L'importanza della famiglia

di jjk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** per la prima volta una famiglia:una domenica al parco ***
Capitolo 2: *** un nuovo caso ***
Capitolo 3: *** Rudy Derryll ***
Capitolo 4: *** una notte in ospedale e un profilo ***
Capitolo 5: *** mi preoccupo per te ***
Capitolo 6: *** il killer del nono mese ***
Capitolo 7: *** corsi.... ***
Capitolo 8: *** macerie e ferite ***
Capitolo 9: *** nuovi sviluppi ***
Capitolo 10: *** -Dottor?--Dottor Mallard- ***
Capitolo 11: *** Cosa ho perso?!! ***
Capitolo 12: *** Arrabbiato? ***
Capitolo 13: *** FIRE!! ***
Capitolo 14: *** ultimo round ***
Capitolo 15: *** ricordi e saluti ***
Capitolo 16: *** la giornata delle sorprese ***
Capitolo 17: *** vacanza?! ***
Capitolo 18: *** memories ***
Capitolo 19: *** FAMIGLIA ***



Capitolo 1
*** per la prima volta una famiglia:una domenica al parco ***


Aveva finalmente trovato un po’ di pace,di tranquillità,di normalità.
Per moltissimo tempo non aveva nemmeno saputo cosa potessero significare queste parole nella vita vera.
Certo conosceva a memoria la definizione di ciò che tanto aveva agognato,ma dentro di sé non pensava esistessero davvero perché non le aveva mai provate.
Aveva pensato di aver trovato una qualche normalità grazie alla squadra,non nel senso stretto della parola,ma in quello di una stabilità emotiva che lo rendesse felice.
Eppure ogni volta che tornava nella sua casa vuota dopo aver risolto qualche caso,sentiva qualche cosa che gli attanagliava lo stomaco.
Non era pienamente felice,ma non se ne preoccupava più di tanto perché era la cosa più simile alla piena felicità che lui avesse mai provato.
Ciò che cercava era semplicemente la pace,la tranquillità,la normalità di una vera famiglia.
Quella che lui non aveva mai avuto.
Ma ora tutto era diverso come non avrebbe mai immaginato fosse possibile.
Ed era tutto grazie a loro.
Guardò i due ragazzi che,seduti al tavolo del salotto circondati da libri e quaderni,stavano studiando per il giorno seguente.
Era stato il loro arrivo a cambiare la sua vita.
Quando gli aveva proposto di venire a vivere a casa sua non aveva previsto che avrebbero stravolto il suo mondo.
Abituarsi alla nuova situazione non fu facile,ma lo fecero tutti con gioia perché per la prima volta che stavano sperimentando quel calore derivato dal vero affetto reciproco.
Certo Zack e Andrew avevano vissuto nella famiglia originaria fino all’arresto del padre risalente a circa un anno prima,ma padre e zio erano violenti e la madre non si era mai opposta prima di morire.
Non era una famiglia in cui regnava l’amore,ma la paura.
Questa era per tutti e tre un’esperienza nuova e piacevole.
Avevano passato interi week-end a dipingere la loro stanza e a comprare i nuovi mobili di cui avevano bisogno,il tutto ridendo e scherzando.
Una volta si erano lanciati schizzi di vernice da una parte all’altra della stanza mentre pitturavano ed avevano finito per essere più colorati loro che la camera.
Era stata per tutti una bella giornata,una di quelle da festeggiare in un ristorante italiano non molto distante da casa.
Dopo la tragedia vissuta l’anno precedente in cui Andrew aveva scoperto che il padre aveva ucciso la madre e che il fratello,che aveva imparato a vedere come un seviziatore grazie allo zio(ma che aveva poi capito essere solo vittima di quest’ultimo)sapeva tutto,entrambi i Roggers erano tornati a sorridere.
Questo anche grazie al fatto che erano riusciti a recuperare il loro rapporto che si era disintegrato con il tempo e le “torture” psicologiche e fisiche che Zack aveva inflitto al fratello spinto dallo zio.
Anche Reid non era più così parco di sorrisi a 32 denti,di quelli che prima aveva riservato solo alle occasioni più speciali e che adesso faceva in continuazione.
Era impossibile non accorgersi del cambiamento che era avvenuto nel giovane profiler e nei ragazzi,ora più disposti a parlare senza timori con quelli che erano,non solo i colleghi,ma anche gli amici e la famiglia di Spencer.
Andavano spesso a casa di JJ e Henry,il figlio di quest’ultima e Will,adorava i suoi nuovi “cuginetti” quasi quanto il suo padrino:il suo amato “zio Spence”.
I ragazzi si erano inseriti bene nella famiglia,che li aveva accolti a braccia aperte,felici per la gioia e l’allegria che risplendeva sui volti dei tre giovani uomini.
Reid li osservava studiare mentre preparava la cena.
Stava provando a cucinare la pasta alla Norma come qualche giorno prima Rossi gli aveva insegnato,essendo lui italo-americano.
David stesso gli aveva detto che era abbastanza bravo a cucinare e lui aveva quindi cominciato a preparare piatti sempre più sfiziosi e complessi,con somma gioia di Zack e Andrew.
Preso dal sugo non si accorse della persona alle sue spalle e sobbalzò lievemente quando una mano gli toccò la spalla.
-Scusa,non volevo spaventarti-
-Tranquillo-rispose con un sorriso
-Ero solo un po’ sovrappensiero. Pensavo stessi studiando. Hai già finito?-
-No,è che…..Ti volevo chiedere una cosa……-
-Dimmi Zack-
Il ragazzo era evidentemente imbarazzato e per un po’ stette in silenzio cercando le parole giuste da usare
-….Stavo pensando al college….Insomma dovrei cominciare a mandare le domande però…..-
-Qual è il problema?-
-Beh,io vorrei poter andare o alla Brown,o a Yale o a Stanford,ma….-
-Ma…-
-…Ma le rette costano troppo per me-disse tutto d’un fiato,come per togliersi un peso.
Era evidente dalla tensione sul suo volto,che era molto importante ciò che Spencer gli avrebbe detto.
-Pensavo di essere stato abbastanza chiaro su questo punto-disse il giovane profiler guardando negli occhi Zack,sul quale si dipinse un’espressione di sconforto,ma Reid sorrise.
-Quando vi ho proposto di venire qui tu non volevi,ricordi?-
Il ragazzo abbassò lo sguardo vergognandosi di ciò che aveva detto allora rifiutando tanta inaspettata gentilezza.
Solo ora si rendeva conto del madornale errore che stava per fare e che aveva evitato solo grazie a Spencer.
Come poteva ora fargli quella muta richiesta pretendendo che lui lo aiutasse più di quanto avesse già fatto?
-Già-mormorò
-E ti ho detto che la casa famiglia non ti avrebbe aiutato a  proseguire gli studi giusto?-
-Si-
-E ti ho promesso che io invece lo avrei fatto ed ho intenzione di mantenere la promessa:ti aiuterò a sostenere la retta di qualsiasi università tu vorrai frequentare. Qualsiasi sia la tua scelta. Non mi rimangio ciò che dico. E poi farei qualsiasi cosa per aiutare te e Andrew,per quanto strana,siamo una famiglia oramai,no?-
Il ragazzo finalmente alzò gli occhi incrociando quelli di Reid,che non aveva smesso un attimo di sorridergli.
-è vero,siamo una famiglia-
-Allora non chiedermi più cose del genere,ok?-
-Ok-
-E adesso dì a tuo fratello di sgomberare il tavolo che dobbiamo apparecchiare perché la cena è quasi pronta.-
Zack si affrettò a raggiungere Andrew,immerso nella lettura di un brano di Freud;insieme portarono via tutti i libri e apparecchiarono,mentre Spencer metteva la pasta nei piatti.
Era davvero bravo a cucinare:quella pasta non avrebbe avuto niente da invidiare da invidiare a quella di un italiano per la gioia dei ragazzi che apprezzavano molto la cucina della penisola.
 
Il giorno seguente era domenica e Zack e Andrew avevano proposto un pic-nic al parco dato che la giornata era piena di sole e Spencer aveva accettato di buon grado.
Gli piaceva stare all’aria aperta,lo trovava estremamente rilassante ed era un’alternativa divertente alla routine quotidiana.
Andrew aveva anche chiesto a Zack d’insegnargli a giocare a football.
A differenza del fratello maggiore,il quale era sempre stato titolare nella squadra del liceo ed era molto bravo(infatti aveva un fisico atletico che attirava le ragazze),Andrew non era mai riuscito nemmeno ad avvicinarsi alla squadra di football,era un bersaglio per le prese in giro da parte degli atleti,ma non l’avevano mai ammesso nemmeno alle selezioni,anche se gli sarebbe molto piaciuto.
Il suo fisico gli aveva escluso ogni possibilità di fare sport a scuola come avrebbe voluto,così aveva rinunciato,ma adesso il gracile Andrew aveva deciso che nulla gli avrebbe più impedito di giocare a football e aveva chiesto a Zack di aiutarlo a superare le selezioni che si sarebbero svolte di lì a un mese e che avrebbero determinato chi avrebbe fatto parte della squadra.
Questa volta i ragazzi avevano insistito per organizzare loro tutto e il risultato era veramente fantastico.
-Non pensavo foste così bravi!-esclamò Reid dopo aver assaggiato il suo panino.
-Spencer a fare un panino non ci vuole nulla!-disse Andrew
-Non mi riferivo solo a quello,ma tutto nel suo complesso e poi quella,ma a tutto nel suo complesso e poi quella favolosa torta non mi sembra così facile da fare- rispose Reid guardando una splendida torta farcita alla crema che i ragazzi avevano preparato la sera precedente e che lui già pregustava con gli occhi.
-Era la torta preferita di mamma,è stata lei a insegnarmi a farla-disse il ragazzo.
-è stata una grande maestra allora,sei veramente bravo!-
-Come fai a sapere se è buona  o meno se non l’hai ancora assaggiata?-chiese sospettoso Andrew
-Lo suppongo dall’aspetto-cercò di giustificarsi Spencer
-Sai che sei un pessimo bugiardo sai?-
-Ma sto dicendo la verità!-
-Confessa,l’hai già mangiata e sbaglio?-
-Ok,ok,confesso. Quando l’hai tagliata a fette per metterla nella scatola ne ho preso un pezzetto. Era solo un assaggio,giuro-confessò sotto lo sguardo truce di Andrew
-Ero convinto che fosse stato Zack.Mi hai fatto accusare un innocente. Scusa Zack-
-Tranquillo,non importa. Che ne dite di fare due tiri?-disse tirando fuori la palla ovale.
Andrew dimenticò subito la finta(mooolto finta)arrabbiatura di poco prima e si dimostrò immediatamente entusiasta dell’idea.
-Tu che fai Spence?Vieni?-
-No grazie,non sono molto portato per tutto ciò che ha a che fare con la coordinazione e si svolge sul piano motorio-
-Dai prova,neanche io sono bravo-disse Andrew,molto desideroso di coinvolgere Spencer in una cosa a cui teneva particolarmente.
Da quando era arrivato a Washington Andrew era cambiato moltissimo.
Il timidissimo ragazzo incontrato in una stazione di polizia a Boston,timoroso di parlare con chiunque e che si era sforzato persino per farlo con Reid,trovandosi in un clima incoraggiante e accogliente,come quello che aveva trovato nella nuova famiglia,aveva cominciato ad essere sempre più aperto,più solare,meno timido.
Tutto il contrario di quello che era successo a Zack.
Da quando i misfatti del padre e dello zio,di cui lui era a conoscenza ,erano venuti a galla portando al loro arresto,Zack si era chiuso.
Inizialmente aveva smesso di parlare praticamente con tutti,soprattutto con quelli che sapevano ciò che era successo alla loro famiglia.
Si vergognava moltissimo di ciò che aveva fatto,anche se era stato costretto dallo zio.
Sapeva che,malgrado ne avrebbe pagato il prezzo,avrebbe potuto opporsi,ma non l’aveva fatto.
Questi sensi di colpa l’avevano spinto al mutismo:parlava solo con suo fratello.
Ma Reid li andava a trovare e li chiamava spesso e non si accontentava solo di Andrew,voleva vedere,voleva parlare anche con lui e volta dopo volta,passo dopo passo aveva scoperto chi fosse davvero quel gracile agente dell’FBI che li aveva presi tanto a cuore e aveva imparato a fidarsi di lui.
Piano piano aveva cominciato a parlare con lui,aveva capito che non lo giudicava per iò che aveva fatto;malgrado volesse molto bene ad Andrew,non lo odiava per le torture che gli aveva inferto,anzi gli voleva bene.
Reid sembrava capire a differenza di tutti gli altri.
Eppure non aveva voluto accettare la sua proposta di andare a vivere da lui.
Aveva paura di come lo avrebbero guardato gli altri membri della squadra,gli unici a Washington che conoscevano la loro storia.
Aveva paura del loro giudizio.
Ma Andrew l’aveva convinto,con l’aiuto di Spencer,a trasferirsi facendo leva sulla sua voglia di andare al college,cosa che non sarebbe riuscito a fare restando nella casa famiglia.
Ma a convincerlo era stato soprattutto l’ardente desiderio di trasferirsi a Washington di Andrew:in fondo glie lo doveva perché,dopo tutto il male che gli aveva fatto,aveva  continuato a volergli bene e non gli aveva mai dato la colpa delle cattiverie che aveva subito da parte sua e faceva di tutto per aiutarlo a stare bene.
Il mutismo di Zack non era scomparso per magia,ma solo dopo che aveva capito che nessuno lo odiava per ciò che aveva fatto e anzi,se lui glie ne avesse dato la possibilità,lo avrebbero volentieri aiutato a superare tutta quella storia.
Parlava ancora molto poco,tranne che cono Henry e Jack che,affezionandosi subito a lui,gli avevano offerto una seconda possibilità;ma ogni giorno si apriva sempre di più.
-Allora vieni?-la voce supplichevole di Andrew lo riscosse dai suoi pensieri
-Ok,ma non prendetemi in giro-
-Promesso-
Zack si allontanò di una trentina di metri e cominciò a lanciare la palla agli altri due.
Mentre Andrew impegnandosi riusciva a prenderla e a rilanciarla al fratello,Reid era un completo disastro.
Eppure non si lamentava,ma rideva dei suoi disastrosi errori.
E non era l’unico.
-Ti sei dato al football ragazzino?-
Reid si girò di scatto senza accorgersi che Zack aveva già lanciato la palla nella sua direzione che lo colpì dritto alla schiena.
Spencer soffocò un’esclamazione di dolore sentendo l’aria uscire velocemente dai polmoni.
-Maledizione,Morgan!Sempre nel momento sbagliato-
-Anch’io sono felice di vederti Reid-
Gli disse Derek e quello gli rispose con una smorfia
-Ti sei fatto male Reid?-chiese la voce preoccupata della stravagante analista dell’FBI.
-Tranquilla Garcia,niente di che,ma diciamo che stavo meglio prima - rispose il giovane agente lanciando un’occhiataccia a Morgan.
-Ciao Morgan,ciao Garcia,come mai da queste parti?-chiese Andrew mentre lui e Zack si avvicinavano al resto del gruppo
-Io e Penelope eravamo andati a fare una passeggiata,approfittando della bellissima giornata di sole. Voi?-
-Abbiamo deciso di fare un pic-nic,così Zack mi insegna un po’ a giocare a football-
-Non pensavo t’interessasse-
-Mi è sempre piaciuto,ma alla mia vecchia scuola non mi hanno mai permesso di giocarci. Fra un po’ ci saranno le selezioni,volevo provare ad entrare nella squadra e dato che Zck è sempre stato titolare gli ho chiesto se mi dava una mano-
-Giocavi a football?-gli chiese allora Garcia.
-Si-
-Avrei dovuto capirlo,guarda che fisco!Scommetto che eri uno dei più bravi-
-Beh,ero abbastanza bravo-
-Non fare il modesto sei sempre stato bravissimo,non c’era nessuno migliore di te,per questo se diventato capitano!-s’’intromise Andrew.
-Farai anche tu le selezioni?-domandò Morgan.
-Io veramente…..Non so se le farò-
-Perché no?Potresti vincere una borsa di studio per l sport per l’università se sei davvero bravo come dice tuo fratello.Pensaci-continuò l’uomo
-Forse hai ragione. Ci penserò-rispose il ragazzo poco convinto.
Sia Reid che Morgan avevano capito che c’era qualcosa che non andava,ma fecero finta di niente.
-Che ne dite di una fetta di torta?L’abbiamo fatta io e Zack ieri sera-
-Sembra davvero invitante - rispose Garcia
-Ed è buonissima,te lo posso giurare-disse Spencer
-Anche se non avresti dovuto poterlo dire-intervenne Andrew fulminandolo con un’occhiata
-Perché no?-chiese l’analista
-Perché in realtà non avrebbe dovuto averla già mangiata,ma evidentemente non sa aspettare.-
-Non ti facevo un ladro di torte Reid-disse Morgan ridacchiando
-Non sono proprio un ladro…..Solo un assaggiatore e poi quella torta mi chiamava!-
Tutti scoppiarono in una sonora risata
-Reid mangiami,mangiami Reid-lo canzonò l’uomo
-Beh,allora bisogna proprio assaggiarla questa torta parlante.
Si sedettero sul prato e Andrew tirò fuori la torta che prima di andare a giocare aveva rimesso nella borsa,dandone una fetta a ognuno.
-Ehi ragazzino avevi ragione!è davvero eccezionale!-esclamò Morgan dopo aver mangiato il primo boccone,poi si rivolse ai due fratelli
-Siete davvero degli ottimi cuochi. Avete mai pensato di aprire una pasticceria?-domandò scherzosamente
-Non ci ho mai pensato sinceramente,ma non credo che sarà il mio futuro-rispose il più giovane
-Hai già pensato a cosa vorresti fare?-chiese Reid.
Malgrado i ragazzi si fossero trasferiti da qualche mese non avevano ancora mai parlato del loro futuro se non con Zack a proposito del college,ma comunque avevano parlato solo della retta:l’argomento cosa vuoi fare da grande non era ancora saltato fuori fino a quel momento.
-Non ne sono ancora sicuro,ma penso che vorrei fare qualcosa che abbia a che fare con la psicologia-
-Tipo?-domandò Morgan sospettoso lanciando un’occhiata preoccupata a Spencer che gli stava di fronte.
Il ragazzo esitò,non sapendo cosa rispondere a quella domanda,ma Penelope sembrò capire ciò che lui voleva dire
-Tipo quello che fanno questi due?-disse con voce allegra indicando i due colleghi
-Beh,si. Qualcosa del genere-rispose con in un sussurro avvertendo la tensione che quella domanda aveva creato
-Come mai?Non pensavo ti interessasse - intervenne Reid
-Perché trovo la psicologia estremamente affascinante e poi cosa c’è di meglio del fare una cosa che ti piace e che può giovare alla società-sapeva che la sua risposta li avrebbe dovuti convincere della sua motivazione e quindi mise molta enfasi nelle sue parole,ma ciò non sembrò fare alcun effetto sui due uomini.
Zack capiva che c’era qualcosa che non andava,così come Andrew e Garcia,e come loro non capiva cosa fosse,ma sapeva che bisognava rompere la tensione.
-Perché non riprendiamo a giocare?-propose
-Potrei insegnarti qualcos’altro Andrew - il ragazzo accettò l’offerta al volo
-Morgan,Garcia,Spencer,voi venite?
-Io di certo no-disse la donna
-Noi vi raggiungiamo fra un attimo-rispose invece Morgan
-Voi intanto andate-
Appena i ragazzi si furono allontanati l’uomo si voltò verso il collega e amico
-Reid….-
-Lo so Morgan,non c’è bisogno che tu me lo dica,ma non so cosa potrei fare-
-Scusate,ma io non ho per niente capito quale sia il problema,ma è evidente che un problema c’è-s’intromise Garcia
-Andrew……-
-Questo l’avevo capito anch’io. Non dimenticarti che sono pur sempre un genio,anche se del computer.-
-Hai ragione bambolina. Beh,non saprei bene come spiegartelo,il fatto è che Andrew vuole fare questo lavoro per essere come Reid-
-come Reid?Ma chi vorrebbe essere come lui?Senza offesa Reid ,ma…-
-Nessunissima offesa,tranquilla Garcia,spesso neanch’io vorrei essere come me-
-Bambolina prova a capire:per lui Reid è quello che l’ha salvato dalla sua vecchia vita,dalla sua vecchia famiglia. Non solo si sente in debito con lui,ma è anche il suo eroe.-
-Forse comincio a capire. Essendo il suo eroe vorrebbe imitarlo,somigliargli. Giusto?-
-Si,ma non solo pensa che aiutando gli latri come fa lui potrà in qualche modo ripagarlo-
-Ma…-disse Garcia - Ma così facendo non vaglia altre possibilità,si preclude mille strade e probabilmente poi scoprirà che quello che ha scelto non era ciò che faceva per lui.-continuò Reid con voce preoccupata
-Se questo lavoro fosse davvero il suo futuro non avrei praticamente nulla da ridire,solo non vorrei che facesse la scelta sbagliata. è un lavoro già abbastanza distruttivo così.-
Per un momento né Garcia né Morgan seppero come rispondere alle parole così profondamente impregnate di affetto e tristezza.
-Devi dirglielo Reid,dovete affrontare questo problema. E non solo questo………..-
-Qual è l’altro?-chiese ancora l’analista
-Zack- rispose Morgan,poi si rivolse a Reid indovinando ciò che stava pensando
-Ehi,ragazzino. Quei ragazzi hanno visto crollare la loro vita in pochissimo tempo. Ricostruirla non è una cosa facile. è normale che ci siano delle difficoltà. Tu fai di tutto per loro,non è colpa tua se non tutto è perfetto.-
-Non so come aiutarli Morgan.Se ci fossi tu al mio posto sapresti di certo cosa fare,cosa dirgli. Come puoi dire che non ho colpa se non so nemmeno come comportarmi?Chiunque al mio posto lo saprebbe.-
-Ma nessuno è al tuo posto Reid!è questo il punto. Nessuno aveva chiesto ai ragazzi di andare a vivere a casa propria. Nessuno tranne te. è di te che loro hanno bisogno,non di me o di qualcun altro. Nessuno potrebbe mai essere al tuo posto se non tu. Devi solo parlare a tutti e due. So che risolverai tutto senza bisogno dell’aiuto di nessuno.-
-Penso di essermi persa qualche pezzo del discorso:non ho capito qual è il problema di Zack,ma sono certa che Morgan dopo me lo spiegherà. Meglio che ora andate ,vi stanno aspettando-disse Garcia indicando i due ragazzi.
Allora Spencer mise da parte le sue preoccupazioni e,insieme a Derek,raggiunse Zack e Andrew.
 
Il sole stava tramontando e si era fatto tardi,così rimisero tutto nella borsa e salirono in macchina.
Dato che Penelope e Morgan erano a piedi li riaccompagnarono a casa e infine tornarono alla propria.
Cenarono e dopo i ragazzi decisero,come sempre,di guardare un po’ di tv.
Di solito Reid si sedeva su una poltrona accanto al divano dove stavano gli altri due e si metteva a leggere un libro;ma non quella sera.
Quella sera decise invece di guardare anche lui la televisione,malgrado non stessero trasmettendo nessun programma scientifico,ma una commedia poco impegnativa.
Quando fu finita Zack andò subito a dormire,dovendosi svegliare presto il giorno dopo per andare a scuola,ma quando Andrew fece per seguirlo,Reid lo bloccò.
-Posso parlarti un attimo?-
-Certo,cosa c’è?-
Spencer esitò:non sapeva quali parole avrebbe potuto dire.
Come avrebbe fatto a fargli capire dove stava sbagliando senza ferirlo?
Alla fine tutto ciò che riuscì a dire fu:
-Perché?-
-Perché cosa?-
-Perché questo lavoro?Insomma non è….-
-Te l’ho detto:mi piace la psicologia-
-Ma la psicologia ha tante applicazioni. Perché questa?-
-Perché è molto importante per la società che siano catturati i serial killer e il profilo funziona molto bene-
-Lo so,ma per la società sono importanti molte altre cose. Perché non quelle?-chiese il giovane agente con voce oramai supplichevole.
Ma Andrew fraintese ciò che Spencer voleva dire
-Perché non vuoi che io faccia questo lavoro?!Pensi che io non sia in grado?Pensavo credessi in me!Eri l’unico che lo faceva. E invece……..-
-Ma non capisci?Sto solo cercando di proteggerti!Hai idea di quanto sia pericoloso questo lavoro?Non solo si rischia la vita ogni giorno,ma ogni giorno,ogni nuovo caso porta via un pezzo di te. Non è facile restare se stessi quando fai un lavoro come questo. E l’ultima cosa che vorrei è che tu non sapessi più chi sei.-
Mentre parlava gli arrivò un messaggio:
-Mi dispiace Andrew.Ti prego prova a capirmi,non volevo dire che non sei in grado solo…..vorrei che tu fossi felice,che non avessi ripensamenti. Vorrei solo che facessi la scelta giusta. Ora devo andare. Non vorrei,vorrei restare qui con voi,ma devo andare. Il mio lavoro è anche questo:non poter mai essere completamente libero di are ciò che vuoi,di stare con chi vuoi.-
Andrew gli sorrise,in fondo sapeva che non voleva ferirlo,e lo abbracciò.
-Buon viaggio Spencer-
-Buona notte Andrew.-
Reid seguì con lo sguardo il ragazzo mentre andava nella sua stanza,poi lasciò dei soldi sul tavolo,che sarebbero bastati per una settimana,sperando di tornare prima,e uscì.
 
nota:ok:forse sto diventando un po' troppo sentimentale ma il mio scopo è solo quello di rendere al meglio il mondo interiore dei personaggi(anche se non so quanto ci sono riuscita)perchè credo che sia una parte fondamentale.comunque vi ringrazio del vostro tempo e spero vogliate lasciare un commento.Ogni suggerimento è ben accetto

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Capitolo 2
*** un nuovo caso ***


Quando salì sul jet trovò gli altri seduti ad aspettarlo.
-Reid sei sempre l’ultimo!-esclamò Prentiss appena lo vide.
In realtà Reid non arrivava quasi mai in ritardo,ma da quando c’erano i ragazzi spesso,quando decollavano fuori dall’orario di lavoro,lui era l’ultimo ad imbarcarsi.
-Scusatemi-
-Ora possiamo cominciare-disse Hotch
-Questi sono i coniugi Berkley- esordì mostrando una foto di una coppietta felice
-La moglie ,Sarah,avrebbe dovuto dare ala luce un bambino in questi giorni. Una settimana fa lei e il marito sono stati rapiti mentre erano al supermercato,il giorno dopo la donna si è svegliata in un vicolo accanto al corpo del marito.L’SI l’aveva fatta partorire e il bambino è stato trovato qualche giorno dopo,sepolto. Stessa cosa per i coniugi Stanley,rapiti in un negozio per bambini,dove stavano comprando le ultime cose prima della nascita del loro primo figlio. Anche questa volta la moglie è stata trovata affianco al corpo del marito,la tomba del loro bambino è stata trovata pochi giorni dopo. I bambini sono stati seppelliti,a differenza dei padri,malgrado abbiano evidenti segni di violenza,ma per saperne di più dobbiamo aspettare le autopsie. I rapimenti sono avvenuti a 4 giorni di distanza e l’ultimo piccolo cadavere è stato ritrovato ieri sera. Questo pomeriggio i Derryll sono scomparsi,la donna è al nono mese di gravidanza. Dobbiamo cercare di salvare quel bambino e abbiamo poco tempo,quindi mettiamoci al lavoro.-
-Le donne hanno riportato ferite?-chiese Rossi
-A livello fisico nessuna.L’SI è stato molto attento a meticoloso.-
-Sa come si fa,sa come far partorire una donna senza farle riportare traumi-continuò David
-Ma perché lasciarle in vita?Perché lasciare testimoni?Il suo obbiettivo sembra principalmente il piccolo,tant’è che il padre,che potrebbe ostacolarlo,lo uccide. Allora perché non uccidere le donne dopo che le ha fatte partorire?-intervenne Reid
-E se il bambino è così importante perché ucciderlo pochi giorni dopo?-Morgan finì la frase del giovane agente.
-Purtroppo senza autopsia non possiamo fare molto:non possiamo nemmeno sapere se il padre è stato ucciso prima o dopo il parto,ne come sono morti i bambini. Rischiamo di farci un’idea di partenza sbagliata sul nostro SI e sappiamo quanto questo possa compromettere tutta l’indagine
Per ora conviene riposare finché si può,domani dobbiamo essere al massimo della forma.-concluse Hotch.
Reid si sdraiò sul divanetto del jet e si coprì con la coperta cercando di dormire malgrado i pensieri che gli assillavano la testa. Morgan vedendolo sovrappensiero lo raggiunse.
Spencer si sedette e gli fece posto
-Hai parlato con Andrew-
Reid non rispose ma,guardando per terra,fece un cenno affermativo con la testa
-E con Zack?-
Questa volta il cenno che fece fu negativo
-Devo supporre che la chiacchierata con Andrew non sia andata molto bene. O è solo molta stanchezza?-
-Pensa che cerchi di dissuaderlo perché non credo che sia abbastanza capace per fare questo lavoro. Pensa che io non creda in lui. Poteva andare peggio di così?-
-C’è sempre un peggio. Ad esempio poteva pensare che tu fossi felice della sua scelta e che lo stessi incoraggiando.-
-E come potrebbe essere peggio del fatto che non ho fiducia in lui?-
La faccia strana dell’amico sottolineava quanto tutto questo gli stesse assorbendo energia,oltre che la sua frustrazione per non essere riuscito a trovare le parole giuste.
Morgan rise.
-Sei un ottimo profiler,ma sembra che tu ti sia dimenticato le basi della psicologia. Se avesse creduto che lo incoraggiassi si sarebbe poi sentito obbligato a fare questo lavoro per non deluderti,anche se si fosse accorto che non era la scelta giusta.-
-Hai ragione,grazie per avermelo fatto notare. Io…..Non so cosa mi prenda,mi sembra tutto così complicato…..Anche quando non lo è. Di solito l’avrei capito ma con Andrew mi sembra tutto così…..-
-Diverso?-
-Già,diverso-
Reid alzò il volto e gli sorrise
-Grazie-
-Ehi ragazzino,non ringraziare. Avresti fatto lo stesso per me. E poi…..L’hai detto tu stesso,siamo una famiglia e in una famiglia ci si aiuta. E ora dormi,hai sentito Hotch.Dobbiamo essere al massimo domani-
Morgan si alzò e raggiunse il suo posto vicino a Prentiss e JJ mentre Reid si sdraiò nuovamente cercando di dormire.
Appena Derek si sedette le due donne non gli diedero neanche il tempo di infilarsi le cuffiette,come al solito,sapendo che altrimenti non le avrebbe più ascoltate.
-Cosa aveva Reid?-domandò subito JJ,preoccupata per il suo migliore amico
-Niente di ch.Cerca di fare del suo meglio per quei ragazzi,ma è difficile fare il padre quando ancora non si è finito di crescere.-disse guardando il più giovane della squadra che già dormiva.
Poi chiuse gli occhi e si rifugiò nella sua musica rifiutandosi di rispondere alle altre domande che di sicuro le sue amiche gli avrebbero posto.
 
Arrivarono a Los Angeles poco più tardi dell’alba,uno spettacolo meraviglioso visto dal jet,peccato che dormissero tutti profondamente,tant’è che all’arrivo JJ fu costretta a svegliarli,come fa una brava mamma.
Ancora un po’ insonnoliti salirono sui SUV e si recarono alla stazione di polizia che con il tempo avevano imparato a conoscere,dato che non era la prima volta che si occupavano di un caso nella città degli angeli.
Ad accoglierli trovarono il nuovo capitano,una loro vecchia conoscenza.
-Agenti che piacere rivedervi!-
-Il piacere è nostro,quindi è lei il nuovo capitano?-chiese Hotch?
-Si.ora sono il capitano Kim,al vostro servizio-
L’uomo guardò attentamente gli agenti
-Sbaglio o ci sono stati dei cambiamenti nella vostra squadra?-
L’ultima volta che avevano  visto il detective Owen Kim,circa 6 anni prima,era stato durante un caso su una donna talmente ossessionata da una sua amica,star della tv,da uccidere chiunque intralciasse il suo cammino.
Reid e Gideon erano stati chiamati dal dipartimento per un seminario sul profiling  si erano ritrovati in quell’indagine,chiedendo al resto della squadra di raggiungerli  a Los Angeles,più precisamente  a Hollywood.
A quel tempo Gideon ed Elle erano ancora con loro,mentre Rossi e Prentiss non si erano ancora uniti al team.
Si,c’erano decisamente stati alcuni cambiamenti.
-Questi sono gli agenti Prentiss e Rossi - disse Hotch presentando al capitano i due agenti
-Scusi la domanda,ma dove sono gli agenti Gideon ed Greeenway?-
Ricordare il modo in cui Gideon se ne era andato non aveva mai smesso di fargli male,ma si consolava pensando che forse ora era più felice,così Reid soffocò una smorfia mentre rispondeva al capitano
.Hanno lasciato l’unità oramai da qualche anno-
-Mi dispiace,soprattutto per l’agente Gideon.Mi sembrava così legato al suo lavoro. Cosa l’ha spinto ad andarsene?-
-A volte questo lavoro corrode l’anima più di quanto si possa sopportare. Meglio mettersi al lavoro ora,abbiamo un bambino da trovare-concluse acidamente Reid sedendosi alla scrivania che gli era stata indicata al loro ingresso.
Guardando l’espressione stupita dell’uomo JJ gli si avvicinò per scusarsi molto diplomaticamente
-Lo perdoni,non è così di solito è che….-
Quanto avrebbe potuto dire senza tradire i sentimenti di Spencer?
-Ho toccato un tasto dolente,lo so. Ma mi ero dimenticato di quanto fossero legati lui e l’agente Gideon.Sembravano padre e figlio. Comunque non c’è bisogno di scusarsi è stata una reazione normale. Ora meglio fare come ha detto,dobbiamo trovare quel bambino-
Il capitano sorrise e raggiunsero il resto della squadra che già stava esaminando il caso.
-I coniugi Berkley vivevano nella periferia a nord di Los Angeles.La donna,25 anni,faceva l’insegnante di sostegno in una scuola dall’altro capo della città mentre il marito,28 anni,faceva l’operai in un cantiere edile oltre che tutti i lavoretti che trovava. Non avevano molti soldi e spesso faticavano ad arrivare a fine mese,però avevano deciso comunque di tenere il bambino facendo maggiori sacrifici. Gli Stanley invece erano molto ricchi. La moglie lavorava come avvocato in un rinomato studio legale di Hollywood e suo marito recitava in un’importante serie tv in onda in prima serata. Vivevano in una delle grandi ville di Hollywood e la loro vita si svolgeva completamente in quel quartiere,andavano a molti eventi mondani. Da quando si sono sposati,a 26 anni,hanno cercato di avere un figlio,ma senza successo. Poi nove mesi fa sono finalmente riusciti nell’intento,dopo 10 anni di tentativi,attraverso la fecondazione assistita. E infine i Derryll,si sono trasferiti da poco da una cittadina del Kansas per gli studi di lei. Si era iscritta a un’università qui vicino grazie a una borsa di studio vinta nella sua città natale. Il fidanzato faceva l’elettricista e avevano progettato di sposarsi subito dopo la nascita del bambino. Vivevano poco fuori città poiché non potevano permettersi una casa a Los Angeles,però la loro vita era in città e dato che non potevano permettersi un’auto si muovevano con i mezzi pubblici,così come i Berkley.-concluse Rossi.
-Provo a fare un profilo geografico - disse Reid avvicinandosi alla cartina della città appuntata su un tabellone e cominciando a segnare molto velocemente i vari punti con dei pennarelli colorati.
Poi prese il telefono e compose il numero dell’analista informatica del BAU.
-Garcia la maga del computer ai tuoi ordini,di quale magia hai bisogno mio adorabile genio?-
-Ho bisogno di sapere tutto il possibile su queste famiglie,quali posti frequentavano,se facevano sport,chi erano i loro amici a Los Angeles e qualsiasi altra cosa ti possa venire  in mente ok?-
-Capito,ti richiamo fra qualche minuto-
-Grazie Garcia-
-Per te questo e altro tesoro.-
-Mentre Reid si occupa del profilo geografico io e Rossi andiamo dal coroner.JJ,Morgan e Prentiss voi andate a parlare con le donne e con i familiari delle vittime-.
Tutti si incamminarono e il capitano Kim si accostò a Hotch
-Posso accompagnarvi agenti?-
-Certamente capitano-rispose Rossi.
-Ha fatto carriera in fretta vedo-disse il capo dell’unità
-Quando il mio capitano è andato in pensione mi ha “designato” come suo successore. Comunque ho imparato molto dal caso di Lila Archer,cosa che mi ha aiutato ad ottenere questa promozione.-
-Si è occupato lei del caso di Lila Archer?-chiese Rossi incuriosito.
Fra i membri della squadra era diventata una specie di leggenda,tutti la conoscevano,ma in fondo nessuno ci credeva davvero,a parte Hotch,Morgan e JJ che erano sul campo e avevano visto tutto.
Ovviamente Reid non sapeva che tutti discutevano e commentavano ciò che era accaduto in quei giorni.L’unico che si asteneva era Hotch.
Non che gli altri non volessero rispettare la privacy di Reid,ma quante altre love-story aveva avuto il giovane agente?
Troppe poche per lasciarsi sfuggire un’occasione così succulenta.
Ma anche se ne avevano parlato molto nessuno di coloro che non era presente aveva mai davvero pensato che fosse vero ciò che gli latri gli avevano raccontato.
-Si,i vostri colleghi sono stati di grande aiuto in quell’indagine. Soprattutto il giovane agente Reid.Quanti anni aveva allora?24?E riuscì a trovare le immagini nascoste in quel quadro,quelle che ci hanno portato al colpevole-.
Rossi smise momentaneamente di fare domande,anche se era davvero desideroso si conoscere la versione dei fatti di una persona esterna all’unità,ma erano arrivati all’obitorio e quindi soppresse la sua curiosità in attesa di un momento migliore.
 
-I mariti prima sono stati storditi con un colpo alla testa,poi sono stati feriti in modo da prolungare le loro sofferenze. La loro morte è sopraggiunta per dissanguamento.L’arma con cui sono stati colpiti è un vecchio coltello arrugginito,infatti della ruggine è stata trovata su entrambi i corpi.
Non c’è molto altro da dire su di loro,a parte il fatto che l’assassino sapeva esattamente dove affondare la lama e lo ha fatto con estrema decisione e sicurezza,temo che i mariti abbaiano assistito all’intero parto ed erano quindi ancora vivi quando i bambini sono stati portati via forse anche quando sono stati scaricati nel vicolo insieme alle mogli. A proposito lì ci sono i referti degli esami medici fatti alle donne;ma su quello non vi posso dire nulla poiché non me ne sono occupato io,il mio compito si limita ai cadaveri-disse l’uomo indicando un paio di fascicoli posti su un tavolo alla loro sinistra.
-Se ne occuperà Reid appena torniamo-disse Rossi prendendoli in mano
-Cosa ci può dire sui neonati?-
-Su di loro non è presente la calma con cui ha ucciso i mariti,c’è invece una rabbia incontrollabile. Ha picchiato questi minuscoli bambini fino a che dei loro organi interni non è rimasto praticamente niente d’intero. Non hanno retto molto sotto i suoi colpi,ma l’assassino ha continuato ancora per molto tempo. Molte lesioni infatti sono post-mortem .La loro vita è stata fin troppo breve. Erano nati più o meno da due giorni e hanno subito incontrato la morte-
-Grazie mille dottore-disse Hotch accomiatandosi,lo stesso fecero Rossi e Kim.
Mentre si recavano alla macchina Hotch si accostò a Rossi e gli sussurrò all’orecchio
-Vacci piano con le tue domande,a tempo debito le tue curiosità verranno soddisfatte.-
Rossi si stupiva sempre della capacità del suo collega d’intuire ogni suo pensiero,anche se quasi sempre faceva finta di niente.
 
Quando Morgan,JJ e Prentiss arrivarono a casa di Sarah Berkley era quasi ora di pranzo e dalla finestra usciva un intenso odore di arrosto.
-Mi sta venendo una fame da lupi,non ho nemmeno fatto c9olazion4e oggi-disse Morgan mentre si avvicinavano alla porta.
-Cos’è quest’aria allegra e entusiasta?-chiese sospettosa Emily,guardandolo negli occhi
-Derek,cos’hai combinato?-intervenne allora JJ che aveva riconosciuto lo sguardo dell’amico:quello di quando aveva fatto qualche scherzo,o dispetto,a qualcuno.
E di solito quel qualcuno era Reid.
-Nulla,giuro!-disse l’agente,ma dietro la schiena Prentiss notò che teneva le dita incrociate.
Allora gli prese la mano e la mostrò all’amica.
Morgan tentò di sciogliere le dite,ma non fu abbastanza veloce e si ritrovò il volto severo delle due donne fisso su di lui.
Sul suo viso si dipinse la stessa espressione di un bambino trovato con le mani nel barattolo della  marmellata.
-Una piccola sorpresa per il nostro genio-disse bussando alla porta.
JJ avrebbe voluto dirgli qualcosa,ma mentre stava per parlare un uomo apparve sull’uscio.
-Siamo gli agenti Jereau,Morgan e Prentiss dell’FBI,cerchiamo Sarah Berkley-
-Cosa volete da lei?-
Domandò quello con aria truce
-Dobbiamo solo farle qualche domanda-
-Non vi ha già risposto all’ospedale?-
-So che è un momento delicato,ma…-
-Delicato dite?Sarah ha perso suo marito e suo figlio a pochi giorni di distanza dopo essere stata rapita. è stato persino violato il suo corpo ed è e stata abbandonata in un vicolo pieno di spazzatura accanto al cadavere dell’unica persona che abbia mai amato!è davvero un momento delicato!E lei non riuscirà mai a rimettere insieme i pezzi se voi e quegli avvoltoi dei giornalisti continuate a ronzarle attorno!!-
-Signore stiamo solo cercano di  catturare chi le ha fatto tutto questo.L’ha fatto altre volte e abbiamo pochissimo tempo per trovare un bambino che fra poche ore potrebbe già essere morto. La prego ci aiuti!-intervenne Morgan.
-Lasciali entrare Sean,non voglio che quel bambino faccia la fine di Mark.-
Sarah Berkley era sopraggiunta alle spalle dell’uomo.
Li fece accomodare nel piccolo salotto
-Dovete scusarlo,mio cugino Sean cerca solo di proteggermi,ma oramai il danno è fatto e lui non riesce a perdonarsi di non aver impedito che succedesse.-
Anche se evidentemente provata da ciò che le era successo la settimana precedente,la donna era estremamente gentile e,per quanto foss4e possibile,anche rilassata,ma rimaneva un’ombra di tristezza a velare il suo dolcissimo viso.
-Scusate il disordine. Io e Danny stavamo preparando la casa all’arrivo di Mark,io non so più che farmene di questa roba e non ho ancora trovato un posto dove metterla. Ma vi sto facendo perdere tempo,voi siete qui per un altro motivo-
Malgrado i suoi occhi fossero lucidi la signora Berkley non si scompose.
Doveva essere una donna molto forte concluse Emily osservando come,in una sola settimana era riuscita a riprendere il controllo di s e della sua vita.
-So che per lei è difficile,ma avremmo bisogno che ci racconti tutto quello che è successo da quando lei e Danny siete entrati nel supermercato-
Fu Prentiss a parlare questa volta
-Mi dispiace,ma credo di non potervi essere di molto aiuto in questo caso,i miei ricordi sono molto confusi. Credo di essere stata drogata e poi,insomma,dopo aver partorito è andata via con Mark e io sono svenuta. Mi sono risvegliata in quel vicolo.-
-Potremmo provare a fare un’intervista cognitiva,se se la sente.-propose Morgan
-Qualsiasi cosa per aiutarvi-
-Bene,chiuda gli occhi e torni con la mente a quel giorno. Siete in macchina?-
-No,io e Danny non ce la possiamo permettere,non con il bambino in arrivo,così abbiamo venduto quel vecchio macinino che avevamo. Siamo in bici,dobbiamo comprare solo dei pannolini e possiamo benissimo metterli nel cestino. E poi il supermercato non è molto lontano-
-Ok.Siete arrivati,ora che fate?-
-C’è una rastrelliera vicino all’entrata,mettiamo lì le bici,le leghiamo e entriamo nel negozio-
-Dove vi dirigete?-
-Al reparto dove ci sono tutte le cose per neonati-
-Che succede?-
-Mentre mi abbasso per prendere i pannolini in offerta comincia a sanguinarmi il naso. Chiedo a Danny un fazzoletto,ma lui non ne ha e io li ho finiti. Una signora me ne da uno.Dice che anche a lei succede spesso. Sembra gentile,ha i capelli biondi e mossi e una pancia bella grossa.”allora non sono così enorme come credevo” mi dico. Cominciò a tamponarmi il naso,sento che c’è qualcosa che non va,ma non capisco cosa;metto una mano sulla pancia ma il bambino sembra stare bene. Poi tutto diventa nero e sento solo la voce di mio marito che mi chiama e il mio corpo che cade,ma tutto mi sembra molto distante-
-Brava Sarah,continua così. Ti sei svegliata,cosa vedi?-
-Sembra una casa abbandonata,non si sente neanche un suono. Noi siamo in una specie di cantina,un seminterrato direi,ma non si capisce bene perché le finestre non ci sono;non so nemmeno che ora sia.-
La donna si paralizzò
-Cosa succede?-domandò Morgan mentre cercava di calmarla.
-Sento dei passi che vengono verso di noi. Cerco Danny con lo sguardo,ma ci metto un po’ a trovarlo:è rintanato in un angolo,svenuto,con la testa appoggiata al muro. I passi si avvicinano  e poco dopo entra qualcuno. è vestito in modo da non far capire nemmeno se è maschio o femmina,eppure sono certa sia la donna del supermercato:cammina esattamente nella stessa maniera. Sembra quasi non veder,mi e va da Danny.Ho paura e urlo il suo nome cercando di avvertirlo del pericolo. Lui si sveglia e cerca di alzarsi in piedi reggendosi al muro,ma cade e lei si mette a ridere. Sono sicura che gli farà del male e lui in questo stato non riuscirebbe a difendersi. Non riesco a impedirmi di piangere. Lei mi sente singhiozzare e viene verso di me. Devo mantenere il controllo davanti a lei,non voglio darle la soddisfazione di credere di avermi piegato,devo essere forte;così mi asciugo le lacrime e la guardo negli occhi. La sua pancia è scomparsa,dev’essere stata tutta una messa in scena per indurmi a fidarmi di lei.
mi chiede. Nella sua voce non c’è cattiveria,anzi da come parla sembra preoccupata per me e la cosa mi lascia stupita.
non so a cosa si riferisca,ma di certo non è  nulla di buono,di questo ne sono certa. Poi tira fuori dalla tasca del camice che indossa una siringa.
mi dice mentre mi inietta la sostanza contenuta in essa nel braccio. Danny allora si alza e cerca di fermarla,ma lei lo sente arrivare e sorride. Non si gira,tira fuori qualcos’altro dalla tasca,ma non riesco a vedere cosa e aspetta che sia lui ad avvicinarsi. Danny ha una brutta ferita sulla testa che non ha ancora smesso di sanguinare,non ce la farà mai a neutralizzarla,ma non sembra intenzionato a fermarsi anche sapendo che lei si è accorta di lui. Hanno venirmi le contrazioni.
“Non ora Mark,non è il momento”dico silenziosamente al bambino anche se so che non mi ha di certo sentito. E poi non può scegliere quando nascere. Fa male,ma fa ancora più male vedere Danny andare nelle braccia della morte. E non posso fare niente per nessuno dei due,perché sono legata a questo maledetto lettino simile a quelli degli ospedali,ma decisamente più malandato. Dev’essere molto vecchio. Vedo un luccichio fra le mani della donna. è solo un istante,ma credo di aver capito di cosa si tratta.-
-Cos’è Sarah?Un coltello?-
-Credo di si,ma vedo solo Danny che si piega e indietreggia. Lei si avvicina a lui e lo colpisce di nuovo,ma il suo corpo mi copre la visuale. Arrivato al muro si accascia a terra e lei mi si avvicina. Qualsiasi cosa avesse avuto in mano ora non c’è più,l’ha rimesso sicuramente in tasca,e Danny è coperto di sangue. Però lui mi guarda,fa finta di non soffrire e mi sorride. Vedo la vita abbandonarlo e nel contempo sento il bisogno di spingere. Sembra quasi che la nascita di Mark debba riscattare la morte di suo padre. Così spingo e continuo a guardare Danny,perché so che è l’ultima volta che posso farlo. Fa appena in tempo a vedere il suo bambino
<è meraviglioso>dice,poi chiude gli occhi. Io sono stanca e non lotto contro il buio che cerca di avvolgermi,ma mi lascio andare e quando mi sveglio sono in quel vicolo e Danny è lì,vicino a me,morto. Subito dopo arriva l’ambulanza.-
-Ok Sarah,va bene così. Può aprire gli occhi-concluse Morgan
-Grazie mille ci è stata molto di aiuto-disse JJ alla donna mentre questa si asciugava le lacrime che silenziose le avevano rigato il volto mentre parlava
-Di niente,spero riusciate a trovare quel bambino prima che quella pazza lo uccida come ha fatto con Mark-
-Faremo tutto il possibile per impedirle di fare ancora del male-le promise Prentiss
-Sarah,il pranzo è pronto!Vieni!-urlò Sean dalla cucina
-Non si preoccupi Sarah,non c’è bisogno che ci accompagni alla porta,vada da suo cugino piuttosto,o penserà che le sia successo qualcosa-le disse Morgan sorridendo
-La ringrazio,non volevo sembrare scortese,ma…-
-Stia tranquilla,non è per niente scortese - continuò lui
-Sarah!1Dove sei?!-
-Ora devo andare. Fatemi sapere come procedono le indagini-concluse la signora Berkley ricambiando il sorriso di Derek,prima di correre in cucina.
-Non si preoccupi Sarah,non è affatto scortese!-lo canzonarono subito Emily e JJ appena furono fuori dalla porta
-Si,si,scherzate pure-rispose l’uomo con una smorfia.
-E poi ha appena perso il marito,non ci proverei mai!-esclamò “Anche se mi piacerebbe!”.
 
