When Michael met Mark

di rainicornsan
(/viewuser.php?uid=506200)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heat of the moments ***
Capitolo 2: *** Di carote e cioccolato ***
Capitolo 3: *** Di cioccolate fredde, sbronze e riflessioni poco mature. ***
Capitolo 4: *** Imagine. ***
Capitolo 5: *** The road so far. ***
Capitolo 6: *** Hoi hoi, the blue line said 'you're pregnant'. ***
Capitolo 7: *** In the end little he can do alone. ***
Capitolo 8: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Heat of the moments ***


Eccomi qua con una nuova ff... E' il prequel di 'Lollipop!', un'altra mia storia.
Spero vi piaccia ❤ 

Michael si alzò particolarmente assonnato quella mattina.
La sera prima aveva fatto un turno esasperatamente lungo al bar.
Lavorava appena sotto casa sua, per comodità.
Aveva solamente ventidue anni, ma in quel momento si sentiva come se ne avesse cinquanta.
Aveva solo voglia di dormire. 
Grazie al cielo era domenica.
Ma purtroppo lui era così testone e mattiniero da non riuscire a non svegliarsi prima delle otto, persino con una sbronza colossale alle spalle.
Tutta colpa sua!
Colpa della sua pazza nuova amica che lavorava nel negozio di strani souvenir a meno di un isolato dal suo posto di lavoro, Anna Berry.
Accidenti, non poteva portare una Jack Daniel's a casa sua e sfidarlo a 'Menti o bevi'.
Era un pessimo ma divertentissimo gioco inventato proprio da lei, e lui ci cascava tutte le volte.
Anche se Anna era decisamente meno ubriaca -non esisteva una persona meno resistente all'alcol di Michael al mondo!-, lui si era assicurato che avesse preso un taxi.
Andò in bagno e si spruzzò delicatamente dell'acqua fredda sulle guance, rabbrividendo a quella gelida carezza.
Tutto gli tornò dolorosamente alla memoria, come se qualcuno dai piani alti avesse deciso improvvisamente di scaricargli un macigno sulla testa.
Aveva sicuramente avuto le guance rosa, i ricci tutti spettinati e la risata facile, ci scommetteva.
Succedeva sempre così anche quando beveva solo un piccolo, minuscolo, innocentissimo bicchierino.
Comunque, Michael odiava stare in casa da solo, così si constrinse a 'muovere il culo', come lo rimproverava allegramente Anna, e ad uscire.
Passeggiò a lungo, stringendosi in un leggero cappotto contro la brezzolina già gelidamente sferzante di settembre e beandosi della vista delle foglie secche a terra, del loro scricchiolio familiare al suo passaggio.
Gli piaceva l'autunno. Era qualcosa di vecchio e saggio.
Una sorta di confortevole pausa dopo il movimento bollente dell'estate e una piccola tiepida anticipazione del gelido inverno.
L'autunno era come una coppia innamorata di anziani, che dopo anni di vita insieme è unita come il primo. Come i suoi nonni.
Pensando, non si era accorto di essere arrivato davanti ad un locale minuscolo.
Era una cosa meravigliosa, constatò affacciandosi.
Una piccola ringhiera con una scia di caprifogli avvinghiati intorno alle sbarre metalliche portavano ad una sorta di semiterrato.
La porta era aperta.
Michael scese i tre scalini, entrando dopo un attimo di esitazione.
Sospirò. Si era aspettato un rifugio di satanisti o cose simili, invece ecco delle pareti color crema, dei piccoli tavoli rotondi color biscotto, chiari e lucidi, ed un bancone di un rassicurante e rustico legno ruvido. 
Ogni cosa sembrava gridare 'marrone', ma in fondo l'effetto non era per nulla spiacevole.
Si sentì a casa, e di getto ordinò dall'uomo al bancone una cioccolata calda.
Il barista, un uomo sulla quarantina dall'aria bonaria, alzò un sopracciglio cespuglioso, sorpreso, ma obbedì.
Michael andò a cercare un posto per sedersi.
Ne trovò uno sotto una delle lampade che emanavano una soffusa luce, ad un angolo.
Si sedette e si guardò intorno, aspettando. 
E subito notò un ragazzo che sfrecciava con le dita sui tasti di un pc, interrompendosi a tratti per bere un sorso dalla tazza che reggeva con una mano.
Era appollaiato sulla sedia di due tavoli alla sua destra.
Michael quasi spalancò la bocca.
Era semplicemente meraviglioso. Sembrava venire da un altro pianeta.
Aveva i capelli lisci e corti, di un morbido color ramato e vagamente arruffati.
La pelle era lattea, tipica degli uomini con quel colore di capelli, e gli occhi erano dolci.
Michael non avrebbe potuto descriverli in un altro modo. 
Color nocciola e grandi. Leggermente più ambrati intorno alla pupilla.
Lo squadrò da più lontano, scoprendo che non era altissimo, ma neanche basso.
Abbastanza magro, con una lievissima traccia di addominali che sbucava da sotto il maglione aderente.
Arrossì appena quando si accorse di averlo praticamente scannerizzato, e di non aver minimamente degnato di attenzione una graziosa cameriera con il suo ordine, proprio davanti a lui.
La prese, ringraziando la donnina tenendo gli occhi bassi, e ne bevve un sorso lentamente, fissando un punto impreciso di un armadio sulla parete opposta che sembrava quello di Narnia.
Dio, quel bar era così dolcemente diverso da quello praticamente fatto tutto di plastica, freddo e unto che era quello dove lavorava.
Sperava che pensando non avrebbe più fissato quel ragazzo, ma lo sguardo non ne voleva sapere di rimanere puntato altrove; continuava a cadergli l'occhio su di lui.
Dopo un minuto di tormento interiore tornò a concentrarsi sul suo viso, ormai decidendo di fregarsene e dando libero sfogo alla sua curiosità o interesse che fosse.
Lasciò stare la cioccolata, appoggiandola sul tavolo.
Aveva delle labbra sottili, abbastanza rosee e lisce.
Le proprie, invece, erano perennemente screpolate.
Immaginò di percorrere con le dita la linea del loro contorno. E nient'altro, davvero.
Michael sapeva che quello era una dei suoi soliti temporary-falling-in-love-with-strangers.
Michael era bisessuale, certo. 
Anna l'aveva incontrata proprio dopo essersene temporaneamente 'innamorato'. 
Non gliel'aveva mai raccontato, certo, anche se lei sapeva di questa sua particolare qualità da colpo di fulmine facile.
La immaginava già ridere in quel suo modo speciale, con le mani sulla bocca oscenamente aperta e la testa all'indietro, i lunghi capelli rossi arruffati, come da manuale.
Michael aveva un debole per i rossi. Di tutti i tipi.
Per quel ragazzo, se avesse avuto una possibilità, sarebbe passato da 'etero insicuro/bisessuale' a 'gay' bruciando tutte le tappe.
Distolse seccamente lo sguardo quando si accorse che l'altro cominciava ad agitarsi sulla sedia, inquieto.
Doveva essere una di quelle persone che si sentono osservate quando, effettivamente, lo sono.
Lo vide spegnere il computer, riporlo in una custodia e poi dentro ad uno zaino Eastpack di uno ormai slavato color arancione, e avvicinarsi al bancone.
Porse una banconota al barista che gli aveva appena allungato lo scontrino.
L'uomo lo salutò: "Ciao, Mark! Alla prossima settimana!".
Mark. Dunque era questo il suo nome. Michael decise che non gli piaceva. Era strano, troppo americano, inglese, tedesco, subsahariano o quello che era.
Faceva uno strano effetto su di lui. Si sarebbe immaginato un nome più dolce come Jamie, Gabriel o qualunque altro più infantile.
Mark. Sembrava un pugno in un occhio.
Dopo che quel fulmine di frasi gli ebbe attraversato il cervello, la mente ora contorta e accaldata di Michael capì solo una cosa.
Prossima settimana. Lui veniva in quel posto ogni domenica?
"Certo. Ciao Bobby." salutò gentilmente ma conciso il ragazzo prima di uscire, con la tipica espressione di chi va di fretta.
Aveva una voce molto bassa, ma non propriamente virile.
Più sul dolce. Più sul prototipo sexy-puppy, se esisteva, riflettè la sua testa facendogli una linguaccia.
"Cazzo," pensò ancora, "questa voce dovrebbe essere vietata ai minori di cinquant'anni.". E lui l'avrebbe ascoltata mille volte.
Scosse la testa velocemente, cercando disperatamente di smetterla.
Doveva smetterla di fare cosa?
Ah, sì, forse devi smetterla di fare la bavosa quindicenne in preda agli ormoni, lo sbeffeggiò ancora la sua piccola, rompiscatole coscienza.
Però, pochi minuti dopo, prima di uscire, Michael non si impedì assolutamente di sbirciare il nome del bar e appuntarlo nella sua memoria.
'Heat of the moments'. Che nome poetico e sdolcinato.
Magari la domenica dopo ci avrebbe fatto un salto. Giusto perchè facevano una cioccolata calda favolosa.
Solo per quello.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di carote e cioccolato ***


