosse snebbiata la vista, era uscito dalla caverna e non vedeva più le ombre o i riflessi della Verità, ma la Verità stessa!

Quella sua nuova condizione, poi, gli aveva permesso di approfondire maggiormente il suo potere gesuitico. Gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola erano ottime pratiche per rafforzare l’animo delle persone, per liberarli dalle tentazioni e le debolezze e renderli più saldi nella via del Signore e nell’esercizio della Volontà; raggiunto questo livello, donavano al gesuita qualcosa di più: fascino, direbbero i contemporanei, magnetismo direbbe Mesmer. La capacità di ipnotizzare le persone, senza farle addormentare, la possibilità di poter percepire chiaramente le emozioni altrui, come in un’empatia impeccabile. Il perfetto controllo che avevano di sé e la pratica nel recitare, permettevano ai gesuiti anche di poter apparire come più faceva comodo alla situazione e, soprattutto, di emanare un’energia che colpiva l’inconscio delle persone che li circondavano.

È questo l’occulto potere dei gesuiti che permise loro di essere i veri sovrani nelle corti d’Europa. Isaia stava capendo come esso, in realtà, non fosse altro che la superficie di un potere ancora più vasto e, apparentemente, incredibile; aveva capito questo, anche grazie al fatto di aver finalmente compreso la connessione tra le capacità gesuitiche e l’energia che lo pervadeva e che utilizzava durante gli esorcismi.

In quei due mesi aveva avuto tutto il tempo necessario per dedicarsi a quella riscoperta, a quella discesa nelle profondità della terra per trovare la pietra nascosta. Infatti, quel periodo fu impiegato da Sartori e da Abdel Nassen per contattare i Provinciali Templari disseminati per il mondo e convocarli ad una riunione plenaria a Gerusalemme, per la proclamazione del nuovo Gran Maestro.

Fino a quel momento, Isaia era stato piuttosto libero e tranquillo di fare ciò che voleva, senza impegno. Il giorno seguente, invece, sarebbe stato cruciale per la sua vita; di fatti si sarebbe tenuta, finalmente, la riunione.

Se  tutto fosse andato secondo le previsioni e lui fosse realmente stato riconosciuto come Magister Templi, per Isaia gli ozi sarebbero finiti e avrebbe dovuto iniziare a darsi da fare per tenere dietro all’Ordine. Caricarsi di quell’onere non gli dispiaceva affatto, non solo sapeva che quello era il suo compito e il suo dovere, ma era certo di poter guidare verso il bene quegli uomini. Aveva constatato da solo che i Templari, in quel momento, non erano propriamente nel giusto e che erravano per eccessivo zelo, era sua intenzione ricondurli su una via equilibrata.

Due sarebbero state le sue priorità: fermare Serventi e riformare l’Ordine in modo tale che la smettesse di uccidere indiscriminatamente la gente dotata di poteri. Lo ripugnava quello stile: uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i suoi; per cui lo avrebbe presto cambiato, doveva solo trovare un modo per giudicare le persone e stabilire chi uccidere, chi salvare, chi riportare sulla retta via, a seconda di quanto il male le avesse corrotte.

Fermare Serventi era il suo obbiettivo principale. Era quell’uomo che voleva rovesciare la Chiesa e portare l’Inferno sulla Terra, lui era il vero pericolo, non Gabriel. Gabriel sarebbe stato l’esecutore materiale, ma era semplicemente un mezzo. Isaia sapeva bene che l’amico non voleva certamente lasciarsi dominare dal proprio lato oscuro, tuttavia sapeva anche quanto lui fosse preda di vizi come orgoglio, superbia e ira. Gabriel aveva intenzione di rimanere nel Bene, ma Serventi lo avrebbe provocato e sapeva bene su che cosa far leva. Ad Isaia, dunque, pareva ovvio che la prima necessità era di trovare Serventi e impedirgli di agire; fermato lui, ci si poteva concedere di prendersi tutto il tempo necessario per scoprire come neutralizzare la minaccia di Gabriel, senza doverlo uccidere.

Sarebbe stato difficile, ma trovare di nuovo il coraggio e la determinazione per tentare di uccidere Gabriel, sarebbe stato ancora più difficile. Lo avrebbe fatto, se necessario, ma ora che era lui il Gran Maestro (o per lo meno lo sarebbe presto stato) poteva concedersi di cercare altre possibilità.

Bussarono alla porta della stanza e gli dissero che era pronta la cena, quindi si alzò e andò a tavola con gli altri.

A mezzogiorno esatto del dì seguente, i Provinciali dell’Ordine dei Templari e alcuni altri alti dignitari, aprirono la riunione. Molti di loro si conoscevano; vari erano stupiti dalla presenza di Isaia, che nessuno di loro aveva mai visto, tuttavia supponevano fosse il designato da Vargas, annunciato nelle lettere che li avevano convocati lì. Quasi tutti lo guardavano con sospetto: era stato nominato non solo un uomo ancora piuttosto giovane, ma addirittura un novizio! Tuttavia nessuno di loro osò rivolgergli la parola o avvicinarsi a lui. Non lo stavano ostentatamente ignorando, anzi, molti avrebbero voluto scambiare due parole con lui, prima che la riunione iniziasse, ma c’era qualcosa di strano: Isaia era come ammantato da un’energia terrifica; chiunque cercasse di accostarsi a lui, ma, arrivati a due o tre metri di distanza, iniziavano ad avvertire una profonda inquietudine che quasi li paralizzava e li costringeva ad allontanarsi intimiditi.

Si erano disposti in cerchio in una stanza quadrata, in un lato di essa si trovava una scala formata da sette gradini che conduceva ad un cubo di pietra su cui era stato posto lo scrigno; ai lati di esso erano innalzate due colonne, una bianca e una nera, sormontate da una pietra triangolare che le congiungeva.

Dopo il rito di apertura e l’invocazione del Santo Spirito su tutti loro, il primo a parlare (ovviamente in latino) fu il maestro di cerimonia, ossia lo stesso Abdel Nassen: “Fratelli, voi tutti sapete perché siamo qua. Il Gran Maestro Vargas, Dio lo abbia in gloria, è morto nel tentativo di giustiziare quel demonio che è nato come uomo e a cui è stato dato il nome di Gabriel Antinori. Il Tempio ha bisogno di un nuovo maestro che ne guidi la riedificazione. Il Magister Templi, che conosceva bene i pericoli a cui andava incontro, ha designato il proprio successore, esattamente come prevede la nostra Regola, dopo l’emendamento del 1943. La scelta del Gran Maestro Vargas è ricaduta su fratello Isaia Morganti. Noi siamo qui, dunque, per conferirgli l’autorità di Magister Templi e rivestirlo di piena autorità e potere.”

“Chiedo la parola!” esclamò uno dei provinciali, un tale sulla cinquantina, col capello biondo “Sono certo di parlare a nome di molti, se dico che mi pare difficilmente comprensibile, per non dire assurdo, che un novizio sia stato designato come successore del Gran Maestro. Forse, Vargas credeva di vivere più a lungo e poterlo istruire a dovere, ma per come sono andate le cose, io ho le mie riserve circa la validità di questo nostro fratello.”

“Esatto!” esclamò un altro “Come possiamo essere certi che sia degno di guidarci? Che credenziali ha?”

Prima che Sartori o Abdel potessero intervenire, avanzò lo stesso Isaia. Con uno sguardo abbracciò tutta l’assemblea e ognuno dei presenti si sentì fulminato da quegli occhi.

“Da quindici anni, servo Dio all’interno della Congregazione della Verità, avendo a che fare ogni giorno con gente dotata di facoltà paranormali o che si ritengono tali.” aveva parlato con voce calma e autorevole “Benedetti dal signore, servi del demonio, pazzi, eccentrici truffatori. Ho imparato a distinguerli gli uni dagli altri e a punire e redimere chi avesse a che fare con Satana.”

“E in che modo?” domandò il provinciale biondo.

Lo sguardo di Isaia si caricò di forza. Non vi fu nessun cambiamento visibile in lui, ma tutti i presenti iniziarono a sentire quasi come palpabile la sua potenza.

Con voce profonda, disse: “Io sono un esorcista: da più di dieci anni ho imparato ad attingere al potere di Dio per combattere i demoni. Ho fermato sette sataniche, ho interrotto rituali che avevano richiamato forze oscure, ho liberato decine e decine di posseduti; ho scacciato spettri e diavoli da luoghi infestati.”

“Non è riuscito, però, a far nulla contro l’Eletto del Candelaio.” osservò il provinciale biondo, dovendo però farsi forza per parlare “Forse, non ha capacità particolari, come crede.”

“È vero, non ho ucciso Antinori, ma sono qua: vivo e assolutamente indenne. Vi risulta che altri abbiano subìto il potere dell’Eletto senza subire conseguenze?” guardò con aria di sfida i presenti, la maggior parte dei quali abbassarono lo sguardo “No. Morti, trasformati in demoni; chi ha subito meno è stato Vargas, la prima volta, rimanendo orribilmente sfigurato. Per due volte, io, sono stato vittima di quel potere, eppure, come vedete, non ha avuto effetti su di me.”

Questa affermazione sembrò colpire molti dei Provinciali.

“C’è qualcuno che può testimoniarlo?” insistette, però, il biondo.

“Gabriel te lo confermerà.” gli sorrise Isaia, sapendo di metterlo in difficoltà “Domandalo pure a lui.”

Fu allora che intervenne Sartori: “Isaia, lei non ha bisogno di dimostrare la sua tempra e le sue abilità. È ora che la verità si sappia.” si rivolse poi all’assemblea “Fratelli! Voi tutti sapete la nostra storia, ma voglio ripercorrerne alcuni momenti assieme a voi.”

Isaia ebbe un lieve fremito interiore: quando Vargas gli aveva raccontato ciò che il Monsignore si accingeva a dire, lui era rimasto incredulo e solo dopo un poco era riuscito non solo ad accettarla, ma anche ad interiorizzarla, comprendendo tutto ciò che essa implicava.

Sartori iniziò a dire: “Quando all’alba del dodicesimo secolo, Ugone dei Pagani e i suoi otto confratelli fondarono l’ordine dei Poveri Compagni d’Arme di Gesù e del Tempio di Salomone, essi trovarono i passaggi per accedere ai sotterranei che si celano sotto la spianata del Tempio di Gerusalemme. Lì trovarono reliquie di inestimabile santità e manoscritti sacri che contenevano rivelazioni sulla Verità e la Fede, differenti da ciò che era stato tramandato dai Dodici Apostoli e che continuava (e continua) ad essere portato avanti dai successori di San Pietro, che si occupano di istruire i deboli di intelletto ed animo. Questi manoscritti contenevano una Rivelazione per le menti e gli spiriti più elevati, poiché la Verità non può essere raggiunta in un passo, bensì bisogna raggiungerla salendo la scala Santa di Giacobbe e ognuno è sul gradino che più gli si addice e Dio gli si mostra con le maschere più idonee per essere compreso. Quella rivelazione avrebbe inorridito i nostri antenati, ma per fortuna giunse con la lampada a rischiarare le loro menti un uomo, un giudeo, di nome Malachia. Egli svelò i segreti della vera rivelazione di Cristo e rese illuminati e salvi i nostri predecessori. Egli era il custode della Verità donata agli uomini migliori, poiché discendeva da Giacomo il Giusto, il fratello del Signore. Gesù donò la sua suprema sapienza e saggezza a Giacomo e gli disse di tramandarla a suo figlio Addai, il quale, una volta sposato e avuti dei figli, avrebbe dovuto trasmettere ad essi la Dottrina e così di padre in figlio, di generazione in generazione, affinché al mondo non venisse più a mancare la Grande Luce, seppure continuasse ad essere celata a molti. Che cosa fecero, allora, Ugone e i suoi? Supplicarono Malachia perché fosse la loro guida, perché fosse lui a indicare come doveva essere ricostruito il Tempio.”

Tutti quanti erano stati presi da sommo rispetto per quel racconto.

“Così, fin dalle nostre origini, la dignità di Magister Templi è sempre stata assunta dai membri della famiglia di Giacomo il Giusto, fratello del Signore. Per secoli, si trasmisero la carica di padre in figlio, o di zio in nipote, o di cugino in cugino, fino al delitto del 1943, quando il Gran Maestro Nataniele venne ucciso dalla setta del Candelaio.”

Sebbene nessuno di quei Provinciali fosse presente a quei fatti, forse soltanto un paio di loro, un fremito scosse tutti quanti come se fosse stata toccata una piaga ancora aperta.

Nataniele aveva appena quarantacinque anni e ancora non aveva parlato di noi a suo figlio, Aronne, allora quindicenne. Il resto della sua famiglia era morto o in guerra, o per l’epidemia di Spagnola e qualcuno anche a causa delle persecuzioni degli Ebrei. Ai nostri fratelli parve opportuno non trascinare il giovane Aronne in questa faccenda e tenerlo al riparo delle tremende trame del Candelaio e quindi di eleggere un Magister Templi che avrebbe poi designato il proprio successore e così via. Aronne ha avuto due figlie: Ester e Naomi. Ester si è sposata e come primogenito ha dato alla luce Isaia. Isaia è dunque discendente diretto del Gran Maestro Nataniele e nelle sue vene scorre il sangue di Giacomo il Giusto, fratello del Signore. Egli ha pieno diritto di essere la nostra guida, poiché la Verità è in lui.”

Dopo questa rivelazione, tutti parevano ormai convinti della piena legittimità di Isaia quale nuovo Magister Templi. Ancora una volta, tuttavia, parlò il provinciale biondo: “Lo può dimostrare?”

Isaia non parlò. Salì i sette gradini della scala, raggiunse la pietra cubica, prese lo scrigno. Una volta ridisceso, si mise al centro del cerchio, sollevò il coperchio e tirò fuori un libro rivestito di una copertina di bronzo, su cui c’era una scritta in ebraico a lettere d’oro; una sorta di lucchetto, tuttavia, ne impediva l’apertura. Si trattava di un cerchio in argento con dei disegni concavi, come se si trattasse di uno stampo. Isaia si tolse dal collo un medaglione che teneva nascosto sotto gli abiti, lo inserì perfettamente nel circolo, lo ruotò e aprì così il libro, potendo così mostrare pagine che i templari non vedevano da settant'anni.

Quando aveva aperto lo scrigno per la prima volta, Isaia non si era sconvolto per la scritta ebraica che aveva immediatamente tradotto mentalmente e che faceva riferimento al fatto che il libro contenesse la Rivelazione fatta a Giacomo, bensì era rimasto esterrefatto riconoscendo che quell’incavo circolare si sposava perfettamente col medaglione che gli aveva regalato anni prima il nonno Aronne.

Il poter accedere di nuovo ai testi della rivelazione bastò a convincere tutti quanti: Isaia era finalmente l’indiscusso Magister Templi.

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Capitolo 3
*** Verifica ***


Stefano chiuse il libretto che aveva appena finito di leggere; era il terzo in due giorni per un totale di poco più di quattrocento pagine.

Il giovane era nella biblioteca della Congregazione, si stropicciò gli occhi affaticati, tanto che faceva fatica a mettere a fuoco gli oggetti più lontani. Prese il volume e andrò a riporlo nello scaffale, poi si mise alla ricerca del testo successivo che voleva consultare.

Gabriel passò di lì, per andare a chiedere aggiornamenti ad Alonso, accorgendosi del seminarista, gli si avvicinò e lo salutò: “Ciao, Stefano! Allora, come va la verifica di cui ti stai occupando? Che cosa stai cercando?”

Eh…

Il ragazzo era un poco in difficoltà, in vero non aveva cominciato concretamente la verifica e si sentiva un po’ in imbarazzo a dirlo a Gabriel, tuttavia farfugliò: “Ad essere sincero, non sono ancora andato a verificare il fenomeno … Sai, volevo prima ripassarmi alcuni concetti di qabala, alchimia et cetera. Giuditta è molto preparata, per quel che ne sappiamo, e, quindi, voglio essere in grado di capire esattamente quello che dice e che fa per distinguere …”

“Stefano.” lo interruppe Gabriel, comprensivo “Il tuo intento è lodevole, ma penso che questo sforzo non sia necessario, almeno adesso. Devi fare una verifica, non prendere trenta ad un esame. Vai là tranquillo e sereno, solo così potrai osservare tutto con attenzione, prendi nota a mente o su un taccuino di ciò che ti sembra rilevante e poi su quei dati puoi iniziare a ragionare, a fare ipotesi e decidere che su cosa concentrare le ricerche. È inutile che ti metti a studiare tutto prima; osserva su cosa ti devi concentrare e restringi il campo.”

“Sì, grazie Gabriel.” sorrise il seminarista, rinfrancato “Lo farò questo pomeriggio stesso.”

Stefano guardò l’indirizzo dell’albero in cui alloggiava Giuditta e lo cercò su google maps, per capire come andarvi. Si trovava nel quartiere Parioli, quello dell’alta borghesia, proprio lungo il viale alberato che porta verso Villa Glori e all’Acqua cetosa.

L’albergo era un cinque stelle, con tanto di portiere davanti all’ingresso che non aveva altro compito se non di aprire e chiudere l’uscio.

Stefano aveva considerato questo elemento, dunque, prima di recarsi sul posto, era passato da casa propria e aveva indossato abiti migliori di quelli che portava solitamente in università. La sua famiglia era benestante, quindi a lui certo non mancavano camicie e pantaloni adatti per entrare in un albergo di lusso, senza che nessuno storcesse il naso.

Il giovane quindi entrò senza problemi, si guardò rapidamente attorno, poi si avvicinò al bancone della reception.

“Buon pomeriggio.” salutò, mostrandosi tranquillo: quei luoghi certo non lo intimorivano.

“Buon pomeriggio a lei.” rispose l’uomo dall’altra parte “In cosa posso esserle utile? Desidera una stanza?”

“No, grazie. Sono qui per vedere un’amica, è una vostra cliente: Giuditta Morganti. Voglio farle una sorpresa, mi potrebbe, cortesemente, dire il numero della sua stanza?”

“Mi dispiace, ma non sono autorizzato a fornire quest’informazione.”

“Ah … potrebbe almeno telefonarle ed informarla che la sto cercando, così che, o scende lei, o le accorda il permesso di comunicarmi quale sia la sua stanza?”

“Al momento non posso esaudire questa richiesta: la Sibilla sta dando udienza.” guardò l’orario “Dovrebbe liberarsi tra un quarto d’ora o venti minuti. Nell’attesa, potrebbe sedersi al nostro bar, non appena sarà possibile, la farò chiamare.”

“Grazie.”

Stefano, lasciò il proprio nome, andò nella caffetteria dell’albergo e si prese un cappuccino, intanto pensava. A quanto pare Giuditta si avvaleva addirittura del titolo di Sibilla, il che significava che aveva anche pretese di essere una veggente. Chissà che metodo usava per impressionare i suoi clienti. Forse anche lei assumeva sostanze inebrianti e psicotrope come gli antichi oracoli, oppure magari si limitava a inscenare stati di trance.

Rimuginò su queste idee, finché un dipendente dell’albergo non andò da lui per informarlo che aveva l’autorizzazione a recarsi dalla donna e glielo condusse.

Con grande stupore da parte sua, Stefano fu guidato fino a una delle suite migliori di tutto l’albergo. L’uomo gli disse di aspettare un attimo, si accostò alla porta e suonò un campanello; da un citofono si sentì la voce di Giuditta: “Sì?”

“C’è qui il signor Stefano Fabbri.” rispose l’uomo.

“Bene.”

L’uomo fece cenno al seminarista di avvicinarsi. La porta si aprì. Giuditta ringraziò il dipendente dell’albero, gli mise in mano una mancia e poi esortò ad entrare Stefano, che era rimasto esterrefatto nel vederla: sembrava un’altra persona!

La giovane indossava un kaftan, un abito tipico delle donne africane, era lungo fino a terra e le fasciava il corpo, stringendosi attorno alla vita (che però non era sottile) e sottolineando il seno prosperoso; era blu scuro, accollato, con ricami d’oro sul petto, sul bordo inferiore e su quello delle larghe maniche a pipistrello. In testa portava un turbante degli stessi colori e sotto di esso scendevano i capelli. Sugli occhi aveva un trucco pesante nero e argento, mentre sulle labbra pareva avere dei lustrini.

Ripresosi dalla sorpresa, il ragazzo entrò, dicendo, con un lieve imbarazzo: “Grazie e scusa se sono venuto qui, senza preavviso … Questa è la tua uniforme da lavoro?”

Stefano si guardò rapidamente attorno: si trovava nel salotto della suite, c’era un tavolo circondato da seggiole imbottite, appoggiato su di esso c’erano delle candele e un dado di pietra; dietro di esso c’erano due colonne, su una c’era una J, sull’altra una B, la prima era sormontata da un mappamondo, la seconda da un melograno.

“Più o meno; la indosso quando devo incontrare persone di un certo ambiente. Ho appena avuto a che fare con dei 33.”

“Dei 33?” si stupì il ragazzo, cessando di studiare la stanza e voltandosi a guardare la donna.

“Non sai chi sono?”

“33 … 3 e 11, quindi …”

Giuditta lo interruppe con una risata “No, questa volta non c’entrano nulla. Vedo, però, che ti è rimasto impresso questo concetto.”

“Oh, sì! Ho controllato e approfondito il 5 e l’11, i numeri di tuo fratello; poi ho guardato i tuoi, 4 e 9; infine pure i miei.”

“Sei rimasto soddisfatto?”

“Oh, sì, parecchio. Ammetto che per quanto riguarda me e Isaia (almeno per come l’ho conosciuto io) questi numeri ci si addicono, indicano davvero qualcosa di essenziale per noi.”

“Quali sono i tuoi numeri?”

“Il 13 e il 10 … a dire il vero, trovo che sia il 13 quello che più mi si addice: la morte, il legame con essa, l’annichilimento … ovviamente tutto in funzione di una rigenerazione, insomma è la fine di un ciclo, per l’inizio di uno nuovo. Il 10, invece …”

“Ti sembra esagerato?” domandò Giuditta, con un tono che lasciava intendere di conoscere la risposta.

“Sì, esatto!” si stupì Stefano.

“Effettivamente il dieci è un numero importante, racchiude in sé i primi quattro numeri, che basterebbero per definire tutto; è il numero delle sephirot, le manifestazioni del divino. Trovato, poi, in unione col 13 è davvero interessante. Sai, Stefano, credo proprio che da te ci si possa aspettare grandi cose, se saprai realizzarti.”

Il seminarista quasi arrossì, lusingato e perplesso, poi cercò di distogliere l’attenzione da sé, dicendo: “Beh, nemmeno tu puoi lamentarti dei tuoi numeri: hai il 4 che è il numero del mondo e della forza di Dio nel mondo, quindi dello Spirito Santo e il 9 che designa gli iniziati, i profeti!”

“Tutti i numeri sono importanti allo stesso modo. La data di nascita ci indica qual è la nostra strada, ma non la  determinano: sta a noi scegliere se intraprenderla oppure no. La piena e pura felicità, però, si può trovare solo in essa, le altre sono felicità minori o insensate, se non addirittura tristezze. Un uomo col dono della pittura, potrà decidere di suonare il clarinetto, ma non potrà dire di aver dato il meglio di sé. Compito per casa: analizza i numeri di Antinori.”

“… Va bene.” Stefano si chiedeva il perché di quella richiesta.

“Ora, se non ti dispiace, mi daresti una mano a sistemare la stanza? Tra una quarantina di minuti arriveranno altri clienti e devo riassettare tutto, ho già messo via alcune cose.”

“D’accordo, cosa devo fare?” replicò lui, non senza stupore, ma molto cortese.

“Io, adesso, vado a cambiarmi. Tu prendi quel che c’è sul tavolo e mettilo in un qualche cassetto, poi prendi le due colonne e portale nella camera da letto.”

“Le due colonne?!?!”

“Sì, tranquillo, è cartapesta.”

Stefano si avvicinò al tavolo e raccolse le candele, il cubo e, prima non lo aveva notato, una sorta di piccolo arazzo che rappresentava un uccello che si beccava il petto per dare la propria carne o il sangue in pasto ai propri figli sotto di lui.

“È un pellicano!” pensò il ragazzo “Un simbolo di Cristo di origine medievale.”

Prese quegli oggetti e li mise in un cassetto, poi si avvicinò a una delle colonne, la esaminò un attimo o due per capire come trasportarla, infine l’abbracciò e la sollevò facilmente: era davvero leggera, peccato fosse ingombrante e comunque scomoda da portare.

Il ragazzo, sporgendo un poco la testa ora da un lato, ora dall’altro, cercava di non andare a sbattere contro il muro o qualche mobile. Arrivò nella camera, appoggiò la colonna, si voltò per tornare indietro ma ebbe un sobbalzo: dal bagno era appena uscita Giuditta che, di fronte allo specchio, di spalle rispetto a lui, si stava avvolgendo attorno al corpo un sari, l’abito delle donne indiane. Le gambe erano già coperte; sopra, invece, indossava solo una maglietta corta che le copriva solo il seno e le spalle.

Stefano si mise una mano sugli occhi e, andando verso la porta, borbottò: “Scusa, esco subito, non mi ero accorto che …”

“Tranquillo, ti avevo visto.” replicò lei, senza voltarsi.

“E non ti dà fastidio?”

“No. Perché?”

Stefano scosse il capo tra sé e sé e disse: “Porto l’altra colonna.”

“Grazie … ah, già che ci sei, quando poi torni di là, potresti portare il tappeto arrotolato lì nell’angolo e stenderlo al centro della stanza, per favore?”

Il giovane acconsentì, quindi spostò anche la seconda colonna, stese il tappeto al centro del salotto e lo osservò attentamente: vi era disegnato sopra un mandala. Non uno di quei mandala puramente geometrici, tipici dei movimenti new age, bensì uno figurativo: un grande cerchio nel cui centro, in grande, si trovava una divinità blu, maschile, ne teneva un’altra, femminile, tra le braccia; attorno varie figure più piccole, con lunghe ghirlande al collo e con gli oggetti più vari in mano; il cerchio era inscritto in un quadrato che, nel mezzo di ogni lato era aperto e sormontato da una specie di T; questo quadrato era a propria volta inserito dentro un altro cerchio pieno di doppi tridenti, a propa volta circondato da fiamme.

Un paio di minuti dopo, sentì un tintinnio di campanelli, si voltò verso la camera e vide uscirne Giuditta con addosso il sari blu con bordo e decori in rosso, ai piedi portava pure due cavigliere con attaccati tanti campanellini; sulla fronte aveva uno strano simbolo: due righe parallele bianche, congiunte in basso, appena sopra il naso, da due segni obliqui che si congiungevano, formando un angolo, da esso partiva una linea verticale rossa.

Stefano dovette pensare un poco, ma presto ricordò che quello era un simbolo sacro a Visnu.

Giuditta iniziò a tirare fuori incensi e a collocarli e accenderli.

“Vuoi una mano?” chiese il ragazzo.

“Hai intenzione di rimanere, durante il mio prossimo incontro?”

“Se posso …”

“Certo, però, allora devi andare di là, spogliarti e indossare quel che ti ho lasciato sul letto.” gli spiegò lei, continuando a sistemare gli incensi.

“Perché?”

“Non puoi rimanere, vestito così. I miei manavar non ammetterebbero la presenza di un profano, per cui gli faremo credere che sei un brahmano.”

“Ma è disonesto!” protestò il ragazzo.

“Non fa del male a nessuno.” replicò lei, con naturalezza “L’onestà è essere coerenti con la realtà. Sei un ministro di Dio?”

“Beh, non proprio … tra qualche anno …”

“Comunque è quello che vuoi essere. Ti vestirai da brahmano, che è sempre un ministro di Dio.”

“Un dio diverso.” precisò Stefano, con disappunto.

“Attento! Questa è un’affermazione che ti fa cadere nel politeismo. C’è un unico Dio?”

“Sì, ovvio.”

“Gesù ha parlato a noi tramite parabole?”

“Certo e lo sai benissimo, dove vuoi arrivare?”

“Dio ha parlato a tutti, ma con metafore diverse, semplice.”

Giuditta aveva iniziato a tirar fuori e collocare anche delle statuette di gesso colorate, raffiguranti varie divinità indù.

Stefano, sempre con un certo disappunto, ma ormai mitigato, replicò: “È vero: tutte le religioni sono buone, tuttavia non sono uguali.” osservò la ragazza in attesa di una risposta, che non arrivò; per cui chiese: “Se poi mi fanno delle domande? Cosa rispondo?”

Giuditta si voltò a guardarlo e gli domandò: “Ha studiato un po’ di filosofia o religione o mitologia indiana?”

“Sì.” sia in università che in Congregazione, era indispensabile avere una preparazione a 360 gradi su certi argomenti.

“Bene, allora, se ti faranno delle domande, risponderai come faresti normalmente, secondo la dottrina cristiana, tuttavia userai un vocabolario e delle immagini della tradizione induista.”

Stefano rimase un po’ perplesso, ma gli sembrò di iniziare a capire qualcosa, per cui domandò: “È questo che fai tu? Evangelizzi in maniera nascosta? Accosti chi disprezza la chiesa e porti loro il messaggio di Gesù, usando un linguaggio che essi accettano?”

Giuditta rifletté qualche momento, poi disse: “Sì, evangelizzare significa portare la buona novella, quindi sì, si può dire che è quello che faccio, ma non è solo questo.”

Stefano comprese che c’era ancora altro che doveva scoprire, che la soluzione era ancora nascosta, quindi chiese ancora: “L’altro giorno mi avevi detto che facevi ricerche e conferenze, perché?”

“È quello che faccio, infatti.”

“Non mi pare … Tu queste le definisci conferenze?”

“Il fatto che siano per poche persone per volta, non significa che non lo siano. Comunque, affrettati a cambiarti, se vuoi rimanere e, comunque, ti assicuro che troverai molto stimolante trovare la maniera di mascherare il messaggio cristiano.”

Stefano si chiese fin dove lo avrebbe portato quella faccenda e si disse, pure, che probabilmente stava sbagliando approccio per la verifica: gli pareva di lasciarsi troppo coinvolgere, probabilmente avrebbe fatto meglio a mantenere le distanze per poter analizzare la situazione in maniera oggettiva, tuttavia, se voleva osservare quel che la ragazza faceva, doveva assecondarla.

Andò nella stanza e trovò solo un lungo telo arancione; si guardò attorno in cerca di altro, ma non trovò niente che potesse essere abbigliamento. Si affacciò sulla porta della stanza e chiese: “Ehm, scusa, ma si qua c’è solo una specie di asciugamano … che cosa dovrei mettermi?”

“Quello, è un dhoti.”

Stefano si sovvenne che in India spesso gli uomini indossavano dei gonnellini più o meno lunghi, tipo pareo. Il ragazzo, dunque, si tolse i pantaloni e si avvolse in vita il telo, poi tornò in salotto.

Come lo vide, Giuditta si stupì, scosse il capo e disse: “No, non ci siamo per niente. Innanzitutto, levati la camicia: il petto dev’essere nudo. Il dhoti, poi, non si mette in quella maniera.”

“Scusa, ma non ho idea di come …”

“Ci penso io. Intanto, via la camicia.”

Non fu senza imbarazzo che Stefano si levò la camicia e distolse lo sguardo mentre la ragazza armeggiava per sistemargli il dhoti.

Giuditta, poi, andò un momento in bagno e ritornò portando due mezze noci di cocco, dentro alle quali c’erano delle creme colorate, una bianca e l’altra gialla. Intense l’indice ne bianco e tracciò tre linee orizzontali, parallele sulla fronte di Stefano e, nel mezzo di quella centrale, fece un pallino giallo.

“Che hai fatto?” chiese lui, prima di andarsi a guardare allo specchio.

“Il simbolo di Shiva. Ora, ascoltami bene, quando arriveranno i quattro manavar, tu farai loro, appena sopra il naso, un cerchietto bianco con un puntino giallo al centro, prima il bianco col pollice, poi il giallo, anche se non sono rotondi va bene lo stesso. Dopo di questo ti metti a sedere in padmasana, lì.” indicò un punto fuori dal tappeto, vicino a tre statuette.

“Com’è che mi devo sedere? Panda che?”

Padmasana, posizione del loto: a gambe incrociate.”

“D’accordo, altro?”

“Sì, le mani. Possibilmente, unisci pollici e indici in modo da formare due cerchi, poi li accosti all’altezza delle punte delle dita. La mano destra ha il palmo verso il basso, la sinistra verso il basso. Altezza del cuore. È il dharmachakra mudra. Se ti stanchi, mettile in dhyana mudra, ossia palmo su palmo, appena sotto l’ombelico. Se ti chiedono protezione, abaya mudra: mostra il palmo destro, tenuto all’altezza della spalla; se ti chiedono una benedizione, mostra il palmo sinistro piegato verso il basso: varada mudra. Tutto chiaro?”

“Mica tanto, ma credo di ricordarmi.”

“Molto bene, per il resto non dire nulla, a meno che non te lo chiedano. Puoi anche rispondere con il silenzio, se ti va.”

“Ah, giusto: i silenzi del Buddha.” ironizzò Stefano, che iniziava a trovare quasi ridicola la faccenda.

Giuditta finì di sistemare alcune cose, tra cui portare in salotto un sitar; poi si sentì suonare un campanello; la ragazza sollevò la cornetta del citofono interno della camera: le erano annunciato l’arrivo delle persone che aspettava.

La donna si sedette sul tappeto e si mise a pizzicare le corde del sitar, suonando una melodia calma e composta; Stefano, secondo le ultime istruzioni ricevute, aprì la porta, salutò i sopragiunti con un namasté, detto a mani congiunte e col capo leggermente chinato; le quattro persone ricambiarono, entrando. Il ragazzo, poi, tracciò i segni come gli era stato detto e infine si mise in disparte, lieto che la sua parte fosse finita, infatti era stato un po’ nervoso nel fare tutto ciò e sperò che nessuno se ne fosse accorto. Dal suo cantuccio, il giovane poté osservare con grande attenzione tutto quel che accadeva.

Giuditta e i quattro si salutarono, dal tipo di linguaggio e d’espressioni, Stefano capì che si trattava di frasi cerimoniali; si erano già seduti tutti, a gambe incrociate, sul tappeto. Parlarono poi qualche minuto del più e del meno, scambiandosi i convenevoli circa i reciproci stati di salute, come andassero le cose in quel periodo e poco altro. Uno dei sopraggiunti domandò chi fosse Stefano e Giuditta inventò una storiella.

Finalmente entrarono nel vivo del loro incontro. Il ragazzo osservò che i quattro si rivolgevano alla donna con grande rispetto e deferenza e la chiamavano acharya che, per quanto ne sapeva il seminarista, era un sinonimo di guru. Effettivamente le rivolgevano domande e attendevano con grande interesse le sue risposte, come se fossero spiegazioni di cui necessitavano. Giuditta parlò loro prevalentemente del valore del dovere, specialmente in funzione dell’ordine universale, parlò di dharma e di rita; in pratica sottolineò come l’armonia fosse equivalente al bene e, dunque, che ogni azione, per essere considerata buona, doveva corrispondere al dovere personale di chi la compiva e, naturalmente, essere al servizio dell’ordine. Stefano, sebbene concordasse con i principi di obbedienza, dovere e gerarchia, non condivideva pienamente le parole della donna, in quanto gli sembrava che ella, in questo modo, giustificasse anche azioni come omicidi e altro, che lui non avrebbe mai potuto considerare buoni, in nessun caso.

Dopo aver passato una mezz’ora abbondante a parlare di questi principi, passarono oltre. Tre di loro si alzarono e si accomodarono sulle sedia; la persona rimasta sul tappeto con la ragazza espresse un fastidio che aveva in quel periodo e una cosa che lo gratificava, poi tutte e due chiusero gli occhi e si misero in meditazione. Dopo una decina di minuti, Giuditta aprì gli occhi, prima appoggiò la mano sinistra sotto l’ombelico dell’altra persona e, dopo un po’ le mise la mano destra sulla gola. Stefano ebbe la sensazione di avvertire una forza provenire da là, ma non sapeva ben definirla. Infine la persona si alzò e andò dai suoi compagni, di cui un altro andò a ripetere la stessa operazione e così anche gli ultimi due, quando arrivò il loro turno. Stefano osservò che l’unica cosa a variare erano le parti del corpo che la donna toccava, ma notò anche che erano tutti lungo uno stesso asse immaginario.

Come ultima cosa, prima del congedo, Giuditta consigliò l’oro l’utilizzo di alcune pietre e il bere certi infusi; ognuno aveva avuto le sue prescrizioni raccomandate.

“Che cosa hai fatto?” chiese il seminarista, una volta che i quattro se ne furono andati.

“Quello che faccio sempre con loro: insegnamento generico, poi un poco di introspezione con ognuno. Partendo da ciò che mi dicono su ciò che li preoccupa e ciò che li rafforza al momento, li faccio rilassare, controllo lo stato dei loro chakra e li aiuto a riequilibrarli un poco. Loro sono anche semplici da gestire, non pretendono nulla di particolare, solo essere meno stressati e più tranquilli nell’affrontare la vita quotidiana.”

“Ah, i chackra, sì, conosco l’argomento, ma non ci avevo pensato. Come fai a controllare se sono armonici oppure no?”

“La fase in cui medito anch’io mi serve per allineare il mio spirito col loro e poterlo percepire e osservare a modo. Dopo, il mio flusso energetico che infondo al tatto, serve a equilibrare: con la mano sinistra assorbo ciò che c’è di troppo, con la destra trasmetto ciò di cui hanno bisogno o, per meglio dire, stimolo il determinato chackra affinché lavori nella direzione giusta.”

Stefano sperò di ricordarsi con precisione questo discorso, se lo sarebbe trascritto il prima possibile, per poter esaminare con attenzione che cosa esso significasse e che cosa implicasse. Domandò poi: “Posso capire il consigliare tisane da bere: l’erboristica è pienamente riabilitata; non capisco, però, il senso delle pietre: la cristalloterapia non sta né in Cielo né in Terra!”

“Ogni minerale ha un suo specifico magnetismo che influisce sul nostro. Gli esseri viventi hanno un flusso magnetico vario, gli inanimati invece fisso.”

Stefano si accigliò, poi scosse il capo e, rassegnato, chiese: “Posso rimettermi i miei vestiti?”

“Fa quello che ti pare.” fu la risposta aspra

Il ragazzo, sorpreso per quel tono, andò a cambiarsi, lei riordinò la stanza e poi si sdraiò sul divano. Quando tornò nel salotto, il giovane timidamente domandò: “Per caso ti ho offesa?”

“No, no.” rispose lei, restando sdraiata “Dovevo ancora liberarmi dei nervosismi che ho assorbito dai miei manavar. Adesso va meglio. Piuttosto, tu non mi hai ancora detto che cosa sei venuto a fare qui e perché volevi vedermi. Prendi una sedia e dimmi tutto.”

Stefano aveva previsto una domanda del genere, ma non aveva deciso che risposta dare. Non era certo che dire la verità fosse la cosa migliore o più utile allo scopo, per cui, messosi a sedere, rispose: “Ero curioso. Dopo che sei passata in Congregazione, abbiamo parlato un poco di te e, ecco, ero curioso di conoscerti un po’ di più, di vedere che cosa facessi.”

Giuditta sorrise e replicò: “Ottima risposta.”

Che in realtà abbia capito che si tratta di una verifica? –pensò il seminarista.

“Vuoi vedere qualcos’altro?” chiese Giuditta, mettendosi a sedere “Vuoi sperimentare qualcosa in prima persona?”

“Come?” sbigottì Stefano.

“Per te ci vuole qualcosa di classico.” proseguì lei, alzandosi in piedi e andando ad un armadio che aprì per tirarne fuori una sfera di cristallo.

“Vieni, siediti qui.” Giuditta esortò Stefano, dopo essersi seduta al tavolo.

Il ragazzo aveva rinunciato a protestare, per cui la raggiunse, ma non senza chiedere sarcasticamente: “Adesso vedrai il mio futuro nella palla di vetro?”

“No. Niente futuro, solo il presente nascosto … gli psicologi direbbero l’inconscio.”

“E come farai?”

“Io non farò nulla, sarai tu a mostrarmi che cos’hai dentro.”

Stefano era alquanto dubbioso, ma ugualmente domandò: “Che cosa dovrei fare di preciso?”

“Guarda fisso la sfera e nient’altro. Libera la testa da ogni pensiero, evita di pensare; se ti viene in mente qualcosa, non ti ci soffermare, lascialo andare via.”

“D’accordo, proviamo.”

Stefano seguì le istruzioni, dapprima gli parve non accadesse nulla, poi lentamente iniziò a sentirsi intorbidito, fiacco, come se si stesse assopendo, era la stessa identica sensazione di quando Claudia lo aveva ipnotizzato, quando l’anima del tedesco albergava in lui.

D’improvviso delle immagini andarono componendosi nella sfera: persone e luoghi scorrevano rapidamente nel cristallo, in maniera del tutto confusa e disordinata. Erano come tanti flash slegati tra di loro che si confondevano l’uno nell’altro. Dapprima si videro scene serene e tranquille, ma pian, piano le immagini si fecero sempre più turbolente, violente, dolorose. Stefano non stava pensando, per cui non aveva la possibilità di ragionare su ciò che vedeva, però era agitato dalle stesse emozioni delle scene che apparivano nella sfera e mutavano al mutare delle immagini. Quando l’ansia e il dolore e la paura furono eccessive, si ridestò dallo stato in cui era caduto e la sfera tornò limpida.

Stefano era piuttosto sconvolto, domandò: “Hai visto anche tu?”

“Sì.” confermò Giuditta, turbata a propria volta.

“Che cosa significa?” chiese il ragazzo.

“Non ne sono certa.” rispose lei, pensierosa “Scusami, ma ora devi andare. Ci sentiamo un’altra volta, telefonami pure, nei prossimi giorni. Profonda pace a te.”

Stefano avrebbe voluto pretendere delle risposte, ma in realtà non era certo di volerne, quindi salutò e uscì.

Tornando a casa, il seminarista ripensò a tutto quello che aveva osservato, ma inevitabilmente il suo pensiero ritornava sempre su quella sfera di cristallo e temette. Era spaventato all’idea di ripetere un’esperienza come quella col tedesco: se gli fosse capitato di nuovo di ospitare un’anima non sua? Se ancora una volta un fantasma avrebbe controllato il suo corpo al suo posto? Non avrebbe potuto sopportare di ripassare nuovamente per tutto quel trambusto; non voleva creare altri problemi; era stato difficile tornare alla vita normale, dopo essersi liberato del tedesco; mille volte aveva avuto dubbi, paure, strane sensazioni e non era più riuscito ad avere una vita sociale come prima, era diventato molto più introverso e insicuro. Aveva sempre cercato di nascondere, di ignorare quelle piccole cose inspiegabili o inquietanti che aveva già incontrato prima, ma che erano divenute frequenti dopo il fenomeno del tedesco. Forse avrebbe dovuto, invece, osservarle e conoscerle meglio.

Che confusione si stava creando nella sua testa!

Meglio andare a casa e riposarsi. Il giorno dopo, a mente lucida, avrebbe rianalizzato i fatti.

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Capitolo 4
*** Franchi Giudici ***


Stefano era rimasto parecchio scosso dalla visita a Giuditta. Ovviamente era stata la questione della sfera ad impressionarlo, il resto, invece, non gli aveva fatto alcun effetto. Proprio non capiva che cosa avesse visto, non si spiegava cosa fosse successo, gli erano sembrati ricordi, ma non suoi e questo lo preoccupava parecchio. Era indeciso circa se approfondire oppure no quel fatto: forse, se avesse scoperto che si trattava di un trucco, lui si sarebbe tranquillizzato, ma se invece avesse scoperto che quelle figure erano davvero tutte dentro al proprio inconscio, allora avrebbe dovuto prendere atto di avere un problema e, dunque, lo avrebbe dovuto indagare per risolverlo.

Il giorno seguente, nella biblioteca della Congregazione, il seminarista aveva deciso di mettersi innanzitutto a controllare cabalisticamente i numeri della data di nascita di Gabriel, ossia il 6 e l’1; sapeva benissimo che era una cosa irrilevante per le proprie ricerche, ma non aveva molta voglia di capire che cosa gli fosse successo.

Dopo pochi minuti che il ragazzo si era messo all’opera, in biblioteca erano entrati Gabriel e Claudia: l’uomo aveva chiesto alla sua compagna di aiutarlo in una verifica, poiché era abbastanza convinto che l’occhio della psicologa avrebbe potuto essere utile a mettere ordine nelle acque intorbidite.

Stefano si affrettò a salutare Gabriel che, allora, gli si avvicinò e gli domandò come fosse andato l’incontro con Giuditta. Nel sentire quelle parole, Claudia si meravigliò che perdessero tempo con quella donna.

Il seminarista, comunque, rispose: “È stato molto particolare. Innanzitutto è alloggiata in una delle migliori suite di un albergo di lusso, è trattata col massimo rispetto e non ho idea di come se lo possa permettere, ma va beh. Prima l’ho trovata vestita in maniera orientaleggiante, con una scenografia strana nella stanza: c’erano due colonne di cartapesta, candele, un telo col simbolo medievale del pellicano. Poi, nel giro di una mezz’ora, hanno cambiato aspetto sia lei che il salotto,  ricreando un’atmosfera indiana, con tanto di incensi e statuette. Ha detto chiaramente che sono maschere che usa per potersi rivolgere a un ampio panorama di gente.”

“Ah, perfetto!” ironizzò Claudia “Isaia fanatico e dogmatico, sua sorella, invece, che si fa beffe delle varie credenze e le sfrutta per spillare denaro.”

“No, non è proprio così.” cercò di spiegare Stefano “È come se lei avesse una sua religione o comunque un suo credo (non so se cristiano o meno) che vuole diffondere, mascherandolo con le metafore delle altre religioni. Pare sincera su questo.”

“Ovviamente deve sembrare convincente con i clienti.” ribatté Claudia.

“Sì, può essere.” ammise Stefano “Comunque non l’ho vista maneggiare soldi.”

“Magari le pagano il costo della suite, direttamente alla reception.” ipotizzò la donna.

Gabriel chiese: “Che cosa stavi cercando, adesso?”

Qabala, il significato dei numeri e l’influenza che essi hanno sulle persone … Giuditta ne ha parlato sia qua, che ieri. Avevo già cercato la mia data di nascita e la sua, poi lei mi ha detto di controllare i tuoi numeri, Gabriel.”

“Ah sì?!” l’ex gesuita era divertito “Dimmi, cos’è saltato fuori?”

“Il sei, che, essendo quello del giorno, dovrebbe essere il numero più importante, simboleggia l’uomo e l’antagonismo. Nonostante il 3 sia numero divino e il raddoppiarlo sembrerebbe indicare il binario, che solitamente è visto come qualcosa di positivo. Si tratta di un binario squilibrato che non riesce ad essere simmetrico, quindi è disarmonico e non buono. Se ho capito bene, il 3 è Dio, raddoppiandolo si trova il dio degli uomini. Dio non è concepibile con la mente e la ragione, è raggiungibile solo con lo spirito e la fede; quando si cerca di ragionare su Dio si ottiene un dio mediato dalla mente e dunque non puro e che spesso diventa un idolo o addirittura il diavolo. Qui si ribadisce l’inesistenza del diavolo e de male non come esseri a sé stanti, bensì si afferma che è solo l’ignoranza che genera il male …. Ma sto divagando. Comunque il concetto è il numero 6 come disarmonia, imperfezione dunque umanità e in ultima analisi anche l’Anticristo.”

Gabriel rimase alquanto impressionato e inevitabilmente ripensò alla profezia, ma non volle dire nulla a tal proposito, anzi cercò di andare oltre: “Beh, invece, l’1 che cosa significa?”

“Oh, beh, è il fondamento, l’origine, come dire … la materia di base di cui tutto è formato, solo che chiamarlo materia non è proprio l’ideale. Inoltre è anche la conciliazione di fede e ragione. Il riconoscere che Dio non si può sapere, ma solo credere, poiché la scienza non può spiegare la natura di Dio, ma solo i meccanismi che lui ha originato. Si ammette che Dio è sconosciuto poiché l’infinito non può essere concepito dal finito … Come scrisse Tertulliano: bisogna credere perché è assurdo.”

Claudia scosse la testa sbuffò: “La solita scappatoia per non ammettere che oltre la scienza non c’è altro.”

Stefano chinò il capo per evitare di lanciare un’occhiataccia alla psicologa, fece rapidamente sbollire l’irritazione, poi chiese: “Non sei curiosa di scoprire che cosa direbbe la qabala sulle tue naturali predisposizioni?”

“Va bene, sentiamo, così forse vi renderete conto di quanto siano insensate queste cose. Sono nata il diciassette febbraio.”

“Allora, guardiamo il 2 che ho già la pagina aperta: è il numero della donna. L’uomo è l’amore dell’intelligenza, la donna è l’intelligenza dell’amore. Fondamentalmente è il moto, l’energia, è l’opposto dell’1, però non è in conflitto con esso. L’unità e il binario devono unirsi nel ternario e solo così può avvenire la creazione, la generazione che si concretizza nel quattro. È come dire: 1 è uomo, 2 è donna, 3 è l’atto sessuale, 4 il figlio …” Stefano si accorse dello sguardo scettico della psicologa “Vado a vedere il 17, comunque essendo 10 e 7 dev’essere qualcosa di molto positivo …”

“Visto, Claudia?” domandò Gabriel “Io ho l’uno, tu il due: siamo fatti per stare assieme.”

“Saremmo stati assieme comunque, questa è stata solo una coincidenza. Tu non dovresti affatto credere alla predestinazione, non credi?”

“Hai ragione, scusa, però l’ho trovato romantico.”

Gabriel baciò l’amata.

“Ecco, come volevasi dimostrare!” esclamò Stefano, contento “Il 17 è il numero della stella fiammeggiante, è l’intelligenza e l’amore. L’intelligenza è vista come il mezzo di libertà dell’anima: solo quando i portenti del fantasma del demonio saranno spiegati, allora si potrà finalmente credere in Dio e non nella sua ombra.”

Claudia rimase perplessa e si accigliò. Gabriel si lasciò sfuggire una lieve risatina e le disse: “Effettivamente è quello che fai: ogni volta che a noi sembra che agisca il demonio, tu trovi una spiegazione diversa, assolutamente plausibile, logica e scientifica.”

“È un caso, altrimenti tutte le altre migliaia di persone nate il 17 avrebbero questa dote e non mi sembra affatto sia così. Scommetto che i ‘messaggi’ di questi numeri sono strutturati in modo tale che qualsiasi numero si dica, si possa trovare un’associazione con qualsiasi persona.”

“Non è da escludere.” disse Gabriel “Esattamente come fanno con gli oroscopi sui giornali.” guardò il proprio discepolo e gli chiese: “Possiamo quindi confermare l’idea di Alonso? Giuditta non ha alcun potere, ma solo un’ottima conoscenza delle tradizioni esoteriche e metafisiche e possiede una grande abilità teatrale?”

“Non lo so.” scosse il capo il giovane, poi aggiunse con tono severo e dimesso: “In realtà c’è altro.” Gabriel capì che la questione stava per farsi seria, per cui, comprensivo e attento, lo esortò a dirgli tutto.

Stefano riferì quanto accaduto con la sfera di cristallo; fece fatica a parlarne, non solo perché era tutto confuso, ma anche perché quando ci ripensava, si sentiva di nuovo invadere da quel miscuglio di emozioni. Non fece però cenno alle sue paure. Si vergognava a non avere il coraggio di confidarsi col suo maestro, tuttavia ancora non se la sentiva di condividere quei timori, anche perché voleva prima scoprire se fossero fondati o meno.

Gabriel stava riflettendo sull’accaduto, ma prima ancora di poter arrivare ad una qualche conclusione, sentì Claudia che osservava: “Hai detto che c’erano candele e incensi accesi?”

“Sì.”

“Probabilmente, allora, non erano legali. Scommetto che ha fatto bruciare sostanze oppiacee che ti hanno provocato allucinazioni.”

“Ma solo mentre fissavo quella sfera?”

“Sì, si sarà trattato di una dose leggera che è entrata in azione quando ti sei come assopito. Infondo lei ti ha detto di rilassarti, di non pensare, proprio come quando si cade nel dormiveglia.”

“Non è da escludere.” ammise Stefano, rinfrancato dalla spiegazione logica, ma allo stesso tempo un po’ deluso.

Gabriel sorrise, si complimentò con la psicologa per la sua acutezza, poi guardò il seminarista e gli chiese: “Hai ancora dei dubbi?”

Il ragazzo sospirò e rispose: “Non lo so. Continuo ad essere certo che ci sia altro, però, appunto, è solo un’impressione, non ho basi per sostenerlo.”

“Stefano, ascoltami.” disse ancora Claudia “Mi pare ovvio che tu sia rimasto impressionato da questa ragazza e dalla sua teatralità: l’hai vista mascherata da grintosa quando è venuta qui, ieri l’hai vista passare dalla maga, alla santona indù, alla chiaroveggente da baraccone, tuttavia non l’hai mai vista al naturale. Sono sicura che, se la vedrai essere se stessa, senza maschere, ecco che vedrai com’è normale e che non ha nulla di sovrannaturale. Fidati: trova la maniera di vederla spontanea e ti metterai il cuore in pace.”

“D’accordo, farò così.” acconsentì il ragazzo.

Gabriel e Claudia lo salutarono e se ne andarono nell’ufficio dell’uomo per discutere del caso a cui stavano lavorando assieme. Si trattava di una ragazzina di dodici anni che era stata sorpresa una volta, in piena notte, dentro ad un cimitero a frugare nell’ossario, un’altra aveva affogato dei gatti nel fiume, in ultimo era stata fermata mentre stava per accoltellare una suora.

La ragazzina, Lucrezia era il suo nome, continuava a ripetere che lei non voleva fare quelle cose, ma c’erano delle voci che glielo ordinavano e quando lei si rifiutava, quelle insistevano e insistevano e le facevano anche fisicamente male finché non le assecondava. Sosteneva anche che queste voci l’avevano aiutata ad entrare nel cimitero, facendola volare oltre l’alto muro e pure le avevano procurato il coltello o le avevano spiegato dove fossero i gatti che doveva annegare.

La Congregazione non si sarebbe occupata di un simile caso, lasciandolo a polizia e psichiatri, se non fosse stato che la suora aveva confermato che il pugnale con cui era stata minacciata era volato in mano alla ragazzina, oltre al fatto che l’aveva sentita protestare, rivolta verso a qualcuno che non era presente, almeno all’apparenza. In seguito, analizzando il pugnale e sfogliando con attenzione vari libri, era emerso un possibile collegamento con un rituale legato al culto dei demoni, per realizzare il quale erano necessari macabri ingredienti come appunto ossa umane, crani di felini affogati, sangue di vergine.

Alla luce di questi fatti, il Direttorio aveva ritenuto fosse il caso che la Congregazione intervenisse a capire che cosa ci fosse dietro a questo strano comportamento. Data la circostanza particolare e il fatto che la protagonista fosse una ragazzina, Gabriel aveva pensato fosse meglio occuparsene lui personalmente, per paura che altri membri della Congregazione potessero non avere i giusti tatto e delicatezza per affrontare la situazione.

Gabriel aveva deciso di andare a parlare con questa Lucrezia, fin da subito accompagnato da Claudia. Erano dunque andati a casa della ragazzina e si erano fatti raccontare da lei come fossero andate le cose. Lucrezia subito non si era fidata molto di loro: temeva volessero dichiararla pazza; poi, però, aveva capito che Gabriel le credeva e quindi aveva raccontato tutto quello che ricordava e aveva capito di quella faccenda.

Tutto era iniziato un mese e mezzo prima; Lucrezia era andata in campeggio con degli amici, in una zona della campagna fuori dalla periferia di Roma; come si fa spesso in quelle situazioni, si erano raccontati storie di fantasmi e di paura, che l’avevano un poco impressionata. Durante la notte si era svegliata per fare la pipì, era entrata un poco nel boschetto e allora aveva iniziato a sentire le voci: nitide, distinte, la salutavano e ringraziavano, ma non aveva capito bene perché. Nei giorni seguenti quelle voci le avevano ancora parlato, le avevano fatto dei favori, come qualche dispettuccio a delle sue compagne di classe che non la trattavano molto bene. Poi le voci avevano iniziato a farle quelle richieste terribili, lei aveva cercato di dire di no, ma quelle avevano insistito e si erano vendicate su di lei, finché non aveva acconsentito. Dopo il fatto del cimitero e quello dei gatti (era passato circa un mese da quando aveva iniziato a sentire le voci) le voci si erano placate e per quattro o cinque giorni erano tornate gentili. Poi ecco la richiesta di uccidere una delle suore che le erano insegnanti alla scuola. Anche in quel caso lei, per alcuni giorni, si era rifiutata, ma quelle voci le avevano fatto pressione, finché non si era arresa, esasperata.

“Allora, che cosa ne pensi?” domandò Gabriel “Mi pare che ci siano patologie psichiche di questo tipo, vero?”

“Sì, certo. La più comune è la schizofrenia, però si manifesta quasi esclusivamente negli adulti, inoltre mancano gli altri sintomi, non delira, non ha difficoltà nell’organizzare discorsi, anzi mi è parsa molto lucida e consapevole. Inoltre è un disturbo che generalmente si verifica in situazioni molto stressanti, lei non mi è parsa una ragazzina sottopressione, i suoi genitori mi paiono comprensivi e calmi, ma potrebbe essere un atteggiamento relativo all’attuale situazione, mi informerò meglio. L’unico vago sintomo è la scarsa vita sociale e l’aspetto trasandato, ma credo che non si possa certo fondare una diagnosi su questo.”

“Su cosa pensi che dovremo continuare le indagini?”

“Una risonanza magnetica potrebbe aiutarci a valutare se il problema ha origine neurologica.”

Gabriel frugò nella cartella col dossier di quella verifica e tirò fuori delle lastre che allungò alla donna, dicendo: “Ecco, gliele hanno fatte il giorno dopo che ha aggredito la suora. Noti nulla?”

Claudia studiò le immagini, poi scosse la testa e rispose: “No, è tutto normale.” restituì i fogli “Anche se è presto per dirlo, così, in prima analisi, sembra una ragazza sana.”

“Stai dicendo, quindi, che le voci che sente potrebbero avere una causa sovrannaturale?”

“Sto dicendo che quelle voci potrebbe essersele inventata, nella speranza di avere una pena mitigata.”

“Una ragazzina arriverebbe ad escogitare questo?”

“Alcune fanno anche di peggio. Anni fa ero consulente di parte per i p.m., smisi dopo che attirai una bufera su di me, perché dissi che due ragazzine non erano affatto state abusate, ma che si erano inventate una bugia, procurandosi dei tagli da sole (il medico lo confermò) per evitare di essere sgridate e punite per essere scappate di casa un paio di giorni. Ad ogni modo, se non ti piace pensare che questa Lucrezia abbia inventato una scusa, possiamo tranquillamente ipotizzare che glielo abbiano suggerito i genitori o l’avvocato.”

“Non so, c’è sempre la questione del pugnale che non mi convince.” ragionava Gabriel.

“La suora era ovviamente spaventata e agitata, probabilmente era sotto shock, può essersi ingannata.”

“Questo è vero, ma rimane il fatto che quel pugnale non è un oggetto comune! I nostri esperti hanno detto che è un pezzo del XVI secolo, ha incise delle formule sataniche in latino sulla lama: dove può esserselo procurata? Non credo che abbia agito da sola, c’è qualcun altro dietro.”

“Sì.” concordò Claudia “Potrebbe essere entrata in una setta o in una confraternita, che le ha imposto delle prove iniziatiche. Lei, allora, si è inventata la questione delle voci per non tradire gli altri, oppure, per i sensi di colpa, la sua mente ha trasformato le pressioni che subiva dai membri maggiori in voci senza volto. Dobbiamo informarci bene circa con chi è andata in campeggio e parlare anche con loro.”

“Ottimo, mettiamoci subito al lavoro!” sorrise Gabriel.

I due innamorati radunarono le proprie cose e poi uscirono, pronti a cercare nuove informazioni.

 

A Gerusalemme, Isaia stava tornando all’abitazione dove era ospitato, dopo aver trascorso un paio d’ore ad allenarsi con la spada. Arrivato, trovò conficcato sulla soglia un pugnale cruciforme, usato per piantare un biglietto a lui indirizzato, era scritto in latino e diceva:

 

S.S.S.G.G.

Il Magister Templi Isaia Morganti è convocato a presentarsi questa sera alle 23, davanti al muro del pianto, per rispondere alle domande che gli saranno poste in nome della Santa Vehme.

 

Seguiva, poi, un sigillo con l’effige di un uomo barbuto: Carlo Magno.

Isaia rapidamente nascose sotto le vesti sia il pugnale che il messaggio e pensò: “Franchi Giudici senza dubbio o, per lo meno, qualcuno che si rifà alla loro tradizione. Dovrebbero essere sciolti dal 1811, mi chiedo se siano sopravvissuti in segreto o se si tratti di mitomani ... lo scoprirò tra poche ore. Meglio andare armato, per sicurezza; certo, di solito lo dicono chiaramente se vogliono portare qualcuno dinnanzi al tribunale e gli danno come luogo di ritrovo un crocicchio, con me non hanno fatto nessuna delle due cose, probabilmente non vogliono uccidermi, ma è bene stare attenti.”

Col pensiero rivolto a quella convocazione, Isaia fu più silenzioso del solito. Non avvisò del messaggio né Sartori, né Abdel Nassen, né l’uomo che li ospitava. Nessuno di loro fece domande, il ché significava che il foglietto era stato conficcato sulla porta poco prima del suo arrivo e che, dunque, lui era sorvegliato. Verso le 22:30, Isaia disse che sentiva il bisogno di andare a vegliare per qualche ora il Santo Sepolcro, per cui uscì di casa indisturbato. Camminò fino al muro del pianto e lì iniziò a fare avanti e indietro, in attesa. Sapeva esattamente cosa aspettarsi, tuttavia sobbalzò quando, voltandosi, si trovò dinnanzi tre uomini vestiti di nero, col volto coperto da maschere neutre bianche e il pugnale cruciforme appeso in vita.

Isaia, allora, temette per la propria incolumità: tre era il numero necessario per consentire ai Franchi Giudici di eseguire una condanna a morte, senza passare davanti al tribunale, nel caso assistessero ad un crimine o ascoltassero una confessione. Il templare, quindi, si disse che doveva stare molto attento alle proprie parole.

“Sai chi siamo?” domandò uno dei mascherati.

“Sì, siete Franchi Giudici del tribunale della Santa Vehme, istituto da Carlo Magno e voluto da papa Leone III.”

“Esattamente. Noi siamo la giustizia illegale che combatte l’ingiustizia legale. Sai che cosa vogliamo da te?”

“Ch’io risponda a delle vostre domande, quali mi è ignoto.”

Il Franco Giudice che aveva parlato gli fece cenno di camminare, per cui continuarono la conversazione passeggiando, senza meta o, per lo meno, senza che Isaia sapesse dove stessero andando.

“Voi Templari siete un po’ come nostri figli, anche voi custodite una rivelazione e combattete il male. Ci avete aiutato per molto tempo, nelle nostre battaglie; i rapporti, tra di noi, sono sempre stati ottimi, questo fino a 70 anni fa, circa, lei sa perché?”

“No; non sapevo neppure che i nostri ordini avessero contatti tra di loro. Comunque, sette decadi fa, corrisponde a quando il mio bisnonno Nataniele fu ucciso dalla setta del Candelaio; non so se sia una coincidenza.”

“Non lo è, ma per il momento rimarrai nell’ignoranza. Dicci, noi vogliamo sapere le tue intenzioni, ora che sei Magister Templi.”

Isaia ebbe la viva impressione che quella risposta sarebbe stata determinante per la sua vita: la Santa Vehme aveva interrotto i rapporti con l’ordine, nel periodo in cui la sua famiglia ne era stata estranea, e si ripresentava solamente ora, a lui solo, era evidente che si aspettava o temeva qualcosa da lui. Purtroppo non aveva idea circa che cosa si trattasse, altrimenti avrebbe cercato di dare la risposta più congeniale. Pazienza, sarebbe stato sincero e avrebbe sperato che i propri progetti fossero graditi ai Franchi Fiudici.

Mantenendo la calma, anzi avvolgendosi di calma, in modo tale che la sua tranquillità fosse percepibile agli altri, rispose: “Ho in animo l’idea di vietare di uccidere indiscriminatamente chi manifesti poteri. Vorrei trovare la maniera per verificare, in tali persone, se hanno tendenze al bene o al male, le prime lasciarle in pace, le seconde, invece, provare a ricondurle sulla retta via e, in ultima istanza, uccidere. Mi piacerebbe anche poter ripristinare l’attività di difesa delle comunità cristiane, dei luoghi sacri e dei pellegrini, nelle zone in cui si verificano spesso aggressioni per motivi religiosi; ovviamente limitandoci alla difesa e mai all’attacco.”

Calò il silenzio per qualche momento che ad Isaia parve interminabile, tenne il più possibile nascosto in sé il timore per l’esisto della propria risposta, non voleva che i Franchi Giudici si accorgessero dell’insicurezza che aveva in quel momento.

Finalmente arrivò la replica: “Molto bene, soprattutto la tua prima intenzione ci soddisfa pienamente. Ti dirò: quando i tuoi antenati erano Magister Templi, non c’era la filosofia di sterminare tutta la gente coi poteri, bensì si giudicava cum grano salis. Abbastanza presto, però, iniziò a comporsi lentamente una fazione che giudicava colpevole e meritevole di morte chiunque fosse dotato e questa piccola componente, divenne sempre più grande e potente. Quando si diffuse la notizia che Nataniele era stato ucciso dalla setta del Candelaio (i principali nemici del vostro Ordine da circa tre secoli), col desiderio di vendetta, la fazione più violenta ebbe il sopravvento e così adottarono la linea di condotta che hai riscontrato anche tu. Il tribunale della Santa Vehme ha discusso a lungo circa se sterminare i Templari, poiché diventati profanatori e indegni. Alla fine decidemmo di attendere, eventualmente rivolgerci contro singoli e non contro l’intero ordine, e rimandare la decisione generale e finale al momento in cui la famiglia di Giacomo il Giusto fosse tornata a guidarli. Trovando le tue intenzioni positive, speriamo davvero che tu possa ricondurre l’ordine templare sulla retta via. Vi terremo, comunque, sotto osservazione, per sincerarci che ciò avvenga. Sorvegliare i gruppi esoterici è uno dei nostri compiti.”

Isaia azzardò: “Non per essere inopportuno, ma perché non avete mai agito contro la setta del Candelaio?”

“Finora, la setta in sé non si è rivelata colpevole, secondo i nostri canoni. Ci è capitato, però, di colpire alcuni suoi singoli membri.” fece una breve pausa “Il nostro incontro è finito. Vi auguro un buon lavoro, sia a riformare il vostro ordine e, poi, a ricostruire il Tempio. Pace profonda.”

I tre uomini mascherati si allontanarono nelle ombre della notte. Isaia rimase fermo finché non li perse di vista, poi ritornò verso l’alloggio, ripensando a quell’incontro.

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Capitolo 5
*** All'Avalon ***


Stefano aveva deciso di seguire il consiglio di Claudia e quindi di organizzarsi in maniera tale da poter trovarsi con Giuditta senza che lei indossasse chissà quale maschera. Ritenne opportuno lasciar passare un paio di giorni, prima di contattarla, per non insospettirla; trascorse il tempo facendo qualche ricerca per Gabriel, per aiutarlo al caso della ragazzina.

Il giovedì, in tarda mattinata, finite le lezioni, Stefano si decise a prendere il cellulare e a chiamare la ragazza. Non era molto tranquillo, mentre il telefono squillava, non lo era neppure prima, effettivamente aveva rimandato il più possibile quella chiamata; non capiva che cosa lo preoccupasse, ma si disse che era sicuramente legato alla faccenda della sfera di cristallo e di quello che vi aveva visto e, soprattutto, quello che aveva sentito. Chissà se Claudia aveva avuto ragione a dire che si trattava di allucinazioni indotte da qualche sostanza psicotropa.

Il quinto squillo. Evidentemente la ragazza era impegnata. Stefano stava per chiudere la chiamata, quando sentì la donna rispondere: “Pronto!”

“Pronto … Ciao, Giuditta … ehm, sono Stefano … Fabbri … l’amico di Gab …”

“Sì, sì, ho capito!” lo interruppe lei, divertita “Dimmi tutto.”

Il ragazzo si era preparato quello che voleva dire: “Beh, visto che l’altro giorno, quando sono passato a trovarti, eri impegnata nel lavoro, ecco, sì, insomma, pensavo che magari potremmo rivederci uno di questi giorni, quando sei libera … magari beviamo qualcosa da qualche parte, così in amicizia ...”

“D’accordo, volentieri!” rispose lei, spensierata “Stasera alle 20:30?”

“Stasera?!?!”

“Sì. Sei già impegnato?”

“Oh, no, no. Va benissimo ... Dove?”

“Conosci il pub, qui ai Parioli, che si chiama Avalon?”

“Non ci sono mai stato, ma mi pare di averlo visto. È quello con le pareti esterne ricoperte di rampicanti?”

“Sì, esatto, ti aspetto lì; quando arrivi, chiedi di me.”

“D’accordo. Allora a stasera.”

“A stasera.”

Stefano riagganciò, un po’ stranito per la facilità di come aveva ottenuto l’appuntamento; aveva supposto di dover insistere e, invece, lei aveva accettato subito. Effettivamente, forse, doveva aspettarselo quel consenso, in fondo lei lo aveva sempre trattato amichevolmente. Sempre era una parola grossa, dal momento che si erano visti solo due volte, tuttavia, sì, non doveva esserle antipatico, evidentemente.

Stefano si rese d’improvviso conto che si era tanto studiato cosa dire per convincere la ragazza ad accettare di vederlo, che si era dimenticato di capire come comportarsi durante l’incontro che, tra l’altro, non aveva previsto sarebbe stato così imminente.

Che cosa avrebbe dovuto fare? Come avrebbe potuto capire se la ragazza nascondesse qualche potere, oppure no? Farle delle domande? Provocarla? In che maniera? Come poteva costringerla o indurla a svelarsi?

Incerto e insicuro, il ragazzo andò in Congregazione e, trovato Gabriel, gli spiegò la situazione e gli chiese consiglio.

“Sì, in effetti, questo è un caso un po’ particolare; di solito noi controlliamo i fenomeni in maniera più diretta, poiché ci occupiamo di gente che afferma di avere un potere o che, comunque, lo ostenta. Giuditta, invece, ammesso e non concesso che abbia realmente qualche capacità particolare, tiene nascosto il suo dono. Vedi, Stefano, è anche per questo che dubito che lei abbia qualche legame col paranormale: la teatralità le serve appunto per nascondere il fatto che non ci sia nulla di sovrannaturale.”

“Mi stai dicendo che devo archiviare la faccenda?”

“No. Voglio che tu continui questa verifica, finché non avrai una certezza, in un senso o nell’altro, poco importa.” Gabriel era cordiale e determinato, si dimostrava un insegnante consapevole “Devi essere sicuro: non puoi abbandonare un caso, finché non sarai arrivato a delle conclusioni convincenti. Se adesso seguissi la mia opinione e archiviassi il caso, rimarresti scontento, incerto e col dubbio, il che sarebbe dannoso, quindi continua!”

Gabriel sorrise al ragazzo per incoraggiarlo. Stefano apprezzò, si sentì rinfrancato.

“Ma, quindi, stasera cosa faccio?” chiese poi il seminarista.

“Non c’è una procedura precisa per situazioni di questo genere. Stai seguendo molto le tue sensazioni e, per esperienza personale, è una cosa molto positiva: l’intuito mi ha aiutato parecchie volte. Agisci d’istinto, dunque; sii tranquillo, goditi la serata e, magari, la soluzione o l’ispirazione verrà da sé.”

“D’accordo, grazie!” Stefano si era tranquillizzato “Per fortuna che ci sei tu a consigliarmi, altrimenti chissà in quali guai mi caccerei.”

“Non dire così, Stefano.” gli rispose Gabriel, dispiaciuto che il ragazzo si svalutasse “Sei un ottimo studente, hai dimostrato di avere un’intelligenza vivace e capace, anche se spesso sembri avere la testa fra le nuvole. Il tuo problema maggiore è che non hai abbastanza fiducia in te stesso. Devi credere in te e nelle tue capacità; insomma, se Dio ti ha chiamato ad essere suo ministro è perché sa che hai tutte le carte in regola per farcela: se non vuoi confidare in te, almeno confida in Lui.”

Stefano lo aveva ascoltato con ammirazione: “Grazie, Gabriel, ho davvero ancora tanto da imparare!”

“Questa è una sacrosanta verità che vale per tutti quanti! Non credere mai di essere arrivato alla fine, ci sarà sempre qualcosa che ignorerai, anzi, sarà sempre più quello che non conosci, rispetto a quello che sai. Ora, scusami, ma devo tornare a lavorare al caso di Lucrezia: le voci continuano a tormentarla e a chiederle cose, stasera io e Claudia staremo da lei per capire meglio. Domani mi dirai com’è andata.”

Stefano era decisamente rinfrancato e aveva trovato la determinazione necessaria per andare ad affrontare la serata. Tornò a casa e si preparò per il pub, anche se non si trattava di un locale di lusso, era comunque in uno dei quartieri ricchi della città e non poteva andarci vestito in maniera trasandata. Avrebbe potuto indossare di nuovo gli abiti che aveva usato per recarsi all’albergo, in fondo li aveva usati solo poche ore, tuttavia sentì il desiderio di vestirsi diversamente e così fece.

Raggiunse il locale con un certo anticipo, oltre mezz’ora. Entrato, si guardò attorno per studiare l’ambiente: era stata ricreata l’atmosfera di una foresta tra piante vere, finte e disegni parietali; c’erano anche animali imbalsamati e le lampade erano fatte in modo da sembrare delle fatine luminose, c’erano anche statuette di altre creature strane. Il locale aveva anche uno spiazzo rialzato, in cima ad un cubo, a cui si accedeva tramite una scala, per il resto era circondato da una sorta di fossato pieno d’acqua che cadeva a cascata dalle pareti del cubo.

Stefano era rimasto affascinato da quel locale. Una signora, che dimostrava meno di quarant’anni (ma che in realtà li aveva superati da un po’), coi capelli scuri raccolti a coda di cavallo e un sorriso gioviale incorniciato da labbra rossissime, gli si avvicinò e gli chiese: “Sta aspettando qualcuno? Desidera un tavolo?”

Mmmh, non so. Una mia conoscente mi aveva detto di cercarla qua, ma sono arrivato molto in anticipo, per cui forse lei ancora non c’è.”

“È una nostra cliente abituale?”

“Non saprei. Si chiama Giuditta Morganti, è una ragazza giovane, direi carina, un po’ sovrappeso … non ho idea di come si vesta.”

“Ho capito, ti porto al suo solito tavolo.” rispose la donna.

La proprietaria del locale, poiché era di lei che si trattava, accompagnò il giovane fino ad un tavolo in angolo.

“Oh, ancora non c’è.” constatò il seminarista “La aspetterò.”

“Siediti!” ordinò, con fare imperioso, la donna.

Stefano spalancò gli occhi, perplesso, poi obbedì. La donna gli si sedette di fronte, si accese una sigaretta e gli chiese: “Che cosa vuol dire che non hai idea di come si vesta? Intendi che di solito la vedi nuda?”

“No!”

La donna fece un’espressione stranamente simile al deluso; poi chiese: “Da quanto la conosci?”

“Meno di una settimana.”

“Quante volte l’hai vista?”

“Con questa tre …” sperando di riuscire ad arrivare a vederla! Chi diamine era quella donna e perché gli faceva quelle domande?

“Una buona media. Quante donne hai avuto, finora?”

Stefano era sempre più basito: “… Due …”

“Due?! Aspetta, non intendo relazioni serie, dico in generale, anche rapporti occasionali o unici.”

“Due.” ribadì il ragazzo.

La donna assunse un’aria delusa e corrucciata, poi chiese: “Scusa, ma quanti anni hai?”

“Ventuno.”

“Ventuno? E sei stato solo con due donne?” lo squadrò attentamente “Plausibile, in effetti, a ben guardarti, sembri proprio un nerd. Scommetto che parli fluentemente il latino, il greco antico e l’aramaico. Sì, effettivamente hai lo stesso stile di mio nipote alla tua età … probabilmente sei un po’ più sveglio … capisco perché Giuditta esca con te.”

“Veramente …”

“Allora, ascoltami, non sarai un esperto, ma almeno hai dell’esperienza, per cui conto molto su di te.”

“Per cosa???” Stefano era piuttosto convinto di trovarsi davanti ad una pazza.

“Semplice. Giuditta ha venticinque anni ed è ancora vergine. Passa tutto il suo tempo sui libri o quasi e, quando incontra degli uomini, non importa l’età che abbiano o quanto siano attraenti, lei non fa altro che parlarci. Esattamente come suo fratello, solo che lui ha un buon motivo per essere così, lei no!”

“Sinceramente, penso sia una buona cosa che una ragazza (o un ragazzo) non si conceda, se non prova amore.”

La donna lo guardò di sbieco, quasi inorridita, poi disse: “L’amore serve se si vuole una famiglia, per divertirsi non è necessario! Quella ragazza sta gettando alle ortiche i suoi anni migliori! È adesso che ha gli ormoni e che se lo godrebbe appieno! Quindi, arriviamo a te.”

“A me?!”

“Certo! Senti, so che sembra una difficile, ma il fatto è che vuole un uomo forte e deciso; per questo fa la dura, vuole che qualcuno si dimostri in grado di tenerle testa. Tu, quindi, dovrai avere molto polso, dimostrarti sicuro, deciso e se a volte sarai imperioso, sarà meglio. Credimi, comportati così e puoi portartela a letto anche stasera.”

“Signora, per favore, mi ascolti …” tentò di dire Stefano, imbarazzatissimo.

“ZIA!” tuonò d’improvviso la voce di Giuditta, alle spalle della donna.

Il ragazzo era tanto esterrefatto che non si era accorto che la giovane si stava avvicinando; fu molto contento di vederla, soprattutto perché sperava lo levasse da quell’impiccio.

La proprietaria del locale si voltò sorridendo e la salutò: “Giudi! Eccoti! Perché urli alla tua povera zietta? Stavo solo facendo compagnia al tuo amico e gli facevo qualche domandina per conoscerlo un po’. Sembra un ragazzo tanto per bene, forse un po’ troppo.”

Paziente, perché ormai era abituata a quei modi di fare, la ragazza replicò: “Si chiama Stefano ed è stato alunno di Isaia, non c’è altro da sapere. Stefano, lei è mia zia Naomi, sorella di mia madre.”

“Va bene, va bene!” disse la donna, alzandosi in piedi e spegnendo la sigaretta nel posacenere “Ho capito benissimo: vuoi stare sola con lui. D’accordo, come vuoi, fammi poi un cenno quando siete pronti ad ordinare.” poi le sussurrò all’orecchio “Davvero, direi che è un buon ragazzo, almeno un bacio daglielo! Ricorda quello che diceva mia nonna: bazadura e tocatura lescen mia segnatura[1]!”

Giuditta scosse la testa e levò gli occhi al cielo, poi si sedette di fronte a Stefano e gli disse: “Scusala, è un po’ particolare.”

“Ho notato … senza offesa.”

Il seminarista iniziò a chiedersi se ci fosse qualcuno di normale in quella famiglia.

“Poveretta, non è nemmeno del tutto colpa sua. È stata fidanzata per dieci anni con lo stesso uomo e, nonostante questo, si era mantenuta vergine per aspettare il dopo matrimonio. Beh, a un mese dalle nozze, il suo fidanzato l’ha abbandonata perché la consultazione dell’I-Ching glielo aveva ordinato. Ti pare possibile?!”

“Credevo credessi in queste cose.”

“Innanzitutto, dipende da chi è il consultante e, comunque, ogni forma di divinazione si limita a fare considerazioni circa le forze presenti in movimento in una determinata situazione: di prestabilito non c’è nulla. Comunque, a parte questo, dopo essersi un po’ ripresa dalla fine insensata della sua relazione, mia zia aveva iniziato a frequentare un altro uomo, ne era molto innamorata, era felicissima, finché non ha scoperto che costui se la spassava con altre tre o quattro. A quel punto mia zia ha iniziato a considerare tutti gli uomini inaffidabili e ossessionati soltanto dal sesso. Stufa di farsi prendere in giro, ha deciso di pensare da sola alla propria vita e a essere felice anche senza un compagno fisso e, in compenso, di divertirsi con chiunque la stuzzicasse. Ha paura ch’io subisca le stesse delusioni, quindi mi esorta a non dare sacralità a ciò che, a suo avviso, non ne ha. Via, basta parlare di lei!”

“Sì, grazie, è meglio.” rimasero un poco in silenzio “Come mai hai accettato subito di vedermi?”

“Ero libera e avevo voglia di vedere qualcuno che fosse giovane e a cui non dover dare lezioni. Mi hai promesso chiacchiere fra amici ed è quello che mi aspetto.”

“Non dovrei deluderti. Ma, perdona l’indiscrezione, tu non hai amici?”

“Certo che ce li ho! Non molti in realtà e sparsi un po’ dappertutto. Qui a Roma ho i vecchi compagni che frequentavo prima di cominciare a lavorare, poi ho dovuto iniziare ad essere sempre in viaggio e, pur tornando spesso negli stessi luoghi e pur sfruttando telefoni, facebook e varie, non è facile mantenere vivi dei rapporti profondi. Faccio quello che posso, come gli altri, d'altronde. Senza contare che qui a Roma ho pure la mia famiglia con cui stare.”

“Che fai, solitamente, coi tuoi amici?”

“Giochi da tavolo o di ruolo, passeggiate in campagna o montagna, teatro, opera, concerti di musica classica, musei, conferenze. Mi piacciono molto le fiere medievali, oppure i balli in maschera, adoro gli abiti dell’Ottocento!” si perse nei suoi pensieri a contemplare chissà cosa.

“Beh, mascherate a parte, son tutte cose che piacciono anche a me.” Stefano attese qualche momento “Tua zia è veritiera, nel dire che non hai mai avuto una relazione di natura amorosa?”

“Non mi fermo mai più di due mesi nella stessa città, non riesco ad avere un rapporto costante con gli amici, figuriamoci se riuscissi a portare avanti una relazione sentimentale! Mia zia, la considera una fortuna e una possibilità di cui approfittare, lei mi consiglia di trovarmi un amante in ogni città.” scosse il capo e ridacchiò “Mio padre, invece, non vede l’ora di farmi sposare con un figlio di un qualche suo amico, in modo da costringermi a rimanere qua. Ogni volta che mi fermo a Roma, mio padre mi presenta almeno tre o quattro giovanotti, figli di suoi colleghi avvocati, o notai, o giudici, oppure di qualche uomo danaroso che lui ha difeso in tribunale.”

“Da come ne parli ora e per quel che hai detto la volta scorsa, mi pare di capire che tuo padre ami organizzare la vita non solo sua, ma anche dei propri figli.”

“Sì e non sai quanto è scontento delle direzioni che abbiamo preso io ed Isaia, ma con me non si è ancora arreso del tutto. Col mio fratellino, invece, è tremendo! Gli fa una pressione terribile per prepararlo a diventare un avvocato, quando ne ho occasione, lo porto fuori a svagarsi. Tu pensa che fin nel nome ha voluto segnare il suo destino: nomen omen.”

“Ah sì? E come si chiama?”

“Demostene!”

“Farà delle filippiche.” scherzò Stefano e la ragazza ridacchiò.

“Lascia stare! In realtà voleva chiamarlo Lisia, ma poi si è reso conto che probabilmente alle elementari lo avrebbero preso in giro. Tanto più che in base al nomina sunt consequentia rerum, anzi, meglio il contrario: res sunt consequentia nominum; se ciò fosse valido e se il mio fratellino si fosse chiamato Lisia, allora il povero Isaia morirebbe a causa di un governo tirannico ed ingiusto che lo accusa senza che abbia commesso nulla.”

“Ah, sempre secondo questo principio, che vita immaginava tuo padre per te? Voleva che mozzassi teste?”

“Chi ti dice che non lo faccia?”

Stefano sgranò gli occhi, esterrefatto e allarmato. Giuditta si mise a ridere e gli disse: “Vorrei avere uno specchio per farti vedere la tua faccia in questo momento!”

Il ragazzo si sforzò di ridere leggermente.

“Non decapito nessuno, sta tranquillo. Al limite pugnalo o impicco.”

Stefano trovava quello scherzare di pessimo gusto, per cui cercò di sviare la conversazione: “Ma, quindi, tutto questo mistero che ti crei attorno, le mascherate e così via, sono un modo per ribellarti a tuo padre? Per dire a lui che non ti può imporre nulla e rassicurare te stessa circa il fatto che puoi essere qualsiasi cosa e non ci sia nulla di prestabilito?”

“No. Io ho già scelto la mia strada ed essa comprende tutto questo.”

“Mi pare ti imponga molte rinunce.” a Stefano non era sembrato uno stile di vita molto allegro, quello della ragazza.

“Non è molto differente da quello che avete scelto tu o mio fratello.”

“Beh, è diverso, noi abbiamo comunque una comunità di cui facciamo parte e abbiamo i nostri fratelli con cui condividere la vita e sostenerci a vicenda. Tu, invece, non per offendere, sembri piuttosto solitaria, o sbaglio?”

“Non è un problema e comunque …”

Giuditta non poté finire la frase, poiché si accostò al tavolo un giovane sui trent’anni, che evidentemente la conosceva, la salutò: “Stella d’Oriente! È un piacere vedervi.”

“E a me fa piacere vedere un compagno muratore.”

Stefano osservò l’uomo: non gli sembrava affatto un muratore! Pure le mani non era callose e rovinate come quelle di chi fa lavori di fatica.

“Scusatemi se vi interrompo durante una serata di svago, ma confido che vorrete lo stesso rischiararmi con la vostra luce.” continuava l’uomo, con vivo trasporto “È da giorni che mi interrogo e non capisco perché l’acacia e non un'altra pianta indichi il punto in cui è nascosto il corpo del Maestro.”

Giuditta guardò il seminarista e, fissandolo, gli chiese: “Per favore, Stefano, traslittera, nella tua mente, la parola acacia con l’alfabeto greco.”

“Fatto.”

“Pronunciala.”

Akakia, perché i Greci non avevano il suono dolce per la ci.”

“Ottimo, però, così, abbiamo ottenuto una parola squisitamente greca, vero? Cosa significa?”

“Innocenza, purezza, immacolatezza. Insomma, è kakos, male, cattivo, brutto, con l’alfa privativo.”

“Eccellente!” la ragazza si voltò verso il trentenne e gli disse: “Solo un animo candido può trovare il corpo del Maestro, ma trovarlo non sarà sufficiente, poiché è morto e dovrai trovare la maniera di vivificarlo.”

“Grazie, Stella d’Oriente!” esclamò l’uomo, colmo di riconoscenza, come se avesse appena aperto gli occhi.

“Lieta di esserti stata utile, ora va e medita. Tutta tua nella Santa Verità.”

Questa formula di congedo colpì Stefano: era la stessa che lei aveva usato anche per salutare i quattro tizi che erano andati in albergo.

“Bene, che ne dici se ordiniamo qualcosa?” domandò poi Giuditta.

“Sì, buona idea. Non ho ancora cenato e inizio ad avere fame.”

“Idem.”

I ragazzi guardarono il menù e alla fine decisero di optare per un grosso tagliere di bruschette assortite da dividere tra di loro. Mangiarono e chiacchierarono tranquillamente. Stefano si sentiva a proprio agio, benché continuasse a domandarsi come fare per scoprire se la donna nascondesse qualcosa. Finita la cena, Giuditta domandò: “Ti dispiace se fumo?”

“No, fa pure.”

La giovane tirò fuori dalla borsetta una pipa particolare: era lunga un palmo e mezzo, sottilissima, il corpo centrale era decorato con fili di rame, in fondo, prima del camino, era incastonata una pietra, per la precisione un quarzo ialino.

“Mi hai fatto un sacco di domande.” disse Giuditta “Lasciamene ora fare una a me. Cosa stai facendo in questi giorni? Che si fa in Congregazione?”

Stefano ebbe di nuovo il sospetto che lei sapesse di essere oggetto di verifica, comunque decise di andare avanti e dire una mezza verità: “Sto aiutando Gabriel con il caso di una ragazzina perseguitata dal sentire delle voci che la costringono a fare cose tremende. Se ci fosse tuo fratello, scommetto che l’avrebbe già esorcizzata. Gabriel e Claudia, invece, stanno cercando un’altra strada per capire di cosa si tratta.”

“Interessante, racconta!”

Stefano considerò che, forse, era quella l’occasione per mettere alla prova la ragazza e, proprio come aveva detto Gabriel, si era presentata spontaneamente. Iniziò a raccontare tutto ciò che sapeva e concluse dicendo: “Ho fatto delle ricerche sul luogo in cui Lucrezia ha sentito le voci per la prima volta e ho scoperto che per secoli è stato un posto che accoglieva sabba, ho ritrovato testimonianze di riti effettuati lì, anche durante il XVI secolo, l’epoca a cui appartiene il pugnale.”

Giuditta aveva ascoltato tutto con viva attenzione, non si era lasciata sfuggire neppure un dettaglio, alla fine chiese: “Manca un elemento fondamentale per capire il fenomeno. La ragazzina era mestruata, quando ha sentito le voci per la prima volta?”

“Come?”

“È un dato fondamentale, senza di quello non posso esprimermi.”

Stefano esitò qualche momento, poi prese il telefono e chiamò Gabriel e gli chiese quel dettaglio. L’ex gesuita non ne aveva idea, per fortuna era con Lucrezia e poteva chiederglielo direttamente.

“Sì. Ha detto che in campeggio aveva le mestruazioni e che le aveva anche nel periodo in cui le voci erano tornate ad essere gentili con lei, perché?”

“Non lo so, Gabriel, ma sto per farmelo spiegare. Domani ti dirò tutto.” Stefano chiuse la chiamata e guardò la donna, le riferì e attese spiegazioni.

“Larve, come immaginavo.”

“Puoi essere più chiara?”

Giuditta prese un tovagliolo di carta, lo aprì per bene e poi prese una penna, dicendo: “Stefano, voglio che tu capisca da solo. Ti darò alcuni dati, sono sicura che arriverai alla soluzione.”

Iniziò a scrivere e fare frecce sul foglio, per esemplificare meglio quello che stava dicendo a voce: “Consideriamo l’uomo composto di tre parti: corpo, anima e mente. Il corpo non ha bisogno di spiegazione, è ciò che ci ancora e da sostanza in questa dimensione materiale. La mente è la nostra intelligenza, la nostra logica è uno strumento che è fondamentale, ma non è proprio parte di noi. L’anima, infine, è composta a sua volta da tre parti: uno spirito puro che, senza mai passare per l’oblio e senza mai distruggersi, tende progressivamente verso Dio; l’ego, che è ciò a cui si attaccano le passioni e ogni cosa che ci distrae da Dio, positiva o negativa che sia; infine il mediatore plastico, l’energia interiore che ci permette l’interazione col tutto.”

“Che cos’è, esattamente, questa energia?” fu perplesso Stefano: quelli non erano discorsi cristiani, ma non gli pareva ci fosse nulla di malvagio in essi.

“Mah, la si chiama luce, in parte fissa, in parte volatile. Fissa assume consistenza materiale, volatile è il fluido magnetico.”

“Suppongo che sia un magnetismo diverso da quello delle calamite.”

“La luce astrale trasmette all’uomo una doppia calamitazione. L’anima, tramite la volontà, oppure la fede, oppure i desideri o le paure, dissolve o coagula, proietta od attira questa luce di cui ogni cosa è fatta. Ciò implica che qualsiasi pensiero lascia un’impressione in questa luce astrale. I sogni sono tutte le immagini rimaste impresse nella luce astrale e che nel sonno ci si mostrano. Essa conserva i riflessi dei mondi passati e, per analogia, può mostrare gli abbozzi dei mondi futuri: la divinazione si basa solo su questo.”

“Sono tante ipotesi interessanti, ma nel concreto? Hai mai provato a mettere in atto queste cose?”

Giuditta abbozzò un sorriso, guardò il ragazzo e gli disse: “Va bene, ti darò una dimostrazione, ma solo perché tu sei tu.”

Stefano non era certo di doversi sentire onorato.

La ragazza stese gli avambracci sul tavolo, tenendo i palmi uno di fronte all’altro, alla distanza di circa mezzo metro. Cadde in uno stato di profonda concentrazione.

Stefano osservava per capire che cosa stesse facendo. Iniziò a sembrargli di vedere l’aria muoversi, delle linee strane, tremanti, apparvero dapprima quasi invisibili, poi poco nitide e poi sempre più chiare e concrete. Alla fine, dopo cinque minuti, comparve un vasetto sul tavolo, nello spazio tra le mani della donna.

Il seminarista era sbalordito, stentava a credere a quel che vedeva. Dopo qualche momento di estremo stupore, riuscì a balbettare: “È straordinario! Hai un potere incredibile!”

“Non ho nessun potere. Questo può farlo chiunque, col giusto addestramento. Con la mente bisogna creare un’immagine il più dettagliata possibile, visualizzare l’oggetto nella maniera più concreta e precisa possibile; poi con la volontà si dà forza al mediatore plastico per concretizzare il pensiero al di fuori della mente, tramite il richiamo della luce e alla sua fissazione. Allo stesso modo si può distruggere qualcosa, volatilizzando la luce che la compone.”

“Ti rendi conto di quali cose potresti fare con queste capacità?!” Stefano era incredulo e non sapeva come considerare la questione.

“Non posso fare molto, in realtà. Ricorda che nulla si crea e nulla si distrugge, la luce che addenso, viene presa da qualche parte, così come quella che dissolvo deve andare da qualche parte. Si tratta dunque di operazioni delicate di cui ogni abuso è proibito. Già con questa piccola dimostrazione ho contravvenuto alle regole, per cui ora lo dissolvo.”

Giuditta tornò a concentrarsi e il vaso a poco a poco svanì.

“Hai detto che chiunque potrebbe riuscirci? E come? Hai detto che bisogna usare l’immaginazione, innanzitutto; poi? Come si fa a concretizzare …?”

“Fermo!” lo interruppe la ragazza “Se vuoi imparare queste cose, ti dedicherò il tempo necessario, ma con te non voglio usare immagini e metafore, ti parlerò di Dio, della Verità, senza maschere.”

“Non chiedo di meglio.” rispose Stefano determinato e parecchio elettrizzato: aveva appena assistito a un fatto straordinario e ora aveva la possibilità di imparare a fare altrettanto. Non poteva sapere se realmente lei gli avrebbe parlato della vera Verità, ma gli bastava imparare a manipolare questa luce astrale.

“Sappi che non ti insegnerò nulla, finché non sarò certa della tua moralità. Prima di tutto bisogna liberarsi da ogni passione, riuscito in ciò, potrai usare correttamente il mediatore plastico. Non sono permesse profanazioni di questa scienza sacra, per cui stai ben attento a quello che fai. Detto ciò, è indispensabile che tu impari ad immaginare.”

“In che senso, non so già farlo?”

“No. Dovrai fare molto di più. Stai diventando un gesuita?”

“Sì, ho iniziato il mio percorso in quella direzione.”

“Perfetto, allora pratica correttamente e costantemente gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola e imparerai ad usare davvero l’immaginazione.”

“Non mancherò.”

“Ora, questa è stata una divagazione.” proseguì la donna “Torniamo a parlare del caso della ragazzina. Dove ero rimasta? Ah già: l’anima è composta da spirito puro, ego e mediatore plastico. Come ti ho detto l’ego è ciò che è soggetto a passioni e pulsioni. Esse possono essere un mezzo potente per attivare il mediatore plastico, ma non sono il più giusto. Solo la volontà libera o la fede ci permettono di controllare la luce astrale. Quando ci sembra di attingere la nostra forza dai desideri o dai sentimenti, ci stiamo ingannando. Un conto è volere una cosa, un altro è essere voluti da una cosa. Non so se mi sono ben spiegata.”

“Sì, certo, credo di avere capito: quando noi desideriamo qualcosa non siamo noi a volerla ma è la cosa che sta esercitando la sua volontà su di noi per attrarci. Giusto?”

Giuditta rimase piacevolmente sorpresa nel constatare come il ragazzo avesse compreso al volo. Annuì e disse: “Molto bene. Chi ricorre alla magia nera o pratica, che dir si voglia, e dunque permette che i propri sensi vengano eccitati dalle pulsioni e dai desideri, ma anche dalla paura, fanatismo etc …, costoro, con i loro rituali, lasciano brandelli del proprio ego dispersi nella luce astrale, originando in questo modo le larve o fantasmi, se preferisci. Non è necessario praticare la stregoneria per originare fantasmi, anche dei rimorsi o delle ossessioni molto forti fanno in modo che il nostro ego (o parte di esso) rimanga imbrigliato nella luce astrale fuori di noi. Per le leggi di simpatia o antipatia, queste larve si avvicinano maggiormente a chi è in una stato d’animo uguale od opposto a quello che le ha generate. Penso che tutto ciò ti possa bastare per capire cos’è accaduto alla piccola Lucrezia. Ovviamente devi unire queste informazioni ad altre che hai già. Pensaci.”

Stefano rimase in silenzio a riflettere per alcuni minuti, cercando di capire come collegare le cose; ragionò, ripensando ad una miriade di cose, d’improvviso ebbe un’intuizione! Gli parve che tutto combaciasse e, allora, espose la propria teoria: “L’ego, diventato volatile, probabilmente sente la mancanza del corpo fisso a cui era legato, ha bisogno di qualcosa per coagularsi e avere una parvenza di esistenza più concreta, rispetto a quella che ha nella condizione di dispersione nel mediatore plastico. La sostanza che maggiormente li addensa è il sangue, per questo in tutti i riti di evocazione degli spettri o demoni si sgozza qualcosa, proprio come ha fatto Ulisse per parlare col fantasma di Tiresia: queste larve hanno bisogno di sangue per tornare ad esistere un poco.”

Giuditta annuì, soddisfatta.

Stefano, contento di essere sulla strada giusta, proseguì: “Hai detto che le larve vengono attratte da stati d’animo simili a quelli che le hanno generate. Ecco, Lucrezia aveva appena ascoltato diverse storie del terrore, quindi la paura e l’immagine di streghe e forze oscure era impressa in lei. Questo ha richiamato le larve che, nutrendosi, per così dire, del sangue mestruale, hanno ritrovato vagamente una loro esistenza e si sono manifestate sottoforma di voci alla ragazzina, ancorandosi a lei tramite il principio di simpatia. Quando il mestruo di Lucrezia è finito, le larve l’hanno istigata a compiere quelle azioni, perché abbisognavano di altra sostanza organica per addensarsi ed esistere. Quando è tornato il ciclo si sono placate e, poi, hanno ripreso ad esigere nutrimento. Essendo queste larve nel mediatore plastico, non hanno avuto difficoltà a portare a termine le piccole vendette desiderate da Lucrezia verso i suoi compagni di classe dispettosi e, allo stesso tempo, è stato per loro facile colpirla quando faceva resistenza e portarle il pugnale.”

“Precisamente. Hai capito cos’è successo e cosa sta accadendo. Intuisci, anche, quello che potrebbe presto accadere?”

Stefano rifletté qualche istante, poi sollevò lo sguardo preoccupato sulla ragazza e chiese conferma: “Se non riusciranno a far sì che lei procuri loro sangue da altri, la indurranno a farsi male da sola, forse addirittura a suicidarsi, per ottenere il loro sangue!?!”

“Esattamente.”

“Quindi, quando quel tedesco era dentro di me, era un fenomeno simile?”

“Senza dubbio più complesso.”

“Quando lui aveva il sopravvento su di me, è capitato più di una volta che mi ferissi da solo … quindi probabilmente era per questo … Devo subito informare Gabriel, così la sorveglierà e le impedirà di farsi del male! … E poi lui saprà cosa fare per aiutarla.”

“Tu credi?”

“Sì, come ha salvato me, salverà anche lei!” dichiarò Stefano con fermezza e decisione.

Giuditta aggrottò la fronte e gli domandò: “Sei sicuro che ti abbia salvato?”

“Certo! Ero stato ferito mortalmente da una pallottola e lui mi ha riportato in vita e il tedesco se n’è andato.”

“Raccontami quel che ti ricordi di quel momento.”

Stefano esitò un istante o due: non aveva mai descritto quell’esperienza a qualcuno, nemmeno a Gabriel. Si raccolse un attimo per ricordare, poi iniziò a raccontare: “Ero in una stanza bianca. In realtà dico che fosse una stanza perché ho visto una porta, ma prima era come essere nella luce o nel vuoto e sentivo come una specie di attrazione verso non so cosa, ma era come se sentissi una forza felice che mi chiamava a sé. Io sapevo che là sarei stato bene, ma ripensavo a tutto quello che dovevo ancora fare qua. Allora ho sentito Gabriel che mi chiamava, mi ha preso e mi ha portato con sé verso questa porta sospesa nel nulla. Ci si è però parato davanti il tedesco. Gabriel gli si è avvicinato. Lui lo ha guardato un attimo, poi ha guardato me per qualche secondo, mi ha sorriso e poi si è fatto da parte, lasciandoci passare.”

“Che Gabriel ti abbia impedito di morire, è sicuro. Non credo, però, sia il caso di dargli il merito anche di avere allontanato il tedesco.”

“E perché se ne è andato, allora?”

“Tu che cosa hai pensato, mentre lo guardavi.”

“Non so … Prima ne avevo avuto paura, in quel momento, invece, ero calmo. Ho pensato tra me e me frasi rassicuranti rivolte a lui, come per dirgli che ora la verità era emersa, che poteva essere tranquillo, non aveva più nulla da fare qui, nulla che lo legava e, dunque, poteva finalmente andare avanti. Non so perché ho pensato queste cose e non credo, certo, che lui abbia potuto percepirle.”

“Io, invece, sostengo che le abbia sentite benissimo e che siano state quelle a liberarlo dal suo tormento e a farlo andare verso il Lete.”

“Il fiume Lete?”

“Sì, metafora appunto per indicare l’oblio, il passaggio in cui l’ego si spoglia del ricordo di una vita, prima di entrare nella successiva. Comunque, a parte questo, io sono convinta che sia stato tu a liberarti dal tedesco e sono altresì convinta che solo tu puoi liberare Lucrezia dalle larve che la tormentano, senza dover ricorrere ad esorcismi.”

“Tu credi …?” chiese, incerto, il ragazzo “Il tedesco, se fosse vero quello che sostieni tu, mi avrà ascoltato perché ormai c’era un legame tra di noi ma, liberare quella ragazzina … No, non credo di potere, io non ho nulla di speciale.”

“Io insisto. Fai almeno un tentativo. Se non dovesse funzionare, che potrebbe esserci di male?”

“Ma non saprei neppure come fare!” protestò Stefano, non volendosi prendere una simile responsabilità, non ritenendosi affatto capace di portare a termine una simile opera.

“Parlaci.”

“Con chi?”

“Con le larve.”

“Perché non lo fai tu, se sei tanto sicura?”

“È una cosa che puoi fare solo tu, io al limite potrei dissolvere le larve, solo tu puoi liberarle da quella condizione. Altrimenti, puoi continuare a credere di non esserne capace e chissà come e quando e se quella ragazzina potrà essere salvata.”

“D’accordo, mi arrendo! Domani farò un tentativo! Contenta?”

“Non quanto lo sarai tu, quando riuscirai nell’impresa.”

Stefano scosse il capo e sospirò. Dopo qualche momento di silenzio, cambiarono argomento, chiacchierarono ancora un poco e poi si salutarono e ognuno andò per la propria strada.



[1] “Baci e toccamenti non lasciano segni”

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Capitolo 6
*** Da Lucrezia ***


Gabriel e Claudia avevano accettato di non perdere d’occhio Lucrezia, poiché era stata la ragazzina stessa a chiederlo. Le voci continuavano a parlarle a chiederle cose che lei non si attentava neppure a ripetere, ma la tormentavano e lei aveva paura di cedere, non sapeva a chi rivolgersi e gli unici a cui sentiva di poter chiedere aiuto erano proprio l’exgesuita e la psicologa.

Claudia aveva portato con sé alcuni specifici giochi da fare con la ragazzina, nella speranza di riuscire a farsi confidare qualcosa durante la fase di gioco.

“Come prima cosa, le proporremo di giocare a pictionary.” spiegò Claudia, mentre Lucrezia era in bagno.

“D’accordo, però io non sono molto bravo a disegnare … e poi non siamo pochi?” chiese Gabriel.

“No, l’importante è che sia lei a disegnare. È come un test delle macchie di rorscharc, però al contrario. Ho selezionato le tesserine con le parole da disegnare: a seconda di come rappresenterà determinate cose e concetti, potrò capire che disturbi ha.”

“Va bene! Sei geniale!” disse l’uomo, prima di baciarla.

La ragazzina tornò nel salotto dove l’aspettavano Claudia e Gabriel, i suoi genitori erano usciti per non disturbare durante quella sorta di esame od osservazione.

La psicologa notò subito che Lucrezia aveva gli occhi un po’ gonfi ed arrossati, da ciò dedusse che avesse pianto, tuttavia non le chiese come mai, per evitare di darle l’impressione di essere invadente. La donna sorrise e le chiese: “Ti va di fare un gioco?”

“Sì, certo.” rispose la ragazzina, ma si percepiva che il suo entusiasmo era un po’ forzato.

“Cosa ti va di fare? Guarda, qui c’è pictionary! Ti piace?”

Lucrezia annuì e si avvicinò al tavolo.

“Solo che siamo pochi, non possiamo fare le squadre …” Claudia finse di accorgersene solo in quel momento “Dai, disegni tu e noi indoviniamo, va bene?”

La ragazzina prese la matita e sollevò la prima tessera per vedere quale parola dovesse raffigurare.

Per un buon quarto d’ora procedé tranquillamente, poi iniziò ad avere qualche tremore di tanto in tanto. Nel frattempo, Gabriel ricevette la telefonata di Stefano in cui gli chiedeva se la ragazza fosse stata mestruata, quando aveva sentito per la prima volta le voci.

Dopo, Lucrezia iniziò ad essere pian, piano sempre più nervosa; il tratto del disegno si fece più incerto, a volte la mano si spostava bruscamente, facendo segnacci che non c’entravano nulla con la figura. Ogni tanto faceva degli scatti con la testa o sussultava e pareva borbottare qualcosa a denti stretti, ma poi fingeva che fosse tutto a posto.

Sia Gabriel che Claudia avevano capito che stava sentendo le voci ma sperava di nasconderlo. L’uomo si avvicinò alla ragazzina, le mise una mano sulle spalle e le chiese se tutto fosse a posto.

“Sì … sì …” annuì lei, senza guardarlo.

“Sicura? Sembri un po’ nervosa, sei stanca? Vuoi cambiare gioco?”

“No …” scosse il capo lei “… Scusate, devo andare un attimo in bagno …”

Lucrezia salì al piano di sopra.

“Allora, che idea ti sei fatta?” chiese Gabriel, appena rimase solo con la psicologa.

“Non lo so, è difficile.” scorse rapidamente i disegni riesaminandoli “È senza dubbio stressata e sono sicura riceva molte pressioni. Non riesco però a capire che tipo di pressioni siano, da parte di chi! Per quello che ho scoperto in questi giorni, i suoi genitori sono davvero comprensivi e non sono né troppo severi, né pretendono troppo da lei. Fa una vita tranquilla, pratica sport, ma senza ambizioni e non frequenta strane compagnie. È vero che non va d’accordo con alcuni compagni di classe, ma finora non risulta sia stata vittima di bullismo, né ha avuto pressioni sociali.”

“Quindi stai dicendo che è agitata, nervosa etc, ma non c’è una effettiva causa?”

“Una causa c’è, solo che non l’ho ancora individuata.”

“Se le voci avessero una reale esistenza, all’infuori della sua testa?”

“Gabriel, è ridicolo!”

“Claudia, ti è quasi accaduta la stessa cosa, quando abbiamo indagato sulla villetta infestata! Io ho visto davvero dei fantasmi là dentro e tu e la donna che ci si era appena trasferita avete subito l’influsso della pianista. Mi hai aggredito! Tu sei una persona pacifica, non ti ho mai vista sollevare un dito contro qualcuno, in quel momento, invece … devi ammettere che c’era qualcosa che ti ha spinta ad agire in quel modo!”

“Gabriel, te l’ho già detto, io pensavo davvero tutto ciò che ti ho detto in quel momento!”

“Lo so, questo lo so, ma ciò non giustifica il fatto che tu abbia tentato di uccidermi. La rabbia e il dolore erano tuoi, ma c’è stato qualcosa che li ha esasperati e ti ha indotta ad agire così violentemente.”

Claudia abbassò gli occhi per qualche momento: effettivamente doveva riconoscere il fatto che quella volta, in quella casa, c’era stato qualcosa di veramente strano.

Tornò, però, subito alla carica: “Anche ammettendo che quelle voci siano, chessò, entità strane, fantasmi o altro, che cosa avresti intenzione di fare? Quella volta tu sei riuscito a mitigare il mio dolore, a confortarmi, qui che cosa credi che bisognerebbe fare? In ogni caso bisogna capire qual è la radice della sua sofferenza! È sempre questo l’importante: capire il suo turbamento. Dopo le proporrò un altro gioco, in cui si deve creare una fiaba, sono certa che emergeranno elementi rilevanti.”

“Va bene, aspettiamo.”

Rimasero tra di loro ancora una decina di minuti e avevano iniziato a preoccuparsi.

“Perché ci mette così tanto?” domandò Gabriel “Non è normale …”

“Era piuttosto nervosa prima, può essere che abbia bisogno di calmarsi un poco.”

“Non mi piace, però. Prima chiede il nostro aiuto e poi si comporta così …”

“È confusa e spaventata: è normale che agisca in questo modo.”

“Non lo so, non mi convince … e poi proprio perché è confusa, spaventata e turbata, dovremmo starle vicino, non credi?”

Claudia ragionò qualche momento, poi annuì e disse: “Hai ragione: è giusto non risultare invasivi, ma un piccolo incoraggiamento le farebbe decisamente bene. In effetti non mi aspettavo fosse così chiusa: l’altro giorno era più loquace, turbata, ma comunque più gioviale, questa sera, invece … Vado a controllare come sta, magari riesco a parlarle.”

La donna salì le scale per raggiungere il secondo piano; si guardò un attimo attorno per capire dove fosse il bagno. Tutte le porte che davano sul corridoio erano chiuse. Claudia sentiva un singhiozzare, ma non capiva da dove venisse con esattezza, per cui chiamò: “Lucrezia! … Lucrezia!”

Nulla, anzi il singhiozzare si interruppe.

Gabriel si era avvicinato alle scale e, dal piano di sotto, domandò: “Ci sono problemi?!”

“No, tranquillo …” rispose la psicologa, poi chiamò di nuovo: “Lucrezia!”

Finalmente una risposta: “Vattene via!”

La voce era disperata e spaventata allo stesso tempo. Non sembrava irritata, bensì era come se volesse avvertire la donna di un pericolo e allontanarla da esso.

Claudia aveva capito dove si era rinchiusa la ragazzina, per cui si avvicinò, bussò e chiese: “Lucrezia, che succede?”

“Ti ho detto di andartene!” l’ammonì di nuovo lei, piangente.

“D’accordo, ti lascio subito tranquilla. Dimmi prima, però, se stai bene.”

“Sì, sì, sto bene!” protestò sbrigativamente Lucrezia.

“Sicura?”

Sììììììììììì!” si spazientì la ragazzina “Adesso vattene.”

“Va bene, va bene! Se hai bisogno, noi siamo di sotto, ricordalo: siamo qui per te.”

Claudia si voltò e stava per scendere le scale, quando sentì di nuovo la voce di Lucrezia: “No! No!” gridava in un misto di emozioni.

“Lucrezia!” si allarmò la psicologa, ma non fu sentita.

“No! Non lo farò! Lasciatemi! … Via, via … smettetela!” era un pianto di sperato “Non lo farò!”

Nel misto di pianto e proteste, si iniziarono a sentire urla di dolore e una nuova parola s’aggiunse alle altre: basta!

Claudia si precipitò alla porta, afferrò la maniglia e l’abbassò, ma era chiusa a chiave. Tentò comunque di aprirla e, nel mentre, gridava: “Gabriel! Gabriel! Vieni! Sta accadendo qualcosa!”

L’uomo si precipitò di sopra. Intanto Lucrezia continuava a strillare: Via! No! Basta! e altro ancora, in maniera inconsulta.

“Claudia, che succede?!” domandò l’uomo con preoccupazione, raggiungendo la donna.

“Non lo so! Si è chiusa là dentro … Mi ha detto di andarmene e poi … Non ne sono sicura, ma credo che abbia iniziato a sentire di nuovo le voci, è come se ci stesse litigando …”

“Lucrezia! Lucrezia!” la chiamò anche Gabriel.

Inutile, la ragazzina non lo considerò: continuava ad urlare rivolta verso le voci.

Gabriel decise di sfondare la porta e gli bastarono due spallate. Nel bagno videro Lucrezia che agitava le mani come a scacciare esseri invisibili ed era presa dalle convulsioni.

Claudia mosse qualche passo in avanti per raggiungere la ragazzina che, accorgendosene, le gridò: “No! Ferma! Vattene, vattene! Devi andare via!”

“Calmati, Lucrezia.” le disse Gabriel “Claudia è qui per aiutarti, come me; perché la cacci?”

La ragazza piangendo, balbettò: “È per lei! È per salvarla …”

“Salvarla da cosa?”

“Da me!”

“Cosa stai dicendo?” intervenne la psicologa.

“Loro! Le voci.” spiegò Lucrezia, sentendosi impotente “Loro vogliono te.” fu attraversata da una convulsione più forte delle altre e lanciò un grido straziante, poi disse: “Vattene subito! Non posso resistere ancora tanto … dovrò obbedire … scappa!”

Claudia parve non turbarsi, fece ancora un passo, dicendo: “No. Io non me ne andrò, finché non ti sarai calmata, poi, se ancora non mi vorrai qui, ti saluerò.”

“Aspetta.” Gabriel si mise tra lei e la ragazzina, guardò quest’ultima e le chiese: “Perché le voci vogliono Claudia?”

“Non lo so.” Lucrezia scosse la testa, piangendo “Ma deve andarsene!” ansimò “Vogliono lei, vogliono il bambino …”

“Perché?” insisté Gabriel.

“NON LO SO!!!” urlò Lucrezia.

L’uomo si voltò verso la psicologa e le disse: “Claudia, è meglio se esci …”

“No.” lo interruppe lei “Non lascio soli né te, né lei: guardala, ha bisogno d’aiuto!”

Gabriel si accostò all’amata e le sussurrò: “Per favore, vai fuori per qualche minuto, almeno finché non si sarà calmata. Ha già aggredito, ti prego, non corriamo pericoli.”

“Tu, qui, da solo, ne correrai.”

“Sarà solo per pochi minuti … Facciamo così: esci e telefona a Stefano, dovrebbe essere ancora in giro. In tre, qua, potremo stare più tranquilli, ma adesso vai.”

Claudia, più per compiacere Gabriel che per propria convinzione, uscì, intenzionata a rientrare il prima possibile. Fuori dal cancello, si accese una sigaretta, ma dopo un paio di tiri si ricordò di essere incinta e che non andava bene fumare, per cui la gettò a terra e si disse che avrebbe fatto meglio a togliere le sigarette dalla borsetta, in modo da evitare di fumare, quand’era sovrappensiero. Si chiese se Gabriel fosse serio quando le aveva detto di chiamare Stefano, ad ogni modo le parve una buona idea e, quindi, prese il telefono e chiamò.

“Pronto.” rispose il ragazzo.

“Ciao Stefano, sono Claudia, sei già rientrato a casa?”

“No, ma mi stavo avviando; perché?”

“Potresti raggiungerci qui da Lucrezia, per favore?”

“Va bene … come mai? Ci sono complicazioni?”

“All’incirca. Lucrezia sta avendo una crisi e non vuole ch’io stia in casa. Pensiamo che sia meglio avere un’altra persona che dia una mano a Gabriel, non mi piace l’idea di lasciarlo solo.”

“Va bene, arrivo subito. Per fortuna, sono in zona.”

Nel frattempo, Gabriel era ancora intento nel cercare di far calmare Lucrezia, che stava ormai delirando e le convulsioni erano diventate veri e propri attacchi epilettici.

Gabriel fece ciò che gli era stato insegnato per affrontare crisi epilettiche, per cui sdraiò la ragazza, le tenne sollevati i piedi e controllò che non si facesse male da sola durante gli spasmi e che il corpo non si irrigidisse eccessivamente.

Dopo alcuni minuti, le convulsioni iniziarono a scemare, fino a cessare. Lucrezia riprese conoscenza, si mise a sedere, si guardò attorno smarrita e cominciò a piangere, ovviamente molto lentamente, poiché era ancora stordita. Gabriel le carezzò la testa per confortarla e le disse: “Tranquilla, è passato.”

“No.” replicò seccamente la ragazza, pur faticando a parlare e facendolo molto lentamente “Quella era la loro punizione perché ho avvertito Claudia. Loro torneranno presto.”

Lucrezia era priva di energie per quell’attacco ed era in una condizione di torpore, per cui si addormentò nell’arco di pochi minuti. Gabriel la sollevò e la trasportò in camera, coricandola su un lato. Sperando dormisse per qualche ora, scese a cercare Claudia.

“Allora? Come sta?” chiese la psicologa, appena vide l’amato.

“Ora dorme. Ha avuto una crisi epilettica e ha dato la colpa alle voci, ha detto che era una punizione.”

“Beh, direi che a questo punto si può dare per certo che senta effettivamente delle voci e che non siano una scusa per nascondere delle pressioni sociali. Bisogna capire che tipo di patologia sia. La presenza di attacchi epilettici restringe un poco il campo, ma non abbastanza.”

“Non lo so, secondo me queste voci non sono frutto della sua immaginazione, ma esistono davvero.”

Claudia stava per replicare, ma finalmente sopraggiunse Stefano.

“Ciao, scusatemi, ho fatto il più preso possibile.” salutò, trafelato “Avete già risolto?”

“Per il momento dorme.” spiegò Gabriel “Ma appena si sveglierà, potrebbe avere altre crisi. Io e Claudia stavo discutendo sulla natura delle voci che sente. Piuttosto, perché mi hai chiesto se Lucrezia fosse mestruata?”

“Quelle voci sono larve che hanno bisogno di sangue per ottenere una parvenza di esistenza.”

La psicologa lo guardò piuttosto scettica, come a chiedere maggiori spiegazioni per quell’assurda affermazione. Gabriel, invece, parve molto interessato. Stefano, allora, riassunse quel che aveva scoperto, parlando con Giuditta.

“È perfetto!” esclamò l’ex gesuita, che era convinto di quella tesi “Fantasmi che avvicinano persone in condizioni psichiche difficili.”

“Molto pittoresco, sì.” ribatté Claudia “Ma è una teoria che non ha nessun fondamento scientifico! Come possiamo verificarla? E poi quale sarebbe la soluzione? Lavoro terapeutico con Lucrezia, finché non spezza il legame che ha con queste voci?”

“Un modo per verificare se si tratta davvero di questo c’è, credo.” disse Stefano “Solo che ci serve del sangue … parecchio.”

“E dove lo troviamo?” domandò Claudia “Non possiamo certo scannare qualcuno.”

“Un macellaio.” intervenne Gabriel “I macellai hanno sempre del sangue di maiale.” guardò l’orologio: era l’una “Credo che il macello comunale apra tra un paio d’ore. Potremo andarci e prendere un po’ di sangue.”

La donna storse il naso, poi scosse la testa e si rassegnò: “Va bene, magari servirà a farvi capire l’assurdità di quest’ipotesi.”

Dopo un’ora e mezzo circa, Stefano riprese l’auto e si avviò verso il macello comunale. Tornò alla casa di Lucrezia attorno alle quattro del mattino, portandosi dietro alcuni litri di sangue. Entrò nell’abitazione e fu informato che la ragazzina ancora dormiva. Gabriel fu del parere, però, di agire subito, per cui portarono una bacinella nella stanza della ragazza e vi versarono dentro le sacche di sangue. Claudia rimase sugli stipiti ad osservare con scetticismo, mentre i due uomini si accomodarono su delle sedie e aspettarono.

Per i primi cinque minuti non parve accadere nulla e la psicologa stava già cantando vittoria, ma poi la superficie del sangue raccolto iniziò a vibrare, piccole onde che andavano man mano ad incresparsi sempre di più. Cominciarono, poi, ad emergere delle bolle e pian, piano la bacinella aveva preso a ribollire completamente. Il livello del sangue iniziò a calare e nell’aria andavano a comporsi strane figure di fumo o vapore, era difficile da dire.

Claudia era impietrita e le vennero i brividi, ricordandosi dell’uomo nero.

Gabriel, per un momento, rimpianse che non ci fosse Isaia, pronto a sfoderare il crocefisso ed ad esorcizzare.

Stefano in prima istanza, avvertì un brivido attraversargli la spina dorsale, ma la paura durò non più di un paio di secondi. Immediatamente il giovane si sentì tranquillo e non capiva proprio perché. uno strano luccichio si fece largo nei suoi occhi

Quando il sangue nella bacinella fu scomparso del tutto, il vapore aveva assunto l’aspetto di quattro figure umane, delle quali si potevano distinguere i contorni e le cavità nere al posto degli occhi.

Grazie …. riecheggiò nelle teste dei tre umani.

Come possiamo ripagarvi? Chiedete …

Gabriel e Claudia si fissavano, basiti, non sapendo di preciso cosa fare, come comunicare con quegli esseri, come capire se fossero buoni o malvagi.

Stefano, invece, osservava le creature. I suoi occhi, in quel momento, non erano verdi bensì azzurri, di un celeste brillante. Il giovane si alzò in piedi e avanzò verso quegli esseri.

“Stefano, che fai?” chiese Gabriel, non capendo che intenzioni avesse il suo discepolo.

Il ragazzo non rispose, in realtà non lo sapeva neppure lui con esattezza: sentiva come un’energia dentro di lui che lo guidava.

“Chi siete?” domandò il seminarista.

Giuseppe de’ Forti

Leon Tegghiaio

Serafina Vallisneri

Camilla Este.

“No. Un nome non è essere. Chi siete?”

Sono un fabbro.

Sono un ragioniere.

Sono sarta.

Sono nobildonna.

“No. Un mestiere non è essere. Chi siete?”

Dopo qualche momento di silenzio, si sentì:

Sono orgoglioso e tenace.

Sono timido e preciso.

Sono allegra e curiosa.

Sono distinta e colta.

“No. Gli attributi non sono essere. Chi siete?”

Gli esseri di vapore si guardarono smarriti tra loro, non sapevano più che cosa rispondere ed era come se fossero presi dal panico.

Stefano continuò: “Voi non siete. Avete lasciato il vostro essere da tanto tempo, ormai. Siete maschere senza attore, siete burattini senza la mano ad animarli. Voi non siete!”

A quelle parole, d’improvviso, le figure svanirono nel nulla in un istante.

Il ragazzo sbatté le palpebre e i suoi occhi tornarono verdi.

Gabriel, incredulo, gli si avvicinò e gli chiese: “Cos’è successo? Cos’hai fatto?”

“Non so; io … io ho parlato, ho seguito l’istinto … Giuditta mi ha detto di dire ciò che mi sentivo …”

“Dai, adesso mi rispiegherai con precisione tutto.” replicò gentilmente l’uomo “Andiamo al piano di sotto per non svegliare Lucrezia. Più tardi vedremo se è effettivamente tutto passato.”

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Capitolo 7
*** Conversazioni ***


Stefano aveva raccontato per filo e per segno a Gabriel e Claudia l’incontro che aveva avuto con Giuditta e non tralasciò nessun dettaglio, incluse anche la descrizione dell’apparizione del vaso e della sua scomparsa. Il ragazzo pensò che, forse, non avrebbe dovuto riferire di quell’episodio, poiché Giuditta gli aveva detto che quella dimostrazione la faceva solo a te perché sei tu. Strane parole anche quelle, a ben pensarci, chissà cosa significavano … Ad ogni modo era convinto di non aver certo il segreto professionale da mantenere, in quelle circostanze, anzi!, lui aveva indagato proprio per verificare l’esistenza di un potere e, ora che la conosceva, gli era doveroso riferirla.

Sia Gabriel che Claudia rimasero alquanto perplessi per tutto ciò che sentirono: spiegazione della magia, un incantesimo di un certo livello, la composizione degli uomini e di quelle larve che erano appena state annientate … tutto ciò aveva dell’incredibile e non potevano esserci basi su cui fondarlo, tuttavia bisognava ammettere che, almeno, la ragazza aveva avuto ragione circa il come debellare quelle voci … o almeno così sembrava, la certezza l’avrebbero avuta solo quando Lucrezia si sarebbe svegliata.

La ragazzina si ridestò verso le nove del mattino, i suoi genitori erano già rientrati in casa. Lucrezia era estremamente di buon umore, si sentiva più leggera, più libera. Non sentiva più le voci che prima, invece, le erano costantemente vicine da mattina a sera e spesso anche in sogno.

Sì, si era tutto risolto.

Lucrezia e i suoi genitori furono estremamente grati a chi li aveva aiutati in quel frangente così difficile ed inspiegabile e li invitarono a fermarsi per pranzo.

Dopo aver desinato a casa di Lucrezia e aver preso congedo, i tre si diressero verso le loro auto e Gabriel disse: “Stefano, va pure a casa e riposati: non è necessario che tu passi in Congregazione, oggi. Io e Claudia faremo lo stesso; abbiamo passato la notte in bianco e siamo tutti stanchi. Mi piacerebbe se domani facessi venire Giuditta in Congregazione, vorrei scambiare alcune parole con lei.”

“Certo, Gabriel; glielo scrivo subito.” rispose il ragazzo e prese il cellulare per scrivere un sms.

“Fammi sapere se accetta.” disse Claudia “Sono curiosa di conoscerla e, quindi, se passa in Congregazione, ne approfitto.”

“Come mai quest’interesse?” le chiese Gabriel, meravigliato.

“Beh, è senza dubbio una persona particolare e, poi, ne avete parlato così tanto, che sono proprio curiosa di vederla dal vivo e farmi una mia opinione.”

“E magari scoprire che ha subito qualche trauma.” scherzò Gabriel.

“Qualche trauma l’ha subito di certo, crescendo con Isaia, mi chiedo, però, quali possano essere. Inoltre voglio scoprire che cosa nasconde sotto la sua teatralità e la sua supponenza.”

Stefano prese congedo dagli altri due e rimasero d’accordo nel trovarsi il pomeriggio seguente.

Quel giorno non fu facile convincere Giuditta ad accettare l’invito: sosteneva di avere parecchio da fare nel pomeriggio. Il ragazzo insisté e le accennò brevemente a quel che era successo da quando l’aveva salutata. Giuditta sospirò ragionò un poco e poi acconsentì: “E va bene … Sposterò l’incontro delle 17, vieni per quell’ora a prendermi in albergo, d’accordo?”

Così, il pomeriggio seguente, i due giovani si ritrovarono in auto, per andare in Congregazione.

La ragazza esordì subito: “Questione numero uno: voglio sapere con esattezza tutto quello che hai fatto e sentito quando ti sei trovato le larve davanti.”

Stefano rimase un poco sorpreso per quella curiosità, ma subito rispose: “Beh, ecco, dapprima ho provato come ribrezzo e ho avuto paura … praticamente hanno iniziato a comporsi nell’aria sottoforma di vapore addensato, non me lo aspettavo, mi ha sorpreso. Poi, però, è sorta una strana consapevolezza in me, non saprei definirla diversamente. D’improvviso ho avuto la certezza che quegli spettri non fossero nulla e io, invece, mi sentivo forte. Non so perché, ma mi sono sentito estremamente sicuro di me stesso, era come se della potenza mi scorresse al posto del sangue … non so descriverlo.”

“Va bene, ho capito, vai avanti.”

“Beh, ecco, insomma, io non so bene che è successo. Sentendomi così pieno di forza, non ho più avuto paura e sono avanzato e, parlando, li ho messi davanti alla realtà dei fatti: ossia che essi non erano nulla e non avevano ragione di esistere e quelli si sono dissolti. Non so bene come sia stato possibile. Dopo, comunque, quella sensazione di forza e potere è scemata.” il ragazzo tacque alcuni istanti e poi chiese: “Tu sai cosa sia successo? Avevi detto ch’io solo potevo riuscirci … che cosa sai? … C’entra con quello che è successo quando ho guardato nella fera di cristallo?”

“Più o meno …” si limitò a rispondere Giuditta, guardando fuori dal finestrino “Ho una teoria.”

“Quale?”

“Non parlo, quando non sono sicura di qualcosa e, anche quando ho delle certezze, riservo le mie informazioni per pochi. Questo ci porta alla seconda questione di cui dobbiamo parlare: che cosa hai raccontato ad Antinori?”

“Tutto.”

“Tutto?!” il tono della donna era a metà tra lo sconcertato e il seccato.

“Sì, perché?” per un attimo, Stefano spostò gli occhi dalla strada e guardò la ragazza.

“Gli hai parlato pure della magia che ti ho mostrato?”

Il ragazzo si rese conto di essere nei guai e con un certo imbarazzo rispose: “Sì. Gabriel è il mio mentore e io non gli posso e non gli voglio tenere nascosto nulla.”

“Sei un idiota!”

“Ma …”

Shhh!” lo interruppe Giuditta con veemenza “Ti avevo addirittura accordato di insegnarti ad utilizzare la luce astrale! E tu vai ad infrangere uno dei quattro pilastri su cui si regge il potere!”

“Ehi, di questi quattro pilastri non me ne hai fatto menzione l’altra sera!” si difese il seminarista, scocciato a propria volta “Comunque, quali sarebbero?”

“Sapere, volere, osare e tacere. Tacere! Tacere, accidenti! E tu qual è la prima cosa che fai? Andare a riferire tutto ad Antinori! Ha ragione mio fratello a dire che sei schifosamente sottomesso ad Antinori!”

“Ehi, lui merita tutta la mia stima, il mio rispetto e la mia devozione! Mi ha salvato la vita ed è stato un punto di riferimento importantissimo! Non hai idea di quanto mi abbia aiutato a riprendere la mia vita normale, dopo che …”

“Giochi ancora a rugby?”

“Cosa?! … No, ma è perché l’università mi porta via parecchio tempo.”

Giuditta scosse la testa con disapprovazione, poi domandò ancora: “I tuoi amici li vedi ancora? Quanti? Quanti di quelli che ti hanno visto nel periodo in cui il tedesco era in te?”

“L’andare all’università ci ha allontanati, ma …”

“Come mai hai deciso di diventare prete? Hai sentito realmente la chiamata di Dio?”

“Sì, certo!” si era parecchio innervosito: quelle parole lo ferivano molto, perché erano vere o, almeno, molto vicine alla verità.

“Stefano, ti stai appoggiando ad Antinori, come ad una stampella.” gli disse Giuditta, tornata tranquilla “La realtà è che ti vergogni, di fronte ai tuoi amici, di quello che è successo l’anno scorso, col tedesco. Non solo hai paura dei loro giudizi, ma hai anche timore che possa ricapitare.”

“Che cosa ne vuoi sapere, tu?!” replicò lui, che non sopportava che qualcuno, tanto meno un’estranea, avesse così perfettamente chiaro il suo animo.

“la paura non si addice ad un mago. Dovrai liberartene completamente, se vorrai che ti insegni qualcosa. Ammesso e non concesso che ti ritenga adatto ad apprendere la scienza sacra: per ora non sei affatto idoneo; ne riparleremo quando non avrai più paura e quando non andrai più a raccontare ad Antinori le mie faccende.”

“D’accordo, ho capito che volevi rimanesse un segreto, certo avresti potuto dirmelo! Mica me lo posso immaginare!”

“Credevo fosse superfluo dirlo! Comunque, immagino che Antinori mi farà domande su quel che gli hai raccontato, giusto?”

“Beh, anche per la faccenda delle larve: è curioso di capire come sai queste cose.”

“Circa le mie nozioni risponderò tranquillamente, ma sappi che negherò di aver fatto magie.”

Stefano scosse il capo e non aggiunse altro: ormai erano arrivati in Congregazione.

Gabriel e Claudia stavano aspettando nello studio di Alonso, c’era anche l’archivista con loro.

“Claudia, per favore, lascia parlare me per primo.” disse l’ex gesuita.

“Dovrò pur presentarmi, non credi?”

“Sì, certo, ma poi cerca di osservare e basta, finché non saremo certi di che umore sia. A volte ha un caratteraccio! Non voglio che tu ti innervosisca, sarebbe dannoso.”

“Gabriel, ho appena iniziato il terzo mese, se anche mi agito un poco, il bambino non ne risentirà!”

“Va bene, però tu resta calma: tanto è inutile discutere con lei.”

“Lo vedremo. Mi basterà capire alcune cose di lei e sarà facilissimo sapere su cosa far leva per renderla docile.”

Gabriel sospirò, si voltò verso l’amico e gli chiese: “E tu, Alonso, che cosa ne pensi?”

Sono due done decise, reslute e pine de grinta: se letigano, ce sarà muy da deverterse.”

Gabriel scosse la testa. In quel momento si sentì bussare alla porta ed un attimo dopo entrarono Stefano e Giuditta.

Claudia puntò subito lo sguardo sulla ragazza e osservò la sua postura, il suo modo di incedere e il suo abbigliamento: un paio di leggins neri, abito dello stesso colore, ma decorato con dei gatti rosa, dei fiorellini azzurri e gialli e una fascia sotto al seno e alla scollatura a vu.

La psicologa pensò che fosse un vestiario da giovane normale e semplice, forse la fantasia era un po’ estrosa e, certamente, le ragazze attente anche solo un poco alla moda non lo avrebbero mai indossato, tuttavia non denotava nessuna voglia di attirare l’attenzione. Beh, sì, forse l’attenzione l’attirava il seno prosperoso messo abbastanza in evidenza, ma quella era ormai diventata una prassi tra le donne di ogni età e, quindi, non era un elemento indicativo per dedurre qualcosa.

Claudia si fece avanti, porse la mano e si presentò: “Molto piacere, Claudia Munari.”

“Piacere mio, Giuditta Morganti.” ricambiò cortesemente l’altra “Mio fratello mi ha scritto qualcosa su di lei.”

“Immagino fossero cose orribili.”

“Alle volte. Cambiava tono a seconda dei casi.”

“Mi stupisce!” era un tono un po’ sprezzante “Mi stupisce, visto l'odio che Isaia ha nei miei confronti, solo per il mio razionalismo di fronte a certi fatti. Il più delle volte, poi, mi ha trattata con sufficienza o condiscendenza, come se fossi un’idiota e lui, invece, chissà che. Immagino ti abbia raccontato il caso di quei tre fratelli che hanno visto l'apparizione.”

“Sì, in realtà era contento che alla fine fosse emersa la verità e gli dava fastidio che si sia innestato un falso culto. In quel caso si è lamentato di lei per la sua mancanza di rispetto e la pretesa di intervenire come se il caso fosse di sua competenza.”

“Mancanza di rispetto? E per cosa? Comunque è stato Gabriel a chiedermi una consulenza, per cui avevo pieno di diritto di intervenire.” guardò con sfida la ragazza, prima di proseguire: “Senti, quell'allucinazione (perché era un'allucinazione) era causata dalle spore della muffa che stavano nella grotta in cui quei i tre ragazzi andavano a pregare. Si tratta di microtossine. Tant'è che il più piccolo dei tre si è addirittura sentito male, lì dentro. Ho semplicemente portato il fondamento scientifico alla luce.”

“Infatti per quello Isaia non aveva nulla da ridire. Non gli andava bene che lei gli desse del tu, quando lui continuava a darle del lei. Inoltre quel caso era di competenza della chiesa e lei, nel fare le sue indagini, avrebbe dovuto essere meno arrogante. Senza considerare il fatto che, se di pura allucinazione si è trattato, come mai Antinori ha sentito quel che l’apparizione ha detto ai ragazzi e viceversa? Comunque non mi pare il caso di discuterne.”

Gabriel intervenne, cercando di porre fine davvero a quell’inutile battibecco: “Concordo, non c'è bisogno di parlare di Isaia. Siamo qui per chiarire un po'  quel che è capitato circa il caso di Lucrezia e perché tu, Giuditta, sapessi cosa stesse accadendo.”

Claudia non si diede per vinta ed insisté: “No, no, no. Prima voglio risolvere questa faccenda. Per quanto riguarda la questione del tu, beh ormai lo conosco da due anni e posso permettermi di non dargli del lei, ma se era questa, la cosa che lo infastidiva, poteva dirmelo apertamente.”

Giuditta si passò una mano sulla fronte e disse: “Senta, sinceramente, non ho interesse a farle cambiare idea su mio fratello.”

“Tanto non ci riusciresti comunque, credimi.” replicò Claudia, con un sorriso di vittoria.

“Perfetto, allora siamo d'accordo. Antinori, che cosa vuoi sapere di preciso?

“Stefano ci ha un po’ esposto la tua teoria, vorrei però sentirla con esattezza da te.” rispose l’uomo.

Giuditta ripeté le stesse cose che aveva spiegato al seminarista.

Claudia ascoltò con attenzione, per poi dire: “Ma su quali basi si fonda questa teoria? Spirito, mediatore plastico...solo sull'ego posso condividere.”

Giuditta, un po’ seccata, ribatté: “Senta, ha funzionato? Questo dimostra che ho ragione. Una cosa esiste e si può sfruttare anche se non c'è una formula scientifica che la descrive.”

Claudia ammise: “Non posso negare di avere effettivamente visto degli...spettri? Tu, però, ci vieni a dire che sono brandelli di ego di gente morta da secoli! È assurdo!”

La ragazza cercò di essere conciliante: “Lei è una psicologa, ma non ha idea di cosa la mente e l'ego possono provocare al di fuori dell'individuo. Vede, lei e mio fratello non andate d'accordo proprio perché studiate il medesimo fenomeno, ma lei si ferma alle cause, mentre Isaia considera solo gli effetti.”

Claudia la guardò perplessa e fece un cenno del capo per invitarla a proseguire.

“Quando si trova davanti ad un fenomeno paranormale, lei fa benissimo ad interrogarsi sulle cause psicologiche, ma ciò non toglie che i fenomeni esistano davvero. Il fattore psicologico è come l'energia che genera il fenomeno. Il trauma, la paura o quel che è a seconda dei casi, stimola l'immaginazione e dà forza alla fantasia per concretizzarsi tramite la luce astrale. Riesce a capire?

“Sì, sul primo... ma non la luce astrale! Che accidente sarebbe?”

“Eh va beh, il 50% è già tanto. Ha presente quando i disagi vengono somatizzati e i fenomeni di psicosomatismo?”

“Certo!”

“Ecco, quelli avvengono quando la luce astrale agisce sull'individuo stesso.”

“Ah...! Perdona lo stupore, ma è la prima volta che ne sento parlare.”

“Non è scettica al riguardo?”

“Sì, anche.” Claudia ritrovò la sua disinvoltura.

“Ah, ecco, mi sembrava strano ... Comunque questo è quanto.”

“Quindi, come farebbe tuo fratello, attribuisci il fenomeno a qualcosa di paranormale e sostieni che Lucrezia non ha nessuna patologia.”

Giuditta sospirò, rendendosi conto di non essere stata del tutto compresa, poi disse: “Per quel che ne posso sapere io, direi che Lucrezia dovrebbe cercare di mitigare le proprie paure, se non vuole che altre larve le si accollino. Dottoressa, il suo intervento psicologico è basilare per evitare che la ragazzina attiri altri spettri.”

“Bisognerebbe scoprire prima di cosa ha paura.” fece osservare Claudia.

Giuditta le sorrise e replicò: “Questa è sua competenza, dottoressa, per cui le lascio carta bianca.”

Claudia sembrò soddisfatta e concluse: “Perfetto, ti ringrazio.”

Gabriel era alquanto incredulo, infatti si lasciò sfuggir detto: “Sono stupito.”

“Da che cosa?” gli chiese la psicologa.

“Non credevo che trovaste un punto di accordo così facilmente.”

“In verità, neanch'io, all'inizio.” confermò la sua donna.

“Bene, sono felice che tra voi due le cose siano a posto.” si rallegrò Gabriel “Non avrei sopportato respirare ancora la tensione che c’era quando Isaia si trovava in presenza di Claudia. Tornando a noi, Giuditta, Stefano dice che tu hai dei poteri; puoi farci vedere?”

La giovane scoccò un’occhiataccia al seminarista e parve indecisa, poi guardò Gabriel e gli disse: “No. Non sono un fenomeno da baraccone. Quel che so fare è qualcosa di sacro e non vi si può attingere ad ogni piè sospinto, anzi, vi si ricorre solo in estrema necessità. Non ho bisogno di dimostrare nulla: che crediate o meno, per me non fa differenza.”

Gabriel la guardò come per dire che la capiva e, con tono comprensivo e dispiaciuto, le disse: “Ascoltami, non devi avere paura. Non so che cosa Isaia ti abbia detto di ciò che fa la Congregazione e, immagino, lui avrà fortemente condannato qualsiasi sorta di potere soprannaturale, comunque ti puoi fidare di noi. Non mandiamo più nessuno al rogo da tempo e, ti garantisco, è tuo fratello la minaccia maggiore: si è schierato con dei folli sanguinari che hanno come unico obiettivo quello di uccidere chiunque manifesti dei poteri, è lui il tuo nemico, non noi! Abbi fiducia, ti aiuteremo. Noi siamo qui per sostenere le persone dotate: ti insegneremo a controllare il tuo potere.”

Giuditta di mise a ridere, portando inquietudine tra chi la guardava; scosse il capo negativamente, poi guardò l’ex gesuita e dichiarò con risolutezze: “Isaia non mi farebbe mai del male!”

A Gabriel dispiaceva rattristarla, ma doveva farle capire la verità: “Ha tentato di uccidere me, che ero il suo migliore amico; mi chiamava fratello e non solo perché eravamo entrambi gesuiti, eppure …”

“Antinori, io non rischio di portare l’Inferno in Terra e, a differenza tua, so controllarmi perfettamente.” il tono era stato molto secco, sicuro e non ammetteva repliche.

Prima che qualcuno avesse il tempo di dire alcun ché, si sentì un cellulare suonare; era quello di Giuditta. La ragazza prese il telefono, guardò sul display chi fosse, sorrise e poi disse: “Scusatemi un attimo.” e uscì dalla porta.

Appena nel corridoio, la donna si guardò attorno e, non essendoci nessuno, rispose: “Pronto.”

“Ciao, Giuditta, ti disturbo?” chiese la voce di Isaia.

“Non proprio. Sono in Congregazione, adesso, mi hai giusto tolto da una discussione con Antinori. Anche se sono qui, possiamo parlare: farò in modo che nessuno possa sentirmi o vedermi.”

La ragazza si concentrò e, ricorrendo ai propri talenti, poté fare in modo di ‘vibrare’ su un piano diverso da quello della normale percezione sensoriale.

“Allora, come stai?” si interessò lei “I tuoi nuovi subordinati sono obbedienti o ti stanno creando dei fastidi?”

“Per ora sembra che stiano accettando le mie prime proposte di riforma, per cui sono soddisfatto. Lo studio dei testi di Giacomo il Giusto e dei libri che mi hai consigliato tu, si sta rivelando veramente proficuo.”

“Davvero?!” si rallegrò lei.

“Sì; i miei poteri gesuitici si sono incredibilmente rafforzati e ho scoperto di poter fare molto più di quel che credevo!” si poteva percepire l’entusiasmo controllato nella voce di Isaia “E credo pure ci sia dell’altro, ma non ho ancora ben definito che cosa sia.”