Dopo aver parlato con Sarah Berkley,JJ,Morgan E Prentiss si diressero verso casa Stanley.
Quando arrivarono si trovarono di fronte a una villa molto grande,molto più di quanto si fossero aspettati.
All’ingresso li accolse una maggiordomo che li fece accomodare nel maestoso salone posto alla sinistra di un’enorme scala dalla quale pochi istanti dopo scese una donna elegantemente vestita di nero.
-Benvenuti agenti,cosa posso fare per voi?-
-Lei è Lisa Stanley?-domandò Morgan
-Si,sono io. Ma che scortese sono stata!Posso offrirvi qualcosa?-
-No,grazie signora. Siamo qui perché avremmo bisogno di farle qualche domanda-rispose JJ
-Vi dirò tutto ciò che so,ma non credo di potervi essere molto d’aiuto. Il mio analista di ce che per un meccanismo di difesa del mio cervello potrei aver dimenticato quasi tutto di quel giorno. Ma dite pure.-
-Si sforzi di ricordare il giorno del rapimento signora Stanley.Ha visto in faccia il rapitore?-
-No,ricordo che mentre stavamo scegliendo  la culla qualcuno alle mie spalle mi ha messo un coltello sulla pancia dicendo di seguirlo altrimenti avrebbe ucciso il bambino-
-Com’era la sua voce?Era maschile o femminile?-
-Aveva una voce bassa,ma non saprei dire se era maschio o femmina. Ci ha portati in un furgoncino e ha poggiato sui nostri visi dei fazzoletti imbevuti di qualcosa,ma non saprei dire cosa fosse. Poi il buio.-
-Quando si è risvegliata?-
-Non so quanto tempo fosse passato e nemmeno dove fossi. Avevo una benda sugli occhi e prima che potessi fare nulla mi ha iniettato qualcosa nel braccio. Poi il rapitore ha cominciato a parlare,penso con Mike.Lo stava insultando e lui non rispondeva,poi ho sentito un rumore strano e dei passi che si avvicinavano a me. Non so quanto tempo fosse trascorso dal mio risveglio. Ho sentito che dovevo spingere,che il bambino stava nascendo e ho spinto e dopo non so quanto è nato. Ma chi ci aveva portato lì non me l’ha nemmeno fatto vedere,mi ha dato qualcosa da bere e dopo  non ricordo più nulla. Quando ho aperto gli occhi ero sull’ambulanza che mi ha portato in ospedale-
-E in tutto ciò suo marito non si è mai ribellato?Mi sembra un uomo abbastanza forte-chiese Morgan,guardando una foto della coppia posta sul caminetto
-Aveva minacciato di fare del male al nostro bambino. Mike non lo avrebbe mai messo in pericolo.L’avevamo desiderato troppo.-
-Signora,c’è una visita per lei-
Il maggiordomo era entrato nel salone interrompendo la loro conversazione.
-Arrivo subito-
-Grazie mille del suo tempo signora.-
-Nessun problema,ma vi prego prendetelo. Deve pagare per aver distrutto la mia e altre famiglie-
-Faremo del nostro meglio signora-
Si allontanarono dalla casa dirigiendosi verso la stazione di polizia,sperando che Reid fosse già riuscito a stilare un profilo geografico perché,non solo quel pomeriggio avrebbero trovato i Derryll,ma entro pochi giorni se non avessero catturato l’SI,un altro neonato sarebbe stato sdraiato sul tavolo dell’obitorio.

nota:grazie per aver letto anche questo capitolo e spero vi sia piaciuto abbastanza da commentare.Ogni suggerimento è ben accetto

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Capitolo 3
*** Rudy Derryll ***


Reid sapeva di avere reagito in maniera esagerata all’innocente domanda del capitano e se ne vergognava,per questo si era concentrato sul profilo da tracciare,sperando di riuscirci con i pochi elementi che aveva a disposizione.
Per sua fortuna Garcia si era molto impegnata nel compito che le aveva dato,poiché il telefono squillò pochi minuti dopo che aveva riattaccato.
-Dimmi che hai trovato qualcosa-disse con voce supplicante il giovane agente
-Purtroppo non molto. I coniugi Berkley erano tutti casa e lavoro. Il marito arrivava al cantiere praticamente all’alba e andava via dopo l’orario di chiusura che oramai era già buio. La moglie lavorava con gli studenti che facevano tempo pieno e rimaneva a scuola fino a sera per preparare le cose da fare il giorno dopo,poi il marito la passava a prendere tornando dal lavoro e andavano a casa. Solo la domenica erano liberi e la trascorrevano a casa dei parenti. Niente sport,né cose simili che ci possano far capire dove hanno incontrato l’SI. Il suo ginecologo e il loro medico lavorano in una clinica a pochi km da casa loro. E ,indovina un po’?Non è quella in cui va Rudy Derryll,la donna rapita ieri pomeriggio. Il suo ginecologo era il suo vicino di casa,un amico di famiglia che gli aveva procurato la casa e aveva aiutato il ragazzo di lei,Matthew,a trovare un lavoro come elettricista presso una ditta abbastanza importante. Anche loro non uscivano spesso.Rudy quando non era all’università si chiudeva in casa a studiare o stava ore a casa del vicino-ginecologo,spesso faceva anche dei lavoretti per lui,tipo tenergli i bambini. Malgrado vivesse in periferia quest’uomo è molto rinomato nel suo campo e se non fossero stati amici Rudy non avrebbe mai potuto permettersi un medico bravo,e caro,come lui. Il marito lavorava molto per guadagnare il più possibile dato che sapeva che avrebbero avuto bisogno di molti soldi per il bambino e,con Rudy concentrata sugli studi,l’unico stipendio che entrava era il suo. Tornava a casa a ora di cena e la mattina usciva molto presto,ma il week-end spesso stavano a casa entrambi e ne approfittavano per fare dei giri della città per conoscerla meglio e ambientarsi. Nemmeno Lisa Stanley ha lo stesso ginecologo di una delle due,o qualsiasi altra cosa in comune. Lei andava da quello  che viene definito il migliore sul mercato,dopotutto potevano permetterselo.A differenza delle altre due coppie loro frequentavano molti circoli,club e cose simili. Ti ho già inviato gli indirizzi sul tuo cellulare,ma dubito che ti saranno utili,è tutta roba da snob che non ha niente a che vedere con le altre vittime…..
A proposito Rudy e Matthew Derryll sono stati ritrovati?-
-Ancora non ci sono giunte notizie,ma secondo i miei calcoli entro mezz’ora,se non di meno,saranno già all’ospedale-
-Come fai ad esserne così certo?Insomma,non potrebbe essere che…….-
Mentre la donna parlava un agente si avvicinò a Spencer.
-Dr.Reid…Hanno appena ritrovato i Derryll in un vicolo vicino casa loro. Li stanno portando all’ospedale-
-…..Ti stia sbagliando?Reid tu mi fai sempre più paura.-
Lui  sorrise
-Grazie dell’aiuto Garcia.Comunque credo anch’io che i posti frequentati dagli Stanley non ci siano molto d’aiuto,ma vale la pena tentare,non credi?Ora devo andare. Sei sempre la migliore-
-Lo so!Ti lascio alle tue stregonerie,mio piccolo mago.-
Adorava Garcia,tutti la adoravano.
Riusciva sempre a tirargli su il morale,anche quando non voleva,lei gli illuminava la giornata e ogni giorno lui ringraziava il cielo perché gli aveva donato un’amica così.
Sorrise e raggiunse la macchina,componendo il numero di Hotch.
-Dimmi Reid,sei riuscito a fare il profilo geografico?-
-No,mi dispiace,avevo troppi pochi elementi-
Il suo capo sapeva perfettamente sin dall’inizio che non sarebbe mai riuscito a farlo,ma aveva anche capito che aveva bisogno di stare da solo per un po’ e così gli aveva affidato quel compito impossibile.
-Allora perché mi hai chiamato?-
-Hanno ritrovato i Derryll e li stanno portando in ospedale. Io sto andando là-
-Ok.Ti raggiungiamo subito-
Detto questo Hotch fece inversione di marcia.
-Che è successo?-chiese Kim
-Hanno ritrovato l'ultima coppia.Ora la donna è al pronto soccorso e noi dobbiamo interrogarla il prima possibile,finché i ricordi sono più vividi. Quindi reggetevi forte-rispose l’uomo premendo il piede sull’acceleratore.
Quando arrivarono i primi che videro furono JJ,Morgan e Prentiss.
Le due donne stavano cercando di farsi dire qualcosa da Derek,ma lui non avrebbe detto una parola,lo si poteva capire dal sorriso furbesco,compiaciuto e un po’ maligno dipinto sul suo volto e dal luccichio nei suoi occhi.
 
I tre nuovi arrivati si avvicinarono senza farsi notare e si misero ad ascoltare in silenzio.
-Morgan,devi dircelo!-disse JJ
-Potremmo anche esserti utili!-aggiunse Prentiss
-Oh,no,no,no!Non mi sareste per niente d’aiuto. E poi se ve lo dicessi sono certo che vi lascerete sfuggire qualcosa-
-Ma non diremmo nulla a Reid!!-esclamarono le due all’unisono
-Forse non glie lo direste,ma glie lo fareste capire-
-Fargli capire cosa?-domandò Rossi che,curioso com’era,non era riuscito a trattenersi
-Morgan sta organizzando una sorpresa al nostro genietto,ma non ci vuole dire cosa!-disse Emily facendo la linguaccia all’amico.
Ma forse David aveva capito più di quanto non volesse far intendere perché,lanciando uno sguardo a Derek,esclamò:
-Beh,se non vi vuole dire cosa sta organizzando per Reid avrà i suoi buoni motivi no?-
-A proposito….Dov’è Spencer?-domandò Hotch distogliendoli da quel piccolo battibecco,abbastanza inutile dato che Morgan avrebbe tenuto la bocca cucita.
-Ah!Spence sta parlando con il medico che ha visitato Rudy.Per parlare con lei ha preferito aspettarti-
-Bene.Voi cosa avete scoperto?-
-La signora Berkley ci è stata molto d’aiuto-rispose Derek mentre le sue colleghe trattenevano a stento le risate,come due studentesse del liceo.
Ma Morgan fece finta dio niente e continuò.
-Ha detto che sono stati rapiti da una signora con i capelli biondi e mossi che si fingeva incinta anche lei. Con un trucco l’ha stordita,con il cloroformio,e suppongo che abbia minacciato il marito per farsi aiutare a portarla nel furgoncino con cui li ha portati in quella che a Sarah è sembrata una casa abbandonata. Li teneva in un seminterrato senza finestre. Si fa beffe dei mariti e inietta alle donne una sostanza che induce il parto. Da ciò che dice Sarah era interessata alla sua salute,ma nel racconto della signora Stanley questo interesse manca. In più gli Stanley li ha rapiti minacciando il loro bambino e si è preoccupata di mettere una benda sugli occhi della donna,dato che il nostro SI ha una voce talmente bassa da poter essere scambiata per un maschio-
-Si sta evolvendo. Ora vediamo cosa ci può dire la signora Derryll-disse Hotch incamminandosi verso la stanza dove si trovava Rudy.
La camera era alla fine del corridoio e quando la raggiunse una giovane infermiera lo fermò.
-Signore,la prego di andarci piano. La signora Derryll è ancora sotto shock e non vorrei che le vostre domande acutizzassero il trauma. Non è proprio possibile rimandare quest’interrogatorio  a quando avrà recuperato un  po’ di serenità?-
-Mi dispiace signorina,ma ciò che ci può dire ora potrebbe essere di fondamentale importanza per….-
-Trovare il suo bambino. Si,lo so me l’ha già spiegato il suo collega. Allora ,come ho detto a lui,la prego di fare attenzione a ciò che dite,per non compromettere la sua salute mentale-
-Staremo attenti glie lo prometto-giurò l’agente entrando nella stanza.
La prima cosa che notò fu il silenzio.
Reid non stava parlando,ma sedeva in silenzio accanto la letto della donna con le mani poggiate sulle sue.
Sentendo la porta aprirsi alzò lo sguardo.
.-Hotch,dorme. Non so se dovremmo svegliarla-
-Non si preoccupi agente,sono sveglia e dubito che riuscirò a dormire ancora per un po,per quanto io mi sforzi. So perché siete qui,risponderò a tutte le vostre domande,ma prima ditemi……Avete trovato mio figlio?-
-Mi dispiace signora non l’abbiamo ancora,ma faremo del nostro meglio - le rispose Hotch,mentre Spencer,sorpreso dal “risveglio” della donna,faceva scivolare le mani giù dal letto.
Ma la donna lo bloccò
-La prego agente,non lo faccia. La sua mano è l’unico conforto che abbia avuto finora e ne ho davvero bisogno. Non sono stupida,anche se non lo direste mai so che è praticamente impossibile che io riveda mio figlio e l’uomo che dovevo sposare è stato ucciso davanti a me.
Io sono praticamente sola in questa città,quindi nessuno verrà al mio capezzale. Tranne voi.
Perciò,agente,non lasci la mia mano .La prego-
La voce supplicante di lei colpì il giovane genio,il quale prese allora la sua mano e la strinse tra le proprie.
Hotch cominciò subito a interrogarla.
-Dov’eravate lei e Matthew quando siete stati rapiti?-
-Stavamo facendo una passeggiata sul lungomare. Era una bella giornata e dopo saremmo andati a fare l’ultima ecografia prima del parto-
-Come ha fatto a rapirvi?-
-Abbiamo sentito una voce in un vicolo che chiedeva aiuto,allora siamo accorsi. Ma appena siamo arrivati qualcuno mi ha preso alle spalle e mi ha puntato un coltello alla gola. Non ho visto la sua faccia,ma ho sentito che diceva a Matthew Poi lo ha costretto a salire su un furgoncino e poi mi ha spinto dentro,ha chiuso il port4ellone e ha messo in moto. Dalla voce suppongo fosse la stessa persona che chiedeva aiuto-
-Quanto tempo siete rimasti nella macchina?-
-Non saprei dire. Forse un’ora,forse di meno o di più. Ho perso il senso del tempo-
-Non importa. Quando vi siete fermati cosa è successo?-
-Ha aperto il portellone e mi ha nuovamente puntato il coltello alla gola. Non l’ho vista in faccia neanche questa volta perché il suo volto era coperto da un passamontagna. Ha costretto     Matthew a seguirla e a bendarmi per non farmi sapere dove stavamo andando. So solo ch abbiamo salito e sceso dei gradini,ma non saprei dire quanti.-
-Non importa. Cosa è successo dopo?-
-Mi ha fatto stendere su un lettino,suppongo,e poi mi ha tolto la benda e mi ha iniettato qualcosa nel braccio. Mi erano già cominciate le doglie,ma poco dopo “l’iniezione” che mi ha fatto si sono intensificate. Poi Matthew si è ribellato e ha cercato di colpirla,ma lei lo ha visto e lo ha colpito alla testa con un bastone e quando è svenuto lei lo ha…..-
La ragazza smise di raccontare per qualche secondo mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Ma le ricacciò indietro e,ingoiando il suo dolore continuò il racconto.
-Aveva ancora ili suo sangue sulle mani quando ha preso in braccio il mio bambino. Me lo ha fatto vedere <è un maschio>mi ha detto. Sa,io e Matthew non avevamo voluto sapere il sesso di nostro figlio e adesso probabilmente tutto ciò che mi resterà di lui sono quelle ecografie che non avevo voluto vedere……
Dopo sono svenuta e mi sono risvegliata in quel vicolo accanto al cadavere di Matt senza sapere dove sia il mio bambino-
Non voleva piangere,ma il suo corpo tremava,non avrebbe resistito ancora per molto così.
Hotch la ringraziò per le preziose informazioni e uscì dalla stanza.
Reid stava per seguirlo,quando sentì la mano della donna stringere più forte la sua.
-Ti raggiungo fra un secondo Hotch-gli disse e,quest’ultimo,uscendo poté vedere,attraverso la finestra che dava sulla stanza,Rudy in lacrime avvolta dalle braccia di Reid.
Quando raggiunse gli latri per raccontargli ciò che aveva detto loro la ragazza,la loro prima domanda fu:
-Dov’è Spencer?-
-è rimasto nella camera della signora Derryll,ma ci raggiungerà tra poco. Comunque malgrado fino a dentro la stanza in cui è stata fatta partorire sia stata bendata,dopo ha potuto vedere sia l’uccisione del fidanzato che la nascita del suo bambino. Il nostro SI sapeva anche che i Derryll non avevano voluto conoscere il sesso del bambino e quindi si è preoccupata di dirglielo quando gli ha mostrato il figlio. In più,sia ai Derryll che ai Berkley l’SI ha parlato oltre a permettergli di vedere tutto. Agli Stanley invece non è stato concesso e a loro non ha nemmeno parlato. Con loro la cosa è stata più personale.-
Mentre parlava Reid si era avvicinato a loro e,quando l’uomo ebbe finito di parlare,riferì ciò che il medico aveva detto a lui.
-Il nostro SI ha usato la pitocina per indurre il bambino a nascere,ma sapeva perfettamente come fare poiché la donna non ne ha in alcun modo risentito. In più la pitocina,usata anche con le altre vittime,non è un ormone facile da reperire. Quindi bisogna cercare qualcuno con la formazione necessaria e la possibilità di prenderla senza destare sospetti. Qualcuno abituato a indurre il parto-
-Ma deve anche essere molto abile a camuffarsi poiché le descrizioni di ciò che hanno potuto vedere e sentire date dalle vittime sono discordanti tra loro,anche se l’SI è sicuramente lo stesso-disse Morgan
-Chiama Garcia e dille di cercare medici e ostetriche donne,e di fare un controllo incrociato con truffatori,ma anche attori e doppiatori-conluse Hotch
-Se è davvero così abile nascondersi potrebbe essere un uomo,ma da come si comporta non penso lo sia,non possiamo escludere che sia stato un doppiatore o un truffatore o un attore dato che tutte e tre le categorie sanno camuffare la voce e spesso anche l’aspetto-aggiunse l’uomo mentre Derek componeva il numero dell’analista
-Ehi bambolina!Potresti fare un controllo incrociato tra medici e ostetriche e quelli con u passato o da attori,doppiatori o da truffatori-
-Per te questo e altro mio dolce cioccolatino,mio angelo nella città degli angeli-
Mentre parlava al telefono si allontanò furtivamente dal resto del gruppo
-Senti piccola avrei bisogno di un grosso favore…..-
 
-è troppo tardi oramai. Meglio che andiamo a dormire,altrimenti domani non saremo abbastanza lucidi e la vita di un neonato dipende da noi-disse Hotch quando il collega,finita la sua conversazione con Penelope,si  era riavvicinato a loro.
Tutti si avviarono al proprio SUV.
Tutti tranne Reid.
-Hotch…..Io preferirei rimanere qui questa notte-
Il suo capo lo guardò interrogativamente
-so che la donna non corre alcun pericolo,ma….Dal Kansas non verrà nessuno a sostenerla,il suo fidanzato,praticamente l’unica persona che conosceva in questa città,è morto e forse suo figlio farà la stessa fine. Io non me la sento di lasciarla sola-
-Se vuoi puoi restare,basta che non influisca sul tuo lavoro in nessuna maniera. Ti voglio al massimo della forma per trovare il bambino. Ed è soprattutto di questo che ha bisogno-
Detto questo l’uomo se ne andò,lasciando Reid da solo nella sala d’attesa dell’ospedale.
Il giovane agente sperava che la signora Derryll nel frattempo fosse riuscita ad addormentarsi poiché doveva sere davvero stanca dopo tutto quello che aveva passato.
Così cercò di fare meno rumore possibile entrando nella stanza.
Ma la ragazza era ancora sveglia e con gli occhi umidi.
-Buonasera agente. Ha altre domande da farmi?-
-No-
-Bene perché avevo già detto prima tutto ciò che sapevo-
La donna s’interruppe un secondo guardandolo interrogativamente.
-Allora perché è qui?-
Sperava che questa domanda non sarebbe arrivata.
-Dubito che sia qui per proteggermi in caso il rapitore tornasse. Ho letto molto di questo caso e poi studio criminologia;so che non gli interesso,non sono in pericolo. Allora parchè lei è qui?-
-Ha ragione signorina,io…..-
-Ti prego diamoci del tu e…..chiamami Rudy-
-Come vuoi Rudy.Io…..-
Ma non ci fu bisogno che dicesse altro,lei aveva già capito.
-Grazie agente-
-Chiamami Spencer - le disse lui prendendole la mano.
Lei chiuse gli occhi.
-Grazie Spencer - mormorò mentre,sentendosi,finalmente al sicuro,sprofondava nel sonno.
Reid invece rimase sveglio.
Sapeva cosa voleva dire essere rapito e sapeva anche che non sarebbe stata una notte tranquilla. Non sarebbe stata per niente una notte tranquilla…………………………..
  Scusate per la brevità del capitolo spero solo che la storia sia minimamente di vostro gradimento.mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate(sia che il vostro giudizio sia positivo sia che sia negativo). Attendo quindi le vostre recensioni

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Capitolo 4
*** una notte in ospedale e un profilo ***


per vg96 mia correttrice di bozze e compagna di scleri spero ti piaccia

Rudy si svegliò urlando
-Matthew! Matthew!-
-Stai tranquilla Rudy, era solo un brutto sogno. Adesso è tutto bene, ci sono qui io con te-le disse Spencer stringendola tra le braccia.
-Ma Matthew non c’è più. Non lo rivedrò mai più-mormorò lei mentre la sua voce si spezzava in singhiozzi.
Erano le due di notte e fuori il buio avvolgeva ogni cosa, ma in quella stanza d’ospedale una piccola luce illuminava lo sguardo stanco del giovane agente.
Non aveva dormito un secondo, ma quando aveva deciso di restare lì questo lo sapeva già.
Aveva vegliato il sonno della donna tutta la notte, perché sapeva che gli incubi non l’avrebbero lasciata dormire tranquillamente.
E aveva avuto ragione.
Non era infatti la prima volta che si svegliava chiamando Matthew.
La prima volta si era alzato di scatto dalla sedia ed era corso a consolarla.
Appena si era riaddormentata si era riseduto ed era rimasto sveglio a guardarla dormire, perché sapeva che se si fosse addormentato e lei avesse fatto un brutto sogno non lo avrebbe di certo svegliato per cercare conforto.
Ma presto si era reso conto che era inutile tornare alla sua sedia.
Anche quando non si svegliava Rudy continuava ad agitarsi nel sonno, rivedendo mille e più volte la morte del suo amato e il viso del suo bambino che sapeva non avrebbe mai più rivisto.
Allora Reid si era seduto sul letto e Rudy aveva appoggiato la testa sul suo petto.
Il battito del suo cuore l’aveva cullata calmandola un po’,così lei aveva chiuso gli occhi, mentre Spencer le accarezzava i capelli, sussurrandole parole tranquillizzanti, come faceva con sua madre quando aveva i suoi attacchi.
Con lei funzionava e sperava che funzionasse altrettanto bene con lei.
All’inizio le infermiere, sentendo le urla disperate della ragazza, accorrevano preoccupate, ma ogni volta la trovavano singhiozzante con la faccia affondata nel petto di Reid, mentre con le mani si teneva con forza alla sua camicia, come se temesse di poter scivolare via dalla vita e lui fosse la sua unica ancora di salvezza.
E ogni volta lui faceva loro cenno che era tutto a posto e che potevano andare.
Rudy, presa dal suo dolore non si accorgeva del loro arrivo e tanto meno di quando se ne andavano, e Spencer sperava che non se ne accorgesse mai.
Lei voleva sembrare forte e non voleva che nessuno si accorgesse di quanto in realtà soffriva.
Se avesse saputo di essere stata vista piangere si sarebbe solo sentita peggio.
E adesso erano ore che stava lì, a controllare che andasse tutto bene, che Rudy non si svegliasse, che non piangesse e soprattutto che non si sentisse sola, che sapesse che lui non l’avrebbe mai abbandonata a se stessa, ma che le sarebbe stato vicino finché lei avesse voluto.
Continuava ad accarezzarle i morbidi capelli castani, sperando che riuscisse a dormire almeno un’ora senza svegliarsi, perché ne aveva davvero bisogno.
Vederla stare così male lo faceva soffrire, solitamente non era una persona molto empatica, ma dopo che Raphael l’aveva rapito la sua empatia aveva cominciato ad aumentare e l’arrivo di Zack e Andrew aveva fortemente contribuito.
Morgan gli aveva detto che era una cosa positiva, che l’avrebbe aiutato a risolvere meglio i casi, ma in quel momento non avrebbe voluto sentire il suo dolore.
Avrebbe voluto rendere sua la sofferenza di Rudy, ma, non potendo farlo, maledisse il giorno in cui aveva cominciato a capire sentimenti che non gli appartenevano.
Guardò la mano che Rudy aveva continuato a stringere per tutta la notte e che non accennava a voler lasciare, malgrado lui l’avvolgesse nell’abbraccio più confortante e caloroso che fosse in grado di darle.
Non aveva più nemmeno lacrime da piangere, ma continuava a singhiozzare senza accennare a smettere.
Così Spencer le sollevò il viso, costringendola a guardarlo negli occhi, prese un fazzoletto bagnato e le pulì il volto, cancellando le tracce del suo pianto.
-Ascoltami Rudy, tu sei una donna forte e SO  che supererai tutto questo. Fa male all’inizio, ma piano piano il dolore diminuirà, e tu starai meglio. Non dico che passerà, sarebbe una bugia e io non voglio mentirti. Ma tu devi reagire o non riuscirai mai a uscirne-
-Ma come faccio? Matthew era tutto ciò che avevo! È stato lui a convincermi a venire a studiare qui: io non volevo lasciare la mia famiglia, ma lui mi aveva fatto capire che questa era un’opportunità che non potevo lasciarmi scappare se non avessi voluto pentirmene per il resto della mia vita. mi aveva detto -
-Doveva essere una persona davvero fantastica-
-Già, lo era. Mi ritenevo la persona più fortunata del mondo ad averlo accanto, e quando mi ha chiesto di sposarlo….ho pensato che Dio avesse voluto darmi un assaggio di paradiso. Ora mi chiedo perché me l’abbia tolto.-
-Ti va di parlarmi di lui?-
-Lui era uno dei ragazzi più belli del liceo, moltissime ragazze  gli andavano dietro, anche alcune di quelle super popolari gli facevano la corte. Ma a lui non importava. Lui si concentrava sugli studi e nel frattempo imparava dal padre il mestiere di elettricista. Non era raro trovarlo in biblioteca, sepolto dai libri. Ed è lì che ci siamo diventati amici. Eravamo in primo liceo e io avevo preso tutti i libri che c’erano sulla criminologia e sul profiling, dato che mi aveva sempre appassionata. Ma maldestra come ero li feci cadere e lui mi aiutò a raccoglierli. Da allora siamo stati inseparabili…….sai, lui ha rinunciato all’università per me, perché qualcuno di noi doveva pur lavorare se volevamo vivere qui, ma gli sarebbe piaciuto così tanto studiare….-
Raccontare di Matthew sembrò calmarla.
A Los Angeles non aveva nessuno con cui condividere quei ricordi, ma ricordare tutti i momenti belli che aveva passato con lui le liberava la mente da ciò che era successo in quella casa.
Parlò per ore e quando finalmente il sonno la vinse stava già sorgendo il sole.
Anche gli occhi di Reid avevano cominciato a chiudersi, ma non era destino che lui riuscisse a dormire, nemmeno per un paio di minuti, perché appena si abbandonò al buio dietro le palpebre il suo cellulare squillò.
Grazie a Dio era in silenzioso, altrimenti Rudy si sarebbe svegliata subito, ma Spencer sussultò comunque e mentre lo tirava fuori dalla tasca incrociò le dita, sperando che la ragazza, che con tanta fatica si era addormentata, continuasse a dormire anche mentre lui rispondeva.
-Pronto?-disse con la voce impastata dal sonno, ma ben attento ad averla mooolto bassa mentre, con la mano libera dall’abbraccio, si stropicciava gli occhi.
-Spence?-
-Si? Chi parla?-
-Sono JJ!-
-Scusa, non ti avevo riconosciuta-
-Spence, ma da quant’è che non dormi?-
-Circa un giorno e mezzo, forse due. Perché?-
-Spencer! Ma sei matto?!Lo sai che bisogna sempre essere al massimo delle forze quando ci occupiamo di un caso!-lo sgridò lei, in realtà più preoccupata per la salute dell’amico che per come ciò avrebbe influito sul suo lavoro.
-Beh, diciamo che sul Jet ho fatto finta di dormire per la maggior parte del tempo e oggi……………..
Comunque penso che Hotch sapesse che non avrei dormito questa notte-
-Si, ma non sapeva che neanche la notte scorsa l’hai fatto!!-
-JJ,non posso parlare. Rudy si è appena addormentata e non voglio assolutamente svegliarla, quindi se devi dirmi qualcosa dimmela.-
-Come vuoi, ma il discorso non finisce qui. Comunque vieni alla stazione di polizia perché dobbiamo presentare il profilo il prima possibile e Hotch ti vuole per rifinirlo insieme a noi perché magari la signora Derryll ti ha detto qualcosa che noi non sappiamo. Quindi vedi id venire il prima possibile se non vuoi farlo arrabbiare sul serio e te lo sconsiglio vivamente. Già non ha visto di buon occhio come hai risposto al capitano ieri e…..-
-OK, ho capito, non c’è bisogno che mi fai la predica, gli sguardi di Hotch sono più che sufficienti. Non sono stupido, so leggere le sue espressioni e lo sa anche lui, per questo non mi ha detto nulla. Comunque sarò lì tra una ventina di minuti-
-Va bene, ma penso che sia necessario che io e te ci facciamo una chiacchierata………………..
Ah e…Rilassati, perché nessuno è contro di te-
-Si, lo so. Scusa-sussurrò lui sorridendo, mentre sentiva la tensione sciogliersi.
A volte dimenticava che tutta la squadra voleva solo il suo bene, soprattutto JJ che capiva al volo ogni suo pensiero.
Conclusa la telefonata Reid sciolse gentilmente l’abbraccio con cui avvolgeva Rudy, facendo molta attenzione a non svegliarla, si diede una sciacquata e prese la sua fedele tracolla, pronto per uscire.
Poi però si rese conto che, se la ragazza non lo avesse trovato al suo risveglio, probabilmente sarebbe stata presa dal panico e la calma che era riuscita a conquistare con tanta fatica si sarebbe volatilizzata e lui voleva in tutti i modi evitarlo.
In più voleva che lei potesse contattarlo subito in qualsiasi momento ne avesse avuto bisogno, così prese il suo biglietto da visita e scrisse sul retro un messaggio per lei: “Sono dovuto andare alla stazione di polizia, mi puoi trovare lì. Comunque se hai bisogno puoi chiamarmi a qualsiasi ora. Appena posso vengo da te ok? Si forte mi raccomando”
Lasciò il biglietto sul comodino di fianco al letto, assicurandosi che lei lo vedesse appena avesse aperto gli occhi, e andò via, chiudendo lentamente la porta.
Raggiunse il resto della squadra che non erano ancora le 7,ma gli latri erano già al lavoro.
-Reid, finalmente sei arrivato!-lo accolse gioiosamente Morgan
-Che faccia che hai! Ma che è successo?-continuò l’uomo, che fu liquidato da Spencer con un cenno della mano. Poco dopo arrivò JJ con una gigantesca tazza di caffè in mano.
Ti ho sentito arrivare e ho pensato che ne avresti voluto uno. Molto zuccherato, come piace a te-gli disse lei porgendogli la bevanda.
-Chiamalo pure zucchero bagnato con il caffè-lo prese in giro Derek, ricevendo in risposta dal giovane una buffa smorfia di fastidio.
-Sei davvero simpatico.- aggiunse.
Poi guardò l’amica.
-Grazie mille JJ, sei la mia salvezza!-le disse infine con uno sguardo ricolmo di gratitudine e adorazione.
Morgan sorrise e di certo non si sarebbe risparmiato una delle sue battute, ma non fece in tempo a dire nulla perché Hotch,Prentiss e Rossi entrarono nella stanza proprio in quel momento
-A che punto siamo con il profilo?-chiese il capo della squadra appena li raggiunse, scrutando il volto stanco del più piccolo del gruppo.
-Lo abbiamo quasi finito. Quanto tempo abbiamo ancora?-
-Al massimo un’ora, ma vorrei presentarlo prima se possibile-
Poi si rivolse a Reid
-Com’è andata in ospedale?-
-Abbastanza bene, ma non vi posso essere molto d’aiuto. Rudy non mi ha detto nulla più di quello che ha detto a voi-
-E allora cosa hai fatto tutta la notte?-lo canzonò Derek
-Ho  lottato contro incubi per la prima volta non miei-rispose Spencer, lasciando l’amico di sasso.
Il collega color cioccolata non aveva minimamente pensato alla nottataccia che il genietto doveva aver passato, né a quanto gli incubi di Rudy avessero risvegliato i suoi ricordandogli Raphael.
-Forza ragazzi abbiamo un profilo da presentare-concluse Hotch e mentre usciva  diede una pacca sulla spalla a Reid.
-Se hai bisogno di parlare con qualcuno io ci sono-gli sussurrò prima di lasciare la stanza.
Lui lo ringraziò mentalmente, ma sperò di non doverlo fare, perché avrebbe significato che era arrivato al punto di rottura.
Usciti dalla sala la squadra  si trovò davanti a interi dipartimenti riuniti in quella stazione di polizia speranzosi che il profilo gli desse maggiori strumenti per catturare il serial killer che terrorizzava la loro città.
Morgan cominciò a parlare
-Il killer che cerchiamo è una donna tra i 30 e i 40 anni che ha subito un trauma, probabilmente il marito è morto o l’ha abbandonata e lei ha perso il bambino che aveva in grembo senza averlo mai visto, quindi lo cerca tra i neonati di altre coppie e, quando si rende conto che non è il suo viene assalita dalla rabbia e lo uccide.-
-il piccolo deve esserle stato portato via e vuole che anche le altre donne sappiano cosa si prova. Non vuole torturarle, infatti permette loro di vedere i bambini e si preoccupa della loro salute, vuole solo che comprendano il suo dolore.
 Prova un grande rimorso per aver ucciso i bambini, perciò li seppellisce, fra l’altro in posti in cui sa che verranno ritrovati molto presto, quindi vuole che non rimangano troppo per strada.
Al contrario per i mariti prova solo disprezzo: li tratta male, li uccide con freddezza e li scarica in un vicolo come fossero spazzatura.
Probabilmente suo marito la maltrattava e, dato che nelle donne rivede se stessa, vuole che vedano i mariti per quello che sono: dei deboli che non sono in grado di proteggerle, immondizia che come tale dev’essere trattata-
continuò Prentiss.
-Non ha altri figli. Se ne avesse l’occuparsi di loro la distrarrebbe da questa sua “vendetta”. Vendetta che finora ha avuto il suo apice con la famiglia Stanley.
Non si è identificata con la signora Stanley, non ha interagito con lei e non le ha nemmeno fatto vedere nulla.
Verso di loro provava soltanto rabbia, malgrado durante l’omicidio sia rimasta fredda. Probabilmente li conosceva ed è stata spinta da un motivo personale, infatti si differenziano molto dalla vittimologia.
All’epoca del trauma lei e suo marito dovevano vivere in ristrettezze economiche poiché predilige le vittime di bassa estrazione sociale che a malapena arrivano a fine mese-
s ’intromise Reid.
-è un medico o un’ostetrica poiché sa perfettamente come indurre il travaglio e può procurarsi la pitocina, ormone indispensabile per questo processo, senza destare sospetti, ma ha un passato da truffatrice, doppiatrice o attrice.
Tutti gli appartenenti a queste categorie sanno camuffarsi e la nostra SI lo sa fare molto bene, infatti le 3 vittime sopravvissute danno descrizioni discordanti tra loro, per quanto poco sono in grado di dirci di lei-
concluse Rossi.
Poi, prima che i poliziotti tornassero al lavoro, Hotch parlò
-Questa SI si fermerà solo quando la prenderemo.
Sta cercando un bambino che non può trovare, più il neonato somiglia a come si immagina questo figlio che non ha mai visto, più sopravviverà, ma prima o poi si renderà conto che quello che ha tra le mani non è il suo bambino e lo ucciderà.
 Adesso ha il figlio dei Derryll, ma presto passerà a un’altra famiglia fino a che non arriverà alla persona che ritiene responsabile di ciò che le è successo.
Dobbiamo fermarla il prima possibile, quindi, mi raccomando, massimo impegno.
Cerchiamo di riportare a Rudy Derryll  suo figlio-
Detto ciò gli agenti uscirono dalla stanza e la squadra tornò al lavoro con la speranza di trovare il piccolo vivo, malgrado fossero tutti consapevoli di quanto fosse improbabile

nota:per prima cosa scusate:il capitolo è minuscolo ma non potevo fare altrimenti prometto che il prossimo sarà più lungo.ringrazio chi ha messo questa storia tra le preferite e tra le seguite,chi ha voluto recensire e anche chi ha semplicemente letto.grazie a tutti per il vostro tempo
 
 

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Capitolo 5
*** mi preoccupo per te ***


Garcia era circondata dai suoi schermi nella sala dei monitor, come la chiamava Gideon.
Su ognuno di essi erano presenti cose diverse: le foto delle famiglie, delle scene del crimine e, su quello che aveva davanti, una lista di nomi.
Morgan l’aveva chiamata di sera tardi, quando lei stava andando via, così aveva rimandato tutto al giorno seguente.
Tutto tranne il favore che il suo cioccolatino le aveva chiesto come favore personale.
Per quello ci era voluto talmente poco che aveva potuto inviargli subito ciò che aveva chiesto.
Ma la ricerca che doveva fare era molto più complicata e ci si era dedicata appena era arrivata al lavoro.
E  adesso aveva finalmente concluso, così chiamò Derek, ma il suo telefono era spento, forse stava ancora dormendo, quindi chiamò Reid: lui di certo avrebbe avuto il cellulare acceso per il semplice motivo che spesso si dimenticava di averlo e perciò di spegnerlo.
Non avrebbe voluto svegliarlo, ma peggio sarebbe stato svegliare uno degli altri membri della squadra, così compose il numero sperando che non stesse dormendo.
-Pronto?-
La fortuna non gli aveva sorriso, dalla voce si capiva che il giovane agente era profondamente immerso nel regno dei sogni quando aveva sentito la suoneria squillare.
-Oddio Reid! Che ti ho svegliato?!-
-Veramente si-rispose quello ancora non completamente sveglio
-Mi dispiace tantissimo! Scusa io non sapevo chi chiamare oltre a Morgan, ma lui non risponde e allora io ho pensato di chiamare te, ma non volevo svegliarti! Ti prego scusa, scusa…..-
Continuò l’analista parlando a velocità stratosferica ,ma non riuscì a finire la frase perché  Spencer la interruppe.
-Garcia,se dovevi dirmi qualcosa dimmela, altrimenti, ti prego, fammi tonare dormire ok?-
-Giusto, hai ragione. Allora volevo solo dirvi che ho la lista-
-Quale lista?-
-Ma quella dei medici e delle ostetriche che…..-
-Ah si, ho capito. Quella lista.-
-Ve la mando subito sui vostri palmari. È che credevo fosse molto urgente, così ho pensato di chiamarvi-
-Grazie, hai fatto bene-
Sentendolo un po’ strano Garcia si preoccupò.
-Reid, cos’hai?-
-Nulla perché?-
-Sei….diverso dal solito-
-Non ho nulla lo giuro-
-Piccolo, non mi mentire, non ne sei capace-
Mentre parlavano Andrew entrò nella stanza, ma non si accorse che la bionda era al telefono.
-Garcia?-la chiamò il ragazzo.
La donna gli fece segno di andare via e stare zitto, ma lui rimase lì.
-C’è qualcuno con te?-
Le parole di Reid furono udite da entrambi dato che, prima che arrivasse Andrew, lei aveva messo il vivavoce
-No, perché?-ripose l’analista mentre continuava a dire silenziosamente al ragazzo di uscire.
-Sarà stata una mia impressione, ma mi sembrava di aver sentito Andrew. Adesso sento anche le voci-disse sarcasticamente, ma con voce stanca.
La donna, convinta che il ragazzo non stesse ascoltando e sempre più preoccupata per l’amico, decise di costringerlo a dire cosa non andasse.
-Reid, qual è il problema? Dimmi la verità-
-Non è niente. È una stupidaggine, davvero. Posso farcela da solo.-
-Non ho dubito che tu possa farcela da solo, ma se vuoi farmi stare tranquilla devi dirmi cosa ti tormente-
Spencer rimase in silenzio qualche secondo.
Non voleva dire qual’era il problema e quanto lo stesse consumando, ma una Garcia preoccupata in quel momento per lui sarebbe stato ancora peggio.
Magari lo avrebbe anche aiutato a trovare una soluzione cercò di convincersi.
-È solo che non sono  certo di essere la persona adatta-disse infine
-Adatta per a cosa?-
-Adatta per loro-
-Per chi? Andrew  e Zack?-
-Si. Io vorrei per loro la vita migliore possibile, vorrei farli stare bene, ma non ci riesco-
-Come non ci riesci? Non ho mai visto ragazzi più entusiasti della loro vita di quei due!-
-Ma non riesco a tenerli lontani dal mio lavoro! Quando prima ho creduto di sentire la voce di Andrew, la mia prima preoccupazione è stata che non vedesse le immagini delle scene del crimine. E lui cosa vuole fare da grande? Il profiler! Insomma io lo incoraggerei qualsiasi cosa decidesse di fare, ma non credo che sia davvero il lavoro che desidera fare. Vorrei solo che si sentisse libero di essere se stesso-
-Ehi cucciolo, ma pensavi davvero che sarebbe stato tutto così facile? Che non ci sarebbe stato nessun problema? Insomma, hanno vissuto fino a poco fa in una famiglia che non è degna di questo nome, che li maltrattava fisicamente e psicologicamente. Non sanno comportarsi davanti all’affetto gratuito che tu gli stai dando. Sanno che possono essere loro stessi, ma probabilmente non sanno ancora chi sono.-
-Forse hai ragione-
-E….tranquillo, Andrew capirà presto qual è la sua strada-
Reid ascoltò in silenzio le  saggie parole della donna che però non riuscivano a fermare il suo tormento interiore.
-Grazie Garcia-disse.
Stava per chiudere la conversazione quando lei lo fermò.
-Scusa cicciolo, ma qual è il problema di Zack?-
-Non te l’ha detto Morgan l’altro giorno?-
-Non, ha detto che avrei dovuto chiedere a te-
Il giovane maledisse l’amico che l’aveva costretto a dover rivelare la sua ennesima incapacità.
Stava per rispondere quando qualcuno bussò alla sua porta.
-Vorrei solo che non buttasse la sua vita per quello che è successo. Io gli voglio bene lo stesso, tutti glie ne vogliono. Vorrei solo che lo capisse-concluse andando ad aprire la porta, come se quella  spiegazione esaurisse la domanda.
Fuori dalla camera c’era JJ, così si vide costretto a salutare l’analista
-Grazie ancora. Sei sempre la migliore Garcia!-
-In bocca al lupo genietto-rispose lei, lasciandolo alla bionda appena arrivata.
-Buongiorno Spence-
-Buongiorno JJ, cosa ci fai qui a quest’ora? Pensavo stessi ancora dormendo, sono le 6:00-
-Ho sentito che eri sveglio e sono venuta a vedere come stavi, dato che ieri non sono riuscita a parlarti-
Sul volto del giovane agente si dipinse uno sguardo interrogativo
-Ho la camera accanto alla tua e i muri sono talmente sottili che si sente tutto, in più da quando è nato Henry il mio sonno si è fatto mooooolto più leggero. Così ho sentito la tua voce e ho pensato di venire da te-
-Non dovevi preoccuparti JJ, io sto bene-
-Non credo: non dormi da 2 giorni e oggi ti sei svegliato alle 5:30-
La donna si chiuse la porta alle spalle.
-Non c’è bisogno che parli se non vuoi, so cosa provi. Ma sappi che ogni volta che vorrai io sarò qui per te-
Poi lo abbracciò e gli sussurrò-Stai facendo del tuo meglio e ti sta riuscendo benissimo: per loro sei fantastico, il migliore in assoluto. E anche secondo me-
-Grazie JJ, sapevo che avresti capito-
Lei sorrise.
Quel momento fu interrotto dai loro cellulari che squillarono in contemporanea.
Era un ,messaggio del capo.
-Or ti lascio a prepararti. Hotch ci vuole alla stazione di polizia al più presto. Io ti aspetto in macchina-concluse la donna lasciandolo solo.
Si buttò subito sotto la doccia.
Avrebbe voluto avere più tempo per schiarirsi le idee e lavare via ogni pensiero negativo, in più era stanco morto.
JJ non lo sapeva, ma lui era andato in ospedale anche quella notte.
Rudy l’aveva chiamato, gli aveva detto di non preoccuparsi, che lei stava meglio e lui poteva anche andare a dormire in albergo, lei poteva cavarsela da sola.
Ma lui non le aveva creduto ed era andato da lei, così aveva passato anche quella notte insonne a calmare i suoi incubi.
Verso le 4:30,dato che sembrava essersi riuscita ad addormentarsi definitivamente, lui le aveva lasciato un biglietto ed era tornato in hotel.
Sapeva che né Hotch né il resto della squadra gli avrebbe perdonato un’altra notte in bianco, ma lui sentiva il dovere di farlo, così aveva fatto molta attenzione a non fare alcun rumore che avrebbe potuto svegliarli, e, grazie a Dio, il sonno di JJ non era così leggero.
Sperava solo che non se ne accorgessero e che ciò non influenzasse molto la sua capacità di lavorare.
Certo era che non avrebbe retto ancora per molto, doveva trovare un altro sistema.
 
 
Garcia uscì dal suo “ufficio” per prendere qualcosa da mangiare.
Sapeva che Morgan teneva delle tavolette di cioccolato nel cassetto della sua scrivania: “in caso di emergenza”, diceva lui e da quando glielo aveva detto ogni volta che partivano ne spariva qualcuna.
Credeva che l’open-space fosse vuoto, ma si sbagliava.
La scrivania di Reid era occupata da un ragazzo che, con un orsetto malridotto tra le braccia, stava rannicchiato sulla sedia girevole mentre questa continuava a ruotare.
La bionda lo fermò
-Andrew che ci fai ancora qui? Dovresti essere a scuola!-
-Non volevo fargli questo, non volevo-mormorò l’altro senza nemmeno alzare lo sguardo, come se fosse caduto in trance.
-Di cosa stai parlando?-
-Non volevo, non volevo lo giuro-
-Andrew guardami! Di cosa stai parlando?-gli chiese lei sollevandogli  il volto con una mano
-Io ho sentito tutto. Non dovevo, ma ho sentito tutto-rispose lui con gli occhi lucidi.
-Non volevo farlo preoccupare, non volevo farlo soffrire. Io volevo solo che fosse orgoglioso di me-
Penelope sorrise.
In fondo quel ragazzo e Spencer si somigliavano così tanto.
-Ma lui è già orgoglioso di te: di come hai reagito a tutto quello che ti è successo, di come ti sei ambientato bene. Lui È fiero di te e vuole solo proteggerti perché la cosa che teme di più è che tu possa soffrire ancora. Per questo è così preoccupato per ciò che gli hai detto: questo lavoro ti distrugge a poco a poco, popola di mostri i tuoi sogni facendoti svegliare urlando la notte.
Provoca terribili e inguaribili ferite dell’anima. Io lo vivo dietro a degli schermi, non so tutto quello che sanno loro e non vedo tutto quello che vedono loro e lo trovo comunque terribile; un profiler lavora sul campo, sa tutto e vede tutto, per essere uno di loro devi essere molto forte. Capisci perché non vuole che tu lo diventi? Non perché  crede che tu non sia in grado, ma perché ha paura che ti possa accadere quello che è capitato a lui-
-Cosa è accaduto a lui?-
-Non penso di essere la persona giusta per dirtelo-
Andrew non aveva la forza di protestare così si limitò a stringere di più l’orsetto affondandoci dentro la faccia.
-è il pupazzo di Henry?-gli domandò, ma lui rispose solo con cenno affermativo del capo.
-Come mai lo hai tu?-
-Spence lo tiene sulla scrivania. Dopo lo rimetto a posto-
-Andrew perché non vai a casa?-
-Vorrei aspettare che tornino-
-Non torneranno oggi-
-Lo so, ma oramai è tardi per andare a scuola. Ti prego posso restare qui con te ad aspettarlo? Giuro che quando tre ne andrai andrò via anch’io. Per favore-la implorò con due occhi da cucciolo smarrito.
Gli stessi di Reid.
Garcia non se la sentì di cacciarlo, così on un gesto della mano lo invitò a seguirlo. Prima di tornare nella stanza dei monitor si fermò alla scrivania di Derek.
Aprì il cassetto e tirò fuori varie tavolette di cioccolato di diverso tipo.
-Scegli quale preferisci-disse al ragazzo, il quale ne scelse una fondente.
-Garcia-
-Si?-
-Cos’è successo a Spence?-
-Non te lo posso dire, se vorrà lo farà lui, ma ti prego, non glielo chiedere. Ogni volta he ci pensa è come se lo rivivesse-
Andrew abbassò lo sguardo e digrignò i denti: qualcuno aveva fatto del male al suo eroe!
Quando rialzò il volto si sorprese nel vedere la bionda sorridere.
-Certo che tu e Reid siete proprio uguali: volete sempre sapere tutto! Ma se con lui alla fine ci casco sempre, non  farò lo stesso errore con te. E ora seguimi e fai finta di non esserci quando chiamano ok?-
-Agli ordini, non ti accorgerai nemmeno che sono nella stanza-rispose il ragazzo sorridendo per il paragone con il suo salvatore
-Ma t i prego…..potresti non dire a Spencer che sono stato qui? Per favore-
-Ma sei matto!!Non glielo direi per nulla al mondo, non mi perdonerebbe mai di averti fatto restare!-gli disse lei rassicurandolo Andrew, così terrorizzato all’idea di deludere l’agente disobbedendo ai suoi ordini.
 
