Reasons to Fight

di Thiare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Start from something good ***
Capitolo 2: *** 2. When death is better than suffering ***
Capitolo 3: *** 3. Maybe we can take the control (maybe not) ***
Capitolo 4: *** 4. This is how much I can love you ***



Capitolo 1
*** 1. Start from something good ***


Start from something good




 
"Le battaglie possono essere combattute con le armi ma esse verranno vinte o perse dagli uomini." 
- Col. George S. Patton





Era stato strano ritornare alla normalità. Le catastrofi, si diceva, sono meno drammatiche se affrontate insieme. 

L'agente Meyers era stata così gentile ad affiancarli nella lotta finale, e lei e il suo gemello sembravano una strana riproduzione dei FitzSimmons. Serena e Jeff Meyers erano in gamba, sì, ma la loro squadra era perfetta così com'era. 

Ora non lo è più.

Ora Skye è sul divanetto del Bus a gambe incrociate, guarda il pavimento e il morbido tappeto bianco. Quell'aereo, pensa, ha più acciacchi di una novantenne pensionata che durante la sua giovinezza ha fatto la pugile; tra se stessa e il Bus non si sa chi stia messo peggio.




"Il vostro aiuto è stato prezioso." sorrise finta a quella mano stretta, dall'altra parte l'agente Arturi soffocava una risposta di condoglianze. 


Lo S.H.I.E.L.D. è morto, tutti sono in lutto. 



Si trovavano in una piazzetta poco frequentata, dietro di essa un parco si estendeva in tutta la sua verde fioritura. 

"L'ultima volta che sono stato qui l'agnellino asgardiano stava andando via tra le braccia di Superman." Tony rideva, davanti a lui, però, la schiera degli agenti SHIELD si apriva come una corte marziale, carente di soldati come spiccioli per un miliardario, dilaniata come una preda nella savana.

"Loki è morto, Tony. Sarebbe meglio non nominarlo in presenza di suo fratello." Steve sussurrava qualcosa al suo orecchio, dalla schiera di spie,

Skye sorrideva amaramente. 

Supereroi e non, gli uni di fronte agli altri, solo per ringraziare di un aiuto.





"Non tutti gli eroi sono super." Skye ritorna alla realtà e in diretta televisiva un giornalista annuncia la vittoria dei buoni e la 'scarcerazione' dello S.H.I.E.L.D. 

Poche settimane prima si erano trovati a confrontarsi, supereroi e agenti, poi il ritorno alla normalità era stato sfiancante.



"Siamo fantasmi in un mondo di timori." aveva affermato Skye sconsolata davanti ad un Phil Coulson deciso a ricominciare.
"No Skye, siamo gli angeli di coloro che hanno paura di non essere protetti."





Come si fa a vivere serenamente dopo quello che è successo? Non si può, e l'insonnia della ragazza perdura già da tempo, da prima che il Bus venisse rimesso a nuovo, da prima che la battaglia contro l'Hydra finisse e in quella piazzetta tutti i buoni si ritrovassero a complimentarsi per l'ottimo lavoro fatto. Da prima ancora che Garret le puntasse contro una pistola e che dovesse decidere se salvare la sua vita o quella del suo team. Da prima che tutto accadesse e che portasse via quel piccolo angolo di felicità che si era costruita. 




"Ovunque io vada porto distruzione."
"Le cose crollano solo quando non hanno fondamenta abbastanza resistenti per reggere. Ovunque vai tu riesci a smascherare il male e distruggere quelle cose che di buono, alla base, non hanno niente."





Stanca, Skye si stende in avanti e agguanta dal tavolino davanti al divano un album di fotografie, le loro fotografie, di quello strambo gruppo di amici. Lo apre e comincia a sfogliarlo, e da quelle pagine la vita che viveva prima comincia a proiettarsi davanti ai suoi occhi come un flashback dalla cinepresa in bianco e nero.

Era così che era iniziato tutto, con il buio del cappuccio con cui le avevano coperto la testa per portarla a bordo, non che non si fosse accorta di dove stessero andando, ed era con il buio che tutto si concluse, almeno con il buio che vide lei, dall'intensità del suo sonno, mentre al di fuori dei sogni la grande luce di un'esplosione si espandeva intorno. C'erano state grida, pianti, Simmons si era stretta forte a Fitz come a cercare energia vitale, Coulson e Ward erano piegati sul corpo dormiente di Skye, May era immobile, ogni muscolo del suo corpo lo era davanti a quello spettacolo, Trip aveva le braccia incrociate e si era voltato verso i suoi nuovi compagni di squadra. 

Ecco come tutto finì, con una grande luce che si espanse intorno. Per loro fu solo una grande esplosione, per altri l'arrivo in Paradiso, per altri ancora quello all'Inferno. 







Un mese prima...




"Le scale sono ancora bagnate, zucchero, sta' attenta." Karen, la governante del palazzo in cui abitava, le rivolse lo stesso, monotono, avvertimento mentre con i tacchi a spillo che la rialzavano dieci centimetri in più dal suolo, camminava a tentoni sul pavimento fradicio. 

"Grazie, cara, tenterò di no- AAHAHHH" Troppo tardi, era finita di nuovo col sedere a terra.

"Eppure non è la prima volta che te lo dico, dolcezza." La rimbeccava Karen abbandonando il mocio zuppo e raggiungendola. 

La ragazza ancora indolenzita si tolse i tacchi e prese a massaggiarsi il posteriore con una smorfia di dolore. Raccolse l'aiuto che la signora le rivolgeva, mascherato da quella mano tesa svogliatamente, e notò la fede scolorita che giaceva tra i piccoli rotoli di grasso delle dita.

Si rialzò in piedi, si risistemò il completo di giacca e gonna di seta blu e prese in mano le scarpe. Non era particolarmente alta, infatti superava la governante solo di pochi centimetri, ma era bella, la bellezza tipica delle persone buone. 

Rimase qualche secondo in silenzio a contemplare quel dito.

"Sei sposata, Karen?" domandò perplessa.

"Mio marito è morto lo scorso mese..." la cinquantenne le voltò le spalle e riafferrò il mocio, ricominciando a lavare il pavimento di marmo.

"Mi dispiace, io non sapevo ch-" 

"...degli infami me l'hanno portato via." la interruppe la donna, e il sudore del lavoro le si mescolò alle poche lacrime che riuscì a sfogare.

"Karen, io.." la ragazza non seppe più che cosa dire e si avvicinò a passi svelti all'amica.

"Sta' tranquilla, il vecchio agente Conrad non avrebbe voluto rimpianti, né niente di svenevole, avrebbe solo voluto che questa guerra terminasse e che fossimo noi i vincitori." la signora Conrad si passò una mano sugli occhi rossi e represse il suo dolore in un ultimo sospiro. 

La giovane donna le posò una mano sulla spalla dolcemente e le sussurrò qualcosa all'orecchio. "Ma di che guerra parli?" 

"Ho già detto troppo," la allontanò la donna con una mano e fare innervosito. "meno sai più sei al sicuro." 

"Non sapevo neanche fossi sposata!"

"Ed è meglio che lo dimentichi, George sarebbe felice così."

"Karen, sai che non posso farlo! Come posso pensare a stare bene quando so che in gioco c'è la mia sicurezza?" alzò lievemente la voce lei.

"Pensa solo a questo: le persone cattive tu le sai riconoscere. Bè, non smettere di farlo."

E cadde il silenzio tra le due.
"Ora entra a casa, zucchero, e sta' attenta a non scivolare un'altra volta."

E lei non disse nulla; salì le scale per il piano superiore e di spalle disse:"Un giorno la pace ritornerà, Karen, lo giuro sulla mia stessa vita."




*



Il profumo del sugo al ragù si diffuse per tutto il monolocale e nella piccola cucina la ragazza mescolava scalza la ricetta con fare pensieroso. La luce della stanza accesa si notava anche dall'esterno, infatti era l'unica in un palazzo di sedici piani. 

Erano da poco passate le nove e neanche Johnatan, il suo vicino, si era degnato a passare a salutarla quella sera, come faceva tutte le sere, e ripeterle che quando se ne sarebbe andata avrebbe affittato il suo appartamento per ricordarsi del suo buonissimo profumo. 



"Si è proprio innamorato." la prendeva in giro Jessica, la sua migliore amica.
"No, non è vero."
"Se non è vero allora prova una grande simpatia per te."
"Chi ti ha detto che non sia ricambiato?"




Assaggiò il sugo che bolliva in pentola con il mestolo di legno e spense il gas, abbandonando una mano sul fianco pensierosa.

"Karen non mi ha mai nascosto niente..." sussurrò sovrappensiero. "E allora perché si comporta così? Sarà forse per-" ma la frase le morì in gola quando sentì dei passi provenire dall'ingresso. 

L'unico che aveva le chiavi di riserva era Fred, il portinaio, e lei dubitava fortemente che un così brav'uomo potesse introdursi in casa sua senza un motivo più che valido.

Si affacciò leggermente alla porta della cucina tenendo stretto a sé il mestolo sporco di sugo e tirò un sospiro di sollievo quando vide la faccia scura del facchino avanzare nell'entrata.

"Oh, grazie a Dio! Fred, che ci fai qui? C'è qualche problema?" chiese andandogli incontro.

"In realtà sì..." le rispose sorridendo maligno. "Lei è un problema." sussurrò l'uomo dal suo metro e ottanta di muscoli mentre estraeva dalla tasca posteriore dei pantaloni una pistola.

La ragazza si ritirò indietro all'istante cercando di scappare verso la cucina, ma fu troppo tardi quando si accorse di trovarsi in trappola. Infatti era parecchio difficile buttarsi dalla finestra dell'ottavo piano e uscirne indenni.
Si strinse in un angolo della sala ancora impugnando il mestolo e si chiuse nella sua camiciona bianca, pregando quello che fino a pochi minuti prima era stato il suo più fidato conoscente.


"Ti prego" sussurrò con la voce rotta dai singhiozzi. Fred avanzava a passi lenti verso il bersaglio tenendo puntata la pistola in avanti. "Ti prego, Fred, ti prego, noi siamo amici." continuò terrorizzata.

Si strinse ancora di più contro il muro all'avanzare di quella figura enorme che sovrastava la sua corporatura minuta.

"Ti prego, Frederick, Frederick Roy, io ti conosco, non avresti nessun motivo per farlo." Ora l'uomo le stava a meno di un metro di distanza. "Non hai nessun.." si lasciò scivolare poche parole sulla punta delle labbra mentre buttava gli occhi a sinistra, come ad aver visto qualcosa di sconcertante. Fu proprio quel gesto che distrasse il portiere, e quando l'uomo di colore guardò a sinistra, allora lei gli si fiondò contro cercando di colpirlo con il mestolo zuppo di sugo - che non valse a niente se non ad un'ulteriore lavatrice extra per la sua camicia bianca sporca di rosso -. Quel gesto non migliorò la sua situazione, infatti l'uomo la sovrastò prendendola per i capelli e gettandola all'indietro, e mentre la giovane sbatteva il capo contro il frigorifero, Fred le puntava una pistola alla testa.

"Hail Hydra."

In quella notte fredda, uno sparo rimbombò tra le mura della casa.





*



La donna caricò la pistola e se la rimise nella fondina sospirando.

"Mi chiedo perché lo fai sempre... Ti fa stare bene? Ti tranquillizza? Non l'ho mai capito veramente." seduto sul parapetto di un terrazzo completamente vuoto, un uomo sulla trentina la guardava pensieroso.

"Cosa faccio sempre?" domandò monocorde.

"Que-quello." continuò l'uomo indicando freneticamente il movimento che aveva fatto per caricare la pistola. 

"No Barton, non mi fa stare bene. Pensa solo che quella pistola potrà salvarti il culo un giorno, e sarebbe un bel problema se fosse scarica al momento!"

"Devi rilassarti, Natasha. Non mi pare che sei una che si arrende facilmente." cercò di consolarla Clint guardando di sotto dal palazzo di venti piani e ammirando la consueta vita mattutina dell'ignara gente di New York.

La Vedova Nera lo fissò truce e si guardò intorno sovrappensiero: il tetto di quel palazzo non era il luogo migliore dove nascondersi ma aveva una visuale perfetta. Era completamente vuoto e piastrellato, solo loro due le uniche figure che si intravedevano, e il sole cocente di Manhattan picchiava sulle loro teste peggio del più crudele dei nemici.

"Dopo che quel bastardo di Pierce ci ha traditi non riesco a stare calma. E poi non mi è ancora andato giù il fatto che abbia tentato di uccidermi. E' finito come meritava: con una pallottola dritta a squarciargli la carne; dopotutto avevi ragione, le piovre vengono uccise e mangiate." sospirò Natasha raggiungendolo vicino al parapetto, il suo corpo stretto in quella aderentissima tuta nera. - E' comoda da morire. - aveva detto una volta. Contenta lei.

