The Crusaders - a New Hero

di data81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una normale nottata di lavoro? ***
Capitolo 2: *** Volevo solo una birra... ***



Capitolo 1
*** Una normale nottata di lavoro? ***


Centrale ad Autopattuglia 45…” gracchiò la radio, andando ad interrompere un pezzo Country che – onestamente – meritava di essere interrotto “autopattuglia 45, segnalati schiamazzi e possibile violenza domestica al 1948 Barnes Avenue…
“Qui Autopattuglia 45, tranquillo Max, la prendiamo noi..” affermò con la flemma data dall’esperienza il Sergente Barson, prima di riappoggiarsi comodamente allo schienale del proprio sedile e alzare nuovamente il volume della radio, finendo il proprio caffè mentre con la fede all’anulare della mano sinistra batteva il ritmo sul pomo metallico del cambio.
Seduto al posto di guida, invece, il neoassunto Agente Kain pigiò il piede sull’acceleratore e, con una manovra che sarebbe stata azzardata se non fossero state le due di notte, si immise in Bronxdale Avenue. Il Sergente, che aveva una certa esperienza nell’addestrare novellini, gli aveva già spiegato che in quel quartiere – soprattutto a quell’ora di notte – non era una buona idea accendere la sirena, quindi il ragazzo riuscì a non commettere nessun errore evidente mentre portava l’autopattuglia del NYPD fino all’indirizzo comunicato.
Una volta giunti, i due agenti lasciarono la macchina posteggiata al lato della strada e si avviarono verso un palazzo dall’aspetto cadente di circa otto piani, la cui facciata scrostata e coperta parzialmente di graffiti lasciava intendere chiaramente il livello di reddito dei suoi abitanti.
Il portone di ingresso era chiuso ma, prima che Mike potesse suggerire di suonare ad uno dei campanelli, la pesante serratura scattò e alla debole luce dei lampioni i due agenti poterono vedere la sagoma di una vecchina di forse settant’anni che – con indosso una pesante vestaglia di flanella a coprire la camicia da notte – fece loro cenno di affrettarsi ad entrare.
Non ci fu bisogno di spiegazioni, anche perché le urla – di rabbia e di terrore – che rieccheggiavano per le scale del palazzo erano abbastanza esplicative circa il motivo della loro chiamata.
L’ascensore era – ovviamente – rotto, quindi i due agenti superarono i tre piani di scale facendo i gradini due alla volta e, almeno nel caso del Sergente Barson che era almeno una ventina di chili sovrappeso, con una sequenza ininterrotta di bestemmie miste a gemiti.
Giunti davanti alla porta, i due riuscirono a distinguere tra le urla di una voce maschile anche dei gemiti e singhiozzi che parevano emessi da una donna e, dopo aver bussato inutilmente un paio di volte, decisero di fare irruzione sfondando la sottile porta di legno di quel condominio.
Dell’azione di sfondamento vera e propria si occupò Mike che, col suo metro e ottantacinque per novanta chili di muscoli ben definiti, aveva giocato come free safety nella squadra di football del suo liceo. La porta cedette al secondo colpo ed i due agenti entrarono immediatamente dopo, con le pistole di ordinanza in mano e gridando “Polizia di New York! Mani in alto!”
La situazione davanti alla quale si trovarono i due agenti degenerò rapidamente. Nel piccolo salotto/ingresso in cui si trovarono, c’era una donna di forse trent’anni, sdraiata a terra con gli abiti stropicciati e con la parte destra del volto già violacea a causa di un evidente livido che – partendo dalla guancia – si estendeva fino alla palpebra gonfia e semichiusa. Sopra di lei stava un uomo dai tratti ispanici, più o meno della stessa età, che indossava un paio di jeans consunti ed una camicia di flanella a quadri.
Ciò che Mike notò subito fu la pistola calibro .44 che l’uomo teneva puntata verso il pavimento ma che, a seguito dell’irruzione, si era rapidamente alzata nella loro direzione mostrando loro il suo profilo peggiore…quello del buco di una canna sporca ma inequivocabilmente minacciosa.
Il Sergente Barson, che era più esperto di queste situazioni e che le odiava profondamente, notò anche un secondo particolare, che lo inquietò molto di più: gli occhi dell’uomo erano dilatati e iniettati di sangue, segno di una probabile assunzione di stupefacenti. Con prudenza – e con un tono suadente che mal si addiceva ai reali pensieri che aveva nei confronti dell’uomo armato - disse “Perché non metti giù quella pistola e non affrontiamo la situazione da persone ragionevoli”