Ciao ❤
Eccomi qui con un altro capitolo... Buona lettura ❤


Mark uscì dal suo bar preferito, particolarmente inquieto.
Quello strano, altissimo, magrissimo e ricciolosissimo ragazzo non aveva smesso un attimo di fissarlo.
Lui odiava quando gli sconosciuti si concentravano su di lui in quel modo.
Così era uscito un'ora prima del normale.
Aveva salvato il suo libro e se ne era andato.
Persino Bobby era rimasto stupito dal suo comportamento, ma lui non se ne era curato più di tanto.

Michael uscì dal locale un paio di minuti dopo, sotto lo sguardo attento del barista che evidentemente stava decidendo
se considerarlo uno stalker maniaco che voleva uccidere il suo cliente preferito oppure no.
Risalì quei fatidici tre gradini.
Il suo istinto romantico gli suggeriva un pedinamento in pieno stile 007, ma quello meno animale lo fece rimanere buono al suo posto.
Se ne tornò a casa, insoddisfatto e un po' deluso.
Tirò fuori il telefono, scrisse ad Anna se veniva a fargli un pò di compagnia, e preparò delle carote e una fonduta al cioccolato.
Anna era strana, ok. Ma doveva ammettere che le carote e il cioccolato stavano bene insieme.
Una ventina di minuti dopo, il campanello suonò.
Lui aprì la porta, e gli occhi grigi e allegri di Anna fecero capolino insieme al resto della sua proprietaria.
Lei lo travolse in un abbraccio stritola-polmoni e lo mollò di scatto, subito dopo.
"Mikie... Guarda cosa ti ho portato!" ghignò, mostrandogli la custodia del cd de 'La Fabbrica di Cioccolato'
Michael rimase a fissare il film, in silenzio.
Dopo un minuto in cui Anna si chiese se avesse fatto o detto qualcosa di sbagliato, fece un salto e supplicò, con lo sguardo da cucciolo bastonato:
"Lo guardiamo?? Ti prego ti prego ti prego??".
Lei rise sguaiatamente per poi scompigliargli i ricci: "Solo se mi hai preparato... Oh, bravo!".
I suoi occhi si erano illuminati alla vista delle carote e del cioccolato.
Michael corse ad accendere la televisione ed il lettore, tutto contento.

Mancavano giusto dieci minuti alla fine del film e Johnny Depp stava dando il suo meglio, quando un terribile dubbio assalì Michael.
Guardò di profilo Anna e pensò a quel ragazzo. Capelli rossi e lisci.
Occhi molto grandi e pelle bianchissima. Tutti e due in quella città.
Cominciava a venirgli un sospetto.
Quando il film fu bell'è finito, chiese: 
"Anna... Quante persone della tua famiglia, maschi, con circa la mia età e con i capelli rossi vivono in questa città e dintorni?".
"Cos'è, un interrogatorio?" rise lei.
"No." disse serio lui.
"Beh, c'è solo mio fratello George.".
"Nessuno che si chiami... Mark?".
Anna lo guardò stranita, quasi sospettosa e inclinando la testa, ma infine rispose di no.
Michael tirò un sospiro di sollievo.
"Ora mi dici perchè me lo chiedi, però!" tornò a sorridere lei.
"Niente, è solo che in un bar ho visto un ragazzo simile a te, e allora...".
Non fece in tempo a finire la frase, che Anna saltò letteralmente sul divano e iniziò a strillare acutamente, mentre rideva:
"MIKIE SI E' INNAMORATO! MICHAEL HOLBROOK PENNIMAN JR SI E' INNAMORATO! MIKIE-POOH AMA MARK-QUALCOSA!".
"Non è vero!" piagnucolò Michael tentando di difendersi, "E poi non sono neanche omosessuale!".
"Mmmmmh... Ho dei forti dubbi..." lo canzonò lei.
"Ma comunque" riprese, "Meglio che non sia mio parente. Almeno non ti dovrò sopportare a tutti i cenoni di Natale!".
"Stupida!" borbottò lui.
Ma un attimo dopo stava già ridendo, e l'argomento fu appallottolato.

Michael osservò l'orologio. Le undici e tre quarti.
Anna osservò lungamente la sua aria stanca e lo prese in giro: "Mikie! Non vorrai dormire di già!
La notte è appena iniziata! Andiamo da qualche parte!".
Vedendo il suo stato comatoso ancora, e capendo che non intendeva rispondere, ridacchiò ancora:
"Mikie... Dai, fammi giocare alle bambole per un'altra volta! Ti scelgo io i vestiti e torniamo prima dell'una. Promesso??".
Alla sua domanda, Michael alzò semplicemente gli occhi al cielo e rispose: 
"Sei una bambina. Ok. Ma prima dell'una, o non vivrai abbastanza per raccontarlo.".
Anna sorrise sorniona, correndo verso la camera del ragazzo.

"STAI SCHERZANDO?" l'esclamazione di Michael fece voltare alcuni passanti.
"No, Mikie. Vedrai, è un posto molto carino, ci sono molti drink, dentro è grande e il barista è la persona più cordiale del mondo."
cinguettò Anna, guidandolo verso l'entrata di Heat of the moments.
Michael sbuffò leggermente, pregando tutti i santi in Paradiso.
Ma evidentemente nessuno lo stava ascoltando.
Il salone era gremito di gente. Ma ovviamente, al bancone, dove Anna lo stava letteralmente trascinando per un polso, ci doveva essere per forza lui.
E. E. E una. E una ragazza. Michael faticò ad articolare la parola 'ragazza' nella sua testa.
Non era triste, solo leggermente scocciato.
Ok, era tanto scocciato. Beh, cosa poteva dire.
Fortunella, pensò squadrando da capo a piedi la sua bassa statura e la rotondità del volto magro e sensuale.
Non sapeva se gli desse più fastidio il fatto che fosse una troietta bionda, la furia distruttiva dei propri pensieri su quella oppure il fatto che fosse seduta in braccio a Mark.
Proprio non riusciva a decidere.
Da aggiungere alla lista che Anna gli avesse appena porto un flute colmo di un sospettoso liquido rosato che aveva l'aria di essere
una vera e propria bomba alcolica oppure che lei stesse allegramente sorseggiando il suo e chiacchierando con la puttanella e il suo Splendore.
Osservò com'era vestito. Jeans e una normalissima t-shirt.
Sperò di non risultare ridicolo con quella giacca lucida e con quegli eccentrici pantaloni bianchi oppure antipatico perchè era rimasto in silenzio.

"Vedi, è l'una in punto!" disse allegramente -più del solito, se possibile- buttando dentro casa Michael.
"E io sono sbronzo marcio. E tu di più. E ti sei fatta dare il numero di due che non conosciamo neanche.".
Michael aggiunse cupo l'ultima frase.
"Ma cos'hai in questi giorni? Peggio di mia zia zitella mestruata! 
Un giorno ti porterò a far controllare il tuo apparato riproduttore per controllare che tu non sia una femmina!".
"Sei da rinchiudere." rise sconfitto Michael, passandosi il palmo di una mano sulla faccia.
"Ah, giusto... Muoio dalla voglia di chiedertelo da prima... E' lui la donzella di cui sei innamorato?".
"Lui. Quella puttana no di sicuro." borbottò burbero lui, un po' perchè era ubriaco ed un po' perchè non vedeva l'ora di dirglielo.
"Cavolo. Non senti le vibrazioni pagane e maligne1 che provengono da lei?" ironizzò Anna.
Vedendo il suo tetro silenzio, rise ancora e gli baciò la guancia, dicendogli: "Va' tranquillo nella notte, giovane stallone...2".
Michael alzò gli occhi al cielo, chiedendosi cosa avesse fatto di male, e rispose: 
"Prima ti cerco un taxi.".