"Allora da dove cominciamo?" domandò Clint. "Lasciamo a loro il primo colpo, tanto per essere gentili nei confronti degli ospiti, o passiamo direttamente al contrattacco?" 

"L'Hydra non avrà scrupoli, perché risparmiarli? Sitwell era un brav'uomo, almeno il Jasper Sitwell che conoscevo, eppure non si è fatto scrupoli nel venderci in questo modo. L'Hydra è nettamente superiore allo SHIELD, questo dimostra il gran numero di bastardi che preferiscono allearsi col male che con la giustizia..." sbottò innervosita Natasha.

"...ma la giustizia fa pagare il conto. Più sono e più soldi ci devono." terminò Clint.

Si guardarono contemporaneamente e ognuno affondò nell'azzurro degli occhi dell'altro.

"Contrattacco sia." sussurrarono insieme.

Rimasero qualche minuto in silenzio guardando l'orizzonte, e in quella pace tutti i timori si risvegliarono, anche per due assassini come loro.
"Cosa faresti se questa fosse l'ultima battaglia?" chiese ingenuo Clint.

Natasha sospirò e si accovacciò a sua volta contro il parapetto del terrazzo. "Non farei niente semplicemente perché non è l'ultima."

"Ma se lo fosse?"

La donna rimase in silenzio per qualche secondo, fissando lo squarcio di cielo davanti a lei. "Allora combatterei fino all'ultimo secondo per evitare che quei pezzi di merda la facciano franca." bisbigliò Natasha.

Clint annuì lievemente. "E se ti dicessi che sono dell'Hydra?" continuò seduto spalla a spalla con la donna.

Natasha posò la testa sul suo braccio. "Non lo sei, e anche se me lo dicessi non ti crederei. Ti conosco meglio di quanto ti conosca tu stesso."

Clint sospirò. "Finirà, Natasha, lo giuro sulla mia stessa vita."

E aveva ragione. Sulla sua vita.




*




Labbra piene e rosee, capelli neri come carbone, occhi azzurri e pallidi di dolore, è questo tutto ciò che Grant ricordava della sua famiglia, solo una piccola testolina che dal basso del suo metro e trenta e dai suoi sei anni lo guardava addolorata.

Gridava impaurita, una vocina sottile e mortificata, mentre nei suoi occhi lucidi si riflettevano le lingue di fuoco della casa in fiamme. La piccola si gettò carponi con la testa tra le mani piangendo lacrime amare, quando, accompagnate da grida spaventate, due mani la stringevano per le spalle e la scuotevano forte. 

"Mi dispiace, Grant, mi dispiace tanto." mormorava tra i singhiozzi. "Non ce la facevo più. Lui era di nuovo lì, aveva preso l'attizzatoio e Joseph.. lui non poteva reagire, lo sai." sussurrava ad occhi chiusi, immersa tra le braccia del fratello che guardava la casa in fiamme. "Non potevo sopportarlo, non potevo più!" piagnucolava ancora.

"Sta' tranquilla, ok? Andrà tutto bene, Kim, andrà tutto bene." la strinse momentaneamente forte e la posò di lato sull'erba secca del prato davanti casa, in quella radura circondata dagli alberi di pino, mentre cominciava a correre velocemente verso la casa incendiata.

"Chiama mamma e papà!" aveva gridato dietro di sé fermandosi di scatto. "Va', corri a chiamarli!" continuò indicando i campi estesi del pendio della collina su cui si ergeva la casa. 

Dall'altra parte incontrò solo il flebile dissenso di una bambina. "Mi picchieranno per quello che ho fatto, mi manderanno via." ripeteva tra i singhiozzi. 

"Non oseranno toccarti, nessuno ti farà niente, lo giuro sulla mia stessa vita. Ora VA'!" urlò incitando la piccola col braccio teso. 

Kim si alzò di scatto e cominciò a correre verso la distesa verde, l'unica vista piacevole in quel mondo d'inferno; nello stesso momento, Grant si allontanava verso la parte opposta, andando ad abbracciare le fiamme. 

"Luke! LUKE!!" chiamava raggiungendo la casa dalle cui finestre le tende sventolavano completamente in fiamme. Spalancò la porta e cercò di avanzare in quel locale nero dal fumo, mentre annaspava per prendere un po' d'aria. 
"Luke! Dove sei?" continuò raggiungendo il piano di sopra. Il legno con cui la casa era stata costruita scricchiolava sotto i suoi piedi.

 



"L'amore sussurrato" gli aveva svelato un giorno il parroco di famiglia "è il vero segreto. Non ti aspettare niente di magico dalla vita, figliolo: si nasce, si vive, si lavora e si muore. Chi verrà dopo di te avrà soltanto imparato a farlo meglio."

"Allora qual è il senso della vita, padre?"

"Il senso della vita è saper rompere questo schema, cambiarlo per una volta, e non diventare schiavo della finta felicità. La felicità, quella vera, non esita a soddisfarti, non ti chiede se può inebriarti, lo fa e basta. Figliolo, la vita è fatta per vivere al meglio. Impara ad essere felice, ad amare come solo tu puoi fare. Ama la tua famiglia come se fosse la tua sposa, ama la tua sposa perché sarà la tua famiglia, ama tutti incondizionatamente perché è questo che ti riserverà un posto in Paradiso." aveva terminato Don Giosuè schiarendosi la gola.

"Padre...?"

"Sì?"

"Ho paura di non sapere come si ama."






Per un momento aveva pensato di lasciarlo lì, suo fratello, raggomitolato come un serpente su se stesso, steso per terra nella camera dei loro genitori, l'ultima ad essere ancora intatta. In fondo lui non aveva mai voluto bene a nessuno, non li aveva mai trattati come veri fratelli, non li aveva mai amati come era degno che facesse.
 



"Ogni persona nasce sapendolo già fare. Ognuno lo porta dentro di sé, l'importante è saper tirarlo fuori e non tenerlo mai nascosto."




Ma lui non era un mostro, e, nello stesso momento in cui riuscì a tirar fuori suo fratello prima che la casa esplodesse, si ripromise che non lo sarebbe mai stato. 
Non lo fu nemmeno quando suo fratello si svegliò tossendo dopo che entrambi erano crollati sul selciato per l'esplosione e lui gli si era scagliato contro incolpandolo di tentato omicidio. 
Non lo fu neanche quando, accarezzando le gote rosse e rigate di lacrime di sua sorella, rivide la sua anima piangente e le disse che la colpa se la sarebbe presa lui, perché lui le voleva bene più della sua vita. 
Non fu un mostro neanche quando Joseph, il fratello minore, lo guardava con disperazione prima che i suoi genitori arrivassero al capezzale della loro casa e cominciassero a picchiarli. 


Grant Ward non è un mostro. 


Aveva inciso queste parole nella sua mente. Nient'altro che la verità.







Labbra piene e rosee, capelli neri come carbone, occhi azzurri e pallidi di dolore, è questo tutto ciò che Grant ricordava della sua famiglia, solo una piccola testolina che dal basso del suo metro e trenta e dai suoi sei anni lo guardava addolorata.

"No Grant! No! Non andare! Non devi andare per forza! Grant!" Kim gridava aggrappata alla sua felpa e il ragazzo la abbracciava forte.

"Mi dispiace piccola, devo andare."
Marie Julianne, sua madre, non aveva osato rivolgergli un solo sguardo mentre veniva portato via. Caarl, suo padre, aveva avuto la stessa idea di sua moglie come punizione abbastanza dolorosa per l'incendio colposo alla loro dimora. 

Kim però era ancora inconsapevole di quello che sarebbe accaduto, non aveva realizzato che il fratello si era esposto per evitare che quella punizione venisse inferta a lei. 

Grant alzò lo sguardo alla volta della schiera di famigliari che lo guardava disgustato, a differenza dei suoi genitori e di suo fratello maggiore Luke, Joseph teneva lo sguardo basso. Non aveva idea di come sarebbe riuscito a sopravvivere senza una presenza più o meno amica nella famiglia.

"Non mi lasciare, fratello." aveva sussurrato in quell'abbraccio a metà tra la morsa della nostalgia e l'attaccamento all'ultima speranza. "Non sopravviveremo senza di te." 

Un uomo dai lineamenti ingannevoli l'aveva strattonato per un braccio via da quella figura fraterna e l'aveva spintonato verso l'auto blindata. 
I suoi genitori avevano pensato che quella sarebbe stata la punizione migliore: che c'è di meglio di un addestramento militare in un'agenzia che teoricamente non esiste?

Dietro all'uomo che lo stringeva per un braccio, un altro signore dalla pelle scura e dall'occhio bendato avanzava incurante degli sguardi della famiglia Ward. Affiancò Grant e lo guardò per solo pochi istanti, poi si rivolse alla famiglia.

"Quando questo giovanotto ritornerà non sarete più in grado di riconoscerlo. Porteremo la sua forza e disciplina oltre il normale." annunciò.

"Fate quello che volete," commentò aspra la madre "basta che lo portate via dalla mia vista." 

Mentre si incamminavano verso il furgoncino nero, Grant sentiva chiaramente le urla di sua sorella implorarlo di restare. Garret, aveva capito si chiamasse il suo nuovo supervisore, e sarebbe stato lui la sua famiglia da allora in avanti.

Stretto tra gli agenti di scorta in quell'auto, Grant poteva benissimo vedere l'agente Garret sussurrare qualcosa all'orecchio dell'uomo al suo fianco. "Teniamo d'occhio la ragazzina, la sorella." ghignò "E' una debolezza... e possiamo sfruttarla a nostro vantaggio."




*




Ward era seduto sul bordo del letto quando l'allarme squillò e lo riportò alla realtà. I sogni, diceva sempre 'John', sono solo un diniego della realtà, un allontanamento dalla verità, qualcosa di vulnerabile per tutti coloro che li applicano. 



"Sono inutili. Rimanere nel passato non ti farà vivere il presente, e noi dobbiamo avere dalla nostra parte tutte le variabili che possono rimarcare l'esito positivo di una missione. La concentrazione è la prima, sognare non ti aiuterà." 




Era stato così che ad un ragazzo veniva strappato anche quel piccolo mondo tutto suo, proprio di ogni persona, in cui si rifugiava quando smarriva la sua vita. Adesso non aveva più neanche quello, si era trasformato in un robot.

L'allarme del sensore suonò un'altra volta e Grant si alzò svogliato dal letto sospirando e guardando fuori dalla finestra dalle tende fine. La sveglia non segnava che le nove passate da una decina di minuti. 

Aprì le vetrate della finestra dell'hotel e vi si affacciò: davanti all'edificio, al primo piano dell'albergo di fronte, un uomo di colore e molto muscoloso chiamava l'ascensore.

"Uhm.."




*







People killin', people dyin' 
Children hurt and you hear them cryin' 
Can you practice what you preach 
And would you turn the other cheek 

Father, Father, Father help us 
Send us some guidance from above 
'Cause people got me, got me questionin' 
Where is the love (Love) 

Where is the love (The love) 
Where is the love (The love) 
Where is the love 
The love, the love
 *




"Davvero?" Fitz la rimbeccava disteso a massaggiarsi la fronte sul divanetto del Bus. "Seriamente?" continuava davanti ad una Skye risentita.

"Cosa?" 

"I Black Heyed Peas come colonna sonora?" la riprendeva ascoltando quella lieve melodia di sottofondo.

"Hai mai sentito parlare di 'drammatizzazione', Fitz?" sbottò ragazza.

"Questo si tratta di pessimo senso dell'umorismo! Siamo rinchiusi in quella che è stata la nostra casa per mesi, braccati dalle più importanti agenzie governative legali, a combattere contro un mostro che gli altri non sanno nemmeno che esista. E non venire a dirmi che.." ma già Skye non lo ascoltava più, infatti aveva cominciato a cantare noncurante del farfuglio irrequieto dell'amico.

"Where is the love? The love, the love..." canticchiava intonata.

"L'amore ognuno lo porta dentro di sé, l'importante è saper tirarlo fuori e non tenerlo mai nascosto. Ecco dov'è l'amore!" Fitz le rispose semplicemente avvicinandosi al tavolo olografico con in mano un Icer in riparazione.

"Va tutto bene, Fitz?" domandò a quel punto premurosamente Skye, accorgendosi che c'era qualcosa che non andava in lui.

"Andrà tutto bene quando tutto sarà finito e saremo usciti vivi. Ma per adesso ci conviene-" ma l'ingegnere non riuscì a finire nuovamente la frase che lo schermo della sala riunioni cominciò a lampeggiare di rosso e una voce meccanica iniziò a parlare.

- C'è un nuovo messaggio. - gracchiava l'A.I.

"Indica il mittente e leggilo." ordinò Fitz al computer.