L’uomo tentennò e – faticando a mettere a fuoco la situazione – parve esitare. Sembrava comunque abbastanza lucido da capire di avere due pistole puntate addosso ed il suo braccio armato si abbassò leggermente.
“Ecco, bravo, questa è la cosa migliore…” riprese il Sergente, sempre modulando la voce come se stesse parlando ad un grosso cane arrabbiato “adesso togli il dito dal grilletto e, lentamente, appoggia la pistola a terra. Poi ci sediamo al tavolo e ci facciamo un caffè, che ne dici?”
Mentre parlava, Barson notò che il collega più giovane si stava scostando lentamente da lui, così da offrire un bersaglio meno facile se la situazione fosse degenerata.
Approvando con un breve cenno del capo, il Sergente decise di attirare maggiormente l’attenzione del bersaglio su di sé e aggiunse “Se metti giù la pistola sono certo che possiamo chiarire cosa sta succedendo senza difficoltà…”
Come da manuale Mike cominciò ad avvicinarsi per trovarsi alla distanza giusta per disarmare il bersaglio se ce ne fosse stato bisogno ma l’uomo, forse cogliendo quel movimento attraverso lo stordimento indotto dalla droga, sollevò all’improvviso la pistola verso di lui e premette il grilletto.
Il Sergente Barson vide tutto al rallentatore. Mentre il tuono della calibro .44 gli risuonava nelle orecchie vide la testa del collega spostarsi violentemente di lato quando il pesante proiettile la centrò e subito dopo sentì il corpo in uniforme blu accasciarsi al suolo. Il sangue non si vedeva, ma doveva essercene sicuramente parecchio…
Quello, però, non era il momento di preoccuparsene. Il drogato – l’assassino di un poliziotto, ora – stava già voltando la pistola nella sua direzione, quindi il Sergente fece quasi in automatico ciò che il suo addestramento alla scuola di polizia gli aveva inculcato in ogni fibra. La sua pistola di ordinanza esplose tre colpi in rapida successione e, sebbene il primo ed il terzo fossero finiti fuori bersaglio, il secondo centrò l’ispanico, andando a conficcarsi in una spalla.
Il bersaglio cadde in ginocchio e, per istinto, lasciò cadere l’arma che cadde al suolo con un tonfo solo parzialmente attutito dal liso tappeto del salotto. Rapidamente l’agente gli fu addosso e, dopo aver dato un calcio alla .44 Magnum per allontanarla, gli torse le braccia dietro la schiena per ammanettarlo.
Il prigioniero urlò di dolore quando il braccio ferito venne mosso brutalmente, ma a Barson non interessava minimamente. Dopo averlo bloccato lo voltò e – guardandolo negli occhi con ferocia – gli disse “Se solo ti muovi ti ammazzo, mi hai capito?”
Non attese risposta e, voltandosi verso il collega si apprestò a soccorrerlo o – più probabilmente – a constatarne il decesso.
“Ma che diavolo…?” fu invece costretto ad esclamare, vedendo che Mike pareva non essersi fatto nulla e si stava guardando confusamente attorno. Anche se Barson era certo di aver visto il proiettile colpire la testa del collega non c’era sangue da nessuna parte…ma questa non era la cosa più stupefacente!
Attorno al giovane agente, infatti, c’era una specie di vorticante nebbia violacea che periodicamente veniva attraversata da scariche di energia elettrica dello stesso colore.
“Kain, cosa…” non riuscì a finire la frase perché il collega, cercando probabilmente sostegno nel proprio tentativo di rimettersi in piedi, si appoggiò ad un tavolino di legno posto davanti al divano del salotto.
Non appena la mano si fu posata sul legno, però, la nebbia parve concentrarsi tutta verso il mobile e un istante dopo lo stesso esplose in centinaia di schegge, che andarono a sparpagliarsi tutto attorno.
“Sergente…” chiamò Mike, con un’espressione terrorizzata sul volto, mentre gli occhi si spostavano dalla mano, ancora stretta ad artiglio sul vuoto, ai frammenti di quello che era stato un massiccio tavolino di legno.
Ma il Sergente Barson non seppe cosa dirgli…in tanti anni di servizio aveva contribuito ad aiutare a formare molte reclute che erano poi diventate bravi poliziotti, ma quella volta sapeva di non poter fare nulla.