“Dimmi, dimmi!” lo esortò la sorella, con speranza.

“Sì, adesso ti spiegherò, ma prima riferiscimi tu, circa come è la situazione lì. Gabriel è tranquillo? Serventi ha fatto qualcosa?”

“Qui, finora, non è capitato nulla di particolare. Del Candelaio non c’è traccia e Antinori, a parte l’essere il solito borioso, non crea problemi.”

Intanto, nello studio di Alonso, non appena la ragazza era uscita, Gabriel aveva scosso la testa rattristato, poi si era rivolto verso Claudia e le aveva chiesto che cosa ne pensasse.

“Le ho parlato appena cinque minuti.” si giustificò lei “Non posso certo tracciarne il profilo psicologico. Mi pare però evidente che lei non si senta particolarmente sicura, altrimenti non avrebbe ribadito così tante volte che non deve dimostrare niente e che non deve convincere nessuno. Mi sembra pure che abbia molto idealizzato Isaia e che nutra per lui un attaccamento, oserei dire, morboso, tuttavia forse è ancora presto per dirlo.”

“La devocione per il suo hermano c’è securamente.” confermò Alonso, che aveva ascoltato tutto con attenzione “Ma esto lo se sapeva già. Circa la sua insicurecia, invece, non saprei: a me es sempre parsa una ragacia muy secura de sé.”

“Lo sanno tutti che è tipico delle persone impaurite, l’ostentare sicurezza e disinvoltura.” gli ricordò Claudia.

“Se può esserti utile per la diagnosi” intervenne Stefano “Mentre venivamo in qua, era molto irritata. Dava come l’impressione che considerasse il venir qua una perdita di tempo. Secondo me, davvero non gliene importa del nostro giudizio.”

“Avrà paura che noi si dica in giro qualcosa che le faccia perdere clienti.” ribatté Claudia.

“No.” la contraddisse Gabriel “Credo che abbia timore di quel che le accadrebbe se ammettesse davanti alla Congregazione il proprio potere, dobbiamo dimostrarle che le siamo amici e che non è sola.”

“Quale potere, Gabriel?” lo richiamò Claudia “Non ti ha mostrato nulla e tutti quei discorsi di luce astrale non valgono nulla!”

“Io l’ho vista far apparire e sparire un vaso!” sottolineò Stefano “E ti assicuro che non era un trucco e che non c’erano sostanze allucinogene nei paraggi.”

“Puoi ridescrivermi il fatto, per favore?” chiese la psicologa che, dopo aver ascoltato, disse: “Ologrammi, esistono già, non sono fantascienza. Hai detto che eravate seduti al suo solito tavolino; evidentemente lì attorno sono posizionati dei proiettori che lei abitualmente usa per impressionare i suoi clienti. È per questo che si rifiuta di replicare la magia qui, ora: non potrebbe, non ha i proiettori di ologrammi preparati.”

“Effettivamente non è da escludere.” ragionò Gabriel “Stefano, il tuo compito di sorvegliarla non è ancora finito: c’è ancora da far luce.”

 

Intanto, su una terrazza di una villa chissà dove, una cameriera versò il tè in due tazze poste ai due lati opposti di un tavolino e se ne andò. Un uomo elegantemente vestito, con in testa una bombetta e occhialini tondi e scuri sul naso, versò alcune gocce di latte nella propria tazza. Di fronte a lui sedeva Serventi che lo scrutava e gli chiese: “Allora, lo farai?”

“Mi chiedi molto, Bonifacio.”

“Non mi pare, in fondo è quello che fai sempre, no?”

“Sì, ma lo faccio velatamente: è dai tempi di Nathaniel e Spallanzani che …” ridacchiò “… non do nell’occhio, per così dire.”

“Su, fa un favore ad un vecchio amico. Pensa alla possibilità che ti offro: quando ti ricapiterà di poter gettare la tua sabbia negli occhi di un’entità simile e di poterli sostituire con i tuoi di vetro? Devi solo attirare la sua attenzione, lavorando a pieno regime, Uomo della Sabbia.” Bonifacio abbozzò un sorriso.

L’uomo con la bombetta bevve un lungo sorso, poi appoggiò la tazzina e disse: “E va bene, tanto ormai i tempi sono più che maturi: se non mi concedo una grande esibizione ora, potrei non avere altre occasioni.”

“Perfetto.”

“Grazie per la dritta, amico mio, effettivamente mi hai indicato un’ottima preda.”

 

 

Nota dell'autrice: Grazie a tutti voi che seguite la mia fanfic, spero vi stia piacendo. Diversamente da quanto annunciato, non durerà solo 10 capitoli, ma un po' di più. Grazie ad Alex Piton per il suo aiuto!

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Capitolo 8
*** Paimon ***


Era tardo pomeriggio e il Sole iniziava a tramontare, nascondendosi dietro alle colline rocciose che sorgevano ad ovest del pianoro fuori dalla periferie di Gerusalemme. Era un alternarsi di piccoli appezzamenti di  terreno coltivati, tratti desertici e zone erbose per il pascolo. Un giovane pastore stava tenendo dietro alle proprie capre; dal momento che era ormai il momento di rientrare a casa, aveva iniziato a radunare il suo bestiame e, mentre si aggirava nei pressi del pascolo per assicurarsi che nessuna capra si fosse smarrita, ecco che vide qualcosa di straordinario: un montone completamente d’oro! Il vello, le corna, tutto quanto era aureo, tranne gli occhi. Lo sentì belare.

Il pastore era incredulo, ma colmo di felicità: quella bestia era la soluzione a tutti i suoi problemi; se l’avesse catturata, avrebbe potuto rivendere l’oro e fare una vita da nababbo.

Decise di avvicinarsi con circospezione, per non spaventare l’animale. Il montone, tuttavia, iniziò a muoversi, andando verso le colline rocciose. Il pastore, allora, accelerò, ma pure la bestia si mise a trottare. L’uomo non si arrese e si mise a correre e l’inseguimento durò diversi minuti, poi il montone iniziò a salire su un’altura e il pastore dovette rallentare per arrampicarsi. Ad un certo punto l’uomo vide l’animale entrare in un cunicolo piuttosto largo; certo che ormai il montone d’oro fosse suo, il pastore si affrettò a raggiungere la cavità e ad entrarci. Il tunnel era buio, ma presto l’uomo scorse una luce in fondo, non si spaventò e avanzò e giunse in una grotta illuminata da una luce priva di fonte. Al centro della caverna vide il montone d’oro e, accanto ad esso, vi era l’uomo con la bombetta.

Il pastore, sorpreso di trovare qualcuno lì dentro, domandò: “È tuo quell’animale?”

“Sì, ma posso vendertelo.”

L’uomo se ne sorprese e chiese: “Cosa vuoi?”

“Un occhio della testa, anzi, due.” ridacchiò.

“Non ne vale la pena! Se devo spendere più di quanto guadagnerò, vendendolo, non mi interessa.”

“Oh, ma non è il denaro che voglio. Vieni, avvicinati.”

Il pastore esitò qualche istante, poi raggiunse l’uomo con la bombetta e domandò: “Che cosa vuoi, allora?”

“Te l’ho detto: i tuoi occhi.”

“I miei occhi?” sbalordì il pastore.

“Sì.” rispose con estrema calma l’altro “Ma non resterai, cieco, anzi! Li sostituirò con questi!” mostrò un paio di occhi di vetro assolutamente perfetti “Ti permetteranno di avere una nuova visione delle cose: la mia. Che ne dici? È un prezzo che è disposto a pagare, per avere questo montone d’oro?”

Il pastore fu incerto, guardò gli occhi, guardò il montone e alla fine acconsentì: “Va bene, fai quel che vuoi.”

“Eccellente.” sorrise l’uomo con la bombetta “Inginocchiati e riversa la testa all’indietro, in modo da guardare verso l’alto.”

Il pastore obbedì e si mise come richiesto. L’altro uomo tirò fuori un sacchetto da una tasca interna della giacca dell’abito, sciolse il laccio che lo stringeva, vi immerse una mano e prese della sabbia che poi lanciò negli occhi del pastore che si mise ad urlare, disperato implorava di smetterla, provò a ripararsi con le mani, ma le sue braccia erano bloccate.

Sabbia, sabbia, manciate di sabbia finché i bulbi oculari del pastore non uscirono sanguinanti dalle orbite e caddero a terra.

L’uomo con la bombetta schiacciò col piede quegli occhi, poi prese quelli di vetro e li inserì nelle cavità vuote.

Il pastore sbatté le palpebre qualche volta, poi, guardando l’altro uomo, disse: “Padrone.”

L’uomo con la bombetta sorrise e i suoi occhialetti tondi e neri parvero celare il luccichio delle sue pupille; annuì e disse: “Sì, esatto, sono il tuo padrone, ora. Mi hai dato la tua volontà per una bestia.” indicò il montone che ora non era più d’oro “L’avidità o il potere fanno sempre sragionare i mortali.” scosse il capo “Aveva ragione Bonifacio, nel dire che mi sarei divertito. Con questo sono già a dieci, ma devo procurarmi più schiavi, se voglio attirare l’attenzione del Princeps.” guardò il pastore: “Suppongo tu abbia famiglia.”

“Sì, vivo coi miei genitori e i miei fratelli.”

“Molto bene, cenerò con voi: fammi strada.”

Il pastore fece un inchino col capo, poi si alzò in piedi e condusse l’uomo con la bombetta fuori dalla grotta e poi verso la propria casa.

 

Isaia era seduto nel proprio studiolo e stava facendo pratica di telecinesi: un altro dei potenziamenti del potere gesuitico che aveva scoperto negli ultimi tempi. Sentì bussare la porta, per cui rimise al proprio posto i libri che stava facendo volteggiare per aria e disse: “Avanti.”

Entrò Abdel Nassen, il templare che ormai stava diventando il suo luogotenente, che gli disse: “Gran Maestro, è successo di nuovo.”

“Cosa?!” si allarmò Isaia “Dove? Quando?”

“Nella piazza del mercato. Erano una cinquantina; senza alcun segnale di preavviso o intimidazione, hanno iniziato ad uccidere chiunque, senza distinzione, ebrei, palestinesi, turisti …”

“Perché non mi avete avvertito subito? Avrei voluto condurre io i nostri uomini alla difesa di quella povera gente.”

“Beh, un nostro drappello era già in zona e sono intervenuti senza aspettare un ordine. Come al solito, quegli assassini, si sono dispersi nel giro di breve, dopo dieci minuti che i nostri templari erano intervenuti, essi si erano già dati alla macchia.”

“Hanno agito anche questa volta in maniera rituale?” si preoccupò Isaia.

“Sì: prima hanno inciso un simbolo sul petto delle vittime e poi le hanno sgozzate. Ci sono, però, due informazioni rilevanti, questa volta.”

“Davvero?” si mostrò speranzoso Isaia.

“Sì: i nostri Templari sono riusciti ad esaminare un paio di cadaveri, prima che si dissolvessero nel nulla come al solito.”

Da oltre dieci giorni, infatti, a Gerusalemme si verificavano omicidi di quel genere: dei settari raggiungevano un luogo pubblico e iniziavano ad uccidere; era evidente, tuttavia, che si trattava di un rituale, infatti le vittime venivano sempre marchiate e poi uccise e dopo pochi minuti i loro corpi si dissolvevano nel nulla.

Isaia aveva subito capito che si trattava di una qualche setta satanica o che ci fosse un demone in giro, ma non aveva abbastanza indizi per capire quale entità fosse in gioco. I settari o posseduti erano talmente numerosi che i Templari rimasti a Gerusalemme non potevano fronteggiarli da soli, per fortuna, in più di un’occasione, erano stati aiutati da Franchi Giudici, che arrivavano sul luogo dello scontro, uccidevano e sparivano.

Abdel Nassen continuò: “Sono riusciti a ricopiare il simbolo che i settari incidono sui petti delle vittime; eccolo.”

Isaia prese il foglietto che gli era stato porto e gli bastò un’occhiata per capire: era un rettangolo coi lati prolungati terminanti con uncini, a parte la base maggiore inferiore che era delimitata da due cerchi; altri tre cerchi erano disegnati appena sotto la base maggiore superiore, sulla quale erano tracciate quattro ondine.

Paimon …” sussurrò Isaia, comprendendo quanto la situazione fosse grave.

“Che genere di demone è?” chiese Abdel che non era ferrato su quegli argomenti.

“Uno dei peggiori. Nella gerarchia infernale è un re (come Baal, ad esempio, che sicuramente hai già sentito nominare). È sottomesso solo a Satana. Insegna arti e scienze, dona onori ma, soprattutto, il controllo sugli uomini … quando non è egli stesso ad esercitarlo. Ora bisogna chiedersi se i settari siano suoi devoti che desiderano ingraziarselo e ottenere benefici da lui, oppure se è egli stesso a dominare queste persone.”

“Beh, ecco, c’è dell’altro.” disse Nassen.

“Cosa?”

“I nostri templari sono riusciti ad uccidere alcuni dei settari e hanno scoperto che …” era un po’ inorridito “Non avevano gli occhi.”

“Come?”

“Sì, cioè, i loro occhi non erano occhi veri, ma di vetro.” Abdel tirò fuori un sacchetto e lo rovesciò sulla scrivania del Magister Templi: diverse palline di vetro rotolarono su di essa.

Isaia ne prese una, constatò che erano occhi finti, si rabbuiò, pensò, poi disse: “Lasciami, per favore, devo studiare la faccenda per conto mio, sebbene mi paia evidente che stiamo avendo a che fare con Paimon in persona e non con dei suoi adoratori. Avvertimi se accade qualcosa e, la prossima volta, voglio prigionieri e non cadaveri.”

Rimasto solo, Isaia prese il proprio computer e si mise a cercare un testo che sapeva esistere in PDF.

Quando, poche ore più tardi, Isaia si trovò di nuovo in riunione con Abdel, gli spiegò: “Ho avuto la conferma di quel che sospettavo: quelli che uccidono non sono settari, bensì succubi di Paimon. Gli occhi di vetro mi han fatto venire in mente un vecchio racconto di Hoffman: L’Uomo della Sabbia. Riporta, in realtà, fatti realmente accaduti, solo in parte romanzati; comunque sia, una rapida ricerca mi ha confermato che Paimon esercita il suo dominio sugli uomini, solo dopo aver sostituito i loro occhi con quelli da lui fabbricati.”

“Perché proprio gli occhi?” domandò stupito Abdel.

“Da sempre si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, no? L’ipnosi, ad esempio, o il magnetismo di Mesmer, si praticano riuscendo, per così dire, a penetrare gli occhi. Gli occhi come presenza fisica della volontà, come muraglie che difendono la mente e l’anima di una persona. Paimon, non si limita a penetrare questa difesa e a controllare temporaneamente qualcuno, bensì sostituisce la volontà dell’individuo con la propria volontà e questo gli concede un controllo totale.”

“E perché uccide tutte quelle persone? Che cosa se ne fa?”

“Nutrimento per se e per le proprie legioni, suppongo; ne ha duecento.”

“Demoni legionari?”

“No, duecento legioni, per un totale di 600.000 demoni.”

“Speriamo non decida di schierarli tutti.” rabbrividì Abdel.

“Dobbiamo scoprire dove si trova e alla svelta. Non sappiamo neppure se stia possedendo il corpo di qualcuno, oppure se sia qui fisicamente. Nassen, per favore, allerta tutti gli esorcisti che abbiamo a disposizione, sarà arduo riuscire a scacciarlo.”

In quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Avanti.” esortò Isaia.

Entrò un templare che con molto rispetto disse: “Gran Maestro, c’è un uomo che vuole vedervi. Non so chi sia, ma mi ha consegnato questo come biglietto da visita.”

Isaia prese il foglietto e trasalì nel vedere di nuovo il sigillo di Paimon: dunque il demone gli stava lanciando una sfida e quelle stragi erano state compiute per attirare la sua attenzione. Probabilmente, allora, era stato lui stesso a permettere che i Templari individuassero il suo marchio e si accorgessero degli occhi di vetro … e ora gli mandava un emissario, perché?

“Fallo entrare.” ordinò Isaia, gravemente, deciso ad andare fino in fondo alla faccenda.

Un paio di minuti dopo, fece capolino nella stanza un uomo apparentemente normale, un palestinese, ma i suoi occhi non erano normali, era evidente che fossero di vetro.

“Buona sera, Princeps.” salutò il sopraggiunto.

Isaia e Abdel si scambiarono uno sguardo perplesso, ma non dissero nulla.

“Tu sai chi mi manda, vero?” proseguì l’uomo.

Isaia fece un cenno affermativo col capo e sibilò: “Paimon.”

“Oh, conosci il suo nome!” il posseduto parve turbato “Complimenti, non se lo aspettava: credeva che lo avessi individuato semplicemente col suo epiteto tradizionale, Uomo della Sabbia. Sei davvero degno di essere il Princeps.”

“Perché mi chiami così?”

“Non lo sai?!” si meravigliò l’uomo “Meglio per noi. Ora, parlando di ciò per cui sono stato mandato: il mio signore vuole che tu mi segua e ti presenti al suo cospetto.”

“Mi sembra una richiesta stravagante.”

Isaia supponeva che il demone volesse ucciderlo; comunque quella situazione gli sembrava paradossale.

“Oh, no di certo: lui vuole farti diventare uno di noi.”

“Si aspetta ch’io mi presenti a lui, dopo che mi avete messo al corrente delle sue intenzioni?”

“Non ne dubita: se non mi seguirai, uccideremo ogni essere vivente di questa città.”

Isaia fremette: non poteva permettere una cosa del genere; d’altra parte, però, non poteva neppure andare subito: non conosceva le reali forze di Paimon, non sapeva quante legioni avesse con sé; voleva aspettare di preparare una squadra di esorcisti e dar loro delle istruzioni.

Disse: “D’accordo, domattina mi condurrai da lui.”

“No.” disse seccamente il posseduto “Tu vieni ora. Tra mezzora inizierà il massacro, se non sarai arrivato dal mio signore.”

Isaia si fece scuro in volto: andare sarebbe stata una sconfitta sicura, tuttavia non poteva permettere che si scatenassero altre stragi. Deglutì, si fece forza pensando al fatto che, come erano aumentati i suoi poteri gesuitici, così forse si erano potenziati anche i suoi esorcismi.

Si alzò in piedi e disse: “Va bene, fammi strada.”

Il posseduto sorrise malignamente. Abdel balzò in piedi e cercò di opporsi: “Gran Maestro, voi non potete! Se …”

Nassen, questo è quel che devo fare. Tu e gli altri, se volete aiutarmi, pregate.”

 

In un palazzotto poco distante, Serventi e l’uomo con la bombetta erano seduti su divanetti bassi messi a cerchio attorno a un piccolissimo specchio d’acqua artificiale, decorate con tessere di mosaico dai colori sgargianti.

“Allora?” domandò Bonifacio, sdraiato sul divano, con le mani incrociate dietro la nuca.

“Sta venendo qui, ovviamente.” gli rispose l’amico “So sempre su cosa fare leva per convincere gli uomini a venire da me: ricchezza, potere, piaceri, o anche senso del dovere, senso di colpa e ancora e ancora, sono le ossessioni degli umani. Ogni persona ha un prezzo, più o meno materiale, per il quale è disposta a vendersi a me.”

“Lo so bene, è per questo che mi sono rivolto a te, per liberarmi di Isaia. Il suo tradimento non è servito a far scatenare Gabriel. Già era fastidioso prima, ora che a capo dei templari può seriamente ostacolarmi, per cui voglio che sia reso inoffensivo.”

“Ti accontenterò, amico mio, stanne certo. Quando me l’hai proposto, ero alquanto scettico, ma il fatto che lui non sappia chi sia mi renderà più semplici le cose e io avrò in mio potere il Princeps … quale soddisfazione maggiore potrei avere?”

“Ero certo ne saresti stato contento. Come ha intenzione di agire, ora che sta venendo qua?”

“Sono prudente, lo sai bene, prima farò in modo che si stanchi e affatichi, fronteggiando un po’ dei miei succubi e una legione. Dopo mi sarà facile farlo cedere alla tentazione.”

“Se sopravvivrà …”

“Hai detto che è il Princeps, certo che sopravvivrà, altrimenti mica mi davo tanto da fare!” si irritò l’uomo con la bombetta.

“Certo che è lui, ma, per nostra fortuna, ne sa ancor meno del suo amico, l’Eletto. Il tempo sta per scadere, se vogliamo che le cose non si mettano male per noi, dobbiamo …”

“Lo so, lo so, Bonifacio, è inutile che lo ripeti ogni volta. Io penso a lui, tu pensi al suo amico, dopo non resta che trovare il terzo e siamo a posto.”

“Già, ma se anche dovesse sfuggirci, due su tre dovrebbe comunque assicurarci il sopravvento.”

“Meglio garantirceli tutti e tre, anche perché poi dovremo litigarci pure gli altri quattro.”

“Loro sono ancora imprigionati. Se i miei calcoli sono corretti, dovremo attendere ancora venticinque anni, prima che i quattro siano liberati e si assista alla loro venuta, per cui possiamo concentrarci tranquillamente sull’Eletto, il Princeps e la Guida.”

Shhhh. È arrivato, devo concentrarmi.”

 

Isaia, infatti, scortato dal posseduto, era arrivato davanti al portone del palazzotto in cui si trovavano Serventi e Paimon, sebbene si aspettasse solo quest’ultimo. Il templare guardò con dispiacere il posseduto: non c’era possibilità di salvarlo, era come già morto, l’unica cosa che lo teneva in vita era la volontà del demone; rotti gli occhi, il corpo sarebbe caduto a terra deceduto.

Prima di entrare, Isaia rapidamente, con le dita afferrò gli occhi di vetro e li strinse fino a mandarli in frantumi. Da quando aveva iniziato i nuovi studi ed esercizi, tra le capacità e le qualità che aveva scoperto di possedere c’era anche una forza e una velocità fuori dall’ordinario; la cosa lo aveva un poco spaventato, considerando che anche Gabriel aveva manifestato caratteristiche simili, tal volta, come quando aveva scagliato lui contro un altare ad oltre dieci metri di distanza, oppure quando aveva sbalzato Yuri … in realtà, Isaia si era sempre chiesto come mai, quando era stato sbattuto d schiena contro un altare di pietra, non si fosse fatto praticamente alcun male.

Il templare, però, non stava certo pensando a queste cose in quel momento, mise la mano sulla maniglia della porta e l’aprì, rimanendo, però, fuori, pronto a reagire in caso di attacco.

Non era stato preparato nessun assalto, almeno apparentemente. La stanza era piena di persone, ma nessuna si scagliò, in quel momento, contro Isaia. Il templare abbassò per un istante lo sguardo sulla propria spada, sentendosi pronto a sfoderarla: si era allenato quotidianamente negli ultimi mesi e, anche se non era diventato uno schermidore provetto, era riuscito ad ottenere una buona dimestichezza con l’arma e si era reso conto di avere una naturale predisposizione (effettivamente, tagliare di netto la testa a Vargas era un colpo da maestro).

Isaia entrò, avanzò di qualche passo, la porta si richiuse alle sue spalle e fu allora che i posseduti lo aggredirono. L’uomo sapeva bene che ricorrere al potere gesuitico o a quello di esorcista era inutile in quella situazione, poiché si sarebbe trattato di uno scontro di volontà e lui si sarebbe trovato a contrapporre la propria a quella di Paimon, moltiplicata per tutte le persone che stava possedendo, il che sarebbe stato troppo faticoso per lui.

Il templare, quindi, sguainò la spada e si difese dagli assalti dei posseduti. Ricorreva al potere gesuitico per tenere indietro gli aggressori, cercando di creare campi di forza che lo proteggessero e impedissero ai posseduti di attaccarlo più di due per volta, ma non era facile mantenere quelle difese che venivano spezzate e lui era costretto a crearne di nuove.

Ragionava rapidamente sul da farsi e arrivò ad una possibile soluzione: sviluppando al massimo i propri poteri gesuitici, si era reso conto che non solo poteva manipolare una mente debole, inducendole allucinazioni visive e sonore, ma anche che poteva produrre realmente qualsiasi suono, per cui in quel momento pensò che l’unica possibilità di salvezza fosse quella di emettere un suono talmente acuto che mandasse in frantumi il vetro degli occhi.

Isaia ripose la spada, si concentrò doppiamente, sia per creare un campo di forza che lo proteggesse, sia per il suono. D’improvviso nella stanza iniziò ad udirsi un sibilo acutissimo e ne giro di un minuto, gli occhi di vetro si creparono e si spezzarono e i posseduti caddero a terra morti.

L’uomo tirò un sospiro di sollievo, era soddisfatto e in cuor suo ringraziò la sorella per averlo indirizzato verso quegli studi, che però non avrebbe mai intrapreso, senza aver prima letto i manoscritti di Giacomo il Giusto.

Isaia non fece in tempo a riprendersi dallo scontro che subito la stanza si popolò di nuovi avversari: demoni di fumo, esattamente come i lupi di Fontanefredde, dalle sembianze più svariate, si materializzarono nella sala.

L’uomo sapeva di poterli affrontare solo con la preghiera e con l’esorcismo, per cui non pensò nemmeno a riprendere la spada. Fece appello alla propria energia interiore e la sentì scorrere in sé. Sollevò la mano destra, che percepiva vibrare di potere, e iniziò a tracciare davanti a sé una croce, dicendo: “Tibi sunt Kheter” la mano era in alto, la portò verso il basso “Et Tipheret et Geburah” la mano era a sinistra e ora andava verso destra “Et Gedulah per eonas!” concluse riportando la mano all’altezza del cuore.

Già questo solo semplice gesto fece dissolvere le prima tre fila di demoni e tra gli altri si diffuse un certo scompiglio.

Isaia ringraziò Giacomo il Giusto per avergli trasmesso quel segno della croce così potente. Dopo di ciò, da sotto le vesti trasse il proprio crocefisso e lo impugnò con la sinistra, mentre teneva la destra davanti a se col palmo aperto. Sentiva l’energia che dalla propria mano usciva e andava a disperdere i demoni, a ricacciarli nella loro dimensione, per dare maggior forza, iniziò ad usare una formula di esorcismo: “Prínceps gloriosíssime cœléstis milítiæ, sancte Michaël Archángele, defénde nos in prœlio advérsus príncipes et postestátes advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequitiæ, in cœléstibus. Veni in auxílium hóminum: quos Deus ad imáginem similitúdinis suæ fecit, et a tyránnide diáboli emit prétio magno. Te custódem et patrónum sancta venerátur Ecclésia; tibi trádidit Dóminus ánimas redemptórum in supérna felicitáte locándas.   Deprecáre Deum pacis, ut cónterat sátanam sub pédibus nostris, ne ultra váleat captivos tenére hómines, et Ecclésiæ nocére.”

Isaia sapeva bene, ormai, che quelle parole di per sé non avevano forza e che l’esorcismo attingeva solo dalla sua energia, ma era pure consapevole che formule e gesti rituali servivano per sottolineare meglio la propria volontà ed incanalarla.

L’esorcismo fu potentissimo e i demoni legionari vennero ricacciati agli inferi tra urla strazianti.

Isaia si sentiva quasi svuotato: non sapeva quanti demoni lo avessero circondato, ma dovevano essere stati centinaia, poiché era certo di aver dato fondo a gran parte della propria energia.

Sentì una forza oscura. Udì il suono di passi, si voltò e vide che nel salone c’era una scalinata che portava al piano superiore, da essa stava scendendo l’uomo con la bombetta e gli occhialini tondi e neri.

Isaia capì immediatamente e, facendosi coraggio, con tono di sfida, disse: “Paimon!”

Il demone annuì e sogghignò. Finì di scendere le scale, si mise di fronte al templare e lo informò: “Anche se sai il mio nome, questo non ti aiuterà, anch’io conosco il tuo: Isaia.”

L’uomo non si era certo illuso che il demone non conoscesse il suo nome, dal momento che aveva fatto di tutto per trovarselo di fronte. Si chiedeva, tuttavia, come mai era stata la vittima designata di un Re infernale che da almeno due secoli si era aggirato nell’ombra, pur non essendo mai stato sconfitto.

“Perché io?” chiese Isaia, in parte anche per prendere tempo e recuperare le forze “Perché sono il Magister Templi? Perché discendo da Giacomo il Giusto?”

“Di Giacomo non sapevo. Ottimo, sarà una soddisfazione in più.”

“Allora, perché hai provocato tutto questo caos solo per me?”

“Davvero, quindi, non hai idea di chi sei o, per meglio dire, di chi potresti essere?”

“Io sono un servo di Dio, nient’altro.”

“Oh, su questo sono assolutamente d’accordo; non sei, però, un servo qualsiasi … peccato che tu non lo sappia, la mia vittoria sarà un po’ meno saporita.”

“Questo non è un problema: non c’è vittoria per te, solo sconfitta.” replicò Isaia, molto sicuro di sé ed emanando calma, sebbene dentro di sé non fosse affatto certo.

Paimon si mise a ridere e disse: “Se fossi in atto ciò che sei in potenza, potresti effettivamente avere qualche possibilità di sconfiggermi, ma nello stato in cui ti trovi ora …” scosse il capo negativamente e sghignazzò, beffardo.

“Il mio maestro, Samuele Costa, ha sconfitto Baal. Io sono un degno allievo e sconfiggerò te.”

Un’altra tremenda risata.

“No. Mi spiace deluderti ma, devi sapere, il caro Baal mi ha raccontato come sono andate le cose: il tuo maestro stava per essere sconfitto dal Signore delle Mosche che se n’è andato unicamente perché gliel’ha chiesto il tuo amico Gabriel.”

“Cosa …?”

Isaia era esterrefatto: non poteva credere che le cose fossero andate così! Se Gabriel era davvero in grado di farsi obbedire dai Re infernali, allora era una minaccia ancora maggiore di quello che aveva supposto e le possibilità per non doverlo uccidere diminuivano parecchio.

“Ci sei rimasto molto male?” lo schernì “Come vedi le tue speranze sono nulle. Non opporre resistenza e dammi ciò che voglio.”

“Non avrai mai i miei occhi. So benissimo che non puoi strapparmeli con la forza ma che devo essere io a cederteli. Io non mi arrenderò MAI!”

“Aspetta, almeno, di ascoltare la mia offerta, prima.”

“Non hai modo di tentarmi.”

“Ah no? Io, invece, scommetto di sì. So perfettamente che cosa ti fa soffrire e che cosa desideri. Sei solo. Hai perso i tuoi amici, perché hai anteposto ad essi il tuo dovere e ora sei circondato da tanta gente, sì, ma sono solo collaboratori, non c’è affetto. Ti rimane solo la tua sorellina, ma hai paura che Gabriel possa perdere il controllo e farle del male o, peggio, che lei venga influenzata dai tuoi vecchi amici e ti volti le spalle.”

Isaia deglutì, era sorpreso che il demone fosse riuscito a superare la sua difesa mentale e riuscisse a leggere così profondamente nel suo animo.

“Odi Serventi e lo ritieni la causa di tutto questo. Odi il fatto di dover combattere contro il tuo migliore amico; odi il fatto di amare fraternamente quello che diventerà l’anticristo; odi la tua debolezza umana che ti ha fatto affezionare e che ora ti fa soffrire, poiché per te il dovere, il bene, la giustizia, vengono prima di qualsiasi altra cosa, anche della tua felicità.” ghignò “Ho solo l’imbarazzo della scelta per decidere su cosa far leva. Che ne dici di questo: se tu mi dai i tuoi occhi, io resetterò tutto. Tu tornerai a startene a Roma, coi tuoi amici, sarete felici e nessuno di voi si ricorderà della Profezia e di quel che è accaduto.”

“Come hai giustamente capito di me, non metterò a rischio il mondo, solo perché una responsabilità mi pare troppo gravosa.”

“Allora ti darò il potere per sconfiggere Gabriel.”

“Non ho intenzione di ucciderlo.”

Isaia, intanto, stava raccogliendo tutte le proprie forze.

Paimon ragionò qualche momento e poi propose: “Dammi i tuoi occhi e io me ne tornerò all’Inferno, senza più mettere piede sulla Terra. Non è un nobile sacrificio, degno di te?”

“No. Mi useresti come tramite per le tue malvagità. Tu non puoi corrompermi!”

Il demone era furioso! Non era mai capitato che qualcuno resistesse alle sue offerte!

Pieno di collera, Paimon afferrò per il collo l’uomo e gli disse: “E va bene, Isaia, può essere ch’io non possa distruggere la tua volontà, ma ci sono mille altre cose che posso fare! Ti imprigionerò in uno dei miei posticini preferiti dell’Inferno.”

L’energia demoniaca iniziò ad uscire dalle mani di Paimon e iniziò a scontrarsi con quella che Isaia stava usando per difendersi.

Era uno scontro di volontà e di energia. Il templare aveva usato quasi tutto il suo potere per respingere i diavoli legionari e ora gliene era rimasto ben poco per difendersi. Sapeva bene che se avesse permesso alla forza di Paimon di penetrare nel suo spirito, allora non ci sarebbe stato più nulla da fare e sarebbe stato risucchiato chissà dove.

Doveva resistere, doveva sfruttare tutta la propria volontà e la propria concentrazione per attingere ad ogni barlume di luce astrale per proteggersi.

Aveva già impiegato quasi tutte le proprie forze e non era ancora in grado di risucchiare energie esterne da sfruttare.

Paimon lo percepiva chiaramente e sentiva imminente il proprio trionfo!

Isaia digrignò i denti, anche se debole, era deciso, sicuro, la sua volontà era di ferro, ostinata a non cedere. D’improvviso, i suoi occhi castani divennero azzurri. Isaia sentì in sé un’energia completamente rigenerata e, soprattutto, sconfinata. Respinse la forza demoniaca, l’attaccò, la sopraffece. La volontà di Isaia, guidando questo potere, distrusse la volontà di Paimon, entrò nella sua mente, nella sua anima, le rovesciò, le scombussolò totalmente e poi …

“Io ti domino, Paimon! Io ti esilio nell’Inferno. Sarai incatenato e non potrai più nuocere!”

Paimon, sbigottito, iniziò a dissolversi: stava tornando nel suo mondo; sorrise amaramente e sussurrò: “Almeno è stato il Princeps a sconfiggermi, non ho di che vergognarmi.” sparì.

Isaia, pure, era sorpreso. Non aveva capito dove avesse trovato la forza per reagire, forza che ora non sentiva più pervaderlo. Si concentrò per cercarla ed ebbe la parvenza di sentirla latente o quiescente nel suo profondo.

I suoi occhi erano tornati castani.

“Complimenti, padre Morganti.”

Era la voce di Serventi. Isaia fu incredulo di sentirla lì, si guardò attorno e infine scorse Bonifacio sulla balaustra del piano superiore.

“Vieni, Isaia, credo sia il caso di conversare da persone educate e civili.”

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Capitolo 9
*** Congregazione Infestata, parte I ***


Serventi aveva assistito a tutto lo scontro. Era rimasto senza dubbio sorpreso, ma non tanto dal potere usato da Isaia, quanto dal fatto che fosse stato in grado di ricorrervi. Era stato stupefatto anche nello scoprire che il templare discendesse da Giacomo il Giusto, ma subito aveva considerato che quel dettaglio era ciò che mancava per far combaciare alcune cose che prima non era riuscito a comprendere.

Queste due scoperte avevano trasmesso buon umore a Bonifacio, le considerava indizi del fatto che Morganti, in fin dei conti, non era ottuso e colmo di superstizione e collera, come aveva ritenuto fino a quel momento; forse il gesuita era una persona ragionevole, forse avrebbe potuto evitare di ucciderlo e, chissà, magari avrebbe potuto portarlo dalla propria parte o sfruttarlo in altro modo.

Isaia, da parte sua, vinta la meraviglia iniziale nel trovarsi davanti il Candelaio, aveva deciso di accettare il suo invito a raggiungerlo per parlare. Non che sperasse in amicizia e cordialità, ma ritenne che fosse un’ottima occasione per studiare il nemico; chissà, magari, coi poteri gesuitici, avrebbe potuto penetrare la mente di Serventi e carpire qualche informazione.

Si accomodarono nella stessa stanzetta in cui, pochi minuti prima, Bonifacio aveva parlato col demone. C’era un tavolino con una teiera e due tazze; Serventi si servì e invitò Isaia a fare altrettanto; il gesuita non era certo di potersi fidare, ma prese anche lui una tazzina e la colmò.

Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” esordì Bonifacio, scuotendo il capo, dopo un sorso di tè.

“Non mi pare appropriato che lei citi la conversione di San Paolo.”

“Perché? Calza a pennello. Anche tu, come Saulo, perseguiti quelli che sono i tuoi veri fratelli: io posso essere la tua luce sulla strada di Damasco.”

“Eviti certi paragoni.” ribadì, seccato, Isaia “Io non c’entro nulla con lei e i suoi simili!”

“Tu credi? Eppure hai appena usato un potere degno di essere paragonato a quello di Gabriel.”

“Quel che ho compiuto è stato in nome del Signore, la mia fede e lo Spirito Santo sono gli artefici del mio successo.” sottolineò il templare, indispettito.

“Hai sconfitto un Re infernale, complimenti. Ti rendi conto, vero, che non è impresa che riuscirebbe neppure al più grande esorcista della storia?”

Isaia distolse lo sguardo, sapendo che era vero.

“Tu non hai una natura umana, esattamente come Gabriel. Siete qualcosa di più, che si è manifestato dentro corpi di semplici mortali.”

“Mente! La vostra profezia parla di Gabriel e basta e, durante uno dei nostri rari incontri, lei ha detto chiaramente che io sono un semplice uomo.”

“Ho mentito, mi capita di farlo. Quando mi sei venuto a trovare in prigione, hai detto che sapevo chi tu fossi e per un attimo ho creduto che lo sapessi anche tu.”

“Chi sarei io? C’entra col fatto che Paimon mi chiamasse Princeps?”

Isaia, seppure preso dalla curiosità, mantenne la calma e la pacatezza.

“Sì, ma, vedi, non parlo chiaro a Gabriel, cosa ti fa pensare che con te sarò limpido?”

“Perché mi ha voluto parlare, allora?”

“Per essere certo che ti rendessi conto che anche tu hai un potere e, dunque, non ha senso combattere contro di noi … e poi per il tuo stesso motivo: voglio studiare il mio nemico. A proposito, è inutile che cerchi di penetrare la mia mente: come ti sarai accorto, la so ben proteggere, contrariamente a te. Sai che è veramente piacevole vedere come ti hanno agitato l’esperienza a Fontanefredde e le visioni di Jacopo?”

Isaia si innervosì e si rimproverò: concentrato a cercare di leggere nella mente a Serventi, si era scordato di proteggere la propria, cercò di rimediare, ma tenere lontano quell’uomo sembrava impossibile.

“Non ti sentire frustrato se non riesci a celarmi i tuoi ricordi, i tuoi pensieri, le tue emozioni: sono un maestro in quest’arte, sono rarissime le persone che possono respingermi. Tu sei solo alle prime armi in questo settore.”

Isaia rimase in silenzio, un poco smarrito: era frustrante avere la propria mente in balia di qualcun alto, un nemico per di più, e non poter fare nulla per impedirlo.

Serventi continuava a fissarlo dritto negli occhi, frugando nei suoi pensieri e ricordi e, dopo qualche momento, affermò: “Interessante tua sorella.”

“Cosa? Come?”

“Non la conosco, tranquillo. Ho visto solo qualcosa su di lei nella tua testa, pensò, però, che ci farò presto due chiacchiere.”

“Ehi, no! La lasci fuori da questa faccenda.”

“Ma se l’hai coinvolta tu per primo! … Uh, vedo che hai parlato con dei Franchi Giudici di recente, è gente ancora più ambigua dei templari, per certi versi, benché più ragionevoli sotto altri aspetti … Ottimo! Vedo che hai intenzione di far smettere il tuo Ordine di massacrare indiscriminatamente a destra e a manca, me ne rallegro, sebbene questo non concluda la guerra con me.”

“Senta, la smetta immediatamente! Mi chieda ciò che vuole e aspetti le mie risposte, non se le prenda da solo!”

“Va bene, va bene, tanto me ne accorgerò, se cercherai di mentire. Allora, perché ce l’hai con la mia setta? Che ti abbiamo fatto di male?”

“A me personalmente nulla, ma volete portare l’Inferno in Terra e conquistare e dominare il mondo: non lo posso permettere.”

“L’Inferno in Terra è una semplice vendetta contro chi ha sempre perseguitato, senza motivo, la gente dotata di poteri.” Serventi era tranquillissimo nello spiegare “Mentre per la faccenda di conquista e dominio del mondo, non so chi te l’abbia messa in testa, ma è una sciocchezza!”

“Davvero?”
Isaia corrugò la fronte: effettivamente era una cosa che avevano sempre dato per scontata, ma non avevano mai sentito parlare il Candelaio o qualcuno dei suoi di un simile progetto.

“Il mio scopo è far sì che le persone dotate di poteri non debbano nascondersi, non siano considerate dei mostri o dei demoni, che non vengano discriminate, che possano vivere tranquillamente, accettate dalla società, e che abbiano gli stessi diritti di tutti gli altri.”

“Tutto qui? Solo questo?” si meravigliò Isaia

“Ti pare poco?”

“Beh, no, nel senso che la gente fa sempre parecchia fatica ad accettare il diverso e, inoltre, ci saranno molti che pretenderanno di sfruttare la gente dotata di poteri, tuttavia la sua richiesta mi pare del tutto ragionevole. Se volete davvero solo diritti e integrazione sociale per la gente dotata di poteri, allora avete pienamente il mio appoggio, quel che volete non solo è giusto, ma anche sacrosanto: la carta dei diritti dell’uomo esiste e vi fa da garante!”

“La Chiesa ci ha sempre messi al rogo.” gli ricordò Sereventi.

“La Chiesa, come la legge, condanna il peccato e non il peccatore. Da molto tempo ha smesso di uccidere chi riteneva in commercio col demonio. Inoltre nessuno oserebbe dire che chi ha dei poteri non è umano, per cui ritengo davvero che le sue richieste possano essere accolte e che ci si possa lavorare, senza bisogno di portare l’Inferno sulla Terra e senza trasformare Gabriel nell’anticristo.”

Serventi parve molto colpito da quella disponibilità e si meravigliò ancor di più nel constatare che era del tutto sincera. Non aveva mai supposto che un prete potesse venire incontro alle sue richieste, men che meno si poteva aspettare una simile apertura da parte di Isaia. Ci tenne, però, a ribadire: “L’Inferno in Terra non c’entra coi nostri diritti, è una vendetta.”

“Signor Serventi, mi ascolti, lei è disposto a fare un tentativo per vedere se è possibile trovare una soluzione pacifica a tutta questa faccenda? Diamoci qualche giorno per pensare, avvisiamo Gabriel e invitiamo pure lui a ragionare su come potremmo trovare un’intesa tra di noi. Ci siamo sempre considerati nemici e in guerra e non abbiamo mai pensato al fatto che, forse, non era necessario combattersi, bensì sarebbe bastato parlare. Che dice, proviamo a fare un tentativo?”

Bonifacio rifletté, tastò la mente dell’interlocutore per accertarsi delle sue buone ragioni, infine disse: “Va bene. Discutiamone, avremo sempre più tardi il tempo per ucciderci, se non dovessero concludersi bene le cose.”

 

Intanto, in quel di Roma, Gabriel continuava il suo lavoro di guida della Congregazione; si era però concesso un fine settimana lungo per fare una gita al lago assieme a Claudia, per festeggiare il loro mesiversario e ricordare romanticamente dove e quando avevano fatto per la prima volta l’amore.

Quel lunedì mattina, Gabriel era arrivato in Congregazione attorno alle 9 e subito gli era andato incontro Stefano che aveva un’espressione un po’ agitata.

“Che cosa succede?” domandò l’ex gesuita, dopo aver salutato, chiedendosi se nel turbamento del giovane c’entrasse Giuditta o fossero altre le cause.

“Gabriel, gli altri avrebbero voluto chiamarti nei giorni scorsi e farti rientrare prima dalla vacanza, io l’ho tassativamente vietato, poiché non era affatto il caso, io credo si tratti di una sciocchezza, ma qui sono tutti agitati.”

“Per quale motivo? Cos’è accaduto?” il laico rimaneva tranquillo.

“Mah, nulla di particolare; secondo me si tratta puramente di correnti d’aria. È iniziato in biblioteca: fogli vari hanno iniziato a svolazzare e vorticare per conto loro per la stanza, poi ha iniziato a capitare di tanto in tanto per tutto il palazzo della Congregazione.”

“Contemporaneamente?”

“No, il fenomeno si spostava, era o in una stanza o in un’altra.”

“Sempre e solo carte si sono mosse?”

“No, a dire il vero. Anche libri …” trattenne un  riso “Io e Alonso abbiamo perso mezz’ora a correre dietro un paio di volumi, per la paura che potessero danneggiarsi. Comunque, erano oggetti di vario tipo.”

“Pesanti, anche, mi pare di capire: difficile si tratti di correnti d’aria, non credi?”

“Correnti magnetiche? … Senti, Gabriel, qui parlano di fantasmi e di voler esorcizzare l’edificio, bisogna calmare tutti quanti e cercare una spiegazione scientifica!”

“Sappiamo entrambi che le anime dei morti possono avere dei problemi a lasciare questo mondo. Adesso, questo resti tra me e te e non dirlo a Claudia, mi raccomando.”

“Certo.”

“Per esperienza ho appurato che per ogni caso risolto dalla scienza, ci sono almeno sei o sette casi paranormali. Da quando mi aiuti, quanti casi abbiamo dimostrato che non fossero sovrannaturali?”

Stefano fece mente locale e poi rispose: “Due: quello della suora con le stigmate e quello dei tre ragazzi. Beh, ci sarebbe anche la setta satanica, ma lì non era accaduto niente di apparentemente sovrannaturale.”

“In quel caso era coinvolta una sensitiva che ha dimostrato di essere davvero capace di avere un sesto senso. Inoltre per la grotta non sono del tutto sicuro: mi sono informato sulle allucinazioni collettive ed è risultato che non è possibile che gli allucinati sentano le medesime cose. Se una cosa è frutto della propria mente, gli altri non possono udirla. Quei ragazzi, invece, sapevano che cosa la visione mi aveva detto … inoltre è innegabile che la loro intelligenza sia aumentata in pochissimi giorni e hanno realmente appreso spontaneamente molte lingue. Ora sto cercando di capire qualcosa di ciò che possa essere successo, documentandomi sui fenomeni di sonnambulismo magnetico e spiritismo che andavano di moda nell’Ottocento. Mi ha colpito ciò che Giuditta ha detto l’altro giorno sul fatto che la psiche possa generare fenomeni paranormali: solitamente, Claudia si limita a dire che il fenomeno è puramente mentale, ora invece ci si profila l’ipotesi che ciò di cui ci occupiamo sia e psicologico e reale. Sto dunque leggendo libri ottocenteschi sul mesmerismo e altre discipline che collegavano i tormenti della mente con pratiche più o meno magiche. Ad ogni modo, torniamo in argomento, qui potrebbe esserci un fantasma?”

“Sì, comunque, è inutile che te ne parli: è l’argomento principale della riunione col Direttorio che hai esattamente ora, per cui verrai messo al corrente di ogni particolare.”

Gabriel si preparò a sostenere la riunione ed entrò nella saletta dove si radunava il Direttorio; trovò i Monsignori molto agitati e preoccupati.

“Monsignori, calmatevi. Sono qui, adesso, cerchiamo di capire che cosa sia successo. Uno di voi mi farà il resoconto e, se gli altri avranno qualcosa da aggiungere, lo faranno uno per volta.”

Un Cardinale iniziò a riferire tutto quanto, dai primi fogli sollevati fino ai tavoli impazziti, passando anche per l’episodio della teiera colma di acqua bollente che inseguiva i preti per ustionarli.

“C’è anche una novità fresca di giornata.” intervenne, poi, un altro Monsignore “Un paio di preti mi hanno confidato, stamane, di aver avuto visioni terrificanti, qui in Congregazione. Uno ha visto sangue che usciva da ogni dove e inondava la stanza e si sentiva affogare; l’altro si è ritrovato davanti il suo professore di matematica delle superiori che gli propinava disequazioni di secondo grado. Entrambe le allucinazioni si sono dissolte quando qualcuno ha colpito con uno schiaffo i poveretti.”

Gabriel rimase pensoso e rifletté ad alta voce: “Dunque, abbiamo oggetti volanti o animati e allucinazioni paurose … Effettivamente, potrebbe trattarsi di spettri, oppure qualche entità come spiritelli … Bisognerebbe capire se queste azioni, da chi le pratiche, hanno l’intenzione di essere aggressioni o burle.”

Tra di sé, tuttavia, pensò fosse il caso anche di chiedere a Claudia di vedere i membri della congregazione, per vedere se qualcuno, magari per frustrazione o altro, potesse aver più o meno consapevolmente evocato spettri o aver lanciato un sortilegio. Non gli sembrava, però, opportuno esprimere davanti al Direttorio queste sue congetture; le avrebbe confidate solo a Claudia, Stefano e Alonso, per capire come impostare le ricerche.

Si sentì la sirena di un’ambulanza e parve chiaro che il mezzo di soccorso si era fermato davanti al palazzo della Congregazione. Un attimo dopo, qualcuno bussò alla porta della sala riunioni, entrò un prete e annunciò che uno dei membri della Congregazione era appena stato colpito da infarto, molto probabilmente a causa di allucinazioni.

Lo sconcerto prese ancor di più i Monsignori. La riunione si prolungò ancora, poi, finalmente, Gabriel si ritirò con Stefano e Alonso nello studiolo dell’archivista e lì condivise con loro tutte le ipotesi che gli erano venute in mente.

“Alonso, tu mi aiuterai a scoprire se questi tre preti che hanno subito le allucinazioni hanno qualcosa in comune. Dobbiamo capire se le aggressioni a loro danni siano state casuali, cioè se le vittime potevano essere indifferentemente loro o qualcun altro, oppure se sono state colpite perché erano loro. Aggiungiamo anche quelli inseguiti dalla teiera. È fondamentale capire se c’è un disegno, oppure no. Potrebbe davvero essere tutto causato da qualcuno che prova rancore, oppure potrebbe essere accidente casuale, dobbiamo capirlo, per poter decidere come agire.” si voltò verso il seminarista “Stefano, voglio che tu stasera rimanga qua.”

“Cosa? Ci sarai anche tu, vero?”

“No. Voglio che tu stia qua, da solo, e osservi attentamente tutto ciò che accade.”

“Come? Dovrei rimanere da solo in un posto infestato?”

“Non avevi detto ci fosse una spiegazione scientifica?” scherzò Gabriel, per fare coraggio al ragazzo.

“Questo era prima che saltassero fuori le allucinazioni!”

“Dai, sei muy giovane, un infarto non te viene.” si aggiunse Alonso.

Gabriel si fece più serio e cercò di infondergli un po’ di fiducia, dicendo: “Stefano, è vero che ancora non sappiamo di che osa si tratti, ma da qualcosa bisogna pur iniziare. Tu, a quanto pare, hai una certa connessione con i fantasmi e simili: il tedesco aveva scelto te, come tramite, mentre quegli spettri che tormentavano Lucrezia hanno ceduto davanti a te. Inoltre, probabilmente, tu sei meglio informato di noi, ora, circa la natura degli spiriti: Giuditta ti ha spiegato molto bene le sue teorie. Sono certo che se si tratta di fantasmi, tu ne verrai a capo.”

Stefano, seppure gli dispiacesse contraddire Gabriel, tentò ancora di tirarsi indietro: “Ma guarda che non mi ha detto nulla di più rispetto a quel che poi ha ripetuto anche a voi.”

“Allora raccogli informazioni stanotte e poi vanne a parlare con lei e chiedile consiglio. Così hai una scusa per incontrarla e continuare la tua indagine su di lei.”

Stefano sospirò e si arrese: “D’accordo, come vuoi, farò del mio meglio.”

“Bravo, vedrai che sarà molto istruttivo.”

Il seminarista non era affatto convinto. Non lo aveva confidato a nessuno, ma in realtà lui aveva visto di più che qualche semplice oggetto volare. Era certo di aver intravisto un’ombra aggirarsi nei luoghi in cui si verificavano i fenomeni; non era mai riuscito a metterla a fuoco, ma era sicuro ci fosse e, inoltre, aveva sentito chiaramente il rumore di passi, l’eco di risate. Inizialmente aveva creduto che anche gli altri percepissero tutto ciò invece non era affatto così e ciò lo aveva preoccupato. Si era reso conto che lui, e lui solo, riusciva ad intravedere la causa, la fonte di ciò che provocava tutto quel trambusto. Questa consapevolezza lo spaventava: perché lui?

Aveva paura, temeva di scoprire qualcosa di spiacevole su di sé, non voleva sapere, per questo teneva tutto nascosto nel proprio animo e non si confidava.

Stefano trascorse tutta la giornata sui libri, per raccogliere informazioni utili all’analisi del fenomeno; rimase in silenzio per ore e si limitò solo a poche parole con Gabriel e con Alonso.

Attorno alle 18 i preti iniziarono ad andarsene via e alle 19 non rimaneva più nessuno tranne il giovane seminarista che non poteva fare a meno di sentirsi tremendamente inquietato e come al solito non aveva idea di come comportarsi. Che avrebbe dovuto fare? Aspettare e osservare erano le uniche opzioni che gli venivano in mente; non aveva neppure una qualche apparecchiatura per registrare eventuali suoni o misurare il magnetismo o chissà cos’altro.

Dato che le cose stavano così, prese il telefono e ordinò una pizza con consegna a domicilio. Gli arrivò verso le 20, si mise ad un tavolo a mangiare e si accorse di quanto fosse desolato quel luogo, quando non c’era nessuno. Allungò una mano per prendere la bottiglietta d’acqua, ma mentre stava per stringere le dita, la bottiglia scorse via.

Ecco, ci siamo! –pensò il ragazzo, sentendo che la paura iniziava ad affacciarsi.

Tentò di nuovo di prendere la bottiglietta, ma quella si spostò ancora. Stefano, questa volta, vide l’ombra di una mano che afferrava la bottiglia. Distinse anche una molto eterea e rarefatta figura umana che spostava la bottiglietta sopra la sua testa e gliela rovesciava addosso, quando provò a scansarsi era troppo tardi.

Ahahahahahah!

Stefano sentì perfettamente quella risata, più nitida delle altre volte, irritato più che spaventato, disse: “Smettila di ridere! Dì piuttosto chi sei e cosa vuoi da noi!”

Il ragazzo ebbe l’impressione, non sapeva neppure lui dettata da cosa, che l’ombra si stupisse; ne ebbe la conferma poco dopo, quando la sentì chiedergli: “Tu riesci a sentirmi?”

Era una voce famigliare per il seminarista, sebbene non riuscisse ad associarla ad un volto; rispose: “Sì, non dovrei?”

“Non lo so. Gli altri non mi sentono.”

“E quindi attiri la loro attenzione facendo volare oggetti?”

“Eh?! No, quello lo faccio perché mi diverte spaventarvi. Dite di credere in Dio, di confidare in lui e poi vi spaventate per qualche libro o candela che volano!” sghignazzò “Mi sono divertito un sacco a farti correre come un cretino dietro a quel libro!”

Stefano decise di cercare di farlo parlare il più possibile: “Dal momento che riesco a sentirti, non ti va di dirmi chi sei e come mai, tra tanti posti, hai deciso di venire proprio qui?”

“Se avessi voluto chiacchierare, avrei preso una penna e scritto qualcosa su un foglio bianco.”

Il ragazzo era un po’ spaesato perché non sapeva in che direzione guardare mentre parlava.

“Beh, dal momento che sei nostro ospite, a me farebbe piacere sapere il tuo nome e, sì, insomma, qualcosa di te.”

“Che ti importa? Presto sarai morto. Tutti quanti voi lo sarete. Il fatto ch’io sia trapassato, non mi impedirà di ammazzarvi tutti quanti, esattamente come volevo.”

“Il termine tutti chi comprende di preciso?” si preoccupò il seminarista.

“Tutti: Congregazione, Templari … e poi deciderò. È colpa vostra se lei è morta e quindi anch’io. Già prima volevo uccidervi ora sono ancor più determinato.”

“Ah, quindi è una vendetta?”

“Vendetta, punizione per voi, monito, misura cautelare, deterrente per altri … Liberazione, per me. Mi sono ucciso perché volevo raggiungerla, ma non è stato possibile, lei non c’era. L’ho cercata e cercata ma lei non è qui, lei è andata altrove, mentre io sono rimasto intrappolato a metà. Alla fine ho capito: sono qua perché devo prima assolvere al mio ultimo compito, devo liberarmi dal mio legame con questa dimensione. Quindi, quando vi avrò uccisi tutti, io sarò finalmente libero e potrò raggiungerla, tornare da lei e abbracciarla di nuovo!” c’era speranza e gioia nella voce.

“Lei chi?” domandò Stefano, alla ricerca di qualche indizio.

“Il mio amore.”

“Ah … e chi sarebbe? Suppongo avrà avuto un nome.”

“Non ti riguarda! Lei è mia, mia soltanto!”

“Va bene, va bene, tranquillo che non te la tocco.”

“C’hai provato, però, lo so.”

Stefano sbalordì, non capendo.

“Che illuso! Come ti è venuto in mente che un secchione noioso, emarginato, imbranato come te potesse piacere a una creatura splendida com’era lei! Infatti hai sempre preso legnate sui denti.”

“Non capisco di cosa stai parlando! Ti stai confondendo con qualcun altro!”

“No, no. So benissimo sei tu: ti ho visto e lei mi raccontava.”

“Se magari, invece di usare pronomi, mi dicessi come si chiamava questa ragazza, potrò dirti se effettivamente l’ho conosciuta, oppure no.” in realtà gli era venuto un sospetto.

“Ti ripeto, non ha importanza che tu sappia: non sopraviverai alla notte!”

“Come avresti intenzione di uccidermi? Mi inseguirai con un coltello fino a che non mi colpirai?”

Stefano stava cercando di prendere tempo, in attesa che gli venisse un’idea migliore.

“Oh, no; ci tengo allo stile. Anche da morto ho mantenuto il mio potere speciale. Scopriamo di che cosa hai paura.”

Già solo quelle parole avevano messo addosso al ragazzo parecchia inquietudine. Istintivamente, avrebbe voluto scappare, ma sapeva bene che sarebbe stato assolutamente inutile: non c’era luogo dove avrebbe potuto sfuggire al fantasma. In quel momento si pentì di non aver mai ascoltato Isaia, quando tentava di insegnargli qualche esorcismo di base. Tutto ciò che gli veniva in mente erano delle invocazioni all’Arcangelo Michele, non sapeva se sarebbero bastate, ma era meglio di nulla; si mise dunque a pregare.

“Non ti servirà a nulla. Non hai abbastanza fede per dar forza a quelle parole. Sei impaurito, disperato; questo ti rende ancora più debole. Patetici, siete tutti patetici e vi distruggerò.”

Stefano, pur tenendo a mente le preghiere, tacque e si guardò attorno, sforzandosi di apparire sicuro e spavaldo. Non gli parve accadesse nulla, poi iniziò a sentire un brusio, dapprima sommesso, poi sempre più forte. Erano decine, centinaia di voci che gli parlavano contemporaneamente, lui le riusciva a sentire tutte. Ogni discorso, ogni racconto gli rimbombava nella mente e lui non riusciva a farle smettere, non riusciva a non ascoltarle; si portò le mani alle orecchie per tapparle, ma non ottenne nulla. Un dolore lancinante alla testa per colpa di quelle voci.

Stefano era sia sofferente che spaventato: non capiva da dove venissero quelle voci, che cosa fossero, se erano reale o allucinazioni.

Scosse il capo, provò a gridare a dire di smetterla, ma quella che uscì dalla sua bocca non fu la sua voce, bensì una di quelle che gli stavano parlando nella testa e, invece di dire ciò che lui voleva, continuò il racconto che stava facendo.

Il ragazzo rinserrò le labbra. Era terrorizzato: gli stava capitando di nuovo! Dei morti lo stavano usando come tramite! No, no! Non poteva essere, non poteva permetterlo! Ma come fare? Quelli ce l’avevano con lui, non poteva evitarli.

Iniziò a vederli. La stanza si popolò in breve di decine di figure: uomini, donne, vecchi, bambini di ogni epoca, antichi Romani, medievali, rinascimentali, moderni, Indiani, Africani, Turchi, Cinesi …

Stefano vedeva tutte quelle ombre aggirarsi nella stanza, parlare e, poi, avvicinarsi a lui. Tentò di indietreggiare, ma ce ne erano altri alle sue spalle. Prese il coltello con cui aveva tagliato la pizza e tentò di usarlo per minacciarle e tenerle lontane: inutile. Provò ad allontanarsi ma quelle lo inseguivano, le braccia protese verso di lui, tutte lo chiamavano, tutte volevano raccontargli la propria storia.

Il ragazzo cercò di scacciarle, ma quelle iniziarono a farsi più insistenti, più aggressive, lo attaccarono in un certo senso, ognuna cercava di ghermirlo, di prenderlo, di impossessarsi di lui.

Stefano fu prese dall’angoscia, si decise a fuggire. Si precipitò alla porta della stanza, la spalancò e iniziò a correre per il corridoio. Voltando il capo, si accorse che tutte quante le ombre lo stavano inseguendo, decise a prenderlo. Il ragazzo, disperato, corse a perdifiato per i corridoi, le stanze e le scalinate della Congregazione. Dove sperava di andare? Non avrebbe avuto abbastanza forze per scappare in eterno! Lo avrebbero raggiunto, lo avrebbero preso e … che ne sarebbe stato di lui? Lo avrebbero sopraffatto, avrebbero posseduto il suo corpo e, qualsiasi cosa avrebbero fatto, la gente se la sarebbe presa con lui, avrebbe accusato lui … Non c’era possibilità di salvezza … chi poteva aiutarlo? … Gabriel, solo lui! … ma chissà dov’era in quel momento!

Era solo, indifeso, presto in balia di spettri.

Inaspettatamente scorse una figura famigliare in cima a una scalinata. Anche se era voltato di spalle, lo riconobbe subito e non esse dubbi: era Gabriel!

Stefano gioì in cuor proprio: il suo maestro non lo aveva lasciato solo!

“Gabriel!” gridò il ragazzo, speranzoso, e si precipitò verso l’uomo.

Arrivato a pochi gradini dalla sommità, finalmente vide Gabriel voltarsi verso di lui.

Stefano inorridì! Non era il suo maestro o, per lo meno, non quello che conosceva: gli occhi erano rossi, i lineamenti aspri, il ghigno malefico.

Il seminarista non capiva; rimase paralizzato dallo stupore e dalla paura.

Il Gabriel oscuro lo guardò con disprezzo, scosse il capo, sollevò una gamba e lo colpì violentemente con un calcio in pieno petto.

Stefano si sentì spinto indietro ma non cadde sulle scale, bensì si sentì precipitare nel vuoto, come in un baratro infinito. Quella caduta gli parve durare minuti interi, infine sbatté violentemente per terra. Si stupì, accorgendosi di non essersi fatto male. Si mise a sedere, si guardò attorno e si accorse che il pavimento di marmo era crepato lì dove era precipitato.

Il brusio insopportabile riprese; il ragazzo si sentì nuovamente sconfitto, vide le ombre sopraggiungere: non c’era più nulla da fare.

Ancora si seduto, si guardò attorno e, per terra vide due dadi da dieci, ma uno era percentuale. Sentì una voce tuonare: “Tira per l’equilibrio psichico!”

Stefano, che ormai era così stravolto da non rendersi conto di quanto anormale fosse la cosa, prese i dadi e li lanciò, li vide rotolare sotto un armadio e poi la voce tonante annunciò: “Hai fallito!”

Le ombre si fecero più vicine. Il seminarista sentiva il cuore battere all’impazzita e si sentiva pervaso dall’ansia, finché un barlume di lucidità si fece largo nella sua mente e si disse: “Il tiro di equilibrio psichico è una fase del gioco La Chiamata di Chtulhu, ci ho giocato l’altra sera … Forse tutto questo non è reale, ma è nella mia mente … Sì, è possibile ch’io mi trovi in un’illusione, ma come ci esco? La consapevolezza, evidentemente, non basta.” ragionò rapidamente “In D&D l’unico metodo per uscire da un’illusione è auto infliggersi un danno fisico.”

Pensò a come fare e si rese conto di avere nella tasca del giubbotto il coltello con cui aveva cercato di difendersi. Lo prese e, senza esitare, si fece un taglio sul palmo della mano.

Urlò per il dolore, poi si rese conto che il brusio era cessato, si guardò attorno e non vide più alcuna ombra; l’unica cosa che restava dell’allucinazione era il marmo crepato.

Stefano si prese un paio di minuti per riprendersi, poi andò in bagno per lavarsi il taglio e medicarlo. Intanto, pensò che non fosse saggio continuare a rimanere lì da solo: non era certo di sapersi accorgere di altre illusioni. Prese il telefono, aprì la rubrica e scorse fino alla lettera G. Poco sotto il numero di Gabriel, che voleva chiamare, notò il numero di Giuditta. Esitò qualche momento e alla fine decise di telefonare alla donna.

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Capitolo 10
*** Congregazione Infestata, parte II ***


Il telefono squillò alcune volte. Stefano sperava che la donna rispondesse e, intanto, si guardava attorno nervosamente, nel timore che il fantasma vero si ripresentasse.

“Pronto.” rispose infine.

“Pronto! Ciao Giuditta, sono Stefano, ho bisogno. Ti disturbo?”

“No, sono dai miei genitori, ma dimmi pure.” spiegò lei, con voce serena, pur avendo nettamente distinto l’agitazione nella voce del ragazzo.

“Puoi venire da me, ora? … … Sono in Congregazione.” specificò.

“Che cosa succede?” il tono si era fatto severo.

“È difficile da spiegare … C’è un fantasma, qui … capace di allucinare la gente e … e io non so cosa fare. Gabriel mi ha affidato di indagare e scoprire, ma io non voglio stare qui da solo e l’unica persona che può aiutarmi a capire cosa fare sei tu.”

“Puoi farcela da solo, tranquillo. Devi solo rimanere calmo e non farti spaventare.” cercò di rassicurarlo lei.

“Non posso! Crea delle illusioni basandosi sulle paure delle persone, da quello che sono riuscito a capire. L’ha fatto con dei preti in questi giorni, uno ha perfino avuto un infarto. Ha allucinato pure me, adesso, sono riuscito a sottrarmi quasi per caso.”

“Come hai fatto?” era una domanda molto interessata.

“Mi sono procurato un taglio e il dolore mi ha fatto tornare alla realtà.”

“ … Ma sei idiota forte!” rimase sconcertata Giuditta “C’è un fantasma e tu che fai?! Ti apri una vena! Ma che razza di cognizione hai? Non mi pare che il caso di Lucrezia sia capitato un’eternità fa per esserti scordato che gli spettri si fortificano col sangue!”

“Scusa è che non mi è venuto in mente altro.”

“Sapevi già che era un’illusione, il più dello sforzo era fatto!”

“Senti, puoi continuare a rimproverarmi qui, dal vivo, anziché per telefono?” si spazientì il ragazzo.

“Hai già scacciato quattro larve in una volta sola, senza l’aiuto di nessuno, perché adesso pensi che ti serva il mio aiuto?”

“Perché è diverso! Lui non è una larva come quelle di Lucrezia, è differente: non è un’impronta o un frammento di qualcosa, è un’anima vera e propria, come quella del tedesco! Ha detto di essere intrappolato in questo mondo e di non potersene andare finché non avrà compiuto la sua missione che prevede di uccidere un sacco di gente. Io non ho idea di cosa fare!”

“Santa ! Se tu avessi un po’ più di sicurezza!” sospirò la donna “Va bene, verrò lì, dammi mezz’ora di tempo, ma sappi che non farò nulla.”

“Come nulla? E allora perché vieni?”

“Sostegno morale, in fondo è di questo che hai bisogno.”

Stefano attese trepidamente, fuori dal palazzo della Congregazione. Finalmente arrivò Giuditta e lui le andò incontro, lieto di non essere più solo. Entrarono nell’edificio e, intanto, lui le raccontò per filo e per segno tutta la faccenda.

“Quindi, che cos’è che ti spaventa esattamente?” gli domandò in fin la ragazza.

“Beh, ecco …” Stefano era incerto, non gli piaceva l’idea di confidarsi con una mezza sconosciuta, tuttavia lei aveva già compreso molto di lui; alla fine decise di spiegare: “Io sono l’unico che ha intravisto l’ombra del fantasma e che lo può sentire e questo non mi piace. Significa che tra me e lui c’è una sorta di legame e … ho paura che mi ricapiti come col tedesco: questo spettro potrebbe entrare in me, usarmi per il suo massacro e io non potrei fare nulla per impedirlo! Io …” si interruppe perché non era certo di voler confessare anche questo “Da dopo il fatto col tedesco, io mi sono accorto che di frequente sento voci portate dal vento, senza che nessuna persona corporea le abbia pronunciate. Mi è capitato di vedere, quasi rivivendoli, ricordi di qualcun altro. A volte si prendono tutta la mia attenzione, è per questo che posso sembrare svampito o perennemente scosso. Io non so cosa sia questa cosa, se una maledizione o qualcosa di rotto in me. Di certo non sono un medium, perché loro evocano gli spiriti, invece io sono perseguitato dai morti che vogliono sfruttare la mia vita! È di loro che ho paura!” tacque qualche momento per cacciare l’ansia che gli era cresciuta “Quel fantasma l’ha capito e mi ha mostrato appunto centinaia di anime che cercavano di impadronirsi di me.”

“Se tu hai costantemente l’impressione che questi spettri ci siano, come hai fatto a capire che eri in un’illusione e non nella realtà?” si incuriosì Giuditta, che aveva ascoltato con estrema attenzione.

“Un’altra paura che ho è quella di impazzire. Mio padre è psichiatra e molti amici di famiglia appartengono a quel settore, infatti è così che ho conosciuto Claudia. Fin da piccolo ho sempre sentito parlare di malattie mentali, di gente distrutta da esse e si è radicata in me la paura di diventare come loro: perdere il contatto con la realtà, non essere più padrone di me …” si incupì qualche istante, poi si scosse “A un certo punto, nell’allucinazione, mi hanno fatto tirare dei dadi per vedere se il mio equilibrio psichico risentiva di quest’esperienza. Questa, però, è una pratica di un gioco di ruolo e, quindi, mi sono finalmente reso conto che ciò che vedevo e sentivo non stava accadendo davvero.” aspettò qualche secondo “Non sapevo che i fantasmi avessero di questi poteri.”

“Infatti non ne hanno, deve essere una capacità che aveva anche da vivo.”

“Ah …. Beh, quindi, cosa si fa, ora, in questi casi?”

“Normalmente, si farebbe un esorcismo, ma tu puoi fare bene altro. Direi che questa è un’ottima occasione per esercitarti e prendere confidenza col tuo potere.”

“Quale potere, scusa?” rimase basito Stefano “Io non ho alcun potere.”

“Certo, invece, che ce l’hai ed è proprio ciò che ti spaventa.”

“Non ti seguo, puoi spiegarti meglio, per favore?”

“Tu non sei una calamita che attira fantasmi: tu sei il loro responsabile e sei la guida di quelle anime che rimangono intrappolate; tu le puoi aiutare a liberarsi, così come le puoi richiamare in tuo aiuto quando vuoi e, sì, insomma, puoi governarle e piegarle al tuo volere.”

“È assurdo! Loro non dipendono affatto da me, anzi!, sono io che subisco loro!”

“Questo è perché non sai ancora come funziona il tuo potere. Non capisci cosa sia e ti spaventa; devi invece capire che è parte imprescindibile, fondamentale di te e, quindi, accettarlo, solo così imparerai ad usarlo in maniera consapevole.”

Stefano era colpito da quelle parole a cui, però, faticava a credere e, poi, l’idea di avere un potere gli gettava addosso più ansia e preoccupazioni che buon umore.

Giuditta si accorse del disagio ulteriore che aveva preso il giovane, quindi gli mise una mano sulla spalla e con tono gentile e dolce gli disse: “So che Gabriel è il tuo modello, ma non compiere i suoi stessi errori. Anche lui è estremamente spaventato dal suo potere, d’altra parte ne ha visto il lato oscuro e non vuole accettare di poter compiere certe cose. Il potere, però, non è qualcosa di estraneo da lui, così come non lo è la sua oscurità. Finché continuerà a considerarli divisi da sé, non li potrà dominare e ne verrà sopraffatto, solo quando accetterà che in lui c’è anche quello, allora sarà in grado di controllarli.” fece una carezza al giovane “È un tuo talento, una tua qualità: approfondiscila, impara come renderla una risorsa utile, anziché permetterle di essere un ostacolo.”

Quelle parole piacquero molto a Stefano, le comprese e capì che erano giuste. Guardò la ragazza, le sorrise e disse: “Grazie, farò del mio meglio. Tu mi aiuterai? Mi spiegherai come fare?”

“Non potrò fare molto ma, per quel che mi sarà possibile, volentieri. Potrai iniziare a far pratica parlando con le voci che senti, anziché scacciarle, la prossima volta. Adesso, però, devi ridurre all’obbedienza il fantasma che infesta la Congregazione. Innanzitutto non devi avere paura, anzi devi essere massimamente sicuro di te: tu puoi considerarti il re dei fantasmi, essi ti sono sottomessi per natura! Certo, per importi, tu devi essere consapevole di questa tua essenza e, al momento, non lo sei affatto. Pure la tua volontà non è molto esercitata, temo.”

Stefano era dispiaciuto di non essere all’altezza della situazione; chiese: “Quindi?”

“Niente, avrai bisogno di uno strumento in più per importi: dobbiamo scoprire chi è questo fantasma. Sapere il suo nome ti permetterà di domarlo.”

“E come facciamo a capire chi è?”

“Beh, già il fatto che abbia un potere dovrebbe limitare il campo di ricerca. Quando gli hai parlato, ha detto qualcosa in particolare?”

Stefano ripensò alla conversazione: “Allora, mi è parso di capire che avesse intenzione di ucciderci tutti anche prima di morire e col termine tutti intendeva noi della Congregazione e i templari … per quel che ne so io, soltanto gli alleati di Serventi conoscono l’esistenza dei templari, per cui è probabile che il fantasma, da vivo, fosse nella setta del Candelaio … Ma certo, ho capito chi è!”

Giuditta sorrise: “Visto che non è stato difficile? Come si chiama?”

“Aspetta, fammi vedere se anche il resto combacia … Ha parlato di una donna che è morta e che io conoscevo e lui si è ucciso per stare con lei … Sì, direi che combacia con la storia di Rebecca e del suo fidanzato che, appunto, dovrebbe essere quell’uomo che è venuto in Congregazione a liberarla e che ha causato allucinazioni a Gabriel ... Sì, è lui di sicuro!”

“Va bene, il suo nome?” lo incalzò la ragazza.

“Ehm … ehm … Non lo so.” notò lo sguardo stupito dell’altra “Rebecca non mi ha mai parlato di lui! Non sapevo neppure fosse fidanzata, l’ho scoperto dopo che era morta perché me l’ha detto Gabriel.”

“Nemmeno lui sa il nome?”

“Non lo so, forse sì … sì, dovrebbe saperlo, li ha fatti seppellire lui, quindi il nome glielo deve aver messo sulla lapide.”

“Ci sei stato su quella tomba?”

“Sì, anche al funerale.”

“Quindi il nome è …?”

“Non lo so, non ricordo!” si spazientì il seminarista.

Giuditta sospirò e gli chiese: “Posso entrare un attimo nella tua mente?”

“Sì; nessun problema, sono già stato ipnotizzato in passato.”

“Non è ipnosi, questa.”

“Va beh, fa pure.”

“Allora guardami negli occhi.”

Stefano obbedì, fissò le proprie pupille in quelle della ragazza. Dapprima ebbe una sensazione strana, sentiva come se qualcosa si stesse avvicinando a lui, poi avvertì un brivido; pian, piano avvertì tepore nella propria mente e gli parve come se in essa si stesse facendo pulizia e ordine. D’improvviso ebbe chiara e nitida, nella testa, l’immagine della tomba di Rebecca e …

“Jacopo! È questo il suo nome, ne sono certo!” esclamò Stefano, entusiasta “Che cosa mi hai fatto?”

“Nulla di particolare, ho fatto quello che devi imparare a fare anche tu: tenere in ordine la mente. I pensieri e le emozioni non esistono ontologicamente a sé stanti, sono tuoi prodotti, per cui devi dominarli e non lasciarli scorrazzare come cani sciolti.”

“D’accordo, metterò anche questo nella lunga lista dei compiti a casa che mi stai affidando.”

“Guarda che il compito è solo uno. Come c’era scritto al tempio di Delfi: conosci te stesso e, aggiungo io, sii il tuo unico padrone.”

“Sì. Me lo annoto.” era un po’ seccato da quella saccenza “Comunque, cosa si fa adesso che sappiamo come si chiama il fantasma?”

“Io niente, tu gli parli.”

“Parlargli? Quello mi scatena di nuovo le sue allucinazioni! Perché dovrebbe darmi retta? Tu vieni qui e dici che per forza di cose i fantasmi debbono obbedirmi ma io non credo proprio!”

Stefano era di nuovo nervoso e agitato.

“Finché continui ad essere insicuro, non concluderai nulla: sii determinato.”

Il ragazzo scosse il capo e, dispiaciuto, disse: “No, non ce la posso fare.”

Pazientemente Giuditta gli disse: “Adesso tu chiamerai Jacopo e lo farai venire qui, lo costringerai a mostrarsi e poi lo soggiogherai. Se qualcosa dovesse andare storto, interverrò io ad esorcizzarlo.”

Stefano parve convincersi, dunque cominciò a gridare il nome di Jacopo e a chiamarlo nella stanza in cui si trovavano lui e la ragazza.

Il seminarista ebbe l’impressione che qualcuno o qualcosa facesse resistenza, ma non capiva cosa potesse essere e perché; in fondo lui stava solo chiamando, oppure no?

Dopo alcuni minuti, Stefano vide l’ombra arrivare, capì anche che era molto contrariata.

“È qui, vero?” chiese Giuditta.

“Lo vedi?” domandò lui.

“No, lo percepisco. Obbligalo a mostrarsi: visualizza nella tua mente come era da vivo e costringilo ad apparire in quel modo e agli occhi di tutti.”

Stefano si concentrò, tornò con la memoria al giorno in cui Jacopo si era presentato in Congregazione. Si stupì nel trovare un ricordo così nitido e dettagliato; pensò fosse merito della messa in ordine fatta da Giuditta poco prima. Cercò di pensare soltanto a quell’immagine e di allontanare ogni altro pensiero. Ci riuscì: nella sua mente c’era l’esatta figura di Jacopo, completa, come se fosse stata tridimensionale.

La donna osservava il ragazzo con attenzione; sorrise quando vide i suoi occhi diventare azzurri per qualche secondo. Un istante dopo, Jacopo era davanti a loro e sembrava molto concreto.

Stefano sbalordì e si preoccupò: “L’ho resuscitato?”

“No.” lo rassicurò la donna, comunque basita “Hai solo esagerato un po’ nel costringerlo a riassumere il suo aspetto. Hai coagulato eccessivamente la sua luce astrale, ma anche se sembra corporeo, rimane uno spettro.”

Jacopo era perplesso e stupefatto quanto loro. Provò a tastarsi e si accorse che, comunque, il suo corpo era immateriale e poteva attraversare gli oggetti. Si lamentò: “Uffa, ora la gente non si spaventerà più, se faccio volteggiare qualche oggetto per aria! Va beh, tornerò a divertirmi solo col mio potere.”

Stefano iniziò a temere che l’aver dato maggior concretezza al fantasma lo avesse reso più pericoloso. Guardò Giuditta con molto smarrimento e preoccupazione, come per chiederle che cosa fare.

“Parlagli. Il tuo volere lo può domare. L’hai costretto a venire qui e a mostrarsi, puoi piegarlo di nuovo.”

“Ehi, ehi!” saltò su Jacopo e puntualizzò: “Io non sono venuto qui perché me l’ha detto lui, ma perché il suo strillare mi stava facendo venire il mal di testa e volevo farlo smettere! A proposito, il fatto che tu sia fuggito dalla mia illusione non significa assolutamente nulla: ho detto che non sopravvivrai alla notte e così sarà. Me ne occuperò materialmente.”

Stefano si irrigidì per il timore, provò a ordinare a Jacopo di fermarsi, ma era dannatamente incerto e agitato, quindi gli uscirono solo farfuglii e balbettii.

Jacopo si mise a ridere, sprezzante. Avanzò di qualche passo e, con grande stupore degli altri due, la sua immagine si sdoppiò, poi scisse di nuovo e di nuovo. Oltre una decina di Jacopo circondarono i due ragazzi. Iniziarono a spintonarli piuttosto violentemente, fino anche a farli cadere; allora uno degli Jacopo assestò un paio di calci alle costole di Stefano che tossicchiò. Il seminarista si rimise in piedi, parecchio preoccupato e nervoso, guardò Giuditta e le disse: “Devi esorcizzarlo, lo hai promesso.”

“No. Non hai ancora dato il meglio di te. Calmati e potrai dominarlo.”

“Calmarmi?! E come? Perché?!” si innervosì ancor di più il ragazzo “Ho probabilmente potenziato un fantasma crudele che ora si è moltiplicato e vuole ucciderci. Sbagli ad avere fiducia in me: ho solo peggiorato le cose!”

“Stefano, guardami negli occhi.”

Il seminarista, poco convinto, obbedì. Giuditta lo fissò non più di un paio di istanti, poi lo baciò e si staccò solo dopo mezzo minuto; non gli diede il tempo di dire alcunché e gli spiegò: “Endorfine. Hanno funzione ansiolitica. Ora fa qualcosa!”

Stefano non era affatto sicuro che le endorfine lo stessero aiutando, anzi, probabilmente gli avevano messo ulteriore confusione addosso. Certo, però, era uno scombussolamento diverso e questo lo aveva distratto da Jacopo e dalle sue paure. Ora la sua mente stava per tornare a focalizzarsi sul fantasma, per cui non era ancora sopraffatta dalla paura e agitazione. Il giovane si disse, quindi, di rimanere saldo e si accorse di avere una certa tranquillità che non immaginava. Si concentrò su quella sensazione, ritrovò sicurezza e finalmente si accorse di una cosa: quei doppioni non erano reali. Percepiva la presenza di Jacopo, ma essa non animava le figure che lo circondavano. Capì, dunque, che si trattava di un’illusione; gli bastò percepire la vuotezza di quelle immagini ed esse si dissolsero.

Jacopo, che era seduto a qualche metro di distanza, rendendosi conto che la sua allucinazione era stata spezzata, rimase esterrefatto.

Stefano sorrise, si sentì fiero di sé, sicuro, potente … I suoi occhi divennero azzurri.

“Alzati e vieni qua!” ordinò al fantasma.

Nonostante non lo volesse, Jacopo si mise in piedi e raggiunse il seminarista che, quando se lo trovò di fronte, gli disse senza indugio o incertezza: “Tu non potrai più fare del male ai membri della Congregazione … o ad altre persone. Solo contro i templari potrai agire. Per liberarti da questo mondo, dovrai compiere la tua vendetta sui templari e basta: sterminati loro, potrai raggiungere Rebecca.

Jacopo fremette di rabbia; era evidente che avrebbe voluto protestare, ma non poteva. Alla fine si lasciò sfuggire un ringhio misto ad uno sbuffo e disse: “D’accordo, mi accontenterò di loro … ma solo perché a voi ci penserà poi l’Eletto a sistemarvi!”

“Ora vattene.” gli intimò Stefano.

“Dove?” chiese, ironico, Jacopo “Se sai dirmi dove sono i templari, ci vado in un attimo, altrimenti, visto che da quello che ho capito ve ne state occupando anche voi, rimarrò qui finché non salteranno fuori.”

“No, qui non ti voglio. Tornatene da Serventi.”

“Non ho idea di dove sia!”

Stefano ragionò un attimo, poi disse: “Deciderà Gabriel, domani, dove dovrai stare. Fino ad allora, resta nello studio di Alonso e non creare fastidi!”

Jacopo non rispose, ma se ne andò in direzione dello studiolo indicatogli.

Quando il fantasma fu fuori dalla sua vista, Stefano si voltò verso Giuditta e, orgoglioso, le disse: “Ce l’ho fatta! … Che hai?” si era accorto dell’espressione cupa sul viso della donna.

“Gli hai detto di sterminare i templari.” replicò lei, molto secca e severa.

“Sì, loro sono i nostri nemici e lui ci farà solo un favore.” rispose il ragazzo con naturalezza.

“Punto primo: se condanni il loro metodo di uccidere chi ritengono un pericolo, perché tu vuoi fare altrettanto con loro? Punto secondo: mio fratello è uno di loro, lo hai dimenticato?”

“No, come non ho dimenticato che ha tentato di uccidere Gabriel.”

“Non dico che fosse la cosa giusta da fare, ma Isaia ha visto la parte più malvagia di Antinori, l’ha vista fuori dal controllo del suo amico … Se il mondo è in pericolo, devi mettere da parte le amicizie.”

“Gabriel sa controllarsi!”

“Diciamo, piuttosto, che negli ultimi mesi non ha avuto motivo per perdere le staffe … Senti, io so che Antinori può imparare a controllarsi e non è per forza di cose una minaccia, ma so anche che non fa il minimo sforzo per imparare a gestire ciò che è. Mio fratello, invece, in quel momento, stretto da mille pressioni, non è stato in grado di vedere un’altra strada … Siete tutti pronti a capire i tormenti di Antinori, ma nessuno di voi ha pensato che anche Isaia abbia attraversato un inferno interiore! Antinori ha fatto delle emozioni la sua forza, vi attinge continuamente, le manifesta in tutti i loro colori. Mio fratello no, lui ha anteposto il dovere e, comunque, non ama condividere con gli altri ciò che ha dentro di sé, ma il fatto che si comporti in maniera fredda, non significa che non abbia dentro di sé un mondo interiore ricco di sentimenti. Lui è una persona sensibile, troppo, e deve difendersi, rivestendosi di freddezza.” si stava commovendo, aveva le lacrime agli occhi “Ora tutti parlate di lui come fosse il più spregevole degli uomini, ma non avete idea di cos’abbia visto, di cos’abbia sentito, dei suoi dubbi, delle sue paure, delle sue motivazioni …”

Stefano, sebbene dispiaciuto nel vedere la ragazza così triste e potendo capire il suo dolore, era comunque irritato da quelle accuse, per cui disse: “Se uno non parla, non può pretendere di essere capito.”

“Io non capisco che cos’abbia Antinori che ammalia completamente te, Alonso e tutti gli altri …”

“È buono, gentile, comprensivo e sa tantissime cose.”

“Riguardo la cultura, mio fratello ha molte più conoscenze. Per quel che concerne la sua affabilità, dimmi, quante volte ti parla per motivi che non riguardino le verifiche, o delle ricerche? Si interessa a te come persona, o ti considera solo in quanto bravo e paziente nello sfogliare libri e documenti?”

“Ehi!” tentò di dire Stefano, ma venne subito interrotto.

“Non voglio risposte, voglio che tu pensi. Ora, me ne torno a casa.” e si voltò.

“No, aspetta! Rimani …” le chiese lui, dispiaciuto che stessero discutendo.

“Hai appena decretato la messa a morte di mio fratello: non ho voglia di stare in tua compagnia. Inoltre, mio padre non ha piacere che me ne resti fuori casa tutta notte.”

“Senti, come ti ha detto anche Gabriel, devi accettare che tuo fratello, ora, non sia più una persona buona. È una minaccia non solo per Gabriel, ma anche per te e me e tutti quelli che hanno dei poteri. Estinguere quell’ordine metterà al sicuro molta altra gente.”

Giuditta si voltò di scatto e fissò il ragazzo con occhi inviperiti e sibilò: “Che cosa ne sai tu dell’Ordine? Solo quello che ha detto Serventi. Un giudizio di parte, non trovi? Ma se anche fosse vero, come puoi tu sapere che Isaia ha abbracciato quella filosofia? Lui potrebbe cambiare le cose!”

“Io avrò idealizzato Gabriel, ma tu hai idealizzato tuo fratello!” Stefano stava perdendo le staffe “Vuoi sapere la verità? Isaia mi è sempre stato antipatico! Le sue lezioni erano noiose e non è mai stato un buon amico per Gabriel. Anzi, non gli è mai stato amico! Lo ha tradito ben prima della cripta! Più volte ha fatto la spia al Direttorio, per …”

“Taci!” gli intimò Giuditta “Il Bene e il Male non esistono di per sé! Ci sono solo l’Ordine e il Caos. Un’azione è buona se in armonia con l’ordine oppure è cattiva se tende al caos. Nient’altro. Per assicurare l’Ordine ci sono tre pratiche da mantenere: Gerarchia, Dovere, Obbedienza. Essere ligi alle regole è bene e non significa essere grigi, monotoni e di strette vedute.”

“Certe regole sono assurde!”

“Il fatto che tu non le capisca, non significa che siano inutili. Vuoi una dimostrazione? Vuoi vedere cosa accade quando si decide di infrangere delle regole che ci stanno strette?!” sebbene Giuditta sembrasse mantenere la calma nei modi, dalla sua voce trapelava l’ira e la furia.

Stefano non ebbe l’animo di dire alcunché e tacque, un po’ intimorito. La ragazza sorrise, schioccò le dita e una nuvola comparve a un metro sopra la testa del seminarista, che venne presto colpito da chicchi di grandine.

Giuditta ammiccò e se ne andò. Il seminarista cercò di convincerla a fermarsi, ma lei non si fermò e lui continuava ad essere seguito ovunque dalla nuvola e dalla grandine.

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Capitolo 11
*** L'invito ***


Per quanto si ingegnò, Stefano non riuscì ad allontanare da sé la nuvola di grandine, neppure rifugiarsi sotto un tavolo era servito a qualcosa. Aveva pure provato a telefonare a Giuditta, ma il cellulare era spento. Alla fine si limitò a inviare un sms a Gabriel, pregandolo di arrivare al mattino prima di tutti gli altri. Per ripararsi, infine, aveva preso una sedia e se la teneva schiacciata in testa.

Alle sei e mezza del mattino arrivarono in Congregazione, quindi, Gabriel e Claudia, piuttosto certi che il seminarista avesse richiesto il loro intervento a causa del fantasma. Si stupirono parecchio quando si ritrovarono davanti il ragazzo e la sua nuvola.

Gabriel si preoccupò e chiese: “Lo spettro può fare questo? Allora non è un fantasma, ma qualcosa di più pericoloso.”

Claudia era senza parole.

“No, la grandine è opera di Giuditta.” rispose Stefano a denti stretti, in un misto di rabbia e dolore per i chicchi che lo colpivano da ore.

“Quella ragazza è stata qui?” domandò Claudia.

Il seminarista raccontò rapidamente, ma senza omettere dettagli, quel che era accaduto.

La psicologa non tentò nemmeno di dare una spiegazione scientifica.

Gabriel era rimasto basito e non sapeva da cosa essere più stupito se il fantasma di Jacopo, il potere di Stefano o la grandine, alla fine disse: “Direi che innanzitutto dovremmo liberarti dalla nuvola e alla svelta: il resto della Congregazione non può vederti in questa maniera. Andiamo subito da Giuditta e convinciamola a … spezzare l’incantesimo? … Poi sono curioso di capire come mai lei sapesse che tu puoi dominare i fantasmi o quel che è.”

“Non so se sia già nel suo  ufficio … però forse so dove potrebbe fare colazione. Ma… Jacopo? Lo lasciamo qui?”

“No, hai ragione, meglio portarselo dietro.”

I tre andarono nello studiolo di Alonso e, con disappunto, si accorsero che il fantasma aveva messo sottosopra un mucchio di volumi.

“Perché hai messo tutto in disordine?!” sbottò Stefano, esterrefatto.

“Mi annoiavo!” si giustificò Jacopo, poi scoppiò a ridere “Certo che se avessi saputo della nuvoletta, mi sarei divertito di più ad osservare te. Chi è stato?”

“Non sono affari tuoi!”

“Ah, capisco … La ragazza che era qui stanotte, vero? Allora è più simpatica di voi, chi è?”

“Aiutaci a mettere in ordine il macello che hai combinato e poi te lo dico.” propose Stefano.

Tutti e quattro si misero a ricollocare i vari volumi. Gabriel, però, cercava di far fare il meno possibile a Claudia che, invece, non si sentiva affatto affaticata e voleva rendersi utile.

“Allora, ora mi dici chi è quella tizia.” pretese Jacopo, a lavoro finito, accendendosi un sigaro.

“Quello è di Alonso!” lo sgridò Gabriel.

“Ora è mio. Quindi, chi è quella?”

“La sorella di Isaia.” rispose Stefano, rimettendosi la sedia in testa.

“Chi è Isaia? Il templare?” scosse il capo “Ho sconquassato la testa pure a lui … è odioso come pochi, è proprio un templare.”

“Non parlare male di lui in presenza di sua sorella: guarda a me cos’è capitato.” Stefano indicò la nuvola.

“Oh, dubito che la grandine possa farmi male.”

“Credo proprio che possa fare ben altro.”

“Continuerete la conversazione in auto.” li interruppe Gabriel e accennò verso la porta “A proposito, Stefano, dove credi che la potremo trovare?”

Una mezz’ora più tardi i quattro si trovarono davanti alla porta dell’Avalon, il locale di Naomi, la zia di Giuditta ed Isaia. Gabriel, che aveva già avuto occasione di conoscere l’esuberante parente dell’amico, non era affatto contento di trovarsi lì.

Entrarono e subito sentirono una canzone più vecchia di loro: Sugli, sugli, bane, bane (https://www.youtube.com/watch?v=hbKm9qQnVe0) e videro la proprietaria del locale che, muovendosi a ritmo, puliva il bancone e canticchiava: “Sugli, sugli, bane, bane, tu miscugli le banane, le miscugli in salsa verde, chi le mangia non la perde. Chi le lascia, lascia al gatto, ma dev’essere un po’ matto, lo diceva un Livornese, che tornò da quel paese …”

Gabriel diede un colpo di tosse per richiamare l’attenzione e, quando la donna si voltò, la salutò: “Buongiorno … Come stai?”

“Oh, bene, bene! Tu sei Gabriel, vero? L’amico di Isaia …” poi notò Stefano “Tu invece sei l’amico di Giuditta … perché non siete più tornati assieme qui? E perché hai della grandine in testa?”

“Si faccia raccontare da sua nipote.” rispose seccamente il seminarista “A proposito, lei passerà di qua stamattina?”

“Sì, ma ci son già altri che la stanno aspettando, non so se ha tempo anche per voi.”

“Lo troverà.” sibilò Stefano, che non ne poteva più della grandine.

“Va bene, allora va al tavolo dell’altra volta, ci troverete della gente, ma va beh.”

“Grazie.”

Il seminarista fece strada agli altri. Naomi lanciò uno sguardo languido verso Jacopo, che però non se ne accorse. Intanto, la canzone era finita e il disco era andato avanti: https://www.youtube.com/watch?v=dpAUk1z8S38.

I quattro arrivarono al tavolo e lo trovarono occupato da tre uomini di circa cinquant’anni che li guardarono di traverso. Loro si sedettero nel tavolo accanto. Uno dei tre signori domandò loro: “Che ore sono?”

Gabriel guardò l’orologio e rispose: “Manca un quarto alle otto.”

I tre uomini si scambiarono occhiate di disappunto.

Poco dopo Naomi passò a prendere le ordinazioni di tutti quanti e, alle otto precise, entrò Giuditta che salutò la zia e poi raggiunse il proprio tavolo. Si stupì nel vedere anche Gabriel e il suo gruppo, aveva supposto che si sarebbe presentato Stefano, ma lo aveva immaginato solo, non con tutta la combriccola. Lanciò loro una rapida occhiata, poi passò oltre per raggiungere i tre uomini che si alzarono in piedi e la salutarono, usando l’appellativo di Stella d’Oriente e altre frasi sussurrate, che Gabriel e i suoi non riuscirono a cogliere. Giuditta, poi, si rivolse di nuovo a loro, dicendo: “Per favore, potreste andare qualche tavolo più in là? Dobbiamo parlare di cose private.”

Stefano sbottò: “Prima spegni la grandine!”

Giuditta lo guardò, sorrise soddisfatta e la nuvola svanì.

A quel punto, Gabriel e gli altri si spostarono come richiesto.

“Non mi piace per nulla tutta quella segretezza.” si lamentò Claudia.           

“Neppure a me.” sospirò Gabriel, cercando di tenere d’occhio l’altro tavolo “Cosa vogliono tre uomini di quell’età da una ragazza come lei?”

“Non mi pare troppo difficile da intuire.” sogghignò la psicologa.

“Claudia! Ti assicuro che non è il genere di donna da fare certe cose.” replicò Gabriel.

Intervenne Stefano: “Sono i suoi clienti che le chiedono consigli spirituali, ne sono sicuro: anche l’altra volta c’è stato un tale che l’ha chiamata Stella d’Oriente.”

Jacopo soffiò e disse: “Ma io ho perso tempo a combattere gente come voi? Bah … Volete sapere che cosa si sono detti, quando si sono salutati?”

“Certo! Li hai sentiti?” si stupì l’ex gesuita.

“Essere fantasma potenzia alcuni sensi, tra cui l’udito … il tatto e il gusto, invece, non ci sono più. Comunque, hanno accennato alla ricostruzione del Tempio.” ghignò.

“Tempio? Quale?” si interrogò Claudia.

Gabriel si rabbuiò: “C’è un solo Tempio famoso che, a livello esoterico e non archeologico, si vuole ricostruire: il Tempio di Salomone.”

Stefano ebbe un brivido e osservò: “I templari avevano come simbolo la spada e la cazzuola per difendere e ricostruire il tempio.”

Jacopo si mise a ridere: “Vi ha proprio raggirati per bene … È curioso che Bonifacio non sia riuscito a concludere i suoi piani con voi. Quella è la sorella del templare e non v’è venuto il dubbio che potesse essere in combutta con lui?”

“Non è detto che …” provò a dire Gabriel.

Jacopo lo interruppe: “Lei è sorella del templare. Quelli parlano di ricostruzione del Tempio. Coincidenze? Io non credo.”

“A proposito di Gerusalemme!” esclamò Stefano “Gabriel, Claudia, mentre eravate in vacanza, avete sentito i telegiornali dei giorni scorsi? Sapete quello che è successo a Gerusalemme?”

“No, cosa?” chiese la psicologa “Altri scontri tra Israeliani e Palestinesi?”

“No. Strane aggressioni e strani salvatori. Io e Alonso ci siamo insospettiti e lui, ora, stava raccogliendo immagini.”

“Che cos’è accaduto?” chiese Gabriel, incuriosito.

“Aspetta, controllo su internet.” disse Claudia e prese il tablet e iniziò a cercare. Trovò un giornale online Israeliano in inglese e lì reperì facilmente diversi articoli sulle aggressioni misteriose dei giorni precedenti e soprattutto poté visualizzare le fotografie sia degli assassini, sia delle vittime, sia di chi era intervenuto: uomini con tuniche bianche segnate da croci. A Gabriel bastò un’occhiata per riconoscere in essi i templari.

“Beh, non fanno solo danni.” constatò l’ex gesuita “A quanto pare intervengono anche opportunamente.”

“Non iniziare a difenderli!” lo ammonì Jacopo.

“Cosa sai di loro?”

“Sono dei bastardi assassini che non si rendono conto che l’epoca dell’Inquisizione è finita.” il fantasma parlò con odio “Non hanno mai esitato ad uccidere chi avesse dei poteri, anche se tali persone non avevano mai fatto nulla di male, anche se erano solo bambini. Io mi sono salvato grazie a Bonifacio.”

“Mi dispiace.” disse Gabriel “Vorrei che la gente dotata non fosse costretta a nascondersi, ma non posso condividere i vostri metodi.”

“Che cosa ne sai, tu?”

“Scusate!” intervenne Claudia, che stava ancora guardando il tablet “Credo di aver appena trovato una notizia interessante. Un mese e mezzo fa, è sfuggita alla sicurezza Israeliana (quella esperta in Krav Maga) una ladra che ha trafugato materiale non meglio identificato dai sotterranei della spianata del Tempio. Guardate l’identikit diramato.”

La psicologa girò il tablet e tutti rimasero sorpresi.

“È Giuditta!” esclamò Stefano “… O almeno sembra lei …”

“Le chiederemo spiegazioni anche su questo.” disse Gabriel.

Passò più di mezz’ora, prima che i tre uomini se ne andassero, si sentì distintamente il saluto: Tutta vostra nella Santa Verità.

Si faticò a trattenere Jacopo dal seguirli per ucciderli.

Giuditta, allora, si avvicinò al tavolo di Gabriel e gli altri e, molto seccamente, domandò: “Che cosa volete? La grandine l’ho tolta, ora toglietevi voi.”

Gabriel, piuttosto irritato da tutto ciò che era emerso su di lei quella mattina, la guardò severamente e replicò: “Primo: modera i toni. Secondo: vogliamo delle spiegazioni. Quindi prendi una sedia e rispondi.”

La ragazza si accomodò e, guardando l’uomo con aria di sfida, lo esortò: “Ebbene? Che cosa vuoi sapere?”

“Chi erano quegli uomini?”

“Muratori.”

“Menti!” sbottò Jacopo “Quelli erano templari! Vi ho sentiti, mentre vi salutavate, parlare della ricostruzione del Tempio e delle pietre!”

Giuditta scosse il capo: “Hai sentito bene e, in un certo senso, quegli uomini c’entrano con i templari … vagamente in realtà; sono loro che vantano di discendere dai templari, ma non ci sono prove storiche per appurarlo. Dimmi, Antinori, chi è che si crede erede dei templari e che ha riutilizzato la ricostruzione del Tempio come metafora per l’evoluzione spirituale, arricchendola con la storia di Hiram?”

“Massoneria.” annuì Gabriel, rammaricato di non averci pensato subito “Quindi quelli erano massoni?”

“Sì, liberi muratori.” Giuditta si mise una mano in tasca e ne tirò fuori una specie di ciondolo dove un compasso e una squadra incrociata formavano la sagoma di una stella a sei punte.

“Quindi sei nella massoneria?” chiese Stefano.

“No. Le donne non sono ammesse dalla Massoneria, almeno non negli ordini riconosciuti dalla Gran Loggia di Inghilterra, che è quella di riferimento. Molti hanno costituito quindi un ordine costola per le donne, che vengono chiamate Stelle d’oriente. Lo stesso appellativo lo usano quando si rivolgono a me, perché gli viene naturale considerarmi così, ma non ne faccio parte.”

“Scusaci per aver pensato …” iniziò a dire Gabriel.

“No! Un momento, non è ancora detto che lei non ne sappia nulla!” esclamò Claudia, mostrò alla ragazza l’articolo sui furti e disse: “Tu eri a Gerusalemme un mese e mezzo fa, lo neghi?”

“No.”

La psicologa passò agli articoli sulle aggressioni e cliccò sopra una foto dove si vedevano abbastanza bene un paio di templari: “Come puoi vedere l’Ordine di tuo fratello opera a Gerusalemme. L’hai incontrato? Ti ha mandato lui qua?”

Giuditta pensò un poco, poi annuì e disse: “Non va bene mentire, per cui sarò chiara: dopo avere recuperato alcuni manoscritti a Gerusalemme sono passata da Istanbul dove sapevo essersi rifugiato Isaia in attesa di essere riconosciuto come Magister Templi. Mi ha chiesto di venire qua e stare attenta che tu, Antinori, non ti lasciassi sopraffare dall’oscurità.”

“Solo questo?” domandarono diffidenti e all’unisono Gabriel e Claudia.

Giuditta li guardò con sufficienza e disse: “State pur certi che se avessi voluto o dovuto uccidere Antinori, lo avrei fatto senza che neppure ci si accorgesse del mio passaggio in città, per cui non dovete considerarmi una minaccia.”

“Chi accidenti ti credi di essere?!” sbottò la psicologa “Sei ancor più arrogante di tuo fratello! Tu adesso sparisci dalle nostre vite e non ti fai più vedere!”

“Non mi occorre stargli alle costole, per tenere d’occhio Antinori.” ribatté l’altra donna.

Gabriel intervenne: “Tu ti allontanerai da noi, su questo non c’è dubbio. Prima, però, dovrai dirci tutto quello che sai sui templari e quello che sta facendo Isaia, altrimenti io farò in modo che le autorità israeliane ti trovino.”

“Bravo Eletto!” si congratulò Jacopo “Così si parla alle spie; certo io ci aggiungerei una tortura, giusto per essere sicuro che dica tutto.”

L’ex gesuita gli lanciò un’occhiataccia e il fantasma sbuffò.

“Mio fratello vuole riformare l’Ordine, sancire criteri di intervento più equanimi.”

“Il concetto di equanimità di Isaia è molto discutibile.” dissero praticamente assieme Gabriel e Claudia; si guardarono teneramente, felici di quell’intesa.

Stefano saltò su: “Non parlate male di Isaia, per carità! Oppure questa scatena altra grandine!” guardò la ragazza con preoccupazione, poi gli venne una perplessità e domandò: “Ma i tre massoni non sono rimasti stupiti nel vedermi la grandine addosso?”

“Sì, ovviamente, ma ho provveduto a rimuovere il ricordo. Non mi piace manipolare le menti, tuttavia era una necessità.”

“A me invece piace un sacco manipolare le menti.” dichiarò Jacopo “È divertente riuscire a sconvolgere una persona con la semplice suggestione: mi fa sentire potente.”

Lo ignorarono. Gabriel chiese ancora: “Cos’altro puoi dirci di Isaia? Che cosa sta organizzando di preciso?”

“Non lo so, non discutiamo di queste cose.”

“E di cosa, allora?”

“Verità e Scienza Sacra.”

“E che cosa intendi, con ciò?”

“Le stesse cose che ai mie clienti rivelo tramite le metafore che meglio possono comprendere. Le stesse cose che avrei voluto trasmettere a Stefano, se solo avesse un carattere più adatto.”

“Io non avrei un carattere adatto?!” si lagnò il seminarista “Ma se ieri sera non facevi altro che dirmi che io …”

Shhh taci, taci!” lo interruppe Giuditta “Che cosa non ho dovuto fare per farti calmare ed impedire che la paura avesse il sopravvento su di te?!”

Gabriel si intromise di nuovo: “Che cosa hai rubato dai sotterranei del Tempio?”

“Innanzitutto rubato non è il termine esatto: io ho recuperato dei manoscritti abbandonati da almeno 700 anni, se non di più. Testi gnostici e religiosi che risalgono all’epoca di Mosè fino a quando è stato distrutto il Tempio per la seconda volta. Non so se fanno parte dei testi che i primi templari avevano trovato, oppure se erano rimasti nascosti finché non sono arrivata io.”

“Perché li hai presi?”

“Sete di conoscenza, principalmente, ma anche un interesse economico.”

“Vorresti venderli?!” si scandalizzò l’ex gesuita.

“No di certo, ma il mio prestigio aumenterà notevolmente e la gente pagherà ancora di più per le mie consulenze.”

“Non ti vergogni a chiedere soldi per dire alla gente qualche frase presa a casaccio qua e là da qualche libro?” domandò Claudia, allibita.

“Punto primo: lei non ha idea di che cosa parlo e, comunque, il fatto che lei non capisca o condivida qualcosa, non significa che sia un’astrusità. Punto secondo: io potrei dire lo stesso di lei e delle sue consulenze da psicologa. Punto terzo: crede che mio padre mi mantenga? Da cinque anni vivo solo di quel che guadagno io personalmente. Punto quarto: se si vuole aiutare i poveri o i bisognosi, a questo mondo, è necessario avere denaro da donare.”

“La psicologia è una scienza è un conoscere l’animo umano e si basa su dati concreti e su fenomeni accertabili, che si ripetono, presentando sempre le stesse dinamiche e soluzioni. Tu, invece, cianci di religione e filosofia, cose basate sull’astratto e soggette continuamente alla contraddizione.”

“Ennio Flaiano ha dato una definizione perfetta per la psicologia: una pseudo scienza inventata da un Ebreo affinché i protestanti si comportassero come i cattolici.

Sul volto della psicologa apparve un’espressione di ira tremenda e chissà che cosa avrebbe detto se non fosse intervento Gabriel: “Claudia, ti prego, non lasciarti provocare dalle sue parole: non ha senso che tu ti arrabbi per lei, soprattutto perché ti fa male tutto questo nervosismo. Anzi, direi che la cosa migliore da fare è andarcene.” si alzò in piedi, guardò arcigno la ragazza e le disse: “Come ha detto Claudia, non farti più vedere da nessuno di noi.”

Giuditta non disse nulla, si limitò a guardarli mentre si allontanavano. Claudia e Gabriel se ne andarono a braccetto; Stefano guardò molto aspramente la ragazza, anche alzandosi, poi si voltò e seguì gli altri due. Jacopo rimase indeciso, ma alla fine ritenne che quella ragazza non gli avrebbe di certo fatto trovare i templari, per cui preferì seguire Gabriel, dopo tutto era lui l’Eletto.

Claudia si era molto innervosita e per tutto il tempo del viaggio non fece altro che borbottare contro Giuditta, tanto che, arrivati in Congregazione, Gabriel fece scendere il seminarista e il fantasma. Lasciò qualche direttiva a Stefano e poi se ne andò assieme alla psicologa, perché voleva stare con lei e tirarle un po’ su il morale e aiutarla a rilassarsi. Si diressero verso piazza del plebiscito e, parcheggiata l’auto, fecero una passeggiata per il corso principale e Claudia, non potendo calmare i nervi con una sigaretta, decise di farlo comprando una borsetta. I due innamorati si divertirono parecchio e decisero di pranzare fuori, nel ristorante che si trovava in cima all’altare della patria, da cui si aveva una bellissima visuale sui tetti di Roma. Rientrati in casa, presero la posta; mentre la donna si versava un bicchiere d’acqua, Gabriel diede una scorsa alle lettere e notò una busta particolare perché vergata con una stilografica e sigillata con la ceralacca. L’uomo si incuriosì e chiese: “Claudia, c’è una lettera indirizzata ad entrambi, posso aprirla?”

“Certo e leggi ad alta voce.”

“Vediamo un po’ chi ci scrive …” aprì la busta, estrasse il foglio, guardò il mittente e rimase a bocca aperta.

“Allora?” chiese Claudia, uscendo dalla cucina e avvicinandosi all’amato.

Gabriel si scosse e farfugliò: “È da parte di Isaia e … Serventi?!”

“Come? Devo essermi persa qualche passaggio.”

“Anch’io.”

“Leggi.” lo esortò la donna, abbracciandolo da dietro e dando una sbirciata.

Cari Gabriel e Claudia …

“Cari? Che ipocriti!”

Avendo noi avuto occasione di parlare e di constatare che forse i nostri intenti non sono troppo distanti, ci piacerebbe ritrovarci anche assieme a voi ed ad altri amici per discutere dei reciproci progetti, con l’auspicio si possa arrivare ad una soluzione che soddisfi tutti quanti.

“Non ho parole! Ma cosa credono?! Uno tenta di trasformarti in un mostro, l’altro ha cercato di ucciderti e ora ti parlano di … di … cosa? Un meeting per stabilire che? Non c’è nulla che debbano discutere con noi o noi con loro! Io e te abbiamo il nostro progetto: amarci e vivere assieme … il nostro bambino, la nostra famiglia. Loro non c’entrano nulla e a noi non interessano le loro paranoie.”

“Non lo so, Claudia …” sospirò Gabriel, finendo di leggere mentalmente la lettera, ma non c’era nulla di importante se non la data, l’orario e il luogo del pranzo a cui erano invitati per iniziare a discutere tutti assieme e, chissà, magari intavolare una trattativa.

“Come?” si offese e stupì lei.

L’uomo si voltò verso di lei e le disse: “In fondo è un’occasione per chiudere definitivamente i conti con il Candelaio e la Profezia. Serventi non ci lascerà in pace: cercherà ancora di provocarmi e potrebbe di nuovo aggredire te o fare del male a nostro figlio. Devo fare questo tentativo si ascoltarlo e vedere se c’è un modo per far stare tranquillo lui e, soprattutto, noi.”

Claudia annuì e convenne: “Hai ragione: anche se andassimo a rifarci una vita dall’altra parte del mondo, lui ci troverebbe e metterebbe in pericolo tutti quanti. Se si può trovare un modo per soddisfarlo, senza che tu perda la testa e per farci stare in pace, vale la pena provare.”

“Mi preoccupa, però, Isaia. Non credo sia disposto a rinunciare alla mia morte. Avresti dovuto vederlo nella cripta! Io gli offrivo la pace ed il perdono e lui, invece, continuava a tentare di colpirmi!”

“Avresti dovuto denunciarlo! Lui sarebbe finito in galera e tu saresti stato al sicuro.”

“Io non so come reagirò, quando lo vedrò … Mi ha fatto troppo male …”

“Appunto! Gabriel, non vale la pena perdere tempo con chi ha dimostrato di non tenere a noi. Isaia ti ha mentito, ti ha tradito ed era disposto ad ucciderti, la reazione più sana e giusta è di essere arrabbiato con lui e non volerci avere più nulla a che fare. Pure la voglia di vendetta sarebbe perfettamente accettabile. Ora, non dico che tu gli debba cavare gli occhi appena lo vedi, ma togliergli il saluto è il minimo.”

“Lo so bene, Claudia, infatti non ho certo intenzione di mantenere neppure la gentilezza formale. Anche se non l’ho ucciso, per me lui è come morto.”

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Capitolo 12
*** Pranzo da Serventi, parte I ***


Isaia parcheggiò l’automobile in uno spiazzo, oltre un grande cancello, che precedeva il viale che conduceva alla villa che Serventi aveva scelto per il pranzo di pace. Il templare iniziò a chiedersi se fosse stata davvero una buona idea quella di fidarsi del Candelaio. La prospettiva di un accordo che piacesse a tutti era molto allettante, ma poteva credere che quelle fossero le reali intenzioni di Serventi? Mah! Forse quella era solo una trappola e lui ci era caduto in pieno. Già, il Candelaio si sarebbe ritrovato con lui e Gabriel in casa, avrebbe potuto facilmente scatenare in una qualche maniera l’Eletto e uccidere lui. Il templare non aveva preso precauzioni, era vero, ma non se la sentiva neppure di tirarsi indietro.

“Fiat voluntas dei.” pensò e si avviò verso la villa.

Si era accorto che la sua era l’unica auto parcheggiata, per cui doveva essere il primo ad essere arrivato; controllò l’orologio e si accorse di essere un poco in anticipo.  Chissà se Gabriel sarebbe venuto davvero; lui non ne aveva idea, non aveva ricevuto alcuna risposta all’invito, forse Serventi aveva notizie. Dopo la loro chiacchierata a Gerusalemme e la stesura delle lettere, lui e il Candelaio non si erano più visti o sentiti. Isaia aveva passato la maggior parte del tempo a leggere manoscritti alla ricerca di idee o ispirazioni per quelle trattative: aveva trovato parecchio materiale, troppo!, non sapeva cosa potesse essere davvero utile e cosa una perdita di tempo.

In quel momento, tuttavia, non stava pensando alla pace, bensì a Gabriel. Non lo aveva più rivisto dopo quel che era accaduto nella cripta e non aveva idea né di come comportarsi, né di cosa aspettarsi … beh, in realtà cosa aspettarsi lo sapeva: astio. Giuditta gli aveva riferito di tutta l’acredine che Gabriel aveva nei suoi confronti, quindi non sperava certo in un abbraccio.

Arrivò davanti alla porta, si concentrò per emanare sicurezza e suonò il campanello; dopo circa un minuto l’uscio si aprì e si ritrovò davanti Serventi.

“Isaia, ben arrivato, accomodati pure. Perdona l’attesa, ma i domestici sono indaffarati con gli ultimi preparativi per il pranzo.”

“Si figuri, ho portato questo.” porse all’uomo una cassetta di legno.

“Non dovevi disturbarti.” replicò Bonifacio, ma apprezzando le buone maniere.

Il padrone di casa appoggiò la cassetta sul tavolo del salotto, l’aprì e trovò tre bottiglie di vino adagiate nella paglia; guardò le etichette e, piacevolmente stupito, osservò: “Dolcetto d’Asti, Carignano del Sulcis, Nebbiolo d’Alba … Sei un buon intenditore di vino, non l’avrei mai detto.”

“Gesù ha trasformato l’acqua in vino e il vino, grazie alla transustanziazione, diventa bevanda di salvezza. Non c’è peccato nel conoscere il frutto della vite.”

Bonifacio sorrise, poi richiuse la cassetta e disse: “Le porto in cucina, tu accomodati e fa pure come fossi a casa tua.”

“Obbligato.” ringraziò Isaia.

Il templare si mise a sedere su uno dei divani disposti a ferro di cavallo attorno al camino spento e rilassò ascoltando la melodia di musica classica che lo stereo stava trasmettendo. Era una sinfonia piacevole, chiuse gli occhi per ascoltarla meglio, iniziò ad ondeggiare la testa e a canticchiarla a bocca chiusa.

“Isaia.” lo richiamò Bonifacio, rientrando in salotto “Noto che apprezzi Bizet.”

“La musica classica in generale. Bizet non è, però, tra i miei tre compositori preferiti, anche se fa sempre piacere ascoltarlo. Questa è la sinfonia in Do maggiore, nota anche col nome di Roma, giusto?”

“Sì, esatto, hai un buon orecchio. Dimmi, quali sono i tuoi compositori prediletti?”

Brahms, Wagner e Liszt. Per senso patriottico, Verdi mi è molto caro ed è a sé stante. Questi sono gli autori che ascolto più volentieri, nel senso che in qualsiasi momento o stato d’animo, mi fa piacere ascoltarli, mentre altri autori li associo a precise situazioni od umori. In realtà è molto difficile poter fare una classifica di gradimento per compositori così eccellenti.”

“Concordo pienamente.”

Passò un cameriere con un vassoio su cui portava alcuni flut colmi di prosecco; li offrì ai due uomini che presero ognuno un bicchiere, poi adagiò il vassoio sul tavolo, un poco più in là, affinché ci fosse l’aperitivo anche per gli altri ospiti.

“Ha avuto conferme di presenza dagli altri ospiti?”  domandò il templare.

“No. Confido, però, che non mancherà nessuno. Mi sono permesso di estendere l’invito anche a tua sorella.”

Isaia si accigliò e un po’ bruscamente protestò: “Non avrebbe dovuto!”

“Io ho deciso che la voglio conoscere e quando decido una cosa, le probabilità ch’io ci ripensi, sono pressoché nulle. Guarda il lato positivo: l’ho invitata a venire qua, in un’occasione pubblica, quando invece avrei potuto avvicinarla in segreto; oggi potrai sincerarti che la mia è solo curiosità e che non ho cattive intenzioni. Inoltre, pensaci, probabilmente sarà l’unica persona a volerti bene e ad essere benevola con te, durante questo pranzo: non credo che Gabriel, Claudia o Alonso saranno felici di rivederti; non condividi?”

“Questo non è un pranzo di piacere, rimane comunque una riunione, dunque la buona compagnia non è necessaria.”

“Un alleato che sostenga le tue idee, però, ti fa comodo.”

Si sentì suonare il campanello. Bonifacio si alzò per andare ad aprire e Isaia lo seguì.

Oltre la porta c’era una piccola comitiva: Gabriel, Claudia e Alonso, che erano attesi, ma anche, inaspettatamente, Stefano e Jacopo.

Ci fu un certo imbarazzo, un silenzio strano. Gabriel non aveva la più pallida idea di come comportarsi.

“Benvenuto, Eletto.”

“Mi chiamo Gabriel, ti ricordo.” replicò, seccamente, l’altro.

Jacopo, seccato, esclamò: “Su, facci entrare! Anzi, no.” passò attraverso la parete “Ecco, ora potete chiacchierare sull’uscio quanto vi pare.”

Bonifacio scosse il capo e disse: “Ricordami, per il tuo compleanno, di regalarti il Galateo di Giovanni della Casa.” poi si rivolse agli altri ospiti: “Prego, entrate, non fate complimenti.”

“Grazie.” dissero tutti.

Isaia, indietro di qualche passo, aveva osservato la scena. Si sentiva a disagio, in sé provava un misto di emozioni tra cui paura, rimorso, vergogna. Quando vide Gabriel avanzare, abbassò lo sguardo e riuscì solo a mormorare: “Ciao …”

Gabriel, trovandosi davanti il vecchio amico, non fu in grado di provare altro che estrema delusione e dispiacere. Prese a braccetto Claudia e andò verso i divani, senza dire nulla.

Pure Stefano lo superò senza salutare. Isaia sentì bruciare la ferita della solitudine: non aveva immaginato che l’indifferenza potesse fargli così tanto male. Via, non era la sua vita sociale a contare, in quel momento, era lì con scopi molto più importanti.

Isaia fu scosso da una poderosa pacca sulle spalle. Si accorse, quindi, che Alonso si era fermato vicino a lui e gli sorrideva, pur tenendo un sigaro fra le labbra: “Hermano! Sono muy feliz de revederte, come stai?”

Il templare si sforzò di sorridere: Alonso era vivo praticamente per miracolo e lui se ne sentiva in parte responsabile. Era contento di rivedere l’archivista perfettamente in salute, ma non si sentiva sereno. Comunque rispose: “Molto bene, grazie, e tu?”

Muy, muy, bien. Che hai fatto in esto periodo?”

“Molte cose, per lo più studio di antichi manoscritti. Sono certo che ti piacerebbero, spero un giorno di poterteli mostrare.”

“Quando vuoi hermano, recordate che c’è sempre un posto per te in Congregacione.”

Isaia spostò lo sguardo un attimo verso Gabriel, che, seduto sul divano, accanto a Claudia, gli stava dando le spalle, sospirò e disse: “Non credo … Comunque sono stato chiamato a svolgere un compito più grande.”

“Sei securo che sia esta la cosa giusta da fare?”

“Alonso, so che i Templari si sono macchiati di gravi colpe, ma io troverò la maniera di far sì che si riscattino. Gesù non condanna mai, cerca sempre di salvare. Credimi, tutto quello che ho fatto in questi due, tre mesi è stato finalizzato a rinnovare l’Ordine e a trovare una soluzione per neutralizzare la profezia, senza uccidere Gabriel.”

“Oh, esto me riempie de gioia el corazon! Spero che presto potremo riunire el nostro trio.”

“No, Alonso, mi spiace. Anche se troveremo un accordo, oggi, domani o chissà quando, quei tempi sono finiti, per sempre.”

“Dai, andemo da li altri.” lo invitò Alonso, dandogli una pacca sulla spalla.

“No, grazie. Tu va pure, ma io resto un attimo qua. La mia presenza non è molto gradita e non mi va di portare malumore.”

“Come vuoi, hermano.”

Isaia si avvicinò al tavolo dove c’era il vassoio col prosecco e si prese un altro bicchiere. Alonso raggiunse i divani e, sorridente come sempre, esclamò: “Serventi, dime, hai li ingredienti per il mojito? Cossì, a pranzo finido, ne preparo qualcuno, per chi gradisce.”

“Non manca mai nulla in questa casa, anzi, nelle mie case.”

Claudia, allora, domandò: “Questa è almeno la quarta delle tue ville che vediamo, in più c’era anche quella villetta di città in cui abitava Rebecca, sappiamo, poi, di tutte le altre strutture che avevi e non dubito che tu abbia molte altre proprietà di cui non siamo a conoscenza. Come puoi permettertele? Quanto paghi di Imu?”

Serventi la guardò con disappunto e le rispose: “Questi non sono affari tuoi, Claudia.”

Bonifacio non aveva la minima intenzione di raccontare come si premurasse sempre di circuire gente ricca (sia che fosse dotta di poteri, sia che non lo fosse) per incamerare i loro beni per mandare avanti la sua secolare attività.

“Credevo che oggi ci sarebbe stata chiarezza su tutti i fronti.” ribatté la donna con un sorriso che mascherava un tono di sfida.

“No, affatto.”

Claudia stava per replicare, ma Gabriel la distrasse e la calmò, stringendola a sé e dandole un bacio sul collo. Intanto Alonso si era seduto e finiva di gustare il suo sigaro, osservando gli altri. Jacopo, che aveva informato a Bonifacio che sarebbe poi rimasto lì con lui, era stato mandato a riferire ai domestici di aggiungere un paio di posti a tavola. Stefano si era preso un bicchiere di prosecco e ora si era fermato a guardare il grande quadro sopra al camino: era un ritratto di un giovane poco più che ventenne in abiti seicenteschi.

“Bello!” commentò il ragazzo “Lo stile sembra quello di Guido Reni.”           

“Bravo.” si complimentò Serventi “È proprio un suo quadro: uno dei ritratti dei nobili romani che gli han fatto acquisire fama.”

“Ah, quindi appartiene al primo periodo della sua produzione … Chi è quello ritratto?”

“Io.” rispose tranquillamente Bonifacio.

Stefano guardò l’uomo, guardò il bicchiere di prosecco e poi pensò che non fosse l’ideale bere a stomaco vuoto. Anche gli altri, però, avevano sentito quelle parole ed erano rimasti alquanto basiti. Fu in quel momento di silenzio che Isaia decise di farsi avanti e iniziò a dire: “Signor Serventi, lei ha vissuto oltre quattrocento anni, mi pare di capire, ha assistito a tantissimi eventi, ad alcuni dei momenti più rilevanti della storia, che idea si è fatto dell'umanità? È colpa dei vizi e della scarsa morale degli uomini, se si continuano a commettere sempre i medesimi errori, specialmente in politica?”

Quella domanda rivelava un sincero interessamento da parte di Isaia: prima non aveva idea dell’età del Candelaio, ora invece sapeva che quell’uomo aveva secoli sulle proprie spalle e ciò, sicuramente, gli conferiva vaste conoscenze e molta saggezza. Il templare non poteva non provare grande stima e rispetto per il suo nemico.

Bonifacio aveva scosso la testa e sospirato, chissà quali ricordi gli erano riaffiorati; rispose: “Vizi e scarsa moralità? È colpa del libero arbitrio, la gente può scegliere come comportarsi e si solito fa le scelte sbagliate o comunque quelle che fanno più comodo.”

“Appunto perché c'è il libero arbitrio, l'uomo è soggetto ai vizi e alla corruzione della propria anima. Da millenni filosofi e religiosi cercano di trovare la strada corretta, ma come si fa? Specialmente da quando è stato introdotto così allegramente il relativismo, riuscire a trovare ed indicare la strada del bene è sempre più difficile. Ognuno parla di diritto e di libertà, di fare ciò che vuole, ma in questo modo si genera solo caos ed anarchia! Io credo fortemente nei principi di ordine, dovere, obbedienza e gerarchia. Penso davvero che questi principi siano necessari in un mondo giusto. Il problema è far sì che chi è al vertice ne sia degno ... Ma ormai, di questi tempi, chi la pensa come me, non è affatto ben visto.”

Isaia era molto sconfortato, stava ripensando soprattutto al fatto che il suo comportarsi rispettosamente, attento alle regole, ligio al dovere gli aveva procurato il più delle volte disprezzo.

“Ai miei tempi, invece, chi non la pensava come imposto dall’alto finiva al rogo o comunque moriva. Da questo punto di vista meglio i tempi di oggi.”

Il templare ci tenne a puntualizzare alcune cose che, nei generalismi diffusi, spesso si andava dimenticando: “Eh, ma la pena di morte, a quei tempi, era diffusa in generale, non c'erano solo i roghi organizzati dalla Chiesa (e di cui anche i Templari sono state vittime, causa l'avidità di Filippo il Bello), ma c'erano esecuzioni pubbliche di continuo, per non parlare della gogna: era la giustizia di quei tempi, sia in campo spirituale che giuridico-secolare. Il torturare come pratica di interrogatori o punizione, lo si è ereditato dal diritto romano. La Chiesa aveva semplicemente seguito la modalità di giustizia precedente e, comunque, non è che ci fosse un reato di opinione e che gli eretici o le streghe venissero uccise perché la pensavano diversamente, bensì perché si  era convinti che essi avrebbero potuto attirare su tutta la nazione l’ira di Dio, oppure avrebbero potuto permettere al diavolo di agire.” fece una pausa e bevve un sorso per bagnare la gola secca “Merito di Beccaria se la condanna ha iniziato ad essere considerata correttiva anziché punitiva. Certo, è un bene che non ci siano reati di opinione, però dalla tolleranza non si può certo passare al relativismo più totale. L'etica deve esserci, altrimenti le leggi diventeranno una mera questione d'opinione e di contratto civile!”

“Ma se mettete ancora i libri all’indice!” sbottò Claudia.

Bonifacio, un poco arcigno, dichiarò: “So bene come funzionasse la giustizia una volta e come si sia evoluta, non c’è bisogno che tu faccia una lezione di Diritto. Per quanto riguarda la questione etico-morale, la discussione mi interessa parecchio e ci sarebbe di che parlare per giorni e giorni. Questa, tuttavia, non mi pare essere la sede più adatta per una simile conversazione ma, se le trattative di oggi saranno efficaci, io sarò ben felice di trovarmi con te a parlare di queste cose.”

“La ringrazio.”

Dal momento che ancora nessuno parlava, Isaia decise di approfittarne per avvicinare la questione per la quale si erano ritrovati: “Signor Serventi …”

“Chiamami pure Bonifacio e dammi del tu.”

Il templare si sentì un attimo a disagio per quella confidenza concessa. Riprese: “… Bonifacio … Mi piacerebbe capire che cosa fai tu con la gente dotata di poteri. Il signor Foschi diceva che li studiavate, ma in che senso? Siete una sorta di comunità dove le persone dotate di poteri sono libere di usarli, senza restrizioni? Voi li incoraggiate? E poi?”

“Non facciamo loro del male, gli ospitiamo e cerchiamo di capire quali siamo i loro poteri. Insegniamo loro a controllarli e poi sono loro a decidere cosa fare. Sono liberi di tornare dalle loro famiglie o a vivere soli in mezzo alle persone normali, ma quasi tutti si sentono a disagio e fuori luogo nella società, si sentono degli emarginati e, quindi, preferiscono continuare a vivere nella nostra comunità in mezzo a gente come loro.” stranamente c’era rammarico nel suo tono.

Isaia si tolse gli occhiali e, pulendo le lenti, commentò: “Mi sembra assolutamente ragionevole. Quindi non avete nessun tipo di retorica o ideologia particolare alla base della vostra comunità?”

Questo lo aveva già chiesto durante il loro precedente incontro, voleva però accertarsene nuovamente e far sì che pure gli altri lo sentissero.

“Esatto, come ho più volte cercato di far capire a Gabriel non siamo noi i nemici. Noi cerchiamo di aiutare queste persone, non vogliamo far loro del male.”

“Che non volete fare loro del male, lo sappiamo. La mia preoccupazione era che aveste intenzione di sfruttare i poteri di queste persone, per sottomettere la gente comune e che, appunto, voleste riformare la società dominandola voi. Dal momento, però, che non è così ...”

Non poté finire la frase, perché Claudia sbuffò: “Ma scegliere argomenti decenti per la conversazione è troppo difficile per voi due?”

“Giusto.” le diede man forte Gabriel “Io mi aspettavo un pranzo e qualche parola in scioltezza, non diatribe su questo e quello.”

Isaia provò disgusto per come l’amico si fosse lasciato traviare dalla dottoressa Munari. Digrignò i denti e provò a farli ragionare: “Sto semplicemente cercando di capire che cosa voglia esattamente Bonifacio, per vedere se è possibile accontentarlo, evitando che tu sia sopraffatto dalla tua parte oscura. È per questo che siamo qui."

“Eh va beh, ho capito. Il mio potere lo controllerò prima o poi.” Gabriel parlava così solo per non dare ragione ad Isaia; in realtà il problema gli stava parecchio a cuore.

Isaia si concentrò per trasmettere gravità e sottolineò: “Prima è, e soprattutto lo dimostri, prima potrò stare tranquillo. Possibile che tu non ti renda conto di ciò che potresti fare? Serventi non ha certo intenzione di lasciarti tranquillo! Lui ha degli obbiettivi che è determinato a raggiungere e farà di tutto per provocarti. Per questo dobbiamo trovare un compromesso!”

“Cosa te ne importa a te? Tu vuoi uccidermi!” ribatté, alzandosi in piedi, Gabriel; si capiva che provava rabbia e dolore.

“Gabriel, perché ti comporti così? Pensi davvero che ciò mi farebbe felice? Non posso credere che tu prenda alla leggera questa faccenda, ma sembra proprio che tutto questo non ti preoccupi. Immagino che tu sia spaventato, ma non è ignorando il problema che lo si risolve.”

Olè! Psicologia spicciola da romanzo per ragazzi!” esclamò Claudia, ridacchiando.

Isaia ebbe il gran desiderio di mandare tutti al diavolo, ma si trattenne: l’orgoglio e l’ira non avrebbero dovuto sopraffarlo; decise di tacere.

Un paio di minuti dopo, il campanello suonò nuovamente.

“Ecco l’ultima ospite.” annunciò Serventi, alzandosi in piedi.

Gli altri, eccezion fatta per Isaia che già sapeva, si guardarono perplessi, chiedendosi chi potesse essere. Bonifacio raggiunse la porta, prima ancora di aprirla percepì la sensazione di calma, sicurezza e dolcezza che emanava la sopraggiunta. L’uomo aprì la porta e si trovò davanti Giuditta. Serventi la squadrò e la riconobbe subito perché l’aveva vista nei ricordi di Isaia, ma nonostante ciò le chiese: “La signorina Giuditta Morganti?”

“Lo sa benissimo.” rispose lei, sorridendo; poi gli porse la mano e gli disse: “È un vero piacere ed un onore fare la sua conoscenza.”

L’uomo allungò a propria volta la mano, ma non strinse quella della ragazza, bensì gliela prese, la sollevò un poco, mentre lui si inclinò leggermente per fare un baciamano. Durante quel gesto galante, però, non aveva scostato i propri occhi da quelli della giovane e continuava a scrutarli, mentre diceva: “Anch’io sono felice di conoscerla, ero molto curioso.”

Continuò a fissarla, in realtà stava cercando di penetrare nella sua mente per fare una rapida indagine su di lei, ma incredibilmente non riusciva ad accedere ai suoi pensieri.

“Qualche problema?” chiese lei, che ben sapeva.

“No, assolutamente. Prego, entri.”

“Grazie.” disse lei, passandogli davanti.

Giuditta, appena entrata, si affrettò a raggiungere il fratello per salutarlo e abbracciarlo. Benché lo avesse sentito per telefono, erano comunque molte settimane che non lo vedeva e, quindi, fu molto affettuosa con lui. Isaia l’abbracciò con disinvoltura, poi tornò a ricomporsi.

La ragazza si voltò e vide gli altri ospiti accomodati sui divani lì vicino. Stefano le sorrise e la salutò. Lei lo guardò molto freddamente e si limitò a dire: “Buon pomeriggio a tutti.”

“Mi cherida que es el problema?” si stupì Alonso che non era stato messo al corrente degli ultimi diverbi tra la giovane e il resto della compagnia.

“Non tu, Alonso.” lo rassicurò lei, addolcendosi e andandogli vicino.

Serventi controllò l’orario: ormai sarebbe dovuto essere pronto il pranzo. Infatti, da lì a pochi minuti arrivò Jacopo che esclamò: “Oh, tutti a tavola! È pronto e io ho fame!”

“Sei un fantasma.” gli ricordò Bonifacio.

“E che vuol dire? Tengo fame lo stesso!”

Tutti quanti si alzarono e andarono verso la sala da pranzo. Claudia, però, si accorse di aver dimenticato in auto un integratore che stava prendendo per sentirsi meno stanca, per cui pregò Gabriel di andarglielo a recuperare e l’uomo andò subito. Isaia, allora, decise di rimanere in salotto, per poter parlare con l’amico, non aveva idea di che cosa dirgli, però voleva provare a parlargli: vederlo così indifferente e astioso lo faceva soffrire.

Isaia pensò che le cose sarebbero state decisamente più facili se si fosse scusato, tuttavia non poteva  ammettere di avere sbagliato, perché non era affatto pentito. In quel momento, nella cripta, uccidere Gabriel gli era sembrata l'unica soluzione possibile. Ora vedeva, o si illudeva, di vedere altre strade, ma erano poche e si trattava di sentieri niente affatto ben segnati, che avrebbero potuto non portare a una vera soluzione del problema. Chissà, forse non c’era una soluzione, forse l’Anticristo doveva davvero arrivare … No, no: impossibile! Lui non lo avrebbe permesso! Lui aveva promesso di combattere il diavolo fino alla morte. Già, ma ora quel diavolo era il suo migliore amico. Perché nessun altro capiva la gravità della situazione? Perché mai avrebbe dovuto essere lui a chiedere scusa? Perché mai lui avrebbe dovuto dirsi pentito, affranto e chiedere il perdono di Gabriel? No, non ce n’era alcun motivo: lui aveva fatto sicuramente la cosa giusta e, forse, l’errore lo stava commettendo ora a cercare un’altra strada.

Gabriel rientrò, si accorse subito di Isaia, ma non gli disse nulla, di nuovo gli passò davanti ostentando un’indifferenza che non aveva affatto e che faceva male pure a lui.

Isaia provò a parlare: “Gabriel …” ma poi non sapeva come proseguire.

L’amico si fermò qualche secondo, poi riprese ad andare. Il templare, preso come dalla paura di non riuscire a dir nulla, disse di getto: “Grazie per non avermi ucciso.”

Gabriel si voltò, guardò l’altro; anche lui era senza parole. Dopo qualche momento di incertezza, riuscì a dire: “Abbiamo condiviso anni delle nostre vite. Eravamo amici. Non avrei potuto …” poi tornò a dirigersi verso la sala da pranzo.

Isaia rimase solo qualche momento. Si disse che avrebbe dovuto aspettarselo che le cose sarebbero andate in quella maniera, lui stesso l’aveva detto: nulla sarà più come prima. Non si poteva tornare indietro. Certo, però, avrebbe preferito di gran lunga trovare Gabriel furioso, urlargli contro, piuttosto che trovarlo così distante.

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Capitolo 13
*** Pranzo da Serventi, parte II ***


Serventi aveva condotto i suoi ospiti nella sala da pranzo dove la tavola era apparecchiata per otto  in maniera assai elegante e gli antipasti erano già stati serviti. Il padrone di casa si mise a capotavola e chiese che i posti ai suoi fianchi fossero lasciati liberi per Gabriel ed Isaia. Claudia e Giuditta si ritrovarono quindi una di fronte all’altra e non ne ebbero un gran piacere. Stefano stava per prendere posto accanto alla ragazza, ma lei lo fulminò con lo sguardo e, quindi, capì che era meglio sedersi vicino alla psicologa e lasciare quella seggiola ad Alonso. Jacopo andò all’altro capotavola.

“Favorite pure.” esortò Bonifacio e tutti iniziarono a prendere le tartine o altri antipasti e a metterli nei piattini che avevano davanti a sé.

Presto tornarono sia Gabriel che Isaia e si unirono agli altri. Non c’era conversazione. Dopo un poco Alonso esclamò: “Vi ho mai raccontato del mi amigo Pedro e de quand’ero ne la jungla?” e iniziò a narrare di quelle disavventure, con grande disappunto di Isaia che era almeno la centesima volta che sentiva quella storia. Pure Gabriel l’aveva già ascoltata all’infinito, ma gli piaceva sempre quando il bibliotecario ne parlava e si divertiva parecchio. Gli altri, invece, sentendola per la prima volta, erano rimasti affascinati, tanto che, a fine racconto, Stefano esclamò: “Fantastico! Ci dovresti scrivere un libro! Tipo …. Pedro’s adventures! No, meglio Il richiamo della jungla … oppure Jungles&Dragons … o anche …”

Il libro della jungla?” lo interrupe, seccato, Jacopo.

Il seminarista gli lanciò un’occhiataccia, poi tornò a rivolgersi ad Alonso e chiese: “Potresti ripetermi un attimo quel pezzo in cui …”

“Stefano, per la Carità Divina, no!” intervenne Isaia “Ti garantisco che, se rimani in Congregazione, entro un paio di mesi avrai riascoltato questa storia almeno altre tre o quattro volte!”

Intanto era già stato servito il primo: pappardelle al cinghiale.

Bonifacio decise di prendere in mano la situazione e si rivolse all’Eletto: “Gabriel, raccontaci quali sono i tuoi progetti. Io conosco i miei piani, conosco le intenzioni di Isaia ma, per poter effettivamente vedere se è possibile una soluzione pacifica, bisogna conoscere anche i tuoi programmi.”

“Io ho soltanto una cosa nella lista delle cose da fare: vivere con Claudia.” e strinse la mano della donna.

Serventi rimase un po’ perplesso: “Sì, va bene, che tu voglia stare con lei mi sembra piuttosto chiaro, ma non può esaurirsi la tua vita solo in questo. Cioè, non credo che tu voglia passare 24 ore su 24 solo con lei, lasciando perdere tutto il resto e non facendo più nient’altro.”

“E perché no? Se volessi … Ho lei e mi basta.”

Isaia sgranò gli occhi, scosse il capo meravigliato e disse: “Come puoi dire così?! Qualsiasi bene di questo mondo non può soddisfare una persona! In Dio solo c’è la pienezza e la completezza! Ogni terreno piacere lecito è un dono del Signore e a Lui dobbiamo esserne grati. La dottoressa Munari è per te un dono di Dio, non dimenticarlo!”

“Ehi, io non sono un dono di nessuno!” replicò Claudia “Io ho liberamente scelto e deciso. Dio non c’entra nulla.”

“Dio c’entra sempre.” la contraddisse Giuditta “Dio parla continuamente con ciascuno di noi e ci indica la strada migliore per ognuno. Chi non è troppo preso dalla confusione del mondo e lo riesce a sentire e a vedere i suoi segnali e ad interpretarli, può decidere se seguirli oppure no. Per obbedire al Signore, però, sono necessari coraggio, fede e umiltà.”

Bonifacio sorrise e fece notare: “Questo è un pensiero più vicino alle filosofie di Giordano Bruno, che non al Cristianesimo.”

“Lo so.” lo informò la ragazza “Questo, però, è un pensiero che si avvicina anche all’I-ching cinese e alla teoria della sincronicità di Jung; per citare solo due casi famosi.”

Serventi fece un cenno compiaciuto col capo, poi tornò a guardare Antinori: “Tornando a noi, Gabriel, capisco che tu sia innamorato, ma l’amore non è vivere in simbiosi con un’altra persona. Io e tua madre non passavamo ogni secondo della giornata assieme, eppure ci amavamo tantissimo.”

“L’hai uccisa!” si infuriò Gabriel e, per un attimo, i suoi occhi si fecero rossi e questo spaventò il templare e sua sorella.

Serventi, invece, se ne compiacque e disse: “Come sa bene il tuo amico Isaia, a differenza tua, quando si servono beni superiori sono necessari sacrifici di ogni tipo: sacrificare se stessi è la cosa più semplice, più difficile è sacrificare le persone a cui teniamo. Credimi, io amavo sinceramente Clara, ma una missione che porto avanti da quattro secoli e che permetterà il benessere di migliaia di persone, era più importante di lei e del mio amore per lei. Capisci?”