 
Malgrado il tragitto non fosse molto lungo Reid dormì per tutto il tempo.
Si era sforzato di tenere gli occhi aperti, ma lo scorrere della strada sotto le ruote lo cullava e la voce della sua amica non gli era mai sembrata così simile a una ninna-nanna.
E lui era stanco, troppo stanco per resistere.
Davvero troppo stanco.
Quando si svegliò notò JJ che lo scuoteva leggermente per le spalle.
-Spence!Spence!Svegliati!-
Lui aprì gli occhi lentamente.
-Finalmente! Sono cinque minuti che provò a svegliarti!-
-Quanto ho dormito?-
-Circa un quarto d’ora, forse di più, non mi sono accorta che stavi dormendo finché non ha chiamato Will-
-Perché ti ha chiamata?-
-Lui ed Henry volevano solo sentirmi. Comunque Henry ha chiesto di parlare con te ed è stato allora che mi sono resa conto che dormivi-
La donna fece una pausa.
-Reid, che ti succede?-
-JJ,mi dispiace non pensavo fosse così grave addormentarmi per dieci minuti!-
-Non è questo e lo sai. Sono solo preoccupata per te-
-Beh, non ce n’è bisogno. Sto bene. Mai stato meglio!-
-Spence! Non hai dormito nemmeno questa notte vero? Sei andato all’ospedale!-
-Che ne sai?!-
-Sei tropo nervoso per aver dormito-
Capendo di essere stato scoperto si vide costretto a confessare.
È stata solo un’altra notte. L’ultima giuro! E poi cosa cambia per una notte?-
-Oh Spence! Comunque mi preoccuperò personalmente che questa sia davvero l’ultima notte insonne che passi, anche perché oggi Rudy verrà dimessa dall’ospedale e tornerà a casa sua-
-Ma non può rimanere da sola. Non deve rimanere da sola! È stata rapita, ha visto il suo uomo morire e suo figlio le è stato portato via. Non è psicologicamente pronta per tornare nella casa dove viveva con lui. Non da sola!!-
-Perché dici questo?-
-Perché io so cosa si prova-
JJ rimase in silenzio.
A volte quasi dimenticava quello che Reid aveva passato per mano di Raphael.
-Troveremo una soluzione. A questo non devi pensare. E non dirò nulla ad Hotch, ma ti prego…..-
-OK. Oggi dormirò. Ho capito,tranquilla,anche perché non credo di poter stare sveglio ancora per molto-scherzò lui.
Tutta la tensione accumulata si sciolse di colpo.
-L’ho notato, ronfavi come un ghiro!-
Entrambi scoppiarono a ridere mentre entravano nella stazione di polizia.
 
-Come mai ci avete messo così tanto?-domandò loro Hotch appena li vide.
-C’era un po’ di traffico-mentì JJ.
-Io non l’ho trovato- ribatté l’altro.
-Infatti l’ingorgo si è creato subito dopo che io e te siamo arrivati. L’hanno detto alla radio-s ’intromise Morgan notando la faccia distrutta di Reid, che nel frattempo si era preparato una gigantesca tazza di caffè, se possibile ancora più grande di quella del giorno prima.
Hotch sembrò credere alla scusa che si erano inventati e si avvicinò alla piantina della città.
Reid stava per seguirlo quando Morgan lo bloccò.
-Oggi ti ho coperto ragazzino, ma lui non è stupido ,ci ha creduto solo perché voleva crederci, ma non credere che si sia bevuto la storia del traffico. E poi tu non puoi continuare così, ti fai solo del male-
Poi gli diede una pacca sulla spalla e raggiunse gli altri.
-Il piccolo Derryll non è  ancora stato ritrovato, quindi c’è ancora una flebile speranza che sia vivo-esordì Rossi
-Ma se non ci impegniamo sono certo anche domani mattina non lo sarà più-
-Secondo i miei calcoli l’SI lo ucciderà oggi, ma potremmo metterci un po’ di tempo a ritrovarlo. E nel frattempo avrà già scelto la prossima vittima-s ’intromise il genio della squadra cercando di levarsi di dosso gli sguardo preoccupati dei colleghi, concentrati sulle sue occhiaie.
-Reid ha ragione, purtroppo la lista inviataci da Garcia è comunque troppo lunga-disse Hotch
-Provo a chiederle di incrociarla con chi ha subito traumi come la perdita un figlio negli ultimi 5 anni-rispose  prontamente Morgan e subito chiamò l’analista.
-Dolcezza sono Derek-
-Dimmi tutto cioccolatino-
-Potresti incrociare i nomi della lista che ci hai mandato  con chi ha perso un figlio, probabilmente un neonato, negli ultimi 5 anni?-
-Certo che posso! Ho sempre portato a termine ogni compito che mi hai dato o sbaglio?-
-Questo devi dirmelo tu-
-Certo che l’ho fatto! E fra poco avrò terminato pure questo. Dammi solo un secondo-
-Tutti quelli che vuoi-
-Ed ecco fatto. Sono una ventina di nomi-
-Sarebbe troppo chiederti ci di loro non ha più il marito o il fidanzato?-
-Hai idea di quante di loro per i database non avevano nessuna relazione?-
-No, direi di no-
-Beh, quasi nessuna era fidanzata o cose del genere quindi……-
-Grazie comunque bambolina-
-Per te questo ed altro tesoro. Ora vi mando i nomi-
-Ti ho mai detto che sei eccezionale?-
-Mai abbastanza spesso-
Quando l’elenco arrivò ai palmari degli agenti questi l’accolsero con espressioni sconsolate.
-Dovremo studiare tutti i loro casi.Reid,JJ,occupatevene voi e cercate un legame con la famiglia Stanley. Oggi ci sarà il funerale del loro bambino. Noi ci andremo: magari il rimorso spingerà l’SI ad andarci-
Detto questo Hotch e gli altri si prepararono e uscirono, lasciando i due agenti da soli.
-Vuoi del caffè?-fu la prima cosa che domandò la donna
-Un’altra tazza non potrà farmi male.-rispose Spencer mentre cercava i fascicoli relativi ai nomi sull’elenco.
-Come sta Rudy?-chiese JJ porgendogli la bevanda.
-Meglio, ma ciò non vuol dire che stia bene-le disse lui esaminando il primo rapporto.
-Lo supererà, è una donna forte.-
-Sai bene che una cosa del genere non si può superare, così come non si può dimenticare. Imparerà a ad accettarla come parte della sua storia, cercando di soffrire il meno possibile-detto questo si rimise al lavoro.
 
Era già da un po’ che stavano leggendo e rileggendo quei fascicoli cercando un collegamento con gli Stanley senza successo quando il cellulare di JJ squillò.
-Scusa., devo rispondere-gli disse allontanandosi e ricevendo come risposta un leggero cenno del capo.
La vista di Reid cominciò ad offuscarsi mentre lui cercava di mettere a fuoco le parole.
Chiuse gli occhi per quello che credette essere solo un secondo, ma che in realtà fi molto di più perché quando li riaprì l’amica lo stava scuotendo leggermente per le spalle.
-Scusa. Ho chiuso gli occhi solo per un attimo.-
-Un attimo durato quasi mezz’ora Spence!-ribatté lei scherzando.
-Certo che se reggi così poco non potrai mai avere un figlio. Quando è nato Henry era raro che riuscissi a dormire più di pochi minuti a notte.-
-E come hai fatto a mantenere le tue facoltà mentali inalterate?-
-Ci si fa l’abitudine-disse scompigliandogli i capelli.
-Reid, ma tu scotti!-notò preoccupata dopo avergli sfiorato la fronte.
-No, sto bene, sarà stata una tua impressione. Comunque chi era al telefono?-le chiese lui cercando di cambiare discorso.
-Prima ha chiamato Will perché Henry sta male. Poi ho fatto una serie di chiamate-
-Cos’ha il mio figlioccio?-domandò lui.
Rea un padrino premuroso e si preoccupava molto di Henry.
-Solo un po’ di febbre. Sai qual è la cosa buffa?-
L’altro sembrò non capire cosa volesse dire.
-Voi due vi ammalate sempre negli stessi giorni e delle stesse malattie-
-Ma io sto benissimo-
Lei lo fulminò con uno sguardo, ma non poté dire nulla perché il suo cellulare squillò di nuovo.
-Dimmi tutto Hotch-
-Dovete venire subito alla pasticceria sulla terza strada. Un’altra coppia è stata rapita-esordì l’uomo all’altro capo del telefono
-Spero che ora non troviate traffico-disse seccamente prima di terminare la chiamata.
-Dobbiamo andare-riferì a Spencer, dandogli a malapena il tempo di prendere la sua amata tracolla prima di spingerlo verso la macchina.

nota:scusate se ci metto così tanto a pubblicare i capitoli,ma non ho mai il tempo per ricopiare la storia al computer.Comunque ci tengo a ringrazziare miss unknow per la recensione e chiunque abbia inserito la storia tra le seguite o le preferite.Spero vogliate lasciare una recensione,anche negativa,per aiutarmi a migliorare.Scusate in aticipo se ci sono errori di battiura e grazie ancora del vostro tempo

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Capitolo 6
*** il killer del nono mese ***


-La cosa strana è che non è ancora stato ritrovato il piccolo Derryll. Le altre volte, prima di rapire una nuova coppia, ha aspettato che il neonato fosse disseppellito. Ma questa volta no. È successo qualcosa che l’ha costretta ad accorciare i tempi. Se sapessimo  che cosa avremmo più probabilità di prenderla. Purtroppo non credo che troveremo il figlio di Rudy vivo, malgrado non lo abbiamo ancora trovato-disse il giovane agente appena sceso dalla macchina.
Inutile dire che per tutto il tragitto aveva dormito profondamente-
-Lo so, ma non abbiamo molte informazioni in nostro possesso. Però, per quanto non mi piaccia l’idea di non dirle nulla, credo sia meglio che lei non conosca la nostra opinione in merito al ritrovamento del figlio. Non voglio darle speranza, ma nemmeno toglierle quella che ha, almeno  finché non lo avremo trovato-rispose JJ
-Penso che tu abbia ragione. Non le dirò nulla-
Appena raggiunsero il resto della squadra, arrivata alla pasticceria direttamente dal funerale, Hotch li aggiornò
-Le nuove vittime sono i coniugi Robinson. Sposati da un paio d’anni, aspettavano un figlio, maschio, che sarebbe dovuto nascere in questi giorni.Lei,27 anni, lavorava in un McDonald a 2 isolati da qui. Il marito,30 anni, faceva l’impiegato alle poste. Lui e la moglie erano usciti a mangiare qualcosa durante la pausa pranzo, ma non sono mai tornati al lavoro e questo è l’ultimo posto dove li hanno visti-
-Come è andata al funerale?-domandò la bionda al capo mentre si avvicinavano agli altri che nel frattempo avevano già cominciato a  interrogare il proprietario della pasticceria.
-Purtroppo non abbiamo notato nulla di strano-rispose quello un po’ abbattuto.
Poi entrambi si concentrarono sull’interrogatorio.
-Mi dispiace, ma io non ho visto nulla di particolare-stava borbottando l’uomo.
-Eppure da qui è partita una chiamata al 911-disse Prentiss
-Io non ne so niente, lo giuro. Appena sono entrati io sono andato a casa a mangiare, dovete chiedere a Jake-
-E chi sarebbe Jake?-
-Il ragazzo che lavora con me. È rimasto lui in negozio quando io sono andato via.-rispose indicando un adolescente seduto in un angolo che non poteva avere più di 17 anni.
-Jake! Vieni qua! Questi signori devono parlarti!!-gli intimò allora in tono brusco.
Quando il ragazzo si fu avvicinato il proprietario se ne andò, lasciandolo solo in balia degli agenti.
-Dimmi Jake, quanti anni hai?-domandò Morgan, cercando di instaurare un rapporto con il giovane.
-Fra un paio di giorni ne faccio 17-
-E da quanto lavori qui?-
-Quasi un anno ormai. Vengo tutti i giorni dopo la scuola, così il signor Michaelson può andare a casa a pranzare con la sua famiglia, poi il pomeriggio lui torna perché a quell’ora ci sono più clienti e bisogna essere in due per soddisfarli tutti-
-Quindi gli affari vanno bene?-
-Molto, grazie a Dio. Forse potremmo allargarci, fra poco-rispose lui con un sorriso.
-Senti…..Sei stato tu ha chiamare il 911?-
-Sissignore-
-Perché?-
-Beh, sembravano buoni amici, ma dalla tasca del ragazzo ho visto spuntare una pistola-
-Raccontaci bene quello che hai visto-
-I signori Robinson sono entrati verso le 14:00,come ogni giovedì, e hanno preso le solite cose. Ero abituato a vederli ogni giovedì. Mangiavano un panino e prendevano un dolce. Per questo sono rimasto stupito quando si è aggiunto quel ragazzo……-
-Quale ragazzo?-
-Non l’avevo mai visto da queste parti, né a scuola. Eppure doveva avere più o meno la mia età-
-Ne sei certo?-
-Beh, non proprio. Aveva una felpa enorme e un cappello da baseball in testa quindi non l’ho potuto vedere bene. Ma mi sembrava un ragazzo, anche se i tratti del suo viso erano ,molto delicati. Mi dispiace non ricordo bene.-
-Non importa. Quando è arrivato?-
-Pochi minuti dopo i Robinson che lo hanno invitato a sedersi con loro e hanno cominciato a chiacchierare amichevolmente.-
-Poi che è successo?-
-La pausa era finita e il signore e la signora si sono alzati per tornare al lavoro e lui li ha seguiti. La pasticceria ha una porta laterale, che da su un piccolo vicolo cieco e quando sono uscito da lì, pochi secondi dopo che se ne sono andati, per buttare la spazzatura li ho visti. Il ragazzo puntava una pistola sul pancione della signora e li ha spinti dentro un furgoncino bianco che poi è partito a tutta velocità-
-Ma la signora non sarebbe dovuta essere in maternità?-
-Oh, lo era, ma il marito non faceva in tempo a tornare a casa per pranzo, così lei lo raggiungeva per passare del tempo insieme. Erano una coppia molto innamorata.-
-Non erano, lo sono. Non sono ancora morti-
Il ragazzo fece un cenno affermativo con il capo e Morgan gli mise una mano sulla spalla per infondergli un po’ di coraggio e rassicurarlo, prima di continuare a interrogarlo.
-Dopo che li hai visti cosa hai fatto?-
-Ho cercato di non farmi notare, poi sono rientrato e ho chiamato il 911-
-Hai preso il numero di targa?-
-Non ho fatto in tempo, andava troppo veloce e non sono riuscito a leggere niente. Mi dispiace non potervi essere d’aiuto. Avrei dovuto reagire, avrei dovuto fare qualcosa per fermarlo-
-Hai fatto del tuo meglio. Se ti fossi intromesso ti avrebbe ucciso prima di rapire i Robinson. Sei stato bravissimo, non hai sbagliato niente.-
Sapeva che nulla avrebbe potuto fargli credere che quello che gli aveva detto era vero, ma provò comunque a farglielo capire: forse un giorno si sarebbe convinto che non avrebbe potuto agire diversamente da come aveva fatto.
-Senti, te la senti di fare un identikit da comparare con la descrizione della signora Berkley?-
-Mi dispiace agente, non l’ho visto bene, glie l’ho detto. L’unica cosa che posso dirle è che era castano, gli spuntava una ciocca di capelli da sotto il cappello. E doveva anche averli abbastanza lunghi da quello che ho potuto vedere. Non saprei nemmeno dirvi di che colore aveva gli occhi poiché portava degli occhiali da vista fotocromatici e con la luce che c’era erano molto scuri. Però una cosa ho notato: doveva essere molto nervoso perché non la smetteva di torturarsi le mani e le sue unghie erano quasi inesistenti per quanto se le era mangiate. Vorrei potervi dire di più, ma non ho pensato potesse essere pericoloso-
-Ci hai detto più di quanto tu non creda ragazzo. Se ti viene in mente qualcos’altro, chiamaci-gli disse porgendogli il suo biglietto da visita.
-Jake, forse è meglio che tu vada a casa. Ci penso io qui-gli disse il suo capo con un tono gentile che contrastava fortemente con quello duro usato per rispondere alle domande di Prentiss.
-Perché è così protettivo con lui?-chiese Hotch sospettoso.
-Jake è un bravo ragazzo. Lui e mia figlia Violet vanno a scuola insieme da sempre. L’ho visto crescere anche perché i suoi, quand’era più piccolo lo lasciavano spesso a casa nostra dato che erano quasi sempre via per lavoro. Per me è come un figlio. Gli voglio molto bene e non volevo che si infilasse in questa brutta storia-
L’uomo osservò il ragazzo andare via.
Appena ebbe girato l’angolo si rivolse nuovamente all’agente.
-Scusi la domanda, so che può sembrare poco opportuna, ma quando pensa che potrò riaprire la pasticceria?-
-La scientifica deve raccogliere tutto ciò che potrebbe essere una prova. Probabilmente ne avranno almeno fino a questa sera, quindi per oggi resterà chiusa. Le consiglio di andare a casa, ne approfitti per passare del tempo con la sua famiglia.-
-Grazie dell’informazione. Penso che seguirò il suo consiglio. Se ha bisogno di me sa dove trovarmi-
Detto questo uscì, lasciando la squadra da sola in compagnia degli agenti della scientifica.
Appena Jake e il signor Michaelson se ne furono andati,Hotch,Morgan e Prentiss raggiunsero Rossi,JJ e Reid che nel frattempo stavano esaminando il vicolo dove erano stati rapiti i Robinson.
-Non ha lasciato praticamente nessuna traccia. È stata molto meticolosa-disse loro Rossi vedendoli arrivare
-A parte i segni lasciati dagli pneumatici non c’è niente che possa indicare un suo passaggio, nemmeno l’impronta di una scarpa. Assolutamente nulla.-
-Quando avranno finito di rilevare le impronte degli pneumatici inviatele a Garcia. Potrebbe esserci un riscontro. Speriamo solo di avere un po’ di fortuna. Ora è meglio tornare alla centrale, qui non possiamo fare molto. Dobbiamo esaminare la vita dei Robinson e cercare dei punti in comune con le altre tre famiglie. Qualsiasi cosa anche la più piccola potrebbe condurci all’Si-concluse Hotch.
 
Arrivati alla stazione di polizia trovarono ad attenderli la famiglia dei Robinson.
-Voi siete gli agenti dell’FBI?-domandò loro una donna di poco più di 50 anni, correndogli incontro appena li vide entrare
-Si, in cosa possiamo esserle utili?-domandò Morgan facendosi portavoce dell’intera squadra
-Sono la madre di Lara, Lara Robinson, mi hanno detto che vi state occupando del caso del killer del nono mese. È vero?-
-Si signora, abbiamo assunto noi la direzione del caso-
-Lara è la sua nuova vittima vero?-
-Purtroppo temiamo di si e avremo bisogno del vostro aiuto per capire dove potrebbe averlo incontrato-
-Quindi è qualcuno che conoscevano?-chiese la donna scioccata.
-Crediamo di si. Un testimone die di aver visto sua figlia e il marito che lo invitavano a sedersi con loro. Era qualcuno di cui si fidavano, anche se forse erano diventati amici da poco. Se poteste rispondere a qualche domanda ci sareste davvero d’aiuto-
-Qualsiasi cosa per trovare colui che ha rapito la mia Lara-
Morgan la fece sedere  e le offrì qualcosa da bere, che lei rifiutò gentilmente.
-Sa se sua figlia frequentava abitualmente qualche luogo? Non so, faceva sport, frequentava dei corsi o cose simili?-
-Non saprei dirle. Credo che avesse iniziato un corso preparto, ma penso che l’abbia lasciato dopo poche settimane perché il posto dove lo facevano era troppo lontano e non riusciva a pranzare con Cliff, suo marito, così aveva rinunciato al corso-
-Sa dove si teneva?-
-Non so nulla di questo corso, a parte il fatto che era lontano-
-Non si preoccupi, faceva altro?-
-Lei era un tipo sportivo e prima di rimanere incinta andava spesso a fare jogging, ma quando la sua pancia è diventata più grande ci ha rinunciato, ripiegando sui degli esercizi in casa. Una sua amica le aveva persino regalato un libro che ne era pieno e lei era così felice-
-Quando ha scoperto di aspettare un bambino ha fatto i salti di gioia. Tutto ciò che ha fatto da allora era volto a rendere la vita di quella creaturina la più bella possibile-
Mentre parlavano il marito li aveva raggiunti e aveva poggiato le mani sulle spalle della moglie facendola sobbalzare.
Vedendo che lo sguardo della donna si dirigeva all’altra coppia, rimasta ad aspettare all’ingresso, rispose subito alla sua domanda implicita-
-Hanno detto che ci aspettano lì, non se la sentono e li capisco Lara la rivedremo di certo, ma probabilmente Cliff morirà-
Poi si rivolse all’agente
-Se ha finito, noi vorremmo tornare casa. Ma ci tenga aggiornati. La prego-
-Non si preoccupi, appena sapremo qualcosa sarete i primi ad esserne informati-disse Morgan congedandoli.
Dopodiché raggiunse gli altri per riferirgli ciò che gli avevano detto.
-Lara Robinson, anche se per poco tempo, ha frequentato un corso preparto-
-Sai da chi era curato?-chiese Rossi.
-No, non sappiamo nemmeno in che zona della città fosse.-Però era lontano sia dal lavoro di  Cliff che da casa loro-
-Chiedi a Garcia di fare una ricerca sui corsi che si tengono a Los Angeles a più di 20 km dalla casa e dal lavoro-
Non fece in tempo a finire la frase che Morgan già aveva composto il numero.
-Ehi bambolina! Come stai?-
-Ora che sento la tua voce benissimo, mio dio di cioccolata-
-Avrei bisogno del tuo tocco magico-
-Maga Garcia al tuo servizio-
-Dovresti trovare tutti  i orsi preparto a Los Angeles a più di 20 km da casa dei Robinson, ma anche dal lavoro del marito-
-Agli ordini zucchero-
Mentre la donna eseguiva il compito Morgan la mise in vivavoce così, quando lei concluse, tutti poterono sentire ciò che aveva trovato.
-Ne abbiamo, fra pubblici e privati, una ventina in tutta la città degli angeli nel raggio che mi avete dato-
-Elimina quelli più costosi. Non erano in grado di permetterseli-
-Ok, ora ne abbiamo circa 10-
-Quanti di questi si tengono poco prima o poco dopo pranzo? Lara smise di andarci perché non faceva in tempo a pranzare con il marito-
-4.Vi mando gli indirizzi e tutto ciò che riesco a trovare-
-Ah e….. Garcia….Potresti incrociare i nomi di chi lavorava a quei corsi con quelli della lista che ci hai mandato?-chiese Hotch.
-Agli ordini grande capo! Aspettate un attimo……..-
-Cosa c’è Penelope?-le domandò Derek
-Cattive notizie: nessuna corrispondenza-
-Nemmeno con il riconoscimento facciale?-
-Niet. Nada de Nada. Assolutamente nulla. Forse il vostro SI ha cambiato nome e faccia-
-Potrebbe essere, ma questo ci rende solo più difficile trovarla. Grazie comunque del tuo aiuto Garcia-le rispose il capo.
-Di niente signore!!-terminò la stravagante analista facendo il saluto militare prima di riagganciare, anche se sapeva che il resto del BAU non poteva vederla.
Subito l’uomo si rivolse al resto della squadra.
-Morgan. Tu vai con Reid al primo indirizzo. JJ con Prentiss al secondo. Rossi andrà con il capitano Kim al terzo ed io andrò all’ultimo-
Appena finì di parlare tutti uscirono dalla sala e raggiunsero le proprie auto.
Se la fortuna li avesse assistiti avrebbero trovato qualcosa che li avrebbe condotti all’SI.
 

nota:scusate se ci metto i secoli a pubblicare i capitoli(che mi vengono pure corti,mi dispiace!).Poi queste vacanze di pasqua non mi aiutano(non che non ami le vacanze!!mai detto questo!è che quando sono così corte non riesco mai a trovare il tempo per mettermi al computer,sono sempre assorbita da qualche altra attività che èpuò essere fatta solo quando non c'è scuola).
comunque,a parte questo.ringrazio veramente di cuore ScleratissimaGiu e miss_unknow per aver recensito(Dio le benedica!)e anche vg96 percè,anche se non si fa mai vedere sul fandom,vi giuro che quando stiamo a scuola si fa sentire eccome(sono mesi che mi chiede di farle leggere come continua,ma glie l'ho vietato finchè non avrò completamente ompletato la ff,cioè,se tutto va bene, domani mattina).e ovviamente rigrazio chiunque abbia inserito la storia tra le seguite,le preferite o le ricordate,ma anche chi ha semplicemente letto.
P.S. scusate le mie digressioni stupide ed inutili,ma scrivere al computer mi fa questo effetto,quindi abbiate pietà di me e spero d'ora in poi di riuscire ad essere più veloce

 

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Capitolo 7
*** corsi.... ***


 Morgan aveva lasciato dormire Spencer per tutto il tragitto, un tragitto abbastanza lungo tra l’altro, ma appena arrivarono lo buttò giù dal SUV con poco tatto.
-Ehi ragazzino! Siamo arrivati. Svegliati!-
-Sempre molto gentile-rispose l’altro stropicciandosi gli occhi mentre scendeva dalla macchina.
-Se non fossi stato gentile non ti avrei permesso di sonnecchiare nemmeno un istante-
-Allora suppongo di doverti ringraziare-
-Già-
-Grazie Morgan-disse Reid un po’ scherzando, ma anche un po’ serio.
-Di niente ragazzino, dopotutto siamo amici no?-
-Già-
La struttura dove si teneva il corso era una scuola elementare che aveva messo a diposizione, in cambio di una quota molto bassa, la propria palestra.
Quando entrarono venne loro incontro una ragazza.
-Posso esservi utile in qualche modo?-
Probabilmente era sorpresa di vederli lì a quell’ora: i bambini erano già tutti tornati a casa e, a quell’orario, non c’erano molti corsi, anzi l’unico era quello preparto.
In più quella era una scuola povera di periferia e si vedeva che loro erano di certo benestanti.
-Volevamo informazioni su uno dei vostri corsi-rispose Morgan.
-Ne abbiamo moltissimi volti a migliorare il nostro quartiere e acculturare chi lo abita. Ne avevate in mente uno in particolare suppongo-
-Si, volevamo saperne di più sul corso preparto-
-Beh, allora dovete parlare con Mia, la donna che lo tiene. Eccola che arriva-disse la ragazza indicando l’unica signora senza pancione che stava uscendo dalla palestra.
Quando quella, appena tutte le altre furono andate via e dopo aver salutato calorosamente ognuna di  esse, li raggiunse la ragazza si allontanò lasciandoli parlare.
-Si occupa lei del corso preparto?-esordì Morgan
-Si, me ne occupo io-
Poi sorrise
-Che sbadata, non mi sono nemmeno presentata! Sono Mia, Mia Davis. E voi siete……..-
-L’agente Morgan e il dottor Reid dell’unità analisi comportamentale dell’FBI.Ha visto queste donne?-le chiese mostrandole le foto delle vittime.
-no, mi dispiace, non le ho viste-
-E loro? Anche se li ha solo incrociati di sfuggita potrebbe esserci comunque molto utile-disse mentre  gli faceva vedere le foto dei mariti.
-Non saprei. Forse lui. Si, lui l’ho visto!-esclamò identificando il signor Berkley.
-In che occasione signora?-
-Era venuto a sistemare alcune finestre rotte, dopotutto era un operaio se non sbaglio. Ma come mai me lo chiedete? Chi sono le persone che mi avete mostrato?-
-Questi uomini sono stati rapiti insieme alle loro mogli e poi assassinati. Alle donne è stato portato via il bambino prima di abbandonarle-
-Ma è terribile! Desiderava così tano quel figlio!-
-Glie ne ha parlato?-
-Si, avevamo chiacchierato per un po’ prima che lui tornasse a casa. Avevo invitato lui e sua moglie a frequentare il corso, ma non so se siano venuti-
-Mi sembra che lei abbia un buon rapporto con le donne che vengono. Si sarebbe accorta se si fosse aggiunta una persona nuova al gruppo, giusto?-
-Si, ma dopo aver parlato con quell’uomo mi sono ammalata e per un paio di settimane non sono potuta venire, così mi ha sostituito un’altra donna. Forse Vicky sa se in quei giorni è venuta, ma io non l’ho mai vista e non conosco nemmeno colei che ha aveva temporaneamente preso il mio posto-rispose Mia andando a chiamare la ragazza con cui avevano parlato prima.
-Vicky, potresti parlarci della donna che ha sostituito la signorina Davis quando stava male?-chiese Derek.
-Non mi ricordo molto bene di lei, non ricordo nemmeno il suo nome, ma era molto gentile e disponibile-
-Sapresti descrivercela?-
-Era bruna, statura media. A dire il vero era la classica persona che non noti incontrandola per strada-
-Ok, senti hai mai visto queste donne?-domandò ancora mostrandogli le foto delle quattro donne.
-Lei l’ho vista, ma le altre no. È venuta un apio di volte mentre la signorina Davis non c’era, ma poi è scomparsa-
-Grazie mille Vicky, se ti viene in mente qualcos’altro……-
-Aspetti! Gli occhi! Erano di due colori diversi. Uno verde e uno marrone. Penso che di solito portasse delle lenti a contatto colorate perché i suoi occhi li ho sempre visti blu, ma quel giorno no, lo ricordo bene. Spero vi possa essere d’aiuto. Purtroppo non mi ricordo latro-
-Ci sei stata molto utile, grazie-le assicurò e, dopo aver salutato entrambe le donne tornarono alla macchina.
Nel frattempo Reid aveva già chiamato Hotch.
-Scoperto qualcosa?-
-Sarah Berkley aveva frequentato per un paio di settimane questo corso, ma la signora Robinson non l’hanno mai vista. Forse gli altri avranno più fortuna-
-Speriamo bene. Io sono appena arrivato. Ci vediamo alla centrale fra poco-
L’uomo scese dall’auto e s’incamminò verso l’ingresso, ma non fece in tempo a bussare che la porta si aprì e ne uscì una signora di circa 50 anni pronta a tornare a casa sua e a chiudere quella piccola palestra fino all’indomani mattina dato che stava ormai calando la sera.
-Buonasera signora-esordì Hotch.
-Salve, posso esserle d’aiuto?-
-Forse si. Sono l’agente speciale Hotchner dell’FBI.So che qui si tiene un corso preparto, avrei bisogno di parlare con chi lo tiene-
-Lo sta già facendo. Cosa vuole sapere?-
-Ha mai visto queste persone?-le domandò facendole vedere le foto delle quattro coppie.
-no, mi dispiace molto, ma non le ho mai incontrate. Perché me lo chiede?-
-Stiamo indagando su un serial killer di cui loro sono state vittime-
-Perché lo chiedete a me?-
-Le donne erano incinta e dovevano partorire da lì a poco, quindi stiamo controllando i corsi preparto che avrebbero potuto frequentare per capire dove potrebbero averlo incontrato-
-E queste persone sono tutte morte?-!E i bambini?!-
-Le donne sono vive, ma i mariti e i bambini no. Il figlio di lei-disse Hotch indicando la foto di Rudy Derryll.
-Non è ancora stato ritrovato, mentre loro sono appena stati rapiti-concluse mostrando alla signora l’immagine che ritraeva i Robinson.
-Mi dispiace molto, però non posso esservi di alcun aiuto. Se li avessi conosciuti o anche solo intravisti me ne ricorderei, ma…..-
-Non si preoccupi, grazie comunque per la sua disponibilità-
-Spero davvero che lo prendiate. Quest’uomo dev’essere un mostro per fare ciò che ha fatto!-
-Ce la stiamo mettendo tutta e lo prenderemo-rispose il federale mentre metteva in moto.
 
Nel frattempo JJ e Emily erano giunte all’indirizzo che Garcia gli aveva inviato, dove sorgeva un ospedale. Subito venne loro incontro un’infermiera a cui mostrarono subito il distintivo.
-Agenti Jereau e Prentiss dell’FBI,avremmo bisogno di parlare con il responsabile del corso preparto-disse JJ presentandosi
-Aspetti un secondo-le rispose quella allontanandosi.
Pochi minuti dopo le raggiunse un’altra donna con indosso un camicie bianco.
-Sono la dottoressa Richard, volevate parlare con me?-
-Si. Ha mai visto qualcuno di loro?-domandò Prentiss facendole vedere le foto.
-Gli altri no, ma Lara si, lei la conosco bene. Andavamo al liceo insieme ed eravamo grandi amiche. Per qualche tempo ha persino frequentato il corso preparto di cui mi occupo, ma essendo in un orario scomodo per lei ha smesso di venire dopo pochi giorni, ma qualche volta veniva a trovarmi lo stesso, anche perché faceva qui tutte le ecografie e le visite ginecologiche. Ma perché vi interessa?-domandò la dottoressa cominciando ad allarmarsi.
-Le è successo qualcosa?-
-Purtroppo questo pomeriggio è stata rapita insieme a suo marito-
-O mio Dio! È terribile!!-
-Lo so, stiamo indagando su dove avrebbe potuto incontrare il suo rapitore-
-Pensate che possa averlo conosciuto qui?!Io, io non mi sono mai accorta di nulla di strano. Sapete com’è fatto quest’uomo? Forse l’ho visto, non ci avrò fatto caso magari, ma potrei averlo visto-
La donna era in preda all’agitazione e le due agenti cercarono di farla calmare.
-Signora Richard, la prego, faccia un respiro profondo. Agitarsi non serve a niente-
La dottoressa sembrò riprendere il controllo di se stessa e, mentre Prentiss continuava a parlarle,JJ ricevette un SMS da Reid.
Era molto breve, ma conteneva un’informazione che poteva essere di vitale importanza.
“L’SI ha un occhio marrone e uno verde” era il testo del messaggio che lei si apprestò a mostrare alla collega.
-La donna che cerchiamo ha un occhio verde e uno castano. Le viene in mente nessuno?-
- è stata una donna a fare queste cose terribili?!-
-Si, purtroppo si, ma la prego, risponda alla domanda-
-No, non mi ricorda nessuno-
-OK, grazie mille. Se ricorda qualcosa, qualsiasi cosa, non esiti a chiamarci-le disse Emily porgendole il suo biglietto da visita.
-Ce la metteremo tutta per trovarla. Glie lo giuro-a rassicurò infine prima di andarsene vedendo il suo sguardo completamente terrorizzato.
Per Rossi e il capitano Kim fu invece un buco nell’acqua: le persone con cui avevano parlato non avevano visto nessuna delle vittime e non potevamo aiutarli in alcun modo. Non restava altro da fare che sparare che gli altri avessero avuto più successo e tornare alla centrale.
L’agente dell’FBI cercò di astenersi dal fare domande, così come Hotch gli aveva saggiamente consigliato, anche se per lui era una tentazione troppo forte per resistervi.
Per sua fortuna evidentemente anche il capitano doveva nutrire una certa curiosità per la vita privata del genietto della squadra, perché fu proprio lui a tirare fuori l’argomento.
-So di essere indiscreto, ma……Mi chiedevo…..Si, insomma…..Avete più visto Lila Archer?-
-Non credo di essere la persona più adatta per rispondere. Sono entrato nella squadra circa quattro anni fa e di quel caso non ho saputo molto-
-Il Dr. Reid non ve lo ha raccontato?-
-No. Lui non lo ha mai nemmeno nominato. Me ne hanno parlato gli altri, ma non sono mai entrati molto nei dettagli-
-Credo anche di capire il perché. Non sarò un profiler, ma penso che il Dr. Reid sia una persona molto riservata che vuole tenere solo per sé le sue emozioni. Quindi il fatto che non parli di questo caso non è poi così strano-
Dopo un attimo di silenzio però gli sorse un dubbio.
-Ma possibile che ne sappiate così poco?-
-Purtroppo si. Però potrebbe parlarmene lei….-disse Rossi in tono suadente, sperando che Kim raccontasse ogni particolare.-
-OK, ma forse è meglio che il Dr. Reid non lo sappia-
-Non si preoccupi, non dirò nulla a Spencer-
-Il Dr. Reid e l’agente Gideon si trovavano qui per un seminario sul profiling.
 Li stavo giusto accompagnando all’aeroporto quando mi hanno chiamato per un duplice omicidio.
 Gli ho chiesto quindi se gli sarebbe dispiaciuto dare un’occhiata alla scena del crimine e loro furono ben felici di aiutarci e si fermarono fino alla chiusura del caso.
 Anche perché, tornati in centrale l’attrice, che Gideon e Reid avevano già conosciuto ad una mostra, Lila Archer, convinta dal suo manager, ci mostrò un messaggio che le era stato recapitato e secondo il quale quell’omicidio era stato compiuto per lei.
Arrivò anche il resto della vostra squadra e cominciammo le indagini.
Dopo aver trovato il corpo del manager di Lila, accusato dall’assassino di avergli messo contro la ragazza, decidemmo che lei doveva rimanere a casa e affidammo la sua protezione al Dr. Reid mentre seguivamo una pista che condusse ad un noto paparazzo che sembrava proprio essere il nostro uomo.
 Lo trovammo alla villa di Lila, intento a fotografarla mentre era con il Dr. Reid in piscina, come dire…..in atteggiamenti…..poco professionali. Se capisce cosa intendo-
-Capisco perfettamente, non si preoccupi-
-Lo arrestammo, ma il colpevole non era lui.
Mentre cercava di farsi perdonare da Lila per essere stato obbligato a non dirle della morte del suo manager, Reid si accorse che il quadro che piaceva tanto alla signorina Archer era in realtà composto da foto di lei assemblate in maniera da non essere riconoscibili. Ci recammo da colui che glie lo aveva donato, scoprendo che, però, non era una sua creazione, ma di una cara amica di Lila, la quale, come Reid scoprì poco dopo, era a casa dell’attrice.
Lila e Reid erano soli nell’abitazione e la donna minacciò la ragazza con una pistola.
Reid era disarmato a causa del bagno in piscina, così la convinse a spostare la sua rabbia su di lui dicendole che oramai era lui che Lila amava e, approfittando di un suo momento di distrazione, la disarmò e la convinse ad arrendersi.
Quel giorno fu davvero un eroe.
L’indomani tutta la squadra tornò a Washington  e l’addio di Reid e Lila finì sulle prime pagine di molti giornali.
Tutti si chiedevano chi fosse quell’uomo misterioso.
Mi dispiacque molto per loro, per questo volevo sapere se l’aveste più vista-
Dal racconto che aveva fatto si capiva quanto stimasse il loro ragazzino e quanto fosse dispiaciuto per come era finita tra lui e l’attrice
-Io non l’ho mai incontrata, ma ciò non vuol dire che Spencer non lo abbia fatto, anche se dubito che ne parlerebbe con nessuno-
-Forse ha ragione, ma non mi azzarderei mai a chiederlo a lui. Dopotutto non sono cose che mi riguardano-
Scesero dal SUV e raggiunsero gli altri per fare il punto della situazione.
-Com’è andata Dave?-domandò Hotch appena li vide.
-Una gigantesca perdita di tempo: non sanno assolutamente niente e non hanno mai visto le vittime. Voi cosa avete scoperto?-
-Io nulla, ma gli altri hanno qualcosa-rispose cedendo la parola a Spencer.
-Siamo andati a quella scuola in periferia. La responsabile del corso preparto ha riconosciuto ilo signor Berkley, dato che aveva fatto di lavori in quella scuola e la moglie aveva frequentato il corso per un paio di settimane, ma in quel periodo era tenuto da un’altra donna poiché la responsabile, la signora Davis, era malata. Di questa donna sappiamo veramente poco, la scuola ci ha inviato il suo fascicolo, ma è sicuramente falso: sotto il nome di Jane Austen non c’ò nessuna corrispondenza, Garcia ha già controllato per scrupolo. Però sappiamo che ha un occhio marrone uno verde, anche se solitamente usa le lenti a contatto colorate-disse il ragazzo, dopodiché fu il turno di Prentiss.
-All’ospedale invece la dottoressa che si occupa del corso è una vecchia amica di Lara Robinson e ci ha detto che, malgrado avesse frequentato per poco il corso per questioni di orari, si trovava spesso all’ospedale per visite mediche o anche solo per andare a trovare la sua amica. Quindi è molto probabile che la nostra SI lavori lì, e probabilmente è la stessa persona che ha sostituito la signora Davis quando stava male-
-Purtroppo un’identikit sarebbe completamente inutile, capace com’è di camuffarsi. Probabilmente, dopo l’evento in cui ha perso il suo bambino, ha cambiato nome ed è per questo che non la troviamo-disse Hotch.
Poi si rivolse a Morgan.
-Chiama Penelope. Dille di cercare donne che ora avrebbero tra i 30 e i 40 anni con gli occhi di colori diversi che, dopo aver perso il figlio che aspettava e, in un modo o nell’altro, anche il marito, sono scomparse. Anche quelle che dovrebbero essere morte. Brava com’è potrebbe aver inscenato il suo decesso-
Mentre Derek chiamava l’analista Hotch continuò a parlare.
-Adesso andate a riposare. Però tenetevi pronti per qualsiasi evenienza. Il fatto che non sia ancora stato ritrovato il figlio dei Derryll non fa presagire nulla di buono. Quindi, mi raccomando, fate attenzione-
Detto questo fece loro cenno di andare.
Mentre JJ guidava, Reid non seppe trattenersi dal porle quella domanda che lo aveva assillato tutto il giorno.
-Che soluzione hai trovato per Rudy?-
La donna si aspettava che glie lo avrebbe chiesto e rispose con un sorriso.
-Non so quanto la cosa ti possa far piacere, ma per stanotte starà con me nelle mia stanza, ci penserò io a lei, così tu potrai riposarti-
-E domani? Starà ancora da te?-
-Domani è un altro giorno. Comunque ho già una mezza idea….-
-Quale?-
-Spence….Ti fidi di me?-
-Si, ma……-
-Allora rilassati ok? Ti ho detto che ci avrei pensato io e lo farò, non ti preoccupare-
Il giovane uomo si lasciò cadere sullo schienale del sedile e appoggiò la testa al finestrino osservando il paesaggio che scivolava accanto alla macchina.
-Scusa JJ,non so cosa mi prenda. In questi giorni sono un po’ nervoso….-
-Solo un po’?-domandò lei ironicamente.
-Ok, sono un po’ troppo nervoso e mi dispiace se me la prendo con voi, e soprattutto con te-
-Non ti devi scusare, è normale che tu lo sia. Ma sappi che se hai bisogno di sfogarti e di parlare con qualcuno, io sono qua-
-Grazie mille. Non potrei avere un’amica migliore di te-
Lei gli sorrise e lui ricambiò, ma con uno sguardo stanco, prima che tutto sparisse di nuovo dietro il buio delle sue palpebre.
 

 nota:so che lo dico sempre e non ci faccio mai nulla,ma scusate i miei tempi biblici e i miei nanocapitoli.son omolto felice che qualcuno abbia abbastanza coraggio da continuare a leggere questo orrore e dato che oramai siete arrivati fino a qui vi dico anche che il prossimo sarà davvero lungo(per i mei standard) e......boh,secondo me sarà anche abbastanza intrigante,ma quello starà a voi giudicarlo

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Capitolo 8
*** macerie e ferite ***


Una donna stava rovistando tra le macerie di una casa distrutta da un incendio.
Si levava ancora del fumo dai resti carbonizzati di quella che, fino a poco tempo prima, era stata una bella casa circondata da ettometri di campagna.
I pompieri erano andati via da un po’ lasciandole campo libero per cercare ciò che aveva perduto nell’incendio e che, dentro di sé lo sapeva, non avrebbe mai più ritrovato.
Per questo si era preoccupata di trovare un’altra coppia.
Quella coppia che ora stava tremando nel furgoncino parcheggiato poco distante, cercando conforto l’una nell’altro.
Doveva rinunciare alla sua insensata ricerca e trovare invece un posto sicuro dove andare con i suoi “pazienti” come amava chiamarli lei.
In giro c’erano un sacco di persone che cercavano chi avesse appiccato l’incendio e quindi doveva andarsene di lì prima che qualcuno la notasse.
Si alzò da terra, dove era inginocchiata, e si tolse la cenere dai vestiti, sperando che l’odore di bruciato sarebbe andato via dopo un accurato lavaggio.
Mentre stava andando via un cane le corse incontro.
Non avendone paura si fermò ad accarezzarlo, dopotutto amava i cani, soprattutto quelli grandi come quello che, ad occhio e croce, doveva essere un golden retriever.
-Che ci fai qui? Non dovresti andare in giro senza il tuo padrone-disse rivolta all’animale, notando il collare con la medaglietta.
Si guardò attentamente attorno, ma non vide nessuno, forse il suo padrone l’aveva perso.
Stava pensando di portarlo con sé quando sentì un rumore di passi nel bosco lì vicino.
-Charlie! Charlie! Dove sei?!Su vieni da me bello!-gridava una voce maschile, sicuramente rivolta al cane.
-Guarda cos’ho Charlie! Un bel biscotto! Lo vuoi? Allora vieni!-
Appena capì che l’uomo si stava avvicinando proprio a dove stava lei la donna scappò verso il furgoncino, mise in moto e se ne andò a tutta velocità.
Ma forse si era mossa troppo tardi perché quello che probabilmente era il proprietario del cane era già apparso da dietro un albero.
Forse però non l’aveva vista, dato che lei era già entrata nell’abitacolo.
Di certo non sarebbe riuscito a riconoscerla.
Cercò di convincersene, ma sentì comunque la rabbia obnubilarle i sensi.
Per sfogarsi colpì con forza ilo volante, spaventando la coppia nel retro.
Poteva sentire la ragazza tremare tra le braccia di suo marito.
-Tranquilla Lara, di cosa hai paura?-le domandò provando a rassicurarla.
-Perché ci fai questo? Cosa ti abbiamo fatto?-rispose quella con voce terrorizzata.
-Tu? Nulla mia cara. Io sono qui per aiutarti-
-Aiutarmi?!Questo sarebbe il tuo modo di aiutarmi?-
-Tesoro non dare giudizi affrettati. Aspetta e vedrai-
Detto questo parcheggiò e fece scendere Lara tirando fuori una pistola dalla tasca della felpa la cui canna poggiò sul ventre della ragazza.
-Scendi subito! O lei e il suo bambino ne pagheranno le conseguenze-intimò poi all’uomo.
-OK! OK! Basta che non farai loro del male-
-Non dirmi ciò che non devo fare!!Tu non hai alcun potere! Ricordalo! E ora stai zitto perché ogni parola che dirai sarà un proiettile che sparerò. Ora muoviti!-disse spingendolo in malo modo.
Dopodiché li fece entrare in una specie di capanno degli attrezzi abbastanza grande da poter ospitare loro tre e un malandato materasso su cui la donna fece stendere Lara, che obbedì senza fiatare, legandole le mani a delle barre di ferro poste sul pavimento.
Quella vista però fu troppo per il marito che scattò, cercando di aggredire colei che aveva ammanettato la moglie a quel lurido letto improvvisato.
Ma lei se ne accorse e, girandosi fulmineamente, gli assestò un colpo alla testa con il calcio dalla pistola, talmente forte che quello cadde a terra con un lieve lamento.
Approfittando dello svenimento dell’uomo la donna prese una siringa da una borsa accanto a lei e ne iniettò il contenuto nel braccio della sua vittima che non riuscì a opporsi.
-Non farmi del male, ti prego!-
-Non lo farei mai, lo sai-
-Pensavo fossimo amiche!-
-Ma lo siamo-
-E allora perché ci fai questo?-
-Ma per il tuo bene! Non te ne rendi conto?-
-Per il mio bene?!-rispose allora quella indignata.
- è per il mio bene che ci hai rapito?!Per il mio bene che Cliff sta lì per terra sanguinante?!Hai una trana concezione di bene!!-
-Tu ancora non capisci!!Non importa ti perdono. Ma vedi….Lui non è adatto per te, è solo un debole. Guardalo! Non riesce nemmeno a liberarti!-
-Ma come potrebbe riuscirci?!Gli hai praticamente spaccato la testa! Non riesce nemmeno ad alzarsi!-le gridò indicando il marito che cercava disperatamente di rimettersi in piedi, senza successo.
-Non è in grado di occuparsi della sua famiglia. Non sarebbe mai un buon padre, non trovi?-
-No. Lui sarebbe un bravissimo padre!!Ma devi dargli l’opportunità di esserlo! Lasciaci andare. Ti prego!-
-Lo sai anche tu che non è vero, che è tutta un’illusione che tu hai creato per non affrontare la realtà. Lo so, ci sono passata anch’io. Tu sai che non sarà in grado di occuparsi di voi e sei preoccupata per ilo bambino nel tuo grembo, ma non temere ci sono qua io. Ora rilassati, accadrà fra poco-
-Cosa accadrà?!-domandò Lara allarmata prima che un’intensa fitta di dolore le fece capire che le doglie erano iniziate.
-Cosa mi hai iniettato prima?-chiese a denti stretti rabbiosa.
-Non ti devi preoccupare. Un giorno mi ringrazierai-detto questo uscì dal capanno, dopo aver assestato un altro colpo al cranio di Cliff che stramazzò nuovamente a terra svenuto, lasciando la donna sola.
Sapeva di avere poco tempo prima che il bambino cominciasse a uscire, però sentiva il bisogno di continuare la sua ricerca.
Si sarebbe concessa solo un’ora, ma doveva farlo.
Aveva ancora qualche speranza di trovarlo e non si sarebbe mai perdonata se avesse desistito.
Certo, correva il rischio di essere vista, o peggio ancora, d’incontrare nuovamente il padrone del cane che avrebbe quindi potuto riconoscerla, ma in quel momento non le importava.
Prese il furgoncino e guidò per poco più di 5 minuti, fino a raggiungere la casa carbonizzata e, una volta scesa, ricominciò a cercare, spostando resti di mobili e porte, facendosi strada verso i pochi metri quadrati che ancora non aveva minuziosamente analizzato.
Arrivata in cima al cumulo di macerie sentì delle voci.
Quello non era proprio il suo giorno fortunato pensò, maledicendo il cielo.
Si nascose sotto tutti quei pezzi che la circondavano cercando di fare meno rumore possibile.
Cercò di ascoltare ciò che si dicevano: forse la loro presenza poteva risolversi a suo vantaggio.
-è un vero peccato, doveva essere stata una bella casa-stava dicendo quello che doveva essere poco più di un ragazzo, a giudicare dalla voce.
-Purtroppo non era abitata. Mi chiedo come abbia fatto a prendere fuoco-
-Sarà stato qualche ragazzaccio di passaggio per divertirsi. Non sai quanti piccoli piromani puoi trovare al liceo e alle medie!-gli rispose un uomo dalla voce vecchia e rauca.
-Non posso credere che un ragazzo di 15 anni possa fare una cosa così terribile-
-Figliolo, tu sei nuovo di questo mestiere e sei ancora ingenuo e pieno di fiducia nell’umanità, ma fidati la perderai con gli anni. Quanti incendi hai visto da quando sei stato assunto?-
-Tre signore-
-Quali?-
-Quello di una parte del bosco, un piccolo incendio domestico e questo-
-Gli altri erano stati causati tutti da incidenti vero?-
-Sissignore tutti, tranne questo-
-Vedi, moltissimi incendi sono dolosi. Alcuni sono piccoli, altri molto più grandi, tipo questo. Gli incendi dolosi costituiscono la maggior parte del nostro lavoro secondo la mia personale esperienza. Di solito sono solo ragazzini che si eccitano a vedere il fuoco, ma non vogliono che nessuno si faccia male. Per questo di solito sono abbastanza piccoli, comunque, indipendentemente dalle dimensioni dell’incendio, non prendono mai di mira posti dove potrebbe ferirsi qualcuno-
-Ma mi sembra così surreale che qualcuno di pochi anni meno di me possa provocare un disastro del genere-
-Per questo di solito non mandano i novellini per cose di questo genere. Devi proprio aver fatto colpo ragazzino!-
-Vorrei non averlo fatto. Non avrei voluto assistere ad una cosa come……-
-So che non è bello, ma ci farai l’abitudine-
Il ragazzo rimase in silenzio per un po’,riflettendo su ciò che l’anziano collega gli aveva detto
-Non era del tutto disabitata, non te lo dimenticare-
-Hai ragione, dovevano viverci una o due persone. Probabilmente una zingara con il suo bambino-
-Ne hanno trovato i resti? O sono riusciti a salvarsi?-
-Ancora non lo sappiamo. Fra un po’ arriveranno gli altri e toglieremo tutte queste macerie. Solo allora la tua domanda troverà una risposta-
-Spero siano sopravvissuti entrambi. Non penso mi piacerebbe trovare qualche cadavere. Non è il giorno giusto-
-Non c’è mai un giorno giusto per una cosa del genere-
-Già-mormorò a mezza bocca il ragazzo, sedendosi poco distante da dove si era nascosta la donna.
-Non ti abbattere figliolo. Ogni volta andrà meglio-rispose l’altro dandogli una pacca sulla spalla mentre si sedeva accanto a lui.
-Forse hai ragione o forse non sono tagliato per questo lavoro-
-Ragazzo, ti ho visto all’opera e posso assicurarti che tu hai la stoffa giusta per fare il pompiere. Molto più di tanta altra gente-
Mentre parlavano lei cercò di andare via senza farsi notare.
Piano piano, senza far rumore spostò i pezzi di legno che le ostruivano la fuga, ma forse non fu abbastanza cauta perché uno le cadde dalle mani attirando l’attenzione dei vigili del fuoco.
-Hai sentito?-domandò il ragazzo.
-Si. Non siamo soli-
-Sarà meglio controllare-continuò il giovane alzandosi, subito seguito dal più anziano.
I due si stavano avvicinando pericolosamente
Doveva fare qualcosa, ma cosa?
Doveva improvvisare, come quando lavorava in quella compagnia teatrale in cui quasi nessuno si sforzava di imparare a memoria le battute e si ritrovavano sempre ad inventarle sul momento.
Pensò di essere perduta, che sarebbe stata di certo scoperta.
 