Salve gente! Permettetemi due parole per spiegare questo racconto...
Questo primo capitolo è la semplice presentazione di come il mio PG - Standstill - scopre di possedere i propri poteri.
Dal prossimo capitolo comincerà invece una breve avventura introduttiva in cui il mio PG incontrerà altri personaggi (PG e PNG) del mondo di gioco...

Per quanto concerne il GDR in sé, si tratta di un Gioco di Ruolo PBM (acronimo di Play By Mail), ovvero un gioco in cui più personaggi contribuiscono a raccontare una storia scrivendola a più mani. Ognuno dei giocatori narra come si comporta il proprio personaggio e tutti possono raccontare cosa fanno i Personaggi non Giocanti. Questo primo capitolo è narrato solo dal punto di vista del mio PG, mentre dai prossimi si aggiungerà un secondo giocatore, che si alternerà a me nella narrazione.

Per maggiori informazioni sul gioco, il sistema di gioco ed in generale l'ambientazione di "The Crusaders" vi lascio il link!
http://www.pbems.net/the_crusaders/home.html

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Capitolo 2
*** Volevo solo una birra... ***


Parte 1: Volevo solo una birra
 
Il porto di Long Beach, nella Contea di Los Angeles, era uno dei più grandi punti di accesso merci della Costa Ovest degli Stati Uniti e, come tutti i porti di questo mondo, di notte era un pessimo luogo per girare da soli.
 
Mike ci era già stato una dozzina di volte da quando lavorava come marinaio sulla Kamakura Maru, una enorme portacontainer della società Giapponese NYK che faceva spola tra il Giappone e gli USA, ma tutte le volte aveva percepito in quegli angoli bui e quegli enormi edifici male illuminati una sorta di pericolo non meglio identificabile.
 
Forse era quanto rimaneva del suo istinto di poliziotto ad avvertirlo del fatto che molte cose non andavano per il verso giusto in quella zona che – anche quella sera – stava attraversando da solo, ma non era mai riuscito a vedere concretamente nulla più di qualche prostituta e qualche piccolo spacciatore…insomma, nulla che non accomunasse i porti commerciali di tutto il mondo, per quanto ne sapeva.
 
 Forse non avrebbe dovuto essere lì da solo, ma aveva appena trascorso un bel po’ di tempo in mare e desiderava ardentemente una birra ghiacciata che gli facesse dimenticare quella schifosa brodaglia che in Hokkaido gli avevano propinato – ad un prezzo esorbitante – facendogliela passare per birra.
 
Se avessero saputo che il loro pro-pro-pro-nipote avrebbe preferito le birre chiare inglesi, probabilmente i suoi antenati irlandesi – tutti provenienti dalla Contea di Down – si sarebbero rivoltati nelle tombe gridando vendetta a Dio e agli uomini, ma questo al giovane marinaio non importava…come del resto non gli importava la possibile presenza di un rapinatore alle sue spalle!
 
