Cesare e Lucrezia: Veleno tra i capelli

di Vaene
(/viewuser.php?uid=697168)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una menzogna ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Penitenza ***
Capitolo 4: *** Il corteggiatore ***
Capitolo 5: *** Un ricatto: La sposa di Cesare ***
Capitolo 6: *** L'erede dei Borgia ***
Capitolo 7: *** Il rancore di Sancia ***



Capitolo 1
*** Una menzogna ***


 

Veleno tra i capelli

Una menzogna

 
La serratura era vecchia e stridente ma Lucrezia la fece scattare silenziosamente, trattenendo il passante fino a che non si abbassò del tutto. S’infilò veloce nella stanza richiudendo piano la porta e lasciando dietro di sé il viso scuro e perplesso di Micheletto, di guardia come tutte le sere. “Devo confessarmi urgentemente con Sua Eminenza, che nessuno di voi sgherri ci disturbi”. Quell’uomo le aveva sorriso in un modo inquietante,forse per il pretesto palese,forse pensando alle voci che circolavano per tutta Roma o forse per il tono di comando di lei. Ma infine,con una certa riluttanza, l’aveva lasciata passare. Lucrezia non osava parlarne a suo fratello ma avrebbe preferito che De Corella smettesse di essere L’ombra di Borgia,come lo chiamavano ormai da tempo. Del resto Cesare le avrebbe solo rimproverato di essere timorosa come una bambina. In fondo,non lo era ancora adesso,seppur già madre,poco più d’una bambina?
E anche adesso,come da bambina, spiava il fratello addormentato,avvolto dalle lenzuola candidissime, scosso dal respiro lievemente appesantito.
Osservando il viso che amava ella si maledì,come sempre,per aver deciso di rivolgersi a lui. Stava per voltarsi e uscire quando notò che la mano del fratello era stranamente artigliata al cuscino. Avanzando verso il capezzale Lucrezia scoprì che sotto quel cuscino era nascosto un pugnale che Cesare,levatosi ora di colpo,le stava puntando contro,coi tratti ancora velati dal sonno,ma gli occhi vigili,i capelli stravolti e la mascella serrata.
Egli restò a contemplarla così com’era:immobile e splendida nella sua veste da camera,da cui trasparivano più grazie di quante i suoi occhi di fratello maggiore potessero tollerare. Perché veniva a tormentarlo anche di notte? Ella aveva le mani strette d’istinto attorno alla gola. Aveva avuto paura di lui? Ma la sorpresa di Lucrezia si era mischiata al dispiacere mentre sbottava:”Fratello, sono io! Non riesci più a dormire senza quell’arnese vicino? M’hai spaventata!”. La risata soddisfatta di lui non si fece attendere e qualcosa in lei rispose al suono che al di sopra d’ogni altro adorava e che di recente aveva sentito così poco:”Sorella, ti introduci nei miei appartamenti in piena notte,bianca come un cencio…ho una reputazione da difendere ma potrei benissimo affermare che sia stata tu a spaventare me!” Il sorriso incerto ma delizioso di lei lo risvegliò del tutto. Si era chinata a togliergli il pugnale dalla mano tiepida di sonno- costringendosi a staccarsene subito, ad un tremito impercettibile di lui- per poi riporre l’arma sul ripiano accanto. Lo fissava ora con un’aria di rimprovero e al contempo di scusa: ”Immagino avrai già avvelenato Micheletto,per non averlo d’intralcio! Dunque, a quanto pare la “temibile” Lucrezia Borgia è venuta ad assassinare suo fratello fin nel suo letto pur di non risposarsi.”Lei gli lanciò un’occhiataccia torva che dapprima lo divertì,poi però notò le profonde occhiaie e l’aspetto angosciato di lei. ”Perdonami fratello caro, non riesco a dormire,mio figlio Giovanni stanotte mi ha svegliata piangendo. Non ho più sonno e volevo parlare con qualcuno…e sai che se non parlo con te mi sembra di non poterlo fare con nessuno…” Lui cercando di sminuire tra sé e sé quelle palesi dimostrazioni di devozione non poté impedirsi di risponderle:”Né per me ci sono orecchie o parole più preziose delle tue Lucrezia- ignorò con forza gli occhi di lei che si allargavano felici- so cosa ti affligge sorella,ma sai bene che sarebbe più grande il dolore di vedere tuo figlio alla corte di Napoli,disprezzato e insultato come hanno fatto con noi.” Un gesto stanco della mano,la fronte corrugata,Lucrezia esplose”Giovanni era in lacrime stasera e io, io che prima lo strappavo sempre dal petto della balia,non ho potuto stavolta! Il pensiero di doverlo abbandonare per potermi risposare è atroce…forse una parte del mio cuore preferisce iniziare a separarsene ora per sentirne meno la mancanza più avanti.”Si era accostata al letto sedendosi e al contempo stringendosi le braccia attorno al busto,in un abbraccio silenzioso che aveva tramortito Cesare.
Lo sguardo al suolo, la fanciulla si stringeva a sé stessa ma altre braccia,esitanti,erano pronte alle sue spalle:”E’un sacrificio che ti chiediamo per il bene tuo,del bambino e di noi tutti. Non immagini quanto mi costi aiutare nostro padre a darti via.”.Lucrezia si voltò prima che la stretta di lui si chiudesse su di lei, prima di potersene anche solo accorgere. Era stato allora che aveva iniziato a recriminare:”Darmi via? Come una delle vostre arcidiocesi, come una delle vostre terre… Oh ma il mio bene potrebbe essere qui con voi,con la mia famiglia,se solo fosse diversa! Il mio bene è con mio figlio… con te!” Lui si era allontanato d’istinto mentre lei,riprendendo il controllo di sé, seguitava:”Io vorrei rimanesse tutto com’è adesso. Io tu e Giovanni…” Cesare si fece allora più serio:”Anche se l’ho riconosciuto come mio figlio illegittimo io non sono suo padre”.C’era un tono di rimprovero nella voce di lui che non sfuggì a Lucrezia. Una rabbia controllata le fece sussurrare di getto:”Ebbene a volte vorrei …”S’interruppe serrando la bocca piena e vermiglia, sollevando due occhi inconsapevoli della loro espressione, mentre Cesare si illudeva che ai suoi stessi occhi non stesse accadendo la medesima cosa. “Dunque,cos’è che desideri,Lucrezia?”La sua voce bassa e roca e il tono di aspettativa che vi era nascosto sorpresero perfino lui. “Non avertene a male ma sovente penso che vorrei non essere più la figlia del Papa. Non vorrei nemmeno essere più tua sorella.” Lui sbuffò:”E rinunciare a tutti i privilegi che ne derivano?”Fece una smorfia all’espressione interrogativa di lei. Con più nostalgia di quanta non volesse mostrarne riprese:”E rinunciare alla nostra infanzia insieme? Ricordi Lucrezia,ricordi come siamo stati felici insieme?”Il tentativo di non avvicinarsi a lei era di nuovo fallito.”Non vivremo più nulla di simile in tutta la nostra vita Cesare,lo so.”Lei gli sorrise benevola ma dentro pregava perché lui non si accostasse più di così, perché la luna non inondasse di verde quei due pozzi di splendore che erano gli occhi di suo fratello, uguali eppure diversi dai suoi. Per distrarsi riprese il filo dei ricordi:”Com’era confortante sapere di poter venire da te quando avevo gli incubi da piccola! La mamma era impegnata con la locanda fino a tarda notte,mentre papà non c’era mai…E dire che a quel tempo lo chiamavamo ancora zio..” Cesare sogghignò mentre lei continuava:”Del resto,lui non c’era quasi mai ma la sua presenza gravava sui nostri giochi sempre, ad ogni ora. Quante volte ti ho distratto coi miei scherzi mentre i nostri precettori c’insegnavano le buone maniere: saperci inchinare, saper discorrere in latino e greco,come i figli di un gran signore,far di conto…” Lui giocò coi lacci della veste di lei:”In quello non sei mai stata brava,sorella mia … dovevo aiutarti sempre, di nascosto ovviamente. Sfido che quando me ne sono andato a studiare a Perugia hai fatto impazzire tutti.” Lucrezia fece l’offesa ma poi,di getto,afferrandogli la mano se la portò in alto sul petto, all’altezza del cuore:”Si, li tormentavo chiedendo tue notizie, perché le lettere non mi bastavano e la tua assenza era più intollerabile di qualunque altra cosa e avrei scambiato tutti i doni e le promesse di papà per un futuro roseo, pur di poterti seguire!”La voce di lei si era fatta sottile avvertendo di nuovo quel tremore impercettibile nelle dita di lui.”Sono sempre stato la causa delle tue infelicità …piccole e grandi, che io lo volessi oppure no … rammento quella volta che mi misero in punizione perché avevo rotto il rosario della cugina Adriana spargendone i grani sul sagrato della cappella,facendo scivolare l’Abate…”Lucrezia rise di gusto e lui sentì sotto il palmo il calore della pelle di lei che lottava per sprigionarsi.”Papà m’impose di pregare sulle gradinate dell’altare,in ginocchio per un giorno intero,minacciando che piuttosto di condurmi verso la carriera ecclesiastica mi avrebbe rinchiuso in qualche monastero di montagna. In effetti da allora non mi azzardai più, ma adesso che sto per abbandonare la porpora…” Ora si stringevano le mani,come spesso facevano, eppure mai come allora. “Adesso che stai per liberarti fratello mio…sono così felice per te!” Gli sorrise, radiosa. “Ad ogni modo non l’avrebbe mai fatto Cesare. Ricordi:ci ripeteva sempre che ci avrebbe resi importanti agli occhi del mondo come lo eravamo ai suoi, che saremmo stati la sua forza… e io non sopportavo quei lunghi discorsi seriosi sulla responsabilità filiale...e allora mentre eravamo nel suo studio e lui ci dava le spalle io ti infastidivo giocando coi tuoi boccoli”. E adesso come allora, il contatto di quelle onde di seta nera la riempiva di uno stupore pari solo a quello di lui che,affatto sicuro di sé, non osava imitarla ma la lasciava fare,incoscientemente. Lei con fare accusatorio gli andava dicendo: ”Ma non hai forse dimenticato che quella volta ho raccontato di aver rubato io il rosario alla cugina Adriana, per te?”. ”No,non l’ho dimenticato. Ti sei accusata per venirmi a trovare in chiesa. Quando,provato dalle lunghe ore di penitenza, ho sentito dietro di me i tuoi passettini nella navata-avevi appena 7 anni eppure camminavi già come una donnina!- ti ho vista chinarti accanto a me… e fu allora che mi dicesti ciò che mi ripeto quando ti sono lontano:”Sempre insieme.” 
Stavolta non si era potuto impedire di allungare una mano sul collo di lei, stringendolo piano ma con una forza trattenuta che fece sussultare Lucrezia. “Cesare, da allora io ebbi paura che prima o poi mi avrebbero separata da te di nuovo. Ricordo il giorno in cui partii per Pesaro insieme a quello Sforza che mi faceste sposare. L’idea di dover trascorrere tutto il tempo che prima era mio e tuo,da sola insieme a lui, era angosciante oltre ogni misura!”Cesare digrignò i denti e le chiese, osando per la prima volta parlarne apertamente:”Per liberartene l’abbiamo accusato di impotenza, eppure…?”. “Eppure la prima notte di nozze ebbe luogo e fu orribile!” L’espressione affranta di lei turbò profondamente il fratello. Ecco perché non aveva mai voluto affrontare l’argomento con lei ma solo con suo padre, per occuparsi dell’annullamento. Si erano sempre confidati tutto ma quella volta era diverso. “Non andare oltre…mi basta sapere che tu non avresti mai acconsentito…Basta! Fu un errore concederti a quell’uomo e me ne pentirò per sempre!” Lucrezia inspirò profondamente:”Mentre ero con lui chiudevo gli occhi e immaginavo…”
Cesare si sorprese a sperare,rimproverandosi immediatamente tra sé e sé.”Immaginavo di essere qui e stendermi accanto a te come adesso” Lucrezia si distese sui cuscini enormi, non troppo vicino a lui che intanto si era chinato lievemente su di lei. ”E ora dovrò sposarmi di nuovo con un uomo che non conosco. Ma anche stavolta la colpa è solo tua Cesare! E io che ti difendo!”Gli tirò una ciocca.”Da tutti,da chi dice che hai ucciso tu Perrotto, non sapendo che lui si è tolto la vita, per paura del disonore d'aver tradito la fiducia del Papa che mi aveva messa sotto la sua custodia! Tutti ti calunniano e non immaginano neppure che sei capace di peggio,di spezzare il cuore a tua sorella allontanandola di nuovo da te, dicendole così che non l’ami!” Egli aveva socchiuso gli occhi al ricordo della furia che l’aveva assalito nell’apprendere che Lucrezia era incinta di Perrotto, però preferiva far credere a sua sorella che lui non avesse parte in quella morte. Ma quando si era sentito accusare di non amarla qualcosa in lui si era ribellato:”Io mi assicuro unicamente che noi tutti,tu per prima,restiamo vivi!Procacciando la migliore alleanza che possa garantirci di non precipitare negli abissi,come tutti si augurano. Pensi che mi rallegri vederti passare da un marito all’altro? Pensi che io lo voglia davvero?!”
Vederlo adirato la sconvolgeva sempre ma stavolta c’era qualcos’altro nella sua rabbia e lei gli prese la testa tra le mani,spaventata ma decisa a calmarlo:”Anche da bambino ti accendevi facilmente … e anche da bambino volevi proteggerci tutti. Rubando a Juan la spada di legno per salvarmi dai cattivi!”Le risate infantili di lei per un attimo annientarono lo sgomento che Cesare aveva provato sentendo pronunciare quell’altro nome che lo avrebbe condannato nell’altra vita,semmai ne esisteva una. “Non cambiare argomento,Lucrezia!Come puoi dubitare del mio affetto per te?!”Aveva parlato aspramente e nella foga i loro visi si erano fatti pericolosamente vicini, mentre lei sospirava d’un fiato:”Dunque ti sono cara come sempre!Avevo temuto per un attimo...Oh, non voglio sposarmi!”.Quell’esserino tremante si era gettato tra le sue braccia,singhiozzando e scuotendo il bel capo dorato. Cesare voleva urlarle di rimanere con lui tutta la notte, oppure di andarsene per sempre. Ma invece la strinse sentendo il fiato di lei venir meno,sussurrandole:”Si,mi sei cara … e altrettanto caro pago il prezzo di privarmi di te, sorella mia."
“Non pronunciare quella parola!” Dicendo questo si era forse tradita?No, potevano ancora fingere. Ella aveva sollevato il tondo lucido e umido che era il suo viso.Cesare dovette ingoiare l’amaro del sale,mentre le baciava d’impulso gli occhi,con una foga che scuoteva entrambi.”E’vero allora ciò che hai detto prima:non vuoi più essere mia sorella? E’ perché mi odi?” Lucrezia respirava appena:”No, mai!” ”Inizi a credere a tutte le voci che fanno di me l’anticristo?” Lei scuoteva la testa tentando di sottrarsi,debolmente.”Sai che non devi piangere mai in mia presenza!”. “Non posso piangere con mio fratello?” Le loro frasi si susseguivano freneticamente così come le loro carezze e i baci che si davano su tutto il viso,tranne che sulle labbra. ”Quante volte mi hai chiamato così: fratello… quante volte mi sono morso la lingua…” Lei poggiò la guancia sulla sua e gli mormorò disperatamente all’orecchio:“Perché Cesare?Perché volevi una sorella migliore?Una che non si facesse mettere incinta di un bastardo come noi?” La mise a sedere di colpo e le afferrò il mento in modo brusco”Sciocca! Io ti ho sempre vista come una Madonna, anche dopo il parto, anche dopo le calunnie! Da sempre guardo la sua immagine e vedo te Lucrezia. Sai bene che ti ho sempre adorata!”Gli occhi di lei emanavano una strana luce,la bocca di lui era un gorgo scarlatto verso cui una vertigine l’attraeva sempre di più. ”Cesare!Anch’io ti ho sempre…”Egli attese,bevendosi i lineamenti di lei contratti da una sofferenza improvvisa,osservando la sua resa. Ella aveva abbassato di colpo il capo, come colpita da un’odiosa verità:”Ti ho sempre…ammirato…fratello mio.” Ma a quel patetico ripiego il viso di Cesare si contrasse, mentre una rabbia primordiale lo scagliò su di lei, sulle sue labbra ancora schiuse dalla menzogna che aveva appena pronunciato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Risveglio ***