Poi le venne in mente un vecchio trucco e sperò che funzionasse davvero.
Prese un piccolo pezzo di carbone, abbastanza piccolo da non essere notato, e lo lanciò con forza dalla parte opposta della casa.
Cadde, e il suono che produsse fu udito anche dai due uomini.
-Veniva da lì!-affermò il vecchio indicando il punto alla sua sinistra dove il carbone era atterrato.
Subito rivolsero le loro ricerche verso quella zona, consentendo così alla donna di fuggire inosservata.
Raggiunse il furgoncino che aveva nascosto nella boscaglia poco distante e mise velocemente in moto, allontanandosi dalla strada principale.
Dopo aver percorso una serie di stradine strettissime riuscì infine a raggiungere il capanno dove aveva lasciato i Robinson.
Aprì la porta cigolante e dietro trovò Cliff, che era finalmente riuscito a rialzarsi, che cercava di liberare sua moglie che, madida di sudore, era da tempo entrata in travaglio.
-Tu!!-gridò inveendo contro l’uomo.
-Allontanati da lei!!Subito!!-
-No! Non la lascerò nelle tue grinfie senza fare nulla!!Lei è l’amore della mia vita e io devo proteggerla!!-
-No, tu non l’ami!!Te lo leggo nello sguardo!!Non puoi proteggerla!!E ti definisci un uomo?!Io ti avevo avvertito: dovevi obbedirmi o ne avreste pagato tutti le conseguenze. Ma tu non mi hai voluto ascoltare!-gli urlò tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un coltello a serramanico e facendone scorrere lentamente la lama affilata sul volto di Lara.
-OK, scusa ho sbagliato, ma non farle del male. Lei non c’entra nulla! Prendi me!-
-A te penserò più tardi, non ti preoccupare. Ma ora…..Mi dispiace Lara, la colpa è sua-disse alla povera partoriente mentre sfregiava lentamente il suo volto dall’occhio sinistro fino all’angolo della bocca. Poi si girò verso il marito, osservando il suo sguardo stravolto dall’ira e dall’impotenza.
-Guarda cosa le hai fatto-gli gridò quindi indicando la moglie.
-Non son ostato io!!Sei stata tu!!Non sei latro che un lurido verme!!-le urlò prima di sferrarle un pugno un pugno verso il volto, che lei parò abilmente.
-Questa volta hai superato il limite! Mi hai stancata. Non ho tempo da perdere con te! Il mio bambino sta nascendo-
-Quello non è il tuo bambino!!è il nostro!!è mio figlio!!-
-Tu non sei degno di diventare padre. In realtà non si nemmeno degno di vivere. Tu come tutti gli altri. Ma tranquillo, rimediamo subito-disse con espressione sadica e vendicativa, affondando il coltello nella sua carne fino al manico.
Talmente a fondo che per estrarlo dovette fare leva sulla ferita con l’altra mano.
-Cliff! Cliff!-urlò Lara osservando il marito crollare a terra ,mentre il sangue sgorgava copiosamente dal su corpo.
Lo stesso sangue che ricopriva completamente le meni della donna quando questa le si avvicinò.
-Ora rilassati Lara. Lui non sarà più un problema. Concentrati su questo bambino e spingi. Se lo fai ti prometto che andrà tutto bene-
Il sorriso affettuoso che le rivolse le risultò spaventoso e paradossale dopo ciò che aveva fatto a suo marito e stava per dirglielo quando quest’ultimo si mosse.
-Fa ciò che dice. Sai bene che non ti farà del male se le obbedisci e poi…..Lui sta cercando di nascere, non glie lo impedire. Per me oramai non c’è più niente da fare. Morirò in poche ore. Vorrei solo poter vedere nostro figlio. Ma se anche non ci riuscissi so già che sarà il più bel bambino del mondo-sussurrò con quel poco fiato che aveva in corpo.
-Non dire così, ti salverai e saremmo di nuovo una famiglia: io, te e nostro figlio-
-Non andrà così, è inutile fingere. Sappi solo che ti amo e dì al nostro bambino che, anche se non era ancora nato, l’ho amato moltissimo. Vi ho amato più della mia stessa vita-
-Anch’io ti amo-le disse lei in lacrime.
-Lo so. E ora spingi-
Lui le sorrise e lei obbedì.
Doveva essere forte, per Cliff, ma soprattutto per il nascituro perché forse per lui c’era ancora una speranza.
Continuava a spingere con tutte le sue forze finché la donna, che sembrava non aver udito per niente la conversazione tra i due, le disse:
-Vedo la testa! Brava, continua così e tra poco avrai finito-
Lara continuò a guardare Cliff, che gli sorrise tutto il tempo, e ignorò ciò che l’altra continuava a dirle.
Le sembrava quasi di essere in una bolla: lei e Cliff erano dentro, mentre la donna e quel lurido capanno no.
Opi quella sollevò il bambino finalmente nato, mostrandoglielo.
Entrambi i Robinson sorrisero e l’uomo finalmente concesse un po’ di riposo ai suoi occhi.
Non li riaprì mai più.
Quando la ragazza capì che lui era morto scoppiò in un pianto disperato che le portò via tutta l’energia che le era rimasta, mentre cercava di toccare suo figlio senza successo.
Stremata com’era dopo pochi minuti crollò in un sonno profondo.
La donna sorrise soddisfatta quando la vide abbandonarsi sullo sporco materasso.
Poi prese dalla sua grande borsa un panno caldo e pulito in cui avvolse il neonato piangente cantandogli una dolce ninna-nanna che affondava le sue radici in un passato abbastanza lontano.
Il piccolo sembrò calmarsi mentre lei lo cullava con amore.
Dopo averlo pulito per bene e averlo avvolto in una calda copertina azzurra, lo mise in una culla che pose sul sedile passeggero del furgoncino prima di tornare nel capanno per portare nel vano posteriore la coppia.
Trascinò prima il cadavere del marito.
Malgrado fosse abbastanza pesante non fu molto faticoso per lei, dopotutto, anche se nessuno l’avrebbe mai detto, era una donna molto forte.
Dopo averlo issato all’interno toccò alla moglie venire trascinata fino al furgoncino ed essere scaraventata dentro, questa volta con molto meno sforzo.
Prima di chiudere le partire e rinchiuderli lì dentro senza alcuna possibilità di scappare si soffermò un istante ad osservare Lara.
Lo sfregio che le aveva fatto sanguinava ancora un po’ lasciando scie rossastre che sembravano lacrime di sangue su quel dolce volto imperlato di sudore.
Anche i polsi portavano il ricordo della breva prigionia subita, essendo arrossati vistosamente dove le manette, da cui aveva tentato di liberarsi, avevano sfregato contro la pelle che in alcuni punti si era persino lacerata.
-Non volvo farti del male, so cosa si prova-le sussurrò scostandole una ciocca di capelli che le coprivano gli occhi.
Poi finalmente chiuse e si andò a sedere al suo posto nell’abitacolo.
Si assicurò chela culla del neonato fosse ben fissata e mise in moto.
 
Erano in viaggio da un bel po’ oramai quando giunsero in città.
Odiava quelle strade piene di macchine dove il rischio id fare qualche incidente era dannatamente alto.
Per questo faceva sempre molta attenzione.
Forse quella volta però non ne fece abbastanza perché un’altra auto le venne addosso.
La botta non fu molto forte, in realtà fu solo un lieve tamponamento, ma bastò per portarle alla mente dolorosi ricordi, mai del tutto sepolti.
Ritornò con la mente a quella notte…..
 
Joe stava guidando quando una macchina li colpì facendoli sbandare finché non si schiantarono fuori strada.
Poteva ancora sentire la paura attanagliarle le viscere come quando si rea svegliata e si era resa conto di cosa stava succedendo.
Aveva cercato di proteggere il bambino che cresceva nel suo ventre, ma dopo l’impatto tutto si rea fatto scuro e indistinto.
Sentiva il dolore lancinante che abbracciava ogni parte del suo corpo, la forte pressione sulla sua pancia e le voci dei primi soccorritori che preoccupati chiamavano il 911.
Sentiva la morte avvicinarsi con passi felpati e sperò solo che non fosse lì per suo figlio, la prima vera cosa buona della sua vita.
Poi più nulla.
Aveva riaperto gli occhi per qualche secondo nell’ambulanza, ma subito li aveva richiusi non volendo vedere le facce disperate dei paramedici.
Ad un certo punto però dovette risvegliarsi.
Era in un letto d’ospedale senza nessuno accanto a lei.
La prima cosa che fece fu sentire se il piccolo si muoveva ancora dentro di lei, ma non aveva percepito nulla.
Poco male, forse l’avevano fatto nascere e lui stava dormendo beato nella sua culla.
Poi era entrato un medico nella stanza che con un leggero sorriso le aveva detto che stava bene, che presto sarebbe tornata a casa..
Ma quando gli aveva chiesto del suo bambino quel sorriso era sparito
«Signora mi dispiace, ma purtroppo non abbiamo potuto fare niente per salvarlo. Sono mortificato»
Lei era scoppiata in un pianto disperato che il dottore aveva tentato di placare.
Quando alla fine ci fu riuscito le aveva chiesto:
«So che questo è un momento difficile per lei, ma ho bisogno che mi dica chi stava guidando l’altra notte»
«Mio marito, Joe. A proposito, lui dov’è?»
«Non c’era nessuno con lei quando siamo arrivati signora, per questo glie l’ho chiesto»
«Grazie lo stesso»aveva risposto con la morte nel cuore rendendosi conto che ad affrontare il futuro sarebbe stata da sola.
Joe non sarebbe mai tornato.
Nel giro di poche ore aveva perso tutta la sua famiglia per la quale aveva rinunciato a tutto il resto.
 
I suoi ricordi svanirono in un vortice di immagini, quando fu richiamata alla realtà da una voce maschile.
-Signora sta bene?-
-Si, si certo-
-Mi dispiace, se vuole le riparo la carrozzeria. Conosco un’officina qui vicino…..-
-Non si preoccupi, non è nulla. Ora sono di fretta, devo andare-disse all’uomo mettendo in moto, e lasciandolo sbalordito in mezzo alla strada.
Ricordava il volto della donna alla guida dell’auto che aveva ucciso il suo bambino e stava andando a prenderla per infliggerle la giusta punizione


nota:come promesso questo capitolo è un po' diverso dagli altri,mi ci sono impegnata quindi spero che vi sia piaciuto.e se sarete così getili da lasciare una recensione,anche piccola,per dirmi che ne pensate ve ne sarò immensamente grata.
 detto ciò.....probabilmente prima di postare il prossimo capitolo potrebbe passare un po' di tempo perchè mi deve tornare il quaderno su cui è tutto scritto,perciò vi prego non uccidetemi perchè,per una volta, la colpa non è completamente mia

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Capitolo 9
*** nuovi sviluppi ***


Aveva imparato a non urlare quando gli incubi la svegliavano, così da non disturbare il sonno della bionda donna che con così tanta gentilezza l’ospitava in camera sua risparmiandole la tortura che sarebbe stata tornare nella casa dove aveva vissuto con Matthew.
Sin dal giorno dopo il suo ricovero aveva cominciato a soffocare le urla che le provocavano i suoi terribili sogni che, come lame ghiacciate, le trafiggevano la mente.
Ma Spencer, che la stringeva fra le braccia, riusciva comunque ad accorgersi di ogni sua minima inquietudine ed era sempre lì a consolarla.
La vegliava tutta la notte come un bravo soldato fa la guardia alla sua città, e, solo dopo essersi assicurato che avrebbe dormito per un bel po’, se ne andava di soppiatto, senza svegliarla, lasciandole scritto su un suo biglietto da visita dove poteva trovarlo quel giorno.
Quella notte però le aveva detto che non poteva stare con lei, che sarebbe stata con una sua amica e che per qualsiasi cosa poteva chiedere a lei o chiamarlo; dopotutto dormiva nella stanza accanto.
Le era sembrato strano che si occupassero di lei anche dopo che era stata dimessa, e sospettava che in questo ci fosse lo zampino dell’agente dell’FBI che era diventato il suo angelo custode che vegliava sulla sua tranquillità.
Gli era grata ed avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo vedere dormire finalmente tranquillo.
Fu cosi che le venne un’idea.
Era certa che non sarebbe stato d’accordo, ma non le importava più di tanto, oramai si era abituata così tanto alla sua presenza notturna che, senza sentire il suo calore non riusciva ad addormentarsi.
Le faceva sentire di meno la mancanza di Matthew, in fondo gli somigliava molto, non tanto nell’aspetto quanto nell’anima.
Strisciò lentamente fuori dalle coperte, in punta di piedi per non fare rumore, attraverso le stanza, prese le chiavi della camera e uscì.
Era stato proprio Spencer a farle notare quanto spesso negli alberghi le camere, soprattutto se sullo stesso piano, potevano facilmente aprirsi con la chiave di una qualsiasi delle altre stanze.
A piedi nudi, in pigiama, nel freddo corridoio nel cuore della notte sperò proprio che avesse ragione.
Girò la chiave nella serratura incrociandole dita e la porta lentamente si aprì.
Esultando dentro di sé entrò di soppiatto  raggiungendo il letto dove il suo angelo dormiva beato.
Si fermò qualche istante a guardarlo.
Sembrava quasi un bambino impaurito e infreddolito, rannicchiato com’era in posizione fetale.
Eppure il suo volto era sereno e rilassato, avrebbe detto quasi felice e la cosa la fece sorridere.
Era una bella visione con cui addormentarsi.
Così si infilò furtivamente nel letto e gli si accoccolò vicino.
Il saperlo accanto a lei la tranquillizzò a tal punto che si addormentò all’istante e, per la prima volta sognò Matthew, ma non la usa morte, ma la loro vita insieme.
Quella che avrebbero potuto avere.
Nessun incubo la disturbò più quella notte.
 
Fu il suono del telefono sul suo comodino a svegliarlo.
Lo teneva sempre accanto a sé così, in caso di emergenze, avrebbe risposto prontamente.
-Pronto?- rispose con voce assonnata.
-Spence, sono JJ-
Il ragazzo guardò l’ora.
Erano le 7:15, non era ancora in ritardo, quindi era successo qualcosa.
-Ci sono nuovi sviluppi nel caso?-
-No, io…..Io sono qui fuori. Ho bussato, ma non credo che tu abbia sentito…….Mi apriresti per favore?-
Aveva un tono strano che un po’ lo preoccupò, così scese dal letto e andò alla porta.
Fortunatamente la raggiunse senza inciampare perché i suoi occhi erano ancora chiusi.
Ma lui era solito dormire nel lato più vicino alla porta, come se fosse una precauzione per assicurarsi di poter fuggire il più velocemente possibile.
Si stropicciò gli occhi per costringerli ad aprirsi mentre, aprendo alla collega, si chiedeva cosa l’avesse spinta a cercarlo.
La donna entrò torturandosi le mani.er4a evidente che fosse nervosa e stava per chiederle il motivo quando la donna scoppiò a ridere lasciandolo perplesso.
-Cosa c’è di tanto divertente?-lei indicò il punto oltre le sue spalle dove stava guardando.
Il giovane agente si girò e vide la ragazza che dormiva tranquillamente nel suo letto.
La sua perplessità mutò in pura meraviglia: Come aveva fatto ad arrivare lì senza che lui e JJ se ne accorgessero?
Due preparati agenti dell’FBI non riuscivano a rendersi conto se qualcuno entrava o usciva dalla loro camera!
Il pensiero un po’ lo spaventava, ma alla fine la cristallina risata dell’amica ebbe il sopravvento e lo contagiò.
Sentendoli la ragazza si svegliò e, quando si accorse che stavano guardando proprio lei, che era stata “scoperta”, le sue guance s’imporporarono.
Sarebbe voluta sprofondare nel terreno ma, non potendo, si limitò a seppellirsi sotto le coperte per nascondersi ai loro sguardi, cosa che li fece ridere ancora di più.
Poi Spencer si avvicinò e le scoprì il viso sorridendole.
-Dormito bene?-
-Si. Scusa, non dovevo venire qui, già sei stato così gentile a…..Siete stai tutti così gentili e io…..-
Lui la bloccò
-Questo non è importante. L’importante è che tu stia bene. Gli incubi?-
-Quasi nessuno!-rispose lei orgogliosa che la sua mente stesse piano piano tornando alla normalità.
-Mi dispiace interrompervi, ma…..Spence, stiamo facendo tardi-
-Ok, ok. Vado-disse prendendo i suoi vestiti e andando in bagno a lavarsi mentre JJ rimaneva a fare compagnia a Rudy.
-Mi dispiace se ti ho fatto preoccupare, ma non riuscivo a dormire-
La bionda le sorrise.
-Non ti preoccupare. Dopotutto ha ragione Reid: l’importante è che tu stia bene. Piuttosto……Cos’hai intenzione di fare oggi? È il primo giorno che passi fuori dall’ospedale-
-Ricomincerò a studiare. Oggi ho persino lezione……Mi ero scordata: sono in terribile ritardo!-realizzò schizzando fuori dal letto.
Prese la chiave della stanza che la notte precedente aveva lasciato sul comodino e si catapultò nella camera dove si sarebbe dovuta svegliare, provocando le risate di JJ.
Pochi minuti dopo poté vedere la ragazza sfrecciare giù per le scale che portavano all’uscita.
-Buona giornata e grazie mille!-urlò ai due agenti prima di scomparire.
Quando Spencer finalmente uscì dal bagno la collega lo trascinò verso la macchina.
-Reid, ti vuoi muovere?! Se arriviamo in ritardo glie lo dico ad Hotch che è colpa tua!-gli disse come fanno i bambini che, dopo aver subito un dispetto, minacciano di dirlo alla mamma.
Come sempre il giovane genio lasci che fosse l’amica a guidare.
Non si sentiva particolarmente a suo agio con un volante tra le mani, mentre invece amava lasciar vagare il suo sguardo oltre il finestrino.
JJ lo stava guardando amorevolmente, come una madre guarda il figlio dormire e lui non si accorse di nulla finché lei non gli parlò.
-Dormire ti fa bene. Ti vedo più rilassato…..-
-Già. Grazie per non aver detto niente di questi giorni…..E per avermi sopportato anche se ero intrattabile-
-Almeno te ne sei accorto! Comunque non ti preoccupare, basta che non succeda più-
-Promesso-
Arrivarono nello stesso istante in cui Hotch parcheggiò il suo SUV.
Per fortuna erano riusciti ad arrivare in orario.
Derek era già lì, seduto attorno a una scrivania insieme a Rossi e Prentiss, scorrendo su un tablet la lista che gli aveva mandato Garcia.
-Grazie a Dio non abbiamo moltissimi nomi, ma come faremo a capire chi di loro è la nostra S.I.?-disse loro non appena li vide arrivare.
-Forse ho un’idea……-rispose Reid mentre già digitava il numero della loro analista.
-Forse così riusciremo a sfoltire un po’ la ventina di nomi dell’elenco-affermò fiducioso David.
Dopotutto, solitamente, per quanto strane fossero, le intuizioni del più giovane del gruppo spesso li indirizzavano sulla giusta via.
-Che cosa hai in mente ragazzino?-domandò Morgan squadrandolo, ma Spencer con un gesto della mano gli fece cenno di fare silenzio.
-Garcia?-
-Dimmi tutto adorato genio!-
-So che potrebbe non risultare da nessuna parte, ma qualcuna delle donne aveva già ricevuto una qualche istruzione medica?-
-Si, un paio-
-Come sono scomparse?-
-Una è morta per una pugnalata al cuore infertale dall’ex-marito geloso della sua nuova relazione. Non credo sia lei, le è anche stata fatta l’autopsia. Se vuoi c’è tutta la documentazione-
-No, non è l’S.I.. L’altra?-
-è stato un incidente d’auto a uccidere lei e il suo bambino 3 anni fa. La portarono in ospedale. Per il bambino non ci fu nulla da fare, ma lei sembrava essersi stabilizzata, poi, la notte in cui si svegliò e le dissero del decesso del piccolo, le sue condizioni si aggravarono e morì-
-Parlami dell’incidente: Chi l’ha causato, chi si è occupato del caso. Insomma, tutto ciò che si può sapere-
-Ok, vi mando subito il rapporto completo. Nel frattempo posso dirti che lei fu una vittima innocente. Era in una strada a senso unico quando una macchina che andava contromano a tutta velocità le venne addosso, travolgendola e spingendola contro il muro. La sua auto si accartocciò come una lattina di Coca-Cola vuota e ci misero un bel po’ a tirarla fuori-
-Chi guidava la macchina che provocò l’incidente?-
-Una certa Kelly Clarkson. Doveva finire in prigione perché era decisamente ubriaca, ma grazie al suo avvocato dovette scontare solo poche ore di lavori socialmente utili-
-Chi si occupò della sua difesa?-chiese, anche se sospettava di sapere la riposta.
Ci fu un attimo di silenzio in cui poté sentire le dita di Penelope picchiettare sulla tastiera.
-Oh mio Dio!!-esclamò la donna quando apparve ilo nome sullo schermo.
-Era Lisa Stanley, vero?-
-Non può essere: i morti non resuscitano!-disse quella con tono spaventato.
-Non è davvero morta, bambolina. Ha finto di esserlo e ha cambiato identità-intervenne Morgan.
-Ah! Mi sono scordato di dirti che sei in vivavoce- disse Reid, sapendo che comunque non avrebbe fatto la minima differenza.
-Il nome Garcia, ci serve il nome-s ’intromise Hotch.
-Si, hai ragione. Si chiama Martha Gray, ma su quale identità abbia preso dopo non posso esservi d’aiuto. Vi invio tutto ciò che posso trovare su di lei. Dovrebbero arrivarvi tra pochi minuti-
-Grazie mille bambolina-
-Qualsiasi cosa pe r i miei beniamini. Ah, dimenticavo! Kelly è incinta, ma scommetto che già lo sapevate-
Quell’ultima frase fece sorridere tutti.
Appena arrivò il fascicolo sulla donna Derek passò il suo Ipad a Spencer.
Superlettore preistorico leggilo tu-
Intercettando il suo sguardo si affrettò a bloccare la sua obbiezione.
-Non c’è tempo di stamparlo, quindi per oggi lo leggerai in digitale. Sai, dovresti modernizzarti ragazzino-
Con uno sbuffo il giovane dottore afferrò il così odiato strumento tecnologico e cominciò a scorrere il file, qualche volta mandandolo troppo avanti, qualche volta mandandolo troppo indietro,  provocando le risate trattenute dei suoi amici.
Quando concluse la lettura alzò gli occhi e riferì ai colleghi quanto appreso.
-Aveva iniziato a studiare ginecologia all’università, poi però rinunciò alla laurea per il suo ragazzo di allora, il padre del bambino. Si ridusse a fare l’attrice in una miserabile compagnia teatrale per guadagnarsi da vivere. Appena lui seppe della gravidanza divenne più violento con lei. Dopo l’incidente scappò e non si fece più vedere. Probabilmente è stato uno dei suoi vecchi compagni di corso che lavorava all’ospedale ad aiutarla ad inscenare la sua morte. Forse se troviamo lui avremo qualche speranza di trovare lei-
Fece appena in tempo a finire la frase che un giovane agente li avvertì del ritrovamento dei Robinson.
-Abbiamo un elenco dei suoi amici di allora? Persone che frequentava e che potrebbero averla aiutata in questa messinscena?-chiese Hotch mentre si avviavano verso il garage.
-Non saprei. Potrei chiedere a Garcia un elenco di chi era iscritto a corsi di che gli avrebbero dato la possibilità di farla considerare morta e poi…..-cominciò a dire il più giovane titubante.
-Reid! Non mi dire cosa potresti fare, fallo e basta!-rispose il capo risoluto.
Sapeva che se avesse permesso a Reid di spiegargli tutto avrebbero solo perso tempo.
A tempo debito, dopo che avessero trovato la persona che cercavano, avrebbe chiesto a Spencer secondo quale criterio aveva operato.
-Ok, allora chiamo Garcia-
-La chiamerai in auto. Ho bisogno di te sul luogo del ritrovamento-
Spesso il ragazzo riusciva a cogliere, ma soprattutto a ricordare, dettagli a cui loro davano oca importanza o che sfuggivano alla loro vista.
Per questo cercava sempre di portarlo sulle scene dei crimini.
Presa la tracolla il giovane agente seguì il più anziano come un cucciolo smarrito.
Perché, proprio come un cucciolo, lui sapeva che Hotch si sarebbe occupato di lui, che l’avrebbe capito o almeno si sarebbe sforzato di riuscirci.
Non glielo aveva mai detto, ma sapeva che era così.
L’aveva capito quando, dopo che aveva ucciso Thobias Henkel, Aaron lo aveva abbracciato.
Quel tipo di abbraccio che un padre da la proprio figlio e che dice “Ti proteggerò sempre, anche a costo della mi avita”.
Sapeva che se era con lui, come con Morgan, era al sicuro.
Chiuse la portiera e la macchina cominciò a muoversi velocemente per le vie della città mentre Reid chiamava Garcia.
-Non mi aspettavo di risentirti così presto, dolcezza!-rispose prontamente lei con voce squillante.
-Neanche io, ma ho bisogno di te-
-Ok, spara!-
-Mi serve un elenco degli amici di Martha, soprattutto di quelli che frequentavano la facoltà di medicina e che all’epoca dell’incidente lavoravano in ospedale-
-Va bene. Faccio il più velocemente possibile, anzi sarò più veloce della luce-
-Garcia, è impossibile andare più veloce della luce poiché essa viaggia a…..-
-Quanto sei irritante dottore!-disse lei riattaccandogli in faccia e lasciando Reid esterrefatto, con uno sguardo che fece sorridere l’agente supervisore noto per la sua inespressività.
Giunsero in fretta nel vicolo scelto questa volta dall’S.I. dove gli altri erano già intenti a esaminare la scena.
-L’ambulanza se n’è appena andata. Lei era ancora incosciente quando l’hanno trovata, mentre il marito doveva essere morto da qualche ora-gli disse Morgan appena scesero dal SUV.
Il cadavere dell’uomo era ancora steso sull’asfalto, per concedere agli agenti di poter osservare meglio ogni cosa, così da poter capire meglio le zioni dell’S.I.
JJ si avvicinò silenziosamente ai due appena arrivati.
-è cambiato qualcosa in Martha-
-Questo già lo sapevamo-le rispose Hotch
-No, intendo dire che qualcosa è cambiato UN’ALTRA VOLTA!-
-Spiegati meglio-
-io ed Emily siamo arrivate insieme all’ambulanza e abbiamo potuto notare sul volto di Lara uno sfregio dall’orecchio sinistro fino alla bocca e anche delle abrasioni molto simili a quelle che sono presenti sugli uomini, mentre le altre donne non ne avevano. Loro erano state poggiate delicatamente a terra, mentre Lara è stata scaricata senza nessun riguardo. È stata gettata già dal furgoncino e questo significa…..-
-…..Che è già andata a prendere la prossima vittima e che il figlio dei Robinson è condannato-
La bionda annuì mestamente.
-Derek! Chiama subito la centrale e digli di mettere sotto protezione Kelly Clarkson e suo marito-gli disse il capo chiamando a gran voce l’agente di colore.
Poi si rivolse nuovamente alla collega.
-JJ, ho bisogno che tu faccia una conferenza stampa. Dobbiamo mostrare la foto della nostra S.I. e sperare che qualcuno l’abbia vista e che ci contatti. Tanto oramai il piccolo ha i minuti contati-
Dio solo sapeva quanto gli era costato dire quella frase, si poteva leggerlo sul suo viso.
Non voleva arrendersi poiché avrebbe voluto dire far vincere quell’assassina, ma sapeva che non l’avrebbero mai trovato vivo.
Sperare in questo caso era inutile.
Come diceva Nietzsche “La speranza è il peggiore dei mali, perché prolunga il tormento dell’uomo” e in questo caso credere, sperare nella possibilità di trovare vivo il bambino lo avrebbe solo fatto soffrire di più quando si fosse ritrovato a stringere il cadavere.
Sarebbe stato come credere nei miracoli e se i miracoli fossero davvero esistiti Haley non sarebbe morta.
Eppure aver detto quella frase era stato per lui come sacrificare il bambino, abbandonandolo alle ire della donna.
Era stato un vero e proprio tradimento di cui sentiva ancor l’amaro sapore in bocca.
Rossi, che nel frattempo era giunto dietro di lui, gli diede una pacca sulla spalla.
-Hai fatto quello che dovevi fare-disse.
Parole che a Hotch ricordavano quelle che Gideon si era ripetuto quando, a causa di un conferenza stampa, avevano sparato ad Elle, per convincersi che lui non aveva colpa.
Morgan si affrettò, con volto preoccupato a riferire al capo quanto gli agenti mandati  a casa Clarkson gli avevano detto.
-Siamo arrivati troppo tardi-esordì
-A casa non hanno trovato nessuno, ma era tutto a soqquadro. La nostra S.I. è stat più veloce di quanto pensassimo-
-Dobbiamo recarci subito lì-rispose l’uomo.
Poi chiamò a raccolta il resto della squadra assegnando a ciascuno un incarico.
-Reid e Prentiss, andate all’ospedale, stabilite un rapporto con la signora Robinson e fatevi dire tutto ciò che sa. JJ-disse poi rivolgendosi alla donna ancora la telefono che si adoperava per convocare i giornalisti in meno tempo possibile.
.-Tu occupati della conferenza stampa. In caso ne avessi bisogno Rossi sarà lì con te. Io e Morgan andremo ad esaminare la scena del rapimento di Kelly Clarkson-poi gli sorse un interrogativo.
-Morgan, hai avvisato il capitano Kim?-
-Si, certo. È stato lui che si è recato a casa della donna. Ci sta aspettando lì-rispose Derek.
-Allora non facciamolo aspettare ancora-concluse Aaron.
Lasciarono che la scientifica facesse gli ultimi rilevamenti mentre ognuno di lor si recava alla propria meta
 


nota:chiedo perdono per i 3-4 secoli di ritardo,ma se ben vi ricordate dissi che avrei affidato il quaderno su cui era scritta la storia d una mia amica.bene gliel'ho dato il giorno dopo aver postato l'ultimo capitolo ed è ritornato a "casa" non molto tempo fa.
Adesso,scuola e lavori di casa permettendo,riesco finalmente ad aggiornare dopo millenni e se mi odiate vi capisco(mi odio anch'io,perchè mi fido ancora della gente?!)però spero nei prssimi tempi di essere un po' più puntuale a postare.
speroc he il capitolo vi sia piaciuto(anche se è una vera ciofega) e vi ringrazio della pazienza,per avermi aspettato e per aver letto fino a qui.

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Capitolo 10
*** -Dottor?--Dottor Mallard- ***


-Perché non abbiamo ancora ritrovato il bambino?-chiese Reid spezzando il silenzio che regnava nell’auto.
-Abbiamo appena ritrovato i genitori, aspetta almeno qualche ora……-
-Non mi riferivo ai Robinson, ma a Rudy-
La collega notò preoccupata che chiamava la vittima per nome e Spencer non lo faceva mai.
La cosa le avrebbe rese più umane e lo avrebbe fatto soffrire molto di più.
-Non ti sarai affezionato a lei?-chiese anche se sapeva già la risposta.
L’altro voltò la testa verso di lei lanciandole uno sguardo infuocato, così buffo sul suo viso, che contemporaneamente chiedeva di lasciarlo stare e non porgli alcuna domanda per rispettare il suo mondo privato, ma anche di insistere aiutandolo a sgravarsi di un peso.
Ed Emily lo sapeva, così lo guardò negli occhi finché non si ritrovò a specchiarsi in quelli grandi e lucidi che lui aveva sempre e che ispiravano tanta tenerezza.
Aveva ceduto.
-Non lo so, forse si. Ma non ho più il controllo di me stesso ultimamente, perciò non so minimamente cosa sto provando-
-Non ti preoccupare, presto tutto tornerà normale e tu sari di nuovo il Reid di sempre-
-So che se capissi perché non abbiamo trovato il piccolo Derryll, saprei cosa è successo alla S.I. e dov’è ora. E sento che la osluzione è a portata di mano ma non riesco ad arrivarci. È…….-
-Frustrante?-
-Si. Frustrante-rispose lasciandosi cadere sul sedile del passeggero.
Anche quella volta aveva lasciato il volante all’altra.
Temeva che un colpo di sonno potesse coglierlo all’improvviso dato che non si era ancora del tutto ripreso dalle precedenti notti insonni.
-Lo scopriremo e la prenderemo. Oramai manca poco, lo si. E troveremo anche il bambino-
Il giovane emise un sospiro e appoggiò la testa al finestrino.
L’ospedale era lontano.
Forse poteva dormire un po’.
Cercò una radio di musica classica e si lasciò cullare dalle note di Mozart che in quel momento venivano trasmesse.
Prentiss lo guardò con aria materna e la dolcezza che in quel momento Spencer le suscitava.
-Dormi-gli sussurrò, ma lui non la sentiva: era già finito nel mondo dei sogni, dove forse avrebbe trovato la pace che cercava.
 
Arrivarono a casa Clarkson in pochi minuti.
Oltrepassarono la porta già aperta e trovarono all’interno il capitano e la sua squadra intenti a esaminare ogni angolo, alla ricerca di qualche indizio.
-Trovato nulla?-domandò immediatamente Hotch senza nemmeno salutare.
Per quello non c’era tempo perché se volevano ritrovare quella donna viva dovevano fare molto più in fretta, poiché per l’S.I. era una questione personale.
Molto personale.
-Agenti!-rispose quello andandogli incontro.
-No, mi spiace. Solo questo- concluse porgendo loro il referto medico che stava tendendo in mano.
-Che era incinta già lo sapevamo. È il fattore scatenante. Probabilmente l’ha incontrata in giro con suo marito e, vedendo il pancione, tutta la rabbia e il dolore che si era tenuta dentro fino a quel momento è esplosa trasformandosi in desiderio di vendetta-
-Un momento. Ma lei doveva essere già “morta” quando il processo si è concluso; come faceva a conoscere la condanna, l’avvocato, persino chi fosse l’imputata?! Non  è stato un caso trattato dai media-
-Ma lei ha seguito tutto e anche da vicino. Probabilmente ha persino assistito ad ogni udienza-
-Ma non era troppo rischioso! Insomma l’avrebbero potuta riconoscere-
-Non ci sarebbero riusciti. Prima di scomparire nel nulla lei faceva l’attrice. Conosce tutti i trucchi per camuffarsi e rendersi completamente irriconoscibile a chiunque. Era impossibile che, anche vedendola, qualcuno si rendesse conto della sua vera identità. È ciò che rende così complicata la sua cattura: sappiamo tutto di lei, ma ogni giorno lei si sveglia e diventa un’altra persona-
-Come facciamo allora a trovare questo camaleonte assassino?-
-Possiamo basarci solo sul profilo psicologico-
-E cosa ci dice il profilo adesso che ha rapito un’altra donna?-
Questa volta fu Morgan a rispondere.
-Non ha rapito una qualsiasi donna. Ha rapito la persona che ha rovinato la sua vita. Con lei non seguirà lo stesso schema delle altre-
-E quale sarebbe?-
-Prima portava le coppie in un posto sicuro e isolato, faceva partorire le mogli, uccideva i mariti e prendeva i bambini. Ma con lei sarà diverso. Non la porterà dove ha portato le altre e cosa più importante: lei non sopravviverà-
-Allora cosa facciamo?-
-Normalmente penseremmo che l’abbia portata dove tutto è cominciato, ma, essendo in questo caso un’autostrada, non può di certo essersi recata lì perché non riuscirebbe a passare inosservata, quindi dobbiamo riuscire a capire qual è il posto che più ci si potrebbe avvicinare-
-L’ospedale?-propose prontamente il capitano.
-Dopotutto è lì che ha saputo che la sua vita era stata distrutta-
-No, non credo. E poi ha bisogno di non essere notata e soprattutto sentita e l’ospedale è il posto meno adatto: troppo affollato-
-Allora dove?-
-è quello il problema-concluse l’uomo di colore.
-Per ora possiamo solo sperare che la signora Robinson ricordi qualcosa di più. Dopotutto abbiamo notato un cambiamento nel modus operandi dopo i Derryll e lei è la prima vittima dopo quel cambiamento, quindi l’unica che può dirci in cosa consiste per l’S.I. questo mutamento. I nostri agenti sono già da lei per interrogarla-disse Hotch
-Noi che dobbiamo fare nel frattempo?-chiese Kim
-Per ora possiamo solo aspettare-
Grazie al cielo l’uomo si fidava ciecamente di loro avendo sperimentato in prima persona come le loro intuizioni portassero velocemente all’assassino, così accolse la risposta con sguardo rassegnato, senza controbattere.
-La prenderemo capitano. Siamo ad un passo da lei-
-Lo so. Ho fiducia in voi e nei vostri metodi. Spero solo di non arrivare troppo tardi-.
Lo capiva.
Era la sua stessa paura.
Ma per fare quel lavoro doveva sopprimerla.
Sopprimerla e non sconfiggerla perché eliminare quella che era uno dei più radicati timori degli esseri umani era impossibile.
E, in fondo, non voleva nemmeno farlo perché era quell’ansia a far correre il suo cervello e a a fargli sviluppare le ipotesi che lo portavano ogni secondo più vicino all’S.I.
Doveva saperla dosare, però, perché se ne fosse stato dominato ogni morte lo avrebbe ferito in maniera eccessiva portandolo piano piano ad una lenta e terribile morte dell’anima.
E lui doveva vivere, sapersi staccare dai cadaveri che vedeva ogni giorno.
Doveva farlo per suo figlio Jack.
Doveva farlo per mantenere la promessa che aveva fatto ad Haley quando il mietitore l’aveva uccisa.
Doveva farlo perché per la sua squadra era un punto di riferimento e non voleva di certo abbandonarli
Doveva farlo per dimostrare che era più forte di ciò che accadeva intorno a lui e che cercava di soffocarlo.
Doveva farlo perché quello era il lavoro a cui aveva consacrato la sua intera vita, il lavoro che aveva scelto e bisogna prendersi la responsabilità delle proprie scelte e affrontarne le conseguenze.
Doveva farlo perché lo doveva alle vittime e alle loro famiglie che vedevano la loro vita rovinata per sempre senza alcun motivo.
Doveva farlo per i suoi amici, per la sua famiglia e per tutti coloro che gli volevano bene.
Doveva farlo perché , in fondo, quello era lui.
Avrebbe voluto dire tutto questo a  Kim, ma non trovò le parole adatte.
E tutto quello che riuscì a fare fu dargli una pacca sulla spalla per confortarlo, senza ottenere però un grande risultato.
 
