Tharos- La conquista dell'immortalità

di Marty Andry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sulla spiaggia ***
Capitolo 3: *** Mission ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Viaggio ***
Capitolo 6: *** Erebo ***
Capitolo 7: *** Atropo ***
Capitolo 8: *** Ritorno ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***








Tharos. Un ragazzo greco, uno qualunque. Non un semidio, come quelli cantati dai poeti. Un ragazzo semplice il cui nome racchiudeva una grande virtù: coraggio.
 
Un giorno, come tutti gli altri, in cui il caldo era più intenso del solito, stava seduto su uno scoglio in riva al mare. E lì, davanti all’immensità dell’Egeo, immaginava.
Sì, immaginava quale sarebbe stato il suo futuro. Si vedeva già vestito da oplita, vinceva la battaglia e via, tutti lo avrebbero adorato. Spesso, davanti a questi pensieri,un lieve sorriso compariva sulle sue labbra. Poi, sempre immerso nel suo mondo, mentre tutto il Peloponneso s’inchinava ai suoi piedi, compariva Antula.
Antula…
Tharos non era convinto, come affermava Socrate in quel periodo, che il genere femminile fosse, sulla base dell’intelletto, inferiore rispetto a quello maschile.
Antula, insieme ai suoi genitori e alla sorella, era la persona a cui teneva di più.
L’amava, l’amava con tutto sé stesso.
 
Il sole stava tramontando, doveva andare. Iniziò a correre, correre, doveva tornare a casa in fretta. Quel giorno, pensò, suo padre era andato all’agorà per vendere ciò che aveva pescato il giorno prima. Allora sorrise, poteva cambiare strada e salutare Antula. Ricominciò a correre, giunse davanti ad una delle porte delle mure della città e continuò finché non giunse all’estremo ovest della polis, dove viveva la ragazza.
Arrivato davanti casa, bussò.
Toc, toc, toc. Pausa. Toc, toc. Era il loro segnale.
Gli aprì una fanciulla che gli arrivava all’altezza del petto, dagli occhi color del mare nei quali si perse pochi attimi dopo.
Come la prima volta, Tharos rimase folgorato, incantato dalla bellezza di Antula.
 Il ragazzo la abbracciò e le diede un bacio sulla fronte.
<< Antula, scusa, devo andare! Sai che… >>
<< Sì, lo so,me l’hai ripetuto un milione di volte… >>
<< Se non ti vedo ogni giorno…Divento pazzo. >>
Antula sorrise.
<< Domani vieni con me al solito posto? >>
<< Certo! >>
<< Va bene, ci vediamo domani mattina, allora! Ciao, Antula! >>
Tharos si chiuse la porta della casa alle spalle, con il volto ancora in fiamme un po’ per la corsa e anche per Antula, soprattutto per lei.
Ricominciò a correre, anche questa volta il tragitto era più breve.

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Capitolo 2
*** Sulla spiaggia ***


La mattina seguente, Tharos si svegliò di soprassalto: il sogno che aveva fatto lo aveva intimorito. Aveva paura, quel giorno, di uscire. L’unica cosa che lo spingeva a mettere piede fuori di casa era il desiderio di passare, finalmente, un po’  di tempo con Antula.

Con un grande peso, si avviò verso il litorale, Antula lo raggiunse poco dopo.

<< Tharos! >>

Il giovane alzò lo sguardo.

<< Tutto bene…? >>

<< Non lo so…Ho una strana sensazione. >>

La ragazza poggiò una mano sul petto di lui, il cuore strepitava.

<< Calmati, Tharos! >>

 Lui le prese la mano e la strinse forte.

<< L’altra notte… >> mormorò con un fil di voce << ho fatto un sogno. Stavamo sulla spiaggia ed una luce ci ha investiti...Poi non ricordo più nulla. >>
<< Ci sono qui io >> rispose serenamente Antula << se ci accadrà qualcosa, lo affronteremo insieme. >>
Le determinazione della fanciulla lo sorprendeva ogni volta.
 
Continuarono a camminare finché non sentirono i loro piedi affondare nella sabbia dorata e l’aria farsi più umida. Il batticuore di Tharos si fece sempre più forte, guardò con disperazione Antula, che però era totalmente catturata dal mare.
Il ragazzo la strinse a sé e, mentre le labbra di lui stavano per posarsi su quelle de lei in un bacio puro e casto, vennero travolti da una luce abbagliante.
Per qualche istante non riuscirono a vedere niente, caddero sulla sabbia.
Poi, l’immagine di una donna si fece sempre più nitida: Pallade Atena, la dea dagli occhi cerulei.