Un ricordo galleggiava nella mente di Cesare,ancora semiaddormentato. Era impercettibile eppure insistente. Ricordava, o credeva di ricordare, di aver afferrato Lucrezia come mai prima d’allora…L’aveva forse baciata? Con forza,con violenza quasi. Ed ella non l’aveva respinto? No, Lucrezia gli aveva risposto,come se l’attendesse da sempre,allargando le braccia ed accogliendo il suo bacio. Le sue piccole mani si erano aggrappate a quelle di lui,mentre si attiravano a vicenda,confusamente. Era stato allora che le aveva scostato in un gesto solo la nube dorata attorno alla testa,nutrendosi appieno del suo odore,arrivando quasi a morderle le guance,il mento…mentre lei lo avviluppava tra le sue braccia,agitandole su di lui e tutt’attorno a lui,come in una richiesta d’aiuto. Egli aveva sognato,forse, di chinarsi sul petto di lei,strappandole la veste e costringendola a stendersi, per la foga dei baci. Lei afferrandogli la testa,a tratti sembrava volerlo distaccare,a tratti guidare. Lui allora aveva serrato la fronte contro la sua,guardandola per la prima volta da quello scoppio di passione. E finalmente l’aveva presa,sentendola sua oltre ogni legame terreno. Ma ben presto aveva dovuto premere con forza la sua mano sulla bocca di lei che ormai iniziava ad ansimare,l’azzurro degli occhi reso più intenso dallo stupore e da qualcosa d’indecifrabile. Lei gli aveva avvolto le gambe attorno ai fianchi, stringendolo a sé come temesse di vederlo svanire di colpo. Si erano amati così a lungo,fino a quando non l’aveva stretta ancora più forte, avvertendo in lei lo stesso,ultimo fremito. Dopo,una penombra dolcissima era scesa su entrambi …la stessa che si stava diradando ora dai suoi occhi. Lucrezia non era accanto a lui. Il primo pensiero corse subito ad un pentimento di lei e immediatamente avvertì ciò che aveva scacciato tutta la notte. Si sollevò sugli avambracci solo per scoprire che la sorella era rannicchiata ai piedi del letto,ancora nuda. Il mento poggiato sulle ginocchia piegate verso di sè,lo sguardo verso la finestra illuminata dal primo albeggiare,Lucrezia sfiorava piano il crocifisso che portava sempre al collo. Ella aveva ancora negli occhi le immagini della sera prima. Rammentava di non aver opposto resistenza all’assalto di lui. Qualcosa si era liberato in lei appena Cesare l’aveva baciata ed ella si era sentita finalmente sé stessa quando lui l’aveva spogliata,il suo cuore non aveva smesso di tormentarla nel petto un attimo,mentre lui la afferrava con una forza che lei non gli conosceva ancora. La gioia di averlo finalmente così vicino,più che vicino,di sentire la passione di lui,fuori di sé,sovrastarla e scuoterla tutta … era stato più di quanto si fosse ingannata di non desiderare. Ella aveva perso percezione di tutto tranne che di lui. Mentre lo attraeva a sé, artigliando la sua schiena,arrivando a mordere i muscoli delle sue braccia,lottava col suo respiro, lasciandosi prendere da lui sempre di più,per poi alla fine dover premere le labbra sul cuscino ed arrendersi insieme a lui. Poi si era svegliata. A lungo non aveva osato voltarsi verso Cesare, prima di costringersi ad osservarlo infine,ancora più innamorata e frastornata. Sfiorarlo le era bastato per doversi rifugiare ai piedi del letto,da dove ora si accorse dello sguardo calmo di lui,assonnato,felice e al tempo stesso imperscrutabile. Strinse più forte il crocifisso,restituendogli quello sguardo che non gli aveva mai visto in viso.“Preghi?”.La voce di lui era più bassa del solito o forse era una sua impressione. Lucrezia aveva sorriso debolmente,sussurrando appena:”Prego per noi…” L’espressione ansiosa, quasi ferita di lui le arrivò come una stilettata. Il tono di prima vacillò mentre lui le chiedeva d’un fiato:”Dimmi che non rimpiangi nulla… dimmi che non devo sentirmi un essere abietto, che ho ancora- anzi,ancora di più!- il tuo am...”Non aveva potuto terminare perché un singhiozzo senza lacrime era sfuggito dalla gola di Lucrezia e il suo viso si era come accartocciato in un’espressione quasi infantile. Ma ella si costrinse a non piangere e a sussurrare:”Ho supplicato l’Altissimo di concedermi almeno il senso di colpa,di poter maledire ciò che è successo stanotte,di poter rinnegare tutto,noi due, questo …”Cesare si era avvicinato,non riuscendo a trattenere un sorriso di sollievo mentre si fermava davanti al suo corpicino ancora rannicchiato,allungando una mano e posandola lievemente sul capo di lei.”Ho creduto volessi annientarmi,dicendomi che ormai pensavi a noi due come a dei mostri. Lucrezia,per un istante ho temuto di perderti!”C’era risentimento velato nelle parole di lui,compassione nell’espressione di lei. Finirono per adagiarsi uno sull’altro.”Cesare, non riesco a concepire il pensiero che noi due siamo un peccato,qualcosa contro natura…” La interruppe e l’afferrò, frenetico:”Voglio sentirtelo dire,quello che ho sempre intravisto nei tuoi come nei miei occhi,in tutti i tuoi gesti…”.Le baciava il collo e lei sussultava avvertendo il fiato tiepido di lui mentre le parlava. Di colpo lo scostò,fissandolo intensamente,con devozione,per poi ricordargli: ”Non te l’ho forse urlato tutta la notte? Fratello mio,che Dio mi perdoni …io ti amo!”. Gli occhi di lui esultarono mentre le donava le parole che anche lei aveva agognato:”Ti amo, ti ho sempre amata Lucrezia!Il perdono di Dio non aggiunge né toglie nulla a ciò che sento per te!”L’espressione spaventata di lei lo animò ancora di più:”D’altronde,sorella mia, non è forse l’amore ciò su cui si basa tutto il suo credo? E in cosa gli facciamo torto amandoci?”Le aveva serrato le mani nelle sue ma lei ora balbettava:”Egli è buono e ci grazierà perché è Lui che ci ha fatti nascere sotto lo stesso tetto,è Lui che ci ha condotti lui l’uno tra le braccia dell’altra… Oh, cosa riesce a escogitare il mio cuore pur di non accusarci?! Non è piuttosto il demonio ad averci ispirati? Cosa siamo diventati Cesare?”. Egli la fissò a lungo prima di risponderle:”Ciò che siamo sempre stati,ciò che eravamo davvero:Cesare e Lucrezia.Senza altri appellativi,senza obblighi,senza null’altro che non fossimo noi. Ecco cosa siamo stati stanotte e cosa siamo per me.”La sicurezza di lui la colpì in un modo che non immaginava.”Sei sempre stato così … quando voglio allontanarmi da te dici qualcosa che mi fa innamorare ancora di più!”Stava tornando ad accarezzargli i boccoli quando un colpo improvviso alla porta li fece sobbalzare entrambi,aggrappandosi uno all’altra. La voce roca di Corella li raggiunse da oltre la porta.”Vostra Eminenza vogliate perdonarmi ma hanno mandato a dire che Sua Santità vostro padre chiede di parlare con voi.” Non si sarebbe fidato di nessuno normalmente ma sapeva che Miguel era un’eccezione. La lealtà di quell’uomo era sopra ogni sospetto. Già dalla sera prima sapeva con certezza che egli non avrebbe mai rivelato che la sorella si era attardata tutta la notte presso di lui. Pensando già a come ricompensarlo ordinò:”Che si prepari un boccone veloce e le mie vesti migliori.”. “Come comandate, mio signore.”Lucrezia aveva sussultato al sentir pronunciare la parola ”padre”. L’aveva guardato, come persa, ora che il rumore dei passi giù per le gradinate rimbombava nelle teste di entrambi. Lucrezia era stata la prima a muoversi. Si mise a frugare tra le coperte in cerca della veste, ridotta ormai a poco più di un lembo di seta che però si infilò lo stesso, velocemente,in silenzio. Infine si alzò, prese un ampio mantello di broccato azzurro che giaceva su una sedia lì vicino e se lo pose sulle spalle,abbassando il cappuccio.”Prenderò il passaggio che conduce all’altra ala del palazzo apostolico sperando che nessuno mi fermi. Le mie dame avranno notato che la mia assenza si è prolungata più del previsto, è meglio che vada.”Stava per voltarsi quando lui la trattenne per un polso.”So cosa hai provato poc’anzi Lucrezia. Siamo stati dei folli a dimenticarci di “lui”, ma non scoprirà nulla se saremo abili nel nasconderglielo.”Lei per un attimo si chiese se Cesare temesse l’ira legittima di un padre verso due figli colpevoli d’incesto, oppure la gelosia di un uomo che si diceva fosse consumato da un amore insano per la figlia. Gli sguardi insistenti del padre le facevano temere la veridicità di quelle dicerie. Questo,unito al discorrere di sotterfugi,così come di passaggi segreti,rattristò ancora di più Lucrezia che gli posò mollemente una mano sulla guancia:”Credi che lui…?” Cesare scosse la testa,esasperato.”No, sono menzogne!”Lei socchiuse gli occhi:”Vorrei fosse lo stesso per noi… Basta ora! Ti rivedrò fin troppo presto …e morirò al pensiero di non poter fare questo…”L’aveva baciato brevemente ma con forza:”Oh Cesare, penso anche a nostra madre… devo vederla…” “Non vorrai tradirci Lucrezia?!”. La furia nell’aspetto di Cesare le fece mordere le labbra:”Voglio solo parlare con mia madre,nostra madre…lei forse ci capirebbe…No,sto delirando! Fammi andare via,non so più ciò che dico,ciò che penso…”. Si svincolò e aprì il passaggio nascosto dietro un ampia specchiera,non prima di vedervi riflessa per un momento l’immagine sua e di suo fratello: lei che gli dava le spalle,un’ombra su suoi lineamenti, lui smarrito e immobile. Gli sorrise stancamente dal riflesso e uscì.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Penitenza ***


RIENTRARE NELLE SUE STANZE DOPO QUELLA NOTTE MIRACOLOSA FU TRAUMATICO PER LUCREZIA. LE SUE DAME DI COMPAGNIA INTERRUPPERO IL RICAMO,NONCHÉ LE CHIACCHIERE E LE RISATINE,AL SUO APPARIRE SULLA SOGLIA,AVVOLTA DI NERO,SCARMIGLIATA E VISIBILMENTE TURBATA. DA QUEL POCO CHE AVEVA COLTO DALLA CONVERSAZIONE APPENA INTERROTTA, STAVANO TUTTE SCOMMETTENDO SU CHI POTESSE ESSERE IL FORTUNATO AMANTE DELLA NOTTE APPENA TRASCORSA,LAMENTANDOSI DELLE SUE FREQUENTI SPARIZIONI,TEMENDO DI CERTO LA PUNIZIONE DI SUA SANTITÀ. NON RIUSCÌ A TRATTENERSI DALL’AGGROTTARE LE SOPRACCIGLIA MENTRE ORDINAVA:”FATE CHIAMARE MIA MADRE E POI LASCIATECI SOLE.”CHE PENSASSERO CIÒ CHE VOLEVANO, CHE LA LASCIASSERO SOLA. SAPEVA BENE CHE FARLE PUNIRE O SOSTITUIRE SAREBBE STATO INUTILE. SEPPUR RILUTTANTE A DISFARSI COSÌ PRESTO DELL’ODORE DI CESARE,NON SALTAVA MAI LE ABLUZIONI MATTUTINE, PERCIÒ DOPO AVER ORDINATO DI FAR PORTARE DELL’ACQUA CALDA PER RIEMPIRE L’ENORME VASCA AL CENTRO DELLA STANZA,VI S’IMMERSE, MANDANDO VIA ANCHE LE SUE FEDELI SARACENE,STENDENDO INFINE LE GAMBE INDOLENZITE DALLA PASSIONE E ASSAPORANDO QUELLA DOLCE STANCHEZZA CHE L’AVVOLGEVA.