- "Abbiamo trovato una civile ferita su una linea di fuoco, la cosa potrà sembrarvi interessante." Proviene dalla Virginia, signore, il mittente è una certa Natascia Roosvelt. -


















N.d.a.

*Gente che uccide gente che muore 
i bambini che soffrono, li sentiamo piangere 
vogliamo mettere in pratica le teorie che predichiamo 
o preferiamo porgere l'altra guancia? 

Padre Padre Padre aiutaci 
mandaci un segnale dall'alto che ci serva da guida 
le persone mi fanno, mi fanno riflettere e pensare 
dov'è l'amore...

Il ritornello firmato Black Eyed Peas mi sembrava azzeccato ^^


Alluuuuraaa. INNANZITUTTO dedichiamo questo capitolo alla meravigliosa Paoletta che il giorno 14 ha compiuto gli anni (un anno in più cara mia!!), e che non c'è bisogno di conoscere per essere colpiti dalla sua bontà e gentilezza, anche solo attraverso le parole che scrive. Quindi ti dedichiamo questo capitolo, che spero ti sia piaciuto, e ti abbracciamo forte forte io e Becky!


POI... non so voi ma il season finale di Agents of S.H.I.E.L.D. mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca, per questo ho voluto scrivere questa long, sapientemente betata e giudicata dalla nostra fantastica Becky_99, per sfogare i miei poveri feels e anche per mettere in parole quello che per noi sarebbe dovuta essere la vera conclusione. Mi dispiace ma saremo molto [MOLTO] cattive, sorry in precedenza a tutte quelle dolcezze di fangirl che ogni volta seguono queste storie. Vi lovviamo un mondo!

So che questo primo capitolo crea molte domande, ma è solo l'inizio. L'inizio di cosa? Della fine. XD

Just words, fantasies and fortune

Erika & Rebecca







 

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Capitolo 2
*** 2. When death is better than suffering ***


 
When death is better than suffering


It just ain't the same, always unchanged 
New days are strange, is the world insane 
If love and peace is so strong 
Why are there pieces of love that don't belong
A war is goin' on but the reason's undercover 
The truth is kept secret, it's swept under the rug 
If you never know truth then you never know love* 
- Black Eyed Peas








In quel monolocale erano passate da poco le nove quando il portinaio si era introdotto armato di pistola. Grant si gustò tutta la scena.

Fred aveva chiamato l'ascensore nervoso, dalla tasca posteriore dei pantaloni si poteva vedere un rigonfiamento. 

Ward osservava la scena dall'esterno.

Il facchino si era tolto il cappello e si era guardato intorno con circospezione prima che le porte si richiudessero e l'ascensore salisse fino all'ottavo piano. Proprio in quel momento Ward era entrato nell'edificio.



*



"Steve ti ha detto dove sarebbe sparito?" sussurrò Clint mentre attraversava spavaldo quel sentiero nella foresta.

"E' sparito e basta. Le persone non ti avvertono del luogo in cui vanno quando vogliono fuggire." commentò aspra Natasha.

"Io credo che non sia andato lontano. I patriottici, in fondo, non sono fatti per gli esili a lunga durata." rispose sarcastico Clint, riscaldandosi le mani. 

"A gennaio non dovrebbe fare così tanto freddo..." commentò la donna guardandosi intorno. 

"Bè, dovevamo aspettarcelo visto che siamo in Alaska. La base segreta dello S.H.I.E.L.D. non dovrebbe essere molto lontan-" ma le parole gli morirono sulle labbra quando, finita la foresta, la vista si aprì su un enorme spiazzo bianco di neve, disseminato da decine di cadaveri.

Si avvicinarono lentamente al centro della radura, scansando piano alcuni corpi insanguinati e controllandoli uno per uno. Gente uccisa, dilaniata dallo squarcio di un coltello, agenti morti sul colpo per lo sparo del nemico.
 


People killin', people dyin' 
Children hurt and you hear them cryin' 
Can you practice what you preach 
And would you turn the other cheek 
Father, Father, Father help us 
Send us some guidance from above 
'Cause people got me, got me questionin' 
Where is the Love? 



"Agente Caspier..." sussurrò Natasha piegata su un corpo freddato da un proiettile, gli occhi ancora aperti provvide a chiuderli. La pallottola gli aveva trapassato la trachea, il foro si apriva in uno sbocco rossastro tra le pieghe del collo. 

Quante volte Natasha aveva sentito quell'odore di sangue? Quante era stata inebriata, tenendo lei il coltello dalla parte del manico? E le era piaciuto, tanto, le era piaciuto mettere fine a quella che lei non avrebbe potuto chiamare vita. - Uno strozzino non ha una vita, vive solo per riempire di merda quella degli altri. - e Phil non aveva saputo ribattere sapientemente. 

Ora non è più quella persona.

"Era un brav'uomo." continuò sussurrando nell'aria gelida del posto. "Due bambine piccole e una moglie stile anni settanta. La sua vita sembrava andare bene, ovviamente l'amore per la sua patria non gli mancava, era un orgoglio troppo forte per lui..." Nat si alzò in piedi rivolgendo lo sguardo verso il suo partner.

"Avete lavorato insieme?"

"Mi ha salvato le chiappe un paio di volte, rischiavo due anni di reclusione da una missione..."

I due continuarono a camminare tra quello sterminio di persone e si soffermarono su una in particolare, accorrendo in suo soccorso.

"KOENIG!" chiamarono contemporaneamente correndo verso la figura che respirava a fatica.

L'agente rotolò poco di lato agonizzante di dolore: gli avevano sparato al polmone destro, grazie a Dio era ancora vivo.

Clint si lanciò per terra al capezzale dell'amico affondando le gambe nello spesso strato di neve.

"Providence non era più sicura..." balbettò l'uomo davanti ai due, un rivolo di sangue gli sgorgò piano dalle labbra e percorse tutta la linea del collo. Era il solo ad essere ancora vivo in mezzo a tutte quelle carcasse. L'occhio gonfio e nero non gli permetteva pienamente la visuale, e il sangue provocato dai tre spari subiti macchiava il puro manto della neve. 

"Che cosa è successo, Eric?" domandò Natasha preoccupata da dietro la spalla di Clint.

"E-erano sì e no in venti, gli uomini dell'Hydra. Al colonnello Patton è stato riservato il primo trattamento nelle loro mani, poi le morti dopo di lui sono salite a decine..." l'agente tossì forte. "Prima di essere ridotto in questo modo.. sono riuscito a strappare un biglietto ad un super soldato.. Sembrano ordini.." il sangue ora uscì più abbondante dalla bocca di Koenig che, tenendo gli occhi chiusi, non smise di parlare. Sapeva che quelle sarebbero state le sue ultime parole. Infilò tremante le mani in tasca e ne tirò fuori un bigliettino sgualcito e sporco di sangue.

"Dite a mio fratello che mi mancherà e che gli voglio ben-" quelle ultime parole uscirono strozzate, mentre l'agente Koenig esalava il suo ultimo respiro in quella vita.

Clint si strofinò gli occhi e si mosse per abbassare le palpebre al defunto, poi posò lo sguardo sul biglietto.


Destinazione: Virginia. Vai a prendere la ragazza.



*


"AAHH!" un grido acuto proveniva dalla tromba delle scale e Ward affrettò il passo verso l'ottavo piano sperando di arrivare in tempo. 

L'appartamento 8B, notò Ward, era uno di quegli appartamenti antichi con le porte blindate e l'occhiello in ferro, uno di quei monolocali che sembrano accampamenti di guerra e dove sulle pareti ci sono solo quadri di gente morta che ti osserva ogni volta che solo ti sfiora l'idea di non degnarli di uno sguardo. Ed era proprio l'appartamento 8B, la riproduzione in scala di Azkaban, ad avere la porta semplicemente spalancata, dalla quale grida disperate si disperdevano per l'ingresso.


"Ti prego, Frederick, Frederick Roy, io ti conosco, non avresti nessun motivo per farlo. Non hai nessun.." una flebile e acuta vocina si sentiva provenire dalla piccola cucina. Ward non esitò ad entrare, e, con le mani a stringere la pistola davanti alla faccia e il dito sul grilletto, si introdusse in casa silenziosamente.

"Hail Hydra." sentì pronunciare da colui che sovrastava la ragazza priva di sensi contro il frigorifero e Ward non esitò a premere il grilletto. 

La pallottola colpì in pieno quello che sarebbe dovuto essere un suo alleato, Ward lo vide stramazzare a terra privo di vita, il colpo gli aveva traforato la nuca. Fred cadde in avanti accanto il corpo minuto della giovane donna, quest'ultima ancora priva di conoscenza.

Ward gettò l'arma di lato e accorse immediatamente la ragazza, scostando in malo modo il corpo esanime del facchino. Le passò un braccio sotto le gambe fini e con l'altro la sostenne dalla schiena, la sollevò e la portò verso la camera da letto. 

"Oh no, no no no no no." balbettava Grant schiacciando il viso contro la testa della mora. "Sei ferita? Ti prego dimmi di no!" ma parlava al vento, Grant, lei non poteva sentire le sue preghiere.  

Il volto tenero della ragazza era schiacciato contro la sua polo scura, e nel limbo tra il sogno e la coscienza, si aggrappava ai suoi pettorali come un'unica e ultima salvezza.

Frettolosamente e in modo goffo, Ward la posò sul letto sostenendole la testa, quando poi fu completamente distesa, si piegò su di lei per controllarle il battito cardiaco.

Bum. Bu-bum.

Tirò un sospiro di sollievo al suono del suo cuore battere, e le carezzò una gota spostandole una ciocca scomposta dagli occhi ancora chiusi.

Le passò delicato le mani sui fianchi, accarezzandole la pancia proprio sopra la macchia rossa di sugo che tanto lo aveva fatto spaventare. Si chinò su di lei e prese a slacciarle lentamente uno ad uno i bottoni della camiciona, finché anche l'ultimo fu libero, poi guardò il panorama soddisfatto. Delicatamente le passò una mano dietro la base della schiena e la tirò avanti, in modo tale da sfilarle l'indumento; l'adagiò dolcemente tra le lenzuola pesanti e sospirò. 


 
- L'occhio maschile è lesto, è furbo. - raccontava nonna Francene - Ogni scusa è buona per buttare giù uno sguardo. - gracchiava ancora lamentosa. - Ma, devo confessarti, tesoro, che nessuno sa amare quanto l'occhio maschile. Ti sentirai adulata, desiderata, giovane, in compagnia dell'uomo che realmente riuscirà a farti sentire così. - Francene, borbottava sempre papà, non aveva la testa apposto, altrimenti quale sano di mente avrebbe intrapreso un discorso simile con una bambina di otto anni e mezzo?


Le sue dita erano dappertutto. 
"Per fortuna, non sei ferita..." 
Le solleticavano il ventre, ammiravano quelle fossette ai lati del bacino.
"Lo sapevo che non saresti cambiata..."
Aprì l'armadio poco distante e ne prese una maglietta e una felpa a casaccio, senza tener conto nemmeno del gelido inverno dell'esterno.


- Ma ti faranno soffrire. Gli uomini intendo." cinguettava la nonnina assaporando a bocca aperta la zuppa di rape. "Per prima cosa, non capiscono niente di shopping, cara. E questo, vuoi o non vuoi, influenza molto. -



Ritornò al capezzale della giovane e la vestì velocemente, dopodiché la riprese in braccio e si strinse forte a lei in un gemito confuso. "Ti amo, piccola." La baciò dolcemente sulla fronte.

Grant Ward non è un mostro. 





I galoppini di Garret sarebbero arrivati tra poco, non aveva molto tempo.

"Dobbiamo andare via da qui!" sussurrò scuotendola. "Andiamo, svegliati!"

Le sopracciglia della giovane ebbero un fremito, e Ward perse quasi un battito osservando la scena. La ragazza contrasse la fronte e prese improvvisamente aria a grandi boccate, dimenandosi e gridando sul corpo muscoloso di Ward.

"Lasciami! Mettimi giù!" gridava lei cercando di allontanarsi il più possibile dall'uomo che stringeva tra le braccia. Ward mollò la presa per riflessi e si mise in posizione di difesa con le mani in corrispondenza del petto. 

La giovane si guardò intorno spaesata e frastornata, si fissò i vestiti e si strofinò una mano sulla fronte sforzandosi di ricordare cosa fosse successo.

"CHI. SEI. TU." balbettò inebetita.

Ward allargò le braccia e sorrise benevolo. "La mia ragazza preferita non si ricorda di me..." rise finto e tese una mano verso di lei. "Sono Grant. Conosci un Grant, che ti riguardi?"

La mora spalancò gli occhi limpidi e un lieve tremolio le attraversò le dita, le palpebre si inumidirono. "Grant.." sussurrò soltanto prima di saltargli al collo felice.




*


"Non mi sono mai piaciute le bugie."

"Lo SHIELD è una bugia."

"L'unica in cui abbia mai creduto."

