Olivia K. Jane

di crystalskin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** sorry, what? ***
Capitolo 2: *** a bed of roses ***



Capitolo 1
*** sorry, what? ***


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- Miss Jane?
Era almeno la terza volta che l'uomo la chiamava cercando di svegliarla, ma niente.
Si decise così a scuotere la ragazza per una spalla, poichè non dava alcun segno di vita.
- Ehm, signorina Jane? - la sua voce era un sussurro flebile e preoccupato.
Lei si risvegliò di colpo e tenne gli occhi socchiusi per qualche momento per capire chi l'avesse chiamata.
Mise a fuoco l'esile figura davanti a lei e riconobbe l'attempato segretario ben vestito, magrolino, con degli occhiali da vista enormi che l'aveva accolta all'entrata.
- Sì? - chiese.
- Il direttore la sta aspettando. - le sorrise timidamente e due fossette apparirono su quel volto stanco, pallido e pieno di lentigini grigiastre.
- Oh, finalmente. - disse mentre riappuntava i lunghi capelli corvini con un piccolo fermaglio argentato.
Si alzò velocemente dalla poltrona sulla quale aveva sonnecchiato per un bel po' barcollando poichè il sangue non aveva ancora ripreso a circolare normalmente nel suo corpo intorpidito e assonnato.
L'uomo iniziò a camminare velocemente al suo fianco guidandola attraverso il lungo labirinto di corridoi dell'università, per raggiungere l'ufficio dove aveva appuntamento.
- Per quanto ho dormito, - lesse velocemente l'etichetta appesa sopra al taschino della giacca dell'uomo, - s-signor Martin? 
L'uomo rise moderatamente, come ci si sarebbe aspettato osservando la sua figura composta, - Per circa un paio d'ore, signorina.
La ragazza sorrise imbarazzata, - Mi dispiace, non è molto educato da parte mia, ma il volo da Sacramento a qui è stato piuttosto lungo e... travagliato. - cercò di scusarsi.
- Si figuri, - disse in tono estremamente gentile, - siamo noi a doverci scusare con lei per la lunga attesa.
Percorsero un ultimo lungo corridoio e si ritrovarono di fronte ad una grande porta bianca che contrastava con le pareti intorno, scure e decorate con pesanti motivi floreali.
- Bene, siamo arrivati. - l'uomo si fermò davanti alla porta e fece per andarsene.
- Signor Martin. - lo richiamò prima di poggiare la mano sulla maniglia lucidata a dovere.
Si volto lentamente e puntò i suoi occhietti stanchi su di lei, - Si, Miss Jane? 
- Dovrebbe chiedere più giorni di riposo alla dirigenza, lo dico per lei. Dovrebbe trascorrere gli ultimi giorni che le rimangono con la sua famiglia, lo consideri pure un consiglio da amica. - gli sorrise.
- M-ma lei come fa a...? - la fissò alquanto sorpreso, ma si poteva dire che manteneva comunque la stessa aria di misuratezza e compostezza di qualche minuto prima.
Lei si limitò a sorridergli di nuovo, - E' stato un piacere, signor Martin.
 