“No, non capisco affatto. Io amo Claudia e non c’è altro ch’io desideri che stare assieme a lei, dividere con lei ogni istante della mia vita e, soprattutto, renderla felice, accontentarla e vederla sorridere a causa mia. Non c’è nulla in questo mondo o nell’altro che possa farmi venire in mente un orribile e ignobile pensiero come quello di rattristarla, figuriamoci se ci fosse una qualche ragione che mi convincerebbe ad ucciderla. Io amo, io so cos’è l’amore: voi no. Non hai neppure pianto quando è morta tua figlia, come puoi dire di sapere cosa sia l’amore? Jacopo, per quanto zotico e brusco, lo sa meglio di te! Si è ucciso per amore, per stare con Rebecca perché non poteva sopportare di vivere senza di lei. Tu, invece, hai ucciso la donna che hai la pretesa di dire essere stata la tua amata.”

Jacopo si era molto rabbuiato ed incupito per il ricordo di Rebecca e iniziò a guardare con odio il templare.

Giuditta, senza scomporsi, ribatté: “L'amore è una brutta malattia, quando può farti scordare di tutto il resto, fuorché la persona amata: questo è male.”

“Sei una ragazzina, che cosa ne vuoi sapere tu dell’amore?” la rimbeccò Claudia.

“Il mio è un discorso che non vale solo per l’amore.” spiegò con decisione Giuditta “Molte persone credono che non ci sia nulla di meglio che avere una passione (per una persona o un’attività) che li estranei completamente dal mondo, ma questo è sbagliato, perché finiamo per occuparci solo dell’oggetto della nostra passione e agiamo solo in funzione di esso e del nostro piacere, dimenticandoci di tutto il resto e non accorgendoci di tutto quello che accade attorno a noi. Ci scordiamo troppo spesso di essere parte integrante del mondo e che quello che facciamo o non facciamo ha ripercussioni sull'intero sistema. Noi dovremmo comportarci in modo di fare ciò che ci piace, ma in funzione del mondo, del benessere globale e non solo per il nostro piacere.”

Credere, obbedire, combattere.” storse il naso Claudia “Sono una psicologa e so cosa fa male e cosa fa bene. Ti assicuro che amare e avere hobby sono cose sanissime.”

“Hai ascoltato quello che ho detto o hai preso parole a casaccio del discorso e le hai assemblate come più ti faceva comodo? Io dico che ciascuno dovrebbe coltivare le proprie capacità, interessi e affetti, ma non esclusivamente per il proprio piacere, ma anche per il benessere comune!”

Bonifacio concordava appieno, ma aggiunse: “Vivere in simbiosi con una persona non è una relazione sana. In un rapporto di coppia è importante che ognuno mantenga la propria vita. Quando si passano 24 ore attaccati l'uno all'altro, si finisce col non aver più nulla da potersi donare. Il bello, invece, è continuare ad esistere come persone a sé stanti e poi trovarsi per condividere, per sostenersi, aiutarsi, comprendersi e tutto il resto, avendo sempre qualcosa di nuovo di personale da portare nella coppia per arricchirla.”

“Sentite, non ci interessano i vostri discorsi.” ribatté Gabriel “Io e Claudia stiamo benissimo.”

Bonifacio alzò gli occhi al cielo e richiamò a sé la propria pazienza, poi disse: “Gestione del rapporto a parte, non credi che tu abbia bisogno di stabilire una linea guida su cui improntare il tuo, il vostro futuro? Sei comunque capo della Congregazione della Verità, avrai pur qualche idea su come gestirla!?! Dopo tutto quello che hai visto e scoperto circa la gente dotata di poteri, vuoi che la Chiesa mantenga le procedure finora usate o vuoi rinnovarle?”

Gabriel era un poco confuso, poi iniziò a dire: “Le modalità di verifica non cambieranno, io voglio cambiare le tipologie di provvedimenti da prendere nei confronti delle persone realmente dotate di poteri, ma questo dovresti già saperlo. Sono due anni, ormai, che gestiamo le cose in modo che la gente dotata che troviamo, possa vivere una vita tranquilla, integrata nella società … ammesso che qualcuno non li ammazzi.” concluse lanciando un’occhiataccia a Isaia.

Il templare, punto nel vivo, ribatté: “Quei tempi sono finiti. Si dia il caso che, ora, i templari siano sotto il mio governo e io li farò rigare dritto e non permetterò più stragi insensate.”

“Le stragi sono sempre insensate.” replicò Claudia.

“Ad ogni modo” riprese Gabriel “Menti così bene e spesso, Isaia, che non ho motivo di pensarti sincero in questo momento.”

Serventi pensò bene di intervenire nuovamente: “Claudia, tu, in quanto psicologa, non credi che chi scopre di avere dei poteri meriti più attenzione e dell’aiuto per imparare ad accettare ciò che è e a controllarsi, prima di essere reinserito nella società?”

“Non ti seguo, che cosa intendi di preciso?” domandò la donna, dopo essersi pulita la bocca col tovagliolo, avendo finito di mangiare le pappardelle.

“Per esempio, Nadia, le avete detto di tornare pure alla sua vita, ma lei continuava ad incendiare le cose in maniera incontrollata. Se non l’avessi accolta io e non le avessi insegnato a dominare il proprio potere, avrebbe continuato a dar fuoco alle cose non appena si agitasse e questo sarebbe stato un terribile tormento. Grazie a me e al mio aiuto ha potuto vivere bene quei pochi mesi di vita che le erano rimasti.”

Isaia sentì su di sé il peso degli sguardi di Gabriel, Claudia, Stefano e Jacopo.

Antinori poi disse: “Quindi tu stai dicendo che vorresti ch’io mi dedicassi a queste persone e le aiutassi a imparare a gestire meglio i loro poteri, a convivere con essi?”

“Non è forse quello che hai sempre fatto, anche in Università, essere una guida per gli altri?”

Gabriel ci pensò su, in effetti era vero e a lui sarebbe piaciuto davvero molto aiutare quelle persone, nella speranza che loro non fossero tormentate dai loro poteri come lo era lui.

“Un cieco che conduce altri ciechi!” esclamò Giuditta “Oppure come quell’uomo che teneva la lampada dietro di sé per far luce agli altri, ma lui non vedeva la strada che aveva davanti.”

“Che cosa vorresti insinuare?” chiese Claudia, un po’ seccata.

Un paio di camerieri, intanto, avevano tolto i piatti fondi e ora servivano la seconda portata: arrosticini, agnello, patate al forno e insalata.

“Antinori non è in grado di controllare sé stesso, figuriamoci se è capace di insegnare il controllo ad altri!”

“Credi che sia facile vivere con questo peso?” le domandò Gabriel, ferito dalla verità di quelle parole.

“Sei tu che lo consideri un peso e questo ti impedisce di controllarlo. Serventi, su questo, ha perfettamente ragione: devi accettare ciò che sei!”

“Dovrei accettarlo e diventare un mostro?! Così tuo fratello si sente autorizzato ad uccidermi?”

“Non sei un mostro e i tuoi poteri non determinano il tuo essere buono o cattivo. Devi capire chi sei, conosci te stesso!”

Serventi aveva ascoltato con estrema attenzione queste parole e fu certo che quella ragazza sapesse la verità: si chiese come fosse possibile. Già non era normale che qualcuno riuscisse ad impedirgli di leggere la propria mente, quella ragazzina, invece, ci era riuscita, il ché significava non solo che lei avesse una volontà molto forte, ma anche che avesse una grande capacità di concentrazione e che avesse una mente molto allenata. Era certo che nessuno si rendesse conto della straordinarietà di quella giovane ed era anche sicuro che sarebbe stato bene scoprire al più presto quali fossero le sue inclinazioni, per capire se fosse un’alleata od una nemica.

Chissà, forse lei stava pensando le stesse cose di lui, in quel momento. Bonifacio lo sospettò perché a risvegliarlo dai suoi pensieri fu la voce di Giuditta che gli chiese di passarle, per favore, il sale. Lui non era particolarmente vicino al sale, anzi esso si trovava da tutt’altra parte e, infatti, ci stava pensando Stefano a prenderlo. Serventi scattò in piedi, dicendo: “No, fermo, ci penso io.”

Quando qualcuno viene colpito da un sortilegio, può facilmente scioglierlo passando il sale o facendoselo porgere dall’autore del maleficio. In assenza di incantesimi, è un modo per dimostrare le proprie pacifiche intenzioni a chi conosce questo segreto. Per questo Bonifacio si alzò in piedi e fece il giro del tavolo per portare il sale alla ragazza. Con quella richiesta lei gli aveva comunicato di non avere cattive intenzioni e lui, accontentandola, assicurava che nemmeno lui ne aveva.

Arrivato da lei e datale la saliera, notò che la ragazza aveva messo il coltello al contrario, con la punta rivolta verso sé stessa. Serventi capì immediatamente chi lei fosse.

Il pranzo continuò e finì. Bonifacio propose di andare nel giardino, dove c’erano sedie, divanetti e un piccolo piano bar dove Alonso avrebbe potuto fare i suoi mojito per tutti. L’idea fu pienamente accolta: c’era il Sole e c’era caldo, con una piacevole brezza.

Mentre si spostarono, Stefano si avvicinò a Giuditta e disse qualcosa a proposito della squisitezza del pranzo, nella speranza di attaccar conversazione con lei che, invece, fu fredda e non gli diede retta; questo fece divertire molto Jacopo.

Quando gli altri si erano messi a sedere, Bonifacio rivolse uno sguardo a Giuditta che, senza bisogno di leggere nella mente, capì che l’uomo desiderava parlarle privatamente, per cui si inventò un pretesto: “Signor Serventi, mi farebbe piacere visitare il suo giardino, mi accompagnerebbe, per favore?”

“Certamente, molto volentieri.” rispose lui battendo il bastone da passeggio a terra e, molto galantemente, porse il braccio alla giovane.

Giuditta accettò di prenderlo a braccetto e si allontanarono. Appena furono sufficientemente lontani dalle orecchie altrui, Bonifacio iniziò a chiedere: “Posso domandarti come mai, quando ci siamo presentati, hai detto che era un onore conoscermi? Se tuo fratello o l’Eletto ti hanno parlato di me, non devono certo averlo fatto con epiteti positivi.”

“Infatti, ma la sua fama mi è arrivata anche per altre vie, più clementi ed oggettive; non dovrebbe certo stupirsene. Non si è in molti a conoscere la Scienza Sacra e, quando qualcuno riesce a trovare la maniera di vivere oltre quattrocento anni, diventa noto a chiunque, in certi ambienti, e non può che suscitare rispetto e ammirazione.”

“Mi lusinghi.” lasciò passare qualche momento di silenzio “Allora, che effetto ti ha fatto, quando hai scoperto che tuo fratello non solo era entrato nei templari, ma che pure ne è diventato il Gran Maestro?”

“Ho avuto paura che si lasciasse traviare dal fanatismo di quella gente, invece è lui che li sta rimettendo in ordine.”

“Credi davvero che riuscirà a renderli ragionevoli e consapevoli?” chiese, quasi ironico, Bonifacio.

“Sappiamo entrambi che non sono sempre stati così, che l’ondata di violenza è un fatto relativamente recente, degli ultimi 70 anni.”

“Questo è vero, ma solo in parte: il cancro del fanatismo era già presente prima. In ogni caso, è più semplice insegnare qualcosa di nuovo, piuttosto che correggere una cattiva abitudine.”

“Se c’è qualcuno in grado di emendare il male è proprio Isaia.”

“Precisamente, ma non possiamo sapere quale metodo sceglierà.” l’uomo sogghignò.

“Ha libero accesso ai testi del nostro antenato: Giacomo il Giusto, è ovvio che agirà nel migliore dei modi e che servirà l’Ordine.”

“Già … ma tu sei sicura di sapere quale sia l’Ordine e quale sia il Caos?”

“Se non lo sapessi, starei sprecando la mia vita e starei facendo del male. Noi custodiamo la Scienza Sacra, la difendiamo dai profanatori, stia pur certo che sappiamo qual è il volere di Dio.”

“In quanti siete rimasti? Un centinaio? Siete sicuramente esperti della Scienza Sacra, lo dimostri pienamente, tuttavia anch’io lo sono, eppure abbiamo idee differenti su quel che sarà.”

“Ascolti, io sono qui solo ed esclusivamente per mio fratello, non sono autorizzata a parlare in nome dei miei compagni.”

“Non ti chiedo di farlo. Ti chiedo, però, di riferire loro ch’io li esorto a fare attenzione e a valutare bene dove sia l’Ordine. I tempi stanno finendo, le carte si rimescolano, così come le leggi. La distruzione di questo mondo è inevitabile e decisa, lo sai benissimo: la guerra è per decidere chi dominerà il nuovo mondo.”

“A suo tempo, la guerra, se la vogliamo chiamare così, ci sarà, la sofferenza dilagherà, ma chi uscirà vincitore lo si sa già: Dio.”

“Sì, sì, conosco la vostra concezione soteriologica, ma è errata. Sapete e predicate che la salvezza non è in questo mondo, che la liberazione si ottiene andando oltre all’immanente; quasi negate la grazia divina a favore del libero arbitrio e, tuttavia, pretendete che Dio si intrometta apertamente in queste faccende che, per quanto sovrannaturali e coinvolgenti esseri divini, sono pur sempre secolari. Non è la fine di tutto per la rinascita definitiva; la rinascita definitiva del mondo non ci sarà mai, è un’illusione! I singoli spiriti possono liberarsi dall’ego e rinascere in Dio, ma il mondo non è soggetto a ciò. Quello che presto accadrà è solo la fine di un ciclo per l’inizio di un altro e al libero arbitrio è dato di decidere come sarà. Riferisci questo.”

“Lo farò, ma dubito fortemente che i miei compagni raccoglieranno queste parole.”

“Se siete certi che la vostra convinzione corrisponda al vero, allora non dovreste preoccuparvi di quello che faccio, poiché non inciderà sul risultato finale. Se, invece, avessi ragione io, perché non fare fronte comune e assicurarci che il nuovo mondo segua la vera gerarchia? È quello che volete anche voi. Chi è più vicino alla Verità ha il diritto e il dovere di condurre gli altri. Concordi?”

“Detto con queste  parole, sembra coincidere col nostro pensiero, ma non ne posso essere sicura.” parve convenire la ragazza, titubante.

“Se non ci avete mai combattuti, un motivo ci sarà.” le sorrise Serventi, compiaciuto di svelare qualcosa a quella giovane.

Giuditta rimase in silenzio per diversi momenti, si era un po’ incupita: era la prima volta che sentiva quelle teorie e non era certa di come dovesse accoglierle.

Intanto avevano già raggiunto l’estremità del giardino e stavano tornando indietro. Bonifacio ruppe il silenzio: “Tuo fratello ti ha raccontato del suo incontro con Paimon?”

“Sì, certo, mi ha riferito ogni dettaglio.”

“Che idea ti sei fatta?”

“Che lui sia il Princeps; è per questo che, prima, ho detto che lui è fatto per emendare il male.”

“Brava, quindi hai ben chiaro chi siano lui e l’Eletto. Sai cosa sono chiamati a compiere?”

“Infinite sono le possibilità. Le strade del Signore sono infinite, non importa quale sceglieranno, il finale non cambierà.”

“Eh … si vede che sei giovane, ancora legata a certe speranze! Ricorda homo faber suae fortunae.”

“E allora perché ad Antinori non fai che ripetere che il suo destino è segnato?”

“Semplicemente perché voglio che scelga di essere come io lo voglio. Inoltre, sono sicuro che anche tuo fratello, quando conoscerà davvero i templari, si schiererà con me. Oppure lo ucciderò, la questione non è un mio problema, io punto molto su Gabriel, non sugli altri.”

“A proposito di altri, manca ancora all’appello la Guida, i tuoi progetti potrebbero dover essere rivisti.”

“Tu hai idea di chi possa essere?”

“No, è praticamente un caso che sappia di Antinori e di mio fratello … Tu? Lo sai?”

Serventi percepì della paura in quella domanda e ne fu lieto, perché gli dimostrava di essere considerato un avversario temibile e anche perché gli confermava che davvero la ragazza non sapesse chi potesse essere la Guida. Decise di essere sincero: “Nemmeno io lo so, ma ci sto lavorando.”

Erano più o meno a metà del tragitto tra il confine del giardino e la zona dove avevano lasciato gli altri. Videro venire loro incontro Stefano con in mano due bicchieri. Il seminarista si avvicinò sorridendo, ma si avvertiva che era un poco nervoso; porse un bicchierone alla ragazza e le disse: “Ti ho portato un mojito! Sono buonissimi, Alonso è davvero bravissimo!”

“Chi te lo ha chiesto?”

Stefano ci rimase male per quella risposta così brusca.

“Quindi, puoi tornare là con gli altri.” continuò la donna.

“E se anch’io avessi voglia di visitare il giardino?” replicò lui.

“Liberissimo di farlo, ma lontano da me.”

Stefano chinò il capo e se ne tornò indietro.

Intanto, là dove c’erano gli altri, Claudia e Gabriel se ne stavano abbracciati su un divanetto di vimini, Jacopo si lamentava di quanto fosse tutto noioso, mentre Isaia faceva compagnia ad Alonso che continuava, imperterrito, a preparare mojito.

Il templare non si sentiva affatto a proprio agio con la gentilezza e la benevolenza del bibliotecario; era perché gli sembrava di usurpare quell’amicizia. Infatti si vedeva che era amareggiato e poco partecipe alla conversazione, infatti, dopo un po’ non ce la fece più a trattenersi e col groppo in gola prese a dire: “Alonso io devo chiederti perdono.”

Hermano …!” si meravigliò il bibliotecario, interrompendo il suo lavoro.

Isaia si fece forza e confessò: “Tu ormai già sai che l'aggressione che hai subito in biblioteca, non era stata progettata da Serventi, bensì dai Templari. Ecco, tu, però, ancora ignori il fatto che, quell'ordine, l'ho dato io.”

Alonso strabuzzò gli occhi e lo lasciò proseguire.

Non era affatto facile per Isaia raccontare quei fatti, ma era un peso che non poteva portarsi dentro ancora: “Ti stavi avvicinando troppo alla verità. Io sapevo che ciò avrebbe messo Gabriel ancor più in pericolo di quanto non fosse già. Dovevo far interrompere la tua ricerca, per prendere tempo ... e quindi ... L'unica attenuante che forse posso avere, è che al sicario avevo detto di non uccidere ...” cercava di giustificarsi, cercava di far capire quanto fosse stato confuso e stressato in quel frangente “Vargas mi stava mettendo alla prova, costringendomi a dare quel comando ... Io ho detto a Giona di farlo apparire come un omicidio fallito, ma di non uccidere; prendere le tue ricerche e basta ... Se io non gli avessi detto di ferirti, Vargas gli avrebbe ordinato di ucciderti … Ti ho comunque messo in pericolo e non riesco a darmi pace per questo, specialmente vedendo che sei l'unico che non porta rancore verso di me. Non potevo tacere ancora, volevo e dovevo dirti la verità. Ti prego di perdonarmi, se puoi.”

Alonso era parecchio sconvolto. Guardò il suo caro amico, ma d’improvviso non riusciva più a vederlo come tale, scosse il capo e farfugliò: “Non è tanto quel che volevi fare a me... Ma quel che eri disposto a fare. Non si tratta di me ma di te, Isaia! Io... siamo in giardino ma siento mancarme l'aria.”

“Scusa …” disse ancora il templare, prima di allontanarsi per non turbare o disturbare maggiormente il bibliotecario, entrambi avevano gli occhi lucidi.

È finita- pensò Isaia, ora non c'era più davvero nulla che lo legasse al proprio passato. Aveva perso tutto, ora la sua esistenza apparteneva davvero solo ai Templari. Almeno era stato sincero e questo gli basta a sopportare la perdita anche di quell'amicizia. Ora non era più contrariato che sua sorella fosse lì. Soffriva. Doveva non pensarci: se ora si fosse lasciato vincere dall'ira o dal rimpianto degli affetti, allora tutto quanto sarebbe stato inutile! Lui aveva un compito ben preciso, affidatogli da Dio e questo bastava a rendergli più leggera la solitudine e gli infondeva la forza di proseguire. Lui non era lì per svagarsi, era lì perché sperava davvero in una soluzione pacifica per salvare la Chiesa e, probabilmente, il mondo. Non poteva permettere che i suoi problemi personali lo ostacolassero.

Indossò una maschera di severità e freddezza e andò verso Serventi che, assieme a Giuditta, stava tornando verso il gruppo. Jacopo, incuriosito, lo seguì.

Senza preamboli, Isaia parlò in maniera diretta: “Bonifacio, alle corte. Probabilmente, eccettuata mia sorella, tu sei la persona più ben disposta verso di me, qui; puoi dunque immaginare quanto poco a mio agio sia. Parliamo, per favore, dello scopo di quest'incontro: cos'è che vuoi esattamente? La vostra profezia cosa mira ad ottenere? Per quel che ho capito, volete diritti ed integrazione nella società per le persone dotate di poteri e volete anche vendicarvi dei torti subiti. È così? C'è altro?”

“No, Isaia, è esattamente questo che voglio.”

Giuditta non ne era molto convinta, ma non disse nulla. Gabriel e Claudia, accorgendosi di quella conversazione, si avvicinarono per ascoltare meglio.

Il templare proseguì: “La mia offerta è questa: rinuncia all'idea di portare l'Inferno in Terra. Gabriel, con l'aiuto di Alonso, Claudia, Stefano e della Congregazione, si occuperà di far sì che la Chiesa accetti pienamente la gente coi poteri, che non la perseguiti più, che le riconosca diritti e le garantisca un posto tranquillo nella società.” spostò lo sguardo verso l’ex gesuita “Poco fa, a tavola, ha manifestato di essere concorde con questa linea di condotta.”

“Sì, questo lo confermo.” Gabriel fu sincero e non gli dispiacque dare ragione al vecchio amico.

Isaia continuò: “La dottoressa Munari potrebbe specializzarsi nel dare sostegno psicologico a queste persone e tu potrai contribuire con le tue idee, affinché siano felici. Sarà un rovesciamento della Chiesa, seppure pacifico. Accetta questo sistema burocratico e non violento di riforma e io ti assicurerò vendetta. I vostri veri nemici e persecutori sono i templari. Se tu consentirai alla riforma pacifica, io ti consegnerò i Templari (compreso me stesso) e su di noi (noi soli) ricadrà la vostra vendetta. Rimetterò me e l'ordine totalmente nelle tue mani e tu potrai far di noi ciò che più t'aggrada. Queste sono la pace e la vendetta che posso offrirti. A te la scelta se accettare o no.”

Jacopo storse il naso e chiese: “Beh, tutto qui? Guarda che noi vi uccideremo comunque, trova qualcosa di più allettante.”

Bonifacio ammonì il fantasma: “Sono io che prendo le decisioni.” si rivolse al templare: “Lo faresti davvero Isaia? Sacrificheresti la tua vita e quella dei tuoi fratelli dell'ordine per salvare la Chiesa?"

“Non solo salvare la Chiesa. L'inferno sulla Terra coinvolgerebbe tutti. Se questo sacrificio servirà per salvare vite e anime, se salverà Gabriel, allora sono ben lieto di offrire tutto ciò che posso. A che mi servirebbe la vita, se non fossi pronto a sacrificarla, consacrarla, per un bene superiore?”

Bonifacio non si aspettava né una simile proposta, né una simile determinazione da parte di quell’uomo; l’idea, comunque, lo interessava parecchio e domandò: “Gli altri templari che cosa ne pensano della tua idea? Sono disposti a morire per i loro peccati e per quelli di chi li ha preceduti?”

Isaia, molto seriamente, replicò: “Loro obbediscono al Magister Templi, faranno ciò che ordinerò loro. Siamo già stati sterminati una volta, ripetere l'esperienza non è un problema.” e lo disse quasi sorridendo.

Gabriel era rimasto molto colpito e, nel proprio cuore, seppure non lo avrebbe ammesso apertamente, provò compassione e forse pure gratitudine per l’amico. Claudia, invece, sbuffò una risata e commentò: “Ecco se lui dice che si devono buttare sotto il treno loro corrono.”

Isaia replicò seccamente: “Sa, ci sono persone che riconoscono l'obbedienza come virtù, anziché come difetto.”

Bonifacio iniziò a pensare che l’idealismo fosse una debolezza della famiglia Morganti; quasi come un padre o un maestro, disse: “Gli uomini sono traditori, Isaia, i tuoi cosiddetti fratelli ti tradirebbero subito per salvarsi. Loro mandano a morte gli altri, non sono disposti al sacrificio.”

“Ho detto che ve li consegnerò, che lo vogliano o meno.”

Gabriel, si lasciò sfuggire un soffocato: “Fai come ti pare.” la sua rabbia era motivata dal fatto che non era per nulla entusiasta che il suo amico si mettesse nelle mani del suo nemico.

Isaia, non capendo ciò, replicò con la voce rotta: “Io faccio quello che devo, Gabriel, quante volte te lo devo ripetere? Questa è l'unica soluzione al problema che ho trovato, in alternativa a quella di ucciderti. Tu hai trovato qualche altra possibilità? Illuminaci.”

Gabriel si volse, sprezzantemente, prese per mano Claudia e le disse: “Vieni, torniamocene a casa.”

Senza salutare Serventi o Isaia, i due si allontanarono, fecero cenno ad Alonso e Stefano che li seguirono senza obbiettare. In un paio di minuti, erano spariti dalla vista degli altri.

Il templare fissò Serventi, senza aggiungere altro, in attesa di una risposta.

Bonifacio rifletté ancora qualche momento: “Va bene, tentiamo. Tu, comunque, al momento, rimarrai mio ospite.”

“Intende prigioniero.” specificò Jacopo, beffardo.

“Perfetto.” accettò Isaia e allungò la mano.

Serventi la strinse e il patto era concluso.

 

 

Nota dell’Autrice.

Approfitto di questo spazio per ringraziare i lettori di aver deciso di usare il loro tempo per leggere questa fanfic. Spero vi stia piacendo, lasciate pure il vostro parere.
Questo capitolo è un po’ una sorta di punto di svolta, io credo, per questa trama; da questo è nata tutta l’idea della fanfic. Ci tengo però a dire che questo capitolo è in parte frutto di una giocata di ruolo avvenuta su facebook.

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Capitolo 14
*** Post pranzo ***


Dopo la stretta di mano che aveva sancito il loro patto, Serventi si allontanò di qualche metro e andò a bere uno dei mojito lasciati da Alonso e Jacopo lo seguì; Isaia, invece, rimase con la sorella.

I due fratelli si guardarono, non erano felici; la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto in conseguenza a quel patto rattristava entrambi. Giuditta abbracciò forte, forte il fratello e gli chiese: “Come ti è saltata in testa una cosa del genere?”

“So quello che faccio.” rispose con tono grave Isaia.

“Come fai ad essere sicuro che Serventi si comporti in maniera leale e, dopo avervi uccisi tutti, davvero non tenterà di scatenare Gabriel? Gli hai offerto i suoi nemici su un piatto d’argento, è ovvio che dica di accettare il patto, ma poi, una volta rimosso l’ostacolo, sarà libero d’agire indisturbato!”

“Lo so, non sono così sciocco da lasciare il mondo senza protezione, fidandomi di un intrigante com’è Serventi. Io … non potrei dirtelo, ma voglio che tu capisca e che sia tranquilla, almeno un poco.”

Giuditta lo guardò senza ben capire, Isaia fece un respiro profondo e le disse, sussurrando: “Ho conosciuto dei Franchi Giudici: esistono ancora e si occupano principalmente di esoterismo. Se Serventi non manterrà fede al suo patto, loro interverranno e, credimi, sono di gran lunga più temibili dei templari.”

Un’ombra attraversò il viso della ragazza che domandò, con un accento di preoccupazione: “Come li hai scoperti?”

“Sono venuti loro da me, ho avuto più di un incontro con dei loro emissari. Mi hanno assicurato che terranno d’occhio Serventi e se tenterà di nuovo di provocare Gabriel, interverranno loro.”

“Ho capito, ma è necessario che sacrifichi te e tutti i templari? Perché non hai parlato a Serventi della riforma che stai attuando? Avresti potuto fare leva sulla vostra non ostilità e …”

“No. Lui sa quello che sto facendo e non gli importa.” la interruppe il fratello “Credi che gli basterebbe? Vogliono vendetta e non si accontenteranno certo della mia promessa: Non lo faremo mai più. Vogliono sangue e lo avranno, se servirà a calmarli una volta per tutte.”

“Non si calmeranno, anzi, crederanno di poter agire indisturbati! Questa è una decisione avventata che non servirà a nulla.”

“Sbagli, è l'unica cosa che servirà, metterà fine una volta per tutte a questa contesa. L'alternativa sarebbe uccidere Gabriel, ma non risolverebbe nulla, sarebbe semplicemente un rimandare la questione: Serventi continuerebbe a cercare un Eletto e i Templari continuerebbero ad uccidere ingiustamente. La buona riuscita di questa trattativa è l'unica strada possibile.”

“Isaia …!” disse con le lacrime agli occhi la donna “Perché ti è venuta in mente questa follia?”

“Non è facile da capire.” spiegò pazientemente lui, si staccò un poco dall’abbraccio, tenne le mani sulle spalle della sorella e la guardò negli occhi, per farle meglio comprendere: “I templari si immolano in massa ogni volta che la Chiesa si rinnova e dunque ha bisogno di espiare i propri peccati. I templari fungono da capri espiatori, si accollano i peccati del clero e si fanno uccidere per permettere alla Chiesa di rinascere immacolata. La prima volta fu appunto nel 1314, il caso che tutti conoscono; quello fu per dare nuova energia al Papato in lotta con l’imperatore. Poi, durante il concilio di Trento … i templari sequestrarono temporaneamente un eretico sotto processo a Reggio Emilia, si chiamava Basilio Albrisio, lui addirittura parlava di fine del mondo … comunque, ha indicato chiaramente e ha ricordato ai templari che in situazioni di rinnovamento, bisogna morire per rinascere. Anche in quel momento ci fu un massacro segreto di templari. Ve ne fu un altro, ma solo parziale, in concomitanza col Concilio Vaticano II. Adesso deve esserci un rovesciamento della Chiesa, se vogliamo che esso sia una trasformazione positiva e non un crollo, dobbiamo sacrificarci, noi templari.”

“Loro di colpe ne hanno a iosa e se si accollano qualche peccato in più e vengono uccisi, va anche bene, tuttavia, che cosa c’entri tu? Sei lì solo da due, tre mesi e poi tu sei buono!”

Muoia Sansone con tutti i Filistei!”

Giuditta era molto rattristata. Isaia si frugò sotto l’abito e tirò fuori il medaglione che serviva per aprire il libro metallico con gli scritti originali di Giacomo il Giusto, lo mise in mano alla sorella e le disse: “Mi raccomando. Quando noi saremo morti, tu dovrai recuperare lo scrigno e custodirlo: tramanda tu questa sapienza a chi ne è meritevole.”

La ragazza annuì, poi domandò: “Sai già quando consegnerai i templari a Serventi?”

“Sì. Convocherò una riunione plenaria per la notte tra il 24 e il 25 giugno, la notte di San Giovanni è molto importante per noi. Spiegherò loro la situazione e poi Serventi e i suoi agiranno. Direi che, dopo quel giorno, potrai andare a riprendere lo scrigno.”

Si sentì la voce di Jacopo gridare: “Ehi, voi due! Bonifacio vi vuole qui! Non ci piace che la gente bisbigli!”

I due fratelli si avvicinarono, pazientemente, e sentirono Serventi che stava rimproverando il fantasma per i modi scortesi e per aver urlato.

“Scusatelo, ha sempre avuto un pessimo carattere.” lo giustificò Bonifacio.

“Pure ora che sono morto mi rompi i coglioni e continui a darmi ordini?!” si lamentò Jacopo.

Serventi lo ignorò, si rivolse alla ragazza e le chiese: “Quanto hai intenzione di trattenerti ancora qui? Non è per farti fretta e allontanarti, anzi, puoi venirmi a trovare quando vuoi; è solo per sapere come organizzarmi. Isaia, invece, sappiamo resterà qui.”

Giuditta lo fissò poco cordialmente e gli rispose: “Mi fermerò ancora un’ora. Per quanto riguarda future visite, troverò il tempo di venire a trovare mio fratello, non lei.”

“Credevo di averti fatto una buona impressione.”

“Ucciderà mio fratello, che cosa si aspetta da me? Che le chieda di far coppia per il pinnacolo?”

“Avrai tutto il tempo per odiarmi dopo; finché Isaia è vivo, potresti essere gentile con me. Chissà, magari, per non rinunciare al piacere della tua compagnia, potrei rimandare l’esecuzione di tuo fratello a data da destinarsi.”

“Ehi, niente ripensamenti, Bonifacio!” ringhiò Jacopo “Lui è un dannato templare e deve morire al più presto assieme agli altri infami, così loro avranno quel che si meritano, il mondo starà meglio e io potrò raggiungere Rebecca!”

Serventi non ebbe il tempo di richiamare all’ordine il fantasma, poiché la donna tagliò corto: “Questo è un ricatto del tutto inopportuno.”

“È uno scambio, un baratto. Ad ogni modo” prese un biglietto da visita e lo porse alla ragazza “Avvertimi sempre almeno un’ora prima di passare.”

La donna prese controvoglia il foglietto e lo mise in tasca.

 

Quella sera, nel loro appartamento, Gabriel e Claudia erano sul divano a guardare assieme un film. La psicologa seguiva con vivo interesse e commentava spesso, l’uomo invece si limitava a risponderle a monosillabi o con qualche mugugno. Dopo una mezzoretta, stufatasi per quella poca partecipazione, la donna mise in pausa il dvd, si voltò verso l’amato e gli chiese: “Come mai sei così assente? Da quando ce ne siamo andati dalla villa di Serventi quasi non hai spiccicato parola. Si vede lontano un miglio che non sei presente con la testa; dimmi, a cosa stai pensando?”

Gabriel era molto cupo, fece una smorfia di incertezza e poi disse: “Non so se capiresti … non capisco nemmeno io molto bene …”

Claudia gli fece una carezza e lo rassicurò: “Gabriel, io ti amo, ti ho sempre capito e capirò anche questa volta. A cosa stai pensando?”

“…” esitò “… Ad Isaia.” disse infine.

“A Isaia?” rimase perplessa la donna.

“Sì, a lui.” e la guardò come a supplicarla di non arrabbiarsi.

“Beh, è strano, effettivamente … Come mai pensi a lui?”

“Rivederlo oggi … le su idee … Claudia, io gli voglio bene e sono arrabbiatissimo con me stesso per come l’ho trattato oggi. Forse è pure colpa mia se ha deciso di sacrificarsi. Magari era indeciso, non era sicuro, poi io l’ho trattato con indifferenza, lui c’è stato male e, sentendosi solo, ha pensato che morire non fosse poi una brutta idea.”

“Punto primo: anche se eri il suo migliore amico e lui è noioso e antipatico, sono certa che avesse altri affetti (prendi anche solo per esempio sua sorella), per cui non credo certo che la perdita della tua amicizia lo induca a desiderare la morte. Tutt’al più può aver pensato di ricorrere alla morte per rimediare a tutti i danni che ha fatto finora. Questo ci porta al punto secondo: hai dimenticato tutto quello che ha fatto? Che ti ha fatto?”

Gabriel prese le mani della donna, le strinse e replicò: “Claudia, sono … ero un uomo di Chiesa, il perdono è nella mia indole.”

“Ti ha mai detto nessuno: la prima si perdona, la seconda si condona, ma alla terza si bastona ? Va bene essere buoni, ma coglioni no! E poi, insomma, non si perdona solo se c’è pentimento da parte dell’altro? Isaia ti ha chiesto scusa, almeno?”

“No, però … anche lui sta soffrendo parecchio, l’ho visto chiaramente nei suoi occhi. Soffre quanto me e, ne sono certo, non sarebbe stato felice di uccidermi. Sono sicuro che nella cripta si è comportato così perché costretto, se non da qualcuno, almeno dal senso del dovere. Era sconvolto pure lui e non era per il mio potere. Claudia, tu hai visto il mio lato oscuro e mi hai lasciato, dopo ci siamo riappacificati, ma in quel frangente mi hai (non te ne faccio una colpa) mi hai abbandonato. Isaia non l’ha fatto e non mi riferisco a quel giorno. Sai quando è morto il padre di Alice? Prima io … io lo avevo trasformato in un demone. Isaia era lì e ha visto tutto.”

Claudia era senza parole, basita, molto rattrista e offesa, chiese: “Perché non me l’hai detto prima? Non ti fidavi di me?”

“Scusami, davvero, scusami per non avertene parlato ma … è per me una vergogna tremenda, sono disgustato da me stesso. Avevo paura a raccontarti quel che era successo; insomma, io stesso vorrei che non esistesse questa parte di me, io sono costretto a viverci perché è in me e non riesco ad allontanarla …” baciò la donna “Non hai idea di quanto piacere mi faccia, di quanto coraggio mi infonda sapere che tu, pur conoscendo questo lato oscuro, abbia deciso di conviverci, nonostante tu non sia costretta a farlo. Grazie per essere qui, grazie per essere con me. Ti amo.”

Claudia abbracciò fortemente l’amato e gli disse: “Oh, Gabriel! Non dubitare mai più di me. Lo sai, è vero che mi sono spaventata, ma starti lontano mi ha fatto capire che non posso stare senza di te. So che quello che ha aggredito Serventi non sei veramente tu e sono disposta a sopportarlo, pur di stare con te.”

I due innamorati si baciarono nuovamente, poi Claudia domandò con circospezione: “Che cos’ha fatto Isaia, dopo che ti ha visto trasformare quell’uomo in un demone?”

“Nulla.”

“Nulla?” si stupì la psicologa “Niente esorcismi? Niente denunce?”

“No. Era preoccupato, parecchio, soprattutto per me. Non ha detto nulla al Direttorio e so che non è stato facile per lui. In quel momento non ho capito, ero troppo spaventato e concentrato su di me per rendermi conto che anche lui era scosso …”

“Non fartene una colpa, però. È normale che, dopo una simile esperienza, tu non fossi molto lucido.”

“In quei momenti mi sembrava che Isaia mi mettesse una dannata pressione addosso. Ripensandoci ora, invece, con più calma, mi rendo conto che era solo la preoccupazione e l’empatia di un amico. Lui voleva aiutarmi, a modo suo, voleva ch’io fossi consapevole di me, del mio potere e che reagissi. Mi ha detto più volte di pensare, di riflettere e capire … e di affidarmi al Signore.”

“Figurati se non ci metteva in mezzo la fede.”

“È giusto così. Adesso ti stupirai nuovamente: sai che è stato lui a consigliarmi di abbandonare la Chiesa? L’ha detto in un momento difficile, dopo che gli avevo risposto piuttosto malamente, e poi i suoi consigli al riguardo sono stati più moderati, ma non ha mai detto che spretarmi sarebbe stato un errore e, quando gli comunicai la mia decisione, l’ha accettata, senza cercare di farmi cambiare idea. Era dispiaciuto che me ne andassi, però non l’ha neppure voluto dire, per non farmi sentire in colpa.” Gabriel rimase un poco in silenzio a ripensare, poi sospirò e disse: “Sì, Isaia è un amico.”

“Ti stai solo facendo commuovere perché dice di voler smantellare i templari …”

“E farsi uccidere!” sottolineò l’uomo “Si farà ammazzare, per evitare di uccidere me!”

“Non è detto che lo farà per davvero! Per quel che ne sappiamo potrebbe essere una bugia, un imbroglio … e non ti azzardare a dire che è improbabile, perché non lo è affatto. Sono più le menzogne che gli hai sentito dire che non la verità! Ti ha fatto credere che sia stata Rebecca ad aggredire Alonso, quando invece era stato il suo Ordine a farlo; credi che uno che è stato capace di mentire così spudoratamente, sia davvero disposto a sacrificare tutto quanto? E poi, suvvia, hai sempre detto che è ambizioso, credi davvero che uno così, che è appena diventato capo di un ordine, decida di rinunciarci?”

“Claudia, io non so perché Isaia mi abbia tradito, non so che cosa abbia pensato in quei momenti, ma sono certo che lui sia mio amico e che ora si sia pentito di quel che ha fatto e sta tentando di rimediare.”

“Gabriel, tu sei troppo buono e credi sempre che anche gli altri lo siano. Isaia ha mandato sua sorella a spiarti, come pensi che possa avere buone intenzioni?”

“È preoccupato per quello che potrei fare, per quello che potrei diventare! Anch’io sono preoccupato e, immagino, anche tu lo sia.”

“No, non lo sono. Tu mi hai detto che quando sei con me ti senti bene, ti senti una persona diversa e non hai paura di trasformarti. Io ci credo, io nel nostro amore, tu ne stai dubitando?”

“No, certo che no!” rispose Gabriel e abbracciò la donna “Lo confermo, è così! Il nostro amore è la gioia più grande, io sto veramente bene solo quando sono con te, tu plachi il mio animo e mi fai dimenticare dolori, ansie, timori e qualsiasi cosa mi affligga. La mia paura, però, è un’altra.”

“Quale?”

“Che cosa accadrebbe se ti perdessi? Se succedesse qualcosa a te o al bambino, che cosa farei? Mi trasformerei? Permetterei che il male che c’è in me si liberi? È questo che mi preoccupa: cosa sarei senza di te?”

“Oh, Gabriel, questo non lo devi pensare neppure per scherzo! Prima di conoscermi eri comunque buono, dolce, generoso, comprensivo, disponibile … Se saremo costretti ad allontanarci o se accadesse qualcosa, tu saresti ancora lo stesso quell’uomo meraviglioso.”

“Non lo so … Prima il mio potere era assopito, ora, invece …”

“Gabriel, ho pensato ad una cosa.”

“Quale?”

“Tu hai imparato, ormai, a controllare il tuo potere di riportare in vita le persone.”

“Sì, abbastanza.”

 “Allora è probabile che tu possa anche imparare a controllare il tuo potere di demonizzare e uccidere. Dobbiamo capire che cosa lo faccia emergere e poi lavorare su questo fattore scatenante affinché tu possa imparare a gestire il tutto. È un lavoro psicologico che dobbiamo svolgere.”

Gabriel annuì, ammirato, e disse: “Hai ragione. Grazie, Claudia, per averci pensato! Mi aiuterai tu, vero?”

“Teoricamente non potrei: non si può essere psicologi di gente che si conosce, tuttavia, data la delicatezza e la particolarità del caso, farò un’eccezione, come ho fatto per la mia amica. Sai, non credo che i miei colleghi riuscirebbero a concepire il fatto che tu ti trasformi realmente in un’altra persona e non è semplicemente una personalità multipla.”

“Ah, sì?! E io che credevo che gli psicologi non fossero gente scettica.” scherzò Gabriel.

Claudia si mise a ridere, poi iniziarono a coccolarsi, dimenticando il resto.

 

Il giorno dopo, in Congregazione, Stefano stava dando una mano ad Alonso a sistemare alcuni volumi e, contemporaneamente, gli ripeteva ciò che stava studiando negli ultimi giorni, in vista di un esame. Arrivò Giuditta, vestita in maniera semplice; si avvicinò all’archivista e lo salutò allegramente, il gesuita ricambiò. Il seminarista fece un cenno con la mano e mormorò un ciao, ma venne ignorato.

“Mi cherida, non pensavo de revederte qua, ma mi fa muy piacere. Me despiace per la decisione presa da tuo fratello.”

Alonso, il giorno prima, era rimasto sorpreso e deluso dalla confessione di Isaia e, sul momento, aveva avuto una reazione ostile nei confronti dell’amico, poiché non riusciva a concepire il suo gesto. Quando, poi, però, aveva saputo che cosa Isaia avesse offerto a Serventi, pur di mantenere la pace e consentire a Gabriel una vita serena, Alonso si era finalmente reso conto, se non della gravità della situazione, almeno di quanto grave pareva la situazione al templare. Il bibliotecario non vedeva tutta quella faccenda troppo oscura e difficile, benché non avesse le idee chiare su che cosa stesse accadendo, per questo non era riuscito a comprendere subito il perché Isaia avesse agito come aveva fatto, ma constatano fino a quale estremo l’amico era pronto a spingersi, capì che la faccenda doveva averlo sconvolto e continuava a preoccuparlo parecchio.

“Non capisco come mai abia deciso de metterse ne le mani del Candelaio, me pare loco.” continuò a parlare alla ragazza.

“Sono qui per capirlo o, almeno, per provarci. Ho bisogno del tuo aiuto.”

Deme cosa poso fare.”

“Ho bisogno di tutto il materiale che avete in Congregazione circa il processo ad un eretico: Basilio Albrisio, anno 1559. Il processo ebbe inizio a Reggio Emilia, ma poi giunse un messo pontificio con l’ordine di trasferirlo a Roma, da allora non se ne seppe più nulla.”

“È la prima volta che lo sento nominar! Porché pensi che posa spiegare la decisione de Isaia?”

“Lo ha nominato lui. Se dovessi consultare le mie fonti, dovrei spostarmi e andare lontano, quindi spero di trovare qui qualcosa di utile.”

“Me meto subito all’opera.”

“Grazie. Ah, due cose: basta che trovi il materiale, poi lo consulterò personalmente; inoltre, se per caso la Congregazione avesse poco o nulla, potresti, per favore, fare una visita all’archivio vaticano segreto?”

Seguro, non ho problemi ad entrare lì e a prelevare materiale, anche quelo de l’Inquisicione, non temere, te troverò ciò che te serve.”

“Grazie mille!” rispose lei e abbracciò, riconoscente il bibliotecario.

Alonso sorrise e disse: “Bien, me meto subito a la ricerca. Stefano, finisci da solo de sestemare achì.” detto ciò andò nella stanza accanto.

Il seminarista si avvicinò un poco alla ragazza e provò a rompere il ghiaccio con quella che, nella sua testa, doveva essere una battuta: “Beh, ti intrufoli nei sotterranei del Tempio, senza timore di guardie israeliane esperte in Krav Maga e temi, invece, un paio di guardie svizzere all’archivio vaticano?”

“Io rispetto sempre la legge, fin quando è possibile.” rispose lei, molto freddamente, si voltò e iniziò ad andarsene.

“Aspetta!” esclamò lui, che non ne poteva più di essere trattato così.

Giuditta si girò e lo guardò con occhi inviperiti.

“Non puoi comportarti così!” disse lui con una certa rabbia, poi aggiunge anche una certa dose di decisione “Anche se hai deciso di odiarmi, io pretendo rispetto! Quindi smettila di ignorarmi, salutami quando mi vedi e non usare un tono di sufficienza quando mi parli!”

La ragazza non disse nulla, si limitò a squadrarlo, abbozzare un vago sorriso, poi si volse di nuovo e se ne andò.

Stefano, per la rabbia, scaraventò una sedia a terra. Poi tornò in sé, la raccolse subito e si rimise a riordinare i volumi. Quand’ebbe finito, raggiunse Alonso che aveva recuperato alcune casse coi documenti della Congregazione dei secoli XVII e XVIII. L’archivista indicò al giovane dei plichi da controllare e lui si mise subito al lavoro.

Alonso, tuttavia, notò presto che il seminarista era di cattivo umore, per cui gli chiese: “Amigo, te vedo muy scuro, che te sucede? Porché es triste?”

Stefano scosse il capo e disse: “Giuditta è arrabbiata con me e io non so cosa fare.”

“Vedrai che le pasa.” commentò, tranquillamente il bibliotecario.

“Ormai è una settimana, no di più, nove giorni, che è furiosa con me e o non mi calcola o mi tratta con una freddezza …”

“Che cosa hai fato por farla adirare cossì?” si meravigliò Alonso.

Stefano gli spiegò che era tutto iniziato per colpa del fantasma, gli raccontò meglio come erano andate le cose, il vincolo imposto a Jacopo, la discussione avuta con la donna e basta, evitò il dettaglio della grandine e concluse: “Anch’io le ho tenuto il broncio il giorno dopo, ma poi mi è passato! Ieri, quando l’ho vista a casa di Serventi, ho pensato che anche lei fosse più tranquilla e, invece, si è comportata come se non esistessi e quando ho provato a parlarle, mi ha trattato come fossi un imbecille. Non lo sopporto!”

“Cosa non soporte? Lei? L’esere tratato cossì? L’esere tratato cossì da lei?”

Stefano si sentì un poco confuso, ragionò e rispose un po’ amaramente: “L’ultima che hai detto, temo. Gente che mi tratta malamente ce n’è sempre stata e ci sono abituato, non me ne importa nulla se degli idioti mi ignorano. Non credo di non sopportare lei, perché altrimenti non ci starei male per il suo comportamento e la manderei al diavolo anch’io. Mi fa male che sia lei a trattarmi in questa maniera, mentre io vorrei che mi fosse amica, come prima. Beh, in effetti, non è che fossimo amici, però … Io mi trovavo bene con lei, è strana, ma è simpatica e poi sa tante cose e ha un caratterino che … Mi dispiace che lei sia così arrabbiata e ancor di più che sia furiosa per colpa mia …”

Il ragazzo rimase in silenzio, evidentemente stava continuando il discorso nella propria testa.

“Vuoi dire altro?” chiese Alonso.

“Non c’è altro da dire.” scosse il capo il seminarista “Io vorrei esserle amico, vorrei il suo affetto; ma non so come fare per rimediare. Io penso davvero quello che le ho detto su Isaia, come potrei fare?”

Hombre, ci sono de le volte in cui bisogna decidere se por noi sono piò importanti le nostre convincioni o i nostri afeti. Non dico che tu deba cambiare idea, anzi, esto sarebbe sbaliato; semplicemente devi acetare che lei la pensi diversamente e chiederle scusa de averla ferita.”

“Chiederle scusa? Ma io penso davvero quelle cose, sarebbe un mentirle.”

“No. Non devi dire d’aver avuto torto, devi dirle che te despiace che lei sia triste e farle capire che se anche la pensate diversamente, non è necesario essere arabiati.”

“Sì, hai ragione!” si convinse il ragazzo “Appena ne avrò l’occasione farò così. Grazie!”

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Capitolo 15
*** Un nuovo caso ***


Isaia era stato condotto in uno stanzino nel piano seminterrato della villa di Serventi e vi era stato rinchiuso privo di qualsiasi cosa: non aveva né acqua, né cibo, né un giaciglio dove dormire. Rimase lì fino al pomeriggio seguente. Era rinchiuso da quasi 24 ore, quando la porta si aprì ed entrò un poco di luce. Quando i suoi occhi riuscirono a riabituarsi alla luce, misero a fuoco che l’uomo sulla soglia era Serventi.

Bonifacio guardò il prigioniero dall’alto al basso, era seduto in un angolo, gli chiese: “Come ti sei trovato qui, Isaia?”

“Non posso lamentarmi.” rispose il templare, volendo dimostrare che le privazioni terrene non lo turbavano, dal momento che lui aveva Dio con sé.

“Immaginavo che questa sistemazione fosse troppo confortevole, infatti ho provveduto ad allestire una stanza speciale tutta per te. Jacopo provvederà a farti compagnia e ad assicurarsi che tu sperimenti ogni cosa che abbiamo preparato. Vieni, ti ci accompagno.”

Isaia si alzò in piedi e seguì Serventi, non si spostarono di molto, soltanto di pochi metri, in un’altra stanza della cantina. Appena l’uscio fu aperto e lui vide oltre, il prigioniero ebbe un sussulto e lo attraversò un brivido: era una sala di tortura in piena regola.

“Che ne pensi, Isaia, non è perfetta? Direi che non manca nulla.”

Il templare si guardò attorno agghiacciato e sussurrò: “No … c’è proprio tutto …” in realtà aveva notato, con sollievo, che mancava uno strumento di tortura chiamato pera.

“Il calore dell’Inquisizione.” commentò ancora Bonifacio “Ti è famigliare, vero?” non ricevette risposta “Solo che, questa volta, sarai tu ad usufruire dei benefici di questi strumenti.”

“Credevo di dovervi prima consegnare i templari e poi subire i vostri sfoghi.”

“Isaia, io credo che tu abbia preso la tua decisione con poca cognizione di causa, per questo ora resterai un paio di giorni nelle mani di Jacopo: per vedere che cosa attende te e i tuoi compagni. Se, dopo questa infarinatura, sarai ancor del parere di rimettere tutto quanto l’ordine a noi, allora vedremo come potrai agire per convocarli.”

“Bene, da cosa si inizia?”

Serventi fu divertito da quella ostentata non curanza; spiegò: “Non lo so, è Jacopo che decide, qui. Vedremo se, dopo, sarai ancora così spavaldo.”

“Bonifacio, ti ricordo che il martirio è connaturato con l’essere cristiano. Non è una sconfitta per noi, ma un onore.”

“Sono passati millesettecento anni da quando hanno smesso di perseguitarvi e avete iniziato ad essere voi gli aguzzini.” Serventi scorse il fantasma sopraggiungere “Ecco Jacopo, ti lascio a lui. Noi riprenderemo la conversazione tra un paio di giorni.”

Serventi se ne andò e lasciò il posto a un ghignante Jacopo. Lo spettro diede uno spintone ad Isaia per farlo entrare nella stanza.

“Prima di tutto, gli occhiali: dammeli.”

Isaia non disse nulla, si tolse gli occhiali e li consegnò; aveva l’aria dimessa, era rassegnato ma sereno e deciso a farsi torturare senza battere ciglio; avrebbe urlato per il dolore, ne era certo, ma non avrebbe chiesto pietà o clemenza.

Jacopo prese gli occhiali, li guardò un attimo, sputò sulle lenti, poi li gettò a terra e li calpestò, mandandoli in frantumi.

“Sono indeciso se iniziare con la sospensione, oppure con il tavolo d’allungamento.” disse poi lo spettro “Bah, intanto che ci penso, ti metto la maschera.”

Prese una sorta di elmo modellato in modo da richiamare la testa di un topo. Si avvicinò al prigioniero, gli sputò in viso, poi gli calzò la maschera sul capo. Isaia provò un gran dolore, poiché quell’elmo era congegnato per stringere con una serie di graticole la testa di chi la indossava.

“Maschera d’infamia.” scandì Jacopo “Fa proprio al caso tuo. E ora, sospensione, il tavolo lo usiamo quando sei stanco, così puoi star sdraiato.” ridacchiò.

Prese Isaia piuttosto bruscamente e lo strattonò fin sotto ad una carrucola.

“Braccia dietro la schiena, stese, polsi uniti.” ordinò il fantasma.

Il templare non se lo fece ripetere ed obbedì. Lo spettro prese una corda e gli legò i polsi, poi dalla carrucola fece calare un’altra corda, terminante con un gancio che attaccò al nodo che aveva fatto per legare le mani. Dopo si spostò e iniziò a girare una manovella che cominciò a riarrotolare la corda della carrucola.

Isaia sentì che il gancio si sollevava, portando con sé i polsi legati; più la corda veniva riavvolta più anche le sue braccia venivano alzate e presto avvertì il dolore per la posizione innaturale che prendevano le spalle. Nel giro di pochi minuti fu sospeso per aria, coi piedi che non toccavano terra.

Jacopo, soddisfatto, bloccò la manovella, in modo che restasse ferma a quell’altezza.

“Guarda quanto sono buono!” esclamò Jacopo “Ti risparmio sia il masso alle caviglie, sia gli sbalzi della sospensione, perché se ti disarticoli adesso, poi il tavolo d’allungamento non serve granché.”

Si spostò fuori dal campo visivo di Isaia, raggiunse un focolare, già acceso, controllò le braci, poi vi mise sopra una mazza di ferro ad arroventarsi. Prese poi una frusta e si mise alle spalle del prigioniero e gli disse: “Intanto che aspettiamo che il fuoco faccia il suo dovere, iniziamo con un’introduzione classica: cento frustate, poi si vedrà.”

Fece schioccare la frusta in aria e poi iniziò a sferzare la schiena di Isaia che per un po’ si sforzò di sopportare, ma poi non poté evitare di urlare sotto i colpi che, dopo avergli strappato le vesti, ora gli aprivano lunghi tagli sulla schiena.

“E ora” annunciò Jacopo, arrivato alla fine della serie “Visto che dobbiamo tenerti vivo e non vogliamo che le ferite si infettino …”

L’aguzzino prese dell’alcool e lo spruzzò sulla carne viva del templare che sentì un bruciore tremendo e ancora gridò.

Jacopo prese un coltello, si mise davanti al sospeso e, senza delicatezza, gli stracciò la tonaca all’altezza del petto; nel farlo iniziò a spiegare: “Da bambino avevo un problema: quando qualcuno dei miei amichetti o compagni di classe mi faceva arrabbiare, dopo poco scappava via terrorizzato.”

Si allontanò, tornando verso la fornace.

“Io non capivo che cosa accadesse. Nemmeno gli altri bambini o le maestre lo sapevano, l’unica cosa chiara era ch’io facessi paura.”

Prese la mazza arroventata, che non lo poteva bruciare.

“La vostra Congregazione fu chiamata ad intervenire, ma non furono gli unici ad accorgersi di me.”

Era tornato di fronte al prigioniero.

“Anche i templari mi avevano notato e volevano uccidermi.”

Posò la punta rovente sul petto di Isaia che urlò.

“Per fortuna la Congregazione aveva affidato il mio caso a Demetrio che, constatati i miei poteri, avvisò Bonifacio.”

Sollevò un attimo la mazza, per poi adagiarla immediatamente su un altro punto del petto.

“Bonifacio sistemò i templarucci e mi prese nella sua comunità dove mi insegnò a controllare il mio potere e ad usarlo a mio piacimento.”

“Mi dispiace …” mormorò Isaia, realmente rattristato per l’ingiusto comportamento dei templari.

“Ti dispiace?!” Jacopo usò un tono ironico per mascherare l’ira che però subito sbottò: “Sai quanti hanno una storia come la mia? Quanti era confusi e spaventati dai loro poteri e si sono ritrovati dei pazzi attorno che volevano ucciderli, senza che loro potessero immaginare il perché? Bonifacio ha salvato moltissimi di noi, ma moltissimi sono stati uccisi da voi. Voi dovete morire tutti.”

“Lo so.”

Jacopo sembrò smarrito ma solo per qualche istante, poi si irritò per quella reazione che non riusciva a capire. Dopo essere rimasto un poco in silenzio, scacciò quel pensiero, ritrovò la sua rabbia e chiese: “Che ne pensi di un tatuaggio?”

Premette il manico della mazza rovente in mezzo al petto del templare, marchiandolo.

Ancora una volta le urla di Isaia rimbombarono nella stanza e quelle erano solo le prime.

 

Gabriel rientrò in casa dopo aver passato la giornata in Congregazione; quel giorno aveva usato la sua moto per recarsi al lavoro, poiché sapeva che avrebbe dovuto spostarsi parecchio e, quindi, non poteva fare affidamento su Claudia che doveva vedere molti pazienti. Erano circa le diciotto e trenta, la psicologa non era ancora tornata; l’uomo decise di farle una sorpresa, facendole trovare la cena pronta, per cui si mise a frugare nel frigo e nella dispensa per vedere che cosa ci potesse essere da cucinare. Alla fine preparò delle tagliatelle con un sugo di ricotta, noci, funghi, salvia e un pizzico di miele; poi preparò dell’insalata e lavò un po’ di verdura per il pinzimonio e tagliò la frutta per una macedonia.

Claudia fu molto contenta di vedere quanto Gabriel si era prodigato per lei e sentì di avere l’ennesima conferma della straordinarietà del suo uomo.

Avevano già mangiato la pasta ed erano al pinzimonio, quando il telefono di Gabriel suonò. L’uomo guardò chi fosse e capì che doveva assolutamente rispondere: “Pronto! Di che si tratta? … Come? … … Capisco, sì, vado subito, mandami per sms l’indirizzo, grazie.”

“Che succede?” chiese preoccupata Claudia, vedendo l’amato alzarsi da tavola.

“Scusami, ma c’è bisogno di me. Si stanno verificando manifestazioni demoniache, pare, in una casa. Il parroco, che era stato chiamato dai proprietari, non riesce a far nulla, per cui ha contattato la Congregazione. Devo andare ad occuparmene immediatamente.”

“Non mi avevi mai detto che ti occupavi anche di queste cose.”

“Infatti era un compito di Isaia.”

“Ah, esorcismi a domicilio!” scherzò lei.

“Da quando lui non c’è, in qualità di capo del Direttorio ho assunto ad interim questa mansione, almeno finché non troverò un altro esorcista in gamba.” il suono di un sms “Ecco, ho l’indirizzo, vado.”

“Aspetta!” si alzò in piedi Claudia “Vengo con te.”

Gabriel non aveva affatto piacere che lei, incinta, lo seguisse in una situazione dove probabilmente c’erano demoni, tuttavia sapeva bene che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea, per cui non protestò. Presero l’auto della donna e partirono. Arrivarono davanti ad un palazzotto dell’alta società, sulle due colonnine ai lati del cancello c’erano le statue di corvi neri; nel cortile del quale erano radunati i domestici, terrorizzati, mentre il prete era con loro e cercava di confortarli. Il sacerdote, che aveva tutto il volto coperto di graffi freschi e gli abiti strappati, quando vide Gabriel, gli andò incontro, gli strinse la mano e disse: “Piacere, sono padre Barigazzi. Lei è padre Antinori?”

“No. Semplicemente Gabriel Antinori, non è più prete.” specificò Claudia.

“Mi dica tutto, che cosa succede?” chiese Gabriel.

“Da quello che mi è stato riferito, stavano festeggiando il compleanno di qualcuno della famiglia e quindi c’era un po’ tutto il parentado, circa una ventina di persone. Uno di loro ha iniziato a stare male e d’improvviso si è ricoperto di bolle che si sono gonfiate per poi esplodere e da queste sono volati fuori strani esseri volanti che hanno iniziato ad aggredire tutti. Hanno scacciato i domestici e se la sono presa con la famiglia.”

“Ma lei chi l’ha chiamata?” lo interruppe Claudia.

“Il maggiordomo.” rispose il prete.

“E non ha pensato di allertare la polizia?” chiese ancora la donna.

“Pensa che sarebbe stato creduto? Comunque, appena sono arrivato, sono salito al primo piano, perché a pian terreno non c’era più nessuno, se non il cadavere dell’uomo che è stato il tramite di quegli esseri. Io li ho visti: sono alti due spanne, grigi, hanno ali di pipistrello, denti e artigli aguzzi e hanno una forza tremenda! Per di più attaccano in nugolo: guardate cos’hanno fatto a me!” si indicò il volto dilaniato e mostrò altre ferite sulle braccia “Quando ho iniziato a recitare l’esorcismo di papa Leone XIII, quelli si sono rinchiusi in una stanza con la famiglia e hanno sigillato la porta con un marchio che non sono riuscito ad identificare. Allora ho chiamato voi.”

“Ha fatto bene.” lo rassicurò Gabriel che, per telefono, non aveva capito quanto fosse complessa la situazione “Se la sente di accompagnarmi dentro?”

“Sì, certo.” rispose il prete “Lei mi dica cosa devo fare e io lo farò, può contare su di me.”

“Grazie.” si voltò verso Claudia e le disse: “Forse è meglio se non entri, per il momento.”

“Perché?”

“Potrebbe essere pericoloso, anzi lo è sicuramente!”

“A maggior ragione, allora, vengo anch’io: non ti lascio solo.”

Gabriel la guardò con gratitudine, ma incerto. Allora lei si strinse a lui per rassicurarlo e gli disse: “Tranquillo, mi sento ancora in forma. Tra qualche settimana, la gravidanza si farà sentire di più e non potrò più venire con te e sarò costretta a rimanere bloccata in casa … per favore, fammi godere questi ultimi momenti! Passeranno anni prima di avere altre occasioni di lavorare assieme ai tuoi casi, sul campo!”

“Anni?!” si meravigliò Gabriel.

“Certo, mica potremo lasciare nostro figlio da solo in casa e trovare una babysitter con orari flessibili per le nostre esigenze sarà molto difficile!”

Il prete intervenne: “Ehm, scusate, potremmo procedere?”

“Oh, sì, giusto.” si scosse Gabriel “Va bene, Claudia, andiamo.”

I tre entrarono nel palazzotto. Come prima cosa Gabriel volle visionare il cadavere: era quasi impossibile credere che quello, un tempo, fosse stato un uomo; si distinguevano la forma del tronco, degli arti e della testa, ma era come ricoperto interamente di crateri delle bolle esplose, colmi di pus e sangue. L’odore era nauseante e, infatti, Claudia ebbe un conato di vomito non appena lo sentì, per cui rimase fuori dalla stanza, in quel momento. Gabriel prese un fazzoletto e se lo mise davanti al naso e alla bocca per sentire meno quell’odore disgustoso. Non si trattenne però molto ad ispezionare il cadavere: era pressoché impossibile dedurre alcunché da esso, se ci fossero stati tatuati simboli o qualcosa di simile, ormai non poteva più essere visto. Forse, frugando il cadavere, si sarebbe potuto trovare qualche amuleto strano o altro, ma Gabriel non aveva la minima intenzione di mettere le mani in quell’ammasso di carne e pus.

“Proviamo al piano di sopra.” disse Gabriel avvicinandosi a Claudia.

Salirono le scale e si ritrovarono in un corridoio su cui si affacciavano le varie stanze. Il prete fece cenno agli altri due di seguirlo e li condusse davanti ad una porte in noce chiusa con sopra inciso un sigillo strano: una specie di rettangolo in orizzontale, il lato sinistro era leggermente bombato e curvo; era attraversato da due linee, quella più a sinistra era chiusa da due trattini orizzontali, l’altra si biforcava in alto, mentre in basso formava il simbolo alchemico di venere capovolto; tra queste due linee e tra la seconda linea e il lato destro della figura, scendevano due righe terminante in un cerchietto da cui si diramavano altri tre trattini sempre chiusi da in cerchio; infine sul lato destro si allungava all’esterno della figura una croce orizzontale con le braccia che si chiudevano in cerchietti.

Il prete spiegò: “Questo è il sigillo che è apparso, dopo che si è chiusa la porta. So che si tratta della firma di un demone, ma non sono esperto di questi argomenti, per cui non so di quale diavolo si tratti e cosa fare. Lei, Antinori, lo riconosce?”

“No.”

“Come?!” sbalordì il sacerdote.

“Mi dispiace ma, per quanto assurdo sembra, la Congregazione è rimasta sprovvista del suo demonologo che, purtroppo, non ha avuto l’opportunità di istruire un suo successore, prima di andarsene. Dobbiamo ancora trovare qualcuno all’altezza del compito.”

“Questa situazione, però, è adesso! Questa gente ha bisogno di aiuto ora!” si indignò il prete

“Infatti farò il possibile, anche se non è il mio campo.” lo rassicurò Gabriel “Claudia, per favore, puoi ricopiare questo simbolo che, poi, faremo una ricerca in biblioteca?”

La donna prese carta e penna e rapidamente schizzò il disegno. Gabriel rimase fermo davanti alla porta a pensare a cosa fare.

Si iniziarono a sentire delle urla provenienti dalla stanza. Grida disperate e di dolore. Suppliche e richieste d’aiuto.

Gabriel provò rabbia e frustrazione: voleva aiutare quelle persone, ma come? Batté i pugni contro l’uscio, provò a prenderlo a spallate, ma il noce è un legno molto resistente e non si può abbatterlo. Intanto le urla si facevano più forti ed insistenti.

Gabriel era furioso, i suoi occhi divennero rossi, i suoi lineamenti si fecero più affilati e angolosi. Con la mano sinistra sfiorò il portone e il sigillo scomparve. Con la destra, poi, diede uno spintone all’uscio che si scardinò e, praticamente, volò via e lui fece il proprio ingresso nella stanza.

Lo spettacolo era raccapricciante: i membri della famiglia erano più o meno barricati dietro a un rifugio improvvisato coi mobili; alcuni di loro, però, erano stati strappati da quel vago riparo ed erano rimasti tra le grinfie di decine e decine di demonietti, quelle creature grigiastre descritte dal prete. Quelle povere persone erano stare graffiate in profondità, praticamente dilaniate, scorticate. Non c’era, però, sangue per terra, se non qualche piccola goccia secca.

In quel preciso istante, i demonietti stavano assalendo un ragazzetto di circa undici anni e un uomo che, presumibilmente, era il padre che si era esposto nella speranza, vana, di salvarlo.

Gabriel non pensò. Gabriel era colmo d’ira, voleva solo porre fine a quella crudeltà. Non pensò, agì. I suoi occhi erano ancora rossi, stese le braccia davanti a sé e dalle sue mani uscirono saette di fuoco e fulmine che si espansero per tutta la stanza e colpirono solo quelle orrende creature che caddero a terra morte, stecchite.

Il parroco, preso dallo sconcerto, si fece il segno della croce e non fu affatto certo che quel ch’era appena accaduto fosse un bene o un cadere dalla padella alla brace.

Claudia, per quanto basita e un pizzico spaventata, non vide nulla di malvagio o pericoloso in quel che aveva fatto Gabriel, anzi, le sembrava assolutamente una cosa buona e giusta.

Le persone nascoste erano ancora terrorizzate.

Gabriel, invece, era rimasto molto scosso da ciò che aveva appena fatto, poiché sapeva che si trattava del suo potere oscuro che, ancora una volta, era emerso prepotentemente e aveva avuto il sopravvento su di lui. Il fatto, però, di non averlo usato su persone ma su demonietti, lo confortava in parte.

Gabriel si guardò attorno per vedere come stessero quelle persone. Quelle dilaniate erano ormai morte, ma l’uomo e il ragazzino erano ancora vivi, seppure avessero subito gravi ferite e fossero più morti che vivi. Antinori, tornato con i suoi occhi e lineamenti normali, si precipitò verso il ragazzo per controllare come stesse; vedendolo in condizioni disperate, decise di usare il proprio potere, gli prese la mano, i suoi occhi divennero azzurri, si ritrovò davanti alla porta della sua vecchia casa, l’aprì, si trovò nella stanza bianca dove vide l’anima del bambino, lo chiamò, lo prese per mano e lo riportò in vita. Rivolese, poi, le proprie attenzioni verso l’uomo e fece altrettanto.

Vedendo quella scena, il resto della famiglia si sentì rassicurato e uscì dal rifugio improvvisato.

“Chi sei?” gli chiese una signora, avvicinandosi con prudenza.

“Gabriel Antinori, sono qui per conto della Congregazione della Verità.”

“Ah.” si irrigidì la donna.

“Che cosa è successo?” chiese lui.

La signora, un po’ nervosamente, rispose: “Cosa vuole che ne sappia?! Noi stavamo cenando e … e …” scoppiò a piangere; il marito la raggiunse e la strinse e la consolò.

Claudia avanzò e controllò un po’ le condizioni dei sopravvissuti: erano, ovviamente, molto provati e lei cercava di rassicurarli e si disse disponibile per aiutarli, nei giorni seguenti, ad affrontare il trauma e a ritrovare pian, piano la tranquillità.

Gabriel guardò i cadaveri e si accorse che erano stati dissanguati.

“Sono stati quegli esseri a dissanguare queste persone?” chiese Gabriel che, nonostante sapesse di dover avere tatto, voleva anche capire che cosa fosse accaduto.

“Sì. Il sangue lo hanno bevuto.” gli rispose freddamente l’uomo che aveva appena salvato.

“Signore, capisco che voi siate ancora tutti quanti sconvolti, potreste tuttavia raccontarmi con esattezza quel che avete visto? E come si siano svolti i fatti? È importante.”

Anche quell’uomo parve storcere il naso, prima di dire: “Sì, qualcosa posso dirle ma … non so. Io ero troppo spaventato per rendermi conto e credo che questo valga anche per gli altri.” lanciò un’occhiata severa ai suoi famigliari e loro confermarono a cenni e con poche parole.

“Lo so e non pretendo certo una descrizione precisa e puntuale.” spiegò Gabriel pacato e comprensivo “Tuttavia, qualsiasi elemento può tornarci utile per capire cosa sia successo e cercare di impedire che si ripeta. Voi non volete che ad altri capiti una cosa del genere, vero? Noi della Congregazione della Verità ci occupiamo di studiare questi fenomeni e di affrontarli. Siamo venuti qui per aiutarvi e ora vogliamo capire che cosa sia capitato. Potrebbe essere un caso singolo e, dunque, non c’è pericolo che si ripeta, oppure potrebbe trattarsi di qualcosa che sta fermentando e potrebbe colpire altre famiglie, altre persone; o anche, e questo dovrebbe preoccuparvi ancora di più, potrebbe trattarsi di un qualche fenomeno, maledizione o non so che altro legato alla vostra casa o un sortilegio su di voi! Capite bene, dunque, che è nel vostro interesse aiutarci a capire perché questi demonietti siano venuti qui e come fare a fermarli.”

“Sì, comprendo perfettamente.” rispose l’uomo “In questo, momento, però, sono troppo agitato, lo siamo tutti e necessitiamo di cure mediche. Io vi ringrazio del vostro interessamento e vi invito a tornare domani pomeriggio, così potremo parlare con più calma e lucidità e risponderemo a tutte le vostre domande.”

“D’accordo, grazie.” disse Gabriel “Chiamo i soccorsi, allora.”

“No, grazie.” si affrettò a dire l’uomo “Provvederemo noi. Sa, siamo una famiglia per bene, vogliamo parlare con gente di fiducia ed evitare che la notizia di questi fatti arrivi all’orecchio di qualche giornalista e ci sbatta in prima pagina.”

“Sì, capisco, ha perfettamente ragione.”

Gabriel e l’uomo presero gli ultimi accordi per l’incontro del giorno dopo. Antinori, poi, raggiunse Claudia che stava parlando coi bambini per rassicurarli. I due innamorati salutarono e se ne andarono assieme al prete.

“Non mi chiedi nulla circa quello che ho fatto?” domandò Gabriel, una volta saliti in macchina, dopo qualche momento di silenzio.

“Dovrei?” si stupì Claudia.

“Beh, sì. Ho usato il mio potere …”

“Hai salvato delle persone.”

“Sì, ma io in quel momento non ero in me. Ho agito istintivamente, mi sono lasciato prendere dall’ira, non ero consapevole … non va bene.” Gabriel era molto sconfortato.

“Perché Gabriel? Non capisco, in fondo hai ucciso dei demoni.” stentava lei stessa a crederci, ma li aveva visti e non potevano essere altro!

“Sì, ma potevano essere persone e io non avrei saputo controllarmi. È già successo, lo sai! Se questo potere è sbagliato, allora lo è sempre e non a seconda delle occasioni.”

“Gabriel, stavo pensando, in realtà è un potere che hai sempre usato per difendere, no? La prima volta volevi difendere Leonardo, poi hai dovuto difendere te stesso … e quella volta contro Serventi, sì, insomma, lo stavi facendo perché mi credevi in pericolo, era per proteggermi.”

“No, Claudia, lo sai bene che non è così. Il padre di Alice non era più una minaccia per Leonardo (non avrebbe sparato di nuovo) e io ero furioso con lui per quello che aveva fatto a quella ragazza e per lo sparo. Quando ho aggredito Serventi, invece, anche lì c’era solo rabbia, desiderio di minacciarlo … E poi dimentichi le prime due volte in cui ho usato quel potere, contro Isaia e contro mio … Demetrio. Anche in quell’occasione c’era la mia ira è basta. Il dolore e la rabbia scatenano questo potere. Nella cripta, invece, è stato diverso, si è trattata di una sensazione che non saprei descrivere, c’erano sempre ira e sofferenza, ma anche qualcosa di più, un senso di supremazia, credo, non so spiegarlo.”

“La rabbia e il dolore confermano il fatto che tu volessi proteggere ciò a cui tieni.”

“È stata quasi sempre vendetta. Volevo far male a chi ne aveva fatto a me, volevo antepormi al giudizio di Dio e questo non va affatto bene.”

“Gabriel, la rabbia e il soffrire e anche il senso di rivalsa sono comportamenti assolutamente umani! Leggi mai i commenti sotto certi articoli sui social network? La maggior parte della gente sarebbe  spietata ed efferata nell’amministrare la giustizia, per cui è naturale provare questi sentimenti.”

“Il fatto che sia naturale non significa che sia giusto.”

“Non devi fartene una colpa, però, è qualcosa che non dipende da te.”

“Invece sì!” sbottò Gabriel che stava male, perché non si sentiva in grado di gestire sé stesso e sapeva che ciò metteva a rischio molti “Le persone di cui parli, si limitano a commentare notizie, ma non agiscono, non fanno nulla, io, invece …”

“Gabriel, non preoccuparti: te l’ho promesso, ti aiuterò ad imparare a controllarti.”

“Grazie …” ma in cuor suo pensava che, forse, avrebbe fatto meglio ad allontanarsi da lei, da tutto e da tutti, per evitare di far del male alle persone a lui tanto care.

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Capitolo 16
*** Ricerche in biblioteca ***


Serventi riagganciò il telefono, deluso. Quando lo aveva sentito squillare, aveva sperato che si trattasse di Giuditta, invece non era stato così. Aveva trovato quella donna estremamente gradevole per il suo modo di fare compito e deciso, per il fatto che fosse consapevole di ciò che stava accadendo e per la sua … saggezza? O semplicemente per le sue conoscenze? Mah, non sapeva dirlo. Era così raro trovare, di quei tempi, persone che avessero realmente famigliarità con la Scienza Sacra! Bonifacio si era trovato un sacco di volte faccia a faccia con degli idioti che si professavano esoteristi solo perché avevano letto qualche libro e avevano qualche rudimento di simbologia. Certo l’uomo aveva amici competenti, esperti, edotti; insomma la buona compagnia non gli mancava, tuttavia provava un gran desiderio di rivedere presto quella ragazza. L’idealismo e, in un certo senso, l’ingenuità e la semplicità di Giuditta gli avevano fatto tenerezza: nonostante tutto, lei era ancora ottimista e speranzosa, non si rendeva conto che la realtà era molto più triste. Questo aveva fatto nascere in Serventi il desiderio di prendere la ragazza sotto la propria ala e di guidarla ed istruirla.

Bonifacio si disse che avrebbe dovuto aspettarselo che una come lei non avrebbe telefonato dopo appena due o tre giorni, per quanto potesse essere affezionata al fratello e preoccupata per lui. L’uomo allora pensò che, forse, aveva lasciato Isaia un po’ troppo a lungo da solo nelle mani di Jacopo, decise dunque di andare a controllare, sperando di trovarlo ancora vivo.

Il prigioniero era legato al tavolo di allungamento; dall’espressione sul suo volto, si poteva intuire che fosse stato già tirato parecchio, inoltre un altro meccanismo gli stava facendo penetrare lentamente delle punte di ferro nella carne.

Bonifacio fece cenno a Jacopo di sospendere temporaneamente la tortura, il che significava semplicemente che per qualche minuto la situazione del templare non sarebbe peggiorata. L’uomo si avvicinò al tavolo, si pose nella visuale del torturato e gli chiese: “Come andiamo, oggi, padre Morganti?”

Isaia aveva ruotato gli occhi verso l’uomo per guardarlo; a fatica, per colpa del dolore e del fatto di essere a digiuno e quasi disidratato, rispose: “Si tira avanti.”

Bonifacio aggrottò la fronte: non era una risposta che si aspettava.

“Lascialo perdere.” borbottò Jacopo “Questo non dà soddisfazioni: urla che è una meraviglia, ma non una volta che ha chiesto pietà o una pausa o altro. Subisce tutto senza protestare, sta a vedere che ci siamo procurati da torturare l’unico templare masochista.”

“So qual è il mio compito e lo accetto.” ribatté Isaia.

Serventi non poté non provare ammirazione per una simile dignitosa rassegnazione. Gli chiese: “Devo dunque dedurre che, anche dopo queste giornate di rievocazione dell’inquisizione, tu sia ancora del parare di rimettere completamente te stesso e il resto dei templari nelle mie mani?”

“L’idea di tirarmi indietro non mi ha sfiorato nemmeno l’anticamera del cervello.” rispose Isaia e si sforzò di sorridere.

“Come hai intenzione di consegnarceli?”

“Indirò una riunione plenaria, tra non molto ci sarà una ricorrenza importante per l’ordine e, quindi, nessuno si insospettirà. Durante essa, spiegherò loro perché il nostro sacrificio è necessario, dopo di ché voi potrete fare irruzione e catturare, uccidere … quello che vorrete.”

Serventi fissò il prigioniero, poi annuì ed ordino al fantasma: “Slegalo e dagli da bere. Io vado a prendere carta e penna in modo che possa scrivere le convocazioni di questa riunione.”

Jacopo, controvoglia, obbedì. Isaia dovette compiere un grosso sforzo per mettersi a sedere e sentì molte delle giunture fargli male: si era slogato o disarticolato parecchie cose. Quando tornò col materiale per scrivere, Bonifacio si accorse subito di quanto fosse malandato il templare; appoggiò su un tavolo ciò che aveva portato, poi gli si avvicinò e gli appoggiò la mano destra sul petto. Isaia sentì le ossa ritornare ognuna perfettamente nella propria sede.

“Grazie …” disse a denti stretti il templare, per nulla contento.

“È solo per permetterti di scrivere le lettere: se scrivesse un’altra mano, i tuoi compari si insospettirebbero.”

“Credevo fosse per concedere al tuo seguace il piacere di disarticolarmi di nuovo da capo a piedi.”

Jacopo ridacchiò, sapendo che molto probabilmente Bonifacio non aveva affatto pensato a quell’eventualità. Serventi non disse nulla, ma andò al tavolo, prese un pezzo di pane che aveva recuperato prima, lo mise in mano ad Isaia e gli disse di rifocillarsi. Il prigioniero ringrazio, questa volta sinceramente. Dopo aver mangiato quel poco, l’uomo si alzò e andò al tavolo a scrivere le lettere per convocare la riunione plenaria templare per la notte di San Giovanni.

Serventi controllò scrupolosamente ogni lettera per accertarsi che fosse tutto in regola e che il prigioniero non avesse cercato di dare istruzioni segrete. Ritenne che fosse tutto in ordine, per cui le fece imbustare e lasciò ad Isaia il tempo di scrivere gli indirizzi. Il fantasma, intanto, era appoggiato al muro a braccia conserte, seccato, e sbuffava.

“Quante storie, Jacopo, mi sono limitato a farlo riposare una mezzora.” lo riprese bonariamente Serventi “Ecco, ora è di nuovo tutto tuo. Mi raccomando, però, controllati. Deve arrivare vivo al ventiquattro notte, chiaro?”

“Certo, certo.” disse frettolosamente il fantasma e, appena rimasto solo, andò verso il banco in cui aveva preparato gli strumenti di tortura e disse: “Non è una gran fortuna, per te, dover rimanere vivo fino al ventiquattro … sinceramente, non so nemmeno io in che condizioni ci arriverai.” guardò con indecisione i vari attrezzi, poi ne sollevò uno, si voltò e, mostrandolo al prigioniero, gli chiese: “Conosci il collare spinato?”

Isaia deglutì: era uno degli strumenti peggiori che dilaniava la carne. Si limitò ad annuire col capo, mentre guardava gli spuncioni che gli avrebbero presto martoriato il collo e, vedendoli arrugginiti, ringraziò il Cielo di aver deciso di rinnovare l’antitetanica.

 

Nel frattempo, presso la Congregazione della Verità, Alonso stava sistemando in pile alcuni libri e fascicoli, per poterli poi consegnare a chi glieli aveva richiesti. Arrivò Stefano e lo salutò allegramente: “Allora, Alonso, come stai?”

Muy bien. Dime, sai donde està Gabriel? Oggi non s’è ancora fato vedere in Congregacione ed è già pomerigio!”

“Non viene oggi.” spiegò il seminarista “Mi ha chiamato poco fa e mi ha lasciato tutte le istruzioni circa quel che c’è da fare.”

“Come mai non viene? C’è qualche problema?”

“Oh, no, no. Si sta occupando di una verifica. Ieri notte c’è stata un’emergenza ed è dovuto intervenire; non mi ha spiegato bene, ma è qualcosa di demoniaco, oggi continuerà quest’indagine e domani, quando avrà più dati e informazioni, passerà da qui per vedere quali ricerche si possono fare.”

Devesere qualcosa de muy complesso.” osservò Alonso “Sono seguro me farà metere soto sopra toda la biblioteca.”

“Eh, dai, non credo.”

“Gabriel è otimo in muy, muy cose, ma la demonologia non es el suo ambito, bisogna ameterlo. Se ce fose Isaia me saprebe dire pure il titolo del libro che gli servirebe … ma purtropo ormai l’avemo perso.”

“A proposito, hai trovato il materiale che ti aveva chiesto Giuditta?”

“Sì, devo dirglielo e dirle anche che non può portarli a casa: sono manoscritti che si posono consultare solo achi.”

“Glielo riferirò io, stasera.”

“Devi vederla? Avete fato pace?”

“Non ancora, coglierò l’occasione.”

Alonso sorrise e scosse bonariamente la testa e poi domandò: “Non fai prima a telefonarle?”

“Se anche rispondesse, cosa di cui dubito, ci impiegherebbe un attimo a riagganciare, se non le piacessero le mie parole. Di persona, invece, sarà costretta ad ascoltarmi.”

Il bibliotecario fece una smorfia preoccupata e si raccomandò: “Ocho a non farla arabiare, me ricordo che ha un carateracio quando è arabiata.”

“L’ho già sperimentato, so cosa mi aspetta.” Stefano era piuttosto determinato “Io un tentativo di pace lo faccio, se poi lei si ostina a fare l’offesa, allora il problema è suo; giusto?”

“Giustissimo, hombre.” Alonso era divertito.

“Anche se mi dispiacerebbe.”

Il seminarista lavorò e studiò in biblioteca tutto il pomeriggio, poi, verso le diciotto, prese la sua auto e andò presso l’albergo in cui stava Giuditta. Entrò, si accomodò nell’atrio, tirò fuori un libro per fingere di essere occupato e attese. Da lì a poco passarono tre uomini che, salutato il signore della reception, se ne andarono, senza lasciare alcuna chiave. Non passarono molti minuti e scese anche Giuditta, vestita normalmente e con una borsetta a tracolla: evidentemente per quel giorno aveva finito le sue consulenze e ora stava per tornare a casa. Stefano fu rapidissimo a scattare in piedi e ad avvicinarsi.

“Buonasera!” la salutò, sorridente.

“Sparisci.” fu secca la ragazza.

“Sono qui per dirti che Alonso ha trovato il materiale su Albrisio e quindi puoi passare a consultarlo quando vuoi. Consultarlo e basta, non prenderlo, perché sono testi unici che non possono uscire dalla biblioteca.”

“Avresti potuto limitarti a mandarmi un sms, anziché scomodarti a venire fin qua.”

“Oh, questo non è niente: una volta sono andato fin nelle Marche per dire due parole a Gabriel, quando indagava su un caso di vampirismo.” voleva essere spiritoso, benché il fatto fosse vero.

“Chissà perché la cosa non mi stupisce.”

Giuditta fu sprezzante e superò il giovane. Stefano, però, si piazzò di nuovo davanti a lei e, questa volta seriamente, le disse: “Avevo voglia di vederti.”

Un certo dispiacere attraversò per un attimo gli occhi della donna che, però, tornò subito arcigna: “Io no.”

“Giuditta, possiamo parlarne?” il rammarico di Stefano era palese “Ti prego.”

La ragazza guardò quel viso dispiaciuto, si intenerì, per cui annuì e acconsentì: “Va bene, ma passeggiamo fuori.”

Uscirono, fecero qualche passo, poi lei chiese: “Allora, che cosa vuoi?”

“Innanzitutto, come ti ho già detto, voglio rispetto.”  e questo lo disse con estrema decisione; poi il suo tono si fece più affabile: “In secondo luogo volevo dirti che mi dispiace davvero tanto che tu sia così arrabbiata con me e, soprattutto, che tu stia soffrendo per colpa mia. Se tu sei così furiosa è perché ti ho fatto molto male e me ne dispiaccio davvero immensamente. Non voglio che tu sia triste.”

Giuditta aveva ascoltato attentamente, il suo cuore aveva iniziato a commuoversi, tuttavia si mantenne fredda e domandò: “Perché mai dovrebbe importarti della mia felicità?”

Stefano si fermò per poterla guardare in viso, mentre le diceva, un po’ incerto: “Perché se tu sei triste, lo sono anch’io.” poi aggiunse subito per alleggerire: “E non è solo perché mi fai grandinare in testa e mi tratti male.”

“Allora perché?” domandò la donna, molto colpita da quelle parole e davvero perplessa.

“Beh, perché anche se ci conosciamo da poco, io ti voglio bene. Tu sei triste, vero, quando un tuo amico, o tuo fratello sta male? Ecco è lo stesso per me verso di te. Con l’aggiunta del fatto che, in questo caso, è colpa mia.”

Davanti a quell’affetto, Giuditta si sentì disarmata; fu pervasa da tenerezza e malinconia. Allungò un braccio, mise la mano dietro l’orecchio del ragazzo, gli carezzò i capelli e mestamente gli disse: “Stefano, se questa è la verità, è meravigliosa e ti sono grata, tuttavia …”

“Cosa?” la interruppe, bruscamente lui “Il fatto che a me non stia simpatico Isaia non può impedirci di essere amici!”

“Un conto e avere in antipatia una persona, un altro conto è condannarla a morte.”

“Oh, insomma, non è detto che Jacopo riuscirà a sterminare i templari!”

“Glielo hai imposto! Gli hai dato come vincolo per la sua libertà quello di annientare l’ordine e lui lo farà.”

“Scusami. In quel momento non ci ho pensato, non ho considerato il fatto che Isaia fosse un templare. Ero spaventato, sorpreso, confuso … Ho detto la prima cosa che mi sembrava giusta e non ho valutato le varie implicazioni. È vero ch’io non apprezzo tuo fratello e ho del risentimento per lui, però non lo voglio neppure morto. Gabriel avrebbe diritto di desiderare che Isaia muoia, ma non lo fa, dunque non ho motivo di farlo io.”

Giuditta sbuffò: “Perché ogni volta che stai dicendo qualcosa di bello, devi poi nominare Antinori?”

“Ecco, vedi? Siamo pari: tu adori Isaia e non sopporti Gabriel, mentre per me è il contrario. Mi perdoni, allora? Facciamo pace?” porse la mano.

La ragazza sorrise, gliela strinse e disse: “Pace.”

“Pace, pace, carote e patate.” disse Stefano, per scherzare un poco.

Giuditta sospirò e disse: “Tanto, ormai, mio fratello si è consegnato a Serventi e verrà ucciso … a questo punto mi vien da pensare che le cose debbano andare così per un volere superiore, anche se non capisco: Isaia dovrebbe vivere!”

“Non è ancora detta l’ultima parola.” cercò di confortarla il seminarista.

“No, io lo conosco bene: non si tirerà mai indietro.”

“Finché c’è vita c’è speranza …?”

La donna scosse la testa: “Dovrò inventarmi qualcosa: dovrò essere io a trovare una soluzione, altrimenti morirà. Passerò già domattina in biblioteca a studiare i documenti.”

“Perfetto: Alonso ha già tutto pronto e, se hai bisogno, ti darà una mano volentieri.” si rallegrò Stefano.

“Tu non ci sarai?”

“No, al mattino no: ho delle lezioni da seguire; verrò al pomeriggio.”

Passeggiarono e chiacchierarono ancora un poco, prima di salutarsi e andarsene ognuno a casa propria.

Il mattino dopo, quindi, Giuditta si presentò nella biblioteca della Congregazione. Scambiò qualche parola con Alonso, poi prese i fascicoli e si mise ad un tavolo per iniziare lo studio. Trascorse tutta la mattina a leggere e ad appuntarsi su un quaderno tutto ciò che le sembrava importante. Arrivata l’ora di pranzo, il bibliotecario le propose di sospendere un poco le ricerche e andare a pranzo assieme a lui. La ragazza accettò e andarono in una paninoteca lì vicino e vi restarono circa tre quarti d’ora, parlando per lo più dello studio che stava compiendo la donna. Alonso, infatti, quando aveva cercato il materiale richiesto, si era incuriosito circa la vicenda dell’eretico Basilio e quindi ora voleva saperne qual cosina di più.

“Per quello che è emerso finora” spiegò Giuditta “Era un millenarista e un pietista. Credo che sia stato più o meno influenzato dal circolo eterodosso del vescovo Morone, di Modena e che, per questo, per diverso tempo le segnalazioni della sua strana dottrina non siano state prese in considerazione.”

Porché?”

“Perché nel circolo del vescovo Morone c’era anche Ludovico Parisetti, uomo, a quanto pare, influente ed importante a Reggio Emilia, poiché viene chiamato a far parte dello stesso tribunale che dovrebbe giudicare Basilio.”

“Quand’è che esto Basilio es stato processato?”

“Gennaio del 1559.”

“Ma il cardinal Morone, era ancora imprigionato a Castel Sant’Angelo, vi era da due anni.”

“Sì, è stato messo sotto processo nel 1557, ma le accuse decaddero subito.”

“Ah, giusto! Aspetava le scuse de Paolo IV che non arivarono mai e dovete aspetare Pio IV per essere completamente scagionato.”

“Quindi, la vicenda di Basilio si inserisce perfettamente: Paolo IV fa inquisire moltissime persone, anche alti prelati e nobili, in quegli anni. Parisetti, con Morone in prigione, non può più mettere a tacere le segnalazioni sull’eresia di Albrisio che viene processato. O, per essere più precisi, a Reggio Emilia viene avviato il processo che poi viene sospeso perché, a quanto pare, il Papa lo vuole inquisire direttamente a Roma. A questo punto si potrebbe supporre che ci sia stato l’intervento di Morone per il suo trasferimento, orse qui pensava di poterlo proteggere.”

“C’è riuscito?”

“Non lo so, sono ancora all’inizio della ricerca; ad ogni modo mi devo concentrare soprattutto sulla sua dottrina.”

Finirono il loro pranzo, poi rientrarono in Congregazione e ognuno tornò ai propri impegni. Dopo non molto arrivò Stefano, passò davanti alla ragazza che lo salutò, cortese, seppur frettolosamente; raggiunse Alonso e gli disse: “Ciao! Gabriel arriverà tra poco, credo ci sarà anche Claudia. Mi sa che avevi ragione: ti farà tribolare parecchio, non mi è parso avere le idee molto chiare, ma almeno ha un simbolo su cui lavorare.” guardò in direzione della ragazza e chiese all’altro: “Di che umore è, oggi?”

Bueno. Porché me lo chiedi? Non avete fato pace?”

“Sì, sì; dovrebbe essere tutto tranquillo, però la prudenza non è mai troppa.”

Alonso ridacchiò. Si sentì allora, la voce di Giuditta che, dal suo posto, chiedeva: “Stefano, per favore, se non hai da fare, potresti darmi una mano a tradurre questi documenti? Temo che il mio latino sia un poco arrugginito.”

“Certo, subito!” rispose il seminarista, sorridendo, felice nel sentirsi utile; notò, però, lo sguardo del bibliotecario, a metà tra il divertito e il malizioso, per cui gli chiese: “Che c’è da fissarmi così?”

“Non è por te, hombre, è por lei. Da esta mattina ha visionato già due fascicoli, todi in latino: non è afato aruginita.”

Stefano rimase un poco perplesso e fu con un pizzico di imbarazzo che raggiunse la ragazza, si sedette accanto a lei e iniziò a visionare i manoscritti.

Trascorse circa un’ora e mezzo e arrivarono Gabriel e Claudia, si tenevano a braccetto. Giunti sulla soglia della biblioteca, però, si fermarono, poiché notarono subito i due ragazzi intenti a leggere assieme. La psicologa, indispettita, domandò sottovoce: “Che cosa ci fa lei, qui? Le avevamo detto di non farsi più vedere.”

“La biblioteca è un luogo pubblico, non possiamo impedirle di passare di qua.”

“E poi lei e Stefano non avevano litigato? Guarda adesso come sono! Vicini e vicini, sorridenti … non mi piace e non mi piace neppure come si guardano. Che staranno facendo che li mette così di buon umore? Sicuramente lei gli ha fatto un sortilegio.”

“Claudia, non stai esagerando?” replicò Gabriel, divertito “Non è da te parlare di incantesimi.”

“Beh, per quanto mi sia sforzata, non ho trovato una spiegazione scientifica a quella nuvola di grandine che seguiva Stefano, per cui mi sento autorizzata a parlare di malefici, circa quella ragazza.”

“Suvvia, Claudia” si mostrò benevolo Gabriel “È vero che era qui per volere di Isaia, però, ammetterai, non ha fatto nulla di male. Avrebbe potuto raccontare al Direttorio del mio potere oscuro e non lo ha fatto. Sono sicuro che avrebbe avuto il modo per essere creduta dai Monsignori e io avrei passato brutti momenti. Nonostante i suoi difetti, non è cattiva.”

“Va beh, lasciamo stare.” tagliò corto la psicologa “Concentriamoci sulla nostra indagine.”

“Ah, meno male che abbiamo ricopiato in tempo quel sigillo: è l’unico indizio che abbiamo. Parlare con la famiglia è stato alquanto inutile.”

“Io sono sicura ci abbiano mentito: in quattordici ci hanno dato le stesse identiche cose!”

“Beh, hanno tutti assistito allo stesso fatto.”

“Normalmente, se un tot di persone vivono la medesima situazione assieme, quando poi ti raccontano cos’è successo, sembra di ascoltare storie completamente diverse. Ciascuno vive a modo proprio ogni momento e lo vede e lo interpreta in maniera differente rispetto agli altri. Questi qui, indipendentemente da sesso ed età, hanno ripetuto la medesima cosa, come a memoria! Sinceramente, credo che abbiano concordato sulla versione da raccontarci.”

“A che scopo?”

“Non lo so, probabilmente nascondono qualcosa e non vogliono che noi lo si scopra.”

“Ma è nel loro interesse essere aiutati!”

“Gabriel, Claudia! Avete intencione de remaner todo el pomerigio su la porta?” domandò loro Alonso, da in fondo alla stanza.

“No, tranquillo, ora lasciamo libero il passaggio!” rispose l’uomo e con la donna si diresse verso l’archivista, salutando rapidamente i due ragazzi.

Alora, amigos, come poso eserve utile? Stefano me ha racontato un poco del caso a cui state indagando ma non ne sa molto.”

Gabriel raccontò velocemente quel che aveva visto e quel poco che erano riusciti a farsi dire, poi tirò fuori il foglietto su cui era stato ricopiato il simbolo comparso sulla porta e chiese: “Alonso, credi di riuscire ad individuare a quale entità appartiene?”

Seguro!” esclamò Alonso, poi chiamò: “Giuditta! Vieni achì un momento.”

La ragazza si alzò subito e raggiunse gli altri e il seminarista la seguì.

“Che cosa c’è?” domandò lei.

“Por caso esto simbolo te dice qualcosa?”

A Giuditta bastò una rapida occhiata per farsi seria e rispondere: “Malpas. Questa è la sua firma.” stracciò il foglietto “Non è saggio portarsi dietro certi sigilli. Da dove salta fuori?”

Gabriel raccontò nuovamente le dinamiche del caso a cui stava lavorando. La ragazza parve preoccuparsi parecchio, chiese: “Avete per caso visto immagini di corvi o uccelli neri, in quella casa?”

I due ci pensarono un po’ su, poi l’uomo rispose: “Sì, mi pare che ci siano due statue di corvi all’entrata.”

“Ma certo!” esclamò Claudia “Anche nei ritratti di famiglia tutti erano raffigurati con un corvo vicino. Ho chiesto come mai e mi han detto che era una sorta di animale araldico.”

“È così che appare Malpas e che lo si rappresenta.” spiegò Giuditta “Presumibilmente questa famiglia fa parte degli adoratori del demone.”

“Che cosa gli si chiede, generalmente?” domandò Gabriel.

“La facoltà di lanciare incantesimi.”

“Ah, ecco perché lo conosci così bene.” commentò Claudia.

Giuditta si sentì offesa e disse con veemenza: “Lei non sa nulla, per cui si astenga dal fare insinuazioni. Io per prima disprezzo e condanno questi profanatori! Le mie arti sono frutto di studio, impegno, esercizio, addestramento; ho dovuto conquistarmi la libertà per poter compiere quella che comunemente è definita magia. Questi uomini, invece, non hanno fatto nulla di tutto ciò. Deboli, pigri, schiavi, ecco quello che sono e, dunque, anziché apprendere la Scienza Sacra, offrono sangue a Malpas, affinché lui ottenga per loro ciò che desiderano. La differenza tra me e loro è abissale.”

“I cadaveri, erano stati dissanguati.” osservò Gabriel “Forse si trattava di una sorta di rituale o di sacrificio.”

“Non credo.” lo contraddisse Giuditta “Per quel che mi hai riferito, mi pare che quel che è accaduto sia riconducibile a un atto punitivo.”

“Un atto punitivo?” rimase sconcertata Claudia.

“Sì. Capita spesso che chi entra in una setta, subisca un rituale-maledizione che rimane quiescente fintanto che si rimane nella setta e che si attiva allorché qualcuno tradisca. L’attivazione può essere sia spontanea, sia scatenata da un rituale secondario voluto dalla setta.”

“Ecco, questo spiegherebbe perché  si siano preparati le risposte da darci e ci abbiano nascosto la verità.” commentò Claudia.

“Non mi convince.” scosse il capo Gabriel “Se avessero tradito una setta, non avrebbero interesse a raccontarci la verità, in modo che sia neutralizzata ed evitare di incorrere in ulteriori vendette?”

“Dopo quello che è loro successo e lo shock subito, potrebbero aver deciso di tornare nella setta, oppure semplicemente non ci credono capaci di aiutarli e, quindi, si ritengono maggiormente in pericolo a parlare, piuttosto che a tacere.”

“Come potrebbero ritenermi incapace di proteggerli?!” si lamentò Gabriel “Dopo che mi hanno visto fulminare quegli strani cosi?!”

Giuditta non era molto entusiasta che l’uomo avesse usato di nuovo involontariamente il proprio potere, tuttavia decise di non commentare la faccenda, ma senza dubbio avrebbe riferito sia ai propri superiori, sia ad Isaia. In quell’occasione la ragazza si limitò a dire: “Penso che il modo migliore per capire con esattezza in che cosa sia coinvolta questa famiglia sia quello di tornare a parlare con qualcuno di loro. Fate venire anche me e in una mezz’ora sapremo tutto.”

“Pensi di essere così persuasiva?” domandò Claudia, scettica.

“Mi lasci provare.” si sforzò di essere cortese Giuditta.

“Per me va bene.” acconsentì la psicologa che, pur non confidando nelle capacità della ragazza, voleva sentire di nuovo il racconto dei superstiti.

“D’accordo.” si unì Gabriel “Domani pomeriggio torneremo là. Li avviserò.”

“Mi raccomando, non devono capire quali sono i nostri sospetti.” sottolineò Giuditta.

Così rimasero d’accordo di ritrovarsi il giorno dopo in Congregazione per andare ad indagare tutti assieme. Gabriel e Claudia, poi, tornarono a casa: l’uomo voleva evitare di incrociare qualche monsignore che gli si mettesse a parlare e lo trattenesse fino a chissà quando e che, magari, gli chiedesse di occuparsi di chissà cosa.

Stefano e Giuditta, invece, si rimisero a leggere i manoscritti su Albrisio.

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Capitolo 17
*** L'ospitalità di Bonifacio ***


Bonifacio era sceso nel seminterrato per andare in cantina e scegliere il vino per il pranzo. Attraversò dunque il corridoio su cui si affacciavano varie porte. Immediatamente sentì le urla di Isaia che ancora veniva torturato. Ne rimase turbato. Strano, non era da lui lasciarsi impressionare dai lamenti dei prigionieri o dei nemici. C’era però qualcosa di diverso in quelle grida. Lo sentiva chiaramente: non c’era rabbia, non c’era disperazione, non c’era umiliazione, non c’era richiesta d’aiuto; c’era solo dolore. Bonifacio lo percepiva chiaramente e non riusciva a sopportarlo: quella rassegnazione era insostenibile per lui e quelle urla risuonavano nelle sue orecchie come unghie sulla lavagna.

Prese una bottiglia di vino dalla propria riserva, passò di nuovo davanti alla porta della stanza delle torture, si fermò. Ancora quelle grida … Decise di entrare.

“Che cosa vuoi, adesso?!” si lamentò Jacopo, vedendolo entrare, poi notò il vino ed esclamò: “Oh! Grazie, mi ci voleva un po’ di alcool.”

“Questo è per la mia cena.”

“Ah, ecco, ti pareva che pensassi a me, una qualche volta?!”

“Sei un fantasma: non puoi né ubriacarti, né sentire il gusto, che cosa ti importa di bere?”

“Beh, allora che cosa sei venuto a fare? Qua ho tutto sottocontrollo!”

“Vedo.”

Isaia era legato ad una sedia chiodata; il collo semi scorticato, spelato, pieno di graffi e grumi di sangue rappreso.

Jacopo aveva in mano un paio di tenaglie, guardò Serventi e gli disse: “Stavo spiegando al templare che ho sempre voluto provare a fare il dentista. Mi stavo infatti accingendo a sperimentarmi nell’estrazione di un molare. Vuoi assistere?”

Bonifacio guardò Isaia: vide il suo corpo martoriato, stanco, fiacco. Scrutò i suoi occhi, rivelatori del suo spirito: fiero, deciso. Serventi ebbe di nuovo la conferma che non c’era alcun rimpianto nel prigioniero.

“No. Sta fermo e liberalo.” ordinò Bonifacio, con voce atona.

“Come?!” si meravigliò Jacopo.

“Ho deciso che per ora ha sofferto abbastanza. Fino al ventiquattro non sarà più un prigioniero, ma un ospite. Gli saranno interdette solo le comunicazioni.”

“Ti stai addolcendo, Bonifacio, perché?” chiese Jacopo, severo.

“Non mi sto addolcendo. Riconosco quando un animo è forte e merita rispetto. Isaia si è guadagnato di potersene stare tranquillo fino alla sua morte, quindi sciogli quelle corde e poi portalo in una delle camere per gli ospiti. Isaia, riposati, ti aspetterò poi a cena.”

“Grazie.” mormorò il prigioniero, sforzandosi di fare un cenno col capo.

“Questa volta non lo guarisci?” chiese ironico e seccato Jacopo.

“No. È giusto che gli resti un ricordo come monito.”

Questa frase soddisfò in parte il fantasma.

Serventi uscì e tornò al pian terreno e si domandò se avesse fatto realmente bene a sospendere le torture; non voleva che, lasciato troppo libero, Isaia tentasse una fuga. No: lo aveva voluto graziare proprio perché aveva riconosciuto la sua determinazione, non avrebbe mutato atteggiamento, ne era certo. Inoltre, chi sa, magari nei giorni successivi, parlandogli, mostrandogli alcune verità, avrebbe potuto convincerlo a schierarsi dalla sua parte.

Quando aveva cercato di ucciderlo, in passato, era stato perché ancora non sapeva che Isaia fosse il Princeps. Nella cripta, invece, aveva spronato Gabriel ad attaccarlo perché sapeva che il templare non correva realmente pericolo, non potendo subire appieno gli effetti del potere dell’Eletto. In quell’occasione aveva sperato di scatenarli entrambi, di fare emergere il lato aggressivo di tutti e due e, quindi, di averli dalla propria parte. Era andata male.

Vivere per oltre quattro secoli, tuttavia, aveva insegnato a Bonifacio l’arte del pazientare e lo aveva preparato a studiarsi sempre almeno una dozzina di piani di riserva per quando le cose non andavano come sperava. Nella sua mente, dunque, aveva almeno una decina di possibili scenari per l’immediato futuro, ognuno coi suoi numerosi corollari. Serventi puntava ad un obiettivo, aveva definito quella che gli pareva la strada migliore, ma era sempre pronto a cambiare rapidamente le proprie strategie, all’occorrenza e, quando portava avanti un progetto, gettava sempre le basi affinché ci fossero altre possibilità già pronte, nel caso la strada principale fosse fallita.

Bonifacio, dunque, non era adirato o rammaricato per il fatto che l’Eletto non avesse ancora accettato il proprio ruolo o, per meglio dire, il ruolo che lui gli voleva imporre. Serventi era tranquillo, sicuro che presto o tardi Gabriel lo avrebbe seguito. Ora aveva a portata di mano Isaia, dunque avrebbe usato tutta la propria arte per trarlo dalla propria parte.

Decine, centinaia di possibilità, di piani, di strategie, si affacciavano nella mente di Bonifacio. Decise di concentrarsi su qualcosa che avrebbe potuto concretizzarsi proprio il ventiquattro giugno, proprio con lo sterminio dei templari.

 

All’orario prestabilito, davanti al palazzo della Congregazione, si ritrovarono Giuditta, Gabriel, Claudia e Stefano. Presero l’auto della psicologa e andarono tutti assieme al palazzotto.

Appena arrivati, Giuditta si guardò attentamente attorno e notò che il corvo era rappresentato anche come motivo nelle decorazioni in stucco o terracotta alle finestre.

Entrarono e furono accolti da un maggiordomo che non era quello che Gabriel e Claudia avevano visto la sera in cui erano stati lì per la prima volta. I due innamorati avevano notato già la seconda volta che erano stati lì, che tutta la servitù era cambiata, ne avevano chiesto il motivo e il padrone di casa aveva detto che era stato perché i domestici erano rimasti troppo sconvolti dall’orda di demonietti e avevano avuto paura, com’era naturale.

L’uomo, Alberto era il suo nome, li aspettava da solo in un salotto.

“Buon pomeriggio.” salutò il padrone di casa, un po’ contrariato “A cosa devo quest’altro incontro? Noi vi abbiamo già detto tutto quel che ricordiamo, ora vorremmo essere lasciati in pace. È stata una pessima esperienza e vogliamo risolverla coi nostri psicologi. Pensavo di essere stato chiaro, com’è che, ora, siete addirittura raddoppiati? Siamo diventati un caso didattico per i vostri apprendisti?”

Gabriel, molto paziente, rispose: “No e non siamo qui per disturbarla, ma solo per aiutarvi. Siamo riusciti a rintracciare un’esperta in casi di manifestazioni demoniache e sono sicuro che ci permetterà di venire a capo di questa faccenda.”

Lo sguardo di Alberto non era affatto sicuro, scosse il capo e disse: “Via, va bene, se ci tenete, risponderò alle domande di questa signorina.”

“Molto bene. Giuditta, procedi pure, chiedi quello che vuoi.”

La ragazza si alzò dal divanetto su cui erano seduti gli altri, prese una sedia, la collocò a un metro di fronte ad Alberto, si mise a sedere, lo squadrò e gli chiese con estrema calma: “Come sta Malpas?”

I tre sul divano rimasero basiti da come la ragazza fosse stata diretta.

Il padrone di casa strabuzzò gli occhi, tossicchiò e poi chiese: “Chi?”

“Il tuo benefattore.”

“Signorina, io non conosco questo Ma … come ha detto che si chiama?” chiese Alberto, sorpreso, ma un po’ troppo velocemente.

Giuditta si fece molto dura e lo avvertì: “Non fare scene. Dì tutto, altrimenti dovrò strapparti le informazioni dalla tua mente corrotta. Non mi costringere a farlo, perché mi fa schifo entrare in contatto con certe mostruosità.”

L’uomo parve preoccuparsi parecchio, fu pervaso da un senso di terrore. Farfugliò: “Signorina … io non so chi voi siate ma, ma … cercate di capire, lui, loro sono già furiosi e noi, noi non possiamo …”

Shhh!” lo zittì la ragazza, lo fissò intensamente “Tu puoi dirmi tutto quanto. Tu vuoi dirmi tutti quanto.”

L’uomo fece ancora resistenza per alcuni momenti, poi d’improvviso si rilassò, il suo sguardo divenne vacuo e lui con una voce atona disse: “Sì, ti dirò tutto.”

“Hai fatto parte di una setta adoratrice di Malpas?”

“Sì.”

“Quanti membri della tua famiglia sono stati affiliati alla setta?”

“Tutti gli adulti.”

“Da quanto tempo?”

“Mio nonno è stato il primo ad unirsi a loro; dopo di lui tutti i suoi discendenti, compiuti i diciotto anni, sono entrati nella setta.”

“Ne fai ancora parte?”

Alberto non rispose, ma non perché non volesse, ma perché non lo sapeva. Giuditta lo aiutò, riformulando la domanda: “Ne sei uscito?”

“Sì.”

“Anche gli altri tuoi parenti ne sono usciti?”

“Sì, tutti.”

“È per questo che siete stati aggrediti l’altra sera? Era una punizione per il vostro disertare?”

“Sì. Non si può uscire dalla setta, se non con la morte.”

“Ora volete tornare nelle fila della setta?”

“Non lo sappiamo. Vogliamo vivere, ma loro ...” iniziò ad agitarsi “Loro vogliono …” iniziò ad ansimare, era terrorizzato, farfugliava indistintamente.

“Calmati, calmati!” cercò di riprenderlo Giuditta “Va tutto bene, non ci sono pericoli. Calmati, rilassati, loro non sono qui. Ci siamo solo io e te, calmo …”

L’agitazione di Alberto scemò e lui tornò tranquillo.

“Bene. Adesso dimmi: che cos’è che vi ha spaventato tanto? Siete la terza generazione della vostra famiglia che è nella setta, che cos’è successo per turbarvi?”

Malpas esige un sacrificio grandioso ogni centotto anni. Sarà dopo la mezzanotte del prossimo venerdì.”

“Quindi sabato alla prima ora di Saturno?”

“Esatto.”

“Sarà un sacrificio umano?”

“Sì.”

Gabriel e gli altri furono scossi e preoccupati.

“È questo che ti turba?”

Giuditta non era molto persuasa, infatti Alberto rispose: “No. Normalmente sacrifichiamo animali, ma una volta all’anno si celebra un sacrificio umano.”

Gabriel ebbe un fremito d’ira.

“Qual è il problema, allora?”

“Annualmente si uccide una persona e basta, generalmente prendiamo un barbone. Questa volta, invece, devono essere uccise ventuno ragazze vergini.”

Stefano esclamò disgustato: “Ma è orribile!”

Gabriel sentì distintamente il disgusto e la rabbia fermentare in lui e, per un attimo, i suoi occhi si illuminarono di rosso.

Claudia commentò: “Perché questa fissazione per le vergini?”

Giuditta volse leggermente il capo: “Le persone vergini hanno un tipo di energia più pura perché non si è mai mescolata con altre, ma ciò non la rende più forte. Comunque ora vediamo come mai Malpas esige questo sacrificio.” tornò a concentrarsi sull’uomo “Perché vi ha chiesto di sacrificargli ventuno vergini, perché donne?”

“Non vuole il loro sangue, non è per nutrirsi. Dobbiamo consacrarle a lui, poi lo evocheremo e Malpas possiederà il suo gran sacerdote e tramite esso si unirà alle ragazze e poi le ucciderà ed esse rinasceranno all’Inferno come sue figlie con cui potrà corrompere gli uomini e risucchiarne le energie.”

Giuditta fu scossa da un fremito d’ira ed esclamò furiosa: “Uccidete delle giovani per trasformarle in succubi? Siete orribili e ignobili! La punizione della croce si abbatterà presto su tutti voi!”

Gli altri tre si spaventarono: non avevano mai visto la ragazza così adirata e sembrava loro che la sua rabbia fosse quasi tangibile.

La donna si calmò. Continuò a fissare negli occhi Alberto che dopo un paio di minuti di silenzio cadde addormentato. Giuditta si alzò e raggiunse gli altri dicendo: “Andiamo, abbiamo massimo dieci minuti prima che si svegli, noi dovremo essere lontani.”

“Ma che cos’hai fatto?” chiese Gabriel, esternando la perplessità di tutti.

“Le spiegazioni in auto. Dov’è il maggiordomo che ci ha aperto?”

Lo trovarono vicino all’uscio. Giuditta fissò e fece addormentare pure lui, poi uscirono, salirono in automobile e se ne andarono rapidamente.

“Adesso ti degni di spiegarci qualcosa?” chiese aspramente Gabriel.

“Beh, quello che c’è da sapere sulla setta lo avete sentito.” rispose la ragazza.

“Più che di lui mi preoccupo per lui! Che cosa gli hai fatto?!” replicò l’uomo.

“Mentre ti rispondeva, pareva quasi ipnotizzato.” commentò Claudia.

Giuditta spiegò: “Sì, ho usato un po’ di magnetismo per fargli snocciolare le informazioni di cui avevo bisogno. Non gliele ho lette direttamente dalla mente perché, come ho detto anche a lui, non mi piace entrare in contatto con animi così corrotti. Anche se, poi, ho dovuto farlo comunque per cancellargli il ricordo della nostra visita e per addormentarlo; ho fatto la stessa cosa col maggiordomo.”

“Non mi piace affatto l’idea che tu possa entrare nelle menti delle persone.” disse Gabriel.

“Lo faccio solo quando la necessità lo richiede o con il consenso dell’interessato. Io sono una persona molto rispettosa pure da questo punto di vista, non ne ho mai approfittato.”

Claudia ridacchiò e commentò: “Se io avessi avuto un simile potere, da adolescente lo avrei usato per piacere ai ragazzi. Tu l’hai mai fatto?”

“No. Da adolescente non ero in grado di entrare nelle menti altrui. Non si tratta di un potere, come lo intendete voi: è una capacità accessibile a chiunque sia disposto a seguire un determinato percorso.”

“Va bene, va bene.” cambiò argomento la psicologa “Piuttosto, quando ti sei arrabbiata, che cos’è che ti ha fatta infuriare? Cos’era quella questione delle succubi?”

Rispose Gabriel che lo aveva studiato anni prima e lo ricordava: “Sono demoni minori della tradizione romana, poi passata a quella cristiano-medievale. Si presentano agli uomini come donne bellissime e sensuali, si uniscono a loro e li spingono a cedere alle tentazioni e ne assorbono le energie vitali.”

“Beh, per alcune tradizioni” aggiunse Stefano “Raccoglievano il seme e lo davano agli incubi, la loro controparte maschile, in modo che potessero ingravidare le donne con sui giacevano e generare così uomini tendenti al male.”

“Che mente perversa può elaborare teorie del genere?!” esclamò Claudia “Comunque è la prima volta che sento i termini succube e incubo usati in questa maniera.”

Giuditta aggiunse: “Sono parole latine e derivanti dal verbo giacere, sotto o sopra. Gli incubi, per i latini, si mettevano sopra le donne dormienti e provocavano brutti sogni o si univano a loro. È per questo che si dice ho fatto un sogno e invece ho avuto un incubo. Poi nel medioevo ha assunto connotazione ancor più negativa e veniva attribuita a questa categoria la colpa di stupri, specie se conclusi con un omicidio.”

“Quindi, a tuo parere, questi esseri esistono o no?” chiese Claudia, col suo scetticismo.

“Certamente esistono, ma ciò non esclude che siano stati incolpati di crimini commessi dagli umani.”

Gabriel riprese le fila del discorso: “Tornando alla questione della setta, tu credi che un rituale come quello che Alberto ha descritto abbia effetti reali, o sia solo suggestione?”

“Ritengo che tutto ciò possa accadere realmente e non solo simbolicamente.”

“Bene, allora dovremo studiare un piano per fermare questo rituale e sgominare la setta.” iniziò a ragionare Gabriel.

“Antinori, stammi bene a sentire.” Giuditta lo ammonì “Non fare nulla. Tu e la Congregazione dovete dimenticarvi di questo caso.”

“Come?”

“La faccenda è troppo grave per voi. So chi contattare affinché se ne occupi nel migliore dei modi.”

“Chi? I templari?” ironizzò Claudia “Ti ricordo che tuo fratello è prigioniero.”

Giuditta non raccolse la provocazione e si limitò a dire: “No, non loro; qualcosa di peggiore per i profanatori della Scienza Sacra.”

“Chi?” chiese Stefano, incuriosito.

“Non posso farne menzione. Vi assicuro, però, che questa setta avrà ciò che si merita e sarà estinta. Voi statene fuori, vi prego dimenticate la faccenda.”

“Ecco che riparte a fare la misteriosa!” commentò la psicologa “Questo atteggiamento ha un nome: mania di protagonismo! Generalmente è collegato o a un complesso di inferiorità o a un complesso di superiorità, oppure a carenze affettive. Il tuo caso rasenta il patologico!”

Gabriel intervenne: “Va bene, Giuditta, confidiamo che tu avviserai chi di dovere.”

“Cosa?!” si meravigliò Claudia.

“Pensa a guidare, dopo ti dico.”

Quando più tardi, lasciati i due ragazzi in Congregazione, l’ex gesuita e la sua donna rimasero soli, lui le spiegò: “Tranquilla, Claudia, non ho certo davvero intenzione di lavarmene le mani della faccenda della setta.”

“E allora perché prima hai detto il contrario?”

“Ormai l’abbiamo capito che discutere con Giuditta è praticamente inutile. Se mi fossi opposto apertamente, avremmo iniziato a litigare e probabilmente ora saremmo coi nervi a pezzi a discutere ancora. Le ho detto quello che voleva sentirsi dire, ma io continuerò ad indagare a sua insaputa e interverrò.”

“Ottimo e io sarò al tuo fianco.” gli sorrise la donna.

“Non so se è una buona idea, questa volta. È gente molto pericolosa e io non so se riuscirò a proteggerti: non sappiamo nemmeno quanti sono! Certo, però, puoi aiutarmi ad indagare.”

“Ma cos’altro c’è da scoprire? Ormai sappiamo tutto!”

“No. Ci manca ancora un’informazione fondamentale: il luogo in cui avverrà il sacrificio.”

“Non sarà facile, temo.”

“Abbiamo abbastanza indizi da cui partire.”

“Bene, allora diamoci da fare!”

Gabriel la ringraziò e la baciò.

 

Quella sera, come previsto, Isaia si trovò a cena con Serventi.

“Come ti senti?” domandò Bonifacio, per spezzare il silenzio

“Debole.” rispose il templare “Mi sto comunque riprendendo. Grazie.”

“Voglio che sia ben chiara una cosa. Io non ti ho risparmiato la tortura per pietà. Impietosirmi è pressoché impossibile. Ho davvero provato rispetto per te: è raro trovare qualcuno con una convinzione e una fede salda come la tua. Quando, mesi fa, mi dicesti che eri disposto a qualsiasi sacrificio pur di difendere la Chiesa, non immaginavo ti saresti spinto fino a questo e, invece … È un peccato che un uomo con la tua fibra muoia.”

“Se non morissi, non dimostrerei la fibra che ho.”

“Giusto. Meriti, però, di vivere serenamente questi ultimi giorni che ti rimangono. Voglio che, fin tanto che resterai qui, mi consideri un amico.”

“Un amico …” ripeté poco convinto Isaia “Mah, sì, se non fossimo barricati su fronti contrapposti, forse saremmo potuti essere amici.”

Rimasero in silenzio ancora un poco, mangiando la crema d’asparagi che avevano nei piatti.

“Chi c’è a parte noi, Jacopo e i domestici, in questa casa?”

“Per ora nessuno. Presto, però, arriveranno diversi dei miei adepti: sto radunando i migliori per preparare l’attacco alla vostra riunione.”

“Quindi presto ci sarà altra gente a questa tavola?”

“Tre miei figli. Il resto degli adepti avrà mensa comune altrove: ci tengo a mantenere certe distinzioni di ruolo e grado.”

“Capisco. So perfettamente che quando si vuole essere amici dei propri sottoposti si finisce col perdere autorità. Quindi sì alla benevolenza, ma no al mescolarsi a loro.”

“Esattamente.”

Isaia rimase in silenzio alcuni secondi, un triste ricordo gli riaffiorò e, mestamente, disse: “Mi dispiace per quel che è successo a Rebecca. Ti chiedo perdono.”

“Apprezzo questo gesto” rispose Bonifacio “Non è però necessario. Rebecca aveva la possibilità di mettersi al sicuro e ha deciso di non farlo. Inoltre, so che quell’ordine lo ha dato Vargas e che, se fosse dipeso da te, lei sarebbe ancora viva.”

“Comunque è stata un’azione templare e io, in quanto Magister Templi, mi sento colpevole.”

“Il senso di colpa è una delle prigioni peggiori per l’animo di un uomo: me ne sono liberato da molto tempo.”

“Non per essere indelicato, ma non sembri molto afflitto per la perdita di tua figlia.”

“Sai quanti figli si hanno in quattro secoli e quanti se ne vedono morire? L’amore senza attaccamento e senza egoismo è fondamentale da imparare. Volevo un bene infinito Rebecca e ne sento senza dubbio la mancanza, ma ciò non mi fa disperare. Ecco, l’unica cosa che mi rattrista un poco è che lei era l’unica figlia femmina che avevo in vita al momento: senza lei e senza Clara, non c’è più nessuna presenza femminile … Tu, Isaia, hai letto i manoscritti di Giacomo il Giusto, custoditi dai templari? Immagino di sì.”

“Sì, per averli letti, li ho letti tutti, per avere una panoramica generale. Ora avevo iniziato a studiarli.”

“Hai dunque avuto modo di scoprire i segreti dei numeri e anche l’importanza del bilanciamento degli opposti, giusto?”

“Sì. No agli estremismi, sì all’aurea mediocritas. I contrari non devono essere in conflitto, ma unirsi e generare il nuovo, il migliore. Un po’ come la tesi, antitesi e la sintesi di Hegel.”

“Splendido, allora capisci bene perché dico che si avverte fortemente il vuoto lasciato da Clara e Rebecca e perché sono impaziente di colmarlo.”

“Sono sicuro che non ti sarà difficile, ti basterà cercare tra le tue adepte.”

“Forse …” si limitò a rispondere Bonifacio, che in realtà aveva già chiaro in mente chi voleva come nuovo femmineo.

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Capitolo 18
*** Gaspare ***


Era già il diciotto di giugno. Giuditta sapeva di doversi concentrare innanzitutto sulla questione della setta devota a Malpas (e infatti si era affrettata a recuperare informazioni), tuttavia desiderava anche avere notizie del fratello, sincerarsi che stesse bene e stare un poco con lui. Decise, quindi, di prendersi una pausa di un paio d’ore; sollevò la cornetta del telefono, compose il numero di Serventi e attese che l’uomo rispondesse. Con freddezza, ma senza perdere le buone maniere, lo informò che aveva intenzione di andare a trovare Isaia. Bonifacio le confermò che non c’erano problemi e che poteva raggiungerli anche subito.

La donna non perse tempo, salì in auto e andò verso la villa, senza pensare a truccarsi o mettersi in ordine i capelli. Arrivata, un maggiordomo le aprì la porta e le disse di attendere in soggiorno; quindi lei si accomodò su uno dei divani. Poco dopo vide arrivare Isaia e allora si alzò per andargli incontro e abbracciarlo. Erano felici di rivedersi. Giuditta notò subito i segni sul collo e gli chiese a cosa fossero dovuti; il fratello, allora, le raccontò rapidamente quanto accaduto.

“Quindi adesso è tutto a posto?” chiese la ragazza, finito il racconto “Beh, per quanto può esserlo in questa situazione.”

“Sì, adesso mi trattano con i guanti e non ho di che lamentarmi.”

“Sono lieto che apprezzi la mia ospitalità.” disse Serventi, facendo capolino nel soggiorno; si accostò alla ragazza, la scrutò un attimo e si limitò a dire: “Ben arrivata.”

“Grazie.”

Bonifacio andò a sedersi sul divano.

“Lei rimarrà qui?” si accigliò Giuditta.

“Certamente. Tuo fratello rimane comunque un prigioniero ed un nemico, non posso permettermi di non controllare le sue comunicazioni con l’esterno; specialmente con te.” poi il suo tono divenne più conciliante e li invitò: “Suvvia, non state lì in piedi: sedete. Ho dato ordine di servire un te, tra poco sarà tutto qui. Ah, Isaia, ti ho lasciato nelle tue stanze una copia del De vita e della Teologia Platonica di Marsilio Ficino.”

“Oh li hai poi trovati, ottimo, grazie.”

Isaia era davvero lieto, non simulava la gratitudine. La sera prima lui e Serventi avevano parlato della Nuova Accademia Platonica e Bonifacio aveva riferito che lui possedeva l’opera omnia di Ficino e il templare aveva espresso il proprio desiderio di consultarli.

Serventi proseguì: “Suppongo non ci sia bisogno di dirti di stare molto attento, poiché sono libri molto rari e preziosi, inoltre sono anche autografati. Mio padre fece parecchia fatica ad ottenerli, ma fu un acquisto di cui non si pentì mai.”

“Certamente, non ti preoccupare.” rispose Isaia “Per me i libri sono sacri, li tratterò con la massima attenzione.”

“Mi fa piacere sentirtelo dire, purtroppo oggi giorno la lettura è parecchio sottovalutata e inoltre ormai sta dilagando questa mania per gli e-book … mah, mi adatterò come mi sono sempre adattato alle innovazioni tecnologiche, però … Isaia, tu cosa ne pensi?”

“Non rinuncerò mai al piacer di sfogliare un volume, tuttavia penso che per i viaggi un tablet mi farebbe comodo. Sai, quando devo fare un viaggio, anche solo di un paio di giorni, nell’indecisione di quali libri portarmi dietro, ne prendo sempre almeno una decina con me e il trasporto è piuttosto pesante. La cosa curiosa e, in un certo senso buffa, è questa: nei tempi più antichi si scriveva su tavolette di legno rivestite di argilla, poi è sono venuti i rotoli di papiro o pergamena, poi i libri di carta e ora si ritorna alla tavoletta.”

“I cicli cosmici!” scherzò, ma non troppo, Bonifacio.

“Vedo che andate piuttosto d’accordo.” osservò Giuditta, un po’ confusa.

“Oh, sì, tuo fratello ha davvero un intelletto apprezzabile e anche le sue buone maniere giocano in suo favore. Non è neppure ottuso e chiuso come sembra ad una prima occhiata. Sarà un peccato ucciderlo.”

“Potresti anche graziarlo, allora.” gli fece osservare la donna.

“Ti ho già detto che lui rimarrà in vita fintanto che tu verrai a trovarci.”

“Non ti basta il discorrere con lui?”

“È un tipo di compagnia assai differente, la tua; inoltre Isaia non è ancora illuminato su molte cose; è evidente che sta solo grattando la superficie della Scienza Sacra, invece tu sei già discesa negli inferi della terra e nei sei riemersa, dopo aver ritrovato la pietra nascosta.”

Isaia capì subito che era una metafora ispirata all’acrostico della parola VITRIOL.

“Io, come le ho già detto, sono qui per parlare con mio fratello, non con lei.”

“Sicuramente.” accennò col capo Serventi “Prego, parlagli pure, nessuno ve lo impedisce.”

Giuditta lo guardò torvamente e lasciò un sospiro tra il seccato e il rassegnato.

I due fratelli erano seduti accanto sul divano, mentre Bonifacio era accomodato su una poltrona.

“Allora, come vanno le cose?” domandò Isaia.

“Credo che in Congregazione avvertano parecchio la tua assenza, almeno da un punto di vista professionale.”

“È accaduto qualcosa di grave?” si allarmò il templare.

“Non ancora e, per fortuna, mi trovavo in Congregazione, quando hanno parlato di questo caso. Non so se sarebbero arrivati alle giuste conclusioni per tempo, senza di me.”

“Di cosa si tratta?”

Anche Serventi ascoltava interessato.

“Una setta di adoratori di Malpas.”

I due uomini manifestarono pari stupore. Isaia, poi, disse: “Si tratta di un demone molto potente che concede illimitatamente, ma pretende sacrifici cruenti ed esige le anime dei suoi adepti! Non credevo che a Roma ci potesse essere gente così scellerata.”

“Chi si occuperà di loro?” domandò Bonifacio, forse più che altro per provocazione.

“Chi ne ha la competenza e la giurisdizione.” rispose la ragazza, alteramente.

“Capisco …” si limitò a commentare Serventi.

Arrivò un domestico spingendo un carrello su cui era stato posto il vassoio con la teiera, le tazze, cucchiaini, un cofanetto con le differenti bustine di tè, zuccheriera, biscottiera e due piccoli bricchi, uno col succo di limone, l’altro col latte. Il cameriere servì tutti e tre, poi se ne andò, lasciando lì tutto tranne il carrello.

“È tutto di vostro gradimento?” domandò il proprietario di casa.

Giuditta non sopportava quella cortesia, la riteneva falsa ed ipocrita, ma decise di non protestare e di fare buon viso a cattivo gioco.

“Sì, squisito.” rispose la donna, freddamente.

“Giuditta” la rimproverò Serventi “Capisco che il fatto che tuo fratello, tra meno di una settimana, affronterà la morte, ti rende irritata e addolorata, tuttavia l’unico vero responsabile di questa situazione, con cui faresti bene ad essere adirata, è Isaia stesso. È lui che ha fatto questa proposta e si è offerto volontario. Ti garantisco, però, che farò quanto è in mio potere per dissuaderlo.”

La ragazza si sentì un poco sollevata e meno ostile verso Serventi, benché fosse ben consapevole che far cambiare idea al fratello era pressoché impossibile.

“Se voliamo essere precisi” disse allora Isaia “Io non ho mai parlato espressamente di morte. Ho detto che rimetto me stesso e l’ordine nelle tue mani. Io sono pronto a subire qualsiasi cosa, ma la decisione è tua.”

“Dipendesse da me, ti grazierei.” replicò Bonifacio, diplomatico “Tuttavia tu sei il Gran Maestro di un ordine che ha portato dolore a molti. Quando ci sarà il nostro assalto, non posso garantirti che i miei uomini non se la prenderanno con te, specialmente Jacopo.”

“Già, per colpa di Stefano, Jacopo non potrà risparmiare neppure un templare, per sciogliere il vincolo che ha con questo mondo.” Giuditta sospirò piano, tuttavia Serventi la sentì.

“Certo, se tu, Isaia, rinunciassi ad essere un templare, le cose sarebbero più semplici.” osservò Bonifacio.

Il gesuita lo guardò perplesso, poi scosse il capo e disse: “No. Come potrei chiedere a loro di sacrificarsi e poi tirarmi io indietro?”

“Isaia, tu proprio non sai con chi hai a che fare. Mostri troppa compassione per gente che non la merita affatto, tanto meno la tua. Il tuo bisnonno, Nathaniel, aveva ben compreso la loro natura, aveva ben compreso i tempi che stavano arrivando e dunque stava prendendo le debite distanze.”

“Che cosa stai dicendo?!” replicò, bruscamente, Isaia “Sei stato tu, o chi per te, ad ucciderlo, mentre era Magister Templi.”

“Ti hanno detto questo? Non c’è nulla di più falso.”

In quel momento si sentì suonare il campanello e Bonifacio si alzò per andare ad aprire. Giuditta, allora, ne approfittò per dire al fratello, sottovoce: “Isaia, da quello che mi è stato detto, io non c’ero e non ho visto, Gabriel ha usato il suo potere.”

“Come? Quale?”

“Entrambi. Prima ha fulminato i demonietti di un rituale di punizione della setta di Malpas, poi ha riportato in vita due che erano in punto di morte a causa di quelle bestie. È sempre stato uno scaturire improvviso e involontario del potere.”

“Tu cosa pensi? Eri seria al pranzo, dicendo che non è il potere a determinare la sua inclinazione al bene o al male?” domandò Isaia, sempre bisbigliando.

“Certo. Se diventerà un pericolo, se cederà al male, sarà per una debolezza sua che si sarebbe manifestata indipendentemente dal suo potere.”

“D’accordo, tuttavia, il suo potere lo rende più pericoloso rispetto a una persona qualunque che cede al male.”

“Ah, su questo non ci piove, anche se non è il solo.”

“Che intendi?”

Serventi si riavvicinò, accompagnato da un giovanotto di oltre trent’anni, dai capelli ricci e ramati, gli occhi verdi e una barbetta incolta su tutte le guance e il mento, mentre i baffi sottili erano appena più definiti. Era lui che aveva suonato alla porta.

“Gaspare, ti presento i nostri ospiti.” disse Bonifacio, rivolto al giovane “Il signore è il Magister Templi Isaia Morganti, la signorina è invece sua sorella, Giuditta.” poi guardò i due e presentò: “Questo è mio figlio minore, Gaspare.”

“Lieto di conoscervi.” salutò il giovane, con un leggero inchino del capo; la sua voce era calda e profonda.

“Piacere nostro.” contraccambiò Isaia, a nome anche della sorella.

“Ti unisci al nostro tè?” domandò Bonifacio.

“Volentieri, padre.”

“Ottimo, allora siedi, io vado a dire di portare un’altra tazza.”

Serventi si allontanò. Gaspare si accomodò, sorridendo cordialmente. Isaia lo fissava, trovando i suoi lineamenti molto famigliari. Giuditta si concentrò, nel tentativo di penetrare la mente del nuovo arrivato e carpire qualcosa, ma la trovò ben protetta. Si accorse che il giovane aveva abbozzato un sorrisetto: evidentemente si era accorto di quel tentativo. Qualche istante dopo, Giuditta sentì rimbombare una voce nella propria testa, era la stessa del ragazzo: che carino vedere una apprendista che si sforza così tanto! Se ti fa piacere, continua pure, ma la mia mente non è certo alla tua portata. Perché tanto stupore? Non sapevi si potesse comunicare così? Non mi meraviglia.

Già, Giuditta non aveva mai saputo che si potesse sviluppare anche la telepatia. La ragazza si sentì punta nell’orgoglio e stava per dire qualcosa, ma Gaspare rivolse una domanda ad Isaia e continuò a conversare con lui per un buon quarto d’ora, senza più degnare di uno sguardo la ragazza e ignorando ogni suo tentativo di inserirsi nel discorso. Tornò Bonifacio, con la tazza per il figlio; il giovane bevve e poi si congedò, dicendo che quella compagnia non lo interessava granché.

Giuditta rimase lì tutta la mattina e anche a pranzo; le sue attenzioni erano concentrate sul fratello, ma parlava tranquillamente anche con Bonifacio. A tavola, tuttavia, furono raggiunti nuovamente da Gaspare che, ancora una volta, condusse la conversazione in modo tale da tagliare fuori la donna che si sentiva un po’ offesa, ma non poteva fare a meno di provare ammirazione per la cultura che dimostrava di avere quel ragazzo.

“Vai già via?” le domandò Bonifacio, quando, dopo il caffè, lei comunicò di voler tornare a casa.

“Sì, mi dispiace, ma mi è necessario: domani tengo una conferenza sul solstizio d’estate, il suo valore pagano, le implicazioni nei rituali stregoneschi e la connotazione cristiana.”

“Cristiana?” chiese Gaspare, con tono un po’ sprezzante.

“Certamente: è la festa di San Giovanni il Battista, cugino di Cristo. Essa è posta proprio specularmente al Natale, questo indica la grande importanza che aveva questo Santo nel primo Cristianesimo.”

“Oppure è solo una coincidenza, dovuta al fatto che Giovanni ha sei mesi in più di Gesù, i vangeli lo dicono chiaramente. Inoltre, se mai, è ritenuta in opposizione al ventisette dicembre, la festa di San Giovanni Evangelista, tanto che vengono chiamati il Giovanni che piange e il Giovanni che ride.” replicò il giovane “Comunque, dov’è questa conferenza? Così non corro il rischio di passarci.”

Giuditta ostentò: “Al Museo Nazionale dell’Alto Medioevo.”

Gaspare attese qualche istante, poi disse: “I pensieri di tuo fratello ti hanno tradita. È inutile che ti vanti di parlare in un museo importante, visto che tua madre ne è la curatrice e, molto probabilmente, è solo grazie a quello che puoi tenere questa conferenza. Comunque, ha almeno il buon senso di farti parlare di giovedì, quando non ci sarà troppa gente da deludere. Buona fortuna.”

“Invece di criticare a priori, potrebbe prima ascoltare la mia ricerca, oppure rimanere zitto.”

“Sono altre le cose che faccio, quando voglio sprecare tempo.”

Giuditta salutò cortesemente Bonifacio e calorosamente il fratello; era comunque evidente quanto fosse irritata a causa di Gaspare.

 

Quel mercoledì pomeriggio, invece, nella biblioteca della Congregazione, Gabriel e Claudia si stavano consultando con Alonso per scoprire il luogo dove la setta avrebbe svolto il sacrificio.

“Allora, abbiamo poco tempo ancora. È emerso nulla?” chiese Gabriel.

Alonso rispose: “Io ho controlato i testi de demonologia e ho capito quali caratteristiche deve avare il luogo por il sacrificio, poi ho cercato de capire quali posti in cità o periferia hano esti elementi e ho individuato sei posibili luoghi.”

“Molto bene, Alonso” disse l’altro “Hai scoperto più di noi. Abbiamo consultato tutti i giornali di centotto anni, per vedere se emergeva qualcosa ma niente. Beh, proprio niente non è vero; abbiamo  avuto la conferma che il rituale è avvenuto: ventuno ragazze giovani sono scomparse più o meno nello stesso periodo. Purtroppo i loro cadaveri (e nemmeno tutti) sono stati ritrovati in periodi differenti in luoghi diversi.”

“Ho un’idea!” esclamò Claudia “Alonso, hai una mappa in cui poter segnare i sei posti che hai individuato tu?”

Seguro!”

“Bene, allora prendila. Segneremo sia quei sei luoghi, sia i punti in cui sono stati rinvenuti i cadaveri, magari riusciamo a definire un’area che contenga sia uno dei posti che hai individuato tu, sia molti dei corpi.”

“Giusto, è un’ottima pensata.” si complimentò Gabriel.

Presero una cartina e iniziarono a tracciare i vari segni. Finita quest’operazione cercarono un po’ di capire dove ci fosse stata la maggior concentrazione di cadaveri; in questo modo poterono escludere tre dei luoghi individuati da Alonso, poiché nessuno dei corpi era stato ritrovato nei loro pressi. Rimanevano altri tre punti e quello centrale, che sembrava il più papabile, venne escluso, poiché si resero conto che centotto anni prima aveva una conformazione differente e non poteva corrispondere al luogo che Malpas esigeva come suo luogo di culto. Il dubbio, dunque, restava su soli due luoghi. Gabriel, allora, propose: “Alberto ha detto che sacrificano una persona all’anno, potremmo provare a consultare anche le ultime cronache.”

“Sì, è una possibilità.” disse Claudia titubante “Ma ci sono molti omicidi irrisolti ogni anno e, se si occupavano per lo più di barboni, è difficile che siano finiti sui giornali.”

“Un momento!” si illuminò Alonso, che stava ancora guardando la mappa.

L’archivista balzò in piedi e si affrettò ad andare presso un armadio e a frugarci dentro, tirò fuori un cofanetto, lo portò sulla scrivania e spiegò: “Qui ci sono i fascicoli de todos i casi sospetti de sete, ma che non sono stati ben chiariti. Anni fa Isaia aveva indagato porché durante il carotaggio per dei lavori all’impianto fognario, erano emersi muy, muy scheletri umani e ossa d’animali. Se recordo bien, c’erano oltre duecento scheletri de hombre e solo sesanta de done. Le datacioni metevano in evidencia che li hombre avevano continuità temporale, mentre le done erano come devise in tre grupi de secoli diferenti.” trovò il fascicolo e lo mostrò agli altri “Eco, vedete?! Esendo stati trovati solo osa, Isaia non è potuto arivare a nesuna conclusione precisa, ma era seguro che se tratase de rituali pagani o satanici, tutavia suponeva che non ce fose da preocuparse, poiché li ultimi cadaveri risalivano ai primi de l’Otociento.”

Gabriel stava scorrendo i fogli coi vari dati e osservò: “Evidentemente, invece, le pratiche sono andate avanti, ma i settari avevano deciso di non seppellire più i cadaveri in sito, ma di occultarli altrove.”

“Sì, ma dov’è questo luogo su cui ha indagato Isaia?” chiese Claudia.

Gabriel appoggiò la punta dell’indice sulla mappa esattamente in corrispondenza di uno degli ultimi due posti che Alonso aveva individuato e che loro non avevano ancora scartato.

Non vedeva l’ora di intervenire, ormai dentro di sé provava un odio profondo per quella setta e voleva sbarazzarne il mondo al più presto.