Skye era l'unica a sapere cosa significasse perdere la propria famiglia, e Fitz ne era consapevole. In pochi minuti la squadra circondò il tavolo nella sala delle riunioni, il piano aveva bisogno di una rispolverata.

"I nostri badge non ci saranno d'aiuto in questa situazione," cominciò Phil "consegnatemeli tutti, non vorrei che, portandoli in giro, ci possano tradire più di quanto non farebbe un membro dell'HYDRA." Deciso, Phil raccolse uno ad uno i distintivi dall'aquila stilizzata. Si soffermò un po' di più sullo sguardo abbattuto di Skye, poi però glielo strappò di mano senza troppa delicatezza. 

"Niente rimpianti Skye, ciò che hai perso era solo una bugia, le vere famiglie non mentono mai." rispose amaramente senza guardarla e infilando tutti i pass in una busta di stoffa, incamminandosi verso il suo ufficio. 

"Tu parli per rabbia, Coulson." sussurrò triste la ragazza.

"Sono solo realista."

"La realtà è che siamo tutti figli di una stessa madre, lo S.H.I.E.L.D. non è stato un'allucinazione, quello che ha fatto di buono l'ha fatto veramente!" Skye alzò leggermente il tono della voce, costringendo Phil a voltarsi.

"Vuoi la verità, Skye?" sbraitò Coulson fermandosi e tornando indietro a grandi passi a fronteggiarla.

"Noi tutti siamo in cerca della verità," sibilò guardando verso i suoi compagni di squadra "tu compreso, Phil."

Coulson tirò un sospiro e abbassò le spalle in tensione, strofinandosi gli occhi con la mano libera, con l'altra stringeva ancora la sacca dei badge. Si voltò verso il resto della squadra e restò un attimo in silenzio.

"Volete la verità?" bisbigliò una volta calmo. I ragazzi annuirono piano. Mise in bella vista la busta contenente i distintivi e la lanciò in modo poco delicato sul tavolo della sala riunioni. "Che ognuno riprenda il proprio. Nessuno ci può impedire di essere quello che siamo." strappò dalla busta di stoffa il proprio badge, lo alzò in alto e lo indicò orgoglioso "Questa è l'unica verità."

Il team fece lo stesso, seguì il suo capo, l'unico in cui riponeva ancora la propria fiducia.




Erano rimasti in silenzio, così, a guardarsi gli uni con gli altri, ignari della prossima mossa, poi tutto accadde velocemente. Fu Jemma la prima ad accorgersene e lanciò un grido soffocato a cui tutti reagirono fissando il punto indicato dalla sua mano tremante. La causa del suo spavento non era altro che una smilza figura dai capelli bagnati e da un asciugamano bianco stretto attorno al petto a coprirle il busto, che passava indisturbata, incurante degli agenti in riunione. Le lunghe gambe lasciate scoperte, e una fondina era stretta attorno ad ogni coscia, ognuna contenente una pistola, carica si presumeva e un coltello. 

La ragazza dai capelli mori si voltò solo quando sentì scattare la sicura di un'arma e percepì i movimenti d'aria verso di lei. Trip non ci mise che pochi secondi a finire per terra, e per un secondo il fiato gli si mozzò in gola per la forte botta subita ai polmoni. La ragazza rimase seria, e, con la pistola dell'agente atterrato stretta in una mano, si risistemò l'asciugamano stretto alla bell'e meglio sopra il seno. 

Lasciò cadere con un tonfo la pistola dalla mano sinistra mentre alzò le braccia alla vista dei tutti i membri della squadra armati verso di lei. 

"Chi sei?!" sbraitò Skye spaesata. 

In compenso, la ragazza non la degnò di sguardo o parola, ma rimase a fissare inebetita il volto sudato di Phil.

"HYDRA..." sussurrò soltanto, gli occhi neri spalancati a fissare il vuoto. Melinda caricò la pistola alla volta di Fitz, mentre Simmons si appese molto eroicamente alle braccia dell'ingegnere pregandolo di scambiare l'arma con un Icer.

"Dovrei consegnare anche io il mio distintivo?" domandò sarcastica la donna, dipingendosi in volto un sorrisino ingannevole. "Commovente il tuo discorso di prima." commentò indicando Coulson con il mento.

Phil rimase come ipnotizzato da quella figura, fissandola negli occhi dalla profonda oscurità. A quanto parve ci lesse molte cose, in quegli occhi spalancati, perché abbassò all'istante la pistola e si avvicinò lentamente alla ragazza ancora immobile. Gli altri non cambiarono la loro posizione di un millimetro. 

"Sono ventidue anni che sei su questo pianeta e ancora non ho imparato a precederti." le si avvicinò ancora di più accarezzandole una gota pallida.

"Nessuno può farlo." sibilò acida.

"Lui l'ha fatto." ridacchiò Phil.

"Ma poi lui è morto!" sbraitò la ragazza accanendosi contro l'agente. In pochi secondi, Skye non capì neanche come fu possibile, la giovane aveva sovrastato Phil atterrandolo e sedendosi sulla sua schiena dopo avergli sottratto la bella giacca e averla sostituita al suo asciugamano, con cui poi gli legò le braccia dietro le spalle. Si alzò con nonchalance abbottonandosi la giacca nera sopra il suo corpo completamente nudo, quando Melinda sparò.

Il proiettile della Cavalleria trapassò molto elegantemente l'ultimo vetro ancora intatto dell'angolo bar: la giovane schivò abilmente il colpo. Ora però le due donne si fronteggiavano l'una di fronte all'altra con la propria pistola tesa in avanti.

Tutto era successo così velocemente che Phil non ebbe il tempo di fiatare e Skye accorse subito a liberarlo da quella strana posizione. Ritornato in piedi, Coulson sorrise alla vista delle due donne arrabbiate, lo spettacolo più bello mai visto in vita sua.

"Metti giù la pistola." ordinò "Lei è dalla nostra parte." Nonostante il tono ferreo della sua voce, Phil vide gli occhi delle due tremare. "Melinda..." 

La testa di May scattò immediatamente verso il suo capo, nello stesso momento la sconosciuta abbassò l'arma. "Mi ricordavo che ti piacesse il bondage, quindi..." scherzò lei.



"Squadra, vi presento l'agente Tiarè Shiho." annunciò rivolgendosi verso i ragazzi che lo guardavano sbalorditi. 

Skye però non abbassò la pistola. "Skye.." la chiamò Coulson persuasivo.

"Come facciamo a sapere che non è dell'Hydra? EH?!" sbottò alzando la voce.

"Non lo è." continuò deciso lui.

"Se pensi davvero che lo sia, allora sparami." questa volta fu Tiarè a parlare, irremovibile come poche persone aveva visto essere.

Skye esitò qualche secondo sul grilletto prima di abbandonare il braccio lungo il corpo con un tonfo sordo. "Non mi hanno insegnato a sparare," ricordò con rammarico Grant, che a malapena era riuscito ad insegnarle come caricare una pistola. "neanche se il bersaglio è un nemico."

Phil tirò un sospiro di sollievo e si rivolse totalmente verso l'agente Shiho con una smorfia imbronciata in volto. "Da quanto tempo sei su questo aereo?" chiese stupito.

Tiarè si sbottonò la camicia e la lasciò cadere a terra sensualmente. Dall'altro lato, gli sguardi dei ragazzi seguivano attentamente le sue curve snelle allontanarsi verso i dormitori. "Da sempre, Coulson." biascicò rivolgendo la testa indietro per un momento.

Phil rise appena scuotendo la testa. "Va' a cambiarti, dopo mi dirai ogni cosa." asserì.

"Lo sai che non lo farò."



*


La sveglia mattutina suonò con un bip!bip! incessante nelle stanche orecchie dell'uomo, addormentato con la testa sulla scrivania riempita dalla miriade di fascicoli e calcoli. Tony fece una smorfia infastidita alla volta di quel rumore assordante e, biascicando qualche parola, ordinò a Jarvis di spegnerlo. 

"Signore, mi dispiace informarla che non si tratta della sveglia." lo informava l'A.I. con la sua voce meccanica.

"Più informazioni, Jarvis, più informazioni." balbettò asciugandosi quel poco di bava che gli era colata al lato della bocca.

Tony alzò lo sguardo sul monitor che produceva quel suono assordante: il logo dello S.H.I.E.L.D. apparve nell'oscurità dello sfondo ma, piano piano, quell'aquila stilizzata si sgretolò per lasciare il posto ad un emblema rosso sangue malignamente sorridente.

"Ha mai sentito parlare di Hydra, signore?"

Tony serrò la mascella e spalancò gli occhi perdendo, per un attimo, il respiro.

"Si Jarvis, quegli stronzi mi hanno strappato parte della mia vita."

Il desktop di destra cominciò a lampeggiare, e sullo sfondo tanti pallini rossi indicavano la presenza di intrusi.

"L'Hydra è in avvicinamento, signore." lo informò atono l'A.I.

"Aspetta! Che significa? JARVIS!" gridò spaesato.

"Ha sentito il racconto dell'agente Hill, signore. Questo non è più un posto sicuro."

Tony tirò un sospiro riflettendo, mentre, dal piano superiore, la voce di Pepper lo chiamava per la colazione.

"PEPPER!" urlò prima di scattare verso la porta del laboratorio per raggiungerla.



*


Clint aveva sempre pensato che se avesse dovuto scegliere tra un jet e una Lamborghini per una fuga miracolosa, avrebbe di sicuro scelto la Lamborghini. 
Ovviamente sotto dissenso accanito di Natasha. 


Comunque si sa che, in casa, è la donna che domina, così Clint dovette abbandonare la sua idea da fuga-figa e lasciare il posto del pilota a quella rossa da sballo che lo aveva tanto piegato a suo volere.

"Sicura che sia una buona idea?" borbottava con il mento sulla mano Clint, sconfinato alla stiva del Quinjet.

"Non sono sicura, Barton, ma di certo questa è una pista." ribatté lei con una piccata ostilità della voce.

"Ok, ok, lascio tutto nelle mani del tuo sesto senso." si rassegnò alzando le braccia. "Bisognerà avvertire la squadra di Coulson di quello che è successo a Providence..."

"Non preoccuparti Clint, ho già incaricato qualcuno di farlo." sorrise maligna, gli occhi le brillavano in modo insolito.

"E chi è questo 'qualcuno'?" chiese l'arciere sbuffando.

"Sai, Stark mi doveva tanti di quei favori, che credo di non fargli un grande torto chiedendo in cambio solo questo."

"Sai che Tony andrà su tutte le furie quando scoprirà che Coulson è ancora vivo, vero?"

"Certo che lo so." sogghignò lei.



*



Pepper si ritrovò in un attimo nelle braccia avvolgenti del suo compagno, confusa sul da farsi, se essere preoccupata oppure se increspare il labbro in quel solito, dolcissimo, sorriso che faceva impazzire Tony. 

"Tutto bene, tesoro?" domandò la rossa con una nota insospettita.

Stark si schiarì la voce con una mano sulla bocca. "C'è una cosa che dovresti sapere..." 

Ma all'improvviso, un boato lo interruppe. L'ingresso della villa sulla costa atlantica, nuova residenza Stark dopo il crollo di quella a Miami, saltò in aria come un pop corn. 

"Io ti amo, Pep." la fissò dritto negli occhi.

Erano arrivati.

"VIA!" urlò poi improvvisamente Tony ad una figura nascosta a braccia incrociate dietro un muro della sala. 

Happy Hogan, quindici anni di servizio in casa Stark (che aumentavano di tre ogni anno che passava), aveva imparato perfettamente a riconoscere tutte le espressioni Stark, quell'egocentrico datore di lavoro a cui tanto premeva la sicurezza di chi lo circondava. - Se succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, se gli alieni invadessero di nuovo New York, se una banda militare irrompesse in casa minacciandomi di morte, se ci fosse un'esplosione, in ogni caso, tu porta via Pepper. - e allegato a quel discorso gli aveva consegnato un paio di chiavi. - Bunker 185. Non mi deludere, metto la sua vita nelle tue mani. -

Stark gli aveva rivolto un'occhiata profonda prima di rivolgere l'ultimo sguardo a Pepper, che lo fissava sconvolta e in lacrime. - Attieniti al piano. - ciò che lui gli disse con gli occhi.

Happy afferrò Pepper di peso par la vita e se la trascinò via con la forza, incurante delle urla e della resistenza che la donna opponeva invano. 

"TONY!" urlò con tutte le sue forze, imprecò, si divincolò, prima che Happy la trascinasse nello studio sotterraneo. 

Con la testa calata Tony sospirò sonoramente. - E' solo per il tuo bene, amore mio. - e con un sonoro schianto, l'armatura gli si costruì addosso.



Happy stringeva ancora il corpo minuto della signora Potts quando gli agenti dell'Hydra irruppero in casa. Stava giusto raggiungendo il laboratorio di Tony, mentre Pepper piangeva vinta.

