Would you save me?

di GingerHair_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II. ***
Capitolo 4: *** III. ***
Capitolo 5: *** IV. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Prologo
 
 « E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino »

 
Le mie dita si intrecciarono alle sue, mentre alcuni raggi di sole ci illuminavano il viso, costringendoci a chiudere gli occhi. Eravamo sdraiati nel mio posto preferito, in cui mi rifugiavo ogni volta che avevo bisogno di staccare dalla mia quotidianità. Mi appoggiavo con la schiena al tronco dell’albero più grande leggendo un libro, o magari semplicemente ammirando il paesaggio, assorta nei miei pensieri.
Amavo quel posto e poterlo condividere era per me sempre una gioia, specialmente in giornate in cui tutto sembrava perfetto come quella e non mi rendevo conto se fosse proprio per la bella giornata o semplicemente per il fatto che ero innamorata. Ero felice come poche volte capita, eppure sentivo che c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa che non riuscivo a capire.
«Liam?» chiamai, girandomi su un fianco per guardarlo in faccia. Lui si voltò a sua volta, regalandomi la visione del suo splendido viso.
Le foglie degli alberi sopra di noi si muovevano dolcemente cullate dal vento, riflettendo ombre sui suoi occhi, portandomi a chiedere quante sfumature potesse avere un colore così banale come il marrone.
«Liam?» sussurrai di nuovo. Non ebbi il tempo di chiedergli altro, perché lui appoggiò le labbra sulle mie e mi lasciò un bacio leggero. Inizialmente non mi ero accorta di ciò che aveva fatto e rimasi sorpresa, lo fissai stupita con occhi spalancati; poi, quando si staccò da me, continuai a sentire il calore delle sue labbra sulla mia pelle e capii realmente ciò che era accaduto.
Improvvisamente fui preda di un desiderio proveniente dal fondo della mia anima e, senza la precedente dolcezza, ricambiai il bacio, mettendo le mani fra i capelli e accarezzandogli la testa. Nemmeno lui sembrava poter resistere alla passione che ci univa: faceva scorrere le mani lungo le mie gambe, accarezzandomi i fianchi e tentando di sollevare l’orlo della mia maglietta.
Lo incitai a proseguire, lasciandogli una serie di piccoli baci frenetici sulla bocca e mordendogli le labbra, ma lui, contrariamente a ciò che volevo, si fermò.
«Sarà meglio proseguire da un’altra parte» mi suggerì, ricordandomi che ci trovavamo in mezzo ad un prato, un prato frequentato da gente che poteva vederci e non sarebbe stata una bella scena.
«Hai ragione» dissi interrompendomi e sorridendo.
Mi alzai e mi diressi verso la sua auto, parcheggiata a pochi metri di distanza da quel luogo paradisiaco in cui ci trovavamo. Mi girai, convinta di vederlo dietro di me, sorridente com’era poco prima, invece Liam era sparito: non c’era più traccia di lui sotto l’albero al quale eravamo distesi prima, il cielo si rannuvolava in fretta e la piacevole brezza primaverile si stava lentamente trasformando in una tempesta.
Cos’era successo? Dov’era finito il piacevole momento di poco prima? E soprattutto, dov’era Liam?



 

 
Vi chiedo umilmente perdono per questa cosa che ho scritto. Vi giuro che non so cosa mi sia preso, ieri sera ero al pc, ho aperto word ed è uscita fuori questa cosa. Immagino che non sia molto bella, sto lavorando ai capitoli successivi e ho qualche idea di come possa evolversi e come possa finire, ma non ho la più pallida idea di quanti capitoli verrà fuori, né come sarà organizzata in seguito, ma ci sto pensando. I capitoli successivi saranno più lunghi, di solito non scrivo un prologo, ma questa volta ci stava bene, così l'ho fatto.
Se siete arrivati a leggere fin quaggiù e magari vorreste lasciarmi una recensione, comunque, io non mi offendo mica u.u
La citazione scritta sotto al prologo è della poesia 'Ho sceso, dandoti il braccio' di Montale.

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Capitolo 2
*** I. ***



 I.
 
« La misura dell’amore è amare senza misura »

 
Mi piace camminare lentamente la sera fra le strade affollate di Londra, mentre tutti gli altri sono di fretta, rapiti dall’incanto della città, per accorgersi dei dettagli, non capendo che sono proprio questi a renderla così fascinosa. È un po’ come con le persone, facilmente possiamo esserne attratti dall’aspetto esteriore, dal loro carattere e dai loro modi, ma ciò che realmente ci colpisce sono i piccoli dettagli che li rendono unici.
Come mi succede ogni volta che passeggio, mi fermo a guardare un qualcosa che attira la mia attenzione e il fiume dei ricordi mi colpisce in pieno, travolgendomi con la sua irruenza. Questa volta è toccato ad una casa dai mattoncini rossi, gli stessi con i quali era costruita quella dei miei nel Galles. Mi mancano le verdi colline, le corse nei prati e leggere mentre la luce del sole mi riscalda. Londra è meravigliosa, ma anche così tetra, con i suoi edifici grigi, il continuo bombardamento di pubblicità e il suo inquinamento.
«Vuole comprare questa casa, signorina?» chiede una voce divertita alle mie spalle. Riesco a riconoscere a chi appartiene, ho avuto così bisogno di sentirla che non capisco se me la sto immaginando o se è reale.
«Il mio posto è nel Galles, non qui» gli rispondo, usando a mia volta un tono divertito. Sento che si avvicina a me, lo percepisco dal suo profumo e dal calore che emana il suo corpo, nonostante abbia i vestiti.
«Pensavo mi dicessi qualcosa di più romantico, qualcosa tipo “Il mio posto è accanto a te”» commenta, con falsa delusione nella voce.
Lentamente, il ragazzo si avvicina a me e mi abbraccia da dietro, posando il suo viso sopra la mia spalla. Il suo mento tocca la mia pelle e il calore da lui emanato mi attraversa, dandomi i brividi e costringendomi a chiudere gli occhi. Allora è vero, è reale. Non è frutto della mia immaginazione, lui è tornato sul serio e l’ha fatto per me.
«Quello era sottointeso» gli rispondo velocemente, per poi voltarmi e abbracciarlo. Lui sembra essere colto di sorpresa dal mio improvviso movimento, sgrana gli occhi, poi sorride dolcemente e ricambia l’abbraccio, stringendomi fra le sue braccia muscolose. Indossa una giacca di pelle nera aperta, una maglietta grigia e un paio di jeans: il suo stile è maturato nel tempo, forse anche grazie al fatto che i cantanti devono comunque curarsi e sapersi presentare.
Giro la testa verso la sua maglietta; sa di sapone, di dopobarba e di Liam. Non riesco a nascondere un sorriso, so che è tornato a Londra da poche ore e pensare che si sia messo in ghingheri per incontrarmi mi rende soddisfatta.
«Mi sei mancata tantissimo» sussurra accarezzandomi la testa.
Vorrei rispondergli, dirgli che anche lui mi è mancato, ma non nel modo in cui mi manca il Galles o la mia famiglia. Mi è mancato nel modo in cui ai girasoli manca il sole di notte, e li vedi sui campi, con tutti i petali rivolti all’ingiù. Vivono, eppure sono incompleti, qualcosa manca loro e nonostante siano dei fiori bellissimi guardandoli non si può percepire altro se non tristezza e abbandono. Solo il giorno dopo, quando il sole compare, essi tornano nel pieno del loro splendore, osservandolo e seguendolo sempre, facendo tacere il loro muto grido di solitudine, grati a questo di esistere, per avere qualcuno per cui essere magnifici.
È difficile far capire a Liam che sono il suo girasole e, invece di rispondergli, scoppio in lacrime, rovinando il trucco che mi sono messa con tanta cura. Solitamente odio truccarmi, ma lo vedo così raramente che mi sembra d’obbligo essere il più carina possibile per lui.
Fortunatamente Liam è un ragazzo intelligente e pare abbia capito quella cosa del girasole, anche se sono semplicemente scoppiata a piangere senza parlargli. Si limita a tacere, mentre mi stringe ancora più forte fra le sue braccia e mi accarezza la schiena con movimenti circolari. Credo si senta in colpa, ha sempre odiato avere un rapporto così saltuario con me, ma entrambi sappiamo che vederci poche volte l’anno è meglio di niente. Possiamo fingere quanto vogliamo, ma è ovvio che non riusciamo a stare separati.
«Vorrei che tutto questo non fosse necessario. Vorrei poterti amare tutti i giorni, vivere con te e urlare il mio amore al mondo; mi pesa così tanto non poter fare queste cose» dice triste.
Capisco che è arrivato il momento di smettere di piangere, mi asciugo gli occhi e sulle mie mani appaiono strisce nere di mascara, bagnate dalle mie lacrime. Mi pulisco in fretta e mi sento brutta, perché ho fatto la figura della stupida davanti a lui, so i sacrifici che compie per potermi incontrare ed io, invece di essere felice, penso già a quando non sarà più al mio fianco.
Appena lo guardo negli occhi, però, la mia preoccupazione e il mio senso di inadeguatezza svaniscono: li tiene fissi su di me, ma non guardano il mio viso o il mio mascara colato, guardano la mia anima e la scrutano, cercando di capirla.
Mi ricordano il motivo per cui amo Liam, il suo modo di andare oltre l’apparenza e capire cosa c’è realmente all’interno di una persona, il suo osservare costante per captare i dettagli, proprio come il mio. Io e lui siamo uguali e, anche a costo di sembrare banale, non trovo altro modo di descriverlo se non come la mia anima gemella: il suo esame minuzioso della mia avrebbe avuto come risultato la sua.
«Baciami» gli dico soltanto, posizionando le mie labbra, ora incurvate in un sorriso leggero, davanti alle sue.
Non se lo fa ripetere due volte e mi bacia, dapprima dolcemente, facendo un passo avanti e permettendo alle nostre labbra di unirsi; poi sempre con più foga, inserendo anche la lingua e carezze sparse in tutto il corpo. Liam passa le sue mani lungo i miei fianchi e il suo tocco brucia la mia pelle come potrebbe farlo una scia di fuoco, mentre io gli accarezzo i capelli.
«Ti amo e non m’importa quanto tempo ci vediamo, né se lo sappiamo solo io e te. Ti amo, Liam» gli dico fra un bacio e l’altro. Vedi i suoi occhi riempirsi di lacrime, però lui è più forte di me e non piange, si contiene.
«Vieni, andiamo» mi dice lui, interrompendo il momento di romanticismo nato fra noi e porgendomi la mano. So dove stiamo per andare, so cosa stiamo facendo e so che lo voglio, perché lui è lì, per me, e io non potrei mai amarlo di più, così gliela stringo, mentre un sorriso si dipinge sui nostri volti.
 