Era già da un centinaio di metri che il ragazzo si era accorto del fatto che qualcuno – approfittando delle tante ombre, delle montagne di container e di quel po’ di nebbia che si era alzata – lo stesse seguendo, ma non si era preoccupato più di tanto di questo: uno dei pochi vantaggi che la scoperta dei propri poteri  gli aveva dato, era la certezza matematica che sarebbe stato in grado di tenere testa a qualsiasi rapinatore senza particolari difficoltà!
 
*E poi…che diavolo si vorrebbe rubare, la fame?* ironizzò tra sé il giovane marinaio, frugando con la mano destra all’interno della tasca del cappotto che portava per tastare i pochi spiccioli che c’erano. L’indomani sarebbe dovuto salpare di nuovo per trasportare un carico di derrate alimentari e altro ciarpame verso il Giappone e – dato che la tratta gli sarebbe stata pagata all’arrivo al porto e durante la traversata il vitto era pagato dalla ditta – aveva provveduto quel pomeriggio a bonificare alla madre e alla sorella tutto quello che ancora aveva, con l’eccezione di quei pochi dollari che gli sarebbero serviti per farsi un paio di giri di birre in quel pub che due mesi prima gli aveva fatto conoscere il vecchio Bob.
 
Al pensiero di sua madre e sua sorella che – sole – dovevano tirare avanti nella loro casa a Staten Island, il ragazzo si accigliò. Dalla morte del padre, avvenuta circa 6 anni prima, il giovane si era assunto il compito di aiutare la madre economicamente e - per quanto possibile – anche nel difficile compito di allevare la sorella minore, che all’epoca andava alle elementari. Per un po’ aveva lavorato nel New York Police Department ma, quando i suoi poteri si erano evidenziati ed erano stati scoperti dai colleghi, aveva dato le dimissioni e si era allontanato, per evitare di attirare attenzioni poco gradite sui suoi cari. Da allora non era più tornato a casa, anche se aveva continuato a mandare alla madre e alla sorella tutti i soldi che riusciva a mettere da parte.
 
“Che vita di me…” borbottò tra sé al ricordo di quei giorni, ma non riuscì a completare la frase perché un rumore secco attirò la sua attenzione. Da qualche parte, alla sua sinistra, c’era stato un urlo di terrore e poi un forte suono che – nella nebbia – sarebbe anche potuto essere uno sparo.
Contro ogni buon senso il ragazzo sorrise a quel suono…qualcuno stava facendo qualcosa di male e – probabilmente – qualcun altro era nei guai…quella era una occasione per fare qualcosa di buono e scaricare un po’ di quella rabbia che covava dentro e che lo macerava da anni.
 
*Se qualcosa può andar male lo farà lo stesso, quindi tanto vale almeno cercare di far qualcosa di buono…* si disse, calandosi il più possibile il berretto in testa per essere meno riconoscibile e cominciando a correre in direzione del suono.
 
La nebbia lo disorientava un po’, ma aveva già girato quelle zone di giorno e, se ben ricordava, alla fine di quella fila di container c’era uno spiazzo aperto adibito a zona carico e scarico dei treni merci, una di quelle zone attrezzate con una enorme gru su carrelli.
 
Il cuore gli batteva in petto mentre correva e, quando giunse alla fine dell’ultimo container, aveva il fiatone. Decidendo di seguire quegli insegnamenti che gli erano stati inculcati alla scuola di polizia, si fermò prima di giungere allo scoperto e si apprestò ad affacciarsi appena oltre il bordo di metallo rosso...
 