1= Supernatural, Dean Winchester a Sam Winchester, 3x08
2= Supernatural, Ghostfacers, 3x13

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Di cioccolate fredde, sbronze e riflessioni poco mature. ***


Salve, popolo!
Oggi ho intenzione di avere un delirio di onnipotenza... 
Quindi preparatevi a questo nuovo entusiasmante capitolo!
... Scherzavo :)
Spero comunque che vi piaccia ❤


Michael si svegliò.
Prima di tutto, un'emicrania apocalittica lo assaltò.
Si tastò il corpo, e non si stupì di trovare la schiena indolenzita, e, dalla vista riflessa sullo specchio, vagamente arrossata.
Si era probabilmente lasciato cadere sul letto.
Doveva essere andata così.
Aveva ancora addosso i vestiti, ed erano stropicciati.
Si tolse tutto, rimanendo solo in boxer.
Andò in bagno con l'intenzione di farsi una doccia.
Sotto il benefico flusso dell'acqua, si ritrovò ad annegare nei suoi pensieri.
Di colpo, come un pesante macigno, tutta la memoria della sera passata gli lampeggiò dolorosamente al cervello.
Anna che faceva la sciocca, la puttanella -Allison. Allison. Il suo nome è Allison.- bionda, lui rinchiuso nel proprio mutismo
che si faceva versare un bicchiere di Jack Daniel's dopo l'altro.
E Mark, che era semplicemente bellissimo.
La luce soffusa del locale gli pioveva sui capelli, che così sembravano dorati, e sugli occhi.
Quegli occhi.
Non poteva classificare quel colore.
L'aveva già visto, ma non sarebbe riuscito a stancarsene mai.
Nocciola dorato, grigio in alcuni punti, marrone in altri, giallo con quella luce.
Ma che razza di occhi aveva?
Fantastici.
Di flirtarci non ci pensava neanche, non era così masochista.
Non con Anna e le sue battutine con l'aggiunta di una troietta slavata a fianco e la propria incapacità a risultare sexy.
Sospirò sotto la doccia.
Perfetto, la sua testolina si fece nuovamente sentire, ti stai riducendo allo stadio larvale di una checca isterica! Piantala!
Lui rimase un po' offeso per l'insulto infertosi da solo.
Un broncio seccato gli comparve sul volto, ma comunque si impose di smettere di pensare a quel ragazzo.

Servì l'ennesima bibita all'ennesimo ragazzino brufoloso.
Coca cola. Media. Ghiacciata. E patatine fritte.
Un giorno o l'altro sarebbe impazzito.
Ad ogni modo, il suo turno finiva fra un quarto d'ora. Meno male.
Fra tutti i fumi tossici della frittura, il gelo del freezer per cubetti di ghiaccio e i pacchetti di patatine ricoperte di cioccolato, gli sembrava di svenire ad ogni passo.
Suzanne, una sua collega, gli consegnò l'ennesimo ordine.
Lui camminò pesantemente fino al bancone e la appoggiò, borbottando annoiato:
"Quindici dollari.".
La cliente, un'avvenente ragazza con la pelle di un colore ambrato, e misure più che abbondanti,  dentatura luccicante, bianca e perfetta, gli diede quanto richiesto, facendogli l'occhiolino.
Uscì dal locale, lanciandosi brevi occhiate indietro.
Michael non ci capì niente fino a che non guardò quello che aveva fra le mani.
Una banconota da venti... E gli aveva lasciato il resto sul bancone.
Scosse il capo. Non era la prima volta che gli capitava.
Tutta la clientela femminile -e non solo femminile- ci provava con lui.
Con somma e feroce soddisfazione, lasciò i soldi superflui al loro posto.
Non li toccò, neanche durante i successivi ordini.
La ragazza là fuori, che ancora aspettava, diventò rossa, e se ne andò via, con un moto di stizza per compagnia.
"Mi sa che è gay!". Michael poteva quasi sentirla parlare civettuosamente con le sue amiche dell'accaduto.
Si sorprese di scoprire che non gliene importava assolutamente nulla.
Era di fatto anche gay... Quindi perchè offendersi?
Era come offendersi se ti dicevano quello che eri.

"Mikie-Mikie-Mikie!" squittì qualcuno.
"Anna?" chiese Michael girandosi.
"Eccomi qua!" ansimò lei con il fiatone, aggrappandosi con una mano alla sua spalla.
"Ma perchè hai corso? 
E soprattutto, perchè sei qua?" chiese preoccupato, facendole segno di riprendere il respiro.
Dopo un minuto in cui sembrò e entrambi di essere stati catapultati in una lezione di yoga, lei disse, tutta contenta:
"Sono qui perchè sono una persona gentile e sono tua amica...
Avevo voglia di vederti e così ti vengo a fare da scuolabus dal lavoro...
A proposito, smaltito la sbornia?".
Lui rispose: "Beh, sì, in un certo senso.
Andiamo da qualche parte, ora?".
"Passeggiata?" ammiccò Anna, circondandogli il braccio con il suo con fare civettuolo.
Lui annuì, mentre lei ridacchiava: "Finalmente sei tornato il solito...
Non ne potevo più di stare di fianco ad un musone simile...".
Michael sorrise, scompigliandole i capelli.
Dopo un po' di silenziosa camminata, Anna ruppe la quiete:
"Un penny per i tuoi pensieri?".
"Non sto pensando a niente.
Mi sta venendo un'emicrania, però.
Sediamoci un secondo." supplicò, indicando una panchina.
Rimasero per un po' fermi, seduti, solo osservando le foglie rosse e gli alberi semispogli del parco.
"Che nonnetta che sei, Michael. Se ci fosse tua mamma ti prenderebbe a calci nel sedere!" tuonò Anna, stufa.
"Stronza." sbottò divertito, con la testa fra le mani per il dolore, lui.
"Nonnetta." ribattè adorabilmente l'interpellata di rimando.

Era domenica, e, come promessosi, Michael era a quel maledetto tavolo in quel maledetto bar a sorseggiare lentissimamente la sua cioccolata.
Cristo, non aveva mai fatto una cosa così patetica.
Ogni tanto lanciava delle occhiate distratte -e puramente casuali- a Mark, seduto qualche tavolo più in là, che, come la settimana precedente, scriveva con il suo laptop.
Aveva delle belle mani.
Osservò le dita affusolate e chiare ticchettare velocemente sulla tastiera, le unghie ben curate e la loro perlacea lucentezza.
Accarezzò con lo sguardo la rughetta d'espressione fra le sue sopracciglia rosso scuro.
Forse una parola, una frase che non andava.
Un sorriso caldo per una particolare illuminazione imprevista.
Gli occhi lucidi per un passaggio commovente.
Mark era uno scrittore.
Lo aveva appreso seguendo distrattamente la conversazione che solo Anna e la puttanella -ALLISON!- stavano tenendo.
Lui aveva passato il tempo guardandosi intorno.
Il suo bicchiere. Il bar. Mark. La chioma bionda della tro... Allison. La risata semplicemente vistosa di Anna. Mark.
Il barista. Mark. Mark. Gli occhi di Mark. Mark. E Mark all'infinito.
Man mano che il suo cervello si annebbiava, la sua visione binoculare si era spaventosamente ristretta su quel corpo, che, come lui, era annoiato e guardava altrove.
Cristo santo, poteva quasi sentire quella voce con una tonalità vagamente più roca.
Loro due, soli nel locale, a parlare scodellando una semplice birra in un bicchiere, seduti al bancone.
Poi, senza alcun motivo dettato prevalentemente dall'assurdità dei sogni ad occhi aperti, quelle labbra che gli dicevano cose oscene e, -o mio Dio!- lo baciavano. 
Quelle mani che lo accarezzavano fluidamente, iniziando a spogliarlo.
Si riscosse dalle fantasie e dai ricordi, quasi immergendo il volto nella tazza.
La cioccolata era orribilmente fredda, ma non fu solo quello a spedirgli una scossa elettrica per la schiena.
Lo aveva fissato. Per un attimo, quasi con curiosità mista a diffidenza.
Se solo fosse stato più amichevole la sera prima.
Magari ora sarebbero seduti insieme al tavolo, e Mark non lo tratterebbe come un fottuto stalker.
Con un sorso secco finì la cioccolata e si alzò, sentendosi orribilmente patetico e imponendosi di smetterla.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Imagine. ***