 

Il pomeriggio seguente, Giuditta tenne la sua conferenza presso una saletta del Museo dell’Alto Medioevo, davanti ad un pubblico di una ventina di persone, tra cui c’erano sia Stefano che Gaspare. Finita l’esposizione, la donna chiese se ci fossero domande; qualcuno ne fece, intervenne pure Gaspare che, però, più che fare una domanda, tenne una breve conferenza d’appendice su una questione che Giuditta non aveva approfondito, per mancanza di tempo.

Mentre la gente si disperdeva, Stefano raggiunse subito la donna e si congratulò con lei per l’ottima ricerca.

“Troppo buono, si tratta semplicemente di un po’ di vecchi appunti e riflessioni che ho riguardato e messo assieme per organizzare in fretta questa esposizione. È stata molto scolastica, non ho avuto il tempo di inserire le mie rielaborazioni.” spiegò Giuditta, mentre spegneva il computer su cui aveva la presentazione in powerpoint che aveva proiettato.

“Ah, allora sei almeno consapevole della mediocrità di questo lavoro.” osservò Gaspare, che si era avvicinato.

“Mediocre?!” sbalordì Stefano “Non so a cosa lei sia abituato, ma questo è stato un lavoro eccellente, degno di un seminario universitario.”

“Questo perché le università pubbliche si accontentano di molto poco.” ribatté l’altro.

Il seminarista ci rimase un po’ male, poi osservò l’uomo e gli sembrò famigliare, quindi chiese: “Ci siamo già incontrati, per caso?”

“Ne dubito, ma in ogni caso non mi ricorderei.”

“Stefano, non badargli. Adesso, scusatemi, ma devo parlare con una persona, torno subito.”

Giuditta si allontanò di qualche passo e si fermò a parlare con un uomo, circa sulla sessantina, che aveva posto un paio di quesiti.

Stefano rimase a guardare un po’ in cagnesco Gaspare che, invece, osservava la donna e il suo interlocutore. Il giovane, dopo qualche minuto, si voltò verso il seminarista e gli disse: “Smettila. Dovresti essere più preoccupato a causa di quell’uomo, non mia.”

“Come?”

“Suvvia, non ho bisogno neppure di entrare nella tua mente per avvertire l’ostilità che hai per me.”

“Ah.” si rabbuiò il seminarista “Hai anche tu le capacità di Giuditta, quindi?”

Gaspare storse il naso, prima di rispondere: “Se chiami così la Scienza Sacra, sì.”

“Sei un suo amico?”

“No. Ora taci che devo capire che cosa vuole esattamente quel tizio da lei.”

“Hai detto che c’è da preoccuparsi?”

“Di lui? Dipende, tu di sicuro; lei se la può cavare senza difficoltà.”

Poco dopo Giuditta tornò da loro. Gaspare, molto tranquillamente, le chiese: “Lo sai, vero, che quell’uomo vuole rapirti?”

“Sì, certo.”

“Cosa?!” sbalordì Stefano.

“Sai anche perché?” continuò Gaspare, non era certo preoccupato, voleva solo ostentare le sue capacità.

“Sicuramente. Ti dirò di più, sono stata io a far sì che gli venisse l’idea. Letteralmente gli ho messo io quell’idea in testa.”

“Tu? E perché mai?” fu divertito l’uomo.

“Se sei così esperto, leggimelo nella mente.” lo sfidò la donna.

“Non mi provocare. Mio padre ha ordinato di non violarti e io sono un figlio obbediente. Infatti sono qui meramente perché me l’ha chiesto lui, non certo perché mi interessasse questa … chiacchierata?”

“Tuo padre non è riuscito a superare le mie difese, forse ti ha dato questo consiglio per evitare di ferire il tuo ego.”

Gaspare si abbandonò ad una leggera risata cristallina, divertita; replicò: “La tua ingenuità è davvero simpatica. Mio padre si è accorto che hai qualche rudimento e, quindi, ha deciso di rispettarti. Mi ha detto chi sei. So che vi credete gli ultimi detentori della Scienza Sacra, ma in realtà siete solo appena sotto la superficie; te ne accorgerai presto. Avete a che fare solo con dilettanti e incoscienti e quindi vi sentite forti perché ve ne liberate senza problemi, ma non avete mai avuto la stoltezza di mettervi contro dei Maestri e, quindi, non sapete qual è la portata del vero potere.”

“Che intendi, dicendo che presto me ne accorgerò?” la donna si preoccupò.

“I tempi a venire; non ho certo bisogno di spiegarti di più: anche una apprendista come te sa che cosa incombe. Ad ogni modo, non vedo l’ora che mio padre mi dia il permesso di agire senza limiti con te e allora vedrai che la tua mente, tenera come burro, si scioglierà completamente, davanti al vero potere.” la guardò con aria enigmatica ed inquietante “Ho grandi progetti.”

Consultò l’orologio da taschino “Direi che sono stato fuori abbastanza, mio padre non si lamenterà.” si voltò verso Stefano e gli chiese: “Tu sei ancora a pensare a lei che si vuol far rapire da quel’uomo? Già, fai bene a preoccuparti, a quanto pare vuole sacrificarla. Beh, buona serata.” e se ne andò.

Stefano fissò severamente Giuditta e le chiese: “Tiro ad indovinare? Vuoi farti inserire nella serie delle ventuno vergini da sacrificare a Malpas? Cos’è? Diventare una succube è sempre stato il tuo sogno?”

“Sei carino, quando ti preoccupi.” Giuditta cercò di distrarlo.

“Non è quello che volevo essere. Mi spieghi che cosa pensi di fare? Avevi detto che avresti informato gente competente, non che ti saresti gettata allo sbaraglio.”

“Esattamente. Ho parlato con chi di dovere e ci siamo organizzati. Non devi preoccuparti, presto quella setta sarà finita per sempre.”

“Non dovrei preoccuparmi?!” replicò, sarcastico, il ragazzo “Tu ti vai ad offrire per un sacrificio e io non mi dovrei preoccupare?” aveva iniziato ad essere agitato “Mi sono ben informato sugli adoratori di Malpas: sono tremendi, feroci e il demone concede loro grandi poteri magici. Tu lo sai meglio di me, probabilmente; non puoi andare, non sola: è troppo pericoloso!”

“Non sarò sola, saremo in tre.”

“Ah, questo mi fa star meglio!” ribatté lui, ironico, per poi lasciar di nuovo ampio spazio alla preoccupazione e al nervosismo “Tre ad affrontare quanti? Non potete farcela! Chi credi di essere? Hai bisogno di aiuto, di più aiuto. Parla con Gabriel, coinvolgi la Congregazione: è una faccenda che riguarda da vicino anche noi! Se qualcosa andasse storto? Ti truciderebbero! Hai sentito benissimo anche tu: quelle ragazze vengono violentate e uccise; non è una cosa che augurerei a nessuno e non voglio di certo che accada a te!”

Stefano stava ancora manifestando tutta la sua apprensione, quando Giuditta gli afferrò i baveri della camicia, lo tirò a sé e lo baciò; per dirgli subito dopo: “Ora rimani calmo e, ricorda, nel peggiore dei casi farò scoppiare una grandinata su tutti i settari.”

Il seminarista, colto alla sprovvista da quel gesto, si lamentò: “Devi trovare un altro metodo per tranquillizzare la gente quand’è nervosa!”

“Oh, meglio prenderle così, le endorfine, piuttosto che con degli psicofarmaci. Comunque, tu promettimi che non penserai più alla faccenda della setta. Lasciami fare quel che devo e non ti intromettere: fidati di me, so quello che faccio.”

Stefano ci pensò un po’ su, poi acconsentì: “E va bene.”

“Ottimo.”

“Mi spieghi, però, come hai fatto a capire che quell’uomo era uno della setta?”

“Ho preso i nomi dei settari dalla mente del tizio che abbiamo interrogato. Ho fatto una rapida ricerca per vedere che gente fosse ed è saltato fuori che alcuni di loro sono habitué del Museo, iscritti alla newsletter che tiene aggiornati su tutte le iniziative. Ho deciso, allora, di organizzare alla svelta questa conferenza proprio per farmi notare e far sì che almeno uno di loro venisse qui, in modo tale ch’io potessi manipolargli un poco la mente e fargli venire l’idea di rapirmi.”

“Capisco …” non era molto convinto, però sapeva che gli conveniva cambiare argomento: “Ma il giovanotto tanto simpatico chi è?” era ironico, ovviamente.

“A quanto pare, è uno dei figli di Serventi. Mai conosciuto qualcuno di più borioso! Come si permette di trattarmi così? Come se fossi una principiante … ma avrà modo di ricredersi.”

“Non ti pare assomigli a qualcuno?”

“Assomiglierà a suo padre.”

“No, forse è più la corporatura che rimanda a Serventi; il viso però no, eppure mi pare famigliare.” il ragazzo rimase pensoso.

“Mah, io non so niente di lui e non è che mi interessi. Ti va una visita al museo?”

“Sì, grazie!” si distrasse Stefano “Comunque volevo parlarti anche di una questione.”

“Quale?”

“Ho provato a fare come mi hai consigliato tu: ho parlato con le voci che ogni tanto sento.”

“E …?” lo incoraggiò lei.

“Beh, abbiamo interagito un poco, non saprei spiegare, comunque mi danno parecchio retta e sono obbedienti, vedo.”

“Raccontami tutto.”

Così i due giovani girovagarono a lungo nel museo, col seminarista che raccontava i suoi primi approcci indipendenti coi fantasmi.

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Capitolo 19
*** Il rituale ***


Stefano non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere la faccenda della setta, tanto meno di permettere a Giuditta di cacciarsi nei guai da sola. Il mattino dopo la conferenza, proprio il venerdì in cui sarebbe avvenuto il sacrificio, andò in Congregazione e, appena giunse anche Gabriel, gli domandò: “A che punto siamo con l’organizzazione per l’intervenire di stasera?”

“È quasi tutto pronto. Sto andando giusto da Alonso per chiedergli se è riuscito a far fare i costumi da settari per intrufolarci durante il rituale. Perché me lo chiedi?”

“Non dovremmo andar soli, dovremmo procurarci dei rinforzi.”

“Che cosa ti preoccupa, esattamente?” Gabriel aveva notato che l’inquietudine del discepolo non era affatto naturale.

“Giuditta.”

L’ex gesuita lo guardò interrogativo.

“Sarà lì. Vuole introdursi nel gruppo delle sacrificande, per far cosa non lo so. Non ho idea di come abbia intenzione di agire, però il suo piano non mi piace per nulla.”

“Neppure a me. Non vorrei affatto che lei fosse lì e non dico solo per la sua sicurezza.”

“Hai avvertito la polizia?”

“Sì, ma non mi hanno creduto. Non sono neppure state segnalate le scomparse di ventuno ragazze che possano rientrare nella categoria delle vergini. Evidentemente, le rapiscono all’ultimo momento, proprio per evitare che la polizia si metta d’allerta a cercarle. Di questi tempi, però, non dev’essere facile trovare delle vergini, chissà come fanno ad individuarle.”

“Giuditta, comunque, lo è e vuole farsi prendere. Se la polizia non ci crede, dobbiamo allora andare in maggior numero noi della Congregazione!”

“No. La Congregazione non ha guerrieri che possano difendersi dai settari, al massimo abbiamo qualche esorcista, ma …” l’espressione di Gabriel si fece parecchio grave, era evidente che quel che stava per dire era serio e difficile: “In realtà non voglio che ci siano altri della Congregazione perché … perché ho intenzione di usare il mio potere.”

“Cosa? Resuscitare i morenti? Non ne vedo l’utilizzo pratico in questa situazione.”

“No, Stefano, non quello. Io posso anche … trasformare la gente in demoni od ucciderla.” non era affatto facile per Gabriel ammettere quella facoltà, tanto più davanti ad una persona che lo stimava tantissimo.

“Non me ne avevi mai parlato.” Stefano era afflitto da quella notizia, forse un poco deluso, in realtà era come una specie di fulmine a ciel sereno e non sapeva come reagire.

“Non è una cosa di cui vado fiero. Sono molto spaventato da questo potere perché si è quasi sempre scatenato senza ch’io volessi, senza che ne fossi consapevole. È questo che ha messo Isaia contro di me.”

Stefano d’improvviso capì molti dei discorsi di Giuditta: capì che non era solo per affetto famigliare che difendeva il fratello, capì perché non aveva in simpatia Gabriel e capì anche che cosa intendesse, quando gli diceva che lui e Gabriel avevano il medesimo problema: quello di avere paura del proprio potere e, dunque, di non riuscire a controllarlo.

Quel pensiero fece sentire il giovane ancor più vicino al proprio maestro.

“Questa notte voglio provare a usare il mio potere in maniera controllata, voglio essere io a ricorrervi e non la mia rabbia. Questo dovrebbe garantirci la vittoria.”

“Vorresti uccidere o demonizzare delle persone?” domandò perplesso Stefano che, quel punto, non poteva condividerlo.

“Sono mostri che commerciano col demonio e uccidono deliberatamente delle persone. Non ci sono scusanti per loro, non hanno subito traumi, non hanno dei disturbi, sono semplicemente malvagi.”

“Claudia che cosa ne pensa?”

Gabriel tergiversò qualche momento e poi disse: “Conferma che quella è gente sana. Non sono come Agata che era divorata dai sensi di colpa e che voleva punire le sue compagne per tutto il male che causavano. Non sono come Nadia che non sapeva come faceva a dare fuoco alle cose. Questa è gente che non può essere salvata!”

“Questo significa che Claudia non sa nulla del fatto che vuoi usare il tuo potere?”

Gabriel di nuovo non rispose subito, ma dopo ammise: “No, non lo sa.”

“Se non gliel’hai detto è perché sai anche tu che è sbagliato e non vuoi che lei si arrabbi con te, vero?”

“Stefano, né tu, né Alonso, né lei potete capire. Voi non avete un potere e siete costretti a nasconderlo per colpa dei pregiudizi e dei timori della gente, instillati a causa di settari e di qualche stupido egoista che ha voluto approfittare dei propri poteri. La gente ha paura di quelli come me, tuttavia potrebbe cambiare idea, se vedesse che la maggior parte di chi ha dei poteri è buona e aiuta, non credi?”

“Hai di recente letto qualche fumetto degli X-men?” chiese Stefano, alquanto perplesso; guardò dritto negli occhi il suo mentore e allora notò che le iridi erano diventate rosse; si spaventò, ora era certo che l’uomo non fosse del tutto in sé, quindi decise di provare a farlo ragionare: “Gabriel, se Isaia fosse venuto qui e ti avesse proposto di sterminare una setta, tu che cosa avresti fatto?”

L’uomo meditò qualche momento e si calmò, i suoi occhi tornarono del loro naturale colore verde e disse: “Hai ragione, non so che diamine mi sia saltato in testa.” in quel periodo si sentiva parecchio confuso “Comunque, userò lo stesso il mio potere. Non uccide o demonizza per forza, posso anche solo stordire e far svenire, almeno credo … cioè, penso di poterne regolare l’intensità e variare gli effetti. A quel punto la polizia dovrà darci ascolto ed interverrà.”

“Sei sicuro di poterlo controllare?”

“Sì, certo.” ma non era affatto vero.

Gabriel non aveva la più pallida idea di come fare ad usare il proprio potere, aveva fatto qualche tentativo di attivarlo a comando, ma non gli era riuscito nulla. Si era, però, convinto che in una situazione di pericolo sarebbe stato facile farlo emergere, dunque lui si sarebbe dovuto concentrare sul controllarne l’intensità etc…

“Hai controllato a che ora avverrà il sacrificio?” chiese Gabriel per distogliere un po’ l’argomento.

“Sì; dunque la prima ora di saturno dopo la mezzanotte è tra le 2:47 e le 3:38.”

“Ci conviene dormire qualche ora e puntare la sveglia per tempo.”

“D’accordo, io che cosa devo fare? Cosa devo preparare o portare?”

“Stai sul classico: crocefisso e acqua benedetta. Poi ripassa bene le preghiere di esorcismo; annotatele, se hai paura di dimenticarle. Comunque chiedi ad Alonso, ti farà un rapido corso basilare.”

“D’accordo. Altro?”

“Non credo, mi pare che abbiamo detto tutto. Andiamo da Alonso a controllare se ha pronti i nostri travestimenti.”

Andarono in biblioteca, dove furono accolti allegramente dall’archivista che subito mostrò loro gli abiti che aveva fatto confezionare in gran fretta e li invitò a provarseli: calzavano a pennello.

“Farete un figurone esta noche, nesuno se acorgerà o sospeterà che voi non siate setari!” esclamò, soddisfatto, il bibliotecario.

“Eh, speriamo. Speriamo che tutto vada bene.” Gabriel era comunque preoccupato “Alonso, prega per noi!”

Seguro, hermano, è claro!”

“Grazie. Ora devo andare, ho delle faccende da sbrigare in fretta, perché poi Claudia mi aspetta a pranzo. Alonso, ti affido Stefano, fagli un corso accelerato circa come agisce la Congregazione con le sette.”

“Va bien.”

Stefano rimase tutto il giorno in biblioteca a memorizzare i salmi e i gesti rituali.

Gabriel, invece, si affrettò a leggere alcuni rapporti di verifiche e ad archiviarli e poi si defilò rapidamente, cercando di non farsi vedere dai monsignori e dagli altri membri della Congregazione, perché non voleva essere fermato e trattenuto a discutere.

Si presentò puntuale al pub dove avrebbe pranzato con Claudia che lo stava già aspettando.

“Ciao, scusami, sei qui da molto?” chiese lui, temendo di essere in ritardo.

“No, no, dieci minuti.”

“Mi spiace!”

“Non è colpa tua, sono arrivata io in anticipo perché ho finito prima con un paziente.”

“Hai già ordinato?”

“Soltanto una bottiglia d’acqua; per il resto ti ho aspettato.”

“Grazie.”

Presero i menù e li consultarono per scegliere cosa mangiare; ordinarono e poi Claudia fissò l’amato e gli chiese: “Allora, per stanotte qual è il piano? Stefano ha scoperto a che ora ci sarà il sacrificio?”

“Sì, certo.”

Gabriel non voleva affatto che Claudia lo seguisse al rituale: riteneva che la situazione fosse troppo pericolosa e non voleva mettere a repentaglio l’incolumità sua e del bambino. Aveva dunque deciso fin da subito di escluderla, mentendole sull’orario (per questo aveva chiesto ad Alonso solo due travestimenti).

“Alle cinque e diciassette.” rispose lui.

“Bene e come ci muoveremo? Io un’idea ce l’avrei. Dovremmo avvicinarci alle ragazze e liberarle, così potranno aiutarci e, soprattutto, avremo modo di telefonare alla polizia. Ecco potrei scattare delle foto col telefonino e inviarle al sito della polizia ancor prima di agire, così ci crederanno e arriveranno il prima possibile.”

“Sì, è un’ottima idea.”

Pranzarono e parlarono soprattutto di questo. Al pomeriggio Gabriel tornò in Congregazione, si occupò di alcune faccende, poi tornò a casa dove cenò rapidamente e poi si mise a dormire. Per una volta fu felice di avere il sonno leggero, questo gli permise di svegliarsi al primo suono della sveglia e di spegnerla immediatamente, impedendo che anche Claudia la sentisse e si destasse. Rapido e silenzioso si vestì e scese in strada dove prestò vide arrivare Stefano sull’auto. Il seminarista aveva portato con sé anche i costumi che Alonso gli aveva affidato; il giovane e l’uomo decisero di indossarli immediatamente, così da non destare sospetti una volta arrivati sul luogo del sacrificio.

Partirono e, arrivati nei paraggi, decisero di parcheggiare vicino, ma un po’ nascosti. Si avvicinarono poi camminando con cautela. Il luogo per il sacrificio era un piccolo spiazzo in cima a una collinetta, con un grosso melograno che crescesse sul lato nord e con un corso che scorreva ad ovest rispetto ad essa.

Erano le due e mezza e già molti settari erano arrivati. Gabriel e Stefano salirono sulla collinetta, sperando che non ci fossero parole o segni di riconoscimento da dover fare per dimostrare di appartenere realmente alla setta; per fortuna non furono necessari. Arrivati, si mescolarono al gruppo, senza però perdersi d’occhio e sempre a portata di voce. Si accorsero che le ragazze erano legate attorno al melograno, non si agitavano e non parevano preoccupate, il che rendeva lecito pensare che fossero sotto l’effetto di qualche droga. I due infiltrati videro anche Giuditta tra quelle giovani, probabilmente quasi tutte minorenni; anzi, Giuditta sembrava essere l’unica donna lì in mezzo, mentre le altre erano poco più che bambine.

“Quando interveniamo?” bisbigliò Stefano.

“Dopo che il rituale avrà avuto inizio: voglio essere certo che i settari siano tutti presenti e che non sfugga nessuno.”

Passò qualche minuto ancora. Si sentì il rintocco di una campana, poi il rullio regolare di tamburi. I settari si misero in cerchio, includendo nel perimetro anche l’albero e le prigioniere. All’interno della circonferenza rimasero solamente quello che doveva essere il gran sacerdote, un paio di aiutanti e i due suonatori di tamburo.

Il gran sacerdote iniziò a parlare: “Il nostro signore, il grande e potente Malpas, oggi ci invita a dimostrargli la nostra devozione. Egli ci concede il potere di piegare gli elementi e la sorte ai nostri desideri, noi senza di lui non saremmo nulla, dobbiamo dunque essergli grati e onorarlo come ci richiede. Prima di inviare a lui queste vergini, affinché lo servano nella sua dimora, invochiamo la presenza sua e delle forze infernali in mezzo a noi.”

I settari iniziarono ad intonare un inno per evocare energie caotiche, violente, furiose, orgogliose, insomma tutto ciò che trascina negli inferi.

Gabriel avvertì qualcosa, non sapeva che cosa fosse, era come uno strano prurito interiore, sentiva qualcosa che si agitava e dibatteva in lui. Il suo lato oscuro che veniva attratto e richiamato da quegli inni; Gabriel ne era certo. Sentiva di nuovo quella sensazione di potere e di supremazia che aveva avvertito anche nella cripta. Ebbe l’impressione di non voler più fermare quegli uomini.

Che gli stava accadendo?

Era spaventato, iniziava a dubitare che quella fosse stata una buona idea.

Per la confusione interna e l’agitazione, Gabriel cominciò ad ansimare. Stefano se ne accorse, lo guardò per chiedergli se andasse tutto bene e trasalì nel vederlo con un occhio verde e uno rosso. Il seminarista non ebbe tempo di domandare alcunché o di reagire, poiché la sua attenzione fu catturata dal gran sacerdote che aveva ripreso a parlare.

L’uomo pronunciò qualche frase di rito, poi ordinò che fosse tratta la prima vergine per essere consacrata a Malpas e poi sacrificata. I due aiutanti si avvicinarono al melograno, slegarono Giuditta e la trassero al cospetto del sacerdote, a cui poi uno porse un pugnale e l’altro una ciotola con un unguento.

Il sacerdote intinse l’indice e il medio nell’unguento, per tracciare dei simboli sulla fronte della ragazza. Prima che ciò potesse avvenire, Giuditta estrasse da sotto le vesti un pugnale cruciforme e in un baleno lo conficcò sotto lo sterno del sacerdote. Lo estrasse altrettanto rapidamente e in pochi secondi sgozzò i due aiutanti.

Lo sgomento pervase tutti quanti. Dai punti opposti del cerchio, fecero un passo avanti due uomini che si tolsero la cappa da settari: indossavano una maschera bianca e neutra sul volto. Uno di essi dichiarò: “In nome della Scienza Sacra, con l’autorità conferita dal tribunale della Santa Vehme, voi tutti siete condannati a morte per i vostri crimini contro Dio e per lesa umanità.”

Detto ciò estrasse a sua volta un paio di pugnali cruciformi e uccise i due settari che aveva ai lati.

I settari, spaventati, tentarono la fuga, ma rimanevano paralizzati, o inciampavano e cadevano a terra, oppure erano trascinati all’indietro da invisibili forze. I due uomini mascherati e Giuditta iniziarono a fare strage.

Stefano e Gabriel erano inorriditi. Vedendo quell’efferato comportamento, Gabriel si vergognò profondamente di aver pensato di usare il proprio potere su quella gente e si ricordò che lui non agiva in quella maniera e perché.

“Dobbiamo fermarli.” disse Antinori, agghiacciato.

“Parliamo a Giuditta!” propose il seminarista.

Corsero verso la ragazza, lasciando cadere anche loro il travestimento per farsi riconoscere.

“Giuditta!”

La donna li notò, si meravigliò, poi parve adirata. Non diede loro il tempo di dire alcunché e ordinò: “Mettetevi dal melograno e non disturbate!”

“Giuditta, ragiona, non è giusto uccidere queste persone, per quanto siano dei criminali.” disse Gabriel.

“Voi non sapete nulla e non dovreste essere qua!”

Gabriel e Stefano vennero spinti verso il melograno, non riuscirono a resistere a quella forza e, poi, non riuscirono a muoversi di un passo.

La ragazza urlò ai mascherati: “Quei due lasciateli vivi, sono solo due stupidi che non capiscono che c’è un motivo, se viene loro detto di stare fuori da una faccenda!”

I tre, rapidi e con un movenze minimaliste (nel senso che non c’era dispersione di energie, ma ogni gesto era finalizzato all’uccisione più immediata), in pochi minuti non avevano lasciato un solo settario in vita. Raggiunsero poi il melograno. Le ragazzine erano molto spaventate (evidentemente o l’effetto delle droghe era già svanito, oppure lo spettacolo atroce le aveva fatte tornare in sé), ma uno degli uomini mascherati le rassicurò: “Siate serene, non vi sarà torto un capello. Ora vi riaccompagneremo alle vostre famiglie.”

“Prima, però, dobbiamo decidere cosa fare di questi altri.” disse il secondo, indicando Gabriel e Stefano.

“Sono membri della Congregazione della Verità.” spiegò Giuditta “Erano qua per il nostro stesso motivo: fermare la setta. Non sono dei profanatori o dei nemici.”

“Ci hanno visti e parleranno!” protestò uno dei mascherati.

“Non lo faranno.” cercò di assicurare la donna.

“Non ti hanno dato retta quando hai detto loro di non venire qui, figurati se ti ascolteranno dopo.”

“Sono Antinori e Fabbri. Vi ho parlato di loro, ricordate?”

Gabriel e il suo discepolo, che ascoltavano piuttosto perplessi, percepirono quest’ultima frase come se semplicemente i loro nomi avrebbero potuto salvarli.

I mascherati rimasero stupiti; si avvicinarono agli altri due, li osservarono, poi uno di loro disse: “In tal caso dobbiamo studiare un’alternativa.”

“Forse dovremmo portarli davanti al tribunale.” ragionò l’altro.

Giuditta si avvicinò con convinzione, si inginocchiò davanti uno dei mascherati, appoggiò l’indice e il medio della mano destra sulla lama insanguinata del pugnale cruciforme che l’uomo ancora reggeva, e dichiarò: “Giuro che farò in modo che mantengano il segreto.”

“Sta bene.” disse l’altro.

“Allora, noi pensiamo a riconsegnare le ragazze alle loro famiglie, tu pensa ad Antinori e Fabbri e poi dai fuoco a questo posto.”

La donna si rialzò in piedi, annuì col capo, poi fece cenno a Gabriel e Stefano di seguirla. Scesero dalla collina.

“Chi sono quelli? Chi sei tu?!” domandò Gabriel, appena si fermarono.

“Franchi Giudici, emissari del tribunale della Santa Vehme.”

“Impossibile!” esclamò l’ex gesuita “Sono stati sciolti nel 1811.”

“Nel 1811 si è smesso di occuparci anche di giustizia comune e ci siamo concentrati sulla nostra  più sacra missione.”

“E quale sarebbe?”

“Conservare la Scienza Sacra e punirne i profanatori.”

“Cos’accidenti è questa Scienza Sacra?” Gabriel era molto arrabbiato: non sopportava che tutta quella gente fosse stata uccisa.

“Volgarmente viene chiamata magia. Si tratta della comunione con Dio, della consapevolezza del suo Spirito, essere connessi con la sua divina energia che tutto permea e poter interagire e agire con essa. È la Verità che dà potere. È qualcosa che non può essere profanato.”

“Cosa c’entra tutto questo con l’andare in giro ad ammazzare gente?”

“Chi accede alla Scienza Sacra ha il sacrosanto dovere di servire Dio, di compiere la sua volontà, agendo per realizzare l’Ordine, l’Armonia. Molti, invece, che scoprono quest’energia, questa forza, senza maturità e consapevolezza, non riescono a sentire la voce di Dio e impiegano questo potere per i propri interessi, per compiacere l’ego; questo, entro certi limiti, è ancora tollerabile. Quando, però, si inizia a servire il Caos, allora questo è un completo profanare la Scienza Sacra e noi interveniamo per punirli e preservare l’Armonia.” Giuditta aveva spiegato tutto quanto con estrema calma, dimostrando come fosse convinta di ciò che diceva.

“Uccidendo gente? Non è così che si fa, ci sono autorità statali che se ne occupano.” ribatté Gabriel, ormai dimentico che fino a poche ore prima, voleva essere lui stesso a compiere quello sterminio.

“La giustizia comune non si rende conto della gravità dei loro crimini. Loro cadono esclusivamente sotto la giurisdizione del tribunale della Santa Vehme.”

“Sei esattamente come tuo fratello! Siete come i templari: ottusi e spaventati dal diverso!”

“Non hai capito nulla! Noi non ce l’abbiamo con la gente dotata di poteri; i nostri nemici sono i servitori del Caos! E, comunque, ti ricordo che mio fratello tra pochi giorni morirà per dare alle persone con poteri la possibilità di avere una vita normale, senza che i templari li perseguitino!”

Gabriel rimase un poco perplesso, gli tornò il dispiacere per l’imminente sacrificio dell’amico, poi si scosse e disse: “Siete degli assassini: la polizia si occuperà di voi.”

Giuditta, risoluta, lo fissò negli occhi. Gabriel dapprima non capì, poi la sua mente si assopì, il suo sguardo si fece vacuo. La donna mantenne la propria concentrazione e continuò a fissarlo per diversi minuti, poi interruppe il contatto visivo. L’ex gesuita, come in trance, si allontanò pian, piano a piedi, senza dire nulla, mentre Stefano, che non capiva quanto stesse accadendo, provava a chiamarlo: “Gabriel! Gabriel!”

“Non può sentirti.” lo avvisò la donna.

“Come? Che gli hai fatto? Dove sta andando?”

“Tranquillo, è semplicemente in uno stato di sonnambulismo indotto. Ora se ne sta tornando a casa, dove si metterà il pigiama e andrà a dormire, finché la sveglia non suonerà. Quando si desterà non ricorderà nulla di quanto accaduto qui.”

“Sei entrata nella sua mente?”

“Sì. Ho scoperto che, per fortuna, aveva mentito a Claudia circa l’orario del rituale. Ho fatto in modo che lui creda che il falso orario sia, invece, quello giusto; così quando si sveglierà e verrà qui con Claudia, troveranno solo cenere. Meno male che aveva detto questa bugia, così mi è bastato cancellare questi ricordi, altrimenti avrei dovuto infondergli falsi ricordi, che è un’operazione che richiede molta concentrazione e attenzione, ancor di più per ricoprire un arco temporale così vasto.”

“Avevi detto che non entri nella mente delle persone, se non è necessario.” contestò Stefano.

“In questo caso era assolutamente necessario. Se lui ci avesse denunciati, entro la fine della giornata io, te e lui (e probabilmente qualcun altro) saremmo morti.”

“Come?! Credevo che … insomma, quando hai detto chi eravamo, era passata ai tuoi amici la voglia di ucciderci. Inoltre, tu, sei una di loro, perché dovrebbero ammazzarti?”

“Ho giurato, mi sono fatta garante del vostro silenzio. Se voi parlaste equivarrebbe ad un mio tradimento. Tu non vuoi che questo accada, vero?”

“No.” Stefano abbassò lo sguardo.

“Manterrai il segreto, vero? Sarai l'unico a saperlo, nemmeno mio fratello ne è a conoscenza. Non è necessario ch’io entri nella tua testa, giusto?”

“Non parlerò, stai tranquilla, anche se …”

“Lo so, ti è difficile da accettare quel che hai visto: è naturale, è giusto. Ad ogni modo, per quanto riguarda voi due, i Franchi Giudici preferirebbero non farvi del male, ma vi uccideranno, se necessario.”

“Capisco … Ma tu come ci sei finita dentro?”

“Te lo racconterò tra poco. Ora torniamo un attimo su che devo occuparmi del fuoco; tu, intanto, controlla se ci sono fantasmi.”

Tornarono in cima alla collina. Stefano riuscì ad individuare parecchi fantasmi: molti degli uomini sacrificati annualmente nel corso dei secoli.

“Che cosa devo fare?” chiese il ragazzo perplesso.

“Dì loro che possono rivolgersi a te, per trovare la liberazione.”

“Ne sei sicura?” lo sconcerto del seminarista era ancor più grande.

“Certo.”

Stefano comunicò ai fantasmi questa cosa ed essi subito iniziarono ad assillarlo, allora il giovane dovette fare un po’ di ordine e spiegò che, dal giorno seguente, li avrebbe ascoltati uno per volta, in ordine cronologico.

Giuditta, ricorrendo ai propri poteri, diede fuoco ai cadaveri, poi si affrettò a discendere dalla collina con Stefano e a raggiungere l’auto del seminarista; la donna aveva recuperato i travestimenti usati e li caricò nel bagagliaio. Saliti in macchina, nonostante la situazione, il ragazzo cercò di essere spiritoso: “Dove la porto madame?”

Giuditta scosse la testa, divertita, poi rispose: “Allora tu alle cinque dovrai essere sotto casa di Antinori per reggere la sceneggiata. Abbiamo quindi un po’ più di un’ora di tempo per chiacchierare. Volevi sapere come ho incontrato i Franchi Giudici; andiamo in una pasticceria notturna, prendiamo qualcosa da mangiare e ti racconto tutto. Sai, mi hanno rapita prima di pranzo, per cui sono a digiuno da quasi ventiquattro ore e ho fame.”

Andarono allora in una di quelle pasticcerie che producono in piena notte per rifornire i bar e i caffè all’alba e che, quindi, tengono aperto dopo la mezzanotte. Giuditta ordinò una brioche e un bombolone al cioccolato e un cappuccino, mentre Stefano si limitò ad un caffè e un cannellino. La donna, allora, iniziò a raccontare: “Dopo il diploma al liceo classico, mi sono concessa un anno sabbatico per viaggiare per l’Europa, visitando per lo più luoghi che avessero legami con l’occulto e l’esoterismo, oppure seguivo leggende.”

“Ah, una sorta di Gran Tour.”

“Esatto. Già da alcuni anni conoscevo una leggenda legata ad una radura in Westfalia. Quando avevo circa sedici anni ero andata in vacanza coi miei da quelle parti e i locali mi avevano raccontato di questa radura in cui era assolutamente vietato (o per lo meno sconsigliato) recarvicisi nella notte tra il venti e il ventuno aprile, poiché era il luogo di un consesso di esseri sovrannaturali che non volevano essere disturbati, infatti chi aveva osato spiarli era stato ritrovato morto. Questa leggenda mi aveva affascinata in da subito e, quindi, decisi di includere quella radura e quella data nel mio viaggio. Avevo già una buona base di conoscenze sull’esoterismo, per i motivi di cui ti ho già raccontato, e avevo anche qualche rudimento nella Scienza Sacra. Mi sentivo, quindi, molto sicura di me e osai andare a spiare questi fantomatici esseri, per scoprire di che si trattava.”

“Hai trovato i Franchi Giudici?” domandò Stefano.

“Esattamente. Quella è la loro annuale riunione plenaria. Mi scoprirono, mi portarono nel mezzo del loro tribunale e mi dissero che nessun profano poteva conoscere i segreti della Santa Vehme, dunque dovevo morire o diventare una di loro. Il ruolo di Franco Giudice è però riservato a chi conosce degnamente la Scienza Sacra. Mi posero delle domande e io seppi rispondere in modo corretto o, almeno, soddisfacente. Si stupirono che una ragazzina avesse una tale preparazione e furono ben lieti di accogliermi tra di loro.”

“Quindi sei stata costretta ad unirti a loro.”

“No. Sono stata fortunata che le circostanze me li abbiano fatti incontrare. Sono felicissima di essere entrata nelle loro fila, da allora ho appreso moltissime cose e, soprattutto, ho consacrato la mia vita al più alto ideale: il servizio di Dio.”

“Esistono anche le suore, sai?”

“Operiamo in settori diversi.”

“Questo è evidente. Toglimi una curiosità, quei manoscritti a Gerusalemme li hai prelevati per ordine dei Franchi Giudici?”

“Esattamente. Ci occupiamo anche di ritrovare e conservare i testi sulla Scienza Sacra. Abbiamo anche la tavola di smeraldo di Ermete Trismegisto.”

Ciò che è sopra è come sotto … il suo contenuto è noto.”

“Non hai capito, noi non abbiamo semplicemente il testo, noi abbiamo la tavola di smeraldo incisa.”

“Oh!”

Rimasero in silenzio un poco, a consumare la merenda; dopo un po’ Stefano chiese: “Ma come hai fatto a tenere nascosto il pugnale, stanotte? Quando ti hanno presa non lo hanno notato?”

Giuditta rimase un poco basita per quella domanda a cui rispose: “Certo che lo hanno notato, ma ti faccio presente che ho cancellato i ricordi di oltre un’ora ad Antinori, pensi che sia un problema cancellare l’immagine di un pugnale?”

“Giusto, è che faccio fatica a ragionare in questi termini.”

Restano ancora in silenzio, finché Giuditta non gli chiese: “Tu hai ancora voglia di imparare ciò che so fare?”

“Sì, certo!” le sorrise il ragazzo.

“Allora spero che tu ti renda ben conto della serietà della situazione. Ho notato che ti stai abbastanza liberando dalle tue paure e che stai acquisendo fiducia in te, quindi tra poco potremo iniziare a lavorare in concreto. Per ora, leggi l’opera omnia di Eliphas Levi.”

“D’accordo ... Perché i Franchi Giudici non hanno mai affrontato Serventi?”

“Per quello che noi sappiamo, non ha mai agito per il Caos, rientra nella casistica di chi asseconda il proprio ego. So che nel corso dei secoli la Santa Vehme è intervenuta contro degli adepti del Candelaio, ma non ha mai potuto condannare l’intera setta.”

Restarono a parlare ancora un poco, poi Stefano riaccompagnò Giuditta a casa e lui andò sotto l’abitazione di Gabriel e Claudia. Aspettò qualche minuto, li vide scendere, li fece salire in auto e andarono verso la collina dove, però, non trovarono altro che i pompieri che spegnevano il fuoco e la polizia che intimava alla gente di non avvicinarsi.

“Che cosa è successo?” domandò Gabriel a un commissario.

“Non lo sappiamo ancora. Più di un’ora fa è stato dato l’allarme dell’incendio, ma ancora non si è riusciti a spegnerlo. È strano: rimane circoscritto in cima alla collina e non si espande, eppure sembra che l’acqua non riesca a spegnerlo. Ancora non sono note le cause di ciò che l’ha provocato, ma siamo sicuri si tratti di un incendio doloso.”

Rimasero ad aspettare un paio d’ore. Il fuoco si spense piano, piano da solo. Alcuni pompieri, scafandrati per non avvertire il calore, cominciarono a perlustrare la zona arsa e a una prima occhiata non trovarono nulla, poi notarono la presenza di qualche osso carbonizzato, ma non potevano dedurre alcunché per il momento.

“Siamo arrivati tardi?” chiese Claudia.

“Non lo so.” rispose Gabriel molto perplesso “Alonso ha controllato molti testi e non ha mai parlato di incendi.”

Stefano decise di intervenire: “Giuditta aveva detto che avrebbe informato chi di competenza per occuparsi della faccenda. Forse le sue conoscenze sono intervenute prima di noi.”

“Quali potrebbero essere questo conoscenze?” si interrogò Claudia.

“Ah, non ne ho idea.” rispose il ragazzo “Ma forse è meglio non saperlo, dato il lavoro che hanno fatto.”

“Le ragazze, si saranno salvate?” si chiese Gabriel, con apprensione.

“Sicuramente. Sentite, facciamo così, io parlerò con Giuditta, le chiederò spiegazioni e poi vi riferirò tutto. Va bene?”

L’ex gesuita assentì, poi risalirono in auto e andarono verso casa.

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Capitolo 20
*** Preoccupazioni ***


Gabriel arrivò in Congregazione di buon ora. Prese il plico di rapporti che doveva leggere e si mise a visionarli in biblioteca. Alonso, vedendolo così annoiato, quasi assopito, gli portò un caffè doppio, preso da un bar lì vicino.

“Grazie, non sai quanto ne avessi bisogno!” disse Gabriel, versando una bustina di zucchero nel bicchiere e mescolando con la palettina di plastica.

“Me sembri muy stanco, hermano, in esti giorni. Como mai?”

“Non sono stanco, Alonso, sono stufo, annoiato, seccato! Accettare la nomina a capo del Direttorio è stato un errore: non fa affatto per me. Troppa burocrazia, troppa amministrazione, troppi fogli! A me piace lavorare sul campo, stare a contatto con la gente, aiutarla direttamente. Voglio parlare con le persone, coi ragazzi, capire le loro difficoltà e aiutarli a venirne fuori e questo mi è impossibile, stando dietro a tutte le formalità.”

Recordate che tu, ora, hai la posibilità de cambiare le cose de migliorarle non solo por i pochi casi de cui te ocupi personalmente, ma migliorarle por todos, puoi dare un novo indiricio alla Congregacione, non sottovalutare esta autorità. In fondo è quelo che hai promeso al Candelaio: trasformare la Congregacione in un organo che aiuti la gente dotata de poteri e non la tema.”

“Già, ma non so se sono la persona adatta.”

“Ce la puoi fare muy bien, hermano, e poi non sei solo! Siamo in tanti pronti a darte una mano!”

“Grazie, Alonso.” Gabriel si fece animo.

I due amici tornarono ad immergersi nelle proprie occupazioni, finché a metà mattina furono distratti dall’arrivo di Stefano. Il ragazzo salutò allegramente, poi si sedette di fronte al proprio maestro e gli disse: “Gabriel, c’è una novità ed è necessario parlarne.”

“Di che si tratta?”

Stefano rimase un poco interdetto e rispose: “Effettivamente non so come cominciare.”

“Dall’inicio?” propose bonariamente Alonso.

Il ragazzo pensò un attimo e poi raccontò: “Giuditta, andando a trovare Isaia a casa di Serventi, ha conosciuto uno dei figli di Bonifacio. Ieri li ho visti all’Opera, i miei genitori avevano scambiato lui per te e lui, allora, ha detto di essere tuo fratello da parte di madre. Effettivamente ti somiglia. Tu ne sai nulla?”

Gabriel era rimasto di stucco: non aveva mai sentito una storia del genere. Scosse il capo e disse: “No, assolutamente. Né Demetrio, né Serventi in uno dei suoi sproloqui, né mia madre mi hanno mai accennato a un fratello. Sei sicuro?”

“Sicuro no. C’è però questo Gaspare che Giuditta sa essere figlio di Serventi e che ieri ha detto di essere figlio di Clara e tuo fratello. Io posso dirti solo questo, di più non so. Forse Giuditta ha scoperto qualcosa di più, arriverà qui tra poco, possiamo chiederle.”

Dopo poco, infatti, la ragazza fu lì e le chiesero se avesse ottenuto qualche informazione più precisa e lei riferì quel poco in più che aveva saputo.

“Ah, chi può sapere se sia vero?” si chiese poi Gabriel “Dice di non avermi più visto da quando ho perso la memoria, non c’è modo di confermare o smentire la faccenda, specialmente ora che mia madre è morta.”

“Se sapesimo la data de suo compleano, potremo cercare il certificato de nascita e là sapere almeno il nome de la madre, ma con solo l’anno è muy dificile, especialmente porché non siamo nepure securi de suo cognome e potrebbe pure non esere registrato a l’anagrafe.”

“Scusate, ma che importanza ha sapere se Antinori ha un fratellastro o meno?” chiese Giuditta “Gli interesserà a livello personale, ma non mi pare una questione fondamentale per …” si rese conto che quella che si stava preoccupando per Isaia e il prossimo mutare dei tempi era lei, non loro, quindi concluse: “Già, in effetti, voi ormai non vi state occupando più né del Candelaio, né di catastrofi, per cui potete permettervi di indagare sui parenti di Antinori. Comunque, stando al carattere, non mi stupisce che tu e Gaspare siate fratelli.”

La donna prese i documenti su Albrisio, che aveva lasciato in disparte, negli ultimi giorni, per affrontare la questione della setta; disse: “Io, invece, ho altro su cui concentrarmi.”

Gabriel capì bene quell’indispettimento della ragazza: la sera seguente Isaia sarebbe stato ucciso e lei non poteva che essere disperata e molto afflitta.

Fece cenno agli altri due di lasciarli soli, poi le si avvicinò e le chiese, gentilmente: “Hai scoperto qualcosa?”

Giuditta fu sorpresa da quella domanda, ma ne fu anche parecchio contenta: forse Antinori aveva mitigato la sua rabbia verso Isaia.

“Nulla di chiaro, purtroppo. Qui ribadisce semplicemente quello che mio fratello ha intenzione di fare: sacrificare sé stesso e altri per espiare i peccati della Chiesa e consentirle di rinascere. Speravo di trovare una qualche soluzione alternativa … ma qui non c’è.” sospirò molto mestamente e richiuse il fascicolo.

“Mi dispiace.” si rattristò a propria volta Gabriel “Ed è colpa mia, di quello che sono, del non sapermi controllare … Se non ci fosse questa maledetta profezia, nulla di tutto questo sarebbe accaduto. Isaia non si sarebbe spaventato e non sarebbe andato con quei folli e non sarebbe giunto a questi estremi.”

“Gabriel, non è colpa tua, ma delle circostanze e di Serventi. Dico davvero, non devi considerare il tuo potere come un qualcosa di negativo, ma è un dono.”

“Che non riesco a gestire. È colpa del Direttorio! Loro mi hanno imposto di temerlo, di tenerlo lontano da me e quello, invece, cresceva e ora non posso controllarlo. Se, invece, mi avessero concesso di esplorarlo, adesso forse riuscirei a dominarmi e Isaia non dovrebbe preoccuparsi per il mondo e per me. Certo, però, avrebbe potuto portare pazienza e avere fiducia in me!”

Ecco, quest’ultime osservazioni avevano un po’ rovinato il momento, a parere di Giuditta che, comunque, apprezzò e disse con una rassegnazione che non aveva: “Gabriel, ormai le cose andranno così. Anche se non lo uccidessero, Isaia non si tirerebbe indietro dal rimanere in balia di Serventi. Non puoi migliorarti per cambiare il passato, ma puoi migliorarti per far sì che il sacrificio di mio fratello non sia vano e che l’avvenire sia migliore.”

Rimasero a parlare di questo ancora per diversi minuti.

 

Bonifacio e Gaspare erano in una stanza della villa, stavano suonando qualche brano dalle opere che avevano ascoltato il giorno prima: il padre suonava il pianoforte, il figlio il violoncello. Avevano una sintonia perfetta. Passò da quelle parti Jacopo, entrando nella stanza attraversando la parete, li ascoltò qualche momento e poi osservò seccato: “Perché non chiamate anche il templare, così fate un bel trio, visto che siete tanto amici con lui?”

“No, ho altri due figli in questa casa con cui mettere su un’orchestrina, se volessi.” rispose pacatamente Serventi, senza smettere di suonare.

“Potreste suonargli un bel requiem, domani.” suggerì il fantasma.

“Sinceramente, continuo a sperare che Isaia passi a noi.”

“Sinceramente, continuo a sperare di essere io ad ucciderlo.” ribatté Jacopo, in un mezzo ringhio.

Bonifacio lo ignorò e si rivolse al figlio: “Gaspare, hai studiato come provocarlo?”

“Sì, padre.”

“Moto bene. Il lavoro con Giuditta, invece, come sta procedendo?”

“Fin troppo facile. Eliphas Levi ha ragione anche su questo: se vuoi far perdere la testa ad una donna e legarla a te, devi ignorarla, trattarla con sufficienza. Trattarla come una bambina la irrita, lei è ossessionata dal pensiero di farti cambiare idea e inevitabilmente si creerà una catena magnetica, un rapporto, dove tu sei il più forte e lei è subordinata. Questa regola generale sta funzionando egregiamente anche con Giuditta. Mi ha visto appena quattro volte e già sta per capitolare: essere molto pratica di Scienza Sacra non le servirà a sfuggirmi.”

“Ieri ti ho dato la possibilità di lavorare a lungo su di lei, com’è andata?”

“Perfettamente: l’ho fatta impazzire, praticamente. Freme per poter avere un cenno d’approvazione da parte mia. Non mi piace molto, però, il ragazzo che ogni tanto le gira attorno, l’abbiamo incrociato pure ieri.”

“Chi?”

“Si chiama Stefano, è un allievo di mio fratello, da quel che ho saputo.”

“Ah, sì, ho capito.” annuì il padre, interrompendo la musica “Era al nostro pranzo di pace, ma avevo notato non ci fosse amicizia tra di loro. Comunque, meno male che lo hai nominato! Avevo sentito Giuditta bisbigliare qualcosa su questo ragazzo e mi ero ripromesso di indagare, ma poi ho fatto altro. Gaspare, lasciami solo con Jacopo.”

“Certamente, padre.” rispose subito il figlio, riponendo il violoncello “Ne approfitterò per fare una visita.”

Il giovane uscì dalla stanza. Il fantasma guardò Serventi e gli chiese: “Che cosa vuoi da me?”

“Raccontami qualcosa su questo Stefano, in particolar modo di se ha avuto a che fare qualcosa con te e la tua vita da fantasma.”

Jacopo, controvoglia perché non gli piaceva ammettere che quel ragazzo era riuscito a dargli ordini, riferì ciò che sapeva e ciò che era successo.

Bonifacio ascoltò attentamente ciò che Stefano aveva fatto quella notte in Congregazione e come era riuscito a dominare il fantasma e a ridargli forma e concretezza. Fu molto colpito e, alla fine, sogghignò e disse: “Ecco che forse è saltata fuori la Guida.”

 

Nel frattempo, Claudia era a casa a godersi una giornata di relax. Stava per tirare fuori creme e argille per farsi una maschera purificante per il viso, quando sentì suonare il campanello. Si stupì, poiché non aspettava visite, né corrieri e, se fosse stato Gabriel, avrebbe usato le proprie chiavi per entrare. La donna andò al citofono e chiese chi fosse.

“Un amico. Questa è la casa di Gabriel Antinori?”

“Sì, le apro.” rispose Claudia, supponendo si trattasse di un vecchio amico o studente di Gabriel.

Aperto l’uscio si trovò davanti un uomo di pressappoco la sua età, coi capelli ricci e ramati, teneva sotto braccio un album fotografico e una scatola. La psicologa notò subito la somiglianza che c’era tra quell’uomo e Gabriel.

“Buongiorno, signora, mi presento: sono Gaspare.” tese la mano.

La donna la strinse e si presentò: “Claudia Munari. Lei è un compagno di studi di Gabriel?”

“Compagno di giochi. Lui non è in casa?”

“Al momento no, è al lavoro. Se ripassa verso le …”

“Oh, rimarrò qui ad aspettarlo.” disse l’uomo, varcando la soglia; prese la scatola che aveva con sé e la porse alla donna, dicendole: “Cioccolatini, per voi.”

“Grazie.” rimase perplessa Claudia “Perché?”

“È buona norma portare un dono, quando si va a trovare qualcuno.” replicò Gaspare, attraversando il corridoio; arrivò in salotto e si mise a sedere sul divano, poi disse: “Per i padroni di casa, invece, è buona norma chiedere se si può offrire qualcosa.”

“Senti, non puoi piombare in casa mia, senza nemmeno ch’io sappia chi tu sia, piazzarti sul mio divano e iniziare ad accampare pretese!” si stizzì Claudia, che lo aveva seguito, sorpresa.

Gaspare la fissò qualche istante e disse con nonchalance: “Un caffè andrà benissimo. Ah, mi porti anche qualcosa con cui possa correggerlo.”

“Sì, subito.” rispose l’altra.

Claudia andò in cucina, prese la moka e cominciò a preparare il caffè, dopo qualche momento si portò una mano alla fronte, si strofinò gli occhi e si chiese perché mai avesse acconsentito immediatamente e non si fosse impuntata di più sul pretendere risposte. Ormai, però, le cose erano andate così. Quando la moka gorgogliò, la donna verso il caffè in una tazzina che pose su un vassoio, assieme alla zuccheriera e a una bottiglia di grappa. Portò tutto in salotto.

Gaspare esaminò immediatamente il liquore e non parve molto contento, infatti, prima di versarne un goccio nella tazzina, sospirò: “A caval donato …”

Claudia decise di tentare di nuovo di scoprire chi fosse quell’ospite, per cui chiese: “Come conosci Gabriel?”

“Abbiamo vissuto l’infanzia assieme; ma ormai non lo vedo più da venticinque anni.”

“Ah. … Tu sai, vero, che Gabriel non ricorda nulla dei suoi primi dieci anni di vita?”

“Sì, ne sono al corrente. Infatti ho portato qualcosa che lo aiuti.” con la mano accennò all’album di foto che aveva recato con sé e che aveva appoggiato sul tavolinetto basso davanti al divano.

“Posso guardare?”

“No. Dopo, quando ci sarà anche Gabriel, le vedremo assieme. Ora fa pure come se non ci fossi.”

Claudia si alzò e riprese le proprie faccende; pensandoci bene, non riusciva a capire come mai si sentisse così tranquilla con un estraneo per casa, in realtà avrebbe dovuto essere sospettosa, preoccupata e, invece ... mah

Attorno a mezzogiorno, Gabriel rincasò, portando una busta della spesa; salutò: “Ciao Claudia!”

La donna gli andò incontro nel corridoio, lo abbracciò e lo baciò; poi lo informò della presenza dell’ospite: “C’è un uomo in salotto. Dice di essere un tuo amico d’infanzia … so che chiunque potrebbe dirlo senza possibilità di essere smentito, però … Ha delle foto, ma non le ho ancora viste.”

Gabriel si stupì e non poté fare a meno di pensare a quello ch gli avevano detto Stefano e Giuditta sul suo supposto fratello; infatti subito domandò: “Ti ha detto come si chiama?”

“Sì: Gaspare.”

“È lui …”

“Lo conosci, allora?”

“No, ma mi hanno appena parlato di lui. Andiamo a conoscerlo.”

Tenendo la donna per mano, Gabriel andò in salotto. Gaspare era seduto sul divano, in maniera piuttosto rilassata, aveva gli occhi socchiusi, era assorto chissà dove. Appena la coppia varcò la soglia alle sue spalle, sollevò le palpebre e salutò: “Ben ritrovato, fratellino.”

Claudia sgranò gli occhi e sbalordì e con fare un po’ aggressivo chiese: “Come?”

Gabriel la guardò per dirle di rimanere calma, poi si mise in piedi davanti all’ospite e gli domandò: “Perché dici di essere mio fratello?”

“Perché lo sono. So che non ti ricordi di me e me ne dispiaccio: ci siamo divertiti tantissimo da bambini. Quante gite, quanti giochi! Eravamo inseparabili. Guarda, ho portato delle foto.” prese l’album e lo allungò a Gabriel.

Antinori iniziò a sfogliare le pagine. Si riconobbe: aveva già visto sé stesso nelle foto da bambino e, quindi, non aveva alcun dubbio di essere lui. In quasi tutti gli scatti c’era anche un altro bambino (sempre lo stesso); li si poteva vedere al fiume, al mare, in escursione in un bosco, correre nei campi, saltare dalle rotoballe, addirittura in visita a musei e vecchi castelli.

Gabriel iniziò ad avvertire una sensazione di famigliarità, ricordava quelle emozioni, non i momenti, ma le sensazioni di allegria e il senso di amicizia riaffioravano.

L’uomo notò anche che gli adulti presenti in alcune foto erano Serventi e Clara, nemmeno in uno scatto si videro Demetrio o Sebastiano Antinori.

“Erano le nostre giornate, Gabriel.”

“Non le ricordo.” rispose Gabriel, richiudendo l’album, si sentiva a disagio, pur trovando piacevole quel rievocare sensazioni perdute.

“Scusate un attimo.” intervenne Claudia “Clara non mi ha mai parlato di un fratello di Gabriel.”

“Quante volte le hai parlato e in che condizioni?” ribatté Gaspare.

Claudia ammise: “Effettivamente, solo un paio di volte. La prima era concentrata a farmi capire l’importanza della loro causa, mentre la seconda era preoccupata per l’incolumità di Gabriel.”

“Come mai ti fai vivo solamente adesso?” chiese, sospettoso, l’ex gesuita.

“Mio padre non ha voluto che ti venissi a trovare prima e io sono un figlio obbediente.”

“Perché, chi è tuo padre?” chiese Claudia, che ancora non sapeva.

“Bonifacio Serventi.”

“Cosa?!” meravigliò la psicologa.

“Lo sapete che Clara e Bonifacio si amavano.” spiegò Gaspare “Perché stupirvi che abbiano avuto un figlio: me.”

Gabriel, con un certo risentimento, osservò: “Non sembri molto contrariato per il fatto che tuo padre abbia ucciso nostra madre. Se è vero quel che dici, tu hai trascorso molti più anni di me con lei, te la ricordi, dovresti aver avuto un legame profondo.”

“Nostra madre ha avuto ripensamenti sulla causa. Ha fatto, appunto, la madre: troppo preoccupata e protettiva verso il figlio, tanto che rischia di tagliargli le ali ed impedirgli di essere realmente felice.”

“Clara è stata l’unica a pensare alla felicità di Gabriel, almeno nei suoi ultimi giorni.” lo contraddisse Claudia “Lei aveva capito l’amore tra me e lui e lo ha approvato e promosso.”

“Nessuno vuole impedirvi di stare assieme.” replicò Gaspare “Solamente Gabriel non deve dimenticare la sua missione, tutto qua.”

“Io non ho nessuna missione!” si adirò, per un momento, l’Eletto.

“Eppure hai deciso di abbracciarla, quando hai accettato di essere, in un certo senso, ambasciatore e tribuno delle persone dotate di poteri, presso la Chiesa.”

Gabriel rimase un attimo a pensare, un po’ sorpreso, poi annuì: “Sì, se intendi dire che la mia missione sia questa, allora si può dire che l’abbia accettata, ma in realtà è stata una mia libera scelta, basata su dati concreti, ragionata e, appunto, decisa da me: nessuno me l’ha affidata.”

“Nessuno ti ha mai parlato della traiettoria ottimale?” domandò Gaspare, per poi cambiare argomento: “Ad ogni modo questo non ha importanza, non per me, almeno. Io sono qui unicamente perché voglio riallacciare i miei rapporti con te, fratellino. Siamo stati distanti fin troppo, è ora che torniamo a frequentarci, se ti farà piacere.”

“Tutto qui?” Gabriel era sospettoso.

“Tutto qui. Ti lascio l’album di foto, così potrai avere qualcosa di mio; e ti lascio anche il mio numero di telefono, così potrai chiamarmi, se ti andrà di fare due chiacchiere o altro. Per quel che mi riguarda, sono felice di averti rivisto, ma ora andrei.”

Gabriel era rimasto sorpreso dalla tranquillità e non insistenza dell’uomo e lo ritenne sincero.

“Grazie della visita e mi farò senza dubbio sentire.” gli disse; stava per congedarlo, quando ripensò ad Isaia e decise di fare un tentativo: “Gaspare, scusami, ma, che tu sappia, c’è qualche possibilità che tuo padre, domani, non uccida Isaia?”

“Cosa?!” si meravigliò Claudia “Ti preoccupi ancora per lui?! Su questo proprio non ti capisco: dopo tutto quello che ti ha fatto! Dovresti ucciderlo tu, se non ci riuscisse Serventi.”

“Claudia, è il mio migliore amico!”

“Alonso è tuo amico. Stefano è tuo amico. Pietro era tuo amico. Isaia NO! Uno che corrompe un tuo studente per spiarti non è tuo amico, uno che tenta di ucciderti non è tuo amico! Lo stai idealizzando e non so nemmeno perché!”

“Claudia, perché parli così?” si dispiacque Gabriel.

La psicologa aveva gli occhi lucidi, si avvicinò all’amato e gli disse: “Perché lui ti ha sempre fatto del male e tu sei troppo buono. Lo perdoni sempre, ma, hai visto, lui fa sempre di peggio. Io ho paura per te, Gabriel; ho paura di perderti … Io non posso stare senza di te, specialmente ora!”

L’uomo, commosso, l’abbracciò e le fece coraggio: “Claudia, credimi, tu sei per me la cosa più importante al mondo, tu e il bambino. Non vi metterei mai in pericolo, né rischierei di lasciarvi soli. Io farò tutto per voi.”

“Allora non pensare ad Isaia, ti prego!” lo scongiurò la donna.

“Già, non ci pensare.” si aggiunse Gaspare “Non c’è nulla che lo possa salvare: domani morirà e non ci penserà più nessuno, anzi, probabilmente saremo tutti più contenti. Ti do l’indirizzo, nel caso tu decida di unirti all’azione.”

 

Nel frattempo, nella paninoteca vicino alla Congregazione, quel giorno pranzavano assieme Giuditta e Stefano; avevano invitato anche Alonso che, però, aveva rifiutato, dicendo che doveva passare a trovare un amico malato.

Stefano si era accorto della tristezza della ragazza e la capiva perfettamente. Lui ci stava troppo male! Non sopportava di vederla così afflitta ma, ancora una volta, non se la sentiva di assolvere Isaia. Mentre pensava questa frase, però, si rese d’improvviso conto quanto poco cristiana essa fosse. Lui, che voleva diventare sacerdote, non solo non riusciva a trovare il perdono nel proprio cuore ma, addirittura, aveva la pretesa di condannare! No, no! Doveva assolutamente invertire la rotta! Gesù diceva chiaramente Non giudicate e Stefano, da buon cristiano, doveva ricordarsi che l’unico giudice è Dio. Per quanto crudele ci possa sembrare una persona, noi non abbiamo il diritto di abbandonarla o condannarla, anzi!, abbiamo il sacrosanto dovere di salvarla! Ama il tuo nemico, questo anche aveva detto Cristo. Tanto più che lasciare morire un uomo nel peccato, equivale a consegnarlo all’Inferno. Bisogna sempre cercare la redenzione per le persone, tutte quante, indipendentemente da quel che hanno fatto. Il peccato è da condannare, non il peccatore. Salvare le anime, non punirle!

Stefano finalmente lo capiva! Era stata come una rivelazione interiore. Tutto il suo risentimento era svanito, ora aveva la determinazione a salvare le anime. A guarire gli spiriti afflitti dal peccato, poiché, come si dice nei vangeli, Gesù è come il medico che viene per i malati e non per i sani e medici devono essere anche i suoi sacerdoti.

Con questa nuova consapevolezza, si rivolse alla ragazza: “Giuditta, io voglio salvare tuo fratello.”

“Tu cosa? Lo detesti …” la donna era piuttosto confusa.

“Sì, ma questo non mi deve impedire di volerlo salvare. Ho scelto di essere un uomo di Dio e, dunque, non posso permettere che le mie antipatie personali mi siano d’ostacolo, le devo abbandonare. Non posso punire i peccatori, devo avere compassione per loro e volerli curare. Voglio salvare Isaia, sia da Serventi, sia dal peccato.”

Giuditta guardò il ragazzo con estrema ammirazione. C’era gratitudine nei suoi occhi, ma anche rispetto e soddisfazione. Sì, la soddisfazione per il fatto che in Stefano si fosse manifestato così forte il carattere dell’Arcangelo Raffaele: Guida e medico per le anime e i corpi.

La ragazza gli prese una mano e gli disse: “Ti ringrazio, è uno splendido pensiero e non sai quanto mi conforti, tuttavia, non c’è modo di salvare mio fratello.”

“Ne sei certa?” Stefano cercava di capire, voleva trovare una soluzione “Potresti chiedere ai Franchi Giudici di aiutarti, non credi?”

“No, loro sanno già quello che sta accadendo e sono d’accordo. Isaia si era consultato anche con loro, prima di prendere la decisione del sacrificio.”

“Scatenare una grandine, afferrare Isaia e scappare?!” il ragazzo cercò di sdrammatizzare e di dare un po’ di speranza.

“No. Io, in quanto Franco Giudice, non posso agire, neppure a titolo personale.” era molto mesta, bevve un sorso d’acqua e poi proseguì: “Comunque, anche se fosse possibile salvarlo, lui non accetterebbe mai.”

“Perché?”

“È una delle condizioni del patto che ha stretto con Serventi. Se lui si tirasse indietro o fosse salvato, Serventi si sentirebbe autorizzato a riprendere di tentare di scatenare il lato oscuro di Gabriel. Solo la morte lo libererà da questo accordo.”

“Mi dispiace …” riuscì solo a dire Stefano che, tuttavia, continuava a pensare.

Giuditta si alzò in piedi: “Scusami ma ho bisogno di stare sola.”

“Ne sei sicura? Non è che la solitudine, unita alla malinconia, ti fa deprimere ancor di più?”

“No, tranquillo.”

La donna uscì e se ne andò chissà dove. Stefano rimase solo, mesto a pensare e, d’improvviso, gli balenò un’idea! Uscì in fretta e furia, prese l’auto e andò da Gabriel. Suonò il campanello e pochi minuti dopo il suo maestro era sceso per ascoltarlo.

“Stefano, che succede? Un’emergenza in Congregazione?”

“No. Ho un’idea, ma prima devo sapere una cosa: tu vuoi salvare Isaia?”

“Sì, certo!” si stupì Gabriel e fu acceso dalla gioia della speranza.

“Allora ascoltami e dimmi se si può fare.”

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Capitolo 21
*** Troppe rivelazioni per un solo capitolo ***


Isaia stava passeggiando per il parco della villa di Bonifacio. Ormai mancavano tre giorni a quello fatale e lui si concentrava sulla preghiera per essere certo di espiare tutti i peccati. Nemmeno con l’avvicinarsi della morte lui pareva pentirsi della sua decisione. Questo suo atteggiamento pacato infastidiva soprattutto Jacopo. Il fantasma, vedendo il templare solo nel cortile e sapendo che Bonifacio era occupato in villa, si avvicinò a lui e gli disse: “Sai che sei davvero irritante?”

Isaia non gli fece caso e continuò a pregare.

“Davvero! Sei praticamente un cadavere che cammina e, invece di preoccuparti o darti da fare per goderti questi ultimi giorni, te ne stai lì a pregare qualcuno a cui non gliene importa nulla né di te, né di questo mondo! Non lo sopporto.”

Ancora Isaia non disse nulla.

“Ti sembra di fare il duro, eh? Stando lì, fermo. Sono sicuro che ti stai solo fingendo tranquillo e che, in realtà, dentro di te, tremi come una foglia. Non è così? Ammettilo, insomma! Non c’è neanche Bonifacio nei paraggi da impressionare!”

Il templare rimase imperturbato, contrastando vivamente la furia di Jacopo.

“Molto bene, se non lo vuoi ammettere, ti costringerò a farlo. Io non sono come Bonifacio o i suoi figli che possono fare mille giochetti con le menti altrui; io ne posso fare uno solo, ma mi basta e mi diverte appieno lo stesso: far sembrare reali le paure più profonde della gente. Vediamo un po’ se davvero non temi la morte e, se davvero fossi così coraggioso, vediamo che cos’è che ti ha spaventato maggiormente.”

Jacopo scatenò il suo potere. Isaia, questa volta, non poté ignorarlo: non era ancora abbastanza pratico per resistere ad un’invasione mentale così potente. Vide le proprie mani trasformarsi, le dita si allungarono e le unghie divennero artigli, poi la pelle divenne grigia e squamosa e questa mutazione inizio ad estendersi su tutte le braccia e il resto del corpo; vide le gambe trasformarsi in zampe da caprone; sentì il viso allungarsi, i denti diventare zanne; si portò le mani alla testa e vi trovò un paio di corna.

Jacopo, che vedeva le allucinazioni che provocava, ridacchiò e commentò: “Curioso: la tua paura maggiore è quella di diventare un demone. È decisamente qualcosa di particolare, ora capisco perché Gabriel ti spaventa e preoccupa tanto. Sono però curioso di capire da che cosa nasce questo timore. Scaviamo un po’ nella tua memoria e vediamo che cosa c’è. Fidati, la mia terapia è migliore di quella della Munari.”

Il mostruoso aspetto si dissolse e Isaia si sentì confortato per qualche istante, ma poi accadde di peggio: lo scenario attorno a lui mutò completamente, non si trovava più nel cortile della villa di Serventi, bensì era nel piccolo borghetto abbandonato a un paio di chilometri del paesello di campagna dove viveva suo nonno Aronne e dove lui e i fratelli trascorrevano le vacanze estive e si divertivano a giocare ore e ore con gli altri bambini e ragazzi che villeggiavano lì. Isaia si accorse di essere più giovane e capì di avere circa quindici anni, quando vide accanto a sé la sorellina che ne aveva su per giù cinque. Erano soli, capitava che ogni tanto passeggiassero o giocassero senza gli altri. Si trovavano sul sagrato di una vecchia chiesetta sconsacrata e abbandonata come il castellaccio a cui apparteneva. Sentirono delle voci venire da dentro la chiesetta. Pensarono si trattasse di altri ragazzi che giocavano, si avvicinarono per vedere, scostarono leggermente la porta e rimasero impietriti, vedendo un gruppo di uomini incappucciati. Attorno erano accese candele nere, le formelle in terracotta con le stazioni della Via Crucis erano state frantumate, in un falò bruciavano quadri di santi e un crocefisso di legno. Quando gli incappucciati cambiarono disposizione, Isaia e la sorella si accorsero che un ragazzo era stato legato sull’altare rovesciato. Un attimo dopo uno degli incappucciati aveva squarciato il petto del giovane (uno del paese che anche Isaia conosceva) e aveva infilato la mano nel taglio. Prima che potesse realizzare che cosa stesse accadendo, Isaia si accorse di un urlo spaventato: il proprio, accompagnato dal pianto della sorellina. Gli uomini incappucciati si voltarono e lo videro. Isaia esortò la sorella a scappare, si volsero e iniziarono a correre, ma dietro di sé sentivano i passi e le voci di quegli uomini. La sorella era piccola, lenta, inciampò e gridò aiuto. Isaia si fermò, tornò indietro, la prese in braccio e si mise a correre e a correre, ma gli incappucciati erano molto vicini. Si infilò nella boscaglia, i rami gli sferzavano il corpo e il viso. Sentì un frullio di ali. La sorella gridò spaventata. Lui girò il capo per vedere: mostri alati (demoni) li inseguivano assieme agli incappucciati …

Isaia non sopportava quel ricordo, non voleva rivivere quegli istanti. Doveva trovare un modo per infrangere l’illusione. Il suo maestro, Samuele, gli aveva insegnato fin da subito che, quando si suppone di essere allucinati, l’unico modo per accertarlo e liberarsi è infliggersi del dolore, decise quindi di mordersi la lingua così forte da farla sanguinare.  Ci riuscì. L’illusione si sciolse e lui si ritrovò adulto nel giardino.

Jacopo sbuffò: “Sei insopportabile! Proprio sul più bello interrompi tutto? Dai voglio sapere com’è andata a finire?! Come accidenti hai fatto a salvarti?”

“Non lo so.” fu la lapidaria risposta.

“Come non lo sai? Dai, dimmelo! Dimmelo o ti allucino di nuovo!”

Isaia si avviò verso la villa. Jacopo lo seguì, continuando ad insistere per avere una risposta. Arrivati nella zona del giardino dove c’erano le poltroncine e i tavolini in vimini, incontrarono Bonifacio e Gaspare.

“Che cosa succede?” chiese Serventi, vedendo quella scena.

Jacopo si affrettò a raccontare tutto; mentre Isaia lo guardava torvamente.

“Beh, lascialo in pace e non irritarlo: è un ospite, ti ricordo.” sentenziò Bonifacio, finito di ascoltare il racconto.

Jacopo sbuffò e se ne andò borbottando.

Isaia sedette su una sedia e ringraziò il padrone di casa.

“Certo, però, capisco la curiosità di Jacopo.” disse Bonifacio “La tua è stata un’esperienza singolare e anche a me piacerebbe sapere come te la sia cavata, se non ti è di disturbo.”

Il templare scosse il capo e ribadì: “Il fatto è che davvero non ho idea di come io me la sia cavata.”

“Raccontaci quel che ricordi, se ti va.”

Serventi era determinato a scoprire che cosa fosse successo, Isaia lo capì bene. Il templare sapeva che, se non avesse parlato, l’uomo avrebbe frugato nella sua mente, per cui preferì essere lui a raccontare a voce: “Continuai a correre finché non ci raggiunsero e ci circondarono. Ormai ci erano addosso e io non sapevo che cosa fare. Avevo già avuto la chiamata per diventare prete e, anche se non avevo ancora iniziato il seminario, avevo già intrapreso alcuni studi per conto mio, coadiuvato col sacerdote della mia parrocchia. In quel momento l’unica cosa che mi venne in mente di fare fu di pregare e pronunciai la preghiera di invocazione dell’Arcangelo Michele. Poi non ricordo più nulla. Non ho la più pallida idea di che cosa avvenne dopo. Credo di essere svenuto, poiché il ricordo che ho immediatamente dopo è io che mi sveglio da solo nel bosco, senza nessuno attorno. Corsi in paese per dare l’allarme, ma trovai mia sorella con mio nonno, lei non ricordava nulla dell’accaduto. In quel giorno, però, decisi che mi sarei dedicato alla lotta al demonio.”

Bonifacio scambiò un’occhiata con il figlio, poi disse: “A proposito di tua sorella, arriverà a momenti. Vuole venirti a dare l’ultimo saluto. Sai, non capisco perché non le hai chiesto di indagare su chi abbia ucciso realmente il vostro bisnonno.”

“Doveva preoccuparsi della setta di Malpas. Se tu ci tieni tanto affinché io sappia la verità, puoi rivelarmela.”

“Oh, non mi crederesti.”

Parlarono un poco e Serventi fece portare una caraffa con un infuso d’erbe con ghiaccio. Di lì a poco arrivò Giuditta, accompagnata dal maggiordomo. Isaia le andò incontro e l’abbracciò calorosamente. Pure Bonifacio si alzò in piedi e rimproverò il figlio per non averlo imitato: “Gaspare, hai forse dimenticato le buone maniere che ti ho insegnato? Ci si alza in piedi, quando arriva una signora o una signorina.”

“Lo so bene, padre, ma io qui non vedo signorine, tutt’al più c’è una ragazzetta.”

Giuditta si indispettì parecchio: abituata ad avere il rispetto di uomini di ogni età, non riusciva a sopportare che quel giovanotto la snobbasse così apertamente. Gli disse, un po’ ironica: “Le comunico che ho venticinque anni, il che mi rende pienamente maggiorenne, posso anche votare per il senato! Lei non mi pare molto più grande di me o, come suo padre, porta estremamente bene i suoi anni?”

“No, la nostra distanza anagrafica non è molta, ho trentasette anni. Ciò non toglie, però, che ti sia di gran lunga superiore nella Scienza Sacra.”

Bonifacio invitò la donna ad accomodarsi. Giuditta si avvicinò ad una poltroncina, fece per sedersi, ma si ritrovò a terra: la poltroncina era stata spostata all’indietro telecineticamente. Gaspare ridacchiò.

La ragazza si rimise in piedi e, mettendosi a sedere, chiese acidamente: “E così che impieghi la tua superiorità?”

“Gaspare, non essere infantile.” lo rimproverò il padre.

“Oh, quante storie! Mi stavo semplicemente adattando al fatto di aver di fronte una bambina.”

Isaia si preoccupò di informarsi circa come fosse andata la faccenda con la setta di Malpas; Giuditta assicurò che era tutto risolto, definitivamente, ma non entrò nel dettaglio. Il templare fu attraversato da un’idea, guardò il padrone di casa e gli chiese: “Bonifacio, posso domandarti un favore?”

“Domandare è lecito, rispondere è cortesia. Dì pure.”

“Fai in ancora in tempo a comprare un altro biglietto per l’Opera?”

“Certamente.” sorrise Serventi, come meravigliato che un uomo in procinto di morire gli chiedesse così poco.

Isaia si rivolse alla sorella: “Domani, in teatro, a cominciare dal mattino, poi fino a notte, interpreteranno l’intera tetralogia di Wagner: L’anello del Nibelungo. Io e Bonifacio andremo a sentirla, vuoi venire con noi?”

Giuditta sorrise: sì, era un bel modo per trascorrere l’ultimo giorno col fratello, per cui accettò volentieri.

Bonifacio annuì, poi si rivolse al figlio e chiese: “Vuoi venire anche tu?”

“Oh, è senza dubbio un’esperienza molto interessante. D’accordo, ci sarò. Padre, però, prendimi un posto distante dai vostri, per favore.”

“Siederai con noi e non ti lamenterai.” replicò Bonifacio “Vado a telefonare al teatro. Gaspare, rimani a fare compagnia agli ospiti.”

“Padre, ci sono due miei fratelli in giro per casa, non puoi affidare a loro quest’incombenza?”

“Tu sei già qui.”

“Ancora una volta al momento sbagliato, nel posto sbagliato. Non lo dico certo per te, Isaia.”

Bonifacio si allontanò. Tra i tre rimasti cadde il silenzio per qualche momento, quando poi Gaspare si rivolse alla ragazza: “Sai, tuo fratello ci ha appena raccontato una storia carina, carina, di cui però non sa il finale. C’eri anche tu nella storiella, vuoi dirci tu com’è andata a finire?”

“Ti ho detto che non ricorda nulla.” ammonì Isaia.

“Di cosa parla?” chiese Giuditta.

“Lascia stare.” le rispose il fratello.

“Parlo di te e tuo fratello che assistete ad un rito satanico e poi ve la date a gambe nei boschi, inseguiti da settari e demoni. Ti dice nulla? Ha detto che è stato una ventina d’anni fa.”

Giuditta si accigliò, pensò un poco e poi disse: “Non lo so, effettivamente non mi ricordo; tuttavia, negli ultimi anni, quando sogno, ogni tanto vedo delle immagini di una fuga nel bosco e di gente strana e mostri che ci inseguono.” tentava di ricordare quei sogni confusi “Effettivamente c’era mio fratello e io sono piccola … Isaia, cos’è successo?”

“Quello che ha detto. Io devo essere svenuto, quando mi sono risvegliato ti ho ritrovata dal nonno e non ricordavi nulla.”

“Bene, Giudittina” disse Gaspare “Vediamo se arrivi alla conclusione più ovvia circa il perché non ricordassi nulla.”

La donna non sopportava quel tono, tuttavia provò a ragionare su quel che le era stato detto e poi, azzardò: “Potrei aver raccontato tutto al nonno e lui mi ha cancellato il ricordo?”

“Complimenti.” disse accondiscendente Gaspare, con lo stesso tono in cui ci si congratula con un infante perché ha saputo contare fino a dieci o ha detto giusti i colori.

“Non so, però, se mio nonno sia in grado di fare qualcosa del genere.” continuò a pensare la ragazza.

“L’altra ipotesi è che tuo fratello sia pazzo e abbia immaginato tutto. Quale preferisci?”

“Parlerò con mio nonno e chiarirò ogni cosa.” ribatté Giuditta, senza battere ciglio.

“Perché aspettare? Dammi il permesso di entrare nella tua testa, così non disobbedisco a mio padre, e farò in modo di recuperare il tuo ricordo.”

“No.”

Gaspare sbuffò e commentò: “Che noia!” poi prese un libro appoggiato sul tavolinetto e si mise a leggerlo ignorando gli altri.

I due fratelli furono ben lieti di quell’autoesclusione e si misero a parlare tranquillamente tra di loro, pur mantenendo un tono di voce piuttosto basso. Da lì a poco tornò Serventi che annunciò: “Ho risolto tutto: avremo un palchetto tutto per noi. Gaspare, sii galantuomo …”

“Lo sono sempre, padre.” lo interrupe il giovane.

“Bene, allora non avrai obiezioni nel fare da cavaliere a Giuditta.”

“Il cavaliere? Dì piuttosto la bambinaia. Comunque: obbedisco.” si alzò in piedi “Scusatemi; se permettete, mi ritiro a leggere in tranquillità.”

“Vai pure.” gli disse Bonifacio “Se vedi i tuoi fratelli, dì loro di venire a presentarsi.”

“Certamente.”

Così, quel pomeriggio, Giuditta fece la conoscenza di altri due figli di Serventi: Annibale, che dimostrava qualche anno in più del proprio padre, e Temistocle, che aveva i capelli rasati, ma le basette anni Settanta. Entrambi avevano in realtà vissuto più di un secolo e avevano appreso, come loro padre, il segreto per rimanere vivi e con l’aspetto che preferivano.

La ragazza andò via prima dell’ora di cena, benché fosse stata invitata a trattenersi anche per la notte, in modo tale da andare tutti insieme all’Opera il mattino dopo. Giuditta però rifiutò e rimasero d’accordo che sarebbero andati a prenderla. La donna, infatti, era stata presa dalla gran curiosità di scoprire quale ricordo il nonno le avesse rimosso (se così era stato) e, dunque, voleva parlargli per farsi dire la verità.

Il vecchio Aronne si stupì nel vedere arrivare la nipote, non perché fosse raro che lei lo andasse a trovare, bensì perché solitamente avvisava sempre prima.

“Giuditta! Vieni, entra, che cosa succede? Qualcosa non va?”

La giovane lo guardò con aria mesta, entrò nell’appartamento, si mise a sedere sul divano e disse: “Nonno, dobbiamo parlare molto seriamente e ti prego di essere onesto e sincero.”

“Lo sono sempre stato.” disse l’uomo, sedendosi accanto a lei “Quando mai ti ho nascosto qualcosa? Dimmi tutto, che cosa ti affligge? È per la scomparsa di tuo fratello?”

“Nonno, la maniera in cui hai cresciuto Isaia e me aveva uno scopo ben preciso, vero? Tu hai voluto fornirci le basi e gli strumenti per conoscere la Scienza Sacra, non è così?”

“Sì, piccola mia.” Aronne era come commosso per il fatto che qualcuno dei suoi discendenti finalmente gli parlasse di ciò; le disse: “Mi sono accorto che tu ti ci sei addentrata, anche se non so quanto e come, mentre Isaia … mah, in fondo anche combattere i demoni implica l’uso di essa. Perché me lo chiedi ora?”

“Fino a oggi pomeriggio non mi aveva mai sfiorato il dubbio che anche tu potessi essere un praticante della Scienza Sacra. Lo sei? Conosci e basta, oppure sai anche fare cose?”

“Dipende cosa intendi. Io sono un discreto mentalista: posso leggere il pensiero, rovistare un po’ nella memoria, suscitare emozioni, niente di più.”

“Puoi anche cancellare dei ricordi?”

Aronne si fece cupo, poi ammise: “Tal volta l’ho fatto, sì.”

“L’hai mai fatto con me?”

“Una volta, quand’eri molto piccola. Avevo delle buone ragioni per farlo, credimi.”

“Si trattava di qualcosa con Isaia?”

“Sì.”

“Che cos’era? Per favore, dimmelo.”

“Posso fare di più: posso farti ricordare. Vedi, in realtà non ti ho cancellato il ricordo, l’ho semplicemente sigillato, in modo che tu non potessi accedervi. Era qualcosa che nemmeno io riuscii a capire immediatamente, anzi, impiegai anni per venirne a capo. Lì per lì pensai che la cosa migliore fosse che tu non ricordassi. Ora, però, sei grande ed è giusto che tu ti ricordi. Dimmi, però, come mai ti è venuto in mente?”

“Ho parlato con Isaia …”

“Sai dov’è?!” la interruppe il nonno, meravigliato.

“Sì, ma è complesso.”

“Dimmi!”

“È all’incirca tenuto prigioniero da un uomo chiamato Bonifacio Serventi.”

Aronne ci pensò un attimo su, poi esclamò: “Il figlio di Giordano Bruno!”

“Come?” sbalordì Giuditta che, pur conoscendo la veneranda età del Candelaio, non avrebbe mai immaginato una simile ascendenza.

“Cioè, non so se sia vero. Tuttavia mio padre, in uno dei suoi diari, parlava di un uomo chiamato così, lo indicava come figlio di Bruno e lo indicava come capo dei suoi nemici. In realtà non credevo esistesse davvero. Ho sempre pensato che quelli di mio padre non fossero veri e propri diari, ma piuttosto un misto tra i resoconti della sua vita reale e quelli di una sua vita immaginaria, infatti parlava anche di templari. Sai che lui è morto quando io ero bambino, per cui mi piaceva sempre tantissimo leggere questi suoi voli pindarici, perché mi facevano sentire vicino a lui.”

“Nonno, potresti prestarmi quei diari, per favore? Potrebbe essere molto importante, per me, leggerli.”

Giuditta si era d’improvviso ricordata che Serventi aveva detto di non essere stato lui ad uccidere Nathaniel. Forse, allora, leggendo quei quaderni, lei avrebbe potuto trovare qualche indizio sul vero assassino e comunque ottenere informazioni utili sul Candelaio e non solo; pure la faccenda di Giordano Bruno la intrigava parecchio.

“Adesso non posso, mi dispiace, non ricordo dove li ho messi. Comunque domani te li cercherò e te li farò avere.”

“Oh, grazie infinite!”

“Comunque, perché è tenuto prigioniero?”

“Te lo dirò. Adesso, però, puoi farmi riaffiorare il ricordo?”

“Oh, sì, certo, me ne stavo dimenticando! Accidenti alla vecchiaia!”

Nonno e nipote si fissarono negli occhi. La ragazza sentì la forza della mente di Aronne, cercare di entrare nella sua testa e lei la lasciò passare. Pian, piano iniziò a ricordare varie immagini: la chiesetta, il rituale, la fuga, gli inseguitori. Ecco il momento fatidico: settari e demoni sono ormai addosso a lei e il fratello; Isaia pronuncia la preghiera all’Arcangelo Michele; i demoni li assalgono, ma ecco che un paio di enormi ali di luce dorata fa loro da scudo. Giuditta si accorge che le ali, immateriali, escono dalla schiena del fratello. Lo guarda e lo vede spendente, con in mano una spada di luce, gli occhi azzurri. Le dice di scappare. Lei corre verso il paese, si volta per guardare che succede e vede Isaia combattere, rivestito di luce, con queste ali e questa spada reali ma immateriali.

Giuditta guardò il nonno, esterrefatta, poi gli chiese: “Tu sai che cosa è successo, vero? Hai detto di aver fatto delle ricerche, in seguito, e lo hai scoperto.”

“Sì e sento che anche tu ne sei consapevole: il nostro Isaia è l’incarnazione dell’Arcangelo Michele, ma non lo sa. Quella fu la prima volta (credo unica) in cui la sua natura si è manifestata. Ricorse ad un potere infinitamente forte, tanto che lui stesso svenne e dimenticò. Ora lui sa? Ricorda? È per questo che te ne ha parlato?”

“No, è ancora ignaro. La situazione è pessima!”

“Perché?”

“Ti ricordi di Gabriel, l’amico di Isaia? Ecco, lui è l’Arcangelo Gabriele. È stato concepito apposta secondo una profezia di Giordano Bruno, affinché potesse servire il Caos, anziché l’Armonia. Questo Bonifacio Serventi sta facendo di tutto per istigarlo ad abbandonare la retta via e, per di più, vuole uccidere Isaia che lo sta acconsentendo, nella speranza di evitare il peggio.”

Aronne non era affatto sconvolto o meravigliato da quelle informazioni, anzi in un certo senso era contento: finalmente si stava concretizzando ciò che per tutta la vita aveva studiato e sognato.

“Adesso devi raccontarmi tutto con precisione; prima, però, toglimi una curiosità, hai trovato anche l’Arcangelo Raffaele?”

“Sì.”

Giuditta passò oltre un’ora a raccontare tutto al nonno, poi cenarono assieme e lei tornò a casa. Il mattino seguente si svegliò presto; aprì l’armadio con la ferma intenzione di vestirsi nel modo migliore possibile: era stufa di essere trattata come una ragazzina da Gaspare, era dunque determinata a mostrargli la donna che era.

Quando si va all’Opera, è norma comune vestirsi elegantemente, per cui Giuditta indossò un abito blu acceso, con una scollatura a V che terminava in una stretta fascia sotto il seno; il vestito, poi, scendeva fino ai piedi in perfetto stile impero. Acconciò poi i capelli i capelli corvini, tirandoli all’indietro con un cerchietto rosso e facendoli ricadere sulle spalle. Si diede il kajal nero sotto gli occhi e appena sopra le ciglia, poi sulla palpebra sparse gli ombretti passando da un grigio scuro, sfumato in argento e poi in bianco. Si diede un rossetto scarlatto e indossò un collier d’argento con un diamante al centro e alcuni brillanti.

Così agghindata scese al piano di sotto ad aspettare che venissero a prenderla. Trovò il padre, in veste da camera, in cucina a fare colazione. Come la vide le chiese: “Dove devi andare, così elegante? Quella è una mise da sera!”

“Lo so, ma vado al teatro dell’Opera. Verrà rappresentata la tetralogia wagneriana dell’oro del Reno. Inizia alle nove e finirà oltre la mezzanotte.”

“Ah, sì, anch’io e tua madre volevamo andarci, ma poi mi hanno fissato un’udienza in tribunale proprio oggi e non posso certo lasciare solo il mio assistito. Vai sola come al solito?” voleva essere un rimprovero.

“No, sto aspettando che vengano a prendermi.”

“Amiche?”

Agenore fremeva per trovare un buon partito per la figlia.

“Uomini.”

“Mi fai passare di sorpresa in sorpresa! È gente per bene?”

Giuditta sapeva che il padre non si riferiva all’onestà o cose simili, per cui rispose: “Possiedono più di una villa.”

“Oh!” si rallegrò il signor Morganti “Come li hai conosciuti?”

“Sono amici di Isaia.”

“Li hai conosciuti cercando di capire dove sia finito?” Agenore si era rattristato: era molto preoccupato per la scomparsa del figlio; poi si scosse e decise di tornare all’argomento principale: “Come mai ti portano all’Opera? Hai ammaliato qualcuno di loro?”

Giuditta decise di lasciare il padre di buon umore, per cui gli disse una mezza verità: “Penso proprio di sì. Uno di loro mi farà da cavaliere.”

“Ottimo. Nome, cognome?”

“No, non ti permetterò di indagare, non adesso, almeno. Se le cose andranno bene, saprai tutto.”

Il padre continuò a cercare di carpire qualche informazione per alcuni minuti, poi a Giuditta arrivò un sms che l’avvisava che l’automobile era fuori che l’aspettava. La ragazza salutò il genitore e uscì. Agenore la salutò, guardando fuori dalla finestra e fu molto soddisfatto nel vedere la figlia salire su una Rolls Royce.

“Sei splendida, oggi.” la complimentò Bonifacio che l’aveva guardata uscire di casa e ora l’osservava dallo specchietto retrovisore.

Gaspare aveva insistito per guidare lui, quindi quel giorno non c’era il solito autista. Bonifacio era seduto davanti, accanto al figlio, mentre dietro c’erano i fratelli Morganti. Gli uomini avevano tutti lo smoking: Bonifacio e Isaia nero, l’altro invece bianco, con la camicia azzurra.

“Sì, carina.” commentò Gaspare “Sembri Biancaneve.” e non era un complimento.

Arrivarono in teatro e andarono a prendere posto nel loro palchetto riservato. L’esecuzione iniziò con L’Oro del Reno, ossia il prologo, che terminò dopo mezzogiorno. Ci fu, allora, una mezz’ora di pausa, per permettere agli spettatori di sgranchirsi le gambe e di rifocillarsi nei vari punti ristoro preparati all’interno del teatro. Era un edificio Ottocentesco, per cui pieno di stanze e saloni che un tempo erano utilizzati per balli, cene e intrattenimenti che non si limitavano alla recitazione.

I quattro uscirono dal loro palco e andarono verso uno dei punti ristoro. C’era calca e confusione e finirono col separarsi: Bonifacio e Isaia andarono da una parte, mentre Gaspare e Giuditta si trovarono da tutt’altra.

“Aspettami qui.” disse il giovane alla ragazza “Vado io a prendere qualcosa per entrambi: è inutile fare la fila tutti e due.”

Giuditta fu meravigliata da quella cortesia, ringraziò e rimase ad aspettare vicino alla porta. Dopo dieci minuti, tuttavia, l’uomo non era ancora tornato. La ragazza considerò che, in fondo, la fila non era così lunga da richiedere tanto tempo e il cibo veniva servito subito, senza bisogno di essere riscaldato o altro. Decise di entrare nella stanza, dove la gente sedeva a tavolini a consumare rapidamente il pasto; la ragazza si guardò attorno e individuò subito Gaspare: in piedi accanto ad un tavolino alto, i compagnia di tre giovani donne. Parecchio indispettita, Giuditta gli si avvicinò e gli disse: “Avevi detto che avresti preso il pranzo per entrambi. Se non ti andava di farlo, bastava che lo dicessi subito, così almeno non mi avresti fatto perdere tempo.”

“Stai mal giudicando.” replicò lui, con nonchalance “Ho preso anche per te.” col dorso della mano spostò verso di lei una scodella con dell’insalata di farro “Solo che poi ho trovato buona compagnia e mi sono scordato.”

“Che bravo cavaliere che sei.” borbottò la ragazza.

“Scusa, ma questa chi è?” domandò una delle donne.

“Oh, non fateci caso, è la sorella di un uomo con cui mio padre è in affari e mi hanno chiesto di tenerla d’occhio.”

Giuditta, se fosse stata meno educata, avrebbe volentieri pestato un piede all’uomo, si limitò a chiedere: “Da bere? Non mi hai preso nulla?”

Da una tasca della giacca, Gaspare tirò fuori una bottiglietta d’acqua e gliela mise davanti, dicendo: “Non c’era altro.”

“Tu hai del prosecco e, a giudicare dai bicchieri vuoti sul tavolo, non è il primo che bevi.”

“Certo, ma tu sei piccola: non puoi bere alcoolici.”

“Pensa, piuttosto, a non ubriacarti tu, altrimenti chi mi farà da cavaliere?”

“Sono qui per Wagner, non per te.”

“Che ti piaccia o no, tuo padre è stato chiaro: devi stare con me per tutta la giornata ed essere gentile.”

Una delle tre donne disse: “Scusate, ma temo che noi siamo di troppo, vi lasciamo soli.”

Gaspare si rivolse loro: “D’accordo, ma vi prego di perdonare questo increscioso comportamento, in fondo è solo una ragazzina. Comunque ho i vostri numeri di telefono, vi richiamerò.” le salutò con la mano e, quando furono lontane, si voltò verso la ragazza e le disse: “Sei proprio infantile e insopportabile.” e si mise a mangiucchiare un poco dal proprio piatto.

“Così impari a lasciarmi sola ad aspettarti; la prossima volta metti le cose in chiaro subito.”

“Ho trovato quelle donne favolose con cui conversare e tu pretendi ch’io tornassi da te?”

“Non mi sono parse speciali o favolose, come dici tu.”

“Ah, l’invidia di voi femmine! Avevano corpi perfetti e seni belli pieni.”

Giuditta si stizzì parecchio, soprattutto per il fatto che lei portava una sesta di reggiseno; infatti, senza ragionare, si indicò la scollatura e osservò: “Se tu non avessi gli occhi foderati di prosciutto, ti saresti accorto che sono più dotata io di loro.”

Gaspare non si degnò nemmeno di guardarle il petto, la fissò negli occhi e le disse: “Non essere ridicola. Inoltre, ti notifico, sei alquanto sovrappeso, il ché ti rende poco attraente perfino tra i ragazzini tuoi coetanei, quindi evita di metterti in competizione con le donne vere.”

“Io ho un sacco di ammiratori, di qualsiasi età!” ribatté lei, molto offesa.

“Immagino. Allora, come mai tuo padre è tanto preoccupato che tu faccia la fine di tua zia? Poi mi devi spiegare che fine ha fatto tua zia, perché non ho fatto in tempo a scoprirlo.”

Giuditta sbalordì e si indignò: “Sei stato due minuti davanti a casa mia e ti sei permesso di leggere nella mente a mio padre?”

“E, nota, senza neppure il bisogno di contatto visivo. Non sapevi neppure fosse possibile, vero?”

Vero, pensò la ragazza, ma non lo disse e cambiò argomento: “Ad ogni modo sono io che non sono interessata ai miei spasimanti.”

“Ah, beh, se sono tutti come quel ragazzo che c’era al museo, ti capisco. Vedi, però, devi anche saperti accontentare, in fondo non è che tu possa permetterti di pretendere un uomo vero.”

Giuditta, inviperita, gli sibilò: “Un giorno ti colpirà una saetta tra capo e collo.” poi si voltò e andò rapidamente verso il palchetto.

Gaspare sospirò, scosse la testa e poi la raggiunse, tenendo il passo.

Durante il pomeriggio, venne eseguita tutta La Valchiria e metà del Sigfrido, poi ci fu la pausa per la cena, questa volta con una pausa di un’ora. Per circa quindici o venti minuti i quattro riuscirono a non disperdersi, ma poi Bonifacio fu chiamato a bere qualcosa assieme al direttore d’orchestra e ad alcuni dei cantanti che avevano già concluso la propria parte; Isaia andò con lui e così Gaspare e Giuditta furono di nuovo lasciati soli, con gran dispiacere da parte di entrambi.

“Devo farti i complimenti” disse l’uomo “Non ti sei addormentata, né assopita nemmeno per un momento; non lo avrei mai immaginato. Ne sono contento. Hai seguito con attenzione la storia di Brunilde? Ora capisci che cosa rischiano chi si crede forte e disobbedisce ai veri potenti?”

Ovviamente era una frecciatina al suo caratterino, la ragazza ne era consapevole e, quindi, cercò di rispondere a tono: “Ero più che altro concentrata a pensare al fatto che Sigmund, si atteggiava tanto a coraggioso e a grande, ma appena perde la sua spada magica, trema come una foglia e si tira indietro.” rispose lei.

“Ah, preferisci il coraggio dissennato e crudele di Sigfrido?”

Giuditta capì che Gaspare voleva alludere ad Isaia, ma non raccolse la provocazione. Mettersi a discutere con quell’uomo era pressoché inutile, lei doveva cambiare strategia per dimostrargli il proprio valore. Stava per fare un commento all’esecuzione a cui stavano assistendo e alla regia, quando sentì qualcuno che la chiamava, si volse e vide Stefano, che salutò con gran piacere. Si dissero stupiti di incontrarsi, poi commentarono un poco lo spettacolo, mentre Gaspare li ascoltava, annoiato, a braccia conserte. Stefano era un po’ innervosito da quella presenza che sentiva incombere. Pochi minuti dopo lo raggiunsero i suoi genitori che furono contenti di vederlo così tranquillo e sereno (era raro vederlo così, da dopo la faccenda del tedesco). Si fecero presentare la ragazza e poi notarono l’uomo un po’ in disparte. Il signor Fabbri chiese: “Sbaglio, o quello è il tuo maestro, Gabriel Antinori? L’abbiamo visto solo un paio di volte due anni fa, ma mi sembra lui.”

“No, lui si chiama Gaspare …” spiegò Stefano, rendendosi però conto che il senso di famigliarità del volto di quell’uomo era dato proprio dal fatto che assomigliasse molto a Gabriel.

“Oh, mi scusi.”

“No, si figuri, anzi! Mia madre diceva sempre che il mio fratellino mi somiglia abbastanza.”

Giuditta e Stefano erano esterrefatti e si scambiarono uno sguardo smarrito.

“La cosa singolare è che abbiamo solamente la madre in comune, io e lui, il padre è diverso. Evidentemente abbiamo preso entrambi molto da lei.”

Suonò la campanella che avvisava che tra un quarto d’ora lo spettacolo sarebbe ricominciato, il signor Fabbri esortò la famiglia ad affrettarsi: avevano dei posti in platea, in mezzo ad una fila, e non aveva voglia di scomodare gli altri spettatori già seduti.

Giuditta chiese: “Stefano, vuoi venire nel nostro palchetto?”

Il ragazzo stava per accettare l’offerta, ma Gaspare si intromise: “No. Non c’è posto. Inoltre, come io devo fare compagnia a te, così tu devi essere di compagnia per me. Il tuo amico lo vedrai poi un’altra volta.”

Giuditta provò una certa piacevole meraviglia nel sentirgli dire quelle parole e pensò che Gaspare, in realtà, non la disprezzasse come invece ostentava. Si scusò con Stefano e rimasero d’accordo di vedersi il giorno dopo in Congregazione. Rimasta a tu per tu con l’uomo, volle un poco provocarlo, osservando: “Non è affatto vero che non c’è posto nel palchetto, direi che ci starebbero comodamente altre due persone. Perché non hai voluto venisse Stefano? Ti saresti risparmiato l’incomodo di farmi compagnia.”

“Ormai l’agonia è comunque finita.” ribatté Gaspare “Sappi che mi sento molto offeso per il fatto che volessi sostituirmi con quell’homunculus.”

“Anche tu hai tentato di rimpiazzarmi, oggi.”

“Sì, ma io volevo fare un salto di qualità, non prendere qualcosa di peggio; benché sarebbe stato davvero difficile, per me, trovare qualcosa che peggiorasse la mia situazione. Sono io quello che ha diritto a lamentarsi, tu dovresti essere solo contenta e onorata a poter usufruire della mia compagnia, dovresti approfittarne per stare zitta e cercare di imparare qualcosa.”

“Ti vanti tanto della tua superiorità nella Scienza Sacra e poi snobbi me, che comunque qualcosa ne so (e non poco), ed elogi quelle donne che non ne sanno assolutamente nulla.”

“Sei gelosa?” la canzonò Gaspare.

“Cosa?!” rimase basita la ragazza.

“Certo, sei gelosa, per questo ti lamenti del fatto ch’io cerchi migliore compagnia.”

“Migliore compagnia me la stavo cercando anch’io e l’avevo trovata, ma tu l’hai allontanato, quindi ora non ti lamentare se devi sopportarmi.”

“Migliore compagnia quel ragazzino?” fu derisorio l’uomo “Scommetto che non ha neppure diritto di voto.” e si mise a ridere.

“Ha ventuno anni e, nonostante ciò, lo preferisco di gran lunga a te. Lui almeno mi apprezza, mentre tu non fai altro che tentare di mortificarmi!”

“Devo pur trovare un modo per ingannare il tempo e, comunque, quel che faccio è per il tuo bene. Sto semplicemente aiutandoti a prendere coscienza che non sei così esperta, dotata e saggia come ti illudi. Ti sei sempre e solo confrontata con i dilettanti e questo ti ha fatto sentire forte, potente, ma non sei nulla in confronto ai Maestri e prima lo capisci, meglio è. Bada bene che lo sto dicendo unicamente nel tuo interesse, a me non importa nulla di quel che sarà di te quando le cose finalmente cambieranno.” parlava a un volume basso, il tono era caldo e avvolgente, aveva un ché di sensuale “Mio padre è stato così buono da raccontarti la Verità su quel che presto accadrà e tu hai rifiutato di accettarla. Sei così ottusa e pretendi ch’io ti rispetti? No. La prossima Era sarà sancita dalla Scienza Sacra e dalla sua gerarchia. Per come sei al momento, non potrai aspirare a granché e, se ti opporrai, lo sai meglio di me, morirai. Fa uno sforzo per capire chi è davvero dalla parte della Verità e schierati anche tu con loro … ossia, più precisamente, con noi.”

“Dici che non ti importa nulla di me, non fai che ripetere quanto poco valgo, eppure mi esorti ad essere dei vostri: contradditorio.”

“Non sforzare il tuo cervellino: è mio padre che insiste per averti nelle nostre fila e io gli obbedisco, benché non capisca perché si sia impuntato su di te.” la fissò, sorridente “Mi è stato proibito di entrare nella tua testa, ma nulla mi ha impedito di cercare informazioni su di te nella memoria di tuo fratello. Sei ossessionata dalla conoscenza, vuoi sempre sapere di più. È per questo che presto ti stancherai dei Franchi Giudici, vorrai superare quel che già sai, andare oltre e verrai da noi.”

“Noi siamo i custodi della Verità, non c’è altro da sapere.”

“Non potranno rispondere alle tue domande, alle tue esigenze. Se ci tieni, sarò io il tuo maestro, ma dovrai essere docile, obbediente, sottomessa.” stava espandendo la sua aura, caricandola di fascino “Ti porterò alla Verità, gradino dopo gradino, ma dovrai essere come argilla nelle mie mani e lasciarti plasmare. La tua mente dovrà appartenermi. È così che ha sempre funzionato: l’allievo deve annullare sé stesso e lasciarsi ritemprare dal maestro. Lo farai? Ti arrenderai e ti consegnerai a me, per raggiungere la Verità?”

Giuditta, per qualche momento, si era lasciata ammaliare, ma poi si era subito scossa; decisa come sempre, replicò: “C’è un detto che mi piace sempre tenere a mente: quando incontri il Buddha sulla tua strada, uccidilo!”

“Va bene, come vuoi tu!” sembrò divertito Gaspare “Noi non costringiamo nessuno, lasciamo piena libertà a tutti ma, ricorda, ogni scelta ha delle conseguenze; tu sei sicura di essere consapevole delle conseguenze che ti aspettano sulla tua strada? E, se sì, sei certa di essere pronta ad affrontarle e che ne valga la pena?”

“Si vede che Bonifacio ti ha proprio educato secondo la sua filosofia; Isaia mi ha raccontato che già mesi fa gli ha fatto un discorso del genere, circa le scelte e le conseguenze, e gliel’ha ripetuto in questi giorni.”

“A proposito dei miei genitori, ho visto che ti sei piuttosto stupita, quando ho detto che mia madre era Clara; non lo sapevi?”

“No e non me lo aspettavo neppure.”

“Da bambini io e Gabriel eravamo molto amici, trascorrevamo molti pomeriggi assieme, benché lui non sapesse fossimo fratelli e io avessi un paio d’anni in più. Il marito di Clara era sempre occupato a lavorare e lei poteva portare Gabriel da Bonifacio, perché crescesse secondo i nostri precetti; poi c’è stato l’incidente e lui ha dimenticato tutto. Da allora non l’ho più visto. Come sta?”

“Come vuoi che stia? È confuso, ha paura di sé, della vita che ha condotto finora, vorrebbe ricominciare da capo e si affida totalmente alla donna di cui è innamorato. Non sta bene. Comunque, tra pochi mesi, diventerà padre.”

“Oh, allora diventerò zio! Gli dovrò fare visita. Dimmi qualcosa di più su di lui.”

“Meno parlo di Antinori, meglio sto, chiedi direttamente a mio fratello. Comunque, se non avessi allontanato Stefano, lui sarebbe stato ben contento di parlarti per ore e ore di lui: è il suo idolo.”

“Oh, quel ragazzo inizia a starmi simpatico, allora.”

Giuditta si ricordò della conversazione che aveva avuto col nonno la sera prima, le venne una curiosità, per cui si sforzò di essere gentile nel chiedere: “Senti, a proposito delle tue parentele, non è che tuo nonno, il padre di Bonifacio, fosse Giordano Bruno?”

Gaspare non poté fare a meno di stupirsi e osservò: “Non è un’informazione che divulghiamo, come l’hai saputo? Di certo non dai Franchi Giudici.”

“Mi è stato detto in famiglia, non so come lo si sia saputo. Quindi è vero?”

“Sì.” Gaspare si guardò attorno e vide che non c’era più nessuno, quindi sbuffò e disse: “Ragazzina, le tue chiacchiere ci stanno facendo perdere l’opera. Io torno al palchetto, tu fa quel che vuoi.”

Entrambi raggiunsero Bonifacio e Isaia, che già erano tornati ai loro posti, e si godettero il resto della serata.

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Capitolo 22
*** Il massacro di templari ***


Era il 24 giugno; Isaia si svegliò con la consapevolezza che quello era il suo ultimo giorno. Si stupì nell’accorgersi che, pure a così poche ore dalla morte, si sentiva tranquillo e per nulla preoccupato. Gli dispiaceva per la gente che lasciava, ma non per sé. Si lavò, si vestì e andò a colazione con Bonifacio e i suoi figli. Passò Jacopo, raggiante e felice, si avvicinò al gesuita e lo salutò: “Allora, Isaia, oggi è il grande giorno: oggi liberi il mondo dalla tua insulsa esistenza! Pronto? Quand’è che andiamo a trovare i templarucci?”

“Questa sera.” rispose pacatamente Isaia.

“Devo quindi aspettare tutto il giorno?! Che noia!” si lamentò il fantasma.

“Jacopo, sii educato.” lo richiamò Serventi.

“Senti, io non sono uno dei tuoi figli ammaestrati, io mi comporto come diavolo mi pare!”

“Non alla mia tavola!”

Lo spettro sbuffò seccato e se ne andò.

“Scusalo.” disse Bonifacio al templare “Se hai qualche richiesta per la giornata, avanzala pure.”

“Grazie, ma direi che sono a posto.”

“Pensaci bene, è l’ultima occasione.” gli ricordò Serventi.

“Lo so.” ribatté Isaia, severamente.

Gaspare, preparandosi una fetta biscottata col burro, lo informò: “Ieri, ho invitato il tuo amico Gabriel ad unirsi all’evento, ma non mi è parso interessato. Peccato per te, non avrai lo sguardo compassionevole di nessuno a confortarti.”

Isaia si limitò a commentare: “Non gli importa più di nulla, se non della Munari.”

“Io pensavo non venisse per non vedere il suo amico morire.”

“Tu non c’eri alla grigliata, non hai visto l’indifferenza con cui mi ha trattato. Ha sentito l’offerta che ho fatto a tuo padre e non ha reagito, non ha tentato di dissuadermi, l’ha accettata e basta. L’ho fatto soffrire e ha deciso di non perdonarmi: non gliene faccio un torto.”

“Saremo buoni, un colpo e tutto sarà finito, niente agonia. Contento?”

“Per quel che mi riguarda, andrebbe bene anche la fine di San Lorenzo.” rispose Isaia, volendo sottolineare come la morte e le sofferenze non lo preoccupassero.

Bonifacio intervenne: “Rimani sicuro che ne valga la pena? Speravo che questo soggiorno e le letture che hai fatto potessero aiutarti ad avere una nuova visione delle cose. Non devi per forza persistere su questa strada: puoi consegnarci i templari e ucciderli assieme a noi; poi restare qui come nostro alleato.”

“No. Quel che ho letto mi ha insegnato molto, ma non basta. Non mi tirerò indietro.”

“Me ne rammarico.” constatò Serventi, prima di sollevare la tazza e sorseggiare il caffelatte.

Gaspare continuò, con tono svagato: “Non ti preoccupa lasciare tua sorella da sola?”

“Non sarà sola: ha il resto della nostra famiglia.”

L’altro scosse la testa, come per dire: non hai capito; poi disse: “Sai, spero davvero tanto che stasera venga a cercare di salvarti, così potrei mostrarle un quadro preciso della situazione che ancora non ha affatto chiara.” ghignò.

“Quale situazione?” si accigliò Isaia, d’improvviso preoccupato che il Candelaio non rispettasse la propria parte di patto.

“Stai tranquillo: è una questione prettamente personale.”

La cosa non tranquillizzò affatto Isaia che, comunque, si rivolse a Bonifacio: “Che cosa farete, dopo questa notte?”

“Resteremo qui, finché non avremo visto gli effettivi interventi di Gabriel sulla Congregazione, poi si vedrà.”

Isaia ragionò un poco e per la prima volta gli sorse questo pensiero: “Potete dire a mia sorella di non essere in collera con Gabriel, ma di perdonarlo, capirlo ed essergli vicino?”

“Me ne occuperò personalmente.” assicurò Gaspare.

La giornata trascorse; attorno alle diciassette e trenta, Bonifacio e i suoi uomini si misero in viaggio per raggiungere la sede dei templari dove ci sarebbe stata la riunione. Sarebbero stati in una chiesa abbandonata ad Anagni; gli uomini del Candelaio si appostarono nei matronei, nelle ombre, nei confessionali e Bonifacio si nascose sul pulpito.

Non fare scherzi, non tradirci ora- si era raccomandato Bonifacio, prima di celarsi.

Isaia trovò semplicemente ridicola quella frase: che senso avrebbe potuto avere tradire arrivati a quel punto? Se anche l’avesse fatto, i templari non avrebbero avuto possibilità di salvezza e, dunque, sarebbe stato completamente inutile.

Isaia iniziava ad essere nervoso, sperò che tutto andasse bene. Aspettava. Presto tutti i Templari arrivarono, erano qualche centinaio e riempirono la chiesa. Tutti presenti, Isaia diede inizio alle cerimonie di apertura della riunione e, infine, pronunciò il discorso che si era preparato: “Fratelli, Poveri Commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone. Noi siamo la forza segreta della Chiesa da secoli: la difendiamo dai pericoli, ma sappiamo anche quando è il momento di sacrificarci per il suo bene. Settecento anni fa, abbiamo permesso che Filippo IV ci sterminasse, sfruttando la stessa Inquisizione; questo sacrificio donò alla Chiesa l'energia spirituale e le risorse materiali per contrastare l'Imperatore. Durante il Concilio di Trento, segretamente, ci siamo di nuovo sacrificati, per purificare la Chiesa dai suoi peccati e far sì che la Controriforma germogliasse nella purezza.
La Chiesa, tuttavia, è formata da uomini e tutti gli uomini sono peccatori. Ora è necessario un ulteriore rinnovamento della Chiesa e a noi è di nuovo chiesto di essere i capri espiatori. Noi di nuovo ci caricheremo dei peccati della Chiesa e moriremo con essi.”

Serventi ammirò ancora una volta la fermezza di Isaia, ma non si soffermò su questo pensiero e  comunicò telepaticamente coi suoi uomini per avvisarli di essere pronti all’attacco.

I templari parvero divisi nell’accogliere quelle parole, un terzo di loro sembrò accettarle subito, gli altri erano perplessi, alcuni sconvolti, altri indignati.

Uno chiese: “Quando? Come?”

“Ora. La morte arriverà ora. Chi di voi è pronto e non ha timore, prenda la spada e ci si getti sopra, oppure si apra le vene da solo: gli stoici siano il nostro esempio.”

Come? Così ci tolgono il divertimento!- pensò Jacopo.

Bonifacio si affacciò dal pulpito e disse, con una voce che rimbombò in tutta la navata: “Buonasera, signori. Siamo alla resa dei conti.”

I templari si sorpresero; qualcuno provò a muovere qualche passo in avanti, ma non ci riuscì: erano tutti immobilizzati, evidentemente ciò era opera dei poteri di alcuni degli uomini del Candelaio.

“Se avete la compiacenza di non ribellarvi, ora vi legheremo e ci occuperemo di voi uno per uno.”

Isaia li esortò: “Obbedite, non vi opponete: siate pronti ad espiare i peccati della Chiesa. Io stesso ho patito e patirò.” si aprì la tunica e mostrò i segni rimasti dalla tortura.

Uno dei templari che gli era vicino gli ringhiò: “Ci hai venduti, cane!” e gli sputò contro.

Serventi sorrise e con tono quasi dolce disse a costui: “Su, non fate così: non vi ha venduti, ha semplicemente capito quale fosse la scelta migliore per evitare morti innocenti … e quando dico innocenti, non mi riferisco certo a voi.”

“Volevate massacrarci” urlò Jacopo “Avete ucciso la mia Rebecca che addirittura aveva avuto pietà per voi. State zitti e non lamentatevi per la punizione per le vostre colpe!” si scagliò in mezzo al mucchio e, pugnale in mano, ne trafisse alcuni.

Bonifacio lo richiamò: “Calma, facciamo le cose con ordine.”

“Ve bene, ma che sappiano che nessuno di loro si salverà.”

I templari protestavano, alcuni supplicavano. Isaia cercò di confortarli: “Non abbiate timore! I nostri fratelli, i primi Cristiani, sono morti martiri tra atroci sofferenze, pur di essere testimoni di Dio. La vostra fede è meno forte? Dio ci accoglierà nel suo Regno, accogliete con gioia quest'occasione!”

In diversi gettarono le spade a terra per dimostrare che acconsentivano al sacrificio. Gli altri membri del Candelaio uscirono allo scoperto e iniziarono a legare i templari. Forse perché non erano del tutto sprovveduti, forse perché ciò che li bloccava si era indebolito a causa della distrazione degli uomini intenti a legare, fatto sta che alcuni templari riuscirono a muoversi e si diedero alla fuga. Erano forse una ventina, si gettarono contro le vetrate. Gli uomini del Candelaio gli furono presto addosso, alcuni morirono, altri riuscirono a scappare.

Bonifacio fece cenno di non occuparsene e, mentre gli altri venivano legati, disse: “Qualcuno di voi vuole dire qualcosa?”

Uno dei templari disse: “Non mi stupisco che voi abbiate corrotto quest'uomo che, per puro caso, è diventato il nostro Grande Maestro, dopo appena due settimane che era nell'ordine. Mi stupisco, piuttosto, dell'arrendevolezza di certi miei compagni! Ma voi siete il male e io vi combatterò fino in ultimo!”

Serventi gli si avvicinò, gli appoggiò le mani sulle tempie e disse: “Intendevo se qualcuno vuol dire qualcosa di sensato.”

L’uomo cadde a terra morto e Bonifacio si voltò e continuò, rivolto a tutti: “Nessuno di voi uscirà vivo da qui.. Su di voi ricadono le colpe dei vostri antenati... ma anche voi avete ucciso in nome di un Dio che oggi vi ha voltato la spalle. Accettate il vostro destino e morite con dignità.”

Isaia cercò di far loro coraggio: “Dio non ci ha abbandonato. Dio ha dato tutto all’umanità. Noi abbiamo deciso di metterci al suo servizio, ora Lui ci sta chiedendo di fare qualcosa per le Sue Creature.”

Intanto tutti i templari erano stati legati. Bonifacio, compiaciuto, si rivolse al Gran Maestro e gli disse: “Tu, Isaia, ovviamente sarai l’ultimo. Intanto, decidi chi sarà il primo a passare per le mani di Jacopo.”

Il gesuita si sorprese e sentì un nodo allo stomaco: “Devo scegliere io?”

“Esatto.”

Gaspare aggiunse: “Su, da bravo Magister Templi, guida i tempalrucci anche nella morte.”

Isaia era consapevole che prima o dopo, nell’arco di poco, sarebbero morti tutti quanti e, dunque, non c’era differenza nel fare quella scelta, che però faceva male lo stesso. Puntò l’indice a caso, senza guardare.

“Sii più specifico, Isaia, c’è un sacco di gente in quella direzione.”

Bonifacio si avvicinò ad alcuni templari verso il punto indicato e chiese a uno: “Come ti chiami?”

“Richard.”

“E tu?”

“Juan.”

“Tu?”

“Vladimir.”

“Tu?”

“Pedro.”

“Bene Isaia, ora che sai i nomi, puoi dirmi chi è che intendi.”

L’uomo esitò un poco, poi scosse il capo e disse in un fiato: “Pedro.”

“Molto bene. Jacopo, hai qui la tua prima vittima.”

Il fantasma si fece avanti ghignando. Bonifacio continuò, rivolgendosi agli altri suoi adepti: “Ora, voi altri scegliete pure di chi occuparvi. Fate a turni, in modo che ci siano sempre una decina di voi a controllare che non ci siano ulteriori fughe.”

Gli uomini del candelaio si misero all’opera, mentre Isaia non poteva far altro che cercare di non guardare e di pronunciare eterni riposo per i morti e affidare le loro anime all’Arcangelo Michele: Signore Gesù Cristo, libera le anime dei fedeli defunti dalle pene dell'inferno! 
San Michele, che porta i Tuoi Santi Segni, le conduca alla luce santa che promettesti ad Abramo e alla sua discendenza.

Nella chiesa sconsacrata, tuttavia, c’erano altre due persone, nascoste, che nessuno aveva notato fino a quel momento. Gabriel e Stefano erano arrivati nel momento in cui erano giunti i templari e, con i giusti accorgimenti, si erano introdotti furtivamente nell’edificio e si erano celati, in attesa di agire.

Il seminarista era piuttosto sconvolto a quella vista, si avvicinò al maestro, che era avanzato di qualche passo, e gli bisbigliò: “Gabriel, dobbiamo intervenire: non possiamo permettere che vengano ammazzati.”

“No. Non li fermeremo.”

Stefano si stupì e replicò: “Lo so che loro sono tanti, però dovremmo tentare lo stesso qualcosa. Insomma, sei il loro eletto, varrà bene a richiamarli!”

“Sono dei poveri perseguitati che si stanno garantendo libertà di vivere, sbarazzandosi di chi li minaccia: va bene così.”

Gabriel voltò il viso verso il ragazzo, mostrando che gli occhi erano diventati rossi. Stefano si irrigidì e si spaventò un attimo, poi cercò di far presente: “Credevo che fossimo venuti per salvare Isaia.”

“Infatti è quel che faremo.”

“Perché vuoi salvare lui ma non gli altri? Non capisco quale sia la differenza.”

“Innanzitutto, uno può fare molto meno che un gruppo; in secondo luogo Isaia è un mio amico, gli altri no.”

Stefano non aggiunse altro e si fece da parte, benché molto rattristato per il fatto che il suo maestro si trovasse in quelle condizioni e per il sentirsi impotente davanti a quello scempio.

Buona parte dei templari era stata massacrata. Bonifacio richiamò l’attenzione dei propri figli e chiese loro: “Che ne dite se facessimo fare qualcosina anche ad Isaia?” poi alzò la voce per essere ben sentito “Potremmo fargli torturare qualcuno dei suoi amichetti.”

Isaia ebbe un sussulto, si sorprese, fu colto da smarrimento e domandò: “Devo proprio?”

“Direi di sì.” rispose Serventi, divertito, ben sapendo di avere spiazzato l’uomo.

Il gesuita si sentì mancare le forze: quella richiesta era orribile. Già gli salivano le lacrime agli occhi e avvertiva un senso di nausea. Cercò di controllarsi: non doveva dimenticare di avere consegnato anche sé stesso al Candelaio e, dunque, di essere costretto ad obbedire, per onorare il patto, quindi chiese: “Che cosa vuoi che faccia?”

Serventi si fece allungare una fiaccola da uno dei figli, la porse all’uomo e gli disse: “Iniziamo col fuoco, facci vedere di cosa sei capace.”

Isaia prese la torcia senza guardare, chinò il capo per nascondere le lacrime.

“Ti osserviamo.” lo incalzò Gaspare.

Isaia si guardò attorno, indeciso, confuso, poco lucido; vide un templare con barba e capelli lunghi e diede fuoco ad essi.

“Bravissimo.” sorrise Bonifacio “Mi ricorda Vargas …. Su, puoi fare di meglio, ragazzo.”

Isaia, forse nemmeno si rendeva conto di quel che stava facendo, si avvicinò ad un templare legato ad una colonna, gli tolse gli stivali e incastrò la torcia in modo tale da arrostire i piedi dell’uomo.

“Vuoi vedere che ci sta prendendo gusto?” commentò Serventi ridacchiando: sperava di riuscire a far scatenare la parte oscura del gesuita.

“Già.” confermò il figlio Temistocle “Sarà bello finché durerà e durerà molto poco, visto che presto morirà anche lui.”

“Bene, continua!” ordinò Gaspare.

Non avendo più la fiaccola, Isaia prese una spada, si avvicinò a tre templari e prima mozzò loro naso, orecchie, mani, piedi e poi li lasciò a morire dissanguati.

Non ce la faceva più. Gettò la spada a terra e supplicò: “Vi prego, basta!”

Bonifacio gli si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla e gli disse: “Va bene così. Mi stupisco della tua intraprendenza.”

Con fatica, Isaia rispose: “Me l’hai ordinato … dovevo obbedire … rientra nel patto.”

“Sei fin troppo di parola.”

“Siilo anche tu.” gli chiese Isaia, riacquistando compostezza ed un espressione grave “Giurami ancora una volta che non scatenerai Gabriel.”

“Ti garantisco che non lo provocheremo più, non intenzionalmente.”

“Ti prego, io sto facendo la mia parte, onora il patto anche tu. Lascia che Gabriel possa vivere sereno la sua vita con Claudia e non perseguitarlo più.”

Ah, se queste parole fossero giunte alle orecchie di Gabriel! Le urla dei templari, però, coprivano ogni altro suono.

In un’ora circa, i templari erano tutti morti, restava solo Isaia, circondato da cadaveri e nemici.

Jacopo sghignazzò: “Ora tocca a te. Vediamo che morte possiamo riservarti.”

“Aspetta.” lo bloccò Bonifacio “Isaia, te lo chiedo un’ultima volta: vuoi essere dei nostri? Con questo non intendo dire che provocheremo Gabriel. Vorrei che tu fossi nel nuovo mondo e che fossi al mio fianco, ma non posso ordinartelo: deve essere una tua scelta. Pensaci bene: che cosa ti differenzia da noi? Anche tu disapprovavi i templari ed è per questo che ci hai permesso di ucciderli, e noi ti abbiamo reso nostro complice! Hai iniziato ad esplorare la Scienza Sacra che è ciò su cui si fonda il nostro progetto. Perché ti ostini a non vedere che sei nel nostro stesso campo?”

“Ti sbagli, Bonifacio. Anche se abbiamo molto in comune, io non sono come voi. Io sono un uomo di Dio e servo Lui, voi invece servite solo voi stessi e, quindi, indirettamente, il demonio.”

“Peccato.” sospirò Serventi.

Gabriel capì che ormai si era alla fine, dunque uscì dal suo nascondiglio e urlò: “Fermi!”

Stefano si meravigliò e pensò, tra sé e sé: Non era questo il piano! Lui doveva intervenire dopo che Isaia fosse stato colpito, non prima!

Rimase nascosto a guardare, in attesa di capire come agire.

“Oh, fratellino, ciao!” salutò Gaspare, piuttosto raggiante “Alla fine sei venuto, vuoi pensarci tu a finire il Magister Templi?”

“Benvenuto, Gabriel.” si limitò a dire Bonifacio, con un luccichio negli occhi.

“Lasciatelo!” ordinò Antinori e si mosse verso l’amico.

Isaia alzò lo sguardo, contento di vedere l’amico, anche se non si illuse di essere stato perdonato.

“No, Gabriel.” replicò Serventi “Questo è l’esito del nostro accordo: Isaia è assolutamente consenziente.”

“Beh, io no e ve lo impedirò.”

“Ha cercato di ucciderti.” gli ricordò Bonifacio “Ti ha tradito.”

“Lo avevo spaventato, ora lo capisco.”

Jacopo decise di agire di testa propria e dare un taglio alla faccenda e disse: “Eletto, tu sai, vero, che non è stata la mia Rebecca a pugnalare Alonso?”

“Sì, l’ho capito.”

“Sono stati i templari a fare quell’attentato e indovina chi ha dato l’ordine. Già proprio il tuo caro Isaia.”

Gabriel fu come colto da un fulmine a ciel sereno, guardò l’amico con rabbia e stupore e gli gridò: “È vero?”

Isaia annuì e disse: “Posso dire solo una cosa in mia difesa: se io non avessi ordinato di ferirlo, Vargas avrebbe ordinato di ucciderlo.”

“Che cosa?! Ti pare una giustificazione?! Tu non lo dovevi toccare! Io potrei essere un pericolo, non Alonso! Che cosa c’entrava lui? Avresti dovuto parlare!”

Gabriel era furioso, i suoi occhi divennero rossi, con un balzo fu da Isaia e lo afferrò, mentre dalle sue mani si sentiva uscire il crepitio del suo potere.

Stefano osservava da lontano, smarrito e impotente.

Gabriel ringhiò: “Te ne pentirai amaramente, schifoso traditore!”

Isaia gli rispose: “Che cosa vuoi che mi importi delle tue minacce? Se non mi ucciderai tu, mi uccideranno loro! Per me non cambia nulla, ma per te sì. Lascia che siano loro. Salvati! Salvati dalla tua rabbia! Pensa a Claudia! Che cosa direbbe, se ti vedesse così?”

“Non parlare di lei! L’hai sempre odiata! Non volevi neppure ch’io andassi a salvarla quando Serventi l’ha rapita! Io l’ho protetta da tutto, io!”

“La saprai proteggere da te stesso?”

Jacopo, che assisteva alla scena con attenzione, ritenne che quella era l’opportunità che stava aspettando, prese il proprio pugnale, ripensò a Rebecca, quindi decise di prendere una delle spade dei templari. Si avvicinò e senza esitazione trapassò Isaia.

Gabriel si sorprese, i suoi occhi tornarono verdi.

Isaia, dopo un urlo di dolore, si accasciò a terra e con le ultime forze disse: “Ecco, Gabriel, sto morendo. Ora non hai più nessuno con cui essere in collera. Non cedere al dolore, ti prego. La vita fa male, fa soffrire, ma le avversità non devono farci dimenticare tutto il bene, tutto l’amore di Dio. Chiudi col passato, sii felice, ma accetta il fatto che nel mondo ci sia del male e che le difficoltà e i dolori non devono farci disperare e adirare, bensì devono temprare il nostro animo. Se cederai alla tua ira perderai tutto: te stesso, Claudia, vostro figlio, gli amici, il mondo. Salvati!”

Gabriel era confuso, non voleva più vendicare Alonso e le parole dell’amico gli parvero così vere e reali!

Si ricordò del piano iniziale che aveva concordato con Stefano: ora poteva attuarlo. Strinse la mano di Isaia, i suoi occhi divennero azzurri. Il suo potere buono. Nella stanza bianca trovò l’anima dell’amico che si sorprese nel vederlo.

“Vieni, torniamo indietro.” lo invitò Gabriel, porgendogli la mano.

Isaia lo guardò commosso, lo abbracciò e iniziò a piangere. L’amico lo portò fuori.

Serventi, benché non lo dimostrasse affatto, era furioso: Jacopo aveva mandato a monte il suo piano che prevedeva che il potere oscuro di Gabriel riuscisse, in un qualche modo, a risvegliare quello di Isaia. Pazienza, aveva altre strade pronte.

“Bene, Eletto” disse Bonifacio “Cosa pensi di avere risolto? Isaia è nelle nostre mani e tu non potrai essere sempre presente per resuscitarlo, quando lo uccidiamo.”

“Ti sbagli!” esclamò la voce di Stefano, dal fondo della chiesa, e si fece avanti a propria volta.

“Toh, chi si vede!” ridacchiò Gaspare.

Serventi non aveva affatto calcolato potesse esserci anche lui e iniziò a pensare che forse avrebbe dovuto, ancora una volta, allungare i tempi del suo progetto per il compimento della profezia. Incuriosito, domandò: “Quale sarebbe, di grazia, il mio errore?”

“Credere che Isaia sia ancora in tua balia.”

“Si è consegnato a me, se ora si tirasse indietro, infrangerebbe il patto e, arrivato a questo punto, non credo proprio che lo voglia.”

“Giustissimo, voi avevate contratto un accordo. Quando uno muore, però, è svincolato dalle proprie promesse, si sa: mors omnia solvit, la morte scioglie tutto. Ergo, Isaia, morendo, ha portato a buon fine la propria parte di contratto e ora che è tornato in vita, è liberissimo di fare quel che vuole, senza dipendere da te.”

Stupore e perplessità generali; lo stesso Isaia non era affatto convinto.

Bonifacio ragionò rapidamente, poi sorrise e annuì: “Sta bene. È evidente che siate tutti un branco di loyolisti[1].” si volse agli altri due “Isaia, sei libero. Vai con Gabriel e agite i favore della gente coi poteri: vi osserverò e, sono certo, ci rivedremo presto. Ora andate.”

I due amici furono parecchio stupiti, ma non dissero nulla, fecero per andarsene, ma Jacopo si intromise: “Eh, no! Tu puoi anche lasciarlo andare, ma io no! Io devo uccidere anche lui!” e strinse di nuovo la spada, pronto a colpire.

Stefano fu rapido ad intervenire; gli occhi divennero azzurri, ordinò: “Fermati!”

Il fantasma non riuscì più a muoversi.

Il seminarista, per qualche momento, esitò: non si era ancora abituato al fatto di dare ordini agli spettri e quella sensazione lo stordiva un poco. Si fece animo e disse: “La vendetta non ti salverà! Permettimi di scoprire perché sei intrappolato qui e cosa ti può liberare.”

“Tu mi hai detto che potevo liberarmi sterminando i templari, ora non puoi ritrattare.”

“Invece posso, eccome! In quel momento non mi rendevo conto di nulla e ho assecondato quello che tu credevi, ma non è quella la strada giusta.”

Jacopo calmò la sua ira, ma la sua disperazione aumentò, chiese: “Che cosa devo fare allora? Come posso raggiungere la mia Rebecca?! DIMMELO!!!”

Stefano si concentrò; non sapeva neppure lui che cosa stesse facendo di preciso. Da quando aveva iniziato ad interagire coi fantasmi, si era accorto di poter scrutare in parte dentro di loro e capire che cosa li legava davvero ancora al mondo, tuttavia non sapeva perché e come ne fosse capace.

“Prima di morire, tu e Rebecca non eravate più in sintonia, tu non hai capito lei e il suo animo. Lei ti ha seguito, anche se non approvava quel che stavi facendo e per questo è morta. Non potrai andartene da qua, finché non capirai come mai lei ha avuto pietà di quelli che tu vuoi sterminare.”

Jacopo imprecò, gettò la spada a terra e si allontanò inveendo.

Serventi fu contento nell’avere la conferma che quel ragazzo fosse la Guida; ora che aveva individuato anche lui, oltre all’Eletto e al Princeps, poteva agire con maggior sicurezza.

Gabriel, Isaia e Stefano se ne andarono alla svelta, salirono in auto e partirono rapidamente.

Ci fu un lungo silenzio sull’automobile, finché Isaia non cercò di rompere il ghiaccio, dicendo: “Grazie, Gabriel.” non ci fu risposta “So bene che non mi hai perdonato e, quindi, ti sono ancora più grato.”

L’ex gesuita continuava a tacere; serrava le dita ed era preso da un miscuglio di emozioni. Era ancora furioso con Isaia, condivideva pienamente tutto ciò che Claudia gli aveva detto su di lui, eppure non avrebbe sopportato che morisse, neppure dopo aver saputo di Alonso.

“Sparirò, te lo prometto.”

“Isaia …” provò a parlare Gabriel, ma non aveva idea di cosa dire.

“Cosa?”

“ … … Perché? Perché stavi per farti ammazzare?”

“Lo sai benissimo. Era l’unico modo per evitare che Serventi ti provocasse: se tu ti scatenassi, l’Inferno verrebbe sulla Terra.”

“Posso imparare a controllarmi, non era necessario che tu ti facessi uccidere.”

Isaia sorvolò circa il fatto che non gli sembrava affatto che Gabriel riuscisse a controllarsi. Pure Stefano, tra sé e sé, si disse che il suo maestro era invece sempre più spesso in balia del suo lato oscuro.

“In ogni caso, Serventi avrebbe continuato a perseguitarti a vita. Avrebbe continuamente escogitato nuovi piani per provocarti, avrebbe messo in pericolo la dottoressa Munari, i vostri figli e chiunque ti sia caro. Non avresti potuto avere una vita felice e, invece, te la meriti.”

Gabriel si era commosso: non aveva immaginato che l’amico si stesse sacrificando anche per lui, ma poi un pensiero gli si affacciò e disse: “Contradditorio, considerando che qualche mese fa hai tentato di uccidermi.”

“Gabriel, ti ho visto tormentarti, soffrire, disperarti perché non riuscivi a controllarti e, quando tentavo di aiutarti, tu mi aggredivi. Sono entrato nei templari senza sapere che volessero ucciderti, quando l’ho scoperto per un po’ ho voluto fare il doppiogioco in tuo favore, ma poi … Quando Serventi ha rapito la Munari, tutti quanti ti abbiamo detto di non andare, perché era una trappola per farti scatenare. Tu hai detto di non poter scegliere e di dovere andare da lei. Hai anteposto lei, la tua felicità, alla salvaguardia del mondo. Mi sei sembrato troppo pericoloso. Vargas ha deciso di agire e io non potevo tirarmi indietro; ho pregato Dio perché mi desse un’altra possibilità, ma non l’ho trovata e mi sono arrabbiato con Lui. Ero stravolto, disperato, stretto da moltissimi fuochi. Dopo mi sono reso conto che potevano esserci altre strade, ma in quel momento … Ho sbagliato, lo so, ma tu non mi permettevi di starti vicino e io non sapevo quanto fosse grave o meno la situazione … in quel momento ho scelto la strada più facile e veloce, ma non era la più giusta, me ne sono accorto poco dopo, ma ormai era troppo tardi, ti avevo già tradito.” il templare aveva fatto una gran fatica a parlare, poiché un groppo in gola bloccava spesso le sue frasi.

“Isaia … lo so che mi sei stato vicino e io ti ho respinto. Posso capire perché tu abbia agito così, ma non posso accettarlo. Mi dispiace, ma non riesco a perdonarti, anche se lo vorrei!”

“Te l’ho detto, Gabriel, sparirò e non mi vedrai più.”

“Isaia, io non voglio questo.” Gabriel era affranto.

“E allora cosa vuoi? Dimmelo! Mi hai riportato in vita, ti devo tutta la mia riconoscenza, che cosa vuoi che faccia?”

“Non lo so … Vorrei che le cose tornassero come erano una volta … te l’ho detto anche nella cripta, ma tu hai risposto che non si può tornare indietro, che nulla sarà più come prima …” era molto triste, confuso, quasi disperato; urlò: “Io rivoglio il mio amico!”

“Gabriel, è vero. Non si può tornare indietro, si può sempre e solo andare avanti. Non possiamo fingere che non sia successo nulla: ignorare i fatti è una pessima cosa. Possiamo solo arricchirci con essi. Possiamo renderli la causa del nostro addio, oppure trovare in essi la forza per dare nuovo vigore alla nostra amicizia. Le crisi, i contrasti, servono a questo, in fondo: eliminare ciò che non vale e accrescere ciò che merita. So di averti ferito, di averti deluso e non so come poter rimediare, forse non potrò mai fare ammenda. Io mi sento sconfitto da quest’esperienza: ho perso tutto e probabilmente non ne valeva la pena, poiché la salvezza era altrove.”

Isaia, in realtà, stava un po’ esagerando il proprio sentire, perché voleva il perdono dell’amico.

“Hai sempre agito per il mio bene, in fondo.” ammise Gabriel “Spesso faccio fatica a capirlo subito. La questione dell’archivio e delle foto … beh, avevi ragione: dovevo imparare che Demetrio non ci sarebbe sempre stato per proteggermi e coprire i miei errori. Negli ultimi mesi ho preteso che tu potessi difendermi davanti al Direttorio, esattamente come faceva lui, ma tu me l’hai detto che non avevi la sua stessa influenza … io non lo accettavo e ho continuato ad agire di testa mia; suppongo che questo ti abbia messo in difficoltà.” sospirò “Il volere uccidermi, però …”

“Gabriel, a livello personale mi dispiace tantissimo, ma io non potevo anteporre te, o il mio affetto, alla salvezza del mondo. Lo capisci, questo? Se fossimo riusciti ad ucciderti io avrei avuto la sofferenza nell’animo per tutta la vita.”

“Se posso intromettermi” disse Stefano, che stava guidando “Gabriel, potresti considerare il suo tentativo di ucciderti come un modo per evitare che tu ti scatenassi e, dunque, irrimediabilmente condannassi la tua anima all’Inferno.”

Gabriel sorrise per quel tentativo di spezzare una lancia in favore del templare. Pensò, ragionò e infine esclamò: “Accidenti! Come posso essere in collera con te per aver cercato di uccidermi, quando poi tu sei stato disposto a sacrificare te stesso? Tu sei stato pronto a morire, mentre io no. Nella cripta, per qualche momento, mi avevate convinto che fosse meglio ch’io morissi, per il bene di tutti, ma poi ho avuto paura e mi sono tirato indietro … e così ho spinto te a sacrificarti per il mondo e per me.” finalmente era riuscito a pacificarsi “Basta! Basta ostilità! Isaia, ti perdono: sei il mio migliore amico e lo sarai per sempre. Torna in Congregazione, lavoreremo assieme!”

“Volentieri” sorrise Isaia, contento “Grazie, fratello. Grazie di tutto.”

 

 

Nota dell’Autrice: ci tengo a specificare che questo capitolo in parte trae spunto a una ruolata fatta con altre persone.

Ne approfitto per ringraziare tutti voi lettori che dedicate il vostro tempo alle mie storie.

Ringrazio soprattutto chi commenta qui o in privato; i commenti e le osservazioni sono sempre ben accetti, anzi, per me le vostre impressioni sono molto importanti anche per lo sviluppo della storia. Io ho in mente la trama a grandi linee, ma ho anche molti bui da dovermi chiarire, per cui se qualcuno ha delle richieste, può esprimerle e io cercherò di accontentarle.

Grazie a tutti di tutti e a presto!



[1] Loyolista, termine spregiativo per dire Gesuita, in riferimenti al fondatore dell’ordine Sant’Ignazio di Loyola.

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Capitolo 23
*** Il ritorno di Isaia ***


Stefano portò i due amici a casa propria e li fece dormire uno nella camera degli ospiti e l’altro sul divano. Era tarda notte e quello era l’unico posto in cui potevano fermarsi a riposare; insomma, Claudia non sarebbe stata particolarmente entusiasta se alle tre di notte Gabriel fosse rientrato portandosi dietro Isaia; inoltre l’ex gesuita aveva lasciato la moto parcheggiata nel cortile di casa del discepolo.

Il mattino seguente, si svegliarono che erano già passate le dieci, decisero di fare colazione rapidamente in un Caffè lì vicino, poi di nuovo in automobile per raggiungere casa Morganti. Dopo tanti mesi di lontananza e preoccupazione, era il minimo che Isaia potesse rivedere i genitori e tranquillizzarli e, soprattutto, potesse far sapere alla sorella di essere vivo.

Quando arrivarono, aprì loro la donna delle pulizie e, poi, il primo famigliare che incontrarono fu Demostene, il fratello minore. Quale gioia per il ragazzo nel rivedere il fratello maggiore! Corse ad abbracciarlo e gridò: “Giudì! Giudì! Isaì è tornato!”

Si sentì un tonfo provenire da una delle stanze di sopra, poi passi di corsa scendere le scale e presto ecco la ragazza che si precipitò ad abbracciare il fratello, con le lacrime agli occhi.

“Dove sei stato? Perché non ci hai detto nulla?” si affrettò a chiedere Demostene.

Isaia non aveva studiato una giustificazione da dire alla propria famiglia, per cui improvvisò: “Ho dovuto fare un lungo pellegrinaggio a piedi e mi ero imposto il voto del silenzio per tutta la sua durata.”

“Oh, potevi però avvisarci prima! Siamo stati preoccupatissimi!” replicò il ragazzo, che era entusiasta “Va beh, fa nulla, l’importante è che sei tornato sano. Vado a telefonare a mamma e papà! Aspettami, non muoverti!”

Demostene si precipitò al telefono, nella stanza accanto. Giuditta, allora, chiese sottovoce come fossero andate le cose. Le raccontarono rapidamente quel che era successo e, soprattutto, quale stratagemma aveva escogitato Stefano per salvare Isaia e liberarlo dal patto. La donna guardò con estrema gratitudine il seminarista che ricambiò sorridendo: si sentiva soddisfatto nel vederla così felice.

Demostene tornò e annunciò che entrambi i genitori, appena appresa la notizia, avevano deciso di uscire dal lavoro e precipitarsi a casa per riabbracciare il figlio.

Giuditta allora disse: “Vado a mettere su il tè, ce n’è bisogno. Demi, resta tu con loro. Stefano, potresti farmi compagnia di là in cucina, per favore?”