 
Ogni volta un luogo diverso, ogni volta il segreto, ogni volta l’amore. Questa volta Liam ha scelto una camera di un hotel a cinque stelle, uno di quelli con gli affreschi sulle pareti e i lampadari di cristallo che pendono dal soffitto come fossero tante lacrime pietrificate. Mi guardo intorno, ammirando il lusso e lo sfarzo del posto, per quanto possa essere romantico, non lo sento mio, lo vedo come qualcosa lontano anni luce da me e dalla mia semplicità, eppure Liam ci tiene così tanto a farmi sentire una principessa.
Non faccio caso alle espressioni confuse dei dipendenti alla reception, né quelle degli uomini e donne eleganti che incontriamo nel nostro cammino verso la stanza, preferisco concentrarmi su Liam, immaginando il momento in cui poserò di nuovo le mie labbra sulle sue e come ci sussurreremo il nostro amore.
Dopo un percorso che sembra infinito, finalmente arriviamo davanti alla porta della stanza da lui prenotata; le mani, dall’emozione, gli tremano così tanto che gli servono vari tentativi prima di riuscire a far passare la carta magnetica nella chiusura. Quando riusciamo ad entrare, non facciamo nemmeno in tempo ad accendere la luce: la nostra passione ci cattura e noi non possiamo far altro se non assecondarla.
Iniziamo a baciarci, intrecciando le nostre lingue, mentre le mie mani gli accarezzano gli addominali sotto la maglia. Liam, con un agile movimento, tira giù la zip del mio vestito, facendolo finire ai miei piedi. Mi libero del fastidioso indumento calciandolo via e gli tolgo la maglietta, gettando anche quella da qualche parte nella stanza.
Lì dentro non c’è nessun altro se non noi due e, in questi momenti, non riesco a capire se siamo davvero due persone separate, oppure se ci fondiamo in una sola. In questi momenti, con i nostri respiri che sembrano sincronizzarsi e con il battito dei nostri cuori facilmente udibili, non so proprio cosa siamo. È qualcosa che va al di là della mia comprensione.
Liam ammira il mio corpo e inizia a baciarmi il collo, mentre scende sempre più giù. Sento l’eccitazione crescere in me e abbasso le mie mani dai suoi addominali alla chiusura dei suoi jeans, che apro facilmente, per poi tirarli giù. Liam finisce di sfilarseli alla bell’e meglio, mi prende di peso e mi appoggia delicatamente sul letto. Si sdraia sopra di me, con i gomiti appoggiati al materasso per non pesarmi. C’è distanza fra noi, forse qualche centimetro, eppure a me sembra infinita. Ho bisogno di colmare quegli spazzi, di incollarmi a lui e di vedere i nostri corpi combaciare come i tasselli di un puzzle.
Tento di fargli capire il mio bisogno di contatto mordicchiandogli il labbro inferiore, fino a quando non si decide e copre la distanza fra noi, appoggiandosi delicatamente sopra al mio corpo. Mette una mano sulla mia spalla e lentamente inizia a farla scivolare dietro, sotto la mia schiena, fino a quando non raggiunge la chiusura del mio reggiseno. Improvvisamente, vedo nella mente dei flash: una camera vuota, delle lenzuola sfatte, una ragazza che attende da sola alla stazione del treno e la mia passione svanisce, così com’è arrivata.
«Liam… aspetta» sussurro facendolo fermare.
«Cosa c’è? Ti ho fatto male?» mi chiede preoccupato.
«No, non è quello solo che…» non riesco a trovare le parole per esprimergli ciò che sento. Di nuovo lo spettro dell’abbandono e della solitudine torna a tormentarmi, impedendomi di godere del momento.
«Non vuoi…?» domanda, guardandosi.
«No, no, cioè, sì. Insomma, amo stare con te, ma non possiamo finire a letto ogni volta che ci vediamo» rispondo.
«Okay, capisco. Vuoi parlare?» mi chiede, comprensivo.
Ha capito quanto lui è importante per me e accetta la mia decisione, anche se, ne sono sicura, in questo caso non è ciò che vuole. Riesco ancora a leggere nei suoi occhi il desiderio mentre guarda avido il mio corpo e, anche io, devo ammettere di non riuscire a staccare gli occhi dal suo.
Facendo uno sforzo enorme, mi metto seduta e lui fa lo stesso. Mi sto obbligando a non guardarlo, ma la semi-oscurità della stanza non aiuta: non vedo i suoi addominali, ma vedo l’ombra che essi producono e la mia fantasia unita al ricordo immagina il resto.
«Di cosa vuoi parlare?» mi chiede, vedendo che non dico nulla.
Credo che sia preoccupato dal mio comportamento, eppure mi dà il tempo e lo spazio per capire ciò che sento e voglio: in questo momento sento di amarlo più di ogni altra cosa e non ho nulla da dirgli, se non di stendersi nuovamente e continuare ciò che avevamo lasciato in sospeso. Mi mordo forte il labbro, sento i miei denti penetrare nella morbida carne e poco dopo arriva anche il sapore del mio sangue.
Perché non gli parlo e basta? Perché non posso seppellire tutto ciò che provo e amarlo? Non ho risposta a queste domande e non capisco cosa mi trattenga. Forse mi sto punendo, forse sto punendo lui o forse sto punendo entrambi. O magari, chissà, sto cercando di non essere ferita da lui. So che, se adesso faremo l’amore saremmo felici, ma il dolore del suo successivo abbandono mi lacererà l’anima fino al suo prossimo ritorno; se invece rimarrò così non sarò felice questa sera, ma il ricordo di questa sera non mi tormenterà all’infinito.
Liam resta fermo, in silenzio, a fissarmi, mentre il suo petto si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro. Una sveglia digitale sul comodino emette un piccolo suono, entrambi ci voltiamo a guardarla: è mezzanotte.
«Buon compleanno» sussurra Liam, senza guardarmi in faccia.
Non so come abbia fatto a ricordarsene in un momento del genere, né so come sia possibile, ma alla sua affermazione tutto il combattimento all’interno della mia testa cessa e la paura se ne va, improvvisa e silenziosa com’era arrivata.
Lo guardo, lui ha ancora lo sguardo abbassato e riprendo a baciarlo, portandolo si nuovo sopra di me. Non m’importa più di quanto avrei sofferto in seguito, né di quanto avrei dovuto aspettarlo in seguito: è Liam, il ragazzo di cui sono innamorata, quello che non mi capisce, ma prova a farlo e si ricorda del mio compleanno, anche quando non ci ripenso io.
È Liam, la cosa più bella che mi sia capitata e se la felicità è fatta anche di dolore la sopporterò, per lui.
 