Hola mishamigos!
Scusate il ritardo, ma perivo di ispirazione, ero un po' offesa perchè non avete recensito la scorsa volta e mi sono chiusa nella
depressione e prof, i compiti li ha mangiati il cane ;)
Scusatemi :(
Ma vorrei anche davvero sapere se la storia aveva qualcosa che non andava, nello scorso capitolo.
Lo apprezzerei davvero.
Ne approfitto per ringraziare chi ha preso in qualche modo in considerazione questa storia.
Grazie, grazie e ancora grazie ❤
Ho cercato di preparare al meglio questo capitolo.
Spero vi piaccia ❤


Anna entrò tranquillamente dalla porta senza neanche salutarlo.
Ticchettava allegramente sul suo futuristico cellulare senza degnarlo di un'occhiata.
Si accomodò bella tranquilla sul divano, accavallò le gambe e continuò come nulla fosse.
"Comoda, eh!" ironizzò Michael.
"Quanta collera, giovane Skywalker1..." borbottò distrattamente Anna.
Lui sbuffò: "E tu guardi troppa tv, giovane dipendente.".
Lei mollò di scatto il cellulare e si sedette.
"Beh, ho appena sentito la mia amica Allison e... Che c'è?".
Inarcò un sopracciglio rosso.
"Niente.".
Lei lo osservò più intensamente, scettica.
"No... Cioè... Sentiti, la mia amica Allison...
Le figurine ve le siete scambiate prima o dopo la ricreazione?".
Anna ridacchiò: "Ma che simpatico! Non ho voglia di importi una lezione di vita sugli amici.
Va beh, stavo dicendo? Ah, sì.
Lei e Mark ci hanno invitato fuori.
Non sappiamo dove, così mi sono presa l'incarico di avvertire tutti quando mi veniva qualcosa in mente.".
"Per tutte le stelle2, aiuto. Ti prego, Anna, anche solo per questa volta.
Ti supplico, mi inginocchio.
Scegli un posto normale, un posto non romantico, non troppo lussuoso nè troppo alla mano
nè uno dove girino TUE conoscenze." supplicò Michael.
"Beh, sentiamo, cosa hanno di male le 'MIE' conoscenze?".
Incrociò le braccia con aria di sfida.
"Lo sai." la ammonì lui, "O sembrano dei mafiosi, oppure sono totalmente squilibrati!".
"Uffa." borbottò sconfitta.

E così, alle otto in punto, Michael e la sua dama erano fermi davanti all'ennesimo pub.
"Ti odio, lo sai?" sussurrò qualche minuto dopo all'orecchio di Anna.
"Perché?" rispose lei facendo il broncio.
"Ti odio perchè ti amo!" ridacchiò Michael.
Lei gli prese la testa e gli schioccò un bacio sulla guancia, molto vicino all'angolo delle labbra.
Michael sbarrò gli occhi, impietrito.
Anna si era già girata, muovendo il braccio: "Siamo qui!" gridò.
"Ma che fai?".
"Sono arrivati!".
Michael sospirò, ancora e ancora, svuotando tutta l'aria nei suoi polmoni.
OK, questa era la cosa più imbarazzante che gli fosse mai successa.
Sicuramente seconda in classifica dopo la Top Two di serate in compagnia di Mark.
Si conosceva, sapeva bene che avrebbe fatto poco altro che sbavargli dietro.
Litri e litri di saliva.
Girò il volto da un'altra parte, quando arrivarono.
Non voleva guardarli.
Quando si decise a mostrarsi, fingendo di essere sorpreso -e lasciandosi a malavoglia baciare sulle guance da Allison-, cercò di reprimere
lo scartoccio del suo stomaco.
Lui sembrava una fottutissima statua greca.
Perfetto.
Anna e lui li lasciarono passare avanti.
Trattenendole il polso fino a rimanere ad una distanza a non portata d'orecchi, le sussurrò:
"Secondo te dovrei ubriacarmi?".
"Non saprei, sweetie. Se ti ubriachi ci penserai di meno, ma farai stronzate e cedrai ai tuoi impulsi.
Ma se non lo fai, patirai tutta la sera.
Siamo in un mondo libero, scegli tu.".
"Mi appello alla regola del fifty fifty3." dichiarò solennemente Michael, sorridendo.
Nella sua testa, non stava esattamente sorridendo.
Anna gli diede un tenero buffetto sulla guancia, per poi saltellare via fino alla coppia davanti a loro.

Michael sbuffò.
Non aveva resistito più di cinque minuti lì dentro.
Normalmente adorava essere al centro dell'attenzione, ballando e cantando (in mutande, a volte4) in mezzo alla folla.
Ma non avrebbe mai osato fare le sue tipiche stronzate davanti a Mark.
Vide Anna fare una smorfia attraverso la finestra, come a dirgli: 'Dai, non fare l'asociale, vieni dentro!'.
Lui sbuffò.
Al diavolo il fifty fifty. Doveva perdere quasi conoscenza, e 'fanculo al resto.

Due whisky e coca cola dopo, si sentiva decisamente la testa girare, e allo stesso tempo volare come un palloncino.
Stavano dando Just give me a reason di Pink.
Era piacevole il modo in cui le note gli fluivano addosso, con leggerezza.
Iniziò a canticchiare e mugolare la canzoncina, tamburellando le dita con un ritmo studiato.
Per qualche strano motivo, sentiva di dover tirare fuori il telefono e fare l'imitazione di uno che litiga.
Eseguì il gesto, iniziando a parlare da solo, con il cellulare appoggiato all'orecchio.
Dopo una manciata di secondi, si avvicinò Anna.
"A chi telefoni?".
A tua moglie, per dirle che non passo da lei stanotte.".4
"Vedo che sei proprio sobrio! Non avevi detto che ti saresti ficcato la cintura di castità in gola?".
"E' esattamente quello che ho fatto, bambina mia." disse in tono carezzevole lui, abbandonando il telefono sul bancone
e inarcando la schiena all'indietro per osservare il soffitto e le luci psichedeliche del lampadario.
"Guardami e giurami che non sei ubriaco!" ridacchiò lei.
Lui la fissò, spalancando a dismisura gli occhioni da cerbiatto come un gufo drogato5.
Anna gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
"Ti porto a casa ora e mi faccio anche dare una mano.
Sai com'è, prima che diventi peggio. Non vorrei spaccarmi le ossa sotto la tua fanciullescamente gracile corporatura.".
"Non voglio te. Voglio lui." piagnucolò Michael.
"Ma ti vuoi far sentire?" sibilò lei a denti stretti, indicandogli con un cenno del capo la coppia che ballava abbracciata
alla distanza di un paio di metri da loro.
"Esattamente." ghignò lui, sfidandola.
"No, no e no, Mikie! Non. Fare. Cazzate. 
Ora la tua mente è posseduta dal tuo gemello cattivo, e tu non vorresti che succedesse. Non così!".
"E sarei io ad aver bevuto?" la canzonò malignamente lui, alzandosi dal sedile.
"Come non vorresti ritrovarti domattina nel letto di qualcuno e scoprire di averci scopato tutta la notte, ubriaco e preso dalla rabbia.
Dude, niente storie.
Ora ti porto a casa, ti faccio un caffè, due pastiglie e a nanna." sorrise, afferrandolo per un braccio.
Passarono da Mark e Allison per avvisarli che andavano.
Michael riuscì a ritrovarlo dannatamente imbarazzante, pur avendo una solida patina di alcol a rinchiudere le sue emozioni nel vaso di Pandora.
Quando Allison gli posò un bacio leggero su una guancia, lui le si aggrappò, stringendola in un abbraccio.
Un abbraccio solido e che lo soddisfò poco.
Immaginò di sentire sotto le sue mani più muscoli e meno morbidezza.
Quando Anna lo strattonò via, scusandosi a nome suo, le passò una mano fra i capelli in un ultimo gesto, prima di staccarsi definitivamente.
Immaginò quei capelli diventare meno vaporosi e biondi. Più, decisamente molto più rossi.
Quegli occhi grigio chiaro diventare color nocciola, più grandi, più dolci, le ciglia rossiccie a contornarli dolcemente sciacquando via ogni traccia di mascarosa seducenza.
Quando Mark lo salutò con un sorriso, anche se gli occhi un po' dubbiosi e vagamente aggrottati, forse da paura, le unghie di Anna, che lo sorreggeva, si piantarono nella pelle del suo braccio, intimandogli di Non. Fare. Cazzate.
Lui obbedì.
Si preparò ad accenderle un cero e recitare una preghiera in suo onore, una volta tornati a casa.

