Love Never Fails

di Michaels
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 2008 ***
Capitolo 2: *** 2009 pt.1 ***
Capitolo 3: *** 2009 pt.2 ***
Capitolo 4: *** 2009 pt.3 ***
Capitolo 5: *** 2009 pt.4 ***
Capitolo 6: *** 2009 pt.5 ***
Capitolo 7: *** 2010 pt.1 ***
Capitolo 8: *** 2010 pt.2 ***
Capitolo 9: *** 2010 pt.3 ***
Capitolo 10: *** 2010 pt.4 ***
Capitolo 11: *** 2010 pt.5 ***
Capitolo 12: *** 2010 pt.6 ***
Capitolo 13: *** 2010 pt.7 ***
Capitolo 14: *** 2010 pt.8 ***
Capitolo 15: *** 2010 pt.9 ***
Capitolo 16: *** 2010 pt.10 ***
Capitolo 17: *** 2010 pt.11 ***
Capitolo 18: *** 2010 pt.12 ***
Capitolo 19: *** 2011 pt.1 ***
Capitolo 20: *** 2011 pt.2 ***
Capitolo 21: *** 2011 pt.3 ***
Capitolo 22: *** 2011 pt.4 ***
Capitolo 23: *** 2011 pt.5 ***
Capitolo 24: *** 2011 pt.6 ***
Capitolo 25: *** 2011 pt.7 ***
Capitolo 26: *** 2011 pt.8 ***
Capitolo 27: *** 2011 pt.9 ***
Capitolo 28: *** 2011 pt.10 ***
Capitolo 29: *** 2011 pt.11 ***
Capitolo 30: *** 2011 pt.12 ***
Capitolo 31: *** 2012 pt.1 ***
Capitolo 32: *** 2012 pt.2 ***
Capitolo 33: *** 2012 pt.3 ***
Capitolo 34: *** 2012 pt.4 ***
Capitolo 35: *** 2012 pt.5 ***
Capitolo 36: *** 2012 pt.6 ***
Capitolo 37: *** 2012 pt.7 ***
Capitolo 38: *** 2012 pt.8 ***
Capitolo 39: *** 2012 pt.9 ***
Capitolo 40: *** 2012 pt.10 ***
Capitolo 41: *** 2012 pt.11 ***
Capitolo 42: *** 2012 pt.12 ***
Capitolo 43: *** 2012 pt.13 ***
Capitolo 44: *** 2012 pt.14 ***
Capitolo 45: *** 2013 pt.1 ***
Capitolo 46: *** 2013 pt.2 ***
Capitolo 47: *** 2013 pt.3 ***
Capitolo 48: *** 2013 pt.4 ***
Capitolo 49: *** 2013 pt.5 ***



Capitolo 1
*** 2008 ***


Frascati, Gennaio 2008
 
 
Quella mattina toccava a me aprire il bar alle sette di mattina, questo significava ovviamente, alzarmi alle cinque e mezza e stare lì alle sei e mezza. Che stanchezza, al sol ripensarci.
Dopo aver sistemato tutto ciò che c’era da sistemare, mi sedetti al bancone, nell’attesa dell’arrivo di alcuni colleghi e di alcuni clienti. Niente. Dopo mezz’ora ancora niente. Annoiato, presi uno stuzzicadenti e cominciai a giocarci, finché ancora più annoiato di prima, me lo misi in bocca, senza troppe cerimonie.
Sentii la porta aprirsi, così alzai la testa, cercando di capire chi fosse. Quando lo vidi il mio cuore si bloccò. Un ragazzo alto quasi due metri, decisamente più della porta, entrò infreddolito dal tempo invernale che invadeva l’esterno.
“Oh, God!” Esclamò strofinandosi le mani per riscaldarle. “Sorry.” Mi guardò con i suoi occhi color cioccolato al latte circondati da piccole e tenere venature verdognole.
Inglese? Sul serio? Ah…
“It’s okay.” Tentai.
Mi rivolse un meraviglioso sorriso, reso ancora più bambino dalle fossette che si vennero a creare ai lati, dai suoi due incisivi adorabilmente grandi e dalla sua massa di capelli riccioluti.
“Do you have coffee?” La sua voce. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse incredibilmente bella.
“Sure!” Risposi, dopo un po’, andando a prepararlo. “Oh, cavolo!” Esclamai, dopo, avendo fatto cadere la tazza.
“Sorry, i don’t speak italian, but i understand it a little bit.” Sorrise, mostrando ancora la sua dentatura squadrata.
Sorrisi di rimando, per poi sospirare rumorosamente.
“Are you okay?” Mi chiese, premuroso. Dolce…
“Oh, yes. Thank you.” Lo ringraziai porgendogli la tazza.
“Can I have that cookie?” Chiese, con l’espressione più dolce che io abbia mai visto, un occhio di bue al cioccolato.
“Sure.” Dissi divertito, andandoglielo a prendere.
“Thanks.” Lo addentò senza pensarci due volte, e con ancora il boccone in bocca, mi invitò a sedermi accanto a lui battendo la mano sulla sedia. “What’s your name?”
“Marco.” Risposi, timidamente.
“Nice to meet you, Marco!” Esclamò sbagliando accento. “I’m Michael, but you can call me Mika!”
Mika… mi suona familiare.
“Piacere.” Sembrai imbambolato. “Cioè! Nice to meet you too.” Sorrisi.
“Now, sorry, but i gotta go.” Disse dirigendosi alla cassa, seguito da me. “Bye.” Uscì, dopo aver pagato.
“Bye.” Ripetei, quando ormai se n’era andato.
Santo Cielo, un angelo mi hai mandato?
“Ed ora passiamo allo spettacolo.” Sentii la tv. “Un artista esordiente, di nome Mika, si sta per esibire questa sera al Teatro Olimpico di Roma ed è già sold-out.” Mi stavo per strozzare con l’acqua quando vidi la sua foto sullo schermo.
Merda.
 
 
 Ronciglione, Giugno
 
 
“Marco!” Sentii Cristie urlare entrando in camera mia. “Hai da fare il 23 luglio?” Cominciò a sventolare due fogli davanti alla mia faccia ancora assonnata.
“Ma che ti sei messa in testa? Entrare così di prima mattina. Vuoi farmi venire un infarto?” Richiusi gli occhi, prendendo il cuscino, che usai per coprirmi il viso, ormai adirato.
“Oh, andiamo! Manco fossi nudo! Dai, sono le dieci! Dovresti essere in piedi da un pezzo.” Disse sedendosi accanto a me.
“Torna più tardi. Ho sonno.” Cercai di dire dal cuscino.
“Se me ne vado non ci vediamo fino a domani. Lavoro questo pomeriggio. Conoscendoti non riusciresti a resistere tutto quel tempo, non sapendo cosa sono riuscita a trovare.” Mi provocò.
“Scommettiamo?”
“Okay. Allora, a domani.” Si alzò dal letto, per uscire dalla mia stanza.
Non levarti il cuscino dalla faccia, Marco. Non alzarti, ce la puoi fare.
“Aspetta!” Perfetto.
“Lo sapevo.” Affermò, agitando la testa divertita.
“Cos’hai lì?” Le chiesi indicando i fogli che teneva tra le mani.
“Sono dei biglietti per un concerto.” Si sedette accanto a me. “E non indovinerai mai di chi.”
“I miei idoli sono quasi tutti morti, quindi ne rimangono pochi. O è Michael Jackson o è…”
“Ah, al diavolo! MIKA!” Urlò.
Mi alzai di scatto dal letto e la guardai con occhi sbarrati, per poi prendere quei due foglietti che mi avrebbe portato in paradiso per almeno un paio d’ore.
“Oh, cazzo.” L’unica cosa che mi venne da dire, in quel momento.
“Non c’è bisogno che mi ringrazi.” Disse, spavalda.
“Grazie, Cris!” Mi gettai su di lei per abbracciarla il più forte possibile.
“Mi soffochi, così!” Rise.
“Ti adoro, ti adoro, ti adoro, ti adoro!” Le urlai nell’orecchio.
“Sai, vorrei sentirlo anch’io cantare al concerto, Marco. Evita di rompermi i timpani. È l’unica cosa che ti chiedo.”
“Manca meno di un mese. Non ci posso credere che lo rivedrò. Grazie ancora.” Ricambiò, finalmente il mio abbraccio.
“Magari ti riconosce se ci mettiamo nelle prime file.” Disse sorridendo.
“Magari.” Cominciai a sognare ad occhi aperti.
Ero la persona più felice del mondo, e non mi importava se a mio padre quel tipo di musica e Mika non gli piacevano. Credeva mi desse cattive influenze, ma non era vero. Era un ragazzo d’oro e l’aveva dimostrato tante volte.
 
 
22 Luglio
 
 
“Quante volte te lo devo dire che tu non ci vai?” Mi disse mio padre, con tono alterato.
“Invece, ci vado. Ho 19 anni ormai, okay?” Mi imposi.
“Ah, allora se hai 19 anni, sei un uomo.”
“Mamma!?” Okay, non aiuta come cosa.
“Io mi tengo fuori da questa storia, Marco.” Se ne lavò le mani.
“Perché non capisci? Mi piace come cantante, qual è il problema? E poi, ti ricordo che l’ho conosciuto qualche mese fa, quando è venuto al bar di Frascati.”
“A me non piace quel ragazzo, okay? Sembra...” Si bloccò.
“Sembra cosa?” Mi alterai, anche io.
Sapevo bene cosa voleva dire, in realtà, e non riuscivo a capire cosa ci fosse stato di male.
“Gay, okay?”
“E quale sarebbe il problema?”
“Non voglio che tu venga influenzato da lui, chiaro? Già io e tua madre abbiamo dei dubbi, poi ci si mette pure questo qua.” Mia madre lo fulminò con lo sguardo.
Guardai prima mio padre e poi lei cercando delle spiegazioni. Fu una delle cose più stupide che io abbia mai sentito nella mia vita ed una di quelle che mi ferirono di più.
Corsi in camera e presi tutta la mia roba, buttandola nelle valigie, seguito poi da mia madre.
“Marco, dove vai?”
“Me ne vado. Io non posso credere a cosa ho appena sentito.”
“Capisci tuo padre…”
“No! E anche se fosse, mamma, eh? Anche se fosse che succederebbe? Mi buttereste fuori di casa? Mi mettereste in uno ospedale psichiatrico? Cosa?” Urlai, velocemente, sistemando le ultime cose.
“Ma che dici… ma non lo sei, giusto?” La guardai negli occhi, senza risponderle, ancora una volta ferito.
La vista cominciò ad offuscarsi ed ad essere instabile, improvvisamente. Non volevo piangere davanti a lei, così presi tutto quello che dovevo prendere ed uscii velocemente da quella casa. Mi diressi, poi, verso casa di Cristie.
 
“Marco, che è successo?” Mi chiese preoccupata, quando mi buttai tra le sue braccia piangendo, dopo avermi aperto la porta.
Le raccontai cosa era successo, come mi aveva trattato mio padre e come insistette sull’argomento mia madre. Per loro ero semplicemente sbagliato. Un errore, se non ero come loro volevano.
Io amavo Mika sia come artista che come persona, non ci vedevo niente di male.
 
 
Roma, 23 Luglio
 
 
Mika! Mika! Mika! Mika!” Il pubblicò continuò a chiamarlo ed a tifare per lui per tutto il concerto. Io e Cris non eravamo riusciti ad arrivare in tempo per la prima fila, ma almeno eravamo riusciti a metterci nella terza. Era così diverso da come l’avevo visto io: era energico ed anche abbastanza casinaro. Perfetto.
Mi piaceva il suo lato timido e tranquillo che si opponeva a quello da animale da palco scenico.
Cercai di trovare il suo sguardo un milione di volte, ma solo verso la fine riuscii ad incontrarlo. Si fermò ad osservarmi, per un po’, e la gente intorno a noi si era cominciata a chiedere cosa gli stesse accadendo. Rivedere i suoi occhi guardare i miei mi provocò una tachicardia immediata. Sentii lo stomaco sotto sopra ed automaticamente gli sorrisi e la cosa più bella, fu che mi rispose al sorriso prendendosi un ciuffo dai capelli ed alzandoseli.
“Ti ha guardato, Marco!” Urlò Cristie entusiasta.
Non riuscii a risponderle finché alla fine della canzone si mosse sul palco senza staccare gli occhi da me, fino all’inizio di Lollipop, dopo il quale cominciò a saltare come un matto, per tutto il palco.
Merda.


#MyWor(l)d 
Saaalve! c:
Adoro Mika e Marco, e non potendo aggiornare le altre storie me ne sono messa a scrivere un'altra x3
Comunque, questa sarà decisamente più breve, ed i capitoli saranno più o meno lunghi come questo e divisi per anni fino al 2015 :3
Spero sia di vostro gradimento!
Un bacio,
Michaels

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Capitolo 2
*** 2009 pt.1 ***


Milano, Venerdì 2 Ottobre 2009
 
 
Il freddo lo soffrivo particolarmente. In quei giorni mi sentivo spossato e, in più, mi ero anche raffreddato ed avevo paura di non poter dare il meglio al live.
“Okay, ragazzi, venite qui.” Sentii uno dei tecnici del suono chiamarci. Mi avvicinai a lui, seguito da Silver. Da quando ero entrato ad X Factor, era quello con cui avevo legato di più, insieme a Chiara. Era un ragazzo poco più basso di me con i capelli castani ordinati, ma lunghi e sparati tutti da una parte e gli occhi verde acqua. Possiamo definirlo il mio, fisicamente, opposto. Tuttavia, eravamo due matti, che si divertivano a fare scherzi nel loft. Da quando Morgan ci aveva scelto nella categoria 16-24, passammo tutto il tempo insieme. Era un bravo ragazzo di sani princìpi, con cui condividevo la mia più grande passione.
“Questa settimana, l'ospite della quinta puntata sarà Mika, che verrà a conoscervi oggi nel pomeriggio, verso le cinque, dopo aver fatto un giro per gli studi. Chiaro?” Ci informò e se ne andò, seguito da un'altra donna.
Nella stanza, si sentì l'esultanza e la felicità degli altri concorrenti.
Il mio cuore, intanto, perse l'ennesimo battito, sentendo il suo nome. Era passato più di un anno, eppure nella mia testa c'era solo lui. Infondo, speravo sempre di rivedere lui ed il suo meraviglioso sorriso e di risentire la sua voce angelica. 
Non raccontai a nessun altro il mio incontro con Mika, un po' per egoismo, un po' per timidezza. 
Negli anni, continuai a seguirlo, mentre scalava le classifiche e prolungava il suo tour.
“Ehi, amico, andiamo?” Fui riportato alla realtà da Silver, che mi guardò con aria leggermente preoccupata. 
“Oh, sì.” Dissi, distrattamente.
“Forte Mika, eh?” Disse mentre camminavamo fianco a fianco, in giro, cercando qualcosa da fare. 
“G-già.” Balbettai. Questo è l’effetto che mi fa solo sentire il suo meraviglioso nome? Grandioso… 
“Ehi, ti senti bene?” Mi chiese poggiando la sua mano sulla mia spalla.
“Mi gira un po' la testa.” Mi sedetti sul divanetto più vicino.
“Aspetta qui. Chiamo qualcuno.” 
Quando se ne andò, mi distesi completamente. La testa cominciò a farmi male veramente. Troppe emozioni insieme, per me, risultavano letali. Chiusi gli occhi cercando di rilassarmi ed aspettando che Silver tornasse. Tuttavia, non riuscii a resistere per molto, addormentandomi, poco dopo.
 
“Marco, ehi, svegliati, Marco.” Sentii qualcuno scuotermi e la voce di Silver chiamarmi.
“Mh...” Farfugliai infastidito.
“Is he okay?” Una voce fin troppo familiare arrivò alle mie orecchie, facendomi aprire gli occhi di scatto.
E me lo ritrovai lì, mentre mi guardava preoccupato con i suoi occhioni di un colore ancora indefinito.
“Mika.” Dissi il suo nome, alzandomi di scatto dal divano. 
Mossa fin troppo stupida: mi dovetti risedere immediatamente, essendo stato colpito da una fitta alla testa.
“Take it easy, Marco.” La sua mano toccò la mia spalla, provocandomi un batticuore ancora più accelerato. 
“Deve stare a riposo. Ha la febbre alta.” Disse il medico accanto a Morgan e Silver.
Vidi Mika sedersi accanto a me sul divanetto, mentre continuava ad osservarmi. 
“Okay. Andiamo in camera.” Mi diede una mano ad alzami Silver, tendendomi la mano.
“Will he be okay?” Chiese il ricciolino a Morgan.
“Yes, it's just a fever.” Lo sentii rispondere.
Non mi aveva riconosciuto. Niente. Mi sentii profondamente ferito e deluso, mentre il mio compagno di stanza mi aiutava a sdraiarmi sul letto. 
“Riposa. Io devo andare a vedere quale canzone mi ha assegnato Morgan, Marco. Ci vediamo dopo.” Uscì velocemente dalla stanza.
“Hi!” Sentii, poco dopo, ancora la sua voce, che mi fece alzare, ancora una volta, di scatto. “Calma.” Disse col suo adorabile accento.
“C-ciao.” Balbettai, rapito dai suoi occhi.
“You're the barman, aren't you?” Si è ricordato. Si è ricordato. Si è ricordato. Si è ricordato. Si è ricordato. Respira. Oh, cazzo.
“Yes, I am.” Sfoggiai uno dei sorrisi più grandi mai mostrati.
“Are you okay?” Chiese premuroso.
“Yes, thanks.” 
“So, you sing! And, let me tell you, you're amazing!” Gli sorrisi riconoscente ed imbarazzato. Okay, ciccio, non svenire. “So...”
“Mika!” Si voltò ed io, con lui, volsi lo sguardo verso un uomo comparso sulla soglia della porta, che gli faceva segno di andare.
“Sorry. See you later.” Mi disse, dopo essersi rigirato per guardarmi.
“S-sure.” Balbettai, incantato dai suoi occhi. Visto che effetto mi fai?
Essere riuscito a parlargli dopo così tanto tempo, provocò in me qualcosa di così strano, ma così familiare. Alla fine, vederlo mi faceva sempre lo stesso effetto, al quale si aggiungeva, ogni volta, qualcosa di meravigliosamente nuovo.
Era sempre lo stesso, ma aveva i capelli leggermente più corti e disordinati. 
 
Ormai mi sentivo meglio, dopo aver riposato per un paio d'ore, ed uscii dalla stanza per andare a cercare Silver, che Dio solo sapeva dove si era cacciato.
Mentre giravo per il loft, che non mi era mai sembrato tanto grande, continuai a pensare a Mika, a quanto fosse gentile e dolce. Non avevo mai incontrato nessuno come lui, eppure mi sembrava di conoscerlo da una vita. Volevo così tanto approfondire un rapporto, pur sapendo che non sarebbe mai potuto accadere niente fra di noi. Non sapevo neanche se era attratto dagli uomini.  Mi consolava, in parte, il fatto che l’avrei rivisto di lì a poche ore.
Quando pensavo, mi guardavo in continuazione le mani, impaurito dagli sguardi altrui ed intrecciando le dita, e troppe volte mi ritrovai in situazioni imbarazzanti, dopo essere andato a sbattere contro qualcuno.
“Marco!” Sentire il mio nome, mi fece girare di scatto.
“Silver.” Lo chiamai, a mia volta, in parte deluso.
“Ti senti meglio?”
“Oh, sì, grazie. Come sono andate le assegnazioni?”
“Non è nel cuore, di Finardi.” Rispose, allegro.
“Bella. E a me ha detto cosa ha dato?”
“Preparati…” Agitò le mani, tendendo le braccia in avanti. “My Baby Just Cares For Me di Nina Simone.” Annunciò, sorridente.
“Però!” Esclamai, cercando di sorridere.
“Ehi, amico, che hai? Sei a terra. Dai, che tra un po’ andiamo a vedere Mika.”
A quella frase, non saprei dire esattamente come mi sentivo. Era vero che volevo rivederlo, con tutto il cuore, ma poi probabilmente, dopo il live, non l’avrei mai più rivisto se non ad un suo concerto.
Mentre tornavamo in camera, sentii le note di “We Are Golden” e non resistetti, avendo incontrato Luca Tommasini fuori, gli chiesi di poter assistere, insieme a Silver. Ed ero lì, poco dopo, a godermi le prove di Mika, pronto a stupire chiunque puntasse gli occhi su di lui, mettendo anima e corpo ad ogni singola parola, nota e passo. Rimasi incantato, ancora di più, quando lo vidi salire sul pianoforte, mentre saltava, si sdraiava e si rialzava. Che polmoni, santo Cielo…
“Great job!” Urlò Luca al microfono, ricevendo un pollice in su, da un Mika più sorridente che mai.
Saltò giù dal palco, prendendo una bottiglietta d’acqua dalla scrivania dei giudici, chiedendo, supposi, qualche consiglio od opinione dal direttore artistico. Quando mi vide, mi fece cenno con la mano, in segno di saluto.
“Ehi, hai legato con Mika, bro?”
“Eh? Ma che dici…”
“Se, a questo punto fingo di stare male.” Disse, mentre lo guardavo andarsene sorridendo.
È impazzito.
Quando mi rigirai, me lo ritrovai davanti sudato ma soddisfatto della prova.
“Piaciuto è?” Chiese col suo accento, fin troppo adorabile.
“Sure!” Risposi, pronto.
“Can you speak italian? I’d love to learn.”
“Okay.” Affermai, ancora, imbambolato dai suoi occhi.
“How are you?” Oh, la sua voce.
“Bene. Sei stato grande.”
“Oh, grezie.” Tentò, sbagliando accento, facendomi sorridere.
“Si dice ‘grazie’.” Dissi divertito.
“Ah!” Si portò una mano alla fronte, facendo uscire un suono gutturale, che mi diede un biglietto di solo andata per il manicomio. “Listen! Can you… help me? I wanna speak italian!” Oh, grazie Signore.
“Non sono così bravo, ma ci posso provare.” Risposi, entusiasta.
“Good!” Disse, abbracciandomi.
"Sii fisico, Mika, sii fisico. Ti prego." Dissi ad alta voce.
"What?" Chiese, confuso.
"NIENTE!" Urlai, in fretta, accorgendomi di quello che avevo appena detto.
Merda.

Quando arrivò il momento di far incontrare ufficialmente gli altri concorrenti con Mika, erano tutti, giustamente eccitati. Continuarono a far domande sulla sua carriera ed anche sulla sua vita privata. Io mi limitai a stare dietro a Silver, osservandolo in tranquillità. Almeno, tranquillità apparente, perché dentro di me si erano venute a creare più emozioni insieme. Ogni tanto, alzava lo sguardo verso di me, alcune volte sorridendo, altre pensieroso. Chissà cosa pensa… Me lo domandai un miliardo di volte, cercando di capire la risposta attraverso i suoi occhioni da cerbiatto.
“Volete chiedergli qualcos’altro?” Chiese Luca. “Marco, sei silenzioso, cosa vuoi con quel foglietto?” Effettivamente, mi ero portato un blocchetto ed una penna, non saprei dire il perché, avevo solo una gran paura di non rivederlo più.
“Voglio un autografo!” Affermai, sotto gli occhi sorpresi di Mika, al quale mi limitai a fare un sorriso imbarazzato.
Chiese qualcosa all’orecchio di Tommasini, per, poi, firmare il foglietto. Mentre me lo restituiva, cercai, di proposito, un contatto con la sua mano, che riuscii ad ottenere. L’obbiettivo era rivedere i suoi dentoni squadrati un’altra volta. Obbiettivo, anch’esso raggiunto.
Quando andai a vedere l’autografo, con un po’ di difficoltà riuscii a decifrare ciò che aveva scritto: Hi! Maestro pazo.
Alzai lo sguardo verso di lui, divertito, che mi diede l’onore, ancora una volta, prima di tornare in camera, di un altro sorriso.
Ma perché è così maledettamente perfetto?



#MyWor(l)d
Saaalve c:
Gli errori di Mika sono tutti fatti di proposito! c: Avevo una gran voglia di aggiornare questa storia, non so perché x3 So che non è un granché, però essendo una storia breve, non vorrei correre troppo con gli avvenimenti. Ho deciso di dividere in più parti il 2009 perché stava diventando un po' troppo lungo. Okay, qui Marco è già entrato ad X Factor. Vi prego, ditemi che vi ricordate di Silver e di Chiara e della quinta puntata in cui Mika è venuto ospite *-*
Spero sia di vostro gradimento!
Grazie a tutte quelle che hanno recensito il primo capitolo, messo tra le preferite e le seguite la storia e chi semplicemente la legge! Grazie di cuore! Vi adoro! <3
Un bacio,
Michaels

 

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Capitolo 3
*** 2009 pt.2 ***


Milano, Sabato 3 Ottobre 2009
 
Appena sveglio, non riuscii a non pensare agli occhi di Mika. Ogni volta, me li immaginavo di un colore diverso. Era complicato: alcune volte sembravano di un colore verdognolo, mentre altre sembravano color cioccolato. E le adorabili fossette che si venivano a creare ogni volta che sfoggiava uno dei suoi incantevoli sorrisi? Ah, ti prego. Per non parlare dei suoi riccioli, nei quali avrei voluto tanto affondare delicatamente le mie mani. La ragione più plausibile era che ogni parte del suo corpo fosse in competizione per vincere il titolo di perfezione.
Avrei tanto desiderato svegliarmi come il pomeriggio precedente: il suo viso, che mi estasiava al sol pensarci, e la sua voce, fin troppo angelica, per appartenere ad un essere umano.
Mi alzai e diventai ancora più euforico quando realizzai che di lì a poche ore avrei passato un altro po’ di tempo con lui: avevo il permesso della direzione di aiutarlo con l’italiano e la cosa mi faceva impazzire. Prima però, avrei dovuto concentrarmi un po’ di più sull'assegnazione di Morgan, provando e riprovando insieme a lui.
Così, mi diressi verso la cucina, più attivo che mai, per fare colazione. Vidi, poco dopo, fare la sua comparsa un assonnato Silver, che si stropicciava gli occhi, come un bambino. Alla fine, l’unica cosa che gli mancava, era un orsacchiotto da trascinarsi dietro, in pigiama.
“Buongiorno, eh.” Lo salutai, divertito.
“’Giorno.” Farfugliò, facendo un cenno col capo e dirigendosi verso il frigo.
“Quanta voglia di iniziare la giornata!” Dissi, ironico, alzandomi dal bancone, per lavare la tazza.
“Mi sa che mi hai attaccato il raffreddore, infame.” Mi mostrò il naso rosso.
“Oh, scusa. Però, almeno, non me ne ero accorto dalla voce, quindi presto ti sentirai meglio, dai.”
“E chi te l’ha detto?” Mi chiese, assonnato, sedendosi.
“Esperienza personale.”
“Pf… capirai.”
“Dai, su con la vita, ciccio!” Lo presi per le spalle, scuotendolo.
“Fermo! Mi scoppia la testa.” Disse, bloccandomi. “Ti faccio notare il tuo cambio d’umore pazzoide. Cos’è tutta questa allegria?”
“Mi sono alzato col piede giusto, questa mattina.”
“Te stai fuori. Indipendentemente dall’umore, come fai ad essere così energico di prima mattina.” Mi chiese, per, poi, bere il suo succo d’arancia.
“Chiamami pure Re Matto.” Gli sorrisi, per scomparire, subito dopo, ed andare a cambiarmi, per una delle giornate più importanti della mia vita. “Buongiorno.” Urlai, ancora, agli assonnati Mario e Chiara, che mi fecero un segno col capo in risposta. Che mosceria. Ma io ero troppo elettrizzato. Ormai, la paura di non rivederlo più era sparita, perché sapevo che almeno un'altra volta l’avrei rivisto. Probabilmente, dopo, mi sarei sentito, di nuovo, male, ma in quel momento non potevo che stare bene.
 
Con una canzone di Nina Simone si può salire sul carro dei favoriti, se non del vincitore, come ci si può benissimo scavare la fossa. Ecco, io ero più vicino a quest’ultima possibilità. Volevo farla mia, ma si rischiava e non poco. Morgan voleva farla “come un fumetto” e mi continuai a scervellare su cosa intendesse con una cosa del genere. Dovevo far finta di ignorare la ballerina che cercava di “eccitarmi”, come aveva detto lui, ma su questo lato non c’erano problemi: potevo assicurargli che non ci sarebbe riuscita. Vocalmente, mi voleva potente all’inizio. Poteva sembrare facile, ma non lo era affatto.
Dopo ore ed ore di prove, finalmente fui congedato dallo staff per fare queste brevi lezioni a Mika, che, nonostante gli avessero detto e ridetto che potevano benissimo pagare un altro insegnante qualificato, aveva richiesto esplicitamente me, e la cosa mi fece venire una sottospecie di orgasmo cerebrale.
Ed era lì, in tutto il suo splendore. Pantaloni beige ed una camicia blue, che risaltava il suo fisico, anche se asciutto, perfetto.
“Marco!” Venne verso di me, dopo avermi chiamato ed aver sbagliato accento, ma piuttosto che dirglielo, mi sarei fatto ribattezzare. “Come sta?” Iniziamo bene.
“Bene, tu?” Gli chiesi, a mia volta, con un sorriso da ebete stampato in faccia.
“Bene, gr… grazie?” Disse, interrogativo.
“Esatto.”
“Yes!” Alzò il pugno in alto, in segno di vittoria.
“Ah, ma ti devo dire che si dice ‘come stai’.”
“Oh… Come ha detto?”
“Si dice “come stai’.” Ripetei.
“No, me, me.” Si indicò con entrambe le mani.
“Ah, come hai detto! ‘Come sta’. Ah, e un’altra cosa è ‘come ho detto’.” Dissi, ancora più divertito.
“Ah!” Di nuovo, quel suono gutturale. Cazzo. “Shit!”Bene.
“Imparerai, vedrai.”
“I hope so.”
Ci sistemammo sul divanetto, dove il giorno prima mi ero addormentato, per iniziare.
“Mh, allora, da dove possiamo cominciare…” Cominciai a sfogliare il libro di grammatica, che mi aveva portato. Ha anche un quadernino ed una penna. Ah, è semplicemente adorabile.
 
“It’s like to go back to school.” Disse, arricciando il naso.
“Già.” Concordai, ridendo. “Dai, ripeti il verbo essere.” Mi guardò con occhi da cane bastonato. “Ce la puoi fare, Michael. Io credo in te.” Lo guardai, a mia volta, negli occhi, provocandomi un brivido lungo la schiena.
Mi guardò serio, per, poi, far comparire i suoi due dentoni, riconoscente.
“Okay. Ehm. Io sono. Tu sei. Egli è. Noi si… siamo. Voi s… siete. Fuck off!” Urlò, facendomi ridere. “Damn!”
“Stavi andando bene, davvero.” Affermai, dopo essermi calmato. “Ma dovremmo lavorare anche sugli accenti, mio caro.” Posai la mano sulla sua spalla, ed il mio sorriso scomparve, quando mi resi conto che mi stava guardando, di nuovo, serio.
I miei occhi non ne volevano sapere di staccarsi dai suoi, che in quel momento avevano preso un colorito leggermente più scuro del solito. Non so come, e non so perché, ma il mio amore nei suoi confronti mi cominciò a guidare, lentamente, verso di lui, che non sembrava volersi tirare indietro.
“Mengoni!” Ci girammo di scatto, io colto in fragrante e terrorizzato, da quello che avrebbero potuto dire. Merda. Ma perché? Perché proprio adesso? “Il signor Penniman deve andare, lo stanno aspettando.” Non sembrava essersi accorto di niente.
Mi rigirai verso Mika, che si era già alzato, pronto a seguire l’uomo che mi aveva appena tagliato il biglietto per il paradiso.
“Grazie, Marco. See you, tomorrow.” Mi sorrise e se ne andò, come se niente fosse accaduto.
Forse, mi ero semplicemente immaginato tutto. Forse, ero più lontano dalle sue labbra di quanto pensassi. Forse, era solo stata un’illusione.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Come state? Spero tutti bene!
Che dire, non so, da quando ho iniziato questa storia ho una gran voglia di continuarla, e dato che avevo aggiornato già "Wanna Love" e "Come a Little Closer", mi sono detta: perché no? :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore! Voglio crescere, e posso farlo solo grazie a voi.
Grazie mille!
Un bacio,
Michaels 
 

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Capitolo 4
*** 2009 pt.3 ***


Milano, Domenica 4 Ottobre 2009
 
 
Non mi svegliavo così felice da così tanto tempo, ormai. Da quando me ne ero andato di casa le cose erano precipitate: mi ero lasciato andare all'alcol ed al fumo, il mio compleanno lo passai in solitudine, visto la partenza di Cristie durante le vacanze di Natale e non ricevetti neanche una telefonata dai miei genitori, non riuscivo a dormire spesso ed avevo iniziato a perdere, velocemente, peso.
Poi, però, ero riuscito ad entrare ad X Factor, ed a darmi una piccola spinta verso il mio sogno. Cominciai a non sentirmi più poi così inutile, ed a pensare di poter fare qualcosa di buono nella mia vita. In tutto quello che facevo, tuttavia, c'era sempre una parte di Michael ed il desiderio di rivederlo. È per questo che non esageravo mai, dicendo che lui era stata la mia salvezza. 
 