 
Chiuse la porta alle sue spalle e fu subito investita da un forte odore di deodorante per ambienti. La stanza era grande, ben illuminata da tre finestre ampie, arredata con cura con mobili in legno scuro e quadri enormi appesi a tutte le pareti.
Alla grande scrivania in mezzo alla stanza era seduto un uomo curato, con un viso serio, i capelli bianchi e corti perfettamente in ordine, un completo grigio scuro e una cravatta blu stretta intorno al collo robusto.
Era impegnato al telefono ma disse alla ragazza di entrare.
Agganciò e si alzò dalla poltrona, - E' un piacere signorina Jane. -, le tese la mano e la strinse con forza.
- Anche per me, direttore. -, ricambiò la stretta.
Le fece cenno di sedersi su una delle sedie di legno di fronte a lui e prese un fascicolo dal cassetto della scrivania.
- Bene, l'ho convocata qui per parlarle della sua domanda d'iscrizione, come lei ben sa.
- Certamente.
- Sono davvero mortificato, ma nonostante i suoi risultati eccellenti non possiamo ammetterla ad Harvard.
Fu come se in quel momento l'avessero colpita alla testa con una mazza da baseball. Era sicura che sarebbe stata ammessa, aveva dato quell'incontro per scontato, aveva perfino già preparato le valigie.
- Mi scusi, cosa? E' uno scherzo?..., - non era riuscita a elaborare quelle poche parole
- Mi scusi ma non ne capisco il motivo. - continuò sorpresa e abbastanza infastidita.
- Mi creda, per l'università è un dispiacere enorme, ma non dipende da noi. - rispose freddo.
- Bene, - deglutì rumorosamente, - allora posso sapere da chi dipende?
- In realtà credevo che fosse già al corrente di tutto... - disse spazientito.
- No, a quanto pare non lo sono. - la sua cortesia era andata a farsi fottere.
- Stamattina ho ricevuto personalmente una chiamata dal signor Abbott, uno dei più ill-... .
- Sì, so bene chi è., - lo interruppe.
Notò l'espressione stizzita del direttore che la osservava con le mascelle serrate e le sopracciglia inarcate.
- Mi scusi, prego continui. - cercò di recuperare un po' di contegno.
- Bene, l'agente Abbott mi ha contattato e mi ha comunicato che per ragioni di sicurezza non potrà frequentare questa e nessun'altra università... Non so nulla di più al riguardo, ma non credo di essere autorizzato a ricevere informazioni così importanti. - disse stizzito.
- Quindi, - continuò, - anche essendo una ragazza sveglia ed intellligente le porte della nostra università resteranno chiuse per lei, sono mortificato. - concluse.
Nah, non era affatto mortificato, mentiva. Mentre le parlava evitava il suo sguardo, un pessimo bugiardo, e la sua postura era ben ritta, a rimarcare che era sicuro di sè, affatto dispiaciuto. E lei lo aveva notato.
La situazione cominciò a diventare imbarazzante e spinosa quando il silenziò calò.
La ragazza era assorta nel turbinio di pensieri che quelle frasi avevano scatenato nella sua testa e teneva lo sguardo fisso alle spalle dell'uomo, dove si trovava un quadro tetro, che ritraeva probabilmente uno degli illustri studenti che avevano frequentato quella scuola, e che sicuramente valeva una fortuna.
- Bene, ora può andare, non ho altro da comunicarle. - disse poco gentilmente, riportandola alla realtà.
La ragazza si alzò senza dire una parola ma quando si trovò davanti alla porta si ricordò di una cosa, - Le suggerirei di dare un paio di settimane di permesso al suo segretario, il signor... Martin? - l'uomo la guardava non capendo a fondo di cosa stesse parlando, - Il tumore gli lascerà non più di qualche settimana e sarebbe umano da parte sua lasciargliele passare con la sua fa-... .
- Cosa sta dicendo? - la interrupppe, - Le ha detto lui quest-... .
- No, - lo interrupppe lei, - è bastato fare una veloce lettura a freddo, che ho imparato a circa... sette anni, credo. - disse in tono poco modesto. 
L'uomo si rizzò sulla sedia di pelle nera e la guardò con un'espressione infastidita ma allo stesso tempo stupita.
- Come ha fatto? - rivolgendole quella domanda si era spostato leggermente in avanti, ancora seduto sulla sedia. Questo era bastato a farle capire che era interessato alla spiegazione.
- Semplice, - iniziò, - ha un'aspetto sofferente, prende molto probabilmente medicine forti, lo si capisce dal pallore della pelle e il completo gli va un po' grande, il che osservando i suoi comportamenti precisi mi aveva fatto pensare che probabilmente si era dimagrito velocemente, quattro o cinque chili forse, ma indossa il completo lo stesso perchè di buona fattura o forse un regalo importante.
 Il direttore adesso era ammirato e un sorriso sghembo era apparso sulle sue labbra sottili, - Sì, il completo è un mio regalo. 
Posò la mano sulla maniglia, ma poi ricordò che aveva tralasciato un dettaglio, - Ah, - continuò, - avevo dimenticato il debole odore di marijuana che ha addosso. Dubito che un uomo del genere ne faccia un uso improprio, quindi ne ho dedotto che fosse erba medica, molto usata dai malati di tumore che affrontano la chemioterapia.
- Esattamente. - concordò l'uomo.
La ragazza gli sorrise soddisfatta, - Arrivederci.
 
Uscì velocemente dalla stanza e iniziò a percorrere a ritroso i lunghi corridoi, facendosi strada fra gli studenti, per ritrovare l'uscita.
Mentre camminava frugò nella tasca interna della borsa e ne estrasse il telefono.
Compose un numero sul display luminoso e poco dopo una voce seria ma familiare rispose.
- Cho, mi dovete delle spiegazioni.
 