1= frase di Lucifero a Sam in Supernatural, 5xqualcosa. Non ricordo la puntata, sorry :(
2=tipica esclamazione di Clara Oswald di Doctor Who. Adorabile.
3= per chi non abbia capito, è il nostro 'cinquanta e cinquanta'. Un po' e un po', insomma.
4=frase EPICA di Dean Winchester, Supernatural, 6x07.
5=chiedo immensamente scusa a vampiredrug per averle soffiato il paragone da uno delle sue storie, Cast Supernatural, 'Il duro prezzo dell'arte' di vampiredrug (Cap 1) su EFP Fanfiction   . Ma era troppo esilarante *muore*: Vi invito a leggerla, soprattutto ai fan di Supernatural e del suo favoloso cast.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** The road so far. ***


PICCOLO ANGOLO SPAM: ho scritto una ff di Hunger Games per un contest.
Hunger Games, 'Ricordi' di _mikie_ su EFP Fanfiction
Salve a chi mi legge :D
Ecco un capitolo qua, sfornato direttamente dall'archivio di Mika presente nella mia testolina ❤
Ho due novità. La prima è una cosa stupida, frutto di preoccupanti elucubrazioni mentali molto recenti.
Vi presento un nuovo amico, l'unicorno strafatto che popola i miei sogni: <:D
Non ha un nome ed è la MIA personalissima immagine di creatura alata e obesa.
La seconda è che l'impostazione della pagina cambierà un po'.
Cercherò di essere più ordinata, mettendo più spazi.
Ah, e... 
Mi sono accorta che vi sto descrivendo un Mika un po' cupo, per niente associabile al video di We Are Golden o a quello di Grace Kelly.
Beh, mi dispiace un po', ma, come sottolineato da lui stesso in una parte del testo, ultimamente Mikie è un po' naïf. 
E lo sarà ancora per un po', fino a quando...
Oh, basta! Niente spoiler C:
Ah, e poi...
Lo so, i miei capitoli sono corti da fare schifo :D
Mi dispiace ma neanche questo sarà particolarmente lungo nè particolarmente bello... Perisco un po' di ispirazione :O
Ma il prossimo capitolo ci sarà un salto nella trama.
Salutate <:D e un bell' ENJOY! anche per questo capitolo!


Erano due mesi che Michael non vedeva Mark.
Ogni volta che qualcuno organizzava qualcosa, lui si tirava indietro, ricordandosi dello spettacolo poco dignitoso che aveva dato di sè da ubriaco.

Ma non voleva fare nient'altro.
Si sentiva morire ogni volta che ricordava quella sera.
Un'ondata di vergogna gli investiva il volto, facendolo arrossire e donandogli il disperato bisogno di aggrapparsi all'oggetto più vicino e seppellirci la testa fino a dimenticare. Oppure sbattercela, nel caso di un mobile.

Era incredibile, totalmente incredibile che si vergognasse di sciocchezze simili quando aveva fatto figure molto peggiori in vita sua.

E di certo Anna non era d'aiuto, imbestialendosi e sostenendo che fossero paranoie assurde.
Oppure dicendogli cose tipo: "Sai cosa ti ci vuole? Un po' di LSD. E dello shiatsu.",
a cui lui aveva risposto con un seccatissimo "'Fanculo."1, che era stato intercettato da un cuscino sulla sua faccia.

Così, intendeva sparire per un po' di tempo.

Il suo subconscio sperava anche di guarire
'Lontano dagli occhi, lontano dal cuore' diceva il detto.

Lui non ci credeva davvero, ma sperava che funzionasse.
Non tanto per l'inclinazione sessuale, figurarsi!

Ci era voluto un po', ma ci era venuto a patti già da tempo.
Michael non amava le classificazioni.

Il problema era il suo essere masochista o il suo non esserlo.
Innamorarsi di un uomo, etero e fidanzato, per giunta, non era una cosa propriamente sana.

Voleva riabilitarsi da una possibile nuova droga prima che vi fosse già assuefatto e non potesse farne a meno.

Poi ci furono le vacanze di Natale.

Le solite compere con Anna nei soliti affollatissimi centri commerciali pieni di abeti sintetici, palline rosse e le note di 'Santa Claus is coming to town' nell'aria.

Un bacio alla sua amica, e, infine, il 20 dicembre il volo fino a Beirut, in Libano, per trascorrere le vacanze dai suoi.

Sua madre gli aveva chiesto di portare qualcuno, se c'era- amici, una ragazza...
Chiunque. La famiglia Penniman adorava il lieto casino della famiglia.

Anche a Michael piaceva, ma lui non era come la madre Jonni, o la sorellina Zuleika.
Lui era più riservato.
Le persone potevano dire che i Penniman fossero fatti con lo stampino, e avevano quasi ragione. Quasi.
Una famiglia enorme, tutti estremamente cordiali, allegri e felici.
Amanti della vita, del cibo, del contatto fisico e rumorosi.

Forse le uniche 'pecore nere' erano lui, un po' più timido e il padre che portava il suo stesso nome, più rigido e abbastanza serio.
I suoi mutismi erano esilaranti se messi a confronto con i discordi esaltati di Jonni e Fortuné.

Michael amava le sue sorelle, suo fratello e i suoi genitori.

Un giorno sperava di costruire una famiglia lui stesso.
Si immaginò di fianco ad una bella ragazza, circa la fotocopia di Allison Lipton, circondati da una miriade di bambini.
Un moto di disgusto lo colse.
Non riusciva a vedere il suo futuro con nessuno di chi conosceva, neanche con Mark.
Era ovvio, con lui -o, per quanto strano e perverso fosse pensarlo, con Anna- sembrava un po' meglio, ma non era al livello di conoscenza tale da pensare una cosa del genere.

Pensando a lui, avvertiva solo frustrazione e rabbia repressa.

Si stava comportando come un perfetto coglione.
Che era, una bimba alla prima cotta?
Dove era finita tutta la sua tenacia e la testardaggine che l'aveva sempre caratterizzato, come nella musica?
Tutt'ora continuava a comporre, continuava a inviare dischi alle case produttrici ottendendo rifiuti su rifiuti.
Ed era molto umiliante.

Allora cosa ci voleva a provare?

In fondo non era ancora innamorato, quindi non sarebbe costato nulla farlo.

E sapeva che non era propriamente sano all'eta di ventidue anni stare a sbavare su conoscenti per mesi.
Ogni tanto lo incrociava per la città.

Fingeva di non notarlo, lo salutava con un cenno se si accorgeva della propria presenza, oppure si nascondeva.
Ma la parte un po' più razionale sapeva che non poteva farlo.

Sapeva già come sarebbe finita, dando ascolto alla parte 'e che cavolo, YOLO!'.

Si sarebbe terribilmente, irrimediabilmente innamorato di lui.

Ne sarebbe uscito con il cuore frantumato.

Lui stesso era disgustato dai propri pensieri, chiedendosi com'era diventato una persona così naïf.
Mah.

Si alzò dal tavolo con la plasticosa tovaglia a quadretti rossa e bianca della cucina, uscendo dalla stanza.

Uscendo quasi si scontrò con Paloma e Yasmine, che reggevano una gigantesca confezione di farina e due di uova.

Jonni le ringraziò con un sorriso, prendendo il materiale.

Si diresse in camera sua, trovandola occupata da Fortunè, girato di spalle.
Il fratello si voltò, con un enorme sorriso canzonatorio sul volto e un CD in mano.
"E questo?" ghignò.

Sul CD troneggiava la scritta a pennarello indelebile 'estate 2004'.

Lui sbuffò: "Non. Chiedere.".