DOPO UN TEMPO CHE SEMBRÒ INFINITO FU LA VOCE DI VANNOZZA A FARLA RIAVERE. “HAI UN ASPETTO MAGNIFICO FIGLIA MIA…SEMBRI…RADIOSA COME UNA SPOSA”. LUCREZIA AVEVA SORRISO CANDIDAMENTE ANCOR PRIMA DI RIAPRIRE GLI OCCHI, SCORGENDO SUA MADRE SEDUTA,LE MANI UNITE, L’ESPRESSIONE DI ORGOGLIO MATERNO IMPRESSA NEI LINEAMENTI SEGNATI DAL TEMPO,MA ANCORA ELEGANTI. ”VI RINGRAZIO MADRE MIA…VI HO FATTO CERCARE PER PARLARVI…DEL MIO MATRIMONIO.” “SAI BENE CHE NON HO PIÙ L’ASCENDENTE DI UN TEMPO SU TUO PADRE, NON POSSO AIUTARTI E ME NE DOLGO, CREDIMI,MA NON C’È ALTRO CHE IO POSSA FARE SE NON CONSIGLIARTI DI ACCETTARE DI BUON GRADO LE SCELTE DI TUO PADRE… E DI TUO FRATELLO.” LUCREZIA NON SI STUPÌ CHE SUA MADRE AVESSE INDOVINATO SUBITO IL MOTIVO DELLA SUA VISITA. SOSPIRÒ E POGGIÒ IL MENTO SUL BORDO DELLA VASCA.”VOI AVETE AVUTO TRE MARITI, IO SONO GIÀ AL MIO SECONDO MARITO …NON SO SE AVRÒ LA VOSTRA TENACIA PER SOPRAVVIVERE.” LE SOTTILI RUGHE ATTORNO ALLA BOCCA DI VANNOZZA SI ANIMARONO.“BAMBINA MIA,ALMENO NON HO PROVATO LA FRUSTRAZIONE DI DOVER SOPPORTARE LO STESSO UOMO PER ANNI”. RISERO INSIEME,MA SUBITO LUCREZIA SI FECE SERIA.”PERÒ DI CERTO NON AVRETE AMATO NESSUNO COME MIO PADRE…IL FATTO È CHE IO NON POSSO AMARE ALFONSO D’ARAGONA,LO SO GIÀ,PRIMA ANCORA DI CONOSCERLO.””PENSI CHE TUO PADRE E TUO FRATELLO VOGLIANO OBBLIGARTI AD AMARLO? SAI BENE CHE CIÒ NON CONTA.” LUCREZIA SCOSSE IL CAPO E A QUEL MOVIMENTO LE CIOCCHE DORATE ONDEGGIARONO LIEVEMENTE.”ALLORA LI ODI PERCHÉ PENSI CHE TI USINO? PENSA QUESTO:SE NON TI TENESSERO IN GRAN CONTO NON FAREBBERO DI TE IL PERNO DEI LORO PROGETTI.” LUCREZIA PROTESTÒ VIVAMENTE:”CESARE NON MI USEREBBE MAI!” FORSE LO STATO DI DORMIVEGLIA DAL QUALE SI ERA APPENA SVEGLIATA,OPPURE CIÒ CHE AVEVA APPENA VISSUTO LA RENDEVANO PIÙ IMPRUDENTE. VANNOZZA LA FISSÒ A LUNGO.“SEI DIVERSA STAMANE FIGLIA MIA…NON PUÒ ESSERE SOLO IL POVERO ALFONSO D’ARAGONA A TURBARTI… INOLTRE,A QUEL CHE SO È CONSIDERATO DA TUTTI UN BEL GIOVANE…”. LA RAGAZZA SI PROIBÌ DI SGRANARE GLI OCCHI EPPURE FU QUELLO CHE FECE.”PER QUEL CHE VALE! NON POTRÀ MAI SOSTITUIRE IL PADRE DI MIO FIGLIO,TANTOMENO…” SI ERA INTERROTTA BRUSCAMENTE. “TANTOMENO L’UOMO CHE AMI DA SEMPRE.” LUCREZIA LASCIÒ CADERE MOLLEMENTE LE MANI DENTRO L’ACQUA. LA SUA VOCE ERA TORNATA SICURA E FERMA MENTRE LE CHIEDEVA,FINGENDOSI DIVERTITA:“COSA VI VIENE IN MENTE MADRE MIA?” UN SOSPIRO SOLLEVÒ IL PETTO DELLA DONNA “L’HO SEMPRE SAPUTO IN FONDO…UNA MADRE NON È CIECA QUANTO UN PADRE A VOLTE PUÒ ESSERLO…L’OSTINAZIONE DI RODRIGO A CONFINARE CESARE NELL’ABITO TALARE NE È UNA CONFERMA…ANCHE SE COME BEN SAI, LUI È IN PROCINTO DI SEGUIRE LA SUA STRADA ORMAI, ABBANDONARE LA PORPORA,PRENDERE MOGLIE…”. UNA LAMA IMPIETOSA SI FECE STRADA NEL PETTO DI LUCREZIA, SI ERA ALZATA DI SCATTO DALLA VASCA,EMETTENDO UN SUONO INORRIDITO, RIMANENDO NUDA,IN OGNI SENSO POSSIBILE,DI FRONTE ALLA MADRE CHE SI ERA VOLTATA NUOVAMENTE VERSO DI LEI.”FINGERE CON GLI ALTRI È INDISPENSABILE E NE SEI SEMPRE STATA CAPACE FINORA LUCREZIA, MA SONO PUR SEMPRE TUA MADRE…E TU SEI PUR SEMPRE UNA DONNA INNAMORATA. NON C’È BISOGNO CHE TI DICA CHE BEN PRIMA DI ASSISTERE A QUESTA TUA REAZIONE IO SAPESSI CON CERTEZZA CHI HAI NEL CUORE. DOPO AVER PREDISPOSTO OGNI COSA PER LA TUA FELICITÀ, ALL’ULTIMO MOMENTO ANCH’EGLI È VENUTO A CHIEDERMI CONSIGLIO,GIORNI FA, IN UN MODO TALMENTE ACCORATO CHE,UNITO ALLA TUA CONFESSIONE INVOLONTARIA DI ADESSO, HA DISSIPATO I SOSPETTI DI TANTI ANNI”. LUCREZIA DESIDERÒ GETTARSI DI NUOVO TRA QUELLE ACQUE,ANNEGARVI. SUA MADRE SI ERA VOLTATA PRONUNCIANDO LE ULTIME PAROLE. LE DAVA LE SPALLE E LA SUA VOCE SEMBRAVA PROVENIRE DA UN’ALTRA STANZA, MA LEI ERA ANCORA LÌ,IMMOBILE.”OH FIGLIA MIA! QUANTE VOLTE HO VOLTATO IL VISO VEDENDOVI FELICI INSIEME,FIN TROPPO FELICI,FIN TROPPO PERSI NEL VOSTRO MONDO … MA IO NON VI ACCUSO,NO,SIETE I MIEI BAMBINI, I MIEI ANGELI…SOLO,TE NE PREGO:NON CADERE INSIEME A LUI! NON OLTREPASSATE QUEI CONFINI CHE UNA VOLTA SUPERATI NON POTRANNO MAI RESTITUIRVI A VOI STESSI. TI CHIEDO SOLO QUESTO,CONTINUATE AD AMARVI COME AVETE FATTO FIN’ORA E IO CONTINUERÒ A VEGLIARVI COME PIÙ MI SARÀ POSSIBILE.” LUCREZIA AVEVA TENTENNATO FINO AL TELO ACCANTO ALLA VASCA, GETTANDOSELO ADDOSSO DISPERATAMENTE,LANCIANDO A VANNOZZA SGUARDI CHE ERANO ALTRETTANTE RICHIESTE D’AIUTO,DOMINANDOSI PER NON URLARE:”MADRE, PERCHÉ NON AVETE FATTO NULLA PER IMPEDIRLO? PERCHÉ NON CI AVETE GUIDATI? NÉ VOI NÉ NOSTRO PADRE! LUI NE È AL CORRENTE? NE AVETE PARLATO MAI PRIMA D’ORA? VI SUPPLICO, DITEMI CHE NON È COSÌ, DITEMI CHE NON DEVO GUARDARE A LUI SPERANDO NELLA SUA ASSOLUZIONE SE NON IN QUELLA CELESTE!” VANNOZZA L’ABBRACCIÒ DI GETTO, CAREZZANDOLE LA TESTA ANCORA UMIDA:”AVREI FORSE DOVUTO SEPARARVI PIÙ DI QUANTO NON LO SIATE GIÀ STATI? NON IMPUTARE LA COLPA A ME,NÉ A TE O A CESARE…NON È IL GENERE DI COSE SU CUI SI HA LIBERO ARBITRIO FIGLIA MIA,DOVRESTI SAPERLO. ORA CALMA,RICHIAMA LE TUE DONNE, VESTITI E VAI A PARLARE CON LUI. DIGLI CHE HAI COMPRESO CHE PER IL BENE DI ENTRAMBI,PER IL BENE DELLA FAMIGLIA, ACCONSENTI A QUESTE NOZZE, A METTERE NAPOLI TRA VOI DUE,PRIMA CHE CADIATE IN TENTAZIONE IRREPARABILMENTE.” LUCREZIA SENTÌ UNA FITTA AL PENSIERO DI AVER TRADITO LA FIDUCIA DELLA MADRE. ELLA DAVA PER SCONTATO CHE I DUE GIOVANI NON AVESSERO PECCATO FINO A TAL SEGNO, FORSE RIGETTANDO L’IDEA,SPERANDO ANCORA DI POTER PORRE RIMEDIO. SI STACCÒ DALL’ABBRACCIO E SOGGUARDÒ AFFETTUOSAMENTE VANNOZZA.”COME DESIDERATE MADRE MIA.” SAPENDO BENE DI MENTIRE.


CESARE,ANCORA EBBRO DI PIACERE,AVEVA FATICATO A RIMANERE IMPASSIBILE MENTRE I VALLETTI GLI GIRAVANO INTORNO VESTENDOLO DI TUTTO PUNTO.NON AVEVA POTUTO SMETTERE DI MORDERSI LE LABBRA AL PENSIERO DI CIÒ CHE ERA APPENA ACCADUTO, A CIÒ CHE SAREBBE ANCORA POTUTO ACCADERE...UNA VOLTA ENTRATO DA SUO PADRE DESIDERÒ ARDENTEMENTE TROVARSI DA TUTT’ALTRA PARTE. MA RODRIGO, PESANTEMENTE ABBIGLIATO D’ORO E PORPORA, SOSTAVA IMPERIOSO DINNANZI UN’AMPIA FINESTRA, SCORRENDO ALCUNE CARTE CON FARE ATTENTO E CONCENTRATO, VOLGENDOSI ALLA LUCE CHE ORMAI PENETRAVA INTENSA. IL PROFILO NETTO DEL GENITORE AVEVA SEMPRE IMPRESSIONATO I FIGLI, CON QUEI TRATTI DECISI E MARCATI, IL NASO ADUNCO, LO SGUARDO SPORGENTE ED AMBIGUO,CHE PAREVA VOLESSE AFFERRAR TUTTO CIÒ CHE SI TROVAVA INNANZI E NON SOLO. IN QUEL MOMENTO SEMBRAVA DAVVERO PIÙ GIOVANE DELLA SUA ETÀ. UN UOMO NEL PIENO DEL SUO VIGORE. PER UN ATTIMO CESARE DOVETTE REPRIMERE UN MOTO DI FOLLE,INSENSATA GELOSIA,AL PENSIERO DELLE VOCI SU LUCREZIA E RODRIGO. AVEVA RIBADITO A SUA SORELLA CHE ERANO MENZOGNE. MA NE ERA DAVVERO COSÌ CERTO? PRIMA CHE POTESSE RISPONDERSI SUO PADRE DISTOLSE LO SGUARDO DALLE SCARTOFFIE, SORRIDENDO SODDISFATTO E CORRENDOGLI INCONTRO.”FIGLIO MIO! PORTI IN VISO IL FULGORE DI APOLLO STESSO STAMANE!” E GHIGNANDO ANCORA LO OSSERVAVA, TRONFIO,STRINGENDOGLI LE SPALLE TRA LE AMPIE MANI. “OH, MA INSOMMA LA TONACA NON TI SI ADDICEVA INVERO…QUESTO VECCHIO TORO TESTARDO AVREBBE DOVUTO RICONOSCERLO A TEMPO DEBITO,EH? UN’ALTRA NINFA STANOTTE HA SUGGELLATO IL SUO VOTO A TE…O SU DI TE A QUANTO PARE...NON SENZA IL TUO CONSENSO IMMAGINO, FIGLIOLO!” LE RISATE DI APPROVAZIONE DI RODRIGO NORMALMENTE INORGOGLIVANO CESARE,CHE COME SUO PADRE NON SI PREMURAVA DI NASCONDERE LE SUE AVVENTURE,MA QUELLA MATTINA SEGUÌ CON ORRORE LO SGUARDO MALIZIOSO DEL PONTEFICE E SI ACCORSE CHE MIRAVA AL SUO COLLO. NON EBBE BISOGNO DI UNO SPECCHIO PER REALIZZARE CHE LA NOTTE PRIMA DOVEVA AVER LASCIATO DEI SEGNI,FORSE LE UNGHIE DI SUA SORELLA…CHE SUO PADRE SE NE BEASSE INCONSAPEVOLMENTE GLI SEMBRÒ TALMENTE PARADOSSALE DA FARGLI TEMERE PER UN ATTIMO CHE GLI OCCHI GLI SFUGGISSERO DALLE ORBITE.”PADRE, DEVO PARLARVI RIGUARDO A LUCREZIA…HO RICONSIDERATO LA QUESTIONE DELLE SUE NOZZE E MI SONO CHIESTO SE NON SIA MEGLIO ATTENDERE DI TROVARE UN MIGLIOR ALLEATO ALLA NOSTRA CAUSA. DEL RESTO, ANCHE QUANDO DECIDEMMO DI DARLA IN SPOSA A GIOVANNI SFORZA TALE SCELTA SI RIVELÒ ERRATA IN BREVE TEMPO.” RODRIGO TORSE IL NASO,GUIDANDO IL FIGLIO VERSO UNA POLTRONA RICCAMENTE DECORATA,SEGUITANDO:”CESARE, COS’È QUESTO DISCORRERE?NON È DA TE...AVRAI DI CERTO ECCEDUTO NEL BERE IERI NOTTE OLTRE AL RESTO…MA DOVREMO RICONSIDERARE IL TUO APPREZZAMENTO PER LE GIOVANI ROMANE DATO CHE…EBBENE? PERCHÉ POSPORRE LA LIETA NOVELLA? IL RE DI FRANCIA ACCONSENTE ALL’ACCORDO COL QUALE NOI GLI GARANTIAMO L’ANNULLAMENTO DEL SUO MATRIMONIO,IN CAMBIO, TRA LE ALTRE COSUCCE DA NULLA, DELLA MANO DI CARLOTTA D’ARAGONA! IL PARTITO CHE AGOGNAVI DA TEMPO, LA POTENZIALE EREDE AL TRONO DI NAPOLI, FIGLIO MIO, MIO BENE!” CESARE FINORA AVEVA SOLO VAGHEGGIATO DI QUELL’UNIONE INSPERATA CHE GLI AVREBBE CONSENTITO DI VOLGERE LE SORTI IN SUO FAVORE E COSTRUIRSI UN REGNO CHE LO RENDESSE INDIPENDENTE DAL POTERE DEL PADRE, DAI SUOI FAVORI. IN QUEL MOMENTO L’IMMAGINE DI LUI E LUCREZIA AVVINTI SEMBRÒ ONDEGGIARGLI DAVANTI,SOLO PER UN ATTIMO. POI,COME TRAMUTATO, VIDE SÉ STESSO A CAPO DI UN'ESERCITO,NO,DEL PIÙ GRANDE ESERCITO DEL MONDO CONOSCIUTO. STAVA PER ESULTARE QUANDO,GUARDANDOSI ATTORNO LANCIÒ UNO SGUARDO DI RIMPROVERO AL PADRE. MA PRIMA DI POTER PROFERIRE ALCUNCHÉ EGLI LO INTERRUPPE, COME SUCCEDEVA FIN TROPPO SPESSO, RIFLETTÉ CON FASTIDIO IL GIOVANE:”OH, NON C’È PIÙ BISOGNO DI SEGRETEZZA ORMAI. A BREVE TI SVESTIREMO E ANCORA PIÙ A BREVE SARAI TU A SVESTIRE CARLOTTA!” LA RISATA GONGOLANTE DI RODRIGO RIECHEGGIÒ NELLA STANZA DALL’ALTO SOFFITTO E FINEMENTE AFFRESCATA. CESARE DIEDE UNA PACCA ALLA SPALLA PATERNA E INFINE SI LASCIÒ ANDARE SULLA POLTRONA,ACCAVALLANDO LE GAMBE:”CHE TRIONFO AVER PIEGATO UN SOVRANO AL NOSTRO VOLERE PADRE! NESSUNO AVREBBE CREDUTO CHE IO,UN BASTARDO, POTESSI ANCHE SOLO ASPIRARE A SALIRE SU UN TRONO! INVIDIOSI E MESCHINI, CREDONO DI POTERCI INDEBOLIRE A FORZA DI TRADIMENTI E MALELINGUE- SI VERSÒ DA BERE DA SÉ,COSTRINGENDOSI A NON SEGUIRE IL CORSO DEI PENSIERI RIANIMATI DA QUELLA PAROLA DA LUI STESSO PRONUNCIATA- MA IO VI GIURO PADRE MIO CHE RENDERÒ IL GIUSTO COMPENSO A COLORO CHE CI HANNO OSTEGGIATI. CARLOTTA SARÀ MIA,NAPOLI SARÀ MIA,MA SARANNO SOLO LE PRIME DI INNUMEREVOLI RESE!” BRINDARONO,RAGGIANTI. “FIGLIO MIO,MIO ASTRO… COSTEI NON CEDERÀ FACILMENTE. I MIEI INFORMATORI MI DICONO ANZI CHE È GIÀ IMPEGNATA CON UN TALE GUY, MA NON DUBITO CHE SAPRAI DISTRICARTI CON LA CONCORRENZA,COME SEMPRE,RIUSCENDO AD AVERLA VINTA, NEVVERO?”. CESARE FECE UN CENNO DI ASSENSO COL CAPO, OSSERVANDO L’ENORME CARTINA SOPRA LA TESTA DEL PADRE E FAVOLEGGIANDO TRA SÉ E SÉ CHE QUANDO SUO PADRE SAREBBE MORTO LUI AVREBBE DOVUTO AVERE ALLE SUE SPALLE UN SOLIDO IMPERO, SLEGATO DAL POTERE PAPALE CHE DI CERTO NON SAREBBE RIMASTO NELLE MANI DEL PADRE IN ETERNO. DISGRAZIATAMENTE, SI DISSE. INTANTO IL PADRE SI MOSTRAVA CIARLIERO E PIENO DI GRANDI PROPOSITI, COME SEMPRE, PER INDEBOLIRE I LORO DETRATTORI. NORMALMENTE EGLI CONTRIBUIVA VIVACEMENTE A QUEI DISCORSI MA IN QUELL’OCCASIONE PENSAVA SOLO A COME COMUNICARE IL TUTTO A LUCREZIA.