La scena che si presento all'ex poliziotto, però, non fu esattamente quello che si sarebbe potuto aspettare. Quattro delinquentelli erano stesi con braccia, denti e nasi rotti a terra, mentre un quinto era tenuto saldamente sollevato da terra da una bella ragazza dai capelli castani con un vecchio capello da cowboy in testa. "Nessuno vi ha spiegato che quando una signorina per bene vi dice di non essere interessata, significa no? Beh, te lo dico a chiare lettere, giusto per frugare ogni sorta di dubbio. No, non mi va di andarmi a sbronzare assieme a voi in qualche sordido locale del posto, allo scopo di permettervi di portarmi al letto. Ho degli standard molto più elevati io!" affermo la donna, prima di scaraventare l'uomo contro la parete alle sue spalle, facendolo ricadere a terra svenuto. "Pfu! Seccature!" aggiunse prima che una sensazione fredda ed umidiccia si facesse sentire sulla mano di Standstill.
 
*Ma che diavolo...*
Riuscì a pensare l'esclamazione senza urlatore solo perché aveva ancora ben impressa nella mente la cazziata ricevuta dal Sergente durante la sua prima azione, quando - a metà di un appostamento per riuscire a beccare uno spacciatore che vendeva roba tagliata male - era trasalito per colpa di una macchina che aveva forato una gomma a breve distanza.
Lentamente, cercando di non produrre alcun rumore che potesse allertate la donna tutt'altro che indifesa dello spiazzo, Mike voltò leggermente la testa, così da riuscire a capire cosa fosse la cosa umida poggiata sul suo palmo.
 
A fissarlo vi era uno dei più grossi e brutti pittbull della storia della sua razza. Pelo nero, chiazzato in diversi punti da zone in cui il pelo mancava del tutto, cicatrici in ogni zona del corpo ed un orecchio mancante la dicevano lunga su che razza di vita potesse avere avuto l'animale, eppure sembrava ben nutrito e il pelo che gli rimaneva era lucido e curato, cosi come il collare era nuovo. Il cane abbaiò una volta in modo più giocoso che minaccioso, ma portando la donna a voltarsi di scatto. "Che c'è Osso?" chiese in Italiano, lingua madre del cane e della famiglia della ragazza che rivelò occhi di un cangiante colore lavanda.
 
Benché fosse conscio del fatto che la donna fosse il pericolo potenziale maggiore tra i due, Mike decise che il grosso cane fermo a pochi centimetri da lui andava gestito prioritariamente.
Da piccolo non aveva mai avuto il permesso di tenere un cane, ma quando aveva frequentato la scuola di polizia aveva passato le sue due settimane di addestramento con le unità cinofile e qualcosa lo aveva imparato. Per prima cosa si voltò un po' di più verso l'animale, così da guardarlo bene negli occhi e fargli capire che non aveva paura poi, stabilito un contatto visivo, gli sussurrò "Buono, bello..." e gli mise la mano già umidiccia davanti al naso, affinché potesse annusarla bene.
L'animale parve apprezzare ciò che il suo olfatto gli trasmetteva, perché anziché tentare di staccargli la mano - cosa per la quale Mike lo teneva strettamente d'occhio - si limitò a dargli un colpetto col muso, prima di avviarsi verso la donna che nel frattempo li aveva quasi raggiunti.
 
All'arrivo della ragazza, Mike tentò di assumere un atteggiamento il più disinvolto possibile e - fingendo di non avere visto il massacro lì vicino o di non averlo trovato particolarmente inquietante - le rivolse un timido sorriso e disse "Salve! Strano posto per una passeggiata notturna...si è forse persa?"
 
"Sei nel posto sbagliato e probabilmente a breve diventerà anche il momento sbagliato, quindi, prendi i tuoi amici e squagliatevela." commento lei a muso duro, come se il newyorkese avesse a che fare con i cinque teppistelli, che a guardare bene, respiravano tutti. Anzi, solo uno di loro sanguinava. Erano pesti, con un pò di ossa rotte, ma niente di veramente cattivo. Il cane abbaio di nuovo in direzione della padrona. "No, Osso, non è una buona idea!" replico ai versi dell'animale, come se lo comprendesse perfettamente.
 