Era un regalo di Anna per il suo compleanno, prima che tornasse in famiglia a festeggiare.
Non era che una vistosissima, coloratissima collezione di foto e video stupidi ritraenti Michael stesso quell'estate.

Gli aveva fatto tenerezza il sorriso colmo di aspettative di Anna quando gli aveva porto il pacchetto.
Forse pensava di fargli un bel pensiero, ma era stato incredibilmente imbarazzante guardarlo.

Tutti si erano accorti che era un po' più distante del solito, ma nessuno aveva fatto commenti.

Mika trascorse le giornate che lo separavano da Boston e da tutto quello a cui era abituato in stato vegetativo, come una piantina depressa, sbocconcellando a malapena il cibo e regalando a tutti i suoi familiari il peggiore Natale e il peggior Capodanno di sempre (per i loro standard).
Essendone dolorosamente coscente, si era scusato e aveva cercato di migliorare prima di andare in aeroporto.

*****

Trattenne uno sbuffo, mentre beveva il suo caffè.

Il 2005, dunque.
Perfetto. Ventidue anni e mezzo, e ancora faceva il barista in uno squallido bar.

Si mise a canticchiare distrattamente Grace Kelly, mentre metteva la tazza nella lavastoviglie.

Dio, lui sognava il canto.
Lo sognava con tutto sè stesso.
Sospirò ancora.

In quel momento qualcuno bussò alla porta.

Lui aprì, ritrovandosi davanti qualcosa.

O qualcuno, non ne era propriamente certo.

Poi, sotto il cappello da strega, il vestito sudicio e il naso adunco riconobbe i capelli rossi e le forme di Anna.

"Perchè?" si chiese.

"Mikie, Mikie... BUONA BEFANA!!" strillò lei tirando fuori le mani da dietro la schiena e riempiendo l'entrata di dolcetti.

Per la prima volta in quella giornata, rise forte, e la abbracciò.

Iniziò a raccogliere le caramelle da terra, con il sorriso sulle labbra.
Sorriso che si spense quando, dietro di lei, notò un'altra strega, bionda.

"Allison." la salutò con un cenno.

NIENTE avrebbe scalfito il suo buonumore, ora che l'aveva ritrovato, neppure quella ragazza che ora lo stava sbaciucchiando, con suo sommo orrore, sulle guance.
NIENTE.

Stava per chiudere la porta, quando... Merda, c'era anche lui.

Registrò il fatto quasi con distacco, facendosi da parte per farlo passare, la gola improvvisamente secca.

Gli occhioni stile Bambi di Mark lo salutarono illuminandosi un po'.

"Buona Befana!" sorrise Michael, ripresosi vagamente.

Con le gambe molli, chiuse la porta.

Almeno Mark non era travestito.


1= 7x11, sempre una citazione del mio amatissimo Supernatural.
Due battute rubate da Frank Devereaux e Dean Winchester.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Hoi hoi, the blue line said 'you're pregnant'. ***


Ciauu a tutti ❤
Spero che vi piaccia questo capitolo che ho sfornato or ora!
Buona lettura ❤


Anna si ricoprì di sudore freddo.

No, no. Nononononononono.
Per favore! NO!


Osservò l'oggetto che teneva fra le mani a lungo, forse quasi un minuto.
Perchè era così scioccata?

Distolse lo sguardo, fissandolo sulle piastrelle del bagno, ora dolorosamente colpevole.

Fantastico! Avrei dovuto immaginarlo!
Stupida Anna, stupida...
E secondo te lo vorrà sapere e lo accetterà?
No. Non dirò nulla...


Accidenti, era un bel problema, ma si poteva risolvere.
Ma di sicuro non togliendolo dal suo corpo.

Tornò a osservare la cosa.
Uscì dallo stato di shock, tornando con la testa per terra.

Tremò appena, facendo uscire dalle labbra un sibilo strozzato.

Lo lasciò cadere a terra.
Il rumore le disse che si era rotto, ma non le importò.

Ormai sapeva.
Appoggiò la schiena alla porta, scivolando poi lentamente a terra e circondando le ginocchia con le braccia.

Porca puttana.

*******

Qualcuno suonò al campanello.

Michael si alzò e sbirciò dallo spioncino chi fosse.

Alzò gli occhi al cielo.

Anna. Che aveva in mano una sospettosa confezione rettangolare stretta e lunga, con tanto di fiocco.

Era vestita con un completo abbastanza elegante.
Un vestito a maniche lunghe color rosso sangue, un cappotto nero opaco e una pochette con stampe di fiori.
Abbassò lo sguardo.
Ai piedi aveva degli stivaletti scuri, di un colore indefinibile.

Ma chi sperava di essere, Afrodite?

Aprì.

"Che c'è?" chiese scocciato.

"Ah, ciao Michaela. Dimenticavo che è il tuo periodo e non saluti neanche." ridacchiò lugubre lei, passandosi una mano fra la chioma vaporosa.
Alla parola periodo, un brivido la scosse mentre entrava.
Cercò di mascherarlo.

"No, è solo che la mia vita è un orrendo loop di fatti già successi, triti e ritriti!" si lagnò lui, facendosi da parte per farla entrare.

"Comunque, come hai fatto ad arrivare così presto?".

"Ho usato il mio jet supersonico.1". Gli ammiccò con le sopracciglia.

"E smetti di fare ciao ciao con quelle cose!" borbottò Michael, sempre più scazzato.

"Dunque, ti annuncio che... Mark a Allison ci hanno invitato a cena!" trillò lei, ignorandolo platealmente.

"Quando? Perchè non me l'hai detto?" ansimò lui, torturandosi i capelli con le dita.

"Ma stasera, mon amour! Ci hanno invitato addirittura qualche mese fa, mentre tu sbavavi dietro alla tua principessina invece di ascoltare, ma ho pensato di trasportarti là con me. Così almeno la pianti di fare Rapunzel sola soletta nella torre.".

"MERDA MERDA MERDA! COSA MI METTO?" strillò lui, in preda all'ansia, iniziando ad agitarsi sul posto.

Anna fu fortemente tentata di tirargli un simpatico e fraterno sberlone, ma si limitò a trascinarselo dietro sul divano.

"Calma, Mikie, ci penso io al tuo look. Temo che oggi mi toccherà essere la signora Penniman, quindi dobbiamo essere assortiti.".

A Michael per poco non venne un infarto.

Cominciò a piagnucolare: "Ti prego, dimmi che non gli hai davvero detto che sei diventata mia moglie, la mia fidanzata o quello che è! Ti prego!".

"No, tranquillo. Sei solo il mio accompagnatore. Andiamo a cena all'Avance.".

Lui sbuffò: "Perfetto. Ora mi verrai a dire che è davvero il 14 febbraio e che quel posto infernale è pieno di addobbi per San Valentino?".

"Certo, sweetie!". Anna gli diede un buffetto sulla guancia.

"Ottimo. E' per questo che continui a chiamarmi... così?" rabbrividì.

Lei annuì, facendogli l'occhiolino: "Devo entrare nello spirito.".

"Senti, spirito, perchè non vai a scegliermi qualcosa mentre io sono sotto la doccia?" rise lui.

Non era una persona barbosa.
E poi, Anna era sempre Anna. Le doveva qualcosa dopo ben tre mesi di piagnistei e brontolii perchè non usciva mai.
Aveva deciso di uscire dal suo isolamento forzato.

*******

Michael non sapeva di non essere l'unico ad essere trascinato verso feste su feste in continuazione.

Mark sbuffò, tirando i polsini della camicia, seccato.

"Al, devo proprio?".

"Cosa, venire oppure metterti questa camicia stupenda?".

"Entrambi." sbottò osservando disgustato l'indumento a righe.

Lui amava le camicie, le avrebbe messe tutti i giorni.
Ma non se erano gialle e violette!
Non era un uomo artistico, lui, ma di certo sapeva che era l'ultimo abbinamento da fare.

L'aveva comprata la sua ragazza.
Era così felice per quella serata.
Era da un bel po' che la aspettava.
Allison adorava letteralmente Anna e Michael, nonostante l'assenza di più di tre mesi di quest'ultimo.

E poi, chissà che il suo fidanzamento non avesse una sollevata.
Non facevano altro che litigare.
E, nonostante gli undici mesi, ognuno ancora nel proprio appartamento.
Sapeva che non era proprio normale.