Appena ho aperto gli occhi ho capito che Liam non è più al mio fianco. A testimoniare la nottata passata insieme non c’è altro se non le lenzuola ammucchiate in una angolo e un mazzo di rose. In questo momento mi piacerebbe sapere quale sia il significato dei fiori, perché le rose che mi ha portato non sono solo rosse, ma di diversi colori e non so se il suo gesto sia casuale o voglia dirmi qualcosa di ben preciso.
Svogliatamente prendo in mano il mazzo e lo controllo alla ricerca di una biglietto, ma non c’è nulla. Le rose sono bellissime, non posso negarlo, ma avrei preferito di gran lunga trovare Liam al mio fianco. Poggio la testa sul suo cuscino e sento che è impregnato del suo odore e lo respiro, sapendo che, lentamente, giorno dopo giorno, svanirà, contrariamente al ricordo, che continuerà ad apparirmi ogni volta che chiuderò gli occhi.
È tutto finito, il mio momento di felicità è durato giusto il tempo di una notte e ora Liam continuerà a sparire nei miei peggiori incubi, lasciandomi da sola. E il sole sparirà e tornerà il vento e vivrò a metà senza una parte della mia anima. Eccolo, già lo sento, il mio incubo ricorrente è qui, nella mia testa, mi vedo sorridere, voltarmi e scoprire che Liam non c’è più, che se ne è andato anche questa volta.
E rimane il profumo, arriva alle mie narici con forza, quasi stomacandomi, che testimonia la realtà di ciò che abbiamo fatto e il suo abbandono ha il rumore di un urlo sottovoce, come di qualcosa che si vorrebbe far esplodere, ma si deve contenere.

Liam non c’è, ma i miei incubi sono tornati.



 


 

Buon pomeriggio! Come avete visto ho aggiornato. Ho scritto gran parte di questo capitolo giovedì, approfittando del giorno di festa. Non vi abituate a questi aggiornamenti così veloci, perché questa volta sono stata fortunata ad avere abbastanza ispirazione, altrimenti di solito ci metto un sacco di tempo ad aggiornare. Comunque, non so quanto verrà lunga questa storia, né cosa ci sarà dopo, perché l'unica cosa che ho deciso è la fine (sì, ho un'organizzazione tremenda, lo so).
Come al solito mi farebbe molto piacere ricevere un vostro parere, per cui se siete arrivate a leggere fino a qui sappiate che mi fareste felicissima se lasciate una piccola recensione. Detto questo vorrei ringraziare particolarmente le sei (SEI, urlo) persone che hanno recensito il prologo, spero di non  aver deluso le vostre aspettative.
La frase all'inzio del capitolo è di Sant'Agostino.

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Capitolo 3
*** II. ***




II.

 
«Quanto piace al mondo é breve sogno»
 
Fuori dall’hotel, come sempre, c’è una macchina nera di una delle tante guardie del corpo di Liam: sono le uniche persone autorizzate a sapere dei nostri incontri, sono pagati perché non ci veda nessuno e perché mantengano il segreto. Quello di oggi è pelato, robusto, con un grosso serpente tatuato sul braccio destro e un orecchino, corrisponde esattamente quello che viene in mente quando si pensa ad una guardia del corpo. È seduto con lo sguardo fisso avanti e, quando entro nella macchina, si limita ad accendere il motore e partire, senza chiedermi dove dobbiamo andare o salutarmi. Credo sia nel suo lavoro non fare domande, ma il silenzio in questa macchina sembra essere davvero assordante.
«Buongiorno» gli sussurro, mentre sfrecciamo veloci fra le strade di Londra, prendendo strade periferiche libere dal consueto traffico. Non riesco nemmeno a godermi la vista della città, tutto mi appare come una macchia di colore indistinta e i miei occhi non riescono a guardare qualcosa senza che questa sparisca immediatamente.
La guardia del corpo, di cui non so nemmeno il nome, non risponde al mio saluto, si limita a guardarmi dallo specchietto retrovisore. Non c’è bisogno che parli per capire ciò che pensa; conosco fin troppo bene lo sguardo che mi ha lanciato, è lo stesso con il quale mi ha guardata oggi tutto il personale dell’hotel, mentre sgattaiolavo via da una stanza vuota come una volgare prostituta: mi vedono come un vizio, un capriccio di una giovane star che non riesce a tenere a freno i propri ormoni e che, qualche volta l’anno, ha bisogno di farsela con una ragazza incontrata chissà dove.
Il disgusto che provano per me è palpabile, ma non mi sento offesa dai loro pensieri, perché so che non è la verità. Loro conoscono solo una parte della storia, forse la più brutta, ma non sanno niente, niente, di ciò che c’è fra me e Liam. Questa è l’unica cosa che mi difende dai loro sguardi accusatori, questa è la mia corazza, quella che fa scivolare i loro insulti non detti sulla mia pelle come fossero acqua, senza riuscire a scalfirmi.
Finalmente riusciamo a uscire da Londra e corriamo, se possibile, ancora più velocemente sull’autostrada. Ho capito che la guardia del corpo non mi sarà di nessuna compagnia, così giro la testa di lato e lascio il mio sguardo vagare libero fuori dal finestrino. Intorno a me non c’è natura, ma soltanto edifici costruiti dall’uomo e, nuovamente, non riesco a guardarli, perché ogni volta che ne fisso uno questo svanisce, sostituito da qualcos’altro. Decido, così, di fissare l’unica cosa che non cambierà mai: il cielo. Questa mattina è grigio, spento, tappezzato di nuvole, tanto che sembra rispecchiare il mio umore. Spesso non capisco se questo sia sempre della stessa tonalità e lo veda io diverso a seconda di come mi sento, oppure se cambi per davvero in base al mio umore.
Durante il viaggio sono così persa nei miei pensieri che non mi accorgo quando la macchina si ferma, alcuni isolati prima della casa in cui vivo. Stando ben attenta che nessuno sia nei paraggi, scendo dall’auto e mi incammino verso la mia meta. Sento lo sguardo della guardia del corpo che mi segue, so che il suo compito è di assicurarsi che io arrivi a casa sana e salva, ma non riesco a togliermi dalla testa l’immagine del disprezzo nel suo sguardo; sono sicura che anche in questo momento lo sta facendo e mi sento a disagio.
A volte mi capita di riflettere su come sarebbe la mia vita se lasciassi Liam: potrei avere un altro ragazzo, magari uno sempre presente, potrei presentarlo ai miei amici, alla mia famiglia e, soprattutto, potrei smettere di mentire. Eppure, una scelta del genere non mi appare nemmeno lontanamente possibile, Liam è parte della mia vita e non posso rinunciare a lui, sarebbe come rinunciare ad un pezzo di me, anzi, alla parte migliore di me.
Solitamente non mi piace pensarlo, ma la verità è che quel ragazzo mi ha salvata, rendendomi cosciente della mia situazione e dandomi la forza necessaria per andare avanti. Prima di conoscerlo pensavo di vivere la vita perfetta: andavo d’accordo con la mia famiglia e tutto ciò che una ragazza potesse desiderare potevo trovarlo nei miei amati libri. Non mi rendevo conto, però, che quella non poteva essere considerata vita, perché in realtà non facevo altro se non passare tutto il giorno a leggere: non avevo amici e i miei piaceri, le mie compagnie, le mie avventure, erano fra quelle pagine che tanto amavo. Ero sola e mi stavo perdendo quella che tutti definiscono l’età migliore, ma non lo capivo. Avevo paura di aprire gli occhi e accettare la realtà, paura della mia solitudine e del mio isolamento, così continuavo a fingere, pensando che andasse tutto bene, privandomi di quelle esperienze che gli adolescenti dovrebbero fare.
Quasi per caso, un giorno, incontrai Liam, nel posto in cui abitualmente leggevo: in quel momento lui mi era apparso come il protagonista delle storie d’amore che tanto mi piacevano e, tendendomi la mano, mi ha aiutata ad uscire dal mondo che mi ero costruita, introducendomi in quello reale. Mi ha fatto capire che i libri sono oggetti meravigliosi, ma bisogna stare attenti a non confonderli con la nostra vita perché le storie dei personaggi possiamo viverle ogni volta che sfogliamo le pagine, mentre la vita è solo una e gli anni passati non tornano indietro.
Innamorarmi di lui è stato inevitabile: mi ha trascinata fuori dal mio incubo travestito da sogno e lo ha fatto con una dolcezza quasi sovrumana. Ancora non capisco quali siano le ragioni per cui mi abbia voluta salvare ma, qualsiasi esse siano, ci hanno portato dove siamo ora e non posso che essergli grata per questo. Non m’importa quant’è faticoso e quanto sia duro lottare, perché non voglio – o meglio non posso – rinunciare a Liam.
 