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Capitolo 3
*** Mission ***


Tharos si stropicciò più volte gli occhi, non riusciva a crederci. Antula si strinse tremando al ragazzo. Forse questo era il tanto discusso “timor degli dèi”.
La dea inchiodò Tharos con uno sguardo  di ghiaccio  che nemmeno la calura di quella giornata poteva sciogliere, ed iniziò a parlare:
<< Tharos, >> una voce melodiosa, che aveva un non-so-che di  misterioso, giunse alle sue orecchie << sei stato incaricato dagli dèi che dimorano sul Monte Olimpo di donare l’immortalità agli uomini. >>
Quelle poche parole, quel messaggio semplice e chiaro, colpirono Tharos.
Antula si spaventò, i suoi occhi color smeraldo stavano per traboccare di lacrime.
La dea riprese a parlare.
<<  Dovrai uccidere la Moira Atropo, l’Inflessibile. >>
Tharos replicò con voce tremante: << Cosa?! È impossibile! Io non… >>
<< Tu puoi. Anzi, devi. >> tagliò corto Atena.
<< Domani pomeriggio, al tramonto, Febo Apollo verrà a prenderti qui col suo carro per portarti alle porte dell’Ade. Non ti curar di tua madre, la notte le porterà consiglio. >>
Detto ciò la dea si trasformò in una civetta per poi perdersi  all’orizzonte.
 
Tharos si accorse della mancanza Antula e la raggiunse vicino ad uno scoglio.
Le cinse dolcemente la vita da dietro, la ragazza sussultò.
Iniziò a singhiozzare, Tharos voleva parlarle, ma non ci riusciva.
<< Antula, >> mormorò con un fil  di voce << non ti riconosco più. Dov’è finita tutta la tua forza, la tua determinazione? >>
La ragazza staccò le braccia di Tharos dalla sua vita con fare brusco e, paonazza, gli disse, prima con tono più calmo, poi alterandolo:
<< Io credevo in tante cose. Credevo in te…In noi…Ma tu preferisci… >>
<< Preferisco…? >>
<< …rischiare la vita invece di pensare a quanto starei male se… >>
<< …se…? >>
Antula non parlò più, ma il suo silenzio valse più di mille parole.
<< Tranquilla, >> provò a rassicurarla << non mi accadrà nulla. >>
<< Tharos, io mi fido di te, ma… Penso che ti abbiamo affibbiato una missione troppo… >>
<< Lo so, ne sono convinto anch’io, so a cosa sto andando incontro; ma non posso sottrarmi al volere del Fato. >>
Antula e Tharos s’incamminarono verso la città, stretti in un abbraccio che speravano non fosse l’ultimo.

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


Tharos bussò alla porta della sua modesta abitazione e gli aprì sua madre che stava impastando qualcosa. Si guardarono dritti negli occhi.
Lo sguardo nocciola della madre, innocente e rasserenante, aveva qualcosa di strano.
<< Mamma, >> le disse il ragazzo con un fil di voce << non ho fame. Vado a dormire. >> e si sistemò sull’amaca che si trovava in un angolo della stanza.
La madre lo guardò pensierosa, mentre si assopiva.
Quella notte Atena comparve in sogno alla donna, si vegliò di colpo e andò subito da Tharos. I due parlarono a lungo, raggiunti più tardi dal padre che rimase esterrefatto davanti alla missione che il figlio doveva portare a termine.
 
La mattina seguente, Antula fece visita a Tharos, dicendogli che lo avrebbe accompagnato sulla spiaggia al tramonto, quando Febo Apollo sarebbe venuto a prenderlo col suo carro dorato. E, naturalmente, si aggiunse anche la madre che non poteva vedere il suo secondogenito andar via come l’altro. Ma questo Tharos non lo sapeva. Non sapeva di avere un fratello, tra l’altro più grande di tre anni, prima o poi gliel’avrebbero detto. Promessa che si facevano da diciassette anni.
 
Antula guardava pensierosa il ragazzo, seduto a terra, cercando di costruire un cesto. Tharos si alzò, le si avvicinò e la strinse forte al petto, talmente forte da non farla respirare. Inaspettatamente, la baciò.
<< Non voglio che tu vada via… >>
<< Tornerò, te lo prometto. >>
 
Contemporaneamente guardarono il cielo, attraverso una finestra, che stava iniziando a colorarsi d’arancione e delle sue sfumature.
 