Il giovane acconsentì. Mentre l’acqua si scaldava nel bollitore, la donna si voltò verso il ragazzo, lo guardò, poi gli si avvicinò e si strinse a lui, appoggiando il viso sulla sua spalla. Era commossa: “Grazie, grazie, grazie davvero! Io … Grazie. È stato bellissimo quel che hai fatto … io ero già disperata, rassegnata e tu, invece … è come se avessi salvato anche la mia vita!”

“Oh, credimi, l’ho fatto molto volentieri, è stato un piacere.” rispose lui, un poco sorpreso che la ragazza si comportasse così; ovviamente lui si era aspettato gratitudine, ma non manifestata così affettuosamente.

Giuditta sollevò il volto, lo guardò negli occhi, premette le proprie labbra sulle sue e lo baciò.

Come le altre due volte che era capitato, Stefano non rifiutò, né rimase passivo, ma dopo osservò, velatamente ironico: “Non mi pareva di essere agitato e di aver bisogno di endorfine.”

“È l’unico ringraziamento che mi è venuto in mente.” si giustificò lei, che poi si mise a rovistare negli sportelli per tirare fuori il necessario per servire il tè.

Stefano non ne era certo, ma gli parve che l’imbarazzo, questa volta, fosse più della ragazza e non suo.

Presto arrivarono sia Agenore che Ester, la madre, anche loro travolti dall’entusiasmo di riabbracciare il figlio e di saperlo sano. Il padre, dopo la prima gioia, tentò di farsi severo e rimproverarlo, ma non vi riuscì. Tra una cosa e l’altra, finì con l’invitare tutti quanti a pranzo fuori, per festeggiare. Gabriel avrebbe voluto accettare, ma declinò l’offerta perché non voleva far preoccupare Claudia più di quanto probabilmente non fosse già. Stefano, allora, si sentì un poco a disagio: non voleva essere un intruso, dato che era l’unico estraneo alla famiglia, ma Giuditta insisté e lo convinse a fermarsi.

La famiglia Morganti, quindi, si mobilitò per andare al ristorante, dopo aver avvisato il resto dei parenti stretti. Giuditta salì in macchina con Stefano e furono incaricati di passare a prendere sia Aronne che la zia Naomi; il ragazzo fu quasi terrorizzato all’idea di rivedere quella donna.

Il nonno, che fu il primo a salire, si fece raccontare subito come fossero andate realmente le cose e ne fu molto contento; si era portato dietro una cartella di pelle. La zia, invece, cominciò subito a fare osservazioni maliziose circa la presenza di Stefano. A tavola queste osservazioni giunsero alle orecchie di Agenore che accantonò un poco la questione del figlio ritrovato, per fare un approfondito interrogatorio al giovane: nome, cognome, età, famiglia di provenienza, lavoro dei genitori, club o società cui fosse iscritto, sport, hobby, strumenti musicali; quando arrivò alla domanda sugli studi e scoprì che Stefano era seminarista, sia Agenore che Naomi persero ogni interesse per lui.

Giuditta, che aveva cercato in tutti i modi, inutilmente, di fermare quell’interrogatorio, si scusò con l’amico per l’accaduto; Stefano, pur riconoscendo l’irruenza dei modi, era rimasto in fondo divertito. Essendo un pranzo in piena regola, con tante portate, tra il primo e il secondo i due giovani uscirono per fare due passi e la donna ebbe di nuovo occasione di esprimere e dimostrare tutta la sua gratitudine all’amico. Stefano, dal canto proprio, era felicissimo di vederla così contenta ed era ancor più soddisfatto perché sapeva che quel sorriso e quella gioia erano merito suo.

Isaia fu al centro dell’attenzione di tutti, ovviamente, e fu tempestato di domande e lui dovette improvvisare le motivazioni e i racconti del suo pellegrinaggio; cercò, tuttavia, di rimanere, in un certo senso, abbastanza fedele a quel che gli era realmente accaduto, prendeva episodi vari e li ricontestualizzava.

Tra una chiacchiera e l’altra, tra una portata e la successiva, si arrivò quasi a sera e i parenti iniziarono a congedarsi. Aronne chiamò da parte Isaia e Giuditta e consegnò loro la cartella di pelle che si era portato dietro e disse: “Questi sono i diari di mio padre, sono certo che li troverete estremamente interessanti.”

“Grazie, nonno!” esclamò Giuditta, che si era dimenticata di averli chiesti.

Isaia non capiva ma, appena ragguagliato, fu molto contento e curioso anche lui. Il maggiore tenne la cartelletta e la sorella si raccomandò di non leggere nulla senza di lei.

La ragazza salì di nuovo in auto con Stefano per riaccompagnare Aronne a casa (Naomi si era fatta venire a prendere da uno spasimante).

Tornati poi a casa Morganti, rimasti i due ragazzi soli in cortile, Stefano decise di guastare un poco l’atmosfera di festa, chiedendo: “Giuditta, tu sai che cosa esattamente stia accadendo a Gabriel?”

“In che senso?”

“La questione della profezia, di essere l’Eletto e non so che altro. Gabriel sta cambiando, me ne sono accorto; ogni tanto ha dei momenti di aggressività e odio ed è davvero spaventoso, non sembra neppure lui!”

Giuditta si preoccupò e chiese: “Spiegati meglio, per favore.”

“La notte scorsa, ad esempio, mentre gli uomini di Serventi massacravano i templari, io ero inorridito, Gabriel invece guardava come estasiato e approvava pienamente quel che stava accadendo. Per un momento ho avuto paura che si unisse a loro nella strage … D’altronde, quando si stava progettando l’affrontare della setta di Malpas, Gabriel aveva pensato di usare il suo potere contro di loro e mi ci era voluto un po’ per riuscire a dissuaderlo. Ah! Un’altra cosa: in quelle occasioni lui aveva gli occhi rossi. Non arrossati, intendo dire che proprio le sue iridi erano rosse. Io non capisco che gli succeda, non so nemmeno se è davvero lui, oppure no. Io provo stima per l’uomo mite, comprensivo e Gabriel è quasi sempre così, però ha questi momenti di ira e io non so come interpretarli.”

Giuditta sospirò e disse: “Non c’è molto da dire. È una persona come le altre, anche lui si arrabbia, anche lui soffre. Lui è capace di amare profondamente le persone, specialmente quelle che sente a sé simili o che vede sole, in difficoltà; si affeziona agli altri, vuole che stiano bene e non può sopportare di vederli soffrire, non può tollerare le ingiustizie … per questo si arrabbia e reagisce in quel modo: vuole proteggerli. Si lascia, però, travolgere da queste sensazioni e i risultati … beh, li hai visti.”

“Quindi il fatto che lui soffra e si arrabbi fa sì che gli diventino gli occhi rossi e che voglia uccidere e demonizzare?”

“Non proprio. Diciamo, piuttosto, che per ora non riesce ad attingere a quel suo potere, se non quando è irato. Il fatto che non abbia disapprovato la morte dei templari, però, non è dovuto al suo potere, ma unicamente a sé stesso. È complicato da dire. Il suo potere è una capacità e non determina il suo essere buono o cattivo, così come il suo essere buono o cattivo non determina il suo potere.”

“Per cui il suo comportamento è una sua scelta, è il suo essere, non è influenzato da altro.” Stefano pareva molto rattristato e deluso per questo.

“Si può dire, però, che l’uso o l’avvicinarsi a quel potere sia una sorta di droga per lui. Insomma, la forza, il potere inebria sempre la gente, è difficile imparare a controllarsi e moderarsi. Gige, quando trovò l’anello dell’invisibilità, compie furti e assassinii perché sa di non poter essere scoperto; così chi ha dei poteri, spesso ne abusa perché sa di essere superiore e non poter essere fermato. Capisci quel che intendo?”

“Penso di sì.”

Stefano salì in automobile. Giuditta rifletté un poco e poi decise di dire: “C’è un’altra cosa che devi sapere.”

“Quale?”

“Antinori non è il solo in queste condizioni. Sia tu che mio fratello avete dei poteri celati che ancora non conoscete. Se inizieranno a manifestarsi, allora potreste trovarvi anche voi a dover resistere alle tentazioni e al richiamo del Caos.”

“Cosa?!” sobbalzò Stefano, incredulo “Io … che? Perché?”

“Riuscire a dominare e guidare i fantasmi non ti ha fatto venire il dubbio di essere qualcosa di speciale?”

“Beh, sì, ma pensavo fosse come le altre persone coi poteri di cui si occupa la Congregazione.”

“È qualcosa di più. Te ne parlerò un’altra volta.”

“Un’altra volta? Non mi puoi dire una cosa del genere e poi rimandare le spiegazioni!”

“Devo trovare le parole adatte a spiegare.” tagliò corto lei e chiuse la portiera.

Stefano abbassò il finestrino e protestò: “Non puoi credere che la conversazione finisca così.”

Giuditta, allora, si chinò su di lui, lo baciò e gli disse: “Non avrai nulla di diverso. Se insisti a domandare, questa è la sola risposta che otterrai.”

Il seminarista scosse il capo con disappunto, salutò e se ne andò.

 

 

Gabriel rientrò in casa prima di pranzo, portando con sé un mazzo di fiori per farsi perdonare di essere sparito per così tante ore. Claudia, infatti, appena lo vide, lo abbracciò ma poi si fece alquanto severa e gli chiese spiegazioni.

Gabriel era un poco in imbarazzo, poiché sapeva benissimo di essere andato completamente contro al volere della donna.

“Sono andato a salvare Isaia.”

“Cosa?!” Claudia sgranò gli occhi.

“Con Stefano.”

“Ah, suppongo che fosse d’accordissimo.” era sarcastica “Pure lui ha capito fin da subito che di Morganti non c’è da fidarsi! È palese a tutti, perché a te no?”

“A dire il vero, è stato lui a venire da me a chiedermi di aiutarlo a salvare Isaia.”

La psicologa rimase spiazzata per qualche momento, poi ripartì alla carica: “Scommetto che è colpa di Giuditta! Quella ragazza ha una pessima influenza su Stefano, dovrebbero stare lontani; sono quasi certa che lei abbia manipolato la testa del tuo povero allievo!”

“No, Claudia, ciò che ha mosso Stefano è stata la misericordia cristiana e ciò che ha mosso me è stato l’affetto.”

Misericordia cristiana, bah! Viene applicata solo al clero, mentre i laici vengono solo condannati.”

“Lascia stare questi luoghi comuni, per favore!” Gabriel cercò poi di spiegare con calma: “Non devi considerare Isaia un nemico: lui, dopo di te, è la persona che mi vuole maggiormente bene. Siamo cresciuti assieme, devi capirmi!”

“Non credevo ti stesse poi così simpatico. Da quando mi hai conosciuta, hai sempre preferito avere me come aiuto nelle tue verifiche.”

“Sì, certo, ma Isaia lo vedevo lo stesso quotidianamente, anche senza lavorare direttamente sul campo. Ad ogni modo, questa non è una guerra tra te e lui! Lui è il mio migliore amico, tu sei la donna che amo, non deve esserci conflitto!”

“Non puoi sceglierti un migliore amico che ti sia fedele e leale? E che non abbia la mente ferma al medioevo?”

Gabriel sospirò, abbracciò la donna per farle sentire la sua presenza e il suo amore, poi le spiegò: “È vero, in passato ha anteposto il suo dovere all’amicizia, però devi considerare questo: lui avrebbe potuto continuare a cercare di uccidermi, invece ha deciso di offrire la propria vita a Serventi, per permettere a me e a te di vivere felici e tranquilli, senza che il Candelaio ci perseguiti.”

“Non mi pare sia morto.” replicò lei acidamente.

“Adesso ti racconto.”

“D’accordo.” si rassegnò la psicologa “Ma, se ti tradirà di nuovo, non ti lamentare con me, perché io ti ho avvertito!”

 

Il giorno seguente, in Congregazione, ci fu un gran stupore nel vedere Isaia entrare e aggirarsi per i corridoi, benché, a parte il Direttorio, nessuno sapesse della sua defezione. Il gesuita e la sorella andarono subito nello studiolo di Alonso, dove avevano deciso di trovarsi con anche Gabriel per decidere a grandi linee come procedere.

Il bibliotecario fu molto contento di rivedere Isaia, lo abbracciò e si scusò per essere stato così brusco, l’ultima volta che si erano parlati.

“Figurati, capisco bene che la mia confessione ti abbia ferito.”

“Vero, non vedevo la situazione muy grave como te.”

“Ero molto stressato in quel periodo, ricevevo pressioni da tutte le parti: il Direttorio, Vargas, Gabriel che si disperava e scaricava su di me il suo malumore, Serventi che sottolineava la pericolosità della profezia e mille altre cose. Non hai idea di come mi sentissi soffocare! Non avevo nessuno con cui confidarmi e a cui chiedere consiglio.”

“Potevi chiedere a me, hermano.”

“Grazie, Alonso, ma anche tu vedevi soltanto il lato migliore di Gabriel. L’hai sempre visto lucido e tranquillo; non sarebbe stato affatto semplice spiegarti le sue crisi, i suoi tormenti. Io ho visto quello che potrebbe diventare … Basta, non ne parliamo, adesso quel pericolo è ormai lontano.”

Spero- aggiunse nella sua mente.

“Como sono stati esti giorni, prigioniero de Serventi?”

“Splendidi, è un uomo raffinato e squisito. Beh, a parte i primi giorni in cui mi ha fatto torturare.”

“Eh! Como il mi amigo Pedro!”

Isaia si fece cupo: gli tornarono in mente le immagini della strage di templari e, benché fosse convinto che era stata giusta e necessaria, provò amarezza.

Gabriel arrivò presto con Claudia, che aveva un’espressione molto severa e subito fulminò con lo sguardo i fratelli Morganti.

Dopo i saluti Gabriel iniziò a parlare: “Come Alonso e Claudia sanno bene e come Isaia può immaginare, per me essere a capo del Direttorio è soprattutto un peso, specialmente ora che voglio concentrarmi maggiormente sull’aiutare la gente dotata di poteri. Ho pensato a lungo e ieri finalmente ho avuto un’idea che voglio condividere con voi e spero la riterrete attuabile. Vorrei che, in un certo senso, la Congregazione si sdoppiasse o dividesse in un organo prettamente legato all’aiuto delle persone con poteri e un altro concentrato sui fenomeni di natura divina e demoniaca. Ecco quel che intendo: una volta effettuate le verifiche e stabilita la natura del fenomeno, il caso viene assegnato alla sezione di competenza che se ne occuperà. Credo che questo sistema sia più efficace e possa limitare i casi di incomprensione del fenomeno e, inoltre, permetta un approccio più umano e idoneo con la gente dotata. Insomma, si potrebbe dare loro un’adeguata assistenza, preparare percorsi personalizzati, aiutarli al meglio. Dare loro le giuste attenzioni e possibilità, senza che ciò tolga forze alla lotto contro le manifestazioni demoniache. Voi che cosa ne pensate? È fattibile?”

Isaia si tolse gli occhiali, ragionò rapidamente e disse: “È una riforma molto complessa, ma è necessaria.”

“Ah, distinguerli nettamente dai veri mostri, mi pare il minimo!” esclamò Claudia.

“A me va bien todo, dime solo cosa devo fare e non c’è problema.”

Gabriel annuì tra sé e sé, lieto dell’appoggio, poi disse: “Molto bene. Nell’idea che ho in testa, io mi occupo della sezione riguardante la gente coi poteri, è ovvio, e vorrei che Claudia si occupasse a tempo pieno ad aiutare queste persone.”

Il viso della psicologa si illuminò e domandò: “Mi stai chiedendo di lavorare assieme a te sempre?”
“Sì, se per te va bene.”

“Certo! Ne sono felicissima!” abbracciò l’amato “Sono sicura che assieme potremo fare tantissimo per tutti loro!”

“Ne sono certo anch’io.” rispose Gabriel, prima di baciarla.

“Chi se ocuperà, invece, de l’oculto e de i demoni?” chiese Alonso che supponeva sarebbe stato ciò che avrebbe più spesso coinvolto le sue ricerche in biblioteca.

Gabriel si ricompose e seriamente rispose: “Isaia, mi piacerebbe che te ne occupassi tu.”

“Io?”

Il gesuita si meravigliò della fiducia accordata così rapidamente, dopo tutto quello che era stato.

“Sì: senza dubbio sei tu il più indicato per occuparti di ciò che riguarda il demonio. Perfino Demetrio, che di certo non ti aveva in simpatia, ha dovuto ammettere che sei uno dei maggiori esperti in materia, quindi chi meglio di te può occuparsene?”

Isaia avanzò, appoggiò una mano sulla spalla dell’amico e gli rispose: “Ti sono molto grato. Farò del mio meglio per non deluderti.”

“Sono certo che non lo farai. Ora dobbiamo solamente spiegarlo al Direttorio … ovviamente dopo aver spiegato come sei tornato tra di noi. Erano piuttosto contrariati per la questione dei templari e li consideravano una minaccia, quindi diremo che Sartori ti aveva incaricato di infiltrarti tra di loro per sabotarli e annientarli e così hai fatto. Dovrebbe filare come ragionamento e dovrebbero crederci, Sartori è morto a causa dell’attacco in Congregazione, per cui non può smentire.”

“A dire il vero monsignore non è morto, è anche lui tra i templari … beh, sì, è morto comunque, ora.”

“Bene, allora prepariamoci a parlare col resto del Direttorio, almeno del tuo ritorno. La riunione sarà tra mezz’ora.” concluse Gabriel.

 

Nel frattempo, in una piccola chiesetta assai lontana da Roma, quel pugno di templari che era riuscito a mettersi in salvo, stava consumando un pasto frugale, discutevano tra di loro sul da farsi e non sembravano riuscire a raggiungere un accordo. Sartori rimaneva in silenzio, pensieroso: sapeva benissimo che lui e gli altri superstiti si erano salvati solo grazie al potere dei gesuiti che collega le loro menti e li rende più forti di persone normali. Era grazie a ciò che erano riusciti a liberarsi da ciò che li teneva immobilizzati. Alla fine esclamò: “Fratelli, è inutile che ci lamentiamo. Siamo stati traditi, i nostri altri fratelli sono morti, questo prova lo strapotere del Candelaio e la minaccia che incombe sulla Chiesa, ma noi non possiamo stare qui a piagnucolare e a disperarci, è nostro preciso dovere reagire e trovare la maniera di contrastare questo pericolo.”

“E come? Siamo rimasti pochissimi!”

“Noi non siamo i soli. Sentivo che c’era qualcosa di sospetto e mi sono premurato di avvisare alcuni, affinché non si presentassero alla riunione. Ci ricongiungeremo con loro, ma il nostro numero non conta.”

“Cos’hai in mente?”

“Ricordate le armi che abbiamo a disposizione?”

Silenzio. Un gelo riempì la stanza. Lo stupore e il timore erano palpabili.

“Sei sicuro? È molto rischioso … Non l’abbiamo mai usate.”

“Lo so. Vedete, però, che i tempi lo richiedono. Antinori potrebbe trasformarsi e il Candelaio è inarrestabile. Quelle sono la nostra sola possibilità.”

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Capitolo 24
*** Il Tredicesimo Apostolo ***


“Io credo in Satana, l’eunuco impotentissimo distruttore del cielo e della terra. E nell’anticristo, suo unico aborto, nostro futuro persecutore. Che sarà concepito dalla menzogna, nascerà da una religiosa prostituta, regnerà e vivrà nelle delizie al di sopra dei re della terra, crocefiggerà l’ultimo profeta e lo farà morire. Farà venire sulla terra. Dopo un tempo di tempi e la metà di un tempo, egli ridiscenderà all’inferno per sedersi alla sinistra di Satana e per essere il carnefice dei vivi e dei morti. Io credo allo spirito dello scisma, all’impura Chiesa demoniaca, alle correnti simpatetiche della corruzione e del male, all’eterna punizione dei peccati, alla morte eterna della carne e alla tomba senza speranza.”

Chi oserà scrivere AMEN dopo un simile simbolo? Eppure, quale cattolico oserà rigettarlo e dire che non ci crede? Che potenza è questa che nessuno oserebbe né ammettere, né negare?

I sapienti concordarono nel concluderlo con la parola ABSIT: sia lontano.

La Verità è però altra.

Il cattolicesimo non è che un manicheismo travestito; non esistono un Dio buono e un Dio cattivo. Dio è uno e al di sopra di tutto; al massimo vi sono solo Spiriti Divini e Spiriti Caduti (Angeli e Demoni). Bene e Male sono nella creatura, ma sono estranei al Creatore. Anzi! Il Creatore non è Dio, ma una delle sue emanazioni. Il Creatore e Satana sono il Bene e il Male in conflitto tra loro. Il Creatore è Colui che tende a Dio, Satana è la sua ombra, il suo rovesciamento. Gli adoratori del Bene e gli adoratori del Male sono entrambi idolatri. I Dodici, pur ascoltando il Verbo, non conobbero la Verità e i loro altari sono eretti per il Creatore, per il Bene, ma non per Dio. Il Cristo, che non era figlio del Creatore, bensì emanazione prima di Dio, rivelò la Verità a due soli dei suoi discepoli: suo fratello Giacomo, detto il Giusto, da cui la mia famiglia discende, e Giuda Iscariota a cui affidò il compito di consegnarlo all’ingiustizia umana, affinché il piano divino potesse compiersi.

Tra i manoscritti del mio antenato Giacomo c’è anche un testo chiamato: Dialogo tra il Maestro e Giuda. In esso viene detto che gli Undici avrebbero trovato un sostituto per sostituire Giuda nel numero dei Dodici, in modo che l’Iscariota potesse essere il Tredicesimo Apostolo.[1]

Egli vide in sogno la fede nel Creatore trasformarsi nel culto di Satana, vide il drago sedere nella Cattedra di Pietro (proprio come poi scrisse Papa Leone XIII) e, chiedendone al Maestro il significato, Gesù gli disse che la Chiesa dei Dodici alzava l’altare a un falso Dio, seppur buono, dunque sarebbe stata inevitabilmente corrotta e avrebbe dovuto cadere. Giuda sognò anche i Dodici che lo lapidavano; il Maestro allora gli spiegò che la futura Chiesa avrebbe perseguitato anche coloro che avrebbero conosciuto la Verità. Quella Verità conosciuta e tramandata solo da Giacomo il Giusto e Giuda Iscariota.

Tra gli eretici, i pazzi, le streghe, i visionari, i maghi, gli scienziati mandati a morte dall’Inquisizione c’erano dunque anche veri e propri saggi, uomini e donne che si erano accostati al vero Dio, superando gli idoli del bene e del male.

 

Le dinamiche del progresso sono sempre le medesime: il male precede ogni volta il bene.

Così avverrà anche per il rinnovamento, la rigenerazione tanto attesa. Affinché Cristo o, almeno, il Bene torni sulla Terra, è necessario che prima su di essa discendano le tenebre e che l’anticristo ne faccia il suo regno, portandovi l’Inferno. Un grande male attrarrà un sommo bene.

Quando verrà l’anticristo? Nel secolo del Giudizio.

Quando avverrà il Giudizio? Dopo tre secoli e mezzo di anticristianesimo.

Quando l’anticristianesimo avrà inizio? Mah … L’unica certezza è che sia iniziato con Giordano Bruno. Alcuni prendono come riferimento la sua nascita; Eliphas Levi predilige l’anno della sua morte; a me piace porlo nel 1589, quando ricevette la scomunica dalla terza Chiesa Cristiana.

Perché Giordano Bruno? Poiché egli discendeva da Giuda, lui era l’erede del Tredicesimo Apostolo.

Essendo noi nel 1941, ci troviamo già nel secolo del Giudizio, almeno a mio credere.

Chi è nella Verità sa come agire per l’Armonia, al di là del Bene e del male.

 

Queste erano alcune delle riflessioni teologiche contenute nei diari di Nathaniel; queste furono quelle che colpirono maggiormente Isaia. A parte la questione del secolo del Giudizio e della nuova venuta del Signore così vicina, erano tutte cose che aveva già letto anche nei testi di Giacomo il Giusto, ma ugualmente gli rimasero particolarmente impresse.

Trattandosi di diari, leggendoli, Isaia e Giuditta trovarono molte informazioni personali sulla vita del bisnonno, quindi cercarono di saltare le pagine sulla vita privata e cercare solo quelle riguardanti i templari, la setta del Candelaio e Serventi.

 

Per mesi ho studiato le mosse del Candelaio per scoprire quale fosse il suo vero quartier generale e non una delle sue tante sedi. Credo di averlo finalmente individuato: Villa Palombara. Incredibile, lo so, ma è così.

 

Terence è sempre più aggressivo: lui e i suoi hanno iniziato ad attaccare gente dotata senza l’autorizzazione del nostro Consiglio. Dovrò prendere provvedimenti.

 

Ho passato un anno in studi e tentativi, è stato molto difficile, ma finalmente ce l’ho fatta: finalmente so come aprire quella porta! Non vedo l’ora di attraversarla e scoprire così i segreti del Candelaio: lo avrò finalmente in pugno. L’unico ostacolo che rimane sono i due guardiani.

 

Stanno diventando sempre più numerosi quelli che, tra i miei templari, cercano solo di far scorrere il sangue della gente dotata. Fatico sempre più a gestirli. Terence sta riscuotendo fin troppo successo, in molti lo appoggiano.

 

Ho varcato la Porta, solo ovviamente, i templari non avrebbero compreso, ormai non mi sento neppure più di chiamarli “miei” sono così distanti e ingovernabili.

La visita al quartier generale del Candelaio è stata particolarmente fruttuosa. Non ho trovato ciò che cercavo, ma ho trovato di meglio. Sapevo già che Serventi fosse un adepto della Scienza Sacra, ma questo dettaglio è quasi una sciocchezza a confronto di ciò che ho scoperto ora. Se prima provavo stima e rispetto per un degno avversario, ma la mia avversione nei suoi confronti rimaneva altissima, ora non lo è più. Nutro ammirazione per lui, adesso, e mi pare di vedere in lui quasi un fratello o, per lo meno, un compagno nella medesima sorte.

Questo viaggio è stato fondamentale e mi ha mostrato ciò che ancora mi sfuggiva della Verità.

Serventi non è un servo del Caos o del suo Ego, come credevo, ma è un leale uomo di Dio. Lui ha visto ciò che a me è finora sfuggito: credevo che questa Chiesa, pur adorando il Creatore, fosse nel giusto, invece non è così, ormai essa è diventata nemica dei propri stessi insegnamenti, non è più rischiarata dalla luce di Dio. Dogmi, forme è su questo che si regge. Ci sono anche molti uomini buoni nel suo seno e, proprio perché sono tali, non vanno lasciati intrappolati in essa, ma devono essere tratti verso la Verità.

La Chiesa ha fatto il suo tempo, è ora che i suoi altari cadano in attesa del nuovo Messia. Il Messia, però, giungerà solo dopo il dominio dell’anticristo. Bonifacio lo sa bene ed è questo che sta facendo, sta permettendo il compiersi della profezia del cristianesimo: la caduta è necessaria per il ritorno di Cristo.

Il comprendere la sua missione, che inizio quasi a sentire anche un po’ mia, non è stata l’unica cosa che ho scoperto. Non a caso Bonifacio conosce così approfonditamente la Verità: lui è figlio di Giordano Bruno, è dunque della stirpe di Giuda, è l’erede del Tredicesimo Apostolo.

Io discendo da Giacomo, lui da Giuda, siamo i depositari della Rivelazione di Gesù, anzi lui l’ha conservata meglio; come posso considerarlo ancora un nemico? Non è forse il mio alleato ideale? Essere i principali detentori di una conoscenza, non ci affratella in un certo senso? Continuerò a guidare i templari, ma non mi opporrò più a lui.

 

I templari sono sempre più insistenti nel chiedermi perché stiamo trascurando il Candelaio. Non ho certo detto loro che ho rinunciato a quella lotta: non capirebbero. Sono irrequieti, impazienti.

 

Terence e cinque suoi fedelissimi mi hanno preso in disparte e mi hanno detto che devo rimettermi in carreggiata, se voglio continuare ad essere Magister Templi. Penso di dimettermi. Ormai siamo già entrati nel secolo del Giudizio e questa tremenda guerra che c’è in atto a livello mondiale rende triste la mia famiglia, ovviamente, è giusto ch’io rimanga con mia moglie e mio figlio e che la smetta di perdere tempo con i templari, con una missione in cui non credo più.

 

Terence dice che non posso dimettermi, è stato molto minaccioso. Temo abbia qualcosa di pericoloso in mente. Spero che lasci mia moglie e Aronne fuori da questa faccenda.

 

Con queste note di preoccupazione si chiudeva l’ultimo dei diari.

“Che cosa credi sia successo?” domandò Giuditta, terminate le letture.

“I templari sostengono che il bisnonno sia stato ucciso dal Candelaio ma, a questo punto, mi pare improbabile.”

“Perché? Anche se per qualche mese Nathaniel aveva lasciato perdere Serventi, non è affatto detto che lui avesse rinunciato alla guerra coi templari.”

“Questo Terence non mi convince, io credo sia stato lui. A parte questo, tu ci credi a tutto il resto?”

Isaia era molto serio, tutte quelle rivelazioni lo avevano molto turbato, erano penetrate facilmente nel suo animo e si erano depositate in esso.

“Al vangelo di Giuda? Perché è di quello che si tratta. Certo che ci credo. Ho avuto la fortuna di leggerne una delle prime copie scritte e anche tu, grazie ai documenti ereditati da Giacomo. Che Serventi sia un erede di Giuda non lo so.”

Nathaniel ne era convinto ed è una cosa che ha scoperto da solo, non gli è stata detta da Bonifacio.”

“Non lo so, ma non me ne importa nulla. Avere un antenato importante non dà alcun diritto o garanzia. Anche la zia Naomi discende da Giacomo il Giusto ma non è certo un esempio di vita armoniosa. Hai idea di quanti discendenti di Giacomo o Giuda possono esserci nel mondo? Migliaia!”

“Bonifacio, però, è un adepto della Scienza Sacra. Mentre alloggiavo presso di lui ho potuto continuare i miei studi, seppur lo scrigno di Giacomo fosse lontano, grazie ai libri che lui mi ha prestato. Erano le stesse conoscenze tramandate dal nostro antenato, le stesse di cui parla Nathaniel nei suoi diari!”

“Lo so, Isaia, lo so. So anche che siamo nel secolo del Giudizio e che presto ci sarà l’Avvento del Signore.” era piuttosto agitata “Serventi, però, non crede nel ritorno di Gesù e nella sua salvazione, lui ritiene che ci sarà la fine di un ciclo e l’inizio di un nuovo e che tutto sarà deciso prettamente dalle nostre azioni. Non è la venuta del Regno dei Cieli, è la distruzione di un vecchio mondo che verrà ricostruito secondo il volere dei superstiti e dei vincitori. È questo che crede Serventi, è questo che vuole! E io non so se abbia ragione lui oppure no. Io sono in crisi per questo, non so a cosa credere.”

“In che senso?” si stupì il fratello.

“Credo che abbia ragione, ma ciò mi spaventa. Se Dio è estraneo a questo mondo, se la nostra pienezza può compiersi solo liberandoci da tutto ciò che ci ancora a questa dimensione, corpo, desideri, ego … perché mai Dio dovrebbe interferire con ciò che qui accade? Perché dovrebbe intromettersi nella lotta tra il Creatore e Satana? Lui è quiete, è al di sopra di tutto ciò … Mi viene davvero da credere che il ciclo che sta per cominciare sarà determinato dagli uomini, al massimo da spiriti divini o caduti, ma non da Dio. Tutto questo mi spaventa, mi pare lasciato troppo in balia del caos.”

Isaia pensò un poco, cercò di dare conforto alla sorella che vedeva parecchio turbata da quel dubbio.

“Sai che io credo fermamente nel libero arbitrio, giusto?” cominciò a dire lui “La libertà che ci viene concessa è il mezzo che abbiamo per migliorarci, per elevarci, per dire no al male e tendere al bene. La libertà d’azione è una responsabilità, con essa dobbiamo guadagnarci la vera liberazione. So che è un parlare confuso, ma so che tu mi capisci. Per liberarsi da questo mondo, bisogna pian, piano spogliarci di tutto ciò che non è nostro e il solo modo per farlo è avere una volontà libera. Quindi non ci vedo nulla di male, se Dio ci lasciasse la responsabilità di gestire i tempi futuri, non credi? Ci dà l’opportunità di migliorare le cose e di portare più gente sulla retta strada.”

“Tu ci credi davvero?”

Isaia si accorse che la sorella non era pronta ad accettare quella verità o quella concezione, almeno. Cercò dunque una risposta evasiva: “Non lo so. Qualcosa, però, dovremo pur fare. Siamo qui, ora e dunque siamo costretti ad agire. Non possiamo ignorare ciò che accade per dedicarci solo alla liberazione. Il riconoscere la vacuità di questo mondo può indurre a credere che si debba non agire …”

“Sì, è quello che ho pensato più volte.” lo interruppe un attimo la sorella.

“Purtroppo non esiste il non agire, decidere di non fare azioni è di per sé un’azione. Noi siamo dunque chiamati a prendere parte alla vita di questo mondo, pur senza scordarci che è illusorio e che il nostro scopo è liberarci. Il quietismo, ecco, questo è lo stato perfetto: agire, addirittura peccare, ma solo con il corpo, lasciando lo spirito quieto. Capisci?”

“Sì, anche se non vedo bene l’inerenza col nostro discorso.”

“Riflettici.” tagliò corto Isaia “Ora, scusami, ma devo andare. Devo sbrigare alcune questioni in Curia.”

Il gesuita aveva mentito. Non aveva alcun impegno, la verità era che voleva recarsi da Serventi, indisturbato e subito. Isaia e la sorella avevano impiegato più o meno una settimana a leggere assieme i diari del bisnonno e l’uomo aveva sempre sentito maggiormente crescere in sé l’idea che Bonifacio fosse nel giusto, che l’anticristo, Gabriel, andasse scatenato per permettere la rigenerazione: poco gli importava se ad opera di Dio o degli uomini. Quell’ultima pagina, poi, sul fatto che Serventi discendesse da Giuda, lo aveva definitivamente convinto che allearsi con lui e aiutarlo era la cosa giusta da fare. Non era certo però una cosa che poteva confidare; aveva sperato che anche la sorella comprendesse le cose come lui, purtroppo non era stato così, ma era certo che, col tempo, le avrebbe fatto capire.

Isaia, dunque, non volle perdere altro tempo e decise di andare subito da Bonifacio.

Il gesuita suonò il campanello, un maggiordomo gli aprì e lo condusse nel giardino sul retro, dove nel solito salottino all’aperto con divanetti e poltroncine in vimini, si stavano rilassando il padrone di casa e i suoi figli.

Non fu senza stupore che i quattro uomini ricevettero l’arrivo dell’ospite, ma subito Bonifacio lo accolse: “Ben venuto, Isaia, prego prendi una sedia, qual buon vento?”

Il gesuita si accomodò, ma non distolse lo sguardo solenne e grave da Serventi, a cui disse: “So chi sei. So che tuo padre fu Giordano Bruno e so anche che il capostipite della vostra famiglia è Giuda Iscariota.”

I tre fratelli si irrigidirono, come preoccupati, ma non dissero nulla.

Bonifacio rimase un momento stupito, poi sorrise, annuì e disse: “Esatto, complimenti. Sai anche che cosa accomuna i nostri antenati?”

“Sì. Ora ho capito tutto. Ho capito perché vuoi rovesciare la Chiesa e ho capito perché vuoi portare l’Inferno sulla Terra. Tempo fa mi dicesti che la divinità che credevo di adorare era ben altra cosa. Ora ho compreso che avevi ragione. Tu sapevi cos’era Dio e io ero nell’ignoranza; adesso però so.”

Il sorriso di Bonifacio si fece più marcato: “Mi rallegro che tu sia giunto alla verità. Che cosa pensi di fare, ora che la conosci?”

“Chiariscimi prima un paio di dubbi, per favore, e poi ti risponderò. Sono stati gli stessi templari ad uccidere il mio bisnonno Nathaniel, perché non voleva più guidarli?”

“Vedo che ti sei ben informato. Sono stati alcuni di loro ad ucciderlo e hanno fatto ricadere la colpa su di noi, per poter istigare maggiormente i loro compagni a combatterci senza quartiere. Qual è il tuo secondo cruccio?”

Isaia metabolizzò quella risposta che, in fondo, già sospettava, poi domandò ciò che realmente lo lasciava perplesso: “La profezia di Bruno non riguardava Gabriel, vero? Riguardava te. Foschi mi ha detto che tu hai affidato a Gabriel quello che era il tuo destino, perché?”

“In realtà mi sto avvalendo di Gabriel come mezzo per compiere la profezia che mi riguarda. Lui è il mio strumento all’interno della Chiesa per rovesciarla. La storia della  profezia su di lui, il farlo nascere secondo quel che c’è scritto nel Candelaio, è stato un metodo per galvanizzare i miei seguaci e per manipolare lui. Tuttavia, ciò non toglie che lui sia l’Eletto. Ho soddisfatto la tua curiosità?”

“Sì.”

“Allora, adesso sta a te parlare. Sono molto curioso.” ghignò.

“Bonifacio, io voglio aiutarti. Ora che conosco la verità e che so come stanno realmente le cose, voglio essere tuo alleato, poiché sei tu quello che sta davvero agendo secondo l’Armonia. Per favore, accettami nelle tue fila: io, da solo, non saprei che fare.”

Serventi si sentì trionfante, ma non mostrò gioia per quelle parole; disse: “È sempre bello quando un uomo come te decide di stare dalla parte giusta. Sei certamente il benvenuto tra di noi, tuttavia … perché adesso? Una settimana fa stavi per farti uccidere e non accettavi di essere dei nostri e oggi, invece, ti presenti qui spontaneamente, sembra sospetto.”

“Non posso darti garanzie, posso solo dirti che ho avuto modo di aggiungere altri elementi a ciò che già sapevo. Inoltre, una conversione, se così vogliamo cambiarla, che avviene senza forzature e senza minacce di morte, non è più convincente?”

Bonifacio sorrise di nuovo, questa volta, però, non c’era soddisfazione sul suo volto, bensì il compiacimento di chi usa il potere: “Io credo che una garanzia tu ce la possa fornire. È usanza antica lasciare figli come ostaggi, per garantire il proprio ritorno, oppure il pagamento di un debito, o la lealtà. Tu hai una sorella. Porta Giuditta qui e lasciala con noi e non preoccuparti per lei: la tratteremo come un’ospite, meglio ancora di come stavi tu. Fintanto che tu ti mostrerai fedele a noi, non le verrà torto un capello, se invece ci tradirai …”

Isaia capì e deglutì, poi disse: “Per me non c’è problema, sono sincero. Sarà più difficile convincere lei, ma ce la farò; troverò il modo di persuaderla a stare qui, senza farle sapere di essere un ostaggio.”

“Ah, lei, quindi, non sa della tua scelta?”

“No; ancora non è pronta.”

“Ci consenti di provare ad istruirla?”

“Certamente.”

“Bene, allora va e torna con lei.”

Isaia salutò e prese congedo. Quando il gesuita fu lontano, Bonifacio si rivolse a uno dei figli: “Gaspare, ovviamente sarà tuo compito seguire Giuditta.”

“Se mi dai carta bianca, padre, sarà per me un vero piacere.”

“D’accordo, fa quello che ti pare ma, ricorda, devi mantenere la sua mente integra.”

“Non oserei mai rovinare un simile tesoro.”

“Ricorda pure che deve essere una sua libera scelta quella di unirsi a noi, non una tua forzatura.”

“Lo so, padre. Vuoi che lei sia il femmineo che bilanci il mascolino della nostra catena magnetica, quindi è necessario che sia libera e consapevole. Non temere, farò un ottimo lavoro, non ti deluderò.”

Bonifacio annuì, soddisfatto, con lo sguardo abbracciò i figli e disse loro: “Come vedete, le cose si stanno disponendo pian, piano secondo il nostro volere. Fino a poco fa, sembrava che non avessimo ottenuto nulla e, invece, ora, il Princeps è venuto a noi e ci consegnerà sia l’Eletto che la ragazza. Imparate la lezione, figli miei: seminate abbondantemente e qualcosa dovrà per forza crescere.”

Annibale osservò: “Siamo certi sia sincero? Sa che possiamo entrare nelle menti, se davvero non avesse nulla da nascondere, avrebbe proposto che gli sondassimo la mente, piuttosto che lasciarci la sorella, non credete?”

Bonifacio rispose: “È sincero: ho ispezionato subito la sua mente e mi sono premurato di impedirgli di pensare alla soluzione che hai appena suggerito. Volevo essere certo che accettasse di portarci Giuditta.”

Questa volta parlò Temistocle: “Padre, io e Annibale non l’abbiamo vista che una volta e di sfuggita, che cos’ha di speciale? Perché tribolare per convincerla delle nostre idee, quando abbiamo già molte adepte che vorrebbero, se così si può dire, far carriera?”

“Dovrebbe bastare a farvi capire, anche solo il fatto che discenda da Giacomo il Giusto e che alla sua età sia già tra i Franchi Giudici.”

Temistocle e Annibale si meravigliarono e dentro di sé ammisero che erano requisiti sufficienti.

“Oltre a ciò, è la persona con l’attività celebrale più intensa in cui mi sia imbattuto.” continuò a spiegare Bonifacio “Nemmeno lei riesce a controllarla tutta e, quindi, attingervi appieno. È una grande risorsa che Gaspare saprà imbrigliare.”

 

Isaia era tornato a casa e aveva cenato con la sua famiglia. Non capitava spesso, ma in quell’ultima settimana era rimasto abbastanza vicino ai suoi parenti, quando non era in Congregazione, ma ormai avrebbe dovuto tornare ai suoi vecchi ritmi.

Quella sera voleva approfittarne per parlare con la sorella e convincerla che fosse una buona idea trasferirsi per un po’ da Serventi.

“Dove sei stato?” gli chiese Giuditta.

Erano soli: il padre stava riguardando i documenti per un’udienza del giorno seguente, la madre si stava preparando già per andare a dormire, mentre Demostene era uscito con degli amici.

“Prima? Ho dovuto riflettere un po’ su quello che abbiamo letto e scoperto. Poi, te l’ho detto, dovevo passare in Congregazione.”

“A quali conclusioni sei arrivato?”

“Nessuna …” mentì “Pensavo però a una cosa.”

“Quale?”

“Mentre soggiornavo presso Bonifacio …”

“Soggiornavi?!” lo interruppe lei, perplessa.

“D’accordo, mentre ero prigioniero, Bonifacio ha detto più di una volta che gli piacerebbe averti come ospite per un po’ presso di lui. Potremmo soddisfare e sfruttare questa richiesta.”

“Che intendi?” rimase basita Giuditta “Io dovrei sprecare giorni e giorni in quella villa? Perché?! Tanto più che non voglio certo imbattermi continuamente in quell’antipatico di Gaspare. Potrei saltargli agli occhi, la prossima volta che farà lo sbruffone!”

In realtà Giuditta avrebbe colto qualsiasi occasione per mettersi in mostra davanti a Gaspare e cercare di attirarne l’attenzione, per ingraziarselo; in fondo lei voleva ottenere il suo rispetto.

“Lo so che non è piacevole, ma ti chiedo per favore di fare questo sforzo. Non è certo a caso che ti sto chiedendo questo e di certo non è neppure per fare un favore a Bonifacio. Secondo te, lui è una persona fidata? Possiamo davvero credere che abbia rinunciato a scatenare Gabriel?”

“No.” ammise la donna.

Isaia era stato molto serio e convincente; un po’ si vergognava di mentire in quel modo alla sorella, ma sentiva che era necessario.

“Infatti, è per questo che ti chiedo di assecondare il suo volerti in quella villa. Potrai approfittarne per tenerlo d’occhio, spiare le sue mosse ed accertarti che non architetti nulla di pericoloso. Capisci l’importanza di ciò che ti sto chiedendo?”

Giuditta pensò qualche momento, poi annuì e disse: “Sì, hai ragione. Se abbiamo questa possibilità, è giusto approfittarne. Mi dispiace, però, lasciarti solo e poi in Congregazione c’è bisogno di me.”

“Non mi lasci affatto solo, per fortuna le cose sono tornate alla normalità; inoltre, verrò a trovarti spesso. Per quanto riguarda la Congregazione, penso proprio che ce la caveremo: ora che sono tornato, non dovrebbero più esserci difficoltà coi demoni.”

“Mi faresti un favore?”

“Certo, tutto quello che vuoi.”

“Potresti tenere d’occhio Stefano? Non farlo stare solamente con Antinori, insegnagli qualcosa anche tu.”

Isaia era un poco sorpreso per quella richiesta, ma annuì e rispose: “D’accordo, lo porterò con me alla prossima verifica.” guardò la sorella con un poco di apprensione e le chiese: “Tieni molto a lui, vero?”

Quella domanda colpì Giuditta, si accorse di non essersi mai soffermata a pensare a ciò; alla fine rispose: “Abbastanza.”

“È naturale, è un bravo ragazzo e intelligente, dipende un po’ troppo dai maestri, ma supererà questa fase. Vuoi aggiungere altro? Hai esitato un poco, prima; vuoi dirmi qualcosa? Sai che con me puoi dire tutto, senza paura.”

“No, niente. È che mi sono affezionata e non mi capitava da molto tempo. Mi mancherà.”

“Non ti capita piuttosto spesso, invece, di affezionarti e doverti separare? Dovresti esserti abituata.”

“Di solito, infatti, non mi pesa, ma questa volta è diverso.”

Isaia aspettò qualche momento, credendo che la sorella volesse dire altro. Gli dispiaceva vedere che si era rattristata, per cui le disse: “Dai, su col morale: né tu, né lui state andando in guerra, lo rivedrai presto. Insomma, mica sarai ai domiciliari in casa di Bonifacio, qualche volta potrai passare a trovarlo, suppongo.”

“Hai ragione.” disse lei, sorridendo.

Restarono un poco a parlare di quel progetto, poi Isaia si congedò per tornare al proprio appartamentino in Congregazione.

 



[1] Sto facendo riferimento al “Vangelo di Giuda”, che però nel 1941 (anno in cui sta scrivendo Nathaniel) non era ancora stato rinvenuto. In questo testo viene espressamente usato il termine Tredicesimo Apostolo

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Capitolo 25
*** Serate ***


Erano le diciannove e trenta, Gabriel si trovava davanti all’Altare della Patria e aspettava.

Quella sera, Claudia era stata sequestrata da Teresa e le altre amiche per una serata tra donne, per festeggiare il quinto mese di gravidanza della psicologa.

Avendo la serata libera, quindi, Gabriel aveva deciso di telefonare a Gaspare e di proporgli una cena e qualche chiacchiera; il fratello aveva subito accettato l’invito.

L’ex gesuita quindi aspettava ed era un poco nervoso. Non era certo di aver fatto la cosa giusta, non sapeva se poteva realmente fidarsi di quell’uomo che era comunque figlio del Candelaio. Anche volendo concedergli di non essere malvagio e non avere cattive intenzioni, che cosa avrebbero potuto dirsi? Di che avrebbero parlato?

Gabriel si sarebbe trovato davanti ad uno sconosciuto, praticamente, e si sentiva a disagio. Lui era bravo a relazionarsi con gli studenti e con le persone con cui entrava in contatto durante le verifiche, poiché era abituato a parlare per lavoro e dunque, anche quando diceva qualcosa di sé, gli pareva di farlo in maniera formale e distaccata. Ben altra faccenda, per lui, era riuscire a istaurare rapporti non lavorativi, che fossero di amicizia o, comunque, frequentazione. Pure con Claudia non era stato facile, inizialmente, e si era avvalso più volte del pretesto professionale per vederla e conoscerla.

Tutti lo credevano una persona aperta, amichevole, estroversa che non aveva paura di confidarsi e, invece, lui si sentiva tutto l’opposto. In situazioni ex cattedra riusciva a dire tantissimo, ma solo perché si sentiva protetto come da una barriera invisibile che lo separava dagli altri. Quando doveva essere lui in quanto lui e non in veste di professore od esperto, insomma quando doveva levarsi la maschera ed essere sé stesso, allora non ce la faceva e diventava introverso, chiuso e sospettoso.

Davanti a due sole persone si era aperto e aveva mostrato senza vergogna e paura il suo animo: Claudia e Isaia. Di loro soli si era fidato, per mostrare dubbi, paure, ansie, per ammettere di essere fragile. Per loro soli aveva avuto quel rispetto necessario per farglieli sembrare degni di conoscerlo davvero.

A breve, invece, si sarebbe trovato davanti un uomo di cui non sapeva assolutamente nulla, il quale, però, sapeva molto di lui. La cosa non gli piaceva per niente.

Gabriel aveva sfogliato nuovamente l’album di foto, più di una volta. Qualcosa aveva ricordato, nulla di preciso, in realtà, solo delle immagini, delle voci, tutto molto indefinito, brevissimi flash che non sapeva contestualizzare.

“Ciao, fratellino!” Gaspare salutò, scuotendo l’uomo dai propri pensieri.

“Oh! Ciao … Gaspare.”

“Allora, che cos’hai pianificato per la serata?”

“Una cena e qualche chiacchiera, nulla di speciale.”

Gaspare inarcò un sopracciglio, poi disse: “Ho capito, al dopo ci penserò io.”

“Se hai in mente qualcosa, mi va benissimo, però non facciamo tardi, Claudia ritornerà prima di mezzanotte e non mi va di lasciarla da sola.”

“Non sei troppo premuroso? Non dovresti essere libero di rientrare all’orario che ti pare?”

“Sì, ma infatti in altre circostanze non ci sarebbero problemi, ma lei è incinta adesso, è già a metà della gravidanza e, quindi, ha bisogno di aiuto e di qualcuno che le stia vicino.”

“Capito, capito. Allora, hai prenotato da qualche parte, o improvvisiamo?”

“Improvvisiamo; non so che gusti tu abbia e, quindi …”

“Perfetto, ho io la proposta giusta: ti piace il pesce?”

“Moltissimo.”

“Perfetto, allora io dico di andare al Crab Ostriche e Crostacei.

“Ma è uno dei più lussuosi e costosi!”

“E allora? I soldi non mi mancano e posso permettermi non solo la qualità, ma anche l’eccellenza, soprattutto in un’occasione speciale come la prima uscita col mio fratellino dopo anni. Inoltre è proprio qui vicino. Per il prezzo non ti crucciare, poiché offrirò io.”

“D’accordo, allora, grazie.”

I due fratelli si incamminarono, attraversarono il viale che costeggiava i fori imperiali e i mercati traianei, arrivarono al Colosseo e raggiunsero il ristorante lì vicino. L’ambiente era raffinato, illuminato da una luce splendente; i tavoli avevano tovaglie bianche che scendevano fino a terra, mentre le seggiole erano foderate di velluto rosso.

Ordinarono un antipasto abbondante da dividere, esso prevedeva: ostriche, ricci, tartufi di mare, mandorle di mare, carpaccio di pesce, tris di tarte (salmone, ricciola e calamari).

Come primo scelsero i ravioli di astice e la zuppa di crostacei in crosta di pane; per secondo un’aragosta e un calamaro ripieno di brandarde di baccalà servito con mandorle e salsa al limone.

Infine, come dolce, presero un tortino di cioccolato con cuore fondente e un semifreddo al liquore Porto.

I due fratelli avevano diviso tutte le portate. Gaspare aveva ordinato quattro bottiglie di vino, una diversa per ogni fase della cena, in modo tale che ogni pietanza avesse il vino che più le si addicesse per accompagnarla. Non rimase una sola goccia e, quindi, praticamente bevvero due bottiglie a testa. Come se ciò non bastasse, Gaspare chiese che assieme al caffè fosse portata un bottiglia di nocino e, tra una chiacchiera e l’altra, i due fratelli finirono anche quella. Gaspare era ancora lucido, mentre Gabriel risentiva un po’ dei fumi dell’alcol, si sentiva abbastanza più sciolto e tranquillo.

Passarono il tempo della cena a chiacchierare. Gaspare, di tanto in tanto, raccontava qualche episodio di loro da bambini, compresa quella volta che con le fionde stavano dando la caccia ai passeri e lui era riuscito a colpirne diversi, mentre Gabriel, arrabbiato perché mancava sempre il bersaglio, aveva usato il suo potere contro uno stormo in volo e quelli era caduti a terra fulminati. Gaspare rideva allegramente di quel fatto, mentre Gabriel si sentì a disagio, ma poi si disse che all’epoca era un bambino e, comunque, non aveva fatto male a nessuno.

Gabriel raccontò principalmente alcuni dei casi a cui aveva lavorato in passato, a un certo punto il fratello lo interruppe e gli chiese: “Potresti parlarmi del caso dei due gemelli che comunicavano telepaticamente e in cui il ragazzo sapeva ricorrere alla telecinesi?”

L’ex gesuita si irrigidì un attimo: era un ricordo che cercava di evitare, tuttavia era già al terzo bicchiere di nocino, per cui iniziò a raccontare e la sua lingua fu parecchio sciolta, tanto che ammise pensieri ed emozioni che, forse, fino a quel momento, non aveva voluto riconoscere nemmeno a sé stesso: “Insomma, il padre di Alice era uno stronzo! No, anzi, di più! Io, sinceramente, non conosco una parola abbastanza spregevole per indicare gentaglia come lui! Non sono nemmeno uomini, sono bestie!” bevve un lungo sorso di liquore “Demoni! Ecco cosa sono. Soltanto dei diavoli possono essere così crudeli e, purtroppo, a questo dannato mondo ce ne sono a centinaia. Accidenti, perché dovrei sentirmi in colpa se l’ho demonizzato? In fondo lui era già un diavolo, lo era diventato comportandosi in maniera così disumana, non credi? In realtà si potrebbe dire che io non l’ho trasformato, ma ho reso evidente la sua natura. In fondo io non ho colpa!”

“No, assolutamente, tu non ne hai. Ti dico una cosa che devi tenere bene a mente, sempre: il senso di colpa è ciò che gli altri usano per manipolarci. Noi non dobbiamo farci condizionare da queste cose. Tu tieni tantissimo alla libertà, alla tua libertà, giusto?”

“Sì, perdinci!”

“Quanto sei stato libero, nella tua vita?”

Gabriel ci pensò un po’ su e poi, quasi arrabbiato, rispose: “Quasi mai! Sono certo che sia stato Demetrio a convincermi a diventare prete, già, per quella stupida profezia e poi, dentro la Chiesa, un continuo di ordini, doveri, prescrizioni … Claudia! Ecco, è stata lei a farmi assaporare la libertà.”

“Bene, e, ora che sei libero, vuoi rimanere tale, giusto?”

“Certamente.”

“Bravo, allora ricordati che ci sono tre tattiche di manipolazione: il senso di colpa, il senso di ignoranza, il senso di ansia e la denigrazione. Se qualcuno cerca di farti sentire in colpa, oppure cerca di svilirti o di dimostrarsi superiore, allora sta cercando di condizionarti e tu glielo devi impedire, altrimenti perdi la tua libertà. Hai capito?”

“Sì, la prossima volta che qualcuno si azzarderà a manipolarmi, non ci cascherò. Basta, ho chiuso col cercare di non dispiacere gli altri. È già da un pezzo che mi sono stufato di assecondare gli altri e che cerco di intraprendere la mia strada e ora andrò fino in fondo.”

“Bravissimo! Sono fiero di te e, se non dovessi credermi, chiedi alla tua donna. È psicologa, giusto? Lei stessa ti dirà che sono quelle le tre tattiche di manipolazione.”

“Brindiamo alla libertà!” propose l’ex gesuita e i bicchieri tintinnarono a mezz’aria

Gabriel rimase un poco in silenzio a pensare, poi chiese: “Perché sai così tante cose sulla manipolazione?”

“Perché anch’io voglio essere libero e voglio sfuggire a queste trappole psicologiche; inoltre, io stesso sono un manipolatore, tal volta.”

“E chi hai manipolato? È semplice?”

“Ad esempio Giuditta. Il giusto equilibrio tra senso di ignoranza e denigrazione e posso indurla a comportarsi esattamente come voglio, senza nemmeno il bisogno di entrarle nella testa.”

“Ecco, che cos’è questa storia di entrare nella mente di una persona? Spiegami.”

Gaspare, allora, iniziò a raccontare un po’ di cose al riguardo, con anche qualche dimostrazione, compreso il parlare telepaticamente.

Finita la bottiglia di nocino, decisero di uscire e prendere una boccata d’aria fresca. Fecero due passi e poi Gaspare chiese: “Sei venuto con la moto?”

“Sì, certo, perché?”

“Anch’io, ti va di fare un giro? Conosco un bel posto dove ci sono rettilinei e curve stupende, si può andare tranquillamente fino ai 200 o anche più veloci: è un’esperienza stupenda. E se vuoi sentirti libero, questo fa proprio al caso tuo.”

Gabriel esitò un attimo e chiese: “Non è pericoloso?”

“Solo se fai un incidente e, in ogni caso, tu hai una resistenza decisamente maggiore a quella delle persone comuni. Comunque, non fa niente, fa come ti senti. Lasciami pensare a qualcos’altro.”

“No, no. Va bene.” disse Gabriel, probabilmente confuso dall’alcol “Ho detto che voglio una vita nuova, libera da stupidi e inutili paletti. Andiamo!”

Gaspare ridacchiò. I due fratelli recuperarono le moto, poi il maggiore fece strada per arrivare al luogo che aveva suggerito, un po’ fuori dal centro urbano, dove campagna e collina si mescolavano.

Lì iniziarono a far rombare i motori e cominciarono a sfrecciare a gran velocità lungo le strade, senza troppo badare in quale corsia si trovassero: non c’era praticamente nessuno e loro si stavano divertendo parecchio.

Gabriel era un appassionato dei giri in moto, lo rilassavano parecchio, tuttavia non aveva mai fatto spericolatezze … beh, forse qualcuna da adolescente sì, ma solitamente era sempre stato ligio e attento. In quel momento, sfrecciare a gran velocità, curvare all’ultimo momento e così via, gli trasmetteva davvero un senso di potenza, ma non avrebbe saputo spiegarne il perché.

Gabriel non sapeva da quanto tempo stesse girando col fratello e nemmeno quanto si fossero allontanati. Ad un certo punto, però, videro in lontananza delle luci blu e poco dopo sentirono il suono delle sirene: un’automobile della polizia.

Gabriel iniziò a rallentare, ma ecco che sentì la voce di Gaspare risuonargli nella testa:

-Che cosa stai facendo?

-Mi fermo. Vorranno ...

-Ragiona fratellino, stiamo andando ben oltre il limite di velocità e il tasso alcolico è di gran lunga superiore a quello consentito. Secondo te che cosa accadrà? Multa, sospensione della patente, ma soprattutto arresto. Credi che sia una buona idea?

-Arresto?

-Questo prevede la legge. Più di un anno di reclusione, non mi pare una mossa scaltra, specialmente ora che hai iniziato la tua nuova vita con Claudia, specialmente a pochi mesi dal parto. Certo, è il tuo primo reato e quindi potrebbe esserci una sospensione della pena, tuttavia di questi tempi sono molto aspri con le leggi stradali. In ogni caso credo che lo stress conseguente e tutto il resto possano turbare un po’ troppo Claudia e quindi il bambino.

Gabriel non disse nulla, era molto preoccupato e stava riflettendo.

Gaspare continuò: Inoltre perché mai dovremmo accettare che se la prendano con noi, mentre quelli che fanno danno sono altri? Insomma, noi siamo pure stati responsabili a venire a divertirci in un posto lontano e isolato, certi di non far male a nessuno. Quelli adesso che vogliono da noi? Non è giusto!

-Hai ragione! –esclamò Gabriel- Che cosa facciamo, allora?

-Seminiamoli e, se necessario, li ostacoliamo un poco.

-Che intendi? –l’ex gesuita si allarmò parecchio- Io non voglio fare del male.

-Non ho detto questo. Basterebbe far fondere la gomma di una ruota e li lasciamo indietro, senza che nessuno ci rimetta … ma questo solo se non riusciamo ad andarcene da soli. Su, stanno guadagnando terreno, accelera!

I due fratelli diedero gas e le loro moto superarono i duecentotrenta chilometri orari. La polizia, però, premette a propria volta sull’acceleratore e tenne dietro ai due inseguiti.

-Fratellino, credo proprio che tu debba intervenire.

-Io?

-Certo, chi se no?

-Credevo tu! Io non so che fare! È stata una pessima idea.

-No. Calmo, non farti prendere dalla paura. Usa il tuo potere e andrà tutto bene.

-Il mio potere? Doveri fulminare quella gente?! –Gabriel era agitato e arrabbiato.

-Ma non mi hai ascoltato prima? Devi solo lanciare qualche fulmine a una ruota in modo che lo pneumatico si fonda tutto qui. E poi, scusa, non lo sai che le auto fanno effetto gabbia di Faraday?

-La ruota, quindi? –si convinse Gabriel.

-Esatto, vai tranquillo; nessuno si farà male e saremo tutti contenti.

Gabriel non era del tutto sicuro, tuttavia non aveva altre possibilità. Inoltre, in realtà, era davvero curioso di scoprire se sarebbe stato in grado di controllare il suo potere. Rallentò per poter prendere bene la mira, voltò la testa per guardare, allungò la mano, sentì qualcosa dentro di sé e poi ecco: delle saette rosse uscirono dalle sue dita e colpirono la ruota, la gomma si fuse e l’automobile sbandò un poco, ma non uscì di strada e poi si fermò senza problemi.

Gaspare ridacchiò entusiasta e si complimentò con il fratellino. Gabriel si sentiva soddisfatto, era compiaciuto della buona riuscita ed era tentato di usare ancora il suo potere, giusto per esercitarsi, per avere la conferma di poterlo usare a piacimento. In poco, però, si ricompose, capì l’assurdità di quel desiderio.

Certo di essere abbastanza lontano dalla polizia, Gabriel fece un cenno a Gaspare, si fermarono e si tolsero i caschi.

“Allora, fratellino, ti sei divertito?”

“Sì, certo; pensavo, però, che sia il caso di rientrare. Non ho idea di che ore siano, ma son certo sia tardi e Claudia …”

“Va bene, d’accordo. Facciamo un ultimo tratto di strada assieme. Mi raccomando, fatti di nuovo vivo: sono stato davvero contento di questa serata.”

“Anche io. Grazie.”

I due fratelli si rimisero in moto, tornarono verso la città e si separarono.

Gabriel rincasò che erano già le due e trovò Claudia che già dormiva. Fece attenzione a non fare rumore e si mise sotto le coperte con lei. Il mattino dopo, si sforzò di alzarsi presto e di ignorare il mal di testa dovuto all’alcol e preparò la colazione a Claudia e gliela portò a letto: voleva farsi perdonare. Scoprì con piacere di non averne affatto bisogno: la donna non era affatto arrabbiata, anzi aveva immaginato che Gabriel avrebbe fatto tardi in giro col fratello e, quindi, non aveva nulla da rimproverargli. L’uomo si sentì fortunato ad avere accanto a sé una donna così comprensiva.

 

Gli ultimi due giorni, Giuditta li aveva trascorsi per organizzarsi per andare da Serventi. Aveva dovuto fare diverse telefonare per avvisare gente, disdire impegni e così via; inoltre aveva dovuto anche inventare una scusa credibile da dire ai genitori, ma a quello era abituata.

Finalmente era tutto pronto, Isaia l’avrebbe accompagnata il giorno seguente alla villa. Aveva già spiegato a Bonifacio che la sorella non sapeva di essere un ostaggio e lo aveva informato circa che cosa credesse ella di andare a fare. Isaia, da fratello maggiore, era un poco preoccupato: non era certo che tutti l’avrebbero ben accolta, tuttavia era fiducioso: come avevano trattato bene lui prigioniero, così avrebbero trattato bene lei.

Giuditta era pronta per partire il mattino seguente, ma prima le rimaneva un’ultima cosa da fare: parlare con Stefano; aveva voglia di salutare il ragazzo e fargli alcune raccomandazioni.

Non gli aveva ancora detto che sarebbe andata via, aveva intenzione di dirglielo quella sera. Lo aveva invitato a prendere un gelato e poi a far due passi nell’immenso parco di Villa Borghese.

Dopo tanto camminare, si erano seduti su una panchina del parco e chiacchieravano, si erano fatti anche alcune foto assieme col cellulare.

Infine Giuditta riuscì a dire: “Domani parto.”

“E dove vai?”

“Non posso dirlo.”

Giuditta non voleva far preoccupare il ragazzo dicendogli la verità, ma non aveva calcolato che quella risposta lo avrebbe turbato lo stesso.

“Credevo che tra noi i segreti fossero finiti.” disse lui.

“Ci sono cose che non dipendono da me. Ad ogni modo, se ti può far stare tranquillo, i Franchi Giudici non c’entrano nulla.”

Sì, sapere che non era in missione per conto di quegli esaltati, rassicurava un poco Stefano, ma non troppo.

“Quanto starai via?”

“Non lo so. Potrebbero essere pochi giorni, come un mese o anche più.”

“Potremo almeno sentirci per telefono, mail et cetera?”

“Sì, certo!” gli sorrise lei.

“È già qualcosa.”

Rimasero un poco in silenzio, poi Giuditta si strinse maggiormente a lui e gli chiese: “Ricordi che ti dissi che tu e mio fratello potreste ritrovarvi nella medesima situazione di Antinori, perché c’è qualcosa che vi accomuna?”

“Sì e non mi hai voluto spiegare di più.”

“Beh, se vuoi adesso ti dirò e così capirai perché è difficile parlarne.”

“Da quando ci conosciamo non hai fatto altro che rivelarmi le cose più curiose ed impensabili: dimmi tutto.”

Giuditta sospirò e disse: “Siamo nella fase di Giudizio Universale. Non più avanti del 2050 inizierà qualcosa di nuovo. Secondo alcuni ci sarà il ritorno di Cristo e la venuta del Regno dei Cieli, secondo altri si conclude un ciclo e se ne comincia uno nuovo; una distruzione per una rinascita. Varie sono le interpretazioni di cosa accadrà, nulla si sa di preciso, ma di una cosa si è certi: tre potenze divine, tre emanazioni di Dio, tre Arcangeli si sono incarnati in questo mondo e il loro operare sarà fondamentale per ciò che si sta per compiere. Gli esoteristi li chiamano Princeps, Eletto, Guida; gli astrologi Sole, Luna, Mercurio; gli alchimisti Oro, Argento, Mercurio; per gli antichi avrebbero potuto essere Atena, Giunone e Venere; per gli indù Visnu, Shiva e Brahma; per i buddisti Vajrapani, Tara e Avalokiteshvara; per i massoni sono Saggezza, Forza e Amore; sono le colonne del tempio Jakin e Boaz e la porta; per i kablisti sono Hod, Yesod e Tipheret; per i biblisti sono Michele, Gabriele e Raffaele.”

La donna tacque, sperando che il ragazzo avesse compreso. Stefano, invece, non aveva inteso e la guardava come ad invitarla a proseguire, allora lei disse esplicitamente: “Isaia, Antinori e tu siete queste manifestazioni.”

“Come scusa?” il ragazzo era spiazzato “Cioè, noi tre saremmo degli Arcangeli? Impossibile!”

“Visto perché non volevo parlartene? Isaia ha sempre avuto l’impulso di combattere i demoni poiché lui è l’Arcangelo Michele, il principe delle milizie celesti. Antinori con la sua passione, il suo voler aiutare e proteggere a tutti i costi è l’Arcangelo Gabriele, eletto dal signore per essere la sua voce e per essere manifestazione del binario maschile-femminile necessario per la generazione di tutto. Tu, che hai imparato ad aver misericordia e a voler essere faro di speranza, redenzione e salvezza, tu sei l’Arcangelo Raffaele, che guidò il giovane Tobia e che cura i corpi e le anime.”

“No, è assurdo! Non può essere!” Stefano non riusciva a crederci.

“Ascoltami, è per questo che tu puoi controllare i fantasmi: tu sei la loro guida per uscire da questo mondo. Questa è solo uno dei tuoi poteri; ad esempio, come Apollo, potresti lanciare malattie o guarirle.”

“Non può essere come dici! Insomma, se fossimo arcangeli, dovremmo essere buoni e, invece … Gabriel può demonizzare le persone, lo consideri un atto angelico?”

“Lucifero non era forse un angelo tramutato in demone? Ad opera di chi?” gli fece osservare lei, poi scosse il capo, sospirò e molto malinconica e un po’ nervosa, continuò: “Il fatto è che su certe cose non ho le idee chiare. Da un punto di vista logico è vero che voi dovreste agire in conformità con l’Armonia, il Bene, ma nei fatti … Giordano Bruno ha dato inizio ai tre secoli e mezzo di anticristianesimo che dovevano precedere il secolo del Giudizio Universale, lui ha formulato quella profezia … Serventi sapeva benissimo che sarebbe nata l’incarnazione dell’arcangelo Gabriele, il nome di Antinori non è stato scelto a caso. In effetti pare proprio che anche voi siate soggetti a tendere più verso l’Armonia o il Caos. Il fatto è che alcune certezze che avevo, ora si stanno sgretolando e io non so bene che cosa pensare, che cosa credere. Della vostra natura, però, sono assolutamente sicura.”

“D’accordo, mi fido.”

Stefano non aveva mai visto la ragazza così insicura, gli sembrò innaturale. La strinse un poco a sé per confortarla e poi le chiese: “Ora che so questo, che cosa devo fare? Ma Gabriel e Isaia sanno?”

“No, non ne sanno nulla e, teoricamente, neppure tu dovresti. I Franchi Giudici ritengono che queste informazioni, potrebbero influenzare il vostro agire; per cui, ti prego, sii discreto e tieni questa faccenda per te. Se puoi, leggi e cerca di capire a modo chi sei, chi siete, la vostra natura e, quindi, i vostri poteri e poi sperimenta. Prima ti ho fatto un elenco di corrispondenze, basati anche su di esse per approfondire.”

“Sarà fatto.”

Stefano era contento di avere qualcosa da studiare.

Giuditta, allora gli chiese: “Un’ultima cosa. Mi prometti che rimarrai buono così? Compassionevole, misericordioso, volenteroso e umile?”

“Certo che te lo prometto, farò del mio meglio.” esitò un attimo, poi chiese: “Che cosa sta accadendo che ti preoccupa così tanto? Mi sembri, se non spaventata, qualcosa di molto simile. Perché sei così apprensiva? C’è altro?”

Giuditta provò piacere per quella premura: non era abituata a che qualcuno al di fuori della famiglia si preoccupasse per lei; pensò di aver trovato un vero amico.

“No. È solo la situazione generale che mi ha un po’ scombussolata; le certezze che mi davano speranza hanno iniziato ad essere meno sicure e allora … e poi mi dispiace andarmene in questo momento, preferirei rimanere a controllare … pazienza, tanto credo di poter fare qualche scappata da voi di quando in quando.”

“Quindi non andrai lontano?”

“No, sarò piuttosto vicina.”

Giuditta lo disse con tono alquanto malinconico e poi, nonostante il caldo estivo, si strinse ancor più al ragazzo; non capiva nemmeno lei perché d’improvviso si sentisse così sconfortata e abbattuta: decise di incolpare il mestruo.

Stefano la tenne abbracciata e le disse: “Vorrei prometterti che ci sarò sempre per aiutarti e sostenerti, ma in realtà la mia presenza vale a ben poco: sei tu quella che mi ha dato fiducia e coraggio; che cosa potrei mai dare io, a te? Comunque, per quel che può servire, io ci sarò sempre.”

Giuditta lo guardò con tenerezza, gli fece una carezza e gli disse: “Se sarai capace di trovare la tua vera natura e realizzarla, allora diventerai di gran lunga superiore a me. Tu ci sarai sempre per tutti …”

… e io non avrò più alcuna importanza. –si limitò a pensare la donna.

Rimasero un poco in silenzio ancora, poi Stefano rise, in maniera un poco forzata, e disse: “Certo che stiamo diventando un po’ troppo melodrammatici. Suvvia, non è successo mica nulla e a me non pare di essere in una pessima situazione, per cui, su con il morale!”

Stefano fece un grande sorriso; la donna lo guardò un attimo e poi ricambiò.

“Hai ragione: al bando questa malinconia, in realtà non c’è nulla di cui preoccuparsi al momento. Mi raccomando, però, anche se sono via, tu non smarrirti, continua il percorso che abbiamo iniziato assieme, continua a studiare, continua ad avere fiducia in te e continua a conoscerti, solo così potrai esplorare i tuoi poteri e dominarli, senza cadere in balia del Caos.”

“Sì, non ti preoccupare: sono un allievo diligente, io. Comunque ti telefonerò spesso e potrai controllarmi.”

Giuditta sorrise ancora e gli rispose: “Sarà un piacere.”

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Capitolo 26
*** Inizi ***


“Che cos’hai?” domandò Isaia.

Il gesuita e la sorella erano in automobile; lui la stava accompagnando alla villa di Serventi.

Giuditta era taciturna e un po’ mogia e il fratello se ne era accorto e se ne dispiaceva.

“Niente, cosa vuoi che abbia?! Non è che questa vacanza mi entusiasmi chissà quanto.”

“Credevo che fossi d’accordo. Se non vuoi, torniamo a casa e disdico tutto.”

“No, no, va bene. È giusto tenerli d’occhio e lo faccio volentieri, però non sono certo contenta.”

“Giuditta, pensaci bene. Giacché vai là e ci resterai per un po’ di tempo, ti conviene lasciar perdere il malumore e cercare di affrontare la situazione positivamente. Non ne varrebbe la pena il passare settimane di tristezza, concordi?”

“Sì, hai ragione.” convenne Giuditta, sorridendo un poco: effettivamente le conveniva cercare di considerare meno opprimente quella missione. In fondo, poteva essere l’occasione di imparare qualcosa di nuovo, anche se aveva paura che il risultato sarebbe stato il confonderle ancor di più le idee.

“Comunque, se non ti trovi bene o se c’è qualche problema, tu dimmelo e io ti riporto a casa.”

“Grazie, ma sopporterò, anzi, alla fine penso che mi divertirò.”

“Sei stupenda, sorellina. È bello sapere che posso fare affidamento su di te in questa situazione … e anche in altre. Grazie.”

“Mi piace lavorare assieme a te, era da tanto che non capitava. Ti voglio bene.”

“Anch’io, lo sai.”

Arrivarono alla villa di Bonifacio, che li stava aspettando in salotto, assieme ai figli Annibale e Temistocle.

“Mi scuso per l’assenza di Gaspare, ma non c’è stato verso di convincerlo ad essere qui ad accoglierti.” disse il padrone di casa, dopo aver dato il benvenuto.

“Oh, non mi aspettavo nemmeno questa delegazione.” replicò la ragazza, nascondendo il fatto di essere alquanto indispettita dall’assenza di Gaspare: insomma, come si permetteva di snobbarla anche in quel momento?

“A noi fa piacere la tua presenza, darà una boccata d’aria a questa casa.” aveva continuato Bonifacio.

Giuditta rimase perplessa, non sapendo come interpretare quelle parole.

“Temistocle, accompagnala nella stanza che le abbiamo fatto preparare, informala dei nostri orari e falle fare un giro panoramico della villa.”

L’uomo si alzò e fece strada alla ragazza, prendo la sua valigia. Giuditta salutò il fratello, lo abbracciò, gli diede un bacio sulla guancia e seguì Temistocle.

Isaia rimase nel salotto, scrutò severamente Serventi e gli chiese: “Posso stare tranquillo?”

“Perché dovresti preoccuparti?”

“La tratterete bene? Non le farete nulla di male, vero?”

“Te l’ho detto: non le verrà torto un capello.” Bonifacio sogghignò.

Isaia era un poco incerto, non gli piaceva granché quella situazione, certo si fidava di Serventi, però si trattava di sua sorella e lui non era comunque calmo.

“Hai sperimentato anche tu la mia ospitalità, hai avuto motivo di lamentarti?”

Isaia lo guardò di sbieco.

“A parte Jacopo, ovviamente.” aggiunse Bonifacio.

“No, hai ragione.” ammise Isaia “Ma è mia sorella e so che Gaspare non la tratta affatto bene.”

“Si limita ad ignorarla, non mi pare che ciò le possa far del male.”

“Sì, è vero.” annuì lui, poi decise di cambiare argomento “Hai qualche incarico o istruzione per me?”

“Non per il momento. Per ora limitati a quello che sei: sii amico di Gabriel e tienimi informato del suo atteggiamento.”

“Sarà fatto.”

“Un’altra cosa, che riguarda te solo e non Gabriel.” lo guardò come avrebbe fatto un maestro “Tu hai un autocontrollo fuori dall’ordinario. Questo è un gran pregio, ti concede massima lucidità e ti permette di gestire nel migliore dei modi le tue risorse, inoltre è fondamentale per la Scienza Sacra; tuttavia esso finora ti è stato di ostacolo in un certo ambito. Tu sei un esorcista, ti è capitato di notare di usufruire di un’energia speciale, quando combatti i demoni?”

Isaia si meravigliò un poco e poi rispose: “Sì, è vero. La forza di Dio che incanalo e riverso sui demoni, è così che me lo ha spiegato il mio maestro Samuele.”

“Già, i preti se la raccontano così, tu però sai già che non è vero. Quando per le prime volte hai letto qualcuno dei testi di Giacomo il Giusto, che ancora non capivi davvero, non ti sei forse adirato, scoprendo che chi avevi servito fino a quel momento non era il vero Dio, ma solo il Creatore; scoprendo che la tua forza aveva un’origine differente?”

Isaia ricordò con grande vergogna lo sfogo di rabbia che aveva avuto davanti al crocefisso.

“Poi ti si sono schiarite un poco le idee, ti sei ripreso e confortato. Hai compreso che le tecniche di voi loyolisti sono le basi della Scienza Sacra e hai voluto iniziare ad approfondirla. Le tue qualità di esorcista, tuttavia, hanno un’origine differente, qualcosa di più ancestrale.”

“Che cosa intendi?” si accigliò Isaia, non gli piacevano i misteri.

“Questo sta a te scoprirlo. Voglio che, la prossima volta che ne avrai l’occasione, tu ti lasci andare all’istinto di fronte a un demone. Non dovrai ricorrere alla tua energia, lascia che il tuo potere sorga da solo, senza forzarlo tu. Ricordi cos’è accaduto, quando hai sconfitto Paimon?”

“Sì. Mi ha soccorso un’energia diversa dalla mia solita, ma non saprei cosa fosse, non l’ho più trovata.”

“Questo è perché ancora non la conosci e il tuo forte autocontrollo le impedisce di emergere, se non nei momenti di pericolo per la tua vita; negli esorcismi ti ha sempre sostenuto, ma occultamente. Alla prossima occasione lascia che sia l’istinto a guidarti e il tuo vero potere ti inonderà. Dopo che lo avrai conosciuto, potrai imparare a sottometterlo all’autocontrollo. È questo che voglio che tu faccia.”

“D’accordo. Non so se ho capito esattamente, ma farò il possibile.”

Bonifacio fu soddisfatto. I due uomini si salutarono, poi Isaia uscì e se ne andò in Congregazione.

Il ritorno di Isaia nei piani alti della Congregazione aveva fatto piacere a tutti, gli unici un po’ diffidenti erano i membri del Direttorio (i soli a conoscenza del vero motivo del suo allontanamento), ma alla fine si erano lasciati persuadere dalla scusa inventata da Gabriel e, vedendo che lui si fidava, ritennero che essi dovessero fare altrettanto.

Gabriel, però, non aveva ancora parlato al Direttorio di suddividere la Congregazione in due sezioni, nettamente distinte per competenza: voleva esporre l’idea solo dopo aver preparato con precisione il progetto e anche dopo che Claudia avesse organizzato dei percorsi adeguati per aiutare le persone coi poteri; insomma, voleva presentare al resto del Direttorio un progetto concreto e solido, solo così poteva essere ascoltato e accolto.

Al momento, dunque, in Congregazione si procedeva come di consueto, ma sia Isaia che Gabriel si ritrovavano spesso a elaborare il loro progetto e spesso collaboravano anche Alonso e Stefano, seppur in parte minore.

Isaia, dunque, dopo aver lasciato la sorella da Serventi, si era recato in Congregazione e aveva raggiunto Gabriel per riprendere la elaborazione del progetto. Antinori era molto contento che qualcuno lo aiutasse in quella faccenda, soprattutto per quanto riguardava le procedure burocratiche e simili.

Stavano discutendo di come reimpostare i parametri di valutazione dei fenomeni quando Stefano bussò alla porta. Il ragazzo entrò con un fascicoletto in mano e disse: “Ci è arrivata una segnalazione, singolare a mio avviso. Antonio Colonna, ventitre anni, brillante studente del corso di Fisica dell’atmosfera e Meteorologia, due mesi fa è stato colpito da un fulmine ed è rimasto illeso.”

“Com’è successo di preciso?” chiese Gabriel.

“Per la tesi, stava realizzando uno studio sull’elettricità e, in particolare, i fulmini. Si era costruito da solo l’attrezzatura e durante i temporali faceva i suoi rilevamenti. Durante uno di essi, una saetta lo ha colpito, ma non gli è successo nulla.”

Isaia osservò: “Se era uno studente diligente e prudente, si sarà senza dubbio premurato di indossare scarpe isolanti e di fare il necessario per evitare spiacevoli incidenti.”

“Questo non è segnato.” replicò Stefano “Comunque il fenomeno non si limita a questo. Da quando è stato colpito dal fulmine, Antonio pare abbia provocato strani fenomeni come sovraccaricare apparecchi elettronici o addirittura alimentarli. Un suo amico ha riferito che erano rimasti a piedi a causa della batteria scarica della loro automobile, secondo questa testimonianza, Antonio sarebbe sceso dall’auto, avrebbe aperto il cofano e semplicemente imponendo le mani sulla batteria l’avrebbe ricaricata. Ecco, questo è tutto.”

I due uomini parvero riflettere qualche momento, poi Isaia disse: “Credo che questo caso rientri nella competenza tua e della dottoressa Munari.”

“Sì, non mi pare c’entri né il demoniaco, né il divino in questa faccenda.” concordò Gabriel “Salvo ammettere il ritorno di Giove.” ridacchiò.

“In realtà esistono tre demoni in grado di provocare tempeste.” specificò Isaia “Non credo, però, c’entrino con questa faccenda.”

“Molto bene. Stefano, telefona ad avvisare che andrò a fare una verifica e scrivimi l’indirizzo su un foglietto, io intanto informo Claudia, mi pare avesse clienti solo al mattino e che, quindi, oggi pomeriggio possa venire con me.”

Gabriel ricordava bene, la donna era impegnata solo fino a mezzogiorno, quindi raggiunse Gabriel in Congregazione e pranzò con lui, facendosi raccontare ogni dettaglio del caso e consultando lei stessa il fascicolo. Nel primo pomeriggio andarono assieme a casa di Antonio Colonna. Il ragazzo abitava coi genitori in un ampio appartamento di un palazzotto del centro storico.

Prima di suonare il campanello, Claudia osservò: “Nel resoconto c’è scritto che il ragazzo neghi di avere un potere. Come affrontate normalmente queste situazioni? E, soprattutto, come ne siete venuti a conoscenza?”

“Beh, nel fascicolo c’è scritto chi ha fatto la segnalazione.”

“Mi è sfuggito quel pezzo.”

“Il ragazzo frequenta la parrocchia, i suoi amici hanno parlato parecchio e le voci sono giunte al prete che ha prima parlato con Antonio e poi ha avvisato la Congregazione.”

“Quindi, che approccio avremo?”

“Beh, tu fa iniziare me a parlare e guarda un po’ le loro reazioni e così via, poi quando hai da dire qualcosa lo dici, come hai sempre fatto.”

I due innamorati si baciarono, poi Gabriel suonò il campanello. La porta si aprì di un palmo e un uomo di mezz’età sporse il capo e chiese: “Chi siete?”

“Buon pomeriggio, sono Gabriel Antinori, della Congregazione della Verità e lei è la dott …”

L’uomo sbatté la porta.

“Qualcosa mi dice che non siamo i primi a disturbarli.” Claudia fu ironica nella sua osservazione.

Gabriel suonò di nuovo. L’uomo tornò ad affacciarsi e disse: “Lasciateci in pace, andatevene! Questo non è un circo!”

“Scusi, non l’hanno avvisata del nostro arrivo?” chiese Antinori, paziente.

“Sì. Io ho risposto che avreste fatto meglio ad andare all’Inferno.”

L’uomo fece di nuovo per chiudere la porta, ma questa volta Gabriel fu lesto a far scivolare in avanti il proprio piede per bloccare la porta.

“Se ne vada!” intimò l’uomo “Se ne vada o la denuncio per violazione di domicilio!”

“Mi ascolti, io sto facendo il mio lavoro.” ribatté Gabriel “Antonio è suo figlio? Ci faccia entrare, per favore, vogliamo solo parlare con lui. Se non ha nulla, ce ne andremo e non ci vedrete più, se invece ha realmente un potere, beh forse possiamo aiutarlo, se lo vorrà.”

“Che cosa ne volete saperne voi? Mio figlio ha bisogno di essere lasciato in pace, non di gente che voglia approfittare di lui. Chi siete voi? Altri dirigenti dell’Eni? Giornalisti? Scienziati? Fan delle scie chimiche e altri complotti? E avete pure la faccia tosta di nominare la Chiesa come scusa per intrufolarvi nella mia casa! Potevate studiarla meglio questa pagliacciata, potevate almeno travestirvi da un prete e una suora!”

“Senta, signore.” continuò Gabriel, che iniziava un poco a spazientirsi “Le stiamo dicendo la verità, noi vogliamo tutelare le persone dotate di poteri. Ho visto gente d’ogni tipo: chi lanciava maledizioni tramite disegni, chi dava fuoco alle cose, chi poteva curare gli ammalati e molte altre e io stesso appartengo a questa categoria. Noi vogliamo aiutare Antonio, se davvero ha un dono.”

Intervenne Claudia: “Io sono una psicologa, sono sicura che in questo frangente, qualsiasi sia la natura del fenomeno, Antonio abbia bisogno di parlare. Se ha un potere, sarebbe utile che qualcuno lo aiutasse ad accettare la situazione, se invece sta fingendo o è un’illusione, allora bisognerebbe capire quale disagio vuole compensare o manifestare.”

L’uomo si era piuttosto rabbonito, poi guardò con sfida e sospetto Gabriel e gli disse: “Se è vero che anche tu hai un potere, dimostralo.”

L’ex gesuita non era molto entusiasta ma, se serviva per parlare con il ragazzo, era disposto a ricorrere al proprio potere; in fondo lo aveva già fatto a comando, aveva già visto che poteva controllarlo. Non sapeva, però, come avrebbe reagito Claudia. Sperò che la donna non si spaventasse o non fosse contraria. Girò la mano in modo da avere il palmo rivolto verso l’alto, si concentrò un momento e formò una piccola sferetta di fuoco e fulmine, poi la dissolse.

L’uomo fu soddisfatto e aprì l’uscio. Gabriel e Claudia poterono finalmente entrare e vennero accompagnati fino alla camera del ragazzo.

Il padre disse: “Antonio, ci sono due signori che ti vogliono parlare.”

“Papà, ti avevo detto di non far entrare nessuno! Voglio essere lasciato in pace.”

“Lo so, Antonio, ma penso che loro possano aiutarti davvero.”

“Non ho bisogno di aiuto! Non ho niente!” sibilò il ragazzo.

“Vi lascio.” disse il padre e se ne andò.

Gabriel si guardò un poco attorno, in attesa di ispirazione, poi chiese: “Allora, Antonio, ti va di raccontarci qualcosa?”

“No.” fu la secca risposta “Non c’è nulla da raccontare.”

“C’è chi la pensa diversamente.”

“Allora chiedete a loro!”

“Quello che dicono gli altri lo sappiamo già.” intervenne Claudia “A noi interessa sapere che cos’hai da dire tu.”

“Io vi ripeto che non ho niente da dire.”

“Perché?” insisté la psicologa “Hai paura che si scopra che è una finzione? Che, magari, è pura e semplice fisica, quella che gli altri scambiano per qualcosa di sovrannaturale?”

“Magari! No, il mio problema è totalmente l’opposto. Io dico che non ho poteri, che non ho formule segrete, che non ho fatto assolutamente nulla e la gente non mi crede. Dicono che nascondo le cose e cercano di estorcermi confessioni di cose che non sono in grado di fare!”

“Allora com’è che sono nate queste dicerie?” domandò Gabriel, che come al solito faceva grande attenzione ad ogni cosa.

“Sciocchezze! Una volta, appunto, ho fatto qualche giochetto di semplice elettrostaticismo, per intrattenere a una festa, allora i miei amici hanno iniziato a fare gli idioti, a fare battute, a ricamarci su. Insomma hanno inventato storie su di me e l’elettricità, esattamente come migliaia di persone si inventano aneddoti su Chuck Norris o danno colpe a Pisapia, semplicemente questo.” iniziava ad essere parecchio irritato, la luce del lampadario tremò “Solo che chi non è nella mia cerchia di amici ci ha creduto e, quindi, si è sparsa la voce che ha causato tutto questo trambusto che non mi lascia più vivere.” infine urlò: “Ora che lo sapete lasciatemi in pace!”

Il computer si accese da solo.

Claudia e Gabriel guardarono il computer, poi guardarono Antonio che spiegò: “Ho programmato un accensione a timer. Come lo fanno per le stufette elettriche o il riscaldamento, si può fare anche per il computer.”

Gabriel lasciò qualche secondo di silenzio, poi chiese: “Sei stato davvero colpito da un fulmine?”

“No, anche quella è un’esagerazione. Le pare ch’io potessi correre rischi? Avevo tutto il necessario per essere isolato. Una delle mie apparecchiature è stata colpita dal fulmine, non io.”

“E i tuoi amici hanno ricamato anche su questo?”

“Certamente!”

Gabriel guardò Claudia, in cerca di aiuto, ma anche lei era un po’ spiazzata. La psicologa provò comunque ad istaurare un altro dialogo: “Beh e quindi che cos’hai intenzione di fare, adesso? Rimanere chiuso in casa finché le acque non si saranno calmate? Non ti sembra un po’ eccessivo? Anzi, il non farti vedere potrebbe alimentare queste dicerie e, in ogni caso, perderesti mesi della tua vita, ne vale la pena?”

“Come ho intenzione di condurre la mia vita, non sono affari suoi.” ribatté Antonio, nervoso.

I capelli di Claudia si sollevarono verso l’alto.

“Comunque, se proprio lo vuole sapere, no, non getterò via mesi della mia vita: sto facendo la richiesta di trasferimento a Bologna per l’università, una volta là nessuno saprà nulla e starò bene.”

“Fuggire non è una soluzione.” replicò la psicologa “Se davvero è tutto falso, dovresti stare a testa alta in mezzo agli altri, ignorarli, ridere anche tu di questi fatti, se invece c’è del vero, allora dovresti fidarti di noi, possiamo aiutarti.”

“Non c’è nulla di vero! E andarsene per un po’ è l’ideale: tra qualche mese avranno trovato qualcos’altro di cui parlare e si saranno scordati di me e io potrò tornare, ma adesso … è tremendo! Dovrebbero inventare un altro di quei reati strani come lo stalking o il mobbing, lo si potrebbe chiamare persecutering o rompipalling!”

Vedendo che non c’era modo di ottenere altre informazioni, Gabriel e Claudia se ne andarono. Il padre del ragazzo sembrava molto dispiaciuto del fatto che non fosse cambiato nulla; Antinori gli lasciò il proprio numero di telefono, nel caso Antonio avesse cambiato idea.

“Che idea ti sei fatta?” domandò Gabriel, una volta saliti in auto.

“Qualcosa di strano c’è. Antonio mi è parso più spaventato e preoccupato, che non seccato, nonostante quella fosse l’idea di sé che volesse trasmettere. Inoltre il padre sembra veramente convinto dell’esistenza di un potere e non credo che si faccia influenzare dal chiacchiericcio di ragazzi; per di più non vedo affatto l’utilità di un timer per accendere il computer e, infine, i miei capelli devono essere pettinati, perché sono ridotti decisamente peggio di quando ci si sfregano sopra dei palloncini o della lana.”

“Incredibile! Tu che accetti il paranormale?” scherzò l’uomo.

“Non ho detto che sia innaturale, può esserci una spiegazione scientifica.”

“Ad esempio?”

“Alcune persone sottoposte a un grande shock o spavento, come il trovarsi casualmente in mezzo ad una sparatoria per esempio, hanno accumulato una forte carica magnetica che è durata per anni. Ci sono casi sia di uomini, sia di donne che dopo un’esperienza di quel tipo, per anni hanno fatto suonare i metaldetector o i sensori antifurto all’uscita dei negozi. Ad Antonio può essere capitato qualcosa di simile, ma con l’elettricità. Insomma, lui stava lavorando da mesi ad esperimenti sull’elettricismo e i fulmini, potrebbe avere accumulato molta energia elettrica dentro di sé e, magari, il fulmine caduto vicino a lui ha intensificato maggiormente il fenomeno. Il suo corpo, ora, sta rilasciando questo eccesso di elettricità che ha accumulato. Insomma, capita normalmente, magari quando si scende dall’auto o se si indossano abiti di lana, di dare la scossa alla prima persona che tocchiamo. Dovremmo far fare ad Antonio un elettrocardiogramma ed un elettroencefalogramma per verificare se ci sono anomalie di questo tipo.”

“Finché non ammette il problema, però, non possiamo far nulla.” osservò Gabriel.

“Forse, parlandogliene in questi termini, accetterà di confidarsi con noi e potremo aiutarlo. Mi documenterò per bene su internet e poi proveremo a parlargli di nuovo, oppure potremmo usare il padre come tramite, si vedrà.”

Gabriel sorrise, era felice di avere l’aiuto di Claudia. Per un attimo fu tentato di chiederle che cosa ne pensasse del fatto che lui avesse dato una dimostrazione del proprio potere, ma poi preferì continuare a non farne menzione e, nel caso, lasciare che fosse lei ad introdurre l’argomento.

 

Il pomeriggio del secondo giorno in cui si trovava presso la villa di Serventi, Giuditta decise di dare uno sguardo approfondito alla biblioteca. In parte sperava di trovare qualche informazione utile, in parte era curiosa ed interessata a quei volumi.

La biblioteca era un vasto salone con scaffali in noce pieni di libri, vi erano anche un tavolo, delle seggiole e un divano.

La ragazza stava scorrendo i titoli di alcuni di essi, quando sentì la voce di Gaspare dirle: “Inutile che rovisti: non abbiamo album da colorare.”

Giuditta si voltò, con sguardo torvo, e vide il giovane entrare nella stanza, prendere un libro e sdraiarsi sul divano.

Da quando era arrivata, quella era la prima volta che si trovava da sola con lui, anzi, in realtà non lo aveva proprio visto se non a tavola e, ovviamente, lui l’aveva ignorata. La ragazza era decisa a fargli cambiare opinione su di lei: insomma, di solito lei era isolata dalla gente comune, ignorante, mentre era ben accolta e ricercata dai colti e dai dotti.

Gaspare aveva conoscenze vastissime e si era dimostrato davvero più abile di lei nella Scienza Sacra. Giuditta non era arrabbiata con lui per queste sue qualità, anzi le ammirava; lei era furiosa per come la trattava e per il fatto che non la considerasse nemmeno degna di imparare qualcosa da lui.

La giovane, avvicinandosi al divano, osservò: “Non ti sei fatto vedere in giro, in questi due giorni.”

“Ho preferito stare in camera mia: non volevo fare cattivi incontri.”

La ragazza controllò di avere una scollatura che mostrasse un po’ del seno, poi si sporse verso l’uomo e gli disse: “Indovina che libro stavo cercando.”

“Questa domanda non ha senso.”

“Era solo per fare conversazione.” si indispettì lei, poi si sforzò di tornare con un tono dolce: “Comunque stavo cercando L’Orlando Furioso.”

“E a me cosa dovrebbe importare?”

Gaspare era rimasto assolutamente impassibile alla vista delle tette della ragazza a pochi centimetri dal suo viso. Giuditta rimase basita per quell’indifferenza; si indignò nell’essere considerata una bambina; a denti stretti ribadì: “Era solo per fare conversazione.”

“Prendi una sedia.”

“Ma io …”

“Siediti!”

A un ordine così perentorio, la donna obbedì e rimase ad aspettare.

“Allora? Su, parla.” la esortò Gaspare, dopo alcuni momenti di silenzio; il suo tono era stato come quello di chi fa una gentile concessione.

Giuditta rimase stupita, non se lo aspettava e fu colta alla sprovvista.

“Beh, non so che dire …”

Gaspare rise amaramente, scosse il capo e sospirò: “Eh, questa smania di parlare, quando non si ha nulla da dire!”

“Parla tu, allora!” ribatté la donna.

“Sei tu quella che vuol conversare, mica io. Ho voluto darti la possibilità di sorprendermi, dicendomi qualcosa di interessante e, invece, non hai affatto smentito il fatto di essere una banale ragazzina.”

“Banale un corno! Su, sono proprio curiosa, quante ragazze e ragazzi esperti nella Scienza Sacra conosci?”

Gaspare rimaneva sdraiato sul divano a guardare il soffitto, non si era mai voltato verso la donna.

“Innanzitutto, non ti devi definire esperta, perché non lo sei. In secondo luogo, sì, ti do atto che effettivamente io sono abituato a frequentare gente fuori dall’ordinario. Ero abituato a conversare con Rebecca, che ti era di gran lunga superiore in tutto.”

“Riuscirai mai a stare cinque minuti senza offendermi?!”

“Non prendertela, non ti sto affatto offendendo: sto facendo delle constatazioni basandomi su dati oggettivi.”

“Ma che dati oggettivi, se hai deciso di disprezzarmi dopo la prima occhiata?! Non ti sopporto!”

“Questo lo sai già da un po’. La vera domanda, dunque, è questa: se davvero mi detesti, perché non te ne sei andata via dalla stanza, appena mi hai visto? Perché ti ostini a parlarmi e non mi ignori, cosa che farebbe stare meglio entrambi?”

Giuditta si sentì ancor più punta nel profondo, era quasi sul punto di piangere, ma si controllò; abbassò il capo e, forse, arrossì. L’uomo non si accorse di nulla, poiché non aveva smesso di fissare il soffitto.

“Hai perfettamente ragione.” disse poi la ragazza, si alzò in piedi e andò verso la porta.

“Grazie mille.”

“Per averti dato ragione?” chiese lei, fermandosi.

“No, ma per il fatto di andartene: così resterò finalmente in pace.”

Giuditta rifletté un poco, poi si voltò di nuovo verso il giovane e gli disse: “Beh, in tal caso, allora rimango qui. Voglio infastidirti.”

“E poi ti lamenti se dico che sei infantile? Fa pure, se vuoi, ma sappi ch’io non tacerò e continuerò a criticarti.”

“E io ti risponderò per le rime.”

Una risatina divertita, poi l’uomo chiese: “Come fa a sopportarti quel ragazzotto che hai sempre attorno? È così disperato, oppure ha perso una scommessa o è semplicemente masochista? Anzi, no, lo paghi, forse, per farti compagnia?”

“Stefano mi vuole bene!”

“Ce ne sono di pazzi, in giro.”

“Se tu sei quello normale, allora la follia è decisamente meglio.”

“Io non sono normale, io sono l'eccezionalità.”

“Non si nota granché. Stefano è decisamente migliore di te, perché anche se è colto, non si atteggia a superiore; è gentile, sensibile e altruista!”

“Davvero? Un marmocchio che sta sempre attaccato alla sottana del maestro e prende tutto ciò che dice per oro zecchino non lo definirei migliore.”

“Il suo maestro è tuo fratello, ti ricordo.”

“Fratellastro, prego; però non c’entra nulla.”

“Comunque che male c’è se vuole imparare? Io la trovo una cosa lodevole.”

“Sì, è lodevole, ma lo sarebbe ancor di più se il buon Stefanino iniziasse a pensare con la propria testa... essere più indipendente …”

Giuditta fremette: effettivamente quello era ciò che rimproverava ogni tanto all’amico, ma non poteva certo ammetterlo in quel momento.

Gaspare continuò: “Non credo d'esser l'unico a pensar ciò.” ghignò, compiaciuto e sprezzante “Sbaglio, per caso?”

“D'accordo, ha i suoi difetti come tutti, almeno i suoi fan tenerezza, mentre i tuoi sono irritanti e basta!”

La donna si accorse che l’uomo stava facendo una smorfia, ma non riuscì a vedere per bene, dato che lui continuava a fissare il soffitto e non lei.

“A me, più che tenero, sembra patetico. Lascia quel criceto nella sua tana e cercati un uomo vero e che sappia farsi valere.”

“Forse hai ragione, ma non conosco nessuno che corrisponda a questa descrizione.” ribatté la giovane, nella speranza di scalfire il proprio interlocutore.

“Non deve venirti in mente; la risposta ce l’hai davanti ai tuoi occhi.”

Giuditta rimase confusa e spiazzata, dopo qualche momento si scosse e replicò, cercando di essere ironica, ma non riuscendo a nascondere del tutto il nervosismo: “Ti prego, la prossima volta che vai a trovare tuo fratello, chiedi alla Munari che cosa puoi fare per il tuo grave caso di bipolarismo. Ti faccio presente che finora non hai fatto altro che ribadire quanto io sia infima rispetto a te e che la mia sola presenza è un tedio.”

“Frena i tuoi voli pindarici da adolescente! Il mio era solo un esempio di come sia un vero uomo, non un incoraggiamento a perseguitarmi. Comunque, ammetto che ho sbagliato a consigliarti di cercare un uomo vero: andresti in contro a una marea di rifiuti.”

“Si può sapere qual è il tuo problema?” si spazientì la ragazza.

“Io non ho problemi. Non vedi come sono tranquillo? Sei tu quella che si sta agitando.”

“Se tu fossi meno aggressivo nei miei confronti, io sarei decisamente più calma.”

“Aggressivo? Non mi pare affatto.”

“Perché non vuoi ammettere che sono brava?”

Gaspare ridacchiò ancora e poi disse: “Vorresti essere considerata un’adulta e poi cerchi approvazione come una bambina. Se tu fossi realmente sicura di te, non ti importerebbe nulla di ciò che dico; il fatto che tu aneli costantemente ad avere un briciolo di riconoscimento da parte mia, significa che sai perfettamente quanto poco vali e quanto ti sono superiore.”

Giuditta rimase interdetta, non sapeva che cosa replicare: effettivamente quel ragionamento non faceva una piega. Decise di provare a cambiare strategia; si avvicinò al divano, si sedette sul pavimento e chiese con tono gentile: “Perché non mi insegni qualcosa?”

Finalmente Gaspare voltò il capo e la guardò, poi le mise una mano sulla testa e rispose: “Volentieri, ma voglio libero e totale accesso alla tua mente e alla tua volontà.”

“Questo mai.” replicò la donna, con fermezza.

“Allora rimani nell’ignoranza e non ti lamentare per come ti tratto.” tagliò corto l’uomo, che aprì il libro che aveva preso e si mise a leggerlo, per dimostrarle che la conversazione era finita.

Giuditta, alquanto seccata, uscì dalla biblioteca.

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Capitolo 27
*** Le preoccupazioni di Gabriel ***


Gabriel era un poco rattristato: erano trascorsi un paio di giorni e non aveva avuto alcuna notizia da parte di Antonio Colonna; forse davvero il ragazzo non aveva alcun potere. Claudia, comunque, stava portando avanti la propria ricerca per dare una spiegazione scientifica al fenomeno.

Gabriel, invece, aveva deciso di fare un ulteriore passo nella sua progettazione di un qualcosa che potesse aiutare la gente coi poteri. Aveva ripreso i fascicoli dei ragazzi che aveva conosciuto negli ultimi anni e aveva iniziato a contattarli uno per uno; voleva che si ritrovassero tutti assieme per ascoltarli e capire di che cosa avessero bisogno, di quale tipo di aiuto e sostegno necessitavano.

Gabriel era dunque intento in questa operazione e Claudia gli faceva compagnia, pur lavorando ad altro al computer, quando furono raggiunti da Isaia che aveva un’espressione piuttosto grave.

“Che cosa succede?” si preoccupò Antinori.

“Ho ricevuto una telefonata dal mio amico padre Aniello.”

“Il napoletano?”

“Sì. Pare ci siano dei problemi sul lago Averno. Da alcuni giorni hanno ricominciato ad elevarsi colonne sulfuree come descritte nei testi antichi.”

“E quindi?” chiese Claudia “Non se ne dovrebbero occupare, chessò, dei geologi?”

“L’Averno era considerato l’ingresso degli Inferi, nell’antichità.” spiegò Isaia.

“Superstizione, facilmente smentibile.” ribatté la psicologa.

“Sicuramente non c’è una scalinata che porta da Lucifero, tuttavia non è da escludere la possibilità che vi sia un portale per una dimensione infernale.” replicò il gesuita “Non si tratta solo di vapori ed esalazioni di gas, tuttavia. Chiunque sia entrato nell’area non ne è uscito, ma le person non sono sparite, sono rimaste entro un perimetro (sono state avvistati con i binocoli), non c’è stato verso però di convincerle a tornare indietro e sembrano non ricordare o riconoscere nessuno dei loro amici o famigliari.”

“È un caso di cui si debba occupare la Congregazione?” si stupì la psicologa “Esalazioni di fumi sicuramente tossici e gente che perde la memoria, mi pare che la connessione di causa effetto sia abbastanza evidente.”

“Diciamo che è una prova indiziale, ma non è la sola spiegazione. Padre Aniello mi ha fatto cenno di altri eventi di cui, però, mi vuole parlare di persona, inoltre già in passato si sono registrate attività di natura sospetta da quelle parti. Pensavo di andare a verificare io stesso.”

“Va bene, direi che è un’ottima idea.” annuì Gabriel.

“Pensavo di portare Stefano con me, credo che sia una buona occasione per fargli fare esperienza sul campo.”

Antinori pensò un poco poi disse: “Sì, è vero; finora è sempre rimasto in biblioteca a fare ricerche, un po’ di pratica gli farà bene.”

“Perfetto, allora lo avviso e partiremo oggi stesso.”

“Ottimo, teniamoci aggiornati sui casi.”

Isaia salutò e uscì dalla stanza, pronto ad organizzare la trasferta.

Claudia guardò con leggero disappunto Gabriel e gli chiese: “Sei certo che sia una buona idea mandare Stefano in verifica con quell’esagitato del sedicente tuo amico?”

“Sono certo che a Stefano farà bene un po’ di pratica, un po’ di contatto con fatti concreti. Inoltre non è certo il tipo da farsi influenzare ed impressionare, anzi, è piuttosto scettico come te e potrebbe bilanciare il carattere di Isaia.”

“Lo spero, anche perché poi suo padre se la prenderebbe con me, se lui iniziasse a essere un bigotto fanatico. Ero contenta che Giuditta fosse andata via, così che la smettesse di confondere le idee di Stefano e adesso, invece, si intromette addirittura Isaia. Accidenti, chissà quali orribili cose gli potrebbe dire su di te!”

“Claudia, so che tu vorresti qualche prova più concreta del fatto che Isaia sia tornato leale a me e alla Congregazione, ma come fa a dimostrarlo se non gliene diamo la possibilità?”

“Innanzitutto risolvere questo caso non sarebbe la dimostrazione di un bel nulla, in secondo luogo continuo a non vedere la necessità di coinvolgere Stefano.”

“Non ti sembra di essere un po’ troppo protettiva verso di lui?”

“No!” Claudia poi si calmò un attimo e spiegò: “Ho fatto da babysitter a quel ragazzo, quand’era bambino. Il primo anno di università feci un breve tirocinio presso il dottor Fabbri, avevo bisogno di soldi perché volevo cercare di rendermi indipendente dai miei nonni; Ettore mi propose di fare da babysitter a Stefano e aiutarlo nello studio, all’epoca era alle elementari. Per diversi anni ho trascorso quasi ogni pomeriggio a badargli, quindi è chiaro che mi senta in parte responsabile di lui.”

“Non lo sapevo. Comunque, Stefano non è più un bambino e da molto tempo. È un giovanotto che si è dimostrato coscienzioso, prudente, consapevole, non devi essere così apprensiva. Sa perfettamente cavarsela e gestire le situazioni.”

“Me lo auguro.”

Ancora una volta Claudia si sentiva in competizione con la Chiesa. Non le pareva possibile che qualcuno stesse sia dalla sua parte che da quella di San Pietro. Riteneva che le loro posizioni fossero opposte e assolutamente inconciliabili e, dunque, temeva sempre di perdere le persone che si avvicinavano troppo alla religione e lei faceva sempre di tutto per tenerle legate a sé. Inoltre, riteneva di farlo per il loro bene: insomma, lei aveva ragione, lei stava dalla parte di ciò che è reale e concreto, scientifico! Chi si affidava alla Chiesa, invece, si rivolgeva a una bugia a una serie di invenzioni a cui si affida chi non ha la forza di reagire alle situazioni difficili a chi non le sa affrontare e delega le proprie asperità a qualcosa di altro e inesistente. Claudia non poteva permettere che le persone a cui teneva si confinassero in quella finzione.

La discussione, comunque, si concluse così e loro due continuarono a fare ciascuno il proprio lavoro.

Più o meno un’ora dopo, il cellulare di Gabriel squillò, guardò chi fosse: un numero che non aveva registrato in rubrica. Rispose.

“Pronto.”

“Pronto; signor Antinori, è lei?” chiese una voce maschile piuttosto agitata.

“Sì. Chi parla?”

“Sono il signor Colonna, il padre di Antonio …”

“Mi dica tutto.”

“… lo hanno rapito!” esclamò l’uomo preoccupatissimo.

“Rapito? Chi? Perché?”

“Non lo so, ma venite subito, vi prego!”

“Sì, certo.”

Gabriel riagganciò, riferì rapidamente a Claudia e subito piantarono il lavoro per andare a casa Colonna.

“Che cosa credi sia successo? Chi può essere stato?” domandò la psicologa, mentre andavano verso l’automobile.

“Serventi, sicuramente è stato lui! Chi altro c’è che va in giro a sequestrare giovani dotati di poteri?”

“Non abbiamo ancora stabilito che Antonio avesse poteri. Inoltre, non ci risulta che Serventi abbia mai effettivamente rapito qualcuno; per quello che sappiamo noi, sono sempre stati tutti d’accordo di seguirlo.”

“Magari Antonio era consenziente e il padre non lo sa, in fondo aveva progettato di andarsene. Appena saremo a casa sua, ci faremo spiegare meglio quel che è accaduto.”

Arrivarono in poco tempo, suonarono il campanello e l’uomo li fece subito entrare. Questa volta c’era anche sua moglie, sul divano, che piangeva.

“Grazie per essere venuti subito, non sappiamo che cosa fare!” disse l’uomo, rosso per l’agitazione.

“Speriamo di poterle essere d’aiuto.” replicò Gabriel “Ci dica cos’è successo.”

“È presto detto. Circa un’ora fa sono arrivati alcuni tizi col volto coperto, sono entrati di prepotenza in casa. Avevano delle pistole e hanno intimato ad Antonio di seguirli e lui è andato per evitare che se la prendessero con noi.”

“Non avete chiamato la polizia?” chiese Claudia.

“No. Hanno detto che lo avrebbero ucciso, se ci fossimo rivolti alle forze dell’ordine.”

“Vogliono un riscatto?” chiese ancora la psicologa.

“No, non credo.” rispose l’uomo “Mi è parso fossero interessati ad Antonio.”

“Avete idea di chi potessero essere quegli uomini?” domandò ancora Gabriel “Qualcuna delle persone che si sono interessate a vostro figlio negli ultimi tempi per via della questione dell’elettricità?”

“È quello che ho pensato anch’io. Si sono però presentate così tante persone che non saprei di chi si potrebbe trattare, non le ricordo nemmeno tutte.”

“Si è mai presentato qualcuno di nome Bonifacio oppure Serventi? Di solito ha un bastone da passeggio.”

“No, non mi pare.”

Gabriel rimase un poco deluso e pensò che, forse, si era presentato qualcun altro del Candelaio.

Claudia domandò: “Non c’è stato nessuno di particolarmente insistente? Qualcuno che è passato più volte o che, magari, ha telefonato spesso?”

“No, assolutamente … per lo meno non sul telefono di casa.”

La psicologa esitò qualche momento, poi chiese: “Ci permettete di controllare il cellulare e, magari, le mail di vostro figlio? Potrebbe essere stato contattato privatamente a vostra insaputa.”

“Sì, certo; fate pure tutto quello che ritenete necessario.”

Gabriel e Claudia andarono nella camera del ragazzo. L’uomo si mise a controllare il telefonino, mentre la donna accese il computer, sperando che Antonio avesse le proprie password in memoria nel computer, per controllare le mail e i social network.

L’ex gesuita non trovò nulla di interessante, a parte una lunga serie di chiamate ricevute e perse da un numero che era stato salvato sotto il nome di Seccatore. Non trovò nessun sms da parte di quel mittente, forse erano stati cancellati.

Claudia fu più fortunata, sul profilo facebook non trovò nulla, ma nella casella di posta elettronica vide subito almeno una ventina di mail provenienti dallo stesso mittente: tommaso.liguori@ricerca.enel.it.

Lessero velocemente quelle mail, avevano tutte lo stesso argomento: cercavano di convincere Antonio a collaborare col settore di ricerca e sviluppo dell’Enel, parevano convinti che lui avesse scoperto una qualche formula fisica che permettesse di produrre una gran quantità di energia elettrica in maniera gratuita o a poco prezzo e, quindi, erano interessati a comprare tale formula, oppure ad assumere lui e altre proposte simili, con offerte di ingenti somme di denaro nelle ultime mail.

Nelle risposte, Antonio aveva sempre negato di aver effettuato alcuna scoperta scientifica e ribadiva che si trattava solo di fandonie, quelle di cui andavano dicendo i suoi amici su internet.

“Abbiamo trovato il nostro rapitore.” disse Claudia.

“L’Enel rapirebbe della gente?” rimase basito Gabriel.

“Ci sono persone che farebbero di tutto per aumentare i propri guadagni. Poter produrre energia a costo zero è un’opportunità che farebbe gola a chiunque, mi sembra strano che altre aziende non lo abbiano individuato.”

“I suoi amici parlavano di poteri soprannaturali, se per caso anche altre aziende avessero sentito parlare di lui, probabilmente non lo hanno preso sul serio. Dobbiamo supporre anche noi che realmente non si tratti di una sua scoperta scientifica, altrimenti avrebbe accettato le offerte dell’Enel, l’ultima era di una cifra a 4 zeri al mese.”

“Forse sapeva di poter ottenere di più e aspettava di sentire altre campane.”

“Comunque sia, non dobbiamo occuparci di questo, ma capire dove possa essere adesso. Lo avranno portato in una sede dell’Enel? No, avrebbe attirato troppa attenzione. Un luogo informale, probabilmente.”

“Come l’abitazione di questo signor Liguori?” ipotizzò Claudia “In fondo in una mail ha proposto ad Antonio di andarlo a trovare a casa sua, forse l’hanno portato lì.”

“Giusto! Leggiamo a modo le mail e vediamo se c’è un indirizzo.”

Fecero attenzione e lessero rapidamente, ma senza lasciarsi sfuggire nulla, finalmente trovarono ciò che cercavano. Gabriel trascrisse l’indirizzo su un foglietto, poi lui e Claudia uscirono dalla stanza.

Il signor Colonna li vide e chiese: “Allora, avete scoperto qualcosa?”

“Abbiamo un sospetto, andiamo a verificare.” rispose Gabriel “Le garantisco che farò di tutto per riportare qui Antonio sano e salvo.”

L’ex gesuita e la donna salirono in automobile e partirono subito, sperando che non fosse troppo tardi e che non fosse già accaduto nulla di grave. Gabriel inserì l’indirizzo nel navigatore e Claudia premette sull’acceleratore e, durante il viaggio, non fece troppa attenzione ai limiti di velocità.

“Che cosa facciamo una volta là?” chiese la psicologa.

“Non lo so di preciso. Io preferirei che tu rimanessi in macchina.”

“Come? E perché?”

“Beh, in macchina col motore acceso, pronta a ripartire appena io e Antonio usciamo. Insomma, potremmo essere inseguiti e, quindi, è bene avere pronto il mezzo per la fuga.”

“Mi stai prendendo in giro? Pensi davvero ch’io ci creda?”

“Non è assurdo quel che ho detto e poi, sinceramente, già non mi piace che qualcuno che non conosco si trovi in mezzo a malintenzionati armati di pistole, figurati come posso sentirmi al fatto che ti ci vada ad inserire tu, che sei la donna che amo.”

“Sì, so esattamente come ti senti: proprio come mi sento io, sapendo che tu andrai là dentro. Gabriel, devi smetterla di essere così protettivo con me, perché anche tu corri un sacco di pericoli, molto spesso e non mi piace certo l’idea di stare a casa, in ufficio o non so dove ad aspettare il tuo ritorno o una brutta notizia. Io voglio essere con te, al tuo fianco, nel bene e nel male, nelle difficoltà e nella tranquillità. Lo capisci questo?”

“Certo e, credimi, questo mi rende felice e anch’io ho questo desiderio, ma dobbiamo essere oggettivi: sei al quinto mese di gravidanza, sei più lenta, più impacciata nei movimenti; riconoscilo saresti più di impaccio che di aiuto in un momento d’azione e pericolo.”

Claudia non replicò a queste parole: effettivamente era vero che non poteva dire di essere al massimo della sua forma fisica. Tuttavia, disse. “Questo significa che quando il bimbo sarà nato, tu la smetterai di essere così apprensivo?”

“Quando il bambino sarà nato, faremo a turni per metterci in pericolo, va bene?” era a metà tra il seccato e l’ironico.

“I turni?!”

“Certo, mica possiamo rischiare le nostre vite in contemporanea! Se dovesse capitare qualcosa di fatale ad entrambi nello stesso momento, che ne sarebbe di nostro figlio? Sappiamo entrambi che non è bello vivere senza i propri genitori, noi almeno avevamo dei parenti, ma lui non avrebbe nessuno; ci pensi? Finirebbe in un orfanatrofio!”

“Sei troppo catastrofista!” Claudia cercò di sdrammatizzare “E poi non è vero che non ha parenti, quel tuo fratello sembra simpatico, hai detto di esserti divertito con lui. Nominiamolo tutore del piccolo, così, se a noi capitasse qualcosa, lui avrebbe subito la patria potestà, senza problemi legali.”

“Gaspare?! Ma è fuori discussione … E poi, insomma, vorresti che nostro figlio crescesse con Serventi?! Piuttosto, Isaia.”

“Cosa?! No, no! È un pazzo!”

“Meglio Serventi?”

“Meglio un pazzo razionale e scientifico, piuttosto che un fanatico religioso.”

“Razionale? Ma se parla di profezie a cui tu stessa non credi!”

Rimasero in silenzio qualche istante, finché Claudia esclamò: “Alonso! Lui sarebbe perfetto!”

“No, è troppo avanti con l’età, non lo riterrebbero idoneo. Forse Stefano …”

“Solo se smette di frequentare i Morganti.”

“Senti, Claudia, ma è proprio necessario ipotizzare la nostra morte?”

“Sei tu che hai iniziato a dire che potremmo morire.”

“No, io ho solo detto che dobbiamo evitare di morire nello stesso momento.”

“È la stessa identica cosa!” borbottò Claudia.

“Possiamo parlarne un’altra volta? Possiamo pensare ad Antonio, adesso?”

“Sì, hai ragione, comunque non credere che la discussione finisca qui.”

Gabriel non replicò oltre, ma sperò che il nervosismo di Claudia fosse dovuto alla gravidanza e che, una volta nato il bambino, sarebbe stata più ragionevole. L’uomo pensò anche che avrebbe dovuto sposare Claudia al più presto: lui era proprietario di una villa e aveva un discreto patrimonio in banca; se però lui fosse morto, la psicologa non avrebbe potuto ereditare. Gabriel si ripromise di andare al più presto da un notaio per fare testamento e poi avrebbe pensato a come proporre a Claudia di sposarsi.

Si stupì dell’apprensione che lo aveva colto, tuttavia negli ultimi due anni aveva visto morire così tanta gente e lui stesso aveva rischiato, che voleva assolutamente premurarsi che ai suoi cari non mancasse nulla, se fosse accaduta una disgrazia.

Arrivarono davanti alla casa di Tommaso Liguori. Claudia posteggiò, poi guardò Gabriel e con preoccupazione disse: “Vai, ti aspetto. Fai presto, mi raccomando.”

“Farò il possibile.”

Gabriel andò alla porta, suonò il campanello, poi si rese conto che forse non era la strategia giusta, ma ormai era tardi. Dopo un paio di minuti, però, non accadde nulla. L’uomo allora decise di provare a fare appello al proprio potere: dopo che era riuscito a creare una piccola sferetta e a controllarla come dimostrazione al signor Colonna, aveva deciso di esercitarsi un poco in quei due o tre giorni.

Gabriel, allora, si concentrò, riuscì a creare un’altra sferetta di un paio di centimetri di diametro e la scagliò contrò la serratura, provocando una piccola esplosione che aprì l’uscio. L’uomo entrò e cercò di capire dove potesse essere Antonio. Sentì delle voci provenire dal piano superiore, per cui salì le scale e trovò la stanza dove si trovavano il ragazzo e i suoi rapitori.

Gabriel si avvicinò, camminando furtivamente, rasente alla parete; arrivato accanto alla porta, si fermò per ascoltare.

“Su, Antonio, noi ti stiamo venendo incontro, cerca di capire che hai solo da guadagnarci a collaborare con noi.” stava dicendo qualcuno.

“Credetemi, se potessi farlo, lo farei, ma io non ho alcuna formula, non ho scoperto nessuna nuova legge.”

Gabriel riconobbe che quella era la voce del ragazzo.

“Va bene, ti concediamo il brevetto e il riconoscimento dalla comunità scientifica; accetta, però, di essere un nostro collaboratore.”

“Signori, state certi che non rifiuterei una simile offerta, ma se l’accettassi vi ingannerei, perché io non ho nulla di speciale da poter condividere con voi.”

“Ho capito, non vuoi essere alle dipendenze di nessuno. Che ne dici, allora, di aprire una società io e te? Dividiamo tutto fifty-fifty, io ci metto il capitale di partenza e tutto quanto è necessario. Che ne dici? Così ti piace di più?”

“Signor Liguori, mi creda, se potessi, avrei accettato sicuramente, ma non ci sono le condizioni.”

Si sentì un sospiro.

“Antonio, io sono paziente, molto, ma tu mi hai portato al limite. Se non accetterai con le buone, forse una piccola sana dose di dolore servirà a convincerti.” si sentì il rumore dello scarrellare di una pistola “Te lo chiedo ancora una volta. Vuoi metterti in affari con me?”

Gabriel, sentendo il suono dell’arma, si era allertato, aveva sporto un poco la testa dentro la stanza e aveva visto il ragazzo seduto su un divanetto e tre signori che gli stavano attorno.

Antonio, quasi con le lacrime agli occhi, poiché sapeva benissimo che cosa rischiava, ripeté: “Non posso, mi creda, non posso!”

Liguori stava per premere il grilletto, per ferire il giovane a qualche arto.

Gabriel, preso dall’istinto, entrò nella stanza, mani tese in avanti, le sue saette di fuoco si abbatterono sui tre uomini, che iniziarono a dimenarsi e ad urlare. I loro occhi si fecero larghi e neri, i lineamenti dei loro volti subirono degli inasprimenti.

Gabriel si rese conto di quel che stava facendo, interruppe l’attacco, ma ormai era tardi: i tre uomini erano stati demonizzati.

L’ex gesuita era sorpreso, non sapeva cosa fare, ma prima ancora che potesse preoccuparsi o pensare a qualcosa, vide Antonio alzarsi in piedi e far abbattere tre fulmini su quegli uomini che caddero a terra, morti.

Gabriel rimase esterrefatto e disse: “Allora i poteri ce li hai. Perché lo negavi?”

“Guardi questi cos’erano disposti a farmi, pensando che avessi scoperto una formula, come crede che mi avrebbero trattato, se avessero scoperto che potevo essere la loro bobina Tesla di energia infinita? Non mi avrebbero più considerato una persona, ma una macchina per arricchirsi, non è d’accordo con me? Mi pare che anche lei tenga nascosti i suoi poteri, o sbaglio?”

“Hai ragione, scusami. Vieni, ti riporto a casa.”

Antonio non se lo fece ripetere. Gabriel guardò i cadaveri, poi decise che poteva lasciarli lì: sarebbe stato un altro caso irrisolto della polizia.

I due uscirono dalla casa, salirono sull’auto. Claudia, vedendo l’espressione turbata di Gabriel, decise di non chiedere nulla, per il momento.

 

Giuditta era nella propria stanza, si stava rilassando, ascoltando un cd di musica classica e disegnando su un blocchetto di fogli; non era brava a disegnare, però le piaceva.

Sentì bussare. La ragazza disse: Avanti, ma nessuno entrò. Allora lei si alzò, andò verso la porta e si accorse che qualcuno aveva fatto passare un biglietto sotto l’uscio; lo raccolse e lesse: Vieni al terzo piano, ultima camera in fondo al corridoio. Il prima possibile.

Giuditta rimase sorpresa per quella maniera di invitarla da qualche parte e si chiese chi mai fosse a contattarla in quel modo, comunque uscì dalla stanza e si diresse verso le scale. Cosa che la stupiva maggiormente era che, quando aveva fatto il giro della casa Temistocle le aveva detto che le stanze del terzo piano erano adibite a ripostigli. Quell’informazione l’aveva indotta a credere che sarebbe stato interessante esplorarle per cercare di scoprire qualcosa di importante, ma non ne aveva ancora avuto occasione, quindi quel curioso invito poteva essere utile per una prima perlustrazione.

Giuditta arrivò nel corridoio; c’erano cinque porte a destra e altrettante a sinistra, più una sulla parete di fondo; la donna pensò che fosse quella la porta indicatole, per cui la raggiunse e l’aprì: era uno stanzone completamente vuoto e tutto dipinto di bianco: pareti, soffitto, pavimento; tutto, tutto bianco. La ragazza si sentì addirittura spaesata da tutto quel candore, in un secondo momento notò che non vi era una fonte di luce, nessun lampadario o lampada, ma la stanza era illuminata da qualcosa di non identificabile. Un’altra cosa che notò fu che le pareti erano state molto probabilmente insonorizzate, infatti non si sentiva più nessun rumore e quel silenzio era parecchio inquietante e la faceva innervosire.

Non in ultimo si era accorta che in piedi al centro della stanza c’era Gaspare.

“Benvenuta!” le disse con un sorriso poco rassicurante “Sai che cos’è questa?”

“Il tuo patetico tentativo di sentirti come tuo fratello, quando resuscita le persone?”

Giuditta credeva che ricambiare l’atteggiamento sprezzante dell’uomo le avrebbe fatto guadagnare rispetto, ma non era la strategia più idonea.

Gaspare, con calma solenne, rispose: “No, questa è una wunderkammer, una stanza delle meraviglie.”

“Nell’Ottocento erano piene di oggetti, per quel che so io.”

“Infatti la riempiremo e svuoteremo tante e tante volte, grazie al potere delle nostre menti.”

Giuditta era un poco inquietata dal tono gentile di Gaspare e dal fatto che non l’avesse ancora insultata.

L’uomo si mise a sedere e, mentre compiva il movimento, comparve per accoglierlo una poltroncina settecentesca, di velluto rosso, con le parti in legno in oro, i piedi che erano a forma di zampe di grifone.

La ragazza sgranò gli occhi ed era esterrefatta.

“Cosa c’è che non va?” chiese Gaspare, finalmente derisorio “Come mai così stupita? Non dirmi che tu non sei in grado di far apparire oggetti.”

“Certo che ci riesco, ma non così! Devo concentrarmi, sentire l’energia nelle mie mani e impiego una decina di minuti per un oggetto di modeste dimensioni. Per una seggiola come quella mi occorrerebbe almeno una mezz’ora!”

Ciò che meravigliava maggiormente la donna era che non conosceva nessuno, nemmeno fra i Franchi Giudici, che fosse in grado di agire così rapidamente.

Gaspare le sorrise e le disse: “Onestamente, questo è davvero poco, rispetto a quello che potremmo fare assieme …”

“Scordati di entrare nella mia testa!” si mise sulla difensiva lei.

“Oh, quello posso farlo quando mi pare. Mio padre ha revocato l’ordine di non entrare nella tua mente, per cui è quel che farò, se non acconsentirai alla mia richiesta.”

“Cos’è che vuoi, allora?” Giuditta era allarmata e, allo stesso tempo, curiosa poiché non capiva quali intenzioni potesse avere l’uomo, ma ne era affascinata.

“Quando uno entra nella mente di un altro, agisce su di essa, può farlo come alleato o nemico, ma rimane pur sempre un agire su un’altra persona e basta e le due menti restano separate e indipendenti. Quello che io voglio da te è qualcosa di più: io voglio che le nostre menti si uniscano, si fondano e che, quindi, agiscano assieme, creino assieme. Mi capisci?”

“Sì.” Giuditta si sentiva quasi scandalizzata “Non avevo idea esistesse un processo del genere, ma capisco perfettamente. La mia risposta è no. Un’unione del genere non potrei concederla a nessuno, se non qualcuno di cui mi fido ciecamente e con cui ho già sintonia … È come se mi avessi chiesto di fare sesso con te! Anzi, peggio!”

In realtà la ragazza si sentiva onorata che lui le avesse chiesto una simile cosa, ma non poteva certo permettere a quell’uomo di entrare nel suo profondo.

Gaspare scosse il capo e disse: “Giudittina, ti sto facendo un gran favore, con questa proposta. Potresti finalmente iniziare a capire qualcosa della Scienza Sacra. Comunque io sono molto paziente. Tu ti rifiuti di fondere le nostre menti perché lo ritieni troppo intimo; bene, ti dimostrerò che tu non hai più diritto ad una privacy, a dei segreti. Da adesso in poi, finché non accetterai, passeremo un’oretta assieme qui, tutti i giorni, e ti accorgerai come già posso entrare nella tua testa e farci quello che voglio.”

Giuditta iniziò a sentire come un sibilo nella sua mente, poi iniziò a farle malissimo il capo, le tempie le pulsavano. Un dolore improvviso e lancinante. Cominciò a sentire delle voci, tante, tantissime frasi, come se la stanza fosse affollata. Istintivamente cercò di allontanarsi ma si sentì altamente instabile, barcollò come se avesse bevuto un’intera bottiglia di grappa, a stomaco vuoto, in meno di mezzora; era devastata, non riusciva a stare in piedi, cadde a terra e ancora la testa le duoleva e le orecchie erano ingombrate dalle voci.

Finalmente tutto cessò. La donna si sentì di nuovo normale, libera; guardò con rabbia Gaspare che le sorrideva e le chiese: “Cosa c’è, bambina? Non hai nemmeno tentato di difenderti, perché?”

Giuditta tacque: non voleva ammettere di non aver avuto il tempo di reagire e che il dolore provocato le aveva impedito di concentrarsi.

“Bene, voglio fare un’altra cosuccia, ora; poi per oggi possiamo fare basta. Sono curioso di scoprire con chi ti stavi scambiando messaggini questa mattina.”

La scarsella che la donna teneva appesa alla cintura si aprì e uscì fuori il cellulare della ragazza, il quale volò in mano a Gaspare. Giuditta non protestò, sapendo che sarebbe stato inutile, inoltre non aveva nulla da nascondere.

L’uomo guardò nell’archivio dei messaggi, lesse gli ultimi e si mise a ridacchiare, commentando: “Quante attenzioni ti sta dando il tuo amico Stefanino, forse un po’ troppe per uno che deve diventare prete. Vi date il buongiorno, la buonanotte, si interessa, si preoccupa … e ti dice pure che sta andando in missione con tuo fratello e ti chiede consigli …, dev’essere proprio un incapace se chiede consigli a te.” la risata si fece fragorosa “Non mi è mai stato simpatico col suo difenderti a spada tratta. Sai che faccio, adesso? Lo cancello dalla tua vita.”

Giuditta lo guardò atterrita, non capendo che cosa intendesse.

“Innanzitutto eliminiamo il suo numero dal tuo cellulare.” lo fece “Anzi, questo telefono, ora, lo tengo io. Tuo fratello ti chiamerà poi sul nostro fisso per parlarti.” spense il cellulare e se lo mise in tasca “Ora, invece, cancelliamo quel ragazzotto dalla tua mente.”

“No, ti prego!” esclamò la donna.

“Taci, è inutile. Ti toglierò ogni ricordo che hai di lui e ce ne libereremo, finalmente. Non lo voglio più tra i piedi.”

Gaspare avvertiva il seminarista come una minaccia per i propri intenti.

“No, no, ti prego, non togliermelo. Farò tutto quello che vuoi, ma lasciamelo! Ti prego!” era disperata.

“Ho detto che è inutile. Mio padre, pure, è pienamente d’accordo nel rimuoverti ogni informazione circa la Guida. Per cui, pensa intensamente al tuo amico, perché è l’ultima volta che lo ricorderai, tra pochi minuti sarà come se non fosse mai esistito, per te.”

“No, ti supplico! È il mio solo amico …”

“Io sarò il tuo unico amico, non hai bisogno di altri legami, non ci saranno interferenze.”

Giuditta aveva le lacrime agli occhi: non voleva dimenticare Stefano, non voleva perderlo.

Resisté cercò di barricare la propria mente, di proteggerla con tutte le proprie forze, affinché quei ricordi non le fossero strappati, ma l’unico risultato che ottenne fu un male lancinante mentre Gaspare penetrava le sue difese, le fracassava e poi le cancellava ogni immagine, pensiero, suono, profumo, impressione, voce, legato a Stefano.

Dopo pochi minuti, Stefano Fabbri era di nuovo un perfetto sconosciuto per Giuditta.

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Capitolo 28
*** Sul lago Averno ***


Gabriel e Claudia avevano riportato Antonio a casa. L’uomo e il ragazzo furono molto evasivi circa come fossero riusciti ad andarsene dalla casa del signor Liguori.

L’ex gesuita e la psicologa, poi, poterono finalmente spiegare con precisione chi fossero e di che cosa si occupassero sia ad Antonio che ai suoi genitori.  Raccontarono che avevano avuto spesso a che fare con altri ragazzi dotati di poteri, di quel che avevano fatto finora e di come erano intenzionati ad aiutarli per il futuro. La famiglia Colonna fu molto felice nello scoprire che esistevano altre persone nelle condizioni di Antonio e furono ancora più contenti nell’apprendere che Gabriel e Claudia erano determinati nel voler aiutare e proteggere questa gente.

Gabriel era davvero soddisfatto nel vedere che il progetto che aveva in mente era ben accolto e accettato, per cui si sentì ancora più sicuro nel volerlo portare avanti.

Tornati a casa, però, le cose furono meno tranquille. Claudia si rivolse a Gabriel e gli domandò severamente: “Che cos’è successo in quella casa?”

Gabriel non se la sentì di dire la verità, per cui la cambiò un poco: “Sono entrato e ho trovato la stanza in cui era tenuto Antonio. Erano in tre armati di pistole. Ho tentato di parlare, ma quelli si sono fatti molto minacciosi, allora Antonio ha fatto ciò che gli è venuto istintivo per proteggere se stesso e me, che lo stavo aiutando in quel momento.”

“E …?” lo incalzò a continuare la donna.

“E ha usato i fulmini per colpirli.”

“Cosa?! Ha fulminato della gente?!”

“Non hai reagito così quando Leonardo ha ucciso il padre di Alice.”

“Infatti, non ho detto che ha fatto male a difendersi, è che non mi aspettavo potesse far tanto. Ma sei sicuro che fossero morti?”

“Certo, me ne sono sincerato, altrimenti avrei chiamato un’ambulanza. Comunque è stato meglio così, altrimenti sarebbe stata una faccenda piuttosto complessa da spiegare e avrebbe causato più guai che altro e avrebbe peggiorato la situazione di Antonio, attirando troppe attenzioni su di lui, maggiori ancora di quelle che ha già.”

“Sì, hai ragione. È stato bene così.” lei stessa era stupita di non sentirsi troppo turbata, forse ormai si stava abituando a quel genere di cose.

Claudia andò poi a cambiarsi, ad indossare qualcosa per stare più comoda. Gabriel, invece, prese il cellulare e scrisse un messaggio ad Isaia:

Ho usato di nuovo il mio potere. Tre uomini stavano facendo male ad Antonio Colonna e io ho reagito demonizzandoli. Il ragazzo li ha uccisi con i suoi fulmini. Io non so se in quel momento ho agito per rabbia o se ero consapevole. Vorrei dire che sia stato un gesto impulsivo, ma non ne sono sicuro; ultimamente sono riuscito a ricorrere in piccola parte al mio potere e, quindi, credevo di riuscire a controllarlo. Questo, però, vorrebbe dire che ho deliberatamente voluto trasformarli. Loro erano avidi e crudeli, ma io avrei dovuto agire diversamente. Non voglio distrarti dalla tua verifica ma …

… appena torni mi piacerebbe parlare con te di questa faccenda, sperando non capiti altro.” Stefano finì di leggere ad alta voce il messaggio.

Isaia stava guidando l’auto e, dunque, quando aveva sentito il suono che lo avvisava dell’arrivo di un sms, aveva chiesto al ragazzo di leggerlo.

Entrambi, a quelle parole, erano rimasti perplessi. Stefano era sempre più rattristato per il fatto che il suo idolo si stesse rivelando una persona non così pacifica come credesse. D’altra parte, però, si rendeva conto che lui stesso ammirava non solo il fatto che Gabriel aiutasse chi ne avesse bisogno, ma anche il fatto che proteggesse e, dunque, lui doveva accettare che il suo maestro, tal volta, fosse costretto a ricorrere alla violenza. Saperlo dispiaciuto, inoltre, dimostrava che aveva comunque pietà.

Isaia, dal canto proprio, pensava a quanto fosse vicino l’arrivo dell’anticristo. Sapeva che era necessario, aveva deciso di favorirlo, tuttavia non era ancora certo di cosa avrebbe fatto dopo. Insomma, anche se ne avrebbe permesso la venuta, ciò non avrebbe implicato che poi lo avrebbe assecondato. Era parecchio dubbioso, tuttavia si disse che i testi di Giacomo lo avrebbero illuminato anche circa il proprio ruolo.

“Cosa vuoi che gli scriva come risposta?” chiese Stefano.

“Nulla. Devo pensarci, gli scriverò più tardi, magari digli solo che va bene, ne parleremo.”

I due erano in viaggio già da diverse ore. Arrivarono presso il lago di Averno che erano già passate le ventuno e si fermarono presso la parrocchia di San Leonardo, dove era prete l’amico di Isaia, padre Aniello.

Il parroco offrì loro la cena, era molto nervoso, ma aspettò che si fossero rifocillati, prima di parlare di ciò che stava accadendo.

“Isaia, io sono molto preoccupato.” disse infine padre Aniello.

“Lo vedo, amico mio. Di cosa si tratta? Per telefono hai fatto menzione di altri fenomeni di cui mi avresti parlato poi di persona, ora che sono qua dimmi pure tutto.”

“Hai ragione. Il fenomeno ha avuto inizio circa una settimana fa: da una spelonca, finora mai notata, ha iniziato a fuori uscire fumo, vapori, odori nauseanti di zolfo e altro. Un fenomeno di natura geologica e quasi vulcanica, apparentemente. Poi, come ti ho detto, alcune persone che si sono avvicinate eccessivamente alla grotta sono  apparentemente sparite, per poi rispuntare in quei pressi, ma completamente prive di memoria. Il peggio, però, è altro: due notti fa, hanno fatto un raid e hanno cercato di rapire dei bambini, anzi due sono riusciti a prenderli.”

“Santo Dio!” esclamò Isaia, molto turbato.

“Non è stata l’unica incursione che hanno fatto, ce n’è stata una ieri e un’altra oggi pomeriggio. Quel che è peggio è che hanno dimostrato di avere acquisito la capacità di eseguire portenti, come spostare oggetti col pensiero, o lanciare strane sfere di fuoco o acqua, e anche possono comandare gli animali. In tutto hanno preso otto bambini, maschi e femmine. Io ho paura per la loro salvezza, innanzitutto! Questa chiesa è dedicata a San Leonardo e quindi nel medioevo, anzi fino all’editto di Napoleone, qua si seppellivano bambini. Gli ultimi scavi archeologici effettuati nella cripta hanno portato alla luce tre fosse comuni di scheletri di fanciulli morti ammazzati, col cranio fracassato. Io non credo sia una coincidenza!”

“Temi che sia un evento ciclico e che stia per ripetersi?”

“Sperando non si sia già ripetuto! Io sono convinto che sia opera di un demone. Soltanto gli esorcismi hanno un poco indebolito quelle persone, durante i loro attacchi, e le hanno costrette ad allontanarsi, però più si avvicinavano alla grotta, più sembravano riuscire a resistere alle formule di esorcismo. Inoltre, scrutando col cannocchiale, ho notato uno strano simbolo sulla roccia, sopra all’apertura della grotta. Non l’ho disegnato perché non volevo attirare qua forze malefiche, comunque te lo descrivo.”

Padre Aniello, a fatica, riuscì a descrivere un disegno piuttosto complesso, cercando di essere il più chiaro possibile.

“Parrebbe essere il sigillo di Bifrons.” constatò Isaia, piuttosto pensoso “Lui è però un demone abbastanza legato alla necromanzia e ai morti, ma non mi pare ci siano evidenze in merito, nei fatti che mi hai narrato.”

Stefano, che aveva ascoltato con grande attenzione, si sentì un poco chiamato in causa, sentendo nominare i morti, nel senso che, dopo tutto quello che gli aveva raccontato Giuditta, gli sembrava naturale che le anime dei defunti fossero affar suo. Mentre nella sua testa avvenivano questi collegamenti di pensieri, ebbe un’intuizione e parlò: “Isaia, non so se tu sai come si è svolto esattamente il fenomeno che mi aveva coinvolto in prima persona, un paio d’anni fa.”

“Lo conosco bene, ho letto il rapporto di quella verifica.”

“Bene. Quando il Tedesco prevaleva in me, io ero assente, come sospeso in un limbo. Lui non sapeva nulla di me e io ho iniziato ad accorgermi della sua presenza, a percepirla, solo dopo l’ipnosi. Mi chiedevo, dunque, se queste persone fossero prive di memoria a causa di un fenomeno di possessione. Tu che cosa ne pensi?”

“Non è da escludere, comunque voglio prima osservare da vicino la situazione e solo dopo potrò esprimermi in merito.” Isaia, poi, guardò l’amico e gli chiese: “C’è altro? Avete notato altri dettagli?”

“No, direi che questo è tutto. Ho iniziato a guardare i documenti nell’archivio della parrocchia, ma finora non è emerso nulla.”

“Leggende popolari? Se, come supponi, è un fenomeno che si è già verificato in passato, potrebbe essere rimasto nella memoria tramite dei racconti popolari.”

“Io non sono della zona, lo sai; mi hanno assegnato questa parrocchia dieci anni fa, per cui non conosco a modo le tradizioni locali. Quello che ho sentito raccontare è per lo più legato alla mitologia classica: giganti, Cimmeri e, ovviamente, le porte degli inferi. Infatti, quando sono cominciate le esalazioni sulfuree, si è pensato che fosse ripreso il fenomeno descritto nei testi antichi e che aveva indotto ad identificare questo lago come l’ingresso al regno dei morti; sia Ulisse che Enea passano da qui. Taluni continuano a dire che il lago non abbia fondo (cosa ampiamente smentita) e che le sue acque non possano essere bevute. So che alcuni gruppi di neopagani ogni tanto passano da queste parti e sacrificano qualche animale, nella speranza di poter parlare con le anime dei morti, ma abbiamo cercato di ostacolare questa tendenza, specialmente denunciandoli all’ENPA e altre associazioni animaliste. Per il resto io non so. Anzi, avevo sentito qualcuno borbottare di qualcosa, però ero troppo preoccupato e ho intimato di tacere e lasciar perdere le superstizioni.”