«Buon compleanno!» appena apro la porta vedo i miei amici e i miei coinquilini uscire dai loro nascondigli e farmi gli auguri. È già la seconda volta oggi che qualcun altro me lo ricorda in modo inaspettato. Forse se non fossi troppo occupata a pensare a Liam non accadrebbe.
Sorrido, cercando di mostrarmi felice e stupita per la festa a sorpresa, mentre tutto quello che vorrei fare è buttarmi sul letto e piangere; però resisto, perché so quanto le persone a cui voglio bene abbiano faticato per farmi questa sorpresa e non sarebbe giusto da parte mi deluderle con il mio malumore. Alcune volte i miei amici mi fanno ridere davvero e per qualche istante dimentico la mia infelicità ma, tempo di una risata, e questa torna, decisa a non mollarmi mai.
Vorrei davvero informare tutti loro di quello che mi succede e di come sto realmente, ma so che non posso farlo. Liam mi ha spiegato moltissime volte cosa accade alla ragazza di una persona famosa, i paparazzi, le interviste, la delusione dei fan… non credo di essere pronta a tutte queste pressioni. Sono debole e vivere così per me sarebbe un inferno.
«Mi dispiace per tuo padre» mi dice Ashley, una mia coinquilina. Ho detto a tutti loro che andavo a trovare la mia famiglia perché mio padre soffriva di cuore e non si sentiva molto bene, in modo tale da mentire, ma solo a metà: è vero che sta male ma, fortunatamente, non ha avuto nessuno problema recentemente.
«È stato solo un falso allarme, sta bene» le dico per rassicurarla. Vedo che mi guarda dubbiosa e non capisco se non crede alla storia di mio padre oppure non crede che sta bene. Forse la mia scarsa abilità a mentire e l’orrendo stato in cui mi trovo non contribuiscono a farmi sembrare credibile.
«Mi dispiace che sia accaduto il giorno del tuo compleanno, ma se era un’emergenza…» smetto di ascoltare quello che dice non appena pronuncia questa parola.
Emergenza.
Senza volerlo, tutto ciò che ho davanti sparisce, e il tunnel dei ricordi mi inghiotte di nuovo dentro di sé. Vedo Liam, con la faccia stanca e segnata da due profonde occhiaie che asciuga le mie lacrime, mi accarezza e sussurra dolci parole al mio orecchio per confortarmi. Allunga la mano e mi dà un bigliettino, sopra ci sono dei numeri, riconosco la sua calligrafia e gli chiedo cosa vogliono dire. Numero d’emergenza mi sussurra lui prima di andarsene e lasciarmi in preda allo sconforto.
Ormai sono passati due anni da quando è successo, eppure mai l’ho chiamato: mi ripeto che non ci sono ancora riuscita perché una vera e propria emergenza non c’è mai stata, ma la verità è che non sono abbastanza coraggiosa per digitare quei numeri sul telefono.
Mi obbligo a tornare alla realtà, vedo che tutti i miei amici mi fissano, alcuni molto preoccupati, altri sorridenti, come se si aspettassero qualcosa da me.
«Scusate, sono stanca e non ho capito quello che mi avete detto» rispondo ai loro sguardi a mo’ di scusa.
«Devi soffiare sulle candeline!» mi ricorda Thomas, un altro dei miei coinquilini, indicandomi la torta che ho davanti. Muovo le mie labbra in un sorriso forzato e, fino alla fine della festa, mi impongo di essere felice.
 
Numero d’emergenza.
Queste tre parole sembrano essersi impresse nella mia mente, sono come impresse col fuoco e non vogliono andarsene. Grido loro di sparire, di lasciarmi da sola, ma sono così forti e io così debole, non posso far altro che soccombere sotto la loro presenza.
La festa è ormai finita, in casa non c’è nessuno: i miei coinquilini sono tutti fuori, avevano chiesto di uscire anche a me, ma ho detto loro che il viaggio mi aveva stancata e sarei rimasta a dormire. Mi odio quando faccio così, odio dover mentire e odio dover stare così male ogni volta che Liam parte. So che dovrei comportarmi diversamente, reagire, smettere di pensare a lui e vivere la mia vita, ma è più forte di me, non ci riesco.
 
Numero d’emergenza.
Cosa intendeva, poi, Liam con emergenza? Come faccio a capire qual è per lui la definizione di emergenza? In questo momento mi sembra di non avere il cuore nel petto, mi sembra che se ne sia andato con lui questa mattina, quand’è partito, lasciando al suo posto soltanto vuoto e dolore. Non è qualcosa che mi sto inventando, sento davvero delle fitte, un dolore che mi trapassa da parte a parte come fossi fatta di carta, senza che io possa fare nulla per impedirlo. Non riesco nemmeno a piangere, perché sfogarmi potrebbe farmi bene e tutto ciò che mi fa bene è con Liam. Resto distesa, sul letto, sopportando i miei dolori, consapevole di quando mi faccia male l’abbandono.
 
Numero d’emergenza.
Ai dolori al petto si è aggiunta la respirazione faticosa. Non so cosa mi succede, non lo so davvero, nella mia testa vedo solo la mano di Liam, il suo foglio e il numero. Forse dovrei chiamare il pronto soccorso, mi alzo facendo una fatica enorme e prendo il mio telefono sul comodino. Digito in fretta il numero, le mie dita si muovono rapide sul tastierino, ad ogni pulsante che premo corrisponde un suono, e il suo pare entrare nella mia testa e rimanerci fino a quando non esplode. La vista mi si annebbia, le orecchie iniziano a fischiarmi, ma rimango attaccata alla cornetta, ascoltando i lenti e vuoti ‘tu’ che mi rispedisce. Dopo un tempo che mi pare infinito, qualcuno finalmente risponde.
 