Seduti sulla sabbia, Tharos non smetteva di fissare la ragazza e la madre. Quest’ultima disse, con occhi sbarrati << Hai un fratello. >>
Quella frase, quelle tre parole, scossero il figlio e Antula.
<< Leukos. Si chiama Leukos. Ha tre anni più di te. Si trova a Cartagine. >>
Carthago delenda est.
La prima frase che venne in mente al giovane fu questa, Cartagine deve essere distrutta.
<< Tra due giorni tornerà…E avrai modo di conoscerlo. >>
<< Leukos…Ho un fratello…Com’è possibile?  Non ricordo di averlo mai visto… >>
<< Infatti…A quattro anni è andato via con mia sorella perché… Atene non era un posto sicuro. >>
Tharos non riusciva a formulare una frase sensata.
Proprio in quel momento, un vento impetuoso li investì, facendo finire la sabbia nei loro occhi: Apollo era arrivato.
Il dio gli fece cenno di salire sul suo carro e, silenziosamente, salutò Antula e la madre, promettendo di ritornare il più presto possibile.

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Capitolo 5
*** Viaggio ***


Il cielo iniziava a dorarsi, il vento lieve accarezzava il viso di Tharos. I suoi occhi guardavano lontano, oltre le montagne della Tessaglia, immaginando posti nuovi e genti diverse.

<< Ragazzo mio, >> disse Apollo rompendo il silenzio << sai a cosa vai incontro, vero? >>

Tharos sospirò. 

<< Hai avuto coraggio. Ah, già, tu sei il coraggio fatto a persona. >>

Tharos lo guardò perplesso.

<< Sai perchè i tuoi genitori ti hanno chiamato così? >>

Scosse la testa.

<< Quando avevi appena qualche mese, uccidesti un serpente. >>

<< Ma... Qui di serpenti ce ne sono molti, sono innocui. Basta ucciderli solo calpestandoli. >> mormorò il ragazzo. 

<< Era un serpente inviato dalle stesse Moire. >>

<< C-c-cosa?! >>

< >>

<< Ma perché avete scelto un mortale... perchè... Perché proprio me... >>

<< Perché... Come ben sai, tra noi dèi dell'Olimpo e Ade scorre odio profondo. Sia tu che il tuo popolo potrete godere dell'eterna giovinezza. >>

Tharos iniziò a rifletterci bene. Lui, i suoi genitori, Antula... Per sempre, insieme. 

Apollo riprese a parlare.

<< Conosci la storia di Orfeo ed Euridice? Tu e il tuo ''fiore'' siete così, tanto felici quanto innamorati, ma certamente nessuno dei due dovrà tornare negli Inferi per ''recuperare'' l'anima dell'altro. Ah, quasi dimenticavo: prendi le forbici di Atropo quando l'avrai uccisa. E da quel momento in poi , il tuo popolo e gli dèi vivranno in perfetta sintonia. Non sarà raro vederci nell'agorà, ahahahaha!! >>

Tharos scoppiò a ridere, Apollo era felice di esser riuscito a distrarre un po' il ragazzo, ma purtroppo la meta non era molto lontana. 

Pensandoci bene, però, Tharos si accorse che i suoi sogni stavanolentamente prendendo forma.

Ma la gloria era solo ciò che voleva? Dov'erano la sua semplicità e i suoi valori? Allora comprese che stava affrontando ciò per il prossimo e non per le onorificenze che lo stavano attendendo. Sentendo questi discorsi, sua madre avrebbe pensato che stava crescendo davvero. Anche se di entrare in quel complicato mondo dei grandi non ne aveva voglia. 

