Vita di tutti i giorni

di Shade Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1: Mattino ***
Capitolo 2: *** Cap. 2: Pomeriggio ***
Capitolo 3: *** Cap. 3: Sera ***



Capitolo 1
*** Cap. 1: Mattino ***


Quando la sveglia ebbe la malaugurata idea di suonare, quel giorno, Timmi non si limitò a bloccarla come al solito: un pugno serratissimo calò sul povero orologio con la forza di un maglio, colpendolo senza pietà proprio sulla cima. Un fracasso di metallo piegato invase per un secondo la stanza, mentre viti, molle e ingranaggi spezzati o deformati misti a schegge schizzavano qua e là intorno al comodino. Al suo fianco, Nadine gemette.
- Buongiorno anche a te, amore.- borbottò mentre si tirava su - È bello vedere che sei di buon umore già di primo mattino…-
Timmi emise un grugnito indistinto, che valse come una qualsiasi risposta potesse aspettarsi Nadine: aveva dormito malissimo quella notte, e tra l’altro si era anche coricato tardi, in parte per colpa di quella spigola squilibrata che aveva dovuto portare in cella per disturbo alla quiete pubblica (di nuovo). Quindi, alzarsi per andare al lavoro era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri, in quel preciso momento. Considerò seriamente l’idea di chiamare Xander e di dirgli che per quel giorno avrebbe dovuto fare a meno di lui almeno fino a dopo pranzo.
Tuttavia, scacciò presto quel pensiero: c’erano moltissime cose di cui doveva occuparsi, e si trattava di compiti che poteva assolvere solamente lui. Certo, la metà di essi non erano poi così impossibili per tanta altra gente, ma sembrava che nessuno fosse capace di togliersi il moccio dal naso senza il suo aiuto. Era tornato dal Grande Vuoto solo da una settimana, ma nessuno sembrava preoccuparsi del fatto che, magari, voleva riposarsi un po’, e così tutti si rivolgevano a lui per qualunque cosa, che fosse un’invasione di mutanti dalla dimensione zeta o un gattino rimasto bloccato sull’albero.
In cucina, mentre lui si versava una generosa dose di succo d’arancia, Nadine si scaldava il caffè e nel frattempo riepilogava l’enorme lista di cose da fare per la giornata. Una lista che cominciò nel migliore dei modi:
- Ho telefonato a Billings ieri, gli manca un foglio per l’iscrizione, hanno già finito le pratiche e tutto il resto, ma senza il certificato di diploma sono bloccati, puoi mandarglielo tu via fax dall’ufficio, te l’ho messo in macchina. Ah, e mio padre ti ricorda che devi andare da lui a prendere il regalo di diploma di Skadi, lui e la mamma non sono riusciti a darglielo prima di andare in Florida per le ferie…-
Timmi trattenne un gemito scocciato, portando il bicchiere alle labbra: i suoi suoceri in pensione avevano “bisogno di andare in ferie”. Lui, che si massacrava tutto il giorno tutti i giorni, le ferie se le sognava.
- Poi bisogna passare in officina per pagare la revisione della macchina, sono trecento dollari…-
A quelle parole Timmi sputò tutto il succo di frutta, soffocando il resto della frase.
- TRECENTO DOLLARI?- esclamò con voce strozzata - Stai scherzando?-
- I freni erano andati, e bisognava cambiare le candele.- replicò Nadine, ignorando le sue reazioni - Non è colpa mia se quel rudere è lo stesso con cui andavamo in giro vent’anni fa, sei tu che non vuoi cambiarlo. Poi c’è Alexis che ha bisogno di aiuto per la casa, io vado a dare una pulita in mattinata dopo che ho finito di portare a Kyle le carte del commercialista, ma le servirà una mano per portare la sua roba, e credo che abbia dei problemi con il proprietario, c’è qualcosa nel contratto che non ha funzionato, credo col subentro…-
- Sbatto anche lei in cella tutta la notte e le risolvo il problema.-
Ancora, Nadine lo ignorò completamente. Forse sapeva che non parlava sul serio, che era solo per via della brutta nottata e della lunga settimana se parlava in quel modo. Certo, era anche il suo carattere, ma in un’altra situazione non avrebbe fatto tante scene, e si limitava a fare finta di niente per dargli modo di sfogarsi e tranquillizzarsi. O magari lo stava semplicemente mandando al diavolo.
- A proposito di celle, devi ancora fare uscire tua sorella, credo sia il caso di passare prima da lei. Starà scalpitando per tornare a vedere il sole.-
Timmi soffocò un ringhio in un nuovo sorso di succo di frutta, che suonò come una pentola di fagioli ribollente. A quel punto Nadine sospirò, roteando gli occhi, e finalmente si voltò verso di lui, versandosi il caffè nella tazza.
- Tesoro, hai mai sentito parlare di “ulcera”?-
- Sì. È quella cosa che mi pungola tutto il giorno, mi tiene sveglio la notte, mi da fastidio anche quando dorme e mi fa incazzare di primo mattino. Ma preferisco chiamarti “Nadine”.-
A questo punto lei alzò lo sguardo, mettendosi le mani sui fianchi. Immediatamente Timmi sollevò una mano in segno di resa, posando il bicchiere.
- Sì, sì, lo so, questa era una bastardata.- disse in fretta - Senti, vado, prima che trovi il numero di un buon divorzista.-
- Ecco, bravo…- rispose Nadine, seguendolo con lo sguardo, evidentemente offesa - Io vado a prendere Skadi, a quest’ora sarà pronta…-
Timmi grugnì, senza ascoltare granché: Skadi quella notte aveva dormito a casa di Sylvia, una sua ex compagna di scuola, e con la sirena sotto chiave nel suo ufficio quella era stata una delle rarissime occasioni in cui la casa era stata praticamente vuota. Di solito c’era più viavai là dentro che in uno zoo cittadino nel fine settimana. E, probabilmente, le cose sarebbero continuate così almeno per un giorno o due, a patto che quella cepola di Ariel si fosse tenuta fuori dai piedi e che Skadi avesse trovato di che impegnarsi con gli amici prima di partire per il college.
Devo sfruttare questa cosa. pensò, mentre attraversava il giardino con Dran alle calcagna. Mi sa che ho un po’ esagerato, stavolta.
 