“Beh, in tal caso, domattina cercheremo di parlare un po’ con gli abitanti, magari emerge qualcosa di interessante.”

“Sì, ora è meglio dormire … sperando ci lascino riposare.” sospirò Aniello.

“Temi un attacco?” chiese Isaia “Non hai detto che ce n’è già stato uno, oggi?”

“Sì, ma non significa nulla. Li ho visti sempre mi agitati e frettolosi, come se avessero una scadenza, come se dovessero fare quel che devono, entro una precisa data.”

“Non mi pare ci siano ricorrenze particolari, in questo periodo.” rifletté Isaia.

“Comunque, sapere che adesso sei qui tu, il miglior allievo di padre Samuele Costa, mi sento molto più tranquillo.” Aniello, poi si voltò verso Stefano: “E tu, ragazzo, come te la cavi con gli esorcismi?”

“Mai fatto uno.” fu la risposta sincera.

“Mai uno?!” sbalordì Aniello, che poi chiese ad Isaia: “Perché lo hai portato, allora?”

“Beh, la situazione, che mi avevi dipinto per telefono, non era così grave come quella che hai appena esposto ora. Ad ogni modo, è qui per imparare, deve pur farsi le ossa.”

“In maniera graduale, però!” esclamò l’altro sacerdote “Non puoi fargli affrontare questi demoni come prima esperienza.”

“Innanzitutto, non sappiamo se si tratta davvero di demoni e, se sì, ne ignoriamo il numero e la tipologia. Inoltre, non sarà solo: ci siamo io e te a sostenere i veri esorcismi, lui fungerà da coadiuvante.”

“Comunque, se posso parlare” intervenne Stefano “Vorrei specificare che la mia specialità sono i fantasmi, per cui la mia presenza qui non è proprio inopportuna.”

“Gabriel non mi aveva detto che ti occupassi di spettri.”

“Beh, non è una cosa che lui sa. Anzi, no, qualcosa dovrebbe saperlo, gli ho risolto due problemi legati a spiriti di morti!” si sentì un poco offeso per il fatto che non fosse stato riferito di come aveva risolto il caso di Lucrezia e di come aveva affrontato Jacopo che infestava la Congregazione.

“Durante il viaggio di ritorno mi racconterai.”

“Comunque è stata Giuditta che mi ha spiegato un po’ di cose al riguardo.”

“Capisco …”

Isaia pensò alla sorella e si dispiacque di non averle potuto telefonare quel giorno.

I tre uomini si coricarono, ma non poterono dormire a lungo. Prima dell’alba, un gran suono di campane destò l’intero paesino.

Padre Aniello si mise subito in piedi e corse a svegliare i suoi ospiti, gridando: “Ci attaccano! Come vi avevo detto! Ci stanno attaccando! Presto, presto, i paramenti sacri!”

Armati di crocefissi e acqua santa, i due preti e il seminarista scesero per strada.

Una grande agitazione!

Uomini armati di pistole, coltellacci o randelli, erano appostati alle finestre o alle porte di un edificio rettangolare attiguo alla chiesa; erano barricati dentro.

“Che sta accadendo?” chiese Isaia “Cosa ci fa quella gente lì?”

“Quello è un salone polivalente di proprietà della parrocchia, abbiamo pensato di radunare lì tutti i bambini, per poterli difendere meglio, tutti uniti sono anche i genitori, parenti e le forze dell’ordine per difenderli. Spero che serva!”

“Dove sono gli aggressori?”

Aniello indicò un gruppo di uomini e donne che stavano avvicinandosi.

“Sembrano normali.” constatò Stefano.

“Lo so! Infatti, durante la prima incursione che hanno fatto, non abbiamo capito subito che cosa stesse accadendo: pensavamo stessero tornando a casa e, invece …”

Si sentirono degli spari. Alcuni dei difensori avevano cercato di far fuoco sui ladri di bambini, ma purtroppo l’oscurità della notte rendeva pressoché inutili quei proiettili. L’unico risultato che ottennero fu di irritare i sopraggiunti. Uno degli uomini che avanzava, inspirò profondamente, poi iniziò a soffiare, provocando un fortissimo vento che fece volare via diverse cose e costrinse i preti, che erano più vicini rispetto agli altri, ad incrociare le braccia davanti a sé per proteggersi.

“Isaia, presto, iniziamo gli esorcismi: dobbiamo neutralizzarli, prima che ricorrano a poteri più forti.”

Il gesuita annuì e, portando il crocefisso davanti a sé, iniziò a pronunciare le preghiere per scacciare i demoni.

Isaia notò che la reazione fu particolare: effettivamente quegli uomini in un certo senso risentivano dell’esorcismo, ma non capiva bene in che modo, poiché esso non li scacciava e loro continuavano ad avanzare.

“Che succede?” chiese all’amico “Non dovrebbero fuggire, se fossero demoni?”

“Te l’ho detto: gli esorcismi inibiscono i loro poteri!” rispose Aniello e subito riprese a pronunciare un salmo.

Stefano, a propria volta, leggeva qualche preghiera, tuttavia cercava di capire che cosa fossero di preciso quegli esseri. Appena li aveva visti, aveva avuto una strana sensazione: gli pareva di trovarsi davanti a dei fantasmi, eppure quelle erano persone vive in carne e ossa. Dopo qualche minuto capì che la sera prima aveva avuto l’intuizione giusta. Si accostò maggiormente ad Isaia e gli disse: “Quelle persone sono possedute da dei fantasmi!”

“Come fai a dirlo?”

“Lo sento.”

Intanto gli esorcismi avevano fermato l’avanzata di quella gente che, sprovvista di poteri, non osava avvicinarsi all’edificio ben protetto da uomini armati. Dopo qualche minuto di incertezza, decisero di aggredire i preti che li stavano così tanto ostacolando. Si armarono di ciò che trovarono attorno, per lo più bastoni e sassi, e si avvicinarono minacciosi ai tre uomini.

Aniello ebbe paura e arretrò di qualche passo.

“Dove vai?!” lo rimproverò Isaia.

“Quelli ci ammazzano!”

“Continua a pregare.” gli intimò il gesuita e fece in modo di espandere un’aura rassicurante per tranquillizzare un poco l’altro prete.

Isaia riuscì a trovare un bastone lungo più di un metro e abbastanza robusto. Si mise in guardia: ricordava ancora perfettamente gli esercizi di spada fatti coi templari.

Come i ladri di bambini gli furono vicino, il gesuita iniziò a far roteare il bastone e a menare fendenti; tuttavia, quella non poteva essere la tattica ideale, dal momento che gli avversari erano troppo numerosi.

Stefano, vedendo Isaia in difficoltà, decise di provare ad intervenire: se quelli erano davvero fantasmi, come credeva, allora dovevano obbedirgli.

Il ragazzo si concentrò, non capiva ancora esattamente come entrava in quello stato in cui riusciva a dominare gli spettri, comunque vi riuscì anche quella volta. I suoi occhi divennero color azzurro ghiaccio, fissò il gruppo di aggressori e intimò loro: “FERMATEVI! IMMOBILI!!!”

Quelli si arrestarono. I due preti guardarono con stupore Stefano che, per la prima volta, sentì la necessità di mantenere la presa per non perdere il controllo sui fantasmi; si rese conto che c’era un’altra forza che si opponeva alla sua: era confuso, non capiva.

Esortò gli altri due: “Continuate con le formule di esorcismo.”

Isaia e Aniello obbedirono e ripresero a recitare salmi.

Stefano si rese conto che la forza che si contrapponeva alla sua si stava affievolendo, per cui decise di ordinare a tutti quanti di tornare alla grotta, tranne uno. Così avvenne.

Quando gli altri parvero essere ormai lontani, Isaia e Aniello afferrarono l’unico che era rimasto, lo portarono nella canonica e lo legarono. Aniello, poi, uscì qualche minuto per rassicurare i cittadini. Rimasto solo col giovane, Isaia gli chiese: “Che cos’hai fatto? Come ci sei riuscito?”

“È il mio dono: io posso dominare i fantasmi che vagano per il mondo. Spesso sono loro che vengono da me. Prima non capivo, ero spaventato, poi Giuditta mi ha aiutato a comprendere, a non aver paura e a dominare questa capacità.”

“Per questo, allora, hai la certezza che si tratti di fantasmi che possiedono corpi di vivi?”

“Sì, ma credo c’entri lo stesso una qualche entità demoniaca. Di solito non ho problemi ad esercitare il mio controllo, questa volta invece ho avvertito qualcosa che si contrapponeva alla mia volontà, ma questa forza si è indebolita quando voi avete ripreso con gli esorcismi. Purtroppo non ci ho capito di più.”

“Sono comunque informazioni utili che ci permettono di chiarire meglio la situazione. Effettivamente i conti potrebbero tornare tranquillamente, se si trattasse realmente di Bifrons: come ho già detto, è un demone fortemente legato ai morti e al dominio su di essi, quindi potrebbe essere l’entità che hai percepito tu. Forse anche i poteri sovrannaturali a cui abbiamo assistito sono opera del demone e questo spiegherebbe perché si sono interrotti dopo gli esorcismi. Dobbiamo interrogare il prigioniero. Ottimo lavoro, Stefano.”

Il ragazzo si sentì colto alla sprovvista dal complimento, ma ne fu molto felice.

Rientrò padre Aniello e assieme a lui decisero di fare domande al prigioniero.

“Come ti chiami?” fu la prima domanda che gli porsero, poco dopo.

Era Stefano a fare le domande, era più sicuro di ottenere risposte sincere.

“Edoardo Di Nuzzo.”

“Quando sei nato?”

“Il sei aprile 1534.”

“Quando sei morto?”

“Il 24 novembre 1576.”

“Questo è il tuo corpo?”

“No.”

“Dove lo hai preso?”

“Me lo ha dato il signore Bifrons.”

Isaia e Aniello si scambiarono un’occhiata grave, consapevoli che i loro timori erano stati confermati.

“Perché ti ha dato un corpo?”

“Io e altri vagavamo in queste zone, il lago ci ha attratti, lui ci ha chiamati a sé e ci ha concesso un corpo nuovo per quindici giorni. Se noi vogliamo tenerlo e quindi vivere di nuovo, dobbiamo portare ciascuno un bambino da sacrificargli il quindicesimo giorno.”

“Dove sono i veri proprietari dei corpi?”

“Non lo so. Probabilmente li ha rinchiusi il signore Bifrons da qualche parte.”

“I poteri che avete usato nel villaggio, sono opera di questo demone?”

“Sì, voleva aiutarci a trovare i sacrifici. Più gli siamo vicini, più siamo forti.”

Isaia scosse il capo e disse: “Non ci sono molte possibilità: dobbiamo affrontarlo e rispedirlo all’Inferno.”

“Cosa? Ma qui stiamo parlando di un Conte! Non un semplice legionario!” si preoccupò vistosamente padre Aniello.

“Non temere, fratello.” lo rassicurò Isaia “Ho avuto recentemente a che fare con un Re e me la sono cavata egregiamente. Dobbiamo solo capire che strategia usare.”

“Io non so se riesco a tenerli a bada, i fantasmi, nelle vicinanze del demone.” disse Stefano.

Isaia pensò qualche momento, poi chiese: “Aniello, so che ci sono diverse gallerie scavate dai Romani; c’è la possibilità di trovare un tunnel che ci porti vicino a quella grotta, senza dover affrontare i posseduti?”

“Non lo so, però possiamo chiedere al sindaco: ha sicuramente delle mappe che faranno al caso nostro.”

Raccolsero alcune altre informazioni circa dove si trovasse il demone. Attesero che si facesse giorno, a turni dormirono un altro poco, poi andarono assieme dal sindaco che fu ben contento di collaborare: le manifestazioni sovrannaturali a cui aveva assistito egli stesso nei giorni precedenti lo avevano privato di ogni scetticismo.

Furono fortunati, poiché sulla mappa trovarono facilmente un cunicolo che faceva al caso loro, l’unico inconveniente era che il tunnel era segnalato come pericoloso e instabile, tuttavia, i tre uomini decisero di correre il rischio: esso li avrebbe condotti proprio a pochi metri dalla grotta.

Armati di oggetti sacri, una spada per Isaia e torce, raggiunsero l’ingresso della galleria. Non era abbastanza larga per permettere a due persone di camminare affiancate, ma non c’erano problemi a procedere in fila indiana. Strada facendo, trovarono qualche pezzo franato, ma per fortuna non fu loro di ostacolo. Quando videro una lieve luce sul fondo, spensero le torce e procedettero in silenzio e furtivi, cercando in ogni maniera di non manifestare la propria presenza. Dovettero anche sopportare la puzza dei fumi sulfurei che li aspettavano fuori e che un poco penetravano nella galleria. Arrivarono sotto l’arco di uscita dal tunnel e diedero un’occhiata fuori per studiare la situazione: purtroppo i vapori impedivano una buona visuale. Stefano, allora si concentrò per percepire la presenza di fantasmi e disse che non erano nelle vicinanze, per cui loro potevano muoversi con tranquillità. Uscirono allo scoperto e corsero dritti verso l’entrata della grotta che avevano già individuato. Vi si addentrarono, con gli occhi ben aperti, alla ricerca del demone.

“Siamo certi lo troveremo qui?” chiese Aniello, dopo alcuni minuti che camminavano.

“No. Ci hanno però detto che è qua, per cui confidiamo.” rispose Stefano.

“Credo che sa inutile continuare a girare in questo modo.” disse invece Isaia “Costringiamolo a manifestarsi.”

“E come? Si può?” domandò Stefano.

Isaia non rispose, si limitò a concentrarsi qualche momento, prima di proclamare con voce tonante: “Mostrati! Te lo ordina l’Altissimo Signore Iddio; te lo ordina Dio Padre; te lo ordina Dio Figlio, te lo ordina Dio Spirito Santo. Te lo ordina Cristo, eterno Verbo vivente di Dio!”

Si sentì un rombo riempire l’aria, un gran fracasso e nelle tenebre davanti a loro videro quattro piccole luci. Un ruggito o un guaito, difficile a dirsi. Un’orrenda figura avanzò verso di loro: alto più di tre metri, un corpo da cavallo, ali da aquila, la coda era un serpente, il busto umano, le braccia da orso con lunghi artigli, la testa di un leone ma con robuste corna. Ecco, così si presentava Bifrons.

Aniello e Stefano non poterono fare a meno di spaventarsi. Isaia mantenne la calma, sentì in sé la forza che lo pervadeva sempre quando doveva compiere un esorcismo o affrontare un demone. Dentro di sé iniziò a recitare alcune invocazioni. Strinse l’elsa della spada, si mise in guardia, pronto ad avventarsi contro l’orribile essere. Si voltò un attimo verso gli altri due e li esortò: “Preso! La preghiera di Papa Leone XIII.”

Il loro piano era che Isaia affrontasse il demone e lo tenesse a bada, mentre gli altri due compivano l’esorcismo. Il gesuita aveva deciso di optare per questa strategia per seguire il consiglio, l’ordine, che aveva ricevuto da Bonifacio, ossia di lasciarsi andare all’istinto davanti a un demone.

Isaia si scagliò contro Bifrons, che era stato colto alla sprovvista e questo lo aveva reso parecchio irritato e non vedeva l’ora di affondare zanne e artigli nelle carni di quei tre spavaldi, per cui fu pronto a ricevere l’attacco e a partire in offensiva a propria volta.

Stefano e padre Aniello, invece, iniziarono a recitare con somma concentrazione e con la mente rivolta a Dio: “Gloriosissimo principe della milizia celeste, San Michele Arcangelo, proteggeteci nella lotta e nel combattimento che dobbiamo affrontare contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Venite in aiuto agli uomini che Dio ha fatto per l’immortalità; li fece a immagine della propria natura e comprati a caro prezzo dalla tirannia del demonio. Anche oggi, voi, San Michele e tutto l’esercito degli Angeli beati, combattete la battaglia del Signore, così come un tempo avete lottato contro Lucifero, il campione della superbia, e contro i suoi angeli apostati. Non prevalsero e non ci fu più posto per essi in Cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e Satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Ecco che questo antico nemico, omicida fin dal principio, si è innalzato con veemenza, travestito da angelo di luce, scortato dall’orda degli spiriti perversi, percorre in ogni senso la terra e inserendosi ovunque al fine di abolire il nome di Dio e del Suo Cristo, di rubare, di far perire e di perdere nella dannazione senza fine le anime che dovevano incoronare la gloria eterna. Il malefico drago negli uomini mentalmente depravati e corrotti trasfonde dal cuore un fiume di abiezione: il germe della sua malizia, lo spirito di menzogna, di empietà e di bestemmia, il soffio mortale del vizio, della lussuria e dell'iniquità universalizzata. Ecco la Chiesa, Sposa dell’Agnello Immacolato, saturata di amarezza e abbeverata di veleno da nemici molto astuti; essi hanno posato le loro empie mani su tutto ciò che c’è di più sacro. Laddove fu istituita la sede del beato Pietro e la cattedra della Verità, là hanno posto il trono della loro abominazione nell’empietà; in modo che, colpito il pastore, il gregge possa essere disperso.”

Isaia sentiva crescere in sé una forza sempre maggiore; un’energia pura che gli permetteva di resistere agli attacchi del demone e di reagire con grande vigore. Era questo il suo potere di cui gli aveva parlato Serventi?

I suoi due alleati notarono una sorta di luce o piccoli e sottili fulmini d’oro crepitare attorno a lui. Furono sorpresi, non sapevano di cosa si trattasse, se fosse opera del diavolo o meno; nonostante ciò, continuarono a recitare la preghiera: “Oh San Michele, principe invincibile, rendetevi dunque presente al popolo di Dio che è alle prese con lo spirito d’iniquità, dategli la vittoria e fatelo trionfare. La Santa Chiesa vi venera come suo Custode e suo Protettore; vi rende gloria come suo Difensore contro tutti i poteri malvagi, sulla terra e negli inferi; a voi, il Signore ha affidato la missione di condurre le anime da Lui redente, nel luogo della suprema felicità. Pregate il Dio della pace che schiacci Satana sotto i nostri piedi, affinché non possa più né trattenere gli uomini prigionieri, né nuocere alla Chiesa. Offrite le nostre preghiere alla presenza dell’Altissimo, affinché sopraggiungano per noi al più presto le misericordie del Signore, e che voi afferriate il drago, l’antico serpente che è il diavolo o Satana, e che, legato nell’abisso, non possa più sedurre le nazioni. Così, affidandoci alla vostra protezione e al vostro patrocinio, con la sacra autorità di nostra madre, la Santa Chiesa, è con ogni fiducia che intraprendiamo di respingere, in nome di Gesù Cristo, nostro Dio e Signore, le infestazioni dell’astuzia diabolica.”

A quel punto la trasfigurazione di Isaia era completa.

Stefano e Aniello avevano visto quella sorta di saettine d’oro prendere la forma di possenti ali e porsi sulla schiena del gesuita, poi sempre quella strana luce ricoprì la spada che egli impugnava e gli circondarono il capo, mentre i suoi occhi erano diventati azzurri come il ghiaccio.

Isaia si sentiva estremamente bene, era totalmente a proprio agio e percepì quella stessa energia illimitata che era venuta in suo soccorso contro Paimon.

Di fronte a quella nuova potenza, Bifrons arretrò, era visibilmente spaventato, iniziò a sbattere le proprie ali per darsi alla fuga. Prima si imbizzarrì e colpì con gli zoccoli Isaia, poi prese il volo.

Il gesuita, però, non si era fatto male, a propria volta usò le ali e si innalzò con estrema naturalezza,  come se lo avesse sempre fatto. Non ebbe neppure bisogno di inseguire il demone, poiché gli fu subito addosso e con la spada lo trapassò.

Bifrons emise un forte gemito e poi scomparve, ricacciato e rinchiuso negli inferi da cui proveniva.

Isaia tornò a terra, la luce che lo circondava svanì, lui guardò i suoi amici, confuso quanto loro.

“Miracolo!” gridò Aniello “L’Arcangelo Michele ti ha usato come suo mezzo per sconfiggere quel Conte infernale! Devi sentirti molto onorato, Isaia! Che fortuna …”

Il gesuita annuì e assecondò la convinzione dell’amico, non perché ci credesse, ma perché preferiva che quella fosse la versione ufficiale, onde evitare problemi e domande. Si ripromise, però di parlarne con Bonifacio al più presto.

Stefano, invece, sapeva che quella affermazione era molto vicina alla realtà.

“Ehm, non vorrei smorzare il vostro entusiasmo” disse il ragazzo dopo poco “Ma i fantasmi stanno arrivando qui.”

“Davvero? In che forma?” chiese Aniello.

“Ancora non lo so.”

Non passò molto e gli spettri arrivarono, non stavano più possedendo corpi, erano invisibili a tutti e solo Stefano poteva percepirli; il giovane fece in modo che si mostrassero, poi chiese loro che ne era stato delle persone che avevano dominato in quei giorni, gli risposero che erano tornate ognuna nel proprio corpo.

I fantasmi, però, erano disperati, poiché senza il demone erano ancora costretti ad essere imprigionati in una sorta di limbo tra il mondo in cui non potevano vivere e l’aldilà che non riuscivano a raggiungere. Stefano sospirò, sapendo che quella era una sua responsabilità, dunque li rassicurò, dicendo loro che li avrebbe aiutati lui stesso a liberarsi.

Isaia e Stefano rimasero lì più o meno una settimana, per dare al ragazzo il tempo di aiutare tutte quelle anime a liberarsi, finalmente, e a potersi svincolare da questa dimensione.

Stefano, ogni giorno, provava a telefonare a Giuditta, ma ogni volta non era raggiungibile. Il ragazzo si era un po’ preoccupato e rimase a lungo indeciso se parlarne o meno con Isaia, comunque alla fine aveva optato per il silenzio, al meno per il momento.

Isaia, dal canto proprio, si era sincerato che tutte le persone che avessero subito il fenomeno di possessione fossero tornate alle loro case e si premurò del loro stato di salute, sia fisico che spirituale.

Ovviamente, prima di uscire dalla grotta del demone, i tre uomini avevano cercato i bambini rapiti e li avevano trovati rinchiusi in un piccolo antro, in pessime condizioni igieniche, ma almeno vivi.

 

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Capitolo 29
*** Confidenze ***


Sistemate le questioni più importanti presso il lago Averno, durante la settimana in cui si fermarono per dare il tempo a Stefano di aiutare i fantasmi, Isaia fece due telefonate importanti.

Per primo telefonò a Bonifacio.

“Isaia, sono lieto di sentirti. Vuoi parlare con me o con tua sorella?”

“Beh, dopo le darò un saluto molto volentieri, ma prima devo parlarti di due questioni. Ho bisogno di sapere.”

“Certamente, dimmi tutto. Che cosa riguarda?”

Isaia si era rinchiuso in una stanza della canonica e si era assicurato di non poter essere ascoltato da nessuno; cominciò a dire: “Di cosa vuoi che ti parli per primo? Di me o di Gabriel?”

“Iniziamo con te.” c’era un ché di compiaciuto nella voce di Serventi.

“Ho affrontato un demone, un conte, ho cercato di seguire il tuo consiglio di permettere che fosse l’istinto a guidarmi, ho lasciato la parte rituale agli altri e io l’ho affrontato direttamente.”

“Dunque?” era difficile capire dal suo tono a che cosa pensasse.

“È successo qualcosa di strano. Io … io ho sentito di nuovo la stessa energia che mi ha aiutato contro Paimon … Questa volta, però, c’è stato qualcosa di diverso: questa forza era visibile! È stata le mie ali e ha dato maggior potenza alla mia spada, le ha infuso quel potere mistico necessario per poter ferire i demoni. Ho volato, sul serio! È stato semplice, troppo! Che cos’è stato?”

“Te l’ho già detto, Isaia, quello è il tuo potere. Tu potresti essere sempre così, non è qualcosa di estraneo da te, bensì è una tua dote naturale. Come ti sentivi, mentre quell’energia si stava manifestando?”

“Bene, benissimo! Era come se mi sentissi invincibile o quasi, mi sentivo libero, forte … in un certo senso, non so bene come dire, avevo l’impressione di essermi elevato o purificato, insomma come se mi fossi tolto di dosso della zavorra. È difficile da spiegare, ma era una sensazione stupenda.”

“Esattamente. Ti piacerebbe sentirti sempre così? Essere sempre al massimo delle tue potenzialità?”

“Ah, sarebbe meraviglioso, ma come …?”

“Esercitati, medita, cerca quella forza dentro di te, poiché solo lì la troverai e non altrove. Ora che finalmente ti sei reso abbastanza conto della sua esistenza, dovresti riuscire a risvegliarla in base alla tua volontà e a dominarla.”

“Grazie, lo farò. Mi puoi dire, però, che cos’è? Perché ce l’ho io? O anche gli altri potrebbero?”

Serventi non aveva intenzione di essere proprio sincero, non gli andava di nominare l’Arcangelo Michele, né di dirgli che era pari a Gabriel, per cui inventò: “Si tratta di una forza trasmessa in linea maschile in alcuni discendenti di Giacomo il Giusto.”

“C’entra col fatto che Paimon mi chiamasse Princeps?”

“Sì. In ambiente esoterico viene chiamato così chi ha questo potere. Ora, piuttosto, dimmi di Gabriel, che cos’è accaduto?”

Isaia fece subito mente locale e disse: “Non lo so di preciso. Mi ha inviato un sms in cui è stato piuttosto vago, ma prima di sentire lui volevo riferire a te e avere istruzioni.”

“Di che si tratta?”

“Ha detto di aver usato il proprio potere.” Isaia, che aveva imparato a memoria il testo del messaggio, lo riferì.

“Sono ottime notizie quelle che mi riferisci, Isaia. Quando parlerai con Gabriel, evita che si senta in colpa, anzi, fa di tutto per convincerlo che ha agito nel migliore dei modi. Gabriel deve avere fiducia in sé e nel proprio potere, ricordalo! Deve imparare a non temerlo, solo accettandolo, potrà controllarlo ed è questo che noi vogliamo. Il potere, da solo, non può far nulla, finché Gabriel si rifiuterà di accettarlo, la profezia non potrà compiersi.”

“D’accordo, farò il possibile. Posso parlare con mia sorella, un poco?”

Serventi fece chiamare Giuditta e la fece parlare con il fratello. Isaia era così preso dal sincerarsi che lei stesse bene e fosse felice che non raccontò nulla della verifica che aveva appena concluso, anzi a dire il vero non aveva molta voglia di parlarle di quell’energia che stava scoprendo. Non le nominò neppure Stefano e, così, non scoprì che lei lo aveva dimenticato. Dal canto proprio, Giuditta omise deliberatamente di raccontare di cosa Gaspare facesse quotidianamente alla sua testa: non voleva che il fratello si preoccupasse o dispiacesse.

Finita quella telefonata, Isaia si prese qualche minuto per riordinare le idee e capire che cosa dire all’amico, infine si decise e compose il suo numero sul cellulare.

“Pronto, Isaia, ciao!” lo salutò contento Gabriel “Allora, come va? La verifica come procede?”

“Conclusa.”

“Di già?”

“Sì, ma ci fermeremo ancora alcuni giorni, ora ti spiego.” Isaia raccontò quel che era accaduto, mitigando il più possibile le doti di Stefano e attribuendo la sconfitta del demone al puro esorcismo.

Gabriel ascoltò con interesse, ma ricordò con inquietudine la sua esperienza con Baal: in quel caso gli esorcismi non erano serviti a nulla, il demone gli aveva parlato del suo potere e se n’era andato solo quando lui glielo aveva comandato, come avrebbe fatto un capo col suo subalterno. Rabbrividì. Odiava quel ricordo, quella strana consapevolezza; ancora non sapeva che cosa significasse davvero tutto ciò, anche se temeva ciò che aveva intuito, ancora non sapeva se avrebbe potuto evitarlo, se avrebbe potuto scegliere.

Isaia decise di introdurre l’argomento vero e proprio per cui aveva telefonato: “Gabriel, mi ha colpito molto il messaggio che mi hai mandato l’altro giorno. Scusa se non ti ho chiamato subito, ma qui la situazione è stata come ti ho detto e, quindi …”

“Figurati, Isaia, non ti preoccupare, capisco benissimo.”

“È raro che tu voglia confidarti, di solito bisogna incalzarti parecchio per capire che cosa ti turba.”

“Non voglio commettere gli errori del passato. E poi, io non ce la faccio più a tenermi tutto dentro! Ho una tale confusione che devo assolutamente parlarne con qualcuno per chiarirmi io stesso le idee!”

“Credevo ti aiutasse la dottoressa Munari.”

“Claudia … ho paura di spaventarla di nuovo. Io non so cosa mi stia accadendo, lei in generale pare molto comprensiva, tuttavia io sono insicuro, ho paura che se il mio lato cattivo si mostrasse di nuovo, lei si allontanerebbe e questa volta per sempre. Non voglio neppure allarmarla per nulla, voglio prima capire io e poi, forse, parlarle.”

“Fratello, tu hai detto di stare imparando a usare a tuo piacere il tuo potere, giusto?”

“Sì, in piccole dosi.”

“Ecco, continua così, impara sempre di più a controllarlo, così potremo stare tutti tranquilli.”

“Ne sei certo? Usare questo potere non mi trasformerà in un mostro? Non perderò il controllo, non avrà il sopravvento su di me?”

“Mi sono fatto un’idea diversa circa come funzioni il tuo potere. Hai presente che quando uno si arrabbia oppure è in pericolo, tira fuori una forza che non è la sua solita, ma molto più grande?”

“Sì, è logico, è merito dell’adrenalina e simili.”

“La forza, però, non è che venga presa altrove, è quella comunque sempre presente dentro di noi e che potremmo imparare ad usare, ne convieni?”

“Ah, su questo non c’è dubbio.”

“Bene, ecco io credo che sia lo stesso per il tuo potere. Non sei affatto come Dottor Jekyll e Mister Hyde. Tu puoi decidere come, quando e perché usare il tuo potere. È un’arma che puoi usare razionalmente e non solo in preda a dei raptus, mi capisci?”

“Sì, penso di sì … Ciò, però, non toglie quel che ho fatto a quegli uomini …”

Questo nodo fu particolarmente difficile per Isaia: sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa di contrario ai propri principi, comunque prima chiese all’amico di raccontargli con esattezza cosa fosse successo. Sentito il racconto, il gesuita disse: “Gabriel, erano armati e stavano per sparare a quel ragazzo, cos’altro avresti potuto fare? Lo stavi difendendo e hai impedito a quegli uomini di fare del male ad altri … insomma, credo che la polizia avrebbe preso provvedimenti al loro riguardo, non credi?”

“Lo so, però non mi sento comunque tranquillo con la coscienza. Non poteva esserci un’altra strada per fermarli?”

“Forse, ma lì non avevi tempo di pensare. Per questo devi imparare a controllare il tuo potere, la prossima volta potrai riuscire, chessò, a stordire e basta, senza uccidere. Non credi?”

“Può darsi … non so se sia possibile. Le poche volte che ho usato questo potere, per quel che ne so, ho sempre ucciso o demonizzato. Vargas era sopravvissuto la prima volta, ma sfigurato.” sentì un barlume di speranza in sé ed esclamò: “Tu! Tu sei rimasto incolume quando ti ho colpito nella cripta!”

“Sì, è vero. Mi sentivo solo un po’ debole …” Isaia stava pensando a quel dettaglio per la prima volta, fino a quel momento non lo aveva mai notato “Non so però a cosa fosse dovuto … non sappiamo come funzioni esattamente il tuo potere.”

“Hai ragione. Ultimamente ho pensato che mostri la vera natura delle persone, che vengano demonizzati coloro che hanno già l’anima corrotta dal male. Forse tu ti sei salvato proprio perché avevi la coscienza pulita.”

“O forse tu non volevi uccidermi e, quindi, il potere è stato meno intenso.”

Gabriel rimase in silenzio qualche secondo: si vergognava tantissimo; poi si convinse ad ammettere: “No, quando ho agito nella cripta ero furioso, per qualche istante ho sentito la mia potenza e ho voluto annientarvi. Dopo sono subito tornato abbastanza in me, ma in quel momento …”

Isaia sentì la difficoltà di Gabriel nel parlare e la sua amarezza, per cui lo invitò a non continuare. Gli disse: “Suvvia, ne parliamo meglio quando torno. Tu, ora, stai tranquillo. Esercitati come puoi, io cercherò di capire perché, su me, il tuo potere non abbia fatto effetto … almeno la seconda volta. La prima, ti ricordo, mi hai fatto perdere conoscenza per diverse ore e solo perché ti sei fermato per tempo.”

Parlarono ancora un poco, poi i due amici si salutarono e conclusero la telefonata.

 

Giuditta sedeva sotto un albero nel giardino, si stava dedicando un poco alla meditazione; aveva svuotato la mente, quando sentì la voce di Gaspare rimbombarle nella testa: Vieni, ti sto aspettando.

La donna aprì gli occhi e si alzò in piedi: quella era la chiamata per la tortura quotidiana.

Era da più di una settimana che ogni giorno Gaspare la teneva per un’ora chiusa in quella stanza bianca e le devastava la mente. Erano momenti terribili, non solo per il dolore (quello forse era il meno) ma soprattutto per il fatto che lui potesse fare ciò che gli pareva e lei non aveva modo di opporsi. La costringeva a rivivere i momenti più imbarazzanti o tristi della sua vita. Giocava coi suoi ricordi, con le sue emozioni. Una volta, addirittura, le aveva tolto il linguaggio: questo l’aveva mandata completamente in crisi, si era agitata, non riusciva più ad esprimersi se non a versi, non conosceva più le parole. Era stato terribile, si era sentita come un animale.

Per fortuna, dopo un’ora, Gaspare le aveva restituito tutto, anzi, aveva addirittura ampliato il suo vocabolario e perfezionato le sue conoscenze del greco, del latino e dell’ebraico. Giuditta, quindi, dopo quell’esperienza, aveva un gran timore e rispetto verso quell’uomo, ma anche gratitudine.

La ragazza andò subito verso la stanza dove Gaspare la stava aspettando: sapeva bene che farlo attendere non era una buona idea. Nonostante la paura, la vergogna e la sofferenza che provava durante quegli incontri, Giuditta non si era mai opposta e non per paura di peggiorare la situazione, bensì perché, in fondo, gradiva quei momenti. Era la sola circostanza, oltre ai pasti, in cui vedeva quell’uomo. Lei considerava quell’appuntamento come una dimostrazione di un rapporto esclusivo tra lei e Gaspare e si sarebbe offesa se lui si fosse dimenticato di tormentarla per un giorno o, peggio ancora, avrebbe provato gelosia se lui avesse portato un’altra donna in quella stanza.

Questo strano attaccamento a quell’uomo, che costantemente la sviliva, non l’aveva però spinta a mutare il proprio atteggiamento, anzi forse rafforzava ancor di più il suo orgoglio che la spingeva sempre a reagire alle provocazioni e a cercare di farsi valere.

Giuditta entrò nella stanza e trovò come al solito Gaspare seduto su un elegante scranno, questa volta sorseggiava una tazza di te.

“Brava bambina che rispondi subito alla chiamata del maestro. Almeno un pregio ce l’hai: l’obbedienza.”

“Come, scusa? Tu credi di essere il mio maestro?” era decisamente ironica.

“Non ti ho forse insegnato diverse cose, in questi giorni? Non ti sto forse guidando su una nuova strada?”

Era tutto vero. La voce dell’uomo era calma, calda, avvolgente; Giuditta, però, si sentì lo stesso schernita. Non seppe replicare, per cui cambiò argomento e, cercando di non mostrarsi preoccupata, chiese: “Allora, che cos’hai in serbo per me, oggi?”

“Lezione di buone maniere. Non voglio fare brutte figure, quando ti presenterò in società, my fair lady.”

Giuditta colse al volo il riferimento al Pigmaglione di Bernard Shaw, in cui un eccentrico professore, in pochi mesi, trasformava una donna dei bassifondi in una gran dama. Si sentì offesa per quel paragone, per cui ribatté: “Mio padre ha iniziato a portarmi a cene del Rotary e dell’alta società prima ancora che andassi alle elementari: so esattamente come ci si comporta. Ho imparato il galateo prima delle tabelline.”

“Non si direbbe, vista la sfacciataggine e l’arroganza con cui parli e ti comporti con me.”

“Questo perché tu mi tratti male e non mi dai il giusto valore!”

Gaspare la guardò con un sorriso e uno sguardo magnetici, poi disse dolcemente: “Tu hai un problema che si chiama orgoglio. L’esercizio di oggi mira proprio a scoprire come saresti senza orgoglio; finalmente sarai sincera e spontanea con me.”

Giuditta, con una sorpresa rapita, chiese: “Tu puoi davvero non solo manomettere i miei pensieri, ma anche i sentimenti?”

Gaspare si limitò ad alzare gli occhi al cielo, come per sottolineare l’ovvietà della faccenda.

Giuditta sentì un brivido, ma non era paura, anzi era qualcosa di molto simile all’eccitazione. Ogni volta che l’uomo usava le proprie arti su di lei, la donna, pur detestando quel che le faceva, non poteva fare a meno di essere ammaliata dal grande potere che Gaspare dimostrava.

Pure quel giorno la ragazza si sentì avvolgere dall’energia dell’uomo, prima di esserne aggredita.

Fu rapido e indolore quella volta. Giuditta sentì che qualcosa le veniva tolto, non capiva come, era diverso rispetto a quando la privava di nozioni; ebbe come l’impressione di aver tolto un paio di occhiali che deformavano la sua vista.

Sì, si sentiva priva di orgoglio, nulla avrebbe potuto offenderla. Guardò Gaspare e si accorse che non nutriva più rabbia o risentimento, riusciva a sentire solo la grande ammirazione che sapeva già esistere, ma che non voleva ammettere apertamente.

“Allora, Giudittina, dimmi che cosa pensi di me.” la esortò Gaspare, rimanendo seduto e poi bevve un altro sorso di te.

“Sei straordinario.”

“Lo so; e poi?”

La donna non poteva frenarsi: “Tu sei così intelligente e colto, sei un uomo sofisticato, elegante, sembri essere esperto in una miriade di cose, dagli argomenti più complessi a quelli più semplici tu hai sempre qualcosa da dire. Non posso non ammirarti! Trovo davvero affascinante la tua cultura vasta e mi sento davvero piccola e insignificante al tuo confronto; a causa tua io ho notato ancor di più le immense lacune che ho. Io speravo di valere qualcosina sulla strada della Scienza Sacra e, invece, tu non hai fatto altro che ridicolizzarmi, mostrarmi la mia pochezza …” iniziava ad avere le lacrime “… e io mi affanno e affanno nella speranza di riuscire a strapparti un complimento o un cenno di approvazione, così da potermi sentire rassicurata, ma questo non capita mai. Tanto più che ogni volta che provo a sfidarti o a stuzzicarti, finisce sempre che mi riduci al silenzio perché dopo un po’ non so più cosa rispondere. Tu sei anche un ottimo oratore, non solo hai un linguaggio forbito, ma hai pure una dialettica da far invidia a Lisia o Cicerone e io ti starei ad ascoltare per ore e ore, perché riesci a rendere interessanti pure argomenti che solitamente mi annoiano. Io vorrei tantissimo stare in tua compagnia, ascoltarti e imparare, ma tu mi allontani o ti allontani sempre, mi tratti con sufficienza, come se non valessi nulla e a me dispiace tantissimo perché sarei disposta davvero a quasi tutto, pur di poter starti vicino.”

Gaspare sorrise, anche se sapeva già quelle cose; le domandò: “Che cos’è che pensi di questo appuntamento quotidiano?”

“Lo aspetto sempre con impazienza e gioia, visto che sono le uniche attenzioni che ricevo da te.”

“Mi sei grata, quindi, per il tempo che ti dedico?”

“Sì, certamente!”

“Bene, allora dimostra la tua riconoscenza, da brava bambina, dammi un bacetto qui.” con la punta dell’indice si toccò la guancia.

Giuditta obbedì subito, si avvicinò all’uomo, si chinò su di lui, gli diede un bacio sulla guancia, poi si mise a sedere a terra, gambe incrociate, ai suoi piedi.

Gaspare la guardò, compiaciuto, poi osservò: “Non mi hai ancora detto che cosa pensi della mia potenza.”

“Oh, è qualcosa di sublime, mai prima d’ora avevo incontrato un’energia così grande. Questo dimostra che tu sei molto vicino alla Verità e quindi aumenta maggiormente l’ammirazione che ho per te. Il tuo potere ti dà un fascino straordinario e subirlo è come un droga per me.”

Gaspare era soddisfatto, appoggiò la mano destra sul capo della ragazza e le fece un paio di carezze. La guardò un poco, poi disse: “Adesso vediamo come ti farà reagire il tuo orgoglio.”

Giuditta sentì l’amor proprio tornare a vibrare dentro di sé; si rese conto di quel che aveva detto e inorridì! Aveva confessato all’uomo che più la disprezzava, quanto inferiore si sentisse a lui; praticamente gli aveva dato ragione su tutto. Temette fortemente che lui si sentisse autorizzato a maltrattarla e umiliarla ancor di più.

La ragazza scattò in piedi, guardò con estrema rabbia e rancore l’uomo e gli gridò: “Maledetto! Devi lasciarmi stare! Basta, basta! Che cosa mi hai fatto dire? Mi hai obbligata …”

“Non fare i capricci.” la troncò lui, con estrema calma “Hai detto semplicemente quello che senti davvero, sei stata sincera e tu lo sai benissimo. È inutile che tu faccia scenate, tanto sapevo già tutto, volevo solamente sentirlo dire dalla tua voce, anziché leggerlo nella tua mente e nel tuo animo.”

Giuditta si sentiva come denudata, si voltò, cominciò a piangere; si sforzava per trattenersi, ma non ci riusciva. Si copriva il volto con le mani, ad un certo punto le scostò un poco e si accorse che Gaspare le stava porgendo un fazzoletto, con aria di sufficienza.

“Su, asciugati le lacrime e smettila di piangere che, così, sei orribile.”

La donna prese il fazzoletto e se lo portò agli occhi.

L’uomo continuò: “Disperarti è inutile. Io credo che sia un bene che sia emersa la verità, ora forse la smetterai di essere così indisponente col solo scopo di attirare la mia attenzione.”

“Tu non hai idea di quanto mi sento umiliata.”

“Lo so perfettamente, invece. Quel che hai detto ha dimostrato che sai perfettamente qual è il tuo posto. Facciamo così, se tu ti comporterai per bene e sarai docile, silenziosa ed obbediente, io ti permetterò di stare in mia presenza e ascoltarmi. D’accordo?”

Giuditta lo guardò in un misto di incertezza e gratitudine, gli chiese: “Tu, però, la smetterai di svilirmi con le tue osservazioni e la smetterai di trattarmi come una bambina?”

“Sì, ti tratterò come una giovinetta, finché sarai capace di mantenere la testa bassa.” allungò la mano destra “Abbiamo un accordo?”

“Sì.” rispose lei, stringendogli la mano.

Gli occhi di Gaspare luccicarono; finalmente aveva ottenuto ciò che voleva: la volontaria sottomissione di quella ragazza. Sarebbe servito ancora qualche giorno, prima di persuaderla a fondere le loro menti, ma orami il più era fatto.

 

Isaia e Stefano erano tornati a Roma da un paio di giorni. Avevano steso il rapporto per il Direttorio e avevano ripreso l’attività in Congregazione. Il ragazzo era piuttosto preoccupato e, quindi, nervoso, poiché Giuditta continuava ad avere il telefono staccato da parecchi giorni. Non credeva di essere così sfortunato da cercarla sempre e solo in momenti in cui non fosse raggiungibile e, comunque, lei avrebbe dovuto rispondere agli sms che le aveva inviato, no?

Stefano aveva chiesto a Isaia se sapesse qualcosa, se avesse notizie della sorella. Il gesuita era stato vago nel rispondere e disse che era piuttosto normale che Giuditta non fosse contattabile per lunghi periodi, quando era in viaggio. Isaia, però, aveva telefonato poi a Serventi per chiedere spiegazioni e gli fu riferito che, semplicemente, il telefono si era rotto; la sorella stessa confermò quella versione: entrarle nella mente e convincerla della veridicità di quella frottola non era stato un problema.

Isaia, dunque, si era rassicurato. Stefano, invece, all’oscuro di quasi tutto, continuava a non sentirsi affatto tranquillo, per lui c’erano due sole opzioni: o a Giuditta era capitato qualcosa, oppure lei gli aveva mentito, quando lo aveva rassicurato circa la possibilità di sentirsi. Quest’ultima possibilità era per lui inconcepibile, soprattutto perché i primi giorni si erano sentiti di frequente.

Il seminarista si era quindi persuaso che l’amica fosse nei guai, per cui voleva aiutarla, ma per poterla soccorrere doveva prima scoprire che cosa le stesse accadendo. Dopo aver pensato un poco a come agire, alla fine decise di convocare un fantasma e ordinargli di trovare Giuditta, osservare dove fosse e che cosa stesse facendo e poi tornare a riferire.

Aveva fatto quest’operazione una tarda mattinata, dopo le lezioni in università, prima di andare in Congregazione. Una volta arrivato, salutò Gabriel e Alonso, che erano in biblioteca, e si mise subito a studiare. Dopo non molto arrivò Claudia che andò fuori a pranzo con l’amato per poi tornare assieme a lui poco più tardi per riprendere il loro lavoro. Verso le quindici, arrivò un prete, accompagnato da due agenti di polizia.

“Antinori!” esclamò l’ecclesiastico.

Gabriel lo guardò e riconobbe un suo conoscente che insegnava religione alle scuole superiori; lo salutò: “Padre Rosi, è un piacere, che cosa ti porta qua? Come posso aiutarti?”

“Nella mia scuola, c’è il caos, come vedi sono dovute intervenire le forze dell’ordine, ma non è pane per i loro denti!” annunciò il prete, scombussolato; anche i due poliziotti sembravano parecchio turbati.

“Di cosa si tratta?”

“Non ne ho idea di preciso. Negli ultimi giorni ci sono stati molti malumori e risse a scuola, oggi sono sfociati in qualcosa di più! Ci sono come due schieramenti di ragazzi che si stanno facendo la guerra, non capiamo perché. Hanno preso il controllo dell’edificio e lo usano come loro campo di battaglia. Hanno cominciato stamattina, c’è stato un fuggi, fuggi generale di studentesse e professori; gli altri sono ancora là dentro, nonostante l’orario di lezione dovrebbe essere finito.”

Intervenne Claudia: “Ma non state ingigantendo un po’ troppo le cose? Magari gli studenti avevano voglia di saltare qualche giorno di scuola e hanno improvvisato un’occupazione.”

“No, signora. Professori e studentesse sono dovuti fuggire per non rimanere coinvolti nei loro scontri. Abbiamo chiamato la polizia per rimettere ordine, ma sono capitate strane cose, per questo ho pensato di rivolgermi alla Congregazione.”

“Che genere di cose?”

Uno dei due poliziotti disse: “Sono spuntati animali grossi, feroci, di vario tipo: orsi, tigri, leoni, lupi e non so che altro!”

“E anche delle piante ci hanno aggredito!” aggiunse l’altro.

“E gli studenti? Li avete visti?” si preoccupò Gabriel.

“No.”

“Mi sembra una questione molto vaga.” osservò Claudia.

“Andare a dare un’occhiata non ci costa nulla.” replicò Gabriel.

“Va bene. Anche se non rientra nella competenza della Congregazione, una psicologa come me può aiutare lo stesso, se davvero c’è stato un picco di violenza apparentemente immotivato.” acconsentì Claudia.

Gabriel fece alcune raccomandazioni ad Alonso, poi con la donna seguì padre Rosi e i due poliziotti. Arrivarono alla scuola, un istituto superiore di tipo tecnico. La polizia aveva recintato la zona e teneva a distanza i curiosi; c’erano anche un paio di ambulanze che prestavano piccole medicazioni a un gruppo di ragazze.

“Non vi pare un po’ eccessivo questo dispiegamento di forze?” domandò Claudia, perplessa per il gran numero di volanti di polizia e carabinieri.

“Signora, lei non ha idea di quel che sta accadendo.” le rispose un altro dei professori, che era lì vicino.

“Me lo dica lei, allora.”

“Che ne so! È un caos, sono tutti impazziti laddentro!” si spazientì il docente “Dei ragazzi hanno iniziato a picchiarsi tra di loro, noi abbiamo provato a separarli e quelli hanno cominciato ad insultarci e aggredirci. Siamo dovuti fuggire malamente.”

“Si sanno le cause di queste risse?” chiese Gabriel.

“Io non le so.”

“Proviamo a chiedere a quelle ragazze.” propose la psicologa.

Gabriel annuì e seguì l’amata che già si stava avvicinando a un gruppo di adolescenti che erano appena state medicate e che fumavano nervosamente, borbottando tra di loro.

“Ciao!” salutò l’uomo “State bene, ora?”

Le ragazze lo guardarono con sospetto, poi una disse: “Chi sei? Che te frega? Vattene che ci stanno già troppi problemi; oggi non è giornata.”

Gabriel guardò Claudia e le bisbigliò: “Effettivamente c’è una certa aggressività in questi ragazzi.”

“Non sappiamo ancora che cosa sia successo, potrebbero essere giustamente scosse.” replicò la psicologa che poi si rivolse alle ragazze: “Scusate, ci hanno chiamato per cercare di fare qualcosa per risolvere la faccenda, però finora nessuno è riuscito a spiegarci per bene che cosa sia successo e, soprattutto, perché. Vi va di raccontarci qualcosa? Come mai avete avuto bisogno di cure?”

Le ragazze continuarono a guardarli con diffidenza, poi una di loro sbottò dicendo: “È tutta colpa di Elena!”

“Già, quella nuova …” iniziarono a concordare le altre.

“Che cos’ha fatto?” chiese Claudia.

“È arrivata tre settimane fa e tutti i ragazzi hanno perso la testa per lei.” disse una.

“Quella smorfiosa si è messa a comandare come una reginetta e tutti i nostri compagni le obbedivano ciecamente.” aggiunse un’altra.

“Non state esagerando, magari un po’ per invidia?” cercò di mitigarle la psicologa.

“Niente affatto! Tutti a fare i cascamorto, sono diventati i suoi schiavetti.” spiegò una terza.

“È così bella e affascinante?” chiese ancora Claudia.

“Sembra una bambola, secondo me si è rifatta!”

“Già! Non può portare una trentaquattro e avere tette così grosse.”

“E pure il naso deve avere avuto un ritocco e sono convinta che porti delle lenti a contatto colorate per avere quegli occhi smeraldo!”

Dev’essere pure ricca per poter andare tutti i giorni dal parrucchiere il suo dannato caschetto biondo non può essere così perfetto, senza che un parrucchiere non ci metta le mani ogni giorno!”

“Beh, quindi questa ragazza è molto bella, ho capito.” le interruppe Claudia “Non mi pare, però, che questo possa abbindolare tutti i ragazzi di una scuola; sicure di non aver ingigantito?”

“Elena è bravissima a farla annusare: è una profumiera.”

“Quella comandava tutti! Il mio ragazzo mi ha lasciato perché gliel’ha ordinato lei.”

“Samantha ha provato a dirgliene quattro e non ti dico che cosa le hanno fatto.”

“Scusate, ma come mai dite che è colpa di questa ragazza, quel che sta accadendo?” domandò Gabriel.

“Perché lei ha fatto la gatta morta con tutti, ma soprattutto con Corra e con Manfro, i capi di due bande che già si scontravano spesso a scuola. Entrambi hanno creduto che lei fosse la loro fidanzata e così hanno iniziato a litigare pesantemente. Manfro l’ha chiusa in un’aula e si è messo a sorvegliarla coi suoi e, allora, Corra ha reagito e così è scoppiata come una guerra!”

Gabriel e Claudia si guardarono: erano un po’ confusi, non sapevano bene né come considerare quelle affermazioni, quanto peso dare ad esse e se per caso ci fosse qualcosa di sovrannaturale o meno.

Non fecero in tempo a porsi domande a scambiare commenti, poiché sentirono delle urla, si voltarono e corsero nella loro direzione.

Alcuni poliziotti avevano provato ad entrare dal portone principale, ma erano spuntati tre grossi lupi che li avevano messi in fuga. I poliziotti correvano verso le transenne, ma uno dei lupi balzò addosso a uno di loro.

La bestia teneva fermo a terra l’uomo e lo graffiava e cercava di azzannarlo; il poliziotto provava a difendersi, ma era difficile. Uno dei suoi colleghi, allora, estrasse la pistola e sparò contro il lupo, lo centrò in pieno collo. La bestia emise un verso, alzò la testa verso l’alto e stramazzò al suolo.

Orrore!

Riverso a terra non c’era un lupo, ma un ragazzo. Ormai morto.

I medici provarono lo stesso a rianimarlo, ma era inutile. Gabriel guardò di nuovo Claudia e le disse: “Direi che questo caso è compito della Congregazione.”

“Sì, questo non potrei spiegarlo scientificamente.”

“Telefono a Stefano e gli chiedo di fare una ricerca sulle trasmutazioni. Noi, intanto, entreremo nella scuola, per cercare di capire meglio quel che accade.”

Claudia fu perfettamente d’accordo.

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Capitolo 30
*** La verifica continua ***


Nonostante padre Rosi e tutti i poliziotti li avessero fortemente sconsigliati, Gabriel e Claudia erano risoluti nel voler entrare dentro all’edificio scolastico. Si fecero dunque indicare dove ci fosse una scala antincendio e decisero di raggiungerla e salire da lì per trovare un’entrata senza dare nell’occhio. La scala era una di quelle esterne in ferro, la risalirono e al secondo piano trovarono un portone antipanico aperto, evidentemente chi era scappato non si era premurato di chiuderlo. I due innamorati poterono così entrare nella scuola e iniziare a guardarsi attorno.

Il corridoio in cui si trovavano era vuoto, ma si sentivano voci provenire un po’ da tutte le parti.

“Che cosa facciamo, adesso?” chiese Claudia.

“Non lo so. Io vorrei girare un po’ per l’edificio, per vedere se riusciamo ad ottenere qualche informazione in più, qualche chiarimento sulla faccenda, ma non sono sicuro di come reagiranno i ragazzi … Non vorrei che ci aggredissero prima ancora di permetterci di fare domande.”

“Sono adolescenti, non criminali!” gli fece notare Claudia.

“Non sappiamo ancora che cosa abbia trasformato quel ragazzo in un lupo, non sappiamo che altro potrebbe fare; non abbiamo idea di che cosa potremmo trovarci davanti.”

“Quindi ci limitiamo a camminare furtivamente finché non ci imbattiamo in qualcuno?”

“Più o meno. Raggiungiamo la tromba delle scale e cerchiamo di capire da dove provengono queste voci, poi decideremo dove andare.”

Mentre attraversava il corridoio con l’uomo, Claudia si fermò e chiese: “Lo senti anche tu questo pianto?”

Gabriel tese le orecchie e annuì: “Sì, viene da una delle aule. Cerchiamo.”

I due si avvicinarono alle varie porte per capire dove si trovasse il piangente. Riuscirono ad individuare l’aula esatta, aprirono l’uscio e, nel farlo, sentirono un sussulto e poi più nulla. Entrarono nella classe e, a una prima occhiata, non c’era nessuno, ma solo zaini, quaderni e astucci abbandonati.

“C’è nessuno?” chiese Claudia “Abbiamo sentito un pianto … state tranquilli, siamo qui per aiutare.”

Nessuna risposta. Gabriel, intanto, stava girando per l’aula guardando sotto i banchi; arrivò alla cattedra, era di quelle che davanti sono coperte, per cui ci girò attorno e vide che lì sotto era rannicchiato qualcuno, quindi fece cenno a Claudia di avvicinarsi. Lui si piegò per vedere meglio.

C’era una ragazza che si abbracciava le gambe piegate al petto e teneva il viso nascosto, avendo la testa chinata.

“Vi prego, non fatemi del male!” esclamò lei, senza muoversi.

“Tranquilla, noi siamo qui per aiutare.” cercò di rassicurarla Gabriel.

Claudia li aveva raggiunti, avrebbe voluto piegarsi anche lei, ma il pancione le creava difficoltà, per cui rimase in piedi e disse: “Su, esci da lì e raccontaci che cosa ti fa paura.”

La ragazza sembrò confortata dalla presenza di una voce femminile, per cui uscì dal suo nascondiglio. Vedendola in viso, i due non poterono fare a meno di avere un sussulto di orrore: il suo volto era stato dilaniato da graffi e tagli più o meno profondi, per fortuna nessuno aveva toccato gli occhi.

“Che cosa ti è successo?” domandò Claudia.

La ragazzina, con le lacrime agli occhi, cercò di spiegare: “Sono stati dei miei compagni di classe.”.

“Come mai?”

“Come tutti i maschi della scuola si sono rimbecilliti per il culo della nuova arrivata.”

Gabriel e Claudia si scambiarono un’occhiata: ancora veniva tirata in mezzo quella Elena.

La ragazza continuò: “Oggi ha fatto scatenare questa guerra tra bande e dopo non so che cosa sia successo, che cosa abbia detto, fatto sta che i ragazzi si sono messi tutti a cercare di sfigurare le poche ragazze ancora nella scuola o a catturarle, non so di preciso, io sono riuscita a rifugiarmi qui e non so che sta accadendo.”

Gabriel allungò dei fazzoletti alla ragazza per permetterle di pulirsi un poco dal sangue, poi le disse: “Non ti preoccupare, adesso ti accompagniamo fuori e ti faremo medicare.”

Tutti e tre, con molta circospezione, raggiunsero la scala antincendio e la discesero. Gabriel e Claudia si assicurarono che la ragazzina raggiungesse l’uscita, poi rientrarono nell’edificio.

“Che cosa ne pensi?” domandò Gabriel, una volta rientrati nel corridoio, dopo un lungo silenzio.

“Difficile ancora dire. Le ragazze continuano ad imputare la colpa a questa Elena, però mi pare assolutamente impossibile che un’adolescente, per quanto bella e sensuale possa comandare a bacchetta tutti gli studenti di una scuola. La ragione di tutto questo deve essere un’altra.”

“Continuiamo a trascurare la trasmutazione a cui abbiamo assistito. Dev’esserci qualcosa di sovrannaturale certamente.”

“Non mi parlare di Licantropi, ti prego!” lo frenò subito Claudia “Anche perché in nessuno dei film o libri che ho mai letto si legge di un fascino ammaliante emanato dai lupi mannari. Tutt’al più sono i vampiri che seducono e ipnotizzano, ma non vanno d’accordo coi licantropi, per quel che ne so io.”

“Non posso fare ipotesi al momento, tuttavia potremmo almeno ammettere che c’è qualcosa di innaturale.”

“Non lo possiamo ancora sapere, ci sono sostanze psicotrope che inibiscono la volontà e le capacità di scelta. Il siero della verità esiste ed è una droga, per cui anche qui potremmo trovarci davanti a un caso simile.”

“Questa Elena (se si tratta realmente di lei), però, dovrebbe pur aver comprato queste sostanze, che immagino siano costose, e talmente tante da poterle somministrare a mezza scuola. Inoltre come avrebbe potuto fare a drogare solo gli uomini? Ha messo un filtro speciale nei rubinetti dei bagni dei maschi? E poi, se drogati, non dovrebbero essere soggiogati da chiunque? Perché, invece, rispondono solo a lei?”

“Microchip sottocutanei che controllano la mene, ne ho letto parecchio su internet … No, aspetta, quelli li impiantano mentre vaccinano, o qualcosa del genere … per cui dev’essere qualcos’altro, lei non potrebbe accedervi.”

“Claudia, forse dovresti fare più attenzione ai siti che consulti, quando fai le tue ricerche su internet.”

“I siti che controllo sono serissimi, dicono tutte le cose che i governi ombra tengono nascoste! Io prima, ad esempio, non ne sapevo nulla delle scie chimiche! Ah, visto che siamo in argomento, ricorda che nostro figlio non lo voglio assolutamente vaccinare, iniettano cosa strane, potrebbe diventare autistico!”

“Sì, ne parleremo …” rimase al quanto perplesso Gabriel, poi decise di tornare alla questione principale: “Io ribadisco, però, che non è scientificamente spiegabile la trasfigurazione di quel ragazzo.”

“Già, questo è vero.” ammise Claudia.

“Riprendiamo il programma iniziale? Perlustriamo in cerca di indizi?”

La donna annuì e, quindi, si rimisero a camminare per i corridoi. Al momento non sentivano voci, per cui pensarono che non ci fosse nessuno in quella zona, quindi procedettero. Decisero di raggiungere il pian terreno e, man mano che scendevano, iniziavano a sentire un vociare che si faceva sempre più forte e vicino, benché rimanesse confuso.

Attraversato un altro corridoio a pian terreno, si ritrovarono in un atrio affollato da ragazzi all’incirca accampati, alcuni di loro tenevano tra le mani armi improvvisate.

I due adulti furono subito notati e un gruppetto di ragazzi li circondò immediatamente, uno di loro chiese: “Chi siete, che ci fate qui?” poi si voltò  verso un altro e gli disse: “Vai a chiamare Corra.”

L’interpellato si allontanò.

Gabriel tentò di spiegare: “Ragazzi, non c’è bisogno d’innervosirsi, siamo solo curiosi. Vogliamo sapere che sta capitando.”

“Quel bastardo di Manfro ha rubato la figa al Corra e noi gliela faremo pagare!” rispose uno.

Il primo che aveva parlato lo zittì.

Gabriel provò a raccogliere altre informazioni: “Per questo siete radunati qui e armati? Vi state per scontrare?”

“Ci stiamo picchiando sì. Loro hanno occupato la parte destra e noi l’assediamo. Mo siamo in pausa, ma quelli barano: c’hanno lupi, tigri e bestie così!” spiegò un altro.

“Tacete, non dite niente!” ribadì il primo.

Poco dopo arrivò quello che doveva essere Corra che squadrò un attimo i due adulti e poi chiese: “Sono loro gli intrusi?”

“Sì.”

“Adesso non c’ho tempo da perdere, chiudili in un’aula e mettici qualcuno di guardia, noi dobbiamo pensare ad attaccare quelli di Manfro per distrarli, mentre altri di noi occupano il laboratorio di scienze, così possiamo fare armi chimiche. Adesso levatemi sti qui da davanti!”

“Questo è sequestro di persona!” protestò la psicologa.

“Sai quanto me ne frega?” ribatté Corra.

“Claudia, lascia correre.” le mormorò Gabriel, mettendole una mano sulla spalla.

La donna non capiva, infatti, appena rimasero soli nell’aula che sarebbe stata la loro prigione, lei chiese: “Che ti prende, Gabriel? Perché sei stato così arrendevole?”

“Questi ragazzi hanno la testa a soqquadro, sembrano invasati da un senso di violenza, stanno male! Non sono in sé! Hai visto anche tu cos’hanno fatto a quella ragazzina e chissà cos’hanno fatto ad altre. Mi sembra che siano piuttosto irritabili, ma se dovessero aggredirci noi non possiamo certo reagire, ti pare? Non possiamo fare loro del male, per cui è meglio stare tranquilli.”

“Sì, non ci avevo pensato.” Claudia annuì e si calmò “Quindi, che si fa?”

“Per il momento aspettiamo.”

Claudia e Gabriel rimasero nell’aula tutta notte. Erano stati portati lì che era già scesa la sera, per cui parlarono un poco, poi frugarono negli zaini abbandonati alla ricerca di cibo per la cena e qualcosa riuscirono a rimediare, poi Gabriel radunò le giacche che erano state lasciate lì e fece del proprio meglio per preparare un giaciglio accogliente per la donna e per sé.

Gabriel, poi, telefono a padre Rosi per aggiornarlo su quello che stava accadendo e dirgli di non preoccuparsi.

I due innamorati si misero quindi a dormire, abbracciati l’una all’altro. Claudia era un po’ nervosa, quindi Gabriel la tenne stretta a sé, la confortò e la coccolò finché la donna non si addormentò tra le sue braccia.

 Il mattino dopo furono svegliati dal suono del cellulare che squillava. Erano le nove e mezza e Stefano telefonava per comunicare gli esiti delle sue ricerche.

“Gabriel, credevo di trovarti in Congregazione, sei ancora a casa?”

“No, ci siamo fermati sul campo. Dimmi quello che hai scoperto.”

“Allora, mi sono concentrato sulle donne affascinanti in grado di charmare gli uomini e soggiogarli. Sono saltate fuori varie cose: lamie, empuse, succubi, raksasi, yaksi. La maggior parte di loro, però, beve il sangue delle vittime o le divora o ne assorbe le energie, ma voi non mi avete segnalato nessun fenomeno del genere. Mi avete invece parlato di fenomeni di trasfigurazione uomo-animale. Ecco, noi non sappiamo se la ragazza di cui mi avete parlato e le trasmutazioni siano correlate tra di loro. Devo, quindi, continuare le ricerche cercando creature in grado di tramutarsi.  Ipotizzando, invece, che sia questa donna a trasfigurare i ragazzi, beh c’è da dire che non risulta che le creature che ho nominato prima avessero la possibilità di trasformare altri in animali, ma solo sé stesse. Certo è che le fonti che abbiamo non sono molte. L’unica figura mitologica che a me viene in mente è la maga Circe.”

“Circe, dici?”

“Sì; era estremamente seducente, incantava gli uomini e poteva trasformarli in animali. Pare avesse delle compagne che avevano i medesimi poteri. Purtroppo ci sono varie versioni circa le origini di Circe, per cui è impossibile dire se sia riconducibile a una qualche genia sovrumana specifica, tuttavia tutte le fonti concordano a darle dei e ninfe come genitori.”

“Va bene, grazie Stefano, se emerge altro, avvisami.”

Gabriel chiuse la chiamata, non ebbe bisogno di riferire a Claudia, poiché aveva messo il vivavoce e lei aveva sentito tutto.

“Una maga, quindi?” commentò la psicologa, prima di ridacchiare.

“C’è ancora troppa confusione. Dobbiamo vedere quella ragazza, per poter capire qualcosa.”

“Come pensi di raggiungerla? Come facciamo ad uscire da qui?”

“Ho un’idea: darò a questi ragazzi una piccola dimostrazione del mio potere; li convinceremo a mandare noi a recuperare Elena, così ci lasceranno liberi di andare e potremo cercarla e capirci qualcosa, forse. Proviamo a vedere se funziona.”

“Sei sicuro di voler far vedere il tuo potere?” Claudia non era contrariata, ma preoccupata per lui: sapeva bene che per Gabriel era difficile accettare e gestire il suo potere.

“Se necessario, sì. Ormai devo ammetterlo nella mia vita …”

Gabriel si avvicinò alla porta e cominciò a bussare. Dopo un paio di minuti qualcuno aprì e grugnì: “Che vuoi?”

“Voglio parlare col vostro capo, ho un affare da proporgli.”

Il ragazzo li condusse dal Corra che non fu molto entusiasta di vederli, li scrutò malamente e disse: “Mi ero scordato di voi. Che volete?”

“Come stanno questi ragazzi? So che ci sono stati degli scontri, qualcuno è rimasto ferito?”

“Che te frega?”

“Mi sto preoccupando per voi.”

“Senti va a sviolinare altri e mo sputa il rospo: cosa vuoi?”

Gabriel sospirò, avrebbe preferito sincerarsi che i ragazzi stessero bene, comunque andò avanti: “So che stai combattendo per riottenere la tua fidanzata. Io conosco bene l’importanza dell’amore e anch’io sono disposto a tutto pur di proteggerlo e non perderlo, per questo voglio aiutarti.”

“E come pensi di fare?” il Corra era al quanto divertito.

“Penso che io e Claudia siamo meno sospetti, rispetto ai tuoi amici. Aspetta qualche ora prima di attaccare di nuovo. Lasciaci andare in avanscoperta, cerchiamo di trovare la tua Elena e te la riportiamo indietro.”

Il Corra ragionò qualche momento, poi annuì e disse: “Va bene. Vai.”

Gabriel fu sorpreso da quell’assenso immediato e fu contento di non dover ricorrere al suo potere.

“Ma la tua donna resta qui, così sto certo che torni.” aggiunse il Corra.

Gabriel tentò di dire: “Claudia mi aiuta sempre nelle mie ricerche, deve stare con me …”

“Non se ne parla. O come dico io, o niente.”

Antinori guardò la psicologa che con lo sguardo lo rassicurò e lo incoraggiò ad andare.

L’uomo, allora, acconsentì e partì alla ricerca della ragazzina.

 

Intanto, nella villa di Serventi, da un paio di giorni non si sentivano più litigare Gaspare e Giuditta. Non che prima fosse un continuo battibecco, poiché l’uomo aveva accuratamente evitato di incontrare la ragazza se non durante i pasti e l’ora di tortura mentale. Negli ultimi giorni, invece, i due giovani si erano visti più spesso e non avevano discusso una sola volta: il loro patto stava funzionando, Giuditta era umile e Gaspare non insisteva più con le sue battute sprezzanti.

In quel momento entrambi si trovavano in un salotto; l’uomo era seduto su una poltroncina, teneva in mano un libro seicentesco, era di un esoterista messo a morte dall’Inquisizione e i cui volumi erano stati quasi tutti bruciati. Gaspare stava leggendo ad alta voce, come se stesse tenendo lezione, infatti in un certo senso era così: l’uomo teneva le gambe distese su un pouf, seduta a terra lì accanto c’era Giuditta che lo ascoltava attentamente e, nel frattempo, gli massaggiava i piedi.

Entrò Bonifacio, li osservò un poco e poi si mise a sedere su un divanetto. Intanto, Gaspare aveva interrotto la lettura per salutare il genitore e fece cenno alla ragazza di salutare a propria volta.

“Sono felice di vedervi andare d’accordo.”

Bonifacio, però, sapeva benissimo che il figlio aveva provocato apposta la ragazza per poterla soggiogare più facilmente e che in realtà non l’aveva mai davvero disprezzata.

“Diciamo che alla base c’era un fraintendimento, un problema di comunicazione. Adesso ci siamo chiariti e abbiamo migliorato il nostro rapporto, se così si può definire.”

“Allora, forse, non è così testarda come sembra. Forse riuscirai a convincerla che la sua teoria soteriologica è errata e la guiderai verso la Verità.”

Giuditta non gradiva molto che parlassero di lei come se non fosse presente, comunque a tal proposito non disse nulla, replicò invece: “Inutile che vi diate affanno: io credo fortemente che entro pochi anni Gesù tornerà sulla Terra e la rinnoverà e finalmente si compirà il come in Cielo, così in Terra.”

“Sbagli.” ribatté Bonifacio “Quel versetto del Padre Nostro è un riferimento al principio ermetico: quel che è in alto è come in basso e tu dovresti saperlo bene. Sei caduta anche tu nell’errore di credere che anche la seconda venuta di Gesù sia materiale e che abbia un tempo prestabilito. Non è così: Gesù è sempre pronto a tornare, ma non in carne e ossa, bensì nell’animo di ciascuno. I Clysti e altre sette eterodosse lo sapevano e sono state condannate dalla Chiesa. I membri di queste correnti sono stati sempre i più vicini a Dio e i più discriminati, pensa, ad esempio, al buon Rasputin.”

“L’ascensione spirituale, dovere di ciascuno, non preclude affatto un ritorno di Cristo in Terra.” ribadì la ragazza.

Bonifacio continuò: “Un eventuale ritorno di Gesù non preclude il fatto che noi si debba agire ed imprimere la nostra orma su questo mondo: abbiamo una conoscenza superiore agli altri, abbiamo doti straordinarie, perché non dovremmo usarle per migliorare le cose? Un governo di filosofi.”

Giuditta osservò: “Il buon governo è quello che serve il popolo, ma non credo corrisponda alle vostre idee.”

Questa volta fu Gaspare a parlare: “Vedi, è per questa tua cieca e ostinata ottusità che, adesso, sei qui a massaggiarmi i piedi, anziché …”

Non si capì se l’uomo avesse volutamente lasciato la frase in sospeso, oppure se si fosse interrotto, accorgendosi di stare per dire qualcosa che non doveva.

“Anziché …?” lo incalzò la donna.

Gaspare la fissò qualche momento, pensò rapidamente e poi rispose: “Diciamo che se ti decidessi ad evolvere e a salire qualche gradino della scala verso la Verità, miglioreresti la tua situazione. Non dico che potresti arrivare ad essere mia pari, ma ci andresti molto vicino, il ché cambierebbe la considerazione che ho di te.” sorrise in modo strano.

Giuditta avrebbe voluto ribattere che non le importava nulla di quel che lui pensasse di lei, ma ormai non era più credibile; per cui si limitò ad imbronciarsi.

“Figliolo, credo che sia il momento adatto per spiegare alla nostra ospite perché veramente si trova qui.” ghignò Bonifacio, poi guardò la ragazza e con tono calmo e tranquillo le disse: “Tu credi che tuo fratello ti abbia mandato qui per spiarci, ma non è affatto così.”

Giuditta voltò la testa verso Serventi, si irrigidì e lo guardò con smarrimento.

“Isaia ha iniziato dopo di te ad approcciarsi alla Verità, ma ti ha già superata. Lui ha capito che la ragione sta dalla nostra parte, è venuto a schierarsi con noi e ha acconsentito di consegnarti a noi come pegno della sua lealtà.” Bonifacio era rimasto pacatissimo nel dire ciò e ora aveva un sorriso trionfante.

Giuditta era incredula: non poteva nemmeno pensare che suo fratello si fosse alleato con Serventi. Non riuscì a dir nulla, si limitò a scuotere nervosamente il capo.

Gaspare fece un respiro profondo, sogghignò a propria volta e disse: “Grazie, padre, mi hai dato un ottimo spunto per l’argomento della seduta di oggi.”

Seduta, era così che l’uomo definiva le torture mentali che infliggeva alla ragazza.

“Giudittina, andiamo adesso. Rimettimi calze e scarpe e poi riponi il libro.”

La donna obbedì. Quando prese il libro dalla sue mani, per poi sistemarlo in uno scaffale del salotto, Giuditta si accorse che Gaspare aveva il mento alzato e la testa leggermente inclinata; capì che doveva dargli un bacio sulla guancia per ringraziarlo della lettura, quindi lo fece.

Preso congedo da Bonifacio, i due giovani andarono nella stanza bianca. L’uomo iniziò mostrandole il proprio ricordo di quando Isaia era venuto ad offrire la propria alleanza a Serventi. Continuando, poi, su quella tematica, riuscì a infliggerle dolori di ogni tipo.

Mentre la tortura era in atto, arrivò, invisibile a chiunque, il fantasma che Stefano aveva incaricato di trovare Giuditta. Lo spettro assisté alla scena fino alla fine del trattamento, poi seguì un poco la ragazza per vedere come stesse, infine tornò indietro per riferire ciò che aveva visto.

Stefano era nella biblioteca della Congregazione, stava continuando a fare ricerche per Gabriel, quando lo spettro tornò da lui.

“Allora, l’hai trovata?” domandò impaziente il seminarista.

“Sì. È in una villa in campagna, se ho capito bene il proprietario è un tale Serventi.”

“Cosa?!” sbalordì Stefano “Che accidenti ci fa là? È prigioniera, di sicuro …!” iniziò ad essere agitato.

“Non saprei, quel che ho visto è stato strano.”

“Spiegati meglio.”

Il fantasma raccontò ciò che aveva visto: sia le torture mentali che il vivere tranquillamente dopo.

Stefano ringraziò e congedò lo spettro; rimase a riflettere alcuni istanti sul come agire e l’idea più logica e spontanea che gli venne in mente circa come iniziare a trovare una soluzione, fu quella di andare a riferire tutto ad Isaia.

Il giovane andò nell’ufficio del prete e gli raccontò tutto. Isaia aveva simulato sorpresa, nel sentirsi dire che la sorella era presso Serventi, ma il suo stupore e la sua indignazione furono assolutamente reali, quando apprese che la sorella era tormentata gravemente da Gaspare.

Isaia si sentì offeso e tradito: non erano quelli gli accordi. comunque non perse la testa e non si infuriò apertamente, si limitò a dire: “Me ne occuperò io personalmente.”

“Posso aiutarti, voglio aiutarti.”

“Ti ringrazio per la premura, ma questa faccenda la devo sbrigare da solo. Purtroppo non posso pensarci subito, è appena arrivata una segnalazione da una casa d’accoglienza, dobbiamo andare a fare una verifica.”

“Ma Giuditta …?” Stefano era come deluso.

“Sono molto preoccupato anch’io, ma, stando a quello che hai detto, lei non sta rischiando la vita, per cui dobbiamo prima risolvere il problema della Congregazione.”

Il seminarista lo guardò con disappunto.

“Stefano, se diventerai un prete, dovrai imparare ad anteporre il tuo dovere davanti a qualsiasi tuo affetto. Dio solo è il tuo rifugio, in Lui c’è la nostra forza, la nostra speranza e la nostra salvezza. Noi siamo qui per fare la sua volontà, non la nostra. Ricordalo sempre.”

Il giovane abbassò lo sguardo e meditò su quelle parole: erano assolutamente vere, tuttavia non gli piaceva affatto l’idea di abbandonare Giuditta, fosse anche solo per qualche giorno. Decise, però, di non protestare e domandò: “Di che verifica si tratta?”

“Si è verificata una strana epidemia in una casa della Carità che ha una trentina di ospiti, tra poveri, anziani soli, tossici e ragazzi tolti alle famiglie dai servizi sociali.”

“Un’epidemia? Che cosa c’entriamo, noi?”

“Si tratta di un male misterioso, i medici non sanno trovarne la causa; abbiamo mandato i dottori della Congregazione, ma anche loro non hanno individuato né virus, né batteri, né altro.”

“In cosa consiste questa malattia?”

“Debolezza generale che riduce a stare nel letto continuamente, improvvisa anemia, pressione bassissima, caduta di capelli e denti, fragilità delle ossa e ogni possibile manifestazione di una carenza di calcio e vitamine. La causa è ignota. Dal momento che la scienza si è arresa, interveniamo noi.”

Il prete e il seminarista si recarono dunque sul posto, furono accolti dal prete e dalla suora a capo della gestione della struttura. Costoro ripeterono quanto stava accadendo, aggiungendo qualche dettaglio. Isaia, poi, chiese di poter visitare i malati. Passarono nelle varie stanze e constatarono che tutti i malati erano maschi e tutti si presentavano come in fin di vita. Isaia era piuttosto spiazzato, non sapeva esattamente come agire.

“Allora, padre Morganti, che cosa propone?” chiese la suora.

“Preghiamo, se questo male è opera di qualche creatura infernale, le nostre invocazioni a Dio dovrebbero avere effetto.”

Tutti quanti fossero sani in quel posto (per cui solo le donne, i due preti e il seminarista) si radunarono nella cappella e Isaia iniziò a condurre la preghiera: “Inviaci, oh Signore, dal Cielo, Raffaele, l’angelo medico  della Salvezza, affinché guarisca tutte le malattie e guidi anche tutte le nostre azioni. Celeste medico, San Raffaele, che hai guidato il giovane Tobia in un lungo viaggio e lo hai riportato sano e salvo da suo padre al quale hai reso la vista che aveva perso da tempo, permetti che ti chieda umilmente di guarire dai mali del corpo e dell’anima me e i miei fratelli, soprattutto coloro che in questo momento qui giacciono infermi, non abbandonarci mai nel nostro pellegrinaggio sulla terra …”

Mentre pregava assieme agli altri, Stefano ricordò ciò che Giuditta gli aveva rivelato prima di partire. Lui era davvero una manifestazione dell’arcangelo Raffaele? Se sì, allora, poteva forse fare qualcosa per quella gente. Sentiva una forza crescere in sé.

Intanto Isaia e gli altri continuavano: “O potentissimo Arcangelo San Raffaele, a te ricorriamo nelle nostre infermità: a te che sei l’Arcangelo della guarigione. Siamo convinti che il peccato sia il vero nemico della nostra vita; infatti, con il peccato, sono entrate nel mondo la malattia e la morte ed è stata offuscata la nostra somiglianza con Dio …”

Stefano si sentiva pervaso da un’energia infinita, i suoi occhi divennero azzurro ghiaccio, si alzò in piedi e andò verso la porta. Tutti lo notarono e si stupirono, ma non dissero nulla e rimasero assorti in preghiera.

Il ragazzo si recò da ciascuno dei malati e su ognuno di loro impose le mani per alcuni minuti. Tutti quanti riacquistarono salute ed energie. Man, mano che guarivano, gli uomini si alzavano dal letto, tutti contenti e andavano a cercare i loro amici per dar loro la bella notizia. Fu così che la preghiera venne interrotta e che molti si misero a seguire Stefano e ad osservarlo.

“Miracolo!” esclamavano le suore, stupefatte.

Pure il parroco era pieno di meraviglia e chiese al gesuita: “Chi è quel ragazzo che riesce ad operare guarigioni?”

Isaia non sapeva di preciso che cosa stesse accadendo, decise di prendere spunto da ciò che aveva creduto padre Aniello, quando aveva sconfitto Bifrons, per cui improvvisò: “Il merito è delle nostre preghiere. Dio ha deciso di inviare in nostro soccorso Raffaele e lo ha fatto agire per tramite di quel giovane. Vede che i suoi occhi sono diventati luminosi? È perché è posseduto da un’entità angelica.”

Quando tutti furono sanati e la gente era presa dal gioire, Isaia riuscì a prendere da parte Stefano e gli chiese: “Come ci sei riuscito? Mi hai parlato del tuo controllo sui fantasmi ma non di questo.”

Il seminarista si sentì un poco in imbarazzo e poi rispose: “In realtà è la prima volta che guarisco gente.”

“Come ti è venuto in mente, allora, di farlo?”

“Non so, ho sentito una strana forza dentro di me e l’impulso di agire e l’ho assecondato. Ho sbagliato?”

Isaia non rispose subito; pensò a come le parole del ragazzo descrivessero perfettamente anche come si era sentito lui davanti a Paimon e Bifrons. Scosse il capo e disse: “No, hai fatto benissimo. Cerca però di non dare nell’occhio la prossima volta.”

“D’accordo. Adesso che si fa? Consideriamo la verifica conclusa?”

“No, assolutamente. Non abbiamo ancora capito la causa di quel malessere, per cui rimarremo ancora qui ad indagare: magari, parlando con chi è stato malato, emergerà qualcosa di utile.”

 

 

NOTA DELL’AUTRICE: Salve a tutti! Un ringraziamento a tutti i miei lettori e, in particolare, a coloro che commentano . Un grazie speciale ad Alex Piton che c’è sempre per consigliarmi quando ho bisogno.

Oggi parto per l’India e starò via fino al 24 agosto. Cercherò di inviare qualche capitolo anche da là, tuttavia capirete bene anche voi che non sarà con la medesima frequenza di adesso.

Per il momento un saluto, un grazie ancora e buone vacanze a tutti!

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Capitolo 31
*** La vendetta di Malpas ***


Gabriel aveva dovuto fare molta attenzione per riuscire a muoversi per l’edificio scolastico senza farsi notare da nessuno. Girava ormai da diverse ore e non aveva la più pallida idea di dove potesse essere Elena. Non si poteva, però, dare per vinto, doveva trovarla non solo per capire che cosa stesse accadendo, ma anche per poter tornare da Claudia, senza la preoccupazione che quei ragazzi si arrabbiassero.

Dopo tanto girovagare, ispezionando ogni aula, finalmente trovò quella in cui si trovava la ragazza, in realtà gli sembrò strano che la stanza non fosse sorvegliata: dal momento che un’intera scuola si stava massacrando per lei, l’uomo si aspettava di trovarla bene protetta, invece non fu così. Forse, il Manfro, aveva paura che i suoi amici non fossero del tutto fidati.

Quando aprì la porta e vide la ragazza, il fiato gli si bloccò in gola e forse il suo cuore perse un battito: era davvero bellissima e sensuale.

Alta meno di un metro e settanta, snella, il corpo flessuoso, un vitino da vespa, seno grande, pieno e burroso, sedere grosso, tondo e sodissimo. Capelli biondi in un caschetto scalato, grandi occhi colore smeraldo, carnagione lattea, sorriso sensuale e disarmante.

Gabriel non poté fare a meno di essere colpito da tale bellezza: ora capiva perché era nata quella feroce contesa.

“Tu sei Elena vero?”

“Sì.” rispose lei timidamente.

“Io mi chiamo Gabriel, sono qui per aiutarti. Sei spaventata da questa faccenda, vero?”

La ragazzina annuì, poi gettò le braccia al collo dell’uomo, nascose il viso sul suo petto e iniziò a piangere.

Gabriel si intenerì ancor di più, le accarezzò i capelli e le disse: “Su stai tranquilla, adesso tutto finirà. Ti hanno fatto del male?”

Elena alzò il viso, gli occhi erano lucidi, scosse il capo e balbetto con voce sottile e armonica: “No, ma ho avuto lo stesso tanta paura.”

“Lo capisco, dev’essere stato molto difficile per te …”

Istintivamente Gabriel portò una mano al viso della ragazza e le fece una carezza: era davvero bellissima.

Elena tremò e disse, arrossendo un poco: “Per favore, mi potrebbe abbracciare? Sono molto scossa e ho bisogno di un po’ di conforto …”

Gabriel si stupì, ma non poté dirle di no e la strinse a sé; sentì un profumo dolcissimo e inebriante.

Elena iniziò a strusciarsi tra le braccia dell’uomo, poi gli diede un bacio sul collo e gli sussurrò ad un orecchio: “Grazie …”

Gabriel si sentì a disagio, ma fu solo un attimo, un’altra vampata di quel profumo e lui si sentì piuttosto sciolto, tanto che lasciò scivolare la mano sul sedere della ragazza e lo strinse. Elena non protestò, anzi sorrise e poi lo baciò, lui l’assecondò.

“Gabriel!” esclamò la voce di Claudia.

Antinori si voltò di scatto, vide la donna amata, tornò lucido e si staccò bruscamente dalla ragazzina; mosse qualche passo verso la psicologa a tentò di dire: “Claudia! Io … io …”

“E io che mi stavo preoccupando per te! Sei lontano da ore, io in ansia e tu qui a spassartela con un’adolescente! Mi fai schifo!”

“No, aspetta! Dev’esserci una spiegazione!”

“Quale?!” Claudia si stava trattenendo dal piangere.

“Non lo so ancora …”

“Non riesci neppure ad inventare una scusa, anche se non ci sono giustificazioni per quel che ho visto!”

“Claudia …” Gabriel era assolutamente mortificato “Io non so perché l’ho fatto …” ed era la verità.

“Forse perché non mi ami. Forse perché dopo essere stato chiuso in chiesa per anni e anni, hai voglia di recuperare le leggerezze dell’adolescenza che ti sei perso.”

“Non è vero! Io amo te e basta!”

“E allora perché non ti comporti di conseguenza? Gabriel, io ci tenevo davvero a vivere con te e tu, invece …” aveva gli occhi colmi di lacrime “Basta! È finita, non posso impostare la mia vita con te, se sei così inaffidabile.”

Claudia si voltò e corse via. Gabriel tentò di seguirla, ma inutilmente.

Antinori sentì di nuovo l’immenso dolore dell’abbandono, del perdere il suo infinito e carissimo amore, il suo più grande conforto, la sua immensa gioia. Questa volta, però, non era colpa sua, era colpa di quella ragazza e dei suoi sortilegi.

Elena ridacchiava di gusto.

L’uomo sentì una grande rabbia salirgli in petto, era furioso. I suoi occhi divennero rossi si voltò verso Elena, l’additò con una mano circondata da fiamme elettriche e le ringhiò: “È stata colpa tua. Sei una puttana! Mi hai fatto perdere Claudia!”

“Oh, non è colpa mia se vuoi uomini siete così tonti e facilmente abbindolabili.” disse, smaliziata, la ragazza “Non siete affatto cambiati nel corso dei secoli.”

“Chi sei?”

 

Nel frattempo, nella casa della carità dove i malati erano appena guariti, Isaia e Stefano erano stati invitati a fermarsi a pranzare assieme a loro per festeggiare. Il gesuita e il suo aiutante accettarono volentieri e, dopo aver mangiato, mentre la gente iniziava a rilassarsi (chi guardava la televisione, chi ascoltava musica, chi leggeva, chi sonnecchiava), loro due si separarono per fare un po’ di domande in giro, specialmente fra i guariti, alla ricerca di qualche indizio.

Stefano aveva appena parlato con un tizio, era uscito dalla sua stanza e camminava per il corridoio alla ricerca di qualcun altro da sentire. Vide una porta aprirsi e una ragazza avvenente, coi ricci neri, fargli cenno di avvicinarsi. Il seminarista pensò che gli volesse parlare di quel che era accaduto, per cui la raggiunse tranquillamente. Entrò nella stanza, chiedendo: “Salve, ha bisogno di qualcosa?”

“Volevo ringraziarti. Oggi hai aiutato anche mio padre a guarire.”

“Oh, beh, ho fatto il mio dovere.”

“Tu sei un prete?” chiese lei, sbattendo le palpebre dei suoi occhi da cerbiatta.

“Non ancora, sono in seminario.”

“Quindi non hai ancora preso i voti, giusto?” domandò lei, avvicinandosi al ragazzo.

“Esatto.” Stefano iniziava a sentirsi a disagio, non capendo dove volesse andare a parare.

La ragazza gli appoggiò le mani sulle spalle, ma non le tenne stese, bensì flesse, in modo da essere a contatto con lui, si mordicchiò sensualmente il labbro inferiore e disse: “Quindi posso ringraziarti come merita un vero uomo …” fece scivolare le dita sotto il colletto della camicia del giovane.

Stefano rimase perplesso solo un attimo, poi si sentì infastidito, per cui si ritrasse e disse, piuttosto imbarazzato: “Ehm … sei molto gentile, ma non posso accettare. Un grazie è più che sufficiente.”

Lei gli si accostò di nuovo, dicendo: “Non lo saprà nessuno, sono certa che ti farà piacere …” lo fissò con occhi vogliosi.

Lei si avvicinò al suo viso come per baciarlo. Istintivamente, il pensiero di Stefano corse a Giuditta …

Il ragazzo si scosse e si affrettò ad uscire dalla stanza. Scombussolato per quell’intraprendenza, il giovane andò a cercare Isaia, non volendo più stare solo.

Il gesuita stava parlando col parroco e la superiora, ma notò subito l’espressione corrucciata del seminarista, per cui gli chiese che cosa fosse successo.

“Oh, nulla di preoccupante … ho solo ricevuto delle avances …”

“Ah, scommetto che è stata Ludmilla!” esclamò la suora.

“Non si è presa neppure la briga di presentarsi.” rispose il giovane.

“Ha circa una ventina d’anni, capelli neri con riccioli stretti, stretti e occhi grigi?”

“Sì, direi che è quella la descrizione. Come ha fatto ad indovinare?”

La suora alzò gli occhi al cielo e rispose: “È qui da una decina di giorni, si è presentata qua da sola e ha intenerito tutti quanti. Non dev’essere, però, una brava ragazza: l’ho sorpresa più volte a tentare di sedurre gli ospiti della casa. Non so se ci sia riuscita.”

Stefano fu folgorato da un sospetto e chiese: “Quando hanno iniziato ad ammalarsi gli uomini?”

“Il primo caso è stato una settimana fa.” rispose il parroco.

“Isaia, posso parlarti in privato?” domandò il ragazzo.

Il gesuita si scusò un attimo coi suoi interlocutori e si spostò di qualche metro col seminarista.

“Allora, a cosa stai pensando?”

“Credo possa essere una lamia o una succube o qualcosa del genere.” sentenziò Stefano.

“Chi?”

“Quella ragazza. L’epidemia è scoppiata appena dopo il suo arrivo qui. La madre superiora ha detto che lei ha tentato fin da subito di sedurre gli uomini, infatti i soli colpiti dalla malattia erano maschi. Lei si è unita a loro e ne ha risucchiato le energie e il sangue, proprio come fanno l’empuse e le creature affini. Lo so bene perché ho passato la notte a studiarle.”

Isaia rifletté un poco e poi disse: “Effettivamente i fatti sembrano darti ragione, tuttavia non vorrei che tu fossi troppo condizionato appunto da ciò che hai appena studiato.”

“Io credo che sia così. Tra l’altro per approcciarsi a me ha detto di volermi ringraziare perché avevo salvato suo padre, ma la superiora ha appena detto che lei è arrivata qui sola.”

“Non è una prova. Comunque ho un’idea per verificare la tua ipotesi. Farò un giro di esorcismo in ogni stanza, dicendo che è una precauzione, quando arriveremo nella camera in cui si trova questa ragazza, vedremo come reagisce.”

“Eccellente idea.”

“Iniziamo subito: non c’è tempo da perdere!”

Isaia andò a spiegare al parroco l’esigenza di esorcizzare ogni stanza della casa di carità per allontanare le influenze maligne. Cominciarono immediatamente; il gesuita prese il suo materiale e partì dai locali comuni e poi, man mano le singole stanze.

L’esorcista e il seminarista notarono più di una volta che Ludmilla si spostava dalla stanza, poco prima che loro vi entrassero per compiere l’esorcismo; ciò nonostante, però, riuscirono ad essere abbastanza furbi per trovare la camera dove si era collocata ed entrarvi prima che avesse il tempo di andarsene. Ludmilla, allora, aveva cercato qualche scusa per poter uscire, ma la disciplina ferrea delle suore la fecero restare.

Isaia cominciò ad aspergere la stanza con acqua benedetta e a pronunciare formule in latino di esorcismo. Stefano teneva d’occhio la ragazza e la vide innervosirsi, agitarsi, assumere espressioni sofferenti. Il giovane fece il cenno concordato precedentemente con Isaia per segnalare reazioni sospette. L’esorcista si volse nella direzione della ragazza e proseguì il rituale. Ludmilla fu ancora più scossa, iniziò ad urlare e spintonò ferocemente le suore che aveva attorno per farsi largo e uscire. Isaia fu rapido, le si parò davanti, le pose sulla fronte il proprio palmo destro, dicendo: “Ego te mondo.”

La ragazza urlò più forte, poi una crepa d’oro le solcò il volto, poi un’altra e una terza e poi moltissime in tutto il corpo. Si crepò e sgretolò come un cristallo stretto con troppa veemenza. Andò in frantumi e a terra non si trovò altro che polvere.

Il parroco e le suore rimasero basiti, increduli non capivano che cosa fosse successo. Isaia si affrettò a spiegare che Ludmilla era una succube ed era stata la causa dell’epidemia. I religiosi non poterono fare a meno di essere alquanto sconvolti per aver ospitato presso di loro una creatura demoniaca,  senza nemmeno accorgersene. Ringraziarono vivamente Isaia e Stefano per il loro intervento e li trattennero a lungo.

 

“Chi sei?”

Aveva chiesto Gabriel, furioso, rivolto alla bellissima Elena.

“Si tratta di una domanda, o mi stai imponendo di rispondere?” chiese lei, provocatoria.

Gabriel, senza pensarci un solo momento, lanciò uno dei suoi fulmini infuocati contro la ragazzina.

“Inutile.” disse lei, completamente illesa “Non puoi uccidere chi è già morto o demonizzare chi è già un demone.”

Gabriel era ancor più furioso, ringhiò, questa volta ordinando: “Dimmi cosa sei!”

Elena fu obbligata a rispondere: “Sono una delle succubi di Malpas. Il mio Signore è andato su tutte le furie per colpa vostra!”

“Nostra?” si meravigliò Antinori.

“Sì, gli avete distrutto la sua setta e lui non vi perdonerà, anzi, come vedi è intenzionato a vendicarsi.”

“Per questo ha voluto che tu mi seducessi! Ha voluto farmi litigare con Claudia per togliermi ciò che ho di più importante.”

“No, questo è stato un surplus, le vendette del mio signore sono più grandi … ad esempio far massacrare tra di loro i giovani di una scuola.” sorrise e ridacchiò.

“Senti, non sono stato io a sterminare quella setta e non sono stati neppure questi ragazzi, quindi lasciateli stare.”

“Pensi che Malpas voglia punire i colpevoli? Ridicolo! Il mio signore vuole dimostrare che cosa accade se non gli si porta rispetto e se non gli si offrono tributi. Ha mandato me e le mie sorelle in giro per Roma per portare un po’ di scompiglio e versare sangue in suo nome ed è quello che sto facendo.”

“Hai trasformato tu quei ragazzi in animali?”

“Sì, il mio signore non ci lascia sprovviste di risorse.”

“Falli tornare umani, immediatamente!”

Ancora una volta, Elena fu costretta ad obbedire.

“Fatto, sono tornati normali.” annunciò, seccata.

“Adesso torna all’Inferno e non fare mai più ritorno sulla terra!”

La succube lo guardò torvamente e poi si rannicchiò e sparì nel nulla.

Gabriel rimase a guardare il vuoto. Era furioso, frustrato, disperato. Nel suo animo si annidavano solo sentimenti dolorosi. Era arrabbiato con sé stesso per aver tradito Claudia, per essere stato debole, per averla allontanata da sé, ma soprattutto perché sapeva di averla delusa, di averle fatto del male.

Sperò con tutto il cuore di trovare la maniera di farsi perdonare: sapeva di non poter essere felice senza di lei e sapeva che oltre a lei stava perdendo anche il proprio figlio.

Gabriel era al colmo della disperazione, ma confidava di riuscire a farsi perdonare, di riuscire a spiegare a Claudia che non era stata colpa sua.

C’era un'altra questione, però, che affliggeva l’ex gesuita: la propria capacità di impartire ordini ai demoni ed essere obbedito. Lo aveva sperimentato per la prima volte a Fontanefredde, con addirittura Baal. Anche allora si era spaventato, aveva avuto paura di sé stesso, si era sentito un pericolo.

Chi era lui veramente?

Un signore dei demoni? Perché no? Poteva generali, poteva farsi obbedire … a lui era evidente di essere uno di loro … Serventi gli aveva detto che avrebbe portato l’Inferno in Terra … ma lui non voleva! Lui voleva resistere a quella parte della sua natura, voleva essere una persona normale … oh, avrebbe dato di tutto pur di essere un uomo qualunque …

Se Gabriel avesse saputo la verità, non avrebbe considerato una maledizione il suo potere, anzi avrebbe capito quanto esso fosse buono.

Non avrebbe avuto motivo di disperarsi, se avesse saputo di essere l’Arcangelo Gabriele, dunque l’araldo di Dio, la voce di Dio ai cui comandi neppure i demoni potevano opporsi.

Gabriel, però, ne era all’oscuro e si disperava.

Antinori rimase da solo per oltre una mezzora, quando si fu abbastanza calmato e tornò padrone di sé stesso, uscì dall’edificio. Gli studenti, liberati dalla malia di Elena, se ne stavano andando o erano già andati. Gabriel raggiunse il suo amico padre Rosi, gli spiegò l’accaduto e si assicurò che si occupasse lui di tutto. Gabriel era troppo stanco e giù di morale per poter far qualcosa.

 

Nota dell’Autrice:

Grazie a tutti i miei lettori! Scusate la brevità del capitolo, ma non ho molto tempo da queste parti.

Un grosso saluto a tutti da Trichy, Tamil Nadu, India.

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Capitolo 32
*** Discutere ***


Claudia, furiosa per ciò che aveva visto, era uscita spedita dall’edificio scolastico, senza curarsi minimamente di chi incontrava. Aveva raggiunto l’automobile ed era partita. Allontanatasi un poco, aveva fermato l’auto e aveva telefonato a Teresa, chiedendole di vedersi al più presto; purtroppo l’amica stava lavorando in quel momento, tuttavia accettò volentieri di trovarsi con lei per un pranzo leggero dopo le tredici e trenta. Teresa aveva capito al volo, dal tono della voce dell’amica, che era accaduto qualcosa di più o meno grave.

Le due donne si trovarono davanti al bar prestabilito e si accomodarono ad un tavolino nella distesa all’aperto; prima ancora che potessero iniziare a parlare, un cameriere si avvicinò a prendere le ordinazioni.

“Sanno già che cosa desiderano ordinare?”

“Un mojito, grazie.”

“Claudia …” la richiamò l’amica.

“Oh, Teresa, so che è solo mezzogiorno, ma ne ho bisogno!”

“Non è questione d’orario è che sei incinta, non puoi bere alcolici.”

“Oh, hai ragione, scusa, ero sovrappensiero … Mi porti, allora, una bottiglia d’acqua frizzante e un’insalata di pollo.”

“Molto bene; e lei, signora?”

“Acqua naturale e una mozzarella di bufala con pomodorini, grazie.”

Appena il cameriere si fu allontanato, Teresa fissò premurosamente l’amica e le chiese: “Allora, che cos’è successo?”

Claudia ricambiò lo sguardo, provò a dire qualcosa e poi scoppiò a piangere. Teresa fu paziente, aspettò qualche momento, poi allungò un fazzoletto all’altra donna e le disse: “Su, raccontami, altrimenti non posso aiutarti.”

Claudia si asciugò un poco gli occhi, poi iniziò a raccontare quel che aveva visto fare Gabriel.

Teresa ascoltò attentamente e rimase alquanto sorpresa, tanto che alla fine commentò: “Guarda, Claudia, se non fosse perché l’hai visto tu stessa, io non riuscirei a credere a un lavoro del genere! Mi è sempre sembrato innamoratissimo di te! Non è che avesse bevuto un po’ troppo?”

“No, no, ti assicuro che era sobrio … anche se …”

Claudia ripensò alla propria ipotesi che nella faccenda della contesa tra bande potesse c’entrare anche qualche sostanza psicotropa.

“Anche se?” la incalzò Teresa.

“Anche se, forse, potrebbe essere stato drogato …” era l’ultima speranza della donna.

“Mi pare che sarebbe ben peggio, se scoprissi che ha iniziato a drogarsi.”

“No, intendo dire che potrebbero averlo drogato. In tal caso, non dovrei considerarlo un tradimento, giusto?”

“Giusto. Se era sotto l’effetto di sostanza stupefacenti, non era padrone delle sue azioni e quindi non lo puoi biasimare.”

“Se così fosse, però, allora Gabriel sarebbe ancora in balia di quella, forse è in pericolo!”

E forse sono in pericolo gli studenti! Se Gabriel non è lucido potrebbe usare il suo potere e allora sarebbe una catastrofe! –aggiunse nella propria mente.

“Teresa, grazie, scusami ma devo andare. Devo tornare là e cercare Gabriel.”

“Vuoi che ti accompagni?”

“No, grazie, ce la posso fare da sola.”

Claudia non aveva mai parlato dei fenomeni paranormali in cui si era imbattuta assieme a Gabriel, per cui preferiva evitare che l’amica la seguisse e, magari, si accorgesse dei ragazzi trasformati in animali o di qualche altra stranezza.

“Sei sicura? Hai detto che l’atmosfera in quella scuola è piuttosto turbolenta, potresti avere delle difficoltà, nelle tue condizioni.”

“Sono incinta, non handicappata!” protestò Claudia prima di alzarsi e lasciare un paio di banconote sul tavolo per pagare la propria parte.

La psicologa recuperò l’automobile e tornò verso la scuola. Vi arrivò attorno alle quindici e non trovò più nessuno, se non qualche poliziotto che stava finendo di sgomberare il posto.

Claudia si avvicinò ad un agente e chiese se la questione si fosse risolta o per quale motivo non ci fosse più folla.

“I ragazzi sono usciti, calmi, senza più volersi scannare tra loro o aggredire noi. Abbiamo preso i loro nomi e li abbiamo mandati a casa, intanto il commissario e il preside stanno valutando se denunciarli e quale accusa formulare.”

“Eh Gabriel, dov’è?”

“Chi?”

“Il signor Antinori …?”

“Mi spiace, signora, ma non lo conosco.”

Claudia rimase delusa, poi le venne in mente un altro modo per ottenere qualche notizia su di lui: “Padre Rosi, invece, dov’è?”

“Ah, lui. Sì, lui è dentro. Abbiamo identificato solo un paio d’ore fa il cadavere del ragazzo ucciso ieri. Abbiamo convocato i suoi genitori e il prete sta parlando con loro. Sono dentro alla scuola.”

“Grazie …”

La psicologa si rimise in auto, motore spento, e aspettò che il prete uscisse dall’edificio. Attese per oltre un’ora, infine vide un uomo e una donna uscire affranti, evidentemente erano i genitori del ragazzo morto. Claudia allora uscì dalla macchina e si avvicinò alla scuola e a metà strada trovò padre Rosi.

“Salve, dottoressa Munari, come posso esserle d’aiuto?” chiese il parroco che l’aveva riconosciuta.

“Sto cercando Gabriel … io sono dovuta andare via prima che la questione si risolvesse e … cos’è successo?”

“Antinori ha detto che c’era una succube nella scuola che aveva ammaliato gli studenti affinché finissero con l’uccidersi gli uni con gli altri, rispedita la succube all’Inferno, è tutto tornato alla normalità.”

“Ah … grazie, mille. Ma Gabriel, adesso, dov’è?”

“Non ne ho idea, se n’è andato di gran fretta, sembrava preoccupato.”

Era rattristato per me! –pensò la donna.

“Credo, però, che se gli telefonerà, lui le risponderà.”

“Sì, grazie. Arrivederci.”

Claudia tornò in auto e prese il cellulare, tuttavia non selezionò il numero di Gabriel, bensì quello di Stefano.

“Claudia! Ciao, scusa se non vi ho più richiamato, ma sono dovuto andare in verifica con Isaia, era ostica, ma abbiamo già risolto. Voi a che punto siete?”

“A quanto pare è stato risolto tutto anche qua. Ehm, Gabriel ha dedotto ci fosse una succube all’origine di questo caos … Potresti rispiegarmi precisamente di cosa si tratta?”

“No! Anche voi una succube?!”

“In che senso?”

“Anch’io e Isaia abbiamo avuto a che fare con una succube. Praticamente sono semidemoni con le sembianze di donne bellissime che riescono ad ammaliare e sedurre gli uomini per risucchiarne le energie, o spingerli a peccare … ci sono varie versioni.”

Claudia tirò un sospiro di sollievo: Gabriel era stato in un certo senso ipnotizzato da quella ragazzina, quindi non l’aveva tradita!

Si sentì davvero sollevata, il buon umore le stava tornando, ma poi fu turbata da un nuovo dubbio e chiese: “Voi come avete fatto a capirlo?”

“Ah, aveva sedotto e risucchiato le energie a tutti gli ospiti maschi di una casa di carità …”

“Ma ha sedotto anche te o Isaia?”

“A me ha fatto delle avances, sì.” Stefano era sorpreso da quella domanda.

“E tu ci sei cascato? Ha abbindolato anche te?” Claudia era speranzosa.

“No.”

“Ah …” la donna era parecchio delusa.

“Sono riuscito a reagire alla svelta, non le ho dato il tempo e mi sono allontanato subito.”

“Quindi non è inevitabile il lasciarsi ammaliare da una succube, si può resistere.”

“Pare di sì. Non so con esattezza, i testi medievali che ne parlano non sono una garanzia, per cui è un argomento delicato.”

“Va bene, va bene, grazie così. Ci sentiamo, ora devo andare.”

Claudia riagganciò il telefono frettolosamente. Stefano aveva avuto maggior forza di volontà rispetto a Gabriel. Gabriel avrebbe potuto resistere a quella donna e non lo aveva fatto.

La psicologa scoppiò a piangere di nuovo.

Sfogatasi un poco, la donna fece ritorno a casa. Come aprì la porta, sentì il profumo di incenso al muschio, il suo preferito. Solo in quel momento pensò al fatto che Gabriel abitasse con lei e che, dunque, lo avrebbe ritrovato a casa.

Si accorse che l’appartamento era disseminato da rose rosse che segnavano un sentiero da percorrere. Claudia iniziò a seguirlo, raccolto il primo fiore, si accorse che allo stelo era legato un biglietto: Scusa.

Anche le altre rose avevano un foglietto allegato con su scritta una sola parola. Alla fine la frase ottenuta era: Scusa. Sono stato un cretino. Amo solo te. Sei la mia vita.

Claudia non poté fare a meno di intenerirsi, ma presto tornò ad innervosirsi: si sentiva come presa in giro! Gabriel faceva tanto il romantico e lo sdolcinato e invece l’aveva tradita e ferita profondamente.

Il percorso segnato dalle rose conduceva fino alla sala da pranzo dove c’era una tavola perfettamente apparecchiata, candele accese e Gabriel.

Claudia rimase in piedi, ferma immobile, non sapendo bene come reagire. Non voleva perdonarlo.

L’uomo le si avvicinò, le prese le mani e le disse: “Perdonami, Claudia. Io in quel momento non ero in me … Credimi io amo te, te sola! Ho rinunciato alla mia vecchia vita per stare con te; fidati, per favore, non accadrà mai più. Te lo giuro!”

Claudia non si commosse, anzi, provò un’immensa rabbia e replicò: “Tu non hai rinunciato alla tua vita per me! Non l’hai fatto per me, l’hai fatto per te! Perché avevi paura di quella profezia, l’hai fatto solo per quello! Ti sei scosso via di dosso quel che ti aveva imposto Demetrio, ma ciò che ti piace te lo sei tenuto ben stretto. Sei ancora sempre dietro a tutti questi casi e, ultimamente, non hai fatto altro che cercare di tagliarmi fuori. Non vuoi più ch’io ti accompagni! Questo è perché ti stai stufando di me.”

“No, assolutamente! È perché ti amo e non potrei sopportare di perderti o che ti accadesse qualcosa di brutto!”

“Non è vero!” ribatté lei, con le lacrime agli occhi “Tu non mi ami. Se mi amassi davvero non ti saresti lasciato abbindolare da quella!”

“Era una succube! Ha una malia sovrannaturale, ero sotto un sortilegio.”

“NO! Ho parlato con Stefano, anche loro hanno trovato una di quelle, ma lui ha resistito alla seduzione. Perché? Perché tu no?! Perché non mi ami, ecco perché!”

“Claudia, ho sbagliato, non sai quanto mi stia vergognando e quanto stia soffrendo per averti delusa e per averti ferita … Io ti amo …” ora era lui che aveva le lacrime agli occhi “Credimi … Come posso dimostrartelo?”

“Vattene … lasciami stare. Ho bisogno di stare sola per un po’ … Ti dirò qualcosa io.”

“Ma …”

Claudia aveva l’amaro in bocca, ma sentiva che fosse necessario; aveva il groppo in gola e disse: “Adesso esco. Quando torno, non devi essere più qui.”

La psicologa uscì dalla porta. Aspettò cinque minuti sul pianerottolo, sperando che Gabriel la raggiungesse, ma lui non lo fece, allora lei se ne andò.

Gabriel era decisamente abbattuto, aveva perso la persona che lo faceva sentire meglio in assoluto.

Andò in camera e iniziò a infilare i propri abiti in valigia. Cercò di distrarsi un poco, ragionando sul fatto che anche i suoi amici si erano imbattuti in una succube e, dunque, era vero che Malpas stava cercando vendetta. Avrebbero avuto molto da lavorare nei giorni a venire.

L’uomo, radunate le sue cose, uscì di casa, scese in strada, si guardò attorno, sperando di vedere Claudia, ma nulla, quindi raggiunse la moto, riuscì a caricare la valigia (non era grande) e partì.

Si diresse in Congregazione, sperando di poter chiede ospitalità, in fondo una camera vuota per lui avrebbero dovuto averla; tanto più che era a capo del Direttorio e, quindi, non aveva neppure bisogno di chiedere il permesso, poteva autorizzarsi da solo.

Decise di passare subito da Isaia ad avvertirlo e per chiedergli di organizzare una riunione per la mattina successiva; bussò all’ufficio dell’amico, ma non lo trovò, passò allora in biblioteca dove incontrò Stefano e Alonso.

“Sapete dov’è Isaia?”

“Non so, hermano, ha riportato achi Stefano, dopo una verifica e poi è andato.”

“Tu ne sai qualcosa?”

Il seminarista lo sapeva bene: Isaia stava andando da Serventi per salvare Giuditta; il ragazzo però non sapeva se poteva dirlo, per cui per il momento sostenne di essere del tutto ignaro.

Gabriel si rassegnò a inviargli un sms, poi andò a cercare una stanza dove stare.

Isaia era stato molto soddisfatto di aver risolto il caso in poche ore, così poteva andare subito a capire che cosa stesse accadendo alla sorella.

Arrivò alla villa verso il tramonto, fu ricevuto nella sala principale da Bonifacio e Gaspare.

“Isaia, che cosa ti porta da noi?” chiese Serventi, dopo i convenevoli e dopo avergli offerto un bicchiere di brandy.

Il gesuita lo fissò con una certa severità e domandò seccamente: “Che cosa state facendo a mia sorella?”

“Nulla, la ospitiamo come da patti.”

“Stefano mi ha detto che la state tormentando.”

“Cosa?!” esclamò Gaspare, sorpreso e abbastanza irritato “Come fa a saperlo quel bamboccio?!”

Isaia spiegò che cosa avesse fatto il ragazzo; poi protestò: “Avevate detto che non le avreste fatto del male!”

Serventi ghignò e, con estrema calma, spiegò: “No, ho detto che non le sarebbe stato torto un capello. Gaspare non la sfiora nemmeno.”

Isaia lo guardò in cagnesco.

Bonifacio replicò: “Non crederai mica che solo voi loyolisti sapete giostrare coi cavilli, vero?”

“Posso almeno sapere perché? Mi sembrava ti stesse simpatica...perché tormentarla in questa maniera?”

“Proprio perché ci è simpatica, ci comportiamo così. Vogliamo che capisca.”

Si aggiunse Gaspare: “Le sto solo mostrando com’è facile cambiare opinione. Sto cercando di darle una nuova visione delle cose.”

Isaia digrignò i denti e, trattenendosi, replicò: “Ci sono modi più civili per farlo e, se lei non condivide, ha le sue ragioni. Non è necessario sconvolgerle la psiche.”

Sconvolgerle la psiche … bah, sono esercizi ricreativi e poi io riassetto tutto alla normalità, dopo i nostri incontri.”

Isaia non sopportava sentirli parlare con quei toni tranquilli, quasi svagati. Sbottò: “La cosa non m’interessa. Devi lasciare stare lei e la sua testa: basta! Ci sono altri modi per passare al meglio il tempo, quando ci si annoia.”

Gaspare alzò la mano per interromperlo; sorrise, scosse il capo e lo avvertì: “Non parlare oltre, o mi farai venire voglia di fare altro con tua sorella ...”

Isaia sgranò gli occhi scandalizzato, ma tornò a moderarsi e, sempre a denti stretti, replicò: “Dubito fortemente che mia sorella si farebbe toccare da uno come te.”

“Potrei sempre entrare nella sua testa per convincerla, ma in realtà non ne ho affatto bisogno: mi adora.”

Bonifacio riprese: “Isaia, tu hai accettato di lasciarcela in ostaggio per dimostrare la tua lealtà, quindi prosegui a svolgere i tuoi compiti e lasciaci fare il nostro dovere. Quando saremo soddisfatti di te e saremo persuasi della tua lealtà, allora ti restituiremo tua sorella, sana e salva.”

Il gesuita si calmò un poco, ma rimase piuttosto fermo nei toni: “Sì, sono pronto a tutto e assolverò i miei compiti, ma mia sorella dev’essere trattata con i guanti, perciò, per favore, niente invasioni psicologiche.”

Gaspare, ghignando, gli rispose: “Se smettessi, lei sarebbe molto delusa; e poi, ormai, la sua rieducazione è a buon punto.”

“Non ha bisogno di alcuna rieducazione!”

“Non vuoi che conosca la Verità come la conosci anche tu?” gli domandò Serventi.

Sì, Isaia avrebbe tanto voluto che lei capisse. Rimase zitto qualche momento e poi disse, molto più mite: “Sì, ma vorrei (e dovrei) essere io a fargliela conoscere, in qualità di fratello maggiore, Bonifacio, se permetti. Essendo tu rispettoso della scala gerarchica, sai perfettamente che questo compito spetta a me poiché non mi pare che Giuditta abbia accettato la vostra filosofia, tanto meno sia diventata una di voi.”

“Dal momento che hai accettato di affidarcela, è rientrata nella nostra competenza. Tu stesso ci hai autorizzato, ti ricordo.”

“Ed è vostra competenza usare la sua mente come una stanza dei giochi?”

“Preferisci che la lasci con Jacopo, anziché Gaspare?” lo stuzzicò Bonifacio.

Il volto di Isaia si impietrì e ricordò quando era stato torturato.

Gaspare, intanto disse: “Mi sento offeso per il paragone alla sala da gioco. Io seguo percorsi didattici ben precisi.”

Il gesuita, fissando il padrone di casa, sibilò: “Tieni lontano Jacopo!”

Poi sospirò, capiva bene di non essere nella posizione di dettare condizioni, inoltre loro erano i suoi alleati, non nemici.

Si rivolse a Gaspare: “Non era mia intenzione offenderti. Ti chiedo, però, di trattarla bene.”

“Tratto sempre bene le mie cose. Mi piace lavorare su di lei: ha una mente attivissima! Non le voglio fare del male, solo convincerla a lasciarsi guidare per mostrarle le potenzialità che non usa e, chissà, magari scoprirà il potere e il piacere di fondere due menti.”

“Non vedo il bisogno di costringerla ad usare dei poteri, se lei non vuole.”

Gaspare annuì, prima di dire: “Bisogna comunque conoscere ciò che si può fare. Inoltre, non parlo di un potere ma del potere.”

“Capisco … sì, essere consapevoli di quel che si può fare è giusto.”

L’altro giovane continuò: “Non vedo l'ora che la tua sorellina ceda e mi permetta di fondere la mia mente con la sua.”

“Non so che cosa intendi esattamente, ma dubito sia una cosa a cui Giuditta acconsentirebbe.”

Gaspare fece cenno di sì col capo e disse: “Lo farà, quando capirà quante più possibilità potrà avere. È sull'orlo di cedere, presto capirà che consegnarsi a me è ciò che di meglio le possa accadere.”

Isaia avrebbe voluto replicare piuttosto aspramente a quelle frasi, ma decise che non ne valeva la pena; tornò a rivolgersi a Bonifacio: “Scusami, ma adesso devo andare. Prima, però, vorrei salutare mia sorella.”

Serventi suonò un campanello per chiamare il maggiordomo a cui diede ordine di informare Giuditta che il fratello desiderava vederla.

Quando sopraggiunse, la ragazza era sorridente e felice, corse ad abbracciare il fratello, salutandolo: “Isaia! Ciao! Come va?”

Il gesuita ricambiò l’abbraccio, sorpreso di trovarla così gioiosa, le rispose: “Va tutto bene, grazie. Tu? Stai bene?”

“Sì ... perché?”

“Non devi mentire, so tutto. So quel che ti fa Gaspare …”

Giuditta si sorprese: “Oh!” poi spiegò molto dolcemente: “Quei momenti fan male, mi spaventano, ma non lasciano segni e per il resto del tempo sto perfettamente.”

Il fratello, preoccupato, la strinse ancor più forte e disse: “Sì, me l'ha detto Bonifacio, ma... non posso fare a meno di essere impensierito per te.”

Giuditta gli sorrise e replicò: “Grazie. Non voglio, però, che tu ti preoccupi: hai già tanto a cui pensare. Ricordiamoci di quel che ha detto Seneca: le difficoltà e le sofferenze sono per i grandi animi e forgiano la virtù.”

Isaia annuì, sorridendole di rimando, molto più tranquillo, e sospirò: “Stai comunque attenta.”

“Non mi vogliono far del male ... è un’altra la questione che mi affligge.”

“Quale?”

Giuditta lo guardò più o meno severamente e lo informò: “Mi hanno riferito del patto che hai stretto con loro.”

“Ah ….!”

La ragazza era molto perplessa e confusa, aveva bisogno di essere rassicurata.

“Isaia, tu sei davvero sicuro che loro siano nel giusto? Io mi fido di te: se dici che loro hanno ragione, io lo accetterò.”

Isaia la guardò con tenerezza, gli dispiaceva aver deluso la sorella, ma lui era convinto della propria scelta e avrebbe tanto voluto che anche lei capisse: “Loro vogliono vivere serenamente assieme alle persone normali, senza venire additate come diverse, e avere gli stessi diritti. Per quanto riguarda l'anticristo, sono convinto che solo se facciamo scatenare Gabriel, ci sarà una nuova era di pace.”

“So che bisogna distruggere, per ricostruire, però... è difficile... Non hai paura che poi prenderanno il sopravvento e opprimeranno le persone comuni? In fondo non parlano tanto di gerarchia?”

Parlava come se Bonifacio e suo figlio non si trovassero nella stanza.

Isaia, molto gravemente, forse un po’ troppo secco, rispose: “Conosciamo entrambi il valore della gerarchia. I guai del mondo sono causati proprio dal fatto che la gente non stia al suo posto. Questa è l'opportunità per ricostruire tutto e bene!”

Giuditta annuì, forse non era ancora convinta del tutto delle parole del fratello, tuttavia si disse che l’Arcangelo Michele non poteva sbagliarsi, dunque era giusto così.

“Sì, è vero, hai ragione.”

Gaspare si intromise, un po’ serio, un po’ derisorio come sempre: “Allora, Giudittina, ora che tuo fratello ti ha convinta, ti abbandonerai totalmente a me?”

“Non così in fretta, Gasparotto.” cercò di ribattere lei.

Gaspare non si scompose, ma i suoi occhi lasciavano trasparire una certa ira. Fissò la ragazza che venne presa da una forte emicrania.

L’uomo allora le chiese: “Possibile che se ti lascio tranquilla per un paio d'ore, tu dimentichi la differenza tra me e te?”

“Giuditta, che hai?!” si preoccupò Isaia, vedendola portarsi una mano alla fronte e barcollare; poi si rivolse a Gaspare e gli ordinò: “Smettila immediatamente!”

Giuditta, che non voleva dispiacere il fratello, si affrettò a dire: “Non è niente, solo un ronzio ...” guardò l’altro giovane e contrita disse: “Scusami, non lo scorderò più.”

Gaspare assunse la posa che usava quando pretendeva di essere ringraziato con un bacio sulla guancia. La ragazza immediatamente gli si avvicinò e lo accontentò, sotto lo sguardo attonito del fratello a cui poi tornò accanto e che l’abbracciò e la tenne fino a quando non gli sembrò stesse meglio.

Bonifacio decise di intervenire nuovamente, era sempre estremamente calmo: “Isaia, se vuoi che non le sia fatto alcun tipo di male, convincila anche ad essere obbediente con Gaspare.”

“Mi pare lo sia già abbastanza.” replicò Isaia, mal celando il fatto di essere piuttosto contrariato per ciò che aveva visto.

“Mio figlio ha dovuto lavorare parecchio su di lei e solamente negli ultimi giorni è riuscito ad ottenere qualche risultato. È bene che tu le ribadisca il concetto.”

Bonifacio sapeva di avere in pugno entrambi i fratelli Morganti.

Deglutendo, Isaia annuì. Guardò la sorella e iniziò a dirle: “Giuditta, l'ultima cosa che voglio è che ti venga fatto del male. Sii obbediente con Gaspare, rispettalo. È sempre una persona più grande di te, dopotutto, e la stessa cosa con Bonifacio. Quello che vuole è che tu sia educata con lui e lui ti tratterà con riguardo, esattamente come ha fatto con me. Non vedo quale sia il problema.”

Giuditta cercò di spiegare: “Io già li rispetto e sono gentile, non c'è problema, ma per lui essere obbediente significa lasciarlo entrare liberamente nella mia testa...” sospirò amaramente “...effettivamente, però, ci riesce comunque, forse tanto vale che mi arrenda anche a questo.”

Isaia non sapeva cosa risponderle, non voleva che lei fosse ancora torturata, ma non voleva nemmeno che si abbandonasse totalmente a Gaspare, gli era già sembrato innaturale che avesse dato un bacio sulla guancia a quell’uomo.

Dopo aver pensato qualche momento, le disse: “Accontentalo. L’importante è che non travi la tua integrità, ciò che sei …”

La ragazza si limitò ad annuire, non riusciva a parlare. Si sentì come afferrare da un’enorme mano invisibile che la tirò all’indietro, verso Gaspare e la mise a sedere sulle ginocchia di quell’uomo. Lei si era spaventata per un attimo, poi era rimasta semplicemente indispettita, ma quest’emozione era nascosta dalla rassegnazione e da un certo piacere nel trovarsi a contatto con quel giovane: a parte per i bacetti e i massaggi ai piedi che lei gli faceva, non c’era stato alcun contatto fisico tra di loro, prima di quel momento. Giuditta ebbe l’impressione che il proprio cuore accelerasse un poco i battiti.

Gaspare la guardò, le carezzò i capelli e le disse: “Brava Giudittina, così mi piaci.”

Isaia era contrariato ma non disse nulla.

“Visto come mio figlio è caro e attento con tua sorella?” chiese Bonifacio.

“Sì.” rispose a fatica il gesuita.

“Abituati. Se davvero Giuditta sarà ragionevole, diventeranno quasi inseparabili.”

Isaia non era affatto convinto che ciò fosse una cosa buona, ma non si oppose, si limitò a congedarsi: “Devo andare, sono lieto che abbiamo chiarito. Buona serata a tutti.”

 

 

 

Nota dell’Autrice:

Salve a tutti! Grazie per continuare a leggere la mia fanfic. Sono ancora in India, quindi le tempistiche sono un po’ così.

Voglio ringraziare Alex Piton che mi ha dato una mano per il dialogo alla villa di Serventi di questo capitolo.

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Capitolo 33
*** Consolazioni ***


Isaia andò in Congregazione di mattino presto; non aveva dormito bene quella notte, per quel poco che aveva dormito. Non gli era piaciuto affatto come aveva trovato la sorella, certo aveva visto che di salute stava bene e che, in fondo, non era trattata male, tuttavia gli sembrava innaturale vederla così mansueta: non era propriamente il suo carattere, quindi qualcosa dovevano averle fatto. Lui, per di più, l’aveva addirittura persuasa ad essere ancor più arrendevole!

Isaia aveva pensato di mettersi al lavoro al più presto possibile, per cercare di distrarre la propria mente da quei pensieri, ma ciò non gli fu concesso. Infatti, non più tardi delle nove, si presentò Stefano, che aveva saltato le lezioni universitarie, per chiedergli come fosse andata la sera precedente.

“Giuditta?” chiese il ragazzo “Speravo di trovarla qui.”

Isaia non aveva pensato al fatto che avrebbe dovuto dare una spiegazione al seminarista, per cui si limitò a dire: “È ancora là. A quanto pare, lei è assolutamente consenziente a ciò che le fanno, cosa che si limita ad un’ora nella giornata.”

“È anche troppo! Ma come può essere d’accordo?! È ridicolo, assurdo! E poi che cosa fa là, con quelli?!”

“Li sorveglia.” tagliò corto il gesuita, tornando a guardare le proprie carte, sperando che il ragazzo la smettesse con le domande.

Stefano, tuttavia, non era affatto persuaso: “Perché non risponde al telefono?”

“Si è rotto.”

“Tu l’hai vista? Sta bene?” era preoccupato.

Isaia era commosso per il fatto che qualcuno si stesse preoccupando così tanto per sua sorella ma, data la situazione, ne era anche irritato.

“Sì, sì, è serena e tranquillissima.”

“Me l’hai salutata?”

“No, non ci ho pensato.”

“Lei non ti ha detto nulla per me?”

“Non abbiamo parlato di te, sono stato lì giusto il tempo di cantarne quattro a Serventi e a suo figlio e a sincerarmi di persona di come stesse lei, poi sono andato via.”

Stefano era piuttosto deluso e per nulla convinto. Era certo che Giuditta avrebbe chiesto di lui, nonostante la fretta; doveva esserci un qualche problema, ne era sicuro.

Non insisté con altre domande ad Isaia, comprese che il gesuita o non voleva parlare o non sapeva, per cui decise che avrebbe indagato per proprio conto.

Di lì a poco sopraggiunse anche Gabriel, che salutò: “Giorno …”

“Buongiorno, Gabriel; come mai così mattiniero, oggi?” chiese il gesuita

“Ho dormito qua … Claudia mi ha sbattuto fuori di casa.”

“E perché?”

Gabriel raccontò quel che era accaduto, ovviamente era ancora profondamente rattristato.

“Quindi Malpas ha scatenato le sue succubi per tutta Roma?!” esclamò Isaia sorpreso e preoccupato “Saranno un centinaio! Sarà molto difficile da gestire, questa situazione.”

“Per quelle non c’è da preoccuparsi.” disse Gabriel, atono “Prima o poi ce le segnaleranno tutte …”

“Sarebbe meglio individuarle prima che provochino altri guai! Agli ospiti della casa della carità è andata bene, ma per gli studenti è stato peggio! Hai detto che un ragazzo è morto, molte ragazze ferite e forse sfigurate e non conosciamo con esattezza lo stato di salute attuale di tutti quelli che si sono picchiati!” puntualizzò Isaia, con una certa veemenza.

“Hai ragione, scusami.” disse Gabriel “È che riesco a pensare solo a Claudia e a cercare un modo per farmi perdonare.”

Isaia scosse il capo e disse: “Stefano, prendi nota, questo è il motivo per cui i preti non si sposano. Il nostro primo impegno è verso Dio e l’umanità, dobbiamo mettere al massimo in secondo piano i nostri affetti e le nostre questioni personali.”

“Mi stai rimproverando?” Gabriel si sentì punto.

“No. Tu hai scelto di non essere più un uomo di Dio; sei un laico, questa non è più la tua vita, ma il tuo lavoro, per cui è naturale che i tuoi pensieri vadano innanzitutto alla dottoressa Munari.”

Gabriel non era certo che le parole dell’amico fossero sincere, a lui continuavano a sembrare un rimprovero … o forse a rimproverarlo era la sua coscienza?

“Fratello, ascoltami.” continuò Isaia “Sei troppo turbato, in queste condizioni, non puoi fare granché. Esci, rilassati, vedi se riesci ad aggiustare le cose con la dottoressa. Qui ci penseremo io, Alonso e Stefano a preparare un piano d’azione contro le succubi. Quando starai meglio, torna e ti metteremo al corrente di tutto.”

“Grazie.” disse Gabriel, sorridendo e annuendo, poi salutò ed uscì.

Antinori decise di andare al Tevere, per rilassarsi un poco in canoa. Remare riusciva sempre a distendergli i nervi e lo aiutavano a riflettere. Quella volta, però, non bastò a cancellargli il malumore.

Mentre stava rivestendosi, dopo aver risistemato la canoa nel deposito, gli venne un’idea, non sapeva quanto sensata, ma forse lo avrebbe aiutato a risollevarsi su. Prese il telefono e chiamò Gaspare.

“Pronto! Fratellino, che piacere! È da un po’ che non dai tue notizie, pronto per un’altra serata?”

“Mi fa piacere il tuo entusiasmo, non sai quanto ne ho bisogno!” sospirò Gabriel.

“Cosa ti è capitato?”

Un’ora e mezza dopo, Gabriel stava finendo di raccontare la sua disavventura d’amore al fratello, seduti al tavolino di un bar, vuotando una bottiglia di whiskey assieme all’altro.

“E così quella ti ha piantato solo perché hai avuto un momento di defaillance?” chiese Gaspare.

“Già!”

“Ma lo sanno tutti che le succubi fanno questo effetto! È proprio una bigotta della scienza!”

“Se n’è uscita dicendo che Stefano non s’è fatto abbindolare …” si incupì Gabriel e bevve in un solo sorso un intero bicchiere.

“E che diamine vuol dire? È più probabile che quel sempliciotto si sia imbarazzato e, preso dal panico, sia scappato spaventato!”

“Ecco, devo dirglielo …” biascicò Antinori, versandosi ancora da bere.

“E poi, insomma, anche se ti fossi lasciato un po’ andare con un’altra donna, che male ci sarebbe stato? L’importante è che ami Claudia, se ogni tanto la carne vuol provare altro, non dev’essere un problema.”

“No, questo no … Io non potrei davvero mai tradirla … Claudia è tutto per me, non mi interessa nulla delle altre. È bello stare con lei … e basta …”

“Ecco, a maggior ragione, allora, dovrebbe fare meno la permalosa per una questione che non dipendeva da te! Deve capire e perdonarti!”

“Giusto!”

“Anche perché ha tuo figlio, non può portartelo via ancor prima che nasca!”

“Esatto, tanto più che non vorrei facesse qualche pazzia!”

“In che senso?”

“Beh …” Gabriel era molto scuro in volto e preoccupato “Quando era all’università, lei aveva abortito, perché non si sentiva in grado di affrontare la situazione … Non vorrei riaccadesse …”

strinse così forte il bicchiere che lo mandò in frantumi, coprendosi la mano di schegge di vetro, sangue e whiskey.

Gaspare gli diede un fazzoletto per ripulirsi e gli disse: “Questo non credo, adesso è un’adulta, ha un mestiere e uno stipendio … Non la conosco granché, ma non credo sarà così sconsiderata.”

“Lo spero …”

“Fratellino, dammi retta, stare qui a rimuginare e a piangerti addosso non serve assolutamente a nulla. Adesso ti porto un po’ in giro, ti faccio distrarre e poi quando sarai più svagato, potrai pensare a cosa fare con la tua donna.”

“Va bene, grazie …” disse Gabriel, prese la bottiglia e bevve a collo il fondo che restava, poi si pulì la bocca col fazzoletto e chiese: “Ma tu ce l’hai una fidanzata o una moglie? Sei più grande di me, non sei stato prete, dovresti averla.”

“Ho avuto storielle, più o meno lunghe, ma per me non c’è mai stato qualcosa di serio, non ne avevo bisogno. Come mio padre e alcuni dei miei fratelli, ho imparato come fare per vivere a lungo, quindi sarò giovane per secoli, la concezione che ho dell’amore o di una relazione è diversa da quella degli altri.”

“Adesso sei solo?”

“No … e forse questa starà con me per tanto, tanto, tanto … ma è una situazione particolare. Su, non parliamone, altrimenti ti intristisci ancor di più. Vieni, paghiamo e andiamo oltre.”

“Dove si va, adesso?” chiese Gabriel, dopo che furono usciti dal bar.

“Innanzitutto in una boutique, non possiamo presentarci vestiti così dove voglio portarti.”

Si recarono dunque in una sartoria specializzata nella vendita di abiti eleganti da uomo.

Dopo aver provato diversi completi, Gaspare ne scelse uno color antracite con cravatta abbinata e una camicia rosso bordeaux, ma non troppo sul viola. Gabriel, invece, si era ritrovato con abito e camicia neri e una cravatta oro. Il fratello lo rimproverò, dicendo che il tono su tono non era consigliabile, perché sbatteva un poco, ma Antinori non gli diede retta. Pagò tutto Gaspare, in contanti, così come offrì il pranzo in un ristorante di lusso, dato che era ormai passato mezzogiorno da un bel po’.

A fine pasto, Gaspare fece portare del cognac e dei sigari, ne accese un paio e altri ne mise nel taschino.

Dopo aver fumato e bevuto, due attività a cui Gabriel non era molto abituato, Gaspare annunciò che finalmente sarebbero andati nel luogo a cui aveva pensato. Salirono sulla Porsche del figlio di Serventi e partirono. Dopo tre quarti d’ora arrivarono in un casinò-hotel cinque stelle, un po’ fuori dal caos cittadino. Gaspare portò il fratellino nelle sale da gioco, prima passò dalla cassa e cambiò 20.000 euro in fiches e ne diede metà a Gabriel che lo guardò esterrefatto e chiese: “Ma come puoi permettertelo?”

“Te l’ho già detto, i soldi per me non sono un problema.”

“Ma se io non vinco, come potrò restituirteli?”

“Non devi restituirmeli, sono un regalo per te. Seguimi, ti illustro un po’ che cosa puoi trovare qui.”

Gaspare fece fare il giro turistico del casinò a Gabriel e poi lo lasciò a uno dei tavoli delle roulette, mentre lui si spostò nella zona del poker e cercò un tavolo a cui potersi unire.

Passarono diverse ore, per le capacità di Gaspare non fu affatto un difficile moltiplicare il suo gruzzolo di partenza, egli alleggerì significativamente le tasche di tutti i suoi compagni di gioco. Avendo già superato i centomila euro, l’uomo decise di andare a dare un’occhiata al fratellino e, magari, organizzarsi per la cena, visto che l’orario si stava avvicinando.

Trovò Gabriel ancora al tavolo della roulette e gli chiese: “Come sta andando?”

“Male, ho dimezzato.”

Gaspare fece una smorfia e poi gli consigliò: “Scegli un numero e punta tutto su quello.”

“Cosa? È troppo rischioso!”

“Fidati.”

Gabriel, incerto, puntò tutto quanto sull’undici.

Uscì proprio l’undici, il che significava che Gabriel aveva vinto trentasei volte la propria puntata, il che lo portava ad aver vinto 180.000 euro. Era incredulo, guardò Gaspare sbalordito e poi non poté fare a meno di esultare, gli sovvenne un dubbio, si fece duro in viso, si avvicinò al fratello e gli sussurrò: “Hai barato?”

“Nessuno potrebbe dimostrarlo.”

Gabriel si accigliò e disse: “Andiamocene.”

“Perché? Non vuoi approfittare di madama fortuna, finché ti sorride?”

“Questa non è fortuna!”

“Va bene, va bene, andiamo. Tanto è ormai ora di cena.”

Passarono di nuovo alla cassa per lasciare le fiches e Gaspare diede disposizioni affinché la somma vinta fosse trasferita direttamente sul suo conto corrente, come di consueto. Gabriel, invece, che non voleva lasciare i dati del proprio conto in banca, si fece fare un assegno, anche perché non era sicuro di volere quei soldi.

Andarono a cena nel ristorante dell’albergo. Come al solito, Gaspare non fece mancare nulla in tavola e si premurò di scegliere i vini meglio abbinabili a ciascuna pietanza.

“Sei ancora preoccupato per la faccenda della roulette?” chiese Gaspare, mentre aspettavano la grigliata di carni miste, vedendo il fratello piuttosto corrucciato.

“Eh?!” Antinori si scosse dai propri pensieri “No, no … stavo solo notando che ci sono molti uomini, anche avanti con gli anni, accompagnati da belle signorine …”

“Escort.”

“Lo so bene ed è questo che mi infastidisce.”

“Perché?”

“Perché sono delle rovina famiglie!”

“A detta di molti, invece, salvano le famiglie: parecchi uomini pianterebbero o ucciderebbero la moglie, se ogni tanto non potessero andare a puttane.”

“No, non è così! Queste partono come uno sfogo di bassi istinti, poi diventano amanti e gli uomini piantano le famiglie.” era furioso.

“Esageri, fratellino.” era piuttosto svagato.

“Che cosa sono le succubi se non puttane infernali?”

“Ah, direi che la definizione è perfetta.”

“Ecco, e non è stato forse per colpa di una di quelle che ho perso Claudia?”

“Beh, la colpa è più che altro della chiusura della tua donna, ma non discuto che la succube sia stata la causa circostanziale, sì.”

“Ebbene, io dico che dobbiamo punirle tutte quante!” i suoi occhi erano diventati rossi.

“Le succubi?”

“Succubi e puttane.”

Gaspare considerò che il fratello non era del tutto ubriaco e che, quindi, era almeno in parte consapevole di quello che stava dicendo.

“Che cosa avresti in mente?”

“Allora, le succubi le fa fuori Isaia, assieme a quelli della Congregazione. Noi dobbiamo pensare alle puttane normali.” Gabriel appoggiò l’avambraccio sul tavolo, tenne sollevata leggermente la mano e sul palmo fece comparire una sferetta di fuoco elettrico.

“Smettila.” lo ammonì l’altro, senza scomporsi “C’è troppa gente qua.”

“E vuoi lasciarle impunite?”

Gaspare alzò gli occhi al cielo, poi disse: “Qua non possiamo sapere quali siano davvero escort e quali no. Aspetta che finiamo di cenare e poi ti porto dove ce ne sono parecchie e non c’è troppa gente attorno.”

Gabriel sbuffò ma acconsentì.

Terminarono la cena, poi uscirono dall’albergo, salirono sulla Porsche e Gaspare guidò in direzione di dove sapeva esserci un bordello di alto lusso. Essendo appena le ventidue, l’uomo era abbastanza certo di non trovarci clienti.

Si trattava di un villino un po’ isolato, munito pure di piscina. Entrarono e, arrivati in una specie di salotto, si imbatterono in alcune belle donne.

Gaspare guardò il fratello per verificare se fosse ancora convinto di quel che voleva fare; constatò che i suoi occhi erano sempre rossi e l’aria attorno alle sue mani crepitava.

“Calmati.” gli sussurrò “Aspetta che ci siano tutte.”

Una delle escort si avvicinò a loro ancheggiando vistosamente e chiese: “Che cosa desiderate? Noi possiamo accontentarvi …”

“Facci parlare con il vostro responsabile, dobbiamo trattare un affare importante.” tagliò corto Gaspare.

“Molto bene …” disse la donna, poi si voltò e si allontanò, sempre ondeggiando i fianchi; si raccomandò con una sua collega: “Colette, servi qualcosa da bere ai signori.”

I due fratelli stavano dunque sorseggiando del rhum, quando arrivò il gestore del bordello, un ometto più largo che alto, che si avvicinò a loro salutando: “Buona sera, buona sera a ben venuti. Allora, mi hanno detto che volete parlare di un affare di un certo livello, di che si tratta?”

Fu sempre Gaspare a parlare: “Io e il mio fratellino vogliamo preparare un festino a casa nostra, sa, un addio al celibato. Volevamo dunque vedere tutte le pollastre che hai per scegliere quali noleggiare.”

“Oh, va bene, vi costerà un po’ di più, un servizio di questo tipo, ma va bene.” si voltò poi verso le escort e disse: “Imma, va a chiamare le altre. Su, svelta!” poi tornò a rivolgersi ai clienti: “Per quando sarebbe questa festicciola? In interessa anche della coca o altra roba buona? Conosco un paio di spacciatori che …”

L’ometto e Gaspare continuarono a parlare, finché non arrivarono tutte le escort presenti nell’edificio, circa una quarantina.

“Ecco le mie ragazze, non sono una meraviglia? Ne ho per tutti i gusti, guardate pure e decidete con calma. Potete anche toccare, se volete, per accertarvi della qualità della merce.”

Gabriel era impaziente, guardò Gaspare che gli fece un cenno del capo per fargli capire che poteva sfogarsi, finalmente.

Antinori, felice di quella imminente vendetta, tra le mani formò una grande sfera di fuoco elettrico e la scagliò contro un paio delle ragazze, poi dalle sue mani cominciarono ad uscire le saette di fuoco che colpirono le altre.

Le donne si spaventarono, cominciarono ad urlare e a cercare di fuggire, ma era inutile: tutte le porte erano state misteriosamente bloccate.

L’ometto, dopo un attimo di sorpresa, aveva lanciato un’imprecazione ed estratto una pistola, ma Gaspare lo aveva disarmato e appeso al muro con la semplice forza del pensiero.

Gabriel non impiegò molto per portare a termine quel massacro. Si avvicinò al fratello soddisfatto. Uscirono e tornarono all’auto, ma prima Gaspare diede fuoco al villino, in modo tale da coprire le loro tracce.

“Adesso che si fa? Conosci un altro covo?” chiese Gabriel, impaziente.

“Basta per stasera, fratellino.”

“Perché?” protestò deluso l’altro.

“Daremmo troppo nell’occhio, si capirebbe che non è stato un caso e inizierebbero ad indagare.”

“Ma io …”

Gaspare capì che l’alcol aveva preso il sopravvento e aveva eccitato troppo Gabriel, per cui entrò nella sua mente e lo addormentò. Lo riportò in Congregazione e, senza farsi notare da nessuno, lo portò nel suo appartamento e lo lasciò sul letto.