 
















































SPAZIO AUTRICE

 
Salve a tutti :)

Questa non è la mia prima storia, ma sono comunque nervosa, molto nervosa. NERVOSISSIMA.

Spero che vi piaccia, so che questo primo capitolo è corto, ma lo considero una breve e fondamentale presentazione di Olivia Jane, che come capirete ha molto a che fare con Patrick :)

Per i fan della serie (come me) e non, dico che per me questa storia rappresenta in un certo senso THE MENTALIST fra molte stagioni, cioè sarà un po' come vedo i protagonisti in futuro. etc quindi siate clementi, per favore.
Ci tengo a dire che anche se non è un'opera d'arte il banner è mio, quindi ho tutti i diritti, bitch please.
Il secondo capitolo arriverà presto, promesso. Ci sto già lavorando...

Un abbraccio, crystalskin.

ah, se volete contattarmi ecco qui dei link:
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Capitolo 2
*** a bed of roses ***






 


























Aprì la porta a vetri e si ritrovò nall'atrio della sede, precisamente all'ora che Cho aveva stabilito.
Si guardò un po' attorno e notò con piacere che tutto era rimasto più o meno come lo ricordava.
Era un luogo luminoso, spazioso e quasi completamente privo di arredamento. Suggestivo? Sì, decisamente sì.
Attraversò uno dei tanti metal detector all'entrata sovrappensiero, ma ovviamente il suono che il macchinariò provocò al suo passaggio non passò inosservato.
- Signorina. -, sentì una voce maschile alle sue spalle.
Quell'appellativo cominciava a darle sui nervi.
Si voltò lentamente, con fare annoiato e guardò l'uomo robusto in divisa, che l'aveva chiamata.
- Mi scusi, deve rispettare il protocollo.
- Si, ha ragione, ma non sono una criminale e, - disse estraendo dalla tasca dei jeans un piccolo mazzo di chiavi, - oltre al mio cellulare, questo è tutto quello che ho con me.
- Le ripeto che è il protocollo. Deve fornirmi un documento d'identità, registrarsi e mettere tutti gli oggetti che ha con sè in una di queste scatole. - , disse mostrandole con poco entusiasmo una delle tante scatole nere impilate sotto al suo bancone.
- Oh andiamo, tutto questo è veramente necessario? - disse con un tono falsamente sofferente.
- Sì, lo è. - disse l'uomo, impassibile.
- Nah, andiamo... Sono sicura che possa fare un'eccezione. - gli diede una maldestra pacca sulla spalla, dando l'illusione di essere disinvolta, ma lui rimase immobile, con un'espressione incredula.
- Signorina, se continua ad oppore resistenza sarò costretto a farla uscire.
- Oh, andiamo non vorra mica -... .
- Tranquillo, lei è con me.
Entrambi si voltarono e videro Cho, nella sua solita posizione rigida, ma un pò ammorbidita dall'età.
Indossava lo stesso completo nero, piuttosto aderente e stranamente... sorrideva?
La ragazza sorrise beffardamente al poliziotto che rimase senza parole e andò a salutare l'agente speciale.
- Zietto Kimball. -, disse mentre lo abbracciava.
- Oh no, per favore non chiamarmi così. - disse con la solita voce priva di espressione.
Si liberò dall'abbraccio e osservò la ragazza dalla testa ai piedi, - Ma come ti sei vestita?
- Perchè?, - chiese sinceramente sorpresa.
Indossava una felpa informe con le iniziali del liceo, che la faceva sembrare ancora più minuta, dei jeans non molto nuovi ed un paio di converse bianche.
- Beh sei in visita all'FBI, diciamo che ci si aspetterebbe di meglio. - disse scherzando.
- Ma del resto, - continuò, - me lo sarei dovuto aspettare da te.
Riflettè un po' e poi disse - Che cosa triste.
- Cosa? - chiese Cho senza capire.
- Pensavo di essere tutto, tranne che prevedibile.-, disse seccata.
L'uomo si fece un'altra risata.
- Mmh, qualcuno è stranamente di buon umore oggi, eh?