Numero d’emergenza.
«Pronto?» mi chiede preoccupata una voce dall’altra parte. Appena la sento mi accorgo di stare meglio e i dolori che parevano volermi uccidermi si calmano per darmi un po’ di pace.
«Liam» dico quasi in un sussurro, attaccando a piangere silenziosamente. Non mi ero resa conto di comporre il suo numero, si vede che la mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo.
«Cos’è successo?» domanda, con il tono aumentato di un’ottava, segno della sua crescente preoccupazione.
«Stavo male» gli rispondo semplicemente, perché so che se parlassi di più le mie parole sarebbero interrotte dai miei singhiozzi e non ho intenzione di farlo preoccupare ulteriormente.
Sento sospirarlo dall’altra parte del telefono, chiudo gli occhi e mi sembra di vederlo mentre si passa una mano fra i capelli e si morde il labbro, ragionando in fretta.
«Sai che non devi chiamarmi su questo numero, a meno che non sia un’emergenza» mi dice, cercando di mascherare in malo modo la sua ansia con della rabbia.
«Avevo bisogno di sentirti, non vivo senza te».
Liam sospira di nuovo.
«Devi» mi ricorda.
«Non voglio».
Non m’importa di fare la figura della bambina: ho appena visto cosa succede a vivere senza lui e non sono pronta per affrontare da sola tutto quel dolore.
«Sai che ti amo, ma le cose non possono andare avanti così. Preferiresti che non ci vedessimo più?»
Sa benissimo che questo è ciò che temo più di ogni altra cosa e sta provando a spaventarmi per vedere se riesco a raccontargli ciò che accade veramente.
«Muoio senza di te» è una verità che mi spaventa, ma non ho paura di dirgliela.
«Anche io, per questo sopporto i nostri scarsi incontri, la distanza che ci separa e andarmene da te ogni volta. Questo però non mi giustifica dal non dire qualcosa di molto importante» sento che le sue parole sono rivolte a me, vuole davvero sapere cosa mi succede, ma non riesco a parlare.
Entrambi rimaniamo in silenzio, ascoltando solo l’uno il respiro dell’altra.
«Benissimo, se questo è tutto quello che hai da dirmi ci sentiamo la prossima volta» afferma e, senza darmi il tempo di replicare, chiude bruscamente la conversazione, lasciandomi di nuovo sola con il rumore del telefono.
Finalmente mi lascio andare in un pianto liberatorio e il dolore che sembrava perforarmi smette. Quando il mio telefono si illumina e inizia a squillare sono ancora in lacrime.
«Scusami per prima è che… non so che mi sia preso, scusa» esordisce Liam.
Vorrei dirgli che non c’è nulla per cui di debba scusare, ma inizio a piangere e non riesco a fermarmi. Credo capisca cosa mi succede, perché tenta di rassicurarmi come meglio può.
«Non scherzavo prima, Liam» gli dico fra un singhiozzo e l’altro «Muoio davvero quando tu non ci sei» e di nuovo inizio a piangere ininterrottamente.
Lo sento sospirare varie volte, ora non parla più. Alla fine il rumore del mio pianto è tale da non farmi sentire più nulla e non capisco se lui sia ancora lì o no.
«Liam?» lo chiamo.
«Fra due ore sono da te».


 


 
Eccomi qui con questo nuovo capitolo! Vi chiedo davvero scusa con il ritardo con cui ho aggiornato, ma come ben saprete questo periodo è pieno di compiti ed interrogazioni e se ho potuto aggiornare è stato solo grazie al Giro d'Italia, che ha fatto tappa nella mia città, per cui le scuole domani saranno chiuse. Per il prossimo aggiornamento dovrete aspettare almeno una settimana, che per me sarà l'ultima di scuola, dato che le ultime due ho gli stage e quindi non avrò più nulla da studiare (thanks God).
Per quanto riguarda la trama, spero davvero vi piaccia. Insomma, è una cosa così improbabile, nata così a caso... tranne alcuni avvenimenti chiave non ho uno schema ben preciso in mente di ciò che accadrà, ma la scrivo al momento, ogni volta che mi sento ispirata.
La frase in cima al capitolo è di Petrarca.

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Capitolo 4
*** III. ***




III.


« Quando sovviemmi d cotanta speme, un affetto mi preme, acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura »
 