Dal piano di sopra, urla e spari provenivano più ovattati e l'autista fu più sollevato nel saperli lontani da quel gioiellino così prezioso che abbracciava. Mise giù Pepper per un secondo appena raggiunta la parete interamente in metallo che ricopriva gran parte del muro, al centro della quale spiccava un grosso bottone rosso coperto da una piccola grata di vetro, poi si guardò intorno e socchiuse gli occhi non appena la grata andò in frantumi.

Pepper non sapeva che cosa sarebbe successo non appena la porta nascosta nella parete di metallo si sarebbe spalancata azionata dal bottone rosso, sapeva soltanto che il nemico aveva superato l'atrio di casa e stava raggiungendo il laboratorio, e questo non era un buon segno.

Era di nuovo nella forte stretta della guardia del corpo, quando un agente nemico, completamente vestito di nero come un cecchino, si introdusse nella stanza sotterranea e cominciò a sparare a tutto spiano. 

Happy si voltò di spalle e si spinse al suolo, stringendo ancora Pepper davanti a sé per proteggerla. Un proiettile gli aveva sfiorato il braccio e adesso la lieve ferita aveva cominciato a sanguinare, ma estrasse ugualmente con difficoltà la sua pistola di riserva dalla fondina e sparò alla cieca. Con un tonfo, l'agente dell'Hydra stramazzò al suolo, un colpo in piena fronte. 

Si alzarono a fatica, mentre altre urla provenivano dal piano di sopra e Pepper fece per scappare verso Tony, ancora singhiozzante, lasciata libera persino da Happy che si stava stringendo il taglio, quando due forti mani la presero per le spalle e la tirarono indietro. Proprio nel bunker 185.

Happy osservò, con un sorrisetto rassegnato dipinto in volto, la parete metallica staccarsi dal muro sotterraneo e scomparire oltre l'oceano.

Io devo stare qui, al fianco del mio capo.

Abbassò la testa e ricaricò la pistola, pronto per un'altra battaglia.

Dal bunker 185, invece, Pepper era caduta svenuta tra i singhiozzi e lo spavento, mentre due paia di occhi la osservavano dormire inteneriti.


*



Anche l'ennesima villa al mare era andata distrutta. Ora Tony camminava con gesti meccanici avvolto nell'armatura sulla strada di ritorno, stringendo a sé un Harold Hogan zoppicante. Estrasse il cellulare dalla tasca dell'autista e, goffamente, compose un numero.

Dall'altra parte della cornetta, una voce calda e sicura rispondeva impassibile. "Sì?"

"Mi hanno detto di dirti che Providence è caduta, e che Jacqueline Bond e il suo amichetto stanno andando in Virginia, nuova pista sembrerebbe..." rivelò con sufficienza.

"Tony? Sei tu?" 

"Ascolta Agente, non mi interessa come hai fatto a ritornare miracolosamente in vita o come Fury abbia avuto le palle per tenercelo nascosto, ok? Non me ne frega niente, solo risolvi questa faccenda." stava sul'orlo dall'attaccargli in faccia, quando Coulson continuò a parlare.

"Mi dispiace, Stark. E' più diffic-"

"Vaffanculo, Phil. Risparmiatelo. Ho spedito mia moglie lontano per via di quello che la vostra piccola baracca ha causato. Se hai bisogno sai dove trovarmi, ma non venire a dirmi che necessiti di un consulente, i rapporti diplomatici sono andati a puttane." ringhiò. 

E la telefonata si concluse lì.




Nella stanza accanto del Bus, invece, Skye stava teneramente aggiornando Ward sul da farsi, quando l'agente Coulson irruppe dicendo che anche l'ultima base sicura dello SHIELD era stata disseminata di cadaveri e ora restavano solo loro e pochi altri seguaci.

"Dove sei?" chiese Skye di getto all'interlocutore.

"A Providence, dobbiamo mettere in sicurezza anche quest'area."

La ragazza aveva rivolto a Coulson un'espressione dagli occhi sbarrati e continuò a parlare mantenendo il contatto visivo.

"Quindi sei a Providence..."

L'agente Coulson ebbe un tuffo al cuore sentendo quelle poche parole.

"Quindi abbiamo sempre avuto anche noi una serpe in seno..."



Ward guardò abbattuto l'edificio in fiamme dal quale, pochi minuti prima, era uscito trasportando di peso la ragazza dagli occhi azzurri. Sapeva di stare mentendo a Skye, ma quelli erano gli ordini, non si discuteva. Il cadavere dell'agente Ellery, alias Frederick Roy, sarebbe bruciato in quell'incendio e il corpo carbonizzato ritrovato sarebbe stato classificato come quello della giovane. Aveva tradito per un certo verso il battaglione al quale aveva assicurato fiducia, Garret non sarebbe stato contento, ma non poteva lasciare la ragazza nelle mani dell'Hydra. Lei valeva troppo.

Abbassò per l'ultima volta lo sguardo sulla giovane svenuta che aveva steso davanti all'edificio incendiato e alzò i tacchi. Loro sarebbero arrivati a momenti, poi lei sarebbe stata al sicuro.

Rimise il cellulare vicino all'orecchio e poté sentire Skye respirare sonoramente. "Il colonnello Patton sta organizzando altre batterie di difesa, devo andare. Ti chiamo più tardi per degli aggiornamenti." e riattaccò.

Dall'altra parte della cornetta, Skye si ritrovò pietrificata dall'incredulità e dal terrore, ad occhi liquidi per la scoperta, mentre Phil le si avvicinava e la stringeva forte a sé, in cerca di parole di conforto.

"Lui è dell'Hydra..."




*


Quando Pepper si svegliò, si ritrovò su una brandina comoda posizionata sul lato destro di una grande sala rettangolare, dalle piccole finestrelle si poteva intravedere in fondo dell'oceano.

Il bunker 185 è un sottomarino?


La rossa si guardò intorno e la prima figura umana che vide fu una donna dai lineamenti dolci e lo sguardo insolitamente velato da lacrime di commozione.

"Maria...?"

















N.d.a

*Non è più la stessa cosa con tutti i cambiamenti 
i nuovi giorni sono strani 
se tutto funzionasse nello stesso modo 
se l'amore e la pace sono cosi forti 
perché i pezzi dell'amore non s'incastrano? 

C'è una guerra ma i motivi sono nascosti 
la verità è tenuta nascosta 
e messa nel dimenticatoio 
se non si conosce mai la verità non si conoscerà mai l'amore.

Dubbi? Problemi? Perplessità? (solo pochi)
Bene, ci scusiamo se anche qui siamo state un po' crudeli. ^^
Precisazione: Providence in Alaska fa parte del mio head canon. 
Per ogni domanda o incomprensione, non esitate a scrivermi, ma non temete, dal prossimo capitolo si spiegheranno molte cose. Mi dispiace per il ritardo dell'aggiornamento e mi scuso ulteriormente se riaccadrà, ma con la scuola è un bel problema ultimamente. 
Grazie a chi ci ha seguito fino ad ora, love you girls! ;)

Just words, fantasies and fortune

Erika & Rebecca

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Capitolo 3
*** 3. Maybe we can take the control (maybe not) ***




Maybe we can take the control (maybe not)



"Ognuno può fare come vuole, ma non può volere come vuole."
- Schopenhauer



Coulson accolse con uno schiocco di labbra la magra figura dell'agente Shiho nella sala riunioni. Racchiusa in un vestitino lilla, la sagoma minuta della ragazza si avvicinò appena all'agente appoggiato al tavolo olografico.

"Se potessi decidere a chi fare da agente supervisore, sceglieresti un matto, un criminale o una donna incinta?" sussurrò la giovane.

"Ah! Ancora questi indovinelli? Non ho mai capito perché li facessi in continuazione." 

Tiarè sorrise amaramente incrociando le braccia. "Non mi hai risposto."

Coulson stirò una smorfia spostando il peso da un piede all'altro. "Probabilmente sceglierei il matto, me la so cavare bene con le persone che hanno smarrito la strada. Con te sono stato bravo."

La ragazza mutò il sorriso in un ghigno adirato. "Perché allora non il criminale?"

"Coloro che hanno preferito un tipo di vita ad un'altra sono più difficili da riportare nel giusto."

"Questo è egoismo, Coulson. La domanda reale era: qual è la persona che aiuteresti per prima, chi ha più necessità?"

"Allora c'è il tranello, come al solito."

Tiarè inarcò un sopracciglio assottigliando gli occhi, visibilmente colpita da quella risposta, poi rilassò improvvisamente i muscoli stirando un sorriso rassegnato. "Il tuo autocontrollo è stato sempre un intralcio per le mie piccole verifiche."

Coulson le si avvicinò appena accarezzandole un braccio. "E' solo che dopo tanto tempo ho capito come prenderti. Come non cadere nel tranello, appunto."

Tiarè sorrise. "Giusto. E della donna incinta che dici?"

"Le donne gravide sono più pericolose di un matto e un criminale messi insieme."

I due scoppiarono in una risata allegra per poi ritrovarsi una tra le braccia dell'altro, affettuosamente abbracciati.

Quando si divisero fu Coulson a prenderle una ciocca di capelli e osservarla stranito. "Hai cambiato pettinatura?"

La ragazza scostò bruscamente la mano passandosi le dita sugli occhi lucidi. "Sai che è successo l'ultima volta che ci siamo incontrati. Dopo ho dovuto imparare ad andare avanti." 

Coulson abbassò lo sguardo afflitto. "Come sei riuscita a superarla?"

"Non l'ho superata."

Coulson non seppe ribattere adeguatamente, l'ultimo ricordo che aveva di quella giornata, quella che sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto l'amica prima di diversi anni, era la calda afa di giugno che calava sulle loro teste, poi solo un pianto disperato e sangue, tanto sangue.

Due giorni dopo la missione, Coulson si sarebbe svegliato sulla brandina di un'infermeria francese imbottito di medicinali. Da quello che seppe, Tiarè era sparita.
Ma cosa successe durante quella missione di tre anni prima? Purtroppo ne erano a conoscenza solo tre persone, nessuna delle quali, però era disposta a raccontare nulla.


Coulson rimase lì, a bocca semiaperta, guardando Tiarè svincolare via da quel discorso doloroso. Mentre camminava verso il suo alloggio nascosto, la ragazza si lasciò sfuggire una lacrima. "Lui mi amava, Phil, e il suo sacrificio mi perseguiterà per sempre." e sparì dietro la scala a chiocciola.



*



"Mangia qualcosa." dall'alto del suo sgabello, Simmons cercava in tutti modi di convincere Skye a mettere qualcosa sotto i denti, soltanto per avere le forse per arrivare alla mattina successiva.

Abbattuta, Jemma ritirò la mano con cui le aveva porto il panino al rifiuto di Skye.

"Non sei la sola rimasta delusa da questa scoperta." Ad occhi liquidi, Jemma cominciò ad accarezzarle dolcemente i capelli.

Dall'altra parte Skye si passò due mani sugli occhi rossi e si lasciò cadere sulla sedia. "Solo... non ci posso credere!" sbottò in preda all'ennesima crisi "L-lui... lui valeva molto per me..."

La biochimica strinse le labbra in un sorriso compassionevole. "Anche per noi, Skye, so quello che provi."

Jemma però dovette interrompere il suo discorso perché dalla porta della cucina irruppe improvvisamente l'imbronciata figura dell'agente Shiho. 

"Mangia o muori." sibilò questa fermandosi al cospetto delle due.

Skye e Jemma si voltarono a occhi spalancati. "Sarebbe a dire?"

Tiarè strappò dalle mani della biochimica il panino e lo porse con forza a Skye. "Ti servono forze per combattere se vogliamo andare a prendere quel figlio di puttana." sbottò l'agente intenta a sparire verso i dormitori, quando una voce la bloccò.

"Tu non sei sempre stata così, non è vero?"

Tiarè neanche si voltò quando rispose. "Così come?"

"Fredda. Calcolatrice. E indifferente." rivelò Skye.

"Ah..." sospirò la ragazza girandosi "tu sei molto sensibile, bambina..."

"Sono più grande di te."

"L'età si dimostra con la maturità delle proprie azioni. Io ho smesso di festeggiare il mio compleanno da un bel pezzo." 


"Tu non sei sempre stata così, ci scommetto." ribatté l'hacker. 

L'agente si avvicinò lentamente alle due e agguantò una sedia, e sedendosi mosse piano la testa in segno di negazione.

"Come si chiamava?" azzardò Jemma rimasta in silenzio fino ad allora.

Tiarè alzò di scatto il capo, un lampo fulmineo negli occhi lucidi. "Ch-Charles." 

"E chi era per te?"

"Era il mio fidanzato, ci saremmo dovuti sposare pochi mesi dopo."

"Gli accadde qualcosa di tanto brutto?"