Qualche minuto dopo si ritrovò seduta su una scomoda poltroncina della sala d'aspetto, in attesa che qualcuno le portasse il caffè che Cho le aveva promesso, dopo che aveva minacciato di chiamarlo "zietto Kimball" davanti a tutta la sua squadra.
Lesse qualche rivista, assaggiò qualcuna delle caramelle balsamiche che erano sul piccolo tavolino di fronte a lei e poi si alzò per dare un'occhiata in giro.
Gli uffici erano un insieme ordinato di scrivanie separate da muri di vetro e un insolito vociare scomposto riempiva quegli spazi esageratamente grandi.
- Staranno lavorando a qualche grosso caso. -, pensò.
Fermò un paio di persone e alla fine riuscì a trovare la cucina. Non notò nessuna caffettiera fumante in vista, così decise di frugare nella piccola dispensa.
- Sii. -, esultò alla vista dei filtri di tè che aveva trovato sulla mensola più alta. Mise a bollire un po' d'acqua nella teiera giapponese che stava nel lavandino e prese una tazza capiente, di colore azzurro dallo scolapiatti.
- Mi scusi, lei chi è?-, quella voce femminile e così improvvisa rischiò di farle cadere la teiera dalle mani, il che sarebbe stato una disgrazia.
- Mi dia solo un secondo. - agitò la mano libera in aria e senza alzare la testa finì di versare il tè.
Prese in mano la tazza e rivolse lo sguardo alla donna ben vestita che le aveva fatto quella domanda. Era robusta, ma non molto alta, quasi anonima; l'unica cosa che la faceva spiccare fra gli altri agenti era sicuramente la sua chioma rossa. Notò il lasciapassare dell'FBI che penzolava dal colletto della sua camicia bianca.
- E' un agente anche lei? - chiese prima di prendere un sorso di quel liquido bollente.
- Non credo di averla mai vista qui. - non rispose alla sua domanda e anzi, iniziò a guardarla non molto amichevolmente.
- Mmh no, non vengo qui molto spesso... sono una brava cittadina, che posso dire.
- Ah, non lo metto in dubbio. Ma non vedo nè un distintivo nè un lasciapassare sulla sua... felpa. - pronunciò quell'ultima parola mentre osservava con eccessivo disprezzo la sua amata, morbida, enorme felpa.
- Siete tutti così fissati con il controllo qui? - chiese alzando gli occhi al cielo. La donna la stava fissando ancora più in cagnesco.
- Scherzo, ovviamente. -, cercò di riparare in extremis alla situazione.
- mmh certo. -, i suoi occhi si erano ridotti ad una fessura.
- Il suo nome, prego. - continuò estraendo quello che sembrava un cellulare dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni.
- Olivia Kristen Jane.
La donna iniziò a scrivere in modo maldestro sul display luminoso.
- Prima che mi arresti forse sarebbe meglio che le dicessi che Cho mi ha fatta entrare con lui, - fu costretta a rivelare alla fine, - sono qui per avere notizie dei miei genitori e per alcune questioni di sicurezza per quanto riguarda me... .
- Beh, allora poteva dirlo subito, mi sarei risparmiata la parte del poliziotto cattivo! - disse l'altra illuminandosi all'improvviso. La ragazza fu come scioccata dall'improvviso cambio d'umore della donna di fronte a lei. 
- Non mi piace parlare dei miei affari, - disse con un sorriso forzato, - se posso farne a meno è meglio.
- Chi sono i suoi genitori? -, chiese come se non avesse sentito quell'ultima frase.
- Teresa Lisbon e Patrick Jane. -, disse lei mentre si versava un altro po' di tè.
- Oh mio dio! Lei è la figlia di Teresa! Venga, le faccio conoscere la squadra! -, la afferrò per un braccio e non aspettò nemmeno una sua risposta.
- Ma no, non si preoccupi... - cercava di dirle inutilmente.
La ragazza dovette compiere uno sforzo disumano per far si che la tazza di tè non si rovesciasse durante la loro folle corsa.
Quando furono arrivate a destinazione la liberò dalla sua presa e le disse euforica, - Sarò a sua completa disposizione! Sono l'agente Swift, ma puoi chiamarmi Mary Anne. 
Lei le sorrise, - Ok, grazie, - esitò un momento, - M-mary Anne.