Seduta ai tavolini del bar osservo la gente passare, con quel suo solito andamento frettoloso. Mi sembra di essere invisibile ai loro occhi: c’è chi parla velocemente al telefono, chi cammina rapidamente, chi ascolta musica e sta in un mondo tutto proprio e, infine, chi come me è seduto e guarda la strada con aria preoccupata, aspettando l’arrivo di qualcuno.
Non so perché Liam mi abbia dato appuntamento in un posto del genere: di solito ci incontriamo in luoghi isolati e lontani dal centro; il fatto che questa volta siamo nel bar più affollato del mio paese mi preoccupa.
Forse l’ha fatto per evitare una scenata da parte mia e ho davvero paura di ciò che potrebbe dirmi.
Forse ha intenzione di lasciarmi.
Forse si è stufato di me.
Forse.
Tutte queste ipotesi mi stanno distruggendo e se chiudo gli occhi, anche solo per un istante, vedo Liam che mi volta le spalle, Liam che se ne va e io che precipito nel tunnel dell’oscurità, ormai sola senza il mio salvatore accanto. Fisso il cibo che ho precedentemente ordinato sul mio piatto, la torta è ancora intatta, se non per un piccolo, minuscolo pezzo di panna che ho provato a mandare giù quando pensavo di poter mangiare senza vomitare.
La verità è che l’ansia di questa attesa mi sta uccidendo da dentro: mi sembra di avere ingoiato dell’acido e quest’acido inizia a sciogliere tutti i miei organi interni, creandomi crampi allo stomaco, nausea e grossi buchi.
Credo di fare pena ai camerieri, ogni tanto qualcuno di loro mi lancia una rapida occhiata e mi compatisce: pensano che sia una che sta per essere mollata dal fidanzato e non so quanto le loro supposizioni possano essere vere.
La mia gamba, ben nascosta sotto il tavolo, sembra essere un martello pneumatico; si muove senza sosta e tradisce la mia situazione, la mia ansia. È la mia unica valvola di sfogo, non riesco a fermarla, specialmente quando controllo più e più volte il mio orologio. Sono le quattro e trenta e Liam è in ritardo di un’ora.
Mordicchio l’interno della mia guancia fino a quando non mi esce il sangue. Sento il sapore in bocca: è salato e amaro.
«Ti aspetta dentro».
Un signore, probabilmente un’altra delle guardie del corpo di Liam, si siede davanti a me e mi comunica questo messaggio come se mi avesse detto la cosa più normale del mondo. Non sa di aver appena sganciato una bomba ad orologeria: eccola, la sento, il suo tic-tac è un rumore quasi assordante. Quanto ci metterà ad esplodere?
Mi alzo quasi meccanicamente e per un minuto sono indecisa su cosa fare. Forse dovrei dire qualcosa alla guardia del corpo, forse dovrei ringraziarlo, oppure dovrei aspettare che mi dia il segnale per raggiungere Liam, ma il suo sguardo sembra essere incollato alla torta che avevo ordinato.
Tic tac, tic tac.
La bomba è in moto e il tempo a mia disposizione continua a scorrere, più lo spreco meno vedrò Liam. Continuo ad essere invisibile agli occhi dei passanti, nessuno mi nota mentre corro all’ingresso del locale, dove un altro tizio mi indica una porta su cui è scritto ‘Riservato’ in rosso.
Tic tac, tic tac.
Il tempo scorre più velocemente, sento il ticchettio della bomba aumentare – o è forse il mio cuore? – poso la mia mano sulla maniglia di ferro: è gelida, ancora più delle mie mani. Apro lentamente la porta entrando nella stanza. La luce è spenta e cerco di orientarmi come meglio posso; la stanza è piccola, vedo le ombre di alcuni scatoloni e attrezzi per pulire. Assomiglia allo sgabuzzino in cui tengono i prodotti per pulire, o forse è un magazzino di prodotti in disuso. Magari è entrambe le cose. L’unica fonte di luce proviene da un piccolo buco, probabilmente una finestra, illuminandomi in pieno viso. Non vedo Liam fino a quando non vado a sbattergli contro.
Tic tac, tic tac, tic tac, tic tac.
La bomba sta per esplodere, la sento, è nel mio petto. È così forte che fra poco uscirà, salterà fuori e mi lascerà solo un buco nel torace, mentre il sangue mi sgorgherà fuori, fino a quando sarà tutto sul pavimento, lasciando solo il mio corpo vuoto. Chissà se Liam pulirà o se lo farà fare alle sue guardie del corpo. Forse sarà contento di liberarsi di un peso come me.
Non so perché non mi guarda, perché fissa il pavimento, forse c’è qualcosa lì che a me sfugge. Socchiudo gli occhi per mettere a fuoco quella mattonella che tanto attira la sua attenzione nell’oscurità, ma non mi sembra ci sia niente di speciale; continuo a non capire il suo sguardo basso.
Ha le mani in tasca, le spalle strette fra loro, come se si volesse difendere da qualcosa, come se si volesse difendere da me. Vorrei toccarlo, ma ho paura a vederlo così chiuso in se stesso, quindi non lo faccio. Nel silenzio assordante che ci circonda non riesco più ad ascoltare il ticchettio della bomba. Era solo tutto uno stupido falso allarme e io sono la cretina che ci ha creduto.
Ingoio le mie lacrime prima ce mi sgorghino fuori dagli occhi: sanno di sale e di dolore.
«Mi dispiace» dico a Liam. Vorrei che la mia voce uscisse forte, sicura, invece è un singhiozzo spezzato.
Liam alza la testa all’improvviso, come se si fosse accorto solo ora della mia presenza. Cammina verso di me e mi abbraccia, solo che quello che sento è diverso dal solito, non c’è il solito calore fra noi. Siamo due fiamme spente, cerchiamo di riaccenderci, ma la pioggia continua a battere insistente sopra le nostre teste.
«Odio vederti piangere, perché so che è colpa mia» le parole escono dalla bocca di Liam come l’acqua esce dagli argini di un fiume in piena. Vorrei interromperlo, ma vengo scossa da singhiozzi e brividi, e le sue braccia sono un rifugio così perfetto per il mio corpo stanco…
«È solo colpa mia se ci vediamo qualche volte all’anno, e non è nemmeno che io non ne abbia l’opportunità, ho solo paura» la sua voce non si spezza, non è fragile come la mia. È uno sfogo, c’è rabbia in ciò che dice, rabbia e una disperata voglia di raccontare ciò che non ha potuto.
«Accade sovente che ciò che abbiamo lasciato di rado torni com’era prima» dice usando una citazione di un libro che non conosco, per poi ridere amaramente. Non so se si rende conto di quanto la risata suoni triste e vuota.
«Tu sei così bella, così pura! Ricordo ancora quando ti conobbi. Non sei cambiata di una virgola, sai? Io invece sono una persona diversa e non faccio altro che fingere. Fingo quando le telecamere si accendono, fingo con i miei manager, fingo con i miei fan, fingo perfino con te. È questa la cosa che mi spaventa e mi ferisce» usa sempre il suo tono di sfogo.
«Continuo ad essere innamorato di te, ma come faccio a sapere se tu lo sei ancora di me, se non ti lascio vedere cosa sono diventato? Ho paura della tua reazione e fingo per non deluderti»
«Non potrei mai smettere di amarti!» esclamo, ferita dal fatto che possa aver pensato una simile cosa su di me. Come potrei smettere di respirare? Come potrei impedire al mio cuore di battere? Non riesco a capirlo, proprio come non riesco a capire come potrei smettere di amare Liam.
«No, tu non riusciresti a farlo con il vecchio Liam, ma questo nuovo… a volte fa paura anche a me» sussurra, questa volta impaurito.
«Se ti fa paura non sei tu. Tu dici che fingi con me, ma non è vero. Sei autentico Liam, ed è per questo che ti amo» gli dico dolcemente. Mi sono tranquillizzata ed è il momento che lo faccia anche con lui. Gli accarezzo i capelli e scoppia a piangere come un bambino piccolo.
Non m’importa di cosa dice o di chi finge di essere diventato, quello è il mio Liam, quello che si mostra sempre pronto a sacrificarsi per gli altri, quello preoccupato, quello dolce, quello che mi ha salvata e continua a farlo, semplicemente respirando.
Si calma poco tempo dopo e restiamo stretti nel nostro abbraccio. La pioggia che batteva su di noi finalmente si è spenta, ora ardiamo di nuovo, anche più forti di prima: il nostro fuoco ci brucia e ci riscalda, la fiamma è così alta che può essere vista anche dalla Luna.
«Questo abbraccio vorrà essere l’ultima cosa a cui penserò prima di morire» mi sussurra.
«Smettila di fare il melodrammatico» lo rimprovero ridendo.
«Seriamente, non sopporterei il fatto di andare in qualche posto in cui non ricordo il tuo viso o il tuo nome o il tuo amore per me».
«Abbiamo tutta la vita davanti, costruiremo altri ricordi. Ovunque andremo dopo la morte ti ci accompagnerò io» gli sussurro «Però ti prego, non parliamone più, mi mette angoscia!».
Non ci baciamo, questa volta non ne sentiamo il desiderio. Abbiamo già consumato ieri la nostra passione e ora non abbiamo bisogno solo di noi stessi, di scambiarci promesse e far sì che durino in eterno.
Perché io non sono nulla senza Liam e Liam non è nulla senza di me. È come se fossimo incompleti, due metà di un qualcosa e non due individui singoli. A chi servirebbero le calamite dal polo positivo, se non ci fossero quelle dal polo negativo?
Continuiamo a parlare e facciamo progetti sul nostro futuro; Liam ha detto che prima o poi dirà a tutti di me, di noi, andremmo a vivere su una casa e non ci sarà bisogno che io lavori, perché i soldi che ha fatto un questi anni basteranno per tutti i due. Prenderemo una casa nel Galles, così ogni giorno mi affaccerò dalla finestra della mia camera e vedrò le dolci colline e il cielo azzurro. Potrò andare a trovare i miei genitori quando vorrò.
Sarò felice. Saremmo felici.
 