CON GLI STESSI PENSIERI SI SEDETTE ALLA GRANDE TAVOLA IMBANDITA, TRA I NOTABILI, SOLO PER RENDERSI CONTO CHE LA SORELLA NON AVEVA PRESO PARTE AL PRANZO, PREFERENDO CONSUMARE IL PASTO DA SOLA NELLE SUE STANZE. SUO PADRE AVEVA SBUFFATO INFASTIDITO NELL’APPRENDERLO DA UN VALLETTO AFFANNATO DALLA CORSA. CESARE DECISE ALLORA DI CHIEDERE”UDIENZA”ALLA SORELLA NEL POMERIGGIO, SOLO PER SCOPRIRE DI ESSERE STATO INVITATO A CACCIA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE, UOMO DI VITALE IMPORTANZA PER LA TRATTATIVA IN ATTO. NON POTENDO RIFIUTARE ED ESSENDO IN FONDO LA CACCIA UNA SUA GRANDISSIMA PASSIONE, ACCETTÒ E RIMANDÒ IL CHIARIMENTO CON LA SORELLA. ELLA TRASCORSE IL RESTO DEL POMERIGGIO IN GIARDINO LEGGENDO, CULLATA DALL’ALTALENA DI STOFFE INTRECCIATE DALLE SUE SARACENE, VOLGENDO TALVOLTA L’AZZURRO DEGLI OCCHI A QUELLO PIÙ SCURO DEL CIELO, SPERANDO NON PIOVESSE.IL SUO CUORE IN QUEL MOMENTO ERA COSÌ CANGIANTE CHE TEMEVA PERFINO IL MALTEMPO,QUANDO INVECE ADORAVA LA PIOGGIA. ANNOIATA,AVEVA INIZIATO A GIOCARE CON LE SUE DAME, SEDUTE IN CERCHIO SUL PRATO, CANTANDO FILASTROCCHE PER DISTRARSI. NON AVEVA AVUTO IL CUORE DI ANDARE A VEDERE SUO FIGLIO QUEL GIORNO. NON ANCORA...AD UN TRATTO,QUANDO STAVA PERDENDO IL FILO DEL GIOCO,NON POTÉ FARE A MENO DI SOBBALZARE SCORGENDO CESARE SOTTO LE AMPIE ARCATE,INTENTO A FISSARLA,POGGIATO AD UNA COLONNA,SPLENDIDO COME E PIÙ DI SEMPRE. LE FANCIULLE, OSSERVANDO IL TURBAMENTO DELLA LORO SIGNORA CHE AVEVA INTERROTTO UNA CANZONE A METÀ,STONANDO PLATEALMENTE,SI VOLTARONO VERSO IL GIOVANE, TRATTENENDO A STENTO DEI SORRISINI CHE NON SFUGGIRONO A LUCREZIA. DI NUOVO QUEI SORRISI! ERA CIRCONDATA DA GENTE CHE RIDEVA CONTINUAMENTE MENTRE ORMAI A LEI SPESSO COSTAVA ENORMEMENTE NON CORRERE VIA. COSA CHE AVREBBE VOLUTO FARE ADESSO...UNA GELOSIA MUTA SEMBRÒ VOLERLE PERFORARE LO SGUARDO PER ARRIVARE FINO A QUELLO CALMO E VERDE DI CESARE. “LASCIATECI SOLI...TUTTI” INCLUDENDO NELL'ORDINE ANCHE LE GUARDIE SOTTO LE VOLTE, CHE FURONO LE PRIME AD USCIRE,SEGUITE DA UN TURBINIO DI GONNE E NASTRI CHE SI DISSOLSE OLTRE L’IMMENSO PORTONE CHE CONDUCEVA ALL’INTERNO DEL PALAZZO APOSTOLICO. LA BELLA TESTA CORVINA DI CESARE SI VOLTÒ APPENA AL PASSARE DELL'ULTIMA,UNA BIONDINA DI CUI NON RICORDAVA MAI IL NOME,PRIMA CHE IL RUMORE DEI BATTENTI RIMBOMBASSE NEL GIARDINO A CHIOSTRO. LUCREZIA INTANTO SI ERA SOLLEVATA LE GONNE RIMETTENDOSI IN PIEDI."STAVOLTA CHI HAI MESSO INCINTA?SONO DI NUOVO ZIA E NON NE AVEVO NEMMENO IDEA?"CESARE STORSE LE LABBRA,RISPONDENDOLE DI RIMANDO:"LE MANDI IN GIRO PIÙ SCOLLATE DI TE,COSA CREDI CHE IO SIA UN SANTO?TI HO GUARDATA PER ANNI...DIAMINE,AVREI DOVUTO RISERVARE A TE QUELLE ATTENZIONI?PER POI SENTIRE,COME ADESSO,IL MORSO DELLA TUA GELOSIA?""E IO NON L'HO FORSE SENTITO IL TUO?QUANDO MI FIDANZARONO LA PRIMA VOLTA A QUEL GASPARE DA PROCIDA?AVEVO 12 ANNI,TU APPENA 17,EPPURE MI FACESTI SENTIRE TALMENTE IN COLPA,COME UN'INNAMORATO!E MI ACCUSAVI,COME SE L'AVESSI SCELTO IO!" I LINEAMENTI DI ENTRAMBI,ORA PERVASI DALLA COLLERA,SI RASSOMIGLIAVANO PIÙ DEL SOLITO. CESARE NOTÒ CHE LEI STRINGEVA I PUGNI CON FORZA. SI ERA DIRETTA ORA ALLA FONTANA CHE ORNAVA IL CENTRO DEL GIARDINO, PER FERMARSI AL BORDO E OSSERVARE I PESCI CHE SI CONTENDEVANO IL POCO SPAZIO A DISPOSIZIONE. “SPESSO MI SONO SENTITA COSÌ. SENZA SPAZIO, SENZ’ARIA,SENZA VOCE. MA CREDEVO DI POTERMI FIDARE ALMENO DI TE.” CESARE,PUNTO SUL VIVO,L’ABBRACCIÒ DA DIETRO,CON FORZA,MA LEI SI SCOSTÒ. “HAI SAPUTO OGNI COSA,VERO LUCREZIA?”. LA MASCELLA DI LUI ERA SERRATA, LE LUCI RIFLESSE DALL’ACQUA SI ACCENDEVANO NEI SUOI OCCHI. LUCREZIA GLI ESPLOSE IN FACCIA:”HO SAPUTO CHE È STATO INUTILE DONARTI CIÒ CHE NON AVEVO MAI DONATO A NESSUNO…” “IL TUO CORPO?” LA RABBIA NELLA VOCE DI LUI AUMENTÒ QUELLA DI LEI CHE ALZÒ UNA MANO PER SCHIAFFEGGIARLO,SOLO PER INCONTRARE LO SGUARDO IMPERTURBABILE DI LUI. SI FERMÒ A MEZZ’ARIA,CONTINUANDO:”LA MIA ANIMA,DEMONIO,LA MIA ANIMA!NOSTRA MADRE CREDE CHE CI AMIAMO DI UN AMORE PIÙ PURO DI QUELLO DEGLI ANGELI E LO CREDEVO ANCH’IO."CESARE SEMBRAVA COME STORDITO DA UN PUGNO."ALLORA HAI SVELATO TUTTO A NOSTRA MADRE?!PARLA!NON FARMI PENTIRE DI NON AVERTI SOFFOCATA TRA LE LENZUOLA STAMATTINA...DÌ,CI HAI ROVINATI?"LUCREZIA NON SEPPE TRATTENERE UNA SMORFIA DI SOFFERENZA ALLE MINACCE VUOTE DI LUI:"AVRESTI PIÙ PAURA DI PERDERE IL FAVORE DI NOSTRO PADRE CHE IL SUO AFFETTO...NOSTRA MADRE CI HA SCOPERTI MOLTI ANNI FA...MA NON IMMAGINA FINO A CHE PUNTO SIAMO GIUNTI...FINO A CHE PUNTO LA TUA PERFIDIA SIA GIUNTA:IO TI HO SACRIFICATO OGNI POSSIBILITÀ DI SALVEZZA E TU…TU FUGGI IN FRANCIA A FARE LA CORTE AD UN’ALTRA! IO SARÒ OBBLIGATA, MA TU SCEGLI DI TUA SPONTE, LASCIANDOMI QUI A CHIEDERMI SE PIUTTOSTO CHE DAR SEGUITO ALL’AMORE CHE AVEVI SEMPRE PROVATO,TU NON ABBIA PIUTTOSTO DATO SFOGO AD UN ISTINTO DEI PIÙ BASSI,PRIMA DI CORRERE A SPOSARTI E DIVENTARE IL NUOVO CESARE!” STAVOLTA ERA STATO LUI A MUOVERSI MINACCIOSO VERSO DI LEI:”NON PENSI CIÒ CHE DICI! MA COSA, PERDIO!COSA DOVREI MAI FARE?! RESTARE QUI, NÉ PRELATO NÉ SOLDATO NÉ NOBILE,NÉ CARNE NÉ PESCE,A INCONTRARTI DI NASCOSTO LE RARE VOLTE CHE POTRÒ VENIRTI A TROVARE CON TUO MARITO TRA I PIEDI?” “MARITO CHE MI HAI MESSO TU AL FIANCO PER I TUOI SCOPI!” “L’HO FATTO ANCHE PER TE! PER NON LASCIARTI SOLA CON UN FIGLIO DI NESSUNO! AH,SE MI VEDESSERO I MIEI CONDOTTIERI! DISCUTERE COSÌ CON UNA DONNA,MIA SORELLA PER GIUNTA! SONO STATO UN FOLLE A PENSARE ANCHE SOLO PER UN ATTIMO CHE IO E TE POTESSIMO ESSERE FELICI INSIEME LUCREZIA,È QUESTA LA VERITÀ E LO SAI. DOBBIAMO ESPANDERCI,DOBBIAMO ALLARGARE I CONFINI DELLA NOSTRA FAMIGLIA,NON RINCHIUDERCI IN ESSA.“ CESARE AVEVA DOVUTO RICORRERE A TUTTA LA SUA CAPACITÀ DI FINGERE PER METTERE INSIEME QUELLA PANTOMIMA. DOVEVA COSTRINGERE LA SORELLA A DESISTERE,FERIRLA SE ERA IL CASO,PURCHÉ ENTRAMBI PROSEGUISSERO CIÒ CHE SI ERA COMINCIATO. MA QUALCOSA SI LACERAVA IN LUI MENTRE LE DICEVA QUELLE FRASI, MENTRE FACEVA VIOLENZA A SÉ STESSO,MENTRE TEMEVA CHE I DENTI GLI SI SPEZZASSERO IN BOCCA PER LA TENSIONE CON CUI LI TENEVA SERRATI. MA QUELLO CHE VIDE NEL VISO DI LEI FU PIÙ DI UNA SEMPLICE DELUSIONE.”AVREI RIFIUTATO CHIUNQUE SULL’ALTARE...FIN DAL PRIMO MATRIMONIO. PER TE,SOLO PER TE...CREANDO UNO SCANDALO, SCATENANDO L’IRA DI NOSTRO PADRE. MA D’ORA INNANZI OBBEDIRÒ. SEMPRE. PER FAR PIACERE A TE, FRATELLO MIO.”AVEVA CALCATO SULLE ULTIME PAROLE. LUI SI AVVICINÒ PER SINCERARSI CHE LEI NON STESSE PIANGENDO MA LUCREZIA SI VOLTÒ E SI ALLONTANÒ A GRANDI PASSI.LE FU ADDOSSO IN UN MOVIMENTO RAPIDO,LE BACIÒ IL COLLO SUSSURRANDOLE ALL'ORECCHIO:"UN GIORNO MI RINGRAZIERAI,SORELLA INGRATA..." LEI SI RITROVÒ DI NUOVO A STRINGERE LA CROCE CHE LE PENDEVA SUL PETTO,MENTRE LUI CONTINUAVA A FIATARLE SUL COLLO:"LASCIAMI ANDARE O RICHIAMO LE GUARDIE E MANDO OGNI COSA A MONTE:NOI,LA NOSTRA FAMIGLIOLA PERFETTA,TUTTI I TUOI PIANI DI GLORIA".SI VOLTÒ E LO FISSÒ IN QUEL MARE VERDE,PERENNEMENTE AGITATO,CHE ERANO I SUOI OCCHI.PRIMA CHE EGLI POTESSE DISSIMULARE ANCORA ELLA SI RESE CONTO CHE LUI L'AVEVA INGANNATA E SI CHIESE COME AVESSE POTUTO CREDERGLI CON TANTA FACILITÀ."BUGIARDO! CRUDELE E BUGIARDO!MA LA MIA FELICITÀ SARÀ IL TUO CASTIGO CESARE! LO GIURO!"GLI PRESE IL VISO TRA LE MANI E LO BACIÒ INSPIRANDO FORTE. NON SI MOSSERO ENTRAMBI, POCO DOPO SI SEPARARONO SENZA GUARDARSI E CESARE SI RICHIUSE IL PORTONE ALLE SPALLE,CONSAPEVOLE DI AVER PERSO SUA SORELLA IN CAMBIO DEL SUO AMORE.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il corteggiatore ***