<< Ecco, siamo arrivati. >>

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Capitolo 6
*** Erebo ***


Tharos e Apollo si trovarono davanti ad un’apertura delle caverne di Colono, per fortuna vicino ad Atene.
Il  ragazzo stava per scendere, quando il dio lo prese per un braccio.
<< Attento, mortale. Ah, quasi dimenticavo. >>
Degli innumerevoli recipienti e foderi che aveva sulle spalle, ne prese uno che sembrava quello di una spada e glielo porse. Era custodita in un semplice fodera di cuoio, da cui spuntava un manico dorato finemente lavorato.
<< Ambrosia, mio caro. Ambrosia solidificata mescolata all’oro puro. >>
Tharos, curioso, la estrasse dal fodero.
Si ritrovò, così, in mano una lunga spada lucente; non ne aveva mai vista una così.
<< Ora devi andare. Fa’ presto, mi raccomando. Pensa a quante persone risparmierai la vita. In bocca al lupo. >>
Tharos saltò dal carro che, due minuti dopo, stava già attraversando il cielo.
“Su Tharos, ce la puoi fare.” si disse mentalmente.
La caverna era buia, nonostante fosse illuminata dalla luce di alcune torce appese alle pareti. Il luogo era completamente scavato nella roccia più scura che lui avesse mai visto, più scura dell’onice. Aveva appena riposto la spada nella custodia e recuperato sicurezza quando si accorse del macabro spettacolo che stava osservando.
Decine, forse centinaia di uomini, donne e bambini sedute sulle rive dell’Acheronte in attesa di Caronte. Persone che davanti alla morte avevano perso nome, magari anche i titoli di prestigio che avevano conquistato col sudore, persone che avevano avuto una vita felice, oppure triste, chi poteva saperlo. Ognuno, davanti alla morte era un semplice uomo o una semplice donna; la morte non risparmiava nessuno, non aveva compassione. Più che altro, Atropo non aveva pietà. Recideva i fili della vita, conoscendo le vite di tutti, raramente agiva con criterio. Non si fermava nemmeno davanti ai bambini, innocenti, che non avevano nessuna colpa.
Tutta questa gente non aveva un corpo, quasi fluttuavano in quell’aria pesante. Cosa  avevano fatto di male per essere traghettati nelle acque dell’Acheronte, dello Stige, del Cocito o del Flegetonte?! Quali colpe avevano?
Dalla massa, un ragazzo si fece avanti e andò da Tharos.
Il ragazzo rimase impietrito davanti a quella visione. Il corpo, se così lo si poteva chiamare, non aveva alcuna consistenza, si poteva tranquillamente vedere attraverso.
<< E tu chi saresti? >>
La voce di quel ragazzo era rimasta uguale, probabilmente, a quando era ancora in vita.
Una voce bronzea, non dissimile dalla sua, dopotutto.
<< T-T…Tharos. >>
<< Bene, io sono Nikandros. Venivo da Anfissa. Tu vieni da Atene, pensi a tuo fratello Leukos, tuo padre si chiama Aristovoulus, tua madre Euthasia e…Uhm, interessante. La ragazza che ti piace è Antula e ha gli occhi verdi. >>
Tharos rimase scioccato.
<< Sai come lo so? Noi possiamo leggere la mente delle persone. E ti dico anche hai tutto il mio appoggio: Atropo morirà! Cavale quell’occhio, una volta per tutte!! >>
<< Posso chiederti una cosa? >>
<< Certo, dimmi pure. >>
<< Perché ti trovi qui? >>
<< Avevo all’incirca sedici anni, forse diciassette, non ricordo bene, quando venni colpito da forti febbri. Morii una notte d’inverno, non ricordo nemmeno quando, con precisione. Esalai il mio ultimo sospiro davanti a Zoe, oh Zoe! >>