Torno a casa da sola, a piedi. Ora che ho chiarito con Liam mi sento molto meglio, abbiamo deciso che ci vedremo più spesso, però devo abituarmi alla sua lontananza. Quello che ho sentito oggi, quel dolore dentro al petto, è stato sbagliato nei suoi confronti. Devo accettare dei sacrifici per poter essere felice, questi devono essere i miei sacrifici.
Avrò una vita normale, ho una vita normale. Lo faccio per Liam.
Di solito non guardo il telegiornale e non so perché oggi l’ho fatto. La sigla rimbomba vuota nelle mie orecchie e la mia mente è altrove. Liam non è accanto a me e devo accettarlo. Devo accettare la sua vita e devo accettare la mia, devo imparare ad andare avanti senza di lui.
La cucina sembra stranamente vuota senza i miei coinquilini – sono ad un pranzo con i compagni dell’università, o forse quelli delle superiori – ma non m’importa. Mi sto abituando alla solitudine, devo abituarmi a farlo.
Le posate fanno rumore quando le sbatto fra di loro e la tavola, apparecchiata, per una sola persona, mi sembra una delle visioni più tristi in assoluto. La sigla è appena finita, mi accorgo che il volume della televisione è troppo alto ora che ci sono solo io ad ascoltarla, così prendo il telecomando e faccio per abbassarla.
La giornalista appare così finta, in viso ha quintali di trucco e gli interventi di chirurgia estetica per far scomparire le rughe facciali sono evidenti.
Dove avrò messo il telecomando?
La donna continua a parlare, quasi sputando fuori dalla bocca le parole. La prima notizia è di cronaca nera, a seguire verranno quelle sulla politica, prima interna e poi estera, le previsioni meteo ed infine qualche animale che ha imparato a fare qualcosa di sorprendente in qualche zoo dell’Asia.
Eccolo, era sotto il divano!
Lo raccolgo e posiziono il mio dito sul pulsante del volume, quando la mia mano, udendo la notizia, perde la sua forza, lasciandolo cadere a terra. Il suono dell’impatto del telecomando con il suolo mi arriva lontano, distante, come se fosse accaduto a chilometri da me, come se fosse accaduto in un altro universo. Sento la giornalista parlare, ma le parole che vomita non hanno alcun senso per me, sono vuote e prive di significato. Fisso lo schermo della tv, ma in realtà non vedo nulla, c’è solo il nero intorno a me.
Cammino nuda su una lastra di vetro sospesa a mezz’aria e ad ogni passo la lastra si crepa, fino a quando non si rompe del tutto, frantumandosi sotto ai miei piedi, ferendoli. Sento il sangue scivolarmi lungo le gambe mentre precipito, apro gli occhi e vedo le schegge del vetro cadere come fossero le lacrime degli angeli, lacrime leggere e lucenti.
Non ci mettono molto a raggiungermi, né a superarmi: il mio corpo viene ferito da queste lacrime, il sangue ormai mi ricopre tutta e, stanca, chiudo gli occhi, aspettando solo l’impatto con il suolo, che però non arriva.
Tutto quello che sento è il sapore del mio sangue.




Okay, innanzitutto vi chiedo di perdonarmi. So che la fine di questo capitolo potrebbe lasciarvi un po' disorientati, ma nel prossimo spiegherò cos'è successo. Ho finalmente deciso di dare una svolta a questa storia, così ho raccolto le mie idee e ho scelto cosa farne. Vi avviso (chi mi segue da un po' già lo sa) che io non amo le storie lunghe, per cui questa non fa differenza. La conclusione sarà fra due capitoli, forse ci sarà un epilogo, ma non è ancora certo.
Spero che questo capitolo vi sia piciuto, ci ho messo davvero tanto per scriverlo e spero di non avervi deluso. Come al solito vi sarei molto grata se lasciaste pareri/consigli/critiche in una recensione.
Ah, a proposito: mi hanno chiesto come mai non abbia ancora scritto il nome della protagonista, non è che non ci abbia pensato, solo che è una cosa che spiegherò nel prossimo capitolo. So che siete stanchi dei misteri, ma fra due capitoli la stroia sarà finita e vi assicuro che già dal prossimo molti vostri dubbi verranno soddisfatti.
Grazie mille a chi recensisce, a chi mette la storia fra le preferite/seguite/ricordate e grazie anche a chi legge e basta, mi rendete tutti molto felice.
La frase in cima al capitolo (se l'avete riconosciuta vi sposo) è 'A Silvia', di Leopardi.

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Capitolo 5
*** IV. ***




IV.
 
« La morte si sconta vivendo »



 
Liam è morto.
La verità mi colpisce in pieno, lasciando lividi violacei sul mio corpo che nessuno vede. Sogno specchi che si infrangono, le schegge cadono a terra, il mio riflesso è diviso in tante piccole parti e, al di là dei frammenti, c’è lui, Liam. Il suo viso è bianco, è spaventato e si guarda intorno freneticamente: sta cercando me. Sa che ho rotto la nostra promessa, non ho trascorso la vita con lui, non sono lì ad aspettarlo, probabilmente mi odia.
Lo specchio non c’è più, eppure una lastra di vetro mi intrappola, non posso raggiungerlo, né parlare con lui, ho solo la certezza che sia morto. Spettatore della nostra sofferenza c’è il più terribile degli angeli: le sue piume sono macchiate di sangue e un sorriso crudele è stampato sul suo volto.
L’angelo si nutre del mio dolore ed io non so come reagire: sono intrappolata fra due mondi; vorrei essere morta, raggiungere Liam, ma non ho la forza necessaria per porre fine alla mia vita; allo stesso tempo rimango qui, in vita ma non proprio, con la consapevolezza che non riuscirò a vivere senza di lui.
Sono incastrata fra due muri e mi manca l’aria. I muri si avvicinano sempre di più fra loro, stringendomi nella loro morsa, ma non mi permettono di morire. Devo continuare a farlo, devo soffrire, è la mia punizione per aver pensato di poter vivere felice con Liam. L’ossigeno continua a diminuire, così chiudo gli occhi e attendo qualcosa, qualsiasi cosa, che riesca a risvegliarmi dai miei incubi, ma c’è solo il buio che mi circonda.
 
Mi sveglia mia madre, la sua fronte è percorsa da una ruga che, sono sicura, non c’era prima. È preoccupata per me in quel modo in cui solo le madri lo sono. Vede quanto soffro, sa che non può far nulla, se non aspettare che mi passi: il tempo cura le ferite, ma le cicatrici restano, il dolore è sempre in agguato, un avvoltoio che non aspetta altro che il nostro corpo vuoto per poterlo consumare. Posso guarire, ma posso anche morire dissanguata.
«Delilah, come va oggi?» mi chiede con dolcezza, accarezzandomi il viso. Pronuncia il mio nome con leggerezza: l’ha scelto lei, anche mia nonna si chiamava così e mia madre la amava molto. Ogni volta che mi chiama sento il peso di quell’amore.
Vorrei provare a dirle che sto bene, che non vale la pena preoccuparsi per me, perché non penso che la mia vita valga qualcosa. Non dovrebbe rovinarsi per me, non dovrei essere la causa delle sue rughe. Dovrei dirle che oggi mi sento meglio, ma non sono più sicura che ci sia un ‘oggi’ o che ci sia stato un ‘ieri’, né tantomeno che ci sarà un ‘domani’, sono solo una persona che si è fermata nella nebbia. I giorni sul mio calendario hanno smesso di essere importanti quando Liam è morto.
Mia madre continua a guardarmi preoccupata, mi poggia una mano sulla fronte, mi accarezza.
«Forse hai bisogno di dormire un altro po’, bambina mia».
Amo mia madre e la amo ancora di più quando mi chiama in questo modo, come se fossi ancora la sua bambina, quella che a tre anni si era sbucciata un ginocchio per imparare ad andare in bici, che giocava nella casetta sull’albero, faceva lunghe escursioni a cavallo e proponeva storie impensabili alle sue bambole. Ai suoi occhi sono ancora lei, e forse lo ero, fino a quando Liam era con me. Forse la sua morte mi sta dicendo che devo abbandonare l’idea che avevo di me, ma non ci riesco. Non è che non voglio crescere, solo non voglio farlo in un mondo senza Liam.
Mia madre continua ad accarezzarmi e la sua mano calda sembra essere l’unica cosa che riesce a scaldare la mia anima fredda di questi tempi. Il calore mi fa chiudere gli occhi e una stanchezza che non mi ero resa conto di sentire si impossessa di nuovo, facendomi cadere nel mio mondo di incubi, sensi di colpa e sangue.
 