Era trascorsa appena una settimana da quell’incontro e sia Cesare che Lucrezia avevano cercato in tutti i modi di evitarsi, pur non riuscendo a sfuggire all’infinità di obblighi comuni che l’etichetta imponeva loro. Si osservavano di sottecchi a distanza,ciascuno furioso con sé stesso per questo,eppure decisi a non venirsi incontro,testardi e orgogliosi. Finalmente,una mattina,giunse in Vaticano Alfonso D’Aragona, col suo nutrito seguito,ritto sul suo cavallo riccamente bardato,salutando la folla festante attorno a sé. Lucrezia lo scorgeva già da lontano e si protendeva,come volesse spiccare il volo dalle alte gradinate su cui era stato posto il seggio papale,il suo,quello degli altri dignitari e quello di Cesare,ovviamente. Quest’ultimo, compostamente seduto,sogguardava la sorella intenta a indovinare i lineamenti del giovane riparandosi gli occhi dal sole con la mano. Se i ritratti non mentivano quel ragazzino avrebbe fatto una certa impressione sulla sua sorellina ribelle.
Quando infine Alfonso giunse ai loro piedi, smontò elegantemente da cavallo,senza l’aiuto dei valletti,risalendo le scale con passo leggero,rivelando un corpo snello e slanciato. Ma fu appena s’inchinò dinanzi al Pontefice che Lucrezia credette di aver solo immaginato cosa fosse la gioia pura,libera da ogni costrizione o timore. Quel viso che ora si abbassava con deferenza dinanzi a suo padre sembrava recare su di sé la testimonianza della perfezione del creato. Tutto si concentrava in quegli occhi caldi che sembravano imbevuti d’ambra,mentre i boccoli,come foglie d’autunno piegate dal vento,gli ricadevano delicatamente sulle guance da adolescente ancora imberbe. Le presentazioni, le frasi di circostanza scambiate, gli inchini, gli scambi di doni e cortesie,ogni cosa scorreva via come acqua nella mente di entrambi. Alfonso non aveva potuto nascondere la sorpresa che aveva provato osservando la bellezza ultraterrena della sua promessa, avvolta in quel miraggio dorato che erano i suoi capelli, con quello sguardo ieratico che lo privava del benché minimo controllo sul suo.
Si amavano. Fu sotto gli occhi di tutti fin dal primo istante. Ovviamente non fu permesso loro di conversare e la corte si spostò subito all’interno, dove ogni genere di rinfresco era stato predisposto. Quelle ore di formalità pesarono su quei due cuori molto più di quanto avrebbero creduto dal principio. Cesare intanto sorseggiava il suo vino, guatando il futuro cognato e dannandosi tra sé e sé di non riuscire a intercettare e smembrare gli sguardi famelici che Alfonso e Lucrezia si lanciavano al di là dell’enorme tavola. Si chiedeva cosa sarebbe successo appena fossero rimasti soli. Inutilmente tentava di ricordarsi che era anche opera sua, che ora la sua ascesa era resa più facile dalla condiscendenza di Lucrezia,termine del quale non poté far a meno di sghignazzare. Condiscendente? La sciagurata era fuori di sé dalla contentezza! Il suo petto si sollevava e si abbassava così veloce che Cesare per un attimo si chiese se ella avesse mai provato la stessa cosa per lui,senza però poterlo mostrare così sfacciatamente! Non resistette ancora e quando ormai i festeggiamenti iniziavano a scemare decise di andare a fare una camminata,fuori,all’aria,via da quella patetica scena che si consumava davanti a lui. Si scusò con suo padre che sembrò contrariato ma che infine lo lasciò andare ed egli, furente come una nube nera,uscì svelto dalla sala,notato però da Lucrezia. Lei rimase paralizzata al suo posto per un istante, poi decise che avrebbe parlato ad Alfonso ben prima di trovarsi con lui davanti all’altare, per scoprire se il suo animo rendeva giustizia al suo volto. Fece scivolare all’orecchio di una delle sue dame poche parole per il duca di Bisceglie che, all’udirle sorrise,complice,alla promessa di un’incontro”casuale”per l’indomani all’ora settima, nella cappella privata. Aveva lasciato detto ai suoi che voleva confessarsi di buon mattino e si era avviato, speranzoso. Lucrezia era avvolta in un mantello azzurrissimo,finemente ricamato,che la copriva interamente,prostrata ai piedi della statua di San Giovanni Martire. “Perdonatemi,Madonna”-si sentì dire alle spalle-“Non sapevo foste qui anche voi. Forse dovrei lasciarvi sola a pregare … anche se la fede di due anime può rendere più efficace qualsiasi preghiera.” Il modo candido di fingere di lui la divertì. Mentre si scansava facendogli posto accanto a sé, continuando a tenere le mani giunte,non osando guardarlo gli chiese:”Siete devoto?””Non particolarmente mia signora. Non lo ammetterei a nessuno se non a voi, che di certo potrete intercedere per me.” Lucrezia sorrise lievemente a quell’ingenua lusinga.”Cosa vi fa pensare che intercederei per voi?”. “Il fatto che mi abbiate permesso di restare a disturbare le vostre orazioni.” Lei era sempre più deliziata dalla galanteria pacata di lui. “Potrei farvi cacciare messere, dire a Sua Santità che sta per concedere la mia mano ad un miscredente…” “Non lo farete mia fulgida signora.”La sua voce era misurata e dolce,si dolce …non come quell’altra…”Perché mai,di grazia?”Lo stava mettendo alla prova e ne godeva, ma la semplicità di lui la soggiogava.”Perché sapete bene che avreste un buon marito in me, Lucrezia. La vostra serenità, ciò che sono certo desiderate con tutte le vostre forze,con me non conoscerebbe mai fine. Vi offro me stesso, senza trattative ulteriori, senza giochi o strategie. Vi offro il mio rispetto, null’altro, se può bastarvi.”Lucrezia inarcò un sopracciglio:”Null’altro?” Il tono ironico di lei fece sì che lui seguitasse:”La certezza di un cuore che è pronto a darsi e a ricevere…se vorrete essere così misericordiosa,mia signora…” Ora stava davvero esagerando! Si voltò di scatto per rimproverarlo…o cosa? Poco importava, lui stava sorridendo. E dietro quel sorriso non c’era nient’altro. Si ritrovò a sorridergli a sua volta. I baci immediati a fior di labbra che si scambiarono strapparono ad entrambi dei risolini quasi infantili, che echeggiavano piano nella cappella. Non avevano potuto rivedersi da soli nei giorni successivi. Giorni durante i quali si erano finalmente ultimati i preparativi per le nozze. Cesare intanto se li mangiava entrambi con gli occhi ad ogni occasione, notando che la sorella ormai lo ignorava palesemente. O fingeva d’ignorarlo, illudendosi di aver trovato il vero amore! Davvero l’avrebbe sostituito,in cuor suo, con quel damerino ambrato? Cos’era dunque,cos’era che aveva fatto perdere a Lucrezia la sua solita compostezza? Quei modi garbati di lui, quel discorrere così fine e intriso di cultura? Aveva sperato di sistemarla in un’unione conveniente, non di trovarle l’innamorato perfetto! Iniziò a prestare più ascolto ai racconti dell’ambasciatore francese sulla bellezza scura della sua Carlotta d’Aragona e decise che sarebbe partito il prima possibile,per punirla. La cerimonia per sua fortuna si tenne di lì a breve, con tutto lo sfarzo immaginabile,coronata infine dalla liberazione dei colombi da parte dei novelli sposi. Scena che rischiò di far andare di traverso i confetti a Cesare. Al  ”volo” pronunciato da entrambi dinanzi all’altare,nella formula latina, sia Lucrezia sia Cesare si erano brevemente sogguardati, com’era accaduto al matrimonio con Giovanni Sforza. Stavolta però non c’era afflizione nei loro sguardi,o il desiderio che s’invertissero i ruoli. C’era esultanza,anche se combattuta,in quello di Lucrezia, rancore in quello di Cesare,fiducia in quello di Alfonso.
L’occasione per trascinare giù quel marmocchio-come lo chiamava Cesare-dal piedistallo si presentò il giorno dopo. La prima notte di nozze,si mormorava,era stata perfettamente consumata e certificata. Egli ruggiva dentro passando in rivista i suoi uomini,nei preparativi per la partenza.“Immagina,Miguel-che gli camminava affianco silenzioso-immagina come dev’essere doverti fare una donna sotto gli occhi di una manciata di vecchi bavosi, pronti a trascrivere ogni dettaglio su quante volte hai spezzato la tua lancia e via discorrendo.” Aveva atteso che sfilassero gli ultimi capitani prima di lasciarsi andare a quelle osservazioni col suo fido. “Mio signore, purché non pretendessero di avere la loro parte io non mi lamenterei. In caso contrario farei capire loro che non ho bisogno di assistenza,né in questa né in nessun’altra questione.” I due uomini si guardarono e risero di gusto insieme. “Devo dare una lezione a questo sbarbatello che crede di aver conquistato il Vaticano intero insieme alle grazie di mia sorella. Manda qualcuno a dirgli che lo invito a caccia per festeggiare. Con la mia scorta,s’intende.” Il viso imperscrutabile di Micheletto si distese:”Sua Eminenza intende rendere madonna Lucrezia già vedova?”. Cesare contorse le labbra:”Sei il mio uomo migliore ma a volte la fantasia ti manca;quando non si tratta di escogitare nuovi modi per,diciamo,alleggerirci dai nostri nemici. Basterà solo far intuire al giovanotto chi è l’uomo qui.” Ma mentre andava ragionando così un’altra idea lo stuzzicò.”Fai preparare anche il mio padiglione di caccia, ci rifocilleremo lì al termine della battuta. Ora seguimi e ascoltami bene…” Non era certo se nel suo secondo giorno di nozze il suo cognato preferito si sarebbe azzardato a declinare l’invito,ponendosi in una sgradevole posizione,pur di rimanere con la mogliettina. Ma Alfonso, per quanto mite, non era del tutto sprovveduto. Accettò nonostante le proteste di Lucrezia e le propose anzi di andare a trovarli al termine della caccia,presso il padiglione.”Amore mio,vedrai,tornerò con pernici,fagiani,ogni sorta di trofeo…per te! E poi stanotte godremo di ciò che gli sguardi indiscreti della scorsa notte ci hanno in parte privati.” Lucrezia respinse il ricordo,splendido solo per metà.”Mio Alfonso…tu non t’intendi di caccia e mio fratello ha una disposizione di carattere… come definirlo?Non vi siete detti nulla al di là delle presentazioni ufficiali e preferirei del resto che tu non lo conoscessi oltre, prima della sua o della nostra partenza…””Lucrezia adorata,la tua famiglia è la mia adesso. Lascia che tenti di esserne degno.” Siamo noi a non essere degni di te! Per un attimo si rimproverò di aver anche solo pensato una cosa simile. Doveva riprendere il controllo di sé e ricordare chi era,qual’era il suo ruolo,a chi doveva la sua lealtà. Baciò il giovane sulla fronte e si adagiò sul suo esile petto.
Alfonso si presentò a Cesare abbigliato con grazia, ma sobriamente. L’altro aveva optato invece per le sue vesti migliori, su cui spiccavano il nero e la porpora anche sull’ampio cappello a falde che in quel momento si tolse perché non gli fosse d’intralcio durante la corsa.”Mio signore, fratello…sono onorato della gentilezza che mi avete voluto usare permettendomi di unirmi a voi.” Il fastidio di Cesare crebbe a dismisura sentendo la parola”fratello”.”Caro,carissimo Alfonso,l’onore è mio. Spero il tuo baio riesca a tenere la mia cavalcatura.” Senza nemmeno attendere diede di speroni e scattò in avanti dando il segnale per far suonare le trombe e dare inizio alla battuta. Si stupì più volte di quanto quel ragazzino riuscisse nonostante tutto a tenergli testa, seguendo la pista,seppur dietro di lui. Quando infine giunsero stremati dinanzi al padiglione di caccia in mezzo alla boscaglia,era chiaro che il maggior numero di prede era da ascriversi a Cesare che, soddisfatto, notò la figura slanciata di Lucrezia,le mani giunte,ritta all’ingresso. La si sarebbe potuta scambiare per una delle statue accanto a lei. Fu allora che Cesare fece un cenno impercettibile a Micheletto che di nascosto lasciò andare due dei cani,già eccitati dalla foga della corsa. In un attimo si avventarono sul cavallo di Alfonso,precedentemente cosparso di un’essenza che aizzava i cani. Egli stava per perdere il controllo sotto gli occhi inorriditi di sua moglie e dei pochi uomini di scorta, quando Cesare smontò di sella per gettarsi sui due cani, che nel frattempo avevano distolto l’attenzione da Alfonso. Lucrezia eruppe in un grido di puro terrore. Si precipitò verso di lui, accecata,le mani tese come a volerlo strappare da quella morsa mortale che però non durò a lungo, dato che i due mastini, che mordevano l’adorato padrone con molta meno foga di quel che sembrava,iniziarono presto a mugolare sotto le sue carezze. Le risate beffarde di Cesare si levarono alte, mentre Lucrezia lasciava ricadere le braccia attorno alla vita, girandosi verso le sue donne per cercare un appoggio e rientrare nel padiglione. Non volle rimanere oltre e si fece scortare al palazzo apostolico,mentre Alfonso sorrideva sollevato ma incerto.
Ho vinto”,Cesare esultava interiormente mentre saliva di corsa le scale fino alle stanze di sua sorella,ancora sudato e scarmigliato. Si fece annunciare senza troppi complimenti e una volta introdotto si guardò attorno tentando di scorgere qualcosa nella penombra.”Madonna Lucrezia è tormentata da un forte mal di testa. La luce le da fastidio,non vuole nessuno accanto a parte una schiavetta”.Così le avevano detto, ma lui con un solo gesto aveva allontanato la fanciulla spaurita, seduta al capezzale.”Non far entrare nessuno,chiaro?”. La ragazza aveva annuito col capo e si era dileguata. Si chiese se il fatto di chiedere così spesso si essere lasciati soli non avesse alimentato tutte le voci su di sé e su Lucrezia. Scacciò quel pensiero inopportuno e inutile e si sedette accanto alla massa scura adagiata sul letto, che doveva essere quella di sua sorella. “Credevi di farmi morire lì su quelle gradinate o cosa?”Una voce che non sembrava la sua proveniva ora dalle tenebre che aveva innanzi.”Nessuno vi avrà fatto caso ma io si: sei rimasta ferma mentre il tuo Alfonso rischiava di essere disarcionato e invece sei corsa in mio aiuto, fuori di te.””Sono corsa in aiuto di un uomo che non ne ha mai avuto bisogno e mai ne avrà.” Cesare scostò una pesante tenda lasciando entrare uno spiraglio che incontrò subito i lineamenti solitamente aggraziati della sorella e ora contorti dal dolore.”Mi fai fin troppo arrogante, Lucrezia cara. So bene di aver bisogno degli altri per elevarmi. E di certo Alfonso non eleva la nostra famiglia.” “Sei invidioso,come sempre,non ti dai pace e non vuoi darne nemmeno a noi.””Noi?!” L’ironia nella voce di Cesare era palpabile. Sospirò,poi riprese. ”E’ tutto stabilito e suggellato da tempo ormai, ma domani ci sarà la votazione ufficiale per le mie,come dire,dimissioni dalla carica di principe della chiesa. Non è stato facile accaparrarsi le simpatie di tutti i cardinali ma,come sai,so essere persuasivo. Ovviamente tu sarai fin troppo occupata a recuperare questo giorno perso con Alfonso,per unirti ai miei festeggiamenti privati che si terranno in una casa non distante da qui…Peccato, perché dopo domani stesso partirò per la Francia. ”E il tuo sguardo angosciato di oggi sarà nulla a confronto, si disse. Sua sorella gli lesse nel pensiero probabilmente perché esclamò:”Dunque amore mio,mi odi fino a tal punto?” Lei si era alzata di scatto e si era avvicinata, barcollante, alla finestra. Lo fissava ora con un misto di pietà e di rimprovero. Lui le sorrise ma non resse,abbassò lo sguardo e fece per andarsene, dirigendosi verso la porta, ma come colpito ancora da quello sguardo si voltò. Quando la vide,bianca e affranta, che allungava nuovamente le braccia verso lui, bestemmiò e ripercorse la stanza a falcate, sollevandola da terra e stringendola a sé:”Ti scriverò decine di lettere Cesare! E quando tornerai,dopo che finalmente avremo smesso di farci del male a vicenda,saremo di nuovo felici insieme,di nuovo come fratello e sorella!” Egli strusciava la sua guancia alla sua:”Sai che è pura utopia, amore mio,mio dolore,mia sola salvezza!” Le sue mani la frugavano impietosamente ma lei si ritraeva:”Non posso,non voglio tradire Alfonso!”.”Lo ami dunque? E’ cosi diverso da me…Perrotto almeno aveva i miei capelli…Maledizione,che dico?! Lucrezia,sai bene che lui non è importante quanto me!”“E la tua Carlotta?! Non l’hai nemmeno mai vista! Era importante lei, mentre pianificavi alle mie spalle. Ma lei non ti vuole nemmeno! Io,io invece…” “Tu cosa Lucrezia?!” Avevano parlato con le bocca a poca distanza e ormai le loro lingue si erano fuse. Erano di nuovo sé stessi, anche se per poco. Lucrezia ruppe il bacio e spalancò le imposte, uscendo nell’ampio balcone,inspirando quanta più aria potè. “Affretterò la partenza per Napoli. Prima di allora non voglio rivederti.” Silenzio. Poi sentì solo il rumore dei suoi passi. Poi più nulla.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un ricatto: La sposa di Cesare ***