Gaspare, poi tornò alla villa di suo padre.

Il mattino dopo, quando si svegliò, Gabriel provò un immenso senso di colpa, dopo che gli fu passato il mal di testa e la nausea. Aveva decisamente esagerato!

Anche se una succube lo aveva adescato e aveva rovinato la sua relazione, lui non aveva nessun diritto di prendersela con delle povere ragazze, costrette a fare le prostitute per sopravvivere. Era stato così vile, meschino e spietato … provava gran vergogna e pentimento. Una voce dentro di lui cercava di mitigare le sue sofferenze, dicendo che quelle escort non erano affatto vittime della povertà, bensì erano donne che avevano deliberatamente deciso di mettersi in vendita e che guadagnavano in quel modo molto più di tante buone madri di famiglia che lavoravano onestamente. La sua coscienza, però, continuava a non essere tranquilla. Avrebbe voluto confessarsi, per chiedere il perdono di Dio, ma a chi avrebbe potuto confidare il crimine di cui si era macchiato? Non avrebbe potuto dirlo nemmeno ad Isaia, non se la sarebbe sentita, anche perché tutto ciò confermava la propria pericolosità. Stava così male!

Mentre era lì che rimuginava tristemente, ritrovò l’assegno da 180.000 euro, nel taschino della giacca dell’abito. Decise di andarlo ad infilare immediatamente nella cassetta delle offerte. Si sentì un poco meno colpevole, in questo modo. Pensò anche che per quanto riguarda l’ottenere il perdono di Dio, lo avrebbe cercato e invocato da solo. In fondo i preti erano solo intermediari dell’assoluzione dei peccati, quindi lui avrebbe potuto ottenerla anche senza bisogno di confessarsi.

Un po’ tutto scombussolato da questi pensieri, Gabriel si cambiò d’abito e si preparò per affrontare la nuova giornata in Congregazione.

 

“Non ti pare di avere esagerato?”

Anche Claudia soffriva molto per la fine del rapporto con Gabriel, anche lei aveva bisogno di confidarsi e di tirarsi su di morale, per cui si era rivolta ancora una volta alla sua amica Teresa. In quest’occasione l’aveva chiamata in casa e poi le aveva raccontato di nuovo tutta la storia, con l’aggiunta del finale, tra un cucchiaio di gelato e l’altro.

Dopo aver ascoltato tutto quanto, Teresa le aveva appunto chiesto se non le sembrava di avere esagerato nella sua reazione.

“Perché?” chiese Claudia, con la bocca piena di gelato, piuttosto stupita.

“Gabriel è stato molto romantico e poi me lo hai descritto molto contrito …”

“Che c’entra? Non può fare quello che gli pare e poi darmi qualche fiore con l’espressione di un cane bastonato e pretendere di essere perdonato!”

“Hai però detto anche tu che effettivamente era davvero in uno stato di scarsa lucidità, che realmente era sotto l’effetto di qualche specie di droga, per cui …”

“Per cui un corno! Ti ho anche detto che un altro è riuscito a resistere, quindi doveva riuscirci anche lui!”

“Claudia, lo sai anche tu che certe sostanze hanno effetti diversi sulle persone, che c’è chi è più resistente a certe sostanze rispetto ad altri. Inoltre, non ti pare di essere eccessiva, dal momento che un solo uomo è riuscito a resistere, mentre almeno un centinaio ci sono cascati?”

Claudia, dentro di sé, dovette ammettere che l’amica aveva ragione, tuttavia non riusciva a perdonare l’uomo. In fondo, il resistere al fascino di una succube non era davvero paragonabile all’effetto di una droga, ma questo non lo poteva spiegare a Teresa.

Cambiò argomento: “Io non sono affatto certa che lui mi ami.”

“Perché? Ha rinunciato al sacerdozio per stare con te!” a Teresa quello sembrava una prova d’amore grandissima.

“Te l’ho già spiegato: mi sto convincendo che non lo abbia fatto per me, ma per se stesso. Lui non ha mai scelto davvero di essere prete, è stato suo …” Claudia non sapeva mai se definirlo zio o padre “È stato Demetrio a manipolarlo e a convincerlo a prendere i voti. Gabriel, adesso, ha finalmente capito che quella vita non gli apparteneva davvero, quindi ha deciso di abbandonarla. Per certe cose è ingenuo, non ha esperienze di vita normale, deve sperimentare ancora tante cose … io non ho bisogno di questo. Lui era esperto e sicuro nel suo ambito, ma adesso? Inoltre, io sono il suo primo amore e, lo sappiamo bene, il primo amore non si scorda mai, ma non è mai quello definitivo. Tra qualche mese si troverà una ventenne e mi metterà da parte!”

“Claudia, stai dicendo un sacco di sciocchezze!” la rimproverò Teresa che, per una volta tanto, abbandonò la sua dolcezza e si fece molto severa: “Vuoi sapere qual è la verità, a parer mio?”

“Sentiamo …”

“Il problema non è Gabriel, il problema sei tu.”

“Io?” si meravigliò Claudia.

“Sì, tu. La realtà è che hai una paura tremenda di una relazione vera e seria.”

“Ma cosa dici? Stai sragionando: una famiglia normale è ciò che voglio.”

“Può essere, ma allo stesso tempo non sai a cosa vai incontro, hai paura di sbagliare e hai paura di perdere la tua indipendenza e te stessa. Pensaci, Claudia, non sei sempre andata ad innamorarti di uomini con cui era impossibile avere una relazione stabile e costruire un futuro? Il ragazzo russo dell’Erasmus, quando eravamo all’università; Lorenzo che parte per l’africa ogni tre per due; Giuseppe che crede nella poligamia … Devo continuare? Quando hai conosciuto Gabriel e hai iniziato a frequentarlo te ne sei innamorata proprio perché era un prete e, nel tuo inconscio, sapevi che era una storia senza possibilità di sviluppo. Credimi, è così! Tu hai bisogno di amore, di amare e essere amata, ma hai paura dell’impegno. Crearsi una famiglia impone delle scelte, delle rinunce, dei cambiamenti, delle nuove responsabilità e tu vivi queste cose come una limitazione e, quindi, le rigetti.”

Claudia non disse nulla: non aveva mai visto le cose in quell’ottica.

Teresa continuava: “Quel che dicevi l'altro giorno non mi dà forse ragione? Che non sopporti quanto lui sia apprensivo e che dica che in futuro dovrete essere molto più prudenti durante il vostro lavoro ed evitarti le situazioni più pericolose?”

“Io ho diritto di fare tutto quello che faccio adesso anche dopo che sarò madre!” protestò Claudia.

L’amica proseguì imperterrita nel suo rimprovero: “Da quando Gabriel ha scelto di stare con te e rinunciare alla Chiesa, hai iniziato a cercare ogni tipo di scusa: prima non volevi mettergli fretta, poi era cambiato e ora ha baciato una, mentre era stato drogato. Non pensi anche tu che siano solo scuse perché hai paura d’impegnarti?”

Claudia sapeva che c’era qualcosa di vero in quelle parole.

“Teresa, tu non conosci del tutto la complessità della faccenda!”

“Me la vuoi spiegare allora?”

Claudia ci pensò un poco: “… Non posso.”

“Allora io non ho altro da dire.” Teresa si alzò e prese la borsetta “Sei tu che hai bisogno di crescere e maturare, non Gabriel.”

Detto ciò la donna uscì dall’appartamento, lasciando Claudia sola a riflettere.

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Capitolo 34
*** Unione delle menti ***


Gaspare si era presentato a colazione con abiti normali, ma subito dopo si cambiò e indossò l’elegante completo comperato il giorno prima. Si guardò allo specchio, si pettinò con cura non solo i capelli ricci, ma anche i baffetti e la barbetta. Quando fu soddisfatto andò in biblioteca, si accomodò sul divano a leggere e attese che Giuditta passasse da lì.

Non aspettò a lungo, la ragazza si recò in biblioteca verso metà mattina. Appena vide l’uomo lo salutò, sorridendo.

“Vieni, siedi qua.” la chiamò lui, facendo cenno accanto a sé sul divano.

La donna si stupì per quella concessione, tuttavia non disse nulla ed obbedì. Si era anche meravigliata di vederlo così elegante e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Lui se n’era accorto, era quello lo scopo; le domandò: “Come mai mi fissi così?”

“Oh!” si scosse lei, arrossendo un poco “… è che sei così elegante, oggi … è per una qualche occasione particolare?”

“Forse.” Gaspare prese tra le proprie mani il viso della ragazza e le sussurrò: “Dipende da te.”

“Da me?”

“Esatto. Mi permetterai di fondere le nostre menti?”

Giuditta non rispose, ma lo guardò come a supplicarlo di non farlo.

“Lo sai che è una cosa per la quale devo avere il tuo consenso e collaborazione. Ascoltami, non sarà una cosa permanente.”

“No?” si stupì la giovane.

“Certo che no, è una cosa temporanea, possiamo decidere noi la durata.”

La donna sembrò essere titubante e non più contraria.

“Facciamo una prova.” suggerì l’uomo “Tu mi permetterai di fondere la mia mente con la tua una volta, poi, se ti piace e vorrai rifarlo, bene, altrimenti non te lo chiederò più.”

Giuditta la trovò una proposta ragionevole: si sarebbe messa fine una volta per tutte a quella faccenda.

“D’accordo, direi che questo è fattibile.”

Gli occhi di Gaspare brillarono, il suo sorriso si allargò e le disse: “Non sai quanto mi fai contento, Giudittina.” le diede un bacio sulla fronte “Adesso vai a cambiarti, ti voglio bella ed elegante.”

“Perché?”

“È un momento speciale e importante, voglio che ci si vesta adeguatamente.”

“Va bene, come vuoi tu.”

“Come sempre, d’altronde. Vai. Io ti aspetterò nella nostra wunderkammer.”

Giuditta andò nella propria stanza e cercò un bell’abito da indossare. Scelse un vestito nero e argento che le arrivava alle ginocchia, stretto ai fianchi e con una scollatura a nodo. Si truccò con cura. Si disse che era stupido darsi tanta pena per uno come Gaspare, così arrogante ed insensibile, tuttavia lei non ne poteva fare a meno, anche perché si era accorta che più lei ubbidiva, più lui la trattava meglio. Non voleva assolutamente deluderlo, anche perché ciò avrebbe significato subire il suo disappunto, che non era affatto piacevole.

Terminato di prepararsi, la donna si affrettò a raggiungere il terzo piano; entrò nella solita stanza e vi trovò già l’uomo. Gaspare non disse nulla, allargò le braccia e le fece capire di accostarsi a lui. Giuditta gli andò vicino; lui chiuse le braccia e la strinse a sé. Prima che lei potesse dire qualcosa, l’uomo le spiegò: “Adesso rilassati, togli ogni difesa della tua mente, sentiti tranquilla, sicura e serena. Espandila, lasciala fluire e, intanto, guardami negli occhi. Limitati a questo, poi ti darò altre istruzioni.”

“Va b…

Shhh …”

La ragazza tacque. Fissò gli occhi verdi dell’uomo. Lasciò che la sua mente si placasse, che fosse sciolta e indifesa. Pian piano sentì una specie di nuova forza circolarle in sé, era qualcosa di molto potente, aveva un che di famigliare, ma lei non capiva cosa.

Ecco, ci siamo!

Era contemporaneamente la propria voce e quella di Gaspare, quella che aveva sentito. Non si trattava di due voci che avevano parlato all’unisono, bensì di una sola che però era di entrambi. Sentì la voglia di creare un cavallo. Anche in quel caso sentì che erano due volontà in una. Immaginò un destriero e quello comparve e nitrì.

Giuditta provò un misto di stupore ed esultanze. La meraviglia era sua propria, il senso di vittoria apparteneva invece a Gaspare, ma lei non lo avvertì affatto come estraneo.

Fu allora che si accorse che stava vedendo la stanza bianca in cui si trovava, ma non riusciva a capire con quali occhi e dove si trovasse lei esattamente.

Ecco di nuovo sorgerle la duplice voglia, questa volta esigeva un campo fiorito. Lei lo immaginò, prima visivamente, poi l’odore dell’erba, il profumo dei fiori, il tatto … ed ecco che il pavimento della stanza divenne un prato. Immaginò, poi, arbusti, cespugli, alberi e quelli comparvero in un istante. Fu poi il turno di uccelli, animaletti ed insetti. Lei li visualizzava nella propria mente ed essi prendevano vita. Aggiungeva sempre nuovi elementi all’immagine che aveva in mente e quelli comparivano attorno.

Quando al posto della stanza si trovava ormai un giardino pieno di flora e fauna, Giuditta iniziò a sentir venire meno quella strana forza che aveva sentito inizialmente, si sentì più debole, tornò a sentire sé stessa e basta, senza più la presenza di Gaspare, tornò a guardare coi propri occhi. Fu in un certo senso come risvegliarsi.

Tornata in sé, la ragazza si ritrovò esattamente come era prima, stretta dall’uomo di cui fissava gli occhi. Allora lei si scosse, si guardò attorno e vide che il parco era realmente lì.

“È così che possiamo riempire la nostra wunderkammer.” le disse Gaspare, vedendola estasiata.

Giuditta, sbalordita, gli chiese: “Com’è stato possibile? Non credevo si potesse creare con la magia esseri viventi!”

“Oh, è stato molto semplice, Giudittina: tu l’hai immaginato e io gli ho dato corpo.”

La donna era esterrefatta: quell’uomo era potentissimo!

Istintivamente, lei si mise in ginocchio, prese la mano dell’uomo e gliela baciò.

Gaspare scosse il capo, la fece rialzare e le disse: “No, no. Io non avrei potuto fare tutto ciò, senza di te, così come tu non avresti potuto farlo senza di me. Io ho dato vita alle forme che tu hai creato. Suvvia, le basi della magia le conosci anche tu: ognuno hai in sé il passivo e l’attivo, il pensiero che visualizza e la volontà che realizza, entrambi indispensabili per creare. Le donne hanno più forte il lato passivo, gli uomini l’attivo. Tu hai la più vasta capacità immaginativa in cui io mi sia mai imbattuto. Io ho una fortissima energia volitiva. Tu puoi creare nella tua mente chissà quali meraviglie, ma non hai la forza di realizzarle. Io potrei dar corpo a chissà quali grandiosità, ma non sono in grado di visualizzarle. Assieme, io e te, possiamo invece creare di tutto.”

“A questo serve fondere le nostre menti?” cercò di capire la giovane.

“Sì, esatto. Divisi siamo limitati, uniti nulla ci è impossibile. Ti piace il potere?”

Giuditta si guardò attorno ancora una volta: era incredibile tutto ciò.

Un parco che sembrava sconfinato era racchiuso in una piccola stanza e ciò era merito suo e di Gaspare …

“Sì. È … Diamine, non so descriverlo, ma la sensazione è meravigliosa. Non sospettavo che si potesse fare tanto … è stupendo! Io … io ti devo ringraziare per avermi fatto conoscere questa possibilità e perdonami per essermi rifiutata così a lungo. Avevi ragione: è qualcosa di sublime!”

Istintivamente, per ringraziare, Giuditta allungò il viso per dare un bacio sulla guancia all’uomo il quale, però, spostò il viso in modo tale da far sì che le loro bocche si toccassero e che il bacio fosse un bacio serio.

Quando le labbra si separarono, la ragazza guardò con perplessità Gaspare che le chiese: “Allora, unirai ancora la tua mente con la mia?”

“Ogni volta che lo vorrai.”

“Sei mia? Mi appartieni?” la teneva ancora stretta a sé “Sei la mia Giudittina?”

“Sì …” annuì anche più volte “ … sì.”

“Sei solo mia, vero?”

“Tua e basta. Voglio appartenerti.”

Giuditta era felicissima di scoprire che quell’uomo, che tanto ammirava, la desiderasse.

“Perfetto …” sorrise l’uomo.

Gaspare baciò di nuovo la donna e, contemporaneamente, infilò una mano sotto l’abito di lei, le toccò le cosce, le risalì fino al bacino, infilò le dita nelle di lei mutande e iniziò a calarle.

 

Gabriel si era svegliato che erano passate le undici ed appunto era stato scombussolato dai sensi di colpa per quel che aveva fatto la sera prima. Si stupì che Gaspare lo avesse assecondato. Per la prima volta un’ombra si gettò sul fratello. Gabriel l’aveva considerato una brava persona, aveva passato del bel tempo con lui e ora, invece, so accorgeva che c’era qualcosa di sbagliato in lui … beh, avrebbe dovuto supporlo, trattandosi del figlio di Serventi.

Gabriel, comunque, era stato più che altro preoccupato per il proprio atteggiamento, per la propria aggressività …

Il rimorso e il pensiero lo avevano tormentato durante il pranzo e alla fine decise di presentarsi in Congregazione, nella speranza di trovare qualcosa da fare e di distrarsi dai suoi problemi. Si diresse subito nell’ufficio di Isaia e lo trovò assorto nella lettura di un foglio e ce n’erano molti altri appoggiati sulla scrivania.

“Allora, che cosa abbiamo?” domandò Gabriel, con un interesse nervoso, si capiva che stava cercando un qualcosa per svagarsi “Ci sono delle segnalazioni?”

Isaia lo guardò un poco accigliato, aveva benissimo capito che l’amico non era quieto, ma decise di non fare domande per il momento; rispose: “Sì. Ieri abbiamo deciso di informare tutte le parrocchie e i nostri collaboratori della presenza di numerose succubi in città, invitandoli a segnalarci ogni caso sospetto.”

“Vedo che in molti hanno risposto all’appello.”

“Anche troppi! Dubito che siano tutte succubi queste qua.” sollevò il plico di fogli.

“Dovremo controllarle tutte?”

“Dovremo? Non vuoi occuparti piuttosto del tuo progetto di sostegno al…?”

“No, no.” lo interruppe rapidamente Gabriel “Preferisco non pensarci al momento … Sai, era … è un progetto che porto avanti con Claudia, quindi voglio aspettare che passi questo momento e poi continuare con lei.”

“D’accordo, va bene.”

Isaia appoggiò il foglio che stava leggendo, si tolse gli occhiali, si massaggiò gli occhi e poi disse: “Dammi una mano a leggere queste segnalazioni, troviamone una che ci sembra sicuramente una succube e andiamo ad affrontarla.”

Gabriel prese un foglio e iniziò a leggere a propria volta.

Dopo una mezz’ora di lettura in rigoroso silenzio, Antinori disse: “Ecco, secondo me questa mi pare vera.”

“Cosa dice?”

“Una madre superiora ci segnala che nel suo convento c’è un piccolo centro che accoglie stranieri e poveri, che in cambio di vitto e alloggio prestano servizio nel frutteto e nell’orto delle suore. Da una settimana, però, ci sono dei problemi: è arrivata una polacca che ha messo in subbuglio tutto quanto. Gli uomini hanno smesso di lavorare e fanno solo quel che questa signorina dice loro, mentre le altre donne ospiti del centro hanno chiesto ospitalità direttamente dentro al convento e non nella casa d’accoglienza, perché dicono che non possono starci con quella polacca di mezzo.”

“Sì, direi che molto probabilmente si tratta di una succube. Vogliamo andare subito?”

“Sì, ottimo!” esclamò Gabriel, entusiasta.

Isaia scosse il capo: quella non sarebbe stata la reazione di Gabriel, se fosse stato tutto a posto. Il gesuita prese il plico di fogli e disse: “Perfetto, allora lasciamo questi ad Alonso e Stefano, continueranno loro a selezionare le verifiche.”

I due amici, allora, passarono dalla biblioteca e lasciarono il compito agli altri due e si raccomandarono di usare come primo metodo di selezione la data dell’inizio dei fenomeni: erano da escludere tutti i fatti antecedenti alla distruzione della setta di Malpas.

Gabriel e Isaia andarono all’automobile del gesuita e partirono per raggiungere il monastero da cui era partita la segnalazione. Il posto era un po’ fuori città, Morganti pensò di approfittare del tempo del tragitto per provare a far parlare l’amico.

“Gabriel, i casi di manifestazione del demonio non ti hanno mai interessato granché, come mai questo improvviso fervore?” era evidente che lui conoscesse già la risposta.

“Sai, dopo i fatti di Fontanefredde …” improvvisò Antinori “Mi è venuta un po’ di curiosità ...”

“Gabriel …” lo richiamò l’amico.

“Beh, sì, poi c’è la questione del mio potere, che è legato ai demoni, per cui mi pare giusto che …”

“Gabriel, è inutile! Tutto quest’interesse solo dopo che la dottoressa Munari ti ha lasciato è un po’ sospetto, non trovi?” gli sorrise, cercando di incoraggiarlo a parlare.

Antinori sbuffò e disse: “Che cosa vuoi che ti dica?”

“Fratello, io vorrei che tu ti fidassi di me, che sapessi che puoi confidarti con me, anche se non ho competenza in materia.”

“Grazie, Isaia, lo apprezzo, davvero, ma … Non c’è niente da dire. Sto male perché lei non è con me, ma non c’è modo per consolarmi, posso solo cerare di tenermi la mente occupata e pensare ad altro.”

“Gabriel, scusami, ma proprio non capisco. Come si fa a permettere che la propria felicità dipenda da una persona sola?”

“Questo è l’amore, c’è poco da spiegare.” sospirò Gabriel “Quando ami, tutta la tua gioia e la tua vita sono un’altra persona ed è per lei che vivi, non più per te stesso.”

“Mi sembra una cosa mal sana, sicuramente fonte di egoismo. Sì, certo, l’amore è un servizio, è un vivere per gli altri, però … appunto per tutti gli altri, non solo per uno. Non si può permettere che per far felice uno, altri soffrano. È questo che fanno le succubi, in fondo. Rendono schiavi gli uomini, quando non li uccidono, rendendoli così inutili se non addirittura dannosi per il mondo. L’amore di coppia, per lo meno, dovrebbe basarsi su ammirazione e rispetto reciproci e nessuno dovrebbe imporre la benché minima cosa al compagno.”

“Tu che parli di amore?!” Gabriel era piuttosto seccato “Su quale libro lo hai letto?”

Isaia non rispose, così come non rispondeva mai alle frecciate dell’amico che, generalmente, le faceva per affetto e non per cattiveria.

“Quel che voglio dire, è che tu dovresti riuscire ad essere sereno da solo, con la sola tua forza d’animo e la vicinanza di Dio; dopo la relazione con la dottoressa Munari dev’essere una sorte di completamento, di decoro, di sur plus, ma non può essere che tu dipendi da lei.”

“Isaia, come potrei dire di amarla, se lei non fosse la mia felicità?”

“Secondo me la domanda dev’essere ribaltata: come puoi dire di amarla, se hai bisogno di lei? L’amore c’è quando è assente l’interesse. Se tu vuoi stare con lei per colmare dei bisogni, allora non sarà amore. Se stai con lei per tappare dei buchi e poi quei buchi verranno colmati da altro, allora non avrai più bisogno di lei e non ti servirà più stare con lei. Se, invece, tu sei in pace con te stesso, allora puoi amarla e nulla potrà separarvi.”

“No, l’amore sono due debolezze che unite creano la forza. Due persone che si compensano che si sostengono a vicenda.”

“Due zoppi non sono mai andati molto lontano; due persone sane che camminano assieme, invece, possono raggiungere le cime più elevate. Non discuto sull’importanza di collaborare e agire assieme, ma bisogna farlo nel pieno delle proprie forze o i risultati deluderanno.”

“La perfezione non ha bisogno d’amore. Ad ogni modo, adesso basta parlare, dovremmo essere vicino al convento, non è sulla strada, ma bisogna prendere una viuzza un po’ nascosta, per cui teniamo gli occhi aperti per non perderla.”

Isaia annuì, ma era dispiaciuto per il fatto di non essere riuscito a farsi comprendere e di vedere l’amico ancora così abbacchiato.

Trovarono il convento e poterono parlare subito con la madre superiora, una donna sui sessant’anni piuttosto energica, che subito disse loro: “Grazie al Cielo è arrivato il vostro appello ieri sera! Altrimenti, chi avrebbe pensato che quella potesse essere una succube? Tanto più che di questi tempi, se ti arrabbi con uno straniero, ti dicono che sei razzista e intollerante, quando invece ti infuri perché è un problema e lo faresti anche con un italiano e, quindi, l’origine non c’entra nulla. Pesate che addirittura c’è stato chi ha osato dire che noi ce l’abbiamo con questa ragazza per invidia! Ma le sembra possibile, padre? Noi monache spose di Dio, essere invidiose di quella? Certo che no! Il fatto è che non può arrivare qua, fare i propri comodi e tenere in mano tutti gli uomini, tenendoli lontani dal loro dovere! Se sentiste poi parlare le povere donne che sono scappate dal centro d’accoglienza per colpa di quella! Le volete sentire? Volete che vi raccontino?”

“No, grazie, basta quanto abbiamo sentito.” rispose Isaia “Abbiamo in mente una strategia semplice e diretta. Lei, madre, ci conduca presso questa signorina, noi pronunceremo qualche formula di esorcismo e se lei reagirà, noi avremo la conferma che si tratti di una succube e procederemo.”

“Oh, mi piace quest’immediatezza!” si congratulò la superiora “Allora, prego, da questa parte.” con una mano indicò la direzione e poi li precedette, per far loro strada.

Il centro d’accoglienza era una palazzina attigua al convento, forse era un edificio anticamente adibito a collegio, poi ristrutturato e riadattato. La suora bussò, nessuno andò ad aprire, ma si sentivano parecchie voci provenire da dentro. La superiora bussò nuovamente, dicendo: “Su, aprite! Dobbiamo parlarvi!”

La risposta furono degli insulti, conditi da bestemmie.

“Vi rendete conto in che condizioni siamo? Noi li si aiuta, si cerca di sostenerli nel migliore dei modi e questi ti ripagano in questa maniera!” si lamentò la suora.

Gabriel propose: “Lasciatemi fare un tentativo, penso di saper trattare con certa gente.”

Bussò all’uscio a propria volta e annunciò: “Portiamo birra!”

La porta si aprì immediatamente. I due amici e la suora entrarono immediatamente. Si trovarono in un salone che originariamente fungeva da atrio, era arredato con mobili degli anni cinquanta, c’erano cinque uomini.

“Dov’è la birra?” chiese qualcuno, non vedendo alcune bottiglia.

“Non ne vedrai per un bel po’, Boris, visto quello che avete combinato!” lo ammonì la superiora “Ora, piuttosto, diteci dov’è Agnieszka.”

“Lei non vuole che parliamo con voi!” protestò un altro.

“Lei vi da vitto e alloggio?” ribatté la suora con un cipiglio aggressivo, tale che, se avesse avuto un mattarello o un manico di scopa in mano, avrebbe fatto tremare tutti quanti.

“No, ma lei ce la dà!” rispose il tizio “E averla da una come lei …!”

La superiora gli si avvicinò lo afferrò per un’orecchia, lo tirò verso il basso e lo rimproverò: “Ti ricordo che sei sposato e con due figli. Hai preso a pugni tua moglie per colpa di questa disgraziata … ne valeva la pena distruggere tutto quello che avevi costruito nella tua vita per una scopata con una bella donna?”

“A dire il vero non me l’ha ancora data.”

“Ma bene, allora sei più cretino di quanto sembri!”

La suora, sempre tenendolo ben stretto per l’orecchio, lo portò davanti al crocefisso appeso al muro e gli intimò: “Su, in ginocchio, recita cinquanta Ave Maria, cinquanta Padre Nostro e cinquanta Atti di dolore, poi fila nell’orto e mettiti a zappare, pensando a un modo per farti perdonare da tua moglie!” poi si voltò verso gli altri e intimò: “Su, anche voi, qui! Pregate Dio affinché perdoni la vostra squallida lussuria.”

Nessuno ebbe coraggio di disobbedire e tutti si misero in ginocchio a pregare sotto il crocefisso.

La suora tornò dai due membri della Congregazione e disse loro: “Bene, possiamo procedere a cercare Agnieszka, penso la troveremo al piano di sopra.”

I tre salirono una scalinata e, arrivati in un corridoio, sentirono voci e risate provenire da una stanza, si accostarono per sentire meglio e inorridirono: la donna stava complottando con una decina di uomini, circa come prendere d’assalto il convento e compiere le peggiori nefandezze.

“Questi esseri sono tremendi e orribili!” fremette di rabbia Gabriel, ma più che per ciò che stava ascoltando, era furioso sempre per la propria vicenda.

“Allora, padre, si decide a fare qualcosa, o devo arrangiarmi?” la superiora incalzò Isaia, che stava ragionando.

“No, no. Adesso si agisce.” Morganti era un poco incerto, non sapeva se procedere con un esorcismo normale, oppure attingere solo al proprio potere; alla fine pensò che sarebbe stato decisamente meglio mantenere la formalità. Guardò Gabriel e gli chiese: “Ti dispiacerebbe sfondare la porta? Fallo con il tuo potere: un’entrata ad effetto lascerà la succube sorpresa e io potrò iniziare l’esorcismo, senza darle il tempo di usare la sua malia su di noi.”

“Molto bene.” disse Gabriel, non troppo convinto in realtà; si volse alla suora e le disse: “Non faccia domande.”

Antinori si concentrò, poi dalle sue mani scaturirono saette di fuoco che investirono la porta, facendola volare via.

Isaia, allora, fu pronto a balzare dentro alla stanza, brandendo il crocefisso, gridò innanzitutto: “In hoc signo, vinces!”

Agnieszka, che sedeva su un letto, circondata da uomini, schernì e si spaventò.

Isaia, pensando che quel demone dovesse essere piuttosto potente, per essere riuscito ad insediarsi in un posto così vicino al sacro e colmo di simboli santi, decise di usare una formula di esorcismo molto forte. Tenne il crocefisso con la sinistra, mentre il palmo destro era davanti a lui, volto verso l’alto; sentendo una grande energia dentro di sé, iniziò a dire: “Oh heros invincibilis, Dux Michael,

adesto nostri proeliis: ora pro nobis, pugna pro nobis, dux Michael. Tu Noster dux militiae, dux Michael defensor es Ecclesiae: ora pro nobis, pugna pro nobis, dux Michael. Per te, oh heros belliger, dux Michael, prostratus jacet Lucifer: ora pro nobis, pugna pro nobis, dux Michael. Ejectis procul hostibus, dux Michael, fer opem desperantibus: ora pro nobis, pugna pro nobis, dux Michael.”

L’energia d’oro aveva iniziato a crepitare attorno alla mano destra di Isaia; mentre il gesuita aveva pronunciato l’invocazione all’Arcangelo, l’energia aveva preso la forma di una catena che, quasi vibrasse di vita propria, si scagliò contro la succube e le si avvinghiò attorno, la strinse fortemente. La succube cominciò ad urlare, del fumo o del vapore iniziò ad uscire dalla sua pelle e nel giro di pochi minuti, lei si era completamente liquefatta prima e poi dissolta.

Gli uomini erano inorriditi e poi avevano iniziato a scuotersi e a capire di non essere stati lucidi negli ultimi giorni.

Gabriel, pure, era molto sorpreso di ciò che aveva visto, ma lì per lì decise di non fare polemica.

La madre superiora, invece, non era affatto turbata da ciò che aveva visto, anzi era molto entusiasta: “Oh, ecco! Finalmente degli esorcismi come Dio comanda!”

I due amici si fermarono ancora un poco, per verificare che tutto fosse in ordine e che non ci fosse ancora bisogno di loro, ma si resero presto conto che la superiora e le sue sorelle potevano cavarsela tranquillamente da sole.

“A quanto pare non sono l’unico che non parla.” osservò Gabriel, una volta saliti in auto, per evitare che la conversazione tornasse a vertere su di lui.

“A che ti riferisci?” finse di non capire Isaia.

“Non sono esperto di esorcismi, è vero, ma sono piuttosto certo che quel che hai fatto non sia qualcosa di consueto.”

“Ti sbagli Gabriel. È un esorcismo assolutamente canonico. Certamente di alto livello, non lo può fare chicchessia, ma non ha niente di anomalo, te lo garantisco.”

Antinori scosse il capo e chiese: “Era a questo che ti riferivi, quando nella cripta dicevi che combatterci era il nostro destino? Io ho un potere legato alla generazione dei demoni e tu alla loro distruzione, quindi siamo contrapposti? È questo che intendevi?”

“No, non c’entra nulla; anzi, in quel periodo non sapevo neppure di poter compiere esorcismi così potenti. Lascia perdere quello che ho detto nella cripta, ero sconvolto in quel momento, non ero affatto lucido.”

Isaia, però, si chiese se, in un certo senso, quella volta, inconsapevolmente, avesse detto una verità. Lui aveva stabilito la necessità di scatenare l’anticristo, quindi Gabriel, non era però affatto sicuro di non avere il compito di combatterlo, in seguito. Che paradosso! Avrebbe dovuto risvegliare il mostro che poi avrebbe dovuto contrastare? Sembrava di sì. Era tutto così strano e confuso.

Gabriel provò ancora a strappargli qualche informazione, ma inutilmente.

Ritornarono in Congregazione che era già sera. Parcheggiarono l’automobile, scesero e subito entrambi notarono che, sotto il portico di ingresso all’edificio, appoggiata con la schiena ad una colonna, c’era Claudia.

Gabriel sentì il fiato bloccarsi in gola, il cuore perse un colpo e poi iniziò a battere forte: era tornata da lui? Lo aveva perdonato? O era lì per concludere definitivamente il loro rapporto?

Gabriel era allo stesso tempo felice e stupito, speranzoso e timoroso. Che fare? Avvicinarsi? Certo, ma avrebbe significato scoprire di poter essere felice o infinitamente triste … forse meglio il dubbio che un’amara certezza?

“Vai.” lo incoraggiò Isaia “Io sarò dentro, ma spero di non vederti fino a domani.” gli sorrise.

“Grazie …” disse Gabriel e cercò in sé la forza di andare dalla psicologa.

Si avvicinò alla donna, un po’ esitante, e la salutò: “Claudia!” forzò un sorriso.

“Gabriel …” lo guardò lei, con occhi malinconici.

“Claudia, io sono felicissimo di vederti. Ogni istante con te è una benedizione e sono contento che tu sia qui …” si era affrettato a dire queste cose, per evitare che lei dicesse qualcosa di spiacevole.

“Anch’io sono contenta di rivederti.” replicò la donna, con gli occhi lucidi “Gabriel, io mi rendo conto che sono felice solo quando sto con te. Non ha senso il domani se non ci sei tu.”

“Oh, Claudia!” si commosse l’uomo “È lo stesso per me! Io … solo in te trovo la ragione del mio vivere …”

“Aspetta, aspetta!” lo interruppe la psicologa.

Antinori ci rimase un poco male, però tacque e aspettò.

“Gabriel, io ci tengo moltissimo a te, a noi e proprio per questo voglio essere certa che sia lo stesso per te …”

“Ma certo che lo è!”

“Vorrei crederti, ma non ci riesco, dopo quello che ho visto.”

Gabriel sentì ancora una volta il dolore dentro di sé, prese le mani della donna e le disse: “Perdonami, io mi sto odiando per averti fatta soffrire …”

“Ascoltami.” lo interruppe di nuovo lei “Io ho fatto un elenco di tre cose che voglio che tu faccia per rendermi contenta; se le compirai, allora saprò che mi ami davvero e mi fiderò di nuovo.”

“Io farò tutto ciò che vuoi!”

“Perfetto, allora ci vediamo domani per la prima prova.”

“Non posso venire a casa?”

“No. Per il momento, no.”

Claudia lasciò detto luogo e orario per il loro incontro del giorno seguente. Gabriel rimase fermo, solo, non sapeva bene come sentirsi, ma di certo la gioia e la speranza si stavano facevano largo nel suo animo. Sì, avrebbe fatto di tutto per dimostrare a Claudia il proprio amore.

 

La sera era arrivata anche alla villa di Serventi. Bonifacio e i suoi figli erano nella sala da bigliardo.

“Allora, Gaspare, perché ci hai radunato con tutta questa concitazione?” domandò Temistocle, mentre aspettava che Annibale facesse il proprio tiro.

“Bisogna festeggiare.” disse l’interpellato.

Gaspare aveva in mano uno scrigno di legno, contenente pregiati sigari, e li offrì ai fratelli e al padre; intanto aveva preparato anche una pregiata bottiglia di nebbiolo da bere.

“Racconta.” lo invitò Bonifacio, benché supponesse già di cosa si trattasse.

Il figlio, trionfante, rispose: “Questa mattina, ho persuaso la nostra cara ospite a fondersi con me.”

“Avete unito le vostre menti?” chiese Annibale, accendendosi il sigaro.

“Le nostre menti e anche i nostri corpi.” ammiccò Gaspare, avvicinandosi alla bottiglia, per stapparla.

“Bravo!” continuò a complimentarsi Annibale “Allora è completamente tua.”

“L’ho soggiogata praticamente fin dal primo istante.” ridacchiò Gaspare, poi cominciò a riempire i bicchieri “È così che sono riuscito a portarla esattamente dove volevo. Ah, dovete assolutamente andare al terzo piano a vedere che bel parco abbiamo creato, non l’ho ancora distrutto perché ci tenevo a mostrarvi il risultato di questa prima fusione.”

“Lei è entusiasta quanto te?” chiese Temistocle.

“Anche di più, visto che non aveva idea che si potesse compiere qualcosa del genere. Se prima mi ammirava, ora mi venera! Ed è così felice, convinta di essere la mia compagna sottomessa.” bevve il pregiato vino.

“Bravo, bravo.” gli dissero i fratelli.

“Tu, invece, come la consideri?” chiese Bonifacio, che era rimasto seduto in poltrona.

“In che senso?” si stupì il figlio.

“Hai detto che lei si ritiene la tua compagna, ma non hai detto che cosa lei sia effettivamente per te. Sono curioso, figliolo, dimmi: quanto ti ha coinvolto questa ragazza?”

Gaspare era perplesso, poi disse: “Beh, ha senza dubbio il suo perché. Tu stesso, padre, sei rimasto impressionato dalle sue qualità e hai voluto averla nella nostra cerchia e mi hai incaricato di fare tutto questo. Ora che ho smussato gli angoli del suo caratterino, è diventata una compagnia molto gradevole.”

“Non hai risposto alla mia domanda.”

“Beh, sì …” ammise un po’ incerto Gaspare “Non ci ho mai riflettuto, però sì … ecco, le voglio bene e probabilmente me la terrei vicino anche se ciò non servisse ai nostri progetti.”

Bonifacio sorrise lievemente e disse: “Mi raccomando, però, di mantenere sempre il tuo controllo e non lasciarti intenerire.”

“Suvvia, padre, nemmeno avessi detto di esserne innamorato!” replicò Gaspare, ridacchiando, riacquistando la sua sicurezza “Mi hai cresciuto bene e anche i miei fratelli mi hanno messo ben in guardia dai pericoli dell’amore e di come lo si debba affrontare e gestire. Non si tratta comunque di questo.”

“Ne sei certo?”

“Sicuro. Ho semplicemente detto che mi piace averla tra i piedi, tutto qui.”

Gli altri tre si scambiarono qualche occhiata e si misero a ridacchiare. Gaspare li guardò torvamente, sentendosi un poco offeso: in quelle situazioni era lui ad essere il più piccolo e inesperto.

“Non mi convinci.” disse bonariamente Bonifacio “Fiuto una relazione diversa tra quella di dominatore e sottomessa. Non dire bugie a tuo padre, Gaspare.”

“Che lei sia sotto il mio giogo non si discute!” si indispettì lui “Se c’è anche altro, non è come pensi tu. La discussione è finita.”

Gaspare guadagnò rapidamente la porta e uscì dalla stanza, ma appena chiuse l’uscio dietro di sé, sentì ridere il padre e i fratelli.

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Capitolo 35
*** La prima richiesta ***


Stefano aveva deciso di saltare le lezioni, quella mattina. Continuava ad essere preoccupato per Giuditta e non era affatto persuaso di ciò che gli aveva detto Isaia; certo non capiva perché mai padre Morganti non dovesse essere stato sincero, tuttavia rimaneva convinto che la situazione fosse diversa da quella che gli era stata riferita e volle andare a controllare di persona.

Aveva deciso di andarci di mattina, durante l’orario universitario, poiché sapeva quanto fosse importante il suo aiuto pomeridiano  in Congregazione, in quei giorni, e perché non voleva destare sospetti.

Ovviamente non si sarebbe presentato alla villa di Serventi e avrebbe suonato il campanello, voleva che tutto ciò rimanesse segreto. Arrivato al confine dell’immenso parco che circondava la villa, lasciò l’auto parcheggiata in uno spiazzo a lato della strada, poi scavalcò la recinzione che lo separava dal giardino. Una volta così superati i confini della villa, il ragazzo cercò un posto riparato dove posizionarsi. Riparato da sguardi nemici da fitti arbusti e fogliame, Stefano poté finalmente concentrarsi per convocare Jacopo alla propria presenza.

Il ragazzo aveva pensato che, in virtù dei propri poteri, la strategia migliore sarebbe stata quella di obbligare il fantasma ad aiutarlo.

“No, porco cane, ancora tu?! Che accidenti vuoi?!” si lamentò Jacopo non appena lo scorse “Uno se ne sta tranquillo per i fatti suoi e arrivi tu a rompere. Spero per te che c’hai buone notizie, altrimenti ti caccio una di quelle allucinazioni che se non ci rimani secco, qualche anno di terapia dalla Munari non te lo toglie nessuno.”

Stefano, per qualche momento, ebbe paura, ma subito tornò saldo, ricordandosi che era lui a comandare e, quindi, doveva rimanere deciso e nulla di male gli sarebbe capitato. Con una certa arroganza nella voce, del tutto innaturale per lui, il giovane disse: “Stammi bene a sentire tu. Io ti ho già detto che cosa devi fare per poterti liberare, per cui non ho niente da aggiungere al riguardo. Ora, se non vuoi che ti recluda in un albero per i prossimi cento anni, ritardando così la tua possibilità di andartene dal mondo, fa quello che ti dico.”

Jacopo lo guardò malissimo, ma poi sbuffò: “Che cosa vuoi?”

“Giuditta sta bene?” si premurò immediatamente il giovane.

Il fantasma si sorprese un poco per quell’attenzione, ma poi pensò che non erano affari suoi, per cui rispose: “Sì. Secondo me, è la prima volta che si diverte così tanto.”

“Dov’è adesso?”

“In piscina.”

“Avete una piscina? L’altra volta non l’ho vista.”

“Quando avete fatto il vostro stupido pranzo non era stagione da piscina!”

“Va bene, va bene, non ha importanza. Portala qui.”

Jacopo inarcò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere e farfugliò: “È assieme a Gaspare … difficile separarli.”

“Se è in compagnia di quell’uomo, dovrebbe risultarti facile allontanarla. Bisbigliale pure che sono io che la sto cercando, sono certo verrà qui subito.” Stefano era un po’ perplesso per la reazione dello spettro.

“Le cose sono decisamente cambiate dall’ultima volta che sei stato aggiornato. Ti ricordi di quando lei era arrabbiata con te e ti aveva fatto grandinare in testa?”

“Sì …” il giovane era un poco turbato e si stava interrogando su dove andasse a parare quel discorso.

“Beh, mi sa che ora è anche peggio e se te la porto qui, come mi stai chiedendo, ci rimarrai molto, molto male.” e si mise a ridere.

Cosa diamine è successo?! –pensò Stefano, molto preoccupato.

“Non mi interessa. Tu pensa a portarla qui, altrimenti … te l’ho detto.”

“Va bene, va bene, ma poi non ti lamentare con me.”

Jacopo iniziò ad allontanarsi, ma non voleva lasciare il ragazzo senza un’allucinazione. Giacché si era ricordato di quando Giuditta si era arrabbiata con lui, decise di fargli riemergere il ricordo della grandinata.

Soddisfatto di ciò, il fantasma si diresse verso la piscina della villa.

Temistocle stava nuotando nella vasca, avanti e indietro, per tenersi in esercizio.

Uno dei lati della piscina era stato costruito come a ricreare un litorale e, dunque, era una superficie liscia lievemente inclinata che pian, piano si immergeva sempre di più. Gaspare e Giuditta era seduti quasi al margine di questa riva, bagnati leggermente dall’acqua. L’uomo era sdraiato, quindi era con la schiena praticamente a pelo dell’acqua, le braccia incrociate dietro la nuca, indossava un costume tipo bermuda, nero con disegnate delle fiamme. La donna portava, invece, un costume giallo, il pezzo di sopra era senza spallini; era seduta accanto all’altro, teneva una mano sul petto di lui e lo carezzava.

“Allora, vedi com’è un buon fisico?” chiese Gaspare, vantandosi, con gli occhi semichiusi “Si può essere estremamente colti e avere un corpo ammirevole.”

Giuditta annuì, guardando quel fisico asciutto, tonico, con i pettorali e gli addominali in evidenza, ma senza esagerazione.

Gaspare allungò una mano, pizzicò qualche volta la pancia della ragazza, dicendo: “Mica come te! Guarda che abbondanza che c’è.”

La donna, indispettita, si voltò dall’altra parte; allora Gaspare si mise a sedere, l’abbracciò da dietro (anche se più che un abbraccio sembrava un tenerla bloccata), le sussurrò ad un orecchio: “Ti sei offesa? Non devi, è una constatazione oggettiva … Anzi, devi solo sentirti onorata che io voglia te, nonostante tu mi sia inferiore sia intellettualmente, sia spiritualmente, sia fisicamente.”

Giuditta si voltò di nuovo verso di lui, gli fece un sorrisone e gli disse: “Lo so e ti sono tanto grata.” si allungò verso il volto dell’uomo per dargli un bacio, ma non appena le labbra si sfiorarono, lui si ritrasse e le diede uno schiaffo, non troppo forte, ma comunque energico.

“Ti ho già detto che, quando vuoi ringraziarmi, il bacio me lo devi dare sulla guancia.” l’ammonì severamente Gaspare “Sono io che decido quando ne voglio uno più piacevole.”

“Scusami …” disse lei, abbassando lo sguardo.

“Non scordarlo più.” l’uomo smise di essere arcigno e con tono più dolce disse: “Adesso sdraiati.”

“A pancia in su o in giù?”

“È indifferente, dopo ti volterai.”

Giuditta si stese, con la schiena immersa nella poca acqua. Gaspare iniziò a sfiorarle la pelle coi polpastrelli, spiegò: “So che ti fa solletico o che ti piace, ma tu devi sforzarti a non reagire, a rimanere impassibile. È un esercizio per rafforzare la volontà.”

In realtà era per il puro divertimento dell’uomo, a cui piaceva vedere la donna cercare di trattenersi dal fremere sotto le sue dita.

Erano impegnati in questo giochetto, quando sopraggiunse Jacopo.

“Ehi, voi due! Occhi a me o vi mando due allucinazioni!” esclamò il fantasma per attirare l’attenzione.

Gaspare si voltò con aria seccata e chiese retoricamente: “Jacopo, io venivo ad importunarti quando ti distraevi con Rebecca?”

Lo spettro lo guardò con furia e altrettanto iroso gli rispose: “Per te sarà pure uno svago, ma io Rebecca l’amavo, per cui non fare paragoni indegni!” poi si calmò, fece un sorrisetto di scherno e disse: “Se vieni subito qui, può essere che mi trovi ancora dell’umore di dirti qualcosa di cui son certo vuoi essere informato, altrimenti arrangiati.”

Gaspare si irritò un poco: non tollerava che qualcuno (un sottoposto per di più) lo ricattasse in quella maniera, davanti alla sua preda. Fece bon viso a cattivo gioco; ridacchiò, si alzò in piedi e disse: “Tu e la diplomazia avete divorziato per incompatibilità di carattere e vedo che anche la cortesia ti ha piantato. Va bene, sentiamo cos’hai da dire.”

Gaspare si avvicinò al fantasma, si misero un poco in disparte e gli disse: “Non ti azzardare mai più a parlarmi in quella maniera quando c’è lei. Hai idea di quanto mi ci è voluto per farla sentire una nullità al mio confronto?!”

“Sì, capisco che sia stato molto impegnativo, sentirsi inferiori a te è difficile, comunque non mi interessa. Tu. Rebecca, non la dovevi nominare!”

“Senti, non credere di essere il solo che teneva a lei. Era mia sorella, le volevo bene.”

Jacopo lo guardò nuovamente con ira e sibilò: “Voi, nella vostra famiglia, non avete idea di cosa sia l’affetto, voi non avete legami. Rebecca, per fortuna, era diversa da voi, lei sapeva che cosa significa amare … e ha amato troppo, anche chi non lo meritava.”

“Quando ti metti a fare il melodrammatico melenso sei più insopportabile del solito. Dimmi quello che devi e finiamola.”

“Sai che mi viene proprio la voglia di non raccontarti un accidente?”

“Non far lo stupido, se è importante, parla, altrimenti smettila con la sceneggiata.”

“Va bene. Più in là ci sta coso che cerca la sua amica.”

“Ah, ora è tutto chiaro! Le tue spiegazioni fanno pena. Se magari mettessi un nome, potrei capire.”

“Ma che accidenti ne so di come si chiama quello! È lo schiavetto del vostro dannato Eletto e vuole vedere la ragazza.”

“Ah.” Gaspare intuì subito si trattasse di Stefano “Grazie per averlo detto subito a me.” poi abbozzò un sorrisetto e, fingendo un’espressione dispiaciuta, domandò: “Pensi ci rimarrà molto male nel rendersi conto che la sua cara amica non ha la più pallida idea di chi lui sia?”

“Non mi stupirebbe se si mettesse a piagnucolare.”

“Molto bene, la mando subito da lui.”

Gaspare si volse verso la ragazza e le disse: “Giudittina, Jacopo dice che c’è un giovanotto che ti cerca, sostiene di conoscerti: va a vedere chi è.”

La donna annuì e uscì dalla piscina.

“Ah, e mettiti qualcosa addosso: non voglio che altri ti vedano così. Non farti illusioni: non lo dico per gelosia, ma semplicemente non mi va di fare brutte figure. Finché non ti metterai in forma, non potrò presentarti a nessuno: mi vergognerei troppo!”

Giuditta si legò un lungo pareo sotto il seno, poi si avvicinò a Gaspare e, con aria dispiaciuta, gli disse: “Ti prometto che farò del mio meglio per trovare la linea che preferisci.”

Gaspare sogghignò e replicò: “Va bene, ne riparleremo. Adesso, su, bambina, va a vedere chi è questo seccatore e, se ti vuoi godere ancora un po’ la mia compagnia, ti conviene fare alla svelta: tra un’ora ho un impegno.”

La donna annuì, poi seguì Jacopo che la condusse fino al punto in cui Stefano aspettava. Il seminarista, che nel frattempo si era sbarazzato dell’allucinazione, si stava domandando se il fantasma non stesse impiegando troppo tempo, ma poi lo scorse di ritorno con la ragazza. Il giovane, contento andò loro incontro, salutando: “Giuditta! Come stai? Mi hai fatto stare in pena!”

La donna si accigliò, lo guardò senza capire, si sforzò di ricordare, poi domandò: “Scusi, ma ci conosciamo?”

Stefano si fermò, era basito, dopo qualche momento di interdizione, riuscì solo a chiedere: “ … Come??!?”

“Le ho chiesto se ci conosciamo. Viene qui, vuole vedermi, si permette di chiamarmi per nome, insomma si può sapere chi è lei e cosa vuole da me?”

“Come, Giuditta, come non sai chi sono?” lui era completamente smarrito “Sono Stefano! Stefano Fabbri!”

“Mi spiace, ma è un nome che non mi dice nulla.”

“Impossibile! Ci conosciamo da un paio di mesi, su per giù, abbiamo fatto tante cose assieme!”

“Senta, non mi piace essere presa in giro, per cui o si qualifica entro trenta secondi o il nostro incontro è finito.”

“Ma ho già detto la verità! Cosa ti hanno fatto, Giuditta? Non puoi non sapere chi sono!”

Stefano era dispiaciuto e confuso, non capiva che cosa stesse accadendo.

“Io … Io so che sei nei Franchi Giudici!”

Giuditta ebbe un sussulto e sgranò gli occhi, domandò: “Chi ti ha detto questo?”

“Me lo hai detto tu, quando vi ho visti sterminare la setta di Malpas.”

La ragazza lo osservò, si sforzò di ricordare, ma non le veniva in mente nulla, per cui disse: “Non so che cosa volessi ottenere con questo raggiro, ma dovevi inventare una bugia meno grossa.”

Detto ciò lei si voltò e si avviò per la piscina.

Stefano era interdetto, era più che smarrito e molto affranto, provò ancora: “Giuditta! Aspetta … Io … noi … Chiedi a tuo fratello! Ti confermerà che ci conosciamo …”

Inutile, lei era ormai lontana e non lo aveva ascoltato. Il giovane, triste e mogio, decise di andarsene.

Giuditta, tuttavia, era turbata: perché qualcuno avrebbe dovuto far finta di conoscerla? Come sapeva quel tizio che lei era un Franco Giudice? Come sapeva di Malpas? Era una spia di qualcuno? Ma di chi? Quale altra organizzazione potente poteva esserci da sorvegliare il tribunale della Santa Vehme? I templari, forse? No, impossibile!

C’era qualcosa che non le tornava in quella faccenda. Domandò a Jacopo, che la seguiva: “Che tu sappia, io conosco quel giovane?”

Il fantasma fu indeciso se fare dispetto al seminarista oppure a Gaspare, alla fine decise di essere buono e rispose: “Che ti fa pensare ch’io conosca i tuoi amici? Potrebbe essere un tuo conoscente come un truffatore; per quel che mi riguarda potrebbe essere anche il cugino sfigato del principe Carlo, tanto non me ne frega niente.”

Giuditta, pensierosa, tornò in piscina. Vide che Gaspare si era messo a nuotare come Temistocle, per cui lei si sedette a bordo vasca, con le gambe immerse in acqua, e attese che l’uomo le rivolgesse la parola. Lei aspettò una decina di minuti, poi Gaspare le si avvicinò e le disse di entrare anche lei del tutto in acqua.

“Non mi chiedi chi mi ha cercata?” domandò Giuditta, mentre seguiva l’uomo nella vasca.

“Non è un mio affare, ma se vuoi dirmelo, ti ascolto.” rispose lui, annoiato.

“Un ragazzo di nome Stefano, mi pare, che sosteneva di essere mio amico. Che follia! Non gli ho dato neppure il tempo di continuare la sceneggiata e ho troncato subito la conversazione.”

“Brava bambina: non si da retta agli sconosciuti.”

“Ma era uno sconosciuto?” chiese lei, mestamente.

“Non lo so, non l’ho visto.” Gaspare temeva che essere categorico avrebbe potuto far insospettire la ragazza “Se non lo ricordi i casi sono due: o è un estraneo, o è qualcuno privo di importanza che hai facilmente dimenticato.”

“Hai ragione.” Giuditta si sentì sollevata e sorrise.

Gaspare sentì il bisogno di ribadire il proprio controllo, per cui afferrò per i polsi la giovane, la tirò verso di sé e poi, tenendola stretta, quasi immobilizzata, la baciò.

 

Gabriel era un po’ teso quel giorno. Avrebbe visto Claudia nel pomeriggio, lei gli avrebbe detto quale sarebbe stata la prima prova d’amore che pretendeva per essere certa che lui la amasse davvero. L’uomo, quindi, era un poco nervoso, non perché ci fosse qualcosa che non sarebbe stato disposto a fare, semplicemente si chiedeva se sarebbe stato all’altezza delle richieste. Insomma, c’erano molte cose che non sapeva fare, se gli avesse domandato una di quelle? Beh, lui avrebbe fatto del suo meglio e poi, era certo, Claudia non avrebbe certo chiesto la Luna o cose del genere.

Piuttosto fiducioso, anche se ugualmente agitato, Gabriel si preparò per andare all’appuntamento. Voleva vestirsi bene, per far capire alla psicologa quanto ci tenesse e quanto fosse importante per lui quell’incontro, per cui pensò di indossare la camicia e i pantaloni che aveva acquistato assieme a Gaspare. Guardandosi allo specchio, tuttavia, si rese conto che, pure con la cravatta color oro, sembrava troppo un prete. Cercò nell’armadio e trovò un vecchio paio di braghe che portava alle feste, prima di prendere i voti; erano bianche, le provò; gli erano un poco strette, ma gli stavano ugualmente. Guardò allo specchio di nuovo, questa volta constatò che l’oro faceva davvero a pugni con quella mise. Decise, alla fine, di pensare a sistemare capelli e barba e poi di uscire un poco in anticipo e fermarsi a comprare una cravatta bianca.

Si sentiva un po’ ridicolo, in realtà: lui, che per anni non si era mai dovuto preoccupare più di tanto per il suo aspetto, che aveva tanto predicato di non badare all’apparenza poiché, come diceva il vangelo le piante e gli uccelli non si preoccupano di ciò che indosseranno, ecco proprio lui si ritrovava ad affannarsi per presentarsi bene davanti a una donna che già lo amava. C’era qualcosa di paradossale in tutto ciò, a suo avviso, tuttavia ne era contento e non se ne pentiva minimamente.

Uscì di casa con un’ora d’anticipo rispetto al previsto, acquistò la cravatta, l’indossò subito, raggiunse il caffè e attese seduto ad un tavolino. Mentre aspettava, pensò di fare una cosa gradita ad ordinare già qualcosa per sé e quello che sapeva essere il cocktail analcolico preferito da Claudia.

La psicologa arrivò un poco in ritardo all’appuntamento, lo aveva fatto apposta. Salutò Gabriel, ma senza baci, senza abbracci, si sedette, prese in mano il bicchiere che c’era al suo posto, lo annusò, storse il naso, lo riappoggiò sul tavolo, fermò un cameriere e ordinò altro.

“Credevo ti piacesse …” disse Gabriel, dispiaciuto.

“Credevi male, evidentemente non mi conosci così bene come pensi.”

“Scusa …”

Scusa … è l’unica cosa che sai dire, ultimamente.”

“Starò zitto, allora.” rispose lui, mestamente, era davvero dispiaciuto nel vederla così irritata. Che strano, eppure il giorno prima gli era sembrata più addolcita, forse era stata la sua felicità a fargliela sembrare più serena o, forse, era la gravidanza che la faceva essere di umore variabile. Ormai era alla fine del sesto mese.

“No, scusami tu, Gabriel, è che ultimamente … beh, lo sai.”

“Non ci pensare nemmeno! Io sto bene con te, sempre! Anche quando sei nervosa, io amo tutto di te!”

“Gabriel” disse Claudia con una certa gravità nella voce “So che mi ami e so che la questione della succube è stata una svista tremenda che non è dipesa da te e che te ne stai dispiacendo infinitamente. Mi sono offesa troppo e ho sbagliato.”

“Allora mi hai perdonato?!” Antinori si sentì rincuorato.

“Sì, ma ho comunque avuto modo di pensare alla nostra relazione e ho stabilito che, per portarla avanti, devo essere sicura di essere io la tua priorità.”

“Certo che lo sei! Tu, per me, vieni prima di tutto!”

“Questo lo dovrai dimostrare con le due prove a cui ho pensato. Mi sono resa conto che ci sono due elementi che ogni tanto ci fanno discutere, che mi sembra che tu li anteponga a me molto spesso.”

“Impossibile! Ti giuro che tu sei il primo dei miei pensieri!”

“Ora lo vedremo. Procediamo con un elemento per volta. Come prima cosa, dovrai dimostrare che tieni più a me che alla Chiesa.”

“Non l’ho già fatto?”

“No. Anche se non sei più un prete, continui ad anteporre la Chiesa a qualsiasi cosa.”

“Ma non è vero!”

“E allora fa quello che ti sto per chiedere.”

“Va bene, qualsiasi cosa, per te, dimmi tutto.” Gabriel era disperato: gli sembrava che Claudia stesse esagerando, ma non voleva perderla.

“Voglio che tu faccia emergere qualche scheletro della Chiesa. Prendi i documenti di qualche faccenda scottante e consegnali ai giornali, fa in modo che emerga la verità!”

Gabriel rifletté un poco: la richiesta non era particolarmente gravosa.

“Va bene, in archivio troverò qualcosa sull’Inquisizione o di Pio IX che …”

“No, no.” lo zittì lei “Voglio qualcosa di più recente.”

Antinori si irrigidì: quelle che aveva citato lui erano questioni dalle quali la Chiesa poteva facilmente difendersi, dicendo che erano accadute nel passato; qualcosa di più recente avrebbe davvero potuto mettere nei guai la Santa Sede.

“Sai, Gabriel, sono sempre stata curiosa di scoprire che cosa nascondesse e proteggesse il … Banchiere di Dio.”

L’uomo sgranò gli occhi: nemmeno lui conosceva la verità circa quella faccenda, poteva essere qualcosa di davvero grave, capace di minare la Chiesa.

“Leggerò attentamente i titoli dei giornali, nei prossimi giorni, se entro una settimana troverò ciò che ti ho chiesto, allora tornerò da te, per la tua seconda prova. Se le supererai entrambe, potremo finalmente tornare a vivere assieme, questa volta per sempre!”

Claudia bevve l’ultimo sorso del suo caffè shakerato, si alzò e se ne andò, lasciando Gabriel solo a pensare.

 

Stefano era parecchio abbacchiato per il fatto che Giuditta non lo avesse riconosciuto, proprio non riusciva a capacitarsi circa come fosse possibile una simile cosa. Era certo che le avessero fatto qualcosa … ma cosa e perché?

Dopo aver lasciato la villa di Serventi, il giovane aveva girovagato a caso, un po’ con l’auto, un po’ a piedi, senza una meta. Accortosi di trovarsi in zona Parioli, gli venne il desiderio di andare all’Avalon, era lì che aveva visto per la terza volta Giuditta, era lì che avevano avuto, in un certo senso, un primo appuntamento. Andare in quel locale gli sembrava un modo per avere vicina la ragazza o, per lo meno, per averne un ricordo più vivo e tangibile. Certo, lo metteva a disagio l’idea di incontrare di nuovo quella pazza della zia, ma avrebbe sopportato.

Entrò nel locale, si avvicinò al bancone, ma non c’era nessuno.

“Scusate …” chiese timidamente il ragazzo.

“Arrivo!” esclamò la voce di Naomi, da un punto fuori dalla visuale.

La proprietaria raggiunse il bancone: “Eccomi, dimmi pure.” riconobbe il seminarista “Ah, sei tu.” non sembrava affatto contenta di vederlo.

“Un caffè, per favore.”

“Un caffè?! Di solito i giovanotti ordinano birra.”

“Io ordino un caffè.”

“Bah, è vero che sei come mio nipote.”

“Come scusi?”

“Voi di Chiesa siete una razza a parte.”

Stefano alzò gli occhi al cielo, per chiedere la forza di sopportare, e non replicò.

Naomi si mise a preparare il caffè, intanto domandò: “Piuttosto, tu hai idea di dove sia mia nipote? So che è partita ma, come al solito, non dà notizie. Con te s’è fatta viva?”

“Lasciamo perdere … mi è appena arrivata una stangata.”

“Oh! Allora il caffè te lo faccio corretto.” Naomi prese una bottiglia di grappa “Raccontami.”

“Ah, bah, oggi l’ho vista e sembra non si ricordi di me.”

“Uh … allora non hai bisogno di un caffè corretto, ma di una grappa corretta.” prese un bicchiere da birra piccola, lo colmò di grappa e poi ci rovesciò dentro il caffè. Lo porse al giovane, dicendogli: “Non ci devi rimanere male, è naturale che si scordi di uno come te. Insomma, non avete mai fatto nulla assieme, perché avrebbe dovuto ricordarsi? Io a momenti dimentico quelli con cui vado a letto una volta e basta, figurati se dovessi ricordarmi di quelli a cui non la do.”

Stefano la guardò in un misto di perplessità e disperazione: non riusciva proprio a capire quella donna.

“Che cosa c’entra questo? Io e Giuditta eravamo … siamo amici, per cui …”

“Naomi!” li interruppe un anziano che presto il seminarista riconobbe essere Aronne, il nonno di Giuditta.

“Cosa c’è, papà?”

“Stavamo giocando a carte e mi abbandoni così? Comunque di là c’è un tavolo che vuole ordinare da bere.”

“Che seccatura!” sbuffò lei “Va bene, vado. Gioca a carte con l’amico di Giuditta, qui. Tiragli su il morale, che ne ha bisogno.”

Stefano, dunque, nel giro di pochi minuti, si ritrovò seduto ad un tavolo, carte in mano, di fronte ad Aronne. Il seminarista si ricordò che, quando si era festeggiato il ritorno di Isaia, Giuditta aveva raccontato tutta la verità al nonno; pensò, quindi, che anche lui poteva riferire tutta la faccenda e chiedere consiglio a quell’uomo. Si mise quindi a narrare quanto successo, per filo e per segno.

Aronne ascoltò molto attentamente e poi commentò: “Devi essere pericoloso per qualcuno.”

“Chi? Io?” si stupì Stefano.

“Certo. Qualcuno ti ha cancellato dalla memoria di mia nipote. È un’operazione difficile e che richiede molto impegno, concentrazione e così via, deve esserci un motivo importante, sotto, per prendersi la briga di fare qualcosa del genere.”

Stefano ragionò un poco e constatò: “Effettivamente, ora che ci penso, anche Giuditta ha cancellato un ricordo a Gabriel, una volta … come ho fatto a non ricordarlo prima? È la spiegazione più logica! Adesso che ci penso, quella volta lei era rimasta molto affaticata e si trattava della cancellazione di poche ore.”

“Bravo. Capisci bene che togliere tutti e solo i ricordi legati a una persona è un’operazione molto complessa. Dovresti chiederti chi e perché possa avere interesse nel toglierti dalla mente di mia nipote.”

“Eh, questo, in realtà, non mi importa molto.”

“Dovrebbe, invece.”

“Per ora mi interessa far sì che Giuditta si ricordi di me! Lei sa come potrei fare per farle tornare la memoria?”

“Oh, temo sia impossibile.”

“Cosa?!” Stefano era quasi arrabbiato.

“Puoi passarle i tuoi ricordi, ma saranno i tuoi, coi tuoi pensieri e le tue emozioni, non i suoi. L’unico posto dove si possono ritrovare quelli di mia nipote è nella mente di chi glieli ha tolti.”

“Ah … per fortuna credo che sia molto ristretto il numero dei sospetti. Cercherò una soluzione al più presto!” il seminarista era diventato speranzoso.

“Bravo ragazzo, poi mi farai sapere com’è andata!”

 

Un paio di giorni più tardi, nei pressi di Gerusalemme, i templari superstiti erano tutti radunati nel loro sotterraneo. Trovarli e radunarli di nuovo tutti non era stato affatto semplice per Sartori, aveva impiegato più tempo del previsto, ma ora finalmente li aveva davanti a sé. Non era ancora diventato ufficialmente Gran Maestro, ma si comportava come se lo fosse e nessuno aveva protestato.

“Fratelli, la situazione è grave!” disse, davanti all’Ordine al completo “Siamo rimasti in pochi, siamo stati traditi e abbiamo visto la potenza del Candelaio. Come se ciò non bastasse Gabriel Antinori è ancora vivo e potrebbe scatenarsi da un momento all’altro. I giorni sono allo scadere, dobbiamo deciderci ad intervenire con tutta la nostra potenza e distruggere i nemici della Chiesa, tutti quanti. Troppi mali stanno affliggendo la Chiesa, troppa gente si allontana dai suoi sentieri. Dobbiamo intervenire e sistemare le cose e dovremo farlo con le nostre più grandiosi risorse. Dobbiamo ricorrere al nostro arsenale segreto.”

Uno dei templari che non si era presentato la notte di san Giovanni, domandò: “Non è esagerato il rivelarci al mondo? Capisco che molti di noi siano rimasti scossi e spaventati dal recente massacro, ma mi chiedo se sia davvero giunto il momento di compiere la nostra missione.”

“Lo è, lo è, più che in qualsiasi altro frangente della storia.” rispose Sartori “Vi prego di mettere mano ai vostri smartphone e ai vostri tablet, ora. Guardate che cosa stanno pubblicando in queste ore tutti i giornali.”

I templari presero i telefoni e iniziarono a controllare. Tutti erano sorpresi e preoccupati; un brusio ansioso riempì la stanza.

“Vedete? Ovunque il nome di Calvi, Sindona, l’arcivescovo Marcinkus, Gelli, Craxi, Martelli! E poi ovviamente lo IOR, la P2 e la banda della Magliana. Qualcuno ha aperto il vaso di Pandora, la Chiesa è in gravissimo pericolo, rischia di collassare, di essere distrutta dai suoi nemici: dobbiamo agire ora. Chi è d’accordo con me, alzi la mano.”

Tutti quanti i templari votarono a favore del ricorrere alle loro armi arcane.

 

Nota dell’autrice: Spero che la fanfic vi stia continuando a piacere e che mantenga vivo il vostro interesse; per sapere qualcosa di più circa le ultime frasi, ecco dove potete avere una carrellata in maniera svagata: https://www.youtube.com/watch?v=hqoR0p0OGw4

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Capitolo 36
*** La seconda richiesta ***


I raggi del Sole attraversarono il vetro della finestra, le tende e si andarono a posare sugli occhi chiusi di Giuditta svegliandola dolcemente. Lei rimase ferma, tranquilla nel dormiveglia, godendosi quei momenti in cui il suo corpo nudo era adagiato e avvolto tra lenzuola di seta e la testa poggiava su un morbido guanciale. Era sdraiata a pancia in giù. Delle dita le sfiorarono la pelle, ebbe un brivido, poi le sentì correre lungo la sua schiena, carezzandola. Volse la testa verso il centro del letto a due piazze, sollevò le palpebre, vide Gaspare, seduto, con la schiena appoggiata al muro, anche lui ancora nudo; lei gli sorrise e gli disse: “Buongiorno …”

“Ti sei destata, finalmente.”

La donna si dispiacque e chiese: “Tu sei sveglio da molto?”

“Un poco.” Gaspare, poi, allargò le braccia e disse: “Angelo, bell’angelo, vola qui da me!”

Giuditta si sentì rincuorata, si sollevò e si accostò all’uomo, cingendogli il collo con le braccia. Lui la strinse a sé così vigorosamente da farle quasi male; poi con la mano sinistra le accarezzò le natiche, le strinse, intanto aveva cominciato a baciarla. Lei, invece, lo toccava come aveva già fatto la notte prima.

Quand’ebbero finito, Gaspare le chiese, con fare retorico: “Conosci un metodo migliore, per cominciare bene la giornata?”

“No …” rispose lei “Grazie.”

“Bene, ora rimane una cosa da fare: vestirsi. Ho un incontro piuttosto importante in città, a metà mattina, con una tizia molto sexy, per cui devo presentarmi bene.”

Quest’affermazione non piacque affatto a Giuditta che disse: “Ma tu hai me …”

“Sì, appunto. Sei la mia bambina, ma ogni tanto ho bisogno di stare con donne vere.” le diede un buffetto sulla guancia “Sceglimi tu gli abiti, così vediamo se hai buon gusto.”

Giuditta si alzò dal letto e andò vicino all’armadio e al comò per guardare gli abiti e decidere. Mentre frugava nel cassetto delle camicie, trovò il proprio cellulare, nascosto sotto gli indumenti. Si stupì: era convinta che si fosse rotto; che glielo avesse fatto riparare? Mah, c’era qualcosa di strano e, prima di fare domande, voleva controllare alcune cose. Prese il telefono e lo tenne nascosto sotto gli abiti che aveva scelto per Gaspare, poi, prima di appoggiarli sul letto, finse che un calzino le cadesse, si chinò per raccoglierlo e infilò il cellulare sotto i propri vestiti, lasciati a terra la sera prima.

Più tardi, dopo la colazione, quando Giuditta rimase da sola, cercò un posto, dove fosse certa non l’avrebbe vista nessuno, e accese il telefonino. Iniziò subito a squillare per notificare almeno una ventina di sms, tutti da parte dello stesso numero che, però, non era registrato in rubrica. I primi messaggi le parlavano di una verifica che il mittente aveva compiuto con Isaia. Giuditta constatò che il racconto corrispondeva a quello che il fratello le aveva fatto circa ciò che era avvenuto sul lago Averno. Gli sms successivi, invece, le chiedevano di lei e avevano un tono preoccupato.

La ragazza non capiva. Cercò allora nei messaggi più vecchi e si rese conto che aveva tenuto fitte conversazioni con quella persona, tutte molto amichevoli, a tratti affettuose. Perché, allora, non aveva quel numero salvato in rubrica? Perché lei non ricordava di aver scritto quelle cose? Perché non aveva idea di chi potesse essere il suo interlocutore?

Si ricordò, allora, del giovane che si era presentato in villa qualche giorno prima, sostenendo di essere suo amico, e che lei aveva trattato più o meno a pesci in faccia perché non aveva idea di chi fosse. Se costui e il mittente dei messaggi fossero la medesima persona?

Ebbe un’idea, cercò nel telefono la galleria delle foto scattate e, come immaginava, trovò delle fotografie di sé stessa in compagnia del ragazzo che era venuto a cercarla pochi giorni prima. Le ultime foto erano di loro due al parco villa di Borghese, la data era del giorno precedente a che lei andasse in villa; vide che aveva salvato le foto con un nome, la didascalia diceva: Io&Stefano <3.

Giuditta non poteva più aver dubbi circa il fatto che fosse accaduto qualcosa: doveva trovare delle spiegazioni.

Decise di optare per un metodo diretto, non si aspettava di ottenere la verità, ma forse avrebbe ottenuto qualche indizio. Mentre aspettava che Gaspare tornasse, Giuditta preparò, nella stanza dei massaggi, l’atmosfera che aveva imparato essere gradita all’uomo: candele e un mix di incenso di sandalo e cannella.

L’uomo tornò in villa dopo pranzo e fu molto contento di trovare l’accoglienza preparata dalla ragazza; si mise a torso nudo, si distese sul lettino, si rilassò e lasciò che la donna gli massaggiasse la schiena, con l’uso anche di oli essenziali.

“Non mi chiedi com’è andata, stamattina?” le chiese lui.

“Ti sei visto con un’altra donna, non mi interessa l’esito.” rispose la ragazza, acidamente.

“Su, niente gelosia! Ricordati che quella che vive qua sei tu e non lei. Tuttavia, sarebbe buona cosa se ti decidessi a migliorare un po’ il tuo aspetto.”

Giuditta si sentì offesa, ma allo stesso tempo aveva paura di far arrabbiare o dispiacere l’uomo.

Lui intanto continuava: “Dovresti iniziare un programma dimagrante, eliminando i carboidrati per un po’. Sei troppo in carne per i miei gusti, devi affinare la tua siluette.”

“Non mi sembra di essere grassa.” osservò timidamente la ragazza, continuando a massaggiare.

“A no? Mettiamo una tua foto in costume in qualche social network e vediamo che cosa dice la rete?” l’uomo sapeva bene quanta crudeltà e stupidaggine ci fosse su internet “Suvvia: basta indulgere ai peccati di gola, non è poi difficile, basta volerlo. Lo sai che non posso portarti fuori di qui o presentarti ai miei amici, finché non arrivi al tuo peso forma.”

“Beh, non è che hai motivo di vergognarti, io sono una ragazza molto intelligente e colta e …”

“E superba!” la interruppe lui “Parlare in questo modo! Comunque, che tu sappia o non sappia cose non ha alcuna importanza! Quando un uomo è in cerca di una fidanzata, chiede agli amici se gli possono presentare una bella ragazza, non una ragazza intelligente. Comunque, oltre al dimagrire, ci sono altri accorgimenti che puoi prendere: depilarti, usare creme per il corpo e truccarti. L’unica volta che ti ho vista con un po’ di ombretto è stata quando siamo stati all’Opera.”

“Beh, per il teatro è naturale …”

“Dovresti farlo più spesso, anzi, tutti i giorni. Così nasconderesti quelle orribili occhiaie che hai, quando ti tengo sveglia tutta notte. Allora, Giudittina, ti impegnerai per essere degna di me, almeno fisicamente?”

“Sì, va bene.” disse lei, non molto convinta “Farò del mio meglio.”

Giuditta non era certa che parlare a Gaspare, in quel momento, fosse la cosa giusta, per cui decise di continuare a fargli il massaggio, tacendo, fino a quando non lo avrebbe visto soddisfatto e ben disposto.

“Brava, bambina, almeno questa è una cosa che sai fare!” si complimentò Gaspare, una decina di minuti dopo, godendosi quel massaggio, si rilassava e sentiva i muscoli stare realmente meglio.

“Sono contenta che tu gradisca. Mi sono impegnata affinché fosse tutto come piace a te, spero di esserci riuscita.”

Gaspare si gloriò tra sé e sé e poi disse: “Bravissima, è così che ti voglio. Ricorda: il tuo unico dovere è quello di soddisfare me … e pure tu sai che l’unico modo per essere felici è di compiere il proprio dovere.”

Rimasero in silenzio per un poco, lei continuava magistralmente il massaggio; dopo un’altra decina di minuti si decise a chiede: “Tu sai chi è quel ragazzo che mi ha cercato l’altro giorno, vero? Tu sai chi è Stefano e come mai mi conosce?”

“Di nuovo lui.” disse l’uomo, piuttosto seccato “Come ti è tornato in mente? Si è ripresentato?”

“No, ma ho trovato il mio cellulare e ho visto che ci sono delle foto di me e lui assieme, siamo felici e sono state scattate di recente. Perché non mi ricordo di lui?”

Gaspare si incupì un poco, ma già sapeva che probabilmente lei, prima o poi, gli avrebbe chiesto qualcosa al riguardo. Si mise a sedere, le prese le mani e, guardandola negli occhi per essere più persuasivo, le disse: “Sì, è vero, io so. Era un tuo carissimo amico o, almeno, tu lo consideravi tale, poi lui ti ha ferita, ti ha fatto tanto male e, allora, disperata, non solo non volevi vederlo mai più, ma non volevi neppure ricordarti di lui, volevi cancellarlo completamente dalla tua vita, eliminare lui e il dolore che ti aveva inferto.”

“Che cosa mi ha fatto?”

Gaspare le fece una carezza sul viso e, con tono triste e dispiaciuto, le disse: “Oh, Giudittina, io non ho animo di raccontartelo. So che sentirlo narrare non è come ricordarlo, le emozioni non possono essere certo le stesse, ma è una cosa che ti farebbe comunque soffrire. Stavi così male! Tu sei la mia piccolina, non sopportavo vederti piangere allora e non potrei certo tollerarlo adesso. Non pensarci più!”

La ragazza capì bene che quella era una menzogna; lo scambio di sms che aveva letto non aveva alcuna traccia di un litigio e le loro comunicazioni si erano interrotte che lei era già in villa, per cui non poteva essere vero che questo Stefano le avesse fatto qualcosa. Comprese anche che Gaspare doveva avere qualche interesse personale nel far sì che lei non ricordasse quel giovane; quale ragione poteva esserci?

Giuditta, comunque, sapeva che sarebbe stato saggio non insistere e fingere di credere a quella bugia, per cui disse: “D’accordo farò come dici e grazie per la premura di volermi risparmiare di ripetere delle sofferenze.”

“Io mi prendo cura di te, come di tutte le altre mie cose.” intanto l’uomo aveva poggiato le mani sui fianchi della donna e li stringeva.

“Grazie, non lo meriterei.” questo lei lo credeva davvero, si era ormai convinta di essere molto poco a confronto di Gaspare e che fosse giusto venerare lui ed essere felice di ogni attenzione che le concedeva.

“Ho un animo caritatevole.”

L’uomo incombeva già sulla giovane. La baciò, sdraiandola sul lettino dei massaggi.

“Non pensare più a quell’idiota.” le disse, ponendosi sopra di lei.

“Come?

Gaspare le sussurrò all’orecchio, mentre la palpava ovunque: “Dimostra che non sei stupida del tutto, ma che hai almeno un briciolo di intelligenza: promettimi che non penserai più a quell’insulso omuncolo che ti ha fatto soffrire e che non ti merita.”

Gaspare, però, si rese conto che si era lasciato sfuggire un mezzo complimento, per cui si affrettò ad aggiungere: “Capisci bene quanto poco valga, se per fino tu sei migliore di lui.”

“Sì, hai ragione. Te lo prometto, non ci penserò più.” disse lei, per farlo contento, ma con la ferma intenzione di scoprire di più su quello Stefano: doveva essere qualcuno di piuttosto importante se Gaspare voleva tagliarlo completamente fuori. Inoltre, chissà se era vera quella storia che lui l’aveva fatta soffrire; se non era una menzogna, allora forse Gaspare teneva davvero a lei.

“Brava, bambina mia, brava!” le disse l’uomo, ormai preso dalla passione, togliendole i vestiti.

 

In Congregazione c’era ancora una grande concitazione per colpa della questione delle succubi e non si curavano minimamente del fatto che i giornali parlassero di Calvi, Sindona, IOR e compagnia.

Il più recente caso balzato all’attenzione era quello di uomini trovati morti ai margini di un boschetto. Le autopsie avevano rilevato che la causa del decesso era fondamentalmente l’inedia, si era infatti riscontrato che tutti quanti erano morti di stenti, privi delle sostanze basilari per la sopravvivenza. Controllando le loro cartelle cliniche e chiedendo ai parenti, non risultava però avessero problemi di quel tipo.

Quando questa segnalazione passò sotto gli occhi di Isaia, egli non poté fare a meno di pensare al caso della presunta epidemia, affrontato pochi giorni prima. Decise di andare a verificare e chiese a Gabriel di andare assieme a lui. Arrivarono presso il boschetto dove erano stati rinvenuti i cadaveri, avevano deciso che Antinori si sarebbe addentrato per primo tra la vegetazione, più o meno solo, tuttavia Isaia lo avrebbe seguito a breve distanza, pronto ad intervenire.

Gabriel si incamminò, nel bosco e dovette camminare più di un’ora prima di sentire un dolce canto riempire l’aria e giungere fino alle sue orecchie. Istintivamente sentì la necessità di seguire quella melodia e così si affrettò ad andare nella direzione da cui proveniva la voce.

Pure Isaia sentì quel canto e non poté fare a meno di trovarle estremamente gradevole, tuttavia non ne rimase ammaliato. Riuscendo a tenere d’occhio l’amico, gli andò dietro per scoprire che cosa accadesse.

Gabriel arrivò in una piccola radura dove vide una giovinetta dalla pelle candida, le labbra rosse e gli occhi azzurri che si stava pettinando i lunghi capelli platino, cantando dolcemente.

Lei lo scorse, gli sorrise e lo salutò: “Buongiorno! Come sta? Vuole farmi compagnia?”

Antinori non rispose, si avvicinò, profondamente attratto da quella ragazza. Sapeva che non era giusta l’attrazione per quella ragazza, eppure non riusciva a reprimerla. Arrivato accanto a lei, le accarezzò i capelli e sentì la tentazione crescere, per cui chiuse gli occhi e ritrasse la mano.

“Cosa c’è? Non le sono simpatica?” chiese lei con tenerezza, sembrando quasi delusa.

Isaia! Dove sei?! –pensò Gabriel, avrebbe voluto rassicurare quella giovane, nonostante sapesse perfettamente trattarsi di una succube.

Per fortuna il gesuita era già lì vicino; uscì presto allo scoperto, brandendo il crocefisso e pronunciando un esorcismo. La succube ringhiò, indietreggiò, ma non poteva nemmeno sperare di resistere; inveì contro l’uomo, poi fu avvolta dal potere dell’esorcismo e scomparve.

Isaia era pienamente soddisfatto, Gabriel molto meno: non riusciva a capire perché reagisse così in quelle situazioni.

Quando tornò in Congregazione e, passando per la biblioteca, vide Stefano, Antinori gli si avvicinò e gli chiese: “Non abbiamo mai parlato di quando ti sei trovato faccia, faccia con la prima succube … com’è stato? Intendo dire, è vero che non ti ha fatto effetto? Non ti ha ammaliato nemmeno un po’?”

“No.” rispose il giovane, non rendendosi conto di quanto quell’argomento turbasse l’uomo “Anzi, mi sono sentito parecchio infastidito.”

“Ah …” Gabriel era deluso, era convinto che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, forse era il suo lato demoniaco ad essere attratto dalle succubi.

Avrebbe voluto chiedere perché, secondo lui, le loro reazioni fossero state così diverse. In fondo, però, che cosa poteva saperne quel ragazzo?

Stefano, invece, aveva trovato una risposta. Si era interrogato in quei giorni circa quella questione, aveva consultato alcuni testi ed era arrivato alla conclusione che l’Arcangelo Gabriele era molto legato alla femminilità e all’amore in quanto atto creativo, mentre Raffaele era maggiormente associato all’amore puro, quello del matrimonio. Forse per questa ragione Gabriel era stato allettato dalla prospettiva di un rapporto con una succube, mentre lui, Stefano, aveva provato stizza, poiché protettore del sentimento sincero e non della passionalità.

Il ragazzo, però, non ne era certo e inoltre non se la sentiva di fare questo ragionamento complesso con il proprio maestro.

Isaia, invece, si era subito recato nel suo ufficio per stendere il rapporto e poi passare subito a controllare le segnalazioni successive. Appena giunse davanti all’uscio, però, rimase un poco inquietato: un pugnale conficcato nella porta, fermava un breve messaggio dei Franchi Giudici che lo convocavano per un incontro quella sera stessa.

Il gesuita si preoccupò: che cosa volevano da lui? Che si fossero accorti della sua alleanza con Serventi? Perché, però, avrebbe dovuto infastidirli? Loro, in fondo, non avevano mai condannato il Candelaio.

Ragionò a lungo sui motivi di quella convocazione, ripensò alla propria condotta e alla fine decise che si sarebbe recato all’incontro armato, per sicurezza.

Alle ventidue e trenta, preciso più di uno Svizzero, Isaia si presentò al crocicchio stabilito, era sempre nel centro di Roma, ma in una di quelle viuzze comunque per nulla frequentate. Questa volta si presentò un solo uomo e il gesuita fu molto contento di questo: significava che non volevano ucciderlo, almeno al momento. L’uomo lo salutò e la sua voce sembrò a Morganti come quella del Franco Giudice con cui aveva parlato mesi prima.

“Sono felice di vederti sano e salvo.” esordì l’incappucciato “Sappiamo che di recente hai rischiato la vita.”

“Sì, all’incirca un mesetto fa, ma sono riuscito a cavarmela, anche grazie a Gabriel.”

“Hai dato prova di grande valore, rinunciando alla tua autorità e mandando a morte i templari, gente indegna.”

“Approvate, quindi, la mia scelta?” quasi si meravigliò Isaia.

“Certamente. Tu saprai, però, che alcuni sono sfuggiti alla morte.”

“Sì, ho visto qualcuno che scappava, non so come mai Serventi li abbia lasciati andare.”

“Lo ignoriamo anche noi. Sta di fatto, però, che non solo loro si sono salvati, ma anche altri che non erano potuti venire alla riunione.”

“Supponevo non ci fossero tutti; e allora? Non possono fare molto, adesso, saranno appena qualche decina.”

“Sono pochi, è vero, ma hanno a propria disposizione armi tremende. Tu, pur essendo stato Gran Maestro, non hai avuto modo di vederle, né di sapere della loro esistenza.”

“Di cosa si tratta?” Isaia si preoccupò alquanto: ormai conosceva i templari e sapeva di cosa fossero capaci nella loro follia.

“L’arca dell’Alleanza, la Verga di Mosè e l’anello di Salomone.” annunciò il Franco Giudice, molto severamente.

“Come?!” il gesuita era incredulo, non credeva che quelle reliquie esistessero ancora.

“Ebbene sì, è così. Loro hanno intenzione di scatenare quelle armi contro chiunque riterranno essere un nemico della Chiesa.”

“Questa si tratta sicuramente di una profanazione del sacro, voi del tribunale della Santa Vehme sarete d’accordo con me, in questo, voi interverrete contro di loro, vero?”

“Sì, faremo quanto ci è possibile, ma non è molto contro quelle armi, dovrà occuparsene un potere maggiore del nostro.”

“E chi?”

“Tu, Isaia, tu e chi è come te. Il tempo sta per scadere. Lo sai anche tu. Pure tu hai sentito profetizzare: Roma cadrà sotto i colpi del’Anticristo. Noi faremo tutto ciò che ci sarà possibile, ma le nostre più vive speranze sono, ovviamente, in voi.”

Detto ciò, il Franco Giudice si dileguò. Isaia rimase solo a pensare: che cosa intendeva dire dicendo te e chi è come te?

Dopo aver ragionato per qualche minuto, arrivò alla conclusione che si riferisse al suo discendere da Giacomo il Giusto e chi era come lui doveva per forza di cose essere il discendente di Giuda, quindi Bonifacio. Decise, quindi, di andare il giorno seguente a riferire a Serventi della faccenda e ad ascoltare il suo consiglio.

 

Il mattino seguente, la Congregazione era sprovvista dei suoi vertici, in quanto Isaia si era presentato giusto il tempo di avvertire che un impegno improrogabile esigeva la sua presenza altrove, mentre Gabriel non si era preso nemmeno il disturbo di avvisare e semplicemente non si era presentato. In fondo, lui era il capo del Direttorio e poteva comportarsi come meglio credeva, senza dover rispondere a nessuno.

Gabriel non si era presentato al lavoro per il semplice fatto che Claudia gli aveva domandato di vedersi; gli aveva lasciato un biglietto sotto l’uscio di casa il pomeriggio prima in cui gli diceva che era molto soddisfatta della prova d’amore che aveva ricevuto e che lo voleva incontrare per parlargli della seconda e ultima dimostrazione che pretendeva.

Gabriel, allora, si era tutto emozionato, sapeva bene che quei momenti erano decisivi per il suo futuro ed era ben risoluto nel non deludere la donna che amava e nel consegnarle qualsiasi cosa ella desiderasse.

Perfettamente in ordine, si presentò al Caffè dove la donna gli aveva dato appuntamento. La aspettò per oltre un’ora e provò a telefonarle, ma il cellulare squillava a vuoto. L’uomo si stava preoccupando parecchio, quando la psicologa arrivò. Disse che aveva trovato parecchio traffico e che aveva scordarono a casa il telefono. Ordinarono la colazione e Gabriel si premurò di domandarle come stesse, come procedesse il lavoro e, soprattutto, com’era andata l’ultima visita dal ginecologo, visto che ormai si erano conclusi i primi sei mesi di gestazione. La donna rispose, stando piuttosto sul vago e generico, poi disse: “Sarò felice di darti maggiori notizie su di me e il bambino, quando avrai finito di dimostrare di amarmi veramente.”

“Sono qui per questo. Dimmi quello che devo fare e consideralo già fatto.”

“Oh, non sai quanto mi facciano piacere queste parole, ma sarò più contenta, quando diventeranno realtà. Allora, come ti ho detto la scorsa volta, io temo che ci siano due cose che anteponi a me e quindi devi convincermi che non è così. Per quanto riguarda la Chiesa ci sei riuscito perfettamente: hai fatto la cosa giusta a portare alla luce quel marcio che c’era e, chissà, quanto ancora ne è rimasto nascosto! Passiamo, allora, alla seconda questione: Isaia.”

“Suvvia Claudia, lui è un mio carissimo amico, certo, ma non lo anteporrei mai a te.”

“Mi pare di ricordare di averti detto di non pensare a lui, di non perdonarlo, mentre tu hai fatto tutto il contrario!”

“Ma …”

Shhh! Niente ma. Voglio che sparisca dalla nostra vita e che non abbia mai più la possibilità di entrarci!”

“Vuoi che lo licenzi e lo faccia destinare a qualche diocesi dall’altra parte del mondo?!” Gabriel era interdetto: era una prospettiva molto dura e gli sembrava più improponibile che mettere nei guai la Chiesa come aveva fatto.

“No, Gabriel, voglio che tu lo uccida!”

“Cosa?!” Antinori era esterrefatto, gli sembrava di essere in un incubo.

“È un traditore che ti ha sempre e solo fatto del male, è giunto il momento che paghi per tutto quello che ha fatto e, soprattutto, bisogna togliergli la possibilità di ferirti di nuovo! Sono più che sicura che potrebbe arrivare a prendersela con il bambino, potrebbe fargli del male!”

“Claudia, non ti sembra di esagerare?”

“No! In questo momento, lui si trova da Serventi, secondo te che cosa ci è andato a fare se non per complottare qualcosa contro di te, contro di noi?!”

“Tu come fai a sapere che è lì?”

“Lo so e basta! Non ti fidi più di me?!” Claudia era arrabbiata e ferita, aveva gli occhi lucidi.

Gabriel non ce la faceva a vederla in quelle condizioni, per cui acconsentì: “E va bene, adesso andiamo da Serventi, se effettivamente Isaia si trova là, farò quel che mi hai chiesto, ma se non ci sarà, ridimensionerai la tua richiesta, d’accordo?”

La donna non era convinta, ma accettò, quindi prese le chiavi dell’automobile e con l’uomo si avviò verso la villa.

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Capitolo 37
*** Il doppione ***


Erano le dieci del mattino, circa, Gaspare rientrò in casa dopo un breve salto in città per comperare un regalino a Giuditta. L’aveva vista un po’ troppo interessata alla faccenda di Stefano e, nonostante avesse sviato la sua attenzione, aveva voluto fare qualcosa per dimostrare che ci teneva a lei, ma al tempo stesso ribadire la propria autorità.

Aprì la porta dello studiolo dove, in quel momento, si trovava la ragazza e si fermò qualche momento ad osservarla: gli piaceva e parecchio, apprezzava la sua cultura, la sua istruzione e la sua forma mentis, anche se aveva dovuto tenerlo nascosto; ora, che aveva mitigato il suo carattere rendendola docile, obbediente, dolce e premurosa, la considerava veramente una compagna ideale e aveva intenzione di tenersela ben stretta.

Giudittina!” la salutò.

La ragazza si voltò verso di lui, sorridente e gli chiese: “Sei già di ritorno?”

“Sì, è stata una questione breve. Tu, cosa stai facendo?”

“Niente di speciale, leggevo.”

“Leggere è sempre speciale. Che volume hai scelto?”

“Uno studio sul culto di Mitra, dalle attestazioni vediche, fino ai misteri di epoca imperiale.”

“Brava; brava che hai capito che non devi mai smettere di studiare.”

“Gaspare …” disse lei, timidamente.

“Sì?”

“Io vorrei uscire di qua, qualche volta, e riprendere a fare qualcosa, dedicarmi a qualche attività … se non ti dispiace.”

“Perché dovrebbe dispiacermi? Certo che puoi; a che cosa pensavi?”

“Non lo so di preciso. Non voglio riprendere quello che facevo prima, non ne sono degna.”

Gaspare sapeva bene che quella’affermazione era frutto della sua mortificazione, tuttavia domandò: “Come mai? Che facevi?”

“Guidavo verso la Verità massoni, buddisti e mistici di ogni tipo, o almeno credevo. Tu mi hai fatto capire quanto sono distante e, quindi, non mi sembra giusto continuare.”

“Oh, carina! Non ti preoccupare, vedrai che ti verrà in mente qualcosa da fare. Ti aiuterò a pensare e ti darò qualche suggerimento. Intanto, però, ho un regalino per te.”

“Davvero?!” si meravigliò Giuditta, emozionatissima, le batteva il cuore forte per la contentezza.

“Certo. È un piccolo premio per i progressi che hai fatto ultimamente ed è un incoraggiamento a proseguire in questa direzione.”

“Oh, Gaspare! Grazie, grazie!” la ragazza era contentissima.

“Aspetta almeno di vedere che cos’è.” la richiamò lui.

“Il semplice fatto che tu mi abbia fatto un regalo, mi rende felice, indipendentemente da quello di cui si tratta.”

Il giovane le porse una scatolina rettangolare, alta due dita e mezzo, chiusa nella carta regalo di una gioielleria. Questo rallegrò e stupì maggiormente la donna. Scartò il pacchetto, sollevò il coperchio e trovò una catenina d’argento a cui era attaccata, come ciondolo, un campanello di discrete dimensioni.

Giuditta rimase perplessa solo qualche istante, poi fu di nuovo vinta dalla gratitudine e dalla felicità.

“Ti piace, allora?”

“Sì, è molto bella.”

Gaspare prese la catenina e la mise al collo della ragazza, dicendole: “Promettimi che la porterai sempre.”

“Certo, non me ne separerò mai.” rispose lei, in fondo orgogliosa di poterla indossare.

L’uomo con l’indice colpì il campanello facendolo tintinnare e disse: “Così saprò sempre quanto mi sei vicina ... adesso, per esempio, non è abbastanza.”

Lei gli si accostò e chiese: “Così va bene?”

“Perfetto.” rispose lui, cingendola con le braccia, e poi la baciò.

Si sentì il campanello di casa suonare. Gaspare si stupì, poiché non si aspettavano ospiti, si affacciò alla finestra per vedere di chi si trattasse e vide Isaia fermo davanti all’uscio di casa.

“È tuo fratello … aspetta, non andare subito da lui: prima io e mio padre sentiamo che cosa vuole, poi, tra una ventina di minuti, puoi scendere. Intanto, continua a studiare … che poi interrogo.” aggiunse con un tono malizioso.

La giovane fece cenno di sì con la testa, così tintinnò la campanella e questo fece ridere Gaspare che, poi, uscì dalla stanza e scese al piano di sotto. Arrivato in salotto, trovò di già il padre a colloquio con Isaia.

“Gaspare, giungi a proposito.” esordì Bonifacio, facendogli cenno di accomodarsi “Il nostro buon Isaia mi stava raccontando cose molto interessanti sui suoi vecchi compagni di giochi.”

“Ah, i templarucci!” esclamò il giovane “Cosa stanno combinando, adesso?”

Il gesuita, con fare solenne, ma senza nascondere la preoccupazione, spiegò: “So per certo che hanno deciso di intraprendere una nuova crociata contro i nemici della Chiesa e intendono avvalersi di armi come l’Arca dell’Alleanza, l’anello di Salomone e la verga di Mosè.”

“La cosa ti turba?” domandò, serafico, Serventi.

“Voi no?”

“Assolutamente, eravamo consapevoli che, presto o tardi, ciò sarebbe accaduto.”

“Siete dunque preparati ad affrontare una situazione del genere?”

“Siamo preparati alla fine di questo mondo, ricordi?”

“Sì, ma … Se loro useranno quelle armi, allora bisognerà affidarsi totalmente a Dio, poiché solo lui potrebbe rimediare alla situazione! Sono reliquie potentissime, potrebbero distruggere tutto quanto e non ci sarà più nessun mondo dove si possa realizzare il nuovo regno.”

“Che radano pure tutto al suolo, la cosa non mi tange.” replicò il Candelaio, con un tono di sufficienza, forse leggermente tediato.

“Non capisco … e poi, insomma, con quelle armi potrebbero riuscire ad uccidere Gabriel, ve ne rendete conto? Che fine farà il nostro progetto?!” Isaia era incredulo, non riusciva a capacitarsi del perché Bonifacio non fosse affatto preoccupato.

“Ascoltami, tu hai preso coscienza che l’anticristo deve arrivare?”

“Sì certo.”

“Allora lascia che i templari agiscano come stanno progettando.”

Isaia non sembrava ancora convinto del tutto.

Bonifacio alzò leggermente lo sguardo, come divertito dall’incredulità del gesuita, a cui disse: “C’è un’altra cosa di cui devi renderti conto: vuoi arrivare da solo alla soluzione, oppure vuoi che te lo dica io?”

“Preferirei comprendere autonomamente.”

“Va bene, scelta giusta. Mi limito solo a consigliarti di concentrarti sull’esorcismo di Leone XIII, sul vangelo di Giuda, sui testi di Giacomo e, se vuoi rimanere nel canonico, poni attenzione a quando nei vangeli vengono usati i nomi di Pietro e Simone.” concluse Serventi.

Parlarono ancora qualche minuto, finché Gaspare non interruppe la conversazione: “Shhh, sentite?”

Un tintinnio in avvicinamento.

“Sì, sembra un campanello.” rispose Isaia, tendendo le orecchie.

“Già e significa che tua sorella sta arrivando.”

Il gesuita rimase stupito, ma poco dopo capì, vedendo entrare Giuditta con indosso il recentissimo regalo.

“Che cosa ti dicevo?” sogghignò il giovane.

Isaia non era affatto contento, ma non disse nulla, si limitò a ricambiare calorosamente il saluto della sorella, la quale, però, subito dopo, andò a sedersi accanto a Gaspare.

“Padre, mi permetti una dimostrazione del mio lavoro con Giuditta?”

“Oh, certamente!” si compiacque Bonifacio che, con occhi che brillavano, si rivolse all’ospite: “Ti preoccupi per il fatto che i templari potrebbero distruggere ogni cosa; ora ti mostreremo come mai la cosa non ci preoccupa. Vieni, andiamo in giardino: c’è bisogno di spazio.”

Tutti e quattro uscirono all’aperto e raggiunsero una zona del grande parco che circondava la villa, poi Gaspare e Giuditta si allontanarono di qualche metro.

“Che cosa fanno? In che cosa hai coinvolto mia sorella?” chiese Isaia, senza riuscire a nascondere del tutto la preoccupazione.

“Oh, lo vedrai presto.”

Il gesuita guardò e vide la sorella e l’uomo fissarsi negli occhi, poi, d’improvviso, tutto divenne desertico.

“Ecco, ora hanno il loro foglio bianco su cui disegnare.” commentò Bonifacio.

Cominciò a rispuntare l’erba, poi dei germogli che in un batter di ciglia divennero arbusti e poi alberi, ma non quelli che c’erano prima, bensì piante di vario genere che in Italia non si trovavano, spuntarono anche alberi da frutto carichi di papaie, manghi e avocadi. Si andò poi componendo anche una piccola capanna e poi uscirono, chissà da dove, conigli, volpi, procioni e molti altri animali.

Isaia osservava incredulo: non capiva come ciò fosse possibile, ma era estasiato.

Quand’ebbero finito, Gaspare e Giuditta tornarono dagli altri due, tenendosi per mano.

“Allora, hai visto che cosa possono generare loro due, assieme?” chiese Serventi “Finché loro saranno uniti, io non mi preoccuperò della distruzione del mondo.”

Al gesuita sembrava strana la famigliarità tra la sorella e il figlio di Serventi, per cui chiese: “Giuditta, posso parlarti a quattr’occhi, un momento?”

La ragazza gli si avvicinò, lui guardò gli altri e si scusò, poi, voltate le spalle, chiese: “Ti hanno fatto qualcosa?”

“No. In che senso?”

“Beh, trovo improbabile la tua confidenza con Gaspare, non ti era simpatico e, anche l’ultima volta che ti ho vista, non mi era parso che le cose fossero molto migliorate.”

Giuditta si intenerì per la preoccupazione del fratello e gli disse: “Sbagli, già allora avevo cambiato opinione su di lui, poi abbiamo avuto modo di conoscerci meglio e, adesso, stiamo splendidamente assieme. Non pensi anche tu che sia una buona cosa?”

“Certo; ho avuto modo di conversare con Gaspare, durante il mio soggiorno qui, e certamente lo stimo. Volevo semplicemente essere certo che il tuo fosse stato un cambiamento spontaneo e non forzato, chessò, da quelle invasioni psicologiche.”

“Oh, no, no.” lo rassicurò lei “Se mai, l’unica cosa che mi hanno causato, è stato l’essere sincera, nulla di più.”

“D’accordo, allora va bene così, sono contento per te.”

“Grazie!” gli sorrise lei “Devi andare subito oppure puoi fermarti un poco?”

“Mi sono preso l’intera mattina libera, per cui se mi vuoi qua, resto molto volentieri.”

“Certo che ti voglio qui: passi così di rado!”

“Eh, lo so, scusami, ma in Congregazione stiamo dando la caccia a parecchie succubi e, poi, forse avremo anche da lavorare sull’inspiegabile fuga di notizie.”

“Sì, ho letto. Capisco che sei molto impegnato, per cui godiamoci questo momento.” si voltò verso i padroni di casa e chiese: “Gaspare, possiamo offrire un tè a mio fratello?”

“Per me non c’è problema; padre?”

“Non vedo perché no: è uno di noi, ormai. Venite, rientriamo, io do ordine di preparare.”

Detto ciò, Serventi rientrò assieme agli altri tre.

 

In Congregazione, Stefano e Alonso stavano continuando a vagliare le ultime segnalazioni arrivate. Verso le dieci e mezza o poco più, arrivò Claudia. Aveva un’aria a metà tra il seccato e il preoccupato, si avvicinò a passi svelti ai due che conosceva e chiese: “Dov’è Gabriel?”

“Non saprei.” rispose Alonso, sorpreso.

“Ah, non lo avete visto, questa mattina?” chiese la psicologa, senza variare umore.

“No; porché?”

“Mi ha telefonato, più volte. Lì per lì non gli ho risposto perché sono ancora furiosa con lui, ma poi  mi è venuto il dubbio che potesse avere qualche problema serio, per cui sono venuta a cercarlo.”

“Me spiace ma non poso aiutarte, segnorita.”

“Aspetta.” intervenne Stefano “Perché dici che sei ancora furiosa con lui? Non stavate risolvendo?”

“No, io è da quando l’ho cacciato fuori di casa che non gli parlo. Scusa, che cosa vi ha raccontato?”

“Beh, che vi siete visti, che avete parlato e che lo stavi mettendo alla prova.”

“Si è inventato tutto! Io non lo vedo da parecchi giorni!” Claudia era ancora più arrabbiata per il fatto che Gabriel andasse in giro a raccontare certe bugie.

“No, questo è impossibile.” la contraddisse il ragazzo.

“Stefano, penso di sapere perfettamente cosa ho fatto e cosa no.”

“Io stesso vi ho visti parlare assieme, non più tardi di una settimana fa!” esclamò il seminarista.

Claudia tacque e lo guardò sorpresa e incredula, lui ricambiò quello sguardo. Alonso osservò: “Potrebe tratarse de qualcosa de male. Io provo a cercare ne i libri, voi andate da Isaia e spiegategli cosa sta acadendo.”

“Perché non ne parliamo direttamente con Gabriel?” propose Stefano.

“Non ho voglia di vederlo, per il momento, non sono pronta.” ribatté Claudia.

“E poi Gabriel non sapiamo donde sta, per Isaia invece avemo un indicio: ha deto che andava da su sorela.”

“Ah, questo semplifica le cose.” commentò la psicologa, ironica; non aveva nemmeno molta voglia di vedere Morganti.

“Io so dov’è.” annunciò Stefano “Ti faccio strada.”

La psicologa e il seminarista uscirono e presero l’auto della donna.

 

Gabriel e Claudia arrivarono di fronte alla villa di Serventi.

“Visto? Che ti avevo detto?” disse subito la donna “Quella è l’auto di Isaia, quindi lui è qui.”

Antinori era parecchio rattristato per quello, però cercò di farsi forza: “Il fatto che lui sia qui, non implica che lui stia confabulando qualcosa.”

“Cos’altro sarebbe potuto venire a fare, qua?”

“Magari lo sta combattendo …” ipotizzò Gabriel, poco convinto.

“Quando la finirai di difenderlo, che cosa dovrà farti per convincerti che è una pessima persona? Sei proprio uno smidollato!” lo rimproverò malamente lei.

“Ma io …”

“Allora, Gabriel, te lo dico chiaro e tondo, visto che ti stai facendo così tanti problemi. Vuoi sapere come mai so che Morganti è da Serventi? Perché, per fortuna, mi sono trovata nello stesso bar in cui ieri sera Isaia stava bevendo un caffè e ho accidentalmente sentito la conversazione che stava avendo al telefono proprio col Candelaio. Vogliono uccidermi, Gabriel!”

Bastarono queste parole, senza ulteriori spiegazioni, per vincere in un attimo ogni titubanza dell’uomo.

Anzi, Gabriel fu preso dalla rabbia, i suoi occhi divennero rossi, le sue mani crepitarono.

Scagliò una saetta di fuoco contro il cancello principale, poi si precipitò come una furia verso la villa e, alla stessa maniera, fece saltare per aria il portone di casa ed entrò, gridando: “ISAIA!!! Traditore!”

Piombò nella sala principale, dove i Serventi e i Morganti stavano prendendo il tè. Tutti quanti furono piuttosto sorpresi.

“Gabriel!” esclamò Isaia, alzandosi in piedi.

Non ci fu tempo di aggiungere altre parole, che Antinori formò una sfera di fuoco e la scagliò contro il gesuita, che fu sbalzato di qualche metro, ma subito si alzò in piedi e chiese: “Che cosa ti prende, fratello?”

“So che cosa volete fare! Non vi permetterò di fare del male a Claudia! Vi ucciderò tutti, a partire da te!”

“Sei completamente impazzito!” gli urlò di rimando Isaia, spazientito “Devi smetterla di lasciarti comandare dalla Munari, cerca di ragionare!”

“Taci, traditore!”

Isaia –rimbombò la voce di Serventi nella testa del gesuita- Attaccalo.

-Cosa?

-Ti sta aggredendo: reagisci.

-Io non posso, non ho mai …

-Isaia, prova la tua lealtà a me e attacca Gabriel; ti ricordo che, nonostante tutto, tua sorella è nostro ostaggio e tu non vuoi che venga lasciata qualche ora con Jacopo. So quel che dico, non deludermi.

Il gesuita si fece forza: effettivamente lo irritava parecchio che l’amico fosse piombato lì, in quel modo, accusandolo senza prove. Intravide la Munari in fondo alla stanza e si ripeté che era stata lei ad aizzare Antinori. Provò rabbia.

Un altro guizzo di fulmine attraversò la stanza, questa volta, però, non era uscito dalle mani di Gabriel, ma di quelle di Isaia e si abbatté contro l’ex gesuita.

Serventi sorrise: era estremamente compiaciuto nel vedere i due arcangeli combattersi l’un, l’altro.

Giuditta era spaventata, mosse un paio di passi verso il fratello, ma Gaspare l’afferrò, la tenne stretta, con la schiena di lei attaccata al suo torace e le disse: “Ferma, è pericoloso per te. Tra di loro, invece, non possono farsi nulla; nulla di serio, almeno. Mio padre vuole che prendano maggiore coscienza dei loro poteri.”

“Ha organizzato lui, questo?”

“No. Ne sa quanto noi, ma lui coglie sempre tutte le occasioni che capitano.”

Gabriel e Isaia, per lo più, stavano continuando a scagliarsi fulmini. Fu allora che sopraggiunsero anche Stefano e una seconda Claudia. Il giovane, vedendo i due uomini combattere tra di loro, senza pensarci un momento, agendo di puro istinto, si frappose fra i due, tendendo una mano da un lato e una dall’altro, assorbendo i fulmini di entrambi.

I due amici rimasero alquanto sorpresi. Stefano esclamò: “Fermatevi! Gabriel, perché stavate combattendo?!”

“Lui e questi infami vogliono uccidere Claudia!” ringhiò Antinori, ancora furioso.

“È una menzogna!” ribatté Isaia.

“Claudia non mi mentirebbe mai!”

Stefano cercò di spiegargli: “Tu hai parlato con una finta Claudia … oppure io. C’è qualcuno che si sta fingendo lei!”

“Sono io quella vera!” si sentì una duplice voce esclamare, dal fondo della stanza.

Tutti si voltarono e videro che c’erano, vicino alla porta, due dottoresse Munari, esattamente uguali l’una all’altra, anche nei vestiti. La Claudia che era andata con Gabriel aveva mutato i propri abiti in quelli della vera: ora chi poteva distinguerle?

“Gabriel, ti prego, credimi, sono io!” implorò una.

“Chiedimi quello che vuoi, ti dimostrerò che sono la vera!” propose l’altra.

Isaia era certamente sorpreso, ma non più adirato.

Gabriel era estremamente confuso, si avvicinò ad entrambe, senza capire cosa fare; loro, intanto, continuavano a pregarlo di credere che erano loro la vera Claudia.

Stefano si accostò al suo maestro, gli mise una mano sulla spalla e gli sussurrò: “So che puoi capire quale sia la vera: l’amore ti guiderà.”

Il seminarista percepì un’energia emanare dal proprio palmo ed entrare in Gabriel: in quanto Raffaele, stava facendo emergere la forza dell’amore vero.

Gabriel guardò entrambe negli occhi e non ebbe più dubbi; presse per mano quella di sinistra e la tirò verso di sé, poi guardò torvamente l’altra e chiese: “Chi sei?!”

Quella, di rimando, sogghignò e disse: “Un'altra figlia di Malpas, peccato che tu te ne sia accorto.”

“Perché volevi farmi uccidere Isaia?”

“Chi di noi non lo vorrebbe morto? Dal momento che per noi è impossibile aggredirlo, Malpas aveva sperato di potersi servire di te.”

“Perché mi stai raccontando tutto?”

“Devo rispondere, non posso oppormi ai tuoi ordini.”

Gabriel la guardò ancora un attimo e poi disse: “Isaia, pensaci tu.”

“Con piacere.”

Il gesuita si accostò alla donna, pronunciò una formula di esorcismo e le fece una croce sulla fronte. La succube iniziò e sfrigolare, a fumare e si dissolse.

Gabriel si voltò subito verso l’amata e sospirò: “Claudia …”

“Non parlare, Gabriel, come hai potuto credere che quella fossi io?” lo rimproverò la donna.

“Beh, aveva assunto il tuo aspetto …”

“Ti ha istigato lei contro Isaia?”

“Sì.”

“Pensi davvero ch’io potrei chiederti di uccidere qualcuno?”

“No, ma … quando era nelle mani di Serventi, mi avevi consigliato di lasciarlo morire, non è in fondo la stessa cosa?”

“Se pensi davvero questo di me, allora non mi conosci affatto e mi conferma che è meglio che tra di noi sia finita.” si voltò di scatto e andò verso la porta.

Gabriel provò a seguirla e a dire: “Ma io ero così felice di riaverti che non volevo pensare che …”

Inutile, la donna si allontanava a passo svelto.

L’uomo ritornò in salotto, sconsolato. Isaia gli mise una mano sulla spalla e gli disse: “Fatti coraggio, fratello, vedrai che capirà.”

Si aggiunse Stefano: “Dalle tempo, la conosco, si calmerà. Se vuoi le parlerò anch’io o chiederò a mio padre.”

Gabriel preferì pensare ad altro e gli balenò nella mente un’osservazione, guardò Isaia e disse: “La succube, però, aveva ragione su una cosa, almeno: tu sei qui! Perché?” la voce era macchiata di rabbia “Che cosa fai con Serventi, alle mie spalle?”

“Questo è presto detto, fratellino.” Gaspare rispose immediatamente, togliendo dall’imbarazzo il gesuita “Siccome io e Giuditta siamo diventati molto intimi, ultimamente.” mise un braccio attorno alla vita della giovane e la strinse a sé “E dal momento che Isaia non aveva un buon ricordo di me e mio padre, dopo la sua permanenza qui, lo avevamo invitato a bere un tè per riconciliarci. Una delle prossime sere dovremmo uscire assieme io, lei, tu e suo fratello.”

“Ah, capisco.”

“Io, invece, no.” si intromise Stefano “Che cosa vuol dire che tu e Giuditta siete diventati piuttosto intimi?”

“Oh, non mi stupisco di dovertelo spiegare.” ghignò Gaspare “Si tratta di questioni che ti erano estranee anche prima di entrare in seminario. Tra me e lei c’è intesa, affinità mentale, sintonia; io le do ciò di cui ha bisogno e lei fa quello che voglio: una relazione perfetta.” poi con l’indice sfiorò il campanello, lo fece tintinnare e chiese: “Ti piace il ciondolo che le ho regalato? L’ho fatto fare apposta per lei. Carino, vero?” sapeva di infastidire parecchio il giovane; poi disse alla ragazza: “Bambina, da brava, saluta Isaia e Gabriel e poi vai a fare quattro passi in giardino. Io ti raggiungo a breve.”

Giuditta obbedì subito, baciò sulla guancia l’uomo, abbracciò il fratello e salutò Antinori. Tutto ciò sotto lo sguardo attonito di Stefano che, stupito e rattristato, la seguiva con gli occhi e poi rimase attonito, in silenzio.

Dal canto proprio, però, Gabriel non era ancora convinto e chiese: “Un tè vi avrebbe riconciliati?”

Isaia tentò: “Da una parte, non siamo più in guerra con loro fin dalla grigliata in cui abbiamo preso i nostri accordi; comunque, no, non sarebbe bastato a riconciliarci del tutto, nemmeno se tu non ci avessi interrotti.”

“Perché non me ne hai parlato? Avresti potuto informarmi.” replicò Antinori.

“Mi hanno invitato ieri sera, non vedevo la necessità di telefonarti ed avvisarti, quando avrei potuto raccontarti tutto oggi pomeriggio.”

“Fratellino” intervenne Gaspare “Quella succube voleva che tu uccidessi Isaia, per cui non oso immaginare quali bugie si sarà inventata per persuaderti, ma ti garantisco che lui è qui unicamente per cercare di imparare a non odiare il probabile suo futuro cognato.”

Gabriel ci pensò un attimo e, sapendo quanto quell’essere lo avesse ingannato, trovò altamente probabile che gli avesse mentito anche in quello, per cui disse: “Sì, mi avete convinto.”

“Bene, allora organizzeremo una cena tutti quanti assieme per una delle prossime sere.” poi spostò lo sguardo sul seminarista e gli disse: “Tu no, Pigolo, i bambini non sono ammessi.”

“Pigolo?!” ripeté Stefano in un misto stupore e ribrezzo “Questo da dove salta fuori?”

“Perché pigoli sempre, come un pulcino tedioso!”

Il giovane lo guardò torvamente, ma considerò inutile mettersi a discutere.

Gabriel disse: “D’accordo, va bene, ma prima vorrei un paio di chiarimenti, Isaia: primo, da quando lanci fulmini?”

“Da ora.” rispose il gesuita che, fino ad allora, non si era soffermato a pensare a quel dettaglio “Per essere più preciso, mi capita qualcosa di simile quando esorcizzo, ma non credevo di poter far ciò anche su persone normali.”

“Forse è perché non sono normale e c’è qualcosa di demoniaco in me!” si rabbuiò parecchio Gabriel.

“Non lo pensare nemmeno!” esclamò Stefano, che non voleva vedere triste il proprio maestro “In fondo i suoi fulmini non ti hanno fatto male.”

Quanto avrebbe voluto raccontare  la questione degli arcangeli!, ma ancora non sapeva se poteva, se fosse il momento.

“Perché, allora, i demoni mi considerano l’unico in grado di ucciderlo?”

“Perché sono ignoranti.” si limitò a rispondere Serventi “Ora basta, l’argomento è chiuso: andatevene.”

Bonifacio uscì dalla stanza, senza aggiungere altro. Gaspare fece gli onori di casa accompagnò gli altri alla porta, anche se era stata distrutta e, dopo averli salutati, andò da Giuditta.

Isaia, uscendo dalla villa, sentì la voce di Serventi nella propria testa dirgli: Impara a percepire le presenze demoniache.

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Capitolo 38
*** La rabbia di Stefano ***


Giuditta uscì dal cancello della villa di Serventi, in sella ad una bicicletta. Si stava recando alla più vicina fermata degli autobus, dove avrebbe preso quello che l’avrebbe portata in centro città. Aveva deciso di andare in Congregazione per incontrare quel ragazzo di nome Stefano e cercare di capire qualcosa di ciò che non ricordava. Le era dispiaciuto, il giorno prima, quando era sopraggiunto assieme ad Antinori, non potergli dire nulla, ma sapeva bene che Gaspare non avrebbe voluto e, quindi, non l’aveva fatto. Quella mattina, però, che era sola, aveva deciso di approfittarne per andare a trovarlo e chiedergli informazioni.

Fortunatamente, quel giorno, Stefano non aveva lezioni al mattino e dunque si trovava già nella biblioteca della Congregazione. Quando vide la ragazza varcare la soglia, ebbe un sussulto e per un poco non seppe se essere felice o arrabbiato.

La donna si avvicinò al tavolo dove lui era seduto ed esordì con un semplice: “Salve.”

“Giuditta!”esclamò Stefano, con un istintivo sorriso, per poi essere speranzoso: “Ti ricordi di me?”

“No, ma vorrei tanto.”

La bibliotecaria fece loro cenno di stare zitti o uscire, per cui il seminarista fece strada all’altra per andare nel cortile e, una volta all’aperto, le disse: “Mi fa piacere vederti, senza quell’imbecille vicino.”

“Di chi parli, scusa?” si accigliò lei.

“Di Gaspare, ovvio!”

“Preferirei che tu non lo chiamassi così, almeno in mia presenza.” disse severamente la giovane.

“Cosa?!” si meravigliò Stefano “Tu lo odi!”

“No, non è affatto vero, anzi! È un uomo straordinario che ammiro moltissimo.” ribatté Giuditta.

“Che cosa ti ha fatto?” si preoccupò il ragazzo “Tu non diresti mai una cosa del genere su di lui.”

“Invece sì. È vero, quando l’ho conosciuto non sopportavo alcuni suoi atteggiamenti, ma erano assolutamente giustificati dalla mia arroganza.”

“Arroganza?” sbalordì Stefano che non capiva “Volevi solo un minimo di rispetto e che riconoscesse le tue qualità.”

“No, non è vero. Pretendevo che mi trattasse come sua pari e che mi riconoscesse meriti che non ho. Non stavo rispettando la gerarchia; senza accorgermene, mi stavo comportando in modo anarchico, quando mi è stato più chiaro quali differenti posizioni io e lui occupiamo sulla scala verso la Verità, allora ho iniziato a comportarmi adeguatamente e le cose sono andate meglio.” la donna aveva usato un tono deciso.

Stefano era incredulo: “No, Giuditta, non è così. Il fatto che lui si sia comportato da superiore fin da subito e ti abbia disprezzata pesantemente, non significa che tu gli sia effettivamente inferiore. Io ti conosco, ho visto cosa sai fare, e so che sei una donna straordinaria, dalle conoscenze e capacità vastissime.”

“Certo, sono migliore della maggior parte delle persone, ma Gaspare è ancora più in alto di me e sono molto felice che abbia deciso di dedicarsi a me.”

“Non oso pensare in che maniera.” replicò Stefano, parecchio stizzito “Ti ha messo un campanello al collo come fossi il suo gatto! Non capisco come Isaia possa tollerare che ti trattino in quel modo.”

“Mio fratello, a differenza tua, riesce ad accettare che io, volontariamente, abbia cambiato il mio atteggiamento verso Gaspare e sono felice.”

“No. Tu sei stata condizionata dal suo modo umiliante di trattarti e ora ti comporti negando te stessa!”

“Ascoltami bene, io non sono venuta qui per parlare di me o di Gaspare, io sono venuta qui solo perché volevo cercare di ricordare qualcosa di te e me.”

“Di me e di te?!” Stefano non era affatto calmo “Ci siamo conosciuti tre mesi fa, circa, e siamo diventati subito amici profondi. Mi è bastato conoscerti e ricevere i tuoi incoraggiamenti e sproni, per vincere le mie gravi insicurezze e poter essere più certo di me, più pronto all’azione. Eravamo felici in reciproca compagnia; mi hai voluto vedere, prima di partire per andare in quella dannata casa di Serventi.”

“Può essere, non ricordo …” disse, mesta, la donna.

“Vuoi delle prove? Mi hai permesso di sapere che sei nei Franchi Giudici, mentre a Gabriel hai cancellato la memoria al riguardo. Mi hai rivelato che io sono l’arcangelo Raffaele, mentre tuo fratello è Michele e Gabriel è Gabriele.”

“Menti! Questo è impossibile, io so perfettamente che sono cose che non si possono svelare, quindi stai dicendo una bugia.”

“No, assolutamente, è vero! Me lo dicesti prima di partire, perché non mi volevi lasciare da solo con i miei timori e i miei dubbi sui poteri che avevo!” Stefano era molto triste, quasi disperato: voleva che lei ricordasse, che lei tornasse in sé.

“Senti, credo al fatto che fossimo amici, anche Gaspare ha detto che lo eravamo, voglio però sapere che cosa sia successo, perché non mi ricordo di te.”

“Perché quel gran bastardo, che poco ci manca che ti tenga a guinzaglio, a quanto pare, mi odia e ha deciso di cancellarmi dalla tua mente, non so se perché ti voglia solo per sé o quale altra ragione.”

“Ti ho detto di non offendere Gaspare!”

“Io lo offendo quanto mi pare, quello stronzo che ha privato me della tua amicizia e ha tolto a te il tuo amor proprio!”

“Lui ha detto che mi hai fatto soffrire, è vero?”

“Assolutamente no! Lui ti mente! Bah, ma perché te lo dico? Tanto tu consideri oro colato tutto ciò che dice, tanto fai tutto quello che ti ordina …”

“Non è vero!” reagì lei, offesa “Lui mi aveva detto di starti lontana, di non pensare a te e invece sono venuta qui, di nascosto, perché volevo cercare di ricordare qualcosa di noi, perché credevo ne valesse la pena, invece parlare con te è praticamente impossibile.”

Stefano, spazientito, agì d’istinto: si avvicinò alla ragazza e la baciò per qualche istante e poi le disse, praticamente adirato: “Volevi qualcosa di noi? Ecco!: questo è capitato più di una volta e sempre per tua iniziativa. Era l’ansiolitico che mi somministravi!”

Giuditta era scandalizzata: “Non è possibile una cosa del genere! Non è nel mio stile.”

“Eppure lo facevi con grande disinvoltura. Sai cosa, di certo, non è nel tuo stile? Farti mettere i piedi in tesa da quello sbruffone.”

“Perché ce l’hai tanto con lui?!”

Stefano cercò di calmarsi un poco e disse: “Non ce l’ho con lui, ma per come ti tratta. Non vuoi più vedermi? Va bene. Vuoi stare con lui? Benissimo, purché ti tratti con rispetto e ti lasci la tua libertà. Tu sei meravigliosa e non è giusto che lui ti disprezzi e decida per te cosa puoi o non puoi fare.”

La donna digrignò i denti e disse: “Sei davvero impossibile! Ti ho già detto che non sono qui per parlare di Gaspare, ma di te e tu non fai altro che nominarlo!”

“Perché, ribadisco, non ci sono mai stati problemi tra di noi, fino a quando lui non ha deciso che ero di troppo e ti ha fatto scordare di me. Il semplice fatto che lui ti abbia fatto questo, dovrebbe farti arrabbiare con lui.”

“Beh, Gaspare ha detto che gliel’ho chiesto io, perché mi hai fatto soffrire.”

“Ti ho già detto che è una menzogna, falsa come Giuda!”

“Perché sei tanto furioso?”

“Perché potresti fare di tutto, nella vita, e invece hai deciso (se insiti a dire che è una tua scelta) di limitarti ad essere il gingillo di quello!”

“Stai parlando completamente a sproposito. Io non sto rinunciando a tutto. Adesso sono in una fase in cui devo capire che cosa voglio fare e lui non mi metterà paletti, ne sono certa.”

Stefano non replicò a questo, rimase un poco in silenzio e poi chiese: “Giuditta, tu che cosa vuoi? Perché sei venuta? Volevi sapere la verità? Beh, io te l’ho detta e non ti ho nascosto quello che penso. Se vuoi provare a ricordare e ad essere di nuovo mia amica, allora devi accettarmi così, con anche questo rancore e i miei rimproveri.” a questo punto tornò forte l’ira “Altrimenti stattene col tuo caro Gaspare e basta, ma dimenticami di nuovo!”

Giuditta lo guardò aspramente e rispose: “Sarà quello che farò.”

Detto ciò, la ragazza si voltò e uscì a passi svelti. Stefano la guardò allontanarsi, provò una gran rabbia; appoggiò una mano su un albero e subito quello iniziò ad avvizzire e seccare. Il giovane trasecolò, capì subito che era una versione negativa del proprio essere Raffaele. Rabbuiato e turbato, raccolse le proprie cose in biblioteca ed uscì, per cercare la maniera di calmarsi.

Giuditta, invece, delusa dall’esito dell’incontrò, prese l’autobus per tornare alla villa di Serventi: non immaginava i problemi che le avrebbero causato quell’uscita.

Appena rientrata, la giovane andò in uno degli studioli che frequentava con Gaspare e lo trovò lì, seduto in poltrona: la guardava arcignamente.

B-buongiorno.” disse lei, sforzandosi di sorridere, nonostante fosse inquietata.

Gaspare continuò ad essere estremamente freddo e le chiese: “Dove sei stata?”

“Fuori, volevo andare in città.”

“Perché non me lo hai chiesto? Avremmo potuto andarci assieme.”

“Non volevo disturbarti …” inventò lei, temendo seriamente le conseguenze che, prima, non aveva immaginato.

“O forse volevi vedere qualcuno a mia insaputa.”

N-no, no …”

Giudittina, perché menti? Lo sai che non va bene ed è inutile.”

Gaspare era rimasto calmissimo; la fissò intensamente. La giovane ebbe paura e un attimo dopo sentì una tremenda emicrania che la fece cadere a terra, praticamente in ginocchio davanti all’uomo, che le stava guardando i ricordi della mattinata.

Il fitto dolore cessò, Giuditta alzò lo sguardo, già pieno di sofferenza e pentimento, e osservò l’uomo che era fortemente indignato, ma rimaneva calmo e gelido.

“Come ti sei permessa di uscire di nascosto, senza il consenso mio o di mio padre? Per fare cosa, poi, vedere quell’insulso bamboccio di Pigolo, che vale meno di un due di coppe, quando la briscola è spade? Ne valeva la pena di essere punita a causa sua?” si allungò verso di lei, con la destra le afferrò il mento, le sollevò il capo e le sussurrò: “Ti ricordo che sei quasi la mia fidanzata e di mia proprietà, per tua libera e spontanea scelta. Se vuoi uscire, devi prima chiederlo a me, ci siamo intesi, bambina?”

Lei annuì, senza riuscire a dir nulla; lui la lasciò andare e continuò, sempre con tono offeso: “Hai promesso di obbedire ed essere sottomessa a me, in cambio del mio affetto. Uscendo di nascosto per andare a trovare quello scarafaggio, mi hai tradito e mi hai fatto preoccupare. Io ti cercavo e tu non c’eri. Dimmi, come dovrei sentirmi, adesso? Sei stata inaffidabile.”

Giuditta, estremamente contrita, con gli occhi lucidi, iniziò a dire: “Scusami, sono stata stupida! Non mi fidavo di te e volevo capire chi fosse quel giovane … ma non abbiamo fatto altro che litigare. Avevi ragione tu, come sempre.”

Gaspare si rilassò e, con tono quasi amorevole, le disse: “Ti servirà di lezione Giudittina, devi imparare ad obbedire a chi è più maturo ed esperto.”

“Lo so, perdonami …” si mise a piangere “Ho sbagliato, sono stata cattiva. Mi dispiace di averti offeso, non volevo … io ti voglio bene e non vorrei mai fare qualcosa che non ti sia gradito …”

“Su, adesso non farne un dramma: errare humanum est.” le porse un fazzoletto “Ora che sai come la penso, non sbaglierai più.”

“No, te lo prometto. Sarò brava, tutta tua e basta.”

“Ho un’idea, per far sì che tu lo tenga sempre a mente. Vieni, siediti qui, sulle mie ginocchia.”

Giuditta obbedì senza esitare. Gaspare le appoggiò l’indice circa sulla clavicola e pian, piano scrisse il proprio nome, le cui lettere comparivano in rosso sulla pelle della giovane, come se fossero appena state marchiate a fuoco.

L’uomo ammirò la propria opera e commentò: “Ecco, questo ti rimarrà per un paio di giorni, adesso, poi scomparirà, ma la prossima volta che penserai di disobbedire o di fare qualcosa che non mi aggrada, ricomparirà e ti farà male e resterà finché non tornerai sulla retta via.”

Giuditta non disse nulla e continuò a guardarlo mestamente, in fondo contenta che l’uomo non si fosse arrabbiato molto.

Gaspare aveva ancora la mano adagiata sul petto della giovane e disse: “Beh, giacché siamo in zona …” fece scivolare le dita sotto la scollatura della ragazza e le palpò il seno “Anzi, visto che sei stata una bambina disobbediente, meriti proprio una sculacciata. Alzati e togliti braghe e mutande.”

Giuditta obbedì senza replicare alcunché.

“Beh, risparmiamo tempo e togliti anche il resto.” le disse lui.

Gaspare si era seduto sul divano; la ragazza si distese su di esso, in modo tale che i suoi glutei fossero sulle ginocchia dell’uomo. Li sentì accarezzati, prima col dorso, poi col palmo, poi una patacca e un’altra e ancora …

Arrivata alla decima, Gaspare commentò: “Ti stai arrossando. Ad ogni modo, non startene lì in silenzio: raccontami quello che ti sei detta con Pigolo. Hai detto che avete discusso: per cosa?”

“Non faceva altro che insultarti e dare la colpa a te, se la nostra amicizia era finita.” gridò leggermente, per uno schiaffo dato con troppa forza “Poi dice che mi hai rovinato, che mi hai tolto dignità … non capisce! Non conosce l’importanza della gerarchia, è un anarchico! È vero che ho deciso di obbedirti (e lui continua a credere che sia stata costretta), ma è perché so che quel che fai è per il mio bene.”

“Tu gliele hai dette queste cose?”

“Certo, ma lui, purtroppo, non capisce.”

“Mi sembra proprio che ti dispiaccia per Pigolo, perché?” Gaspare non era molto entusiasta, temeva che lei iniziasse a ricordare qualcosa.

“Non lo so. Forse, al di là della memoria, a livello emotivo è rimasto un legame. Mi ha fatto un po’ pena il vederlo così preoccupato per me, mi vuole bene …”

“Ti ha fatta soffrire.”

“Già, ma non ricordo. Come siamo diventati amici una volta, potremmo tornare ad esserlo … se capisse ch’io sto bene così. Tu cosa ne pensi?”

Gaspare aveva smesso di sculacciarla e ora le carezzava la schiena e i glutei; non rispose subito, pensò un poco, poi le chiese: “Ci tieni a lui?”

“Razionalmente lo manderei al diavolo, per quello che ha detto oggi. A un livello puramente emotivo, invece, sì, vorrei pacificarmi, ma non so perché.”

“Gli parlerò io, vedrò di fargli comprendere la situazione.” ovviamente mentiva “Contenta?”

La ragazza alzò il busto, volse il capo verso l’uomo, gli sorrise con gratitudine e annuì.

“Ne sono contento. Voglio che tu sia felice, sempre.” le fece una carezza sul volto “Il meglio di sé lo si dà quando si è soddisfatti: più sei lieta, meglio puoi compiere il tuo dovere e rendere felice me. Io mi prendo cura di te e tu fai quello che voglio, è una simbiosi perfetta.”

“Oh Gaspare, io …” la paura smorzò l’impeto iniziale e la giovane provò vergogna.

“Tu?” la esortò l’uomo.

Con lo sguardo basso, molto timidamente, Giuditta disse: “ … ti amo.”

Lo sguardo di Gaspare fu enigmatico e indecifrabile per alcuni momenti: impossibile sapere che impressione gli avesse fatto quella dichiarazione.

Poi, compiaciuto, le ordinò: “Ripetilo.”

“Ti amo …” fu incerta.

“Ancora.”

“Ti amo.” la voce era più ferma.

Gaspare fece un verso soddisfatto e disse: “È adorabile, sentirtelo dire. Di nuovo.”

“Ti amo.” ripeté lei, finalmente decisa “Dunque, non ti dispiace?”

“Assolutamente, perché mai dovrebbe?”

“Beh, temevo potesse infastidirti.”

“Non lo pensare nemmeno, Giudittina. Io voglio il tuo amore, voglio essere la tua ragione di vita. Mi fa davvero molto piacere e approvo pienamente i tuoi sentimenti.” sorridente, le carezzò i capelli “D’altronde, era inevitabile: se non me, chi potresti amare? È giusto così.”

 

Più tardi, nel pomeriggio, Gaspare si ritrovò col padre e i fratelli in un salotto a discutere della prosecuzione dei loro progetti.

“Padre, il fatto che i templari abbiano deciso di usare le loro armi ora, affretta di molto le nostre tempistiche, noi credevamo di avere più tempo a disposizione.” aveva commentato Temistocle, dopo essere stato informato delle notizie portate da Isaia il giorno prima.

“Me ne rendo perfettamente conto, ma non vedo la situazione troppo grigia, anzi penso che siamo pronti.”

“Pronti?!” si meravigliò Annibale “Non siamo ancora riusciti ad avere dalla nostra parte l’Eletto.”

“Abbiamo Isaia.” puntualizzò Serventi.

“Non può bastare, lo sappiamo bene!” insisté Annibale “Hai affidato a Gaspare il compito di scuotere il suo fratellino, ma da quel che vedo non fa altro che pensare a divertirsi con quella ragazzina, che lo ha innamorato, nonostante lui lo neghi.”

“Stiamo rischiando tantissimo, il pericolo è elevato e noi non possiamo fare molto contro le armi dei templari.” rincarò Temistocle.

“Non capisco perché vi stiate preoccupando.” Bonifacio era assolutamente tranquillo “I templari hanno agito come sapevamo avrebbero fatto, come stavamo aspettando. Gabriel ha fatto ciò che doveva: rovesciare la Chiesa dall’interno. Ora che sono emerse le verità circa Calvi e tutto il resto, la cattedra di Pietro non potrà riprendersi e molti altri scandali la colpiranno, siatene certi. È esattamente ciò che stiamo aspettando da secoli, ora non dobbiamo spaventarcene: siamo preparati a questo, è tutta la vita che ci prepariamo. Nel peggiore dei casi ci rifugeremo nella nostra fortezza, ma non credo sarà necessario.”

I due figli maggiori non sembravano particolarmente convinti.

“Su una cosa, però, i tuoi fratelli hanno ragione, Gaspare. Devi darti maggiormente da fare con Gabriel: indurlo a distruggere un bordello non è servito a granché. Deve sentirsi legittimato ad usare il proprio potere quando e come gli pare. Fa in modo che ricordi i suoi primi dieci anni di vita.”

“Va bene, padre. Giacché ieri si era parlato di una cena, organizziamola. Ne approfitterò per parlare a Gabriel e questa volta lo condurrò alla nostra causa, sono pronto a metterci la mano sul fuoco. Così taccerà chi critica, pur non facendo nulla di utile per la causa.” e guardò di sbieco i due fratelli.

“D’accordo.” annuì Bonifacio “Organizzati pure, ma al più presto vogliamo avere notizia di un esito positivo.”

“No, vedrete coi vostri occhi. Cena in grande stile, qui in villa. Non disturbare il cuoco, voglio che prepari tutto la mia Giuditta. Un po’ di tensione psicologica legata all’ansia da prestazione le farà bene; anzi, fatemi il favore di lamentarvi di qualcosa che ha cucinato, così potrò rimproverarla.”

“Sì, ma ti ricordo che l’obbiettivo è Gabriel.” gli disse Annibale.

“Lo so, lo so!” si spazientì Gaspare “Il mio fratellino non vedrà l’ora di servire nostro padre, esattamente come il suo amico. Il Princeps e l’Eletto, ormai, ce li muoviamo come accidenti ci pare. Nel peggiore dei casi, entriamo nella testa della Munari e Gabriel le obbedirà senza opporsi, ma vi assicuro che non si arriverà a questo. Chi veramente mi preoccupa è la Guida, lo stiamo tagliando completamente fuori dai nostri progetti e non va bene: è una mina vagante, è il più pericoloso, dovremmo quindi cercare di controllarlo quel minimo necessario per assicurarci che agisca come vogliamo noi.”

“Deve sacrificarsi.” gli ricordò Bonifacio “Non credo sarà restio, quando la situazione precipiterà: mi pare abbia inclinazione a questo genere di cose.”

“Quando sarà il momento, lui vedrà da una parte uomini di Chiesa, armati di reliquie santissime e dall’altra gente con poteri strani. Che il suo maestro stia dalla nostra parte, non basterà a convincerlo che i nemici sono gli altri. Dobbiamo legarlo a noi già adesso.” Gaspare era estremamente deciso.

“Perché te ne stai preoccupando?” gli domandò Bonifacio, intuendo        che ci fosse qualcosa sotto.

“Perché, come abbiamo detto iniziando la conversazione, i tempi si sono nettamente accorciati, rispetto alle nostre aspettative. Inoltre, quel ragazzo potrebbe non solo creare problemi, schierandosi dalla parte sbagliata, ma potrebbe anche interferire nel mio lavoro su Giuditta.”

Temistocle ridacchiò: “Ecco che cosa ti preoccupa realmente!”

“La cosa dovrebbe preoccupare anche voi, visto che io e lei siamo un fattore determinante nel progetto di nostro padre.” Gaspare ci teneva a far capire che il suo non era un capriccio personale, bensì un timore legittimo.

“Avevi detto che glielo avevi cancellato dalla memoria.” osservò Bonifacio, preoccupato.

“Infatti, ma lui è rispuntato fuori e lei continua a sentire una sorta di legame con lui, pur non ricordando nulla. Sono certo che questo fattore potrebbe creare problemi. Per fortuna la situazione non è grave, basterà convincerlo che Giuditta è libera e felice, come in effetti è, anche se lui non lo capisce.”

Bonifacio lo guardò, volendolo ammonire, e gli disse: “Non ti curare di lui. Adesso concentrati su Gabriel, poi sarà lui a persuadere la Guida. Per quanto riguarda la ragazza … sta attento, non commettere il mio stesso errore con tua madre: mi piaceva vederla vivace, attiva, quindi le ho lasciato troppa libertà e indipendenza e lei si è persa, si è lasciata offuscare dall’amore materno e ha perso di vista l’obbiettivo più alto e io sono stato costretto ad ucciderla.” si fece molto severo in volto “Tienila al suo posto e ben legata a te e questo te lo dico non tanto perché tieni parecchio a lei, ma perché ci servite entrambi.”

Gaspare assicurò per l’ennesima volta di avere tutto sottocontrollo e di non essersi lasciato troppo coinvolgere sentimentalmente. Quando la riunione finì, tuttavia, decise di andare in città e cercare Stefano: anche se i suoi famigliari si ostinavano a negare, lui era certo che bisognasse cercare di ingraziarsi il giovane. Inoltre, in fondo, lui non aveva promesso a Giuditta che avrebbe parlato col seminarista? Certo, glielo aveva detto per ben apparire ai suoi occhi e non perché ne avesse intenzione, ma ora sembrava una cosa sensata da fare.

Grazie alle proprie abilità, Gaspare trovò facilmente Stefano, che era andato a distendere i nervi, passeggiando per il parco di villa Borghese.

Il ragazzo si era recato istintivamente in quel luogo, forse perché lì era stato l’ultima volta felice con Giuditta.

“Stefano!” lo chiamò Gaspare.

Il ragazzo si scosse dai propri pensieri, si voltò, si sorprese di vedere quell’uomo e subito fu pervaso dalla rabbia: non poteva sopportare che Giuditta patisse a causa sua.

“Che cosa vuoi?!” quasi gli ringhiò il seminarista.

“Calma, ragazzo, sono qui per parlare.” Gaspare sorrideva disinvolto “So che Giuditta è venuta a parlarti oggi …”

“Le hai fatto qualcosa?!” lo interruppe Stefano, subito allarmato.

“Nulla che lei non volesse.” ghignò l’uomo, lasciando sottinteso quanto avevano fatto.

“Beh, e quindi? Sei venuto a gongolare perché l’hai privata del senso del giudizio e l’hai messa completamente contro di me?”

“No, non sono qui per questo, anzi, tutt’altro!”

“Che cosa intendi?”

“Io, fondamentalmente, non ho nulla contro di te. Giuditta, nonostante tutto, è ancora legata a te.”

“Non si ricorda un accidente!”

“Già e, nonostante ciò, è dispiaciuta di aver litigato con te e vorrebbe esserti amica.”

“Davvero?!” gli occhi di Stefano si erano riempiti di gioia e speranza.