<< Tua madre? >>
<< No. Colei che amo. >>
<< È ancora viva, che tu sappia? >>
<< Sì, così lei, mia madre, mio padre, le mie sorelle… >>
<< Puoi metterti in contatto con loro? >>
<< In sogno, potrei. Ma perché? >>
<< Dì loro di trasferirsi ad Atene. Sperando che lo facciano. Dì anche che c’è una casa, terza strada a destra del tempio di Pallade Atena. È loro. >>
<< Ma… >>
<< Fallo! Fidati di me, Nikandros. Fidati. >>
<< Va bene. Nasconditi, arriva Caronte!! >>
Un uomo gracile e con indosso pochi stracci remava su una barca, mentre onde impetuose lo trasportavano da una parte all’altra. Aveva gli occhi infuocati, proprio come dicevano le varie leggende. Evitò di guardarlo per non dare nell’occhio, mentre gli occhi iniettati di sangue esaminavano una ad una le anime.
<< Addio, Nikandros! >> e sparii dietro ad una stalagmite prima che il traghettatore potesse vedermi.
L’anima del ragazzo si diresse velocemente alla riva dell’Acheronte, ma non salì sulla barca, dando la precedenza ad altre anime e sperando che Tharos riuscisse ad uccidere l’Inflessibile.
Una volta che Caronte si fu girato di spalle, Tharos proseguì il suo cammino, ritrovandosi al cospetto di Ade e Persefone. Il dio dormiva saporitamente, appoggiato un bracciolo del trono ligneo, accanto alla moglie.
Una bellissima donna dai capelli scuri e gli occhi color nocciola, sedeva alla sinistra di Ade. Indossava una veste succinta color porpora, beveva ambrosia.
Mi nascosi dietro l’ennesima stalagmite che intralciava il mio cammino, ma la dea mi disse serenamente << Avanti, Tharos. Sono stata avvisata del tuo arrivo. Va’, finché sei in tempo. E per favore, fa che il prossimo a morire sia lui. >> chiese, indicando il marito. << Voglio tornare da mia madre, in quel mondo di luce e colori per sempre. Non per sei mesi, ma per tutta la vita. Va’ Tharos, sei la nostra unica speranza. Tieni questa chiave e fa’ il tuo dovere. >>
La dea gli porse una chiave argentea, con una scritta in greco: μουαρέ
La chiave non era nulla di speciale, in un certo senso.
Tharos ringraziò la dea e proseguì il suo viaggio nell’Erebo, ma improvvisamente si ricordò di Cerbero, il cane mostruoso che si diceva si trovasse alle porte del regno dei morti. Poco dopo si ritrovò in un’altra specie di sala, con due uscite.
Si affacciò alla bocca di sinistra.
Un’enorme prato verde si estendeva fino alla riva sinistra del Cocito, pieno di alberi e fiori d’ogni tipo. Migliaia di anime di bambini correvano per quel prato, gruppi di donne che parlavano sotto un albero, uomini che discutevano sulle varie arti. Erano tutti come Nikandros.
Indietreggiò prima che si potessero accorgere della sua presenza e si diresse verso l’altra bocca.
Davanti a lui si apriva uno scenario pressoché sereno, così, senza alcuna esitazione, si incamminò, costeggiando la riva destra del Flegetonte. Ma quando era proprio nel mezzo della traversata, un’esplosione di lava illuminò a giorno la zona. Allora Tharos iniziò a correre, ma la lava usciva dappertutto. Con coraggio, saltò, tra uno zampillio e l’altro, fino a raggiungere l’ultima sala dell’Ade dove trovò una porta, rovinata dal tempo, che riportava la scritta della chiave. Comprese dove si trovava.
Ormai non poteva più tirarsi indietro.