Lione. 1499

Rideva. Tutti segretamente lo fuggivano come l’incarnazione stessa della pesta nera, eppure quel Cesare Borgia rideva di tutto e di tutti. Alla corte di Luigi XII,dove si era recato per ordine del Papa Alessandro VI,lo rispettavano ossequiosamente ma erano pronti a vendere l’anima al diavolo pur di non rimanere da soli in una stanza insieme a lui e al suo servitore De Corella. Costui seppur non seguendolo più dappresso restava sempre pronto, nei quartieri inferiori del palazzo reale, ad un cenno del padrone. La stessa Carlotta D’Aragona che egli s’era infisso di sposare, al solo sentirlo nominare saettava ed evitava Cesare con un garbo velato d’ilarità ma con decisione. A nulla però era valso a lei, Charlotte D’Albret,evitare il suo sguardo e la sua presenza: egli le seguiva ovunque,corteggiando Carlotta fino al ridicolo,non mancando occasione per offrirle i suoi servigi, apparire nei momenti meno opportuni, recando doni inusitati e sproporzionati. Charlotte si ribellava contro se stessa ricordando il giorno in cui egli era giunto a corte. All’ingresso di un giovane che sembrava sommergere la sala tutta col suo solo avanzare ella aveva interrotto una risata a metà, falcidiata all’istante da quel viso illuminato d’una magnifica superbia,circondato da una nube corvina che pareva non aver requie, in quei viluppi che erano quasi boccoli. Ma se il suo aspetto la lasciò priva di forze, furono gli occhi la rovina di Charlotte. Due occhi verdi come l’invidia stessa, occhi che si erano posati distrattamente su lei e sul gruppo delle dame di compagnia della regina Giovanna di Valois. Gli aveva sorriso,sciocca,se lo rammentava. Innamorata. Dopo un solo,disgraziato sguardo. Ma quando Carlotta gli aveva sussurrato all’orecchio”Costui è Cesare Borgia,mia cara…è qui per me…Ah e per ottenere un esercito dal nostro re…non so quale delle due ambizioni sia più folle”. Al suo nome qualcosa si contorse in lei. Il malessere subitaneo che la colse non sfuggì all’uomo, che se prima si era accorto vagamente dell’ingenuo sorriso indirizzatogli non mancò ora di rendersi conto del gelo che aveva serrato quelle stesse, graziose labbra…Ella non seppe se quel colpo le fosse stato inferto maggiormente dall’apprendere l’identità di colui o per il fatto che venisse a corteggiare “l’altra Charlotte”. Lui,che era sembrato così fiero e regale, alle presentazioni sembrò colto da un turbamento d’un istante,quando baciò la mano incerta che quella fanciulla dal visino tondo e fastidiosamente candido gli porgeva. I fiotti lisci e lunghissimi dei capelli color del fogliame d’autunno le ricadevano molli sulla veste dello stesso colore, il medesimo che le dardeggiava negli occhi terrorizzati. Mentre si sforzava di non lasciarsi prendere dall’eccitazione rifletté che tendeva a sentirsi attratto da ciò che gli era negato, oltre da ciò che gli somigliava…e quella bellezza lievemente scura, a lui così affine, spiccava tra quelle bionde perfino sulla sua bruna Carlotta d’Aragona, che ora stringeva gli occhi, altrettanto neri. Al baciamano, quando fu annunciato come messo papale la sua”promessa”lo punzecchiò con un:”Vostra Eminenza” Poi si era portata una mano alla bocca, seguitando: “Oh, perdonatemi! Avevo dimenticato che ormai non siete più cardinale, messer Borgia…”Le altre dame avevano riso di sottecchi, ma Cesare si era subito vendicato:”Forse non immaginate nemmeno, mia signora, che se l’avessi voluto per me, tale titolo non mi sarebbe mai stato strappato per voler altrui… sovente però mi chiedo se la mia scelta sia stata dettata dalla giusta ponderazione…ma ahimé! Ormai è tardi per ripensamenti di sorta…so che voi siete molto devota invece, perciò vorrei pregarvi umilmente di concedermi l’onore di accompagnare la vostra graziosa persona alle funzioni religiose…sapete, per potere più agevolmente,in compagnia di un’anima così candida,riaccostarmi al Sacramento che a lungo, sentendomi in fallo per il mio abbandono, ho trascurato…” Charlotte e Carlotta urlavano dentro:costui usava un pretesto talmente ipocrita pur di starle di fianco! Ma trovandosi in presenza della regina che, a giudicare dai sorrisi radiosi che emanava, aveva stranamente preso in simpatia il giovane, Carlotta abbassò il capo lievemente. ”Saggio proposito. Domani mattina ci attenderete nel cortile antistante la cattedrale, ora mie belle, al ricamo!” Aveva mangiato con gli occhi ogni singola figura femminile che gli era sfilata davanti ma, più di tutte, la piccola ammiratrice spaurita di cui non aveva sentito ancora la voce, fuorché quella risata interrotta. Ella, aveva pensato Cesare, a sentir pronunciare il suo stesso nome e titolo di duchessa di Valentinois era sobbalzata che pareva la stessero battezzando e investendo del titolo in quello stesso momento. Sorrideva tra sé mentre rifletteva che non gli era riuscito di udirla discorrere nelle settimane successive in cui, fallito miseramente ogni tentativo con l’aragonese,ci aveva guadagnato solo il piacere di vedere il visetto di quell’altra contrarsi d’indignazione e voltarsi di scatto,ogni volta che tentava un affondo con la sua prescelta. Carlotta era implacabile e lo respingeva con motti canzonatori,se non di fastidio palese.”Dirigerei le vostre mire su qualchedun’altra, non fosse che so bene che la condannerei all’inferno per togliermene d’impaccio io…ebbene messere,toglietemi quello sguardo di dosso, ve ne prego!”Cesare intanto si diceva che sia Carlotta che Charlotte facevano mostra di detestarlo, ma solo una di loro due lo faceva spontaneamente. Quando poi fu chiaro,ad un regolamento di conti sul fidanzamento,in presenza del re,che la sua vittima non consentiva e aveva anzi un pretendete bell’e pronto,tale Guy De Leval, Cesare si rassegnò. Ma non avrebbe più consegnato la dispensa papale che consentiva a Luigi XII di divorziare dalla moglie sterile, per risposarsi con la moglie del defunto re suo predecessore, Anna di Bretagna. Il re allora si era visto perduto, ma tutto si era risolto quando il Borgia gli diede a intendere che lo avrebbe contentato, a patto che gli dessero Charlotte D’Albret (ah! Ella ora immaginava il suo nome sulle labbra di costui mentre ricattava Luigi pur di rovinarla!). Lei non era stata allora avvertita dal padre, a cui era stato chiesto di accettare in silenzio l’imposizione di cinquantamila ducati e la cessione di metà suoi possedimenti come dote. Pur di non incorrere nell’ira del re aveva preferito mettere la figlia davanti al fatto compiuto. La prima mossa era stata a quel ballo. Cesare era entrato nella sala col suo solito portamento altero e fiero,aveva bevuto vari calici di vino, smanioso, osservandola danzare dappresso. Ella odiava il suo sguardo su di sé,soprattutto ora che era libero da quello strampalato progetto matrimoniale ed era, come aveva sentito mormorare, alla ricerca di un’altra preda, stavolta consenziente. Si costringeva perciò ad assumere delle espressioni di impassibilità ferrea mentre volteggiava leggera. E lui che non ballava mai si diresse,mentre lei gli dava le spalle,al centro della sala,introducendosi nella danza giusto in tempo per trovarsi dinnanzi a lei,mentre si voltava a cercare un compagno. Ma il volto imberbe e chiaro di poc’anzi era stato sostituito da quello barbuto e sfacciato di Cesare. Di più: se solitamente la danza richiedeva di poggiare le mani palmo a palmo lui le aveva afferrato le dita in un modo talmente rapace da farla fermare per un attimo,per poi riprendere, sospinta a viva forza da lui.”Danzo così male da farvi spaventare, mia signora?” Ella moriva, stretta nel corsetto porpora e nello sguardo di lui. Balbettò miseramente:”Al contrario,vi muovete anche con troppa grazia…” Poi, con una punta di orgoglio aggiunse:”…Vostra Grazia!”Le ultime parole pronunciate con un fremito ma anche con una nota stridente nella vocina quasi infantile, lo avevano colto di sorpresa. Si era rivolta a lui col titolo che egli sperava di ottenere da lei. Il sottinteso era lì! Il fuoco di lui divampò…Ella non era ingenua come sembrava,timorosa si,squisitamente…ma non ingenua…temeva già che lui la volesse in sposa per divenire Duca di Valentinois! Sbuffò:”Sapete, la danza,il canto,la poesia …non le ho mai trovate di mio gusto…preferisco le opere di scultura…l’idea di poter plasmare qualcosa a proprio piacimento…”Le serrò vieppiù il polso e lei con tono sempre meno convinto gli sussurrò”Messere, mi fate male…”.Cesare strinse ancora più forte:”Voi sarete mia, madonna,che vi piaccia oppure no. La vostra amica, l’aragonese, si è già rifiutata, povera pazza,ma sappiate che un Borgia non accetta un no, men che meno due no di seguito!”Il bagliore verde che le saettò davanti fu troppo. Fuggì via rossa di umiliazione e frustrazione. Voltare il proprio cavallo quando lui giungeva al galoppo nel parco reale, cercare di sedersi a tavola il più lontano possibile,rientrare nelle sue stanze quando passava di gran carriera, sotto le arcate buie, ai piedi del suo balcone …a che serviva? Un giorno maledetto, quando la sorte sua e quella di Giovanna di Valois erano ancora sconosciute ad entrambe, passeggiando sulle alture del castello con la regina e Carlotta D’Aragona, lo aveva incontrato,appollaiato tra le merlature,con una caraffa in mano, evidentemente assorto. Dopo i convenevoli più disparati la regina, segretamente invaghita del Borgia che doveva tradirla di li a poco, le consigliò incautamente: ”Mia piccola D’Albret, siete così pallida ultimamente,non c’è bisogno ci seguiate nel buio del chiostro del convento. La beneficenza può attendere. Rimanete pure qui a godere di un po’ di sole.”Dicendo questo aveva leggermente annuito verso Cesare e poi verso le guardie appostate poco lontano, per assicurarsi di non lasciarla in balìa di quel “mostro”. Un orrendo moto di gelosia s’impadronì di Charlotte pensando invece che egli aveva forse potuto assicurarsi le simpatie della regina in modi a lei ignoti. Ma poi si ricordò delle voci che circolavano circa una malformazione di costei. Si rimproverò anche per questo pensiero crudele e chinò il capo anch’ella con sommissione,abbassando gli occhi,infelice. Appena svanite le due nobildonne, Cesare riprese con piglio beffardo la conversazione del ballo interrotto, come se fosse avvenuto il giorno innanzi:”Madonna, danzate divinamente e qualcosa mi dice che lo fate nonostante un lieve scompenso al cuore,una costrizione forse… perciò ve lo annunzio adesso per evitare scenate d’isteria femminile coi vostri parenti:ho appena concluso l’accordo in maniera definitiva,cosicché voi mi sposerete,con o senza il vostro volere.”La fanciulla si sentì aprire una voragine da qualche parte nel petto e contemporaneamente una gioia immensa, ricacciata indietro dalle sopracciglia aggrottate, tentava di invaderle gli occhi. Quelle parole dovevano renderla felice eppure sentiva di non poter più essere felice. “Vi leggo in volto molti pensieri Charlotte …starete pensando di essere una sostituta,ebbene…”Quasi non volesse sentire il resto lei fiatò:”Ebbene, mio signore siete riuscito nel vostro intento di ottenere una moglie nobile. Ma non avrete una vera moglie in me…Io…”“Di più infatti…avrò una schiava!”Lei inorridì ma egli rise forte.”Non tentate d’ingannarvi e d’ingannarmi: so quel che vi anima fin dal primo momento…aspiravo a qualcosa di più alto,certo,un trono più che un ducato…ma come costringere una futura regina? Prendendo voi ho voluto andare sul sicuro stavolta.” La crudeltà che traspariva da quelle parole superava tutti suoi timori.”V’illudete! Io non vi voglio Cesare Borgia!” Un singhiozzo le era salito dalla gola,voltò il capo oltre le mura, oltre la vista della distesa inondata di sole che non la consolava affatto.”Dovete odiarmi molto mia signora,se piangete a una tale lieta novella…”Osservò il suo profilo schiaffeggiato dal vento e le pose un dito sul mento, attirandolo a sé e rivelando così, sulla guancia che prima era nascosta al suo sguardo,una lacrima.”Invero, un odio sconfinato il vostro…”sogghignò, trionfante. La ragazza sembrò volergli perforare gli occhi coi suoi,per poi correre via e riapparirgli soltanto una settimana più tardi,vestita di bianco e bianca in viso,gli occhi bassi. Lo aveva guardato solo al momento del si,pronunciato in un bisbiglio,più morta che viva,perché,come Cesare ben sapeva,stava acconsentendo a ciò che più agognava e temeva. L’aveva condotta a braccetto fuori dalla cattedrale, affettando gran cura, così come lei aveva affettato un gioia pacata. Alla cerimonia dell’accompagnamento in stanza, gli sposi erano parsi a tutti felici,soprattutto Cesare che non cessava di brindare al Valentinois, non sapendo ancora bene dove si trovasse. Finite le chiacchiere per la corte, una volta concordato, con l’imbarazzo crescente di Charlotte, che per Cesare Borgia non vi era bisogno di assistere alla consumazione, uscirono tutti,lasciando la giovane insieme al suo incubo. Egli chiudendo la porte le era venuto alle spalle di soprassalto, aveva rimosso in poche mosse esperte la sottoveste alla sua sposa, assaporando le fattezze quasi infantili di Charlotte. L’aveva afferrata bruscamente,gettandola sul letto, per scoprire che lei covava già intenti fuggitivi. Una volta atterrata sulle ricche stoffe del corredo ella si era aggrappata alla spalliera del letto, tentando invano un debole calcio al petto di lui, per poi prendere la spinta e balzare giù dal talamo nuziale. Lui l’aveva inseguita ridendo di gusto, rompendo qualche mobilio qua e là e infine schiantandola al suolo, i polsi serrati, gli occhi festanti. Tra le piccole grida di lei aveva iniziato a rimuovere gli ultimi veli ma Charlotte ad un tratto,circondata dal fiato di lui, vedendolo così intento e deciso, si era liberata i polsi con uno scatto e gli aveva afferrato la mascella a due mani, baciandolo, per la prima volta, con una tal foga da lasciarlo interdetto.”Io ti amo,Cesare Borgia!Ti amo!”singhiozzava la povera sciagurata. Le pupille di lui si erano contratte, staccandosi dal bacio,le palpebre socchiuse:”Oh ma questo lo sapevo già moglie mia…per quale motivo credete ch’io vi abbia sposata? Per queste?” Ringhiò, afferrandole i piccoli seni. “Diciannove anni, una bellezza che promette faville, da far invidia a mia sorella Lucrezia…o quasi…e invece cosa mi serbate per la notte di nozze?” La frugava con un ardore che la stupiva e la paralizzava. ”Ad ogni modo un’alleanza con la Francia era ciò che volevo, quanto al resto: voi dite di amarmi Charlotte?” Le sorrise, bello e implacabile come un dio pagano… e lei,incosciente, si sentì salva: “Ebbene,povero amor mio, mi dispiace per voi!” Un altro singhiozzo l’aveva scossa. Sapeva a cosa andava incontro. Lui, si mormorava, rovinava ogni fanciulla su cui posava lo sguardo. Era suo adesso ma sarebbe stata forse l’unica donna a non averlo mai. Lui l’avrebbe tradita, contagiata col suo peccato, umiliata… e sentir nominare Lucrezia in quel momento, poco prima che lui le rubasse la pace per sempre, oltre alla verginità, la ferì mortalmente. Un attimo prima di gridare si era chiesta in quale follia sarebbe precipitata se avesse scoperto che le voci su quei due fossero state veritiere….