In compagnia del cane, raggiunse l’ufficio dove già Xander si era insediato, seduto alla propria scrivania e intento a battere al computer quello che senz’altro era il rapporto del rilascio di Ariel. Dall’altra parte della stanza, davanti a una porta rinforzata e chiusa da numerose serrature, c’era Clifford Perminsky, il custode dell’archivio, che con i piedi a ridosso del proprio tavolo da lavoro perdeva tempo con le parole crociate, le bretelle slacciate e penzolanti oltre l’orlo della sedia.
- Cliff, togli quei piedi dalla scrivania!- abbaiò scocciato Timmi, mentre Dran trotterellava verso il suo ufficio tutto contento - Non sei in un villaggio turistico!-
- ‘Giorno capo.- lo salutò Xander, mentre Cliff si affrettava ad eseguire l’ordine - Sei venuto per fare uscire la sorellina?-
- Non è che l’hai già fatto tu?- brontolò, scorgendo sulla scrivania dell’amico un bicchiere di carta col logo della caffetteria.
- Pensavo che quest’onore spettasse a te.- rispose lui.
- Specie dopo che l’altra volta l’ha quasi sbranato vivo.- ridacchiò Clifford, grattandosi la pelata con la penna.
- Nessuno ti ha chiesto niente, vecchia ciabatta!-
Il custode esultò.
- Ma certo! Ciabatta! Ventotto orizzontale, “scarpa da casa”!-
- Ma vaffanculo…- masticò il mezzodemone - Cos’è questo?- chiese, indicando il bicchiere.
- Caffè d’orzo.-
- Mi fa schifo il caffè, anche quello d’orzo.-
- Infatti non è per te. Ma ti ho lasciato sulla scrivania un litro di thè freddo.-
- Almeno qualcuno che ha un pensiero carino… quando arriva Melanie ditele di non giocare col telefono dell’ufficio, serve per le comunicazioni di servizio e le chiamate d’emergenza, non per sparlare di Arshan.-
- Capo, da quando ci sei tu nessuno ci telefona mai se non per i Sykes.- osservò quietamente Cliff.
- Lo so! Io mantengo l’ordine, qui!- sbraitò mentre entrava nell’ufficio e sbatteva la porta.
- No, è che tutti hanno troppa paura di lui per fare casino…- sogghignò Cliff, strappando a Xander una risata.
 
Spedito il fax, bevuta per metà l’intera scorta di the alla menta e inghiottiti due o tre biscotti al cioccolato e zenzero che Xander, quel sant’uomo del suo amico, aveva avuto la decenza di prendergli, Timmi si recò nell’unica cella di detenzione dell’edificio. Da quando lavorava lì, l’aveva usata poche volte, e di recente l’unica occupante era una hippie mezza matta perennemente scalza e altamente irritante. Ariel Anderson, per la precisione.
Quando si presentò davanti alla piccola cella, oltre le sbarre vide la sirena seduta a gambe incrociate sulla branda, che lo guardava sporgendo il labbro con gli occhi da cucciolo bastonato. Per nulla colpito da quell’espressione, la stessa che lei gli riservava tutte le volte, Timmi infilò la chiave nella toppa, tenendo l’ennesimo biscotto tra i denti, e aprì la cella.
- Ma perché dobbiamo fare questo schifo di teatrino almeno tre volte al mese?- brontolò, masticando il biscotto - Mi sono rotto il cazzo di rispondere a chiamate di gente stufa di te e del tuo strimpellare canzonacce da due soldi. Almeno ipnotizzali con i canti da sirena, no?-
Ariel gli veleggiò accanto, gettandogli le braccia al collo, e gli diede un bacio sulla guancia.
- Perché così do allo Sceriffo qualcosa da fare.- mormorò.
- E piantala!- sbraitò lui, scrollandosela di dosso - Hai idea di quanto è imbarazzante per me arrestare mia sorella ogni santa volta? E poi di cose da fare ne ho anche troppe, oggi sarò fortunato se riuscirò a mangiare qualcosa senza essere seduto sui sedili del pick–up!-
Lei sorrise sotto i baffi, senza dirgli niente.
- Senti, se ci tieni alle pinne, rimani qui e gioca un po’ con le manette. E magari con la pistola. Carica. Da sola, senza adulti intorno.-
- Va bene. E tu stasera preparale la zuppa di pesce che ho fatto a Natale. Le piace da morire.-
Timmi la guardò aggrottando la fronte. Ariel gli sorrise di nuovo, gli schioccò un altro bacio sulla guancia e corse via, in uno svolazzo del vestito. La seguì con lo sguardo, vagamente perplesso, ma anche piacevolmente sorpreso.
Già, la zuppa di pesce…
 