JJ aveva già fissato la conferenza stampa per le 16 di quel pomeriggio alla centrale di polizia.
Lei e Rossi avevano ancora qualche minuto prima di essere assaliti dai giornalisti assetati di notizie, tempo che avrebbero utilizzato per organizzare meglio il discorso che avrebbe fatto la donna.
L’uomo al suo fianco nell’auto gli stava dando un paio di consigli che, ovviamente, lei già sapeva a memoria.
Ma il più anziano glieli ripeteva ogni volta, come in una sorta di rituale propiziatorio e a lei non dispiaceva affatto.
Era una cosa familiare che la faceva sentire certa ogni volta di non aver causato altre morti con el sue parole.
-Mi sembra inutile Dave-
-Che cosa?-chiese quello interrompendosi.
-Ogni volta mi preparo ciò che devo dire a quelle sanguisughe, e poi spunta sempre fuori una domanda che devia il discorso nella direzione che vogliono loro-
L’altro scoppiò in una fragorosa risata
-Ma, Jennifer, è il loro lavoro e nel farlo sono bravissimi. Loro cercano solo lo scoop da poter mettere in prima pagina!-
-Lo so. Ma non capiscono che così facendo ci mettono solo i bastoni tra le ruote?! Dicono sempre di volerci aiutare, ma quante volte a causa di questa loro fame insaziabile, qualcuno è morto?-
-Troppe JJ, troppe-rispose lui con aria afflitta.
Aveva ragione la collega, loro facevano di tutto per evitare che il numero di vittime salisse, ma a volte i notiziari provocavano la rabbia dell’S.I. o peggio ancora, il panico.
E nulla era peggiore del panico che uccideva moltissime persone.
-A volte non vorrei dover avere a che fare con quegli sciacalli…….-
-……Ma, malgrado tu ora sia ufficialmente una profiler, sei la migliore nel trattare con loro, anzi sei l’unica che sa farlo. Noi altri non saremmo in grado-
Lei annuì, vedendo poi comparire i segni di una risata, magistralmente trattenuta sul volto di Rossi.
-Cosa c’è di tanto divertente?-
-Oh, niente. Mi stavo solo immaginando Reid che tiene una conferenza stampa. Con tutti i giornalisti che lo sommergono di domande e lui che comincia a sciorinargli tutte le sue statistiche-
A quel punto anche la donna scoppiò a ridere.
-Li farebbe scapare tutti a gambe levate!-disse, quando finalmente riuscì a controllarsi abbastanza per parlare.
Gli voleva molto bene e, in fondo li dispiaceva prenderlo in giro a quel modo, ma lui sembrava fatto apposta.
E poi lo faceva con affetto, non con cattiveria.
Non avrebbe mai permesso una cosa del genere a nessuno, nemmeno a u componente della squadra.
Si era riproposta di proteggerlo da qualsiasi cosa e le prese in giro non facevano eccezione, ne aveva già subite troppe da bambino.
Parcheggiarono la macchina nello spiazzo davanti alla stazione di polizia e scesero preparandosi psicologicamente ad affrontare la conferenza stampa che, purtroppo per loro, iniziò prima del previsto perché tutte le emittenti televisive e le testate giornalistiche erano arrivate in anticipo, sperando0 di poter ottenere qualche esclusiva.
Così i due federali si videro costretti a cominciare appena arrivati, malgrado non ne avessero lacuna voglia.
Si fermarono sul terzo gradino delle scalette che precedevano l’entrata e subito i giornalisti li circondarono.
-Andrà tutto bene, sarai bravissima, come al solito-disse David spostandosi in disparte lasciando che venisse ripresa solo lei.
Certa di avere la completa attenzione di tutti, JJ fece un bel respiro e cominciò.
-Buonasera sono l’agente Jereau dell’unità analisi comportamentale dell’FBI. Stiamo cercando questa donna-esordì mostrando loro la foto più recente di Martha Gray che era riuscita a trovare.
-è un’abile trasformista e riesce ad assumere qualsiasi sembianza. Spesso porta delle lenti a contatto colorate, ma ha un occhio marrone e uno verde. Il suo nome è Martha Gray, ma sono circa 3 anni che cambia identità a seconda di chi si trova davanti-
-Queste informazioni non servono a nulla allora!-esclamò uno tra la folla.
-Non abbiamo molte altre notizie che ci aiutino a trovarla, per questo abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. 3 anni fa, dopo l’incidente che la fece abortire e a seguito del quale il marito si dileguò, qualcuno la aiutò a inscenare la sua morte. Chiunque sia stato lo preghiamo di farsi avanti e di dirci tutto ciò che sa su ciò che lei ha fatto dopo, dove sia andata, con chi ha avuto contatti. È riuscita a trovare un lavoro nel campo ginecologico-ostetrico che però le occupa solo all’incirca mezza giornata. Preghiamo chiunque conosca una donna corrispondente a questa descrizione o sappia qualsiasi cosa di utile su Martha Gray di contattarci immediatamente perché non c’è un minuto da perdere-
Appena JJ si interruppe fu assalita dalle domande di quella folla.
-Quanto siete lontani dalla sua cattura?-
-è vero che il killer del nono mese ha colpito ancora?-
-è vero che tortura le sue vittime?-
-Che metodi di tortura usa?-
E altre mille dello stesso genere.
-Non sono autorizzata a riferirvi l’andamento delle indagini-rispose cercando di rimanere impassibile quando in realtà avrebbe voluto lanciare un poderoso urlo e farli tacere tutti.
Odiava le stupide voci false che, per quanto contenessero un fondo di verità, si spargevano a macchia d’olio fra la popolazione e che i mass media amavano alimentare.
Ma ancora di più odiava che si dessero dei soprannomi agli S.I.
Come aveva capito da sola, e come Hotch ripeteva continuamente, in questo modo si spostava l’attenzione dalle vittime al colpevole, che sarebbe stato ricordato mentre le altre sarebbero cadute nell’oblio.
Ma non fece trasparire alcuna emozione, come sempre.
Proprio come aveva detto Rossi, lei avrebbe fatto ciò che faceva sempre, quella volta non sarebbe stata diversa dalle precedenti.
Era solo una delle tante conferenze stampa che aveva, e avrebbe, sostenuto nella sua carriera.
Stava per andarsene lasciando tutte le domande senza risposta quando un uomo, fattosi prepotentemente strada tra tutti quei microfoni tesi verso la bionda agente, la guardò e le rivolse una delle poche domande che non voleva sentire e che credeva di aver evitato:
-Avete trovato il bambino dei Derryll?-
Lei lo osservò attentamente.
Indossava una camicia celeste chiaro e dei semplici jeans.
In fondo era un bell’uomo sui 40 anni circa con dei folti capelli castani abbastanza disordinati che in quel momento contribuivano a dargli un’aria trasandata che lo rendeva molto affascinante.
I suoi occhi castani erano illuminati da uno sguardo di sfida, come per dirle “rispondi se hai il coraggio!”, ma sotto sotto, ben nascosta c’era molta tristezza anche se faceva di tutto per non darlo a vedere, per dimostrare che era forte.
-Lei chi è scusi?-domandò con molta educazione intuendo però la risposta.
Dopotutto Rudy e Matthew non avevano molte persone a Los Angeles che potessero preoccuparsi di loro tranne…….
-Sono il loro vicino di casa. Ma non ha ancora risposto alla mia domanda-
-Sa che non posso rivelare nulla-
Il volto dell’altro mutò sotto l’influsso della rabbia, cosa che JJ di certo non si aspettava perché non credeva che fossero così legati.
Malgrado tutto erano pur sempre solo vicini di casa.
-Non può rivelare nulla?! Sono passati giorni e non mi può dire se il bambino che ho osservato nella pancia di sua madre per 9 mesi è stato ritrovato?! E vi considerano la squadra migliore dell’FBI! E adesso risponda alla domanda: Dov’è il piccolo Derryll?!!-
La donna si sentì messa con le spalle al muro.
Aveva ragione lui: doveva dirgli la verità.
Aveva il diritto id saperla.
Però non abbassò mai gli occhi.
Era la prima cosa che le avevano insegnato Hotch e Gideon quando era entrata nell’unità.
Altrimenti avrebbe dato un vantaggio ai media, agli S.I., a chiunque avesse voluto, cosa che non doveva succedere.
Così tenne alto lo sguardo.
Anche quando la sua bocca pronunciò quelle parole che assolutamente non voleva dire e che avrebbero reso tutto più reale.
-Non lo sappiamo signore. Mi dispiace-
Quello se ne andò amareggiato e furioso, sgomitano per uscire da quella maledettissima folla, senza accorgersi che qualcuno lo stava chiamando.
-Signore! Signore! Signore!!-urlò Rossi a squarciagola sperando che lui lo sentisse e si fermasse senza doversi infilare in quella ressa.
Speranza vana perché quello continuò ad andare avanti a passo di marcia senza nemmeno voltarsi.
L’anziano agente si avvicinò alle spalle della bionda collega.
-Io lo raggiungo. Se la sua relazione con i Derryll era così profonda come sembra, forse ci dirà anche come l’S.I. ha incontrato le vittime-
Come risposta ottenne solo un lieve cenno del capo che solo lui notò, cercando ancora di tenere a bada quegli sciacalli con microfono e telecamera che la circondavano.
Erano talmente concentrati su di lei, che non si accorsero che l’altro profiler stava correndo tra di loro cercando di fermare l’unico che in quel momento avrebbe potuto aiutarli a capire quale identità avesse assunto la donna che stavano cercando.
“Maledetti avvoltoi! Sempre tar i piedi! Piaga della società!” inveiva mentalmente Dave, cercando di stare dietro al dottore che sembrava non avere nessunissima intenzione di rallentare il passo e quindi permettergli di raggiungerlo.
“Ma perché diavolo va così veloce?!Sembra che abbia un assassino alle calcagna!”
-Signore! Signore!!-gridò con il fiato residuo da quella che era oramai diventata una corsa.
Stava meditando di tirargli qualcosa, a quel punto si sarebbe voltato per forza, quando, inaspettatamente l’umo si fermò.
Attese che l’altro fosse alle sue spalle prima di girarsi, puntando gli occhi infuocati e accusatori nei suoi.
-Finalmente mi ha sentito! Temevo di non riuscire a raggiungerla!-
-Se è per questo l’avevo udita anche prima. Solo non pensavo che avrebbe continuato a seguirmi. Non la facevo così determinato agente speciale David Rossi-rispose quello gelido.
-Sa chi sono!-osservò allora lui.
-I suoi libri a casa di Rudy. Sul retro campeggia una sua gigantesca foto. Impossibile non riconoscerla-
Tratteneva a stento la rabbia per evitare un’altra scenata come quella che aveva fatto a JJ.
-Capisco come si sente dottor…..-
-Dottor Mallard. E non credo che sappia come mi sento. Lei non conosceva Matthew. Era un ragazzo d’oro che faceva di tutto per la sua famiglia, che lavorava come u pazzo per portare a casa quello schifo di stipendio che gli davano!-
Piano piano il suo autocontrollo cominciava a svanire facendo aumentare il suo tono di voce.
-Eppure, malgrado tutti i suoi impegni, non è mai mancato ad un’ecografia o a qualsiasi altro esame. Ne tanto meno ha mai fatto sentire la donna che amava sola e abbandonata. Lui era sempre presente, la accudiva, la faceva sentire protetta, a casa. C’era sempre per la sua famiglia. E voi?! Quanti di voi possono dire lo stesso?!-
L’agente rimase spiazzato.
Odiava pensare ai suoi matrimoni falliti, soprattutto il primo, l’unico che non aveva mai rimpianto e l’unico che avrebbe voluto che durasse per sempre.
Ricordava le parole impregnate di dolore, che lei gli aveva rivolto nel loro ultimo litigio, quando, tornando da un caso, l’aveva trovata con le valigie in mano e l’aveva fermata appena prima che salisse sul taxi.
«Che significa tutto questo?!»le aveva detto indicando i bagagli che non voleva posare per terra.
«Cosa può voler dire Dave?!Che me ne vado!»
«Perché? Non capisco!»
«Non capisci?!NON CAPISCI?!Non ci sei mai!»
«Io…..Il mio lavoro mi costringe a stare via così tanto. Io …… Sai che non è una mia scelta»
«Non è una tua scelta?! Ti sbagli! Ti sbagli di grosso! È una tua scelta! Anzi è la TUA scelta! Tu hai scelto il tuo lavoro invece della tua famiglia!»
Due grandi lacrime avevano cominciato a scorrere lungo il viso dell’unica che aveva amato davvero, preannunciando le terribili parole che lo aveva costretto ad ascoltare.
«Forse è meglio che nostro figlio sia morto così presto»
«Come puoi dire una cosa del genere?!!»le aveva urlato contro facendola solo piangere di più.
«Pensi davvero che sia meglio così? Non lo vorresti qui con noi?! Ma che razza di madre sei?!!»
Era furioso con lei.
«Non con noi, Dave, con eme! Tu……Tu sei un pessimo genitore, non io!! Che razza di padre saresti stato?! Te lo sei mai chiesto?! No, vero?!»
Lo aveva guardato come non aveva mai fatto.
Sapeva ciò che stava per dire e non voleva farlo, ma doveva.
«Pensaci David. Non c’eri quando ho scoperto di essere incinta. Non c’eri alla prima ecografia ne a quelle successive ne a qualsiasi altro esame. Non hai mai parlato con il dottore se non per telefono e tuttora non sai nemmeno che faccia abbia. Non c’eri quando mi si sono rotte le acque. Non c’eri in sala parto. Non c’eri quando è morto. Eri sempre su quel maledettissimo jet e a malapena ti ricordavi di chiamare per sapere come stavo. E dopo……. Dopo non hai preso nemmeno un giorno di ferie! NEMMENO 1!! Sei subito partito per un nuovo caso senza dirmi nient’altro che “mi dispiace”! Ma io non me ne faccio nulla delle tue scuse!! Non posso pensare che ogni momento importante della nostra vita, positivo o negativo, TU NON C’ERI!!Non avrei sopportato che lui provasse le stesse cose!! Forse è stato meglio così» concluse in un sussurrò.
«Non puoi pensarlo davvero!!»
«Vorrei che avessi ragione Dave, vorrei che avessi ragione»
Sapeva che non era vero, mal ei glielo aveva detto per facilitare il loro distacco.
Cavolo era un profiler, uno dei migliori, non poteva pensare di ingannarlo così. Si era avvicinato per abbracciarla ea sciugarle il volto da quel suo pianto che aveva cominciato a mischiarsi con le gocce di pioggia che scendevano ogni secondo di più da quel cielo notturno, ma lei si era allontanata chiudendo il bagagliaio del taxi.
«Non può finire così. Io ti amo ancora. Ti ho sempre amata+»
Aveva fatto uno sforzo enorme per tenere a freno le sue emozioni.
«Anch’io ti amo e non smetterò di amarti. Ma non mi merito questa vita, e non credo più che tu possa cambiare. Mi dispiace David»
Furono le ultime parole che gli aveva detto.
Poi era entrata nell’auto e aveva chiuso la portiera. Lui l’aveva vista andare via per sempre dalla sua vita e, appena la macchina gialla era scomparsa dietro l’angolo, tutto il dolore che aveva trattenuto fino a quel momento era esploso.
Dai suoi occhi erano scesi due rivoli salati che a poco a poco si erano trasformati in due fiumi in piena.
Era rimasto lì, sul bordo della strada, senza curarsi di ciò che pensavano i pochi passanti che lo vedevano fermo immobile disperandosi per aver distrutto l’unica persona a cui aveva davvero donato il suo cuore.
Ne aveva avute altre di mogli, sperando di trovare qualcosa di Carolyn in loro.
Ma nessuna aveva il suo sorriso, la sua dolcezza, la sua pazienza, il suo amore smisurato per lui, la sua forza e la sua determinazione nel voler costruire una famiglia, nel voler rimanere con lui, nel proteggere la loro storia, anche quando tutto diceva che era impossibile e il mondo voleva distruggerla.
Il mondo non c’era riuscito, ma lui si.
Era lui l’artefice della sua stessa solitudine e l’esserne consapevole era la cosa peggiore di tutte.
Non aveva mai smesso di amarla e non l’aveva mai dimenticata.
E nemmeno lei.
L’aveva capito quando l’aveva chiamato, quando gli aveva detto che stava per morire e gli aveva chiesto di rimanere con lei mentre se ne andava per sempre e tornava da suo figlio.
Dal loro figlio.
Spesso sognava di raggiungerli, di riunirsi alla sua famiglia.
Ma ancora non era il momento.
-Quanti di voi hanno perso le loro famiglie  perché non erano abbastanza presenti?!-
Il dottor Mallard interruppe le sue tristi elucubrazioni.
Dalla sua faccia aveva capito che aveva colpito nel segno e ne stava approfittando per poter avere qualche vantaggio sul federale.
Era ovvio che era furioso per ciò che era successo ai suoi amici e voleva che anche l’agente soffrisse.
E ci stava riuscendo perfettamente.
Rossi pensò a se stesso, con tre matrimoni falliti alle spalle e una casa vuota.
Pensò a Hotch. Che per colpa di quel maledetto lavoro aveva divorziato dalla moglie per poi vederla morta per mano di un’S.I. di cui aveva rifiutato l’accordo, e che non vedeva quasi mai il figlio che aveva rischiato la morte per mano dello stesso assassino della madre.
Pensò a Prentiss che vedeva sua madre poche volte, anche s e per lei erano sempre troppe, e che non riusciva ad avere una relazione stabile con nessuno, anche a casa della poca fiducia negli altri che, lavorando nel BAU, aveva sviluppato.
Pensò a Morgan la cui famiglia stava a Chicago e che quindi vedeva davvero pochissimo, che saltava da una ragazza all’altra, forse per paura che legandosi seriamente a qualcuna l’avrebbe solo messa in pericolo.
Pensò a Reid che l’unica persona che aveva al mondo era sua madre, chiusa in una clinica per malati di mente a Las Vegas e che andava a trovare molto raramente anche s e le scriveva ogni giorno; che si era sempre affezionato a persone che se ne erano andate e che aveva avuto “relazioni”(se così si poteva chiamarle) solo con due vittime di altrettanti S.I..
E infine pensò a JJ che aveva lottato contro se stessa per portare alla luce la relazione con l’uomo che amava e dal quale aveva avuto uno splendido figlio che sentiva ogni giorno, ma che vedeva sempre di meno e questa sua assenza aveva provocato dei litigi; sperava solo che la giovane coppia non arrivasse allo stesso punto di Aaron e Haley.
Ma poi si ricordò di pensare positivo.
Perché Hotch ora aveva Beth e Jack lo considerava il suo eroe.
Perché Reid stava diventando adulto davanti ai suoi occhi, si era costruito una famiglia, imparando ad amare ed era certo che prima o poi si sarebbe presentata nella sua vita una donna degna di lui che lo avrebbe amato con tutta se stessa e che da lui sarebbe stata amata allo stesso modo.
Perché JJ e Will si erano finalmente sposati ed erano felici insieme ad Henry.
E perché Morgan e Prentiss non avevano mai scordato come si ride e continuavano a fare a Spencer mille e uno scherzi, divertendosi da matti nel vedere la sua espressione quando li scopriva.
La loro era una vita difficile perché avevano una doppia natura le cui due parti si scontravano incessantemente: da una parte la voglia di stare con la propria famiglia e dall’altra il dover partire per rendere il mondo migliore per le persone che amavano.
Loro erano degli eroi dannati, ma non sempre gli eroi dannati rimangono soli.
Lui ora non era più solo perché la sua squadra era ora quella famiglia che con l’abbandono di Carolyn gli era venuta a mancare.
-Vi devono dare uno stipendio molto alto, ma mi dica: ne vale davvero la pena se non riuscite nemmeno a trovare il figlio dei Derryll-
-Noi lo troveremo signore. Stiamo facendo del nostro meglio-
-Il vostro meglio non è abbastanza. Non pensate a quella povera donna?!-
-Rudy è forte. Supererà tutta questa storia-
-Lei non la conosce! Come può dire come reagirà?!Crede davvero di sapere tutto?!-
Questa volta David non subì in silenzio.
-Io forse non la conoscerò, ma un mio collega si. Lui ha passato notti in bianco a placare i suoi incubi e le ha trovato una sistemazione quando l’hanno dimessa dall’ospedale per non costringerla a tornare a casa sua dove sarebbe stata distrutta dai ricordi di Matthew. È con lui che si è sfogata. È sulla sua spalla che ha pianto. La sua voce che l’ha calmata. Si è preso cura di lei da quando è stata ritrovata. Io non credo di sapere tutto, ma una cosa la so: Mentre noi lavoravamo senza sosta per trovare il bambino, per scoprire chi fosse il colpevole e fermarlo per sempre, il mio collega si prendeva cura di quella ragazza, lei dov’era?! Si definisce suo amico eppure non l’ho mai vista prima di oggi, nemmeno al capezzale di Rudy. E allora io le chiedo: Con quale coraggio viene a dire a noi che non facciamo abbastanza per questa donna quando lei, dottor Mallard, l’ha abbandonata proprio quando aveva più bisogno di un volto amico che le desse conforto. E lei era l’unico che conosceva in questa città. Quindi, se davvero vuole trovare quel neonato, adesso venga con me in centrale e risponda alle domande che le faremo. Ci serve il suo aiuto, perché probabilmente lei è la sola persona che può dirci come ha fatto l’S.I. a conoscere i suoi vicini-
L’uomo rimase spiazzato dalle dure parole uscite dalla bocca dell’agente.
In fondo aveva ragione.
Era così arrabbiato con il mondo per ciò che era successo a Rudy che si era dimenticato la cosa più importante: Lei.
Le aveva fatto mancare il suo appoggio nel momento in cui più ne necessitava.
Ora il minimo che poteva fare era seguire in silenzio il suo interlocutore.
Gli fece un cenno d’assenso con la testa e quello s’incamminò a passo svelto seguito a ruota dal medico.
 

nota:I'm here again!!Per la vostra gioira....No,eh?Ok avete ragione.Come potete gioire del mio ritorno?Però io sono tornata lo stesso e ringrazio chi legge, recensisce, mette tra le seguite/preferite/ricordate ecc.....
ci ho messo secoli a pubblicare e questa volta lo ammetto il ritardo è tutto mio,ma non ho mai un attimo di tempo per mettermi al computer.
Spero di diventare più veloce

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Capitolo 11
*** Cosa ho perso?!! ***


-Vuole una tazza di caffè?-gli domandò la bionda accanto a lui dopo averlo fatto accomodare.
-No, grazie-
-Ne è certo? Ne sto andando a prendere un po’ per me quindi prenderne anche per lei non mi disturba affatto-
Di fronte a quella gentilezza estrema si sentì ancora più in colpa per averla tratta così male durante la conferenza stampa.
In fondo stava solo facendo il suo lavoro.
-Se si potesse avere una tazza di tè……..-disse infine a mezza voce tenendo gli occhi bassi per non incrociare il suo sguardo.
-Certamente. Ora glie la porto-rispose lei sempre sorridente dirigendosi verso la sala dove c’era la machina del caffè, il bollitore per l’acqua e altre cose che lo rendevano la zona ristoro dei poliziotti.
-Cosa gli hai fatto Dave?-chiese lei porgendo al collega, che si stava versando il liquido scuro, anche la sua tazza ancora vuota.
-Cosa intendi?-
-Quell’uomo prima mi urla contro davanti alle telecamere e ai giornalisti mettendo in ridicolo la nostra squadra dandoci praticamente degli incapaci per non aver trovato il figlio dei Derryll. Poi quando riesco finalmente a cacciare quegli avvoltoi in cerca di notizie da prima pagina, lo trovo alla stazione di polizia, in piedi in un angolo con atteggiamento così sottomesso che non riesce nemmeno a guardarmi negli occhi. Tutto questo dopo aver parlato con te. Quindi ti ripeto la domanda: cosa gli hai fatto?-
Rossi le fece un sorriso misterioso e al contempo divertito.
-Oh, JJ! Nulla può cambiare l’atteggiamento di una persona quanto metterla di fronte alla realtà-
-In che senso? Cosa gli hai detto?-
Ma quello non rispose e raggiunse il signor Mallard.
Anche lei, prese le due tazze, tornò nell’altra stanza dove David aveva già cominciato l’interrogatorio.
Posò la tazza sulla scrivania affianco ai due uomini.
-Grazie mormorò il medico afferrandola subito e cominciando a sorseggiare la calda bevanda cercando in essa conforto.
-Come e quanto tempo fa ha conosciuto Rudy e Matthew?-domandò l’anziano federale.
-Venivamo tutti e tre dalla stessa cittadina. Non è un posto molto grande e ognuno ha un legame con tutti gli altri abitanti-
-E il suo qual’era?-
Perso nei ricordi quello sorrise.
-Abitavamo a pochi isolati di distanza e le nostre famiglie erano amiche.
Quando loro sono nati io ero già un adolescente in cerca di soldi per poter studiare medicina al college che avevo sempre sognato.
Così i loro genitori, gente che lavorava sempre fino a tardi, mi propose di fare da baby-sitter ai due bambini in cambio di un po’ di soldi.
Non erano molti, ma sempre più di quanto mi sarei aspettato.
 In Kansas le persone non sono molto ricche e loro non figuravano certo nella lista di quelli con più soldi.
 Andavo a prendere i bambini all’asilo appena finivo scuola e li portavo a casa mia dove, di ritorno dal lavoro, li passavano a prendere.
Volevo molto bene a quelle piccole pesti, e loro ne volevano a me, così mi è dispiaciuto lasciarli quando ho finito il liceo.
Grazie ai loro genitori e alla borsa di studio che avevo vinto per la mia buona media ero riuscito a pagare la retta.
Certo, avrei dovuto fare dei lavoretti, ma a me andava bene così. Loro forse nemmeno si ricordavano di me prima di rincontrarci qui a Los Angeles, dopotutto erano piccoli quando sono andato via.
Avrebbero dovuto iniziare la scuola elementare lo stesso anno in cui io ho iniziato l’università. Non so nemmeno se si ricordavano di essere stati tutti i giorni insieme per anni.
 Di certo di me non avevano altro che poche immagini confuse nella mente, pima di rincontrarci. Poi un giorno ho ricevuto una telefonata dalla madre i Rudy, che doveva avere ancora il mio vecchio numero di cellulare dato che non l’ho mai cambiato.
Mi disse che i ragazzi sarebbero venuti a vivere qui e mi chiese se potevo aiutarli a trovare una casa, un lavoro per Matt, perché almeno uno dei due doveva portare dei soldi a casa.
Gli dissi che avrei fatto il possibile, dato che era grazie a loro che ero diventato ciò che sono.
“Sei sempre lo stesso bravo ragazzo di tanti anni fa. In questo non sei cambiato di una virgola” mi ha risposto.
È ormai passato quasi un anno da quella chiamata e lei pensa ancora che vada tutto bene.
Né io né sua figlia abbiamo avuto il coraggio di dirle la verità perché vorrebbe venire qui, ma non potrebbe farlo in quanto tutti i risparmi della famiglia sono serviti a pagare il biglietto per Los Angeles della sua bambina e se anche volessi prestarglieli non li accetterebbe.
Lo stesso vale per i Derryll.
Si sentirebbe una pessima madre e ciò la farebbe solo stare male, senza essere in grado di fare nulla se non torturarsi perché non può andare dalla sua unica figlia-
-Rudy non ha sorelle?-
-Sorelle no, ma ha tre fratelli maggiori.
Anche Matthew è l’ultimo di quattro maschi e la cosa mi è sempre sembrata buffa.
Sin dalla nascita sono sempre stai così simili che mi sembrava di guardare la stessa persona in un corpo differente.-
-Mi parli ora del bambino-
-Quando l’hanno scoperto erano spaventati, ma di abortire non ne hanno mai parlato , non avrebbero mai fatto nulla del genere.
Neanche l’adozione sembrava loro la scelta giusta, così avevano deciso di tenerlo e mi hanno chiesto di aiutarli.
Sia in quanto ginecologo sia in quanto padre di famiglia.
Volevano consigli su come avrebbero dovuto crescerlo.
“Vorrei che fosse in buona salute, ma soprattutto che divenisse intelligente, buono. Che diventasse grande seguendo sani principi. Come i tuoi due bambini” mi ha detto un giorno Rudy alla fine di una visita-
-Le ha detto nulla su qualcuno che aveva incontrato o qualcosa del genere?-
-No. Io ero il suo unico amico qui, oltre a mia moglie, e mi diceva tutto, ma non ha mai parlato di nuove conoscenze, troppo concentrata sullo studio e sulla famiglia per fare nuove amicizie.
In più non usciva mai quindi non ne aveva nemmeno l’occasione-
-Stava spesso a casa sua’-
-Sempre quando non c’era Matt. Faceva da baby-sitter ai miei figli mentre io lavoravo, anche se ero solo nello studio. Così potevano avere qualche soldo in più-
-Non è possibile che l’S.I. l’abbia conosciuta proprio a casa sua? Magari una paziente?-
-No, non può essere. Dal mio studio si può accedere anche da un’altra porta che conduce direttamente lì, ed è quella che uso come entrata per le clienti, così che non debbano accedere a casa mia-
-è sicuro che nessuno sia entrato dalla porta principale?-
-No, di questo sono certo. A casa mia sono venuti solo dei miei colleghi, ma nessuno l’ha vista, tranne……..No, non può essere!-
-Cosa non può essere?-chiese JJ
-Non può essere lei la donna che cercate-
-Di chi sta parlando signore?-insistette lei.
Aveva bisogno urgentemente di quella risposta.
-Qualche settimana fa è venuta da me una giovane ostetrica con cui lavoro saltuariamente da qualche anno, quando ha cominciato a prestare servizio all’ospedale.-
-Quale? Il S.Vincent?-
-Si, come fa a saperlo?-
-è quello dove si teneva il corso preparto della signora Robinson. Da quanto tempo lavora lì?-
-Circa tre anni. O mio Dio! È lei!-
-Come ha conosciuto la signora Derryll?-
-Era venuta a parlare con me di una paziente che avrebbe dovuto partorire la settimana successiva. Mi ha detto di avere sete, allora io sono andato in cucina e tornando indietro l’ho trovata in salotto, dove Rudy e i miei figli stavano giocando, mentre parlava amichevolmente con lei.
Parlavano del bambino che sarebbe nato di lì a poco e del fatto che aveva paura che succedesse qualcosa durante il parto.
Gli aveva persino mostrato le ecografie dicendole che non aveva voluto sapere il sesso del bambino. Così lei le aveva promesso che sarebbe stata lì quando fosse stato il momento.
Ero felice che quella ragazza avrebbe avuto vicino un’altra persona fidata in uno dei momenti più importanti della sua vita-
-Come si fa chiamare ora?-
-Doris. Doris Letris-
-E……..Un’ultima domanda……Qualcun altro si occupa dei corsi preparto al S.Vincent oltre alla dottoressa Richard? –
L’uomo rispose con un’espressione sconsolata sul volto.
-Doris Letris-
Era colpa sua se i suoi vicini erano stati presi di mira da quella pazza.
Glie li aveva praticamente consegnati.
Ora stava ai federali catturare quella donna.
 
Riaprì gli occhi automaticamente quando il SUV si fermò, senza alcun bisogno di essere svegliato dalla collega che, giratasi verso di lui, ne fu molto felice.
Odiava interrompere il sonno delle persone, soprattutto se sembravano così serene tra le braccia di Morfeo quando da sveglie non lo erano.
Come in quel momento Reid.
Quando lo osservava dormire le ricordava un bambino bisognoso di protezione e affetto che lei avrebbe voluto dargli, anche se non era cetra di esserne in grado.
Forse perché era il più giovane della squadra che tutti lo consideravano ancora un ragazzino malgrado fosse molto maturato da quando era entrato nell’FBI.
Avrebbero contemporaneamente voluto vederlo diventare finalmente adulto, ma desideravano anche che rimanesse esattamente com’era: il loro cucciolo.
Si era sempre dovuta trattenere dal chiamarlo in quella maniera, sin da quando era arrivato al BAU.
Il suo essere così indifeso faceva sentire a tutti loro di avere un ruolo: quello di proteggerlo.
Forse nel tempo questo era diventato più importante per gli altri membri che per Spencer, ma di questo non sembrava rendersene conto.
Lui li faceva sentire utili, li faceva sentire essenziali nella vita di qualcuno e non tutti potevano dire di provare quella bellissima sensazione senza il piccolo genio.
Forse era per questo che avrebbe voluto che non crescesse mai, per quanto egoista potesse essere quell’inconscio desiderio.
Probabilmente lo stava guardando in modo strano perché sul volto di lui si dipinse un’espressione quasi preoccupata.
-Ho fatto qualcosa che non dovevo fare?-
Sapeva di non avere controllo su ciò che faceva durante il sonno.
-No, no-
-Allora ho forse detto qualcosa che non va?-
Non poteva controllare nemmeno i suoi pensieri che temeva sempre potessero uscire dalla sua bocca quando non era cosciente.
Cercò di capire di cosa poteva aver parlato senza rendersene conto, ma nella sua testa le idee erano troppe e rimbalzavano da una parte all’altra non avendo la minima intenzione di farsi prendere.
Non avrebbe trovato mai le parole, né tanto meno i concetti, espressi prima di aprire gli occhi.
Incredibile, pensò, che la sua mente fosse così caotica quando lui era una persona così ordinata.
Forse era proprio colpa di quel caos interiore che non sopportava di esserne circondato anche nel mondo reale.
Finalmente Prentiss si decise a rispondergli, ridendo della faccia buffa che l’altro aveva fatto, tutto preso nelle sue elucubrazioni.
-Sei stato muto come una tomba. Non hai nemmeno russato un po’. Sai, dovresti imparare a dire da sveglio ciò che dici nel sonno invece delle tue solite statistiche-
-Ma se hai detto che sono stato zitto tutto il tempo!-protestò il giovane, non capendo perché l’amica si stesse smentendo da sola.
-Appunto!-lo prese in giro lei mentre Spencer assumeva un’aria offesa.
-Vieni Reid! Abbiamo delle domande da porre e una pazza criminale da arrestare se te lo fossi dimenticato-lo incitò incamminandosi verso l’entrata dell’ospedale, subito seguita dal genietto.
-Se non mi sono mosso né ho parlato perché avevi quello sguardo prima?-
-Niente è che eri così carino mentre dormivi-rispose la donna allungando il passo costringendo quindi il genietto a correre per raggiungerla mentre il suo volto si colorava per l’imbarazzo.
Odiava che la genietto lo guardasse, con gli occhi degli altri puntati addosso si sentiva più vulnerabile di quanto si sentisse di solito.
Figurarsi quando lo osservavano dormire !!
In quei momenti non era nemmeno in grado di provare a difendersi e si sentiva maledettamente indifeso.
Ma anche scoperto, spogliato di tutti i suoi scudi che lo difendevano da tutto, soprattutto dai suoi sentimenti.
Era abbastanza immotivata, una delle sue più grandi era quella di venire ferito emotivamente, specialmente dalle persone che amava di più e, non sapeva per quale motivo, ma credeva che fosse più facile farlo quando lui era nel regno dei sogni.
-Smettila di arrossire! È normale dormire!-lo rimbeccò Emily, accortasi dello stato d’animo dell’amico, poi gli bisbigliò-Tranquillo, non dirò a nessuno che sei umano anche tu—
Poi scoppiò a ridere contagiando anche l’altro.
Forse non avrebbero dovuto considerando che la sala d’attesa dell’ospedale, che stavano attraversando, era piena di familiari di pazienti molto preoccupati per la sorte dei propri cari.
Ma la collega sembrava così allegra che subito anche Spencer si era sentito più leggero e non  era riuscito a trattenersi dall’esprimere la sua gioia per l’unica cosa che riusciva a pensare, anche se solo inconsciamente perché si sarebbe sentito meschino se avesse ascoltato ciò che il suo cervello gridava a gran voce: non avendo nessuno di cui preoccuparsi, poteva lasciarsi andare, ritornare il ragazzino che in realtà era ancora.
Perché non aveva niente da temere, era con loro e loro lo avrebbero protetto.
Era al sicuro.
Così si avvicinarono sorridendo al banco dell’accettazione dove trovarono una giovane infermiera, che probabilmente stava ancora facendo tirocinio, a cui mostrarono i loro distintivi.
-Agente Prentiss e il dr. Reid dell’FBI. Dove si trova la signora Robinson?-chiese subito la mora.
-Stanza 208, l’ultima in fondo-
Seguirono il percorso che la donna gli aveva indicato.
Quel luogo gli ricordò subito Rudy, così pensò di mandargli un messaggio, solo per sapere come stava.
Dopotutto stava assistendo a una lezione su dei pazzi criminali quando solo pochi giorni prima lei stessa era stata nelle mani di uno di loro.
Emily se ne accorse, ma non disse nulla, continuò invece ad andare avanti, mentre il giovane amico si fermò, senza accorgersene, in mezzo al corridoio facendole sfuggire un sorriso.
Ancora si stupiva della scarsa coordinazione del collega che gli impediva di fare due cose contemporaneamente, ameno che non fosse impiegata solo la sua mente brillante, e quello ne era un chiaro esempio.
Lasciò il collega a litigare con il cellulare, dato che era una vera frana con qualsiasi aggeggio tecnologico, mentre lei, bussando, entrò nella camera.
La donna nel letto aveva uno sguardo perso, rivolto verso la finestra che dava sul giardino.
Non si voltò nemmeno.
-Cosa volete ancora? Ho già detto tutto ai vostri colleghi chi mi hanno portata qui-
Non ricevendo nessuna risposta continuò.
-Perché siete poliziotti, giusto?-
-Non proprio signora, siamo dell’FBI-le rispose Spencer, arrivato silenziosamente in quel momento.
-Non vedo cosa cambi, ma on voglio farvi perdere tempo e risponderò ad ogni vostra domanda-
Scambiando un’occhiata eloquente al genio al suo fianco, segno che sarebbe stata lei a condurre l’interrogatorio, la mora mostrò una foto, che Garcia le aveva appena inviato, di Doris Letris, alias Martha Gray, che la geniale informatica era riuscita a scovare negli archivi del S.Vincent.
-La riconosce?-
-Certo, è Doris. Teneva il corso preparto che avevo frequentato e dopo che l’ho lasciato eravamo rimaste amiche-
-Il ragazzo della pasticceria dice di avervi visti in compagnia di un ragazzo con cui sembravate amici-
-Non era una ragazzo, era Doris. È stata lei a rapirci-
I due profiler trovarono strano che la loro S.I. non si fosse premurata di non farsi riconoscere, soprattutto da qualcuno che conosceva la sua nuova identità.
Probabilmente era una conseguenza di ciò che l’aveva costretta ad accorciare i tempi cambiando i suoi schemi.
-Le è sembrata diversa dal solito? Non so…..Agitata per esempio?-
-Ora che mi ci fate pensare si. Era molto nervosa. Diceva di aver perso qualcosa, ma non voleva dirci cosa, solo che era molto importante. Vedendola veramente disperata le abbiamo chiesto dove l’aveva persa e se potevamo darle una mano, ma lei ha detto che non l’avrebbe più trovata perché non sarebbe più potuta andare in quel posto e che quindi non potevamo aiutarla. Non ho capito bene cosa volesse dire, ma non ho dato molto peso alle sue parole, mi sembravano solo vaneggiamenti dettati dal suo stato d’animo. Forse però avevano davvero un significato. Poi ha detto che però forse una cosa potevamo farla e ci ha portati nel vicolo lì affianco.-
-Ok. E……..So che è difficile, ma dovrebbe tornare con la mente a quando vi ha portati via dalla pasticceria. Saprebbe dirci per quanto tempo siete rimasti nel furgoncino?-
-Non saprei. Direi un’oretta, ma credo di aver perso il senso del tempo lì dentro. Però ci siamo fermati per circa mezz’ora e lei si è allontanata. Poi ho sentito una voce e poco dopo lei è ritornata velocemente ed ha subito rimesso in moto, partendo a tutta velocità. Siamo arrivati più o meno 5 minuti dopo-
-Cosa è successo dopo? Dove vi ha portato?-
-Era un capanno degli attrezzi o qualcosa del genere dove a malapena entravamo noi tre. Io sono stata buttata su un lurido materasso messo in un angolo e poi legata a delle sbarre attaccate al pavimento e quando Cliff ha provato a reagire l’ha colpito con il calcio della pistola, facendolo svenire, poi mi ha iniettato qualcosa per farmi venire le contrazioni. La cosa strana è che appena sono iniziate le contrazioni lei è andata via-
-E quando è stata via?-domandò Prentiss la cui sorpresa rispecchiava quella di Reid.
-Un’ora credo, forse poco meno. Ma quando è tornata mi è sembrata davvero turbata, come se fosse appena sfuggita ad un grande pericolo. Forse questo ha alimentato la sua rabbia quando ha visto che mio marito cercava di liberarmi. Ha detto che era colpa sua se è stata costretta a farmi questo-disse indicando la cicatrice che le solcava il volto.
-Perché lui non era stato fermo a vedermi soffrire, ma ha cercato di salvarmi. Perché non le ha obbedito. Poi lui l’ha colpita con un pugno e lei…..-
-Va bene così. Cosa è successo dopo la nascita del bambino?-
-Ci ha caricati nel furgoncino e…….Prima di scaricarci siamo stati tamponati. In realtà la botta non è stata molto forte, ma lei si è agitata parecchio, ha borbottato qualcosa all’uomo con cui ci siamo scontrati e che si era avvicinato per sapere se si era fatta male e poi ha rimesso in moto. Dopo di che è entrata in un vicolo cieco e ci ha gettati giù dal furgone ripartendo a tutta velocità. Doveva aver qualcosa in mente, qualcosa che aveva fretta di fare-
-Grazie mille, ci è stata molto d’aiuto-
La donna in risposta fece solo un cenno con il capo, tornando subito a guardare fuori dalla finestra, mentre gli agenti uscivano silenziosamente.
Il più giovane dei due compose velocemente il numero di Hotch.
-Scoperto nulla?-esordì l’uomo dall’altra parte del telefono.
-Ha cambiato il posto dove tiene le vittime . La signora Robinson ci ha parlato di un capanno degli attrezzi e non di una casa-
-Non è una cosa che avrebbe fatto volontariamente. Dobbiamo capire cosa l’ha spinta a farlo. Altro?-
-Si. Prima di rapirli ha detto loro di aver perso qualcosa di importante anche se non ha specificato cosa. In più andando al nuovo rifugio si è fermata per una mezz’oretta e da lì al rifugio ci hanno messo circa 5 minuti-
Il capo poteva sentire girare gli ingranaggi nella testa del genietto.
-Reid! Reid!-disse cercando di riportarlo con i piedi per terra.
-Si? Dimmi-
-Stavi dicendo?-
-Ah si! Giusto! La cosa più strana è che dopo aver legato la donna al materasso si è assentata per circa un’ora dopo aver stordito il marito. E poi quando è tornata ha aggredito lui, ma ha anche sfigurato il volto di Lara, con lo stesso coltello con cui ha ucciso Cliff. Questo vuol dire che la sua psicosi era già arrivata all’apice e quindi l’incidente ha solo accelerato la sua decisione di vendicarsi su colei che aveva causato la fine della sua famiglia……….-
L’altro cercò di fermare il discorso che il giovane aveva iniziato, ma che nessuno sarebbe riuscito a seguire tranne lui, per riportarlo su ciò che davvero importava.
-Che incidente Spencer?-
-Un lieve tamponamento, ma deve aver riportato a galla i ricordi di quando ha perso il bambino e quindi………-
-Va bene, vi aspettiamo in centrale-troncò il discorso riattaccando in faccia a Reid che stava ancora parlando mentre entrava in auto.
Lui non se la prese, in fondo c’era abituato.
Non era raro, infatti, che quando si perdeva nei suoi pensieri spesso incomprensibili per i suoi colleghi che, non avevano tempo da perdere, non cercavano nemmeno di zittirlo, ma semplicemente chiudevano la telefonata.
-Cosa ti ha detto?-
-Che ci aspettano alla stazione di polizia. Gli altri sono già tutti lì, manchiamo solo noi-
Ci fu un attimo di silenzio poi Spencer si girò verso Emily con lo sguardo perso, intento ad elaborare qualche ipotesi.
-Probabilmente è un’idea stupida, ma…….Pensi sia possibile che la cosa che l’S.I. ha smarrito sia proprio il piccolo Derryll? Se così fosse il suo turbamento sarebbe giustificato: per la sua psiche lei avrebbe perso suo figlio per ben due volte e la seconda sarebbe stata per colpa sua. Se poi consideri il fatto che ha detto che in quel posto on ci sarebbe più potuta andare, facendo una ricerca su……..-
-OK! Ok! Ho capito. Fermati. È probabile che tu abbia ragione, ma penso che sia meglio che i tuoi astrusi ragionamenti i spieghi a tutta la squadra, forse almeno uno di noi riuscirà a seguirti-rispose lei ridendo.
Lo trovava sempre molto buffo quando partiva in quarta per spiegare le sue elucubrazioni.
-Aspetta ancora un po’, siamo quasi arrivati-

nota:Rieccomi!!Questa volta(dietro richiesta di Antos1991) ci ho messo un po' di meno.
Ammetto che questo capitolo fa abbastanza pena.Ma il prossimo è uno dei miei preferiti,spero solo che volgliate leggerlo e che vi piaccia come piace a me.
Nel frattempo ringrazio Antos1991 ed estelle holly per aver recensito,sperando che continuino.Ho bisogno dei vostri pareri!!

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Capitolo 12
*** Arrabbiato? ***