"Era il giugno del 2011..."

 

Le case, le cose, corrono veloci ai lati della strada, e dal SUV targato S.H.I.E.L.D. Tiarè sorride. Ha detto solo una paio di volte a Phil di rallentare, e Charles nel sedile anteriore ride sereno. E' estate e fa caldo, ma tutti e tre sono vestiti con le lunghe uniformi dello SHIELD, accaldati e pronti per una nuova missione.
Le case, le cose, sono bianche e asettiche ai margini della strada. Tiarè ha sempre detto che le cose troppo pure e perfette non le piacciono, - Sono finte, nascondono qualcosa.. non esiste la perfezione. - dice sempre, ecco perché quel quartiere insolitamente tranquillo le nausea.



"L'ennesimo 'comitato di benvenuto' andato storto.."

 
Tiarè sa che in quel posto c'è stata già diverse volte, per questo non le è difficile riconoscere il grazioso giardino dei Britterbourg e non si spaventa affatto quando Kase, il Rottwailer degli Evans, comincia ad abbaiarle contro da dietro la staccionata laccata di bianco.
E' una strada ai cui lati del marciapiede si ergono le solite, graziose case dai tetti spioventi e la pittura fresca. E' stato l'agente Gallery a mandarla lì, da sola, le volte precedenti. - Soliti giri di controllo e ispezione. - e le aveva rifilato rogne missioni.  
 



"Eravamo tutti e tre armati, a quel tempo Phil era stato il mio agente supervisore.."

 
- Non voglio che corriate rischi. Tutti e due dietro di me. - ha ordinato Coulson. Poi si scatena il putiferio.



"Erano due, armati anche loro, mi mirarono." la ragazza si alzò velocemente la manica destra del vestito mostrando una lunga cicatrice che correva su tutta la spalla fino al gomito. "Mi hanno preso quasi di striscio, Charles mi ha spostata in tempo. Mi prese per la vita e mi nascose dietro un muro tappandomi la bocca."

 
- Ora stai qui e non ti muovi, ok? - Charles la spinge per terra tamponandole la ferita, non togliendo mai gli occhi dai suoi. Tiarè scuote la testa in segno di dissenso: la gola secca, le palpebre lucide, solo adesso può sentire il sapore del dovere. I due soldati arrivano sbucando dalla parete dove si sono nascosti.



La ragazza volse la testa di lato a lasciò scivolare via una lacrima. "Vide per primo i due uomini e..."

 
Charles si schiaccia contro di lei proteggendola con il suo corpo, impugna la pistola e spara alla cieca, tiene gli occhi su di lei. Uno dei due uomini si accascia a terra con un tonfo...



"E Phil è arrivato immediatamente, stringeva tra le braccia un'arma, una abbastanza potente direi. Eliminò il soldato già atterrato e ferito ma.."

 
Coulson non fa in tempo ad uccidere anche l'altro, sa solo che questo ha sparato un colpo bello forte e ora sente delle urla nelle sue orecchie.
Dall'angolo del muro dietro al quale si erano nascosti, Tiarè grida tra i singhiozzi, sopra di lei il corpo inerme del compagno. L'ultima cosa che vede è l'ultimo soldato rimasto venire ucciso e Phil accasciarsi a terra. In quel luogo ormai è l'unica ancora cosciente.



"Si era sacrificato per salvarmi. Mi ha protetto con il suo corpo perché non potessero farmi del male e io sono stata così stupida da lasciare che lo facessero!"

 
La ragazza urla, piange e scuote violentemente il corpo senza vita del fidanzato, ma niente è più lo stesso. Forse si addormenta così, tra le braccia dell'uomo che sempre amerà - SEMPRE -, oppure no. L'unica cosa che si sa, è che Tiarè Shiho quel giorno scompare per tutti coloro che la conoscono.
Il Direttore Fury sa che questa è la scelta giusta.  



"Mi dispiace per quello che è successo.." cercò di dire Skye, ma il dolore era troppo forte.

La giovane si alzò strofinandosi il viso. "Volevate sapere che cosa è successo ed ecco qui. Non parliamone più."

Le due si ritrovarono ad annuire.

"Poi ci spiegherai dove ti sei nascosta per tutto questo tempo."

"Al prossimo incontro magari." e se ne andò. 





Coulson si trovava nel suo ufficio a controllare alcuni documenti quando la porta di spalancò e la testolina della Shiho comparve timida.

"Avanti...?" ironizzò lui.

"Volevo solo dirti che vado via, con questa guerra sarà meglio che il mio aiuto lo impieghi sul campo." rivelò con sufficienza.

"Aspetta, dove andrai?" Coulson cercò di sbrigarsi ad alzarsi dalla sedia girevole della scrivania e raggiungere la compagna, ma dopo un lieve sorriso lei era già sparita.

Quando le fu abbastanza vicino da notare la voglia poco sopra il polpaccio - hum! -, solo allora allungò il braccio rallentando il passo, mentre l'altra si voltava appena. Si trovavano nella stiva. 

"Tiarè!" la chiamò lui ma in risposta ebbe soltanto una smorfia di indecisione. La ragazza in questione agguantò un paracadute dal ripiano metallico e premette un pulsante. La rampa di carico si abbassò lentamente ed un suono intermittente si diffuse per il Bus.

"Che ha intenzione di fare?" come se non fosse evidente.

La giovane si agganciò il paracadute e gridò un "Ti aggiorno appena sono a terra." pieno di scherno. 

"Se non sopravvivessi, sappi che ho sempre pensato che non avresti mai avuto il coraggio di sposare una bella donna..." 
Tiarè sorrise camminando all'indietro sulla rampa "...e avevo ragione." 

Si lasciò cadere all'indietro affondando nel nulla, il vento come unico sostenitore, niente più freni inibitori, come le era sempre piaciuto.



*



Natasha virò leggermente a sinistra mentre Clint ammirava la collina verde della Virginia che si estendeva sotto il jet.

"Siamo in Virginia, Tasha, eppure non sappiamo da dove cominciare a cercare. Questa regione è abbastanza esteta, lo sai questo?!" 

Natasha inarcò un sopracciglio e arricciò le labbra. Sospirando, Clint si alzò da comodo sedile su cui era stato confinato nella stiva del jet e raggiunse il posto del copilota. Agganciò la cintura di sicurezza ed estrasse poi dalla tasca dell'uniforme un biglietto accartocciato e macchiato di rosso. Lo aprì lentamente e lo lesse per l'ennesima volta.


Vai a prendere la ragazza.


Ogni parola di quella frase gli strappò un sospiro, che però Natasha notò.

"Chiunque abbia dato quell'ordine si riferiva ad un punto ben preciso e conosciuto dai sottoposti, loro sapevano benissimo dove andare a prendere questa famosa ragazza." iniziò decisa la donna.

"Se lo sapevano saranno potuti arrivare lì prima di noi e avranno lasciato tracce della loro presenza." continuò Clint.

"Precisamente."

"Da dove cominciamo?"

Una voce metallica si diffuse improvvisamente per il Quinjet, la radio dell'aereo gracchiava indisturbata.


«Incendio doloso nella cittadina di Portsmouth, le forze dell'ordine sono state chiamate e la polizia interverrà a momenti. Non è stata ancora stipulata la gravità della situazione o la presenza di feriti. Immediati aggiornamenti.»


"Bingo."



*

 
"Tutto bene, tesoro?" 

"Io ti amo, Pep."



Stralci di ricordi le riaffioravano nella memoria come aghi nella stoffa. Faceva male vedere quello che aveva perso.

"Hai mai provato la gioia di andare fuori dagli schemi, dolcezza?" 

Quella domanda le rimbombava in mente come l'immagine di colui che l'aveva pronunciata. Un uomo alto, sulla sessantina, una bella persona le era sembrata a primo impatto mentre le tamponava i graffi riportati. Pepper era ancora molto stordita dopo quello che era successo, ma poteva giurare, nonostante il suo forte mal di testa, che l'uomo che era chinato sulle sue ginocchia con in mano ovatta e disinfettante lei già lo conoscesse.

Con un colpo di reni, l'uomo si alzò di scatto pulendosi le mani, mentre Pepper, indecisa tra l'essere sollevata o spaventata, si ritirava sulla brandina. 
L'uomo si passò una mano sui baffi folti e sul naso aquilino, indietreggiando anch'egli nell'oscurità della sala.

"Non è qui per farmi del male, vero?" chiese indecisa Pepper.

"Oh no, che pensieri ti vengono in mente! Ho sempre desiderato conoscerti, Virginia." al pronunciare il suo nome, l'uomo emerse dal suo angolo buio facendo sussultare la donna.

Uno smoking grigio, il solito alone di sporcizia sulle mani callose e quella luce negli occhi nocciola. Pepper capì solo allora quanto era orgogliosa di avere Tony al suo fianco.



*



"Tu sei quindi Natascia Roosvelt, se qualcuno te lo chiedesse."

"Sono già andata in missione sotto copertura, Barton. Non mi serve che tu mi faccia da mammina."

Camminavano veloci, Clint e Nat, impugnando due pistole per uno, raggiungendo ad ampie gambate l'edificio incendiato prima dell'arrivo della polizia. Il Quinjet era elegantemente nascosto in un capannone abbandonato poco distante da dove si trovavano loro.

Il posto era come entrambi se l'erano immaginati: uno di quegli edifici antichi e poco abitati in uno dei quartieri meno visitati della città. Le fiamme danzavano alte all'ottavo piano del palazzo mentre pochi metri più in là, un gruppo di persone osservava la scena e un altro gruppetto si chiudeva intorno ad una sagoma svenuta. 

"Vai ad interrogare i presenti, signorina Roosvelt, io vado da quella parte." e all'annuire della rossa, Clint si precipitò sul gruppetto andato in soccorso della figura stesa per terra.

"Toglietevi, avanti, spostatevi, sono della polizia locale." dichiarò convinto Barton spintonando e facendosi spazio tra le persone. Il suo aspetto poteva anche ingannare i presenti sul suo vero lavoro, almeno ci sperava. "Fatemi passar-" ma si bloccò all'istante potendo finalmente vedere chi si nascondeva dietro l'agglomerato di gente.

Stesa per terra in una tenera posizione, una ragazza dai capelli nerissimi giaceva priva di sensi.


Vai a prendere la ragazza.


Con un gesto veloce, Clint le passò le braccia sotto la schiena e se la imbracciò a mo' di principessa sotto gli sguardi sbalorditi dei presenti.

"Che le è successo?" chiese deciso.

A rispondergli era stato un vecchietto sull'ottantina che si appoggiava traballante ad un bastone. "L'abbiamo trovata fuori dall'edificio in fiamme, svenuta. L'ambulanza sta arrivando."

"Perché si trovava lì?"

L'uomo continuò a raccontare. "Io ho assistito a tutta la scena... è stato un uomo, sì, proprio un uomo sulla trentina a portarla in braccio fuori dal palazzo. Poi l'ha messa là per terra" indicò un punto davanti al marciapiede "ed è scappato via."

"Saprebbe descriverlo?"

"Vestiva di nero e aveva una cicatrice sulla guancia destra, i capelli e gli occhi dello stesso colore dei vestiti."

Clint strinse i denti e mosse la testa in segno di ringraziamento in direzione del vecchio.

Quindi è lei la ragazza... sussurrò tra sé. 

"Aspetti." l'uomo lo richiamava ancora e, con un gesto di sorpresa, Clint fu costretto a girarsi. 

"Si?"

"Dopo che l'uomo è andato via, una donna ha attraversato la strada con una busta di stoffa in mano ed è sparita dietro un vicolo. Sembrava molto preoccupata, infatti si guardava intorno con circospezione."

"Non sembra un dettaglio importante ma grazie comunque per avermi informato."
Quindi si voltò ancora tenendola a stretta e chiamò a gran voce la compagna.

"Roosvelt!" 
Natasha si girò immediatamente sussultando visibilmente e abbandonando le persone con cui stava parlando. Raggiunse in pochi secondi il partner e si sporse sulla ragazza per cercare di riconoscerne il volto.

"Possiamo essere certi che sia lei?"  

"Sì."



*



"I Black Heyed Peas come colonna sonora?" la Fitz riprendeva ascoltando quella lieve melodia di sottofondo.

"Hai mai sentito parlare di 'drammatizzazione', Fitz?" sbottò Skye.

"Questo si tratta di pessimo senso dell'umorismo! Siamo rinchiusi in quella che è stata la nostra casa per mesi, braccati dalle più importanti agenzie governative legali, a combattere contro un mostro che gli altri non sanno nemmeno che esista. E non venire a dirmi che.." ma già Skye non lo ascoltava più, infatti aveva cominciato a cantare noncurante del farfuglio irrequieto dell'amico.

"Where is the love? The love, the love..." canticchiava intonata.