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Capitolo 7
*** Atropo ***


​Cercò di non deformare la chiave, composta da una lega di materiali alquanto malleabili. In quell’istante Tharos si accorse di quante sottigliezze era piena la vita: solo un metro più avanti e sarebbe stato immortale; un metro indietro e, un giorno, avrebbe fatto compagnia a Nikandros. No, non poteva, tutti erano con lui.
Quel posto maledetto sarebbe scomparso, Ade sarebbe caduto nell’oblio, con la fine del suo regno, e Persefone sarebbe stata libera.
Un passo.
Guardò con attenzione la porta che aveva davanti. Era semplicemente fatta di legno, rovinato dal tempo, in alto era riportata la stessa scritta incisa sulla chiave, a caratteri dorati. Tharos respirò profondamente e chiuse gli occhi, lasciando che la forza gli scorresse nelle vene. Li riaprì, animati da una nuova luce.
Con un colpo forte e deciso dei piedi sfondò la porta ed estrasse la spada.  Lo spettacolo che gli si presentò davanti fu quello di un terzetto stucchevole.
Tre masse informi di donne dai capelli simili a serpenti color muschio, il colorito della pelle era quasi plumbeo, un occhio dall’iride rossa come il sangue stava in mezzo alla fronte. All’unisono,  le tre creature lanciarono un urlo soffocato come chi, nei suoi ultimi istanti di vita, non si rassegna a perdere il suo avere più prezioso.
Per un momento ebbe la tentazione di fuggire. Solo un istante d’esitazione prima di tuffarsi a capofitto in quella pericolosa sfida.
Cloto generava nuovi fili, Lachesi misurava, Atropo recideva. Lentamente, quasi volesse far assaporare, al prescelto, gli ultimi istanti prima che la fiamma della vita continuasse ad ardere
Estrasse dal fodero la spada e, sotto lo sguardo sconvolto delle Moire, si avventò contro Atropo. Lei lo scansò, ma fece appena in tempo a tagliare l’ultimo filo.
Tharos senti che dentro di sé qualcosa, in quell’istante, si era spezzato;proprio come quel filo. Nel frattempo, la Moira mosse uno dei suoi capelli- serpenti e bloccò il polso del ragazzo. Tharos, dal canto suo, non dimenticò certo l’agilità. Riuscì a saltare e ad arrivare dietro alla creatura, attorcigliando i capelli. Atropo, stordita, gli rivolse uno sguardo perplesso, dando al ragazzo il tempo necessario per tagliare il capello e procurarle un taglio all’altezza dell’addome. Dalla ferita uscì un liquido  cianotico dall’odore indescrivibile, seguito da un urlo della Moira. Presa dalla ferita, allungo verso di essa le mani dalle unghie taglienti e Tharos approfittò della distrazione.
Sudava freddo, agiva d’impulso, temeva di non farcela. Un solo pensiero gli attraversò la mente in quell’istante: Antula.
 Carico, si fiondò su Atropo e la trafisse, da parte a parte, mentre il mostro si scioglieva con lentezza formando, infine, una chiazza verdognola sulla roccia.
Tharos tornò indietro, nell’antro, prese di corsa le forbici che la vittima aveva lasciato per terra e, dopo aver incrociato per pochi secondi gli occhi rossi e esterrefatti dei Cloto e Lachesi, corse via, cercando una via d’uscita.
Ricordava la strada fatta prima, passò di nuovo dalla sala del trono, Ade dormiva ancora. Restituì la chiave a Persefone e, con la promessa di farle godere della luce del sole per sempre, continuò il suo percorso.
Giunto alle porte dell’Erebo, trovò Apollo con in mano la cetra. Alzò in aria le forbici di Atropo vittorioso, sfoggiando un luminoso sorriso.
<< Tharos, >> sibilò il dio << hai il diritto di portare con te una persona. >>
<<  Cosa? >>
<< Prendi una persona, un’anima di quelle che sostano lì, vedi? Prendine una, la farai tornare in vita. >>
Con la speranza di trovare Nikandros ancora lì, il ragazzo tornò indietro.
Caronte era lì, lo avrebbe potuto vedere, ma non importava.
<< Nikandros!! >> gridò Tharos << Nikandros!!! Ti prego, vieni qui!! >>
Tutti gli occhi si puntarono su di lui e iniziò a perdere la speranza di ritrovare l’amico. Provò una sensazione del tutto estranea, un acuto dolore misto ad un’infinita tristezza.
<< Nikandros… >> mormorò mentre le lacrime piovevano copiose.
<<  Nikandros… >> continuò a ripetere, inginocchiato sulle rocce taglienti.
Non si era accorto di Caronte che, flemmatico, avanzava verso di lui.
<< Sbrigati, va’ via! >> disse una voce alle sue spalle.
Sollevò il capo e, con meraviglia, vide l’anima del giovane.
<< Vieni con me! >> disse Tharos, rianimato.
<< Cosa dici?! Non… >>
<< Fidati di me. >>
<< Tharos… Va bene. >>
Nonostante il tragitto fosse breve, spesso si voltava per constatare che il corpo fumoso dell’amico fosse dietro di lui. Arrivati all’entrata, Apollo sorrise e invitò entrambi a salire sul carro. Durante il tragitto, nessuno dei tre profferì parola, il primo a rompere il ghiaccio fu Tharos.
<< Quanto tempo sono stato via? >>
<< All’incirca tre giorni. >>
<< Così tanto?! >>
<< Il tempo scorre diversamente laggiù. Ma dimmi, chi hai portato con te? >>
<< Nikandros, >> rispose l’altro << da Anfissa. Ma lei è…il divo Apollo? >> chiese incredulo il ragazzo.
Apollo si chinò e prese un otre che conteneva una sostanza violacea. Versò il liquido in una ciotola e gliela porse. 
<< Bevi, Nikandros. >>
Tharos intanto pensava alla sua famiglia e, come un lampo, si ricordò della rivelazione della madre poco prima che lui partisse. Il nome del fratello che non aveva mai conosciuto gli attraversò la mente: Leukos.
Preso dalle mille domande a cui solo i suoi genitori potevano dare valide risposte, non si accorse che il corpo di Nikandros stava pian piano prendendo forma. Iniziarono poi a distinguersi nettamente gli occhi, castani, i capelli biondo-ramati, il naso leggermente all’insù; e il corpo esile e slanciato, ricoperto da una candida veste.
 