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L'erede dei Borgia ***


Il viaggio di ritorno verso Roma era stato più breve di quanto immaginasse, eppure non abbastanza. Cesare aveva trascorso un mese ben strano con Charlotte,prima che una lettera del padre lo richiamasse. Molte città si erano mostrate disobbedienti nei riguardi della Santa Sede e urgeva prendere provvedimenti. Non gli era sembrato vero di poter addurre un tale pretesto per rientrare a Roma, arricchito di un titolo e della dote di Charlotte. Infinite erano state le schermaglie,le ripicche,le gelosie di lei alternate agli scoppi di passione,liti burrascose che li trascinavano per ore l’uno contro l’altra,lontano dagli occhi altrui che,in pubblico,li credevano solo e soltanto felici.

Cesare non s’aspettava che quella fanciullina serbasse così tanta energia. Ella, prevedibilmente,aveva subito esultato all’apprendere la notizia della sua partenza,ma quando quella mattina lo vide lasciare il letto,dovette voltarsi per nascondere l’apprensione. Accogliendo con un sorriso freddo il bacio sulla guancia che lui le diede prima di uscire dalla stanza aveva risposto che sì, avrebbe curato gli interessi dei loro possedimenti come se lui fosse presente e l’avrebbe atteso fino al suo ritorno. Forse il mese passato insieme, forse la partenza, l’avevano addolcito alquanto. Fu questo a trarla in inganno:le aveva accarezzato il viso dicendole addio,assorto, prima di rivestirsi e scendere dabbasso. Ma Charlotte non aveva resistito oltre quando si era ormai salutati montò a cavallo e lo seguì fino ai confini delle loro terre. Egli si fermò sentendola arrivare, lasciando che il suo seguito proseguisse. Charlotte si era avvicinata accostando il cavallo al suo.“Cesare,mio amore!-lui non seppe trattenersi dal guardarla in tralice-mi hai pretesa,mi hai scippata alla mia famiglia, come un tributo di lealtà verso il nostro re. Egli mi ha ceduta insieme al mio ducato,insieme alla mia vita…per contentarti! Ma ora non puoi,non puoi andartene così! Dov’è il dovere di un marito verso la moglie? Hai giurato di proteggermi,di starmi accanto,di amarmi … Oh Cesare,resta!”.Egli aveva inspirato a fondo.“Moglie,il mio dovere è verso la mia famiglia e come ben sai la vera famiglia è quella data dal sangue. Io ho giurato di prenderti in moglie,di dare il mio nome ai tuoi,ai nostri figli. Non farmi ricordare quali obblighi hai tu nei miei confronti.”Lui aveva parlato con decisione, trattenendo le redini e lo sguardo fermo su di lei,implacabile. Lei allora l’aveva supplicato ancora,lamentando che non sarebbe più tornato da lei, che era tutto un pretesto per abbandonarla. Lui intanto aveva scartato di lato per evitare che fossero uditi mentre lei,esasperata dai cenni di diniego di lui,proruppe:“Allora spero di non aver concepito da voi marito mio! Ché crescere il frutto dei vostri lombi,da sola,quasi come ripudiata,non potrei tollerarlo! Mi auguro che non abbiate mai un’erede!”Era tornata bruscamente al “voi” e Cesare si chiese se,col tempo,non avrebbe potuto imparare a gestire quella sorta di sentimento fastidioso di intimità, di legame, che era stato sul punto di provare per lei. Strinse gli occhi e le rispose:“Madonna,probabilmente cerchereste una qualche compagnia per alleviare le vostre sofferenze durante la mia assenza. Ma o Cesare,o nulla. Sappiate dunque che se dovessi venire a conoscenza di un vostro tradimento… No, non voglio minacciarvi moglie mia. Agite seguendo il vostro sentire. E facendo ciò sono certo che non sbaglierete.” Le sorrise, sardonico.” Vi saluto Charlotte. Non temete, ci rivedremo e potrete dirmi ancora quanto mi detestate.” Partì al galoppo di scatto, lasciando la ragazza interdetta,in lacrime. O meglio, egli non le aveva viste, ma era certo che in quel momento avevano avuto la meglio su di lei. Ora che era alle porte della città si rendeva conto di quanto Roma,la grandezza che gli ispirava,gli fosse mancata. Si disse che era lì che voleva vivere e morire. Ma mise da parte questi pensieri quando,dopo aver salutato calorosamente il padre,si chiuse a colloquio per ore con lui.

Lucrezia si teneva in equilibrio su una panchina, in giardino. Stava allungando una mano verso una delle pesche più mature, così simile al colore delle sue guance che ora si arrossavano,mordendosi le labbra per il disappunto di non riuscire a raggiungerla. Sapeva del ritorno di Cesare ma voleva rimandare il più possibile l’incontro con lui, rimandare il più possibile quel dolore così familiare, preferendo concentrarsi sulla sua felicità presente,semplice e innocua. Suo padre l’aveva richiamata al palazzo apostolico facendole abbandonare temporaneamente il palazzo di Santa Maria in Portico,che condivideva con suo marito. Era stato lì che quei primi mesi di matrimonio erano germogliati in tutto il loro splendore, non lasciandoli mai sazi. Una successione di feste, balli, passeggiate, gite, risate, risvegli insieme…E poi, quella benedizione. Lucrezia era incinta di sei mesi e il pancione ormai sporgeva alquanto dalla veste color lilla dalle ampie maniche a sbuffo.”Mia adorata, te ne prego, scendi, se ne occuperanno le serve, è rischioso nello stato in cui sei”. “Stato?” Aveva chiesto lei con leggerezza.”Alfonso, so ancora stare in equilibrio anche se sono gravida. Non temere.” Le risatine di entrambi nel vento,il sole che penetrava dai rami,e una voce.”Sorella!”. Lucrezia,come colpita da qualcosa,aveva sollevato di scatto il capo, mettendo un piede in fallo e rovinando al suolo in un istante. Cesare corse, trafelato,col fiato intrappolato in un grido inespresso. Intanto Alfonso l’aveva soccorsa, la disperazione nel volto, le mani incerte su di lei. Il cognato lo scansò malamente,prese in braccio quel fagotto inerme e si fece largo tra la servitù sconcertata.

Per ore le numerose levatrici fecero avanti e indietro dalle stanze di Lucrezia, recando bacili, teli, brocche fumanti.  Quegli oggetti sfilavano davanti ad Alfonso rendendolo più nervoso, mentre Cesare, come ipnotizzato dalle grida che provenivano dall’interno, fissava un punto indefinito nel complicato disegno sul marmo del pavimento. Quando infine il marito di sua sorella si era arreso al sonno, semi disteso sulla sua poltrona, si era alzato. Si era sentito dire da una donna smilza poggiata alla porta che Lucrezia aveva congedato tutte le levatrici. Ella non aveva voluto permettere a nessuna,tranne alla sua saracena fidata-l’ostetrica del caso-di vedere il bambino. Cesare ristette alquanto. La saracena dietro la donna era ricoperta di sangue e lo fissava interdetta. Diede il permesso a entrambe d’andare a lavarsi ed entrando, sospirò profondamente per la testardaggine di sua sorella. Ricordava tutto quel sangue anche per la nascita di Giovanni, ma Lucrezia era stata più ragionevole allora. Sbuffò prima di richiudersi la porta alle spalle. A chiave.