Tornato sul pick–up con Dran guidò fino all’officina dove lo aspettava Bob Hopkins, il meccanico. Lo trovò disteso sotto il pianale di una vecchia Lincoln Continental scassata. La riconobbe subito, era di Barney Potts, il proprietario del negozio di liquori da cui si serviva abitualmente.
- Ehi, Hopkins!- lo chiamò, aggirando una cassetta degli attrezzi e i pezzi già smontati della macchina.
- Eh? Ah, capo! Mi ha telefonato la sua signora, è venuto per il conto?- esclamò lui, contorcendosi per guardarlo - Aspetti, esco di qui e ne parliamo in ufficio, eh?-
- Sì, sì… così mi spieghi come siamo passati da settanta a trecento dollari.-
- Capo, cosa vuole che le dica?- ridacchiò il meccanico, pulendosi le mani sporche di grasso in un panno frusto e lercio, risistemandosi poi il berretto da baseball sulla testa quasi del tutto rasata - La sua è una buona macchina, nonostante l’età, ma le revisioni si fanno proprio per individuare eventuali problemi. Non sempre si può passare con un controllino a vuoto.-
Certo, ma io la macchina posso ripararla con la magia, cocco… pensò, scocciato.
- Beh, trecento dollari mi sembrano comunque troppo.-  grugnì Timmi, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
- Oh, suvvia… io con quei soldi ci pago il mutuo, la scuola a Kevin, ci tengo in piedi questo posto…-
- Insomma ti devo mantenere?- commentò in tono seccato, seguendolo nella stanzetta attigua.
- Lei e tutti i miei clienti. E guardi che le sto anche facendo uno sconto, se fosse stato il suo vice, per dirne una, avrei chiesto tre e cinquanta. E al vecchio Clifford, invece, il prezzo pieno. La sto trattando da amico, no?- chiese, strizzandogli l’occhio mentre prendeva il blocchetto delle ricevute dal cassetto.
- Certo, come no…- rispose, prendendo il portafogli.
Separarsi dai trecento dollari fu alquanto fastidioso, ma non quanto il sorriso di Bob Hopkins mentre se li infilava in tasca ringraziandolo di tutto cuore chiedendogli di salutargli la famiglia.
- Okay bello…- sbuffò, tornando al volante - Da oggi, nuovo regime: non si porta la macchina da nessuno stramaledetto meccanico. Se c’è un problema usiamo la magia. E se qualcuno prova a fare il contrario ti autorizzo a staccargli una gamba a morsi.-
Dran emise un guaito interrogativo, inclinando il capo con aria confusa.
- Beh, quando dovrai spendere trecento cucuzze per una fottuta revisione smetterai di farmi domande, te lo garantisco.- sbottò - Se non sapessi che poi ammazzano noi, ti lascerei da solo in una stanza con Hopkins. Magari dopo che ti ho fatto il nostro fischio segreto.-
Dran abbaiò contrariato.

In origine doveva essere una one-shot, ma quando l'ho finita era troppo lunga, e me ne sono quindi venuti tre capitoli più o meno equivalenti. Per i prossimi giorni posterò questa breve storia, lasciando mantecare un po' gli ultimi inserimenti intanto che ragiono sul prossimo capitolo di "I Figli di Caino". A domani!

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Capitolo 2
*** Cap. 2: Pomeriggio ***