Passò anche quella mattinata di prove e volevo dare il meglio di me in quella esibizione, sapendo che Mika sarebbe stato lì, dietro le quinte, a vedermi all'opera. Così, decisi che sarei andato ancora a provare, dopo la seconda lezione.
Aspettai che arrivasse, alla finestra, e approfittai dell'attesa per accendere una sigaretta, che cominciò, dopo pochi tiri, a rilassarmi. Ripensare alla mia vita, pochi mesi prima, ed alla mia vita in quel momento, mi fece un certo effetto. Era strano. Ero felice. Tuttavia, i miei genitori mi mancavano terribilmente, e sapevo che non mi accettavano per quello che ero, ma alla fine erano sempre i miei genitori, no?
Fumare mi aiutava a sfogarmi e la prova fu quando sentii il labbro inferiore tremolare e gli occhi riempirsi, lentamente, di lacrime. Era dannatamente difficile. Avevo paura di ritrovarmi, nuovamente, tremendamente solo e di risentirmi una nullità, appena uscito da lì. E Michael? Probabilmente, non l'avrei mai più rivisto e la cosa mi dava un peso al petto indescrivibile.
“Cigarette?” Sentii la sua voce alle mie spalle, facendomi sussultare e mi affrettai ad asciugare le lacrime.
“Mika, sei in anticipo.” Mi girai, guardando l'orologio, per non guardarlo negli occhi. “Come stai?” Gli domandai.
“Fine. But, Marco, what's wrong?” Mi chiese, chinandosi per guardarmi meglio.
“Niente, sto bene. Vado un attimo a prendere una cosa ed iniziamo, okay?” Dissi, sbrigativo, dirigendomi verso il bagno, lasciandolo lì.
Non potevo farmi vedere così da lui. Non potevo permettermelo. 
Mi diedi una veloce sciacquata al viso, e mi guardai allo specchio, timoroso. Ce la puoi fare, Marco. Continuai a ripetermelo, per, poi, prendere un respiro profondo e tornare da Mika, che trovai, poco dopo, su quello che, ormai, per me, era diventato il nostro divanetto. 
“Iniziamo?” Dissi, facendo un sorriso sincero, causato dalla visione più bella che qualcuno avrebbe mai potuto avere.
“Are you okay?” Mi chiese con aria preoccupata, alzandosi di scatto.
“Certo.” Mi sedetti, seguito da lui. 
“Are you sure?” Insistette.
“Mai stato più sicuro. Allora, oggi possiamo fare il passato ed il trapassato prossimo, che dici? Poi ti posso insegnare qualche vocabolo.” Cominciai a sfogliare il libro del giorno prima, sotto gli occhi di un Mika più silenzioso del solito. 
Portò, improvvisamente, la sua mano sulla mia, facendo andare a fuoco le mie guance. 
“Dimmi cosa hai, please.”
“Vedo che hai ripassato il verbo avere.” Sviai la domanda, tornando a girare le pagine.
“Marco, stop it! Please, raccontame.” Lo guardai negli occhi, e lì fu la fine, per me. 
Quel maledetto ragazzo aveva troppi effetti e troppa influenza su di me. Vidi, ancora una volta, le lacrime offuscarmi, lentamente, la vista e fare la loro ennesima sgradita comparsa sulle mie guance.
“Ehi.” Mi prese il viso fra le mani, per asciugarmi le lacrime con i pollici, dal tocco vellutato. 
Avvolse il mio corpo con le sue braccia e mi avvicinò al suo petto, cominciando, poi, ad accarezzarmi i capelli, delicatamente. Aveva un buonissimo profumo di talco, che mi fece, per un attimo, lo stesso effetto dell'alcol. In quel momento, non sapevo cosa pensare: ero distrutto, eppure mi sentivo così bene con lui. 
Gli cominciai a raccontare della situazione con i miei e di ciò che essa aveva comportato, ma non specificai il motivo della discussione: se gli avessi detto che ero gay, il mio innamoramento nei suoi confronti sarebbe stato troppo evidente.
Intanto, lui era lì, che mi stringeva, sempre di più, ad ogni lacrima, e che mi sussurrava parole di sostegno all'orecchio. 
“I'm so sorry.” Disse pensieroso, continuando a spettinare e risistemare il mio ciuffo. “But, why?” Mi chiese, poco dopo.
“È complicato.” Affermai, lasciando, velocemente, le sue braccia, così confortanti.
Mi guardò con aria comprensiva: forse, aveva capito che ero troppo scosso per continuare a parlarne.
“Me lo racconterà un altro volta.” Sorrisi riconoscente, ma anche divertito, sentendo tutti quegli errori in una frase. Adorabile.
“Me lo racconterai un'altra volta.” Lo corressi.
“What?” Chiese, confuso.
“La frase corretta.” Dissi, divertito.
“Oh, come on!” Esclamò, tirandomi un delicato colpo sulla spalla.
“Sei tu che mi hai voluto come maestro pazo.” Dopo quell'affermazione, alle mie orecchie arrivò la sua risata cristallina, che mi provocò, automaticamente, una piacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
 
Dopo la lezione, come mi ero ripromesso, andai a provare un'altra volta la canzone, per fare del mio meglio davanti a Mika. Era un opportunità troppo importante, che non potevo, assolutamente, sciupare.
All'ultima strofa diedi tutta la passione e sofferenza che avevo, ed esausto, uscii dalla sala prove per tornare in camera. 
“Amazing!” Sentii, ancora, la sua voce angelica arrivare.
“M-Mika, ch... che ci fai qui?” Incantandomi davanti alle sue iridi, così scure in quel momento.
“Voleva sapere come stai.” Oh, perché sei così dolce con me? Vuoi uccidermi?
“Oh, meglio. Grazie, ancora.”
“Sono felice.” Sorrise, facendo formare le sue fossette, che tanto avrei voluto mordicchiare dolcemente. 
Sogna, Marco, sogna.
 
Mercoledì, 7 Ottobre
 
 
Mika non era più riuscito a venire, dopo quel giorno, e la cosa mi gettò nel panico più totale: avevo fatto qualcosa di sbagliato? Era per quel bacio mancato, forse immaginato? O, ancora peggio, per la mia storia? Forse, mi davo troppa importanza.
Anche se mi avevano avvisato, avevo una gran paura. L'avrei rivisto solo la sera del live e chissà come mi avrebbe trattato. 
Entrò negli studi, più sorridente che mai, ed in quel momento pensai, sul serio, di poter avere un infarto, sentendo il battito, improvvisamente, accelerato. Sentii le gambe perdere, lentamente, il contatto con con la realtà, così come tutte le parti del mio corpo, insieme ad ogni mio pensiero. Le sue fossette non ne volevano sapere di scomparire dal suo viso. È perfetto.
“Marco, ehi! Marco.” Silver mi riportò indietro. “C’è Mika.” Lo so, cazzo, lo so.
Non gli risposi, ignorandolo e continuando ad osservarlo, imbambolato, mentre continuava a salutare ed a stringere la mano a chiunque.
 
Baby, my baby don't care for shows
And he don't even care for clothes

He cares for me
My baby don't care
For cars and races

Baby don't care for
He don't care for high-tone places
 
Quelle parole erano ciò che io volevo essere per lui; volevo che gli importasse solo di me, e, solamente, cantandole mi resi conto che le stavo indirizzando a lui. Alla fine, quella canzone, era per lui, e rispecchiava ciò che desideravo, egoisticamente, di più: essere l’unica cosa di cui davvero gli importasse. Tuttavia, appena sceso dal palco, senza troppo fare caso agli applausi, al commento dei giudici ed ai complimenti, volevo solo sentire il suo parere e la sua voce. Non riuscii nell’obbiettivo, quella volta. Lo vidi, solo, quando dovette fare la sua esibizione, anche se sembrava non poco stanco. Certo, dopo una settimana senza fermarsi neanche una volta, andando avanti ed indietro tra radio e giornalisti, genio.
 
Riuscii, finalmente, a vederlo, una volta essermi salvato, anche per quella puntata, dal ballottaggio. Mentre scendevo, me lo ritrovai davanti, con i suoi dentoni in bella mostra, facendomi sciogliere completamente, aspettando che lo abbracciarsi, e non esitai neanche per un secondo ad accettare quell’invito.
“Amazing! Incredibile!” Mi urlò nell’orecchio, stringendomi a sé.
“Grazie.” Chiusi gli occhi, assaporando ogni momento, ogni stretta di quel momento, terrorizzato dal fatto che potesse essere l’ultimo.
“Tu andrà in finale, Marco Mengoni! Tu vincerà!” Lo strinsi, ancora, tra le mie braccia, come a non volerlo far andare mai via.
“Se ci andrò, verrai?” Gli chiesi speranzoso, rendendomi conto, poco dopo, di quello che avevo detto e di come l’avevo detto.
“Of course!” Esclamò, ancora, alzandomi leggermente da terra. Sto per andare in paradiso. Sto per svenire. Defibrillatore. Defibrillatore. Help.


#MyWor(l)d

Saaalve! c:
Okaay, è tardi, tardi e domani mi devo alzare presto per andare a lavorare, che bello ^.^" E pensare che fino a qualche anno fa d'estate restavo sveglia fino almeno le tre. Che tristezza T.T
Ma cooomunque (sì, mi piace allunguare le vocali), anche se ho appena postato il quindicesimo capitolo di "Wanna Love", ho aggiornato anche questa storia perché... quando sono nervosa ho bisogno di scrivere, quindi, eccomi qui! ^_^
Spero sia di vostro gradimento! Siamo quaaasi giunti al termine del 2009, infatti ci sarà la quarta ed ultima parte presto. Scusa se l'ho tirata così tanto per le lunghe ma, alla fine, il loro rapporto inizia ad X Factor, quindi... :33
Buonanotte!
Un bacio,
Michaels

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Capitolo 5
*** 2009 pt.4 ***


Milano, Mercoledì 2 Dicembre 2009
 
 
La Finale
 
 
Erano passati quasi due mesi dall'ultima volta che ero riuscito a vedere Michael. Mi mancava, terribilmente, ed avrei tanto voluto alzare la cornetta del telefono, chiamarlo e dirgli che volevo sentire, ancora un volta, le sue braccia stringermi. L'unico problema era che, ovviamente, oltre al fatto che non avrei mai avuto il coraggio, non avevo il suo numero. Certo
 
Dopo la dodicesima, e penultima, puntata era uscito Silver, ed ero rimasto completamente solo, poiché Chiara era uscita, invece, alla decima, ed anche Mario poco prima. Però, ero riuscito ad arrivare in finale, arrivando ad un passo dal mio sogno. Tuttavia, ciò che mi rendeva più felice era il fatto che Mika sarebbe stato lì, con me, a darmi la carica giusta. Avrei cercato, ancora ed ancora, i suoi occhi tra la folla. O, altrimenti, sarebbe bastato cercare una massa di ricci che compariva fra essa, insomma. Poco importava come l'avrei trovato. Dovevo trovarlo, e basta. Avevo bisogno di lui.
Nella puntata dovevo cantare tre canzoni: un duetto con Alex Britti, una canzone di Morgan ed il mio inedito, insieme ad un medley di altri tre brani, che dovevano racchiudere le mie tre esibizioni migliori. Era impegnativa come cosa, ma avrei fatto di tutto per raggiungere il mio obbiettivo.
Mi sentivo, sì, nervoso ma, anche, estremamente deciso. 
 
Mentre provavo e riprovavo le canzoni che mi erano state assegnate, ogni singola strofa ed ogni singola parola, nella mia mente erano indirizzate a Mika. Era curioso il fatto che fossero così perfette a descrivere l'amore che provavo per lui. Vorrei che sapesse che sono dedicate a lui. Ah, come me lo ripetevo. Come sognavo! Avrei tanto voluto che riuscisse a capirlo da solo. Impossibile, ciccio.
 
La serata arrivò più presto di quello che mi aspettassi. Era, finalmente, arrivato il mio momento. Il momento di tirare fuori gli artigli e la voce. Il momento di far capire alle persone che potevo essere qualcuno e che non ero la nullità che sembravo.
Ero lì, davanti a quasi duemila persone, un sogno per chiunque, era anche il mio. Eppure, il mio sogno, in poco tempo si era materializzato in una sola persona. Avrei voluto godermi quel momento, accanto ad un grande cantante, di cui avevo sempre voluto diventare collega, e, invece, no… non ce la facevo. Nella mia testa c’erano solo gli occhi e la voce di Michael, che non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.
 
E non so perché quello che ti voglio dire 
poi lo scrivo dentro una canzone 
non so neanche se l'ascolterai 
o resterà soltanto un'altra fragile illusione 
se le parole fossero una musica potrei suonare ore ed ore, 
ancora ore e dirti tutto di me

 
Attaccai, lentamente, a cantare le parole, che mi facevano, sempre di più, una certa impressione, per la loro verità e la loro capacità di descrivere le mie sensazioni ed i miei sentimenti per lui. Cercai tra il pubblico Mika, senza riuscirci. Volevo provare a fargli capire tutto, che quelle parole erano per lui, perché l’unico modo per dirlo era cantarlo. Perché era l’ultima possibilità per dirglielo. Perché…
 
Come vorrei poter parlare senza preoccuparmi, 
senza quella sensazione che non mi fa dire 

che mi piaci per davvero anche se non te l'ho detto…


Però, non mi piaceva, soltanto. Semplicemente, io lo amavo. Continuai a cercarlo, girando gli occhi per lo studio, smarrito, nella speranza di vederlo seduto, o magari in piedi, mentre mi incoraggiava con un suo sorriso, fiero di me.
 
Preferisco stare qui da solo che con una finta compagnia 
e se davvero prenderò il volo aspetterò l'amore 
e amore sia 
e non so se sarai tu davvero o forse sei solo un'illusione 
però stasera mi rilasso, penso a te e scrivo una canzone 
dolce più che posso 
come il mare, come il sesso
questa volta lo pretendo 
perché oggi sono io, oggi sono io.

 
 
Uno come lui, però, dovrebbe stare in prima fila. Pensai a fine canzone. D’altronde aveva confermato la sua partecipazione, qualche giorno prima, e non l’aveva annullata. Strano.
 
Appena sceso dal palco, chiesi se sapevano dove fosse Mika, ma mi dissero che sarebbe arrivato con un po’ di ritardo, e, solo in quel momento, riuscii a tirare un sospiro di sollievo. Sarebbe riuscito ad arrivare di lì a poco ed avrei dato il meglio di me in “Amore Assurdo” di Morgan. Volevo stupirlo. Dovevo farlo.
 
Assurdo cosa accadde 
quando ti vidi per la prima volta 
portavo un cuore entrando nella stanza 
ma uscendo non lo avevo più: 
Amore, come vetro, 
lo infranse al primo colpo

 
Era, sempre più, come diceva la stessa canzone, assurdo come quelle parole descrivessero il mio primo incontro con lui, più di un anno e mezzo prima. Ero entrato in quel bar, per lavorare ed avevo il mio cuore, invece, da quando era entrato, un cuore non lo possedevo più. Non era stato infranto, era stato rubato da un ragazzo, che non sapeva neanche di essere un ladro. Avrei dovuto gridarglielo dietro, una volta uscito. Sei un fottuto ladro, Mika! Restituiscimi il mio cuore! Riuscivo a continuare a vivere, anche senza di esso, guidato da un istinto di sopravvivenza, che volevo far provare anche a lui: era una sensazione così piacevole e così soffocante, allo stesso tempo.
E continuavo, come un matto, a cercarlo, lì sul palco, ripetendo, con più sentimento possibile, le parole, ma niente. Non c’era.
Non mancava che l’inedito, che sembrava fosse stato scritto di proposito per lui, dai cantautori della casa discografica. Come se sapessero che quella canzone era giusta per me, per aiutarmi ad esprimermi al meglio.
 
Cosa mi aspetto da te 
cosa ti aspetti da me
Cosa sarà ora di noi, 
cosa faremo domani
Potremmo andarcene via, dimenticarci
oppure giocarci il cuore, rischiare...

 
Non potevo iniziare a giocare con lui, se non mi restituiva il mio cuore o mi donava il suo, sarebbe stato difficile. Doveva essere una battaglia ad armi pari. Avevo bisogno di lui. Volevo rischiare insieme a lui. Non volevo perderlo, dopo averlo, finalmente, ritrovato. Non volevo se ne andasse via, lasciandomi, ancora una volta, da solo.
Non riuscivo a trovarlo, e l’ansia si cominciò a far sentire, sempre di più. Te l’ha promesso, Marco, quindi verrà. Ti fidi di lui.
 
Fammi respirare ancora
portami dove si vola

Dove non si cade mai
Lasciami lo spazio e il tempo
E cerca di capirmi dentro
dimmi ogni momento che ci sei

Che ci sei, che ci sei…
 
Non c’è.
La musica finì e vidi la gente alzarsi in piedi ed applaudire l’esibizione, eppure non mi importava. Forse, ero riuscito a dimostrare qualcosa a loro, ma niente a me stesso. Anzi, una cosa me la sono dimostrata, ossia non riuscire a tenermi stretto chi amo. Sono un coglione.
Scesi, velocemente, dopo il commento dei giudici, dal palco e corsi in bagno. Le lacrime, a metà strada, erano già arrivate alle labbra, facendo sentire quel fastidioso sapore salato, che si univa all’amaro che provavo dentro di me.
“Perché, perché, perché…” Mi lamentai, piangendo, per sfogarmi.
La delusione che provai in quel momento, era peggio di qualunque altro sentimento mai provato in vita mia. Sentii un bruciante dolore sotto la gabbia toracica. Faceva dannatamente male, come il peggior calcio nel sedere mai ricevuto, e ne avevo presi così tanti nella mia vita.
“Marco, devi tornare sul palco!” Sentii dire da dietro la porta del bagno.
“Ora arrivo.” Risposi, poco dopo.
“Ti senti bene?”
“Sì.” Dissi, uscendo, dopo essermi sistemato e calmato.
La cosa buona di quel momento era che quel dolore poteva benissimo essere confuso dagli altri come emozione per l’esibizione.
“Sei stato grande.” Mi disse, poggiando la sua mano sulla mia spalla. Appunto.
“Marco.” Mi bloccai, mentre mi dirigevo verso il palco, sentendo una voce chiamarmi, anzi, era quella voce.
Mi girai, mostrando un sorriso, che non mostravo da tanto tempo. Non potevo credere che stesse là, davanti a me, per mantenere una promessa, che aveva fatto a me, che ero nessuno. Sentii i battiti accelerare, velocemente, mi buttai fra le sue braccia.
“Scusame se I am late.” Mi strinse forte a sé, e pensai, seriamente, di poter avere un infarto da un momento all’altro.
“Tranquillo.”
“But, ho visto te in the car, in television.” Alzai la testa, di scatto, a quelle parole. “What were you looking for?” Te.
“Marco, sul palco.” L’addetto di prima mi salvò da quella domanda.
“A dopo.” Mi sorrise, facendo finta di niente, per fortuna.
“Good luck.”
 
Rimanemmo, per la finalissima io e Giuliano, dopo l’uscita delle Yavanna. Era un avversario valido, ma mi sentivo pronto a tutto.
Per il medley dovevo cantare Psycho Killer, My Baby Just Cares For Me e Almeno Tu nell’Universo e per il pezzo acapella The Fool On The Hill dei Beatles. Salii più carico che mai, pronto a stupirlo, ancora una volta.
La canzone di Mia Martini era la cosa migliore che potessi scegliere da cantare davanti a lui. Era perfetta. Mi mossi sul palco, cercandolo dietro le quinte e fargli capire che lo amavo e che era per lui.
 
Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo!
Un punto, sei che non ruota mai intorno a me
un sole che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore.
Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo!
Non cambierai, dimmi che per sempre sarai sincero
e che mi amerai davvero di più, di più, di più.

 
Ci misi tutta la passione possibile, tutto l’amore che possedevo per lui. Riuscii a finire come volevo, tenendo la nota alta e mi godetti, per la prima volta quella sera, l’applauso del pubblico. Mi sentivo al settimo cielo.
Dopo il pezzo acapella, giunse il momento della verità. Riuscivo a pensare solo a Mika ed a quello che pensava. Dopo dieci minuti interminabili, Francesco ricevette la busta col nome del vincitore in mano e sentii lo stomaco sotto sopra ed il cuore battere all’impazzata. Non volevo perdere. Chiamò gli ultimi trenta secondi e quella maledetta musica non faceva che peggiorare la situazione.
“Ladies and gentlemen, il vincitore di X Factor, è Marco!” Sentir pronunciare il mio nome in quel modo e l’esultanza del pubblico, mi fece abbracciare istintivamente Giuliano. Non potevo crederci. Stavo realizzando uno dei miei sogni più grandi, dopo anni di lavoro. Sentii un nodo, quella volta piacevole, alla gola e le lacrime offuscarmi la vista. Avevo bisogno di correre da Mika ed abbracciarlo. Sentire la sua voce urlarmi nell’orecchio e le sue braccia stringermi. Fui costretto a rimanere sul palco per alcuni minuti, ma appena spensero la diretta, corsi giù dal palco, per, poi, vedere un Mika con gli occhi lucidi, mentre mi mostrava i suoi dentoni, che tanto amavo. Mi gettai tra le sue braccia, lasciandomi andare ad un pianto liberatorio.
“You won, Marco, you won! I love you!” Mi urlò, ed il battito mi si bloccò automaticamente, facendomi spalancare gli occhi.
Era vero, loro lo dicevano anche intendendo “ti voglio bene”, ma il fatto che l’avesse detto mi fece impazzire ancora di più. Alzai i miei occhi, ormai pieni di lacrime, verso di lui, per incontrare i suoi, anch’essi gonfi, accompagnati dal suo naso rosso. Avevo voglia di baciarlo, ma dovetti resistere a quella meravigliosa tentazione.
“Ti rivedrò?” Gli chiesi, speranzoso.
“Ovvio.” Mi rispose, con sguardo sincero, ed in quel momento mi sentii, per la prima volta nella mia vita, davvero, importante ed amato.


#MyWor(l)d
Saaaalve! c:
Scusate se non ho aggiornato per alcuni giorni, ma venerdì ho lavorato e ieri e sabato sono andata alle audizioni di X Factor! Aver incontrato Mika, ragazzi, è stato meraviglioso. Sono riuscita a dargli una lettera, che tenevo leggesse, sono riuscita ad stringergli la mano ed ad incontrare i suoi occhi mentre mi sorrideva... Sono stati i due giorni più belli della mia vita, davvero. *w*
Okaay, scusate la parentesi ma tenevo a condividere un po' di cose con voi <3
Tornando alla storia, allora, questo capitolo non mi convince particolarmente, sinceramente, ma spero vi piaccia. Perdonatemi, ma credo allungherò di un capitolo il 2009, che spero di postare domani!
Voi come state? <3
Grazie mille, come sempre!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 6
*** 2009 pt.5 ***


Roma, Venerdì 25 dicembre 2009
 
 
Dopo X Factor, la prima cosa che feci fu affittare una casa a Roma, per togliere il disturbo a Cristie, che mi aveva ospitato per un anno e poco più. Michael non riuscii più a sentirlo, nonostante gli avessi dato il mio numero e lui a me il suo. Mi sentii svenire quando mi diede quel foglietto, consumato in poco tempo, per quante volte l'avevo preso e poi rilasciato sul comodino.
 
Anche quel giorno, per il secondo anno di seguito, ero pronto a passare un altro compleanno in solitudine. Per quanto riguardava i miei genitori, sebbene avessero provato a riallacciare un rapporto con me, mi diedi del tempo per riflettere. Nonostante lo show mi avesse portato molte nuove conoscenze, dopo appena tre settimane, non me la sentii di passare sia Natale che compleanno insieme a degli sconosciuti. 
Scesi al supermercato, molto presto, per comprare qualche birra e qualcosa da mangiare, giusto per sgranocchiare. Non ero mai stato molto ferrato in cucina, purtroppo, ed in quel momento la usai, ancora di più, come scusa per non fare niente. Ovviamente, prima di tornare a casa cercai un tabaccaio aperto, avendo finito le sigarette, poco prima.
Era vero che la mia vita era cambiata, improvvisamente, facendomi girare da una radio all'altra e quant'altro, ma dal punto di vista dei rapporti sociali non riuscivo a cambiarla per niente. 
Mika era, sempre, rimasto nella mia testa. Mi mancava, e anche troppo.
Da qualche giorno, avevo un po' di pace e mi lasciai andare, facendomi crescere, leggermente, la barba, per provare un nuovo look. Almeno, questa era, ancora, un'altra scusa che mi davo, per nascondere la mia pigrizia.
 
Sbuffando, mi buttai sul divano ed aprii la bottiglia di birra, e me la sarei scolata in meno di dieci secondi se non fosse stato per il campanello. Sorpreso, mi alzai per andare ad aprire la porta, e la visione che si posò davanti ai miei occhi, mi stava per far perdere i sensi: un Mika, infreddolito, come la prima volta che lo vidi, si era materializzato, davanti a me, con dei grandi sacchi fra le mani.
“M-Mika, ma che...” Tentai di parlare, paralizzato.
“Happy birthday!” Esclamò, sollevando ciò che aveva. 
Entrò, come un uragano in casa, posando le buste, per, poi, stringermi fra le sue braccia. Sentii il mio stomaco girarsi e rigirarsi, lentamente e le gambe farsi, sempre più, leggere. Che bella sensazione.
“Grazie. Ed a te buon Natale.” Gli sorrisi, imbarazzato.
“Oh, thanks! Anche a te.” Le sue fossette vennero a formarsi, perfettamente. 
“Grazie.” Mi portai la mano al collo, a disagio. “A-allora, c-come stai?” Balbettai.
“Bene! Ma where is the party, qui?” Mi chiese, euforico e sorpreso.
“Party? Ma di che parli? Non dovresti stare con la tua famiglia a Natale?”
“Non sei happy di vederme?” Mi chiese, con tono, leggermente, triste.
“Cosa? Certo! Solo che la tua fam...”
“My family is okay.” Mi interruppe. “So... cosa stava facendo?” Domandò, col suo adorabile accento ed i suoi adorabili errori. “Ti vuole ubriacà?” Continuò, essendosi avvicinato al salotto e dopo aver visto le bottiglie di birra sul comodino, davanti alla televisione.
“Il piano era quello.” Mi bloccai, immediatamente, rendendomi conto delle mie parole, solo quando mi guardò con occhi, sfumati tra sorpresa e tristezza. “Scherzavo!” Cercai di rimediare alla situazione che si era venuta a creare.
“Mh.” Annuì, poco convinto. “Seriously, what were you doing, Marco?”
“Niente.”
“Perché tu sta facendo niente il giorno di tuo birthday?”
Lo guardai negli occhi, ma ricordando quello che era successo l'ultima volta che l'avevo fatto, distolsi lo sguardo. 
“So?” Si sedette sul divano.
Guardai il suo corpo ed il suo viso, a dir poco perfetti, e sentii l'irrefrenabile bisogno di baciare le sue labbra, anch’esse simbolo di perfezione.
Mi avvicinai, lentamente, a lui, facendo accelerare, ancora, il mio battito, sotto i suoi occhi curiosi. Ora o mai più
Mi sedetti accanto a lui, che continuò a non proferire parola, guardandomi incuriosito ed impaziente di sapere cosa avevo in mente.
Avvicinai il mio viso al suo, sentendo il suo respiro, che percepii anch'esso, leggermente, accelerato, sulle mie labbra. Presi coraggio ed azzerai le distanze fra me e lui. Chiusi gli occhi, assaporando ogni momento e godendo del suo dolce sapore. Non sentendolo tirarsi indietro, la testa cominciò a girarmi e mi sentii come se stessi volando. Cominciò, pian piano, a ricambiarlo e la cosa mi fece impazzire, completamente. Così, ci misi più passione, avendomi lasciato il via libera per esplorare la sua bocca, così morbida e dando via ad una dolce danza. Non ci credo. Non ci credo. Lo sto baciando. Oh, santo Cielo. Merda. Merda.
Quando lo sentii staccarsi, lentamente, da me, guardarmi negli occhi, con uno sguardo, quella volta, indecifrabile, e quando lo vidi alzarsi, di scatto, dal divano, affannato, il mondo mi cadde addosso.
“Sorry.” Uscì, velocemente, da casa, per, poi richiudersi la porta alle spalle. 
Osservai la scena attonito. Se ne era andato, lasciandomi solo con il suo sapore sulle mie labbra. In quel momento, capii che non l'avrei mai più rivisto. Idiota, ma che ti è saltato in testa? Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e quel maledetto nodo alla gola, impedirmi di respirare bene. 
Presi la bottiglia di birra, ancora fresca, e mi accesi una sigaretta per cercare di calmarmi. 
Ero stato troppo imprudente ed istintivo. Mi sentivo così male. L'alcol cominciò a fare effetto sul mio corpo, dopo qualche bottiglia, scolata velocemente. Quella volta, a salvarmi non ci sarebbe stato Michael, di certo. Bel compleanno di merda. Cominciai a ridere ed a piangere, contemporaneamente, da solo: era diventato normale, ormai, per me.
Ma tanto non gliene fregava a nessuno, no? Anche se ero entrato nel mondo dello spettacolo, se così si può dire, non era mai stato un mondo che mi aveva attirato particolarmente. Per me, l'importante era fare musica. Sapevo bene com'era fatto quel mondo: ti stanno dietro o perché hai soldi o perché vogliono fare gli interessanti davanti ai loro amici. In tre ridicole settimane, era riuscito ad averne la conferma. Non era pessimismo o chissà che cosa, era realismo.
Cominciai a tormentarmi le labbra, forse, anche per cancellare quel bacio. Quello era la causa per cui io non avrei mai più rivisto Michael. 
“Stupido, stupido, stupido!” Ripetei, mentre davo dei calci alle bottiglie vuote che si trovavano davanti a me. Presi tutto ciò che avevo a portata di mano e cominciai a scagliarla con rabbia, contro il muro. 
Amare qualcuno ed essermi illuso che provasse le stesse cose è stata una delle mie sconfitte più grandi. Tutto quello che desideravo era essere amato da lui e fare qualcosa di davvero significativo nella mia misera vita, ed invece... 
Non volevo più, solo, cantare. Volevo essere importante per qualcuno. Importante per lui. Quel ragazzo aveva stravolto la mia vita.
Quel dolore alla pancia lo conoscevo fin troppo bene, come quel fastidioso peso al petto, che non riusciva, quasi neanche, a farmi respirare. Avevo sentito la stessa sensazione quando avevo lasciato i miei genitori e quando Cristie se n'era andata, ma quella volta... quella volta il dolore aveva un'intensità disumana.
Sentii suonare alla porta, dopo un paio di ore a commiserarmi, ma non mi andava di alzarmi.
“Marco, apra!” Era la meravigliosa sua voce, ma non riuscivo ad andare lì, aprire e farmi vedere in quello stato. “Marco!” Mi chiamò, ancora una volta, urlando. “Come on!” Cominciò a bussare rumorosamente. 
Fossi stato un po' più lucido, probabilmente, mi sarei precipitato da lui alla prima chiamata.
Continuò a sbattere contro la porta, finché non riuscì ad aprirla e quando lo vidi, di fronte a me, con il viso preoccupato, ed incontrando i suoi occhi, mi sembrò un angelo in pena. No, però sembrava davvero un angelo. Uh, ha le ali! Il mio stato confusionale, ormai, era alle stelle. 
“Marco.” Si inginocchiò, affianco a me, portando la sua mano sulla mia guancia. 
Il suo tocco. Ah, era comparabile al saluto salutifero di Beatrice per il caro e vecchio Dante. Alzai lo sguardo verso di lui, e, solo in quel momento, riuscii a notare i suoi gonfi e rossi.
“Che ci fai qui?” Gli chiesi, con voce tremante.
“I wanna talk to you... de prima.” 
“Non c'è niente da dire. Sei stato chiaro, scusa.”
“No, Mar...”
“Anzi, hai ragione. Spiegami una cosetta.” Dissi, sotto il suo sguardo attonito dal tono della mia voce. “Cosa sono io per te, davvero? Spiegamelo, perché non lo capisco. Non so distinguere chi mi ama perché nessuno l'ha mai fatto e, probabilmente, ho frainteso ogni tuo gesto e non sai questa cosa come mi faccia incazzare. Io... io ti amo, Michael, e so bene che per te non è la stessa cosa, questo lo so benissimo! Ma sei così dolce e gentile con me e non mi conosci, poi, così bene. E poi, fattelo dire, sei dannatamente sexy, anche quando sorridi come un bambino.” Dissi, anche se in modo più sconnesso.
Era, dannatamente, vero che l’alcol aiutava a dire parole che mai una persona avrebbe avuto il coraggio di pronunciare. Nei suoi occhi riuscii a vedere la sorpresa ed un velo di tristezza: probabilmente, non aveva il coraggio di dirmi che non provava le stesse cose.
“È meglio se parliamo later.” Disse, avvolgendo le sue braccia sul mio corpo, per, poi, alzarmi delicatamente. “Deve riposare.” Mi portò in camera da letto e mi fece sdraiare.
“Perché sei così gentile con me?” Domandai, una seconda volta, chiudendo gli occhi, distrutto.
“Dormi.” Si sdraiò accanto a me, confondendomi, ancora di più, e nonostante volessi parlargli, sentii le forze ed ogni capacità di pensiero scomparire.
 