Stava cercando di leggere quella pagina da ore, con scarso successo poiché il suo cervello vagava incessantemente tra mille pensieri senza dargli tregua.
La sera prima, quando Penelope aveva finito di lavorare lo aveva riaccompagnati a casa, dove ad attenderlo c’era il fratello.
«Oggi si va a cena fuori» gli aveva detto lasciandolo stupito.
«Ah si? E dove?»
«A casa di Will. Ha chiamato chiedendo se volevamo andare da loro e che a Henry avrebbe fatto molto piacere, così gli ho detto di si. Non ti dispiace vero?»
«No, no»
Mentre camminavano il maggiore lo aveva guardato, cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa.
«Ti ho aspettato oggi fuori scuola, ma non c’eri»
Non aveva detto altro, ma sapeva che avrebbe dovuto rispondere alla domanda implicita in quelle parole.
«Sono stato a Quantico»
«Perché? Spencer non è ancora tornato»
«Dovevo……Fare una cosa»
Zack non era stupido, aveva capito che lui non voleva dire il vero motivo della sua visita agli uffici della BAU.
«Presto sarà di nuovo qui»
«Lo so»
«è già partito per un caso altre volte da quando siamo qui. Cos’ha questo di speciale?»
«Abbiamo litigato la sera che è andato via»
«Vi ho sentiti»
«Credo di averlo ferito con alcune cose che ho detto e non era quello che volevo fare»
«Pensi davvero che sia così stupido da non capirlo? Oh And, lui sa che non volevi!»
«Ciò non cambia il fatto che sia colpa mia se ha sofferto»
«Devi smetterla di darti la colpa per qualsiasi cosa accade da quando siamo a Washington»
«Ma lui è così preoccupato per noi!»
«Non siamo gli unici a doverci abituare a una nuova situazione, anche lui deve farlo. È sempre vissuto da solo e adesso deve prendersi cura di noi. Non sa come si fa e tanto meno sa cosa è normale e cosa no. Per questo si preoccupa tanto, ma vedrai che con il tempo imparerà»
Aveva annuito ed aveva cercato di convincersi di quelle parole, poi tra di loro era sceso il silenzio fino a destinazione.
Una volta giunti alla villetta della famiglia LaMontaigne avevano suonato il campanello e ad aprir loro era arrivato un raggiante bambino biondo che, appena li aveva visti gli era saltato in braccio.
Poi era corso su per le scale gridando
«Papà! Papà! Sono arrivati!» e in pochi secondi era ritornato trascinando il genitore per una mano.
Quando li aveva visti l’uomo aveva sorriso.
«Ben arrivati! Henry vi stava aspettando con impazienza» aveva detto poi indicando il ragazzino saltellante ancora avvinghiato alle sue dita mentre i due lo salutavano.
«La cena è quasi pronta, se volete aspettare un secondo…….»
Ma non aveva fatto in tempo a finire la frase che suo figlio li aveva già portati in camera sua.
«Gli faccio vedere la nostra opera d’arte!» aveva strillato salendo al piano superiore con talmente tanto entusiasmo che fece ridere tutti.
L’opera d’atre consisteva in un piccolo fortino costruito con i lego colorati.
«Ma è bellissimo!» aveva esclamato Andrew.
«Mi ha aiutato papà a farlo, ma il prossimo lo faccio da solo. Sai, io da grande vorrei fare quello che costruisce le case!»
«Ma che bel lavoro ti sei scelto!»
Il piccolo aveva annuito e poi li aveva guardati.
«Voi invece che lavoro volete fare?»
Quella era forse una delle domande che meno volevano che gli venissero poste dopo quelle sulla loro famiglia biologica.
Per loro fortuna Will era apparso sulla porta.
«Allora cosa ne pensano i nostri ospiti di questo capolavoro?»
«Che è magnifico. Il tuo talento è sprecato nel fare il poliziotto!»
«No! Papà deve arrestare i cattivi, ci penso io a fare l’architettore!»
Il padre aveva scompigliato amorevolmente i capelli del figlio.
«Non ti preoccupare, non ambio lavoro, mi piace il mio»
Poi, inginocchiandosi accanto a lui, gli aveva sussurrato in un orecchio.
«Comunque si dice architetto, non architettore»
Malgrado fosse molto intelligente per la sua età e conoscesse molte più parole dei suoi coetanei, Henry rimaneva comunque un bambino di 4 anni.
Dopo di che si era alzato in piedi e, girandosi verso i suoi ospiti, aveva esclamato
«E adesso tutti di sotto che è pronto in tavola!»
Era stata davvero una bella cena.
Forse perché prima di conoscere JJ viveva da solo, forse perché lei era spesso via per lavoro, fatto sta che Will era davvero bravo in cucina e aveva preparato dei piatti buonissimi, con somma gioia dei presenti.
Quando ebbero finito di mangiare si erano ormai fatte le nove passate.
«Devi andare a dormire campione» aveva quindi detto il padrone di casa al bimbo sedutogli vicino che sbadigliava vistosamente.
«Ma io non voglio! Voglio restare con voi!»
«Ma domani devi svegliarti presto per andare a scuola»
«E se domani non ci vado?» domandò il biondino con sguardo implorante ricevendo in risposta solo un’occhiata severa.
«Facciamo così» s’intromise Zack «Io ti accompagno a letto, ti leggo una storia  rimango con te finché no ti addormenti. Va bene?»
«Si!!» rispose quello entusiasta.
«Allora corri a lavarti i denti e a metterti il pigiama. Io ora arrivo a darti una mano»
Concluse mentre il suo piccolo interlocutore era già sfrecciato di sopra ad eseguire gli “ordini” sotto gli occhi divertiti dei 3 e, subito seguito dal ragazzo.
I due rimasti in salone si erano accomodati il più giovane sul divano, mentre l’altro sulla poltrona di fronte.
«Cosa mi racconti Andrew?»
«Niente di che» aveva risposto con lo sguardo perso nel vuoto.
«Va tutto bene?»
«Si, certo. Perché?»
Ma le sue parole non avevano convinto molto l’uomo che però aveva preferito non approfondire, capendo che era meglio non toccare l’argomento.
«Come va la cavate a casa da soli?»
«Bene, come al solito» aveva detto amaramente rafforzando nell’agente la convinzione che qualcosa non andasse.
Erano rimasti lì a parlare del più e del meno finché a loro non si era unito Zack.
«Fatemi partecipare alla conversazione» aveva detto buttandosi sul divano.
«Già dorme?» aveva quindi domandato Will.
Dopotutto era passato solo un quarti d’ora da quando aveva portato Henry in camera sua.
«Non è durato molto più di 5 minuti dopo aver posato la testa sul cuscino. Voi cosa avete fatto in mia assenza?»
«Stavo per farvi una proposta, ma ho preferito aspettarti»
«Ok. Allora di cosa si tratta?»
«Mi chiedevo…….Che ne dite di restare qui finché la squadra non torna?»
I due fratelli si erano guardati sbalorditi e per un attimo era calato il silenzio.
Poi il maggiore aveva espresso a voce ciò che entrambi pensavano.
«Non possiamo approfittare così della tua ospitalità. Non ti preoccupare tanto sono sicuro che sarà questione di pochi giorni ancora»
«Allora a maggior ragione potreste dormire qui. Non darete nessun disturbo, ve lo giuro. Ne abbiamo parlato e a nessuno di noi piace l’idea che voi siate da soli a casa»
«Chi intendi per noi? Tu e JJ?»
L’altro annuì.
«Non è la prima volta che partono e non ci è mai successo nulla e non succederà niente nemmeno questa volta»
«Ma non ci sentiamo sicuri. Persino Reid è d’accordo»
«Ne avete parlato con Spencer?»
Andrew, che era stato zitto fino a quel momento, era finalmente intervenuto nella conversazione.
«Certo. In qualche modo si può dire che sia stato lui a suggerirci l’idea quando ha detto a Jennifer quanto odi lasciarvi senza nessuno»
«Quindi ve lo ha chiesto lui di ospitarci?»
«Oh no! Non chiederebbe mai una cosa del genere! Se lo pensi non lo conosci abbastanza! No, no. È stato già abbastanza difficile convincerlo ad accettare la nostra “offerta” e non vorrei aver lottato contro di lui per niente»
«Non lo facevo combattivo» aveva detto quindi Zack
«Non hai idea di quanto possa essere cocciuto quel ragazzo quando ci si mette»
Poi erano scoppiati tutti a ridere.
«Non ho nessuna intenzione di vanificare la tua impresa. Ci hai convinto. In cambio però faremo noi i lavori domestici: laveremo noi i piatti ecc.…… e ovviamente baderemo al piccolo Henry. Per ripagarti» aveva detto indicando il piano di sopra dove quest’ultimo dormiva beatamente.
«Penso che non riuscirò a dissuadervi vero?»
I due avevano scosso la testa.
«Allora dichiaro conclusa la contrattazione. Domani prima di andare a scuola passeremo a casa vostra a prendere gli zaini e qualsiasi altra cosa vi serva» aveva concluso il padrone di casa.
Erano rimasti ancora un po’ in salone prima di andare a dormire nella stanza degli ospiti, già preparata per loro.
Quella mattina erano stati svegliati da un gioioso Henry ancora in pigiama che saltellava sul loro letto.
«Allora papà vi ha convinto!»
«Ehi campione lasciali in pace e avi a vestirti o faremo tardi»
La voce del padre lo aveva raggiunto dal piano di sotto dove sicuramente stava preparando la colazione e lo aveva fatto schizzare via dalla stanza.
L’uomo li aveva portati a casa loro dove avevano recuperato tutto il necessario per i giorni in cui sarebbero stati a casa LaMontaigne e poi aveva accompagnato sia loro che il figlio a scuola prima di recarsi al lavoro.
Era tornato a casa da solo quel giorno poiché il fratello maggiore aveva un corso pomeridiano che non voleva assolutamente perdere.
In più quel giorno mancava il professore di biologia e quindi era uscito un’ora prima.
Si era fatto un toast per pranzo, non aveva voglia di impegnarsi per cucinare qualcosa di più complicato, in più non sapeva nemmeno dove erano le cose in quell’abitazione così non si era nemmeno sforzato di cercarle.
Poi si era buttato sul divano.
All’inizio aveva pensato di guardare un po’ di TV, ma quando stava per accendere lo schermo si era ricordato del libro che aveva preso dallo scaffale in camera di Spence e aveva deciso di leggerlo.
In realtà aveva provato a leggerlo, ma era riuscito ad andare avanti solo di qualche pagina prima di bloccarsi su quella che oramai aveva davanti agli occhi da ore.
Non si accorse nemmeno che non era più da solo in casa finché una voce non lo riportò con i piedi per terra.
-Introduzione al profiling?-
Alzò gli occhi stupendosi che Will fosse già rientrato e gli rispose con un cenno d’assenso mentre guardava l’orologio scoprendo che erano già le tre.
Doveva aver perso il senso del tempo.
-Non sei un po’ troppo giovane per riempirti gli occhi con immagini di scene del crimine?-disse l’uomo indicando le foto che occupavano gran parte del volume.
Lo aveva letto “così attentamente” che non si era reso conto che c’erano.
-Perché c’è un’età?-
Non voleva rispondere a quella domanda.
-Forse hai ragione, credo non ci sia un’età-
Per un bel po’ nessuno dei due disse nulla e Andrew pensò che l’altro se ne fosse andato, ma forse doveva prestare un po’ più di attenzione a ciò che gli succedeva attorno perché lui non si era minimante spostato dalla poltrona su cui era seduto.
-Mi dici di tua spontanea volontà cosa c’è che non va o ti devo costringere?-
-Non capisco di cosa stai parlando-
-Non fare il finto tonto con me. Non sarò un profiler, ma sono comunque un poliziotto e so riconoscere quando una persona sta mentendo-
Vedendo che comunque il ragazzo non rispondeva si trovò costretto ad aggiungere qualcosa, sperando che decidesse di confidarsi.
-Stai alla stessa riga da troppo tempo e scommetto che se ti chiedessi cosa hai letto finora non mi risponderesti. Quindi devi essere completamente preso da qualche pensiero ed è evidente che qualsiasi sia ti turba. Allora mi vuoi dire di che si tratta?-
-Non mi è mai piaciuto il football-disse finalmente il ragazzo, spizzando il suo interlocutore.
-Non capisco. Cosa c’entra questo?-
-Ma Zack era bravo e papà e zio erano così orgogliosi di lui. Così avrei voluto giocare a football anch’io solo perché qualcuno fosse orgoglioso di me. Ma a me non è mai piaciuto il football-
Will ascoltava attentamente le parole di Andrew, cercando di seguire il suo ragionamento.
E finalmente capì.
-Le selezioni-mormorò ricevendo un cenno di conferma.
-Ma qui non c’è la tua vecchia famiglia-
-Lo so è solo che…..Pensavo che…..-
-Davvero credi che a Spencer importi? Non è un tipo per niente sportivo e l’unica volta che ha visto una partita di football, non che credo l’unica volta che si è minimamente interessato a qualche sport, è stato quando è andato allo stadio con Jennifer-
-Lui e JJ sono usciti insieme?!-domandò estremamente sorpreso.
-Si, ma è stato molto tempo fa, prima che ci conoscessimo. I biglietti glie li aveva regalati Gideon per il suo ventiquattresimo compleanno. E prima che tu possa chiedermelo: non ho la minima idea di cosa sia successo quel giorno, nessuno dei due me l’ha mai detto-
-Chi è Gideon?-lo interrogò ancora il ragazzo che non aveva mai sentito quel nome.
.Un loro ex-collega. Ma tu stai sviando il discorso. Perché vuoi fare le selezioni se non ti piace?-
-Non so……Io pensavo che, non avendo un cervello come il suo avrei dovuto eccellere in qualche altro campo per renderlo orgoglioso e…….-
-E questo è il primo che ti è venuto in mente-
-Già, ma a me non piace il football e non sono nemmeno portato per questa roba-disse mostrandogli il libro che aveva ancora in mano, che subito dopo buttò sul tavolino lì accanto.
-Beh, queste non sono cose per tutti. Entrare nella mente dei criminali……Si rischia grosso e non parlo di rischi fisici, ma psicologici. Nemmeno i poliziotti osano tanto. Troppi serial killer, troppe vittime. Pochi se la sentono di intraprendere una carriera del genere e non è questione di essere migliori. Devi sentirtelo dentro, sentire che è l’unica cosa giusta da afre e anche quello non basta per non essere assalito dai mostri che ti porti a casa. Sono contento che tu non ci sia portato perché questo non è solo un lavoro ma uno stile di vita da cui non ti puoi separare. Non smetto un secondo di preoccuparmi per Jennifer e per Reid e per il resto della squadra. Non volevo dover essere preoccupato anche per te-
Il ragazzo abbassò lo sguardo.
-Perché ci pensi adesso? Hai ancora molti anni prima di dover decidere cosa fare-
Andrew si rannicchiò ancora di più nell’angolo tra la spalliera e il bracciolo del divano.
-Ho detto a Spencer che volevo diventare un profiler-mormorò infine nascondendo il volto tra le ginocchia riuscendo così a non vedere l’espressione a metà fra lo sconcertato e l’abbattuto di Will che si trattenne, anche se con difficoltà, dal sospirare.
Questa non ci voleva.
Il giovane federale aveva già espresso i suoi dubbi su quanto fosse incapace di occuparsi dei due fratelli, di essere una figura di riferimento per loro, di saperli guidare e di esprimere tutto il suo affetto per loro.
Ma soprattutto il suo più grande timore era quello di non riuscire a proteggerli.
E lui gli aveva Detto che voleva entrare nel BAU?!
Reid conosceva le conseguenze di questa scelta e sapeva anche che era stato lui ad avvicinarli a quel mondo.
Di certo ora doveva essere convinto che, non solo no li sapeva proteggere, ma li metteva addirittura in pericolo.
Fu il ragazzo stesso a dare voce ai suoi pensieri.
-Lui mi ha chiesto che cosa avrei voluto fare da grande e, invece di dirgli che non ne avevo idea, gli ho detto che sarei voluto diventare come loro.
Pensavo che così sarebbe stato orgoglioso di me, ma credo di aver fatto uno sbaglio. Quando siamo tornati a casa ne abbiamo parlato, ma io ho frainteso le sue parole. Pensavo che non mi credesse abbastanza capace e abbiamo finito per litigare-
L’uomo si accigliò.
Redi non litigava mai con nessuno.
Certo portava avanti con convinzione le sue idee e in quello era molto abile, ma non litigava mai.
-In realtà sono stato io a litigare e devo averlo ferito parecchio. Glie lo potevo leggere in faccia. Poi lui è dovuto partire, quindi……-
-Il discorso è rimasto in sospeso-
Andrew annuì.
-Ho combinato un casino vero?-
Avrebbe voluto rispondergli che, si, in qualche modo aveva combinato un casino, ma non erano queste le parole di cui aveva bisogno e l’ultima cosa che voleva era peggiorare la situazione.
Così sorrise.
-Sai, vi somigliate proprio tanto-
-Cosa intendi?-
-Dico, tu e Reid, vi somigliate davvero tanto. Stesso sguardo che esprime le stesse emozioni e anche le parole non sono poi così diverse-
Rise osservando lo sguardo interrogativo del ragazzo.
Come era possibile che lui parlasse come Spencer?
-Non crederai mica che quando parla dei suoi sentimenti sciorini tutta la quantità di dati e statistiche che tira fuori di solito?-
No, non lo credeva.
Dopotutto anche con loro lo faceva raramente, ma immaginarlo esprimersi come lui……
-Sai, c’è solo una cosa da fare, se vuoi rimediare-
-Che cosa?-
-Devi solo dirgli la verità. Nulla di più facile-
L’altro annuì mentre Will prendeva il giacchetto pronto per uscire nuovamente.
-Io devo andare a prendere Henry a scuola. Vuoi venire con me?-
-No, io……Credo che…….Cercherò qualcos’altro da leggere-gli disse rimettendo il libro nello zaino.
-Hai un’intera libreria a tua disposizione, scegli quello che vuoi-
Andrew assentì con il capo, cominciando ad esaminare gli scaffali più vicini.
-E……Un’ultima cosa. Chiamalo-
Il giovane si girò di scatto sorpreso.
Possibile che l’uomo sapesse che era dalla sera in cui era partito che non si sentivano?
-Lui non lo farà. Pensa che tu sia arrabbiato con lui e che no gli vuoi parlare quindi non telefonerà finché non lo sarà certo del contrario. Dimostragli il contrario: chiamalo. Scommetto che sarà felice di sentirti-
Poi uscì.
Il ragazzo lasciò subito perdere la sua ricerca.
Probabilmente l’uomo aveva ragione e stava a lui fare il primo passo se voleva che le cose tornassero a posto.
Guardò il cellulare quasi a chiedergli cosa doveva fare, come se quell’affare tecnologico avesse le risposte ai suoi dubbi.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo trovandosi ridicolo da solo.
Sembrava si stesse preparando per una maratona e no per una semplice conversazione con una delle poche persone di cui si fidava.
Compose velocemente il numero, sempre con le palpebre serrate senza nemmeno cercarlo sulla rubrica.
Era davvero starno, si ritrovò a pensare, che quello stesso numero che aveva imparato a memoria essendo stato la sua ancora di salvezza quando era nella casa famiglia e che aveva sempre chiamato con gioia, adesso gli faceva così paura.
Ed era una paura stupida perché sapeva che Reid non era arrabbiato con lui, eppure temeva così tanto di averlo deluso e no voleva sentire la delusione nella sua voce……
Tuuuuuuu……..
Tuuuuuuu…......
Tuuuuuuu……..
Troppo tardi per riattaccare.
Si sarebbe comunque accorto che lo aveva chiamato e gli avrebbe telefonato.
Sentì l’ansia crescergli dentro ad ogni squillo sperando che rispondesse prima che questa prendesse il sopravvento.
-Pronto?-
S’impose un minimo di calma, in fondo non per niente di così terribile.
-Ciao Spencer, sono Andrew-
-Oh! Ciao Andy. Come mai mi hai chiamato? Qualcosa non va?-
-No, no. Va tutto bene. Volevo solo sapere come stavi-
-Ah! Va tutto bene, come sempre-
C’era qualcosa di strano nella sua voce che non gli tornava.
-Sicuro che sia tutto ok?-
Dall’altro capo del telefono il federale sorrise.
-Certo, sono solo un po’ stanco. E comunque dovrei essere io a preoccuparmi per te, no il contrario! Allora dimmi, come state tu e Zack?-
Forse prima si era sbagliato perché subito dopo sembrò essere quello di sempre.
-Benissimo. Per ora stiamo a casa di JJ-
-Dormite lì?-
-Mhmm Mhmm. Finché non tornate a casa-
Sentì l’altro tirare un sospiro di sollievo.
-Mi sembra un’ottima idea. Ringrazia Will da parte mia-
-Non fare finta che non ci sia il tuo zampino dietro il loro invito. Non glielo avrai chiesto, ma di certo quando loro te lo hanno proposto gli hai detto di si-
-Non è vero! Io no volevo, ma…….-
-Ma alla fine hai accettato. Sai che se non lo avessi fatto no saremmo rimasti. Però se ti senti più tranquillo……-
-Ok, va bene, lo ammetto. Sono più tranquillo sapendo che non siete a casa da soli. È forse sbagliato?-
Dei nuovo quel timore di sbagliare.
-No, no-
-Scoperto da un adolescente-bofonchiò Reid.
-Spence…..Anche Henry e Jack ti avrebbero scoperto. Sei come un libro aperto-
Lo sentì sbuffare.
Chissà quanta gente glielo aveva detto e chissà quanto doveva essere fastidioso sapere che tuti leggevano sul suo volto e nella sua voce tutti i sentimenti che provava, per quanto lui si sforzasse di nasconderli.
Decise quindi di cambiare argomento.
-A che punto sono le indagini?-
-A buon punto. Sono certo che entro un paio di giorni al massimo cattureremo l’S.I.-
-Quindi se proseguono davvero così bene……-
-…….Sarò a Washington per il weekend-
Fece appena in tempo a finire la frase che un piccolo uragano biondo saltò sul divano e, riconoscendo la voce dall’altro capo della cornetta, strappò il telefono di mano ad Andrew.
-Henry! Non si strappano le cose dalle mani! Ridagli il cellulare!-
Ma il bambino non sembrò ascoltarlo.
-Zio Spence!!-
-Ciao Henry!-
-Quando torni?! Io voglio andare al parco con te come mi avevi promesso!! E poi dobbiamo finire di leggere il libro che mi hai regalato!-
-Torno presto, lo giuro. E andremo a l parco e finiremo il libro-
-Promesso?-
-Promesso. Ora devo andare, salutami tutti-
Appena Reid riattaccò il ragazzino restituì immediatamente il maltolto al legittimo proprietario e subito dopo corse su per le scale, diretto in camera sua.
-Vi saluta zio Spence!!-gridò una volta giunto di spora affacciandosi alla ringhiera del pianerottolo che dava sul salotto dove erano rimasti gli altri due.
Will con ancora lo zaino del piccolo in spalla lo guardò scomparire dalla sua vista sconsolato, ma anche divertito dal suo comportamento.
-Mi dispiace che abbia interrotto la vostra conversazione. Insomma, avrebbe dovuto almeno chiederti il permesso per prendere il telefono-
-Non preoccuparti, non avevamo molto altro da dirci-
-Quindi vi siete chiariti?-
-Diciamo che lui sa che non sono arrabbiato con lui e io so che lui non è arrabbiato con me. Per ora va bene così-
L’uomo gli sorrise e poi raggiunse il figlio.
Andrew non fece in tempo ad alzarsi da dove era ancora rannicchiato che il mini-tornado lo raggiunse alla velocità della luce zompandogli in braccio, sorprendendolo.
Trovava incredibile come sapesse sempre quando qualcuno aveva bisogno di un abbraccio, come lui in quel momento, così lo accolse sulle sue ginocchia mentre Will gli chiedeva scusa con gli occhi scuotendo il capo in direzione del bimbo.
Lui e Jennifer avevano provato in tutti i modi a renderlo lo più calmo, meno iperattivo, ovviamente senza successo perché il loro amato bambino era rimasto incontenibile.
Per carità, rispettoso e molto empatico, ma no stava mai fermo un attimo ed era sempre pieno di entusiasmo.
E le due cose insieme erano un mix esplosivo.
Ogni mattina, in cui non doveva andare a scuola, li svegliava arrampicandosi sul loro letto e scuotendoli finché non si decidevano ad uscire dal letto, ed era incredibile quanto riuscisse ad essere vivacissimo anche di prima mattina, quando loro non riuscivano ancora a tenere gli occhi aperti.
La mattina di natale poi, per loro rimaneva l’incubo più grande, come per tutti i genitori.
Gli avevano insegnato che non poteva aprire i regali se non erano tutti insieme e quindi lui si alzava, e li faceva alzare, praticamente appena sorgeva il sole.
Dato che anche Reid, quando non andava a Las Vegas dalla madre, passava con loro più o meno tutte le feste natalizie, avevano imposto al piccolo di aspettare anche l’arrivo dell’adorato zietto per scartare i pacchetti, nella vana speranza che dovendo aspettare ancora di più, sarebbe rimasto un po’ di più sotto le coperte.
Ma era stato tutto inutile.
Per loro fortuna Spencer arrivava sempre molto presto, mettendo così fine alle lamentele di Henry che voleva assolutamente vedere cosa gli aveva portato babbo natale e lo distraeva mentre loro preparavano il pranzo prima dell’arrivo degli Altri pochi ospiti.
Dopotutto Will non aveva più altra famiglia oltre loro dopo l’uragano Kathrina e quella di Jennifer viveva ancora in Pennsylvania.
Di solito passavano le feste con loro anche Emily, che più lontano stava da sua madre meglio si sentiva, Rossi che non aveva nessun altro all’infuori della squadra, Garcia e Kevin, Morgan quando non partiva per Chicago e spesso li raggiungevano anche Hotch e Jack.
A volte si ritrovava a invidiare quell’uomo che aveva un figlio così tranquillo, non come il suo……
-Mi leggi una storia?-
Gli stava tendendo un volume verde con un’espressione quasi implorante.
Aveva l’aria di essere pesante così il ragazzo si affrettò a toglierglielo dalle sue manine da bimbo, inadatte a sostenerlo.
-Che libro è?- domandò quindi cominciando a sfogliarlo.
-è il mio preferito. Me l’ha regalato zio Spence!-
-è quello di cui parlavi al telefono?-
-No! Quello è il libro nuovo! Quello che mi ha regalato per il mio compleanno! Il libro di Pinocchio!-
Il ragazzino lo disse come se quella fosse la più grande ovvietà.
-E allora questo qual è?-
-è quello che mi ha regalato il mio primo natale. Vedi? C’è scritta una piccola…..Come si dice? Papà me l’aveva anche detto!-
Fece una buffa espressione concentrata mentre sfogliava le pagine indicandogli una breve frase e una data .
-Una dedica?-chiese quindi Andrew.
-Si, si quella. Vedi? C’è scritto pure il giorno! Io non me lo ricordo quando me l’ha regalato però c’è scritto il giorno! Hai letto?-
“A Henry.
Ora sei piccolo e le leggeranno per te mamma e papà, ma spero che queste storie ti accompagnino per tutta la vita”
Queste poche parole erano tratteggiate a penna dall’inconfondibile calligrafia di Spencer.
-è il mio libro preferito! Ci sono dalle fiabe classiche a storie di tanti paesi diversi e altre che non so da dove vengono, ma sono belle. Me ne leggi una?-
-Ok- Quale vuoi?-
-Apri il libro a caso. Mamma dice che dev’essere la storia a scegliere di essere letta-
Il ragazzo fece come gli aveva detto e cominciò.
-C’era una volta…….

nota:innanzitutto chiedo venia per averci messo tanto ada aggiornare.Ciedo perdono soprattutto ad Antos1991 che ha la pazienza di sopportare me e le mie continue promesse di una celere pubblicazione del capitolo successivo, sempre disattese ovviamente.
Questo capitolo si estrania completamente dal caso, ma io adoro Andrew e Zack, quindi ogni tanto ci saranno scene in cui omicidi e serial kilelr verranno un attimo messi da parte per dare più spazio a questa strana famiglia che hanno formato con Spencer e di conseguenza con tutta la squadra.
Spero solo di essere riuscita a farvi piacere questi due ragazzi almeno una piccola parte di quanto piacciono a me.
Ditemi cosa ne pensate perchè ne ho davvero bisogno.
Spero di riuscire a pubblicare qualche altro capitolo duranet le vacanze di natale ma non prometto nulla.
anyway......
Buon Natale, Felice anno nuovo e qualsiasi altro augurio vi venga in mente.
P.S. grazie per aver resistito fino a qui
 

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Capitolo 13
*** FIRE!! ***


La conversazione con Andrew era durata pochi minuti prima che il suo figlioccio s’intromettesse e che lui ed Emily arrivassero alla stazione di polizia e quindi fosse costretto a concludere la telefonata.
-Cosa avete scoperto in ospedale?-domandò subito Hotch appena arrivarono.
Reid però non rispose dirigendosi invece alla cartina di Los Angeles appesa alla lavagna di sughero in fondo alla sala.
Cominciò a segnare dei cerchi intorno ai luoghi dei rapimenti tutti della stessa dimensione ed evidenziò la parte in cui si intersecavano.
Poi sotto gli occhi sbalorditi della squadra e di tutto il distretto che lo guardavano lavorare freneticamente, compose velocemente un numero sul suo cellulare.
-Qui ufficio della somma sapienza divina e dell’oracolo tecnologico. Chiedi e ti sarà dato mio dolce pasticcino con la pistola-esclamò la donna dall’altra parte della cornetta.
Di solito si divertiva ad ascoltare i modi curiosi in cui definiva se stessa e gli altri, ma oggi non aveva tempo.
-Devi dirmi tutte le case, o qualsiasi cosa ci possa anche solo vagamente assomigliare, che si trovano nel raggio di un’ora da TUTTI i luoghi dei rapimenti. Dovrebbe anche avere un seminterrato o qualcosa del genere.-
-Non si dice più per favore? Che fine ha fatto l’educazione?-
-Per favore Garcia, è importante per trovare il piccolo Derryll-
-Quando si tratta di un bebè scomparso vado più veloce della luce, lo sai. Ne ho solo 3-
-Bene. Fra questi, da quando Rudy è stata ritrovata quante sono state rese inagibili? Per qualsiasi motivo-
-Dammi sol un secondo-disse lanciandosi poi con la sua sedia verso un altro monitor dove premette velocemente qualche tasto, ritornando poi a quello al centro della stanza.
-Una sola. È andata a fuoco pochi giorni fa. Vi ho già mandato l’elenco di chiunque abbia avuto accesso all’abitazione e alle sue macerie o si sia in qualche modo occupato dell’incendio. Comunque, secondo il rapporto era disabitata, stavano cercando di venderla-
-Ok, grazie. Un’ultima cosa. In un raggio di 5 minuti c’è qualche capanno degli attrezzi o qualcosa del genere?-
-Si, faceva parte della proprietà della villetta bruciata. Avete già l’indirizzo sui vostri telefoni insieme a quello della casa-
Non fece in tempo a dirlo che contemporaneamente tutti i cellulari dei federali ricevettero l’SMS inviato dall’analista che, sentendo il suono fece un sorriso soddisfatto.
-Sei stata preziosissima. Grazie ancora-
-Di nulla mio piccolo federale ancora imberbe. Passo e chiudo-
Non si accorse nemmeno dell’aggettivo usato da Penelope per descriverlo e che odiava perché sottolineava quanto tutti lo considerassero giovane e inesperto malgrado gli anni di servizio nell’FBI, ma era troppo preso a segnare i due luoghi appena scoperti con delle puntine da disegno per preoccuparsi di ciò che gli altri pensavano di lui.
-Cosa sta facendo?-domandò Rossi a Prentiss, sapendo che in quella specie di trance era inutile parlare con il genio della squadra.
-Non ne sono certa. La signora Robinson ci ha raccontato che l’S.I. era agitata per qualcosa che aveva perso in un posto a cui non poteva tornare e lui ha pensato che ciò che aveva perso poteva essere……-
-…..Il figlio dei Derryll e che quindi la sua psicosi si fosse aggravata perché, pensando che fosse suo figlio, avrebbe perso il suo bambino due volte-concluse per lei il più anziano seguendo il ragionamento fatto da Spencer che, come se si fosse sentito chiamare in causa spiegò a tutti i segni tracciati da lui sulla mappa.
-Tutte le vittime che possono ricordare il tragitto nel furgoncino hanno detto di aver raggiunto la casa, in cui hanno partorito, in circa un’ora e Lara ha riferito che dopo circa un’ora si sono fermati in un posto, senza farli scendere, per circa mezz’ora e dopo 5 minuti li ha portati in quello che ha definito come un capanno degli attrezzi. Se supponiamo che il luogo in cui hanno sostato fosse dove sorgeva l’abitazione in cui ha tenuto tutti gli altri, potremmo supporre anche che lei non sia allontani mai più di quanto concesso da un’ora di macchina. So che è un’ipotesi azzardata perché il buio del veicolo potrebbe avergli fatto perdere il senso del tempo, ma……-
-Finora è tutto ciò che abbiamo. Ottimo lavoro-disse Hotch, completando la frase che il più giovane aveva lasciato in sospeso non sapendo cosa d\ire per giustificare un’idea così audace e con una percentuale di fallimento troppo alta per gli standard del giovane.
-Reid, tu JJ e Morgan andrete a parlare con i pompieri. David, vai con Prentiss alla casa. Io e il capitano Kim andremo al capanno-concluse il capo afferrando le chiavi del SUV e incamminandosi con quest’ultimo verso il parcheggio.
Subito dopo anche gli altri fecero lo stesso sotto lo sguardo esterrefatto di tutti i poliziotti ancora incantati dalla parlantina del federale e dalla velocità con cui aveva esposto a tutti la sua teoria che ancora non erano certi di aver capito.
 
Qualcosa che vibrava nella tasca dei suoi pantaloni lo fece uscire del dormiveglia in cui il tranquillizzante movimento dell’auto lo aveva fatto piombare.
.
Lesse le poche parole scritte nel messaggio che lo aveva svegliato.
“Mai stata meglio, ma penso che questa sia stata una delle giornate più noiose della mia vita. Quasi quasi rimpiango l’ospedale!”
Sorrise.
Conosceva la vita ospedaliera e nessuno poteva davvero rimpiangerla.
-Chi ti scrive ragazzino?-chiese Morgan seduto al posto del guidatore accanto a lui.
-Nessuno-
-I cellulari non squillano senza motivo. Allora?-
Vedendo che non rispondeva gli prese velocemente il telefono dalle mani e lesse l’SMS.
-Il numero non è salvato. Capisco che tu hai una memoria eidetica e ricordi tutto, ma io no, quindi……..Vuoi che chiami per sapere chi è oppure puoi dirmelo tu?-
Reid sbuffò mentre JJ rideva silenziosamente davanti a quella buffa scena che sembrava un battibecco tra bambini.
-Ok-si arrese il ragazzo.
-è solo Rudy. Le ho chiesto come stava  e com’era andata all’università. Tutto qui-
-E da quando siete così intimi?-fisse con tono scherzoso.
Il collega lo fulminò con un’occhiata, ma lui non ci fece caso.
Adorava infastidirlo e farlo arrabbiare.
-Dico solo che ti preoccupi più per lei che per le altre vittime-continuò come per discolparsi.
-Derek…..-
JJ non lo chiamava quasi mai per nome, forse stava esagerando, così non insistette e uno strano silenzio calò nell’abitacolo, rotto solamente dal suono della strada che correva via veloce sotto le ruote.
-Adesso che abbiamo individuato i suoi precedenti nascondigli, come facciamo a trovare lei?-
Era stata la bionda a fare la domanda che aleggiava nell’aria da quando Spencer aveva finito di esporre la sua teoria.
I due uomini si guardarono.
Non volevano dirle che in verità non ne erano certi.
-Non sarà per niente facile. Quasi tutti i suoi legami con il mondo sono stati recisi e ogni volta che cambia la sua identità e quindi anche se stessa brucia tutti i ponti alle sue spalle. È forse una degli S.I. più imprendibili con cui abbiamo mai avuto a che fare-
-Sarà dove pensa che sarebbe dovuta essere-
Le parole del genio non sembravano avere molto senso, ma avevano imparato che spesso, anche se si esprimeva in modo strano, ciò che diceva era importante per la risoluzione del caso.
-Spiegati meglio-lo incoraggiò l’amico.
-Dico solo che forse non vuole portarla nel posto dove tutto è cominciato. In fondo per lei che cambia identità spesso i luoghi non sono importanti, persino la sua storia personale, se escludiamo l’incidente con tutte le sue conseguenze, non ne ha. Lei è profondamente arrabbiata perché colei che l’ha privata della sua famiglia e che, in qualche modo nella sua psicosi crede che l’abbia costretta alla vita che fa, non sia stata adeguatamente punita. Quindi forse la porterà dove per tutti questi anni sarebbe dovuta essere-
-Intendi una prigione?-chiese JJ.
-Si, o qualcosa del genere-
-Ma non può portare le persone che ha rapito in un carcere senza essere notata soprattutto ora che la sua vittima principale sta per partorire-contestò l’uomo di colore.
-Lo so, pensi che non lo sappia? Ma se fosse una struttura in funzione quando il processo è stato concluso ma che ora non viene più utilizzata?-
Appena finì la frase Morgan chiamò velocemente l’unica persona in grado di aiutarli.
-Il gigantesco muffin di cioccolato che Dio ha sfornato solamente per me è finalmente venuto per farsi assaggiare!-
-Puoi mangiarmi tutto se vuoi bambolina, ma devi farmi un favore-
-Spara!-
-Ci sono istituti penitenziari attivi tre anni fa, ma non ora?-
-Sembra di no, ma se mi dai un po’ di tempo sono certa che qualcosa uscirà fuori-
-Allora ti richiamo appena posso dolcezza-
-Sai che sono sempre qui per te-
Conclusa la telefonata l’uomo parcheggiò e insieme agli altri due si diresse all’interno della caserma dei vigili del fuoco.
Venne loro incontro un uomo sulla sessantina con i capelli e i folti baffi completamente bianchi.
-Agenti Morgan, Jereau e il dr.Reid dell’FBI, unità analisi comportamentale-
-Benvenuti agenti, io sono il capitano McLoain, in cosa posso esservi utile?-
-Vorremmo parlare con chi si è occupato di quella casa andata a fuoco qualche giorno fa-
-Non eravamo molti a spegnere quell’incendio, sa, non era così grande da necessitare di più di tre uomini. Uno di loro è in vacanza con la famiglia, ma potete parlare con me e con Mitchell, l’ultima recluta che addestrerò prima della pensione-
Vedendoli annuire l’uomo si avvicinò ad un ragazzo di qualche anno più giovane di Spencer, che lo seguì docilmente.
-Mitch, questi agenti dell’FBI vorrebbero farci delle domande a proposito di quella casa nel bosco-
-Va bene. Cosa volete sapere?-
-Qualsiasi cosa. Sapete com’è scoppiato?-chiese JJ
-Probabilmente qualche ragazzino che voleva divertirsi. Dopotutto non pensavano fosse abitata, quindi credevano di non fare del male a nessuno-rispose il più anziano.
-Cosa intendete dire con “non pensavano fosse abitata”?-
-Qualcuno ci viveva perché abbiamo trovato segni di vita nell’abitazione. Ma nessuno, prima che intervenissimo, lo sapeva-
-Non abbiamo trovato solo quello-mormorò il ragazzo sottovoce, ma la frase non sfuggì a Derek.
-Cosa vuoi dire? C’era qualcosa di strano?-
-Mitch è nuovo del mestiere e si stupisce ancora di cosa può fare la gente-disse, quasi per difenderlo dai federali.
-Non devi aver paura Mitchell, dicci cos’hai trovato-
-Un neonato. Ho trovato un neonato. Dovevano averlo lasciato lì nella fretta di scappare-sussurrò il ragazzo con gli occhi inchiodati a terra
-Era……Era……Morto?-s’intromise quindi titubante Reid.
Non era certo di voler ascoltare la risposta, in fondo, a dispetto di tutte le statistiche che sapeva a memoria, aveva sperato di trovarlo vivo, ma doveva sapere cosa era successo al piccolo Derryll.
-Mio Dio NO!-esclamò il capitano.
-Mitch l’ha visto un secondo prima che fosse troppo tardi e l’ha subito portato fuori affidandolo ai paramedici. Aveva un po’ di fumo nei polmoni, ma ora sta bene. L’hanno portato subito al children’s hospital. Pensavamo tutti che fosse abbandonata, non saremmo nemmeno entrati se questo novellino non avesse giurato di aver sentito il pianto di un bambino. Allora è corso dentro e l’ha salvato, ma non c’era nessun altro oltre al piccolo-
-Sei stato molto coraggioso-si complimentò Morgan stringendo la mano al giovane.
-Oh si che lo è stato-disse il vecchio con gli occhi che gli brillavano.
Era evidente quanto fosse orgoglioso di lui.
Inaspettatamente Spencer si avvicinò al ragazzo e gli pose una mano sulla spalla.
-Grazie, grazie davvero-
Rimasero tutti colpiti da quel gesto insolito per lui che testimoniava quanto volesse bene a Rudy.
-Perché l’FBI si interessa di una cosa del genere? Cos’ha d’importante?-
-Quella casa era la base di una serial killer e l’incendio ha salvato la vita del neonato che avete trovato-
-Il killer del non mese viveva lì? E la madre del bambino come sta?-chiese Mitchell alzando finalmente gli occhi dal pavimento.
-Bene. E grazie a te presto starà meglio perché potrà tenere tra le braccia suo figlio-gli rispose il genietto facendolo arrossire.
-Ci siete stati molto d’aiuto-si congedò Derek.
-Non si preoccupi, dopotutto lavoriamo per uno stesso scopo no?-
Appena raggiunsero la macchina Garcia lui chiamò.
-Tesori ho trovato quello che mi avete chiesto. Non è veramente un carcere, era una clinica in cui la prigione mandava i prigionieri che non riteneva pericolosi, sia per lavorare che per curarsi quando fosse necessario. Un anno e mezzo fa è stato deciso che non era abbastanza utile da essere mantenuta e che sarebbe stata trasformata in una scuola materna e sono iniziati i lavori di ristrutturazione che ora si sono fermati per mancanza di fondi. Quindi se avesse deciso di nascondersi lì non troverebbe ostacoli. Hotch e gli altri stanno andando lì. Vi ho già mandato l’indirizzo-
 
-Questa era davvero la sua “base ”-disse Kim appena furono dentro il piccolo capanno di legno.
-Il ragazzo aveva ragione anche questa volta-
Hotch lo guardò interrogativamente.
-Il vostro genio. La sua teoria era giusta-precisò quindi con il tono di chi ha detto un’ovvietà.
-Dev’essere favoloso avere uno come lui nella squadra con tutto l’aiuto che vi deve dare nel risolvere i casi. Siete proprio fortunati-aggiunse poi mentre si chinava ad esaminare il materasso e le barre di ferro accanto ad esso.
Erano abbastanza vecchie e arrugginite.
Di sicuro non era quello di imprigionare una persona lo scopo per cui erano state ideate, ma in quel momento non gli venne in mente un altro utilizzo.
-Il dr. Reid è un valido elemento-disse quindi il federale senza mutare espressione.
-Ne avessi io uno così al distretto. Per carità non dico che i miei uomini non siano competenti, ma non hanno le sue intuizioni, né il suo Q.I.-
Il profiler non aveva mai pensato a quanto il ragazzo, come lo aveva chiamato il capitano, fosse importante per il team.
Certo erano tutti importanti ma, mentre l’esperienza sua e di Rossi, il talento e il coraggio di Morgan, la capacità di JJ di trattare con tutti i tipi di persone, oltre che la bravura di tutti loro come profiler erano riconosciute, quanti si accorgevano dell’intuito e dell’abilità si Spencer nel sviluppare teorie e schemi esatti?
Persino il ruolo fondamentale di Garcia era sempre ribadito, ma quello del giovane?
Lo prendevano sempre in giro, certo lo facevano per scherzare, anche se non sempre Reid lo viveva come un gioco, ma quante volte gli avevano detto che per  la squadra anche lui era indispensabile?
Non abbastanza, se non nessuna.
Il massimo da parte sua era stato “ottimo lavoro”.
Non che non sapessero di aver risolto molti casi grazie a lui, solo non avevano mai pensato di riferirglielo e Spencer non era tipo da capirlo da solo.
Forse avrebbe dovuto provvedere, ma adesso aveva altro a cui pensare.
L’altro stava ancora esaminando da vicino il letto improvvisato.
-Servivano a sostenere qualcosa, quasi sicuramente un’asse di legno a giudicare dai segni che l’S.I. ha lasciato quando l’ha staccata-disse quindi riferendosi alle sbarre, poi spostò leggermente il materasso notando che sotto, malgrado il tempo, c’erano ancora i segni di buchi sul pavimento.
-Il vecchio proprietario deve aver creato una sorta di rastrelliera per gli attrezzi che teneva qui dentro. Sull’asse probabilmente aveva praticato dei fori in cui li infilava, abbastanza stretti da impedire che si inclinassero in maniera pericolosa-
-Crede che la donna lo sapesse? Delle sbarre intendo-
-Credo di si. Quello invece, a giudicare dalle condizioni deve averlo preso in una discarica subito dopo l’incendio-concluse indicando l’unica altra cosa nella stanza.
Erano già in viaggio verso la centrale quando il cellulare di Hotch cominciò a squillare.
Non fece in tempo a dire nulla che subito fu investito dalla voce squillante di Penelope.
-Sappiamo dove si nasconde Martha Gray. Ti ho mandato un messaggio con l’indirizzo, ma dato che sapevo che non lo avresti letto ho pensato di doverti chiamare per avvisarti e………-
-Ok, grazie Garcia-rispose lui frenando il suo fiume i parole.
-Di niente capo. Passo e chiudo-
Dopo aver letto l’SMS mandatogli dall’analista sterzò bruscamente.
-Cambio di programma capitano. Andiamo ad arrestare questa criminale-

nota:ok,probabilmente questo è l'ultimo aggiornamento che farò per un po' di tempo dato che sono all'estero per un semestre,ma ci tenevo a postarvelo.
siamo quasi alla fine e non posso non ringraziare chi è così gentile da recensire almeno un po' e antos1991 che mi sopporta quando la intaso di messaggi.
detto questo......SEE YOU SOON

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Capitolo 14
*** ultimo round ***


Davanti al basso edificio trovò tutta la squadra ad attenderli insieme agli SWATT.
-Scoperto niente di interessante?-fu la prima cosa che chiese nella speranza che avessero messo insieme abbastanza elementi da farla capitolare senza che nessuno si facesse male perché in fondo quella donna aveva con sé 3 ostaggi e se non si fosse arresa il suo arresto con tutta probabilità avrebbe significato la morte di almeno un membro della famiglia che aveva rapito..
-Se per interessante intendi un enorme cumulo di macerie allora si, abbiamo trovato un sacco di cose interessanti-rispose prontamente Emily mentre lui spostava lo sguardo sugli altri membri della squadra.
-L’incendio è stato quasi certamente una bravata di qualche ragazzino convinto che la casa fosse disabitata-disse Morgan.
-La teoria di Spencer era giusta. Il bambino è rimasto intrappolato nell’abitazione, ma un giovane pompiere è riuscito a portarlo in salvo appena in tempo. Ora è all’ospedale-
Il volto di Hotch mostrò il suo evidente sollievo.
Una vittima di meno.
Ma questo non l’aiutava purtroppo, così chiamò la loro maga del computer a Quantico.
-Garcia sei in vivavoce. Mi serve sapere ogni cosa del marito di Kelly Clarkson-
Forse facendo leva sui suoi meriti potevano salvarli, sperò solo che ne avesse abbastanza.
-Lucas Perry, 33 anni, medico di successo. Ha iniziato l’università studiando ginecologia qui a Los Angeles, poi si è iscritto alla facoltà di pediatria. Dopo qualche tempo si è trasferito a Miami per poi tornare in California l’anno scorso dove si è sposato con Kelly che dopo pochi mesi era già incinta. Un attimo. Secondo quello che c’è scritto qui è stato per un breve tempo compagno di corso di Martha Gray e sembra che fossero rimasti amici anche dopo che lei aveva interrotto gli studi e lui aveva cambiato specializzazione. In più nel periodo in cui lei ebbe l’incidente lui faceva il tirocinio proprio in quell’ospedale e il reparto di pediatria li è accanto a quello in cui fu ricoverata-
-Dev’essere stato lui a farla credere morta. Ma se l’ha aiutata così tanto, perché ha preso anche lui?-chiese Reid.
-Perché non è più in sé e vede il suo matrimonio come un tradimento. Dopotutto erano amici, lei si fidava di lui e lui ha sposato la donna che le ha rovinato la vita. Chi non lo vedrebbe come un tradimento?-rispose Rossi.
La conversazione fu interrotta da delle urla provenienti dall’interno della struttura.
Non potevano più aspettare, dovevano entrare subito e porre fine a quella storia.
Con la pistola tesa davanti a loro, pronti ad ogni evenienza, cominciarono ad attraversare i corridoi della struttura guidati dalle voci delle 3 persone già all’interno.
-Ti prego lasciala andare Martha. Fallo per me.è la mia bambina quella!-stava dicendo l’uomo nella speranza di convincerla a liberare sua moglie, ma lei non si degnò nemmeno di rispondergli mentre si avvicinava alla donna oramai in travaglio che cominciò a strillare.
Il suono dello schiaffo che le diede sovrastò ogni rumore tramutando le grida della donna in un pianto sommesso.
-Mi fai schifo. Le altre non hanno emesso un fiato. Hanno visto la loro famiglia, la loro vita, andare in frantumi senza poter fare nulla e non hanno emesso un fiato! IO ho visto la mia famiglia e la mia vita andare in frantumi senza poter fare nulla e non mi è stato concesso nemmeno di versare UNA SOLA LACRIMA! E TU? TU ti permetti di invadere i miei timpani con la tua stridula voce! Dov’è il tuo coraggio, se mai ne hai avuto?! Mi fai ribrezzo-
-è spaventata Martha, prova a capirla-s’intromise lui.
-Prova a capirla?! Lucas non starai dicendo sul serio?! Stai fuori da questa storia! Tu non c’entri niente. Non costringermi a occuparmi di te come ho fatto con gli altri-
-Come faccio a starne fuori?!è mia moglie quella che hai legato su quel lettino! È mia figlia quella che sta nascendo! È la mia famiglia! E tu mi chiedi di strane fuori mentre me la porti vi?!Non posso-
La guardò con gli occhi colmi di disperazione.
-Cosa ti abbiamo fatto? Perché hai scelto proprio noi? Io ho rischiato la mia carriera per te,  per aiutarti ad iniziare una nuova vita e tu mi ripaghi così? Un tempo eravamo amici, cos’è cambiato?-
Lei lo fulminò con un’occhiata.
-Sai, gli amici non tradiscono. Non si alleano con il nemico e tanto meno se lo sposano. Hai scelto tu da che parte stare, mi dispiace solo che sia quella sbagliata perché eri davvero un buon amico. Mi piacevi-
-Perché mai lei dovrebbe essere il tuo nemico?! Cosa ti ha fatto di male?!-
Martha lo ignorò sedendosi invece davanti alla donna cominciando a tirare fuori la testa della piccola.
-Ero davvero quasi riuscita a ricominciare tutto con una nuova identità, poi vi ho visto. Stavate camminando mano nella mano per strada e tu sfoggiavi con tanto orgoglio il tuo pancione, quasi fosse un abito all’ultima moda. All’inizio non ti avevo riconosciuto, avevo riconosciuto solo Lucas, ma poi…….-cominciò a dire la donna rivolgendosi a Kelly.
-Pensavi davvero che con quella stupida sentenza te la saresti cavata? Ti hanno condannato ai lavori socialmente utili! Ai lavori socialmente utili! Non sei stata nemmeno un giorno in prigione!! Ma se davvero pensavi che fosse finita lì, se davvero pensavi che una decisione del tribunale mi avrebbe tenuta lontana da te, che ti avrebbe protetto, sbagliavi.-
-Di cosa stai parlando?-
Fu in quel momento che Martha capì: lui non sapeva.
-Non glie lo hai detto vero?-
L’altra scosse la testa mentre le lacrime silenziose continuavano a solcargli le guance.
-Ci avrei scommesso! Lucas non ti avrebbe mai sposato sapendo quello che hai fatto. Lui è un tipo leale, non è un traditore e mi voleva bene. Forse però dovresti dirglielo dato che è il motivo per cui siamo riuniti qui. Ha diritto di sapere, dopotutto è per questo che on avrà più una famiglia-
-Amore, a cosa si riferisce?-chiese l’uomo alla moglie leggendo sul suo volto la conferma di ogni accusa che le era stata rivolta.
Affaticata dal partorire e con la voce spezzata dai singhiozzi, cominciò a spiegare .
-Avevo bevuto quella notte. Quella come tante altre, ma quella volta non avevo il controllo di me stessa. Sapevo che non ero in condizione di guidare, ma non avevo i soldi per pagare il taxi. Non mi ero resa conto di essere contromano, tanto meno mi ero resa conto di andare a quella velocità assurda. Non me ne sono resa conto finchè non mi sono scontrata con una macchina in cui viaggiavano un uomo e una donna incinta. Ho chiamato subito i soccorsi, ma l’uomo è scappato via mentre lei continuava a sanguinare e…..-
-No, no, non potevi essere tu. Non puoi essere stata tu-mormorò lui.
-Io non volevo. Non ero in pace con me stessa e con gli altri e così mi abbandonavo all’alcol. Poi mi sono ripulita dopo l’incidente. Era un brutto momento per me-
-Un brutto momento! Anche per me non era un bel periodo, l’unica cosa bella era il bambino in arrivo, ma tu me l’hai tolto. Grazie a te il MIO brutto momento è destinato a non finire mai! Ma ora pagherai! Pagherai tutte le tue colpe. Mi dispiace Lucas che tu sia capitato in mezzo a tutto questo. Se solo ti fossi presentato alle udienze avresti saputo-disse poi rivolgendosi all’uomo.
-Non potevo. Avevo paura che se avessi visto in faccia colei che ti aveva distrutto la vita in quel modo le sarei saltato al collo, così ho preferito non sapere……..-
-E hai finito per sposartela. Non lo trovi buffo?-
-Perché non me l’hai detto?-domandò lui a Kelly.
-Avevo appena finito di scontare la mia condanna quando ci siamo conosciuti e volevo solo andare
avanti. Pensavo fosse storia passata. Non avrei mai immaginato una cosa del genere. Ma ogni domenica porto ancora un fiore sulle tombe della donna e del bambino. Non mi sono mai perdonata per quello che ho fatto, per questo sono entrata negli alcolisti anonimi e ho dato una svolta alla mia vita. Per onorare la loro memoria-
-Quindi siamo stati noi a darti la spinta per migliorare la tua esistenza. Beh, allora la nostra morte ha avuto un senso! Mio figlio non ha potuto giocare ai giardinetti con gli altri bambini, ma ha cambiato la tua vita! Di certo penserai che è stato meglio così che se fosse nato-disse con una risata amara.
-No, io non penserei mai una cosa del genere!-
-In realtà non m’importa quello che pensi perché è arrivato il tempo di pareggiare i conti-concluse prendendo in braccio la piccola appena nata e avvolgendola in un caldo panno pulito.
Poi la adagiò nella culla che aveva poggiato lì affianco e tirò fuori dalla tasca un coltello.
In quel momento gli agenti, che fino ad allora erano rimasti nascosti nella stanza adiacente considerando troppo rischioso intervenire prima che il parto fosse concluso, irruppero nella stanza.
-FBI! Posi subito quel coltello-gridò Morgan alla donna indicando l’arma che teneva in mano, ma lei si era fulmineamente nascosta dietro Kelly, usandola come scudo umano e poggiando la lama sulla sua gola.
-Martha lasciala stare. Tu prendi i neonati maschi, di una femmina non te ne fai niente. Liberali-
-Non posso farlo agente. Lei non capisce, io devo ferirla come lei ha ferito me anche se il suo dolore non si avvicina nemmeno lontanamente al mio. Lei ha ucciso mio figlio e io sono morta con lui, Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato e sono 3 anni che lo aspetto. Non posso fermarmi-rispose incidendo con estrema rapidità e decisione la bianca pelle della donna che teneva tra le braccia recidendole la carotide.
Troppo tardi il federale premette il grilletto uccidendo l’assassina.
Appena cadde a terra Lucas si precipitò dalla moglie cercando di tamponare la ferita e bloccare la perdita di sangue, ma era troppo tardi.
Non c’era più vita nei suoi occhi.
Nel frattempo Hotch controllò che il cuore Martha Gray avesse cessato di battere mentre il signor Perry piangeva in silenzio sul cadavere di Kelly.
Poteva anche avergli mentito ma lui l’amava e le avrebbe perdonato qualsiasi cosa, gli dispiaceva solo che gli avesse nascosto un segreto così grande.
Il tempo sembrava essersi congelato e nessuno osava muoversi.
Poi si udì un pianto, un pianto di neonato e l’incanto si ruppe.
Le lancette ricominciarono a scorrere e due ambulanze si accostarono all’edificio facendo scendere i paramedici che si precipitarono dentro, nella vana speranza di poter fare qualcosa.
Solo quando caricarono la moglie su una barella, coprendola con un lenzuolo, Lucas si allontanò da lei permettendogli di portarla via.
Nel frattempo JJ era corsa dalla bambina e l’aveva presa tra le braccia cullandola dolcemente.
Troppo spesso si sottovaluta la sensibilità e l’intelligenza dei bambini, infatti la piccola aveva intuito che era successo qualcosa di brutto, per quello era scoppiata in lacrime, ma la bionda, da brava mamma, lo aveva capito ed era riuscita a calmarla.
Finalmente l’uomo si concentrò sul fagottino rosa che la federale stava tranquillizzando e le si avvicinò, guardandola con amore.
-La prenda-
Le parole della donna lo fecero trasalire leggermente.
Non si era accorto che lei aveva alzato gli occhi e lo stava guardando.
Ma lui aveva paura.
Non della piccola.
No, un padre non potrebbe mai avere paura della propria figlia.
No, lui aveva paura di ciò che il futuro avrebbe riservato a loro due e lei glie lo lesse in faccia.
-è la sua bambina e ha bisogno di lei. Ha solo lei adesso, non può abbandonarla anche lei, ma deve essere forte e andare avanti, se non vuole farlo per se stesso lo faccia per sua figlia. Quindi ora la prenda-gli disse porgendogli la piccola.
-Come potrò darle tutto ciò di cui ha bisogno?-chiese prendendola.
-Ci riuscirà, non si preoccupi, sarà un ottimo padre-
L’altro annuì rivolgendosi poi alla fragile creaturina che teneva in braccio.
-Le somigli così sai? Sarai una bellissima donna. Adesso dobbiamo andare in ospedale, ma tra pochi giorni ti porterò a casa. Ti voglio bene Elizabeth. Tu madre adorava questo nome-
La bambina emise un versetto e lui sorrise.
-Vedo che piace anche te!-
JJ li osservò raggiungere l’ambulanza e dopo che quest’ultima si fu allontanata raggiunse il resto del team che già stava risalendo sui SUV.
Lei raggiunse il suo e, insieme a Reid, partì diretti all’albergo dove alloggiavano.
-Avete trovato il figlio dei Robinson?-domandò al giovane al suo fianco che rispose con un cenno affermativo del capo.
-Il furgoncino era sul retro e all’interno c’era il suo cadavere. Era così piccolo JJ!-
Sembrava che stesse per piangere, i suoi grandi occhi da cucciolo erano lucidi e pieni di lacrime.
Non era la prima volta che si occupavano di casi che coinvolgevano bambini, ma non erano mai stati così piccoli.
Tutti odiavano i casi in cui le vittime erano i bambini, ma quelli che ne soffrivano di più erano Derek e Spencer.
-Non ci pensare. È tutto finito-
-è finita, ma a che prezzo? Altre due donne sono morte e una bambina non conoscerà mai sua madre. Non importa ciò che avevano fatto, semplicemente non doveva succedere. Non abbiamo arrestato l’S.I., l’abbiamo uccisa e questo non significa vincere. Oggi abbiamo perso-
La donna approfittò di un semaforo rosso per guardarlo intensamente negli occhi finché lui non distolse lo sguardo.
-Spence, non tutte le partite finiscono come si vorrebbe, alcune vengono vinte a tavolino, senza essere nemmeno giocate. Questa è costata più di quanto pensavamo, la piccola non avrà mai una madre, ma lei e suo padre sono vivi e noi stiamo tutti bene. Con tutte le cose che vediamo facendo questo lavoro puoi davvero dire che abbiamo perso?-
Il genio non rispose, sapeva che l’amica aveva ragione, ma allora perché si sentiva così abbattuto?
Vedendolo esitare mentre rifletteva sulle sue parole JJ continuò dicendo che l’unica cosa che sapeva di certo lo avrebbe tirato su di morale.
-Pensa che domani mattina Rudy potrà riavere suo figlio. Non è forse un’enorme vittoria?-
A quelle parole Reid sembrò rianimarsi.
-Hai ragione! Forse abbiamo vinto davvero!-esclamò muovendo febbrilmente le dita sulla tastiera del cellulare che subito portò all’orecchio.
La bionda sorrise mentre una voce dall’altra parte della cornetta rispondeva assonnata, dopotutto era ormai tardi e chiunque sarebbe andato a dormire.
-Pronto?-
-Rudy sono Spencer devo dirti una cosa-disse subito concitato.
-Ma dove sei?-domandò poi ricordandosi che ancora non aveva una sistemazione per la notte per lei eppure stava dormendo.
-Io? Sono a casa di Greg-
-Chi è Greg?-
-Il mio vicino di casa, ricordi? Alcuni tuoi colleghi dovrebbero anche averlo conosciuto-
-Sei a casa del Dr.Mallard?-
-Si, non volevo darvi altro disturbo e lui mi ha invitato a stare a casa sua per un po’, quindi….Ma tu piuttosto cosa dovevi dirmi?-
Reid stava quasi per dirgli il motivo per cui l’aveva chiamata, invece sorrise.
-Vieni domani mattina alla stazione di polizia. Ho una sorpresa per te!-
-Che sorpresa?-
-Non te lo posso dire se no che sorpresa sarebbe? Vieni domani e ti prometto che ne sarei felice. È una cosa bella te lo giuro. Verrai?-chiese, quasi temendo che il suo invito venisse rifiutato.
-Ok, verrò-
-Dormi bene Rudy. Ti aspetto omani e ti voglio vedere riposata-
-Ci proverò Spence e…….Buonanotte-
Appena ebbe finito di parlare con la ragazza digitò immediatamente un altro numero.
Malgrado a Washington fosse molto più tardi fu una squillante Penelope a rispondere.
-Mio cucciolo sperduto dimmi, com’è andata?-
-Abbastanza bene. La bambina e il marito stanno bene, ora sono in ospedale per dei controlli-
Capendo che lui non aveva molta voglia di parlare di come si era concluso il caso, cambiò argomento.
-Ma non credo che tu mi abbia chiamata per dirmi questo, quindi spara ragazzino, sono ai tuoi ordini-
-Grazie Garcia. Io avrei bisogno di un indirizzo, se non ti disturba-
La stravagante analista scoppiò a ridere.
-Vedo che ha i imparato la buona educazione! Ok dimmi il nome e ti dirò dove abita-
-Il cognome non lo so, ma so che si chiama Mitchell e che lavora nei vigili del fuoco con il capitano McLoain-
-Trovato, ma toglimi una curiosità……..A che ti serve?-domandò sospettosa.
-Devo fare una sorpresa ad un’amica-
-Ma dovete tutti fare delle sorprese a degli amici questa settimana?-
-Cosa vuoi dire?-
Il tono di Reid fece capire alla donna che aveva capito che qualcuno stava tramando qualcosa, ma non sapeva chi  ne tanto meno cosa.
-Credo di aver già detto troppo. Ti ho inviato l’indirizzo. Adesso devo andare. Buonanotte a tutti-
Cadde la linea e il giovane rimase interdetto a guardare lo schermo su cui campeggiava la scritta “CHIAMATA TERMINATA”.
Chissà a che si riferiva Penelope?
Decise che aveva tempo per pensarci, ora aveva una cosa più importante da fare.
JJ, dovremmo fare una piccola deviazione-

nota:ok,ci ho messo secoli e il capitolo è cortissimo,ma era abbastanza necessario dividere questa parte della storia da quella che verrà perchè ora passiamo alla parte "soft"(e poi se volevo farlo più lungo ci avrei messo i secoli ad aggiungere il pezzo successivo e già mi sembrava di avervi fatto aspettare abbastanza)
non saprei che altro dirvi,tenete duro che oramai è quasi finita ahahahah