Non mancava la passione e l'attrazione, certo.
Lui però non aveva bisogno di dolcezza e di coccole smielate, -non solo, almeno-, voleva capire.
Che senso aveva stare con lei se non sentiva niente e non sapeva neanche che persona fosse realmente?

Avrebbe fatto un'ultimo tentativo, poi vi avrebbe rinunciato.

Intendeva bere un bel po'.
Si sa, l'alcol è un portale ad un mondo annebbiato, senza regole nè freni.
Chissà che a cuore aperto non ci avesse capito qualcosa.

Allison gli sorrise dolcemente, finendo di abbottonargli il colletto.
Ora sapeva cosa l'aveva fatto buttare, quasi un anno prima.
Quel sorriso che le scaldava e le inteneriva quei lineamenti troppo statuari e così volgarmente sensuali.
Forse qualcosa c'era, nascosto sotto.

Ma Mark non si accontentava mai delle cose baluginanti e deboli.
Lui voleva la vampata feroce e fulminea di un fuoco d'artificio, non una lieve fiammella rassicurante.
Desiderava di provare emozioni forti e struggenti, anche se destinate ad affievolirsi con la stessa velocità dell'ascesa.
Era fatto così.
Magari era colpa dei libri che scriveva e leggeva. Forse sì, forse no.
Non poteva saperlo finchè non avrebbe trovato qualcuno che gli avrebbe fatto cambiare idea, e quella persona ancora non c'era.

*******

"Dimmi perchè dobbiamo andare sempre a piedi. Dimmelo, ti prego." ansimò Michael appoggiandosi alla spalla di Anna, umida di sudore.

"Perchè sono sette chili sovrappeso e perchè tu sei un buon amico, ecco perchè." rispose lei, risoluta e fiera nel suo vestito zuppo.
Neanche avessero corso la maratona.

Di colpo la luce nei suoi occhi si spense, mentre tutto il suo volto si impallidiva di colpo.
Vacillò leggermente, aggrappandosi ad una balaustra.

"Anna... C'è qualcosa che mi devi dire?" iniziò sospettoso Michael.

"Mikie... Sei sicuro? Prometti di non andare in iper ventilazione o cose del genere come tuo solito?" sorrise lei, anche se senza la sua solità gioiosa giocosità, mentre si staccava qualche ciocca sudata dalla fronte.

"Certo, Anna. Se stai male lo voglio sapere. Dannazione, sono tuo amico.".

Senza sapere nemmeno il perchè, prese un profondo respiro prima di parlare.

"Sono incinta, Michael." sospirò.

Lui sorrise appena, ma fu solo un secondo.
"Non è uno scherzo, vero?".

La sua espressione bastò a farglielo capire.
"No... Chi è stato?" chiese.

"Non lo conosci... Cambiando discorso, penso di essermi innamorata, Mikie.
E, porca puttana, non fare quella faccia da perchè non mi hai detto prima di avere uno scopamico oppure non attribuire il tutto allo sbalzo ormonale da donna in stato di felice attesa!" ringhiò dopo, "Lo conosco da un bel po'.
Quanto al da quanto tempo lo sai, da questa mattina.
Sai, una bella lineetta blu mi è comparsa davanti con una trombetta dorata canticchiandomi l'Annunciazione...
Lo sono da due settimane.".

Dopo quel treno di parole affrettate, il suo volto si spense nuovamente.
Alzò lo sguardo da terra, puntandolo negli occhi di Michael.

"Oh, Anna..." sussurrò dopo una manciata di secondi lui, stringendola delicatamente fra le braccia.

Si vedeva che aveva paura. Lo nascondeva bene, ma lui la conosceva da così tanto.
Non espresse opinioni, nonostante disapprovasse un po'.
Non era decisamente il momento di dire la sua.

Lei si lasciò abbracciare, affondando il volto nel suo petto.
Non viste, due lacrime caddero per le sue guance lasciando vie bagnate.

Ad un certo punto, Michael chiese esitante: "Vuoi andare a casa?".

Dalla sua giacca color porpora riemerse la solita Anna.
"No! Sono incinta, okay. Ma non sto per morire!
Non berrò niente, sai, per il bene di mio...".

Non riusciva proprio a dire 'figlio'.

Lui ruppe il lungo silenzio che si era formato prendendole un braccio.

"Entriamo?".


1= due battute sladracchiate da Supernatural.
Sam e Ruby, penso.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** In the end little he can do alone. ***


Salve a tutte le donzelle (e se ce ne sono, un saluto pure ai donzelli :D) che leggono la mia ff ❤
Vi ringrazio tutti moltissimo per le recensioni, l'aggiunta alle preferite, seguite e ricordate, e anche a chi legge silenziosamente.
Inoltre mi scuso moltissimo per l'attesa...
Mi vergogno D:
Seriously, non ho parole per chiedere venia :(
Ad ogni modo, considero questo l'ultimo vero capitolo. Quanto al prossimo, pubblicherò un epilogo.
Piccola nota: il titolo del capitolo l'ho preso da una parte di
 Amaranth (Nightwish), canzone che trovo bellissima, personalmente.
Buona lettura ❤




Michael si sedette di scatto.
Grugnì, scoprendo le spalle a pezzi e la bocca impastata.
Scollò faticosamente le palpebre fra loro, scoprendo di essere nello stesso posto in cui si era addormentato.
Ovvero nella SUA casa.

Aspettò di mettere a fuoco il tutto, per essere sicuro di non avere sognato.
Ma sì, quello era il letto violetto.

C'era steso sopra fino ad un attimo fa.

Poi quella bella pianta sul comodino, la parete azzurro cielo e cose del genere.

Sentì un lieve colpo sulla schiena.
Gentile e quasi debole.

Si voltò e gli sorrise: " 'Morning...".

Mark si passò una mano fra i capelli, sbadigliando appena.

"Come stai?" chiese Michael, apprensivo.
"Bene..." sorrise a sua volta, per poi corrugare la fronte.
"Mal di testa?".
"Già.".

Dopo qualche secondo, Michael cominciò a sentirsi sempre più in imbarazzo.

E di certo non lo aiutava Mark, che lo stava scannerizzando come se lo vedesse per la prima volta.
Non sapeva perché, ma lo stava facendo.

"...Cosa facciamo?" domandò ad un certo punto in un sussurro.

"Mah... Pensavo di sprecare la giornata a letto...".

Gli aveva sorriso ancora. Era bello vederlo fare per lui.

Si era sognato per mesi il momento in cui, in qualche modo, lui l'avrebbe preso in considerazione.
Beh, non era quello che immaginava, ma ci si poteva lavorare.

Non si era ancora chiesto come ci fosse arrivato, in tutto il flusso di emozioni che lo aveva attraversato in quei soli dieci minuti.
I ricordi affiorarono quasi all'improvviso...


Anna gli aveva fatto l'occhiolino, salutandolo da lontano e tornando alle sue chiacchiere con una Allison non del tutto sbronza,
ma molto vicina a raggiungere il punto di non ritorno.
Chissà perché, quando c'era lei ad una festa, tutti finivano ubriachi.

Già, chissa perché...

Michael borbottava sotto voce improperi.

Non si sentiva soddisfatto, nonostante Mark fosse più vicino che mai, facendolo adattare ad una sorta di atmosfera romantica.
Se romantica si poteva definire portare il suo bello fuori da un locale, ubriaco.
Tra parentesi, pesava un casino.

Inoltre la sua coscienza non gli consentiva di baciarlo o fargli qualunque altra cosa in quelle condizioni; sarebbe stato come approfittarsene.
Anche se sembrava che fosse proprio Mark a volersi approfittare di lui.

Pareva che il suo nuovo scopo vitale non fosse altro che cercare più contatto fisico, più pelle da abbracciare e più capelli in cui affondare il volto.
Ovviamente Michael lo aveva tristemente attribuito alla sua crisi con Allison e al suo stato di ebbrezza.
Ed era doloroso avere quello che voleva, ma allo stesso tempo non averlo completamente.

Ricordava vagamente un viaggio nella macchina di Mark. Guidava lui.
Beh, sempre meglio che il Mr Comatoso1 seduto al suo fianco, anche se comunque quel po' di Vodka che aveva bevuto si faceva sentire.
Per quanto lo riguardava Mark era totalmente fuori gioco; non faceva altro che ridacchiare quando lo vedeva schiacciare il piede
sull'accelleratore o cambiare marcia.