Mi svegliai qualche ora dopo, con un mal di testa insopportabile, cercando di fare mente locale. Mika non era più accanto a me. Mi sentii, nuovamente, abbandonato a me stesso. Pensavo ed avrei desiderato, così tanto, risvegliarmi accanto a lui, davanti ai suoi occhi, che riuscivano a buttarmi nel panico e farmi sentire talmente bene, allo stesso tempo.
Mi alzai, barcollando, ed avvicinandomi alla cucina cominciai a sentire un profumo che non sentivo da tanto tempo. Che un ladro stesse cucinando? Quando lo vidi con un cappello da cuoco, i guanti e quella strana tunica, che non avevo mai capito come diavolo si chiamasse, mentre girava fra i fornelli, che non avevo mai usato, restai imbambolato a guardarlo, divertito ed intenerito da tanta dolcezza. Oh, in effetti, però, è un ladro, anche se di cuori. Dimostrava una certa concentrazione ed una certa esperienza, mentre preparava qualcosa, che non riuscivo a capire.
Si girò, distrattamente, per posare sul tavolo una pirofila, appena uscita dal forno, e, solo in quel momento, si rese conto di me.
“Ehi, come sta?” Sorrisi, divertito. Non imparerà mai. 
“Meglio, grazie, a parte il mal di testa.” Mi sorrise di rimando, rimanendo al suo posto. “Scusa per prima.” Mi sentivo, tremendamente, in imbarazzo, per quello che avevo fatto e, soprattutto, per quello che avevo detto.
“Don't worry. Importante è che you're okay, adesso.” Sembrava voler prendere una certa distanza da me, e la cosa frantumò, lentamente, il mio cuore, accentuando il dolore.
“Senti, Mika, cancelliamo tutto, okay? Scusam...” Ricominciai a parlare, dopo un bel po' di silenzio.
“No!” Esclamò, avvicinandosi, di scatto, a me. “I don't want to far finta di niente, Marco.” Poggiando, delicatamente, le sue mani sulle mie spalle.
“P-perché?” Incatenai il mio sguardo ai suoi occhi, per cercare di capire ciò che volesse dire.
“I mean...” Si bloccò, fissandomi. “Oh, chissene frega!” Lo guardai tra il confuso ed il terrorizzato, finché non si gettò sulle mie labbra.
LUI stava baciando ME. Sentii i pezzi del mio cuore tornare, velocemente, al loro posto e cominciare a battere insieme, in modo accelerato. Sentii la testa girare, ma quella volta era una sensazione estremamente piacevole. Aumentò lui quella volta l’intensità, facendomi mancare il respiro. Le sue labbra che si muovevano sulle mie, una sua mano sulla mia guancia, mentre l’altra l’appoggiava al mio petto. Sorrise su di esse, quando sentì la velocità dei miei battiti. Volli provare anch’io a mettergli una mano sul cuore, e quando lo feci, lo sentii così emozionato, e sentii, anche, una lacrima bagnare, lentamente, la mia guancia, che asciugò, di nuovo, con il pollice. Andai a sbattere, involontariamente, contro il frigorifero, facendo cadere i pochi magneti che lo decoravano, e lo sentii poggiarsi delicatamente sul mio corpo. Si staccò, dolcemente, da me, riaprendo gli occhi. Lo vidi sorridere felice, portando una mano fra i miei capelli.
“M-ma prima, allora, perché…” Tentai, guardandolo negli occhi, che avevano preso un colorito chiaro.
“I was scared.” Rispose, fissandomi, a sua volta. “But,” Sospirò, forse, in imbarazzo. “you are diverso, Marco and i like questo.” Oh, cazzo, merda!
“Posso baciarti, ancora?” Gli chiesi, ingenuo, facendolo ridere.
Ricongiunse, senza rispondere, le sue labbra alle mie, muovendole con più dolcezza di prima. Avevo smesso di esistere ed avevo iniziato, appena, finalmente, a vivere.


#MyWor(l)d
Saaaalve! c:
Come detto in precedenza, oggi volevo aggiornare la storia quindi... eccomi qui! :D
Siamo giunti alla fine del 2009! c:
Ringrazio, come sempre, tutte voi che recensite la storia. Vi amo! <3 E, anche, chi l'ha messa fra le preferite, chi la segue e chi semplicemente la legge. Grazie mille!
Spero di aggiornare presto anche "Come a Little Closer" e "Wanna Love", quest'ultima un po' più complicata, però!
A presto!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 7
*** 2010 pt.1 ***


Roma, Venerdì 1 Gennaio 2010
 
 
Io e Michael non eravamo più riusciti a vederci, per una settimana, purtroppo, ma riuscimmo a sentirci per telefono un paio di volte. Non riuscivo a capire, tuttavia, cosa fossimo, veramente. Una coppia? No. Solo amici? Neanche. Non capivo più niente, eppure, averlo baciato doveva significare pur qualcosa, no? 
Quando mi parlava era affettuoso con me e sentirlo in quel modo mi faceva, sempre, esplodere di gioia.
Non eravamo riusciti a vederci, neanche, per la sera di Capodanno. Giustamente, doveva passarla insieme alla sua famiglia. Io, però, non mi sentii poi così male. Ero felice, sapendo che l'avrei rivisto e mi sentivo più sereno e, nonostante, mi dispiacesse non passarla con i miei genitori e Cristie, stavo bene. Ero riuscito a non bere molto quella sera ed a limitare ad un solo pacchetto da dieci il mio consumo di sigarette.
 
Mentre mi rilassavo sul divano, sentii la vibrazione e la suoneria del cellulare, proveniente dalla cucina e mi precipitai a rispondere, senza neanche guardare il numero, sperando che fosse lui.
“Pronto?”
“Auguri!” Urlò, euforico, dall'altro capo del telefono.
Risentire la sua voce mi provocava, ogni santa volta, quel piacevole brivido lungo la schiena.
“Grazie, anche a te.” Dissi, a mia volta, ridendo. “Come stai?” 
“Fine! Te?” 
“Bene, grazie. Com'è andata ieri sera?”
“Benisimo, but, tu mancato me.” Sentii il battito del mio cuore accelerare, ancora una volta, sentendolo pronunciare quelle parole.
“Anche tu, Michael.” Lo sentii ridere.
“I know it... tu cosa hai fatto?” Sorrisi, sentendo la sua prima frase corretta.
“Niente, sono stato a casa.” 
“Alone?” Mi chiese, con un leggero velo di tristezza nella sua voce.
“Oh, no, con un'amica...” Mentii, vago.
“Amica?” Ripeté con tono strano.
Era geloso? Oh, Santo Cielo.
“Già.” Mi fermai, indeciso se continuare, mordendomi il labbro inferiore e fargli la domanda che tanto mi tormentava, in quel momento. “Hai intenzione di venire?” Gli chiesi, dopo un po', velocemente, senza pensarci più.
Lo sentii ridere dall'altra parte e cominciare a parlare a macchinetta in inglese, confondendomi.
“Cosa?” Chiesi, divertito, una volta che ebbe finito.
“I don't know.” Rispose, semplicemente.
Sentii suonare il campanello, subito dopo, e, sorpreso, mi diressi verso la porta.
“Aspetta un attimino, per favore.” 
“Sure.”
Quando andai ad aprire, me lo ritrovai davanti, in tutto il suo splendore, con un pantalone bianco ed una camicia rosso fuoco, mentre mi mostrava i suoi dentoni e le sue fossette, per, poi, chiudere il telefono. 
Lo osservai, ancora per un po', imbambolato, trattenendo il respiro e tenendo il mio cellulare a mezz'aria, incredulo dalla visione, che stava davanti ai miei occhi. 
“Hola!” Disse nel modo più normale possibile.
“C-ciao.” Balbettai, paralizzato.
“Posso...?” Indicò l'interno della casa, a chiedere permesso.
“C-certo, scusami.” Mi spostai per farlo entrare.
Mi guardò, sempre, con il sorriso sulle labbra, prendendo la mia mano, per abbassare il telefono. Quel suo tocco, quel contatto... mi fece sussultare e tornare, beatamente, alla realtà. 
Gettai, improvvisamente, le mie braccia al suo collo e sentii le sue, a loro volta, avvolgere il mio corpo. 
Affondò il suo viso nell'incavo del mio collo, lasciandoci una piccola scia di dolci baci. Sentire il calore delle sue labbra, mi fece cominciare a respirare affannosamente. Quel contatto era qualcosa di così innocente, ma anche qualcosa di così, dannatamente, provocante. Affondai le mie dita fra i suoi capelli, morbidi come il cotone e lisci come la seta. Lo sentii sospirare sul mio collo, sostituendo il calore precedente, ad un fresco, che a contatto con la mia pelle umida, mi portò a spostare, lentamente, la testa, ancora di più, di lato, scombussolato, come invito a continuare quello che stava facendo.
Con leggero affanno, si staccò da me, per, poi, guardarmi intensamente negli occhi. Erano fottutamente perfetti, diamine! Grandi come quelli di un bambino, attraenti come ogni singola parte del suo corpo, espressivi come solo lui poteva averli. Sfumati tra il marrone ed il verde, come un mare in tempesta, dove io, naufrago, mi perdevo, ogni volta, guardandoli. Rimanevo incantato ed incatenato ad essi e non me ne volevo mai staccare. 
“Cosa stava facendo?” Ruppe il silenzio, con la sua pronuncia, che riusciva a stringermi il cuore, per la sua tenerezza.
“Niente di che.” Dissi, sorridendo.
“Tu fa sempre niente! Tu così pigro!” Mi prese in giro.
“Io pigro?” Feci il finto offeso.
“Yeah! You're too lazy, Marco.” Continuò, col suo meraviglioso sorriso sulle labbra, che tanto avevo voglia di baciare.
“Ah, sì?” Avanzai, prontamente, verso di lui, che cominciò ad indietreggiare, divertito. 
“Yes.” Accentuò ed allungò la esse, mostrandomi i suoi adorabili incisivi. 
Mi avvicinai il più possibile a lui, facendo sbattere le sue gambe, contro il divano, che si spostò leggermente. Lo guardai negli occhi, divertito dall'espressione, tra il sorpreso ed il terrorizzato, che aveva assunto il suo viso. Sembrò confuso per un po', fino a quando allungai il mio viso verso il suo, soffiando sulle sue labbra, così carnose e così piccole, in quel momento. Si sporse verso di me, ma mi allontanai, prontamente. Volevo farlo penare per quello che aveva detto. Volevo giocare. Mi tratteni dal ridere quando lo vidi cambiare, ancora, espressione. Sembrava un bambino, al quale avevano appena levato la caramella. Tentò ancora di unire le sue labbra alle mie, ma girai il viso, velocemente, dall'altra parte. Quando mi rigirai, sorrisi, sadico, vedendo la sua faccia, leggermente, indispettita.
Ero consapevole del fatto che neanche io sarei riuscito a resistere per molto, ma volevo vedere ogni sua singola reazione e... dovetti ammettere che mi stavo divertendo da impazzire!
Improvvisamente, vidi la sua mano allungarsi ed afferrare, con una certa violenza, il colletto della mia maglietta e tirarmi a sé, abbassandosi, leggermente, ed unire, ancora una volta, le nostre labbra. Inizialmente, quel bacio mi sembrò possedere qualcosa oltre la passione, perfino un po' di rabbia. Cercai di ricambiare con la stessa velocità con cui si muoveva sulla mia bocca, facendomi mancare il respiro. Portò le sue mani sulle mie guance, a rendere, ancora più, intimo quel contatto. Sembrava non volermi far andare via e la cosa cominciava a piacermi, nonostante stessi per morire soffocato. Si buttò all'indietro sul divano, trascinandomi con sé, senza mai staccarsi. Che cosa sta facendo? Sentii il suo corpo muoversi sopra di me, dopo che ebbe ribaltato le posizioni, improvvisamente, quasi volontariamente, a volermi provocare e ripagarmi con la stessa moneta: facendomi impazzire. Sentii, pian piano, l'eccitazione salire in me. Cercai di muovermi il meno possibile sotto di lui, tentando di limitare i contatti fra i nostri bacini, ma, nonostante i miei tentativi, continuava a provocarmi. Così, lo trascinai, a mia volta, senza staccarmi a terra facendo sì che fosse lui a trovarsi sotto di me. Continuò, tuttavia, il suo gioco facendomi sentire i pantaloni diventare, man a mano, troppo stretti. Riuscì comunque a ribaltare nuovamente la situazione. Posi fine al contatto fra le nostre labbra e affannati ci cominciammo a fissare negli occhi. Probabilmente, se non si fosse fermato sarei venuto, inesorabilmente, nei miei pantaloni. Nei suoi occhi riuscii a vedere un gran pizzico di desiderio, che mi fece partire, completamente, per la tangente.
“Non mi piacciano certi giochetti.” Disse, cercando di riprendere fiato e distendendosi su di me.
“Neanche a me.” Mi avvicinai al suo collo, cominciando a torturarlo, mordicchiandolo e baciandolo. Sentirlo sospirare, ogni volta che entravamo in contatto, mi diede un senso di onnipotenza assurda. 
“M-Marco...” Balbettò.
“Mh...?” Farfugliai, non avendo la minima intenzione di staccarmi.
“Io non sa fino a quanto resisterà.” 
Alzai la testa per guardarlo e solo in quel momento mi resi conto di quello che stavo facendo e di come mi stessi comportando. Mi alzai, di scatto, col busto imbarazzato sentendo le mie guance diventare come il fuoco. Riuscii, però a sentire ed anche a vedere la sua eccitazione. Non sapevo se essere più imbarazzato o più soddisfatto, sinceramente. Quando mi alzai, lo aiutai a mettersi in piedi.
“Puedo andar al bagno?” Mi chiese rosso anche lui in viso.
“C-certo.”
 
Nonostante, i minuti passassero, Michael non era uscito, ancora, dal bagno e cominciai, leggermente, a preoccuparmi. Così, decisi di andare a chiamarlo, dopo essermi calmato.
“M-Michael,” Diedi due colpetti alla porta. “tutto bene?” Domandai.
“Sure, or-ra esca.” Sentii la sua voce, ancora più, stranamente, affannata, di prima.
Tornai in salotto e, dopo aver risistemato il divano, mi sedetti ad aspettarlo, per ancora, circa, cinque minuti.
Sentii le sue labbra posarsi, nuovamente, sul mio collo. 
“Scusame.” Sussurrò al mio orecchio. Sta utilizzando un tono sensuale o sbaglio? Oh, cazzo.
“T-tranquillo.” Aveva una gran maledetta abilità nel mandarmi in pappa il cervello, quel ragazzo! “Quanto ti fermi?”
“Four days.” Rispose, sedendosi accanto a me.
“Hai un posto dove stare?” Mosse la testa, per rispondere di sì. “Ah, e... e non t-ti va di stare, s-sì, insomma...” Mi azzittì, posando le sue labbra sulle mie.
“Yes.” Disse, beando la mia guancia del suo tocco, dopo essersi staccato. 
“Vuoi mangiare qualcosa?” Gli chiesi, poco dopo, guardando l'orologio.
“Yeah!” Esclamò, con espressione bambina. “Dimmi cosa ha, io cucina!” Sorrisi, per tanta dolcezza.
“Mh. Vediamo.” Mi alzai, per andare a vedere cosa ci fosse da cucinare. Rimasi deluso ed imbarazzato, non avendo niente da mangiare. “I-io... scusa, Mika, ma non ho niente.”
“Marco, perché tu non mangi?” Mi chiese, con aria preoccupata.
“Mangio, invece! Proprio per questo non ho niente!” Mentii.
“Are you sure?” Chiese, dubbioso.
“Non sure, surissimo!” Lo presi in giro.
Vedendolo sorridere, mi riuscii a rilassare.
“Non prenderme in giro!” Mi diede una botta sulla spalla, ridacchiando.
Sì, stavo una meraviglia insieme a lui: puro come un bambino, ma, allo stesso tempo, maturo come un uomo adulto doveva essere.
 
#MyWor(l)d
Saaalve! c:
E' tardi, tardi (di nuovo) ed io non riesco a dormire, e come sapete, quando sono nervosa scrivo! Ah, che brutto periodo! T-T" Spero, però, ovviamente, che tutte voi stiate alla grande! <3
Spero, anche, che vi piaccia questo capitolo!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 8
*** 2010 pt.2 ***


Roma, Sabato 2 Gennaio 2010
 
 
Fui svegliato da un piacevole odore di caffè e da un leggero rumore, proveniente dal corridoio, che sembrava tanto quello di alcune tazze che andavano a contatto tra di loro. Quando aprii gli occhi, e misi a fuoco ciò che mi circondava, vidi un Mika, indaffarato, entrare nella stanza, cercando di fare il meno casino possibile, senza riuscirci. Oh, ditemi che non sta facendo, quello che sta facendo.
“Buongiorno.” Mi stropicciai gli occhi, alzandomi, leggermente, col busto. “Aspetta, ti aiu...”
“No, no! Fuck! Chiude occhio! Close your eyes, right now!” Mi interruppe, urlando.
“Eh? Perché?” Domandai, confuso.
“Voleva farte una surprise.” Mi guardò affranto, fermandosi.
Sorrisi, intenerito. Ci teneva, davvero, tanto a fare quella cosa, così mi sdraiai, nuovamente, chiudendo gli occhi e facendo finta di essermi riaddormentato. 
Lo sentii ridere, posare il vassoio sul comodino accanto al letto e, poi, la sua mano accarezzarmi la guancia, delicatamente.
“Marco, wake up.” Disse, ridendo, ancora, cercando di fare il serio, inutilmente, ed io continuai a far finta di non sentirlo. “Marco, come on!” Cominciò a scuotermi dalla spalla, lentamente, non vedendo alcuna mia reazione. 
Spostò la sua mano sul mio collo, cominciando a solleticarlo dolcemente.
“Okay, okay, sono sveglio!” Esclamai, divertito, fermandolo. 
Mi fissò negli occhi per un tempo indeterminabile, facendomi salire, ancora una volta, quel brivido lungo la schiena. La luce, che filtrava dalla finestra, li rendeva di un colore verde, più chiaro del solito, quasi smeraldo. 
“Ha uscito prima, e ha find solo... c-cornet...” Lo azzittì, gettandomi sulle sue labbra, morbide e delicate. 
“Grazie.” Dissi, accarezzando la sua guancia, ricevendo come risposta uno sguardo sorpreso. “Ma...”
“But?” Mi guardò, confuso.
“Hai bisogno di qualche altra lezione di italiano.” Lo presi in giro, sorridendo.
“I know, I know.” Rise sulle mie labbra.
Avrei voluto, così tanto, dirgli che lo amavo più di qualunque altra cosa. Anche se gliel'avevo già detto, volevo pronunciare quelle parole da sobrio, per fargli capire che era la pura verità. Eppure, avevo così tanta paura che non provasse le stesse cose. Anzi, ne avevo la certezza, che non le provasse. Mi conosceva da troppo poco tempo e, già, ero rimasto, non poco, sorpreso dal suo comportamento nei miei confronti, in quei giorni.
“But... not now.” Sussurrò al mio orecchio, dopo essersi avvicinato, lentamente.
Si accomodò sul letto, riunendo le nostre bocche, che si cominciarono a muovere a ritmo, man a mano, sempre più frenetico. Le cose erano due: o voleva provocarmi come il giorno precedente, o sarebbe stato così, dannatamente, provocante, senza volerlo, tutte le volte.
 
“Ma hai proprio fatto la spesa, Mika?” Gli chiesi, retorico, guardando le buste che invadevano la cucina.
“Of course! Il tuo fridge was vuoto e io eat too much!” Esclamò, cominciando a sistemare le cose.
“Lascia, almeno, che ti ridia i soldi…” Tentai di prenderli dal portafoglio, ma fui bloccato dal suo magico tocco.
“Don’t worry. It’s okay. Volio, solo, che tu mangia, Marco.” Mi fissò negli occhi, serio, mentre me lo diceva.
Fu un contatto, però, che non riuscii a reggere per molto, così abbassai la testa, un po’ intimorito. Aveva capito che, il giorno prima, avevo mentito, e volli, seriamente, in quel momento, scavarmi una fossa, sotto terra, per nascondermi.
Me la alzò, delicatamente, guardandomi con sguardo dolce e comprensivo.
“Don’t destroy yourself, please. Fuma, beve, non mangia… tutte queste cose, non are okay. When you was a X Factor, you wasn’t so magro.” Sentii gli occhi, pian piano, riempirsi di lacrime, ed ebbi l’irrefrenabile bisogno di sentire il calore delle sue braccia, tra le quali mi gettai, senza pensare più.
 
 
Domenica, 3 Gennaio
 
 
“I really, really like stare qui con te! Non volio back indietro.” Disse, mentre ce ne stavamo seduti sul divano a rilassarci. Oh, ti prego, dimmi che resti, ancora. “I’ll miss you!”
“Anche io, non sai quanto. Ma, poi, tornerai, giusto?” Chiesi, speranzoso.
“Of course! But, prima devo continuare my tour fino a fine Agosto.” E lì, in quel momento, sentii un tuffo al cuore, causato dalla raggiunta consapevolezza che non l’avrei più visto, per un bel po’ di tempo. “But, I will come to Italy, too.” Sorrise, per incoraggiarmi, vedendomi, leggermente, scosso dalla notizia. “You’re a true friend per me, Marco.” Ahh, che dol… ehi, aspetta, cosa?! Amico? Ma che cazzar… Lo sentii scoppiare in una fragorosa risata. “Oh, God, your face è la fine of the world!” Continuò a ridere, fino a diventare rosso come un peperone, sotto il mio sguardo allibito.
Rimasi fermo ad osservalo, offeso, non solo da quello che aveva detto, ma anche, e soprattutto, dalla sua reazione.
“Oh, come on! Scherzava!” Continuò, dandomi una pacca sulla spalla.
“Non sto ridendo.” Dissi, serio, e, solo in quel momento si decise a fermarsi e ricomporsi.
“Scusame.” Chiese, con faccia da cane bastonato.
Lo osservai, ancora per un po’, in silenzio, senza proferire parola e senza fare il minimo movimento, fino a quando decisi di buttarmi a capofitto su di lui. Ti amo alla follia. Fui così tentato di dirglielo…
Mi posizionai su di lui, bloccandolo per i polsi, con sguardo divertito, sotto il suo curioso.
“Non ti scuso.” Sussurrai.
“Oh, really?” Disse, spavaldo.
“Yes.” Avvicinò il suo viso al mio, ma, ancora una volta, mi allontanai, alzandomi. “Forza, Penny, è ora della lezione!”
“Non chiamarme così!” Si alzò, anche lui, velocemente, per seguirmi.
 
“Partiamo dal fatto che si dice ‘scusami’ e ‘chiamarmi’, okay?” Dissi, per l’ennesima volta.
“Io confondo con spagnolo.” Affermò, deluso.
“Io MI confondo con LO spagnolo.” Lo corressi, guadagnandomi un’occhiataccia da parte sua. “Sei tu ad aver detto che volevi imparare l’italiano, no?”
“Sì, ma è troppo dificile…”
“Te la stai cavando bene, però.” Lo incoraggiai.
“Se tu mi da’ un bacio, io imparo meglio.”
“Se tu mi dessi un bacio, io imparerei meglio.” Affermai, divertito.
“Oh, ma fuck! Me lo dessi, sì o no?” Non riuscii a trattenere le risate, sentendo quella frase, così sbagliata, ma detta in modo così deciso. “What the fuck you want?”
“Si dice ‘me lo dai, sì o no?’.” Dissi, avvicinandomi a lui.
“Quello che è, insoma!” Fece rientrare le nostre labbra in contatto, in un bacio breve, ma dolce, che riuscì a mandarmi in trance, anche solo per un secondo.
 
Decidemmo di andare a cena fuori, per la prima volta. O meglio, lui decise che saremmo andati a cena fuori, per la prima volta. Ero, davvero, felice con lui e non volevo tornare quello che ero stato. Non ce l’avrei mai fatta. Non volevo più ritrovarmi solo a piangere, dalla mattina alla sera. Mi sarebbe bastato piangere, non saprei, la sera, ma avere lui al mio fianco avrebbe reso le cose meno dolorose.
"Mh, questo," Indicò al cameriere un punto del menù. "questo," Ancora. "questo". Di nuovo. "e questo!" Lo guardai divertito, per la sua innocenza. "Per lui le stesse cose." Sorrise.
"Cosa?!" Esclamai, quasi terrorizzato.

"Okay, desiderate il dessert?" Chiese, annotando.
"Sure!" Cioè, in tutta quella roba non era compreso il dolce?
"Cosa?!" Ripetei, mentre il cameriere, sotto permesso di Mika, ci lasciava soli. "Stai scherzando, spero." 
"Oh, come on! Deve mangiare." Mi mostrò i suoi dentoni, e non riuscii, più, a contestarlo una terza volta.
Dio, quanto ti amo.

Entrammo in casa, senza neanche vedere dove mettevamo i piedi, concentrati entrambi, uno sulle labbra dell'altro. Si sentivano solo gli schiocchi provocati da esse ed i nostri tentativi di riprendere fiato, ogni tanto. Posai le mie mani sulle sue morbide guance, ad imitare il gesto che aveva fatto lui qualche giorno prima.
"Dimmi" Tentai di cominciare a parlare tra un bacio e l'altro. "quanto" Cercò di azzittirmi. "hai" Ancora. "pagato." 
"In your dreams." Si staccò, affannato, per, poi, ricominciare quello che aveva interrotto.
"Meglio se andiamo a dormire, allora." Lo sfidai, facendolo staccare, ancora.
"Oh, ehm... okay." Disse, con tono, leggermente, deluso.
Era giusto farlo penare un pochino, no? E poi, non sapevo se mi sentissi pronto o meno. Era presto e non avevo mai avuto esperienze, ancora.
L'adorai, ancora di più, quando capì e rispettò quello che avevo detto. 

E nonostante ciò, non fece l'offeso e non assunse atteggiamenti strani. 
"Pos... posso dormire con te, però?" Mi chiese. Oh, amore.
"Certo." Soffiai sulle sue labbra.
Mi piaceva vederlo dormire, cosa che lo portò ad assumere un'espressione, leggermente, imbronciata, che lo rendeva ancora più tenero. Mi avvicinai, lentamente, a lui, per abbracciarlo da dietro e lasciargli una piccola scia di baci, lungo il collo.
"Ti amo." Sussurrai, dolcemente.

#MyWor(l)d 
Saaalve! c:
Come state? Spero bene!

Le vacanze come procedono? E gli esami, per chi li deve fare? So che mancano gli orali, per molti, ancora. Dai, che ce la fate! <3

Ringrazio, come sempre, chi recensisce, chi ha messo fra i preferiti la storia, chi la segue e chi, semplicemente, la legge! Grazie <3 Vi amo <3 ve lo ripeterò all'infinito!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 9
*** 2010 pt.3 ***


Roma, Lunedì 4 Gennaio 2010
 
 
Passai buona parte della notte guardando la luce della luna, che filtrava tra le tende della finestra, riflessa sul soffitto. Non riuscivo a dormire pensando al fatto che presto non avrei potuto rivederlo per un bel po' di tempo e che non avrei sentito le sue labbra sfiorare le mie ed il suo profumo inebriarmi le narici.
Girai lentamente il viso verso di lui, vedendolo dormire beatamente sempre con quell'espressione da bambino indifeso che avevo visto solo due volte e che già amavo e volevo osservare incantato ogni santa notte. Le sue labbra leggermente schiuse lasciavano intravedere i suoi due adorabili incisivi. Sorrisi ripensando alle poche, ma fantastiche, volte in cui avevano donato piacevoli torture al mio collo. 
Mi alzai cercando di non svegliarlo, evitando di fare rumore e mi diressi verso il bagno per sciacquarmi il viso. Sbuffai e rivolsi lo sguardo sul mio riflesso e, spaventato, balzai indietro vedendomi, in effetti, così dimagrito. Avevo il viso leggermente scavato e reso ancora più scuro dalla barba, che avevo fatto crescere e che neanche mi ero preoccupato di rasare per la cena con Michael, mancandogli di rispetto e gli occhi avevano una cornice violacea, quasi a sembrare due lividi.  Il pigiama, abbastanza leggero, nonostante la stagione, accentuava il mio corpo fin troppo magro. Abbassai di nuovo la testa poggiandomi al lavandino, ponendo fine alla visione di quell'incubo. Ma che ho fatto? La situazione mi era sfuggita di mano. Passavo i giorni a rimandare il pranzo e la cena, saziando il mio stomaco, troppe volte solo con alcol e fumo. E pensare che fino a qualche anno fa, la gente si girava perché ero troppo grosso. 
Sentii gli occhi pizzicarmi, le labbra tremolare, velocemente, ed un leggero lamento, involontario, uscire da esse. Mi coprii il viso con le mani, nel tentativo di cancellare quell'orribile visione e quei dolorosi ricordi. Una lacrima cadde, lentamente, lungo la mia guancia, scagliandosi sulla la mia mano, dando inizio ad un inevitabile pianto silenzioso. Faccio schifo. Con quale coraggio ero riuscito a baciare Michael? Ma soprattutto, con quale coraggio lui era riuscito a baciare me? Ero terribilmente distrutto, sia psicologicamente che fisicamente.
Restai in silenzio lì a versare lacrime, fino a quando sentii due braccia stringermi dolcemente, facendomi aprire gli occhi di scatto.
“Marco, what's wrong?” Udii la sua voce, coperta da un velo di tristezza e da uno di preoccupazione, che me li fece richiudere dalla vergogna.
“Come fai a toccarmi, Michael.” Dissi a testa bassa.
“What?” Chiese confuso. Non risposi. Non alzai lo sguardo. Non avevo il coraggio di guardarlo e di parlargli. Non avevo il coraggio di vedere la sua faccia schifata quanto la mia. “Marco.” Mi girò delicatamente verso di lui. “Marco.” Ripeté, accarezzandomi la guancia con il tocco delicato di un dito. “Please, apra gli occhi.” Portò la sua mano dietro la mia nuca, accarezzandomi i capelli ed avvicinandomi a sé. “Per favore.” Avvolse il mio viso tra le sue mani.
“Sono tanto stanco.” Farfugliai poggiandomi di nuovo sulla sua spalla, distrutto dalle lacrime, che continuavano a scendere senza controllo.
“Don't worry. I am here with you.” Sussurrò cercando di fermare ogni singola lacrima a metà strada sulle mie guance. “Andiamo a letto.” Mi guidò fino alla camera tenendomi stretto a sé e senza mai mollarmi.
Mi aiutò a sdraiarmi per, poi, coprirmi e mettersi accanto a me. Riuscivo a percepire i suoi occhi su di me, fino a quando sentii nuovamente la sua mano accarezzare la mia guancia leggermente bagnata. 
“Can I see your wonderful eyes?” Domandò facendomi sorridere per la frase, alla quale non riuscivo a credere. “So?” Non risposi e lo sentii avvicinarsi a me, riuscendo a sentire il suo respiro sulle mie labbra. “Please, Marco, trust me.” Sussurrò. 
Quando ebbi finalmente il coraggio di riaprire gli occhi gonfi incontrai i suoi, visibilmente preoccupati. 
“I love you.” Disse sicuro.
Lo guardai incredulo quando ancora una volta pronunciò quella frase dal significato indefinito. Non era più una frase detta in un momento di estrema felicità. L’aveva pronuncia guardandomi negli occhi.
“Anch'io.” Mi limitai a dire sussurrando facendolo sorridere. 
“Riposa.” Disse dolcemente asciugandomi le ultime lacrime per, poi, lasciarmi un leggero bacio sulla fronte.
Mi girai dall'altra parte, come invito ad avvolgermi con le sue braccia, così protettive. Dopo un po', forse indeciso, lo sentii abbracciarmi e posare delicatamente il mento sulla mia nuca e mettere la sua mano sulla mia. Solo in quel momento riuscii, finalmente, ad addormentarmi. 
 