La tappa successiva del suo piacevole giro lo condusse verso il parco, ma prima passò dalla tavola calda a prendere un panino e qualche ciambella. Quello fu il suo unico pranzo, consumato come preannunciato sui sedili del pick–up, mentre Dran si ingozzava con un pollo intero direttamente dalla macelleria di Kolchinsky. Così, mentre il cane si abboffava sull’improvvisata tovaglia di fogli di giornale, lui si accontentava di quella robetta rinsecchita mentre si dirigeva verso il parco.
- Ti odio, sai?- grugnì.
Dran lo ignorò, strappando un’ala alla gallina con aria indifferente.
- Ti odio.- ripeté, fermandosi al lato della strada.
Un piccolo gruppo di persone era radunato attorno a un palchetto allestito durante la mattinata dagli operai comunali, e gli inviati del giornale cittadino e della rete televisiva locale stavano ripassando i propri appunti o chiacchierando con i colleghi o con semplici cittadini venuti ad assistere. Xander era seduto con i piedi ciondoloni sul bordo del palco, il cappello d’ordinanza appoggiato al suo fianco. Sotto il sole di fine Agosto, la sua stella da Vicesceriffo scintillava vivacemente.
- Donovan, come va?- chiese, superando i giornalisti senza degnarli d’uno sguardo.
- Ah, capo… sei venuto, alla fine.- scese dal palco con un piccolo balzo e gli si avvicinò, recuperando il cappello - Ieri non avevi detto che non ti saresti fatto vivo?-
- Sì, quindi non abituarti alla mia vista, scompaio subito, devo andare a prendere Alexis.- sbuffò - Ortiz?-
- In arrivo, sarà qui tra due minuti.- rispose lui - L’ho sentito al telefono, era un po’ in ansia.-
- E certo… tra un po’ ci sono le elezioni, quello se non si pubblicizza un po’ chi lo rielegge?-
- Gli farebbe comodo il sostegno dello Sceriffo, sai?- osservò Xander, strizzandogli l’occhio - Danno più retta a te che a lui.-
- Perché è un deficiente.- brontolò Timmi - Anche se migliore degli altri. Comunque, se vuole una mano la mia porta è sempre chiusa. Tu preoccupati solo di mantenere l’ordine, fai in modo che il suo discorso fili liscio e poi rimandalo a casa. Io non voglio averci a che fare, mi annoio a morte.-
- Guarda che le elezioni riguardano anche la carica di Sceriffo!- gli ricordò Xander, mentre si voltava per allontanarsi.
- Perché, c’è qualcuno che si candida contro di me, quest’anno?- rispose lui, senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso - Ah, chiama Alis… dille che quando arrivo mi servono alcune cose.-
Mentre Xander telefonava, rimase fermo a guardare la macchina del Sindaco che parcheggiava a poca distanza dal suo pick–up. Il Primo Cittadino scese con la giacca ripiegata sul braccio, la fronte un po’ lucida per il sudore. I capelli, folti e scuri ma venati di grigio, gli si erano parzialmente incollati sulla pelle, ma non aveva un aspetto del tutto orribile. Passabile, magari: il caldo impediva di capire che sudava per la preoccupazione e non per il sole.
Non lo notò subito, troppo impegnato a scorrere gli appunti del proprio discorso, ma quando rischiò di sbattergli addosso non poté non rendersene conto.
- Oh, Sceriffo Anderson!- esclamò, la cravatta che svolazzava nella scia del rimbalzo - Non credevo che venisse, Donovan mi aveva detto…-
- Chiudi il becco, Ortiz, tanto tra un minuto me ne vado.- grugnì Timmi, togliendosi il cappello per asciugarsi la fronte - Ho di meglio da fare che starti a sentire mentre cerchi di salvare la poltrona.-
- È sempre un piacere parlare con lei, Sceriffo.- sospirò rassegnato il Sindaco - Senta, se davvero è di fretta, come lo sono io, credo che sarebbe più produttivo per entrambi andare per la propria strada. Siamo uomini molto impegnati, e…-
- E piantala, sono qui per un motivo, no?- esclamò scocciato il mezzodemone - Ascolta, è per una mia amica, okay? Ha problemi con il padrone di casa. Si è appena trasferita da queste parti, è la cugina della moglie di Xander…-
- Quella povera ragazza che ha avuto un incidente l’anno scorso?-
- Jeffrey, piantala di interrompermi! Come dicevo, sta avendo problemi col proprietario della casa…-
- Quali problemi?-
- E che cazzo ne so, ancora non l’ho nemmeno sentita, porca miseria!- sbraitò Timmi, terminando la pazienza. Qualcuno del pubblico si voltò verso di loro, e Xander alzò gli occhi al cielo - Ha… qualcosa a che fare con la clausola di subentro, credo! Ora, mi lasci parlare o rimaniamo qui tutto il giorno?-
- Senta…- sospirò Ortiz, stanco - … mi dica solo cosa vuole da me. Non ho potere sui padroni di casa.-
- Fuori dagli uffici comunali sei un agente immobiliare, no?- osservò Timmi.
- Non ho appartamenti disponibili, non a un prezzo accettabile. Il mercato è un po’ in crisi.-
- Puoi almeno telefonare a questo tizio e vedere se potete risolvere la faccenda?-
Ortiz sospirò, massaggiandosi appena le palpebre.
- D’accordo, vedrò che posso fare.- rispose.
- Bene. In tal caso, avverti gli elettori che hai l’Ufficio dello Sceriffo dalla tua. E anche i denti del mio cane.- aggiunse, avviandosi verso il pick–up - E non fartela sotto sul palco!-
- Farò del mio meglio.- rispose Ortiz, infilandosi la giacca e avviandosi verso la folla.
 