<< Nikandros!! >> esclamò Tharos.
Il ragazzo, incredulo, iniziò a tastarsi le braccia, le gambe e il volto. Sul viso si dipinse un enorme sorriso. I due si abbracciarono, come se fossero fratelli.
<< Grazie, amico mio. Grazie! >>
<< Non devi ringraziarmi, dovevo farlo. >>

Apollo sorrise: Tharos aveva portato a termine l’impresa. 

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Capitolo 8
*** Ritorno ***



Erano appena arrivati alla spiaggia, Tharos non poteva credere a ciò che era accaduto. Aveva ucciso Atropo, viaggiato sul magico carro di Apollo e ora il corpo del suo nuovo amico  Nikandros stava riprendendo la propria forma. 
<< Arrivederci, ragazzi. >> disse Apollo con una punta di malinconia.
Il dio e Tharos si guardano per due interminabili secondi negli occhi, certi che avrebbero continuato a condividere avventure. Il ragazzo sciolse il laccio con cui il fodero della spada era legato al proprio fianco e lo porse ad Apollo. Il dio gliela restituì e senza dire niente, prese il volo col suo carro, lasciandoli sulla bianca sabbia.

<< Tharos, é fantastico...! >> gridò entusiasta Nikandros che dopo anni toccava finalmente la terra coi piedi. Iniziò a saltare e coinvolse anche l'amico in quella folle danza. Poi, correndo più veloci che potevano, raggiunsero Atene. Appena dentro le porte, una ragazza sedeva su una pietra, giocava con un gattino. Nikandros sentiva il cuore accelerare i battiti, presto sarebbe tornato alla sua vita di prima. 
<< Non ora, Nikandros. Non ora. >> gli sussurrò Tharos e, col cuore in gola raggiunsero il cuore della città.

Migliaia di uomini, donne e bambini li accolsero, facendosi domande sull'amico. Si diressero verso il tempio di Pallade Atena per lasciarvi le forbici di Atropo. Nel mezzo del tempio era stata costruita un'ara con accanto una fiaccola. 
Tharos sollevò gli occhi per osservare il cielo della sua città: terso, mentre il sole di tuffava nell’immensità dell’Egeo. Con estrema calma salì i sette scalini e, insieme a Nikandros, depose l’arma. Del momento immediatamente successivo, nessuno dei due ricordava altro se non un fortissimo rumore e una confusione che mai avevano visto. Un fragoroso applauso si levò tutto d’un tratto, tutti iniziarono una sorte di inno, giurando solennemente di riuscire ad essere degni di quel grande dono che gli dèi avevano fatto loro. Tharos lo sapeva, ormai. In cuor suo era fiero di ciò che aveva fatto, l’unica cosa che aveva sempre voluto era il sorriso sulla bocca della gente; e c’era riuscito.
 
<< Vorrei aggiungere qualche parola su Nikandros, il ragazzo che mi è accanto. >> esordì, iniziando a raccontare ciò che sapeva.
L’amico da tempo aveva smesso di provare forti emozioni, ma lentamente sentiva il suo sangue tornare più umano, insieme alla sua voglia di vivere.
<< Dunque, >> concluse << se tra di voi ci sono presenti queste persone vi prego, fatevi avanti. >>
Immediatamente una donna salì frettolosamente le scale, con le lacrime agli occhi. Prima che i due si potessero rendere conto di ciò che stava accadendo, lei stava già abbracciando il figlio e, dietro di lei, si scorgeva la minuta figura di Zoe.
Scesero e tra la folla Tharos scorse i suoi genitori e Antula. Nel vederli provò un’immensa felicità, perché sapeva che quell’avventura avrebbe anche potuto portarlo via da loro per sempre. Ma non era stato così.
 << Figlio mio… >> mormorò la madre, le cui braccia lo avevano accolto insieme a quelle del padre. Alle sue spalle sentì una tosse, quasi forzata.
In quel momento non sapeva ben dire cosa provasse, un misto di emozioni stupende.
<< Antula!! >> gridò forte.
Ricordò per sempre quel momento. Poi, tutti insieme, raggiunsero Nikandros e la sua famiglia, con cui instaurarono un rapporto…sì, eterno.
I quattro ragazzi si allontanarono dalla folla e andarono nella casetta di Tharos, dove iniziarono a raccontare delle loro avventure.
Zoe e Antula ascoltavano rapite le descrizioni di Tharos e Nikandros, l’Ade, Atropo e  tutto ciò che mai avrebbero visto. Nessuno li avrebbe mai più separati, ne erano certi.
Mentre Antula e Zoe stavano raccontando ciò che era successo durante la loro assenza, o meglio, quella di Tharos, qualcuno bussò alla porta. Aprì Tharos, che vede comparire davanti ai propri occhi un uomo, forse cinque anni più grande di lui. Riconobbe i suoi stessi lineamenti del viso, i suoi stessi occhi. Con uno sguardo incredulo, i due si fissarono, finché l’ospite non mosse qualche passo in avanti per entrare nell’abitazione.
<< Tu…sei… >>
I due si abbracciarono forte, sentendo finalmente scorrere nelle proprie vene lo stesso sangue, dopo esser stati anni lontani, senza mai aver condiviso le stesse gioie e dolori. Ma ora erano insieme, finalmente.
<< Leukos… >> singhiozzò il ragazzo.
<< Tharos… Fratello mio! >>
<< Fratello… >> quella parola gli faceva uno strano effetto.
<< Sì, fratello! >> aggiunse l’altro.
Si sciolsero dall’abbraccio e si rivolsero un sorriso che avrebbe suggellato il loro ritrovo.
 