Mi risvegliai sentendo delle labbra percorrere, lentamente, il profilo del mio collo. Mi girai per incontrare i suoi occhi, che illuminarono appena incrociarono i miei il loro aspetto poco prima preoccupato. 
“Good morning.” Sussurrò. 
“G-giorno.” Balbettai scombussolato da quella meravigliosa vicinanza.
Sorrise per, poi, posare le sue labbra sulle mie, unendole in una dolce danza elegante. Mi sistemai meglio per rendere più facile il contatto fra le nostre bocche, che prontamente aumentarono la loro velocità, con la quale resero ogni movimento sempre più intimo. Si posizionò su di me, spostando le sue labbra sul mio collo leggermente sudato. Cominciò a mordicchiarlo e succhiarlo dolcemente ed a muoversi lentamente su di me. Chiusi gli occhi sospirando, quando sentii la sua mano fredda infilarsi sotto la maglia del mio pigiama e muoversi lentamente dove, fino a poco tempo prima, erano accentuati dei leggeri addominali, mentre con l'altra mi accarezzava delicatamente la gamba.
Spalancai gli occhi, quando lo sentii portare entrambe le mani ai bordi della maglia, pronto a sfilarla.
“Michael...” Farfugliai cercando il suo sguardo, senza ricevere alcuna risposta. 
Tuttavia, decise di portarle fino al mio petto accarezzandolo dolcemente, senza mai staccarsi dal mio collo ed alzando leggermente la maglia con le braccia.
Mi irrigidii intravedendo il mio corpo così magro sotto il suo. Sentii ancora una volta le lacrime, pronte a scendere lungo le guance, offuscarmi la vista. Non volevo farmi vedere in quello stato da lui. Non la prima volta. Non potevo e non volevo. 
“M-Michael...” Tentai di fermarlo allontanandolo leggermente dalla vita. 
“Mh...” Si staccò distrattamente dal mio collo, ma la sua espressione cambiò quando vide il mio viso. “M-Marco, oh, God, I'm so sorry...” Si alzò col busto portando la sua mano sulla mia guancia. “Please, don't cry.” Disse con voce spezzata. 
“Sc... scusami.” 
“No, scusa tu.” Si chinò su di me per appoggiare la sua fronte contro la mia e cominciare ad accarezzare le mie guance con le dita. “P-please, perdonami.” Disse sul punto di piangere anche lui.
“N-no, Michael, ma che dici.” Avvolsi il suo corpo con le mie braccia, proprio come tante volte lui aveva fatto a me.
Non capii quella reazione. Non era mia intenzione farlo sentire in colpa. Eppure, per la prima volta lo vidi così preoccupato e sul punto di piangere. 
“Sorry, sorry, sorry...” Cominciò a ripete al mio orecchio come un bambino.
“Michael.” Riuscii solo a dire, perplesso da quella che stava succedendo. “Ehi.” Continuai dopo un po' prendendo il suo viso fra le mani. “Per favore, non è stata colpa tua, chiaro? Sono io che… che non me la sento.” Dissi cercando il suo sguardo, che continuava a sviare dal mio fino a quando riuscii a bloccarlo. 
Mi guardò con gli occhi di un bambino che, smarrito, non sapeva più che fare dopo aver per sbaglio fatto del male ad un altro bambino: si vergognava. 
“Ti amo.” Dissi guardandolo negli occhi. 
Quando pronunciai quelle paroline magiche spalancò gli occhi per, poi, prendere la mia mano e portarla sul suo petto dove riuscii a sentire il battito accelerato del suo cuore. Non mi aspettavo di certo un “ti amo anch'io” da parte sua, però quel gesto mi bastò, senza che dovesse aggiungere nient’altro.
Sorrise finalmente, mordendosi il labbro inferiore per, poi, riavvicinarsi alle mie labbra e lasciarci un piccolo bacio.
“I don't wanna lose you, Marco.” Sussurrò al mio orecchio dopo essersi calmato.
Mi beai di quella frase, così piena d'affetto ed amore, che mi fece capire ancora di più che per lui ero qualcuno.
 
“Parto domani pomeriggia.” Disse con un po' di tristezza nella voce.
“Lo so.” Dissi a mia volta, portando i miei occhi su di lui, sdraiato sulle mie gambe, mentre continuavo ad accarezzargli i capelli.
“I have to ask you something, Marco.” Alzò lo sguardo verso il mio. 
“Chiedi pure.” Lo incitai a continuare sorridendo.
“Tu deve farmi un favore.”
“Certo, dimmi.”
“Quando me ne andrà, prometti me che continuerai a mangiare?” Mi chiese serio.
Rimasi fermo ad osservare i suoi occhi capaci di incantarmi ogni volta che entravano minimamente in contatto coi miei. 
“Promesso.” Dissi dopo un po' di tempo a contemplarli. 
Si porse leggermente verso di me incontrandomi a metà strada, per ricongiungere le nostre labbra. Avrei voluto fermare il tempo. Avrei voluto passare ogni singolo momento della giornata con lui. Avrei voluto restare così per l'eternità. 
Chiusi gli occhi assaporando il suo sapore ad ogni minimo contatto.
“Che vuoi fare oggi?” Gli chiesi una volta staccatomi.
“Stare con te.” Oh, datemi un pizzicotto, vi prego.
“Così ti rovini la giornata.” Dissi ridendo, non accompagnato da lui però.
“Non è true. I like stare con te.” Affermò serio.
“Grazie.” Che imbarazzo.
“So! Cosa vuole mangiare?” Chiese alzandosi, lasciando che le mie gambe rientrassero in contatto con il freddo della stanza.
“Ma tu pensi solo al cibo?” Domandai ridacchiando.
“Io pensa per te e per me al cibo.” Disse a metà tra il serio ed il divertito.
“Okay, okay. Questa volta cucino io, cioè… almeno ci provo.” Dissi andando in cucina.
Okay. Problema, problemino: non so cucinare. No panico.
 
“Com’è?” Gli chiesi insicuro, mentre ingurgitava un pezzo di tiramisù che avevo provato a fare.
I due esperimenti precedenti non erano proprio andati a buon fine. La pasta era ancora cruda e la carne era venuta un po’ moscia, non avrei saputo dire bene perché. Sì, che lo sai, idiota. Nonostante questo, Mika non mi fece pesare più di tanto la cosa. Anzi, si era messo a dire che gli piaceva tutto, ma sapevo che lo diceva per non farmi sentire male.
“Tutto okay?” Dissi osservando il suo viso, che assunse un’espressione quasi sofferente. Lo vidi girarsi dall’altra parte e cominciare a tossire sempre più forte. “Oh, Dio, Mika.” Mi alzai e cominciai a dargli dei piccoli colpetti sulla schiena tentando di aiutarlo. “Scusa.” Gli chiesi risedendomi, dopo che si ricompose.
“Don’t worry. È buono, sono io che mandato male di traverso.” Disse cercando di convincermi.
“Dai, Michael, non mi offendo se dici che fa schifo, anche perché… fa schifo.” Affermai annusando l’odore acido di quello pseudo-dolce.
“Oh, okay… allora, amore, please, concentrati sul canto.” Amore? Oh, vi prego, ditemi che non sto sognando.
Gli sorrisi imbarazzato, mentre lui se ne stava lì e sembrava aver detto la cosa più normale del mondo. Mi avvicinai a lui lentamente per far di nuovo combaciare perfettamente le nostre labbra in un bacio dolce, che pian piano diventò sempre più passionale. Aprì la bocca, non so se per riprendere fiato o per invitarmi ad esplorarla. Fatto sta che senza pensare più di tanto introdussi la mia lingua dentro essa, ritrovandomi poco dopo la sua nella mia, mandando al pronto soccorso ogni mio neurone e capacità di pensiero. Sì, mi sarebbe mancato tutto questo.


#MyWor(l)d
Buoooonasera! :3
Corro, corro, qui. Mi piace scrivere questa storia e ho aggiornato "Come a Little Closer" per chi me l'aveva chiesto e... ho iniziato a scrivere il sedicesimo capitolo di "Wanna Love" :3 quindi, forse prima del tre ce la faccio ad aggiornare xD 
Cooomunque, tornando alla storia, qui si capisce meglio, almeno credo, il perché Mika si stia preoccupando così tanto per Marco e spero, vivamente, vi stia piacendo la storia nel complesso e che vi piaccia questo capitolo! 
Detto, questo, grazie, come sempre, a tutti! <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 10
*** 2010 pt.4 ***


Roma, Lunedì 11 Gennaio 2010
 
 
Michael se n'era andato da appena una settimana e già mi mancava terribilmente. Non riuscimmo, quasi mai, neanche a sentirci per telefono. 
Ogni giorno però avevo il bisogno di sentire la sua voce ed il suo affetto. Mi ero abituato, in così poco tempo, ad averlo in giro per casa, mentre mi provocava, riempiva di attenzioni le mie labbra e si prendeva cura di me.
Mi stavo impegnando davvero a mantenere la promessa che gli avevo fatto, però la mia incapacità nel cucinare e la sua mancanza contribuivano a renderla un'ardua impresa. 
Non riuscivo neanche a smettere di fumare e bere. Era più forte di me. Sentirsi talmente amati, anche per così poco tempo, essere stato abbandonato a me stesso, ed essere rimasto completamente solo, improvvisamente, mi buttò in un pericoloso vortice di tristezza.
Aprendo l'ennesima bottiglia di birra, cominciai a pensare e fantasticare di vederlo entrare, più sorridente che mai, da quella porta, rimasta chiusa per ben sette giorni. Prima di partire, gli diedi le chiavi dell'appartamento per qualsiasi evenienza. Forse stavo correndo troppo, ma quelle chiavi per me rappresentavano un appiglio ed una possibilità di rivederlo.
 
Mi piaceva sentire il sapore dell'alcol entrare nel mio corpo e rilassarmi. Era come farsi una leggera anestesia, inizialmente, fino a quando non ci si addormenta, evitando ricordi e dolore. Ecco, la mia testa si addormentava e lasciava indietro ogni pensiero, per lasciare spazio al relax.
In quell'ennesimo periodo di solitudine, avrei tanto voluto concentrarmi sulla musica per distrarmi, ma mi mancava l'ispirazione e, di lì a poco, avrei dovuto cominciare anche a lavorare ad un disco. 
La suoneria del mio cellulare riecheggiò nella stanza, rompendo il silenzio che invadeva la casa da tanto tempo. Quando vidi il suo nome lampeggiare sullo schermo, il mio cuore si bloccò e mi precipitai istintivamente a rispondere.
“Mika!” Esclamai entusiasta.
“Come ha fatto a sapere che ero io?” Chiese con un pizzico di delusione.
“Ho il tuo numero, tontolone.” Lo presi in giro divertito.
“Oh, that's true. Anyway... come stai?” 
“Bene, tu? Come procede il tour?”
“Good! Mi sto di... divertando anche se sono un po' tired.”
“Mi spiace. Allora, vai a riposare, dai.”
“No, volevo sentirte. Mi manca.” Mi morsi il labbro inferiore sentendo quelle parole.
“Anche tu.” Sussurrai, quasi senza fiato dalla felicità.
“Sta mangiando?” 
“Sì, tranquillo.” 
“When I'll come back I wanna see you fat!” Esclamò. Ah, la sua risata.
“Certo.” Dissi ridendo anche io, con un pizzico di ironia. “Tu stai bene?”
“Yeah! Sopratuto ora che io ha sentito te.” Sorrisi imbarazzato, anche se non poteva vedermi. Era quello ciò che mi mancava di più nella vita: far sentire bene qualcuno. “Scusami, but I gotta go. Take care.” 
“Grazie, anche tu.”
“And mangia!” Urlò.
“Anche tu!” Ripetei ancora, ridendo.
“Io mangia anche tropo, honey! Bye.” 
“C-ciao.” 
Sembrava sereno, e sapere che andava tutto bene rese anche me particolarmente tranquillo. Dovevo mantenere la promessa che avevo fatto. Fino a quel momento, pur mangiando un po’ di più, la presi molto alla leggera, ma volevo renderlo orgoglioso di me.
 
 
Martedì, 20 Aprile 
 
 
In quei, quasi, tre mesi mesi e mezzo, Mika ero riuscito a sentirlo davvero di rado. Il ventuno aprile, sarebbe dovuto tornare in Italia per un concerto a Milano, ma l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era al fatto che ancora non mi aveva chiamato. Aveva detto che ci saremmo visti in quei giorni e, invece, non sapevo ancora niente.
Passai l’ennesima notte sveglio ad aspettare che lo schermo di quel maledetto cellulare si illuminasse. Niente. Era come se si fosse dimenticato di me e faceva male anche solo pensarlo. Mi tenni lontano dall'alcol quel giorno. Volevo restare lucido, così mi limitai ad un paio di sigarette. Michael mi dava la voglia e la spinta giusta per essere migliore, sia per lui che per me. Quanto poteva essere speciale una persona che riusciva a fare una cosa del genere? Troppo.
 
Sentii improvvisamente un rumore provenire dal salone, che mi fece sussultare sul letto. Spaventato, spensi la luce, presi il telecomando del televisore e mi alzai cercando di fare il meno rumore possibile. 
Quando arrivai nella stanza non riuscii a vedere e sentire niente, se non il battito del mio cuore, pronto a balzare fuori dal petto.
“Are you serious? Un telecomando?” Mi spaventai sentendo una voce dietro di me, ma sorrisi, poco dopo, riconoscendo quale voce fosse.
Mi girai mostrando il più grande sorriso mai fatto e mi gettai al suo collo, più felice che mai.
“Mika!” Urlai al suo orecchio, mentre mi teneva stretto a sé.
Quanto mi erano mancate le sue braccia stringermi. Quanto mi era mancato lui.
“Che ci fa sveglio a quest’ora?”
“Aspettavo una tua chiamata.” 
“Oh, well, I'm here!” Mi strinse ancora più forte per, poi, lasciarmi a terra. “Good! You're ingrassato!” Affermò osservandomi.
“Ingrassato, addirittura? Ho preso una decina di chili, ma...”
“Yeah! That's great! Big boy, you are beautiful!” Canticchiò allegro. “I'm happy.” Aggiunse abbracciandomi.
Affondai il viso nell'incavo del suo collo, annusando il suo profumo di talco che tanto amavo. Ci lasciai un piccolo bacio per, poi, incantarmi guardando i suoi occhi e portare le mie mani sulle sue guance ed accarezzarle, sotto il suo sguardo sorridente e curioso. 
Poco dopo, però, nel silenzio lo vidi cambiare espressione, diventando quasi privo di emozioni.
“Ehi, va tutto bene?” Gli domandai preoccupato.
“Eh? Oh, yes. Sorry.” Fece un sorriso sforzato abbassando lo sguardo sulla mia mano, prendendola e cominciando a giocherellarci. 
“Sei sicuro?” Annuì poco convinto. “Lo sai che di me ti puoi fidare, giusto?” Annuì ancora una volta, a macchinetta. “Allora che succede?” Incrociò finalmente nuovamente i suoi occhi con i miei. 
Lo guardai con aria interrogativa, fino a quando aprì la bocca per dire qualcosa, chiudendola però poco dopo, sospirando.
Senza parlare, avvicinò il suo viso al mio soffiando sulle mie labbra per, poi, unirle alle sue. Ma che gli prende? Il ritmo diventò sempre più frenetico e sentii mancarmi il respiro. Cercai di riprendere fiato, e lui ne approfittò per infilare nella mia bocca la sua lingua, facendola entrare in contatto con la mia. Morse dolcemente il mio labbro inferiore, facendomi scappare un gemito. Portò le sue mani sui miei fianchi e, poi, alla mia schiena accarezzandola, iniziando ad indietreggiare verso la camera da letto. Sentii i miei polpacci andare a contatto con i piedi del letto, sul quale mi lasciai adagiare da lui. Quando si sdraiò su di me, lo sentii ancora incerto sul da farsi, ma, poco dopo, lo sentii muoversi lentamente su di me, strusciando il suo corpo sul mio e facendo entrare in contatto in nostri bacini. Spostò la sua bocca sul mio collo per mordicchialo, facendomi sfuggire un altro gemito e buttare leggermente la testa all'indietro.
“Stop me now, Marco. Please, perché dopo non so se potrà farlo. I don't wanna costringere te.” Disse, affannato, ponendo fine al contatto fra le nostre bocche e poggiando delicatamente la sua fronte sulla mia. Gli accarezzai dolcemente la guancia  per, poi, ricongiungere le nostre labbra. Sembrava ancora teso, ma poi iniziò a lasciarsi andare rilassandosi. “Are you sure?” Chiese staccandosi, ancora.
“Sì, Michael. Voglio fare l'amore con te.” Gli sussurrai guardandolo negli occhi, facendolo sorridere per, poi, poggiare le labbra sul suo collo.
Sospirò, come a prendere coraggio per portare le sue mani al bordo dei miei pantaloni abbassandoli leggermente, accarezzandomi i fianchi. Fino a poco tempo prima, pur desiderandolo fortemente, non avrei mai avuto il coraggio di dirgli una cosa del genere. Michael aveva stravolto la mia vita. Mi aveva dato una ragione per cui continuare a vivere. Mi faceva sentire amato più di chiunque altro.
Mi riportò alla realtà, quando mi prese il viso tra le mani e cominciò a lasciarci dei lievi baci, portando poi una mano sotto la maglia sul mio stomaco, accarezzandolo per, poi, andarlo a mordicchiare.
“There is ciccia.” Affermò divertito.
“Esagerato.” Risi per, poi, avventarmi di nuovo sulle sue labbra, accarezzando con una mano i suoi morbidi capelli e sbottonare con l'altra la sua camicia. Quando intravidi il suo corpo asciutto, ma tonico, cominciai a solleticarlo delicatamente con le dita.
“Ehi, stop it!” Sorrise sulle mie labbra, muovendosi bruscamente, facendo scontrare ancora i nostri bacini.
Non sapevo fino a quando avrei potuto resistere, sentendolo muoversi in continuazione su di me. Mi sfilò velocemente la maglietta e cominciò ad osservarmi, per un tempo che mi sembrò infinito. Gli faccio schifo. Ripresi la maglietta cercando di coprirmi, ma mi bloccò.
“No! Sei bellissimo...” Soffiò sul mio viso.
Sentii gli occhi diventare lucidi e le sue labbra posarsi sulla mia guancia, dando via ad una scia di baci ed avanzò, pian piano, fino a bloccarsi al bordo dei pantaloni per risalire e portare le mie mani al bordo dei suoi, per aiutarmi a sbottonarli e sfilarli. Mi levò i miei e, a mia volta, gli sfilai timidamente la camicia.
Lo studiai per qualche secondo cercando di mantenere impresso quel momento. Era perfetto. Il suo corpo era perfetto. Lui era perfetto.
Si adagiò su di me facendo scontrare le nostre intimità. A quel minimo contatto non riuscii a non chiudere gli occhi, mentre Mika ricominciò la sua falcata verso il punto più sensibile del mio corpo. 
“Michael!” Esclamai con voce strozzata sentendo le sue labbra posarsi sul mio membro. “Oh, ti prego...” Ansimai affondando le mani fra i suoi capelli, accompagnandolo con dei movimenti di bacino.
Nella stanza si sentivano solo i miei sospiri. Sentivo di poter impazzire da un momento all'altro sotto il suo tocco. “M-Mi...” Mi azzittì gettandosi sulle mie labbra continuando a stuzzicarmi con la mano. Artigliai la sua spalla e le lenzuola, in preda all'eccitazione. 
Quando si fermò lo fulminai con lo sguardo, facendolo ridere. La sua risata mi fece venire istantaneamente la pelle d'oca.
Non so come e con che coraggio portai la mia mano sulla sua erezione, seguito da un suo urlo strozzato. Impegnò ancora le mie labbra in un bacio, che diventava sempre più intenso. 
“Oh, Marco, please...” Sussurrò interrompendo per un secondo il bacio con un espressione tra il sofferente ed il compiaciuto.
Vederlo con la testa leggermente buttata all’indietro e la bocca semiaperta, che emetteva dei suoni gutturali, non mi fece più ragionare. Lo afferrai per la vita e lo gettai sul letto, posizionandomi su di lui, che mi osservava con espressione sorpresa. Per tutta risposta, decise di invertire nuovamente posizioni, ritrovandomelo sopra, mentre continuava a scontrare volontariamente le nostre erezioni.
“Michael, devo dirti una cosa.” Parlai cercando di riprendere fiato.
“Digame.” Disse accarezzandomi la guancia.
“Sei il primo.” Dichiarai tutto d’un fiato per, poi, vedere la sua espressione sorpresa, che divenne poco dopo commossa.
“Anche tu… and you will be the only one.” Vidi una lacrima fare la sua comparsa sulla sua guancia, che prontamente mi curai di asciugare. “Ti amo.” Sussurrò guardandomi, poco prima di entrare in me e cominciare a muoversi lentamente.
Mai in vita mia, neanche una volta, riuscii a sentirmi così completo ed amato nello stesso tempo. Non faceva neanche male come credevo. Michael aveva un capacità di essere dolce e passionale allo stesso tempo e riusciva a farmi dimenticare del dolore e concentrare solo su di lui. Non smise mai di guardarmi negli occhi o di lasciarmi dei teneri baci sul collo, mentre alternava spinte più lente ad alcune più veloci. Nella stanza si sentivano solo i nostri sospiri di piacere, gli schiocchi dei baci e, ogni tanto, delle amorevoli parole sussurrate uno all’orecchio dell’altro.
“Michael…” Ansimai, raggiunto quasi il limite.
“Marco…” Aumentò la velocità ansimando nel mio orecchio, facendomi perdere ogni contatto con la realtà. “I’m co… oh, God!” Si accasciò sudato su di me, senza neanche essere riuscito a finire la frase.
Lo osservai, mentre riposava sul mio petto e teneva la bocca aperta, la fronte imperlata di sudore ed i ciuffetti davanti bagnati, che accarezzai e sistemai. Tentammo entrambi di riprendere fiato, esausti. “Ti amo.” Dicemmo all'unisono, poco dopo, per poi scambiarci un sorriso. “Are you okay?” Mi chiese premuroso alzando la testa per guardarmi. “Sto sempre bene, da quando ci sei tu nella mia vita, Michael.” Mi sorrise, ancora una volta, timido mordendosi il labbro inferiore e si porse verso di me per darmi l’ultimo bacio, prima di crollare insieme fra le braccia di Morfeo.


#MyWor(l)d
Okaaaaay, vado a nascondermi sotto terra, gente. Mi dispiace tanto che dobbiate leggere questo capitolo. Chiedo scusa! ^-^"" Non mi resta che leggere i vostri giudizi!
Ho letto che domani è il compleanno di Em_TheRipper, e non è un compleanno qualunque, è il diciottesimo, aw! *-* Auguri per domani allora :3 Ti adoro! Mi dispiace averti fatto questo obbrobrioso regalo in anticipo, Em! Io chiedere te di perdonare me! <3
E ovviamente adoro tutte voi che ad ogni capitolo mi fate scoppiare il cuore di gioia! <3
Grazie mille!
Un bacione,
Michaels 

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Capitolo 11
*** 2010 pt.5 ***


Roma, Mercoledì 21 Aprile 2010
 
 
Quando aprii gli occhi, vidi la mia vita avvolta dal braccio di Mika per, poi, portare lo sguardo su di lui, che dormiva beatamente coperto solo dal lenzuolo bianco, che gli dava un aspetto ancora più angelico. Quanto è bello. I suoi capelli arruffati lo rendevano ancora più infantile. Sorrisi scostando uno dei suoi ciuffi per vedere meglio il suo viso, che si contrasse per un attimo in un'espressione adorabilmente infastidita. Mi alzai, poco dopo, sgattaiolando da sotto di lui cercando di non svegliarlo, per andare a preparargli la colazione. Tanto, almeno il caffè lo so fare. Accorgendomi però, una volta arrivato in cucina, di non avere niente da mangiare, decisi di andare al bar per prendere qualcosa. 
Avevo fatto l'amore con Michael e non riuscivo a togliermi il sorriso dalle labbra. Era stato perfetto. Aveva detto di amarmi ed aveva pianto, poco dopo. Ricordando gli attimi passati la notte prima, sentii le guance andare a fuoco, ma sentivo l'amore che provavo per lui, crescere incredibilmente, sempre di più. 
Ero stato il primo per lui, come lui per me, ed ancora non riuscivo a crederci. Insomma, la prima volta non si può scordare, no? Indipendentemente dal fatto che finisca o meno. Aho, che so' 'sti pensieri? Pussha via! 
“... and you will be the only one.” Sentivo di volare solo a risentire la sua voce pronunciare quelle meravigliose parole nella mia testa. 
Mi fermai vedendo una ragazza tenere in mano una collana particolarmente colorata, che si adattava non poco allo stile di Mika. Per fortuna, la lasciò e mi catapultai nel negozio per prenderla. La scritta "hope" a caratteri giganti riusciva a spiegare cosa era lui per me: speranza. Sì, sarebbe stata perfetta per lui. 
 
Quando tornai a casa, dopo aver preparato il caffé e il resto, portai tutto in camera facendo attenzione a non svegliarlo. Attraversai il letto a gattoni per, poi, cominciare a lasciargli dei piccoli baci sulla schiena nuda.
“Michael.” Sussurrai dolcemente al suo orecchio, senza però ricevere alcuna risposta. “Amore.” Tentai di nuovo, lasciandogli un bacio sul collo.
“Mmh...” Farfugliò muovendosi leggermente. 
Lo vidi aprire lentamente gli occhi, dandomi l'onore di osservarli appena sveglio, quando, avendo le pupille dilatate, sembrava ancora di più un'angelica creatura. Si stiracchiò strofinandosi gli occhi, assonnato. Oh, è proprio innocente come un bambino. 
“Buongiorno.” Dissi sorridendo, intenerito dalla scena a cui avevo appena assistito.
“Bongioni.” Lo guardai divertito. Mi si bloccò il cuore quando mi prese per i fianchi e mi tirò a sé, facendomi ritrovare sopra di lui. “Ha stato fantastico.” Disse avvicinando il viso e strofinando delicatamente il suo naso al mio, guardandomi negli occhi. “Quella è pappa?” Chiese indicando il vassoio. Pappa. Oh, fatemi un'endovena di sale o quello che è, perché qui io rischio seriamente il diabete, diamine.
“Già.” Gli diedi un bacio veloce per, poi, prenderlo. “Prendi quello che vuoi.” Aggiunsi porgendoglielo. Mi sorrise riconoscente afferrando l'occhio di bue al cioccolato. “Ti piace?” Gli chiesi retorico, guardando la sua espressione sorridente per, poi, vederlo annuire con le guance piene.
“Questa lo ha preso al bar quando ci siamo visti per prima volta.” 
Se lo ricorda! Altro che occhi a forma di cuoricino, cazzo! Io ho gli occhi a forma di Mika.
“Già...” Anche se poteva sembrare una cosa stupida, per me era importante. "Aspetta, sei sporco qui.” Mi avvicinai con un tovagliolo per pulirlo, sotto i suoi occhi incantati. 
“C-crazie.” Sorrisi vedendolo così impacciato. Addentai anche io un dolce, continuando ad osservare lui e la sua innocenza, mentre infilava un dito nel cioccolato e se lo portava alla bocca, in modo, incredibilmente ed involontariamente, provocante. "Cosa è?" Chiese con sguardo furbo indicando il piccolo pacchetto che avevo fatto di sfuggita entrando. 
"U-un pensierino." Glielo passai timidamente, leggermente imbarazzato.
"Oh, non doveva!" Lo scartò velocemente e vidi le sue fossette formarsi e fare da cornice alla sua bocca perfetta.
"È una sciocchez..."
"No! It's perfect." Mi abbracciò forte. "Thank you." Mi donò un altro fantastico e dolce bacio.
"Sai di cioccolato." Sussurrai staccandomi leggermente.
"I know it." Rise, riunendo le nostre labbra, tenendomi stretto a sé.
“Oggi hai il concerto.” Esordii dopo un po'.
“Yes. Deve partire tra...” Girò la testa verso l'orologio, osservandolo, in silenzio per, poi, girarsi verso di me di nuovo, con sguardo dispiaciuto. “Quanto mancare alle undici?” Chiese incupito improvvisamente. Ma non ha appena guardato l'orologio?
“Due ore.” Risposi, poco dopo, leggermente perplesso. 
“Due?!” Esclamò alzandosi di scatto dal letto, raccattando i vestiti sparsi per la stanza. “Holy shit! I should stare già in the airport.” Lo vidi vestirsi velocemente, prendere il cellulare e fermarsi davanti a me. “I'm sorry. Torno presto. I promise.” Disse abbracciandomi forte. “I love you.” Mi diede un bacio a fior di labbra ed uscì correndo fuori di casa. 
“As... aspetta, se vuoi...” Tentai di cominciare ma sentii la porta chiudersi. “posso accompagnarti.” Finii la frase inutilmente.
Bene. 
 
 
Martedì, 6 Luglio
 
 
Okay. Tranquillo. Torna Mika, non saltargli addosso quando lo vedi. Ti è mancato, terribilmente aggiungerei, ma placati.
Il sei doveva esibirsi a Roma, quindi decisi di andarlo a prendere all'aeroporto a sua insaputa. Da aprile non ero riuscito più a vederlo e la distanza divenne ancora più complicata non riuscendolo a sentire neanche per telefono. Non sapevo esattamente come comportarmi in pubblico con lui, essendo usciti solo una volta da casa mia e non stavamo insieme ufficialmente, no? Ma avevamo fatto l’amore e doveva pur significare qualcosa. Oh, Dio, non lo so... 
Gettai via ogni pensiero e dubbio, quando intravidi finalmente una testa riccioluta camminare sopra tutte le altre. Feci qualche passo indietro nel tentativo di non farmi vedere, mentre abbassava la testa prendere il telefono dalla tasca. Sentii la vibrazione del mio. Uh, sta chiamando me. 
“Ehi, Mika! Sei arrivato? Tutto bene?” Domandai elettrizzato.
“Oh, sì, thanks.” Rispose velocemente, alzando la testa. Quando lo vidi meglio però, vidi il suo viso preoccupato ed i suoi occhi leggermente gonfi. Lo guardai ancora un attimo e perplesso mi diressi verso di lui. “So, are you at home?” Domandò girando smarrito. “Hello?” 
“Michael.” Posai la mano sulla sua spalla facendolo sussultare.
“Marco, what are you doing here?” Mi guardò sorpreso abbracciandomi.
“Volevo farti una sorpresa. Ma, come stai?” Gli chiesi.
“I'm fine.” Fece un sorriso forzato, al quale non credetti. “Thank you.”
“Non è vero.” 
“I'm serio. Sto bene.” 
“Per favore.” Lo pregai, dopo essermi staccato da lui.
“Possiamo andare at home, prima?” Chiese abbassando di nuovo la testa.
“Certo.” 
Lo aiutai con le valigie dirigendoci verso la macchina. Passammo l'intero tragitto in silenzio. Io guardando ogni tanto lui, e lui guardando in continuazione il vuoto davanti a sé. 
Ma che diavolo ha? Ero preoccupato. Non l'avevo mai visto così. Non avevo mai visto un Mika così triste e mai mi sarei immaginato di poterlo vedere. Quella luce nei suoi occhi, che tanto lo caratterizzava, non c'era in quel momento. Non c'era neanche quel sorriso che dipingeva di felicità il suo viso e che contagiava chiunque lo incontrasse. Cercai di capire cosa fosse ad affliggerlo, senza riuscirci.
Gli accarezzai dolcemente la gamba riportandolo alla realtà e ricevendo in risposta un sorriso che non era il suo. I suoi dentoni non erano visibili e le sue fossette erano appena accentuate. Vidi i suoi occhi riempirsi pian piano di lacrime e girarsi verso il finestrino. No, cazzo. Non va bene. Non posso vederlo così. Non posso sopportarlo. Schiacciai il piede sull'acceleratore per arrivare il prima possibile a casa. 
 
Appena entrammo nell'appartamento, lasciò cadere di peso le valigie a terra e si gettò fra le mie braccia, cominciando a piangere a dirotto, singhiozzando.
“Mika, ma che succede?” Chiesi preoccupato, stringendolo il più forte possibile. Continuava a piangere e farfugliare frasi sconnesse e senza senso. “Ehi, calmati.” Gli presi delicatamente la mano e lo portai sul divano. “Michael, per favore, dimmi cos'hai.” Lo supplicai cercando il suo sguardo. “È successo qualcosa a qualcuno?” No. “Hai litigato con qualcuno?” No. “È andato male un concerto?” No.
“I'm sorry.” Sussurrò nascondendo il suo viso sul mio petto. Per cosa?
“Ma che dici?” Chiesi perplesso.
“I'm so sorry.” Ripeté gettandomi una sensazione di ansia addosso.
“Michael, sta tranquillo. Dimmi che è successo.” Lo rassicurai stringendolo di più.
“I... I lied to you.” Disse lasciando che i singhiozzi smuovessero il suo corpo, senza controllo. Mi ha mentito? Su cosa?
“In che senso?” Gli domandai confuso.
“You wasn't my first time...” Cosa? Lo guardai negli occhi cercando di controllare ogni mia reazione. Mi sentii preso in giro e deluso dal suo comportamento. Mi aveva mentito, ma perché? Mi prese il viso fra le mani cercando un contatto visivo. “But, please, believe me, Marco, you are the only one for me. I'm in love with you. Please, trust me.” I suoi occhi rossi e distrutti dal pianto furono una dolorosa pugnalata al cuore.
“P-perché l'hai detto, allora?” Gli chiesi cercando di controllarmi.
“Marco, io ha fatto l'amore con te. I loved to, and lo rifarei altre mille volte, because I love you. But, I was already... involved.”
“Che cosa?!” Esclamai alzandomi, per allontanarmi da lui.
“No, Marco, listen to m…”
“E perché l’avresti fatto, sentiamo?” Scoppiai di rabbia.
“I don’t kn…”
“Ora si spiega il tuo comportamento fin troppo affettuoso nei miei confronti. Che c’è, eri in astinenza?”
“What?”
“Non scopavi da troppo, Michael?” Puntualizzai arrabbiato.
“No è vero, perché dice questo? Io ti amo.” Si alzò dal divano cercando il mio sguardo.
“Non continuare a mentire.” Dissi furioso.
“Please, trust me.”
“L’ho già fatto.” Nonostante lo amassi alla follia, mi sentii profondamente tradito in quel momento. Tutte quelle belle parole, tutti quei bei gesti cos’erano per lui? Un gioco? “Ti piace illudere la gente?” Sentii gli occhi riempirsi di lacrime ed un nodo tagliarmi la gola.
“Io non ha illuso te. Ti prego, tu mi ama?” Mi chiese prendendomi le mani. È ovvio che ti amo. Uscii di casa, senza degnarlo di una risposta o di uno sguardo, sbattendomi la porta alle spalle, e corsi giù per le scale. Assolutamente niente era riuscito a ferirmi come mi aveva ferito lui, proprio come nessuno era riuscito a farmi sentire bene come aveva fatto lui. Perché la gente aveva l’abitudine di deludermi nei momenti più felici? Andavo a sbattere contro le persone per strada e neanche riuscivo a sentire gli insulti e le maledizioni che mi tirava dietro. Mi sentivo così vuoto. Mi sedetti sul marciapiede lasciando che le lacrime facessero la loro sgradita comparsa sulle mie guance e che quell'asfissiante peso al petto mi impedisse di respirare, costringendo il mio corpo ad andare in preda a spasmi, causati dai singhiozzi velati, che cercai controllare inutilmente.
 