Alexis lo aspettava seduta sul muretto della ringhiera attorno al vivaio. Due scatole di cartone erano sistemate vicino ai suoi piedi, sigillate e impilate con cura. Su entrambe era stato scritto a pennarello il nome del contenuto, e quelli erano i pochi averi di Alexis: qualche vestito, due paia di scarpe e un coltello a serramanico, ricordo della sua precedente vita. Alis era accanto a lei, e le teneva compagnia cullando dolcemente il passeggino di Ray, che era sprofondato nel proprio sonnellino pomeridiano.
- Signore…- le salutò, tirandosi leggermente la tesa del cappello mentre scendeva nel piazzale.
- Sceriffo…- rispose Alexis, accennando un gesto che somigliava molto al saluto militare.
- Capo…- sorrise Alis - Sei di cattivo umore?-
- Si vede così tanto?- grugnì, agguantando al volo Dran per il collare prima che saltasse addosso a Ray e cominciasse a leccarselo tutto.
- Ti conosco da vent’anni, Timmi.- osservò lei - Ormai sei un libro aperto per me. E poi Xander dice che è da stamattina che mandi al diavolo anche i mobili dell’ufficio.-
Timmi trattenne un’imprecazione masticandosi la lingua.
- Okay, finiamo questa cosa, che non sono una ditta di traslochi… Walker, in macchina! Dran, a cuccia! Tu, nel vivaio! E non aspettarti che ti paghi!-
Alis sospirò, togliendo i freni al passeggino e infilandosi nel cancello aperto. Alexis raccolse gli scatoloni e li mise nel cassone del pick–up, dove vennero raggiunti da Dran con un balzo e uno scodinzolio. Quasi subito il cane si appoggiò alla sponda e cominciò a leccare la faccia di Alexis, facendole quasi perdere l’equilibrio.
- No… Dran… cuccia!-
- Sopporta, così me lo stanchi un po’.- disse Timmi, seguendo Alis.
 
- Allora, Sceriffo… cosa posso fare per te?- chiese Alis, dopo aver messo cautamente Raymond nel lettino che teneva sul retro dell’ufficio. Dalla tasca della pettorina spuntava l’antenna del babymonitor - Xander diceva che ti serviva “un po’ di roba”.-
- Sì, un po’ di verdura da portare a casa.- rispose Timmi - Possibilmente profumata e colorata. E visto che mi stai facendo scarrozzare tua cugina in giro, consideriamolo un pagamento per il tempo che sto buttando nel cesso.-
- Mia “cugina” è qui sotto la tua tutela, Timmi.- gli ricordò Alis, tranquilla - E sei tu a dovertene occupare, dalla sistemazione alla copertura. La seconda l’hai trovata, ma ancora non è a posto con la casa, e non può rimanere in eterno da noi, e lo sai.-
- Sì, mi sto occupando anche di questo… insieme a tutto il resto…- mugugnò lui - Ora, mi puoi dare una stramaledetta dozzina di rose e un dannato arbusto di biancospino?-
Alis aggrottò la fronte. Se trovò strana la scelta di una pianta tipicamente natalizia, non disse nulla. In fondo, il collegamento lo doveva conoscere meglio di tanti altri, visto il suo lavoro.
- Rose e biancospino?- ripeté - Oh, tesoro… hai fatto pasticci a casa?-
- No, voglio mangiarmeli con la maionese…- ringhiò a denti stretti - Me li dai o devo cercarli da solo?- sbottò.
L’amica sorrise, scuotendo la testa.
- D’accordo, come vuoi. Te li porto direttamente a casa?-
- Mi faresti un favore.- rispose - Usa le chiavi, a quest’ora non c’è nessuno, Nadine avrà portato Skadi in palestra e Ariel sta tormentando Clifford e Melanie in ufficio. Il che è perfetto, onestamente.-
- Ti ci metto anche un paio di papaveri rosa per te? Sono di buon augurio per la serenità e la vivacità.-
- Coi papaveri ci faccio l’oppio.- brontolò, facendo per uscire.
- Ti servirebbero i papaveri da oppio. E quelli non li ho.-
 
- Tieni.- disse, passando ad Alexis un biglietto da visita.
- Cos’è?- chiese lei, prendendolo perplessa.
- Una fetta di pizza. Mangiala, sa di carta.-
Alexis gli scoccò uno sguardo seccato.
- Jeffrey Ortiz, Agenzia Immobiliare?- lesse - Ma Ortiz non è il sindaco?-
- No, è il buffone cittadino. Però ci fa tenerezza, quindi continuiamo a tenerlo in quell’ufficio. Comunque ha di buono che quando non fa il babbuino con gli assessori vende e affitta case. Telefonagli e vedi un po’ di farti sistemare quel problema con il contratto.-
Alexis sorrise, intascando il biglietto.
- Grazie.- disse - Quindi questo sistemerà tutto?-
- Questo o Gaeliath. Ora spiegami perché ti sto portando in quel buco anche se il contratto non è a posto.-
- Beh, la firma c’è.- rispose lei, stringendosi nelle spalle - Il proprietario aveva detto che potevo entrarci da fine Agosto, ma ieri ha telefonato per dirmi che c’è stato un problema con la clausola di subentro… a dire il vero non ho nemmeno capito cosa sia. Da dove vengo io non esistono più nemmeno le case, figurati i contratti d’affitto.-
- Già, sei una povera esule, uè uè e lacrimuccia.- tagliò corto Timmi - Almeno oggi sei stata seduta a sniffarti piantine, mentre io correvo su e giù per la città. Anche per risolvere i tuoi casini.-
Alexis aggrottò la fronte.
- Sai, avevi ragione, quella volta a Valiant City.-
- Quando?-
- Quando hai detto che a casa sei insopportabile.-
- Alexis, ti hanno mai scaricata da un pick–up in corsa?-