Mike squadrò per un attimo la donna, cercando di capire a cosa si riferisse parlando di posto e momento sbagliati. Probabilmente lo riteneva complice di quel gruppetto di balordi che aveva steso!
Nonostante qualcosa nel fondo della sua testa gli dicesse che non era la ragazza la fonte di quel senso di minaccia che percepiva, l'ex poliziotto ritenne opportuno chiarire innanzitutto quell'equivoco riguardante la sua posizione.
"Signorina, credo ci sia stato un malinteso..." affermò perciò "non ho idea di chi sia quella gente, anche se posso immaginare perché l'abbiano importunata. Io sono un marinaio della Kamakura Maru, una portacontainer.. "
Rendendosi conto che la cattiva reputazione dei marinai - per quanto largamente immeritata - non giocasse a suo favore, il giovane mutante aggiunse "ero un poliziotto. Quando ho sentito i rumori sono venuto a vedere cosa stesse succedendo e se potevo essere di aiuto..."
 
Un rumore metallico si fece udire, facendo scattare il volto della donna e del cane verso l'alto, mentre entrambi annusavano l'aria, per voltarsi di scatto verso l'unico delinquentello ferito. "Merda!" fece la donna, prima che un ombra passasse velocemente sopra le loro teste, scomparendo in un lampo. "Troppo tardi boy-scout! Ora è pure il tempo sbagliato." commento con una nota di paura nella voce che non aveva mostrato prima. "Ora hai due soluzioni. Quella saggia che è scappare. Quella stupida che è cercare di fermare il sangue di quel tizio prima che l'ospite d'onore perda completamente la testa." riprese la donna, tesa nel percepire ogni possibile avvisaglia di un attacco.
 
Fu il tono della voce - più che le parole in sé - a mettere in allarme Mike. Con la coda dell'occhio aveva percepito Un movimento sopra di loro ma era stato troppo rapido per capire di cosa si trattasse. La sua immaginazione però, complice la nebbia e le parole della ragazza, cominciò a galoppare riportandogli alla mente i racconti dell'orrore di H.P.Lovecraft.
Per togliersi di dosso quel senso di inquietudine, il ragazzo domandò alla sconosciuta "chi è quel tipo, un amico tuo?"
 
Lei fu sul punto di mandarlo a quel paese con le domande, ma Osso riprese ad abbaiare in una direzione completamente diversa da prima, per poi fermarsi a ringhiare cambiando direzione, come se riuscisse a seguire perfettamente la presenza ostile grazie all'istinto animale. La ragazza guardò l'animale prima di rispondergli. "Guarda che sono io l'umana responsabile tra noi, quindi, evita le ramanzine..." fece, beccandosi solo un occhiata dal pittbull. "Ok, ok! Sei proprio una testa dura." commento, prima di lanciare un occhiata a Mike. "Si potrebbe dire che sia l'unico amico umano... più o meno, che abbia ed è nei guai in modi che non potresti capire." commento. "è... non si controlla. Non ha preso la sua medicina che lo aiuta ed ora... beh, è a caccia di sangue, quindi, pensa a quel sangue, per favore!" aggiunse con un tono che aveva il retrogusto di una supplica, anche se la ragazza non sembrava il tipo e probabilmente si stava trattenendo per aiutare l'amico impazzito.
 
Le parole della ragazza gli fecero correre un brivido lungo la schiena, così il mutante si affrettò a seguire il consiglio datogli e raggiunse il balordo che era stato sbatacchiato per ultimo come un pallone da pallamano. L'uomo era sdraiato scompostamente a pancia in giù e perdeva sangue da una ferita alla tempia sinistra.
Mike si affrettò a tirare fuori di tasca il proprio fazzoletto di stoffa e lo premette sulla ferita. Mentre faceva ciò, il giovane mutante si guardò tutt'intorno per capire se vi fosse traccia dell'ombra e - con la mano libera - cominciò a dare pugni di media intensità al lastricato in cemento.
Ad ogni pugno, il ragazzo percepì l'energia degli impatti circolargli attorno sempre più rapidamente e lui fece in modo che gli si diffondesse addosso in maniera uniforme.
 