Fu costretta poi a stringere un numero di mani che sembrava essere infinito.Tutti sembravano abbastanza cordiali, a volte non molto entusiasti di fare la sua conoscenza, ma dopotutto se lo aspettava e non aveva chiesto lei di fare la conoscenza di tutto il personale.
- La figlia di Jane, eh? - chiese un uomo alto e nerboruto sulla cinquantina.
- Un altro problema in più, - continuò, - non vorrà mica stabilirsi qui, vero? -, la sua risata profonda non prometteva nulla di buono ed il suo tono la infastidiva non poco.
- Non sfoghi le sue frustrazioni su di me, la prego. - gli sorrise.
- "le mie frustrazioni"? - ripetè con tono infastidito.
- Già... . - rispose lei.
- Presuntuosa come suo padre. -, disse fra sè e sè.
- Non è presunzione, è essere consci delle proprie qualità. - ribattè lei con un ampio sorriso sulle labbra mentre si accomodava su una sedia girevole accanto alla scrivania più vicina.
- Bene, allora mi illumini, quali sono le mie frustrazioni? - chiese in tono di sfida.
- Non vuole davvero che glielo dica, mi dia retta. -, disse lei con gli occhi incollati alla sua tazza.
- Sta trovando un modo per non esporsi? - chiese ridendo.
- D'accordo, se è quello che vuole. -, poggiò il tè e assunse una postura più autorevole..
- E' invidioso di mio padre, - disse e l'uomo rise nuovamente e in modo più sguaiato, - e tradisce sua moglie, e direi che questa cosa la sta divorando dentro. - disse senza scomporsi. Gli altri agenti poco lontani si erano voltati immediatamente a quelle parole, chi più o meno sbalordito.
La ragazza osservò la sua faccia passare dallo stupore alla rabbia in poco più di qualche secondo.
- Come si permette? - aveva alzato la voce e le si era avvicinato pericolosamente.
- Hey si calmi, - disse alzandosi, - è stato lei a chiedermelo.
Un agente meno robusto dell'uomo avanzò e gli si parò davanti, accompagnato dalla Swift, - Calmo, Steve.
Lui si allontano producendo un verso simile ad un ringhio.
La donna dalla chioma rossa si spostò di fianco a lei, - Come hai fatto? - chiese sorridente.
- Il suo profumo e il senso di colpa dipinto in faccia. -, si limitò a risponderle.
- Vede, - continuò, - anche se può sembrare strano, l'importante non è che la mia ipotesi sia giusta o no, ma è che io abbia un qualcosa che faccia cedere l'interessato e che mi provi che la mia intuizione è esatta.
- Formidabile.
- Già... sa dirmi dove si trovano Cho o il signor Abbott? - chiese ricordandosi che ormai era passata circa un'ora da quando Cho le aveva promesso quel famoso caffè. 
- Oh sono stati convocati in riunione straordinaria. Lei puó aspettare qui con me intanto. - il suo sorriso le dava leggermente i brividi.
- Oh, sarebbe grandioso... ma prima sarebbe così gentile da indicarmi il bagno? Sa, il tè sta iniziando a fare effetto... - disse imbarazzata.
- Oh, ma certo! Alla sua destra, in fondo.
- Grazie mille. 
Iniziò letteralmente a correre verso la direzione che le era stata indicata e una volta raggiunta la porta del bagno virò drasticamente nella direzione opposta.
- Sapevo che prima o poi quel corso di recitazione mi sarebbe stato utile. - pensò.
Ora che si era liberata di quella donna poteva benissimo dedicarsi al motivo per il quale si era recata lì.
Girò un po' per gli uffici, ma tutti erano troppo occupati per notarla. Non vide nessun volto familiare, il che non fece altro che scoraggiarla.
Decise che l'unica cosa da fare sarebbe stata aspettare che quella riunione straordinaria fosse terminata e così si diede alla ricerca di qualcuno, o meglio qualcosa, di ben diverso.
Lo trovò esattamente dove se lo aspettava. Il divano di pelle beige consumata era lì vicino alla scrivania di sua madre, morbido e confortevole come sempre.
Ci si buttò quasi a peso morto e sprofondò lentamente nei cuscini della seduta. Si sentiva a casa.
Da lì riusciva a vedere tutti gli oggetti sparsi sulla scrivania; c'erano matite, penne, un computer di ultima generazione e una vecchia foto di famiglia in una cornice d'argento.
Sorrise automaticamente guardandola, erano loro tre, in vacanza al mare. Suo padre aveva un braccio intorno alla vita di sua madre e con l'altro teneva lei. Quella era stata una delle molte vacanze improvvisate che i suoi riuscivano ad organizzare quando avevano qualche giorno libero, per stare un pò di più con lei. Ammirava quello che facevano, erano i suoi eroi, ma purtroppo il prezzo da pagare per fare gli eroi è sempre caro.