 
Genova, Giovedì 15 Luglio
 
 
“Voglio aggiungere alla scaletta ‘In Un Giorno Qualunque’.” Esordii dopo le prove.
“Cosa? Marco, ma sei completamente impazzito? Il concerto inizierà tra quattro ore. Non l’avete nemmeno provata.” Mi rimproverò Matteo, uno degli organizzatori. Era uno di quei tipi bacchettoni ed arroganti, che sinceramente ero tanto tentato a mandare a fanculo.
“E allora? Vuoi che non se la ricordino? Ve la ricordate ragazzi?” Chiesi rivolgendomi ai musicisti dietro di me.
“Sì.”
“Visto? Andrà bene. È solo una canzone.”
“Non puoi fare il sound check sul palco, ci sta già un sacco di gente.”
“Poco male.” Dissi strafottente andandomene.
Volevo cantare quella canzone perché, anche se non lo sapeva nessuno, rispecchiava non poco come mi sentivo in quel periodo e, nonostante, sapessi che Mika non sarebbe stato lì ad ascoltarmi, la volevo rivolgere a lui. Aveva provato a chiamarmi un paio di volte, ma non gli risposi. Mi mancava, ma non potevo cedere. Lo amavo, ma allo stesso tempo covavo del rancore nei suoi confronti. Tutti quei momenti, tristi e felici, passati insieme per lui erano stati solo un passatempo per arrivare alla meta. Almeno questa era stata la dolorosa conclusione alla quale ero arrivato.
“Marco, andiamo a mangiare. Tu vieni?” Sentii domandarmi un voce fuori dalla porta del camerino.
“No, grazie. Ho già mangiato.” Mentii.
“Okay, a dopo.”
“No hope, no love, no glory, no happy ending…” Canticchiai fumando, guardandomi allo specchio, che dava un’immagine di me così simile a quello che ero prima di aver incontrato Mika.
 
Vedi si rimane in piedi anche se tu non ci credi 
Dimmi cosa vuoi sapere, cosa vuoi di questo amore

 
Eppure, nonostante tutto ero ancora lì, in piedi, a realizzare il mio sogno bambino, che era stato molto più importante di quello adulto, per così tanto tempo. Cosa si poteva dire del “nostro” amore? Niente, perché, alla fine, neanche era nostro. Era solo mio. 
 
Anche se non respiro e non mi vedo più 
In un giorno qualunque dove non ci sei tu 
Anche se aspetto il giorno, quello che dico io,

dove ogni tuo passo si confonde col mio
 
Era vero che solo ripensando al suo sorriso o ai suoi baci dimenticavo come si facesse a respirare, dimenticandomi anche di tutto quello che ero, perché alla fine, ogni volta, era come una piccola morte, che neutralizzava ogni mia capacità di veduta e di pensiero. Ogni giorno senza di lui era così. Qualunque giorno lo era. Aspettando e fantasticando inutilmente di risentire il suo respiro confondersi col mio ed i nostri cuori unirsi, formandone uno più grande, così simile a quelli che disegnano i bambini.
 
Forse serve un po' di tempo 
Credo, spero, penso e sento 
Voglio essere importante per te 
e non per la gente 

 
Se il dolore che si prova quando si è feriti nel profondo, guarisse davvero col tempo come le ferite fisiche, allora solo in quel momento sarei riuscito a perdonarlo, ma certe cose non guariscono solo col tempo. E nonostante mi fossi sentito per la prima volta importante per qualcuno, mi ero reso conto che era stata solo una fantastica, ma fastidiosa illusione. Proprio come quelle beffe del deserto, che ti illudono di poterti dissetare e quando credi di essere arrivato, spariscono. Ero lì, davanti a migliaia di persone, e, come nella finale di qualche mese prima, non mi importava essere abbastanza per loro. Volevo esserlo per lui.
 
Niente da dire, niente da fare 
forse c'è un tempo per riprovare
 

Perché tu sarai sempre il mio solo destino 
Posso soltanto amarti, senza mai nessun freno

 
Potevo amarlo da lontano, ma il freno c’era eccome, ed era il più resistente di tutti: la delusione.
 
Anche se non respiro e non mi vedo più
In un giorno qualunque dove non ci sei tu
Non ci sei, non ci sei, non ci sei tu
Non ci sei, non ci sei tu…
 
 
E in un altro giorno qualunque, caro Michael, cerco te, anche se so che non ti troverò.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Come state? Spero bene! :3
Allora, so che non è un granché questo capitolo per tante cose e chiedo scusa! 
Per quanto riguarda "In Un Giorno Qualunque", tranquille so di aver tagliato una piccola parte! Ma solo perché l'avrei ripetuta! :3
Anche questo è un piccolino regalino per te Em <3
Grazie, come sempre, a chi recensisce, chi ha messo tra le preferite e le seguite la storia e chi semplicemente la legge! <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 12
*** 2010 pt.6 ***


Roma, Martedì 17 Agosto 2010
 
 
“Il tour del cantante anglo-libanese, Mika, sta per volgere al termine, ma il suo team ha dichiarato la scelta di aggiungere altre due tappe italiane, sold out in poco tempo, dopo il successo di Milano, Roma e Udine, oggi ed il 19 Agosto, rispettivamente a Cagliari e Rimini.”
La voce del giornalista alla televisione invase la stanza, distogliendomi per un attimo dalla lettura di un libro, che facevo finta di leggere. In realtà, guardavo le pagine, leggevo le parole ma non riuscivo a ricavarne neanche una frase di senso compiuto. Saperlo ancora in Italia mi faceva un certo effetto. Avrei tanto voluto prendere il primo aereo e dirgli che lo amavo alla follia e che non potevo più stare un secondo di più senza di lui. Ma queste cose capitano solo nei film, no? Non avevo il coraggio, perché ero sicuro che una volta arrivato lì, non avrei concluso niente, tornando a casa peggio di prima. Tuttavia, neanche lui si era degnato di cercarmi più. Zero. Zero assoluto. Avevo il telefono intasato solo da chiamate e messaggi della mia manager o di quel rompiscatole di Matteo. L'unico nome, che volevo veder illuminare il display del mio cellulare, non c'era. Si è dimenticato di me. Ma che mi aspettavo? Sono solo uno dei tanti


Dopo tanto tempo, finalmente, ero riuscito a rivedere Cristie.
“Mi sei mancato tanto, Marcolino bello.” Disse stringendomi forte fra le sue braccia. Come vorrei risentire anche quelle di Mika.
“Anche tu, Cris.” Mi sforzai di sorriderle. 
“Ma non credere, ti ho seguito per tutto questo tempo.” Affermò premurosa.
“Davvero?”
“Certo! E sono orgogliosa. Però, ti devo dire una cosa.” Vidi il suo viso diventare, improvvisamente, serio. 
“Dimmi.” Dissi, a mia volta, confuso sedendomi, seguito da lei. Portò la sua mano sul mio viso, ad accarezzare delicatamente la mia guancia. “Ma che fai?” Domandai tra il divertito ed il confuso. 
“Che ti sei fatto, Marco?” 
“Di che parli?” Rimasi perplesso da quella domanda.
“Perché sei così... magro?” Chiese preoccupata.
La guardai per un attimo negli occhi, ma mi staccai da essi poco dopo, accorgendomi di non poter reggere il suo sguardo, quasi inquisitorio.
“I-io...” Mi bloccai, non sapendo cosa dire.
“Ti ho visto qualche mese fa e sembravi stare bene. Avevi preso qualche chilo, no? Che è successo?”
“Cris, semplicemente n-non ho fame,” Mi alzai innervosito dal divano. “ed i ritmi negli ultimi tempi sono stati un po' troppo frenetici.”
“Andiamo, Marco, ma per chi mi hai presa? Ti conosco dall'elementari. E, anche se non ci siamo visti spesso ultimamente, riconosco ancora quando menti.” Si avvicinò a me, cercando un contatto visivo. Non piangere. “È successo qualcosa?” Ritentò.
Avevo bisogno di sfogarmi, di fare qualcosa, di liberarmi da tutti quei pensieri, quel dolore, quella delusione che continuava a tormentarmi e distruggermi dentro da mesi. 
Annuii debolmente e cominciai a raccontarle la mia vita. Sì, perché io avevo iniziato a vivere solo dall'arrivo di Michael, ma, poi, ero morto quando se n'era andato.
 
“Marco...” Mi accarezzò dolcemente i capelli, tenendomi stretto a sé. “So che fa male, ma non avresti dovuto lasciarti andare in questo modo.” 
“M-mi manca, C-Cris, mi manca terribilmente.” Mi lamentai con voce strozzata dal pianto.
“Allora va da lui.” Esclamò. 
“Non posso. Lui non mi ama.” Quell'ultima frase così dolorosa, ma anche così vera, mi fece scoppiare ancora di più in lacrime, facendomi venire il mal di stomaco e quel maledetto peso al petto, come se qualcuno avesse stretto forte tra le mani il mio cuore, impedendomi di respirare.
“Secondo me, dovresti ascoltare quello che ha da dirti.”
“Se avesse davvero avuto la minima intenzione di non far finire così il nostro rapporto, non avrebbe mollato al quarto tentativo.” Farfugliai affondando il viso sulle sue gambe. Sospirò stringendomi ancora di più a sé. 
“Ti va se resto con te, per un po’ di tempo?” Mi chiese, dopo un breve momento di silenzio. Le sorrisi riconoscente, guardandola negli occhi. “Bene. Allora, vado a preparare la cena.” 
Mi sentii, ancora una volta, un bambino che aveva bisogno di cure e in parte mi dispiaceva che si disturbasse tanto. Era anche giunto il momento di cominciare a non dipendere più dalla gente e, soprattutto, a non dipendere da Michael. 
 
 
Mercoledì, 18 Agosto
 
 
È il suo compleanno. Chissà come e con chi lo passerà. Gli avevo comprato il regalo mesi prima, nonostante sapessi che, molto probabilmente, non l'avrei più rivisto. Eppure lo osservavo, mentre stringevo fra le mani una letterina d'auguri e si trovava lì, impacchettato a dovere ai piedi del letto, sul quale pochi mesi prima avevamo fatto l’amore. Era solo un giradischi con l'intera discografia dei Queen in vinile, che avevo trovato girando per i mercatini d'antiquariato a Genova. Magari gliela spedisco per posta in forma anonima. Si può fare?
“Marco, hanno suonato alla porta! Potresti aprire tu, per favore?” Fui riportato alla realtà dalla voce di Cris, proveniente dalla cucina. Ma quando hanno suonato?
“Oh, s-sì, c-certo.” Posai sul letto il pezzo di carta, leggermente stropicciato dalla pressione delle mie mani sudate, e mi diressi verso la porta.
Quando lo vidi davanti a me, mentre mi osservava con un'espressione che oscillava fra il sorpreso ed il dispiaciuto, sentii il cuore sbattere, rumorosamente e dolorosamente, contro la mia gabbia toracica e le gambe farsi sempre più leggere, tremando. Oh, merda.
“C-ciao.” Balbettò accennando un leggero sorriso, imbarazzato. Sentire la sua voce mi riportò, nuovamente, alla realtà. Tentai automaticamente di chiudere la porta, ma invece di sentire un tonfo, sentii qualcosa di morbido opporsi ad essa. “Ouch!” Vidi Mika piegarsi in due e tenersi stretto la mano sinistra, con espressione sofferente.
“Oh, D-Dio, s-scusami.” Gli chiesi mortificato chinandomi su di lui, non sapendo cos’altro fare.
“It’s okay.” Sussurrò.
“Marco, ma che è suc…” Si bloccò di colpo, vedendo Michael.
“Ehm, Cris, Mika. Mika, Cris.” Dissi imbarazzato.
“Nice to m-meet you.” Tentò di dire, porgendole la mano sana.
“E-entra.” Disse Cris imbambolata, ricevendo un’occhiataccia da me.
“Thanks.” Ringraziò a disagio, piegandosi per entrare.
“Vado a prendere del ghiaccio.”
 
Quando si sedette sul divano, io mi misi sulla poltrona opposta ad esso. Sentivo i suoi occhi su di me, in quel silenzio così imbarazzante, mentre Cris gli medicava la mano.
“Va meglio?” Gli chiese, dopo averlo fasciato, richiudendo il kit del pronto soccorso.
“Yes, crazie.” Disse sorridendo, riconoscente.
“Si dice ‘grazie’.” Corressi scocciato quell’errore, che avrei fino a poco tempo prima trovato adorabilmente adorabile, ricevendo uno sguardo da cane bastonato da lui ed una fulminante da lei.
“Beh, meglio che io vada ora.” Vidi Cristie dirigersi verso la porta. “A presto, Mika. È stato un piacere.” Gli sorrise dolcemente.
“Anche para mi.” Disse rimanendo sul suo posto, visibilmente in imbarazzo.
“Ma che fai?” Sussurrai rincorrendola. “Non puoi andartene.” La afferrai per un braccio.
“Chiarisci ora o te ne pentirai.” Disse velocemente prendendo la sua borsa.
“Ti prego, Cris. Non farmi questo.” La pregai.
“È venuto qui il giorno del suo compleanno, invece di stare con la sua famiglia. Ascolta quello che ha da dirti.” Abbassò la voce, cercando di non farsi sentire.
“Ma…”
“Mi ringrazierai.” Mi diede un bacio veloce sulla guancia. “Ah, auguri Mika!” Lo salutò un ultima volta con la mano, ricevendo un altro sorriso riconoscente da lui, e corse giù per le scale.
Quando mi girai di nuovo, vidi quel sorriso trasformarsi in un sorriso imbarazzato. È sempre e comunque meraviglioso.
“Allora, che sei venuto a fare?” Tornai in salone cercando di mantenere un atteggiamento distaccato.
“Voleva parlarte.” Rimasi in silenzio, incitandolo a continuare. “Sono venuto a spiegarte some things.”
“Per esempio?”
“Oh, ehm... tu crede che I used you per andare a letto, Marco, ma no è vero.” Chiusi gli occhi. Quelle parole facevano male, perché era quello di cui mi ero convinto per tutto quel tempo. “It’s true: io ha mentito te su mia private life, but, and I listen to me, please, io non ha mai mentito te quando ha detto di amarte. I never did.” Sentii il suo respiro sul mio viso e quando gli riaprii me lo ritrovai a pochi centimetri dal mio naso, ma prontamente indietreggiai e vidi i suoi occhi coprirsi di un velo di delusione e tristezza. “Please.” Avanzò verso di me.
“No! Sta fermo lì.” Anche se mi costava dirgli di stare lontano da me, non ce la facevo. Volevo sapere tutto ciò che voleva dirmi, prima di fare qualsiasi cosa.
“Please, Marco, trust me.” Sentii la sua voce tremare leggermente.
“N-non ce la f-fac…”
“I’m fucking in love with you!” Urlò disperato, improvvisamente. Vidi sulle sue guance delle lacrime uscire senza controllo dai suoi meravigliosi occhi. “Perché tu non vuole credere. Io ti amo e tu mente se dice che tu no ama me.” Vidi la sua immagine diventare sfocata a causa delle lacrime, pronte ad uscire anche dai miei occhi, a causa di quelle parole così vere. Ti amo. “Te piace star male, eh? Te piace essere così debole. Te piace soffrire!” Disse arrabbiato.
“È colpa tua se sto così, cazzo!” Urlai, a mia volta, pieno di rancore. “Mi porti a letto, te ne vai il giorno dopo, non ti fai vedere per mesi, ricompari e dici che eri già impegnato, non ti fai vedere né sentire, ricompari oggi e pretendi che ti accolga a braccia aperte?” Ero arrabbiato, fottutamente arrabbiato con lui. “Non tutti ti leccano il culo, Penniman.” L’avevo ferito nel profondo e lo capii vedendo il suo viso, rigato e distrutto dalle lacrime, contrarsi in un’espressione sofferente e delusa, allo stesso tempo.
“Tu no ha capito niente.” Sussurrò e lo vidi dirigersi verso la porta in silenzio. Lui ti ha salvato, idiota. Forse ti ama e quello di cui di sei convinto, non è altro che una cazzata. 
"Aspetta!" Resomi conto di quello che avevo detto, corsi verso di lui chiudendo violentemente la porta, avventandomi sulle sue labbra e spingendolo contro il muro. “Anche quando ti chiederò di andartene, non farlo. Ti prego.” Piansi sulle sue labbra, accompagnato da lui, che non riusciva a smettere di singhiozzare.
“Scusame. Era venuto l’ultima volta anche a dirte che volevo stare con te e che was over with Andrew, because ti amo.” Sorrisi a poca distanza dalle sue labbra per, poi, riunirle in un bacio, che non poteva essere più dolce, reso tale dalle lacrime salate, che versavamo l’uno per l’altro. “Mi sei mancato.” Sussurrò poggiando la sua fronte alla mia, leggermente affannato.
“Anche tu. Non immagini quanto.” Gli asciugai le ultime lacrime, delicatamente con i palmi delle mani. "Come va la mano?" Chiesi prendendogliela delicatamente ed accarezzando la fasciatura.
"Meglio, crazie." Sorrisi a quel suo ennesimo errore. “So, do you love me again?” Chiese guardandomi negli occhi.
“Io non ho mai smesso di farlo, Michael.” Affermai divertito. Mi mostrò finalmente le sue meravigliose fossette, che non vedevo da così tanto tempo, ed i suoi due perfetti incisivi. “Buon compleanno.” Chinai, leggermente di lato, la testa per baciarlo ancora ed ancora, nel tentativo di recuperare il tempo perduto.


#MyWor(l)d
Saaaaalve! c:
Allooora, schifezza scritta molto velocemente in un impeto di felicità :3

Spero vi piaccia comunque! c:
Grazie mille, come sempre!
Vi adoro <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 13
*** 2010 pt.7 ***


- Attenzione: contenuti sessualmente espliciti -


Londra, Lunedì 30 Agosto 2010
 
 
“Marco, come on! Muovete pigron!” Mi urlò Mika mentre correva verso la piscina del centro, nel quale aveva deciso di passare la sua prima giornata di vacanza. 
Nonostante cercassi di stargli dietro, le sue gambe lunghe, che attraversavano la stanza a falcate troppo grandi, me lo impedivano. 
“Infame, aspettami! E stai attento a non scivolare!” Lo rimproverai per, poi, vederlo gettare a terra l'asciugamano e tuffarsi in acqua, creando una piccola onda intorno a lui. “Oh, santo cazzo, sei impazzito?” Dissi vedendolo riemergere, sorridente.
Sentii tutti i miei muscoli gelarsi guardando il suo corpo imperlato da piccole gocce, che partivano dai piccoli ciuffi di capelli sulla fronte fino a finire poco sotto il suo petto perfetto, e non riuscii poi a non sentirmi accaldato.
“Why?” Mi chiese divertito. Smettila di essere così maledettamente provocante.
“Ehm, l'acqua non è fredda?” Chiesi in imbarazzo.
“What? No! It's tiepida.” Disse avvicinandosi al bordo. “Come on.” Mi tese la mano per invitarmi a seguirlo. “Tolga la maglia.” 
“Perché?”
“Como perché? Vuoi bagnarte così?”
“I-io non lo so...” 
“Oh, Marco, andiamo. You're beautiful.” Si alzò tenendosi sulle braccia, tendendosi verso di me. Aveva capito il mio disagio, ancora una volta. “Avvicinate.” Mi chinai verso di lui ritrovandomi a pochi centimetri dal suo viso, sentendone il fiato leggermente accelerato. “Perfect!” Afferrò il mio braccio e mi tirò in acqua, facendomi mancare il respiro.Mossa stupida.
“Ma io dico, porca troia, sei completamente impazzito?” Imprecai contro di lui, una volta riemerso. 
“Sorry.” Disse con sguardo furbo, per niente dispiaciuto, avvicinandosi nuovamente a me. Mi tirò a sé attaccando le sue labbra al mio collo. “Just relax.” Sussurrò cercando di levarmi la maglietta, che mi preoccupai di tirare giù. Mi guardò deluso ed abbassai lo sguardo, dispiaciuto. “Amore.” Mi alzò il viso delicatamente, facendo incontrare i nostri occhi. “You don't have to be embarrassed. We ne usciremo together.” Disse abbracciandomi forte. 
“S-scusami.” Farfugliai affondando il mio viso nell'incavo del suo collo.
“Don't worry.” Mi sorrise comprensivo. “Come on.” Portò le sue mani ai bordi della mia maglia, guardandomi come per chiedere permesso, così lo assecondai. “You're perfect.” Soffiò sul mio collo, facendomi salire i brividi lungo la schiena e trascinandomi verso il bordo piscina. Sentii il suo corpo premere contro il mio, andando a contatto con le piastrelle fresche, mentre continuava a donare piacevoli torture al mio collo. “Tu non sa quanto io ti desidera.” Sussurrò con tono tutt'altro che dolce. Oh, merda, Marcolino. Perché non ti sei portato il tuo defibrillatore portatile? Incrociò le sue gambe alle le mie, incatenandosi a me, staccandosi dal mio collo e puntando i suoi occhi, che avevano assunto il colore dell'oceano, nei miei. Portò la sua mano bagnata sulla mia guancia, sorridendomi dolcemente, e posò delicatamente le sue labbra sulle mie, impegnandole in un bacio sempre più frenetico, che mi tolse il fiato. Senza mai staccarsi, le sue mani cominciarono un percorso tutto loro, iniziando ad accarezzare le mie spalle, passando per il petto e per gli addominali, ormai troppo poco accentuati, fino ad arrivare ai bordi dei mio costume, dal quale decise di tirarmi a sé ulteriormente, facendo andare in contatto i nostri bacini e non riuscii a non farmi sfuggire un piccolo sospiro di piacere.Oh, se scopro che l'ha fatto di proposito io... ma tanto è sicuro che l'abbia fatto di proposito. “You know, now I'm free da lavoro e you too, perché no restiamo qui per un po’ de tempa?” Mi chiese per, poi, cominciare e darmi dei piccoli morsi sulla spalla. Ma che cazz...
“M-Mika, potrebbe a-arrivare qualcuno...” Balbettai, anche se controvoglia. 
“Tu te vergogna?” Mi domandò quasi deluso, dopo aver alzato la testa di scatto.
“Cosa? No! Ma che hai capito. Dicevo solo che questo è un luogo pubblico e non vorrei una denuncia per atti osceni.” Dissi velocemente.
“Oh, Don't worry! Questo piano lo ha fatto chiude,” Si riavvicinò pericolosamente, nuovamente, al mio collo. “just per noi.” Sussurrò al mio orecchio per, poi, andare a mordicchiarne il lobo delicatamente. 
“D-davvero?” Chiesi paralizzato.
“Mh, mh.” Annuì senza staccarsi da me. “So, just relax.” Mi prese la mano cominciando a giocherellarci.
“Ma che fai?” Gli domandai divertito. Quando alzò il viso, mi resi conto che aveva cambiato completamente espressione. Sembrava addirittura triste. “Ehi, che ti prende?” Gli accarezzai delicatamente la fronte. Ti prego, basta guai.
“Nothing. I'm happy di star qui with you, but pensare che io poteva perdere te, io...” Non volli ascoltare una parola di più e lo azzittì posando velocemente le mie labbra sulle sue.
“È passato. Non pensiamoci più.” Lo rassicurai.
“Ti va di rimanerti qui in London, allora, con me?” 
“Certo.” Mi mostrò felice i suoi meravigliosi dentoni, dandosi un'aria ancora più bambina.
“Ti amo.” Ogni volta che le sue labbra pronunciavano quelle paroline sentivo la testa girare ed il mio cuore fermarsi per, poi, cominciare a battere all'impazzata. 
“Anch'io.” Sorrise mordendosi timidamente il labbro inferiore. Oh, ma lo fa proprio di proposito? Merda. “Dimmi un po’,” Avanzai verso di lui. “è l'unica cosa che sai dire bene?” Lo presi in giro.
“Ehi!” Esclamò, incrociando le braccia al petto, offeso ed allontanandosi. 
“E dai! Scherzavo.” Tentai di riavvicinarmi a lui inutilmente.
“That's not nice!” Continuò ad allontanarsi, fino a quando mi buttai su di lui, aggrappandomi al suo collo. Sentii la sua risata cristallina invadere la sala e beare le mie orecchie di quella meravigliosa musica. Tornò serio guardandomi negli occhi, avvicinando lentamente le sue labbra alle mie. Vi soffiò sopra per poi unirle ancora. Mi trascinò con sé fuori dalla piscina fino ad arrivare nel corridoio, senza mai staccarsi da me. Che diamine sta facendo? Oh, lo sai, Marco, lo sai che sta facendo…
“Sei sicuro che non ci sia nessuno?” Chiesi affannato.
“Yeah.” Spalancò la porta della prima stanza trovata e mi ci spinse dentro, richiudendosela alle spalle.  “Se vuole sopra ci sono delle camere, però.” Disse con tono malizioso.
Oh, Dio, non possiamo fare quello che vogliamo fare, qui. Non posso farcela... Tuttavia, mandai a farsi benedire la ragione e mi catapultai sulle sue labbra facendolo sedere di peso sulla panca, posizionandomi sulle sue gambe. Dovevo fargliela pagare per quello che aveva fatto mesi prima. Mi aveva fatto impazzire ed era giusto ripagarlo esattamente con la stessa moneta. Quindi, cominciai a muovermi lentamente su di lui, sentendolo sospirare rumorosamente sotto di me.
“M-Marco...” Ansimò chiudendo gli occhi.
Continuai ad osservarlo incantato, mentre boccheggiava in difficoltà, tentando di parlare senza mai riuscirci realmente. Mi chinai su di lui lasciando una piccola scia di baci sotto la mandibola. Cominciai a sentire il costume farsi decisamente troppo stretto, che cominciò, addirittura, a farmi male a contatto col punto più sensibile del mio corpo. Sospirai cercando di controllarmi, mentre Mika ormai sembrava essere entrato completamente in trance, con la testa leggermente buttata all'indietro, gli occhi chiusi e la bocca semiaperta mentre cercava di respirare. Solo in quel momento, vidi il suo viso, però, contrarsi in un'espressione quasi sofferente, che mi fece preoccupare. 
“Va tutto bene?” Gli chiesi riportandolo alla realtà, posando la mia mano sulla sua guancia.
“S-sure, but...” Mi afferrò per i polsi improvvisamente, e mi fece sdraiare sulla panca, mettendosi sopra di me. “I want you.” Sussurrò al mio orecchio. 
Da quella posizione, riuscii a vedere chiaramente la sua eccitazione attraverso il costume. Sorrisi soddisfatto. Eh, no.Ribaltai le posizioni.
“Tocca a me questa volta.” Dissi, provocatorio, a pochi centimetri dal suo viso.
“But...”
“Una volta per uno non fa male a nessuno.” Lo interruppi per, poi, cominciare a torturare le sue labbra.
Iniziai a scendere lentamente, concentrandomi sul suo petto, anche se magro, ben definito, posando la mano sul suo evidente rigonfiamento, seguito da un suo respiro strozzato. Abbassai, senza timore, lentamente il pezzo di stoffa che divideva il suo piacere dal piacere assoluto. 
“Come on.” Farfugliò guardandomi con aria supplichevole.
“Hai voluto la bicicletta, ora pedala.” Dissi divertito.
“Stronzo.” Farfugliò, buttando la testa all'indietro. “Ahi!” Scoppiai a ridere quando lo vidi massaggiarsela, dopo la botta che aveva preso. “Cazzo ride?” Disse arrabbiato. 
“È che... oh, Dio.” Non riuscivo a smettere di ridere, sotto i suoi occhi allibiti. “Ma come si fa” Mi continuò ad osservare con aria offesa. “in un momento del genere...” Diventai rosso sentendo un leggero mal di stomaco. “Dio, quanto ti amo.” Mi avvicinai a lui, divertito, a dargli un altro bacio.
“Ecco perché io preferiva un letto.” Non riuscivo per niente a smettere di ridere, mentre lui continuava a massaggiarsi la nuca e manteneva un'espressione che vagava tra il sofferente e lo scocciato. 
“Scusami. Va meglio?” Chiesi dopo essermi calmato.
“Yes.” Rispose imbronciato. “But, ora io ha freddo.” Disse tirando su il costume.
“Eh?” Tornai serio. “Stai scherzando, spero.”
“No.”
“Non possiamo fermarci ora.” Dissi, quasi supplichevole, ma quando lo sentii ridere, mi resi conto di quello che avevo appena detto e sentii le guance avvampare. 
“Ah, no?” Si avvicinò improvvisamente sfiorando con la mano la mia eccitazione.
“C-cioè, i-io, ecco...”
“Te l'ha never detto che sei adorable quando sei embarrassed?” Lo vidi portare la sua mano a contatto con la mia guancia ed avvicinare la bocca al mio orecchio. “At home tu potrebbe show me your best.” Sussurrò. Ancora questo tono sensuale, ma perché?! Lo guardai sorpreso, spalancando gli occhi, come se si fossero accesi, solo in quel momento, di desiderio.