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Capitolo 15
*** ricordi e saluti ***


Bussò timidamente alla porta dell’appartamento.
Forse aveva fatto un errore, non doveva stare lì, era tardi e probabilmente il ragazzo già dormiva.
Di certo l’avrebbe disturbato.
Ma che ci faceva lui là?
Non era il tipo da bussare alla porta della gente, soprattutto di chi non conosceva.
Beh, in realtà lui cercava di evitare contatti di qualsiasi tipo con le persone che non conosceva.
Stava per andarsene quando JJ lo prese per un braccio e lo fermò costringendolo ad aspettare che aprissero.
-Sai che è in casa, senti anche tu i rumori della televisione-
-Magari sta dormendo. Non credo sia educato svegliarlo a quest’ora-
-Spence, stai facendo la cosa giusta-gli disse lei cercando di guardarlo negli occhi, ma lui li puntò a terra prima di incontrare quelli di lei.
Non riusciva a sostenere gli sguardi degli altri, tanto meno in momenti come quelli e lei lo sapeva, eppure ancora sperava di riuscire a trattenere quelle iridi nocciola in quel mare azzurro che erano le sue.
La donna suonò energicamente il campanello che Reid aveva preferito non toccare e subito si udirono dei passi affrettarsi verso di loro.
Pochi istanti dopo apparve sulla soglia il ragazzo già in pigiama con aria assonnata.
-Dr.Reid. agente Jereau!-esclamò sorpreso di vederli lì a quell’ora.
-Scusi il disturbo, non volevamo svegliarla-esordì la bionda.
-Non si preoccupi, devo essermi addormentato un attimo sul divano, ma non ero ancora andato a letto. Ma non restate sulla porta-rispose invitandoli ad entrare mentre cercava di sistemarsi i folti capelli neri che avevano assunto una forma davvero buffa durante il suo sonnellino.
Li fece accomodare nel salotto e indossò una felpa nera che era appoggiata sullo schienale di una sedia, forse per coprire la dolce scimmietta che faceva capolino  sulla sua maglietta del pigiama.
-Mi dispiace accogliervi così……..-disse riferendosi alla sua tenuta da notte.
-…..Ma davvero non vi aspettavo. Piuttosto……Volete un caffè?-
Solitamente non accettavano quasi mai, non volevano disturbare, ma questa volta sentivano davvero il bisogno di qualcosa che potesse farli arrivare almeno fino alla loro camera d’albergo.
Quella giornata era stata davvero pesante e densa di avvenimenti e Spencer stentava a reggersi in piedi.
Solo ora che si era seduto su quel  comodissimo divano sentì tutta la stanchezza fi quell’ultima settimana piombargli addosso e lottare contro di lui per costringerlo a chiudere le palpebre.
Aveva proprio bisogno di quel caffè, ma JJ sapeva che non l’avrebbe mai detto, anzi dubitava che avrebbe aperto bocca in assoluto.
Avrebbe potuto lasciare che lui si sforzasse di combattere il suo istinto innato a parlare solo quando aveva qualche dato scientifico da snocciolare, ma a rimanere completamente in silenzio in ogni altra situazione.
 Di solito lo faceva, ma quel giorno non ci sarebbe riuscito, non ne aveva la forza, era completamente esausto.
Non ce la faceva proprio a vederlo così perciò decise che sarebbe stata la sua portavoce.
Sapeva perché erano andati in quella casa, il genietto gli aveva spiegato tutto mentre raggiungevano l’abitazione quindi avrebbe tranquillamente potuto parlare lei se Reid non se la fosse sentita.
-Si, grazie-rispose infine la bionda.
Mitchell andò in cucina a preparare il caffè lasciandoli soli.
-Va tutto bene Spence?-chiese lei vedendolo stranito.
L’altro ci mise qualche secondo a capire che stava parlando con lui.
-Oh, si. Solo un po’ di mal di testa, ma passerà-
-Vuoi una tachipirina? Da quando è nato Henry ne ho sempre un po’ nella borse-
-No. Non ti preoccupare, dovrei avere qualche antidolorifico-rispose frugando dentro la sua tracolla e tirandone fuori un flacone semivuoto di pillole.
Ne tirò fuori una e la ingoiò senza bisogno di acqua con decisione e sicurezza.
Se non fosse bastato il fatto che le pillole erano quasi finite, il modo in cui mandò giù la medicina fece capire a JJ che Spencer le prendeva molto più spesso di quanto non fosse disposto ad ammettere.
Avendo intercettato lo sguardo della bionda, il giovane federale indovinò quali pensieri dovevano occupare la sua mente.
-Non ti devi preoccupare, non ne ho più così tanto bisogno. Oramai le mie emicranie sono quasi sparite da quando ci sono i ragazzi, ma a volte tornano durante i casi particolarmente difficili e stressanti, quando sono preoccupato o……Quando ho paura-
-Paura di cosa?-
-Di star sbagliando tutto –
Non fece in tempo a dire altro perché il padrone di casa era tornato con 3 fumanti tazze piene fino all’orlo della calda bevanda tanto attesa.
-Ecco a voi-disse porgendone una ad ognuno.
-Come mai qui?-domandò finalmente.
-Avete trovato il serial killer?-
-Si, l’abbiamo trovata, ma non siamo venuti a dirle questo-rispose lei.
-E perché allora?-
-Vorremmo chiederle un favore-
-Ditemi-
-Ricorda il bambino che ha salvato dall’incendio?-
-Certo, domani dovrebbe essere dimesso dall’ospedale e tornerà da sua madre, giusto?-
-Si e vorremmo che fosse lei a riportarglielo-
-Cosa?!-esclamò incredulo della proposta che i due gli stavano facendo.
-Non redo di essere la persona adatta. Insomma quella povera donna non mi conosce nemmeno e sono certo che preferirebbe fosse un volto amico a tenere in braccio suo figlio-
-Non crede che vorrebbe ringraziare l’uomo che ha salvato il suo piccolo?-
Il ragazzo tentennò, forse aveva ragione.
-Si fidi di me, glie lo dico da madre, farà di tutto per incontrarla e dimostrarle tutta la sua gratitudine. Quindi faccia ciò che le chiediamo, la renda felice ridandole il suo bambino. Dopotutto è grazie a lei che è ancora vivo no? In fondo non le costa nulla-
Lui  sembrò riflettere su quelle parole.
In fondo gli sarebbe piaciuto tenere quel frugoletto ancora una volta tra le sue braccia, ma si sarebbe sentito così fuori posto in un ambiente che non era il suo e poi, a dire la verità, aveva anche paura di confrontarsi con il dolore che avrebbe visto negli occhi di quella madre senza poter fare nulla per cancellarlo.
Poi ci pensò meglio, era vero, non poteva eliminare la sua sofferenza, ma poteva diminuirla facendo ciò che gli agenti gli avevano chiesto.
In fondo non gli costava nulla.
-Ok, va bene. Dove posso trovare la signora Derryll?-
-Domani mattina verrà alla centrale di polizia. Potrà incontrarla lì-
-Allora verrò verso le 9:30, prima che inizi il mio turno. Sa il capitano McLoain ci tiene molto alla puntualità-concluse sorridendo mentre li accompagnava alla porta.
-Buonanotte e grazie. Per Rudy è davvero importante-disse Reid rivolgendosi a Mitch per la prima volta da quando erano entrati in quella casa, cosa che stupì gli altri due.
-Buonanotte anche a voi e……Dr.Reid……è importante anche per me-poi la porta si chiuse e Spencer e JJ tornarono in macchina.
Raggiunsero l’hotel in pochi minuti e, appena arrivati salirono nelle proprie camere.
-Mi raccomando non leggere questa notte. Dormi e riposati ok?-si raccomandò lei.
-Promesso, anche perché non credo di poter tenere gli occhi aperti un minuto di più-rispose lui scherzando.
L’amica gli scoccò un bacio sulla fronte.
-Sogni d’oro Spence-gli sussurrò prima di sparire dietro la porta della sua camera.
Il giovane appena entrato buttò su una sedia la sua fedele tracolla e cominciò a spogliarsi per potersi mettere il pigiama.
Quello che aveva portato nel suo piccolo bagaglio era il suo preferito.
Glielo avevano regalato i ragazzi quando si erano trasferiti a Washington.
«Quando lo abbiamo visto abbiamo subito pensato a te!» aveva esclamato Andrew quando lui aveva scartato il pacchetto regalo che gli avevano dato i due fratelli appena era tornato a casa, ed aveva visto cosa c’era dentro.
Sulla maglia era disegnato un bambino, che sembrava tanto un piccolo Einstein, intento a spiegare qualche complicato teorema matematico.
Era rimasto senza parole quel giorno, ricordava perfettamente l’entusiasmo del più piccolo.
«Perché non lo metti subito?!»
«Non mi pare il caso. Insomma, non è troppo presto per mettersi il pigiama?»
«Devi uscire questa sera?»
«No, ma cos c’entra?»
«Se non devi uscire puoi anche mettertelo no?»
Preso in contropiede Reid non aveva potuto fare altro che accontentare quel ragazzo che era sempre in grado di metterlo con le spalle muro.
Appena lo ebbe indossato venne subito avvolto da un odore di casa che inspirò a pieni polmoni.
Dopo essersi lavato i denti si infilò subito sotto le coperte, rimpiangendo di non aver portato con sé l’orsetto di Henry.
Avrebbe tanto voluto avere qualcosa da stringere.
La mattina seguente si alzò al suono martellante della sveglia del suo telefono.
Per la prima volta dopo giorni si sentì sereno e soprattutto riposato, ma fece comunque molta fatica ad abbandonare quel suo caldo rifugio che era il letto.
Uscì di malavoglia da sotto le lenzuola e si vestì con calma, dopotutto non era ancora in ritardo.
Poi raccolse tutto ciò che si era portato e lo mise con cura nella valigia.
Amava partire cono un bagaglio perfettamente ordinato e, malgrado da quando era entrato nel BAU spesso le partenze erano improvvise, nel suo non regnava mai il caos.
Era una delle poche cose che aveva imparato da suo padre quando ancora erano una famiglia felice.
Lui partiva spesso per lavoro e il piccolo Spencer lo guardava dalla porta della camera dei genitori infilare le camicie nel piccolo trolley.
Un giorno d’inverno, quando aveva circa 3 anni, l’uomo si era girato verso di lui e gli aveva sorriso, facendogli cenno di avvicinarsi.
«Papà non andare via!» lo aveva implorato.
Lui si era seduto sul grande letto matrimoniale e lo aveva preso in braccio scompigliandogli i capelli.
«Ehi cucciolo, sai che non posso»
Vedendo la faccia imbronciata e triste del bambino lo aveva abbracciato.
«Perché non mi aiuti?»
In quel momento si era sentito importane e aveva fatto un ampio cenno affermativo con il capo facendo ondeggiare la zazzera marroncina che aveva in testa.
All’epoca aveva ancora i capelli abbastanza lunghi, era prima che sua madre decidesse di tagliarglieli.
Finchè la sua schizofrenia non si era aggravata glieli aveva fatti tenere corti, dopo non era più abbastanza presente a se stessa per tenere in mano un paio di forbici e suo padre cercava sempre di stare il più possibile lontano dalla sua famiglia.
Ma quel giorno di 27 anni prima William Reid era ancora un genitore amorevole che avrebbe dato qualsiasi cosa per poter passare del tempo con suo figlio.
Quello fu il giorno in cui Spencer imparò come si preparava una valigia.
Il papà gli passava i  vestiti e guidava le sue manine per fargli mettere i panni nel modo e nel posto giusto facendo felice il piccolo che per la prima volta sentiva che era in grado di fare qualcosa di diverso dall’imparare, qualcosa di manuale.
Di solito la madre non gli faceva mai fare cose manuali, già allora diceva che lui era un genio e per questo doveva usare solo il cervello, il resto non aveva importanza, e questo lo faceva sentire così diverso, escluso.
Ma il padre era di diversa opinione, lo aveva persino convinto a giocare a baseball nella squadra dei pulcini e gli aveva insegnato a fare molte cose.
Tutto ciò che sapeva fare già prima di entrare nella squadra gli era stato insegnato da lui.
«Ottimo lavoro ometto. Ti meriti un premio! Che ne dici di una bella cioccolata calda?» gli aveva detto dopo aver finito.
«SI!!» aveva urlato il piccolo entusiasta saltandogli addosso e arrampicandosi sopra di lui che lo aveva preso e se lo era messo sulle spalle portandolo in cucina dove aveva mantenuto la dolce promessa, armeggiando lui stesso con pentolini, fornelli e bustine di preparati per la bevanda dato che Diana era ancora al lavoro.
Da quel giorno quello della valigia fu  uno dei pochi rituali, se non l’unico, che coinvolgeva solo padre e figlio lasciando fuori la madre che probabilmente non ne aveva mai saputo nulla.
Con il tempo il piccolo Spence aveva imparato a disporre velocemente e in ordine tutti i capi d’abbigliamento e, anche se dopo la morte di Riley i rapporti tra i due erano diventati sempre più freddi, quella tradizione non era mai stata interrotta, solo una volta Spencer non lo aveva aiutato a preparare i bagagli, perché quando aveva capito che il padre stava partendo era già tutto pronto.
Ogni volta, dopo aver messo dentro l’ultima cravatta, William preparava una cioccolata calda al figlio che qualsiasi cosa gli fosse successa quel giorno e negli ultimi tempi, grazie a quel breve momento con il suo amato papà, ritornava felice e sereno.
Quel rituale era la sua ricarica di speranza e gioia e ogni volta si concludeva sempre allo stesso modo: con lui che piangeva e ripeteva sempre le stesse parole e suo padre che lo abbracciava asciugandogli le lacrime e gli dava sempre la stessa risposta.
«Ti prego papà non andare via, non abbandonarmi»
«Ehi campione, non temere io tornerò. Non ti abbandonerei mai, te lo prometto»
Il giovane federale chiuse violentemente la valigia sfregandosi il volto per cancellare ogni traccia di quella singola goccia che aveva attraversato la sua guancia risvegliata da quei ricordi che avrebbe voluto poter soffocare tra i suoi vestiti per non doverli più affrontare.
Odiava suo padre, lo odiava con tutte le sue forze, con la stessa intensità con cui da bambino lo aveva amato malgrado il poco tempo che gli dedicava.
Lo odiava perché ora anche una cosa così stupida come una partenza lo faceva stare male.
-Tu e le tue stupide promesse mai mantenute!-sussurrò con astio al fantasma dell’uomo che da 20 anni infestava la sua mente e che ora sembrava vagare nella sua camera d’albergo.
-Se solo tu ci fossi stato….La mia vita sarebbe stata diversa e forse saprei come comportarmi con Andrew e Zack. Forse avrei scoperto la cura per la schizofrenia, avrei fatto qualcosa di importante per il mondo se solo avessi avuto il tuo sostegno. Ma tu on c’eri, tu per me non ci sei mai stato e nulla ti può giustificare-mormorò ripensando all’ultima conversazione avuta con lui, a Las Vegas, e che aveva portato alla conclusione del caso di Riley Jenkins, il piccolo cadavere che il genietto sognava sin da ragazzino.
-Sai quanto ti ho aspettato? No, non lo sai e non l’hai mai voluto sapere. Ti ho aspettato per tutta la vita, ma tu non sei mai tornato. Sono dovuto venire io da te-ripensò alle lettere che William Reid gli aveva mandato dopo che si erano rivisti, in tutte gli chiedeva di incontrarlo ma lui non gli aveva mai risposto.
Forse avrebbe dovuto accettare prima o poi, anche solo per sputargli in faccia tutto quel dolore che per troppo tempo si era tenuto dentro, magari si sarebbe sentito meglio e i suoi rapporti con gli altri, soprattutto con i ragazzi che ora vivevano a casa sua, sarebbero migliorati.
Doveva liberarsi di quel peso e l’unico modo era decidersi ad incontrare l’uomo che più al mondo odiava.
Ma non era ancora il momento, non si sentiva abbastanza pronto.
Altre lacrime avevano rigato il suo viso mentre inveiva contro un uomo che non poteva rispondere.
Qualcuno bussò.
-Spencer sono JJ, sei pronto? Dobbiamo sistemare le ultime cose alla stazione di polizia prima di tornare a casa lo sai-
-Si, ora arrivo-rispose strofinandosi il volto con violenza per non farle vedere che aveva pianto.
Prese tutti i suoi effetti personali e la raggiunse fuori dalla stanza.
Lei notò subito i segni rossi lasciati dalla manica sul suo volto, ma sapeva leggere le espressioni dell’amico e sapeva anche quando non era il momento di fare domande e di certo quello non lo era.
-Andiamo, Hotch ci sta aspettando-gli disse invece spingendolo dolcemente verso il garage e aspettando che fosse lui a decidere quando e se spiegarle cosa lo tormentava.
Il viaggio fu breve e silenzioso, Reid sembrava troppo preso dalla strada per intraprendere qualsiasi tipo di conversazione e lei era così preoccupata per lui che non sarebbe riuscita a fingere che fosse tutto ok.
Di solito la risoluzione di un caso, soprattutto come questo, riusciva a fargli dimenticare ogni preoccupazione, ma quel giorno sembrava che il suo umore fosse addirittura peggiorato.
Si chiese quali pensieri avessero il potere di ridurlo in quello stato, ma vedendo la sua lotta interiore riflessa negli occhi nocciola preferì lasciarlo provare a risolvere i problema da solo, se non ci fosse riuscito sapeva che le avrebbe chiesto aiuto.
Appena scesero dal SUV videro una ragazza dai capelli scuri corrergli incontro.
Era Rudy.
Subito sul volto di Reid si distese un dolcissimo sorriso che raramente aveva visto su di lui, forse solo quando stava con Henry e, da qualche tempo a questa parte, anche con i giovani Roggers e Jack, che aveva cominciato a vedere di più perché da quando i due fratelli si erano trasferiti da lui, andava a casa Hotchner molto più spesso.
In effetti usciva molto più volentieri ora che era spronato da Zack ed Andrew e non era per niente raro che fosse a cena da uno dei suoi colleghi.
La giovane gli gettò le braccia al collo, scoccandogli un bacio sulla guancia, come fa una bambina con il proprio papà, poi si staccò e lo guardò con un’espressione che doveva sembrare arrabbiata, ma che in realtà era così buffa che JJ e perfino Reid che era rimasto bloccato dallo stupore per quella inaspettata manifestazione d’affetto, scoppiarono a ridere.
Lei mise allora le mani sui fianchi e li guardò con fare imbronciato, poi si rivolse al genietto.
-Dottor Spencer Reid, sarebbe così gentile da spiegarmi perché mi ha fatto venire a quest’ora di mattina, costringendomi a saltare la lezione di psicologia all’università? E poi, mi spiegate perché ridete di me?-disse con tono falsamente irritato colpendo il federale al petto con l’indice, facendolo indietreggiare di qualche passo mentre la bionda li osservava divertita.
-Scusami-rispose Reid soffocando a stento un’altra risata.
-è che sei così buffa!-lei finse di offendersi e continuò a spingerlo indietro, finché lui non si trovò costretto tra lei e la macchina.
Rimasero per qualche secondo in quella posizione, continuando quel gioco non dichiarato in cui avrebbe perso il primo che avesse riso e nessuno dei due sembrava intenzionato a lasciarsi sconfiggere.
-Ragazzino ti fai mettere con le spalle al muro da una donna?-li interruppe la voce tonante e ironica di Morgan, apparso sui gradini dell’ingresso alla stazione di polizia.
Solo allora si resero conto della posizione imbarazzante in cui erano e subito si allontanarono l’uno dall’altra divenendo rossi in viso.
-Io ti aspetto dentro-mormorò la ragazza ritornando subito all’interno dell’edificio superando l’uomo di colore ad occhi bassi.
Quello si avvicinò ai due colleghi e si rivolse al più giovane.
-Poi mi devi spiegare perché con te ride e scherza e invece con me non riesce nemmeno a guardarmi negli occhi-
-Con me si sente al sicuro, protetta. Invece tu…..-rispose lui preferendo però lascire in sospeso la frase.
-Cosa vorresti dire? Che faccio paura forse?-
Spencer non parlò e cercò di imboccare la porta, ma Derek lo trattenne per un braccio facendogli capire che non lo avrebbe lasciato andare se non avesse risposto.
-Tu fai paura a tutti-disse allora lui scrollandosi la sua mano di dosso e raggiungendo il resto della squadra.
Il nero si girò verso JJ, chiedendole con gli occhi cosa avesse voluto dire, ma lei si limitò ad alzare le spalle e a seguire l’amico dagli altri.
Hotch e Prentiss stavano sistemando le prove negli scatoloni mentre Rossi aveva preferito cominciare a compilare il suo rapporto.
In quel momento arrivò il capitano Kim cercando Reid.
-C’è una persona che la cerca dottore-
-La faccia entrare-gli rispose il genietto che, seduto affianco a Rudy, la stava aiutando a studiare per l’esame che avrebbe dovuto dare qualche mese dopo.
Aspettò di sentire i passi insicuri e di vedere le scarpe da ginnastica blu prima di chiudere il libro che la ragazza stava leggendo, costringendola ad alzare lo sguardo.
Tutti poterono vedere lo stupore, l’incredulità e la confusione dipinte sul suo viso.
Si girò verso Spencer chiedendogli silenziosamente se fosse vero ciò ce stava vedendo, se davvero il neonato tra le braccai di quel giovane ragazzo fosse il suo bambino, il figlio che credeva di aver perso per sempre.
Lui assentì con la testa.
-è questo il motivo per cui ti ho fatto venire qui-
I suoi occhi brillarono di gioia e gratitudine mentre si avvicinava al suo piccolo e lo prendeva in braccio.
Sarebbe voluta saltare al collo dell’agente, ma preferì vezzeggiare il frugoletto che aveva tra le braccia.
-Rudy, lui è Mitchell-disse il federale presentandogli il giovane davanti a lei.
-è lui che ha salvato il tuo bambino-solo allora lei alzò gli occhi dal figlio e incrociò quelli del ragazzo.
-La casa dove l’S.I. vi ha portati e dove lo teneva è andata a fuoco. Tutti pensavano che fosse abbandonata e non si sono preoccupati di controllare se c’era qualcuno, ma lui ha sentito il pianto di un neonato ed è entrato. L’ha portato via un attimo prima che fosse troppo tardi-
-Davvero?-chiese lei a Mitchell che distolse lo sguardo imbarazzato.
-Veramente io……io…… Ho solo fatto il mio dovere-
-No, tu hai fatto molto di più. Tu mi hai ridato la mia famiglia-ribattè lei dandogli un bacio su una guancia.
-Come potrò mai ringraziarti?-
-Non deve assolutamente farlo, io ho fatto solo il mio dovere-
Reid sorrise nel guardare quella buffa diatriba sui meriti del pompiere.
-Fatti almeno offrire un caffè-
-Va bene, non accetterò altro che un caffè da lei-
-Ti prego, dammi del tu e chiamami Rudy-
-Come preferisci, Rudy-
La ragazza andò a prendere la borsa con tutti i libri e quei pochi oggetti che si portava dietro, mentre Mitchell preferì aspettarla fuori.
Poco prima che lei lo raggiungesse nel parcheggio Spencer la fermò.
-Non mi saluti nemmeno?-le disse scherzando.
-Dopo torno ok?-
-Ma io non ci sarò. Partiamo fra poche ore-
Lei non seppe cosa dirgli così lui continuò.
-Prima di andare ti volevo dare una cosa-e mentre parlava gli porse una busta.
-Che cos’è?-
-Sono due biglietti aerei per il Kansas. Per te e tuo figlio-
-Spencer non posso accettarli!-
-Tu devi accettarli! Devi andare da tua madre, farle conoscere suo nipote e raccontarle quello che è successo. Si sentirebbe una pessima madre altrimenti e tu non puoi permetterle di pensarlo. E poi devi andare dai genitori di Matthew-
Lei si rabbuiò e  lui le sistemò dietro l’orecchio una riccia ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi.
-Devi andarci ok? Devi fargli conoscere la tua città e la tua famiglia. La sua famiglia-disse indicando il neonato che ancora cullava tra le braccia.
Ci fu un attimo di silenzio interrotto di nuovo da Reid.
-Come lo chiamerai?-
Lei fece un sorriso dolce e triste allo stesso tempo.
-Matt ha sempre detto che non ci dovevamo pensare perché il nome giusto ci sarebbe venuto in mente quando lo avremmo tenuto tra le braccia-
Poi lo guardò quasi come se si fosse ricordata qualcosa all’improvviso.
-Prendilo-
-Io…..Non so come…..-
JJ lo guardava da lontano, sembrava proprio la stessa scena di quando lui era andato a trovarla all’ospedale quando era nato Henry, 4 anni prima.
-Prendilo-gli rispose infatti la ragazza senza dargli la possibilità di rifiutare.
Lui lo strinse, come faceva con il suo figlioccio i primi mesi dopo il parto, ma con maggiore sicurezza dettata dall’esperienza.
C’era così tanto amore nello sguardo che rivolgeva a quel bambino senza padre, consapevole di come sarebbe stata la sua vita e di ciò che avrebbe dovuto passare, anche se si sarebbe potuto consolare pensando che suo papà era morto da eroe, per proteggere la sua famiglia.
Per proteggere lui.
Chiunque pensava che Spencer non ci sapesse fare con i bambini si sarebbe ricreduto vedendolo con quel bambino così come  con i due cuccioli della squadra.
La bionda invece aveva sempre creduto che lui fosse perfetto per stare con i più piccoli e evidentemente Rudy era dello stesso parere.
-Pensi che potrei dargli un nome diverso da quello di Matthew?-
-No, forse no-
Continuò a guardare quel bambino, avrebbe voluto esserci per  aiutarlo a crescere, ma sapeva di non potere e per questo stava chiedendo scusa con gli ad un neonato che sorridendo tendeva verso di lui le sue manine e giocando con il dito che lui gli aveva avvicinato.
Finchè, ricordandosi di Mitchell che aspettava fuori, lo riconsegnò alla madre.
-Ora devi andare. Spero che tu e Matthew possiate avere una bellissima vita-
Odiava gli addii e quell’incudine sul petto glielo ricordò per l’ennesima volta.
-Oh no, non così in fretta! Non ti libererai di noi così in fretta!-disse invece la ragazza raggomitolandosi sul suo petto come durante le notti in ospedale quindi ad abbracciarla. Lei respirò a pieni polmoni il suo odore di libri e di pulito che l’aveva guidata fuori dai suoi incubi e che l’aveva aiutata ad andare avanti, mentre lui le accarezzava i capelli.
Sapevano entrambi che probabilmente era l’ultima volta che potevano restare così, abbracciati, senza parlare ma dicendosi mille parole che solo loro potevano capire e si godettero quel momento.
Poi lei si allontanò dandogli un bacio sulla guancia e, mentre correva verso la porta gli gridò
-Ci rivedremo presto agente Speciale Spencer Reid!-
Lui rise.
Nessuno lo chiamava agente, tanto meno speciale.
-Ci conto-mormorò senza che nessuno lo sentisse.

nota:questa volta ho aggiornato dopo poco, non siete fieri di me?
anyway, so che il capitolo è corto,ma non sono riuscita a fare di meglio per ora.
intanto vi posso dire che nella prossima puntata(che psero di pubblicare presto)finalmente,per chi l'avesse chiesto, scopriremo la sorpresa che morgan ha in serbo per Reid.
alla prossima

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Capitolo 16
*** la giornata delle sorprese ***


Dopo aver visto i due giovani andare via il federale si rimise al lavoro.
Voleva tornare a casa il più presto possibile, voleva rivedere Andrew e Zack e prima avessero finito prima sarebbero potuto salire sul jet per Washington.
Nel frattempo JJ e Prentiss si avvicinarono furtivamente a Morgan.
-Allora?-domandò la mora.
-Allora cosa?-
-La tua sorpresa che non ci hai voluto dire! Che fine ha fatto?-
Derek sorrise maliziosamente.
-Credo sia appena arrivata-rispose Rossi che, seduto di fronte a loro, fissava un punto alle spalle dei colleghi.
Le due donne si girarono mentre il nero non si mosse, scambiando uno sguardo d’intesa con David che da giorni aveva capito quello che aveva in mente.
-Pensi che ne sarà felice?-
-Fino a poco tempo fa sarei stato certo che gli sarebbe piaciuto, ma adesso…..Posso solo dirti che ne sarà sorpreso-
-E non sarà il solo-rispose il più anziano ridendo e indicandogli le amiche che ora lo guardavano sconvolte.
-è lei?-chiese Emily.
-è proprio chi redo che sia?-
Gli latri tre fecero cenno di si con la testa.
-Ma lui lo sa?-
Era una domanda retorica, ovviamente non ne sapeva assolutamente nulla.
-Pensi che dovremmo dirglielo?-
-Aspetta e osserva-le disse Morgan con espressione vittoriosa.
Era riuscito nel suo intento, ora era solo curioso di vedere la reazione dell’amico.
Il capitano Kim, anch’egli stupito dall’inaspettata visita, fu il primo a posare il fascicolo che aveva in mano per osservare la scena che si sarebbe svolta di lì a poco.
Persino Hotch interruppe il suo lavoro e si unì agli latri quattro federali che, appoggiati con la schiena alla scrivania sembravano aspettare l’inizio di un film, mancavano solo i popcorn.
Solo Reid sembrò non accorgersi di nulla e teneva gli occhi fissi sul rapporto che stava scrivendo.
-Spencer!!-esclamò una voce argentina che lo costrinse ad alzare il capo.
Rimase sorpreso nell’incrociare quegli occhi che non vedeva da anni.
-Lila? Sei…..Sei proprio tu?-
-Certo che sono io! Non pensavo ti saresti scordato così facilmente di me!-
-Io…..No…..Io non mi sono scordato di te è che…..Insomma tu sei così cambiata e……è passato tanto tempo e io…….Io non pensavo che……Ecco io…….Non credevo che…..Che tu…..Insomma che tu ti ricordassi ancora di me-riuscì finalmente a farfugliare diventando rosso in viso e fissando con eccessiva attenzione la punta delle sue scarpe.
-Spencer-sussurrò lei con infinita dolcezza.
-Vieni con me-
Lo prese per mano e lo trascinò in una stanzetta con una piccola finestra che si affacciava sulla sala dove erano riuniti tutti quanti.
Lei abbassò le serrande e chiuse a chiave la porta.
Conosceva l’importanza della privacy e sapeva quanto riservato fosse il giovane riguardo ai suoi sentimenti.
Ricordava ancora la sua espressione e quella mano sulla spalla il giorno in cui si erano salutati.
“Vorrei rimanere ma non posso” si erano detti in silenzio e il mondo aveva potuto vederli sulle prime pagine di molti giornali.
Il solo ripensare a quel giorno le provocò una stretta allo stomaco.
Anche lui probabilmente stava rievocando quel giorno, lo si poteva evincere dal suo sguardo triste perso nel vuoto.
Se solo non ci fossero stati i paparazzi e tutta quella gente……
-Così non ci disturberà nessuno-gli spiegò, ma in realtà entrambi sapevano cosa in realtà voleva dire: “così nessuno potrà vederci o interromperci”
La giovane attrice si avvicinò a lui che, appoggiato alla scrivania non aveva ancora alzato lo sguardo.
-Spencer…..-lo chiamò ma non ottenne alcuna risposta.
-Spencer……Spencer……Guardami-disse quindi sollevandogli il mento con un dito e costringendolo a guardarla.
-Spencer…..Io non avrei mai potuto dimenticarti-
-Nemmeno io Lila, nemmeno io. Non è per la memoria eidetica è che tu sei così……così……indimenticabile-
Lei sorrise.
-Sei cambiato-
-In che senso?-domandò, spaventato che quella nuova versione di se stesso la allontanasse, ma lei gli scompigliò i capelli con dolcezza.
-Tranquillo. Cambiare non sempre è negativo e di certo non lo è in questo caso!-rise.
Si era innamorato della sua risata argentina sin dalla prima volta che l’aveva sentita, poco più di 6 anni prima, quando era entrato da poco nell’unità e si era ritrovato a proteggerla.
Aveva blaterato delle misure di sicurezza che avrebbe dovuto prendere e lei aveva riso.
E lui aveva provato una strana sensazione che non aveva più provato.
Ripensò a tutto il tempo che era passato, a ciò che era successo nel frattempo, alle sicurezze che aveva acquisito e a quelle che aveva perso, a tutte le persone che erano andate via e a quelle che erano arrivate, alle ripercussioni che tutto ciò aveva avuto su di lui.
Lila aveva ragione.
Era cambiato.
-Sei cresciuto però non perdi quell’espressione-
-Quale?-
-Quella da cucciolo. L’ho sempre adorata-fece una pausa.
-Cosa ti ha cambiato? Non può essere stato solo il tempo-
Aveva ragione ancora una volta.
Non erano stati gli anni a renderlo quello che era, ma non le avrebbe mai detto ciò che gli era successo.
Non voleva rovinare quel momento, anche perché sapeva che quella probabilmente era l’ultima volta che si vedevano.
-Non è importante. L’importante è ciò che sono diventato no? Quindi perché invece non mi parli di te?-
-Io, ho continuato la mia vita di sempre. Recito ancora e sono persino riuscita ad ottenere qualche parte importante. Sai, fra poco dovrebbe uscire il film di cui sono la protagonista!-
-Non lo sapevo, sono felice per te-
Non era vero, lo sapeva benissimo.
Non l’aveva persa di vista un istante da quando si erano conosciuti.
Aveva letto tutti gli articoli su di lei ed erano impressi indelebilmente nella sua memoria.
-Parker ci prova ancora con te?-
-Allora lo avevi capito anche tu?!-
-Beh, veramente me l’ha detto, però lui non è mai stato molto discreto quando si trattava di fare la corte a qualcuna-
-Già! Ancora ci prova, ma non ha capito che non è il tipo per me, non mi metterò mai con lui-
Rise di nuovo e questa volta Reid rise con lei.
-E tu invece?-
Il genietto fu spiazzato da quella domanda.
-Io?-
-Certo tu! Chi altri se no? Raccontami. Cosa hai fatto in questi anni?-
-Niente di che. Abbiamo arrestato altri serial killer e salvato altre vite-
-Oltre a questo? Insomma novità nella vita privata? Qualche ragazza?-
Questa volta fu il turno di Reid di ridere.
-Io? Mi conosci. Chi mai vorrebbe uno come me?-
-Io! Vuoi dire che io non ho gusto?-
-No, io no intendevo questo! È che…..Insomma io……-
-Sai, ancora oggi qui a Los Angeles, quando ci si chiede perché non mi sono ancora fidanzata, si parla dell’uomo del mistero-
Ricordava quel soprannome che era stato dato proprio a lui quando i paparazzi li avevano fotografati il giorno del loro addio.
Non sapevano chi fosse il ragazzo sulla cui mano Lila aveva poggiato dolcemente la testa, così l’avevano chiamato l’uomo del mistero.
Aveva ancora una copia di uno di quei giornali di gossip che ne avevano parlato nel cassetto della scrivania a Quantico.
-Pensavo se ne fossero dimenticati-
-Hanno bisogno di scoop e se non glielo dai, beh ne inventano uno loro. E tu sei uno dei loro preferiti-
-Perché?-
-Perché non sei mai andato a smentire le loro idee. Non sai quante teorie hanno inventato su di te. Ti hanno persino fatto diventare un’agente segreto una volta! Sei stato tutto tranne un profiler dell’FBI!-
-E tu non gli hai detto nulla?-
-Cosa dovevo dirgli?-
-Che se mai ci fosse stato qualcosa tra tee l’uomo del mistero, beh, oramai è finita-
-Non potevo-
-Pe….Pe….Perchè?-balbettò mentre lei si avvicinava in maniera sensuale e provocante.
Reid cercò di indietreggiare, ma si vide bloccato dalla scrivania, così ingoiò cercando di mandare via quel fastidioso groppo in gola che gli rendeva difficile respirare, e rimase fermò immobile sentendo il suo cuore continuare a battere fin troppo velocemente.
-Perché per me non è ancora finita. Non senza un bacio d’addio-gli rispose posando le sue labbra su quelle del giovane federale che cercò di resisterle, senza riuscirci.
Al diavolo tutte le sue maledette remore!
Lei non era più sotto la sua protezione, non aveva più uno stalker alle calcagna che uccideva tutti quelli che potevano ostacolarle la carriera o che si mettevano tra loro due e che poco ci era mancato che uccidesse pure lei.
Ora non erano altro che due amici che si rincontravano dopo tanto tempo.
Beh, qualcosa di più di semplici amici.
Finalmente si decise a ricambiare quel bacio appassionato, forse persino con più passione quanta ce ne avesse messa lei.
Chissà perché tra loro finiva sempre così.
Con lei che lo baciava e lui che, dopo aver provato a resisterle, adducendo tutte le scuse possibili per non far fronte allo stravolgimento emotivo che avrebbe causato, ricambiava quel bacio con un ardore che gli era sconosciuto, lasciando da parte il suo cervello per un po’.
L’ultima volta però era riemerso da quella specie di stato di trance e aveva rovinato quel momento magico.
Avrebbe dovuto stare zitto, non dire nulla su ciò che era successo al suo manager, Gideon gli aveva impedito di dirglielo.
Ma quella era l’unica tattica che la sua mente era riuscita ad escogitare per allontanarla e così facendo proteggersi dai sentimenti che lei gli suscitava.
E poi come poteva restare lì con lei, sotto le stelle in quella piscina, quando sapeva una cosa così importante e non gliela diceva?
Si era sentito un traditore perché era conscio  che sei lei avesse saputo non si sarebbe avvicinata a lui così tanto.
Così aveva confessato e lei era andata via piangendo intimandogli di non toccarla.
Ancora si chiedeva se aveva fatto la cosa giusta.
Poi lo aveva perdonato, ma erano stati subito divisi dai rispettivi lavori.
Fra loro non c’era stato più altro che qualche lettera e un paio di telefonate, ma non erano mai riusciti a rincontrarsi.
Fu un bacio lungo, ma come tutti i baci era destinato a finire, così lei si allontanò da lui.
Reid sospirò indietro i capelli con una mano.
-Adesso è finita-
Spencer la guardò.
Era bellissima.
Malgrado indossasse solo un paio di semplicissimi jeans e una camicetta bianca per lui era la ragazza più bella del mondo, lo sarebbe stata con qualsiasi cosa.
Era evidente che non si era vestita per fare colpo su di lui, ma solo per stare comoda, eppure su di lui aveva avuto l’effetto di mandarlo in tilt, come tutte le volte che la vedeva.
I suoi biondi capelli mossi le incorniciavano quel viso angelico su cui si era dipinta una grande tristezza.
Una lacrima solitaria rotolò sulla sua morbida guancia e subito fu asciugata dalla mano di Reid.
Poteva capire cosa provava, dopotutto aveva appena detto addio a una storia che si era portata dietro per anni non riuscendo a considerarla finita e adesso poteva finalmente considerarla storia passata, anche se non voleva.
Poteva capirla perché era quello che provava anche lui.
Si staccò dalla scrivania e si avvicinò a lei.
-Non ancora-disse giocherellando con una ciocca ribelle che era finita sugli occhi di Lila e sistemandogliela dietro un orecchio.
-Non prima che io ti abbia dato il MIO di addio-
Questa volta fu lui a raggiungere la sua bocca con una passione che nessuno si sarebbe ami aspettato da lui.
Assaporò ogni istante, godendosi quelle calde labbra carnose che sapevano di…..Di qualcosa che non era in grado di definire, ma che gli piaceva e che gli ricordava la vita, la gioia.
O forse era solo lui che era così felice di stare di nuovo da solo con lei e di baciare di nuovo quelle labbra che avevano ancora lo stesso sapore di quella notte.
Dio quanto gli erano mancate quelle labbra!
Avrebbe voluto che quel bacio non finisse mai.
Qualcuno bussò alla porta.
-Reid……Reid…..-
Ma Spencer non rispose, questa volta non sarebbe stato lui a far finire tutto.
-Reid! Per la miseria apri questa porta o ti giuro che la sfondo!!-
Solo allora riconobbe la voce che lo chiamava.
Era Morgan, e Morgan manteneva sempre le sue promesse.
-Forse dovresti fare quello che dice, non vorrai che scardini la porta e ci veda……così-mormorò lei separando i loro visi.
Lui avvampò e, dopo essersi assicurato di essere in perfetto ordine, si decise ad aprire all’amico, sperando che non capisse ciò che era successo.
Speranza vana perché appena lo vide fece uno dei suoi sorrisetti maliziosi.
-Malgrado tu per me sia come un libro aperto mi divertirò a torturarti chiedendoti tutti i particolari-
Il genietto sospirò.
Ci sarebbe mai stato qualcosa che sarebbe riuscito a nascondergli?
-Comunque non è per questo che ti ho chiamato, sai che non vi avrei mai interrotti-disse sghignazzando.
-Qui fuori ci sono delle persone che ti cercano-
“Oggi è la giornata delle sorprese!” pensò il giovane federale uscendo dalla stanza.
Non fece in tempo ad abituarsi alla maggiore quantità di luce che invadeva l’open-space che un piccolo tornado biondo gli saltò in braccio.
-Henry! Che ci fai qui?!-
Non ebbe nemmeno bisogno di vedere chi fosse, solo quel bambino riusciva ad arrampicarsi su di lui in quella maniera.
Era felice di vederlo, ma era davvero molto strano che lui fosse lì.
-Siamo venuti a trovarvi!!-
In quel momento Reid mise a fuoco il gruppo di nuovi venuti che stavano guardando lui e il piccolo LaMontaigne.
-è stata un’idea di Garcia-disse Will avvicinandosi ai due.
-Dai campione ora scendi-
-Ma io voglio stare con zio Spence!-protestò il piccolo.
-Ci starai dopo, ora c’è altra gente che lo vuole salutare-gli rispose staccandolo dal profiler e poggiandolo per terra.
Subito quello corse dalla madre.
Non fece in tempo a dire nulla che subito Penelope corse ad abbracciarlo.
-Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere. Insomma dopo un caso del genere ero certa che vi sarebbe piaciuto assicurarvi che la vostra famiglia stesse bene così invece di farvi venire ho preferito far venire la vostra famiglia da voi. Dopotutto  non siamo forse noi, tutti noi, la vostra famiglia? E poi non avevamo mi fatto una vacanza insieme-
Reid sorrise osservando quella che, come aveva detto Garcia, era la sua famiglia e che era venuta a Los Angeles per loro.
C’era la bionda analista con Kevin, il suo storico fidanzato, Will ed Henry, che in quel momento stavano abbracciando JJ, e persino Jack che stava mostrando al padre un lavoro fatto a scuola e che aveva portato appositamente per regalarglielo.
Solo due persone non vide: quelle che aveva sperato di vedere più di tutti gli altri sin da quando il figlioccio lo aveva travolto.
Vedendo la sua espressione triste e delusa Penelope provò a dire qualcosa, ma non fece in tempo perché due giovani mani tapparono gli occhi all’agente che non ebbe bisogno nemmeno di pensare chi fosse prima di levarle delicatamente.
-Andrew! Zack!-esclamò mentre i ragazzi gli gettarono le braccai al collo.
-Ci sei mancato!- disse il più piccolo.
-Anche voi-
-La casa è troppo silenziosa senza di te. Nessuno che sciorina statistiche di prima mattina-
Risero tutti e 3 e l’analista pensò bene di allontanarsi.
Dopotutto quello era un momento tutto loro.
Ma Spencer la fermò.
-Aspetta un secondo Garcia. Cosa intendevi quando dicevi che non abbiamo mai fatto una vacanza insieme?-
-Ah non te l’ho detto?-
-No, non me l’hai detto-
-Posso risponderti io- s’intromise Hotch.
-Da adesso siamo tutti in ferie per almeno una settimana, così potremo goderci Los Angeles insieme. Sarà una normale vacanza di famiglia-
-Ma noi non abbiamo mai fatto una vacanza, tanto meno normale. Io non so nemmeno cosa vogliano dire quelle due parole-
-Vuol dire che è il momento giusto per scoprirlo-gli rispose Prentiss.
-Ma scusa-disse invece Morgan.
-Non siete mai andati da qualche parte con la tua famiglia?§-
Il genio scosse la testa.
-Mai?-un altro cenno negativo con il capo.
-Oh mio Dio Reid! Allora toccherà a noi insegnarti come ci si diverte in vacanza!-
-Ho paura della tua idea di divertimento-gli rispose Spencer provocando l’ilarità di tutti quanti.
-Tranquillo Spence, mi assicurerò io che non ti faccia fare cose troppo strane-lo rassicurò JJ e lui sembrò crederle.
Dopotutto perché non avrebbe dovuto fidarsi di lei?
Mentre stavano tutti sistemando le ultime pratiche Andrew si avvicinò al suo tutore e lo prese in disparte.
-Devo parlarti-
-Dimmi-
-Io…..Non volevo farti arrabbiare l’altro giorno. Insomma io non pensavo davvero quello che ho detto.  Non volevo ferirti, mi dispiace tanto. Io non avrei dovuto….-cominciò, ma Reid lo fermò.
-Non ti scusare, lo so che non era tua intenzione solo che….. Sono preoccupato per te, lo capisci?-
-Si, ma io…..Beh è soprattutto di questo che volevo parlarti. Io in realtà non voglio fare il profiler, insomma io non sono tagliato per queste cose. Lo facevo solo per renderti fiero di me, pensavo che ti avrebbe fatto piacere qualcuno che seguisse le tue orme-
Spencer lo abbracciò.
-Grazie a Dio hai cambiato idea! Non sai quanto mi rendi felice! Non avrei mai voluto una vita del genere per te!-
Ma il ragazzo abbassò gli occhi.
-Non era questa l’unica cosa che dovevo dirti-mormorò.
L’altro lo guardò interrogativamente, incitandolo a proseguire con lo sguardo.
-Non voglio fare le selezioni per la squadra di football-
-Come mai?-chiese l’agente stupito.
Credeva che fosse uno dei suoi sogni.
-A me non piace il football in realtà-
-Ma mi sembrava di aver capito che desideravi tanto entrare nella squadra-
-In un certo senso si, ma era solo per farti felice. Insomma papà era molto orgoglioso del fatto che Zack fosse il capitano e che fosse così bravo a giocare a football, mentre a me mi rinfacciava sempre di non essere stato neanche ammesso alle selezioni. Ma io ci provavo, ogni anno, nella speranza che se fossi stato preso avrebbe voluto bene anche a me. Pensavo che anche qui funzionasse allo stesso modo-
-Oh Andy! Qui non sei a Boston e se tu non vuoi giocare a football per me non c’è alcun problema non ti vorrò meno bene. Dopotutto io non sono mai stato un grande sportivo. Il mio massimo è stato andare allo stadio una volta con JJ-
-Allora davvero voi due siete usciti insieme una volta!-
-Si ma è stato moltissimo tempo fa. Ma non è questo il punto. Quello che voglio dire è che se tu non vuoi fare nessuno sport per me va benissimo-
-Beh, veramente uno sport che vorrei fare ci sarebbe……..-

nota:non sono passati così tanti secoli come credevo in fondo,ma sicuramente non è passato nemmeno poco tempo.
anyway adesso arriviamo alla parte senza pazzi serial killer omicidi e avremo uin paio di capitoli di dolce dolcezza.
A proposito cosa ne pensate dell'arrivo di Lila?