Il secondo capitolo è andato. Ringrazio Ely79 e Alice Spades, che mi seguono come sempre. A domani!
Ah, giusto... il biancospino simboleggia la speranza. "Nadine" viene dal russo "Nadja", ipocoristico del nome slavo "Nadežda" che, per l'appunto, significa "speranza".

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Capitolo 3
*** Cap. 3: Sera ***


Quando finalmente ebbe finito di aiutare Alexis a sistemare la sua roba nell’appartamento (non ci volle molto, ma dovette aiutarla a spostare l’arredamento nella camera da letto, la cui disposizione non le piaceva, cosa che portò via molto tempo), Timmi si diresse verso la palestra comunale, dall’altro lato della città. Dran, al suo fianco, si rotolò sul sedile e sbadigliò, stiracchiando appena le zampe.
- Oh, già, tu sei stanco, eh? Hai faticato tutto il giorno, povero.- ringhiò Timmi.
Dran abbaiò, in tono piccato.
- Beh, io mi sto rompendo le palle da tutta la giornata, quindi tu almeno abbi la decenza di annoiarti in silenzio come sostegno morale!-
Inchiodò davanti alla porta dell’edificio e attivò per un secondo la sirena, facendo sobbalzare il gruppetto di ragazzi e ragazze lì di fronte. Nel mucchio riconobbe Skadi, che quando comprese chi era si accigliò. Borbottando le proprie scuse per “l’imbarazzante padre che era venuto a prenderla”, raccolse il borsone e si avviò a rapidi passi verso il pick–up, scocciata.
- Potevi scendere e venirmi a chiamare, no?- chiese, entrando - Ciao, Dran.- aggiunse, grattando l’orecchio all’animale, che si era fatto più in là sul sedile.
- Ah, il cane lo saluti, eh?- grugnì lui - Beh, com’è andata la giornata?-
- Stancante.- rispose lei, e Timmi pregò Dio che stesse solo scherzando per prenderlo un po’ in giro - Ehi, ma dove mi stai portando? Casa è di là!- osservò, vedendo che invertiva la direzione.
- Oggi dormi dagli zii.- rispose Timmi - Ho già chiamato Kyle, starai in salotto. Questa è una delle poche volte in cui avere un fratello è utile…-
- Cos’hai fatto?-
- Perché affermi drasticamente che abbia fatto qualcosa?- esclamò.
Skadi gli scoccò un’occhiata eloquente. Lui sbuffò.
- Beh, voglio semplicemente stare un po’ da solo con la mamma, va bene? E guai a te se telefoni. Come minimo deve esserci un attacco alieno in corso, magari da parte di extraterrestri che Shamjazya e Adar Molok non possano gestire.-
- Se non ci riusciamo noi due a sconfiggere gli alieni, perché dovresti riuscirci tu?- ridacchiò Skadi, malevola.
- Perché io faccio parte del Sommo Concilio e posso convocare la cavalleria celeste con tanto di trombe e cavalcata delle valchirie in dolby surround.-
- Chiaro.- commentò lei, mentre Dran le leccava la mano con cui lo aveva grattato fino a quel momento - Ah, mamma ha detto che manca un foglio alla segreteria di Billings.-
- Sì, ci ho pensato stamattina.- sbuffò Timmi - Era il tuo attestato di diploma. Probabilmente ti sei scordata di mandarlo.-
- Io ho mandato tutto!- protestò lei.
- Eppure quello mancava.- replicò Timmi - Ora cuciti la bocca o il college te lo paghi da sola.-
- Tanto nemmeno sono sicura di volerci andare.- brontolò Skadi - Siete voi che avete insistito: “è una bella cosa, ti servirà per il futuro, ti farai tanti amici, vedrai gente di altri stati”… come se col Sommo Concilio fosse diverso! A lavorare per loro posso anche visitare altre realtà!-
- Non senza il mio permesso esplicito. Non si va in vacanza nelle altre realtà, ci si va per motivi importanti!- sbuffò lui - Quanto alla prima parte del discorso, fingo di non aver sentito niente.-
Arrivati davanti alla casa di Kyle, Timmi fermò il pick–up e scaricò la figlia, che recuperò la borsa e scese al volo, dopo l’ultima grattatina a Dran.
- Bene, e ricordati: rompi i piatti, sveglia i bambini ogni dieci minuti e non chiamarmi a meno che Demon non sia risorto di nuovo, ma aspetta prima che abbia massacrato Kyle.- le disse, mentre aggirava il veicolo.
- Papà, ma non vi eravate riconciliati, tu e lo zio Kyle?- chiese.
- Sì, ma è comunque un imbecille.-
Lei sospirò e si sporse attraverso il finestrino per dargli un bacio sulla guancia.
E anche questa è fatta. pensò stancamente, guardando l’orologio. E dovrei avere ancora abbastanza tempo prima che Nadine torni a casa.
Fece per imboccare la strada per il cottage quando Dran abbaiò sonoramente, così all’improvviso che fece sbandare la vettura.
- Ehi!- esclamò - Ma ti sei bevuto il cervello?-
Dran abbaiò di nuovo, con insistenza.
- Oh, ma che ti prende? Ti ha morso la tarantola?-
Altri “bau” seguirono le sue parole, finché non accostò.
- Che c’è?- chiese, aggrottando la fronte - Aspetta, ho scordato qualcosa?-
Dran continuò ad abbaiare saltellando sul sedile, poi puntò verso il retro del pick–up, scodinzolando. A quel punto Timmi si ricordò che doveva passare a casa dei suoceri.
- Oh, dannazione!- esclamò, battendo la testa sul volante e provocando un “beep” del clacson - Il regalo di diploma! Ma perché quel vecchio rintronato e Bernadette se ne dovevano dimenticare?-
Si guardò intorno rassegnato: in strada non c’era nessuno, almeno per il momento.
- Okay, senti, facciamo così: io mi proietto in casa loro, prendo il regalo e poi torno qui. Mi sono rotto di guidare da un lato all’altro di questo posto! Tu però non dirlo a nessuno, eh? Semplifichiamoci un po’ la vita.-
Dran gli scoccò un’occhiata critica, ma Timmi lo ignorò tranquillamente: non ne poteva più di fare avanti e indietro.
 