Arrivammo fuori di casa senza mai staccarci uno dall'altro, dopo essere scappati dal centro benessere, raccattando le nostre cose e mettendoci di fretta una maglietta. La porta sbattuta al muro da Mika, fece correre Melachi verso di noi, assalendolo.
“Mel! What in the wor...” Osservai intenerito, ed anche leggermente impaziente sinceramente, la scena: lei che continuava a saltare sulle sue gambe scodinzolando e lui che rideva dandole una bella grattatina alle orecchie. “Come on, see you later.” Disse mandandola fuori. “Ha qualcuno di cui occuparme io.” Sussurrò con sguardo malizioso, avvicinandosi a me.
Si avventò su di me baciandomi e buttandomi sul divano, anche lui, con occhi colmi di desiderio. Oh, non posso resistergli. Cominciò a strusciarsi spudoratamente su di me, ricreando in poco tempo l'eccitazione precedente. Cominciai, a mia volta, ad ansimare poggiando il viso sulla sua spalla, quando infilò la mano nel mio costume cominciando a stuzzicare con le dita il mio membro. “Michael...” Sospirai cercando di controllarmi. 
“Ssh.” Cominciò a baciarmi scendendo sempre di più, dopo avermi privato degli indumenti.
“M-Michael…” Lo richiamai ansimante, quando sentii le sue labbra entrare in contatto col mio punto più sensibile, facendomi buttare la testa all’indietro e gemere senza controllo.
Nonostante non mi dispiacesse affatto il trattamento che mi stava riservando, preso da una strana follia lo afferrai per la vita e capovolsi, a mia volta, le posizioni spogliandolo velocemente ed avventandomi sulla sua intimità, con movimenti da subito veloci.
“B-bas... basta.” Boccheggiò contorcendosi sotto il mio tocco, poco dopo. “P-please, Marco, stop.” Si lamentò con voce sofferente, ma non lo ascoltai. Volevo farlo cedere, impazzire. Vidi il suo corpo scosso dagli spasmi e guardare il soffitto sbarrando gli occhi venendo nella mia mano, accompagnato da un suo urlo dal suono gutturale. Mi fiondai, soddisfatto, sulle sue labbra ansimanti. Presi la mia erezione per spingerla delicatamente contro la sua apertura. “Oh, God.” Sentii i suoi muscoli più sensibili contrarsi ed avvolgermi, in un abbraccio, grazie al quale riuscii a sentirmi ancora più completo. Artigliò la mia schiena ed aspettai che si abituasse, ma quando vidi una lacrima scendere lungo la sua guancia, mi affrettai ad asciugarla.
“Scusami.” Dissi dispiaciuto dandogli un bacio, dove aveva tracciato il suo percorso.
“It's o-okay.” Riunì le nostre labbra ed annuì incollato ad esse, per darmi il via libera.
Cominciai a muovermi lentamente, cercando di fargli il meno male possibile, tenendolo stretto a me. Lo vidi serrare gli occhi, diventati lucidi in poco tempo, e mordersi le labbra cercando di non gridare, facendo uscire dalla sua bocca solo piccoli sospiri di piacere e frasi sconnesse. 
“Sei meraviglioso.” Sussurrai per, poi, mordicchiargli dolcemente il lobo, cercando di distrarlo. “Voglio perdermi dentro di te, stanotte.” Dissi affannato aumentando leggermente il ritmo. Prese il mio viso tra le mani e lo avvicinò al suo, per riunire, per l'ennesima volta, le nostre labbra. “Oh, D-Dio.” Balbettai affannato su esse stringendo le palpebre e contrassi i muscoli cercando di dare qualche ultimo affondo, prima di crollare su di lui, esausto. Gli volli lasciare un piccolo bacio, al quale non credevo neanche rispondesse.
Scivolai via dal suo corpo sdraiandomi sul divano, esausto. Volsi la testa verso di lui per accarezzargli delicatamente la fronte, sulla quale si erano formate delle piccole gocce di sudore, mentre teneva gli occhi chiusi cercando di riprendere fiato. Osservai il suo corpo nudo, così perfetto, da farmi mancare il respiro ogni volta che i miei occhi incontravano anche un solo millimetro di esso. “Stai bene?”
“Me sentire in paradise.” Sussurrò sorridendomi dolcemente. “Ti amo.” Si accoccolò fra le mie braccia, per poi addormentarsi, poco dopo.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Allora, sì, sono abbastanza in imbarazzo ma, insomma, l'attrazione fra quei due è evidente, cacchio! D: 
Cooomunque, se a qualcuno di voi, ovviamente, ha recato disturbo o dato fastidio il contenuto del capitolo basterà farmelo notare o in una recensione o, semplicemente, in un messaggio privato e provvederò a fare delle modifiche qua e là! In caso, scusate in anticipo! 
Bene, credo di avervi detto tutte le informazioni di "servizio". Che paroloni...
Passo ai ringraziamenti allora! :3 Grazie mille come sempre a voi che recensite:
- Golden Girls Penniman
- Keyra_
- Em_TheRipper
- _Lollipop_96
- Comeunangeloallinferno94 
- Crazy_Music
- Miketta99

Okay, spero di non aver dimenticato nessuno e di non aver sbagliato a scrivere! In caso scusate!
Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! <3
Domanda, domandina: la sto tirando troppo lunga col 2010? D:
Oh, beh, non mi resta che mandarvi un bacione!
Michaels

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Capitolo 14
*** 2010 pt.8 ***


Londra, Martedì 31 Agosto 2010
 
 
Mi risvegliai sul divano con Mika fra le mie braccia, addormentato sul mio petto. Rimasi incantato nel vedere tanta bellezza e tanta dolcezza concentrata in una sola persona. Gli spostai delicatamente alcuni dei suoi ciuffi ribelli dal viso, facendolo muovere leggermente e accoccolare ancora di più a me. Fui tentato di alzarmi ed andare a prendere una coperta, visto il freschetto mattutino che cominciava ormai a farsi sentire, ma non volevo svegliarlo. Così restai ad osservare ogni suo minimo movimento e ogni sua piccola smorfia. Cominciai a lasciargli dei baci delicati sulla testa, accarezzando i suoi morbidi capelli. Non mi sarei mai stancato di dire o pensare che sembrava proprio un angelo, soprattutto in quel momento, denudato da ogni veste. Sinceramente, non sentii tanto desiderio vedendolo così, almeno non tanto quanto la tenerezza nel vedere il suo aspetto così bambino, rannicchiato su sé stesso ed accoccolato, come se fossi stato il suo peluche preferito.
“Mmh...” Farfugliò attaccandosi ancora di più a me, poggiando il suo viso sulla mia spalla.
Poco dopo, lo sentii strusciare dolcemente la punta del suo naso sul mio collo, così chinai leggermente la testa per controllare se si fosse svegliato o meno, e lo vidi sorridente mentre mostrava i suoi adorabili dentoni.
“Sei sveglio.” Dissi tornando al guardare il soffitto, accarezzandogli il braccio.
“A che pensa?” Mi chiese lasciandomi un bacetto sul collo, facendomi tornare ad osservarlo.
“A quanto ti amo.” Risposi rimanendo incantato dai suoi occhi. 
“Love you too.” Disse, a sua volta, sorridendo. “I really do.” Sorrisi. “Hace fredo.” Affermò, poco dopo.
“Già.” 
“E el divano non es molto comodo.” Si lamentò ancora. “Tu lo eres de più.” Si portò velocemente su di me.
“Ho notato.” Dissi divertito.
“Oh, sorry.” Vidi il suo viso contrarsi in un'espressione dispiaciuta.
“Ehi, io scherzavo.” Lo rassicurai accarezzandogli le gambe, che teneva intorno alla mia vita. “Puoi usarmi come letto quando vuoi.” Sussurrai avvicinandomi a lui per, poi, incontrare le sue labbra a metà strada. “Che vuoi fare oggi?” 
“I don't know.” Si allungò leggermente a prendere una coperta, di cui non mi ero accorto, che teneva sulla poltrona accanto, e se la portò sulle spalle per poi sdraiarsi nuovamente su di me. Lo sentii starnutire. Oh, ma è semplicemente adorabile. “Sorry. Crede di esserme raffreddato.” 
“Dai, andiamo a vestirci, così ti riscaldi.” Dissi con l'intento di alzarmi, ma fui bloccato dalle sue braccia, che mi avvolsero, e dalla sua testa, che si poggiò sul mio petto. 
“No, please. I love stare così.” Farfugliò chiudendo gli occhi. “Ho già una blanket.” 
“Ma non voglio che ti am...” Mi interruppe.
“Ssh.” Mi lasciò un altro piccolo bacio a fior di labbra e tornò ad accoccolarsi su di me, richiudendo gli occhi. “Voglio sentire tuo cuore.” Oh, ma perché è così stramaledettamente dolce? Il diabete non tarderà ad arrivare. Già lo so.
Lo sentii, poco dopo, respirare un po’ più rumorosamente e la sua schiena alzarsi e riabbassarsi sempre più frequentemente. Si è addormentato. Lo guardai intenerito e lo seguii, non molto tempo dopo.
 
Fui svegliato dalle urla di una voce sconosciuta e dai tentativi di quella di Mika di farla stare zitta. Almeno quello era ciò che ero riuscito a capire.
“What the fuck was you doing with that guy?!” Chiese qualcuno.
“I-I... He...” Sentendo la voce titubante di Michael ripresi la maglietta ed il costume e mi rivestii velocemente per andare in cucina, da dove sentivo provenire le voci.
“Shut the fuck up!” Urlò un uomo avvicinandosi a Mika, che paralizzato si lasciò prendere per la maglia. 
“Ehi, stop it!” Gli ordinai dirigendomi verso di loro e cercando di fargli mollare la presa.
“M-Marco.” Balbettò guardandomi.
Vidi i suoi occhi farsi sempre più lucidi e la cosa mi gettò nel panico più totale.
“Leave him alone.” Ringhiai cercando di rimembrare un minimo d'inglese.
“Oh, really? Go away before I could destroy you.” Disse guardandomi strafottente.  
“Andrew, stop. Please.” Sentii la voce di Michael tremare leggermente e mi volsi a guardarlo preoccupato, vedendolo ancora più terrorizzato. Andrew? Oh, no...
Vidi l'uomo lasciare lentamente il colletto di Mika e guardarlo negli occhi, pieno di disprezzo. Sapevo bene quanto uno sguardo del genere potesse ferirlo. Era importante per lui ciò che la gente pensava, e probabilmente anche quell'Andrew lo sapeva.
“You know? I don't care! You're just a stupid asshole.” Disse con tono più pacato per, poi, andarsene.
Seguii il suo percorso fino a quando si richiuse la porta alle spalle per, poi, riportare il mio sguardo su Mika, che continuava a fissare il vuoto.
“Michael.” Tentai di accarezzargli il braccio, ma lo vidi schivarmi e dirigersi verso la camera da letto.
“Sorry.” Sussurrò per, poi, scomparire nella stanza. 
 
Ero confuso. Ero davvero molto confuso da quello che era appena accaduto, e soprattutto ero preoccupato. Non era ancora uscito da camera, nonostante fossero passate almeno due ore, così decisi di andare io da lui.
“Michael.” Bussai per, poi, entrare e vederlo sdraiato sul letto, dando alla porta le spalle, scosse leggermente probabilmente dai singhiozzi silenziosi, che cercava di controllare. “Amore.” Lo raggiunsi, ma non ricevetti alcuna risposta. “Ehi.” Mi sdraiai accanto a lui avvolgendolo con le mie braccia da dietro. “Che è successo?” Sentii la sua mano stringere forte la mia ed il suo corpo mosso da un altro piccolo spasmo. Gli accarezzai dolcemente la guancia bagnata dalle lacrime e chiusi gli occhi. Faceva male vederlo così e non sapere cosa lo affliggesse esattamente. “Per favore, non piangere.” 
“Andrew ha e-entrato, 'cause he ancora had le chiave e... e lui v-visti noi, ha svegliato e me ha portato in cucina...” Sembrava addirittura spaventato.
“Ma non è finita?” Chiesi, con un briciolo delusione.
“Yes, it is, b-but he wanted his things and è cominciato a scream.” Lo abbracciai forte poggiando la testa contro la sua schiena. “But, he's right.” Disse poco dopo.
“In che senso?”
“I'm a stupid as...” Lo interruppi.
“Non è vero, Mika. Non è assolutamente vero, chiaro? Tutto quello che ha detto, anche prima che arrivassi io, era solo un modo per ferirti, okay? Probabilmente neanche lo pensa. Anzi, è sicuro.” Cercai di rassicurarlo.
“Marco.” Mi chiamò, dopo un momento di silenzio.
“Dimmi.”
“Mi sente male.” 
A sentire quelle parole, mi alzai di scatto col busto ed andai ad appoggiare la guancia sulla sua ed una mano sulla fronte. È bollente
“Cazzo, Michael, sei un forno.” Mi alzai velocemente dal letto e mi diressi correndo verso il bagno, per cercare un termometro.
Capirai, tra il freddo e lo stress, ecco fatto il casino. Quando tornai in camera lo richiamai, ma non ricevetti risposta. Si era già addormentato. Presi una coperta abbastanza pesante e lo coprii. Era pallido, con delle piccole pennellate rosee sulle guance e, soprattutto, sul naso, forse anche leggermente gonfio, così come gli occhi. Non avrei voluto svegliarlo, ma dovevo misurargli la febbre, così cominciai a scuoterlo delicatamente.
“Michael, amore, dai. Apri gli occhi, solo un secondo, per favore.” Tentai di nuovo. Niente. 
Non ne voleva sapere affatto di svegliarsi. Ma perché qui i termometri invece di metterli sotto le ascelle, li devi mettere in bocca, rompendo i coglioni al povero malato?! Così, tentai l’ultima spiaggia: gli aprii leggermente la bocca e glielo infilai per, poi, tenergliela chiusa. Non si svegliò neanche in quell’occasione, per fortuna. Certo, però, che allora è proprio distrutto. Povero. Il tour sicuramente aveva contribuito ad una situazione del genere. Stare in giro per il mondo facendo uno spettacolo un giorno sì, un giorno no, non doveva essere proprio il massimo, considerando anche il fuso orario. Trentanove e due?! Oh, santo Cielo. Gli accarezzai un ultima volta la fronte bollente e sospirando mi diressi in cucina per preparargli un thé caldo.
 
 
Mercoledì, 1 Settembre
 
 
Michael era rimasto a letto praticamente tutto il pomeriggio precedente. Avevo tentato un altro paio di volte a farlo alzare, ma non ne voleva proprio sapere. Per un attimo, mi gettai nel panico più totale pensando che fosse svenuto, ma una volta cominciò a farfugliare qualcosa per, poi, rimettersi a dormire, tranquillizzandomi. Io, intanto, mi cimentai in cucina sfogliando tra i suoi libri. Lo vidi improvvisamente fare la sua comparsa con dei capelli estremamente arruffati, mentre si stropicciava gli occhi.
“Ben trovato.” Dissi sorridendo, in parte intenerito. “Come ti senti?”
“Melio, crazie.” Esordì buttandosi di peso sulla sedia.
“Meno male.” Tirai un sospiro di sollievo, poggiandogli una mano sulla fronte, di certo meno calda del giorno precedente. “Hai fame?” Domandai mostrandogli un piatto di pasta fumante.
“Da morir, ma… da quando tu cucina?” Chiese alzando il sopracciglio sinistro.
“Mi sono fatto aiutare da Cris, quando stavamo a Roma e ho letto i tuoi libri, cercando le istruzioni anche solo per cuocere un po’ di pasta.” Spiegai.
“Veramente i minuti per far bollire acqua e cuocere pasta ci sono scritti su busta.” Disse mostrandomela.
“Cosa? Stai scherzando, spero.” Mi catapultai a controllare. “Uffa.” Sbuffai, facendolo finalmente ridere.
“Sei adorable.” Si avvicinò alle mie labbra sorridendo per, poi, lasciarvi un dolce bacio. “Thank you.”
“Mangia.” Dissi divertito.
“Tu no mangia?” Chiese confuso.
“Ho già mangiato.”
“Seguro?” Sembrava incerto.
“Sì, tranquillo e mangia.” Mi sedetti accanto a lui osservandolo sempre più intenerito, finché non sentii il mio cellulare squillare. “Scusami un attimo.” Mi alzai per prenderlo in salone e rimasi sorpreso nel vedere chi fosse. Matteo? “Pronto?”
“Marco, dove diavolo sei finito? Devi venire qui, per cominciare a lavorare sull’album.” Lo sentii urlare dall’altra parte. Ma che cazz…
“Da quando tu mi chiami per queste cose?” Chiesi adirato. “E poi, mi sono preso un periodo di vacanza.” Lo informai scocciato.
“Vacanza? Vieni subito qui!”
“Ma mi spieghi che ti prende? E ripeto, perché chiami tu? Dovrebbe chiamarmi Marta per queste cose.”
“Lei mi ha detto di chiamarti.” Non sembrava molto convinto.
“Oh, davvero?”
“Già, quindi sbrigati.” Finì attaccando.
Guardai per un po’ il telefono, scombussolato ed ancora più confuso di prima. Mi decisi a chiamarla per capire cosa stesse succedendo, e lei stessa, effettivamente, mi comunicò che dovevo andare da loro il prima possibile per cominciare a lavorare sul disco. Sbuffai ancora più scocciato di prima e mi girai per tornare in cucina da Mika, ma me lo ritrovai sullo stipite della porta ad osservarmi.
“Hai sentito tutto?” Gli chiesi preoccupato.
“Yes. Deve tornare, lo so.” Disse dispiaciuto.
“Michael, scusami io…”
“Sh.” Mi interruppe abbracciandomi. “It’s okay. Verrò io da te tra un po’, se per te no ci è problema, ovviamente.” Disse sbrigativo.
“Problema? Sarebbe fantastico!” Esclamai.
“Good!”
“Allora, vado a prendere le mie cose.” Affermai dirigendomi verso la camera, ma mi bloccò per un braccio, unendo le nostre labbra in un piccolo ed innocente bacio. Gli sorrisi imbarazzato e continuai quello che stavo facendo. Non ci voleva, cazzo. Nonostante tutto, mi rodeva. Mi rodeva da morire dover tornare e mi dispiaceva dover far andare via Michael, di nuovo. Allontanarlo ancora da Melachi, poi! Per fortuna mi si illuminò il cervellino e tornai di fretta in salone. “Amore, se vuoi portare Mel, fallo!” Mi guardò sorpreso per, poi, tramutare la sua espressione in un grande sorriso e correre verso di me avvolgendomi con le sue braccia.
“Crazie, crazie!” Urlò felice al mio orecchio. Ah, è proprio l’amore.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Scusate tanto se ieri non ho aggiornato :3
Beh, spero comunque che il capitolo sia stato di vostro gradimento! Lo trovo un po' strano ma vabbè :3 Spetta a voi, come sempre, giudicare!
Grazie mille, come al solito, a chi recensisce, ha messo la storia fra le preferite e le seguite, e chi, semplicemente, la legge! <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 15
*** 2010 pt.9 ***


Roma, Giovedì 2 Settembre 2010
 
 
Arrivai negli studi di registrazione il giorno dopo aver ricevuto la chiamata e, non poco, arrabbiato mi diressi verso la sala prenotata da Marta. Michael aveva preso un volo differente, partendo qualche ora dopo. Così sarebbe arrivato nel pomeriggio e ci saremmo visti a casa la sera, al mio ritorno. 
“Marta, mi spieghi perché mi avete fatto correre qui, così? Mi sembrava di averti avvisata.” Dissi cercando di mantenere un tono pacato, dopo averla trovata fuori dalla porta ad aspettarmi.
“Non mi hai avvisata, veramente.” Affermò insicura.
“Come no? Guarda.” Le mostrai il messaggio sul telefonino.
“Non mi è arrivato, allora.” Disse abbassando la testa. Sta Mentendo. 
“Come no?” Alzai il sopracciglio sospettoso.
“No. Dove sei stato?”
“A-a Londra.” Balbettai.
“A che fare?” Continuò.
“Te l'ho detto: una stramaledetta vacanza!” Risposi sul punto di esplodere. 
“Da solo?” Fatte i cazzi tua.
“C-certo.” 
“Matteo!” Fece un cenno a qualcuno alle mie spalle e lo vidi mettersi accanto a lei. 
“Che diamine ci fai tu qui?” Chiesi confuso.
Non avrei saputo dire bene il perché, ma quando vedevo quel ragazzo mi saliva un odio ed un'antipatia improvvisa nei suoi confronti. Era una cosa a pelle. Si dice così, no? Non mi piaceva, affatto.
“Fagli vedere le foto.” Foto?
“Che foto? E poi perché parli come se fossi un'agente dell'FBI?” Le domandai ironico, mentre Matteo mi consegnava una busta, che mi affrettai ad aprire.
Mi si gelò il sangue e sentii il mio cuore cominciare a battere all'impazzata, vedendo ciò che erano riusciti ad immortalare: me e Michael mentre sgattaiolavamo, in tutta fretta, fuori da quel centro benessere. Cazzo. Alzai lo sguardo terrorizzato verso Marta, che continuava a vedermi come se fossi stato un alieno. 
“Da solo, eh?” Disse strafottente.
“S-senti, posso spiegarti...” Tentai di iniziare a parlare, ma mi azzittì con un cenno di mano.
“Non mi interessa sapere cosa hai da dirmi, Marco. Mi sembra abbastanza chiara la situazione.” Disse mostrandomi un'altra foto, che ritraeva noi due, con il viso a pochi centimetri uno dall'altro. “Voglio solo capire perché, intanto, eri con Mika e, poi, se te la fai con lui.” Oh, non vuole sapere proprio niente. 
“Questa è la mia vita privata e voi due non ci dovete entrare.” Dissi a denti stretti.
“Ah, davvero?” Si intromise Matteo.
“Sta’ zitto tu.” Lo guardai con un pizzico di disprezzo.
“Sai che queste foto stanno per essere pubblicate su tutti i giornali, vero?” Inizialmente, mi stavo per sentire male, ma, poi, mi resi conto che alla fine non ci sarebbe stato alcun problema per me. Amavo Michael e lui amava me, quindi non dovevamo avere paura di niente. “Dobbiamo sganciare un'ingente somma per farli stare zitti.”
“Perché?”
“Come perché?” Mi chiese quasi scandalizzata.
Matteo intanto continuava a guardarmi come uno zombie assetato di cervelli. Cercai di non farci più caso, ma stava diventando a dir poco fastidioso, ed imbarazzante, mentre cercavo di concentrarmi inutilmente sulle parole di Marta.
“Ne devo parlare con Michael.” Dissi quando non la sentii più dire alcuna parola.
“Michael? Oh, andiamo di male in peggio.”
“E smettila!” Urlai adirato, uscendo dall'edificio, per tornarmene a casa.
Che cosa avevo fatto di male, alla fine? Che diamine.
 
“What?!” Urlò Mika alzandosi di scatto dal divano, terrorizzato, una volta che gli ebbi raccontato tutto.
“I-io...” 
“That's terrible!” Esclamò ancora, cominciando a girare nervosamente per la stanza. 
“Perché?” Gli chiesi deluso. 
“We can't correre questo rescue.” 
“Ma perché?” Domandai di nuovo, confuso.
“Marco, listen, we are artists, no possiamo.” Disse con tono più pacato, risedendosi accanto a me.
“Ma quale sarebbe il problema?” Cercai di guardarlo negli occhi, che sembravano, a dir poco, entrati nel panico più totale.
“I can't say that I'm gay, Marco.” Disse guardando le sue scarpe, che non volevano saperne di fermarsi. 
“Ti vergogni?” Chiesi perplesso. 
“Look,” Mi prese le mani. “I'm conosciuto in buona part of the world, okay? I could destroy la mia whole carriera.” Lo guardai ancora più deluso di prima. Ero ferito dalle sue parole. Sentii un fastidioso dolore allo stomaco ed un orribile nodo alla gola, che si tramutarono in poco tempo in delle lacrime amare. La vista cominciò ad offuscarsi, rendendomi difficile capire cosa stesse pensando guardandolo negli occhi. “Oh, no, Marco, wait...”
“Sei stato chiaro, almeno.” Mi alzai di fretta, ma fui bloccato dalla sua mano.
“No fraintendere me, ple...” 
“Sei un ipocrita.” Dissi muovendo bruscamente il braccio, per scappare dalla sua presa.
“No, let me spiegare te.” 
“Cosa c'è da spiegare?!” Lo interruppi alzando leggermente la voce. “Le tue canzoni, le tue parole... cazzo, sono solo bugie!” Urlai. 
“No, no è vero!” Si alzò ancora per cercare di avvicinarsi a me.
“Tu non sei vero. Se mi ami come dici, qual è il problema? Quale cazzo di problema hai?” 
”No mi sembra neanche tu ha detto di stare con me.” Disse alzando un sopracciglio.
“Eh, no. Non provare a rigirare la frittata, Michael. Non si è mai presentata la possibilità, ed ora che invece è successo, non mi sto tirando indietro, mi sembra. Quindi non cercare di darmi la colpa.” Affermai parlando il più velocemente possibile. “E poi, non l'avrei mai fatto senza il tuo permesso. Infatti, sono qui, ma non mi aspettavo una risposta del genere da parte tua.”
“Okay. I'm sorry, but, capisce me, io no posso.” 
Lo guardai ancora una volta, e sentii una lacrima rigarmi la guancia. Chiusi gli occhi cercando di controllarmi. Lo sentii avvicinarsi a me e le sue mani posarsi sulle mie spalle, ma scivolai prontamente via da quel contatto, per dirigermi verso la porta ed uscire in silenzio. Solo perché lui era una star ormai di fama internazionale, non poteva farlo? Ma che cazzo di risposta è?! Forse non ero importante come credevo. Forse mi ero data più importanza del dovuto. Forse neanche mi amava come diceva. Forse Michael non era quello che pensavo fosse. Forse, però, stavo anche esagerando: dovevo rispettare le sue scelte, ma, allo stesso tempo, ci ero rimasto male per le parole che aveva utilizzato. Tuttavia, Se questo è quello che desidera...
“Marta.” 
“Marco! Allora, che devo fare?” Mi chiese direttamente.
“Dai loro quello che vogliono.” Dissi semplicemente e chiusi la telefonata sospirando rumorosamente.
Mi sedetti su una panchina non troppo distante da casa, portando le mani alle tempie, massaggiandole, e poggiando i gomiti sulle cosce. Avevo bisogno di stare solo, il che era ridicolo, visto i miei disperati tentativi di non esserlo negli ultimi tempi.  
“Marco.” Sentire pronunciare il mio nome mi fece alzare la testa di scatto, sulla persona che mi stava davanti, che tanto desideravo fosse Mika. 
“Oh, sei tu.” Rimasi deluso di ritrovarmi davanti Matteo, invece.
“Scusa se non sono il tuo amato Michael.” Affermò quasi deluso.
“Non prendermi in giro.” Dissi, a mia volta, scocciato.
“Come stai?” Ma cosa vuole questo da me?
“Senti, dimmi subito cosa vuoi, per favore, e soprattutto perché mi stavi seguendo.” 
“Perché sei sempre così scontroso con me?” Sbuffai.
“Non sono dell'umore adatto, Matteo, scusa. Me ne torno a casa.” Dissi alzandomi.
“Aspetta.” Mi fermò poggiandomi una mano sulla spalla. “Possiamo provare almeno ad essere amici?” Mi chiese con sguardo incerto. Forse sono troppo duro con lui, e forse, non è neanche poi così stronzo. Annuii, dopo averci pensato per un po', accennando un piccolo sorriso. “Ti va di andare a prendere qualcosa?” Domandò alzandosi anche lui.
“Va bene.” Accettai.
Non volevo tornare a casa e, nonostante, non ce l'avessi più di tanto con Mika, avevo bisogno di pensare ad altro.
 
 
Venerdì, 3 Settembre
 
 
Entrai in casa barcollando leggermente, come non facevo da tempo, mentre Matteo mi teneva stretto a sé, senza reale motivo.
“Posso camminare, ciccio. Non sono così ubriaco.” Dissi buttandomi sul divano. 
“Ssh.” Mi azzittì mettendomi una mano sulla bocca. Sarà più ubriaco di me questo.
“Pft... ssh a te.” Dissi, a mia volta, levandola bruscamente. “Grazie per la serata. Prima me stavi sur cazzo, ma devo dì che non sei poi così male.” Lo vidi avvicinarsi lentamente a me e spalancai gli occhi, quando posò le sue labbra sulle mie, iniziando a premere e spingere contro di esse. Non erano come quelle di Michael. Anzi, erano l'esatto opposto: fine e fin troppo compatte. Quelle di Michael, invece, erano carnose e morbide. “Ma che cazzo fai?” Esclamai dopo essermi staccato velocemente da lui, che continuava a sorridere come un ebete. 
“Marco, it's you?” Sentii la voce di Mika alle mie spalle ed il mio cuore automaticamente si fermò, quando Matteo si rigettò di proposito su di me.
“Sta fermo.” Dissi in difficoltà sulle sue labbra, cercando di staccarmi. “Cazzo, smettila!” Urlai ancora affannato, come se fossi tornato completamente lucido improvvisamente.
“Marco.” Sentii la voce di Mika richiamarmi, e quando mi girai vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime in poco tempo.
“M-Michael.” Balbettai terrorizzato.
“What were you doing?” Mi chiese con sguardo affranto.
“N-non è come sembra.” Tentai di giustificarmi.
“Ah, no?” 
“No, Michael. L'hai visto? È stato lui.” Mi alzai avvicinandomi a lui, facendolo indietreggiare. “Andiamo, l'hai visto che è stato lui.” 
“Ma non è vero!” Esclamò Matteo dietro di me.
“Sta zitto, cazzo!” Mika guardò prima me, poi lui per, poi, tornare a guardarmi, con occhi socchiusi e lucidi. Aveva il viso contratto in un'espressione che oscillava tra il deluso ed il distrutto. Lo vidi stringere i pugni e cominciare a respirare sempre più velocemente. “Michael.” Tentai di prendere la sua mano, ma si ritrasse, cominciando a far scendere le lacrime sul suo viso perfetto. “Matteo, vattene.” Dissi senza girarmi.
“No, Matteo, resti.” Disse lui, invece. “Me ne va io.” 
“Ma che dici.” Lo vidi prendere rapidamente le sue valigie e mettere a Mel il guinzaglio. “Mika.” Corsi verso di lui cercando di fermarlo, ma non mi parlò più. Non mi degnò neanche di uno sguardo. “Michael.” Lo richiamai seguendolo giù per le scale. “Michael.” Solo quando poggiai la mia mano sul suo braccio si girò, mostrandomi il suo viso bagnato dalle lacrime.
“Leave me alone!” Urlò facendomi balzare all'indietro per, poi, tirare leggermente il guinzaglio di Melachi, che osservava attentamente le mosse del padrone, e continuare quello che stava facendo. No, non se n'è andato e questo è solo un fottuto incubo.

#MyWor(l)d
Saaalve!
Okay, allora, lo so. Neanche io sono particolarmente soddisfatta di questo capitolo e mi dispiace, davvero. Forse l'ho scritto un po' troppo velocemente appena tornata dal lavoro e mi era venuta questa idea, sì, ma non credo di averla sviluppata come desideravo. Beh, non mi aspetta che vedere cosa ne pensate voi. Scusate!

Grazie mille, come sempre, a chi recensisce, ha messo la storia fra le preferite e le seguite, e chi, semplicemente, la legge! <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 16
*** 2010 pt.10 ***


Roma, Sabato 4 Settembre 2010
 
 
Le ore passavano ed io continuavo a tartassare il telefono di Mika con chiamate e messaggi, senza mai però ricevere una risposta. Era ridicolo pensasse che io lo stessi tradendo e che non credesse alle mie parole. Quello che mi distrusse, e di fatto continuava a distruggermi completamente, però, era il ricordo del suo viso. Aveva quell’espressione così delusa ed addirittura schifata, accompagnata dalle lacrime, che non gli avevo mai visto. E quando mi aveva urlato di lasciarlo solo e se n’era andato, sentii davvero il mio cuore frantumarsi, dopo l’ennesimo battito accelerato, come se non riuscisse a reggere tutto quello. Non sapevo dove fosse. Non sapevo se stesse piangendo o meno. Non sapevo se si stava distruggendo quanto me. Non sapevo se l’avrei più rivisto. Era sparito.
Era da tanto che non mi ritrovavo la sera sul divano, da solo, con una bottiglia di birra in una mano ed una sigaretta accesa nell’altra, e la televisione accesa, che in realtà neanche avevo mai ascoltato. Era triste. Eppure, era così.
Quel bastardo di Matteo, ero pronto a menarlo appena tornato nell’appartamento, ma se n’era già bello che andato, ma appena l’avrei rivisto, di certo non mi sarebbe più scappato. Mi ha rovinato la vita, cazzo. Mi erano arrivati dei messaggi da parte di Marta, che mi dicevano che alla fine era andato tutto bene per le foto, sarà contenta, e che dovevo iniziare sul serio a pensare al nuovo disco. Sbuffando mi misi al pianoforte che tenevo in una stanza apposita, che talaltro non avevo neanche mai fatto vedere a Michael. Non so perché. Alla fine, avevamo tenuto da parte la vita professionale, che era riuscita a dividerci per un po’, e non ne avevo mai avuto l’occasione. Anche se mi sarebbe piaciuto vederlo suonare e cantare davanti a me e solo per me, almeno una volta.
 
A questo incrocio 
dimmi dove si va 
con un passo in più. 
Tu che forse un po’ 
hai scelto di già 
di non amarmi più.
 
Non sapevo esattamente da dove abbiano cominciato ad uscire quelle parole. Sapevo solo che anche se parlavo con Michael, non volevo fare quel passo in più, pur sapendo che probabilmente in quel momento mi odiava come pochi, avendolo compiuto lui stesso. Se potessi fare qualche passo indietro, invece, non avrei mai accettato quell’invito né avrei fatto tutta quella storia per delle parole che, alla fine, più giuste non potevano essere. Perché doveva far sapere a tutto il mondo la sua vita privata? Sono scelte e tu sei uno stronzo.
 
E come quadri appesi 
leve senza pesi 
che non vivono. 
Come quando c’era 
una vita intera 
due che si amano.
 
Mi sorpresi da solo delle parole che avevo utilizzato. Non volevo realmente che diventassimo dei fottuti ricordi, dei quadri impolverati, appesi in qualche angolo di una qualsiasi stanza infondo al cuore. Stavo già utilizzando il passato, e faceva male, dannatamente male. Mentre muovevo lentamente le dita su quei tasti bianchi e neri, improvvisamente sentii una lacrima cadere sulla mia mano. Mi manca. 
 
E salgo ancora in alto perché 
è lì che c’eri tu. 
Ma ora serve il coraggio per me 
di guardare giù. 
 
Lui era lassù, ed io però non volevo andare giù. Non ci volevo più tornare. Era come scegliere volontariamente di tornare all’Inferno, ed ignorare la possibilità di poter entrare in Paradiso. Tormento contro pace. Lacrime contro sorrisi. Vuoto contro completezza. Mal di testa post-sbornia contro mal di pancia per le risate. La risposta era così semplice, eppure…
 
E non c’è niente che resiste 
al mio cuore quando insiste 
perché so che tu non passerai mai, 
che non passerà
 
Non volevo farlo andare via, e non dovevo, perché era stato il primo e l’unico che io avessi mai amato. Era stato il primo a cui ero riuscito a dire ‘ti amo’. Era stato il primo con cui avevo fatto l’amore, e volevo rimanesse l’ultimo. Era stato il primo che mi aveva baciato, e purtroppo non era stato né l’ultimo né l’unico. Continuavo a sentire quelle maledette labbra sulle mie e desideravo tanto che Michael cancellasse il loro sapore con le sue, e quel fastidioso peso al petto, che non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.
 
Okay, allora adesso confesso 
non avevo che te. 
Come faccio a vivere adesso 
solo, senza te?
E senza i tuoi sorrisi 
e tutti i giorni spesi 
oggi che non c’è. 
E che è una porta chiusa e 
nessun’altra scusa da condividere.
 
Effettivamente, come avrei fatto a stare senza di lui? Mi aveva strappato via da un vortice di sofferenza e solitudine, dal quale non sarei potuto riuscire, una volta ricadutoci. Non c’era nessun altro di cui volessi sentire la voce o risata. Non c’era nessun altro che possedesse i suoi occhi, allo stesso tempo, vispi come quelli di un bambino e sensuali come solo lui poteva essere. Non c’era nessun altro che riuscisse a far comparire quelle fossette e quei dentoni in modo così perfetto. Non c’era nessun altro che riuscisse a farmi sciogliere anche solo sfiorandomi con un dito.
 
E quanto amore mancherà 
e troppo rumore in un giorno 
che non và. 
E non posso comprendere 
che non passerà.
 