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Capitolo 17
*** vacanza?! ***


Morgan guardò soddisfatto l’amico che parlava con il suo protetto.
Non riusciva a sentire ciò che si dicevano, ma conosceva abbastanza Reid da capire dal suo linguaggio del corpo che tutto si stava sistemando e che si erano chiariti.
Si avvicinò a Garcia per flirtare un po’ con lei, così come facevano sempre anche sotto gli occhi gelosi di Kevin.
Quanto si divertivano a torturarlo in quella maniera!
Poco dopo vennero raggiunti da Spencer ed Andrew, entrambi sorridenti.
-Pronto per la vacanza?-chiese quindi al più piccolo del team.
-Quindi vi fermate per un po’-
Tutti erano convinti che Lila Archer fosse andata via , ma lei era lì sulla porta della stanza in cui si era chiusa con Reid e li guardava con una dolce espressione sul viso.
-Pensavo fossi tornata a casa-disse Reid sorpreso di trovarla ancora lì.
-Non me ne sarei mai andata senza salutarti come si deve, non un’altra volta! Comunque non hai risposto alla mia domanda-
-Ci…….ci fermeremo qui circa una settimana-balbettò lui.
-Che bello! Se volete vi posso fare da guida e farvi vedere tutti i posti più belli di Los Angeles a dintorni! Che ne dite?-
Derek si voltò verso il genietto e, dopo avergli fatto un sorrisetto malizioso le rispose.
-Mi sembra un’ottima idea-
Spencer non gli avrebbe mai detto quanto gli era grato per aver dato quella risposta, lui non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamarla per chiederle di vedersi mentre lui era ancora lì eppure aveva moltissima voglia di stare con lei.
Per troppo tempo erano stati separati.
-Allora io direi di cominciare da oggi, ma dato che è troppo tardi per fare qualsiasi altra cosa vi faccio una proposta: che ne dite di andare al mare?-
-Ok, io ci sto-disse Morgan.
-Anch’io-si aggiunse Prentiss.
-Per noi va bene-
-Noi ci siamo-lo seguirono anche Hotch con Jack e JJ e la sua famiglia.
-Non puoi trovarci più d’accordo di così!-concluse Garcia parlando anche per il suo fidanzato.
Tutti si girarono verso Reid.
-Tu che ne dici Spencer?-gli chiese Lila.
-Io…..io non ho il costume-mormorò imbarazzato.
Odiava essere osservato da tutta quella gente.
-Come fai a partire per  Los Angeles senza portarti dietro un costume?!-lo sgridò Emily.
-Si trattava di lavoro, non credevo avessimo il tempo di fare un bagno!-
-Se il problema è solo quello ho sempre quel costume da prestarti……..-
Andrew li guardò con gli occhi spalancati.
-Voi vi conoscete?! Spencer conosci Lila Archer?!-
-Certo che la conosce! E anche piuttosto bene!-gli rispose Derek che, vedendo la sua faccia sconvolta dalla scoperta scoppiò a ridere.
-Sono davvero tante le cose che non sai di  Reid, Andy! Forse con il tempo le scoprirai, ma credo che lacune cose non le abbia dette nemmeno a noi, né a me, né a JJ-
La giovane attrice sorrise vedendo quella scena e si avvicinò ai due ragazzi, gli unici che non era riuscita a capire quale fosse il loro ruolo all’interno di quel gruppo.
Non aveva avuto alcun problema a capire che Jack era il figlio di Hotch e che Will ed Henry erano il marito e il figlio di JJ, né aveva avuto difficoltà nell’individuare Kevin come il fidanzato di Penelope, l’unico membro della squadra che non aveva visto quando si erano occupati del caso del suo stalker, oltre ovviamente a Rossi e Prentiss che all’epoca non erano ancora entrati nella squadra.
Ma non sapeva bene cosa pensare di Zack ed Andrew.
-Piacere di conoscervi, io sono Lila Archer. Ma da quello che ho capito già mi conoscete-disse presentandosi a loro.
-Ti ho visto in tv. Comunque io sono Andrew e lui è Zack-rispose il più esuberante dei due mentre l’altro la guardò in silenzio con un sorriso tirato.
Persino lei che non era una profiler capì che non amava incontrare gente nuova, eppure sembrava il tipico ragazzo popolare che conosce un sacco di gente.
-Viviamo a casa di Spencer da quando lui ha deciso di prenderci in  affido dopo aver arrestato nostro padre e nostro zio. Dato che mamma era stata uccisa da loro e non avevamo altri parenti siamo finiti in una casa famiglia così lui ci ha portato a vivere con lui a Washington-capendo ciò che lei voleva sapere, ovvero cosa ci facessero loro lì e chi fossero, Zack aveva parlato per la prima volta.
Oltre a salutare il suo tutore non aveva detto quasi niente, dopotutto parlava praticamente solo con Reid, quindi la cosa non era sembrata strana a nessuno e nessuno lo aveva forzato a dire qualcosa, se avesse voluto parlare lo avrebbe fatto liberamente.
Furono quindi molto sorpresi nel sentire la sua voce rispondere per alla muta domanda della giovane.
-Oh, mi dispiace-rispose lei.
Non si aspettava di certo una storia del genere ed era molto dispiaciuta di aver risvegliato dolorosi ricordi.
-Non ti preoccupare. Ora stiamo davvero meglio e poi….Spencer è magnifico-
Quello sentendo il suo nome abbassò lo sguardo imbarazzato, ma Lila gli si avvicinò e dopo avergli dato un bacio sulla guancia gli sussurrò in un orecchio.
-Sei davvero cresciuto-
Poi si incamminò verso l’uscita seguita dagli altri.
-Io direi di vederci tra un’oretta a casa mia, tanto sapete dov’è no?-
Tutti annuirono.
-Spencer, tu passa un po’ prima così ti do il costume e ti puoi cambiare da me-
-Oh…..Grazie. ok verrò u po’ prima-
-Porta anche i ragazzi, ci tengo a fargli vedere dove abito e poi……Scommetto che a loro piacerà, non come a te!-
Tutti risero mentre lui provava a difendersi.
-Non ho mai detto che non mi piace! È che……Insomma…….Io…….Ero preoccupato per te e……-
-Tranquillo dottore ho capito cosa vuoi dire. Comunque stavo solo scherzando.
Dovresti imparare a riconoscere le prese in giro, anche se vederti balbettare imbarazzato mentre provi a giustificarti è davvero divertente. Ci vediamo dopo-
-Ok, allora a dopo-la salutò lui mentre lei saliva in macchina, subito imitata da tutti quanti.
Arrivati in albergo i ragazzi disfarono i bagagli e subito insistettero per recarsi dalla giovane attrice e vedere la sua abitazione, in più erano molto curiosi di capire che cosa fosse successo tra lei e Reid e sapevano che lui non glie lo avrebbe mai detto , ma forse lei……
Così meno di 20 minuti dopo erano già a casa davanti alla sua porta a suonare il campanello.
-Avete fatto presto!-esordì lei con un sorriso invitandoli ad entrare.
-Wow, casa tua è magnifica!-esclamò Andrew mentre esplorava le varie stanze.
-Sono finalmente riuscita a comprarla, prima ero in affitto-
Guardò l’altro fratello che era rimasto all’ingresso senza muovere un passo.
-Ehi Zack perché non ti fai un giro? Nel frattempo io do a  Spencer il costume-
Quello annuì e sparì nel corridoio di fronte, mentre lei e il federale entravano nella prima camera a destra.
-Qui è dove dormo io, non ci eri stato l’altra volta vero?-
Lui scosse la testa.
-Beh ora si!-
Detto questo tirò fuori da un cassetto un paio di pantaloncini.
-Questi sono per te. Io esco così ti puoi cambiare-
Glieli mise in mano e uscì mentre il genietto non riusciva a smettere di guardarla.
Appena varcata la soglia si ritrovò di fronte a due paia di occhi curiosi che, di certo, la stavano aspettando.
-Cosa è successo tra te e Spencer?-chiese subito il più piccolo.
Lila rimase un po’ sorpresa da quella domanda inaspettata.
-Andy!-lo sgridò il maggiore.
-Scusi, mio fratello voleva sapere come vi siete conosciuti-
-Non ti preoccupare e poi dammi del tuo. Davvero Spence non ve lo ha mai raccontato?-
I due fecero segno di no con la testa.
-Oh beh, posso capirlo. Allora ve lo dirò io……..-
 
Reid s’infilò il costume che lei le aveva dato e si guardò allo specchio.
Si sentiva così ridicolo.
Da quant’era che non andava al mare?
Troppo.
Lo testimoniava la sua pelle bianca come il latte che sembrava non aver mai visto la luce del sole.
Si sedette sconsolato sul letto immaginandosi le facce di Morgan e Prentiss quando lo avessero visto arrivare e i commenti dei colleghi……
No,no,non sarebbe riuscito a sopportarli e gli avrebbero di certo rovinato la giornata.
Non aveva nessuna voglia di sentirsi prendere in giro per il suo fisico rachitico o per il suo colorito smorto.
Non trovava il coraggio di uscire da quella stanza.
Sentì gli altri tre dall’altra parte delle porta che parlottavano, ma non riusciva a distinguere bene le parole, riuscì solo a riconoscere il suo nome prima che tutti scoppiassero a ridere.
Chissà cosa trovavano così divertente.
Si rivestì in fretta, tenendo però il costume invece di rimettersi i pantaloni.
-Spencer! Sei pronto?-domandò Andrew vedendolo uscire.
-Vi ho sentito ridere…..-non finì la frase perché Lila prevenne ciò che voleva dire.
-Tranquillo non stavamo ridendo di te. Non potremmo mai. In qualche senso ti dobbiamo tutti la vita-poi lo squadrò con aria critica.
-Non avrai intenzione di andare al mare vestito così?-
-Così come?-
-Con la camicia e la cravatta! Possibile che devo dirti tutto io?!-
Entrò nella camera dove aveva lasciato Reid e ne uscì con una maglietta a maniche corte blu.
-Tieni, mettitela-
Vedendolo titubante continuò.
-Su forza, mica ti vergognerai di cambiarti davanti a noi?!-
In realtà si, si vergognava a levarsi la sua adorata camicia davanti a loro e lei lo sapeva, ma sapeva anche che lui non lo avrebbe mai ammesso.
L’agente si sfilò l’indumento il più velocemente possibile e, alla stessa velocità indossò la maglia datagli dall’attrice.
-Ora sei perfetto! Ti mancano solo…….Queste!-esclamò porgendogli un paio di ciabatte.
-Dovrebbero essere proprio della tua misura. Sono di mio fratello, come anche la maglietta e il costume. Lascia sempre qualcosa, in caso arrivasse qui all’improvviso, e quindi senza valigia, o gli perdessero il bagaglio in aeroporto-
-Mi dispiace. Forse non vorrebbe che usassi i suoi vestiti-
-Non ti preoccupare. Lui sta a Salem e non credo che senta la mancanza di questi pochi abiti, e farò in tempo a lavarli prima che torni a trovarmi. In più sarà contento di sapere che li ha, beh in realtà li ho, prestati a te-
-Gli hai parlato di me?!-
-Ti stanno proprio bene, sia le ciabatte che tutto il resto. Tu e Nate avete la stessa taglia oltre che la stessa età-
-Non hai risposto alla mia domanda-
-Anzi, visto da dietro sembri proprio lui-
-Ti ho fatto una domanda-
-Ma certo che gli ho parlato dio te. Insomma mi hai salvato la vita neutralizzando Maggie, che era armata mentre tu non lo eri, senza che nessuno si facesse male. E lei voleva uccidermi. Nate ti è sempre stato molto grato e ha sempre desiderato conoscerti, ma non ce n’è mai stata l’occasione. Quindi sarà molto contento di averti aiutato-
Lui fece una smorfia, di certo quegli indumenti stavano di gran lunga meglio al fratello che a lui, ma non disse nulla, anche perché il campanello suonò e lui si preparò ad accogliere i suoi aguzzini che Lila stava già facendo entrare.
-Reid! Per la prima volta ti vedo in t-shirt e costume. Questo è un evento!-esordì Morgan.
Beh, in fondo poteva andare peggio, poteva ad esempio sfotterlo per il suo pallore.
-Rei sei sicuro di non essere un vampiro?-
-Si perché?-
-La tua pelle sembra non aver mai visto la luce del sole, quindi mi chiedevo se ti incenerissi in caso fossi esposto ai raggi solari-
Come non detto.
-Lascialo in pace!-lo redarguì JJ.
-Spence, non fare caso a ciò che dice, stai benissimo!-lo tranquillizzò l’amica, che cercava sempre di fargli vedere il lato positivo di ogni cosa e di tirarlo su di morale.
-Gliel’ho detto anch’io ma non mi ha creduto- s’intromise Lila con uno dei suoi splendidi sorrisi.
-Beh, io direi che, dato che siamo tutti pronti, possiamo andare no?-chiese Rossi che evidentemente era impaziente di raggiungere la spiaggia e tuffarsi in acqua.
-Sono d’accordo meglio incamminarci senza perdere altro tempo-disse Hotch tenendo la mano del figlio.
Persino lui aveva abbandonato il suo solito completo a favore di una semplice maglietta rossa e un costume dello stesso colore.
Era arrivato poco prima, ma era rimasto nascosto dietro agli altri.
-Reid, ma sei mai andato al mare?- domandò osservando il suo colorito.
-Forse qualche volta quando ero più piccolo, prima che mio padre se ne andasse-
-Non starai dicendo sul serio?!-
La risposta del giovane genio aveva lasciato tutti pietrificati.
-Beh lavoriamo sempre……-
-E quando prendi le ferie?-
-Vado a Las Vegas, da mia madre-
-Quindi tu mi vuoi dire che non ti ricordi nemmeno l‘ultima volta che ti sei tuffato nel mare?-
-In realtà non credo di averlo mai fatto-
-Reid! Sei un caso disperato!!-fece Garcia scandalizzata dalla rivelazione.
-Ragazzi! Ognuno alle proprie auto-ordinò l’analista con pigliò militare.
-Bisogna assolutamente rimediare e abbiamo solo una settimana per farlo! Non possiamo perdere neanche un secondo!-
Subito tutti corsero alle macchine e partirono, pronti a godersi l’inaspettata vacanza.
 

nota.perdonate il tempo biblico e la cortezza(vocabolo che non so nemmeno se esiste)del capitolo, mi scuso in anticipo per il prossimo perchè credo che sarà anche più corto ma sentivo di dover dividerli e poi se no ci avrei messo ancora di più a pubblicare qualcosa e boh,non mi pareva giusto nei vostri confonti .
soprattutto nei confronti di estelle holly e antos1991 che recensiscono sempre questa storia(con quale coragguio dato che fa pena e sta persino peggiorando non lo soa, ma spaiiate che vi voglio tanto bene).
un grazie speciale va a anots1991, lei sa perchè e.....nulla,vi voglio bene.
alla prossima

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Capitolo 18
*** memories ***


Erano passate un paio di settimane dal loro ritorno a Washington.
Quella a Los Angeles era stata una bellissima vacanza per tutti, anche per Reid che non se l’era potuta godere del tutto, o meglio non nel modo in cui se l’erano goduta gli altri.
Dopo pochi giorni di mare e giri turistici per la città il suo corpo, già provato dalle svariate notti insonni, dal caso che avevano affrontato e dalla sua eccessiva preoccupazione per i due ragazzi, dettata dal suo senso di inadeguatezza al ruolo che aveva deciso di ricoprire, non aveva retto.
La fronte calda che JJ aveva sentito alla stazione di polizia era diventata bollente e Spencer era stato costretto a passare il resto della settimana a letto mentre gli altri andavano in spiaggia.
Per farlo sentire meno solo Lila aveva rinunciato ad accompagnare il resto della “famiglia” per restare con lui, ospitandolo persino a casa sua.
«è meglio che stia da me»aveva detto
«Così non c’è il rischio che contagi Andrew e Zack che dividono la camera con lui. E poi così io mi posso occupare meglio di lui mentre voi vi andate a divertire»
«Sicura che te ne vuoi occupare tu? Se vuoi ci penso io a lui» le aveva risposto JJ.
«Tranquilla. E poi Henry è appena guarito e ha diritto a passare una bella settimana californiana con la sua famiglia. Io Los Angeles la conosco fin troppo bene mentre per voi e tutta da scoprire quindi andate e divertitevi»
Reid avrebbe voluto opporsi, dire che era perfettamente in grado di cavarsela da solo mentre loro erano in giro, ma era troppo debole per farlo e quindi si era rimesso alla decisione degli altri
, sperando di guarire il prima possibile.
Si era perciò trasferito a casa dell’attrice e, malgrado stesse male, aveva passato dei giorni bellissimi.
La febbre si era abbassata da subito consentendogli di fare qualche bagno in piscina e di prender il sole sui lettini che avevano messo in giardino.
«Mia nonna diceva sempre che quando uno sta male la cura migliore è aria e sole» gli aveva piegato ridendo.
«E funziona?»
«è la cura migliore del mondo. E poi ocsì Morgan non ti potrà più prendere in giro perché sei cadaverico»
Ci aveva messo di più a convincerlo a farsi il bagno perché lui aveva paura che la sua influenza peggiorasse.
Lo aveva dovuto spingere e dopo che era caduto nell’acqua lo aveva costretto a restarci, dopotutto oramai aveva solo una lieve alterazione e rimaneva da lei solo nel ual caso fosse peggiorato.
Dopo essersi reso conto che la febbre non era salita aveva deciso che passare qualche ora in piscina con Lila, ma ancora non se la sentiva di uscire di casa, più che altro perché temeva di poter attaccare qualcosa a qualcuno.
Sorrise ripensando a quella che, se non era stata l’unica, era di certo stata la più bella vacanza della sua vita.
Forse doveva prendersi più spesso qualche giorno di ferie.
Parcheggiò di fronte alla scuola frequentata da Andrew e Zack e si avviò all’interno.
Quella era una giornata importante per il più piccolo e lui ci teneva davvero tanto ad esserci.
Il maggiore lo stava aspettando nell’atrio per guidarlo nel dedalo di corridoi del liceo in cui lui, come aveva già sperimentato un giorno in cui li era andati a prendere prima, non sapeva orientarsi.
Non c’era nessuno in giro, dopotutto non era un giorno scolastico, ma si sentivano delle voci provenire dall’altro capo dell’edificio.
Cominciarono a camminare, proprio in direzione di quel vociare confuso.
-Sei ancora abbronzato!-gli disse il ragazzo indicando le braccia dell’agente, che aveva arrotolato le maniche della camicia.
-Sempre meno di te!-ribattè lui.
In effetti Zack in un asola settimana di mare e sole era diventato praticamente color cioccolata.
-Penelope mi chiama ancora cioccolatino-
-Ma non era Morgan il suo cioccolatino?-
-Si, ma “Derek è il mio cioccolatino fondente, ma tu sei il mio cioccolatino al latte”- rispose il giovane imitando la voce di Garcia ed entrambi scoppiarono a ridere.
Arrivarono di fronte ad un grande portone, ma non fecero in tempo ad entrare che vennero travolti da un agitatissimo Andrew.
-Andy che ci fai qui? Non dovresti essere……?-
-Si, si lo so, ma volevo essere sicuro che ci foste-
-Non ci saremmo persi questa giornata per nulla al mondo!-lo tranquillizzò il fratello.
-Oh, Andy……-lo chiamò Reid vedendo il suo sguardo saettare da una parte all’altra senza posa.
-Questo è per te-disse, porgendogli un minuscolo pacchetto, quando fu certo di aver catturato la sua attenzione.
-Non dovevi. Io……Beh ecco……Grazie-mormorò fissando la carta colorata.
-Roggers! Dove diavolo sei finito?! Se entro 5 secondi non sei qui giuro che……-urlò qualcuno che di certo si trovava oltre il portone.
-Devo andare, ci vediamo dopo-bisbigliò fuggendo via e scomparendo in un aporta laterale che loro prima non avevano nemmeno notato.
Gli altri due varcarono la soglia e presero posto tra genitori urlanti e adolescenti che già facevano il tifo per i loro amici.
 
Andrew era seduto su una panchina negli spogliatoi, osservando il regalo che gli aveva fatto Spencer.
Quando l’aveva aperto si era stupito, ma poi aveva notato il biglietto ”Spero ti porti fortuna” e aveva capito.
Voleva fargli capire che tifava per lui e che l’avrebbe sostenuto in qualsiasi cosa.
Per lui Spencer ci sarebbe sempre stato.
-Roggers tocca a te!-gli urlò l’allenatore affacciandosi alla porta.
Solo allora Andy si accorse che era rimasto solo nella stanza.
Indossò la cuffia blu che gli aveva regalato Reid e si andò a sedere sulla sedia posta dietro ogni blocco di partenza.
Lui era nella corsia numero 5.
Osservò l’acqua.
Ricordava perfettamente la prima volta che era entrato in una piscina.
Era una calda giornata estiva a casa di suo zio che aveva appena fatto riempire la vasca che aveva fatto costruire durante l’inverno.
Lui aveva appena compiuto 4 anni mentre Zack ne doveva ancora compiere 6, ma già sapeva nuotare al contrario di lui.
«Ma non ti vergogni? Così grande e ancora hai bisogno die braccioli?!» gli aveva strillato contro l’uomo vedendo i braccioli che aveva in mano e che gli aveva chiesto gentilmente di gonfiarglieli dato che i suoi giovani polmoni non avevano abbastanza forza.
Poi era scoppiato a ridere sguaiatamente.
«Non lo trovi ridicolo Zack?» aveva detto poi guardando l’altro bambino che, terrorizzato, si era sentito costretto ad annuire.
Aveva strappato i piccoli gonfiabili dalle mani del nipote e glieli aveva bucati con uno spillo che, chissà per quale motivo, teneva sempre in tasca.
«Con questi non imparerai mai a nuotare come si deve» disse buttandoglieli nella piscina.
Quelli toccarono subito il fondo e Andrew aveva trattenuto a stento le lacrime.
«E ora valli a prendere!» aveva sghignazzato spingendolo nell’acqua, il cui livello era troppo alto per permettergli anche solo di sfiorare le piastrelle azzurre.
Lo zio si era molto divertito  a guardarlo sbracciarsi mentre cercava di raggiungere il bordo a cui si sarebbe potuto appoggiare e che gli avrebbe quindi permesso di uscire.
«Devo fare un po’ di giri in paese. Tornerò per cena e spero che per allora avrai imparato a nuotare» aveva concluso voltandogli le spalle e entrando in casa.
I due fratelli erano rimasti ognuno al suo posto in silenzio finchè non lo avevano visto uscire dalla porta principale, entrare nella sua macchina e allontanarsi per il lungo stradone sterrato che conduceva alla poco distante cittadina.
Solo quando era scomparso dalla vista il più piccolo era scoppiato a piangere, ancora schiaffeggiando la liquida superficie.
«Andy! Andy! Devi tranquillizzarti! Muovi solo i piedi! Andy! Muovi solo i piedi!»
«Ci sto provando Zack! Non ci riesco! Ti prego aiutami!»
«Andy per la miseria! Sta fermo con quelle mani! Muovi solo i piedi! SOLO i piedi! Capito Andy?»
«Non posso Zack! Se non affogo!»
«Non affogherai te lo prometto, ma ora fermati con quelle mani ok?»
«Ma Zack! Io ho paura»
Il maggiore aveva capito che in quel modo non avrebbero risolto niente, così si era tolto le ciabatte e la maglietta e si era tuffato.
Neanche lui riusciva a toccare, ma permise lo stesso al fratellino di appoggiarsi a lui.
«Ok, ora sono qui, ma devi fare quello che ti dico ok?»
Lui aveva annuito smettendo subito di piangere e tirando su con il naso.
«Bene. Ora levati le scarpe»
Andrew aveva eseguito subito l’ordine.
«Bravo, così. Ora anche la maglietta e i pantaloni»
Anche questi indumenti erano finiti subito sul fondo
Il rachitico bambino era rimasto con solo le mutande, mentre tutti i vestiti che aveva indosso quando era stato gettato nella piscina erano andati a far compagnia ai braccioli.
«Batti i piedi ok? Ma non troppo velocemente»
Il tono di Zack si era fatto molto più pacato consentendo quindi al minore di riuscire a calmarsi.
«Bravo, così»
Poi aveva posto le mani sotto la sua pancia facendogli assumere una posizione orizzontale.
«Adesso, batti anche le mani. Piano. Ecco così. Come fanno i cani. Bravissimo! Sei un cagnolino perfetto» gli aveva detto strappandogli un sorriso.
Andrew amava i cani e avrebbe tanto voluto somigliare a loro.
Aveva passato tutto il giorno a cercare di nuotare.
Il sole era tramontato ormai da un pezzo e la luna era alta nel cielo quando uscirono dall’acqua.
«Sei stato bravissimo Andy» gli aveva detto il fratellone scompigliandogli i capelli.
«Ora vatti a lavare mentre io preparo la cena»
Lui aveva subito obbedito e quando dopo era tornato aveva trovato Zack intento a cucinare 2 uova strapazzate.
Avevano cenato velocemente e dopo, sentendo la macchina parcheggiare erano corsi nel proprio letto.
Era tardissimo, a quell’ora dovevano già stare dormendo da ore e sapevano quanto si arrabbiava lo zio quando non rispettavano le sue regole.
Una di queste era che dalle 9:30 fino al giorno seguente dovevano rimanere ognuno nella propria stanza.
Eppure nel buio silenzioso del ripostiglio che era camera sua, avrebbe giurato di aver sentito Zack mormorare «Sono orgoglioso di te fratellino»
Quella era stata la prima e quasi l’ultima volta in cui il fratello aveva fatto qualcosa per lui, che lo aveva aiutato.
Almeno fino all’arresto del padre e dello zio.
Quello era stato l’inizio di una nuova vita.
Da quel giorno in piscina Andrew si era dedicato anima e corpo al nuoto, come se nuotando riuscisse a passare del tempo felice con Zack, che malgrado tutto lui aveva continuato ad adorare vedendo il vero ragazzo buono, dolce e gentile che era nascosto da quella cattiveria formata da strati giganteschi di terrore.
Ora che Spencer gli aveva regalato quella cuffia avrebbe portato tutta la sua famiglia con sé nella corsia.
-Ai blocchi di partenza-disse una voce, modificata dal megafono da cui era uscita.
Andrew salì su quello che gli era stato assegnato, allungò le braccia fino a toccare le punte dei piedi, e attese, con i muscoli pronti a scattare al minimo segnale.
Si concentrò sul suono del suo respiro cercando di combattere il nervosismo e il panico che stavano prendendo il sopravvento su di lui.
-Via!-
Sentì un fischio e subito si tuffò senza pensare ad altro.
La tensione e la preoccupazione per la gara, il timore di deludere le uniche persone a cui voleva bene svanirono prima ancora che il suo corpo infrangesse la tranquilla immobilità dell’acqua.
Adesso era nel suo elemento e nulla gli avrebbe impedito di scivolare sinuosamente fino al traguardo.

nota:ok,come vi avevo anticipato il capitolo è corto,ma andava fermato qui,spero capirete.
comunque sappiate che probabilmente il prossimo capitolo sarà l'ultimo,forse riesco a postarlo prima di partire ma non ne sono sicura.Dopotutto questo è il mio ultimo mese qui e vorrei davvero godermelo(in più ho un sacco di cose da fare).
ancora grazie a chi legge la storia,un grazie ancora più grande a chi la recensisce e uno speciale ad Antos1991 che c'è sempre,in un modo o nell'altro

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Capitolo 19
*** FAMIGLIA ***


-Vai Andy!! Sei il più forte! Forza!-strillavano Spencer e Zack dagli spalti con tutto il fiato che avevano in corpo.
Quando Andrew toccò il bordo si accasciarono sui gradoni, sfiniti anche loro.
-Adesso dobbiamo solo aspettare che finiscano tutte le altre batterie e che stilino la classifica. Così sapremo come è arrivato-disse Zack e Reid annuì senza dire nulla.
Poi però sembrò ripensarci e si sporse verso il ragazzo.
-Perché hai deciso di rinunciare al football?-
-Io…..Voglio provare qualcosa di nuovo-
-Pensavo ti piacesse…..-
-Si certo che mi piace, ma …..-
-……Pensavo fossi anche molto bravo-
-Me la cavavo, ma non capisco cosa…..-
-Allora perché hai lasciato perdere quando sei venuto qui?-
-Te l’ho detto voglio provare cose nuove-
-Zack se non mi vuoi dire il vero motivo va bene, ma non credere di riuscire ad ingannarmi. Sono comunque un profiler-
-Io…..io-cercò di mormorare il giovane sentendosi messo con le spalle al muro, ma Spencer lo interruppe.
-Non tutta la tua vecchia vita è da buttare, quindi perché non tenere le cose migliori, quelle che ti definiscono ciò che sei? Persino i romani si decisero a prendere la maggiore cultura dei greci quando li conquistarono e anche i cristiani hanno preso i migliori testi della cultura pagana. È vero che gli hanno dato un interpretazione conforme al loro sistema di valori e ai loro dogmi, ma se consideri che altrimenti sarebbero stati dimenticati e quindi sarebbero andati perduti……..-
Il ragazzo scoppiò a ridere, interrompendo così lo sproloquio di Reid, che arrossì, rendendosi conto solo in quel momento di aver cambiato completamente discorso.
-Io……Io……Vo…..Volevo dire che……Insomma non c’è bisogno di abbandonare completamente la tua vecchia vita, basta cambiare le cose sbagliate-balbettò cercando di spiegarsi.
-Cioè non che tu prima fossi sbagliato, è che alcune cose……..Non che tu fossi una cattiva persona, no tu sei sempre stato buono, ma…….-cominciò ad inciampare sulle sue stesse parole mentre tentava di fargli capire ciò che intendeva, temendo di aver scelto le parole sbagliate.
Ma Zack lo fermò posandogli una mano sulla spalla.
-Tranquillo, ho capito-
Chissà perché ogni volta che cercava di fare un discorso serio con i ragazzi a proposito della loro vita finiva sempre allo stesso modo: con lui che non riusciva a esprimersi come avrebbe voluto e loro gli assicuravano di aver compreso comunque il senso di ciò che aveva voluto dire, rassicurandolo come un bambino piccolo.
Sospirò.
Avrebbe mai imparato a relazionarsi con i giovani?
Eppure lui stesso era considerato un giovane.
Si avvicinò all’altro, che pensieroso stava fissando il pavimento.
Sentendo lo sguardo del federale su di sé quello alzò il viso incrociandone gli occhi, che subito si spostarono da un’altra parte.
-Hai ragione. Non posso  buttare via tutto. Forse dovrei provare a tenere le cose buone…… Come il football. E poi non posso sperare di frequentare un buon college senza una borsa di studio!-
Gli sorrise e Spencer capì che aveva vinto, o meglio avevano vinto, la dura battaglia contro quel passato così difficile da superare.
Da allora sarebbe stato più facile perché ora Zack sapeva che non bisognava essere un’altra persona, ma la parte migliore di se stessi.
Zack non era un tipo fisico, non amava i baci, gli abbracci e quel genere di cose, anzi, faceva di tutto per evitarli, ma questa volta si fece forza e circondò l’agente con le sue grandi braccia.
Non con lo slancio tipico di Andrew, di Penelope o di Henry, né con la dolce delicatezza di Jack e JJ, ma con una forza che all’agente ricordo così tanto Morgan.
Si ritrovò a riflettere su quanto quei due fossero simili e non poteva essere più contento ed orgoglioso di quel ragazzo che amava come fosse suo figlio e che ogni giorno somigliava di più ad una delle persone che stimava maggiormente.
-Grazie Reid, di tutto-gli sussurrò.
Quello sembrò non comprendere il significato di quelle parole, ma non disse nulla.
Eppure il giovane rispose lo stesso a quella domanda silenziosa.
-Hai fatto tanto per noi. Sei l’unico che ha davvero voluto che noi cambiassimo vita e che ci ha costretto a farlo. Ci hai cambiato, soprattutto MI hai cambiato. E un giorno ti sarà chiaro perché potrai vederlo con i tuoi occhi-
-Passiamo ora alla premiazione dei 100 stile libero-annunciò una voce maschile che fuoriusciva dai megafoni sparsi per la piscina.
Andrew era arrivato primo nella sua batteria, ma dopo la sua ce n’erano state molte altre, quindi non rimaneva altro che incrociare le dita sperando che avesse fatto il miglior tempo.
-Al terzo posto……-
-Non lui! Non lui!-bisbigliò Zack cecando di non farsi udire.
Lui era certo che il fratello fosse arrivato primo.
-……Luke Richer!-
Un biondino di circa un anno più grande di Andy salì sul gradino più basso del podio con sguardo fiero.
Era evidente quanto fosse felice di aver raggiunto quella posizione.
Il professore di educazione fisica gli mise al collo la medaglia di bronzo mentre già stavano annunciando il secondo arrivato.
-…..Ryan Thompson!-
Il ragazzo fece un sospiro di sollievo, accorgendosi solo allora che Spencer serrava talmente tanto i pugni che lui poteva osservare le nocche completamente sbiancate.
Una volta in più fu colpito dalla sua magrezza scheletrica che gli permetteva di vedere anche i muscoli contratti e i tendini tesi.
-…….E infine in prima posizione……-
Entrambi chiusero gli occhi, quasi senza accorgersene, come se temessero che la classifica sarebbe stata diversa se loro li avessero aperti.
-……Andrew Roggers!-
-Bravo fratellino! Ce l’hai fatta!! Sei il migliore!!-urlò il maggiore, scaricando la tensione che aveva accumulato mentre Reid ricominciò a respirare rendendosi conto solo in quel momento di aver trattenuto il fiato e dipingendo un enorme sorriso sul suo volto.
Andy si voltò verso i due sugli spalti mentre saliva sul podio nel posto a lui dedicato.
Probabilmente non aveva nemmeno sentito le grida del fratello e voleva vedere cosa ne pensassero di quella vittoria e solo quando vide quanto erano orgogliosi di lui si permise di essere fiero di se stesso..
E sorrise pieno di gioia, perché per la prima volta aveva vinto lui, dimostrando, non solo alle persone che avevano assistito alla gara, ma anche ai fantasmi della sua vita il suo valore.
Gli si avvicinò il suo allenatore e dopo avergli dato la coppa che spettava al primo classificato gli affibbiò una potente pacca sul braccio.
-Sicuro di non aver mai gareggiato prima Roggers?-
-Certissimo signore!-
-Allora sei un talento naturale!-
Poi scoppiò in una fragorosa risata.
La prossima volta farai anche dorso e, perché no? Pure rana-
L’uomo si allontanò permettendo agli improvvisati fotografi di scattare le foto di rito.
Poi i 3 vincitori si incamminarono verso gli spogliatoi, non vedendo l’ora di uscire da quel posto in cui faceva davvero un caldo infernale.
Andrew camminava più veloce di tutti.
Voleva tornare subito da Reid e Zack.
-Roggers!-
Il ruggito del suo allenatore lo costrinse a voltarsi verso di lui.
-Un ultima cosa. Sei ufficialmente nella squadra di nuoto della scuola quindi guai a te se salti anche un solo allenamento!-
-Non si preoccupi signore non lo farò-
-Sarà meglio perché conto molto su di te! E ora vai a cambiarti! Veloce!!-
Il pavimento era scivoloso, ma lui cominciò comunque a correre.
Doveva dirlo alla sua famiglia il prima possibile!
 
Spencer inserì le chiavi nella toppa mentre Andrew, ancora eccitato dalla notizia, non la smetteva di saltellare di qua e di là.
-Non ci posso credere. Sta davvero accadendo? Voglio dire….Tutti questi meravigliosi avvenimenti stanno davvero capitando? E a me poi?!-
-Te lo meriti fratellino. Hai visto come andavi veloce? Li hai seminati! Non avevano scampo contro di te! Li hai stracciati!!-ribattè il più grande mostrandogli quanto fosse straordinario.
Dando le spalle ai due ragazzi Reid sorrideva.
Ed era uno dei suoi bellissimi sorrisi a 32 denti.
Uno dei sorrisi più belli del mondo e che voleva dire solo una cosa: amava alla follia la sua famiglia.
Quella che si era conquistato con il tempo.
I suoi colleghi  amici che per lui c’erano sempre stati e per cui lui c’era sempre.
Jack ed Henry che gli avevano fatto vedere cosa volesse dire guardare il mondo con gli occhi di un bambino e che gli avevano insegnato a giocare facendogli imparare cosa fosse un’infanzia felice.
E poi Zack ed Andrew che gli avevano fatto capire cosa volesse dire essere fratelli, nel bene e nel male, e gli avevano dimostrato che cambiare vita era possibile, bastava essere circondati da gente che ti amasse davvero per trovare la forza di ribellarsi, per diventare la parte migliore di se stessi senza rinunciare a chi si era veramente.
Ricordava le occhiate gelide fra loro due la prima volta che li aveva visti e adesso ridevano e scherzavano come se tutto ciò che avessero subito non fosse mai successo, o meglio, non fosse così importante.
Spinse la porta e i suoi ragazzi si catapultarono nell’appartamento.
Stava per entrare anche lui quando notò qualcosa che era stato lasciato sullo zerbino.
Spencer lo prese in mano e rise dentro di sé riconoscendo la calligrafia.
“Non avrai davvero pensato che ci fossimo dimenticati(o meglio che non lo sapessimo, dato che tu non ce lo avevi detto)delle gare di nuoto di Andrew?!
Domani ci saranno le selzioni per la squadra di football e, dato che sono certo che hai convinto Zack a presentarsi, ci saremo anche noi.
Tutti noi.
 E dopo JJ ha organizzato un pranzo a casa sua per festeggiare i nostri ragazzi.
A proposito fai i complimenti ad Andrew per le gare e se ti stai chiedendo come ho fatto a sapere i risultati, sappi che ci sono le classifiche ufficiali nel sito della scuola.
Non credere che dato che ora una parte della tua famiglia vive nel tuo stesso appartemento puoi dimenticarti del resto della tribù.
Penso che oramai tu abbia capito l’importanza della famiglia e spero che non te lo dimentichi così facilmente, quindi la prossima volta avvertici.
Questa volta sei giustificato solo perché dubito che tu sappia come funziona in una vera famiglia.
Ci si vede domani ragazzino.
P.S. mi sono permesso di portarti il giornale.
                                                              Derek Morgan”
Prese subito il giornale di cui parlava Derek, nascosto sotto il biglietto.
In realtà era una rivista su cui campeggiavano due gigantesche foto di lui e Lila, la prima risalente a 6 anni prima.
Quella che aveva invaso le copertine di molti magazine di gossip.
Quella del loro saluto.
La seconda doveva essere stata scattata senza che se ne accorgessero perché li riprendeva felici assieme per le strade di Los Angeles qualche settimana prima.
“Il ritorno dell’uomo misterioso nella vita di Lila Archer” recitava il titolo in grande.
Storse la bocca.
Odiava che si intromettessero nella sua vita privata.
Una smorfia che si trasformò in un’espressione offesa quando notò la scritta a penna, ovviamente di Morgan.
“Quanto siete carini insieme Romeo! Fortuna che c’era lei ad occuparsi di te quando avevi la febbre!!”
Si sentiva preso in giro anche senza sentire la voce ironica di Derek che lo sfotteva,  ma si costrinse a leggere anche l’ultima frase che lo fece sorridere, ricordando una conversazione avuta con l’amico 6 anni prima proprio a proposito di Lila.
“Buonanotte Hollywood”
-Si eccomi!-rispose e chiuse la porta alle sue spalle.
-Domani siamo a pranzo da JJ, ma questa sera siamo solo noi 3 quindi……Che volete fare?-domandò Reid posando biglietto e giornale sul tavolino del salotto.
-M sono cose da chiedere?!-esclamò Andrew sorpreso dalla domanda.
-LA risposta già la sai!!-
-E poi io devo essere al pieno delle forze per le selezioni di domani!!-s’intromise il fratello maggiore sostenendo il più piccolo.
-Ok! Ok! Ho capito! Prendete i giacchetti. Si va al ristorante italiano!!-
I ragazzi corsero all’appendiabiti, presero le proprie felpe e si fiondarono fuori dalla porta, passando davanti a Spencer che, rimasto immobile sulla soglia, scompigliò i capelli ad entrambi.
-Ehi!!-protestarono contemporaneamente i due.
-Fate poco i vanitosi e smettetela di lamentarvi oppure pagate voi!-
-Agli ordini capitano!-dissero allora quelli portandosi una mano alla fronte e battendo i piedi come i militari.
Reid scoppiò a ridere, subito seguito dagli altri due mentre le porte dell’ascensore si chiudevano davanti a 3 degli individui più felici di tutta Washington.
Ed erano felici perché erano di nuovo insieme e non avrebbero potuto volere di più.
Arrivarono al piano terra e s’incamminarono tra le strade, oramai buie, verso il loro locale preferito.
Avevano percorso solo poche centinaia di metri quando incontrarono Rossi che fischiettava allegramente una canzone di Frank Sinatra.
-Dave! Che ci fai qui?!-esordì Andrew stupefatto di incontrarlo in giro per la città.
-Io sto andando a fare la spesa, voi?-
-Andiamo al ristorante italiano!-
I ragazzi erano contenti di andarci perché, malgrado ci fossero stati parecchie volte nei pochi mesi da quando si erano trasferiti a Washington, ogni volta che mangiavano lì per loro era sempre una festa.
-E osate ancora chiamarlo italiano, malgrado la robaccia che propina ai suoi clienti?! Spencer non ti aveva detto di non portarceli più?!-
Il giovane federale arrossì fin sopra le punte dei capelli mentre fissava l’asfalto sotto i suoi piedi.
-Non fa niente-disse allora David dandogli una forte pacca sulla spalla e rivolgendosi poi anche a Andy e Zack.
-Se mi accompagnate al supermercato vi faccio vedere io come si cucina veramente italiano-
-Si! Dove dobbiamo andare?-esplosero i ragazzi chiedendogli di guidarli in una città che ancora non conoscevano bene.
Arrivati al negozio Rossi spedì i due adolescenti nei vari reparti alla ricerca di specifici prodotti, mentre lui insegnava a Reid a fare la spesa “Con la S maiuscola” come diceva lui.
Uscirono poco dopo carichi di buste e bustine e raggiunsero la casa dell’agente più anziano.
Quando entrarono trovarono ad attenderli una sorpresa.
-Spence! Cosa ci fate qui? Pensavamo non sareste venuti!-esclamò JJ correndo ad accoglierli.
-Veramente neanche noi-sussurrò il genietto salutando con un cenno della mano l’intera squadra che era riunita lì.
C’erano persino Jack, Henry e Will.
-Li ho trovati che stavano andando a quel ristorante che osa ancora pregiarsi del titolo di italiano. Non potevo lasciarli andare lì!!-spiegò David al resto del team.
-Detto così sembra che li hai salvati da un mostro feroce!-scherzò Hotch seduto accanto al figlioletto.
E Hotch che utilizzava il suo senso dell’umorismo era un avvenimento storico.
-E un po’ è vero Aaron. Comunque torniamo a dove eravamo rimasti prima che io andassi a prendere il necessario per la cena di oggi-
-Mi dispiace ragazzi, dovete studiare anche stasera!-disse Morgan ridendo mentre sui volti dei nuovi arrivati si dipingeva un’espressione interrogativa.
-Ognuno indossi il suo grembiule!-ordinò Rossi lanciandone uno ad ognuno.
Perfino ai bambini.
-Oggi si fa la pizza-spiegò disponendo davanti a ciascuno gli ingredienti necessari.
Jack ed Henry infilarono subito le mani nella farina facendo alzare un nuvolone gigantesco, ma appena videro l’occhiata di fuoco che gli rivolse lo zio Dave nascosero subito le zampine, ormai bianche, dietro la schiena.
Dopo che il padrone di casa ebbe spiegato loro come fare tutti poterono cominciare ad impastare.
Ad un certo punto il cellulare di Spencer cominciò a suonare e fu davvero buffo vedere il giovane cercare di prenderlo mentre tentava di togliersi la pasta appiccicosa delle mani.
-Reid non si risponde al cellulare mentre si cucina!-lo sgridò il “maestro”.
-Ma potrebbe essere importante!-protestò l’altro.
-Se avessimo avuto un caso avrebbero chiamato tutti quanti. E poi tu non avevi una suoneria diversa?-
-Il lavoro non è l’unica cosa importante-borbottò lasciando tutti a guardarsi sconvolti mentre lui si allontanava per rispondere.
Tornò qualche minuto dopo.
-Reid tu non avevi una suoneria diversa?-gli chiese subito Morgan sospettoso.
-Ogni tanto bisogna cambiare-
-Ma ieri quando ti ha chiamato Hotch avevi la solita suoneria di sempre-
-Questa è solo per le persone…….-
Non finì la frase capendo che andando avanti si sarebbe solo tradito di più e si concentrò sull’impasto.
-Volevi dire speciali? E chi sarebbe questa persona…..speciale?-
-E poi da quando il lavoro per te non è l’unica cosa importante? A parte voi ragazzi, ovvio-s ’intromise Prentiss rivolgendosi subito dopo a Zack ed Andrew.
-Ragazzi  è inutile che lo sommergete di domande tanto lo sappiamo chi è-disse JJ.
-Reid e Lila seduti sotto un pino…..-cominciò a canticchiare Garcia subito seguita da tutti gli altri .
Spencer fece una faccia offesa, ma dentro di sé non lo era.
Dopotutto era così che si comportava una vera famiglia e loro lo erano.
Abbracciò tutti con uno sguardo e sorrise.
Non avrebbe mai dimenticato l’importanza della famiglia.
Della LORO famiglia.

nota:scusate se non ho aggiornato per un bel po' anche se il capitolo lo avevo già finito ma non ero in vena di affrontare la sua fine,sapendo che presto avrei dovuto affrontare anche la fine del mio semestre all'estero così ho deciso di postare il capitolo quando serei stata in procinto di partire e ora che sto facendo le valigie credo che non ci sisa momento migliore per fronteggiare entrambe le fini.
grazie a voi che avete letto ogni capitolo,grazie a chi a recensito,grazie a chi ha messo la storia tra le seguite/preferite e più di tutti GRAZIE ad antos1991 che non mi ha mai lasciato sola e ha sostenuto ogni mmia scelta,sempre pronta a darmi consigli e a tirarmi su di morale,e non solo a livello di scambio tra autrici.Quindi un grazie anche a questa storia che mi ha aperto più porte di quanto pensaite.
scusate sde ci abbiamo messo più di un anno a raggiungere questo punto, ma credo sia giunta l'ora di scrivere THE END

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