Impiegò qualche minuto prima di rendersi conto che quella nuvola bianca a vermiglia adagiata sul letto, apparentemente priva di vita, era lei. Si avvicinò fulmineo. “Lucrezia, perché hai mandato tutti via?! Hai bisogno di cure! Non tollererò oltre! Farò chiamare-“ S’interruppe notando come un bozzo,accanto a sua sorella,che gli dava ancora le spalle.“Il bambino? Amore mio, spero non sia un maschio! Ma lo è di certo,non ho udito il suo pianto!”. Provò a scherzare ma Lucrezia si era voltata piano,rivelando,alla luce delle candele un tenue sorriso.”Bambino? Quale bambino?”La sua voce si era rotta,seguitando:”Oh si, un maschio! L’immagine stessa di suo padre…”. Cesare si sedette,scostando una ciocca umida dal viso della sorella.”Allora sarà l’immagine stessa di Adone…che dico! Alfonso è Eros in persona!”. Lucrezia lo fissava come supplice. “Non un dio ho generato…ma un mostro!”.Il fratello, smarrito, non resistette e volle sollevare il lembo che ricopriva il piccolo,incontrando però la mano di lei a fermarlo.”No!Non guardarlo! Cesare,fermati,vedresti la mia,la tua stessa condanna!”. L’ultima frase giunse al suo orecchio,così vicino alla bocca di lei,solo quando ormai l’orrore gli si era manifestato,solo quando aveva compreso. L’esserino era come contorto da uno spasmo che gli attraversava tutto il corpicino difforme. Era stato lo spasmo della vita che per un attimo l’aveva animato? E quale forza avrebbe animato quelle manine rattrappite,chiuse a pugno,in una sfida muta e impossibile? Ma era negli occhietti spalancati, illuminati a giorno dalle candele,che Cesare aveva intravisto l’abisso di sé stesso,un abisso verde,dal fondo nero pece. Quella piccola bocca dal labbro inferiore più sottile di quello superiore,come la sua,sembrava atteggiata ad una piccola smorfia che gli ricordava qualche immagine di sé rinviata dallo specchio. Il lieve ciuffo dei capelli,corvini almeno quanto i suoi,circondava quella testolina e sembrava morbido al tatto, ma Cesare non poté continuare a toccarli,ad accarezzarli involontariamente. Si girò, sperso, verso Lucrezia,ancora stesa accanto a lui,muta negli occhi e nella posa.”Era nostro.” Il viso di lei non accennava a scomporsi ma la sua voce era poco più di un sussurro mentre allungava una mano fino alla mascella di Cesare,debolmente,senza giungere a toccarlo.”Mio e tuo.” Egli la guardava,incredulo delle sue stesse parole:”Nostro figlio…il frutto del nostro-“ “…del nostro amore? E’ amore ciò che vedi qui Cesare? Qui in questi tratti stravolti dalla mano di Dio?Oh, egli ci ha voluti punire,ci ha colpiti dove sapeva che più avremmo sofferto! Ciò che abbiamo fatto si è riversato su questo bambino,egli è il simbolo del male che abbiamo commesso insieme,del male che siamo,insieme!”. Cesare strinse le labbra,forte.”Dunque per te era solo il frutto del nostro peccato? Meritevole forse d’essere sacrificato per la nostra “salvezza”? Quale salvezza ci attende mai?! Ché se tu avessi saputo prima che era mio avresti preferito che morisse così,in questa pozza maleodorante di sangue,tra le tue dannate cosce,prima ancora che io potessi tenerlo tra le braccia?!”Stentava a contenere la sua ira,verso lei,verso Dio,verso quella creatura inanimata che morendo l’aveva privato del suo diritto di essere padre per la prima volta. Lucrezia si era sollevata a fatica,prendendogli il volto tra le mani, guardandolo interrogativamente. “Credi davvero ciò che hai detto? Io l’ho amato non appena ho sentito la sua presenza,la tua presenza, dentro di me…l’ho amato ancor più di Giovanni,non solo perché era mio figlio,ma ancora di più perché era tuo figlio!”. Cesare si era abbassato su di lei,svelto,a baciarla, ma lei,altrettanto svelta,si era scansata dandogli la guancia. Allora lui, furibondo,si era alzato di scatto,iniziando a camminare per la stanza, fluttuando nel suo abito nero e ancora più nero in viso, senza guardarla. Poi, come tramutato, soggiunse:”L’ho forse ucciso io? T’ho spaventata a tal punto,chiamandoti a quel modo?!”. Lei si ribellò dolcemente:”Sono stata io sciocca a spaventarmi udendo la tua voce.” Lui le sorrise,sofferente. “Dunque hai paura di me? Del padre di tuo figlio?” Si era riavvicinato al letto,sporgendosi su di lei che aveva continuato a fissarlo senza rispondere. Cesare si chiese se le parole di Charlotte sulla sua progenie non avessero celato una maledizione. Scosse la testa, poi riprese:”Non appena si sarà liberato dagli impegni,arriverà Sua Santità-non riesco mai a chiamarlo nostro padre con te,strano vero? Nostra madre sarà qui a momenti, per non parlare della folla di curiosi di palazzo che ti aspetta poco oltre queste porte. Il tuo Alfonso,il tuo hermoso hijo- del quale non mi hai nemmeno chiesto-si era addormentato, tant’era l’ansia sua per te! Ma presto si sveglierà e busserà e di nuovo il mondo farà irruzione in questa stanza e io-“Diede un pugno al muro, facendo sobbalzare Lucrezia, che ormai piangeva silenziosamente,per non farsi scoprire da lui, da sempre reso folle dal pianto di lei. Di nuovo si tramutò e continuò.”Dobbiamo disfarci del”corpo”. Sentir definire il suo piccolo un”corpo”,fu straziante per Lucrezia. “Lo porterò via io. Lo custodirò, non voglio dimenticarmi ciò che è impresso su quel viso.” Senza guardarla ancora,aveva preso ad avvolgere il bimbo nelle fasce umide,portandoselo al petto senza disgusto. “Fammelo baciare un’ultima volta!” Egli si era chinato verso di lei che,dopo aver deposto un lieve bacio sulla fronte del piccolo,ne posò un altro sulle labbra di lui. I loro occhi s’incontrarono. Si sentirono uniti come mai lo erano stati prima di allora. Il padre,la madre e il figlio,stettero abbracciati per un po’ finché i rumori all’esterno convinsero Cesare ad uscire da una delle porte in fondo all’appartamento Borgia,non prima di voltarsi e raccomandarsi.”Dì a tutti che era talmente atroce-fece una pausa-che hai disposto immediatamente per la sepoltura. Penserò io al resto. Dì inoltre che sarà stata la caduta ad averlo deformato…Dì che-. Ma le parole mancarono a lui, la forza di guardarlo a lei. Chinò la testa quando la porta si chiuse, fissando la chiazza scura dove fino a poco prima giaceva il segno del suo amore.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il rancore di Sancia ***


Una volta uscito dall’appartamento della sorella, Cesare intravide un gruppo che saliva le scale in gran fretta. Alla sua testa vi era quella sventata di sua cognata, Sancia d’Aragona,seguita dall’esile Goffredo,ansimante,nonché dal loro seguito. Si voltò,veloce,attraversando il corridoio di gran carriera,non sapendo di essere stato notato da Sancia. Quest’ultima si era fermata all’improvviso,le pieghe delle vesti scarlatte rialzate tra le mani,gli occhi rapaci e neri contratti dal sospetto. Quella visione fugace di Cesare con un fagotto stretto al petto la lasciò perplessa.”Marito caro,non mi sento molto bene,portate voi i miei saluti a Lucrezia.” Il blu fondo degli occhi di Goffredo si contrasse. Scosse il bel capo biondo e protestò,seppur poco convinto:”Perdonate,moglie adorata,ma mia sorella vi è molto affezionata, le dispiacerà senz’altro non avervi al suo capezzale in questo momento così difficile,ve ne prego…”Sancia aveva già alzato una mano,come a voler fermare il flusso delle sue parole.”Svegliate mio fratello piuttosto.”-Goffredo volse la sua attenzione ad Alfonso,uno dei pochi,insieme a sua sorella,con cui riusciva a discorrere senza essere zittito.”E sia. Raggiungeteci appena potrete,moglie mia.”Senza nemmeno attendere la replica del marito Sancia aveva iniziato a percorrere svelta il corridoio. Attraversò alcune stanze affrescate ormai vuote,col resto della servitù richiamata a raccolta per assistere la padrona. Seguendo il rumore dei passi di Cesare che scendevano verso i quartieri inferiori del palazzo giunse infine,trafelata,ad una svolta oltre la quale sentì distintamente la voce del cognato e di Miguel De Corella. Riconoscendo quest’ultimo dai toni rochi e raschianti, si pentì di aver seguito Cesare. Emise un gemito quando da dietro un pesante tendaggio intravide la creatura tra le fasce e colse alcune parole. Una verità,insieme ad una gelosia bruciante,gli balenò dinnanzi. Stava per fuggire quando la tenda fu scostata di colpo e una mano impietosa le afferrò il collo, mandandola violentemente contro il muro retrostante. Si ritrovò davanti il viso che aveva amato fin da quando era stata promessa in sposa. “Mia bella cognata…la curiosità è donna,e chi è più donna di voi…una donna curiosa,una donna incosciente…”Le loro chiome ugualmente scure, mosse quelle di lui, lisce e lunghissime quelle di lei, si mischiavano ora, i loro visi vicinissimi. Sancia ricordava la prima volta che erano stati stretti in quel modo,quando una notte,frustrata, era uscita in terrazza dopo il tiepido amore di Goffredo. Le era parso che lui l’attendesse ed ella aveva deciso che sarebbe stato suo. Non immaginando però quanto fosse lontana dalla verità. Cesare l’aveva osservata,aveva atteso che la noia di quel matrimonio insulso la logorasse e infine l’aveva presa per sé. Da allora,il carattere solitamente impetuoso di lei si smorzava in presenza di lui:”Mio signore, perdonami! Sai bene che non ti tradirei mai!” Cesare soffiò tra i denti:”Ah! Dunque hai già compreso tutto. Non parleresti di tradirmi altrimenti. Ma fossi in te cognata non scorderei facilmente ciò che si mormora di noi due, o di me e di alcune morti inspiegabili…” La fissava quasi rammaricato mentre le labbra carnose di lei tremavano impercettibilmente.”Tuo fratello Alfonso si è ambientato bene ormai. Sarebbe davvero sconveniente se qualcosa venisse a turbare il suo soggiorno qui,non trovi anche tu Miguel?”. Lo sgherro sorrise cupamente oltre la spalla del suo padrone, accarezzando assorto l’involucro che teneva ancora in braccio. “Molti lamentano l’inutilità dell’alleanza con Napoli mio signore, si sa che le simpatie dei romani sono piuttosto capricciose.” Sancia aveva allentato la presa sulla mano di Cesare ancorata al suo collo. Questi si era staccato da lei, circospetto:”Andate adesso. La nostra Lucrezia vi starà attendendo. Non fatele mancare la vostra consueta amicizia, che lei dà per sincera,ma soprattutto prendetevi cura di mio fratello…e del vostro.” L’odio nello sguardo di lei non lo turbò mentre svaniva in un turbinio di gonne, lasciando le risate dei due uomini dietro di sé. Appena fu scomparsa Cesare si fece di nuovo serio.”Miguel, occupatene tu,stanotte stessa,da solo. Trovagli un posto degno del figlio di Cesare Borgia.” Il sicario lo fissò a lungo mentre egli,contraendo i lineamenti continuava:”Nessun battesimo,nessuna croce.” Miguel fece un cenno col capo. Silenzioso come sempre. Una volta uscito,Cesare si tolse la camicia insanguinata, la gettò nelle fiamme del camino dinanzi a sé e si accasciò a terra, il volto tra le mani,gli occhi sbarrati,immaginando tutto. Una fiaccola nella mano nera di De Corella,una pala nell’altra… Per Lucrezia la stanchezza di vedersi attorniata da così tanti volti,quando l’unico che avrebbe voluto vedere si stava probabilmente macchiando di un’altra,ignominiosa colpa,era estenuante. Sancia in particolare era stata fin troppo ossequiosa e piena di premure. L’affetto che le portava era sempre stato grande, non aveva mai osato chiedere a Cesare se le voci su di loro fossero vere. E in quel momento del resto i suoi pensieri erano ben lontani da tutto ciò. Alfonso non parlava,era inconsolabile. Goffredo sembrava dispiaciuto per la loro perdita quasi ché il figlio fosse stato suo. Lucrezia sorrise pensando ai dolci versi che suo fratello minore aveva composto in onore della coppia, dopo il loro primo incontro. “Sorella, non temere, avete molti anni davanti a voi. Sono certo che alla prossima occasione saremo di nuovo qui ma non con le braccia vuote.” L’ottimismo e il candore impressi nel viso delicato di Goffredo le riempivano il cuore. Era l’unico vero fratello che avesse mai avuto. Così lontano dal resto di loro, così ignorato e trascurato dal loro padre…Le sue riflessioni furono interrotte proprio dal padre. Egli dopo averle carezzato la fronte, rosso in viso, si era sfogato dietro un paravento, per non farsi udire dalla figlia,tuonando con Vannozza,che aveva appena lasciato la mano di Lucrezia.”Questo clima di ribellione,di pericolo, può forse aver contribuito al malore. Ma il nostro Cesare ci vendicherà! Ci vendicherà tutti per gli affronti subiti da Forlì ed Urbino. Predisporrò tutto, ne abbiamo già discusso stamane. Presto egli raggiungerà le truppe francesi al nord e…” Vannozza lo rimproverava:”Rodrigo non vorrete turbare il riposo di nostra figlia. Avrete tempo per progettare le vostre strategie.”Poi rivolgendosi a tutti:”Adesso usciamo. Lasciamo gli sposi da soli.” Ma Lucrezia aveva udito il padre. Consolare suo marito quando non riusciva a consolare sé stessa era una sofferenza doppia. Piccole lacrime interrompevano i sussurri che indirizzava ad Alfonso, accoccolato sul suo petto. Cesare non le aveva detto nulla. Anche stavolta. Per lui, da parte di lei, non c’erano segreti, eppure lui non si rivelava mai del tutto. C’era stato un tempo in cui lei era l’eccezione,ed evidentemente non era più così. Ma c’era qualcun altro che si consumava nella delusione. Goffredo aveva sperato che quell’evento spiacevole potesse avvicinare lui e la consorte in un comune dispiacere, ma ella sembrava assorta in qualcosa che lui si rammaricava di non conoscere. “Sancia, qualcosa vi tormenta,lo vedo.” Lei gli aveva rivolto uno dei suoi sguardi enigmatici.”E i miei tormenti sono i vostri marito mio, lo so.” Mai come adesso, si disse, colta da un’idea, posando le dita sottili sulle guance imberbi di lui.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2653517