“Esatto. Dunque, sia io che te vogliamo che lei sia felice, giusto?”

“Io sicuramente; tu, ho i miei dubbi.”

Gaspare gli scoccò un’occhiataccia ma sorvolò e proseguì: “Sono qui per dirti che non mi da fastidio se vuoi vederla, parlarle o frequentarla, devi però avere ben chiaro che il suo fidanzato sono io. Io e lei siamo una coppia e tu puoi essere nostro amico ma non devi mai e poi mai fare alcunché per cercare di separarci o mettermi in cattiva luce. Chiaro?”

Stefano era parecchio irritato per la faccia tosta di quell’uomo, per la sua arroganza, per il suo venire lì, con falsa gentilezza, ad offrirgli il permesso di vedere Giuditta, come atto della propria clemenza.

No, a Stefano quelle condizioni non stavano affatto bene, anzi!

Per una volta non sentì il bisogno di starsene buono e tranquillo, per una volta non sentì la necessità di sopportare. No, questa volta era diverso, questa volta la posta in gioco era una persona a cui teneva tantissimo e lui avrebbe combattuto.

Accidenti, era l’arcangelo Raffaele, in fondo! Era certo che Gaspare lo sapesse, per cui si fece coraggio e decise di farsi valere, anche a costo di essere minaccioso o aggressivo e disse: “Chiarissimo, ma adesso ascoltami tu. Se io voglio essere amico di Giuditta, lo sarò perché voglio esserlo, non per una tua concessione; lo sarei con o senza il tuo consenso. Proprio perché le sono amico non mi stancherò mai di ripeterle che tu la stai trattando male e che lei dovrebbe combattere di più per se stessa. Se tu proverai ad impedirmelo o le farai del male o le farai subire costrizioni, io te ne farò pentire amaramente.”

Detto ciò, Stefano toccò un rametto di un arbusto lì vicino e lo fece avvizzire. Lo sguardo era rimasto fisso su Gaspare.

L’uomo non si fece impressionare o, almeno, non lo diede a vedere. Si mise a ridere e, tra le risate disse: “D’accordo, d’accordo … e dire che ero venuto con le migliori intenzioni … L’hai voluto tu, Pigolo!”

Con un gesto fulmineo, con la punta di indice e medio, toccò e premette per qualche secondo sulla gola del ragazzo, poi si voltò e se ne andò, salutando.

Stefano non capì, confuso provò a chiamarlo indietro, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Provò ancora e ancora, tuttavia non riusciva a parlare, era diventato afono.

Il giovane si agitò parecchio e fu spaventato. Continuò a girovagare a caso senza metà, disperato, senza sapere cosa fare. Poi, dopo un paio d’ore, la voce gli tornò e, quindi, decise di tornare a casa. Il terrore che aveva provato in quei momenti, però, era stato tremendo: ora si rendeva conto del potere di Gaspare.

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Capitolo 39
*** Ricordi ***


Gabriel si svegliò di pessimo umore. Ancora una volta aveva sognato di essere insieme a Claudia, che lei gli sorridesse, che assieme passeggiassero, tenendosi per mano; aveva sognato gli abbracci, le carezze ed era immensamente felice, appagato, sentiva di non aver bisogno di nient’altro … e poi si era svegliato e aveva dovuto fare i conti con l’amara realtà. Ciò che lo stava rendendo tanto felice era unicamente un’illusione e lui si trovava solo nel lettuccio di casa sua.

Erano diverse notti che sognava Claudia e ogni mattino quello era il suo risveglio. Detestava le proprie giornate, non vedeva l’ora di poter dormire perché, almeno lì, Claudia era ancora accanto a lui e lo amava e, soprattutto, lui poteva amarla. Già, forse sarebbe stato disposto a rinunciare all’amore di Claudia, ma di certo non poteva fare a meno dell’amore per Claudia. L’unica cosa che gli dava forza era la speranza che lei tornasse o che, al meno, gli permettesse di avvicinarsi di nuovo a lei. Ah, quante volte era stato tormentato dall’indecisione! Chiamarla o non chiamarla? Scriverle una lettera? Mandarle dei fiori? Non sapeva. Da una parte avrebbe voluto essere romantico, dall’altra temeva di infastidire la donna ed essere tacciato di stalking. Era tutto così dannatamente difficile!

Gabriel si sforzò di alzarsi e prepararsi per andare in Congregazione, pensò al lavoro che lo aspettava, alle pile di segnalazioni … d’improvviso gli venne il buon umore: aveva voglia di trovare succubi da rispedire all’Inferno.

Si stupì della violenza del proprio pensiero. Ricordò con orrore la sera in cui, da semiubriaco, aveva massacrato quelle prostitute e avrebbe avuto voglia di ucciderne ancora. Si sentì di nuovo orribilmente.

Forse, la cosa migliore da fare era una confessione, confidare a qualcuno tutti i suoi rimorsi, dubbi e problemi, ma a chi? Claudia non c’era più per lui. Isaia … Gabriel aveva paura e si vergognava a parlarne con lui, non si aspettava un tradimento da parte dell’amico, ma troppa severità. Quella severità e disciplina che erano sempre mancate nella vita di Gabriel e a cui lui era insofferente.

Ad Alonso, invece, non aveva mai confidato nulla, al di fuori delle verifiche, per cui non gli sembrava opportuno raccontargli tutto quanto. Stefano, invece, era troppo giovane per poter essere suo confidente e, inoltre, doveva essere lui il suo maestro e non viceversa.

Gabriel si rassegnò a tenersi tutto dentro, d’altra parte era convinto che nessuno potesse capirlo.

Antinori andò in Congregazione, parlò con un paio di Monsignori del Direttorio, prese le scartoffie dal suo ufficio e si mise a leggerle in biblioteca. Non gli piaceva essere relegato nel proprio studiolo: in biblioteca c’era più gente e questo gli teneva un po’ su il morale. Isaia aveva capito che l’amico aveva bisogno, per cui si era messo anche lui a lavorare tra i banchi della biblioteca per stargli vicino e fargli compagnia. C’era anche Stefano che ci teneva a stare vicino al proprio maestro: gli era dispiaciuto molto vederlo stravolto, un paio di giorni prima, alla villa di Serventi.

Erano tutti immersi nelle loro ricerche, quando Gaspare fece il proprio ingresso in biblioteca. Era come suo solito elegante e disinvolto.

Isaia, vedendolo, si preoccupò un poco, interrogandosi sul motivo di quella visita. Stefano si innervosì parecchio e dovette trattenere l’ira. Gabriel, invece, era stupito e per nulla contento della presenza del fratello, soprattutto perché gli era da poco tornata in mente la strage che gli aveva permesso di fare.

“Buongiorno! Che facce severe!” commentò Gaspare, ironico, guardandoli “Nessuno è felice di vedermi? Né il mio futuro cognato, né il mio fratellino?”

“Ehi, com’è che il tuo rapporto con mia sorella si evolve a vista d’occhio?!” sbottò Isaia, meravigliato.

“Quando due anime si trovano, il tempo viene annullato. Ieri è stata adorabile, quando ha detto che mi ama, con quel suo visetto tenero e dolce.”

Stefano digrignò i denti e lo guardò con maggior ferocia e sentì l’orgoglio fremere: lui l’aveva vista dolce e tenera senza bisogno di spezzarne lo spirito.

“Sono qui per questo.” proseguì Gaspare “Io e Giuditta ci teniamo ad invitare i nostri fratelli a cena, presso la villa di mio padre. Tutto sarà preparato da lei.”

“Lei è d’accordo?!” si meravigliò Stefano.

“Certamente; mi ha detto che da tanto tempo ha voglia di organizzare una cena in grande stile, ma non ne ha avuto l’opportunità.”

“Sì, è vero.” confermò Isaia “Nostra madre le ha trasmesso questa passione.”

“Bene, vi aspettiamo entrambi domani sera alle venti. Ci sarete, vero?”

“Veramente …” tentò di dire Antinori.

“Isaia, faccio affidamento su di te per portare Gabriel, mi raccomando!” lo interruppe Gaspare, lasciando intuire al gesuita che si trattava di un ordine a cui non poteva disobbedire.

“Isaia non è tenuto a fare quel che gli dici tu e io non sono tenuto a fare ciò che mi dice Isaia.” puntualizzò Gabriel, un po’ irritato, per nulla contento di quell’invito e di quella disinvoltura e sicurezza.

Gaspare gli lanciò un’occhiata molto eloquente e gli disse: “Fratellino, vieni, facciamo due passi, voglio parlarti e preferirei che non ci siano altri e, credo, lo preferisci anche tu.”

Gabriel si alzò in piedi, si sforzò di sorridere, per non far insospettire o preoccupare gli altri e rispose: “Certo, andiamo.”

I due fratelli uscirono dal palazzo della Congregazione e, appena fu certo di non essere sentito da conoscenti, Gabriel disse: “Io non voglio avere più nulla a che fare, con te! L’ultima volta mi hai permesso di uccidere delle donne!”

“Erano puttane e, se anche ti avessi riportato a casa, eri talmente arrabbiato che saresti andato comunque, da solo, ad ammazzare donne, sicuramente in numero maggiore, probabilmente anche brave ragazze. Ti ho assecondato, è vero, ma solo per limitarti.”

Gabriel rifletté su quelle parole e dovette ammettere che i ragionamento era assolutamente logico.

“Piuttosto, perché non pensi al fatto che ti ho permesso anche di vincere un mucchio di soldi, quella volta?”

“Barando!” protestò Antinori.

“Avresti preferito lasciarli al proprietario del casinò, già schifosamente ricco?”

“Non che io sia povero e ne abbia bisogno.”

“Che cosa ne hai fatto di quei soldi?”

“Li ho devoluti in beneficenza.”

“Ecco, visto che si è fatto qualcosa di buono?”

“Che cosa vuoi?” chiese seccato Gabriel.

“Nulla di ché. Semplicemente voglio dirti che tengo davvero molto a che tu venga domani sera alla cena.”

“Ci penserò …”

“Davvero, riflettici, abbiamo la possibilità di formare e consolidare una famiglia, potremo essere uniti, contenti. Non mi risulta che Claudia abbia una famiglia alle spalle. Certo, non metto in dubbio che tu, lei e vostro figlio, o i vostri figli, sarete felici da soli, assieme … sì, sono sicuro che lei tornerà da te. Immagina, però, la differenza nel festeggiare il Natale, o nell’andare in vacanza tra voi soli o assieme a zii, cugini … Non sarebbe bello essere uniti?”

“Penso di sì …” rifletté Gabriel, un po’ confuso: non si aspettava un simile ragionamento e, senza dubbio, aveva toccato tasti per lui importanti: quello della solitudine, quello della famiglia, famiglia numerosa.

“Allora non sprecare questa opportunità! Non ti stiamo chiedendo chissà cosa, semplicemente di venire ad una cena, fare due chiacchiere: che fatica ti costa? Fa un tentativo, mal che vada avrai perso una serata, ma se dovesse andare bene guadagneresti moltissimo.”

“Sei un gesuita o un avvocato mancato?: la tua capacità di persuasione è davvero eccellente. Verrò.” si rassegnò Gabriel, ma con un sorriso.

“Ho una cosa per te.” disse l’uomo, frugandosi in tasca.

Tirò fuori uno yo-yo di legno, vecchio, ma ben conservato, lo porse ad Antinori, dicendogli: “Era un nostro gioco da bambini. L’ho conservato per ricordarmi di te in questi anni in cui siamo stati separati, per sentirti vicino, ma ora che possiamo essere di nuovo fratelli non ne ho più bisogno e voglio che lo riabbia tu.”

Gabriel si commosse, quasi pentito di avere pensato cose brutte su quell’uomo. Sentiva l’affetto che gli voleva e gli faceva molto piacere, tanto che gli pareva impossibile che fosse figlio anche di Serventi. Lo ringraziò di tutto cuore, si fece dare i dettagli della cena e poi lo salutò per rientrare in Congregazione.

Tornando in biblioteca, Gabriel era sorridente e, quindi, i suoi amici non gli fecero domande. Si rimise al lavoro, ma non poteva fare a meno di pensare a quello yo-yo, mentre leggeva le segnalazioni, involontariamente portava sempre la mano alla tasca dove teneva il giocattolo.

Gabriel sentiva crescere dentro di sé il desiderio di ricordare qualcosa, di sapere di più di com’era stata la sua vita fino a dieci anni; qualcosa la sapeva già, ma non era abbastanza.

Da quando aveva deciso di lasciare la Chiesa e costruirsi una nuova vita con Claudia, Gabriel aveva deciso di chiudere definitivamente col proprio passato, di non pensarci più, essere totalmente un uomo nuovo. Non gli era stato però permesso: ciò che era non lo poteva cambiare e il suo essere si portava dietro il passato e molte altre conseguenze e implicazioni. Gabriel si rendeva sempre più conto di non poter non essere l’Eletto. Lui aveva quei poteri, lui era quella strana entità che non capiva, non poteva separarlo da sé, non poteva rinunciarvi; l’unica cosa che poteva scegliere era come essere l’Eletto. Stava finalmente capendo ciò che per molto tempo non gli era stato chiaro: il suo dono non lo condizionava, ma gli dava delle opportunità esclusive, in lui stava la scelta di quali usare, come e perché.

Era questo che stava imparando, ultimamente, pur rimanendo comunque molto spaventato dalla propria capacità di riuscire a comandare i demoni: quello continuava a sembrargli qualcosa di oscuro.

Gli era quindi tornato il desiderio di scoprire di più su di sé, sulla propria infanzia e il regalo che gli aveva fatto Gaspare stava aumentando a dismisura la sua curiosità, tanto che non riusciva a concentrarsi sul lavoro e i suoi pensieri correvano al passato avvolto dall’oblio.

Un’ora dopo aver visto il fratello, Gabriel aveva piantato il lavoro, per tornarsene qualche ora a Villa Antinori, nella speranza di ricordare qualche cosa.

Appena arrivato, andò subito a dare un saluto alle tombe dei genitori, da quando era morta sua madre non ci era più tornato. Faticava a considerare quel luogo la propria casa, dato che non ricordava nulla, spesso si dimenticava di possederla, per questo lui e Claudia non erano andati ad abitare lì, nonostante qualche volta il pensiero di inaugurare la nuova vita nella villa di famiglia lo avesse sfiorato.

Guardò le due lapidi dei genitori, che erano come fantasmi per lui … fantasmi … ricordò che aveva visto lo spettro di suo padre, cioè di Sebastiano Antinori, la prima volta che era tornato lì. Chissà se il fantasma era ancora lì, chissà se Stefano, con la sua affinità con gli spettri avrebbe potuto contattarlo, mettersi in comunicazione con lui.

Gabriel iniziò a sentirsi solo, era come se per la prima volta realizzasse davvero nella sua mente che suo padre, sua madre e suo zio fossero morti; si era sempre sentito orfano, privo della famiglia, ma in quel momento si sentiva più che mai solo, aveva come la consapevolezza che quelle poche persone che erano state testimoni del suo passato non c’erano più e, non ricordando lui nulla, era come se per dieci anni non fosse esistito.

No, non era del tutto così: non erano tutti morti, rimanevano Serventi e Gaspare, non era certo il massimo, ma erano i soli che conoscevano la sua infanzia, quella parte di vita così importante per la formazione del carattere e dello spirito di una persona.

Gabriel andò nell’atrio davanti al portone della villa, mise la mano in tasca per prendere le chiavi e sfiorò lo yo-yo. Lo prese in mano, lo guardò ancora, sorrise; passò l’anellino di corda nell’indice e iniziò a farlo salire e scendere: era così rilassante! Chiuse gli occhi e gli parve di sentire delle risate risuonare nella sua mente; poi si compose un’immagine del giardino che aveva effettivamente davanti a sé, ma era innevato … era un ricordo: stava rivedendo e risentendo ciò che aveva vissuto un tempo. Vide varie immagini: sua madre, suo padre e poi un altro bambino, con cui stava facendo a pallate di neve: era forse Gaspare? Sì, ne era certo.

Iniziò a rivedere nella propria mente vari momenti di sé stesso, da bambino, in quel giardino. Vi vide anche Serventi e lo sentiva parlare.

Gabriel, le persone sognano la grandezza e la gloria, tu ce l’hai alla tua portata. Non hai bisogno di desiderare alcunché, perché ciò che vuoi lo puoi ottenere senza sforzo. Parla, ordina e il mondo prenderà le forme che tu comandi.

Tutti i discorsi che Antinori iniziava a ricordare erano di questo tipo.

Gabriel aprì gli occhi, rinfilò lo yo-yo in tasca e finalmente entrò nella villa. Il flusso di ricordi, però, non lo aveva abbandonato: ovunque si voltasse vedeva un frammento della propria infanzia.

Cosa gli stava accadendo? Perché di improvviso riusciva a ricordare?

Beh, dire che riuscisse a ricordare non era corretto, poiché non era lui a deciderlo o a volerlo, bensì era investito da quelle immagini e da quelle voci.

Non gli dispiaceva però, quella situazione, anzi gli faceva molto piacere. Girovagò per la casa per oltre due ore, ritornando anche più volte nelle stesse stanze per visualizzare ricordi differenti. Era emozionato e felice, nonostante ancora non avesse una chiara scansione temporale di quei fatti.

Aveva rivisto molti dei momenti con Gaspare, loro madre, Sebastiano e Serventi.

Accidenti! Nell’arco di poche ore, Gabriel ricordava perfettamente tutti loro, non erano estranei per lui, adesso li sentiva estremamente vicini a sé. Era una sensazione strana: persone che fino a poche ore prima erano sconosciute e per alcune delle quali provava antipatia, d’improvviso gli erano diventate care, le sentiva come quelle che lo avevano cresciuto, che gli avevano infuso coraggio, che lo avevano aiutato e rassicurato; qualsiasi avversione avesse prima, ora si era dissolta.

Gabriel era molto confuso, non aveva idea di come affrontare ora il Candelaio, ora che non riusciva più a vederlo come un nemico e un pericolo. Effettivamente, però, alla grigliata, avevano sancito, se non una pace, almeno una tregua e, comunque, Bonifacio non aveva mai voluto fargli del male, ma soltanto spingerlo a fare qualcosa che a lui non era ancora chiaro.

Gabriel decise di rimanere nella sua villa per la notte e anche la mattinata successiva: sentiva il bisogno di riordinare le idee e non era affatto semplice.

Si presentò in Congregazione dopo pranzo; Isaia si era un poco preoccupato e come prima cosa volle accertarsi che tutto andasse bene. Gabriel gli fece cenno al fatto di aver ricordato qualcosa, ma non entrò nello specifico e rimase sul vago.

Il loro pomeriggio trascorse piuttosto rapidamente e già alle 18 sospesero il lavoro per prepararsi alla cena da Serventi, entrambi non sapevano se sospettare qualcosa, oppure attendersi un serata tranquilla.

Arrivarono puntuali alle 20 e nella sala d’ingresso trovarono Temistocle e Bonifacio che chiacchieravano, in attesa degli ospiti. I due sopraggiunti si accomodarono, dopo qualche momento di silenzio (Gabriel non voleva riconoscere di essersi ricordato della propria infanzia), Serventi cominciò a parlare, qualche convenevole, qualche frase più o meno studiata, rivolta ora a uno, ora all’altro. Non passarono dieci minuti e, per fortuna, arrivò il maggiordomo ad informarli che la cena era pronta e si poteva andare a tavola.

Si diressero tutti e quattro in sala da pranzo, dove gli altri convitati erano già seduti attorno ad una tavola rotonda, apparecchiata in maniera elegante ed impeccabile.

“Ben venuti. Presumo che mio padre vi abbia già accolti a dovere, per cui non mi perdo in formalità, del tutto sconvenienti in una situazione come questa.” esordì Gaspare “Fratellino, siedi accanto a me e tu, Isaia, accomodati vicino a Giuditta, ad ogni modo troverete il vostro segnaposto.”

Tutti i commensali presero posto e iniziarono a sbocconcellare. Per antipasto tartine e bruschette con condimenti di vario tipo: pomodori, funghi, paté d’olive, salume, lardo e salmone. C’era un certo silenzio, dettato dal fatto che né Gabriel, né Isaia si sentissero propriamente a loro agio. Gaspare, allora, si diede da fare per riuscire a imbastire qualche conversazione e, citando ora il tal fatto, ora la tal frase, riuscì ad avviare un dialogo tra i presenti.

Finiti gli antipasti, Giuditta portò via i vassoi e i piattini in cui si era sbriciolato. Isaia fu sorpreso di questo: credeva ci sarebbero stati dei camerieri come la volta precedente.

Giuditta tornò con una teglia di lasagne, servì tutti i commensali, tornò in cucina ad appoggiare il tegame e poi si rimise a sedere con gli altri e si mise a mangiare anche lei. Fu allora che, dopo un paio di sguardi scambiati con Gaspare, Annibale domandò: “Giuditta, ma sei sicura di aver messo tutto nel ragù?”

“Sì, certo!” rispose sicura la donna, che poi si preoccupò: “Perché?”

“Non sa di niente.” sentenziò Annibale, posando la forchetta, lasciando il piatto quasi pieno.

“Non può essere. Ho seguito la ricetta ed è un piatto che cucino da anni..!” la ragazza era certa di aver eseguito tutto correttamente e, quindi, quella critica la stava spiazzando molto e la spaventava.

Gaspare, con tono tranquillissimo, quasi gioviale, la guardò e le disse: “Invece sì che può essere, Giudittina. Concordo con Annibale: l'ingrediente chiave della lasagna, ovvero il ragù, non sa di niente, speravo fosse solo una mia impressione e, invece ... grazie al Cielo gli altri sono stati così gentili da non lamentarsi.” sospirò deluso “Dov'eri con la testa, mentre cucinavi?”

La donna fissava il vuoto, cercando di capire che cosa avesse sbagliato.

Isaia, invece, era esterrefatto: quelle lasagne erano ottime! Trovava estremamente ingiusto quel rimprovero.

Gabriel, al contrario, anche se non aveva nulla da ridire sul cibo, trovava estremamente godibile quel rimprovero. Da quando era rispuntata fuori, quella ragazza non aveva fatto altro che criticarlo e trattarlo come un incompetente, per cui decise di togliersi lo sfizio di osservare: “So che ti è difficile da credere, Giuditta, ma anche tu hai dei limiti e delle attività in cui sei incapace.”

Intanto, Gaspare, con fare pentito, proseguì: “Evidentemente, la sola idea di cucinare una gran cena ti ha montato la testa, distraendoti dai fornelli. Infatti, guarda come hai ridotto questo povero ragù, per non parlare della sfoglia che, al contrario, è troppo salata. Le spezie esistono, cara mia, e son fatte apposta per insaporire il cibo e il sale va dosato per evitare che faccia salire la pressione alle stelle.” sospirò nuovamente “Forse, ho sbagliato a lasciarti da sola in cucina, infondo sei solo una ragazzina, avresti avuto bisogno di una guida, nonostante siano ricette semplicissime.” scosse il capo, poi con tono severo, come se fosse stato ferito, spiegò: “Sai, tengo moltissimo al fatto che questo piatto sia preparato nel migliore dei modi: è il mio preferito e anche perché mi ricorda mia, anzi” appoggiò una mano sulla spalla di Gabriel “Nostra madre. Perché mi sono illuso che tu ne fossi all’altezza? Ecco come rovinare una cena e mettere tutti di cattivo umore. Pur non portandoti fuori, sei riuscita a farmi vergognare.”

Isaia era furioso: come si permetteva, quell’uomo, di umiliare sua sorella in quella maniera e senza un concreto motivo, per di più! L’ira non lo alterò, rimase calmo, ma con voce glaciale e terribile disse: “Ora basta, Gaspare. Rispetta mia sorella, specialmente in mia presenza. Ora lasciala in pace ...”

Giuditta posò una mano sul braccio del fratello e lo interruppe: “No, Isaia, lui ha ragione.”

“Ma ...”

“Questa è stata la prima volta che ho preparato io la besciamella, anziché usare quella già pronta, ho sbagliato nel farla. Abbiamo invitato della gente a cena e non sono stata capace di offrire del buon cibo: lui ha perfettamente ragione a sgridarmi.”

Gaspare la guardò con dispiacere, questa volta sincero: non gli piaceva vederla così triste, soprattutto perché sapeva bene che lei era stata brava. Riaffiorò però subito il piacere della consapevolezza di essere lui a poter decidere dell’umore della giovane. Assunse un tono severo e le ordinò: “Adesso, in piedi e chiedi scusa a tutti per il guaio che hai combinato, signorinella.”

Giuditta si alzò, era estremamente mortificata per non aver saputo soddisfare il palato degli ospiti e aver deluso Gaspare, oltre ad aver fatto fare brutta figura anche a lui. Con le lacrime agli occhi, disse: “Vi … Vi chiedo scusa per gli errori che ho fatto con le lasagne. Starò più attenta, la prossima volta.”

Isaia era truce in volto: ecco come erano gli equilibri in quel rapporto! E forse ciò era avvenuto proprio a causa sua, quando aveva consigliato alla sorella di abbandonasi a quell’uomo.

Gabriel, dopo aver visto quella scena, si pentì e si vergognò per ciò che aveva detto poco prima.

Gaspare fece un cenno di soddisfazione con la testa, fece sedere la ragazza e disse: “Per questa volta passi, ma se si ripeterà ti farò cucinare tutto di nuovo. Ricorda che il cucinare è una forma d’amore.”

La cena proseguì e si concluse, per fortuna, senza altri inconvenienti, anzi, sia Gabriel che Bonifacio si complimentarono per il dolce.

La sera proseguì, spostandosi tutti quanti nel salotto col tavolo da bigliardo, qualcuno si mise a giocare, altri si sedettero sui divani a chiacchierare, tutti sorseggiando qualche liquore, offerto dal padrone di casa. A loro si unì anche Jacopo, lamentandosi di non essere stato invitato alla cena; prese una stecca da bigliardo e del cognac e si comportò con la sua solita rozza naturalezza.

Dopo una mezzoretta, Gaspare invitò Gabriel a fare due passi all’aperto.

“Sei stato molto severo con Giuditta, prima.” Gabriel aveva spezzato un lungo silenzio con quell’osservazione “In realtà, le lasagne mi sembravano ottime.”

“Può essere, ma lei ha bisogno di essere tenuta in riga. Hai ben notato anche tu che i suoi difetti sono l’orgoglio e la superbia, per cui è bene che le si faccia notare ogni errore. È per il suo bene, capisci? Da quando è qui, ha fatto passi da gigante.”

“Ho visto, non mi pareva neppure lei! Sono contento che tu le abbia insegnato l’umiltà. Voi, quindi, vi amate?”

“È la mia donna, sì, tuttavia non ti importa di questo. C’è altro di cui vorresti parlarmi, ma non sai come cominciare, vero?”

Gabriel si sorprese e chiese: “Cosa te lo fa pensare?”

“È palese. Emani titubanza come un faro. Dimmi tutto.”

Antinori sospirò, insicuro, guardò il fratello e lo trovò rassicurante, per cui sospirò ancora e iniziò a dire: “Ieri, dopo che ci siamo visti, ho iniziato a ricordare alcune cose … però non so che dire.”

“Non ti è sorta nessuna domanda?”

“No … anzi, forse solo una: perché, dopo la caduta dal tetto, Bonifacio ha deciso di sparire e portarsi via anche mia madre e te? Perché ha voluto che restassi solo?”

“Eh … glielo chiesi anch’io, a suo tempo non capivo. Per essere breve, mio padre temeva che con una vita normale tu non sentissi la vocazione per la Chiesa. Lui non crede nell’esistenza degli uomini di Dio, lui vede nel clero solamente uomini avidi e bramosi di potere, oppure disperati in cerca di una fuga o conforto. Un’inclinazione del primo tipo non sembrava consentire il realizzarsi della profezia, per cui mio padre ritenne opportuno farti sentire solo, reietto quasi … per fortuna non c’è riuscito o, per lo meno, adesso tu non mi pari certo così.”

“Beh, l’adolescenza non è certo stata semplice, tuttavia l’ho superata e ormai sto benissimo da parecchi anni. Avevo, inoltre, accanto a me Demetrio e poi anche Isaia a sostenermi.”

“Beh, cos’hai ricordato? Nostra madre l’hai vista?”

“Sì, è stato stupendo. Ho ricordato anche momenti con Bonifacio e i suoi insegnamenti. Ecco, quando ho perso la memoria, non gli è dispiaciuto ch’io scordassi tutto ciò che mi aveva trasmesso?”

“No, questo no. Mio padre è convinto che ti sia tutto rimasto a livello inconscio e che ti abbia lo stesso influenzato. Per questo è convinto che tu finirai col dargli ragione … evidentemente non si rende conto che una persona, in venticinque anni, cambia.”

Gaspare parlava per rassicurare Gabriel, per mostrarsi disinteressato alla faccenda della profezia, per non mettergli pressione addosso e farlo sentire tranquillo e, soprattutto, libero.

“Sono felice di averti reincontrato e di essermi ricordato di te.” Gabriel era un poco commosso “In un certo senso mi sento meno solo.”

“Non dovresti sentirti solo: hai molti amici, da quello che ho potuto vedere.”

Gabriel sospirò: “Mah, diciamo che sono socievole, parlo tranquillamente con moltissime persone, mantengo vivi i rapporti ma … è sempre tutto molto superficiale, o almeno così mi sembra. Gli altri si confidano con me, io invece non ci riesco. Solo con Isaia e Claudia riesco un po’ a mostrare la mia anima e nemmeno per intero.”

“Evidentemente hai paura, o di te stesso o degli altri, temi che il confidarti possa in un qualche modo farti male. Scusa se mi intrometto, ma temi il loro allontanamento, nell’apprendere qualcosa di te, oppure che loro usino contro di te le tue confidenze?”

“Non ne ho idea, non ci ho mai pensato. Forse anche perché Demetrio, l’unico con cuoi parlassi, non mi ha mai dato ascolto e ha sempre cercato di manipolarmi, anche se me ne sono reso conto molto tardi.”

“Perché me ne parli?”

“Beh, con te è diverso, tu sei mio fratello. È strano, ma ora che mi ricordo di te, mi viene spontaneo parlarti a cuore aperto.”

“Mi fa senza dubbio piacere, penso, però che anche i tuoi amici meritino questa tua fiducia, forse più di me, poiché ti sono stati vicini in tutti questi anni.”

Gabriel sorrise: Gaspare era davvero una brava persona.

“Pensi davvero quello che hai detto ieri? Che potremmo davvero sentirci una famiglia, tutti assieme?”

“Certo, perché no?”

“Chissà che ne penserà Claudia, quando riuscirò a pacificarmi con lei e glielo dirò.” Gabriel si sforzò di ridere, nonostante il solo pensiero di essere lontano dalla donna lo rattristasse.

“Capirà e, quando ci avrà conosciuto meglio, ne sarà contenta. In fondo, nostra madre, credeva profondamente in lei e nel vostro amore, giusto? Si metterà tutto a posto, ne sono certo.”

Ci fu un momento di silenzio, poi Gaspare disse: “Adesso sarebbe meglio rientrare, almeno per me che ho organizzato la serata. Se tu vuoi restare ancora un poco a pensare, fa pure.”

Gabriel annuì e restò solo nel giardino. Quella serata gli stava davvero piacendo e lui per la prima volta da molti giorni si sentiva finalmente piuttosto tranquillo. Guardò il paesaggio attorno a sé, sentì la brezza … gli venne in mente un altro ricordo.

Gli tornò alla mente una gita fatta per il suo nono compleanno. Erano andati in montagna, avevano fatto una bella escursione nei boschi e poi erano andati in uno chalet, dove avevano cenato con pietanze prelibate e avevano mangiato la torta, la sua preferita, quella con la crema di burro e caffè con le mandorle tritate; lui aveva poi aperto i regali … C’erano sua madre, Demetrio, Gaspare e Bonifacio. Mancava suo padre … o, per correttezza, Sebastiano Antinori. All’epoca era morto da un paio di mesi. Gabriel ricordava che in quel periodo ne sentiva terribilmente la mancanza e che soffriva parecchio. Infatti non riusciva ad essere felice neppure per il compleanno e per quella splendida festa. Sua madre l’aveva capito e gli si era avvicinata per parlargli e lui le aveva confidato tutta la sua tristezza.

“Piccolo mio, so che è difficile, anch’io sono molto triste per papà, ma non per la sua morte, bensì per la sua debolezza. So che non dovrei parlare male di lui davanti a te, ma devi capire. Sia io che te gli volevamo bene e anche lui ce ne voleva, ma non riusciva a capire …”

“Che cosa mamma?”

“Che tu non sei figlio nostro, ma figlio del mondo. Tu sei l’Eletto, lo sai.”

“Sì, Bonifacio lo dice sempre … ma che cosa vuol dire?”

“Vuol dire che sei speciale, che hai dentro di te la possibilità di fare qualsiasi cosa.”

“Davvero?”

“Sì e questo è un dono che non devi assolutamente sprecare. Ci sono molti uomini che potrebbero essere grandi, ma che per pigrizia, paura, ignoranza, egoismo o altro non mettono a frutto le proprie capacità e rimangono piccoli. Sarebbe un vero peccato se anche a te capitasse così. Tu puoi essere il più grande di tutti, un leader impareggiabile, se accetterai di essere ciò che sei.”

Gabriel bambino si era soffermato a pensare e poi aveva chiesto: “È come dice lo zio Demetrio? Lui parla spesso della parabola dei servi a cui il padrone aveva dato dei talenti e quando è tornato si è complimentato con chi li aveva messi a frutto e aumentati e si è arrabbiato con quello che non li aveva impiegati.”

“Sì, è proprio così!” gli aveva sorriso Clara “Devi mettere a frutto i tuoi talenti e ogni cosa sarà tua.”

“Io, però, ho paura.”

“E di cosa, piccolo mio?”

“Dei miei poteri … voi mi dite che sono belli, mi dite bravo quando riesco ad usarli, però mi dite che non devo usarli quando non ci siete. Una volta che mi è capitato, i miei compagni di classe si sono spaventati e poi mi hanno preso in giro … è stato Gaspare a farli smettere. Io non capisco, sono buoni? O sono un mostro come dicevano i miei compagni? Cosa sono? Papà si è ucciso per questo?”

“NO! Non lo devi pensare, MAI! Tu sei straordinario e va bene così! I mediocri, gli incapaci invidiano e hanno paura delle persone migliori e quindi le insultano e cercano di tenerle il più in basso possibile. Tu sei nato ad essere grande, la gente cercherà di ostacolarti, non vorranno che tu sbocci, forse tenteranno anche di eliminarti, ma tu non devi aver paura, devi credere in te, avere fiducia nei tuoi poteri, poiché essi sono la tua forza, il tuo talento, e ti permetteranno di realizzarti. Sono i tuoi migliori alleati, non temerli e non dare retta a chi ti vuole impedire di essere grande. Il mondo è per te e tu sei per il mondo: tu sei l’Eletto.”

“Ma io non so controllare i miei poteri … fanno da soli.” il piccolo Gabriel era rattristato.

“Sei ancora un bambino, crescendo imparerai. Bonifacio è qui per aiutarti, lui ti vuole bene, lui vuole che tu raggiunga il massimo delle tue potenzialità. Ti insegnerà come attingere ai tuoi poteri e a domarli. Bonifacio ha a cuore la gente come noi, vuole renderci liberi, vuole che non siamo più costretti a nasconderci. Tu lo aiuterai? Quando sarai grande, lo aiuterai a combattere per la libertà e la felicità di tutte le persone con dei poteri?”

“Sì!” le aveva sorriso Gabriel, entusiasta; poi chiese incuriosito: “Ma tu come lo hai conosciuto? Eravate amici da piccoli come io e Gaspare?”

Clara aveva sospirato e, dopo aver guardato un poco il vuoto, rispose: “No. L’ho conosciuto circa una quindicina d’anni fa, prima di papà. Anch’io ero spaventata dai miei poteri, mi sentivo triste, sola, fuori luogo, credevo di essere sbagliata, pensavo che non fossi adatta e degna di stare al mondo. Stavo molto male, ma non avevo il coraggio di dire a nessuno la verità, mi portarono in un ospedale, sperando che i medici potessero trovare il modo di farmi tornare il sorriso.”

“Ci sono riusciti?”

“Non i medici, ma Bonifacio sì. Lo conobbi in quell’ospedale. Aveva intuito che io avevo dei poteri e mi è stato vicino. Io subito non mi fidavo, come di nessun altro, ma poi ho imparato che non dovevo avere paura di lui: lui era buono, lui era come me. Mi insegnò a non temere i miei poteri, ad apprezzarli, ad amarli, a capire che non mi rendevano un mostro, ma una persona speciale e unica. Mi ha fatto sentire apprezzata, accettata e io ero contenta.” Clara si era interrotta, come per dirsi di non rivelare troppo, poi proseguì: “Scoprii presto che lui era riuscito a rendere serene come me, molte altre persone dotate di poteri, me le fece conoscere e divennero i miei amici.”

“Giuseppe, Sara, Marco, Luigi, Lucia e gli altri che ogni tanto andiamo a trovare?”

“Sì, loro e moltissimi altri. Tutti quanti eravamo soli, tristi e disperati, ci odiavamo, poi è arrivato Bonifacio a portare luce nelle nostre vite, a rassicurarci, a dirci che non eravamo meno degli altri, anzi siamo qualcosa di più. Ci ha insegnato ad accettarci e a vivere una vita degna di questo nome.”

“È bravo Bonifacio, gli voglio bene!”

“Il lavoro, però, è ancora tanto da fare. Lui è riuscito a trovare solo una piccola parte di noi, ce ne sono molti altri per il mondo, che soffrono, vengono oppressi, maltrattati e anche uccisi. Bonifacio è riuscito a raccoglierci in piccole comunità, ma non può insegnare alle persone normali a non odiarci e ad accoglierci tra di loro. Questo spetta a te.”

“A me?”

“Sì, se lo vorrai, potrai. Vuoi?”

“Sì, certo, mamma! Tutti quanti devono essere felici e amici!”

Clara gli aveva sorriso di nuovo: “Allora ascolta Bonifacio, ti insegnerà lui, finché non sarai in grado di agire da solo.”

Gabriel aveva le lacrime agli occhi: quel ricordo lo aveva fortemente commosso.

Negli ultimi due anni, da quando aveva scoperto della profezia, si era spesso chiesto come sua madre fosse entrata in contatto col Candelaio, perché avesse accettato di entrare nella setta e collaborare fino a quel punto. Ora lo sapeva.

Non aveva mai immaginato che sua madre avesse subito una simile esperienza, tanto meno avrebbe supposto che Serventi l’avesse riportata alla felicità e, così come con lei, aveva fatto con molte altre persone.

Gabriel si rese conto di non aver mai compreso, fino a quel momento, gli intenti del Candelaio. Sì, gliene avevano parlato alla grigliata ma, allora, non aveva capito o non aveva voluto crederci. Adesso, invece, gli era chiaro e non poteva che condividere.

Cosa c’entrava, però, il rovesciamento della Chiesa con tutto ciò? Non lo sapeva e, sinceramente, non gli importava.

Ora, come quella sera della sua infanzia, sentiva che Bonifacio era nel giusto e lui voleva aiutarlo.

Gabriel rientrò nella villa e raggiunse gli altri, voleva parlare col padrone di casa, ma non voleva che Isaia sentisse: non era certo che l’amico avrebbe compreso, nonostante si fosse pacificato con la gente dotata di poteri.

Per fortuna, Isaia si era lasciato coinvolgere in una partita a bigliardo con Gaspare, mentre Bonifacio era seduto in poltrona dalla parte opposta, scambiando due parole con Temistocle. Gabriel gli si avvicinò e lo guardò. Serventi comprese e con un cenno congedò il figlio e fece accomodare Antinori vicino a sé.

“Allora, Gabriel, che cosa vuoi dirmi?”

“Voglio essere l’Eletto.”

“Lo sei già.”

“Posso scegliere se accettare di esserlo, oppure seguire altre strade. Io non sarò l’Eletto perché devo esserlo, lo sarò perché voglio esserlo. La mia è una libera scelta, non un subire la profezia.”

“D’accordo, a me non cambia nulla.”

Gabriel era un po’ esitante, in realtà non aveva un quadro chiaro della situazione, chiese: “Mi insegnerai a dominare il mio potere?”

“Mi risulta che tu abbia già iniziato a controllarlo, devi solo fare esercizio, anche perché ormai il tempo è alla fine.”

“In che senso?”

“Gli indugi sono rotti, presto tutto si compirà.”

Gabriel non capiva, avrebbe voluto saperne di più, ma Bonifacio si alzò in piedi e andò verso il tavolo da bigliardo.

La serata si protrasse ancora per un’oretta, poi Gabriel ed Isaia presero congedo e tornarono in Congregazione.

 

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Capitolo 40
*** Apocalisse ***


Dopo una decina di giorni dall’inspiegabile fuga di notizie, tutti i giornali parlavano ancora delle vicende legate a Calvi, Sindona e la miriade di intrighi ad essi collegati, era anche ritornata alla ribalta la teoria secondo cui Papa Giovanni Paolo II avesse finanziato la rivolta polacca contro l’URSS, provocando così, in fine, il crollo del Fronte Rosso.

Ovviamente non ci si limitava a scrivere articoli e fare inchieste, bensì erano sorti innumerevoli comitati e movimenti di protesta che esigevano indagini accurate, che manifestavano, che organizzavano sit-in, che invocavano l’abolizione dei privilegi del Vaticano, altri volevano imporgli una multa. Data l’atmosfera tumultuosa, anche il fratello di Manuela Orlandi per l’ennesima volta era partito alla carica per scoprire la verità sulla morte della sorella; alle proteste si erano aggregati, giusto per farsi forza spalleggiandosi a vicenda, anche comitati di protesta contro i preti pedofili e movimenti per il diritto di matrimonio agli omosessuali.

Si sa, quando l’elefante è ferito a morte, tutti i carnivori della savana si avvicinano, nella speranza di strappare qualche brandello di carne. Insomma, era proprio una gara per dare il calcio dell’asino[1], ormai.

Gruppi di atei e anticlericali erano spuntati come funghi su tutti i fronti e agivano in modi assai differenti, dalla raccolta firme ad atti violenti. Si era verificata già più di una sassaiola in piazza San Pietro e le guardie svizzere, per la prima volta a memoria d’uomo, avevano dovuto intervenire e combattere per contrastare gli assalti dei più feroci e invasati degli oppositori della Chiesa.

La situazione era molto confusa e pareva ormai fuori controllo, il Vaticano non aveva idea di come contenere le proteste, di come difendersi da quelle accuse, che ormai erano supportate da prove, e di come poter fare ammenda, senza perdere il proprio potere, per calmare la gente.

Numerosissimi, a centinaia, se non migliaia, si erano accampati nelle vie confinanti col Vaticano, per protestare, pronti a menare le mani alla prima occasione; la polizia non se la sentiva di allontanarli o di arrestarli per occupazione di suolo pubblico, come invece avrebbero potuto fare.

In tutta Italia, i vescovi e i cardinali si erano rinchiusi nei propri palazzi e non osavano mettere il naso fuori; i preti, alcuni si erano anch’essi rifugiati sotto l’ala episcopale, altri resistevano fieri nelle proprie parrocchie. Il solo organo che continuava ad andare avanti senza farsi spaventare era proprio la Congregazione della Verità.

Pronti a vendicare l’onore di San Pietro e a punire quei biliosi infedeli, c’erano i Templari.

Sartori, ormai preso completo possesso del comando dell’Ordine del Tempio, aveva recuperato le tre antiche reliquie, gelosamente custodite per nove secoli. Aveva deciso, anche, che era il momento di rivelarsi nuovamente al mondo.

Quel giorno, molti cittadini di Roma si meravigliarono nel vedere cavalcare per le strade della città una cinquantina di cavalieri che parevano usciti da un antico affresco. Uomini in cotta di maglia, rivestiti da una tunica bianca attraversata da una croce rossa, con spade appese al fianco, con gli scudi bianchi e neri, montanti nobili palafreni: ecco come sfilarono quel giorno i templari.

Non erano però soli, altri armati, vestiti in guisa di versa ma coi medesimi colori, li seguivano numerosi.

Sartori in testa al manipolo, teneva ben stretto in mano un alto e nodoso bastone, al suo fianco cavalcava l’unico uomo in abiti differenti, poiché non aveva armatura, ma una larga e vaporosa veste bianca, con una croce rossa sul torso, e con le maniche rosse. Dietro di loro una decina di cavalieri circondavano i due che trasportavano l’Arca dell’Alleanza, seguivano gli altri.

I Romani furono piuttosto stupiti nel vedere quel pittoresco corteo che sembrava sbucare dal nulla, in molti si misero a scattare fotografie coi cellulari e le condivisero su facebook e altri social network.

I cavalieri incedevano incuranti della gente attorno, proseguivano come se fossero soli. Infine arrivarono nei pressi di San Pietro, soltanto la massa di contestatori li separava dalla Cattedra Pontificia.

Fu allora che si scatenò l’orrore.

Senza un preavviso, senza un’intimazione di resa, i templari e i loro alleati sfoderarono le spade e si scagliarono contro la folla lì radunata. Rimasero indietro soltanto i due che reggevano l’Arca, Sartori e l’uomo che lo fiancheggiava. Sartori, però, pur restando fuori dalla mischia, non era inattivo, bensì, levato in alto il bastone, colpiva la gente con misteriose energie mistiche provenienti da chissà dove; insomma, magia!

Rendendosi conto di quel che stava accadendo, i contestatori iniziarono a correre in ogni direzione per mettersi in salvo, gridando, chiedendo aiuto, qualcuno tentando di chiamare polizia e ambulanze. I cavalieri cercarono di colpire la maggior parte di gente possibile: volevano sterminarli, non semplicemente allontanarli.

Venti minuti dopo, per le strade attorno al Vaticano, restavano solo i cadaveri della strage e i suoi autori; per fortuna, molti erano riusciti a scappare, ma dai tempi di Mario e Silla mai tanto sangue aveva bagnato i ciottoli di una via romana.

Sartori, poi, guidò i suoi dentro ai palazzi pontifici e si presentò davanti al Papa.

“Santità, la Chiesa è responsabile delle anime degli uomini, Gesù disse che ciò che noi leghiamo, sarà legato anche in Paradiso e ciò che noi sciogliamo, sarà sciolto pure in Cielo. Noi abbiamo delle responsabilità e non possiamo permettere che un branco di buzzurri, ignoranti e pretenziosi ci mettano in difficoltà!” così aveva parlato con decisione Monsignor Sartori, dinnanzi al Pontefice “La Chiesa ha sempre agito nel migliore dei modi e se ha dovuto operare in segreto non è stato perché ciò che facesse fosse male, bensì perché sapeva che il volgo ignorante non avrebbe potuto comprendere. Ora i nostri nemici ci aggrediscono da tutti i fronti, urlando senza sapere nulla e ci additano come il male, quando, invece, siamo la sola strada. Io, Santità, vi prego di accordarci il permesso di intervenire. Solo una vera lotta per la Fede e per la Chiesa ci può salvare. Gli illuministi e i razionalisti hanno gettato fango su di noi e acceso la rabbia. Noi siamo stati umili e ciò non ha fatto altro che accrescere la spavalderia degli stolti. È giunto il momento di reagire e di punire ed eliminare gli infedeli e i nemici della Chiesa.”

“Non so, se …”

“Santità, avete visto anche voi che cosa hanno osato fare! un affronto simile non è tollerabile, loro ci hanno dichiarato guerra e noi dobbiamo rispondere, altrimenti la Luce di Cristo rischia di sparire dal mondo. Noi dobbiamo eliminare la pula, affinché non soffochi il grano!”

“E va bene, vi concedo libertà d’azione.”

“Grazie, Santo Padre. Io, Monsignor Augusto Sartori, Gran Maestro dei Templari, porterò avanti la nuova crociata. Vi chiedo di mettere sotto il mio comando anche i Cavalieri di Malta e i Cavalieri del Santo Sepolcro. Ai miei ordini rispondono già i Cavalieri di Santo Stefano Papa e Martire, il cui Gran Maestro, il qui presente Sigismondo di Asburgo-Lorena, è mio primo aiutante.” accennò all’uomo che lo affiancava.

“D’accordo.” acconsentì il Pontefice “Emanerò una Bolla Papale che vi permetta di agire senza limitazioni.”

Il Papa prese carta e penna e compose un editto che firmò, contrassegnò col proprio sigillo e la consegnò a Sartori che ringraziò e poi aggiunse: “Farò qualunque cosa per difendere la Chiesa. Ora, come primo atto è necessario eliminare due nostri nemici che si celano proprio nel nostro cuore.”

Avendo il nulla osta della Santa Sede, Sartori prese una decina dei suoi templari e si diresse verso il palazzo della Congregazione.

Nella biblioteca della Congregazione, stavano tenendo una piccola riunione Gabriel, Isaia, Alonso e Stefano, ignari di quel che stava accadendo fuori da quelle mura. Si sentivano ormai certi di poter chiudere il capitolo succubi, non le avevano stante tutte e cento, ma almeno un buon numero e, quindi, ritenevano che potevano smettere di considerarle una priorità assoluta. Soltanto Isaia avrebbe continuato ad occuparsene assiduamente, mentre gli altri avrebbero ricominciato ad occuparsi dei soliti casi della Congregazione.

Mentre stavano discutendo di ciò, uno dei segretari della Congregazione entrò e, accostatosi a Gabriel, gli disse: “Signor Antinori, è appena sopraggiunto Monsignor Sartori, pare piuttosto belligerante ed è accompagnato da uomini in armi.”

Gabriel si stupì ed accigliò: che diamine poteva essere accaduto? Sartori, inoltre, doveva essere morto da tempo o, almeno, così credeva.

“Templari ...” disse Isaia, gravemente, con voce spenta.

“Che cosa?!” esclamò Stefano “Sono tutti morti! Li abbiamo visti sterminati!”

“Non tutti.” precisò Isaia “La notte in cui c’è stato il massacro, alcuni sono fuggiti.”

“D’accordo, ma cosa centra Sartori?!” chiese Gabriel.

“Anche lui è un templare!” spiegò Morganti “È stato lui a spingermi a indagare su Castello e … beh, ne parleremo, penso che ora sia più importate capire la faccenda attuale.”

“Non credo ce sia muy da capir!” intervene Alonso “Vengono por voi, seguramente!”

“Allora usciamo dalla biblioteca.” replicò Isaia “Se ci sarà uno scontro, i libri non devono essere danneggiati.”

Alonso sorrise, Stefano rimase perplesso che in un simile frangente Isaia riuscisse a preoccuparsi dei libri, ma immediatamente dovette riconoscere che tale apprensione era assolutamente giustificata data la rarità di quei volumi e provò ammirazione per il fatto che l’uomo avesse anteposto la cultura alla propria salvaguardia.

“Andiamogli incontro, allora.” propose Gabriel e si avviò verso la porta.

Gli altri tre lo seguirono senza indugio. Quando si trovarono a metà dello scalone che portava al pin terreno, si imbatterono in Sartori e i templari. Entrambi i gruppi si bloccarono per qualche secondo e rimasero a fissarsi interdetti, poi il Monsignore disse, con fierezza nella voce: “Ecco i nostri nemici peggiori! L’Eletto del Candelaio e il traditore che ha fatto sterminare i nostri fratelli!”

“Monsignore, cos’è questa follia?!” chiese Gabriel, che non riusciva a capacitarsi granché di quella situazione.

Sartori non gli diede ascolto e disse: “In nome di Domenidio, con l’autorità conferitami dall’Ordine del Tempio e il potere affidatomi da sua Santità, io vi condanno a morte!”

Detto ciò levò in alto il bastone e comparvero una miriade di falchi che si scagliarono contro Gabriel e i suoi amici, beccandoli e colpendoli con gli artigli, lasciando graffi profondi e cercando di strappare gli occhi. Dopo una manciata di secondi, l’Eletto, senza pensarci su un solo istante, fulminò tutti quanti i volatili. Dopo, guardò i templari per un istante e poi scagliò anche contro di loro la furia del proprio potere: non ebbe effetto. Il bastone magico di Sartori aveva formato una barriera protettiva attorno ai templari.

Isaia si accostò a Gabriel e gli disse: “Quella dev’essere la verga di Mosè, penso sia saggio allontanarci alla svelta e raggiungere Bonifacio.”

“Non faremo in tempo a fare due passi che loro ci saranno di nuovo addosso.” replicò Gabriel, che continuava a lanciare palle di fuoco e fulmini contro i templari.

Isaia dovette ammettere che l’amico aveva ragione. Che fare, allora? Mettersi a scagliare anche lui fulmini d’oro, come aveva fatto pochi giorni prima, quando Gabriel lo aveva attaccato?

No, non voleva. Una cosa, però, forse la poteva fare. Quando aveva scoperto di poter ricorrere ai fulmini anche non in presenza di demoni, Isaia aveva subito cercato di capire come impiegarli e si era dunque reso conto che non solo poteva scagliarli, ma anche plasmarli. Decise, quindi, di tentare un’idea che gli era venuta in mente, anche se non ne era certo. Isaia si chinò a terra, appoggiò i palmi sul pavimento e si concentrò; sentì l’energia attraversarlo la fece fuoriuscire dalle mani e iniziò a modellarla, dandole la forma di una gabbia di fulmini che andava creandosi attorno ai templari, che non sapevano come reagire.

In un paio di minuti la gabbia fu terminata. Gabriel e Isaia si scambiarono una rapida occhiata, poi guardarono gli altri due amici e infine si misero a correre verso il piano terreno, lasciandosi alle spalle Sartori e la sua combriccola che inveivano.

Arrivati fuori dal palazzo, ognuno prese il proprio veicolo e partirono per andare alla villa di Serventi; lo fecero sia per essere più sicuri in caso di inseguimento, sia perché non avevano idea di ciò che sarebbe stato e, dunque, era meglio non lasciare indietro nulla.

Per fortuna i templari non ebbero modo di rincorrerli e loro arrivarono a destinazione senza difficoltà. Quando suonarono il campanello, fu Temistocle ad aprire loro la porta, ma non fu affatto sorpreso di trovarseli davanti.

“Entrate. Alla televisione stanno dando notizie di quanto sta accadendo, immaginavamo sareste arrivati qui presto.” disse l’uomo.

“Grazie.” disse Gabriel, entrando “Non ci aspettavamo un attacco, siamo stati colti alla sprovvista. Aspetta, hai detto che ne stanno parlando in televisione?! Perché?! Che altro sta accadendo? Io credevo se la fossero presa solo con me ed Isaia!”

Anche gli altri tre rifugiati erano alquanto stupiti da quell’informazione: nella fretta non si erano accorti di nulla.

“Venite con me di là. Mio padre vi racconterà con precisione.”

Temistocle fece strada e condusse i quattro ospiti nel salotto dove già si trovavano i suoi fratelli, Bonifacio e Giuditta.

“Padre, sono arrivati esattamente come avevi previsto.”

Serventi sorrise e disse: “Ecco l’Eletto e i suoi compagni che finalmente hanno capito dov’è il male e, quindi, nel bisogno vengono a me.”

“Bonifacio, che succede?” chiese in fretta Gabriel, che non voleva stare a discutere.

“L’Apocalisse, nulla di più.” rispose l’uomo, tranquillamente.

Stupore e perplessità presero i quattro sopraggiunti, forse Isaia fu il meno sorpreso, perché ormai se lo aspettava, anche se non in quel modo.

“L’Anticristo è arrivato a portare l’Inferno in Terra.” Bonifacio continuò a spiegare.

“COSA?!” Gabriel era decisamente sorpreso “Io …”

“Non sei tu, l’Anticristo.” sentenziò Serventi.

“Come? E perché me lo hai fatto credere, allora?”

Pure Isaia era parecchio basito circa quest’affermazione.

“Gabriel, tu dovevi semplicemente rovesciare la Chiesa e l’hai fatto, lo sai bene; benché, lo ammetto, mi aspettavo una maniera differente.”

Gli altri tre non compresero, ma Antinori capì al volo che si trattava della faccenda dei segreti vaticani.

“Questo tuo gesto ha provocato la venuta dell’Anticristo e dell’Apocalisse, ma questo non deve preoccuparti: è l’occasione per eliminare ciò che c’è di male e ricominciare da capo e tu, Gabriel, tu guiderai questa purificazione e la rinascita: questo vuol dire essere l’Eletto.”

Antinori rimase ammutolito, colpito e incerto su questa rivelazione e responsabilità.

Padre Morganti non riusciva a capire e, perdendo un poco la pazienza, domandò seccamente: “Non capisco, chi è l’Anticristo, allora?!”

“Ancora non hai compreso, Isaia?” lo rimproverò Serventi “Non è da te; eppure Giacomo e Giuda parlano molto chiaramente.”

Morganti rifletté un attimo, per poi dire, turbato: “Entrambi sostengono che loro hanno la vera rivelazione di Cristo, mentre i Dodici hanno un’idea fallace perché rivolti al Creatore, un idolo.”

“Esatto. Dimmi, nei vangeli, quando viene usato il nome Pietro?”

“ … Quando l’apostolo dice qualcosa di sbagliato …” un’amara consapevolezza stava prendendo Isaia.

“Molto bene e se invece dice qualcosa di giusto, come viene chiamato?”

“Simone …”

“Questo non ti fa supporre che Pietro e la Chiesa siano in errore? Un’ultima domanda, che cosa ammette Papa Leone XIII nel suo esorcismo?”

“Che il drago antico siede nella cattedra di Pietro per corrompere la Chiesa e l’umanità …” Isaia era sconvolto e rattristato “Mi ero reso conto che la Chiesa adorasse il Creatore e non Dio, ma mi sembra eccessivo dire che …”

“ … la Chiesa sia l’Anticristo?” lo interruppe Bonifacio “Eppure è così.”

Gabriel, Isaia, Stefano e Alonso erano basiti e molto scossi: era difficile accettare una simile verità.

“Voi avete sempre creduto di essere dalla parte giusta e che io fossi cattivo, ma non è affatto così.” Serventi continuava “Avete dovuto sbatterci la testa, per comprendere, ma almeno alla fine vi siete resi conto della realtà delle cose.”

“Stai dicendo davvero che questa è l’Apocalisse?” Gabriel era ancora incredulo, ovviamente.

“Sì, ci sono anche i quattro cavalieri: templari, Cavalieri di Malta, del Santo Sepolcro e di Santo Stefano Papa e Martire.”

“Non può essere … se la prenderanno con noi e basta, ma non può esserci un’Apocalisse.”

“Sì, invece: loro distruggeranno e voi li fermerete e ricostruirete. Loro, ora, sentono minacciato il proprio potere e toglieranno di mezzo tutto ciò che si oppone. Ci sarà una tabula rasa, a voi decidere se il nuovo mondo sarà organizzato da loro o da noi.”

“Adesso basta!” sbottò Gabriel, frustrato “Sono tutte menzogne! A me non importa nulla dei tuoi deliri! Io voglio una vita normale!”

“L’altra sera avevi detto che accettavi la tua missione.”

“Ho accettato il mio potere, voglio aiutare la gente dotata di poteri ad avere una vita normale. Normale! Non voglio occuparmi di fine del mondo e così via.”

“Normale? Perché accontentarsi della mediocrità, se si può avere di più, essere di più, senza neppure un grande sforzo? Inoltre, la tua vita normale sarà molto triste, visto ch Claudia se n’è andata.”

“Questo non sarebbe successo se io fossi rimasto fuori da queste faccende, come avevo deciso.”

“Gabriel, queste cose sono reali e tu ne fai parte. Puoi cercare di non vedere, di non sentire, puoi impegnarti per ignorarle, ma esse ci sono comunque. Ora, i templari, la Chiesa, l’Anticristo, scateneranno la loro ferocia e porteranno avanti una tremenda mattanza, non solo di gente coi poteri, ma anche persone comuni, unicamente nel nome di un’inesistente punizione divina. Tu, certamente, puoi scegliere di non occupartene e cercare di vivere normalmente, così loro agiranno indisturbati. Io mi opporrò ai templari, i miei figli saranno al mio fianco e probabilmente anche Isaia, ma chissà se basterà. Tu e il tuo potere siete indispensabili per la vittoria. Scegli dunque ciò che vuoi, ma pensa alle conseguenze!”

Gabriel rimase in silenzio, pensieroso, per alcuni istanti; poi chiese, basito: “Tu hai voluto ch’io provocassi un’Apocalisse per poi farmela fermare???”

“Gabriel, loro hanno portato a sé stessi la propria rovina, tu gli hai dato solo una piccola spintarella: era necessario, altrimenti avrebbero continuato in eterno a portare avanti i loro soprusi!”

Dopo di ché Bonifacio li ragguagliò su quello che i templari avevano fatto appena giunti in città e quello che stavano iniziando a fare.

Alla fine di quel racconto, Antinori chiese: “Io, quindi, sono l’’unico in grado di fermarli?”

“Tu sei l’Eletto: è questo che devi fare. Sia noi che i tuoi amici siamo pronti a seguirti in questa lotta. Adesso, però, non sei pronto: hai appena accettato il tuo potere e dovrai imparare molto, prima di poterlo usare contro i nemici. Vi esorto tutti e quattro a rimanere qui, in attesa del momento dello scontro. Questo è il luogo più sicuro per voi, al momento.”

Tutti e quattro ne convennero, ma non fu con grande entusiasmo che accettarono l’invito a rimanere. Bonifacio diede ordine di preparare le loro stanze e, intanto, nell’attesa, fece servire del tè per tutti. Fu allora che Gaspare fece cenno a Stefano di mettersi un attimo in disparte per poter parlare. Trovatisi a quattr’occhi, lontano dagli altri, Gaspare iniziò: “Senti, Pigolo, mettiamo subito le cose in chiaro: anche se nei prossimi giorni vivrai con noi, devi stare lontano da Giuditta e non infastidirla. Tu mantieni le distanze e io ti lascerò tranquillo. Siamo d’accordo?”

“Io sono un suo amico e lei apprezza la mia compagnia.” ribatté Stefano, irritato.

“Ha voluto cancellarti dalla sua memoria.”

“No, quello lo hai voluto tu. Non crederò mai che sia stata lei a chiedertelo.”

“Resta il fatto che lei non si ricordi e che, quando è venuta a parlarti, l’hai solo fatta arrabbiare. Non vuole più avere a che fare con te e sai perché? Poiché, oltre ad essere insignificante e patetico, hai pure la sfacciataggine di odiare me: l’uomo che lei ama.”

“Impossibile.” sibilò Stefano, a denti stretti, guardando fisso negli occhi l’uomo.

“Ha detto apertamente di amarmi.”

“Non è amore! Al massimo, erroneamente crede lo sia, ma presto si accorgerà che non è così, quando le farò riscoprire che cosa vuol dire essere rispettata e apprezzata.”

Gaspare ridacchiò divertito, prima di dire: “Inutile che cerchi di prendertela: lei amerà soltanto me.”

Stefano si innervosì: “Non mi importa del suo amore, mi importa della sua felicità! Se davvero vuole stare con te, non sarò certo io ad impedirglielo: le ricorderò, però, che deve esigere rispetto.”

“Metterle stupide idee in testa non è un buon modo per impiegare le energie.”

“Non a mio avviso.”

“Dovresti dedicarti a qualcosa che sai fare e non importunare la gente, Pigolo. Abbiamo una grande biblioteca, qua, sono sicuro che ti ci troverai benissimo. Tu hai talento per quello, quindi sfruttalo. Credimi, se lei ti sta veramente a cuore, allora le starai lontano, perché io sono un maestro severo e punirò anche il minimo colpo di testa da parte sua, ci siamo intesi?”

Stefano non disse nulla, ma guardò con furia l’uomo.

Gaspare sogghignò e, prima di voltarsi ed andarsene, aggiunse: “Buona permanenza!”



[1] Favola di Fedro

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Capitolo 41
*** L'apocalisse continua ***


Prima che il Sole calasse su Roma, i Templari diedero un nuovo segno della loro presenza e della loro imminente rivoluzione delle cose. Affidandosi ai poteri della verga di Mosè, avevano fatto sorgere una montagna sotto la cattedrale di San Pietro e il Vaticano, i quali dunque ora si trovavano in cima ad un alto piano florido e rigoglioso, dove i giusti potevano rifugiarsi, mentre nel resto del mondo iniziavano a imperversare le dieci piaghe d’Egitto per punire tutti gli infedeli e corrotti.

Invasione di rane, zanzare, mosche e cavallette, il bestiame moriva, ulcere si aprivano sui corpi dei peccatori e i loro animali, il cielo pian, piano si stava facendo scuro su tutto il globo e la grandine precipitava dal cielo rovinando tutto. Mancava solo che l’acqua si mutasse in sangue e che morissero i primogeniti ma, forse, per quello si sarebbe aspettato qualche giorno.

Come se tutto ciò non bastasse, i Templari e gli altri cavalieri, che ora li affiancavano, si aggiravano per Roma e dintorni personalmente per compiere la loro azione punitiva per chi viveva nel peccato e, allo stesso tempo, salvifica per chi, a loro giudizio, era retto. Loro, in particolare, si concentravano alla ricerca delle persone dotate di poteri; ciò che aveva dell’incredibile era il fatto che pure essi manifestavano capacità e poteri straordinari: essi dicevano che era un dono divino per sconfiggere i nemici di Dio.

L’Arca dell’Alleanza fulminava, anche a distanza di migliaia di chilometri, persone o anche città di nemici del Creatore.

Proprio come diceva l’Apocalisse di Giovanni, stava venendo distrutto un terzo della Terra e dei suoi uomini.

Per la popolazione, l’unica speranza di salvezza certa, era di tentare di raggiungere la cima del monte su cui spiccava il Vaticano; alle pendici, infatti, vi era un unico sentiero che portava in cima, per accedervi, però, era necessario passare prima per un antro, antro che puniva con la morte chiunque non fosse stato degno della salvezza.

Tutta la violenza e la ferocia del Dio del Vecchio Testamento e, quindi, del Creatore, si era manifestata nuovamente al mondo e all’umanità.

 

Gabriel, Isaia e i loro compagni fremevano di ira davanti a quella crudeltà e quegli orrori: volevano intervenire!

Bonifacio li trattenne, con queste parole: “Come vi ho già detto, i templari hanno dalla loro parte la Verga di Mosè, l’Anello di Salomone e l’Arca dell’Alleanza; essi donano loro poteri e alleati che voi non potete fronteggiare in queste condizioni. Siete stati a lungo ostinati, rigettando i vostri poteri e ora non siete preparati ad affrontare il nemico. Per fortuna, adesso avete accettato la vostra natura, per cui rimanete in disparte per qualche giorno, il tempo necessario per imparare ad attingere appieno al vostro potere, poi potrete andare a compiere il vostro dovere. Se vi muoverete prima, rischiate solo la morte, senza risolvere nulla.”

“Non capisco.” disse Gabriel “Questo discorso vale per me, ma per gli altri? Centra con il fatto che Isaia lanci i fulmini? Che cosa ci stai tenendo nascosto?”

Bonifacio non voleva ancora dire la verità, per cui si limitò a dire: “Isaia è una di quelle persone fortunate che hanno scelto di essere in atto ciò che erano in potenza. Isaia è nato con in sé la potenzialità di essere uno dei più grandi esorcisti di tutti i tempi e, senza sapere ciò, ha sentito che combattere i demoni era la sua strada e, quindi, nel realizzarsi può compiere davvero opere grandiose, impossibili per chiunque altro.  Nonostante il suo impegno e la sua determinazione, però, non ha ancora raggiunto l’apice. Per te vale più o meno lo stesso discorso, solo che la tua potenzialità da realizzare è quella di essere l’Eletto.”

“D’accordo.” si tranquillizzò Gabriel “Ho deciso di accettare di essere l’Eletto e lo farò. Sono pronto ad ascoltare i tuoi consigli, ma prima … Vorrei che portassimo qui Claudia, non sono per niente tranquillo a saperla là fuori, alla mercé di quegli uomini crudeli!”

Gabriel telefonò a Claudia a casa e sul cellulare, ma gli rispose sempre la segreteria telefonica. Temendo che lei non gli volesse parlare, Antinori chiese a Stefano di provare a sua volta a chiamare, ma il risultato non fu diverso. Gabriel, allora, telefonò a Teresa per chiederle notizie e la donna gli disse che l’amica era partita per un viaggio un paio di giorni prima e aveva lasciato a casa il cellulare, perché non voleva essere disturbata da nessuno.

Gabriel non era entusiasta ma almeno, pensò, anche se le piaghe si stavano diffondendo ovunque, i templari per ora agivano soltanto a Roma, per cui probabilmente la psicologa era al sicuro, almeno un poco più di altri.

Quando gli chiesero perché non fosse preoccupato per i suoi parenti, Isaia rispose: “Oh, sono certo di poter stare tranquillo: mio padre sarà contentissimo di poter usare finalmente il bunker antiatomico che ha fatto costruire sotto casa. Ogni tanto ci costringeva a fare delle esercitazioni e ci teneva chiusi là sotto anche due settimane.”

In quei due, tre giorni, quindi, Bonifacio e i suoi figli si dedicarono ad aiutare Gabriel ed Isaia a diventare completamente padroni dei propri poteri.

In villa, tuttavia c’era un’altra persona che si preoccupava fortemente per ciò che stava accadendo e che sentiva in sé la necessità di agire. Erano, però, tutti troppo concentrati su Gabriel e Isaia per accorgersi di lei e di ciò che stava provando, tutti tranne Stefano.

Era proprio Giuditta a non sopportare l’idea di rimanere inattiva, mentre fuori dai confini della villa tutto andava a rotoli.

Stefano, per quel poco che era riuscito a vedere la ragazza, si era accorto della sua malinconia e quindi cercò il modo di trovarsi solo con lei, mentre tutti gli altri erano in cortile, impegnati negli esercizi. La trovò in una terrazza, decorata con molte fioriere; la ragazza era distesa su una sedia a sdraio e ascoltava un’opera lirica da uno stereo posto su un tavolinetto lì vicino.

Il Flauto Magico, di Mozart, giusto?” esordì Stefano, poi forzò un sorriso.

Il giovane si sentiva un poco impacciato, un po’ come i primi tempi in cui si rapportava con lei. Non solo la ragazza non lo ricordava, ma lui l’aveva fatta arrabbiare mostrandole il suo astio per Gaspare. Già, in quei giorni che aveva trascorso in villa, Stefano amaramente aveva dovuto constatare che davvero l’amica era totalmente vincolata e, soprattutto, sottomessa a quell’uomo.

Il seminarista, dunque, ci teneva moltissimo a riconquistarne l’amicizia e ad aiutarla a non farsi più mettere i piedi in testa dal figlio di Serventi.

Non ricevendo risposta, Stefano si sedette su una seggiola lì accanto e continuò, gentilmente: “L’ho riconosciuta dall’aria di Pappageno e Pappagena.” attese qualche istante “Sai, una volta abbiamo ascoltato l’intera Tetralogia dell’oro del Reno assieme.”

“Io e te?” si stupì Giuditta.

“Beh, non proprio … eravamo nello stesso teatro! Tu eri con Gaspare e tuo fratello e Bonifacio …”

“Non è la stessa cosa di dire che l’abbiamo ascoltata assieme.”

“Sì, però, quando ci siamo incontrati, tu mi avevi proposto di venire nel palchetto assieme a voi, ma Gaspare s’è opposto.”

“Può essere, non ricordo.”

“Già, lo so.” Stefano si rabbuiò.

“Per favore, potresti andartene?”

“Perché?” qui il tono era quasi di sfida.

“Perché Gaspare non vuole che io resti a tu per tu con te.” rispose candidamente la ragazza.

Stefano si accigliò, si trattenne dall’arrabbiarsi e si limitò a chiedere, con tono piuttosto aspro: “E tu, invece, che cosa vuoi?”

Giuditta rimase un poco sorpresa per quella domanda, poi rispose: “A me sta bene quello che vuole Gaspare: lui sa che cos’è giusto.”

Il ragazzo fece respiro profondo per restare calmo, dopo provò a chiederle: “Ipotizziamo, allora! Immagina che lui non ci sia, immagina che sia sparito senza darti istruzioni. Tu che cosa vorresti fare, ora?”

Giuditta lo guardò un po’ spaesata, poi gli fece cenno di avvicinarsi e alzò il volume della musica, affinché coprisse le loro voci. La ragazza non sapeva se fosse bene confidarsi con il giovane, ma guardandolo negli occhi vedeva la sua bontà e sentiva di potersi fidare di lui, nonostante tutto; inoltre lui aveva dimostrato di conoscere già il suo segreto.

“Io non dovrei essere qui, in questo frangente. Là fuori, si sta scatenando letteralmente il finimondo e io, in quanto Frano Giudice, dovrei essere là a combattere i profanatori della Scienza Sacra. I miei confratelli stanno lottando, probabilmente morendo e io sono bloccata qui a non far nulla!”

Stefano ebbe un dubbio e domandò: “Lo stai dicendo adesso a me, per la prima volta, oppure lo hai detto anche a tuo fratello o a Gaspare …?”

“Con Gaspare ne ho parlato, è ovvio. Gli avevo chiesto il permesso di andare, ma lui mi ha tassativamente vietato di uscire dalla villa. È buono, lo fa perché non vuole che mi accada nulla di male, vuole tenermi protetta, ma … il mio dovere è di andare là e combattere.”

Stefano ragionò un attimo, sospirò e poi disse: “Sinceramente, preferisco anch’io che tu sia qui, al sicuro, piuttosto che a rischiare la vita, è naturale. Non mi piace, però, che tu resti qua solo per obbedire a lui. Sei infelice e si vede.”

“Davvero? Nessuno lo ha notato …”

“Io sì. In questi giorni sei spenta, mogia, priva pure di quel piccolo barlume della tua splendida luce che Gaspare non ti aveva ancora portato via. Per favore, spiegami perché senti l’importanza del dovere andare a rischiare la vita.”

Giuditta lo guardò in un misto di stupore e gratitudine: da parecchi giorni nessuno le chiedeva la sua opinione.

“Io sono un Franco Giudice ho giurato di punire i servi del Caos. L’Ordine è tutto e va preservato ad ogni costo, anche quando la situazione è disperata.”

“Se voi vi fate sterminare tutti quanti adesso, chi porterà avanti la vostra missione, la vostra filosofia in futuro?”

“Se ci sarà un futuro …” la donna divenne ancora più malinconica di prima.

“Una volta eri più ottimista.”

“Gaspare non mi aveva ancora aperto gli occhi. Prima ritenevo che, a questo punto, Gesù sarebbe tornato a mettere le cose in Ordine, invece aveva ragione Serventi: Lui non tornerà più ad invischiarsi nel mondo materiale. Il futuro dipende dalle nostre azioni e, proprio per questo, sento ancora più forte il dovere di intervenire.”

“Puoi cercare una via di mezzo: ora, temo proprio che avresti scarse possibilità e la tua azione sarebbe ininfluente. Pazienta qualche giorno, quando Gabriel e Isaia saranno pronti e potrai aiutarli, come faremo anche noi. Mi sembra un buon compromesso: non vieni meno ai tuoi doveri ed eviti di farti ammazzare.”

“Sono un Franco Giudice: penso di potermela cavare. Ad ogni modo, Gaspare non vuole tassativamente che io prenda parte a questa guerra, dice che devo rimanere al sicuro finché non sarà finita, perché è dopo che verrà il mio momento d’azione, quando ci sarà da ricreare. Io non ne sono sicura, io penso che sia mio compito occuparmi anche di questo scontro.”

“Giuditta, so quanto sono importanti per te il dovere e l’ordine, me lo hai spiegato, quindi …”

Non poté finire la frase, perché la ragazza lo interruppe: “Io sono confusa! Non so più quale sia il mio dovere! Il tribunale della Santa Vehme dice chiaramente quali sono i compiti che i suoi Giudici sono chiamati a svolgere e, credimi, io ho una gran voglia di andare a lottare assieme ai miei confratelli.” aveva le lacrime agli occhi “D’altra parte, però, Gaspare è più vicino alla Verità di me, per cui lui sa meglio cosa …”

“Aspetta.” questa volta fu Stefano ad interrompere “Il fatto che lui conosca o sappia fare più cose di te, non implica che davvero abbia ragione su ciò che è bene e ciò che è male.”

“Io non voglio dispiacerlo.”

Stefano sospirò; rimase incerto un istante, poi si decise a dire: “Per quanto, in questo momento, io sia d’accordo con lui, circa il fatto che dovresti rimanere al sicuro, devo ricordarti che sia tu che tuo fratello avete sempre insistito sul fatto che i desideri egoistici, dettati da legami affettivi, devono essere sempre subordinati al dovere e al servizio dell’Ordine. Lo dice anche il proverbio, no? Prima il dovere, poi il piacere. Quindi, se tu sei convinta che il tuo dovere sia essere là fuori a combattere e l’unica cosa che ti trattiene sono i tuoi sentimenti per Gaspare.” queste ultime parole le aveva dette con ribrezzo “Allora sarebbe bene tu uscissi e facessi ciò che ti compete!”

Giuditta era rimasta sorpresa dalla veemenza con cui erano state pronunciate quelle parole: per quel poco che sapeva di lui, il giovane le era sempre sembrato piuttosto sottotono: se ora le aveva parlato in quella maniera, era perché teneva davvero molto a lei.

La ragazza sorrise con gratitudine e replicò: “Mi hai convinta: se Gaspare si arrabbierà, sopporterò qualsiasi punizione gli venga in mente, ma adesso è giusto e doveroso ch’io vada.”

“Vengo con te.” disse Stefano, non era affatto entusiasta, ma era del tutto risoluto.

“Tu?!” si meravigliò Giuditta, inarcando un sopracciglio “Che cosa sai fare?”

“Temo molto poco. Volevi insegnarmi, ma poi sei dovuta venire qui e io, leggendo ed esercitandomi da solo, non sono riuscito a concludere nulla. Nulla di utile in battaglia … solo un po’ di sano e vecchio potere gesuitico. Sono, però, in grado di sanare e questo credo proprio sia utile.” guardò la ragazza e, vedendola dubbiosa, aggiunse un commento nerd: “In fondo ogni gruppo di avventurieri deve avere almeno un curatore.”

Giuditta sorrise, intenerita. Stefano si sentì rinfrancato e quindi disse: “La situazione sarà ardua, ma io voglio starti accanto e fare tutto ciò che potrò per aiutarti.”

La donna sorrise di nuovo con gratitudine, dopo un’ombra di malinconia le velò il volto e infine disse: “Aspettami qua. Io vado a mettermi in divisa.”

Stefano era piuttosto soddisfatto: Giuditta era riuscita a scuotersi un poco dalla tirannia di Gaspare, era un primo passo per farle ritrovare la sua indipendenza. Certo, la conseguenza di ciò era che entrambi si stavano andando ad infilare in una sorta di missione suicida, ma incredibilmente questo fattore gli pareva del tutto secondario. Benché lui non fosse d’accordo, sapeva quanto l’intervenire era importante per Giuditta e, quindi, era contento di starle vicino e aiutarla. Probabilmente stavano per andare a morire o a farsi molto male, eppure Stefano non poteva fare a meno di sorridere, come se l’essere assieme a quella ragazza rendesse più sopportabile anche la fine.

Attese per circa un quarto d’ora, poi lei arrivò con la sua uniforme da Franco Giudice: abito nero, pugnale cruciforme e maschera neutra bianca; quest’ultima la teneva in mano e l’avrebbe indossata solo arrivati a battaglia.

Appena aveva deciso di andare, Giuditta aveva avvertito un bruciore alla clavicola; mentre si era cambiata d’abito aveva notato che, proprio come le era stato detto, il nome di Gaspare era comparso sulla sua pelle, come inciso a fuoco, per ricordarle a chi lei apparteneva e che stava facendo qualcosa che il suo padrone disapprovava.

“Sicuro, allora, di voler venire?” chiese lei, un po’ rudemente.

Stefano annuì, era felice perché aveva risentito in quella voce la determinazione dell’amica.

Sgattaiolarono di nascosto fino al parcheggio, ma lì si imbatterono in Jacopo.

“Una fuga romantica?” li prese in giro il fantasma “No, nessuno di voi ne sarebbe capace. Quindi state mettendovi nei guai … Attenti, perché se per caso sopravviveste a quelli là fuori, i guai che trovereste qui, al vostro ritorno, sarebbero ben peggiori.”

“Lasciaci in pace!” ribatté Stefano, seccato.

“Ho parlato nel vostro interesse. Tu guarda se devo essere ringraziato così, per una volta che sono gentile!”

“Senti, fai quello che ti pare: noi andiamo.”

“Certo che faccio quello che mi pare, come sempre!”

Jacopo si allontanò borbottando. Stefano prese la propria auto e lui e la ragazza partirono. Era loro intenzione arrivare fino in città, ma non ci riuscirono: già durante il tragitto si imbatterono nelle atrocità di cui avevano sentito parlare sia da Serventi che in televisione, ovviamente con commenti e punti di vista molto differenti.

A meno di cinque chilometri dalla villa, c’era una sorta di tempio Sikh allestito dentro una vecchia stalla dismessa da decenni. Passandoci davanti con l’auto, Stefano e Giuditta notarono che il luogo era preso d’assalto dai templari e gli altri cavalieri. I due giovani parcheggiarono alla distanza adeguata per non essere notati e si avvicinarono di soppiatto. Man, mano che si avvicinavano, notarono che, oltre ai templari con spadoni e agli indiani con turbanti e sciabole, c’erano anche esseri strani, sembravano animali o anche umanoidi ma non parevano affatto naturali. Giuditta arrivò presto alla conclusione che quelle creature fossero demoni delle legioni.

“Ne sei certa?” domandò Stefano “Ma come potrebbe essere? Insomma, templari e demoni non dovrebbero essere in conflitto? Anche se i templari sono l’anticristo …”

“Hanno l’anello di Salomone, sai cosa fa?” era lo stesso tono un po’ seccato, un po’ di sufficienza che Giuditta aveva i primi tempi in cui aveva a che fare con il seminarista.

“Dominare i demoni, già, non ci stavo pensando. Come pensi di procedere?”

“Semplice: Vado, l’ammazzo e torno.” rispose lei con disinvoltura e un sorrisetto sicuro di sé.

“Questo è un titolo di un film western di Castellani del 1967, non un piano!” si lamentò Stefano, piuttosto innervosito, anche se felice di sentirsi un po’ come ai vecchi tempi.

“È così, tuttavia. Siamo in due: io combatto, tu curi, non è che si possano elaborare strategie.”

Stefano la guardò con apprensione e rimprovero. Lei lo trovò tenero e divertente e chiese, un po’ per prenderlo in giro, ma senza cattiveria: “Che c’è? Paura? Lo sai come si dice: la morte è solo l’inizio.

Il giovane rispose d’istinto: “Sì, sono piuttosto nervoso. Potresti darmi un bacio, così le endorfine mi calmerebbero.”

Giuditta si irrigidì, per qualche istante ci fu il gelo, svanì quella complicità che al giovane sembrava di star riconquistando; poi, però, lei si addolcì, lo guardò con tenerezza e gli disse: “Stefano, scusami, io non so come fossero prima le cose tra di noi. Adesso, però, io sono di Gaspare e quindi …”

“Va bene, ho recepito.” la interruppe Stefano, seccamente “Preferirei, però, che tu dicessi di stare assieme a Gaspare, piuttosto che di essere sua.”

Giuditta decise che non era il momento di mettersi a discutere di ciò, per cui disse: “Dai, stiamo perdendo tempo, è ora di agire. Tu sta indietro e fa’ quello che puoi.”

La ragazza indossò la maschera bianca, strinse il pugnale, poi avanzò, divenendo impercettibile ai sensi altrui. Arrivata al centro del campo di battaglia, si concentrò per addensare l’umidità nell’aria in modo tale da provocare una nube di vapore che stupisse i contendenti e che facesse interrompere loro il combattimento per qualche minuto. L’effetto scenografico ebbe successo e lei parve emergere da quella nebbia. Avendo tutti gli occhi puntati contro, lei disse: “In nome della Santa Vehme, sono tutti condannati a morte i profanatori della Scienza Sacra!”

Senza frapporre indugi, Giuditta conficcò all’istante il proprio pugnale nel collo del templare più vicino a lei, poi lo estrasse e si avventò su un altro. Faceva affidamento più sulla lama che sulla magia, che limitava a cercare di bloccare gli avversari o respingerli con bolle d’aria compressa; avrebbe anche potuto facilmente provocare incendi, ma il fuoco poteva essere un’arma a doppio taglio, per cui preferì evitare. I Sikh, vedendo ciò, si sentirono rinfrancati e attaccarono gli assalitori con maggior vigore rispetto a prima.

Stefano non era stato notato, osservava e si chiedeva come potersi rendere utile. Vide uno dei Sikh, ferito a terra, gli si accostò e lo sanò. Gli tornò alla mente quando, pochi giorni prima, preso da rabbia, aveva fatto avvizzire un albero; pensò allora ad Apollo: dio della medicina, ma anche in grado di affliggere con malattie, come quando aveva provocato la pestilenza nell’accampamento degli Achei.

Probabilmente anch’io posso farlo: potrei indebolire le forze templari con delle infermità. Speriamo il bene. –pensò il giovane, cercando di capire come usare il proprio potere in quella maniera.

Decise di non ricorrere a malattie complesse, magari mortali, ma difficili da provocare e chissà con quali tempistiche avrebbero agito. Ritenne che la soluzione ideale fosse ricorrere a semplici, ma efficaci disarticolazioni e rotture di arti. L’ulteriore difficoltà era dovuta alla distanza: lui aveva sempre agito a contatto, tuttavia si mise d’impegno.

Il suo piano funzionò ed ebbe un’importanza fondamentale, poiché i templari sembravano avere anch’essi poter ricorrere a poteri sovrannaturali, a una forza e velocità inumane. La possibilità di azzopparli e di spezzare le loro braccia a distanza fu un’ottima risorsa per permettere ai Sikh di uccidere i nemici, senza correre troppo il rischio di essere loro a congedarsi da questo mondo.

Giuditta, allora, poté concentrarsi sui demoni delle legioni, operando esorcismi ed invocando continuamente il nome dell’Arcangelo Michele.

I legionari, però, non erano facili da sconfiggere ed erano immuni ai poteri di Stefano, quindi, nonostante i templari fossero stati praticamente sconfitti, la vittoria non era affatto probabile a causa di quei demoni.

Giuditta era in difficoltà ed era anche stata graffiata più volte; Stefano non poteva aiutarla negli esorcismi, poiché stava ancora gestendo la situazione coi templari.

La situazione era quindi piuttosto grigia, fu allora che si sentì un gran fragore e una pioggia di lance cadde dal cielo sui demoni: ciò non sarebbe servito a ucciderli, ma li avrebbe rallentati. Giuditta si stupì, si guardò attorno per capire chi avesse fatto ciò e vide Gaspare avvicinarsi.

“Gaspare, io …” balbettò la donna, impaurita.

“Non ora.” la interruppe lui, imperioso “Faremo i conti a casa. Adesso uniamo le nostre menti e poniamo fine alla faccenda.”

Stefano, pure, si era meravigliato e ora osservava: vide Gaspare e Giuditta fissarsi negli occhi e pochi istanti dopo dei fasci di luce attraversarono dall’alto al basso i demoni, facendoli gridare di dolore e poi sgretolare.

In pochi minuti la battaglia si concluse e i Sikh erano al sicuro, per il momento; essi avrebbero voluto festeggiare i loro salvatori, ma non fu possibile. Gaspare afferrò per un polso Giuditta e la portò verso la propria auto.

Stefano si accostò loro, un po’ contrariato, chiedendo: “Ehi, che stai facendo? Dove la porti?!”

“Prego, non c’è bisogno di tutta questa riconoscenza: in fondo, vi ho solo salvato le vite.”

Il ragazzo si accorse di essere stato scortese, per cui cercò di rimediare: “Grazie, probabilmente il tuo aiuto è stato fondamentale. Come hai saputo?”

“Probabilmente?! … Me l’ha detto Jacopo, per fortuna. Adesso lei torna in villa con me. Tu, Pigolo, fai quello che ti pare. Spero che mettere a rischio non solo te stesso, ma soprattutto lei, ti abbia fatto capire che noi non parliamo a caso e se diciamo di non uscire dalla villa, non bisogna uscire dalla villa.”

Stefano annuì; poi pensò fosse meglio non aggiungere altro e si allontanò, per recuperare la propria automobile e rientrare alla villa.

Mentre erano in macchina, Gaspare sembrava furioso e non aprì bocca per tutto il tragitto, nonostante Giuditta avesse espresso le proprie scuse e il proprio rammarico per quella sconsideratezza. Arrivati nel cortile della villa, l’uomo parcheggiò; rimanendo in auto, guardò glacialmente la ragazza e, con una severità che la donna non gli aveva mai visto, disse: “Che cosa ti avevo detto, io? Di non uscire dalla villa, poiché è pericoloso. Tu, però, bambina capricciosa, non mi hai dato ascolto!” pur non urlando, la sua ira era lampante “Adesso che hai rischiato la vita con quella feccia, che cosa pensi di avere ottenuto? La vita di quei Sikh? Se saranno fortunati, verranno attaccati di nuovo domani e moriranno.” sospirò, lasciò passare qualche secondo e poi disse, leggermente placato: “Non provare mai più a fare di testa tua, tanto meno di dare retta a Pigolo, lì. Ci siamo intesi?”

Giuditta non rispose, lo fissava in un misto di contrizione e paura e sembrava sull’orlo di piangere.

Gaspare la guardò: in fondo faceva fatica a rimanere arrabbiato con lei. Disse: “Chi tace acconsente. Va in camera e pensa alla maniera di chiedermi scusa.”

La ragazza non fiatò e uscì dall’auto. Rimasto solo, Gaspare abbandonò il proprio ostentato atteggiamento freddo e tremendo, per far spazio a un terribile nervosismo e agitazione: aveva paura. La ragazza gli aveva disobbedito, dimostrando che lui non ne aveva il totale controllo; ora, lui doveva rispondere di questo suo insuccesso davanti al proprio genitore. Sentì qualcuno bussare sul finestrino: era Temistocle. Gaspare scese dall’auto per ascoltare.

“Ti vuole vedere subito, ti aspetta nel suo studio.” gli comunicò il fratello maggiore.

“È furioso?” chiese Gaspare, col groppo in gola.

“Naturalmente, con quel che è successo! Non fare domande stupide.”

“Allora vado.”

Gaspare si affrettò a raggiungere il padre che lo aspettava, seduto dietro la propria scrivania. Il giovane, appena entrato nello studio, si mise davanti al desco, ma non gli fu lasciato il tempo di parlare.

“Si può sapere come sia stato possibile?” domandò Bonifacio, calmo, ma con lo stesso tono di amarezza e delusione di quando aveva scoperto il tradimento di Foschi o di Clara. Continuò: “Garantisci sempre di avere il controllo totale su di lei, eppure, nonostante i tuoi ordini, si è andata a mettere in pericolo con quei folli e le legioni infernali; c’è una profonda contraddizione, non credi?”

“Padre, come ho notato fin dall’inizio della faccenda, l’amicizia tra lei e la Guida crea interferenze.”

“Ti ho affidato un preciso incarico e tu lo hai accettato con tutte le sue difficoltà ed implicazioni. Sai perfettamente che tu e lei dovete arrivare sani e salvi alla fine di questa guerra e all’inizio del nuovo mondo. Ti ho detto che durante questa guerra c’era una sola ad unica cosa che dovevi fare: tenere lontano dai pericoli lei e te stesso e oggi hai fallito questa semplicissima missione. Ha forse ragione Annibale, nel dire che ti sei lasciato vincere dall’affetto per lei? Ricorda, proprio se tieni a lei, devi fare in modo che obbedisca: è per il suo bene.”

“Padre, ti assicuro che ne sono perfettamente consapevole e che non sono per nulla arrendevole o permissivo con lei.” Gaspare era preoccupato e cercava di difendere come meglio poteva il proprio operato “La tengo sottocontrollo con tutti gli accorgimenti necessari.”

“Eppure oggi è accaduto ciò che non doveva neppure passarle per la testa. Gaspare, devi iniziare a fare sul serio.” Bonifacio parlava con una naturalezza terrificante; guardò tremendamente il figlio e gli disse: “Se non vuoi rischiare di mandare a monte il piano e se non vuoi suscitare la mia ira, vedi di iniziare a comportarti come i tuoi fratelli maggiori.”

“Sì, padre, non ti deluderò più.”

“Ti conviene.”

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Capitolo 42
*** Il figlio ***


Era sera, Isaia stava passeggiando da solo nel parco della villa: da tre giorni erano lì e lui e Gabriel si esercitavano per poter far scaturire per intero il loro potere. Bonifacio era contento della rapidità dei risultati, ma non era ancora sufficiente.

Isaia era preoccupato, avrebbe voluto accorciare i tempi. Quel giorno, sua sorella e Stefano erano usciti per meno di un’ora e avevano rischiato la vita: per fortuna era intervenuto Gaspare!

In quel momento Morganti era molto grato al figlio di Bonifacio. Non aveva sospettato che la sorella potesse essere tanto sconsiderata! E Stefano, poi, trascinarla in quella follia … come aveva potuto?!

Isaia vagava per il giardino, gli piaceva essere consigliato e rassicurato dal pallido chiarore lunare. Sentì bisbigliare il proprio nome, si guardò attorno per capire e, d’improvviso, si trovò davanti tre Franchi Giudici.

“Che cosa ci fate, qui?” chiese Morganti.

“Veramente, ci stiamo chiedendo la stessa cosa di te.” gli rispose uno di loro “Non ha importanza, però. Siamo qui per dirti che la dottoressa Munari è in pericolo e tu devi andare a salvarla, adesso.”

Isaia li guardò stupito, poi osservò: “Dovreste dirlo a Gabriel, non a me.”

“Antinori non ci conosce, perderemmo tempo a spiegargli e poi è compito tuo.”

“Mio?!” si meravigliò Isaia, poi iniziò a dirigersi verso il parcheggio “Come ha fatto a mettersi nei guai? Ha esposto una delle sue teorie fantascientifiche circa come sia nato un monte sotto il Vaticano o ha cercato di psicanalizzare Sartori?”

“Nessuna delle due. Sta per partorire.”

“Non sono scaduti i nove mesi.”

“Mai sentito di nati settimini?”

“Sì, sì, certo. Non capisco, però, perché questo la metta in pericolo.”

Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un drago rosso, con sette teste. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro. Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: -Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti a Dio giorno e notte.-”

“Conosco l’Apocalisse di Giovanni.” commentò Isaia, ormai arrivato all’auto “È proprio il caso di citarla? Non state esagerando?”

“Non devi chiederti se questo sia vero o falso, ma ti basti sapere che i templari ci credono e vedono nel figlio di Antinori una grave minaccia. La dottoressa Munari sta avendo il travaglio.”

“E come lo sapete?”

“Lo sappiamo, punto. Hai intenzione di andare a salvarla?”

“Certo, fatemi strada.”

Isaia non aveva capito granché di quella faccenda, ma si accontentò della necessità di salvare qualcuno; tanto più se quel qualcuno era Claudia: la donna amata dal suo migliore amico. Sì, oltre che per senso del dovere agiva anche per Gabriel.

“Sembra tutto tranquillo.” osservò Isaia, una volta parcheggiata l’auto davanti la casa di Claudia.

“Arriveranno a momenti.” disse un Franco Giudice, che era andato con lui “Tu va dentro, noi stiamo in perlustrazione.”

Isaia uscì dalla macchina entrò nel palazzo, raggiunse l’appartamento di Claudia e suonò il campanello. La porta si aprì dopo un paio di minuti ma, invece che la psicologa, si trovò davanti ad un’altra donna che, agitata e spaventata, gli chiese: “Lei chi è? Cosa vuole?”

“Sono padre Morganti, un amico di Gabriel; la dottoressa Munari è qui?”

“Eh … sì, ma non è un buon momento.”

Si sentirono dei lamenti di dolore, provenire da un’altra stanza.

“Il travaglio?” chiese Isaia.

“Sì.” annuì la donna, che era Teresa.

“La vada ad aiutare, io starò in una stanza attigua.”

“Teresa, chi è?!” si sentì chiedere dalla dolorante voce di Claudia.

“Sono Isaia. Ho motivo di credere che lei sia in pericolo. Ce la fa a muoversi o il parto è imminente?”

“E che cavolo ne so?! È la prima volta!”

“Ho ragione di credere che la sua vita e quella del nascituro siano in pericolo. Preferirei portarla via da qui prima del parto, ma se non è possibile, farò del mio meglio per proteggerla qua!”

“Perché? Non c’è Gabriel?”

Teresa trovava divertente quell’urlare da una stanza all’altra per conversare.

“Lui non sa che lei è in pericolo!”

“Perché lui no e tu sì?”

“È una questione complessa e non so nemmeno se posso parlarne.”

“Bah, le solite cazzate. Fa’ quello che ti pare. Teresa, per favore, vieni ad aiutarmi!”

L’amica si affrettò a raggiungere in camera la psicologa. Isaia si mise a sedere in salotto, ad aspettare che accadesse qualcosa.

D’improvviso sentì un rumore sordo e profondo. Capì che qualcuno stava cercando di sfondare la porta. Sentì un altro colpo, più forte. Isaia scattò in corridoio e vide l’uscio a terra e dei demoni legionari entrare. Intanto dalla camera si sentivano le grida di Claudia per le doglie. Isaia istintivamente ebbe timore, ricordando di non avere con sé alcuna arma; poi si scosse, si ricordò che non aveva bisogno di lame di metallo. L’uomo si concentrò su ciò che aveva imparato del proprio potere in quei giorni e una spada di luce e di fulmine comparve nelle sue mani.

I demoni provarono stupore nel trovarselo davanti, ma non retrocedettero, anzi, si scagliarono contro di lui.

Lo scontro cominciò. Isaia era sicuro di sé e riusciva facilmente a respingere gli assalti delle creature infernali, trapassandole con la spada d’energia. Erano demoni delle legioni che un tempo lo facevano faticare, quando prendevano possesso del corpo di qualche umano; adesso, invece, dopo aver approfondito il proprio potere, Isaia riusciva a fronteggiarli senza difficoltà.

Delle grida provennero dalla camera di Claudia: non erano le doglie del travaglio, ma urla di spavento. Poi l’infrangersi di un vetro.

Isaia capì al volo: dei demoni dovevano aver fatto irruzione, passando dalla finestra. L’uomo si precipitò nella stanza.

Claudia era sdraiata sul letto, ormai il bambino stava per uscire e lei era troppo occupata in ciò per spaventarsi e preoccuparsi per i quattro demoni delle legioni che avevano appena fatto irruzione. Teresa, invece, era terrorizzata ed era salita sul letto anche lei, ma questo non poteva certo proteggerla.

Isaia, vedendo tale situazione, non indugiò un solo istante e si avventò sul demone che aveva più vicino. Rendendosi però conto che doveva ingaggiarli in combattimento tutti quanti contemporaneamente, altrimenti avrebbero potuto aggredire le due donne, Isaia plasmò l’energia della sua spada e la trasformò in una lunga catena che si avvinghiò attorno ai demoni, bloccandoli, ustionandoli e stringendoli fino alla liquefazione.

Claudia si sentì sollevata, vedendo quei bestioni crollare, ma non poteva manifestarlo, in quanto la testa del bambino stava quasi per uscire. Teresa sorrise, rassicurata e tornò ad assistere l’amica.

Fu in quel momento che le pareti tremarono, si sentì un gran fragore, iniziarono a piovere frammenti di intonaco.

Isaia guardò verso l’alto e si accorse che la casa si stava scoperchiando. In un paio di minuti si ritrovarono senza soffitto sopra la testa, sotto un cielo gremito di demoni.

Il sacerdote non era certo che sarebbero usciti vivi da quella situazione, ma non si arrese. Si affrettò a creare una cupola di luce attorno al letto, in modo tale che la puerpera e l’improvvisata levatrice fossero protette.

I demoni volavano e si gettavano in picchiata contro la cupola. Isaia faceva del suo meglio per intercettarli con le catene, ma, solo e senza ali, era in difficoltà. Decise, allora, di provare qualcosa di completamente nuovo: non aveva idea se poteva o non poteva fare una cosa del genere, ma il tentativo era d’obbligo.

Isaia si concentrò per manifestare una vastissima quantità della sua energia d’oro, poi la modellò con le sembianze di una decina di angeli che poi lanciò in battaglia coordinandoli e guidandoli come se fossero stati radiocomandati.

Avendo buon esito la strategia di Isaia, presto apparve nel cielo un demone non legionario, bensì uno dei conti infernali. Aveva l’aspetto di un enorme drago e gli basto un soffio di fumo per distruggere gli angeli d’oro; poi puntò alla cupola d’energia, per poter divorare il bambino che era ormai per metà fuori.

Isaia era molto preoccupato. Si ricordò che combattendo sul lago Averno, gli erano spuntate delle ali d’energia: gli avrebbero fatto estremamente comodo anche in quel momento. Si concentrò e riuscì a procurarsele, poi evocò di nuovo la spada e vi aggiunse un piccolo scudo tondo, impugnato con la mano, usato non solo per difendersi, ma anche per attaccare. Così preparatosi, Isaia si alzò in volo e si frappose tra il demone e la cupola.

Ne seguì un aspro scontro. Il dragone era potente, il suo soffio velenoso, il suo fuoco tremendo, i suoi artigli avrebbero potuto perforare il diamante. Isaia era rapido, si difendeva ed evitava gli attacchi e, a sua volta, offendeva con fendenti e affondi magistrali.

La tattica del gesuita era però quella di prendere tempo, mentre cercava di capire il nome di quel demone, ma non aveva abbastanza indizi per capirlo. Decise di penetrare la mente della creatura, per capire chi fosse. Gli era stato detto che era pericoloso entrare in contatto con la mente degli esseri infernali, ma non vedeva altra soluzione. Compì un grande sforzo per evocare una catena d’energia che avvinghiasse il demone, per tenerlo bloccato un paio di minuti; poi gli si pose dinnanzi e lo fissò negli occhi, fino a riuscire a spingere la propria coscienza dentro quella del dragone che fu spaesato per quell’invasione che non si aspettava.

Isaia trovò facilmente il nome e, sempre rimanendo nella testa, disse: “Tu sei Botis, servo del grande nemico. Non porterai alla perdizione altre anime! Io ti impongo un esilio perpetuo da questo mondo, tu vagherai per il regno del nulla, fino a quando non troverai la redenzione.”

Il drago ruggì, un grido lancinante e svanì.

Isaia si sentiva molto affaticato, ma finalmente tutto era tranquillo e non si vedevano né demoni, né templari all’orizzonte. Tornò coi piedi per terra, dissolse la cupola d’oro e vide che il figlio di Gabriel e Claudia era finalmente venuto alla luce. Teresa aveva staccato il cordone ombelicale, ma il piccolo era ancora sporco di sangue e placenta e piangeva.

Dal momento che la situazione si era placata, Teresa portò il neonato in bagno per lavarlo e mettergli un vestitino. Il sacerdote rimase solo con Claudia che si stava riprendendo dalle proprie fatiche.

“Grazie, Isaia.” disse la psicologa “Non riesco a credere a quello che hai fatto e soprattutto al come.”

“Se le viene in mente una spiegazione scientifica … se la tenga per lei. Mi era doveroso salvarla, soprattutto per il figlio di Gabriel …”

“Grazie; immagino … visto che le altre persone le state lasciando morire.”

“Ci stavamo preparando, se non mi fossi esercitato in questi pochi giorni, non sarei riuscito a proteggervi, adesso. Dottoressa Munari, per la sua sicurezza, la consiglio di mettere da parte la sua rabbia e i suoi problemi con Gabriel e di seguirmi dove alloggiamo noi e saremo al sicuro e potremo difendere lei, la sua amica e il bambino.”

“E quale sarebbe questo posto sicuro?”

“La villa di Bonifacio.”

“Serventi? Voi vi siete davvero rifugiati da quel pazzo?”

“In questo momento lui vuole il nostro bene ed è il nostro maggiore alleato in questa lotta.”

“No, è quello che ha causato tutto ciò e voi lo state assecondando.”

“Bonifacio non ha aizzato i templari, beh forse un pochino sì, ma ci sono state cause anche differenti. Solo noi possiamo mettere fine a questa follia.”

“Ecco, c’era da aspettarselo che avreste di nuovo coinvolto Gabriel in questa sciocchezza della profezia. Non riuscite proprio a sopportare l’idea che lui voglia una vita normale?”

“Sia ragionevole! A quella gente non importa nulla di cosa decida di fare Gabriel nella vita: lo considerano una minaccia e continueranno a perseguitarlo. Lei, dottoressa, sta vivendo una vita normale (per quanto lo possa essere in questo momento) eppure è stata aggredita lo stesso, unicamente perché ha messo al mondo il figlio di Gabriel, considerato pericoloso prima ancora di nascere. Gabriel è liberissimo di decidere di ritirarsi con lei in campagna o dove accidenti preferite; fatto sta che, se così fosse, i Templari vi troverebbero, prima o poi, e vi ucciderebbero tutti. Vargas, nella sua follia, aveva ragione: o Gabriel accetta di essere ciò che è, oppure morirà: solo l’utilizzo dei suoi poteri può proteggerlo dai suoi nemici e, forse, potrebbe non bastare più. Lei e Gabriel vi amate, volete vivere assieme, tranquilli e sereni, ma al mondo non gliene importa nulla dei vostri progetti; il mondo va avanti, prende le proprie pieghe e siete voi a dovervi adattare alle circostanze. Non potete fingere che non stia accadendo nulla, non c’è modo di isolarvi dal resto del mondo. Per quanto una cosa non ci piaccia o non l’avessimo prevista, se c’è, dobbiamo affrontarla, non fingere che non ci sia.”

In quel momento rientrò nella stanza Teresa col neonato pulito e vestito in  braccio e lo diede a Claudia. La psicologa guardò il figlioletto, era contenta, si sentiva piena di gioia. Aveva capito le parole di Isaia: l’unico modo per proteggere il piccolo era andare da Serventi.

“E sia.” sospirò la donna “Portami da Gabriel.”

“Si riconcilierà con lui?” domandò Isaia.

Claudia non rispose, era incerta.

“La convincerò io, padre.” intervenne Teresa, un po’ spazientita dall’atteggiamento dell’amica “Se vogliamo andare, ci faccia strada.”

Più tardi giunsero in villa loro tre, il bambino, le sue cose e un Franco Giudice. Era all’incirca mezzanotte quando arrivarono; le luci del piano terreno erano tutte spente. Isaia fece accomodare tutti quanti nella prima sala, poi andò a cercare Bonifacio e Gabriel. In pochi minuti il padrone di casa aveva dato ordine ai domestici di preparare delle stanze per i nuovi ospiti e offrir loro qualcosa di caldo; Serventi, poi, si era seduto su una poltroncina e, rimanendo in silenzio, osservava il pargoletto.

Gabriel, quando appena svegliato ebbe saputo le novità, dapprima era stato investito dalla gioia di essere padre e di rivedere Claudia, poi, però, fu proprio il pensiero della donna a preoccuparlo: era ancora arrabbiata con lui? Lo aveva perdonato? Gli avrebbe permesso di stare vicino a lei e al bambino?

Preoccupato da tutto questo e non sapendo cosa dire e come comportarsi, Gabriel non aveva il coraggio di presentarsi in salotto.

“Fratellino, suvvia, non essere ridicolo!” lo apostrofò Gaspare, svegliato da quel trambusto “Non puoi farti tenere in scacco dalla tua donna. Insomma, è assurdo che tu abbia paura di lei! Devi farle capire che non siete dei ragazzini, che la vostra è una relazione seria e che, quindi, certi capricci devono sparire: non può fare la permalosa così.”

“Forse dovrei chiederle scusa, darle un segno del mio amore …”

“Gabriel, quante volte le hai chiesto scusa per questa faccenda e lei ti ha ignorato?”

L’Eletto si accorse che effettivamente quest’osservazione del fratello era esatta.

“Quante rinunce hai fatto per lei? Quante dimostrazioni d’amore le hai dato? E, soprattutto, quante ne ha date lei a te? Significative, intendo.”

Gabriel, per la prima volta, si rese conto, almeno per un momento, che la relazione tra lui e Claudia era molto sbilanciata in favore della donna. Per qualche attimo pensò che lui, sentendosi per la prima volta amato, stava investendo tantissimo in quella relazione, mentre la donna dava molto meno rispetto a lui.

“Fratellino, ascolta il mio consiglio, tu ora vai là e abbracci tuo figlio e, se la Munari ha qualcosa da dire, non ti deve dispiacere, non devi scusarti o cose simili, ma devi far valere il tuo diritto. Sii deciso e sicuro e per una volta sii tu a pretendere, anziché chinare la testa. Chiaro?”

“Proverò …” sospirò Antinori.

Gabriel, poi, si fece coraggio ed entrò nella sala.

Claudia, che teneva in braccio il neonato e lo cullava, si accorse subito dell’ingresso dell’uomo, alzò un poco il viso, lo osservò qualche istante, poi guardò Teresa come per chiederle che cosa fare. L’amica la incoraggiò con lo sguardo.

Gabriel, senza dire nulla, si avvicinò, sedette accanto alla donna e guardò il bambino, gli carezzò la testolina con pochi capelli.

“È bellissimo, vero?” gli chiese Claudia, con voce dolce e felice, come se non avessero mai litigato.

“Sì, è stupendo …” rispose Gabriel, commosso “Come pensi di chiamarlo?”

“Matteo.”

Dono di Dio” intervenne Bonifacio “Effettivamente è un nome abbastanza calzante, anche se ce ne sono di migliori, ma lo approvo.”

“Tu non rientri nella scelta del nome.” lo fulminò Claudia, poi si rivolse candidamente a Gabriel: “Allora, che cosa ne pensi di Matteo Antinori? Credi anche tu che suoni bene, vero?”

“Certamente, per me va benissimo!”

Non visto, Gaspare scosse la testa negativamente, insoddisfatto per la mancanza di spina dorsale che vedeva nel fratello.

“Questo bambino è nato per essere grande.” puntualizzò Bonifacio.

“Lascia le profezie fuori dalle nostre vite!” tuonò Claudia “Una, a rovinarci, basta e avanza.”

“Non bisogna mai trascurare le potenzialità offerte dal destino.” si limitò a sogghignare Serventi, prima di uscire dalla sala.

Il trasferimento in villa di Claudia e Teresa, dunque, funzionò tranquillamente. Gabriel era felicissimo di aver ritrovato la sua donna e ora quella brutta faccenda dei templari gli sembrava meno tremenda, se non altro, almeno era certo di poter proteggere la donna.

 

“Non ti ha nemmeno chiesto scusa.” gli fece osservare Isaia, il mattino seguente, dopo colazione.

“Ma non ne aveva motivo.” la giustificò Gabriel.

“Ti ha trattato come un criminale e ha continuato a tenerti lontano, anche se ti eri profondamente pentito e scusato!”

“Senti, non mi importa che si sia scusata o meno, l’importante è che mi abbia ripreso, adesso. Ora siamo una famiglia e va benissimo così.”

“Se non ci fosse stata questa combinazione in cui lei è stata aggredita e io l’ho salvata, non si sarebbe più fatta vedere! Non va affatto bene così.”

“Isaia ha ragione.” si aggiunse Gaspare che era lì vicino e ascoltava “In questo modo sembra che sia una concessione che lei ti ha fatto e non dovrebbe essere affatto così!”

“Esatto.” proseguì Morganti “Devi ammetterlo: lei ti tiene in una condizione di minorità, vuole avere l’esclusiva sull’aiutarti e ti manipola per farti sempre fare quello che vuole lei.”

“Dici così solo perché sei geloso!” scattò Gabriel, che non sopportava di sentire criticata la sua relazione “Ti dà fastidio che io abbia preferito il mio amore per lei, alla mia amicizia per te e al mio mestiere.”

“No, Gabriel, parlo per il tuo bene, come sempre! Ti stai lasciando completamente influenzare da lei. Dico solo che la paura di perderla non deve essere tale da finire col darla sempre vinta a lei.”

“Invece di rimproverare me, che ho un rapporto assolutamente paritario con la mia donna, perché non te la prendi con Gaspare, vista la maniera in cui tratta tua sorella? Mi pare che lo squilibrio tra di loro sia ben peggiore!”

“Pure questo è vero.” spiegò Gaspare “Vedi, fratellino, il fatto è che io sono realmente superiore a Giuditta e mi sto prendendo amorevolmente cura di lei. Tu, invece, che sei l’Eletto, che sei il più grande tra noi, ti stai sottomettendo a una donna qualunque.”

Gabriel stava per replicare, quando la conversazione fu interrotta  dal suono di un corno e poi grida concitate.

“Che accade?” domandò Isaia.

“Siamo sotto attacco, temo.” rispose Gaspare.

“Andiamo a vedere.” propose Gabriel.

I tre uomini andarono verso la sala principale, strada facendo incrociarono Bonifacio , il quale, pur andando di fretta, manteneva l’aspetto compito e deciso.

“Gabriel, Isaia! Eccovi ... Sbrigatevi, non c’è tempo da perdere.”

“Che succede, Bonifacio?” chiesero quasi in coro i due amici.

“Succede che ci attaccano.”

“I templari?” domandò conferma Gabriel.

“Loro e i loro alleati demoni.” Bonifacio pareva essere l’unico a comprendere la gravità della situazione e l’unico a non preoccuparsi “Voi due venite con me: vi siete preparati bene in questi giorni, faccio soprattutto affidamento su di voi per annichilire questi aggressori. Io e i miei figli e anche Jacopo, vi supporteremo al meglio delle nostre qualità.” poi guardò il figlio presente e gli disse: “Tu, Gaspare, sei escluso.”

“Ma, padre …” tentò di protestare.

“No! Tu starai con le donne e interverrai nel combattimento solo per proteggerle. È il compito che ti affido, non indisponermi.”

“Temistocle e Annibale mi rinfacceranno per l’eternità il fatto che loro hanno preso parte a questa battaglia e io no.”

“Non essere infantile. Il tuo momento verrà dopo: loro possono anche morire, oggi, ma tu devi restare vivo. Non essere turbato dalle osservazioni dei tuoi fratelli, non per nulla ho deciso che loro sono sacrificabili, mentre tu sei indispensabile.”

“Scusami, padre, hai ragione.” Gaspare era contrito.

“Bene, ora vai, raduna le donne e proteggile, se necessario. Gabriel, Isaia, il campo di battaglia vi aspetta.”

Gasare si separò dagli altri e si affrettò a trovare innanzitutto Giuditta, con la quale andò poi a cercare Claudia e, soprattutto, il bambino. Li trovarono in un salottino, assieme a Teresa, Alonso e Stefano.

“Che cosa succede?” domandò Stefano, appena li vide entrare, poiché si era accorto che c’era movimento all’esterno.

“Ci attaccano.” rispose seccamente Gaspare “Io sono qui per proteggere le donne, il bambino e direi anche Alonso che, senza offesa, ha una certa età. Pigolo, tu, invece, direi che sei assolutamente abile al combattimento, quindi va’ fuori e combatti!”

“Potrei restare a dare una mano a te a difendere …”

“Sparisci!” Gaspare fu perentorio.

Stefano lanciò uno sguardo a Claudia, poi uno più lungo a Giuditta, infine uscì dalla stanza e scese in cortile.

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Capitolo 43
*** Un inizio è una fine ***


Quando arrivò in cortile, Stefano scorse in lontananza il sopraggiungere dei nemici, vide poi gli altri uomini che si consultavano per decidere la strategia.

Il ragazzo si avvicinò e sentì Serventi dire: “Allora, Jacopo, tu creerai l’illusione che il nostro numero sia enorme, non tale da spingerli a chiedere rinforzi, ma abbastanza per disperdere le loro energie, facendoli scontrare con le illusioni.”

Uff, che noia, io volevo uccidere!” si lamentò il fantasma

“Non essere egoista, non siamo qui per divertirci. Puoi sempre sgozzarli col tuo pugnale, se riesci a farlo, mantenendo l’illusione.”

“Certo che ci riesco!”

“Molto bene.” continuò Bonifacio “Gabriel e Isaia, voi prendetevi il tempo necessario per fare appello a tutto il vostro potere e, poi, agite seguendo l’istinto: andrete benissimo. Io, i miei figli e il Franco Giudice vi daremo il tempo necessario, li tratteremo finché non sarete pronti, poi vi seguiremo.”

“Io che cosa faccio?” domandò Stefano.

Bonifacio si voltò verso di lui e lo guardò come per dire: ah, ci sei anche tu?! Poi disse: “Tu fa come noi e cerca di non farti ammazzare.”

Bonifacio, poi, disse telepaticamente ai suoi figli: Tenetelo d’occhio; può anche essere ferito, ma deve uscirne vivo.

Aveva quasi la tentazione di dare qualche istruzione a Stefano per provocare gravi malattie, fulminanti, negli avversari, ma poi si disse che non voleva che il ragazzo fosse troppo consapevole di sé.

Gli aggressori erano a mezzo chilometro, erano già entrati nel cortile.

Serventi era molto scuro in volto; non aveva paura di essere sconfitto, anzi era molto sicuro della propria vittoria, tuttavia sapeva di dover affrontare la questione con profonda serietà, senza lasciarsi traviare dalla spavalderia o altro.

“Gabriel, Isaia, concentratevi.” li esortò di nuovo Bonifacio “Jacopo, inizia a popolare questo giardino. Noialtri, sbizzarriamoci.”

L’uomo, i suoi figli e il Franco Giudice (rimasto lì dalla notte prima) avanzarono verso il nemico, senza timore, mentre Stefano li seguiva, tentennante. Annibale e Temistocle andarono in direzioni opposte, poi, uno di fronte all’altro, posarono le mani sul terreno e aprirono uno squarcio, tipo fossato, largo tre metri, per rallentare l’avanzata dei nemici. I due fratelli divennero come invisibili agli occhi dei nemici e rimasero in attesa che i templari e gli altri cavalieri iniziassero ad attraversare quel canale, per poterli bersagliare con più tranquillità con dei fulmini o delle fiamme. Evocare elementi naturali con la magia, era una delle operazioni più complesse e difficili, accessibile a pochissimi e, comunque, richiedente un tale sforzo da potervi ricorrere solo in casi estremi.

I cavalieri, giunti a quel punto, sorpresero tutti quanti: con balzi stupefacenti, iniziarono a saltare il fosso senza problemi, esattamente come i demoni legionari che li accompagnavano.

Annibale e Temistocle, allora, si sforzarono per colmare il fosso con dell’acqua, dopo di che presero a tramortire con scariche elettriche quelli che saltavano, in modo tale da farli cade in acqua e lasciarli affogare.

Molti templari, tuttavia, riuscivano a passare l’ostacolo.

Le illusioni di Jacopo, per fortuna, erano efficaci e quindi i nemici si concentravano ad attaccare avversari inesistenti. Con grande stupore di tutti, il saltare tre metri in lungo senza difficoltà, non era l’unica insospettata abilità dei cavalieri: in generale le loro capacità fisiche erano molto migliorate e, in più, potevano lanciare raggi di morte dalle mani. Quest’ultima cosa la notarono, per fortuna, quando, grazie alle allucinazioni, un templare era stato colpito da un suo alleato.

Bonifacio allertò tutti telepaticamente: sono stati potenziati dalla verga di Mosè, sono più pericolosi del previsto, ma non temete, presto Gabriel e i Isaia ci libereranno di loro.

Serventi, poi, continuò ad aggirarsi con nonchalance tra i nemici, toccandoli con disinvolta decisione nei punti giusti e lasciandoli cadere morti alle proprie spalle.

Stefano, vedendolo agire così, pensò: lui ha studiato alla scuola di Hokuto.

Il giovane aveva iniziato a seguire la stessa tattica, utilizzata quando con Giuditta aveva difeso i Sikh. Il Franco Giudice collaborava con lui, in quanto si avventava sugli azzoppati e li sgozzava, poiché il seminarista non aveva l’animo di uccidere.

Temistocle e Annibale, esaurita la gente da scaraventare nel fossato, si erano gettati nella mischia e puntavano ad immobilizzare o stordire con ultrasuoni i templari e, poi, ucciderli. Si trovarono, tuttavia, presto impegnati a dover far fronte a un paio di demoni delle legioni, contro i quali le loro possibilità erano molto scarse.

Antinori e Morganti erano assorti in se stessi.

Isaia non aveva idea di avere o non avere trovato completamente il proprio potere, sapeva solo che sentiva il dovere di agire: non ce la faceva più a restarsene lì, fermo; non gli importava se non era ancora pronto del tutto, doveva combattere.

Rivestito della propria energia, con le ali e la spada d’oro, Isaia si scagliò contro i demoni. Con fendenti eleganti e non violenti, riusciva facilmente a uccidere i legionari.

Vedendo l’amico in azione, Gabriel si disse che non poteva rimanersene ancora fermo. Si gettò nella mischia anche lui, i suoi occhi rossi dardeggiavano i nemici: col suo sguardo poteva indebolire i nemici e lui poteva uccidere col fuoco elettrico delle sue mani. Pure la sua forza fisica era smisuratamente aumentata, il che gli permetteva, con un semplice schiaffo, di scaraventare a decine e decine di metri una persona, oppure di sfondare il torace a qualcuno con un solo pugno.

Bonifacio aveva avuto assolutamente ragione: l’intervento dei due arcangeli era stato sufficiente per annichilire i nemici in pochi minuti.

“Le mie congratulazioni.” disse, infatti, Serventi, a scontro concluso “Avete dimostrato di essere pronti per affrontare quel che c’è là fuori.”

Gabriel si sentiva inebriato, estremamente soddisfatto di quel che aveva fatto, rimproverandosi di non aver voluto conoscere prima il proprio potere.

“È stato un onore, vedervi all’opera.” disse, invece, il Franco Giudice, piuttosto malconcio, poiché un demone era riuscito ad artigliarlo un paio di volte.

“Addirittura?” domandò Isaia, perplesso.

“Certo, perché voi siete …” l’uomo si interruppe, si stupì e domandò: “Non sapete chi siete?”

“Io sono l’Eletto!” esclamò Gabriel, contento.

“Sì; e sai chi è esattamente l’Eletto?” domandò ancora il Franco Giudice.

“IO!” rispose di nuovo Antinori.

“No, intendevo dire …”

Non si seppe mai che cosa intendesse dire, poiché l’uomo cadde a terra, morto. Gabriel e Isaia pensarono fosse colpa dei profondi tagli causati dagli artigli di demone. Stefano, invece, era certo fosse colpa di Bonifacio che non voleva che loro sapessero degli arcangeli. Il ragazzo, quindi, decise che era meglio rivelare la verità ai due amici: “Intendeva dire che tu, Gabriel, sei l’arcangelo Gabriele, mentre Isaia è Michele.”

“Che cosa?!” domandarono all’unisono i due amici, assolutamente spiazzati.

Bonifacio guardò torvamente il ragazzo, poi si rivolse agli altri due, con tono diplomatico: “Dice il vero. Quello che noi chiamiamo Eletto, i cattolici lo chiamano arcangelo Gabriele, tua madre lo sapeva ed è per questo che ti ha dato il tuo nome. Il Princeps, invece, è l’arcangelo Michele, pensavo fosse esplicito il riferimento al princeps militiae caelesti. Nomi diversi, medesima cosa. Io parlo in termini esoterici, non cattolici, inoltre, il parlare di arcangeli, probabilmente, vi avrebbe spaventato ancora di più. L’importante è che abbiate acquisito dimestichezza coi vostri poteri, un nome piuttosto che un altro, non ha rilevanza.”

“Tu come lo sapevi?” domandò Isaia, scrutando Stefano.

Il ragazzo si sentì in difficoltà: rivelare o no di essere il terzo arcangelo?

Il dubbio si rivelò del tutto inutile.

“Lui è l’arcangelo Raffaele.” spiegò Bonifacio.

Non era stato contento che il ragazzo rivelasse la verità agli altri due, poiché pensava di poterli controllare più facilmente, se ignari; comunque, era contento che Stefano fosse consapevole di sé, così da non dover essere lui a spiegarglielo e poter, quindi, affrettare i progetti.

L’affermazione di Serventi non rispondeva alla domanda di come mai il giovane avesse quelle informazioni, tuttavia mise gli animi in pace.

“Che cosa faremo, adesso?” domandò Gabriel “Hai detto che siamo pronti per affrontare quello che c’è fuori, questo vuol dire che correremo in difesa dei perseguitati, finalmente?”

“In un certo senso …” rispose Bonifacio “Non andrete in giro a litigare con i pesci piccoli come quelli di oggi: bisogna estirpare il problema alla radice. La forza dei nostri nemici sta in quelle tre reliquie. Gabriel, solo tu puoi distruggere la verga di Mosè, mentre solo Isaia può fare lo stesso con l’anello di Salomone.” il suo tono era grave “Per quanto riguarda l’Arca …” lasciò volutamente la frase in sospeso.

“È compito mio?” domandò Stefano, consapevole e fermo.

“Precisamente.”

“Come dobbiamo fare?” chiese Isaia.

“Voi due affronterete chi, ora, sta utilizzando verga e anello, una volta sconfitti, potrete usare il vostro potere sulle reliquie e distruggerle. L’Arca, invece, necessita di qualcosa di diverso.”

“Che cosa?” incalzò Stefano.

“Andiamo in casa e riposiamo.” propose Bonifacio “Tu, ragazzo, pensa a ciò che sai e scoprirai come agire.”

“Non è più semplice se me lo dici?”

“Io non lo so. Solo tu puoi capirlo.”

Bonifacio si rivolse a Gabriel: “Dal momento che le reliquie sono custodite in Vaticano e l’unico modo per arrivarci è volare, poiché certo non potete passare dalla caverna del giudizio, ti consiglio di imparare a farti spuntare le ali, mentre lui pensa a come distruggere l’Arca.”

Detto ciò, Serventi si avviò per rientrare in villa e gli altri lo seguirono; rimasero indietro solo Temistocle e Annibale che si dovevano occupare di eliminare i cadaveri.

Stefano era rimasto parecchio turbato per quel che gli aveva detto Serventi. Non immaginava che ci fosse una corrispondenza tra arcangeli e reliquie; lo destabilizza parecchio, poi, la consapevolezza che a lui sarebbe toccato affrontare l’Arca dell’Alleanza, forse l’oggetto più mistico e pericoloso della storia. Nemmeno aveva idea di come poter fare.

Era parecchio turbato e confuso e l’unica certezza che aveva era quella di voler parlare con Giuditta. Lei lo aveva sempre consigliato per il meglio, lo aveva aiutato a superare molte difficoltà e, quindi, era certo che anche in quell’occasione il confidarsi con lei sarebbe stato utile e piacevole.

Certo, però, lei non era più la stessa … Beh, no, la stessa lo era, l’aveva constato quando erano “evasi” dalla villa; tuttavia non era certo che, con quella amnesia, lei potesse confortarlo e consigliarlo come una volta.

Come una volta??? Buffo pensiero, come se fossero amici da una vita. No, si conoscevano da pochi mesi … eppure a lui sembrava di conoscerla da sempre. Non solo le voleva un bene infinito, ma anche sentiva estremamente profondo il legame che aveva con lei, gli sembrava saldo, indistruttibile e … indispensabile, quasi. Già, che strano, se si soffermava ad immaginare il proprio futuro, vedeva lei presente … Che strano … Cioè, non che lui immaginasse una vita da dividere con lei, no, non era questo a cui pensava. Sapeva, però, che desiderava avere la certezza di poterle parlare sempre, che la loro amicizia durasse …

Via, non sapeva nemmeno se ci sarebbe stato un futuro!

Già, se non trovava una soluzione per come sconfiggere l’Arca dell’Alleanza, se così si poteva dire, non ci sarebbero state molte speranze per gli anni a venire.

Basta, aveva deciso di consultarsi con Giuditta: che lei avesse o non avesse una proposta non gli importava; era certo che il parlare con lei lo avrebbe almeno rasserenato e lui avrebbe potuto pensare meglio.

Non sapeva, però, dove si trovasse la ragazza, decise di iniziare a cercarla in biblioteca e, infatti, la trovò lì ma, purtroppo per lui, c’era anche Gaspare. I due erano accomodati sul divano: lei composta, lui mezzo sdraiato, con la testa adagiata sul seno della donna. L’uomo teneva in mano un libro che leggeva ad alta voce: Apocalisse di Giovanni; tuttavia, interrupe la lettura, quando vide entrare il ragazzo.

“Tu guarda che coincidenza! Sono giorni che ti dico di venire in biblioteca e non mi ascolti e, quando ti decidi a farlo, è proprio mentre mi sto godendo un momento con la mia Giudittina.”

“Non l’ho fatta apposta …” replicò Stefano.

“Coincidenze? Io non credo.”

“Stavo cercando Giuditta, sì, ma non volevo disturbare.”

“Ogni volta che ti avvicini a lei, disturbi.”

La donna provò ad intervenire: “Veramente a me …”

“Alt!” Gaspare la interruppe all’istante “Lui ti ha fatto rischiare la vita, io ti ho salvato.”

“Scusa …” disse lei, chinando lo sguardo.

Stefano avrebbe voluto sbottare, dicendo che era intollerabile vederla così triste, che non era naturale che il suo presunto fidanzato la facesse sentire così male. Scelse, però, di tacere al riguardo, poiché era consapevole che una simile constatazione gli sarebbe costata l’allontanamento dalla stanza; mentre lui era intenzionato a rimanere lì, nonostante la presenza di Gaspare.

“Che cosa sei venuto a fare?” gli domandò l’uomo.

“Beh, speravo di trovare qualche suggerimento, nei libri, circa il come distruggere l’Arca, anche se non so da cosa iniziare.”

“Si inizia dalla fine.” replicò Gaspare, enigmatico.

“Che cosa intendi?”

“La fine è un inizio. Il mondo e i suoi cicli cosmici, i corsi e ricorsi della storia, sono una fenice che nasce, cresce, invecchia, prende fuoco e ricomincia. Ora siamo nella fase della distruzione e, quindi, ogni buona idea sul da farsi puoi trovarla nel libro sulla fine dei tempi. Apocalisse. La stavamo giusto leggendo.”

“Va beh, ho capito che vedete nei templari la bestia, mascherata da Cristo; i quattro ordini cavallereschi saranno anche i cavalieri dell’Apocalisse, carino, ma le analogie si fermano qua.”

“Tu credi?” ridacchiò Gaspare “Isaia che salva Claudia partoriente è pari, pari all’arcangelo Michele che combatte il drago rosso per proteggere la donna vestita di Sole.”

“Non ci avevo pensato …” rifletté Stefano.

“Stavamo leggendo il cantico innalzato dai cori angelici appena dopo la battaglia. Vuoi ascoltare? Magari trovi ispirazione.”

Il ragazzo fu stupito dalla cortesia dell’uomo, ma accettò.

Ora è venuta la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù l'accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'Agnello, e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l'hanno esposta alla morte. Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi! Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è sceso verso di voi con gran furore, sapendo di aver poco tempo.”

… essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'Agnello, e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l'hanno esposta alla morte …

Queste parole rimbombarono nella testa di Stefano. D’improvviso ricordò tutto ciò che aveva letto della filosofia di Basilio Albrisio, quando aveva fatto quelle ricerche con Giuditta. La sua missione era di essere un capro espiatorio, caricarsi dei peccati dell’umanità e offrirsi all’Arca per placarla. Ne era certo! Quello era ciò che doveva fare!

Inoltre, l’eretico, sosteneva che il suo amico, un tale di nome Angelo Gabriele, sarebbe poi diventato il papa angelico, luce per la nuova umanità. In quel momento, chi, meglio di Antinori, avrebbe potuto ricoprire tale ruolo? Questo combaciava perfettamente con quanto sempre sostenuto da Bonifacio: Gabriel era l’Eletto e avrebbe guidato il nuovo mondo. Lui, Stefano, così legato ai fantasmi e alle loro espiazioni, doveva sacrificarsi. Ne era sicuro.

Il giovane, pur essendo convinto della sua intuizione, non era certo tranquillo, anzi, la consapevolezza lo aveva fatto impallidire e il suo animo era diviso tra il senso di responsabilità e il non volere quella sorte. Sapeva cos’era giusto fare, ma non lo sentiva come un onore. Ora capiva perfettamente perché Gabriel per mesi e mesi aveva rifiutato il proprio destino: il saper di dover fare qualcosa che non ci piacerà era un peso tremendo, nemmeno il sapere che era per un bene superiore lo rincuorava. Perché lui? Perché il fato gli imponeva ciò? Perché si doveva predestinare una persona, anziché cercare un volontario?

Stefano era piuttosto scosso e pensò fosse meglio allontanarsi.

“Scusate …” disse; poi, malinconico, guardò Giuditta a lungo. Quante cose avrebbe voluto dirle! Quanto avrebbe voluto riavere la sua amica al proprio fianco, in quel frangente! Inoltre, pensò con tristezza al fatto che, sacrificandosi, avrebbe lasciato lei completamente e definitivamente nelle mani di Gaspare.

“Pigolo, che hai da fissare così la mia donna?” lo rimproverò l’uomo dopo alcuni lunghi istanti.

“Nulla, nulla …” rispose mestamente lui “Tolgo il disturbo.”

“Sarà meglio.”

Stefano uscì, mogiamente e pensò di cercare Gabriel per parlargli, ma poi si rese conto che il suo maestro non gli avrebbe mai permesso di sacrificarsi, per cui era meglio non confidarsi. Non avrebbe detto a nessuno la verità, non voleva rattristarli; sarebbe stato sincero solo con Serventi. Sì, gli avrebbe parlato subito, cosicché non avrebbe potuto avere ripensamenti.

Cercò il padrone di casa e lo trovò seduto in veranda. Fu breve, rapido, conciso. Non attese risposte o repliche e se ne andò subito: aveva bisogno di un po’ di solitudine, per accettare il proprio destino.

Bonifacio era rimasto imperturbabile, anzi aveva accennato una vaga espressione di meraviglia. Attese che il ragazzo si fosse allontanato, poi si alzò e andò in biblioteca, dove era certo di trovare il figlio.

“Ottimo lavoro, Gaspare.” si complimentò Serventi “Il ragazzo è appena venuto a dirmi che sa che il suo ruolo, in questa faccenda, è di sacrificarsi.”

“Cosa?!” esclamò Giuditta.

“Zitta, tu!” la mise subito in riga Gaspare, senza nemmeno guardarla, mettendosi in piedi.

“Sei stato rapidissimo nello svolgere questo compito.” continuò il padre “Come hai fatto?”

“Oh, nulla di particolare: ho solo letto i giusti versetti.” Gaspare sogghignò.

“Fin troppo semplice, allora. Molto bene, presto questa parte del nostro piano avrà compimento. Per ora, concentrati solo sull’evitare che lui cambi idea.” dicendo ciò, Bonifacio accennò vagamente col capo verso la donna.

Gaspare deglutì, annuì col capo e rassicurò il genitore.

Appena Serventi fu uscito, Giuditta si mise in piedi per chiedere, con un certo disappunto, che cosa stesse accadendo. Non fece quasi in tempo ad aprire bocca, che l’uomo nuovamente la zittì e con fare brusco, ordinò perentoriamente: “Te lo dirò una volta sola, bambina, poi passerò ai provvedimenti. Pigolo morirà, punto. Non provare a dissuaderlo o a fare alcunché per evitarlo. Ti garantisco che una tua disobbedienza, avrà conseguenze gravi, come ancora non hai provato.”

Giuditta fece cenno di avere capito, ma le sue intenzioni erano parecchio differenti. Non sollevò l’argomento, si comportò con tranquillità come sempre e aspettò che Gaspare la congedasse; una volta rimasta sola, si mise a cercare Stefano e lo trovò in cortile, seduto sotto un albero, abbastanza distante dall’edificio.

“Stefano …” lo chiamò lei, mestamente.

Aveva paura per ciò che le aveva minacciato Gaspare, ma sapeva che non era giusto e dovuto che il ragazzo si sacrificasse e, quindi, voleva dirglielo. Inoltre, sentiva affetto verso di lui. Stranamente, da quando lui le aveva parlato, convincendola ad andare fuori dalla villa, Giuditta si sentiva molto legata a quel ragazzo, sentiva di volergli bene … forse quell’avventura aveva stimolato l’amicizia assopita che si era risvegliata, nonostante l’assenza di ricordi.

Stefano si voltò: era stupito e contento di vederla, ma la consapevolezza del sacrificio era più forte e il suo sguardo rimase triste e rassegnato.

“Ciao …”

Giuditta immaginava come dovesse sentirsi il giovane e provò compassione; gli chiese quasi timidamente: “Posso sedermi?”

“Prego …” rispose lui, si sentiva che era come disinteressato a tutto, ora che percepiva la morte imminente.

Mentre la ragazza si sedeva a terra accanto a lui, però, Stefano cercò ancora di punzecchiarla per indurla a scuotersi dallo stato in cui si trovava: “Gaspare ti ha accordato il permesso di parlarmi?”

“No, ma voglio e devo parlarti.”

Il volto di Stefano si illuminò, come se quella frase lo avesse salvato. Sorridendo, la incoraggiò: “Dimmi tutto!”

“So che pensi di doverti sacrificare, ma non è vero.”

“Cosa?!”

Il ragazzo non sapeva se si era più stupito per il fatto che lei fosse a conoscenza della sua risoluzione o del fatto di essersi sbagliato.

“Non so perché ti vogliano morto, ma certo questa non è l’unica strada.”

“E cosa dovrei fare, allora? Tu lo sai?!” il giovane la incalzò, piuttosto speranzoso.

“Beh, come agli altri due arcangeli può bastare il loro potere per distruggere questi artefatti, così anche tu potresti neutralizzare l’Arca. Tu sei la Guida!” esclamò  con trasporto e, istintivamente, prese la mani del ragazzo “Tu devi condurre il nuovo mondo, non puoi morire!”

Stefano guardò negli occhi l’amica, era commosso, ma ancora non tranquillo circa il proprio dovere. Si scrutarono pupille nelle pupille per diversi istanti. Entrambi ebbero l’impressione di starsi dicendo qualcosa, anche se non capivano cosa.

“Io non so ancora usare davvero il mio potere, non posso competere con l’Arca!” disse infine Stefano, spezzando il silenzio.

“Allora non combatterla, ma cerca di farla ragionare.”

“Ragionare con un’arca?” rimase perplesso il giovane.

“Sì, in fondo è animata da un frammento del Creatore … la tua mente può entrare in contatto con essa e farla ragionare, persuaderla che non debba distruggere. Devi convincerla a perdonare l’umanità.”

“Esigerà un sacrificio, lo sappiamo entrambi.”

Giuditta pensò un poco e, poi, si fece coraggio per dire: “Ora, non prendermi per blasfema ma … in fondo anche Gesù si è offerto in sacrificio e poi è risorto. Cristo ha sconfitto la morte e ha dato la possibilità a tutti noi di vincerla. Adesso, io non dico che devi ripetere quello che è successo a Gesù, tuttavia …”

“Che cosa accade qui?!” tuonò d’improvviso la vece di Gaspare.

I due ragazzi si voltarono e videro l’uomo fulminarli con lo sguardo: il suo volto era terribile.

Gaspare non aggiunse altro, non diede tempo di rispondere; afferrò l’avambraccio della donna e la strattonò per farla alzare e, senza dire nulla, la trascinò via.

Stefano guardava, impotente.

Gaspare portò Giuditta nella sua stanza, chiuse a chiave la porta, la guardò furente, ma le parlò con calma apparente: “Io, davvero, non so più che cosa fare con te... Come puoi permetterti di fare una cosa del genere??? Ribellarti a me!!! Dannazione, devi esser diventata completamente pazza, viziata d'una ragazzina... Dopo tutti quei giorni spesi a cercare di farti diventare qualcosa che contasse, dopo tutto quello che ho fatto per te, mi ripaghi così, ingrata?”

Il tono delle ultime parole era macchiato d’ira; Gaspare afferrò per le braccia della donna appena sotto le spalle, immobilizzandola.

Lei provò dolore per la stretta, comunque cercò di ignorare il male e rispose: “Volete mandare a morte un mio amico, come puoi credere che lo accetti?”

“Non puoi fare niente per lui. Noi abbiamo un piano, tu ci sei dentro e anche lui, sebbene stia per esaurire la sua funzione. Tu, ormai, mi appartieni. Per fartela breve: sei dei nostri e cambiare fazione significherebbe porre fine alla tua vita.” alzò le mani “A te la scelta, comunque.”

L’uomo stava bluffando: non poteva permettere che lei morisse, era solo per spaventarla, per farla rientrare nei ranghi.

“Gaspare, ti prego, c’è un altro modo! Perché non può fare parte anche Stefano del nuovo mondo? Lui è la Guida, lui dovrebbe condurre la nuova era, lo sai anche tu, lo sapete tutti!”

L’uomo scoppiò a ridere fragorosamente e bofonchiò: “Pigolo nel nuovo mondo... Questa sì che è bella, me la devo segnare...! Stai scherzando vero?! Assolutamente no. La Guida dev’essere eliminata: questo ha deciso mio padre e così sarà.”

Giuditta si sentì ribollire e, inviperita, replicò: “Allora non voglio arrivarci nemmeno io nel nuovo mondo!”

Gaspare scosse il capo, poi afferrò di nuovo la donna e le disse: “Non è così che funziona: tu sei troppo importante affinché il piano di mio padre vada in porto. Se tu muori o te ne vai, o se Pigolo sopravvive, mio padre uccide me. Non esiste che morirò per mano sua, per colpa dei tuoi capricci, cara mia!”

Giuditta non lo sapeva, non lo sospettava neppure. Aveva le lacrime agli occhi, perché si rendeva conto che qualcuno a cui teneva doveva per forza morire; piangente, mormorò: “Scusami, Gaspare, io non lo immaginavo ... Io non voglio che ti accada nulla, ma voglio bene anche a Stefano …”

Gaspare sospirò, mutò la sua stretta in un abbraccio amorevole, le carezzò i capelli e le disse: “Lo so che gli vuoi bene; l’hai sempre dimostrato. Lui non ti ha mai fatto nulla di male; io l’ho cancellato dalla tua memoria, perché non volevo che tu soffrissi, arrivati a questo punto.” attese qualche momento, prima di proseguire: “Comunque, non preoccuparti: non potevi saperlo, che mio padre punisce in questo modo chi lo contraddice o lo delude o disobbedisce.”

Giuditta era molto triste: sapeva che l’uomo era irremovibile, quando decideva qualcosa, tuttavia provò ancora ad insistere: “Gaspare, ti prego, prova a parlare con tuo padre, cerca di fargli capire che Stefano non è un pericolo!”

Gaspare rimase in silenzio e per una frazione di secondo ragionò circa se fosse meglio fingere di assecondare la ragazza, oppure arrabbiarsi e mostrarsi seccato per tutte le attenzioni che lei stava dando al giovane.

Infine rispose: “Sarà molto difficile che mio padre possa cambiare idea, tuttavia gli parlerò. Tu, però, devi promettermi che farai la brava e starai buona e tranquilla.”

“Non lo sono già?” chiese lei con amarezza.

“Mi hai disobbedito gravemente due volte, questa settimana: ti sembra di starti comportando bene?”

Giuditta abbassò lo sguardo e mormorò: “No … scusa …”

“So che vuoi bene al tuo amico, e cercherò di salvarlo.” bugia “Ma tu devi smetterla di lasciarti influenzare da lui, che finisce sempre col metterti nei guai! Sono io che, al pari di tuo fratello, ti voglio bene più di tutti, tu devi avere fiducia in me. Se mi ami, affidati a me e sii sicura che ciò che faccio è per il nostro bene, il nostro futuro.”

 

 

Stefano era rimasto di nuovo solo a pensare, questa volta si interrogava su che cosa volesse dirgli l’amica, prima che fossero così bruscamente interrotti. Ebbe un’epifania e tutto gli fu chiaro.

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