In quegli attimi, già riuscivo a percepire quella mancanza e quel vuoto dentro, anche solo pensando al fatto che in un giorno qualunque senza di lui, gli unici rumori che sarei riuscito a sentire sarebbero stati quelli di un accendino che dava fuoco all’ennesima sigaretta ed il tappo dell’ennesima bottiglia, che cadeva a terra.
Chiusi gli occhi continuando a suonare, mentre da essi continuavano a scendere lacrime salate e dolorose come l’acido.
 
E salgo ancora in alto perché 
è lì che c’eri tu. 
Ma ora serve il coraggio per me 
di guardare giù. 
E non c’è niente che resiste 
al mio cuore quando insiste 
perché so che tu non passerai mai, 
che non passerà, 
non mi passerai
 
Nota dopo nota, parola dopo parola, tra le lacrime ero riuscito a comporre una canzone, o almeno un abbozzo. Fa male.
Mi alzai dallo sgabello bevendo l’ultimo sorso dalla bottiglia e barcollando leggermente, mi diressi verso la camera da letto, sul quale avrei dormito, per la prima volta dopo tanto tempo, con la consapevolezza di essere completamente solo e che nessuno si sarebbe preoccupato di riscaldare il posto accanto a me.
 
 
Domenica, 5 Settembre
 
“Marta, apri! So che sei lì dentro con quello stronzo, quindi apri! Immediatamente!” Urlai da dietro la porta, bussando violentemente contro essa.
Quella mattina, dopo l’ennesima bottiglia scolata nel giro di pochi secondi, avevo chiamato uno dei membri del mio staff, per sapere dove si fosse cacciato Matteo. Mi riferirono che era a casa di Marta per una piccola riunione. Che grande cazzata. Così, dopo un attimo di esitazione da parte delle mie gambe e della mia testa, ero riuscito ad alzarmi da quel maledetto divano e prendere un taxi per dirigermi da loro. Non so neanche quanta mancia ho dato al tassista, dopo l’autografo, che sembrava più uno scarabocchio, talaltro. Ma vabbé.
“U-un attimo.” La sentii dire dall’altra parte per, poi, sentirla bisbigliare nervosamente con qualcuno.
“Non prendermi per il culo, chiaro? Apri questa porta! Devo parlare col tuo caro amico.” Urlai, ancora, adirato.
“M-Marco…” La vidi buttare fuori solo la testa, picchiettando sulla porta con le dita. Segno di fottuto nervosismo. Oh, ci credo. Sarei nervoso anch’io al posto suo.
“Spostati.” La spinsi leggermente via, per entrare velocemente in casa. “Allora, dove sei?” Domandai a vuoto.
“Marco, sei ubriaco…” Tentò di iniziare, con viso preoccupato.
“Sì! Esatto! Brava. Ma molto poco. Ora dimmi dov’è quel verme.” La interruppi girando più volte su me stesso.
“D-di chi p-par…”
“NON prendermi per il culo!” Urlai, di nuovo, dando un pugno al muro. “So che è qui.” Cominciai a cercarlo nelle varie stanze, mentre Marta continuava a chiamarmi od a bloccarmi per un braccio, inutilmente, fino a quando finalmente lo trovai in bagno, mentre mi osservava con aria terrorizzata. “Tu.” Dissi, indicandolo con un dito ed avvicinandomi pericolosamente a lui.
“S-senti, Marco, p-parliamone.” Balbettò spaventato.
“Non c’è niente di cui parlare.” Lo afferrai per la maglia sbattendolo al muro violentemente.
“Marco, fermati.” Mi disse Marta cercando di calmarmi.
“Sta’ zitta!” Tuonai facendola ammutolire. “Mi hai rovinato la vita!” Urlai ancora sbattendolo di nuovo al muro, mentre cominciai a sentire le lacrime rigarmi il viso.
Neanche quella volta avevano dato uno dei loro piccoli segnali. Era come se fossi diventato insensibile ad ogni cosa.
“S-senti, n-non dovresti s-stare c-con quello, tu.”
“Non sei tu a dover decidere per me!” Lo posai bruscamente a terra facendolo cadere.
“Basta, Marco.” Mi ordinò con voce decisa la mia manager, mettendosi davanti a me.
“Tu non ti immischiare.” La scavalcai deciso a menare senza freni quell’essere che era riuscito a distruggere tutto ciò che avevo costruito in quei mesi, in un minuto, ma lo vidi prendere coraggio ed alzarsi velocemente e correre contro di me facendomi cadere. “Levati.” Dissi in difficoltà, trovandolo sopra di me, e tentai di colpirlo, senza mai riuscirci davvero mandando a vuoto ogni tentativo. Odio essere così maledettamente debole. Intravidi sulla soglia Marta, con il viso terrorizzato, paralizzata non sapendo cosa fare. Tanto sei una stronza pure tu. Ed in quel momento, per un attimo distratto, Matteo ne approfittò e sentii le sue nocche andare a contatto con il mio viso, all’altezza dell’occhio sinistro. Cacciai un urlo e dolorante mi rigirai su me stesso, una volta che si levò da sopra di me. “Stronzo.” Farfugliai coprendomi con una mano il punto colpito. Cazzo, brucia.
“S-scusa.” Tentò di riavvicinarsi ed aiutarmi ad alzarmi, ma lo scansai.
“Lasciami.” Dissi dirigendomi verso la porta. “Sei licenziato.” Lo informai andandomene dolorante, dopo aver riacquistato un po' di lucidità.
 
Solo quando tornai a casa, riuscii a lasciarmi andare di nuovo ad un pianto, causato non tanto da dolore fisico, ma dal vuoto che provavo nel rendermi conto che quello che avevo fatto non mi avrebbe mai fatto chiarire con Mika. Ero sempre sullo stesso punto, e l’unica differenza era il mio occhio nero e pulsante. Presi una bottiglia ghiacciata dal freezer e ve la ci poggiai sopra. Non è vero che si prova sollievo. Fa ancora più male. Scocciato la levai e l’osservai per un po’, quasi imbambolato, ed improvvisamente, preso da un impeto di rabbia, la scagliai contro il muro davanti a me, piangendo ancora più forte di prima, per poi appoggiarmi su esso e scivolare lentamente a terra. Non riuscivo più a respirare tra i singhiozzi ed il respiro accelerato. Piegai le ginocchia, affondandoci il viso, bagnato dalle lacrime e scosso dagli spasmi, come tutto il resto del mio corpo. Afferrai velocemente il cellulare dalla tasca e tentai di nuovo a richiamarlo. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette… segreteria telefonica. Gli lascio un messaggio? Gli lascio un messaggio.
“M-Michael, sono io. P-per favore, rispondimi al telefono. Mandami almeno un messaggio. N-non so d-dove sei, non s-so c-come stai… ti prego.” Lo implorai fra le lacrime. “T-ti prego, credimi, è stato lui. I-io non mi sognerei m-mai di baciare un altro. I-io ti amo.” Chiusi velocemente la chiamata buttando via il cellulare, scoppiando ancora di più in un pianto disperato, non avendo la forza di continuare. Non molto tempo dopo, mi addormentai tra spasmi, lacrime e frasi sconnesse, cercando di convincermi che presto lo avrei rivisto.
 
#MyWor(l)d
Saaalve! 
Sì, lo so, scusate, è tardi.
Aaaaaalt! So bene che "Non Passerai" fa parte di "Pronto a Correre", ma alla fine non tutte le canzoni vengono scritte l'anno della pubblicazione, no? E non so, ho pensato che fosse adatta per il capitolo. E sì, ho tagliato ancora aaaalcuni pezzi che avrei ripetuto, poi. Scusate! :3
Beh, comunque! Spero sia di vostro gradimento. ^-^ Mi è uscito così e non so esattamente cosa pensare io.
 
Grazie mille, come sempre, a tutte quante <3 vi adoro!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 17
*** 2010 pt.11 ***


Roma, Lunedì 6  Settembre 2010
 
 
Quando mi risvegliai, portai la mano sul cuscino accanto al mio, trovandolo vuoto, e quando girai la testa, dove di solito dormiva lui, vidi che effettivamente Michael non si trovava là, insieme a me. Riportai lo sguardo sul soffitto ed affranto richiusi gli occhi, o almeno quello che ancora non lo era. Non era solo un incubo. Sospirai e mi alzai dal letto con difficoltà, barcollando sia per il mal di testa, che da subito si era fatto sentire, che per l’impossibilità di vedere bene dall’occhio sinistro.
Mi diressi verso il bagno per controllare la situazione allo specchio, e non trovai un gran bel vedere sinceramente, anzi. Non posso farmi vedere così in giro. E forse, sarebbe stato anche meglio che neanche Mika mi vedesse in quello stato effettivamente. Già faccio schifo di mio, poi ci si mette pure questa prugna avariata a peggiorare la situazione. Merda. Ma mi manca...
Tornai in camera cercando di trattenere le lacrime e presi il telefono, pieno di messaggi e chiamate di Marta. Un’altra volta, l’unico nome che volevo illuminasse il mio cellulare non c’era. Lo gettai pieno di rabbia sul letto facendolo cadere a terra. Aveva ignorato anche quel messaggio. Ho bisogno di distrarmi. Mi ripresi, ed andai a raccoglierlo per chiamare l’unica persona che sarebbe riuscita a darmi una mano e l’unica da cui volevo essere aiutato.
“Ehi, Marcus, come stai?” Sentii la voce di Cris dall’altra parte. Marcus?
“Marcus?” Le domandai confuso.
“Oh, scusa, stavo aiutando sorella con una versione di latino.” Rispose divertita. Ma che cazz…
“Ma da quando te ne intendi di latino?”
“Da mai.” Disse ridendo. Non fare domande… “Allora, come stai?”
“C-Cris, non è che potremmo vederci? Cioè, q-quando hai finito ovviamente.” Le dissi frettoloso.
“Certo, ma è successo qualcosa?” Mi domandò con tono preoccupato.
“I-io… puoi venire a casa mia?”
“Vengo subito.” Mi informò per, poi, attaccare.
Guardai un’ultima volta lo schermo del telefono e sorrisi leggermente. È fantastica. Nessuno, ripeto, nessuno mi aveva mai trattato come mi trattava lei: un po’ come un fratello ed un po’ come un figlio. Non avrei saputo cosa fare se non ci fosse mai stata. Forse me ne accorgevo tardi. Mi sono sempre convinto del fatto che fossi solo, quando alla fine ero stato io ad isolarmi dal mondo, assumendo anche un atteggiamento ingiusto nei confronti di Cristie, che, in qualunque momento l’avessi chiamata, era sempre stata lì con me.
 
“Oh, Dio, Marco ma che ti sei fatto?” Mi chiese, una volta arrivata, entrando di fretta e portando le sue mani sul mio viso.
“È una lunga storia.” Dissi indietreggiando un po’. No, in realtà, non è vero che è una lunga storia, ma vabbé. Mi piaceva come frase.
“Racconta, allora.” Mi incitò gesticolando, accomodandosi. Così, cominciai a spiegarle la situazione e che cosa fosse successo, sotto i suoi occhi a dir poco basiti. Avevo una gran voglia di piangere, ma non potevo e non volevo farlo un’altra volta. “Lui ti ha fatto questo?” Indicò il mio occhio.
“Già.” Annuii abbassando lo sguardo.
“Dopo che ti ha baciato e ti ha fatto litigare con Mika?” Annuii anche a quella domanda. “Uh, ma io l’ammazzo.” Oh, anch’io vor… La vidi alzarsi dal divano e prendere le sue cose in fretta e furia.
“Cris, ma dove vai?” Le domandai confuso raggiungendola.
“Ad ammazzarlo.” Disse guardandomi, facendomi paura per il tono che aveva utilizzato: come se fosse stata la cosa più normale e scontata dell’Universo.
“Mh, non hai l’indirizzo.” Cercai di sdrammatizzare.
“Oh, giusto. Dammelo.” Prese un pezzo di carta ed una penna. È impazzita.
“Non ce l’ho nemmeno io, quindi credo che dovrai rinunciare al tuo brillante piano.” Le levai lentamente dalle mani le cose e la riportai in salone.
“Ma come si è permesso quel…”
“Cosa devo fare Cris?” La interruppi guardandola negli occhi.
“Non ti risponde proprio?” Mi domandò perplessa.
“Già. Gli ho lasciato un messaggio in segreteria, ma niente. Non vuole più vedermi.” Dissi affranto chiudendo gli occhi. Essere messo davanti alla realtà faceva dannatamente male. “Ahi.” Ed anche il mio occhi.
“Non stringerlo troppo.” Si avvicinò accarezzandomi il braccio dolcemente.
“Cris…” Farfugliai portandomi lentamente fra le sue di braccia, che mi strinsero forte.
Cominciai a piangere silenziosamente fra esse, mentre mi continuava ad accarezzare dolcemente la guancia ormai bagnata.
“Ssh.” Mi continuò a cullare cercando di tranquillizzarmi e farmi controllare gli spasmi, che scuotevano violentemente il mio corpo. “Dai, vai a lavarti il viso.” Mi disse dopo che riuscii a calmarmi e riprendere possesso di ogni mia capacità.
Detestavo non riuscire a controllare le mie emozioni. Detestavo essere così debole e, talvolta, fragile. Detestavo piangere fra le braccia della gente: è successo Mika e, troppe volte, anche con Cristie. Detestavo l’idea che non l’avrei più visto.
Appena entrato in bagno, cercai il telefonino nelle tasche dei pantaloni. Niente. Mi sarà caduto sul divano prima. Sbuffai e rinunciai all’idea di riprovare a richiamarlo, per l’ennesima volta. Forse era meglio così. Mi diedi una veloce sciacquata al viso, cercando di non pensare al dolore, che anche solo l’acqua, mi provocava all’occhio, ancora gonfio e fin troppo sensibile. Tuttavia, tutti i miei tentativi risultarono inutili, poiché non riuscivo a non imprecare od a non fare dei respiri affannati pieni di rabbia.
“Sì, okay. Okay, a domani.” Sentii Cris parlare e, tornato in salone, la vidi chiudere di fretta il suo cellulare, mentre camminava nervosamente in giro per la stanza.
“Tutto bene?” Le domandai risedendomi sul divano, seguito da lei.
“Sì. E tu?” Chiese, a sua volta, poggiando la sua mano sulla mia spalla. No, va una merda.
“Meglio, grazie.” Le risposi, invece, cercando di fare un sorriso credibile.
“Bene.” Mi lasciò un bacio sulla tempia per, poi, alzarsi ed allontanarsi da me.
“Dove vai?” Chiesi, ancora, confuso.
“A cucinare. Resto un po’ con te, ti va bene?” Si fermò sulla porta della cucina, in attesa di una mi risposta.
“C-certo. Aspetta, ti aiuto.” Dissi alzandomi per raggiungerla.
“Mengoni, sei una frana. Limitati ad osservare.” Mi prese in giro.
“Ma veramente, l’ultima volta è andata più che bene.” Almeno credo. Mi bloccai abbassando la testa, ripensando che l’ultima in cui avevo cucinato era stato proprio per Michael.
“Che succede?” Si avvicinò preoccupata a me.
“N-niente.” Finsi un sorriso ed entrai in cucina, seguito da lei. La guardai mentre trafficava tra i cassetti trovando cose che non ricordavo neanche di aver comprato, e controllava le pentole, insieme a tutto il resto. “Cris…” La chiamai attirando la sua attenzione. “Grazie.” Dissi sorridendole riconoscente, ricevendone in risposta un sorriso dei suoi.
 
 
Martedì, 7 Settembre
 
 
La notte precedente, Cristie era rimasta a dormire a casa mia, senza neanche andare a prendere le sue cose, che di solito risultavano indispensabili. Non voleva lasciarmi solo e le sarei sempre stato grato per averlo fatto, perché probabilmente se l’avesse fatto mi sarei lasciato andare di nuovo, non solo ad un ennesimo pianto, ma anche ad un’ennesima sbronza.
Sentendo la sua voce, provenire dalla cucina, accompagnato da un piccolo brusio, mi decisi, dopo minuti e minuti ad osservare il soffitto, ed a sbuffare, a raggiungerla. Forse sta parlando al telefono o forse è la radio.
Entrai scalzo nella stanza, sbadigliando e stropicciandomi distrattamente l’occhio ancora, fortunatamente, sano. Riuscendo a vedere ben poco dall’altro, mi mossi a fare ciò che stavo facendo vedendo una seconda figura davanti a lei.
“Capisci?” Sentii la voce di Cris, mentre tentavo di mettere a fuoco ciò che mi circondava.
“Yes. I know, I know.” Sentii, quella volta invece, il mio cuore fermarsi. No, non può essere.
“Marco.” La vidi sorridermi, sporgendosi di lato a salutarmi, seguita da quello che era stato il mio unico sogno e pensiero negli ultimi strazianti giorni.
“H-hi.” Balbettò Mika, imbarazzato.
“Ma tu… lui… cioè… cosa?!” Farfugliai confuso indicandoli.
“She ha chiamato me. Iera.” Disse avvicinandosi. Oh, quanto mi è mancato sentire quel suo meraviglioso italiano. “Oh, God, look at this.” Guardò con aria preoccupata il mio occhio, poggiando poco sotto le sue dita affusolate, dal tocco magico. Chiusi gli occhi a quel contatto. No, non può essere vero. Portai la mia mano sulla sua chinando la testa, per lasciarci un leggero bacio.
“Scusami.” Dicemmo insieme, facendoci scambiare un piccolo sorriso. Ah, i suoi dentoni. “No, scusa tu.” Continuammo a parlare all’unisono. Le sue fossette.
“I’m really sorry, Marco.” Mi vennero i brividi sentendolo pronunciare di nuovo il mio nome.
“No, io non avrei dovu…” Non mi lasciò finire la frase che mi azzittì, abbassandosi e poggiando finalmente le sue labbra sulle mie, prendendomi il viso fra le mani. Quanto mi erano mancate. Quanto mi era mancato lui! Portai invece le mie mani sulla sua schiena tirandolo a me, ad approfondire sempre di più quel contatto. Avevo bisogno di conferme. Avevo bisogno di sapere che non era un bellissimo sogno. “Sappi che io vorrò sempre e solo te, Mika.” Affermai affannato, mentre lui poggiava la sua fronte sulla mia.
“Ti amo.” Disse guardandomi negli occhi sorridente.
“Ti amo.” Ripetei riunendo le nostre labbra.
“Ehm, ehm.” Che succede ora… “Io è meglio che vada.” Esordì Cristie, uscendo dalla cucina.
“No, ma che fai.” Mi staccai controvoglia da Michael e la fermai per un braccio, mentre mi passava accanto. “Resta.”
“Fate ciò che dovete fare.” Mi sussurrò all’orecchio facendomi arrossire e lanciare un’occhiata imbarazzata a Mika, che mi sorrise complice.
“Grazie.” L’abbracciai. “Grazie, davvero.” La strinsi ancora di più a me.
 
“Sa” Ricominciai a baciarlo spingendolo verso la camera da letto. “che” Oh, non vuole stare zitto. “tu è” Zitto, diamine! “sexy anche con occhio così.” Finì la sua maledetta frase staccandosi affannato. “Molto Rocky Balboa.” Aggiunse divertito.
“Sta’ zitto e baciami.” Gli ordinai non facendoselo ripetere due volte.
“Mi sei mancato.” Disse adagiandomi sul materasso dolcemente.
“Anche tu.” Sussurrai tirandolo a me.
Troppo mi sei mancato.


#MyWor(l)d
Scusate per ieri!! >-< Scusate tanto, davvero, ma ci sono stati un po' di problemi! 
Però aggiorno presto, dai. u.u
Ebbene sì, dai, non vi ho fatto penare più di tanto, no?
Scusate anche se non rispondo subito alle recensioni del capitolo precedente ma devo scappare! D: Appena torno faccio tutto, promesso. :33
Grazie mille e scusatemi ancora! <3
Un bacione,
Michaels
 

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Capitolo 18
*** 2010 pt.12 ***


Roma, Venerdì 24 Dicembre 2010


Le cose avevano cominciato a girare per il verso giusto negli ultimi mesi. Non avevamo avuto nessuna discussione. Niente di niente ed era fantastico. Non avevamo avuto bisogno di chiarire niente dopo quel giorno. Andava bene così. A me bastava amarlo, ed a lui bastava amare me. Certo, alcune volte eravamo stati costretti a separarci, lui per interviste e quant'altro, ed io per lavorare sul nuovo album, che pian piano iniziava a prendere forma. Sarebbe stato dedicato alla solitudine, che mi aveva tormentato per tanto tempo e che era riuscita a distruggermi l'esistenza da sempre. Tuttavia, volevo che quella rimanesse un brutto capitolo della mia vita, al quale Mika aveva messo finalmente un punto finale.

Era arrivata la vigilia di Natale e questo significava fare un bel regalo a Michael. L’unico problema era che non avevo la più pallida idea di cosa fargli. Passai giornate e giornate a pensare ed a cercare, poi però finalmente la mia testolina era riuscita ad elaborare un’idea buona, e che gli sarebbe piaciuta. Almeno, credo. Spero.
 
Non avevo capito esattamente come, ma Mika era riuscito a rendere la mia casa, così tetra, colorata. L'albero che arrivava fino al soffitto, sfiorato dalla punta della stella, le luci bianche e colorate che decoravano le porte, il caminetto accesso che rendeva il rosso ed il giallo i colori prevalenti... ma la cosa più bella di tutte era Melachi con il cappello di Babbo Natale ed un bel papillon verde intonato con l'albero. Sinceramente, negli ultimi anni non mi ero neanche preoccupato di addobbarla, sapendo che sarei stato solo e senza far niente. È passato.
Mentre aspettavo che in cucina la cena finisse di essere preparata, mi misi alla finestra ad osservare il panorama, rapito dalla vista che mai mi ero accorto di poter vedere. Poco dopo, sussultai sentendo il suo respiro sulla mia pelle.
“E queste cosa son?” Disse divertito al mio orecchio, prendendo fra le mani i miei fianchi e riportandomi alla realtà. “They are maniglie dell'amore, o sbaglia?” 
“Mi stai facendo ingrassare.” Lo incolpai continuando a guardare dinanzi a me.
“Good.” Sussurrò cominciando a lasciare dei leggeri baci sul collo. Oh, lì no. Vi prego, lì proprio no.
“Mika.” Sospirai chiudendo gli occhi godendo di quel contatto. Lo sentii sorridere soddisfatto e continuare a fare il suo gioco scendendo fino alla spalla. “Sei perfido.” Dissi continuando a tenere gli occhi chiusi.
“But, you love it.” Affermò soddisfatto staccandosi da me.
“No.” Affermai, a mia volta, serio guardandolo e poi sorridendo leggermente, vedendo il suo viso mutare la sua espressione improvvisamente. “Io amo te.” Gli sorrisi. “Non sarebbe la stessa cosa se lo facesse un altro.” Continuai girandomi per guardarlo meglio negli occhi. 
Lo vidi sorridere timidamente mordendosi il labbro inferiore con quei suoi due dentoni, che lo rendevano ancora più bambino ogni volta che li mostrava.
Mi alzai sulle punte aggrappandomi alle sue spalle, per incontrare a metà le sue labbra così morbide e lisce, che erano riuscite finalmente a levare il sapore di quelle di Matteo, che non si era più fatto né vedere né sentire, così come Andrew. La mia intenzione era di dargli un bacio a stampo, ma appena tentai di riabbassarmi, fu lui ad avvicinarsi di nuovo a me ed ad unire le nostre bocche ancora in una danza, che diventava, man a mano, sempre più frenetica. Lo sentii sorridere mentre mi mordicchiava il labbro inferiore per, poi, prendere il mio viso fra le sue mani e tirarmi a sé, facendo scontrare i nostri nasi, provocandomi un blocco respiratorio.
“Mika.” Cercai di staccarmi ansimando.
“Sh.” Farfugliò infastidito catturando ancora una volta le mie labbra.
“Michael.” Lo richiamai su di esse non riuscendo a staccarmi da esse. “Michael, il tacchino...” Ritentai allontanandolo inutilmente, mettendo le mie mani sul suo petto.
“Let it burns!” Esclamò scocciato avvicinandosi di nuovo a me.
“Quel ben di Dio a cui abbiamo lavorato per ben cinque fottutissime ore?!” Lo fermai con sguardo inquisitorio. 
“Oh, come on.” Si lamentò avanzando verso di me.
“Dopo.” Sussurrai al suo orecchio per, poi sentirlo deglutire rumorosamente. Io ci provo ad essere provocante e convincente quanto lui, ma non so quanto sia efficace. Cos'era quella? Una specie di risata strozzata o cosa? Che palle. Mi diressi in cucina, seguito da lui, per levarlo dal forno ed evitare che bruciasse per davvero. Ci stavo cominciando a prendere gusto a cucinare. Strano. “Mika.” Lo chiamai per attirare la sua attenzione, visto che sembrava imbambolato guardando il vuoto. Forse vorrebbe stare con la sua famiglia.
“Yes?” Chiese distrattamente.
“Sei sicuro di non voler stare da un'altra parte, stasera?” Mi guardò sorpreso arricciando il naso.
“For example?”
“Beh, per esempio dalla tua famiglia.” 
“Oh, well... why tu chiede me questo?” Mi chiese avvicinandosi a me.
“Volevo sapere. Sei in tempo.” Cercai di non far trasparire malinconia dalla mia voce.
“Ehi.” Mi prese per le spalle e mi girò verso di lui. “I don't want to stare con nessun altro stasera. Volio star solo con te.” Mi disse guardandomi intensamente negli occhi. 
“Ma anche l’anno scorso sei stato con me...” Dissi abbassando la testa in imbarazzo, ma sentii le sue dita sollevarla lentamente, a cercare il mio sguardo.
“Smettela de farte problemi, Marco. I want to stay with you, okay?” Annuii sorridendogli. “Good. Now mangiamo.” Disse saltando allegro e battendo le mani improvvisamente. Ah, la tenerezza.
“Come al solito, pensi solo a quello.” Affermai divertito.
“Ehi!” Si fermò. “That's not true.” Si avvicinò pericolosamente a me, che nel frattempo avevo già preparato il vassoio, ed unì le nostre labbra, facendole rimanere ferme in quella posizione, spostandosi ogni tanto. Senza fare troppi movimenti, e mi resi conto che quella cosa mi stava facendo impazzire ancora di più di altre volte, perché avevo una voglia matta di infilare la mia lingua in quella sua bocca perfetta.
“M-Michael, il t-tacchino m-mi sta per c-cadere.” Balbettai.
Mi guardò confuso, per un attimo, e sorrise soddisfatto dell'effetto che era riuscito a farmi anche quella volta. 
“Are you sure that sta per cadere solo tachino?” Eh?
“C-cioè?” Chiesi paralizzato, ma non rispose e mi prese il vassoio dalle mani per dirigersi in sala da pranzo.
 
 
Sabato, 25 Dicembre
 
 
“Buon Natale.” Gli dissi dopo aver guardato l’orologio, che segnata la mezzanotte precisa.
“Happy Birthday!” Urlò ributtandosi su di me, facendomi ridere. Oh, è vero. È anche il mio compleanno.
“E-ehi. Grazie.” Lo ringraziai divertito stringendolo forte a me.
“This one is for you.” Disse dopo essersi allungato a prendere una bustina da uno dei cassetti per, poi, porgermela.
“Oh, Dio, Mika, non dovevi.” Affermai rigirandomela fra le mani ed osservandola.
“Sure che dovevo. Io voleva.” Gli sorrisi imbarazzato. “Open it.” Mi incitò riavvicinandosi. Non me lo feci ripetere due volte. Ero curioso. Quando vidi dentro una lettera gli sorrisi ancora, anche se un po' confuso, chiedendogli spiegazioni. “Read it.” Continuò.
“Vai nel tuo studio.” Lessi ad alta voce per, poi, alzare la testa di scatto, a chiedergli come fosse a conoscenza di quella stanza.
Lo vidi alzarsi dal divano e porgermi una mano. Incuriosito la strinsi e mi feci guidare verso essa, senza staccare mai gli occhi dal suo viso, decorato dalle sue fossette, accompagnate dai suoi dentoni, che non ne volevano sapere, per fortuna, di scomparire. Quando entrai, vidi vicino al pianoforte un cavalletto per dipingere affiancato da alcune tele e scatole. Oh, Dio. “Ma che…” Dissi a bocca aperta più a me stesso, che a lui, che continuava ad osservarmi, forse addirittura con uno sguardo impaurito e dubbioso. Ma come…
“Io ha visto te, in questi giorni, che prima di scrive o compone songs disegna su un fogliaccio a-and I ho pens…” Tentò di spiegare, ma non lo lasciai finire la frase ed avvolsi le mie braccia al suo collo, azzittendolo e catturando le sue labbra con le mie.
“Grazie.” Dissi per, poi tornare a dargli ancora un bacio. “Grazie.” Un altro. “Grazie!” Esclamai ancora prima di baciarlo ancora ed ancora, fecondalo ridere.
“So, te like it?” Domandò allontanandosi di pochi centimetri dal mio viso.
“E me lo chiedi pure?! Michael…” Affermai intenerito affondando una mano fra i suoi riccioli e guardandolo negli occhi, illuminati da una luce diversa quella notte.
“I’m so happy.” Mi strinse di nuovo a sé sollevandomi leggermente.
Ritornò a ricongiungere le nostre labbra, avide uno del sapore e dell’amore dell’altro, finché sentii la schiena poggiarsi delicatamente sul muro fresco, mentre lui continuava a tenere il mio viso con una mano, a tenerlo fermo e non voler farmi scappare. Mi spinse ancora di più verso di lui, mettendo in contatto i nostri petti, dai cui si potevano ben distinguere i battiti accelerati, che insieme componevano e formavano la musica più dolce e più vera che si potesse sentire. Quando mi morse delicatamente il labbro inferiore, per far entrare la sua lingua, avida di esplorare, nella mia bocca, mi ricordai che io ancora non gli avevo dato il mio di regalo.
“M-Mika.” Cercai di fermarlo per un attimo, senza avere esito positivo. “Michael.” Lo chiamai ancora affannato, sulle sue labbra.
“Mmh…” Farfugliò infastidito, facendomi sorridere divertito.
“Mika, devo darti il mio di regalo!” Esclamai staccandomi improvvisamente.
“No avresti dovuto farme regalo.” Disse arricciando il naso. “E poi, questo va benisimo.” Si riavvicinò a me respingendomi al muro, riprendendo ciò che avevamo interrotto.
“A-aspetta.” Gli posai la mano sul petto allontanandolo leggermente. “Ci tengo.” Gli dissi guardandolo bene negli occhi.
“Okay. Where is it?” Mi domandò con espressione confusa, ma divertita, e lo presi per mano mentre mi dirigevo verso il pianoforte, sotto i suoi occhi curiosi.
“Dammi solo due minuti e quarantotto secondi.” Mi sedetti sullo sgabello lasciandolo accanto a me per, poi, cominciare a muovere le mie dita su quei tasti.
 
All I know's I'm a lucky man, 
I try to do the best I can 
so I move trying to make things be all right. 
I'm so glad that you're in my life 
You fill my heart, you fill my sky 
I'm so glad 'cause you make it all right. 



Alzai il mio viso per incontrare il suo sguardo, sorpreso ed emozionato. Mentre continuavo a suonare lentamente e continuavo a cantare volevo vedere cosa provava, se gli piaceva o se gli faceva schifo, se stavo riuscendo ad emozionarlo o meno. Lo vidi mordicchiarsi nervosamente il suo labbro inferiore, poggiandosi al pianoforte. Ero un uomo fortunato, davvero, e provavo ogni giorno ed in ogni occasione a dare il meglio di me, anche nelle piccole cose. Anche perché, quello era ciò che lui stesso mi aveva insegnato. E lui, poi, riusciva a dare quella luce così diversa alle mie giornate, quasi sconosciuta tempo prima.
 
And you love me tonight 
you love me tonight 
you love me 
you love me 
tonight. 

 
In quella notte, così maledettamente fredda, ma anche così maledettamente perfetta, volevo che mi amasse ed amarlo in tutti i modi possibili. Senza reale malizia, senza niente. Avevo bisogno di lui e basta. Sentivo quel profondo bisogno di sentire il suo respiro sulla mia pelle, le sue labbra sulle mie, il mio cuore battere all'impazzata, anche solo sentirlo chiamarmi “amore” o dire “ti amo”. Quel profondo bisogno di sentirmi completo, come solo lui riusciva a fare.
 
You're are not alone. 

All alone on a raging sea I feel the waves crash over me 
When we met well, the sun begun to shine 
You Know, I know i’m a lucky man, 
I do my best, the best i can for you 
and you smile and make everything all right.

 
Mi persi, continuando a cantare e suonare, nei suoi occhi, stranamente così chiari in quel giorno ed in quel momento così scuro ed intimo. È una lacrima quella che vedo? Sì, stava per piangere e mi sentii così profondamente bene in quell'istante, sapendo che non stava piangendo dal dolore. Stava piangendo perché forse era riuscito a capire quanto lo amassi e quanto quelle parole fossero vere. Lo vidi cominciare a giocherellare con le sue dita ed abbassare lo sguardo, imbarazzato.
 
and you love me tonight 
you love me tonight 
you love me 
you love me tonight. 