Non so che ore sono quando mi sveglio di nuovo, il sole sta tramontando dietro le montagne e mia madre non è più sul letto accanto a me. Decido che voglio smetterla di compiangermi distesa sul letto, meglio farlo al bagno. Mi alzo in piedi troppo velocemente, la mia testa gira e un sacco di puntini neri mi coprono la vista per qualche secondo.
Cammino a passo svelto verso il bagno, entro e chiudo la porta a chiave. Mi fisso allo specchio, ho un aspetto orribile: i miei capelli sono diventati ormai un groviglio indomabile, i miei occhi sono gonfi e rossi e sembra che non dorma da settimane, nonostante gli ultimi giorni li ho passati a fare solo quello. Prendo la spazzola e, lentamente, pettino tutti i miei capelli, ciocca per ciocca, fino a quando posso passarci in mezzo le dita senza che questi mi si intreccino. Prendo la mia misera trousse dal mobile sotto il lavandino e tiro fuori tutti i pochi trucchi che ho. Spremo tutto il tubetto di fondotinta liquido che ho e ne passo il più possibile sul mio viso, fino a quando non sembro avere quasi una seconda faccia. Quello che mi avanza lo getto nel lavandino e apro l’acqua: molteplici strisce color marrone scivolano verso il centro dal lavandino prima di essere risucchiate dallo scarico.
Lascio l’acqua aperta, perché ho appena scoperto che se ho qualche rumore a distrarmi i miei pensieri sono meno udibili alle mie orecchie. Ci sono, ma sono flebili borbottii, cose di poco conto.
Prendo l’eyeliner e traccio una linea storta, le mie dita tremano, ma non m’importa. Continuo a farla sempre più spessa, fino a quando non mi copre metà della palpebra, poi faccio la stessa cosa con l’altro occhio. Mi metto così tanto mascara che le mie ciglia sembrano finte. Il mio viso non è più il mio, cambia, appartiene a qualcuno che non riconosco. Delilah non c’è più, quella allo specchio è l’assassina di Liam. Perché se non l’avessi chiamato Liam non sarebbe tornato, non si sarebbe mai imbarcato su quell’aereo e ora non sarebbe morto. È colpa mia se lui non c’è più, solo mia.
Per ultima cosa prendo il mio rossetto, quello rosso, comprato in un momento di vanità quando avevo diciotto anni, ma che avevo messo solo due volte. Una di queste era per il mio primo appuntamento con Liam. Lo premo con forza sulle mie labbra, lentamente osservo la linea rossa che si traccia e non posso fare a meno di pensare quanto questo colore sia simile al sangue. Non m’importa essere precisa o andare dritta, voglio solo imprimermi un marchio, un avvertimento. Voglio che tutti sappiano quanto sia colpevole, quanto il sangue innocente di Liam sia su di me, quanto io sia sporca in confronto alla purezza che era lui. Esco dal bagno e indosso un vestito nero e corto, senza calza sotto. Apro la scarpiera di mia madre e prendo un paio di stivali neri con il tacco. Non ho mai camminato con scarpe con il tacco, mi hanno sempre dato l’impressione di essere scomode e dolorose, ma mi sembra già di camminare sui frammenti di vetro, un altro po’ di dolore è quello che mi merito. In casa non sembra esserci nessuno, per cui non mi è difficile prendere la prima giacca dall’appendiabiti e uscire, per dirigermi verso il centro del paese. Ormai il solo è calato, la notte è scesa fredda e silenziosa, come accade solo nei piccoli paesi di montagna. In giro non c’è nessuno, il vento è soffia nella direzione contraria alla mia, rendendomi ogni passo più difficile e facendomi stringere nella mia giacca. Non mi rendo conto che sta piovendo fino a quando non mi tocco il viso, accorgendomi che è bagnato. Il mio trucco si sarà sicuramente sfasciato, ma non m’importa più di tanto. Non voglio piacere, voglio spaventare.
Quando finalmente arrivo in centro, entro nel pub locale, senza pensarci due volte. Non credo che qualcuno mi conosca, non ho mai frequentato posti del genere e sono due anni che non torno più qui. Per la gente di qui sono solo ‘la figlia di’, il mio nome si potrà trovare solo in qualche vecchio registro scolastico, ma non sono un ricordo, non sono impressa nel loro cuore. 
Mi siedo su un sgabello vicino al bancone, ignorando i fischi e i commenti delle persone già presenti. So che tutti mi hanno guardato appena sono entrata, qualsiasi cosa abbiano pensato di me, qualsiasi sia il loro giudizio, mi hanno guardata. C’è molto peso negli sguardi ed io sono una persona debole per sopportarlo, ma non m’importa, è solo altro dolore che si aggiunge al carico già esistente.
Indico gli alcolici dietro al barista per fargli capire che sono quelli che desidero. Lui mi guarda e alza un sopracciglio, ma mi versa ciò che chiedo nel bicchiere senza fare troppe storie. Annuso il liquido trasparente e poi lo buttò giù tutto d’un fiato: il sapore è tanto pessimo quanto l’odore.
Ne ordino un altro e lo bevo come il primo.
Poi un altro.
E un altro.
Ancora uno.
Più ne bevo più ne vorrei.
Ne chiedo un altro al barista, ma lui scuote la testa, dicendomi che ho bevuto abbastanza per oggi, vorrei dirgli che non è mia madre e non può dirmi cosa posso e non posso fare. Sono una donna adulta ormai e mi uccido come voglio. Tiro fuori i soldi dalla mia tasca e li sbatto sul bancone, poi alzo il dito medio e sorrido falsamente al povero ragazzo, che prende i soldi borbottando quanto io sia maleducata.
Non m’importa di ciò che la gente pensa di me, ormai. L’unico parere che mi interessava è quello di una persona ormai morta, che ho ucciso e tradito. Sono colpevole, colpevole oltre ogni misura. Ognuno paga per le proprie colpe e il dolore che sento è il mio prezzo. È qualcosa che mi opprime e lo farà per tutta la mia vita. La pioggia scende, sempre più copiosa, apro le braccia e butto indietro la testa, lascio che questa mi bagni, anche se nemmeno l’acqua può lavare via i miei peccati. Sono piena di ferite, piena di cicatrici, porto il mio peso in silenzio e nessuno se ne accorge. Scivolo fra la gente, la testa leggera, ormai completamente bagnata, col cuore che vorrebbe smettere di battermi in petto e il sangue che cola dalla mia bocca. Tutto intorno a me sembra opaco, nulla è reale, c’è solo dolore e nebbia. Le stelle e la luna non sono in cielo, le nubi le coprono; le strade sono ormai fango e impronte. Metto il mio piede sopra una di essere, per vedere dove queste tracce mi portano, se la vita di un altro essere umano potrà mai adattarsi alla mia, ma è tutto inutile: alcune sono troppo grandi, altre troppo piccole, i miei tacchi affondano nel fango e mi fanno cadere.
Ormai non cammino più, gattono, sono sporca, bagnata e colpevole. Mi stendo sul fango e lascio che la pioggia mi copra. Voglio sparire, voglio essere inghiottita dalla terra e passare tutta l’eternità con Liam. Respirare mi diventa sempre più faticoso, i battiti del mio cuore rallentano e il petto mi fa male ogni volta che inalo aria. Forse se smettessi sarebbe tutto più facile.
Il dolore cresce in modo esponenziale dentro di me e, in tutto questo, non posso far altro che chiudere gli occhi, attendere e sorridere.
Liam, aspettami, sto arrivando da te.


 


 
Salve gente, eccomi qui con questo nuovo capitolo. So che non aggiornavo da due settimane, ma la settimana scorsa ho avuto impegni per via della fine della scuola e, quando finalmente mi sono liberata, ci ho messo tanto a scriverlo. È stata dura per me scrivere della morte di Liam (incolpate Irene per questo), non avevo mai fatto morire un personaggio principale e davvero mi sono messa a piangere mentre scrivevo la vita di Delilah (vi piace il suo nome?) senza il suo amore.
Questo, comunque, è il penultimo capitolo, ho già deciso come andrà a finire la storia e non ci sarà nessun epilogo. Spero davvero di non avervi deluso, posso capire che questo capitolo e molto introspettivo e con molti sensi di colpa, spero che non lo troiate noioso, mi sono impegnata al massimo per non risultare banale e far capire davvero quanto Liam fosse importante per lei.
Ora vi saluto perché ho già detto troppo, la citazione all'inizio del capitolo è di Ungaretti e ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo.

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