"L'amore ognuno lo porta dentro di sé, l'importante è saper tirarlo fuori e non tenerlo mai nascosto. Ecco dov'è l'amore!" Fitz le rispose semplicemente avvicinandosi al tavolo olografico con in mano un Icer in riparazione.

"Va tutto bene, Fitz?" domandò a quel punto premurosamente Skye, accorgendosi che c'era qualcosa che non andava in lui.

"Andrà tutto bene quando tutto sarà finito e saremo usciti vivi. Ma per adesso ci conviene-" ma l'ingegnere non riuscì a finire nuovamente la frase che lo schermo della sala riunioni cominciò a lampeggiare di rosso e una voce meccanica iniziò a parlare.

- C'è un nuovo messaggio. - gracchiava l'A.I.

"Indica il mittente e leggilo." ordinò Fitz al computer.

- "Abbiamo trovato una civile ferita su una linea di fuoco, la cosa potrà sembrarvi interessante." Proviene dalla Virginia, signore, il mittente è una certa Natascia Roosvelt. -



I due si guardarono sbalorditi e il tempo si fermò. Poi, all'improvviso, tutto cominciò a correre.

"COULSON!" chiamò Skye mentre Fitz si precipitava sul tavolo olografico.

L'agente comparve spaesato dopo pochi secondi nella sala riunioni.

"Tiarè si è lanciata col paracadute per combattere sul campo."
"Credo che l'agente Romanoff ci stia contattando." 

Pronunciarono nello stesso momento, tant'è che entrambi rimasero sbalorditi dalla risposta dell'altro.

Un minuto di silenzio, di sguardi profondi, occhi negli occhi, poi tutto cominciò a correre.

Coulson diede uno sguardo al messaggio appena arrivato, poi cominciò ad impartire ordini.

"Skye controlla il profilo del mittente e assicurati che sia l'agente Romanoff. Fitz chiama il distretto di polizia di Portsmouth, la città da cui è stato inviato il messaggio, ordina loro di attardarsi nell'arrivare sul posto. Cerca un certo agente Stewart, fai il mio nome."

Coulson imboccò la strada per la cabina di pilotaggio quando venne bloccato dalla voce di Skye. "Avremo di nuovo a che fare con l'Hydra, sir?"

"Avremo sempre a che fare con l'Hydra, Skye."





Il profilo era stato confermato, la polizia bloccata, l'atterraggio era previsto in trenta minuti.



*



Il telefono squillò per l'ennesima volta nella tasca di Happy e Tony si fermò a riflettere un attimo di più.

Erano sulla costa, a piedi, senza una casa o un amico a cui affidare le proprie cure. 

Tony non voleva rispondere, sapeva chi avrebbe trovato dall'altra parte della cornetta e non voleva sapere in che punto dell'Oceano Atlantico si trovasse il Bunker 185, non voleva cadere nella tentazione della nostalgia e mettere in pericolo Pepper. Lei valeva troppo.

Nonostante tutto, ancora avvolto nella sua armatura graffiata e sfiancata e trasportando appoggiato su una spalla il suo migliore amico, prese il telefono e spinse la cornetta verde.

"Pronto?"

"Tony, sono io." una voce calda e roca rimbombava nell'altoparlante. 

"Ci sono dei problemi?"

"No, caro. Nessun problema."

"E allora perché mi hai chiamato?"

"Volevo solo dirti che hai proprio una bella donna al tuo fianco. Complimenti." 

Tony sorrise fiero. "Lo so."



*



Il Bus atterrò nello stesso spiazzo in cui Clint e Natasha avevano nascosto il jet. La sera stava calando, dovevano sbrigarsi.

Portsmouth era una cittadella carina, circondata dal mare, ma secondo Skye stare tranquillamente in giro, armati, membri dell'illegale S.H.I.E.L.D., non era una delle idee più splendide mai trovate. 

Raggiunsero presto il piccolo quartiere da cui proveniva la segnalazione e tutti i membri della squadra poterono chiaramente percepire l'aura imbarazzante all'incontro delle due spie. 

Loro mi credono morto. Quante volte era stata questa la risposta di Coulson alla domanda: "Come ha intenzione di agire con gli Avengers?" E quante altre se l'era ripetuto durante il giorno, durante le missioni, durante ogni volta che avevano avuto bisogno di loro.

"Agente Coulson..." pronunciò per primo Clint, alzatosi solo per un secondo dal marciapiede su cui avevano steso la ragazza svenuta.

I pettegoli ormai erano stati cacciati, le persone mandate via, rimanevano solo loro.

"Barton..." 

Gli sguardi che si scambiarono erano di pura mortificazione. L'uno diceva "è anche colpa mia se sei morto."; l'altro invece "mi dispiace per non avervi più protetto fino ad ora." Phil buttò un'occhiata anche a Natasha, che, accovacciata a soccorrere la giovane, gli sorrideva di rimando. 

Un sorriso tirato.

Il fuoco era stato spento dai pompieri, la polizia si trovava ancora in bilico su quell'ordine del caro amico agente Coulson, che tante volte li aveva aiutati. 

"Fitz, Simmons visitate la ragazza, cercate di capire come impedire che si faccia davvero male." ordinò spezzando il ghiaccio.

I due scienziati partirono impugnando la cassetta del pronto soccorso costringendo i due agenti a scansarsi.

Natasha si rialzò con un agile salto e gli si avvicinò insolitamente timida. "E' bello averti di nuovo qui con noi." gli disse toccandogli un braccio. 

"Sì, esatto."

Da dietro le tre spie, Fitz e Simmons cercavano di far riprendere la ragazza quando Jemma ebbe un sussulto.

"Che succede?" chiese l'ingegnere allarmato.

Jemma alzò gli occhi affondando in quelli blu del compagno. "E' stata ridotta così da un Icer."



*



"E' qui perché è in atto una grave minaccia, non è così?" chiese Pepper con una piccata nota nella voce.

"Dal tuo tono di voce capisco che non ti piacciano le minacce." sorrise l'uomo dalla barba grigia. 

"No, non amo uscire fuori dagli schemi, per rispondere alla sua precedente domanda, ma con Tony è impossibile non farlo."

"Eh sì, quel ragazzo ha un bel po' di assi nella manica..." sospirò.

"C'è un piano d'attacco per scongiurare questa minaccia?" chiese persistente Pepper.

"Dico sempre che il miglior piano d'attacco è attaccare, ma in questo caso sì, c'è."

"E qual è?"

"Sono certo che hai sentito parlare di Hydra.."

"L'agente Hill l'altro giorno ne ha fatto un bel resoconto."

"Bene. Noi abbiamo intenzione di combatterla e annientarla dall'interno, come hanno provato a fare con lo S.H.I.E.L.D., ma non ci sono riusciti."

Pepper non trattenne un'espressione sbalordita.

"Non riesco a capire bene.."

Dalla stanza anteriore a quella in cui si trovavano, una donna dagli occhi profondi e scuri affiancò presto l'uomo stando in piedi accanto alla sedia che aveva occupato.

Era la stessa donna che Pepper aveva visto al suo risveglio.

Mise due mani sulle spalle del coniuge e fece un sorriso benevolo. "Allora credo che dovremmo raccontarle tutto fin dal principio... Tu che dici, Howard?"













N.d.a.

In questi giorni sono molto impegnata, per questo adesso scappo! Grazie a tutti coloro che hanno recensito e recensiranno!
Spero che vi siate ritrovati nel filo narrativo, per chi è rimasto un po' confuso (comprensibile scusate), in questi ultimi due capitoli si spiega che cosa è successo (nel primo capitolo) tra la presenza di Ward in quell'hotel davanti all'edificio e il messaggio da parte di Natascia Roosvelt. Da questo capitolo in poi la narrazione avverrà senza altri giri di parole, lo prometto! 

Alla prossima! :*
Just words, fantasies and fortune
Erika & Rebecca



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Capitolo 4
*** 4. This is how much I can love you ***


This is how much I can love you


 


La speranza è l'ultima a morire, e il cuore di una madre è il più duro a essere scalfito.
-cit.



Respirare. E' questa la prima necessità dell'uomo. Essere liberi di vivere, questo è il segreto della felicità. 

La ragazza dagli occhi azzurri si svegliò di colpo, si dimenò, annaspò come se non avesse più aria nei polmoni. Spalancò gli occhi e la luce del tramonto la colpì fioca, strizzò le palpebre e mise a fuoco i tre volti che aveva davanti. Due donne, elaborò, due donne e un ragazzo.

Con un folle gesto di paura scacciò i tre ragazzi intenti a prendersi cura di lei, a mani alte, come le aveva insegnato una persona a lei cara.

Skye piombò all'indietro sul marciapiede mentre Fitz e Simmons si alzarono in piedi dalla loro posizione accovacciata e si allontanarono di qualche passo.
In lacrime, la ragazza si guardò in giro, Coulson e Nat sulla sinistra avevano portato la mano alla fondina, Clint si era avvicinato appena.

"Grant..." soffiò in un sussurro. "Dov'è Grant..?" ma uscì solo un flebile lamento di cui Jemma non riuscì a comprendere una parola.
"GRANT!" gridò forte allora, tenendosi la testa fra le mani e singhiozzando. "DOV'E' GRANT!" 

Fu Skye la prima ad avvicinarsi alla giovane, aveva gli occhi lucidi, stava per scoppiare, ma le passò ugualmente un braccio intorno alle spalle e cominciò a parlarle dolcemente.

"Di chi stai parlando, tesoro?"

"Gr-Grant W-Ward..." sussurrò questa stringendosi alla figura accogliente di Skye. 

Sentendo pronunciare quel nome l'hacker ebbe un tuffo al cuore. "Tu chi sei?"

"Mi aveva promesso che sarebbe stato sempre al mio fianco..." Gli occhi spalancati, un sorriso paranoico, le braccia allacciate alla camicia di Skye.

"Grant è un traditore." la sua voce carica di disprezzo.

"No.. lui è l'unica soluzione a questa guerra."


Skye voltò appena il viso verso i compagni di squadra, un'espressione completamente sbalordita dipinta in volto.
"Sei ancora molto stordita..." affermò decisa Skye, intenzionata ad allontanarsi da quella ragazza, ma lei la riafferrò per una manica e la trascinò a sé sussurrandole qualcosa all'orecchio.

"E' stato lui a portarmi fuori di lì..." cominciò sottovoce "Mi ha obbligata ad uscire, aveva un piano, voleva mettermi al sicuro..."

"Chi sei tu per lui?"

"Mi ha sparato una morfina, credo, poi tutto è diventato buio."

"Come ti chiami?" Skye alzò il tono della voce, innervosita.

"Io sono molto importante per Grant..."

"Il fatto che ti abbia salvata non implica necessariamente che sia buono."

La ragazza abbassò il capo mentre Fitz tentava di avvicinarsi. "Ce la fai ad alzarti?" chiese porgendole una mano.

La mora annuì lentamente sollevandosi sulle ginocchia, ma mentre si alzò un foglietto accartocciato le cadde dalla tasca dei pantaloni. Natasha si lanciò in avanti raccogliendo la pallottola cartacea, ma quando lo aprì ne rimase stupita.



Con l'aquila sarai al sicuro.
- Hail HYDRA



Natasha corrugò un sopracciglio. "Portiamola con noi."



*



"Com'è che si chiama?"

"Lui è Enrico, Happy!"

Enrico Maiorini, cinquantatré anni portati male, aveva imparato che quando Tony Stark chiedeva il 'solito' nel suo bar significava che Pepper l'aveva cacciato da casa per l'ennesima volta e aveva bisogno di un posto dove dormire.

Quando però il signor Maiorini si ritrovò i due uomini - grandi e grossi diceva lui - picchiati a sangue, a malapena in piedi, non riuscì a trattenere una risata da dietro il bancone.

"La signora Potts stavolta è passata direttamente al piano B, eh Stark?" rideva sguaiatamente l'italiano nonostante il suo doppio mento e io suoi centoventi chili suonati.

"Ho bisogno di un letto, vecchio mio. Pepper non c'entra stavolta." ammise sofferente Tony. Dall'addome una chiazza paonazza di allargava a perdita d'occhio: nel colluttazione l'armatura era stata seriamente danneggiata e una lastra di metallo ora gli trafiggeva la carne.

"Oh San Francesco che il cielo ce la mandi buona!" sbottò il barista congiungendo le mani alla vista di quella ferita. "Chad, George portate questi due amici al piano di sopra, chiamate un medico e anche mia moglie, Alessandra saprà come rimetterli a nuovo." 

Nonostante l'abrasione che correva su tutta la guancia destra fino alla fronte, Happy stirò le labbra in un sorriso sollevato mentre i due uomini lo aiutavano a raggiungere il piano di sopra.

"Aspettate!" sbraitava Tony mentre anche lui veniva trasportato di peso "Un attimo, io sto bene! Solo un attimo, non ho ancora finito il mio whisky!"