Non ci furono avvisaglie. L'ombra calò dall'alto come una freccia, scura se non per il volto cadaverico e gli occhi che erano illuminati di un malsano bagliore verdastro. Tuttavia la ragazza si dimostro persino più veloce di lui, colpendo il fianco della creatura al punto da farlo attraversare la parete del contener davanti a loro per la forza del colpo. "Erik! Cerca di calmarti! Hai solo bisogno di prendere la medicina!" fece e questa volta il tono di supplica c'era davvero. "Kssssyyy! Basssssta medicine! La medicina non bassssta!" fece una voce all'interno del contener, rivelando un paio di occhi scuri nell'ombra che scrutavano dall'interno.
 
"Ma che diavolo..." esclamò Standstill, riuscendo a cogliere solo parzialmente ciò che era accaduto. Il cuore cominciò a pompargli con forza sangue ed adrenalina in circolo mentre - come reazione alla minaccia - il campo cinetico che lo circondava cominciò a diventare visibile, come un velo di vento violaceo sporadicamente attraversato da scariche elettriche.
Con uno sforzo di concentrazione Mike riprese il controllo del potere e smorzò l'effetto visivo poi, alzatosi in piedi, si portò accanto alla ragazza, esattamente tra l'essere ed il ferito.
"Ok, credo di non aver mai visto nulla del genere..." affermò quasi a mo' di scusa poi, passando al pratico, aggiunse "ma in qualche modo mi ricorda un po' un tossico in crisi di astinenza. Certo, un tossico supertosto e superveloce, ma non é il primo che incontro. Se agiamo insieme dovremmo riuscire a bloccarlo senza fargli troppo male..."
 
"Kssss, tu non sssssei niente. Ssssssolo carne!" fece rivolto a Standstill. "Vattene Melina! Quessssto posssto non è sssssicuro, nemmeno per te. Ossssssssso, sssse n'è già accorto. Sssssstanno arrivando." fece la voce della creatura, confermato dal basso ringhio del cane, che non era rivolto verso la posizione di quel Erik. "E portati dietro il tuo nuovo amico! Il polissssssiotto... lui è uno dei buoni. Lo ssssssento." affermo l'essere in qualche modo protettivo, nonostante tutto. "Lo sai che io ed i poliziotti non andiamo molto d'accordo. Ti prego Erik!" fece lei, mentre altri rumori si avvicinavano.
 
 "Senti Melina, o come cavolo ti chiami..." disse allora Mike, richiamando l'attenzione della ragazza accanto a lui. Lo sguardo di fuoco dell'essere chiamato Erik, così come il suo aspetto mostruoso lo inquietava, ma era molto più preoccupato da ciò verso cui il cane abbaiava forsennatamente "Credo di poterti aiutare, ma ho bisogno di capire cosa dobbiamo affrontare e tra quanto arriveranno..."
 
"Mi raccomando, come ssssse non fossssssi presssssente..." suggerì l'essere beffardo, ma neppure attaccò. "Senti, questo non è un campo per un semplice poliziotto e non voglio gente sulla coscienza." commento lei, non essendosi minimamente accorta della perdita di controllo sui poteri che Mike aveva avuto pochi attimi prima.
 
"Fidati, non sarò un esperto in queste cose, ma ho i miei assi nella manica." ribatté con un ghigno. Che fosse a causa dell'adrenalina o delle risposte indispettite della ragazza, infatti, la paura era come anestetizzata e percepiva solo un senso di concentrazione assoluto.
"Piuttosto dobbiamo decidere come comportarci col tuo amico..." aggiunse, cercando di sfruttare il poco tempo che avevano per imbastire un abbozzo di strategia "sembrerebbe ancora abbastanza lucido. Se credi di riuscire a farlo ragionare e puoi dargli la medicina di cui parlavi posso cercare di farti guadagnare un po' di tempo . viceversa credo che dovremmo cercare di stenderlo prima che cominci la festa."

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