Si lasciò cullare dal vociare monotono intorno a lei e chiuse gli occhi. Riusciva a ricordare molti episodi della sua infanzia; per esempio il giorno in cui suo padre le aveva insegnato ad andare in bicicletta e si era ritrovata con due lividi enormi sulle braccia, ma alla fine era riuscita a pedalare da sola.
Nonostante tutto i suoi genitori erano stati presenti, li aveva trovati in prima fila il giorno del suo saggio di danza classica, l'avevano sempre accompagnata ai primi giorni di scuola, il giorno del diploma erano lì e suo padre era perfino riuscito ad imbucarsi al suo ballo di fine anno.
- Olivia? 
Riaprì immediatamente gli occhi e si trovo davanti il signor Abbott.
- Oh, salve. -, gli sorrise.
Si alzò lentamente dal divano e si risistemò la felpa sotto lo sguardo attento dell'uomo.
- Mi dispiace per averti fatto aspettare tanto, - disse dispiaciuto, - ma come avrai intuito abbiamo dei seri problemi.
- Sì, c'è un'aria piuttosto tesa qui... .
- Vedo che ti piace ancora il divano di tuo padre. - disse sorridendo mentre guardava quell'ammasso ormai informe di polvere, imbottitura e finta pelle.
- Beh, non cambio gusti molto facilmente.
- Andiamo?, - gli chiese impaziente.
Lui annuì e le fece strada verso il suo ufficio.
Quella stanza era l'unica ad avere delle pareti che non fossero di vetro. Sospirò sollevata e si sedette di fronte a lui.
- Mi dispiace di non averti potuta avvisare prima, ma abbiamo avuto dei contrattempi. Come sai i tuoi genitori sono impegnati in una missione top secret in Europa e ci hanno comunicato di aver ricevuto delle minaccie molto serie. Adesso hai raggiunto l'età legale secondo la quale l'FBI non può più prenderti in custodia e proteggerti senza che si svolgano delle pratiche interminabili... .
- Quindi? - lo invitò a continuare.
- Quindi. l'unico modo che abbiamo per tutelarti è che tu rimanga qui fino al termine della missione.
- Che durerà...?
- Che durerà sei mesi., disse con tono sommesso.
- Sei mesi? - ripetè lei incredula. La stanza cominciò improvvisamente a farsi troppo piccola e la felpa troppo pesante. Deglutì rumorosamente. L'idea di rimanere lì circondata da agenti nevrotici non le andava proprio a genio, se così si può dire.
- Mi dispiace davvero, Olivia. -, sì, era veramente dispiaciuto.
- Aspetti, - disse riprendendo un po' di lucidità, - ci sarà pure un'altra opzione. Iniziò a picchiettare nervosamente con le unghie sul bracciolo della sedia.
- Non avete nessun altro sotto la vostra protezione che non sia un minorenne? - continuò.
- Sì, ma...
- Sì?
- Ci sono degli apprendisti  dell'FBI che godono di una protezione da parte nostra perchè non sono veri e propri agenti ma sono a conoscenza di informazioni importanti.
- Mmh bene, c-c'è qualche possibilità che io possa diventare uno di loro? -, aveva toccato il fondo, ma non vedeva altre vie d'uscita.
- Forse. ma ne sei sicura? - chiese incredulo.
Sicura? Per lei equivaleva a gettarsi da un aereo senza paracadute.
- Sì, - aveva ripreso un po' della sua determinazione, - sono sicura che sia meglio che passare sei mesi rinchiusa qui.
- Va bene. - disse mentre si asciugava la fronte con il fazzoletto da taschino, - potrei mettere una buona parola... ma dovrai comunque trovare un alloggio sicuro e dovrai tenere dei test di ammissione.
- Una passeggiata. -, disse lei sorridendogli.
Ma era sicura che sarebbe stato tutt'altro che una "passeggiata".






























































SPAZIO AUTRICE



Hey :)

Sono davvero felice di essere riuscita ad aggiornare presto!
Ok, so che questo capitolo non è proprio un granchè, ma dovevo spiegare dei passaggi fondamentali in un modo o nell'altro...

Per scrivere questo capitolo ho ascoltato girls dei 1975 e devo dire che mi è stata d'aiuto...
Ah, ho chiamato questo capitolo "a bed of roses" perchè è come gli inglesi dicono "facile come una passeggiata". Magari a voi non frega niente di questo ma volevo farvelo sapere.
Volevo ringraziarvi taaanto per le visualizzazioni, le recensioni e per averla aggiunta alle seguite.
sto già lavorando al terzo capitolo!

Un bacio, crystalskin

 

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