Poi veniva la chiave per entrare nel suo appartamento insieme al tipico senso del dovere che lo spingeva, sin da bambino,
ad aiutare gli altri, e che in quell'occasione lo aveva obbligato a stare con Mark per la notte.

La sua memoria finiva lì, anche se in qualche modo doveva pur esserci finito a petto nudo nel suo letto.
E quella confidenza che si prendevano con lui, poi?
Con un po' di fantasia si poteva immaginare cosa fosse successo, ma Michael non voleva considerarlo.
Lo trovava troppo scontato e -accidenti!- era perfettamente in grado di controllarsi.
Anche se era semi ubriaco. E c'era un Mark da stupro che ci provava deliberatamente con lui.

La risposta si fece attendere pochi secondi:
"Come stai?".
"Perché?".
"Sai... Il sedere...".

Michael si voltò verso di lui, con gli occhi sgranati e le guance rossissime.

Dopo qualche secondo in cui lo fissò perplesso, Mark si rese conto della gaffe e replicò:
"Cioé... Ieri sei scivolato sul tappeto entrando...".

Michael tirò un lieve sospiro:
"Non me lo ricordo...".
"Sembra proprio che tu hai più memoria di me che avevo bevuto meno di tre bicchieri!" scherzò infine per stemperare l'aria.

Riappoggiò la schiena al suo fianco, faccia contro faccia.
Si perse come al solito nei suoi occhi, lasciandosi sfuggire un'espressione velatamente meravigliata.
Quando li vide più vicino trattene automaticamente il respiro, irrigidendosi.

Mark gli diede un bacio piccolo, giusto uno sfiorarsi di labbra, che lo stupì più di ogni altra cosa.
Evidentemente, dalla sua disinvoltura, non era il primo.

"E' già successo?". Si sentì molto stupido chiedendolo.

Lo vide annuire.
"Non ti ricordi proprio niente, uh?" ridacchiò imbarazzato.

"No.".

"Beh... Siamo entrati in casa.
Hai farneticato qualcosa sul fatto di un possibile vomito e mi hai tolto la maglia.
Poi, beh... Penso che tu mi abbia baciato.
Ma non ne sono sicuro, eh!".

Capendo che lo stava prendendo in giro, si lasciò sfuggire una risatina quasi isterica.
Se fosse stato uno spettatore esterno, probabilmente si sarebbe trovato estremamente patetico.

"Perché siamo a letto insieme?" si informò cercando di avere l'aria meno sconvolta possibile.

"Non abbiamo fatto niente, se te lo chiedi.
Però penso di aver provato a traviarti!" rise Mark.
Non aveva mai conosciuto nessuno così.
Non sembrava sconvolto dalla possibilità di essere gay e di baciare un ragazzo e in più trattava l'argomento con estrema allegria, e, volendo, anche un po' di malizia.

"E ora che si fa?".

"Te l'ho già detto, ho intenzione di stare a lett-" parve capire ciò che intendeva.
"Oh. Io... Lo farò.".

"Cosa?".

"La lascerò.".

Michael sospirò contento, accarezzandogli una guancia lentamente.



1= Altro chiaro riferimento al mio amatissimo Supernatural. Potrei aggiungerei 'Castiel as Mr Comatose', ma non lo faccio.
OK, basta :D

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Epilogo. ***


Ciao a tutti!
Sono tornata con l'epilogo.
Signori e signore, ringrazio tutti quanti per avermi sopportato e supportato.
E magari la mia fanfiction vi rimarrà un altro po' in mente, chi lo sa (??).
Ad ogni modo, grazie a tutti. Davvero.
Se le cose non sono andate proprio come volevo, è soprattutto colpa mia!
Penso che questo capitolo sia davvero corto (sì, persino più degli altri!).
Infatti, lo tratto come un minuscolo epiloghino.
#lovetinythings
Detto questo, buona lettura ❤




Se lo era chiesto molte volte, perché aveva scelto lui.

Erano passate settimane, praticamente.

Insomma, come era potuto accadere così dal nulla?
Non era normale.

Michael aveva paura per questo.
Non voleva essere solo un esperimento gay, ed era stufo di temerlo.

Glielo aveva chiesto solo una volta, senza fronzoli, e tutto quello che aveva ottenuto era una sberla indignata -che aveva schivato- e un lungo bacio che gli aveva fatto dimenticare persino il suo nome.

Ma per quanto a lungo poteva ancora lasciar correre via le risposte prima che si stancasse?

Nonostante tutti i pensieri intimidatori continuava ad amare senza limiti tutto quello che l'essere di Mark era, quanto e più di prima.

Ogni mattina si vedevano in quel bar.
Un cornetto o un cappuccino preso dal bancone, un bacio sull'uscita e ognuno tornava al proprio lavoro.

Ma quel giorno era stato diverso.
Era uscito da casa, aveva controllato la posta...

Ed eccola là, una busta verde chiaro, grande meno di un Ipad e più di un telefono.
Non sapeva perché, ma nella sua vita avrebbe sempre ricordato quel paragone.

Era la prima cosa a cui aveva pensato.
Seguita dal rumore plastico che aveva fatto la busta mentre la scartava.

Infine le righe che gli avevano cambiato la vita.

Avevano accettato.
La casa discografica. Aveva accettato. 

Tutto quello che gli stava attraversando la mente in quel momento era fatto di lustrini, la sua voce, un'orchestra, palloncini colorati e ragazze grasse in tutù*, una folla festante sotto di lui.

Cellulare alla mano, aveva subito chiamato sua madre.

Venti minuti al telefono.
Un record.
Tutta la sua famiglia, e sì, pure qualche vicino, che si accalcava per fargli le congratulazioni!

Poi Anna.
Aveva quasi pianto dalla felicità.
"Il coso nella mia pancia avrà uno zio cantante.
The great Michael!".

Mark.
Quella era stata la cosa più difficile da fare.

"Hei.".

"Hei." aveva sussurrato l'altro.
Aveva la tipica voce da sonno, quella roca, quella che qualche volta aveva sentito e che adorava.
Ovviamente, a venti minuti dal loro appuntamento quotidiano era ancora a letto.
Non sapeva mai come faceva a presentarsi in forma smagliante, vestito e pimpante in così poco tempo.

"Ti devo parlare...".

"Facciamo quando arrivo, uh?
A meno che non sia una cosa urgente...".

"No, no... Non lo é.".
Tratteneva a malapena la gioia... E sì, anche il dispiacere.

Sapeva che avrebbe dovuto andarsene da lì e lasciare tutto, oppure essere così impegnato da non poter fare altro che una continua spola fra l'edificio e casa.

_____

"Io vengo con te.".

"Non se ne parla!
Non voglio che tu perda il tuo lavoro, i tuoi amici, la tua famiglia o la tua casa.".
Odiava pensarlo, ma aveva davvero bisogno di lui.

"Il mio lavoro é dove sei tu...".

"Questa é la cosa più schifosamente romantica che qualcuno mi abbia detto!" ghignò Michael.

"...e il mio computer.".

Michael lo guardò male.
"Cattivo.".

"No, scherzo." rise chinandosi a baciarlo Mark.

Se le prime volte che si comportava così in pubblico era stato davvero imbarazzante -per entrambi-, ora era normale.
I pochi che ancora li guardavano in modo strano o disgustato venivano ignorati.

"Era solo un modo per dire che... Beh, scrivere è la mia vita. E tu sei...
Stai diventando... La mia vita.".
Ora parlava a bassa voce, con un vago rossore sulle guance e gli occhi luccicanti.

Non li aveva mai visti brillare così tanto.

Michael aveva la gola secca.
"Davvero?".

Si morse un labbro.

Mark gli sfiorò la mano delicatamente in una implicita risposta.

"Oh.".

"Andiamo?" chiese giocosamente Mark, ripresa la solita baldanza in un secondo.

"A fare cosa?".

"A preparare le valigie!" rise in risposta l'altro.

Michael gli sorrise, spostando poi lo sguardo verso il cielo.
Quel giorno era strano, tutto l'azzurro era ancora sommerso dall'arancione soffuso dell'alba.



*Inutile alludere a 'Big girl, you are beautiful'.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2422858