Dopo vari discorsi, tutti e cinque uscirono dalla casa. Ormai era scesa la sera, le stelle brillavano nel cielo ateniese e si sentiva, in lontananza, una musica allegra e soave che sapeva di vittoria. Iniziarono a ballare, mescolandosi tra la folla. Tharos, coinvolto da Antula nelle danze, la baciò inaspettatamente: anche quel bacio sapeva di vittoria.
In mezzo a tutta quella serenità e spensieratezza, nel limpido firmamento, cadde un fulmine a ciel sereno. La terra iniziò a tremare, tutti, impauriti, cercavano un punto stabile. Nikandros e gli altri capirono subito che quel terremoto non era assolutamente naturale. 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


In mezzo alla folla comparve, maestoso, Poseidone, che puntava minaccioso il tridente contro Leukos.
Il fratello di Tharos impallidì, stava quasi per perdere i sensi.
Il dio del mare, con gli occhi infuocati e pieni d’ira si fece strada tra la gente che fuggiva verso qualunque luogo spaventata.
 
<< Tu, come hai osato!! >> urlò Poseidone.
Tharos lo guardava esterrefatto, con gli occhi che cercavano urgenti spiegazioni.
<< Di cosa accusate mio fratello, illustre Poseidone? >> s’intromise.
<< Ebbene, tuo fratello ha rubato uno dei cavalli a me sacri nell’isola di Kyma! >>
<< Tharos, non t’intromettere. Sta’ tranquillo, non metterti nei guai. >> gli intimò Leukos.
Tharos annuì rassegnato.
<< Io non avrei mai potuto commettere tale atto, >> rispose << ho solo portato quel cavallo in un’area più verde. >>
<< Menzogne!! >> lo accusò il dio << Non cercare di difenderti, perché su di te cadrà una maledizione, per l’eternità! Che tutti i membri della tua discendenza possano morire annegati nelle acque dell’Egeo! >> sentenziò.
<< Non ne ha il diritto. >> ribatté una voce decisa e dolce al contempo.
Alle sue spalle si stagliò la figura di Atena, dagli occhi gelati come non mai.
Poseidone abbandonò il tridente per terra, sconfitto.
<< Atena, ora riconosco che io, su questa città a te sacra, non posso far nulla. Mi arrendo, colpito al petto dalle tue taglienti parole. >>
<< Va’ tranquillo Leukos. Nettuno, su di voi, non ha alcun potere. >>
E così dicendo le due divinità scomparvero nel cielo.
 
Ci fu chi ebbe da ridire su Leukos e sul suo comportamento, chi fece finta di nulla e tornò alle sue attività.
Quella sera, Tharos, steso sulla sabbia rovente col respiro di Antula mescolato al suo, rifletté su quanto era accaduto.
Aveva ritrovato un fratello, conosciuto Nikandros e ricostruitogli la famiglia. E, cosa più importante, aveva ucciso Atropo.
Ma in cuor suo sapeva che, sicuramente, lo stavano aspettando altre avventure.
 
 
 
FINE

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