La pentola borbottava sul fuoco, spargendo odore di pesce cotto e pomodoro nella cucina mezza disastrata dalla presenza di taglieri sporchi, squame e lische di pesce sparsi in giro e coltelli resi opachi dall’uso intensivo. Cercando di stappare il vino e al tempo stesso di usare la coda per girare la cena col mestolo, Timmi gettò uno sguardo all’orologio e, disperato, si rese conto che Nadine sarebbe arrivata di lì a un’ora. E lui non aveva nemmeno finito di cucinare. Né si era ancora cambiato o lavato.
- Dannazione… mi servono rinforzi!- sbottò.
Strappò il cavatappi con tanto di tappo dal collo della bottiglia, e a quel gesto tre goccioloni neri si staccarono dalla sua mano tesa. Cadendo a terra, quelli crebbero e presero l’aspetto di tre creature rettiliformi alte poco più di un metro e venti, artigliate e vagamente amorfe. Le Emanazioni della Rabbia non erano certo carine, e di sicuro non somigliavano affatto a dei putti, ma almeno facevano sempre tutto quello che veniva loro chiesto.
- Okay, ragazzi, qui sono nella merda, mi serve una mano. Tu!- disse, correndo a togliere dal forno le patate mentre la sua coda appoggiava la bottiglia sul tavolo, in mezzo al mucchio di roba da lavare - Prendi qualche rosa e strappa i petali! Fai un sentiero fino al divano! Non più di sei! Poi sistema il biancospino sul tavolo del salotto e pulisci questo macello! Tu a destra, apparecchia! Posate, piatti, bicchieri… il servizio buono, non quello del discount! E tu sorveglia la zuppa, non farla bruciare, io corro nella vasca!-
Si voltò verso le Emanazioni, che si stavano scambiando sguardi perplessi.
- Padrone… noi siamo Demoni.- osservò l’Emanazione al centro.
Okay… quasi sempre.
- No, siete prodotti di un demone. Che tra l’altro lavora con degli Arcangeli, parlando di assurdità! Ora muovetevi, prima che tiri fuori il gran capo!- e sfrecciò al piano di sopra, lasciandoli impalati lì.
 