*



Coulson si guardò intorno pensieroso, poi mise una mano sull'auricolare che portava all'orecchio e chiamò la May.

"May, porta qui il Bus, il nostro lavoro è finito."

Jemma raccolse la scatola del pronto soccorso e la chiuse bene prima di rialzarsi e raggiungere gli altri. Lanciò un lieve sguardo a Fitz al suo fianco, poi tutto si fermò.

Un sospiro, lontano, tra le pieghe di una città ignara di quello che stava accadendo al mondo, un pianto strappato a dei polmoni giovani, un battito di ciglia. Rumori piccoli, quasi inesistenti tra le forti percussioni del ventunesimo secolo, ma probabilmente i più necessari e più belli della vita. 

Jemma voltò di scatto la testa verso sinistra e nel vicolo buio che si estendeva tra i due palazzi, una forma chiara e indistinta si muoveva nell'ombra.

"Simmons.." la chiamò Fitz in un sussurro, ma la sua voce venne bloccata dal dito di Jemma che lo intimò a rimanere in silenzio.

La ragazza allungò il collo e si incamminò verso la stradina oscura sotto gli occhi straniti di tutti i presenti.

"Simmons.." la chiamò Coulson ma lei non gli diede retta. 

Allo sbocco in strada di quel vicoletto, una cupoletta chiara si muoveva appena, ricoperta di stoffa. Jemma si abbassò abbastanza da scorgerne i contorni, e quando la toccò appena, la massa di stoffa gracchiò un gridoletto a cui la biochimica sussultò. Tolse velocemente i veli da qualunque cosa ci fosse nascosto sotto e si tappò la bocca con entrambe le mani quando rivelò la faccetta spaventata di un neonato.

Immediatamente tutti le furono vicino.

Jemma si avvicinò di più a quella piccola figura dal petto nudo per assicurarsi che non se lo fosse immaginato, poi, d'istinto, imbracciò il bambino completamente nudo e se lo infilò nella giacca per scaldarlo.

"Ma che cazz.." Clint venne subito fulminato dall'occhiataccia di Natasha, sbalordita anche lei. "Che cosa facciamo ora?" 

Simmons non spostò gli occhi dalla creaturina che la osservava contraendo il labbro in una smorfia. "E' stato abbandonato, non possiamo lasciarlo qui."

"Non siamo certi che sia stato abbandonato." la riprese Coulson.

"Forse sì..." Barton si guadagnò tutti gli occhi addosso con quel commento "Ehm.. bè, un uomo, un vecchietto mi ha detto di aver visto chiaramente una donna che portava in braccio una busta di stoffa e che poi è sparita esattamente dietro quel vicolo." Clint indicò il punto dietro di loro "Ha detto che si guardava intorno con circospezione e sembrava spaventata. E' successo proprio dopo che la ragazza venisse portata fuori dall'edificio in fiamme." 

Coulson annuì corrugando le sopracciglia. "La polizia arriverà a momenti, l'agente Stewart non è di certo un dio."

Jemma strinse a sé il piccolo quando un suo gridolino seguito da un movimento brusco del braccino verso i capelli della giovane, le fece notare un particolare dettaglio.
Sul suo braccio destro una cicatrice a forma di piovra si insediava sulla pelle liscia deformandone la purezza. Un'incisione scura e quel teschio tentacolato continuava a ridere. 

La ragazza ebbe un sussulto.

"Appartiene all'Hydra."



*



"Howard Stark..."

L'uomo storse la nocca in un'espressione di sufficienza. 

"Lei-voi siete morti." Pepper sembrava incredula, a bocca semiaperta.

"Wow ragazzina, a scoppio ritardato." dalla sua sedia in metallo, l'uomo esibiva una smorfia divertita mentre si sfregava le mani.

"Come?" chiese, decisa.

"Come che cosa?" Howard adesso accavallava le gambe distendendosi sullo schienale della sedia, lanciando sguardi veloci alla moglie in piedi al suo fianco.

"Come avete fatto a sopravvivere all'attentato che ha segnato la vostra - apparente - morte."

Howard si alzò e raggiunse a passi lenti l'altro muro del sommergibile sospirando pesantemente, e dopo aver agguantato un bicchiere di vetro pieno di liquido rosato, ritornò a fissare la donna. "Maria.."

La signora si sedette al posto del marito piegando il busto in avanti in corrispondenza di Pepper. "Abbiamo inscenato la nostra morte per scomparire dai riflettori, per lavorare meglio a questo caso, diciamo."

La rossa si passò una mano sulla fronte e strizzò gli occhi trasparenti. "Tony lo sapeva?" 

"No. Non da subito almeno. Glie l'abbiamo rivelato molti anni dopo, quando l'Hydra aveva già sporcato centinaia di anime americane." Maria Stark inspirò dal naso e socchiuse gli occhi. "Era di vitale importanza che nessuno lo sapesse." 

Pepper ascoltò quella voce, indurita negli anni, diversa da quella dei video di famiglia, diversa da quella dei telegiornali, ma grezza, bassa, pronta a qualsiasi errore, a qualsiasi orrore, la voce di chi ne aveva visti già tanti.

"Siamo riusciti ad infiltrarci nell'HYDRA, molti agenti - la cui fiducia è più certa di quanto sia certo il nostro respiro - sono in incognito nei fasci dell'organizzazione terroristica tra le più celebri del mondo." continuò prontamente l'uomo appoggiato ad un oblò. 

"Vuol dire che ciò che ha detto l'agente Hill, che lo SHIELD è caduto.." Pepper esitò su quell'ultima frase, scostando leggermente gli occhi dai suoi interlocutori mettendosi a riflettere.

"L'agente Hill sa del nostro piano, occorre ben altro per abbatterci." Howard sembrava soddisfatto, sorseggiando il suo vino. "Sono sicuro che hai tante domande da farci, Pepper, ma noi abbiamo bisogno del tuo aiuto, dobbiamo agire alla svelta."

La donna si fermò un attimo a guardare i due arricciando le sopracciglia. "Sono passati trent'anni da quando siete scomparsi..." cominciò a voce bassa, bisbigliando. 

Howard contrasse le labbra in un ghigno sornione ritornando alla sua postazione sulla sedia di metallo. "Certo, in teoria dovremmo avere novant'anni ma gli scienziati dello SHIELD hanno fatto un ottimo lavoro." Pepper lo guardò stranita e Howard sospirò pesantemente prima di spiegare. "I nostri scienziati hanno studiato un siero che attenua l'invecchiamento, direi che ha funzionato per gli scorsi trent'anni e funzionerà fino a quando tutto non sarà finito." spiegò gesticolando con il bicchiere in mano. 

Pepper prese a strofinarsi il viso, confusa. "Qual è la prossima mossa?"



*



Erano solo quattromila piedi di altitudine e la May si sentiva finalmente in pace, in tranquillità, al suo posto di comando. 

Nel resto del Bus, il gruppo di agenti era a braccia incrociate e sguardi incomprensibili, e il silenzio era calato.

Nel soggiorno dell'aereo, Vendicatori e non riflettevano sul da farsi, mentre la ragazza ritrovata in Virginia rifletteva afflosciata sul divanetto.

Jemma era in piedi vicino alla scala a chiocciola, stringeva affettuosamente il neonato sonnecchiante, gli carezzava le gote rosse con le labbra e respirava il suo profumo. Fitz la guardava da lontano, ammirato. 

Coulson e il corteo di agenti che non stava guidando un aereo o coccolando un bambino, accerchiava la ragazza dai capelli scuri e dagli occhi ghiaccio. Fu Coulson, a braccia conserte, a dire per primo qualcosa. 

"Che ti è successo?" chiese rivolgendosi alla nuova arrivata.

Quest'ultima si riscosse improvvisamene dallo stato di trans in cui era caduta, seduta sul divanetto con i gomiti sulla ginocchia. Emise un sospiro profondo e congiunse le mani sotto il mento. "Grant mi ha salvato la vita. Poi il buio. Non ricordo altro."

"Questo non ti è molto d'aiuto, principessa." si intromise Trip mostrando un tono innervosito, davanti al quale la giovane sussultò.

"Io non so perché lui sia tornato dopo così tanto tempo, non so perché proprio ora!" trillò tra i singhiozzi, gesticolando. "Dopo tanti anni che non lo vedevo, non mi sarei mai aspettata che Grant facesse una cosa simile! Dopo quel discorso, dopo avermi salvato la vita da quell'uomo che voleva uccidermi, dopo tutto, non mi sarei mai aspettata che mi anestetizzasse e mi affidasse a questo gruppo di agenti segreti!" e tra le lacrime, la ragazza si prese a strofinare gli occhi convulsamente. "Non avevo idea che lui fosse così, non avrei potuto mai immaginare che lui fosse diventato così dopo tutti questi anni!"

Gli agenti si guardarono sconvolti davanti a quella rivelazione inaspettata ma fu Skye l'unica a sciogliere le braccia ed alzare lo sguardo. "Da quanto tempo vi conoscete?" chiese, monocorde, vuota.

Questa domanda fece scattare subito la mora che spostò l'attenzione su di lei. "Uhm?"

"Da quanto tempo... state insieme.." 

La ragazza scattò in avanti in un gesto frenetico, il viso contratto in una smorfia di incomprensione, le mani tremolanti ad asciugarsi le lacrime. "COSA?"

Skye sembrò stizzirsi appena quando infilò le mani nelle tasche della felpa e, a testa bassa, si spostò dal lato della stanza andando a fronteggiare la donna. "Hai sentito."

"Non so davvero di cosa tu stia parlando!" cominciò la ragazza sulla difensiva. "Lo conosco praticamente da quando sono nata!"

"Cosa?" Skye sembrava davvero innervosita ora. "Che intendi dire con questo? Ward.."

"Ward è mio fratello!"




*



Jemma amava davvero il pargoletto che stringeva tra le braccia. Era così eccitata nel coccolarlo e cullarlo, che Fitz la guardava ammirato da una fessura della porta del suo bunk. La ragazza volteggiava leggera nel soggiorno del Bus canticchiando qualche melodia dolce, tipica ninna nanna. 

Jemma amava davvero quel pargoletto che sentiva suo, fra le dita che gli sfioravano i capelli corti, fra i piccoli sospiri che le donava, fra i sorrisi dolci; lo sentiva suo, sì, come fosse davvero suo. 

Dicono di non dare mai un nome a ciò che sai non poter tenere con te, che sai di dovertene sbarazzare, questo è il primo segno di attaccamento che ti impedirà di essere indifferente a qualsiasi cosa verrà dopo.

Sotto strenuo dissenso di Fitz, Jemma l'aveva chiamato James, quel furgoletto che stringeva tra le braccia, James come il suo fratellino mai nato.

"Ninna nanna mamma tienimi con te, nel tuo letto grande solo per un po'. Una ninna nanna io ti canterò, e se ti addormenti, mi addormenterò." Fitz sbatté bruscamente quel piccolo pezzetto di porta ancora aperta che si richiuse con un tonfo sordo. Dall'altra parte, Jemma sussultò.

Era solo che nell'ultimo periodo Fitz si sentiva molto trascurato dalla cara partner, e ovviamente vedere un nuovo pretendente competere per il cuore - e l'attenzione - di Simmons era molto dura da accettare.

"Tienilo in braccio." avrebbe azzardato Jemma una volta porgendo il batuffolo di pelle e vestiti verso Fitz. Dall'uscio della porta del laboratorio, Skye si sarebbe goduta la scena a braccia incrociate e bocca spalancata.

"Non mi piacciono i bambini." avrebbe risposto quasi indignato lui.

"Andiamo." l'avrebbe pregato Jemma arrotondando gli occhi da cucciolo. "Ho bisogno di una doccia, tienilo tu!" 

E mentre Simmons si sarebbe incamminata soddisfatta verso il bagno, avrebbe sentito chiaramente lo sbuffo di Fitz alle prese con il neonato. 

"Non. Mi. Piacciono. I. Bambini." avrebbe sillabato porgendo in malo modo il cuccioletto a Skye, che se lo sarebbe imbracciato spaesata. 


- M-ma... FITZ! -



Jemma si sedette delicatamente sulla poltrona della sala relax tenendo James in bilico sulla sua spalla. Quella sera loro si addormentarono insieme. Fitz non poteva che essere intenerito da quella vista e, stirando un sorriso, le rimboccò una coperta di lana coprendo entrambi.

Dietro un muro, Skye si ritrovò a sorridere. - Non cambierai mai, Fitz. -






N.d.a.

Okkey. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :)

Ho una comunicazione da fare. Dall'1 al 15 luglio io sarò assente per un viaggio studio all'estero, quindi ritornerò attiva come fan e writer dopo quella data. 
Ringrazio tutti coloro che ancora ci seguono.

Bacioni :*

Just words, fantasies and fortune

Erika & Rebecca

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