Riuscì a lavarsi in circa ventidue minuti e otto secondi, sette dei quali persi quando rischiò di scivolare sul sapone; per radersi perse altri sei minuti, e per scegliere la camicia giusta quasi mezz’ora grazie alla sua estrema abilità in materia. Il risultato fu che prima del ritorno di Nadine aveva a malapena due minuti o poco più.
Scese di corsa le scale, mettendo un piede in fallo e perdendo l’equilibrio. Si ritrovò così a cadere faccia avanti sul pavimento, sorvolando gli ultimi quattro scalini e saggiando la resistenza del parquet col naso.
Mentre nel suo cervello si susseguivano più di centotrenta imprecazioni diverse e una mezza dozzina di bestemmie, le sue labbra emisero un solo suono:
- Ahia.-
- Padrone, ti sei fatto male?- chiese un’Emanazione, avvicinandosi.
- No, mi piace tanto cadere dalle scale.- ringhiò lui, ancora a faccia in giù - Mi diverte un casino, e mi da modo di riflettere sulla mia vita.-
Si tirò su massaggiandosi il setto nasale indolenzito e miracolosamente ancora integro (con tutte le follie che faceva sarebbe stato umiliante spezzarselo così), e finalmente ebbe un minimo di sollievo alla vista della casa: la tavola, parzialmente visibile oltre il divisorio e la foresta di tegami appesa ai ganci, era stata ripulita e apparecchiata accuratamente, le candele accese e il tegame di zuppa sistemato al centro, le stoviglie usate per cucinare lavate e messe via. Il sentiero di petali di rosa era stato seminato come richiesto, e il resto del mazzo adagiato sul bracciolo del divano; il vaso col cespuglio di biancospino torreggiava al centro del tavolino di vetro che tanto detestava, accanto alla bottiglia di vino aperta e ai due bicchieri a stelo.
- Bene… tutto pronto allora?-
L’Emanazione annuì, mentre le altre due si avvicinavano a quattro zampe.
- Sì, padrone. Hai altri ordini per noi?-
- Sì, non dite mai a nessuno che vi ho fatto fare queste cose.- grugnì lui, lasciandosi cadere in poltrona - Non oso immaginare cosa direbbero tutti quanti…-
Le Emanazioni non risposero mentre si liquefacevano e rientravano nel suo corpo. Tuttavia, sapeva perfettamente che loro per prime non avrebbero mai osato aprire bocca in proposito: tanto per cominciare l’umiliazione non sarebbe stata solo sua, e comunque una volta tornate a lui cessavano di fatto di esistere. Il rischio che qualcuno venisse a sapere di quella serata era praticamente nullo.
Ora riprendo fiato un secondo… pensò, guardando l’orologio. Giusto il tempo che ci metterà Nadine ad arrivare… sarà qui a momenti…
Chiuse gli occhi un attimo, godendosi finalmente un po’ di quiete. Quando li riaprì si rese conto comunque di essersi appisolato, e che il sonnellino era durato più a lungo del previsto. Non molto, ma abbastanza da permettere a Nadine di comparire apparentemente all’improvviso sul divano e prendere le rose, rimirandole con un sorriso confuso e piacevolmente sorpreso.
- Oh, urgh… ‘nnazione…- biascicò, raddrizzandosi con la camicia tutta spiegazzata dopo che era scivolato lungo lo schienale della poltrona - Quanto… ah–uuunngghh… quant’è che sei lì?- sbadigliò, grattandosi un orecchio e stiracchiando l’altro braccio.
- Un minuto o due.- rispose Nadine - Zuppa di pesce alla Ariel, la casa vuota e pulita, rose e… biancospino. A cosa dobbiamo tutto questo, Sceriffo?-
- A stamani.- sbuffò lui, scocciato per l’essersi fatto cogliere con le braghe calate: nella sua testa si era figurato la scena con lui in piedi in mezzo al salotto, con le rose in braccio, mentre lei apriva la porta solo per trovarlo lì, tutto bello inamidato e  profumato. Non abbioccato con la testa inclinata all’indietro e la bocca spalancata, con un rivolo di bava (che si asciugò quasi subito) lungo la guancia - Sai, per… l’infelice battuta sull’ulcera.-
Nadine scoppiò a ridere, rotolandosi sui cuscini del divano. Timmi si accigliò.
- Ehi, a parte la bella scena che ti sei goduta tornata a casa, non mi pare che ci sia qualcosa di divertente!- sbottò - Cosa ho detto?-
Lei scosse la testa, andandosi a sedere sul bracciolo della poltrona e cingendogli le spalle col braccio.
- Sei proprio uno sciocco.- disse - Non dovevi farti perdonare nulla. Lo so che è da quando siamo tornati dal Grande Vuoto che non ti fermi un attimo. Ero un po’ infastidita, ma sapevo che eri di pessimo umore. Non me l’ero presa affatto.-
Timmi emise uno sbuffo a labbra strette, che suonò come una pernacchia prolungata e, soprattutto, estremamente seccata.
- Okay, la prossima volta però dimmelo subito, eh?- brontolò - Hai idea di quanto sia stato allucinante? Sono pure caduto dalle scale, prima, mi fa ancora male il naso!-
- Oh, poverino…- mormorò Nadine, sporgendosi per baciargli la punta del naso - Mi dispiace, davvero. Non credevo che l’avresti presa così sul serio.-
- Bene… in questo caso vado a letto, se è tutto a posto.- disse lui, facendo per alzarsi.
- Ehi–ehi–ehi, fermo lì, tu!- esclamò Nadine, afferrandolo per un braccio e ritrascinandolo sulla poltrona - Guai a te se vai via adesso. Se proprio ci tieni, qualcosa da farti perdonare lo trovo, d’accordo?-
Scivolò sulle sue ginocchia e gli passò anche l’altro braccio attorno alle spalle, baciandolo teneramente. Timmi grugnì appena e l’abbracciò di rimando.
- Da domani la macchina la ripariamo con la magia.- disse, staccandosi un momento.
- Timmi, sta zitto per una volta.-

E così, questa è fatta. E visto che ho già pronto il prossimo capitolo di "I Figli di Caino", domani potreste già trovarlo postato.
Ringrazio Ely79 e Alice Spades, che mi hanno seguito come sempre. A presto!

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