Allontanai lentamente le mie mani dal pianoforte e le portai sulle mie gambe strofinandole, per asciugarle da un inevitabile sudore, causato soprattutto dal nervosismo. Lo guardai immobile, finché non si decise a rialzare la testa e mostrarmi i suoi occhi lucidi. Sorrisi commosso anch'io a quella vista. Sembrava proprio un bambino timido in imbarazzo da tanti complimenti.
“I-I no sa c-cosa d-dire.” Continuai a sorridergli incantato. “Oh, God, ti amo.” Mi prese per le braccia e mi alzò tirandomi e stringendomi a sé. “T-tu no avreste dovuto…” Mi disse mentre sentivo le sue lacrime inumidirmi leggermente il collo. Sentii il mio cuore cominciare a battere talmente forte da farmi male, ma era un dolore di quelli così piacevoli.
“Io ti amo.” Dissi, a mia volta, facendolo staccare dal mio collo ed asciugandogli le guance. “E so che questo è il minimo che potessi fare per te, ma…”
“No, è perfeta.” Mi sorrise. “Crazie mile, amore.” Si avvicinò a me di nuovo poggiando delicatamente le sue labbra sulle mie. Non feci tanto caso, in quel momento, a quell’errore che tanto trovavo adorabile, ma mi soffermai su quel “amore”. Non mi ci chiamava spesso effettivamente, ma quando lo faceva sentivo che il mio cuore sarebbe potuto esplodere tranquillamente, per, appunto, l'amore con cui lo pronunciava.
Non opposi resistenza, quando mi sentii trasportare lentamente verso il pianoforte, mentre la sua lingua continuava ad esplorare la mia bocca, e la mia continuava ad esplorare la sua, dal sapore così dannatamente dolce. Mi sollevò e mi ci adagiò delicatamente, con una forza che non sembrava neanche avere in quelle braccia così esili. Mi vennero i brividi, quando le sue labbra entrarono in contatto col mio collo ed intrufolò le sue mani sotto la mia maglia, ad accarezzarmi la schiena, facendomi sospirare leggermente, mentre le mie esploravano quel corpo così dannatamente perfetto. Non mi sentii più di tanto in imbarazzato, quando portò le sue ai bordi e me la sfilò velocemente, riprendendo a torturare, meno di un secondo dopo, il mio collo. Semplicemente chiusi gli occhi godendo di ogni minimo contatto, cominciando a sbottonargli la sua camicia, per, poi, accarezzare il suo torace, anch’esso perfetto, fino a scendere ai bordi dei suoi pantaloni, sentendolo poco dopo sospirare. Sorrisi soddisfatto. Anch’io, forse, ho un certo potere su di lui, allora. Mi fece sdraiare ed andare in contatto la schiena con la superficie fredda del pianoforte, facendomi inarcare leggermente verso di lui, che ne approfittò per cominciare a sbottonarmi i pantaloni, mentre ritornava a catturare con avidità le mie labbra, desiderose delle sue. Mi alzai leggermente, per portare la mia mano ad accarezzare il suo punto più sensibile attraverso la stoffa.
“Marco…” Mi chiamò ansimando, spingendo il bacino contro essa. Sorrisi scoprendo l’effetto che ero riuscito a provocargli. “Ti voglio.” Sussurrò con tono provocante al mio orecchio sfilandomi velocemente i pantaloni e posizionandosi fra le mie gambe.
Quando cominciò a lasciare una scia di baci, che iniziavano dal mio collo fino ad arrivare a poco sotto l’ombelico, non potei più trattenermi, per quanto avessi voluto, dal fare piccoli sospiri di piacere. In quel momento, cominciai a sentire fin troppo stretti i boxer e digrignai i denti, nel tentativo di far uscire il minor rumore possibile dalla mia bocca, che Michael si occupò di calmare, regalandole un altro bacio. Inoltre, fu clemente con me e, accorgendosi del fastidio che provavo, li abbassò leggermente liberando la mia erezione, che senza timore cominciò a stuzzicare alternando movimenti lenti e veloci, che mi stavano per far uscire fuori di testa. Anzi lo stavano facendo già.
“M-Michael.” Boccheggiai in difficoltà artigliando il pianoforte, lasciandoci sopra inevitabilmente dei segni.
“Ops.” Sorrise sadico sulle mie labbra continuando per, poi, scendere e passare la sua lingua sul mio collo.
Quando però lo sentii avvolgere il mio membro con le sue di labbra, ogni mio tentativo di controllo cominciò a risultare completamente inutile. Portai la testa all’indietro e lasciai la bocca semiaperta, a far uscire qualsiasi gemito, e chiusi gli occhi concentrandomi sul piacere che mi stava provocando. Affondai le mie mani fra i suoi riccioli, per accompagnarlo nei movimenti, spingendomi leggermente contro di lui.
“B-basta.” Lo pregai affannato sentendo di non poter resistere ancora per molto e facendolo staccare da me.
“Quante volte io ha pregato te e tu no ha smesso?” Sussurrò con ghigno provocatorio a pochi centimetri dal mio viso per, poi, riportare la sua mano sulla mia eccitazione, muovendola velocemente. Portai una mano dietro al suo collo, tentando di trattenermi ancora. Cazzo… “Sa,” Finalmente si fermò facendomi tirare un sospiro di sollievo. “io però è più buono.” Lo guardai negli occhi, nei quali riuscii a vedere la più completa soddisfazione. Mi avvicinai a lui cercando le sue labbra umide ed arrossante dal gioco erotico che aveva appena compiuto e che, se non si fosse fermato in tempo, avrebbero provocato una fine troppo prematura di quel momento così intimo, che tanto amavo. Certo, però, che sono stato proprio stronzo.
“Ti prometto che non lo farò mai più.” Ansimai sulle sue labbra sbottonando i suoi pantaloni ed abbassandoli leggermente, infilando la mia mano nei suoi boxer cominciando ad accarezzarlo delicatamente. Lo vidi chiudere gli occhi e lasciarsi ad andare completamente al piacere, cominciando a gemere da subito sotto il mio tocco. Non riuscii a fare molto, tuttavia, poiché mi bloccò non molto tempo dopo, e si spogliò velocemente per, poi, cominciare a stuzzicare la mia apertura. Sentii, poco dopo, le mie carni aprirsi e donarsi completamente a lui, che cominciò a muoversi lentamente per, poi, aumentare la velocità. Aveva quella capacità di fare l’amore senza farmi male, che forse io non possedevo completamente e mi dispiaceva. Ogni volta che ero io a possedere lui qualche lacrima gli cadeva, mentre quando era lui a farlo, non sentivo così tanto dolore, anzi. “Ti fa male?” Mi chiese premuroso rallentando, ancora, ansimando sul mio collo.
“No. Tu non mi fai mai male.” Gli dissi accarezzando la sua guancia ed avvicinandolo a me, per lasciargli un altro bacio a fior di labbra, come via libera a muoversi più velocemente.
Quella stanza, che per un bel po' di tempo aveva rappresentato la mia solitudine, era diventata il nostro nido d’amore, nel quale, in quella notte improvvisamente diventata così calda ed accogliente, si sentivano solo i nostri respiri e sospiri di piacere ed i battiti dei nostri cuori, che si completavano a vicenda.


#MyWor(l)d
Okaay, chiedo perdono! Scusatemi tanto, ma sono state delle giornate davvero pessime, queste ultime tre. Mi dispiace tanto per il ritardo.
Come state? Spero bene! 
Allora, che dire, questo capitolo l'ho scritto in questi tre giorni in modo mooolto spezzettato e mi scuso se non è proprio il massimo, davvero! D: In ogni modo, siamo giunte alla fine del 2010. Oh, è stato un parto ewe vi chiedo scusa se ho allungato così tanto!
Cooomunque, come al solito, ringrazio come sempre chi recensisce, chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! <3
Un bacione,
Michaels

 

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Capitolo 19
*** 2011 pt.1 ***


Verona, Giovedì 24 Febbraio 2011
 
 
Nell'ultima settimana ero stato costretto a fermarmi a Verona per girare il nuovo video di “Credimi Ancora” e questo ovviamente aveva significato separarmi da Mika, per troppo tempo. Non era neanche stato programmato, dato che avevamo iniziato le riprese un po’ di tempo prima, ma c'erano stati alcuni problemi con il montaggio.
Appena sveglio, se potevo, gli mandavo un messaggio e la sera ci sentivamo per telefono. Non potevo resistere ancora per molto senza il suo sorriso, le sue labbra e la sua voce, che dal cellulare arrivava sempre così ovattata, cosa che disturbava in parte la sua bellezza e la sua dolcezza, che nonostante tutto riusciva straordinariamente a preservare. 
 
“Dobbiamo far vedere tutte le tue personalità, Marco. Tu sei il Re Matto, okay? Non c'è bisogno che ti immedesimi nella parte, perché tu sei così!” Mi incoraggiò Gaetano riportandomi alla realtà.
“Oh, sì. Certo.” Dissi distrattamente cominciando a torturarmi con le dita le labbra, sulle quali avrei tanto voluto sentire quelle di Michael.
“Tutto okay?” Mi chiese poggiando energicamente la sua mano sulla mi spalla, distogliendomi per l'ennesima volta dai miei pensieri. 
“Certo, certo.” Ripetei frettolosamente.
“Sicuro?” Insisté premurosamente.
“Sì, grazie.” Gli sorrisi riconoscente. “Allora da dove ricominciamo?” Domandai infine.
Volevo tornarmene a Roma. Volevo tornarmene il prima possibile a casa per stare con lui. Possibile che io debba iniziare a lavorare quando lui sta in vacanza? E che diamine.
“Mh, da ‘Sarò lupo e rondine per gli occhi tuoi’.” Disse osservando il foglio fra le sue mani.
“Okay.” Acconsentii mettendomi al centro dello studio.
“Forza. Non abbiamo molto tempo. Si gira!” Informò la troupe gridando nel megafono e sedendosi sulla sua sedia. Soltanto un altro giorno e lo riavrò fra le mie braccia. Mi feci cullare da quel meraviglioso pensiero, accompagnato dalla sue fossette, che non erano di certo da meno. Sentivo la gente dire che la distanza e la separazione momentanea aiutava il rapporto. Beh, poteva essere vero, ma fino ad un certo punto: io avevo bisogno di lui e se non fossi riuscito a rivederlo il prima possibile probabilmente sarei impazzito completamente. “Stop! Perfetta anche questa, Marco. Smontiamo tutto.” Tirai un sospiro di sollievo. Era finita anche quella giornata di riprese ed il giorno dopo finalmente sarei riuscito a riabbracciare Michael. Il giorno dopo? Pft, cor cazzo. Io parto adesso. Punto.
 
L’orario era perfetto. La sera così tardi non avrei trovato nessuno, o almeno pochissime persone. Annullai il volo del giorno successivo e comprai il primo biglietto del treno per Roma.
“Dove credi di andare?” Mi chiese Marta correndomi dietro in stazione.
“Torno a casa. Ho finito il mio lavoro per oggi, e voglio tornare a casa mia, okay?” Mi imposi girandomi per guardarla bene negli occhi, infuriato. Non mi può comandare.
Si fermò ad osservarmi per un po’ di tempo, fino a quando non strizzò leggermente gli occhi e si avvicinò sempre di più al mio viso, facendomi arretrare.
“Tu… oh, no. Non mi dire che c’è Mika a casa tua.”
“Senti, mi stai scocciando con questa storia.” Dissi riprendendo la mia falcata verso il treno.
“Non ti permetterò di buttare nel cesso questi due anni.” Mi bloccò rigirandomi bruscamente verso di lei.
“Ma la vuoi smettere? È la MIA vita.” E sottolineai ‘mia’ sfilando via il braccio dalla sua presa. Sì, cazzo, è mia e nessuno deve intromettersi nelle mie scelte.
“Ti stai per rovinare, Marco!” Mi urlò dietro, ma la ignorai entrando nel vagone, seguito da lei, che non fiatò più per tutto il viaggio.
 
 
Roma, Venerdì 25
 
 
Entrai in casa cercando di fare il meno rumore possibile, lasciando le valigie davanti alla porta, per non trascinarmele dietro e rischiare di svegliare Michael così tardi, ma vidi la luce della cucina accesa e la sua voce accompagnata da un’altra. Cris? Mi nascosi dietro la porta e vidi Mika che ascoltava attentamente le sue parole, che non riuscii neanche a sentire, incantato da tanta bellezza. In quel momento, avrei voluto urlare e saltare addosso ad entrambi e baciarlo con tutta la passione che avevo in corpo, repressa per troppo tempo. Lo vidi alzare leggermente la testa e vagare con gli occhi, finché non incontrò i miei. Gli sorrisi. Lui mi sorrise. Mostrò prima i suoi due adorabili incisivi, che ero stanco di vedere solo in foto, e poi, di conseguenza, le sue fossette, che incorniciavano ancora una volta quelle labbra perfette. Voglio vedere cosa fa. Rimanemmo semplicemente imbambolati a guardarci ed a perderci uno negli occhi dell’altro.
“E-ehi, Mika, mi stai ascoltando?” Chiese Cristie leggermente divertita dalla faccia che aveva assunto e si girò in direzione dei suoi occhi. “Marco!” Esclamò alzandosi ed abbracciando forte a sé. “Ah, mi sei mancato.”
“Anche tu.” Dissi ridendo, una volta che mi ebbe lasciato. “Ciao, amore.” Dissi incantandomi di nuovo guardandolo. Mi piace da morire chiamarlo in questo modo. Sì, perché lui è il mio amore.
“Oh, Marco.” Pochi passi e lo vidi avvolgere le sue braccia sul mio corpo ed alzarmi da terra per, poi, fare dei piccoli giri. “I love you.” Mi disse dandomi un bacio. “Te amo.” Un altro. “Ti amo!” Ed un altro. Ah, se sono in paradiso, non riportatemi indietro. Risi sulle sue labbra e presi il suo viso fra le mie mani, per metterle in contatto di nuovo con le mie. Come ho fatto a resistere per così tanto tempo senza di lui? Voglio entrare nel Guinness Dei Primati nella categoria “quanto tempo riesci a stare senza Michael Holbrook Penniman Jr.?” Cazzo, voglio un riconoscimento. Si sentiva che le nostre bocche erano avide una dell’altra, fin troppo. Anzi no, questo è il premio più bello.
Mi lasciò a terra e lo strinsi forte fra le mie braccia, assaporando al meglio quegli ultimi attimi.
“Okay, piccioncini, placatevi.” Intervenne Cris facendoci ridere. “Allora, com’è andato questo video?” Domandò dandomi un piccolo pugno amichevole sulla spalla.
“Bene, molto bene. Sono soddisfatto.”
“Non vedo l’ora di vederlo, allora!” Disse riavvicinandosi a noi ed affiancandosi a Mika, dandogli una piccola gomitata.
“Oh, yes.” Li guardai stranito. Adesso fanno squadra quei due?
“Che succede?” Chiesi tra il divertito e l’allarmato.
“Ci è una surprise para ti.” Italiano, inglese e spagnolo. Benissimo. Aspetta, che sorpresa?
“Ah, sì?” Sorrisi.
“Yeah! Doveva scoprire it subito dopo tornato, but visto che tu è qui…”
“Sì?” Ripetei ancora più eccitato di prima.
“Tomorrow vengano tuoi parents.” Il sorriso sfumò via, pian piano, dal mio viso.
“Che significa?” Chiesi confuso, e vidi anche il suo sorriso svanire, non vedendo una reazione positiva da parte mia.
“Che vengano. Tu no è felice?” Domandò deluso.
“I-io non lo so. Ma perché?”
“Como perché? Cris ha spiegato me quello che tu no ha voluto spiegarme quel giorno a X Factor, ricorda? This dopo che loro hanno chiamato qui.”
“E tu hai risposto?”
“S-sure, but solo perché insistevano tanto.” Si giustificò.
“È vero Marco, c’ero anch’io. Ci siamo visti in questi giorni, dato che era tutto solo con Melachi ed ovviamente non poteva uscire.” Intervenne lei.
“Oh, capisco.” Mi sedetti cercando di digerire ciò che avevo appena sentito.
“T-tu è arrabbiato?” Chiese timoroso Mika.
Ero pronto a rispondergli non proprio in modo educato, ma quando incontrai il suo viso, contratto in un’espressione non poco preoccupata ed impaurita, mentre si torturava le mani, non potei non fargli un piccolo sorriso.
“No.” Lo presi per mano ponendo fine a quello che stava facendo. “Non me l’aspettavo. Credevo mi avresti consultato prima, ma no.” Gli mostrai un altro sorriso.
“Scusame.” Disse abbassando il viso, dispiaciuto.
“No, Mika. Scusami tu. Era anche il momento, e come al solito tu riesci a rendere le cose più facili di quelle che sembrano.” Mi alzai per abbracciarlo meglio.  “Grazie anche a te, Cris.” Mi avvicinai a lei, senza mai staccarmi da lui, ed avvolgendola tra le mie braccia.
 
Ero nervoso. Troppo nervoso. Li avrei rivisti dopo anni e non sapevo cosa dire. Mika era lì sul divano, affianco a me, mentre muovevo disperatamente le gambe, mi accarezzava e mi stringeva a sé, nel tentativo di calmarmi. Sussultai sentendo il campanello, e lo strinsi ancora di più.
“Andiamo.” Disse sollevandomi di peso, continuando a stringermi.
“Mmh.” Si fermò prima di aprire la porta.
“Dai, Marcolino.” Mi incoraggiò Cristie.
“Don’t worry. I am here with you, okay?” Annuii tranquillizzandomi, sentendo le sue parole.
Mi prese per mano ed aprì, ma non trovammo i miei genitori fuori, ma bensì stranamente Marta, alla quale occhio cadde sulle nostre mani congiunte. Oh, no.
“Non posso crederci.” Sbuffò scocciata entrando in casa, separandoci.
“Che ci fai qui?” Dissi cercando di controllarmi.
“Volevo vedere cosa stavi combinando ed ovviamente ti ritrovo con questo qua.” Indicò con sguardo dispregiativo Mika, che abbassò la testa intimorito. Eh, no. Questo proprio no.
“Questo qua ha un nome e devi rispettarlo.” Digrignai i denti riprendendo e stringendo la mano di Michael, che tremava leggermente. Perché trema? La guardai per un attimo per, poi, riportare sorpreso e confuso gli occhi su di lui.
In quel momento, vidi mia madre sbucare da dietro Marta, accompagnata da mio padre.
“Marta!” Strinsi automaticamente ancora più forte la mano di Mika. Ah, bene. Saluta prima quella, che ha conosciuto appena qualche anno fa.
“Nadia! Maurizio!” Esclamò a sua volta col sorriso più falso che potesse mostrare.
Dopo che si raccontarono la loro vita e le loro conquiste professionali e non, certo, mia madre fece la domanda più scomoda che potesse fare.
“Ti fermi con noi?” Ma perché?
“S-se non crea disturbo.” Disse girandosi verso di me.
“Oh, forse hai del lavoro da fare…” Iniziai.
“No, no. Abbiamo finito per questa settimana.” E che cazzo.
“Bene! Marco.” Oh, si è accorta di me. Quale grande onore.
“C-ciao mà.” Strinsi ancora più forte la mano di Michael. “Papà.” E quella volta probabilmente gliela frantumai.
Sorrisero come risposta, ma quando il loro sguardo cadde sulle nostre mani, quel sorriso svanì. Tuttavia, non la lasciai affatto e lui neanche.
“Tu devi essere Michael.”
“Sì, signora. It’s a pleasure.”
“Anche per noi. Lui è mio marito, Maurizio.” Mio padre, dal canto suo, fece semplicemente un cenno col capo. Iniziamo bene.
 
“Mio figlio impazziva per te.” Disse mia madre per smorzare il silenzio che si era venuto a creare in tavola.
“Oh, really?” Chiese divertito girando la testa verso di me.
“G-già.” Balbettai. Credevo l’avesse già capito tempo fa, ma vabbé. Forse, lo fa per far contenta lei.
“Non ci vedo nulla di speciale.” Si intromise Marta, che fulminai con lo sguardo.
Avevo paura che mio padre aggiungesse qualcosa nei confronti di Michael, che già aveva abbassato la testa, imbarazzato. Posai una mano sulla sua gamba, sotto il tavolo, e gliela accarezzai delicatamente, cercando di tranquillizzarlo come lui aveva fatto poco prima con me.
“Smettila e chiedi scusa.” Le ordinai.
“Ma per piacere.” Disse strafottente.
“Allora, vattene.” Continuai arrabbiato.
“Marco!” Mi richiamò mia madre.
“Questo è il pranzo più falso che io abbia mai fatto! Ma che senso ha? Non stiamo chiarendo niente e sembra che voi mi stiate facendo un favore. Beh, non fatelo se non vi va. Non c’è problema!” Dissi a voce alta sbattendo sulla tavola le mani violentemente.
“M-Marco.” Tentò Mika di calmarmi inutilmente, posandomi una mano sulla spalla.
“No, Michael. Io li ho accolti qui, nella mia casa, cercando di controllarmi il più possibile ed è questo il trattamento che mi riservano?”
“Uh, se qui dobbiamo parlare di autocontrollo…” Intervenne mio padre.
“Cosa vorresti dire con questo?” Chiesi confuso.
“Sto sopportando di vedere mio figlio con un altro uomo. Mi sto controllando davvero tanto, fidati.” Lo guardai con disprezzo, mentre sentivo le lacrime appannarmi la vista, ma cercai di trattenerle. No, non sono cambiati per niente.
“Beh, potete andarvene. Non sarò di certo io a fermarvi.” Dissi alzandomi seguito da Mika, che vidi scomparire a testa bassa nel buio del corridoio, poco dopo aver sentito la porta di casa sbattere violentemente. Oh, che liberazione. Se ne sono andati.
“Evita di essere così maleducata con Mika. È un bravo ragazzo e ci tiene davvero a Marco.” Mi bloccai di fianco alla porta sentendo la voce di Cristie, prima di entrare in cucina.
“Io faccio ciò che è meglio per lui, quindi non ti immischiare.” Disse acida Marta.
“No. Tu fai ciò che ritieni migliore per la sua carriera, non per la sua vita.” Ribatté Cris. Ah, è fantastica.
“La sua vita è la musica.” 
“Questa è la cazzata più grande che potessi sparare. Fattelo dire.” 
“Non sono qui per perdere tempo con te.” 
“Molto divertente. Tu perderesti tempo con me? Sono io qui a perdere del tempo a cercare di far entrare in quella tua piccola testolina bacata che Marco con quel ragazzo è felice ed è libero di fare le sue scelte. Ah, e perché poi effettivamente sei qui?” La vidi avvicinarsi minacciosa a Marta. 
Okay, era credibile, anche se non era di certo altissima e robusta, anzi, mentre Marta era alta ed anche abbastanza imponente e più forte di quello che poteva dimostrare. Così, per evitare qualsiasi tipo di problema, decisi di entrare in cucina facendo finta di niente. 
“Ehi.” Dissi aprendo il frigorifero e prendendo una bottiglia d'acqua.
“C'era già la brocca in tavola, mi sembra.” Disse scocciata la mia manager.
“Sì, ma volevo quella frizzante.” Risposi, a mia volta scocciato, agitandogliela davanti. “Vieni Cris?” 
“Certo.” Disse prendendomi il braccio, che le porsi, e ci dirigemmo in sala da pranzo, seguiti dall’altra. 
“Grazie.” Le sussurrai all'orecchio cercando di non farmi sentire, ricevendo in risposta uno dei suoi sorrisi timidi. 
Sentii finalmente sbattere nuovamente la porta. Se ne era andata anche quella. Ah, completa libertà. Daje.
“Ma Mika?” Mi chiese risedendosi. Già, Mika
“Forse sta in bagno, ma è passato un po’ troppo tempo.” Affermai guardando l'orologio. “Scusami.” Mi allontanai, per controllare che andasse tutto bene. “Mika.” Lo chiamai dando due colpetti alla porta, senza ricevere alcuna risposta. “Michael.” Ritentai inutilmente. Così, decisi di entrare ma non trovandocelo dentro, sentii l'ansia invadere il mio corpo. Vagai per il corridoio aprendo le altre porte, cercandolo. Finalmente riuscii a trovarlo nel mio studio. Era seduto sullo sgabello. Aveva la testa bassa e gli occhi fissi sulle sue mani, che toccavano i tasti del pianoforte, senza realmente suonarlo. “Michael.” Mi avvicinai a lui preoccupato e gli poggiai delicatamente una mano sulla spalla, facendolo sussultare leggermente ed alzare la testa. Vidi i suoi occhi lucidi e rossi, così come il suo naso. A quella vista, sentii il mio cuore frantumarsi, e mi inginocchiai di fianco a lui prendendogli il viso fra le mani, sentendo poi le sue guance umide. “Amore, che succede?” Gli domandai tirandolo a me ed avvolgendolo fra le mie braccia. Domanda stupida, però. Chiusi gli occhi rendendomi conto delle parole appena pronunciate e cominciai ad accarezzargli delicatamente i capelli.
“Scusami.” Disse con voce tremante. 
“Ma che dici.” Si lasciò cullare da me, mentre sentivo il suo corpo scosso da leggeri spasmi dovuti ai singhiozzi e dai respiri profondi che cercava di fare. “E poi, sono solo degli stronzi, okay? Tutti e tre. Non sanno cosa dicono, però a te non deve assolutamente importare, perché ti amo, chiaro? Perché noi ci amiamo.” Cercai il suo sguardo e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. Annuì incerto e mi sembrò così tanto un cucciolo smarrito in quel momento. Mi sentii tremendamente in colpa. “Lo sai che c'è il tiramisù?” Dissi dandogli dei piccoli colpetti col gomito facendo una delle facce più stupide che potessi fare, cercando di leccarmi il naso e rivolgendo gli occhi in alto. Finalmente, infatti, lo vidi sorridere e trattenere una risatina mordicchiandosi il labbro inferiore. “Guarda che se non torniamo, Cris lo finisce.” Mi avvicinai a lui provocandolo. 
“Mh. Okay.” Sussurrò mantenendo la testa bassa.
“Bene!” Esclamai alzandomi e porgendogli la mano, che però prese per ritirarmi a sé, subito dopo.
“Wait. I wanna kiss you.” Disse a pochi centimetri dal mio viso ed unì le nostre labbra in un bacio, che sapeva di libertà. Si alzò, poi, continuando a tenermi per mano. “Aspeta. Non è come altra volta, right?” Chiese fermandosi sullo stipite della porta.
“Tranquillo, mi ha aiutato Cris.” 
“Oh, good. I will survive!” Canticchiò e non riuscii a trattenere una piccola risata.
“Ti ho già chiesto scusa!” Dissi assumendo un'espressione da cane bastonato.
“My little combina guai.” Mi scompigliò i capelli soffermandosi sul mio ciuffo e dandomi un altro piccolo bacio, prima di tornare in sala.
Non avevo bisogno di mia madre o di mio padre o di Marta per essere felice. Mi bastavano lui e Cristie per esserlo e non avrei mai potuto chiedere di meglio.


#MyWor(l)d


Saaalve! :3 
Allora, che dire, questo capitolo è un po' più lungo e non succede quasi niente, è un po' noioso, lo so. Ma c'è un piccolo motivo: non so se domani potrò aggiornare e sono stata molto frettolosa. Scusatemi. 
Scusate anche se non risponderò subito alle recensioni del capitolo precedente, ma devo scappare e volevo aggiornare oggi. 
Cavolo, stavo pensando: quasi 100 recensioni. Cioè 100 fottutissime recensioni?! Io non so davvero come ringraziarvi! <3 E non solo per questo, ma anche per tutte le visualizzazioni e per chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite. Aw, basta. Vi adoro <3 
A presto!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 20
*** 2011 pt.2 ***


Roma, Sabato  26 Febbraio 2011
 
 
Fui svegliato, nel cuore della notte, da dei leggeri movimenti del letto a da alcuni lamenti, che provenivano dalla mia sinistra. Mika. Mi alzai di scatto col busto, per vedere cosa stesse succedendo. Grazie alla luce della luna, che filtrava dalla finestra, riuscii a notate che era leggermente sudato, mentre continuava a muovere la testa a scatti da una parte all'altra, come a voler scacciare via alcuni brutti pensieri, e farfugliava qualcosa di difficile comprensione e delle frasi sconnesse. Mi avvicinai a lui preoccupato muovendolo delicatamente per una spalla, nel tentativo di svegliarlo.
“Mika, ehi.” Continuai, senza ricevere alcuna risposta. 
“M-Marco... Andy... career... Marta... love...” Lo guardai per un attimo stranito distinguendo le altre persone e quei nomi. “Don't touch him!” Disse a voce un po’ più alta. 
Allora, mi posizionai a cavalcioni su di lui cercando di fermare quei movimenti bruschi, che aveva iniziato a fare. 
“Mika.” Lo richiamami portando le mie mani sulle sue guance, anch'esse umide. Non capivo se stesse piangendo o meno, sinceramente, ma stavo cominciando seriamente a preoccuparmi. Non riuscivo a capire cosa gli stesse accadendo e cosa stesse sognando. Non aveva mai fatto così prima d'allora. Non sapevo neanche avesse mai fatto altri incubi, quando aveva dormito con me. “Michael.” Ritentai alzando leggermente la voce e scuotendolo per le spalle.
“N-no... don't do that, ple... please.” Posò le sue mani sul mio petto e cominciò ad allontanarmi, come se qualcuno nel sogno gli stesse davvero facendo del male. 
“Mika!” Esclamai ancora più ad alta voce, quella volta, scuotendolo ancora più forte. O questo o uno schiaffo. 
“Please!” Urlò spalancando gli occhi ed alzandosi col busto per avvolgermi fra le sue braccia terrorizzato, respirando affannosamente.
“È tutto finito. Era solo un incubo.” Lo rassicurai cominciando ad accarezzargli i capelli, anch'essi leggermente bagnati, e cullandolo dolcemente. 
“B-but, it was so real.” Iniziò a singhiozzare ed io cominciai a stringerlo il più possibile a me, cercando di controllare il suo corpo scosso dagli spasmi. 
“Era solo un brutto sogno.” Gli sussurrai dolcemente all'orecchio. Cominciò a farfugliare qualcos’altro a bassa voce, che non riuscii a capire. “Cosa?” Domandai dopo che ebbe finito.
“No me lasciare.” Disse semplicemente affondando il suo viso nell'incavo del mio collo.
“Oh, amore. Come ti vengono in mente certe cose. Non succederà mai.” Lo rassicurai e lo sentii sospirare profondamente nel tentativo di far tornare il respiro, fino a quel momento accelerato, regolare. Mi staccai leggermente da lui, per cercare di guardarlo meglio negli occhi, smarriti e privi, un'altra volta, di quella luce che tanto li caratterizzava. “Va meglio?” Gli chiesi accarezzandogli con una mano la guancia e con l'altra la fronte, scostando le ciocche bagnate che vi cadevano. Annuì abbassando la testa, come se avesse paura di qualsiasi cosa io potessi dirgli. “Ehi.” Tentai di richiamare la sua attenzione. “Ti va di raccontarmi?” Domandai avvicinandomi al suo viso e asciugandogli con i palmi le guance. 
“Mmh.” Mugugnò riabbassando la testa e muovendola leggermente a destra e sinistra. 
“Ti sentiresti meglio.” Cercai di convincerlo, inutilmente però. Continuava a sviare il mio sguardo ed a torturarsi le mani nervosamente. “Amore.” Lo vidi alzare lentamente la testa per, poi però, vedere il suo labbro inferiore tremare leggermente. Sospirai stringendolo di nuovo fra le mie braccia. 
Sentivo un tale peso al petto non riuscendo a capire cosa lo spaventasse in quel modo e lo facesse stare così male. Volevo capirne di più ed aiutarlo, ma non sembrava volermelo lasciare fare. Mi resi conto che effettivamente, nonostante volesse da sempre far credere di essere quello più forte fra i due, era estremamente fragile in certi momenti. Non lo avevo visto spesso piangere, ma negli ultimi tempi aveva cominciato a farlo più di frequente, e non riuscivo a capire il perché. Era talmente ostinato a voler aiutare ed a far sfogare me, che non ne voleva sapere di farmelo fare con lui. Anche se era più grande, questo non significava che io dovessi essere il bambino di cui prendersi cura, e lui il padre premuroso. 
Poggiai il mento sulla sua spalla per, poi, lasciargli dei piccoli baci sul collo. Era un gesto che pensavo potesse calmarlo, almeno un pochino.
“Ha sognato Andrew e Marta.” Esordì improvvisamente senza staccarsi da me. “Loro son venuti qui con altri people che non conosce e minacciato us. They wanted to hurt you.” Continuò stringendomi forte. Come può aver fatto un incubo del genere? Possibile sia rimasto turbato a tal punto dall'incontro di ieri?
“Non devi preoccuparti. Non succederà niente, né a te né a me, okay? Era solo un brutto sogno.” Lo sentii annuire sulla mia spalla, mentre continuavo a cullarlo. 
“I don't wanna lose you, Marco.” Chiusi gli occhi sentendo, di nuovo, quella frase.
“Non accadrà.” Tentai di rassicurarlo, ancora. “Ti amo.” Gli dissi staccandomi da lui, per guardarlo negli occhi, che sembravano essere un po’ più tranquilli.
Finalmente mi fece un piccolo sorriso, e, solo in quel momento, riuscii realmente a rilassarmi. Mi prese le mani e mi tirò delicatamente a sé, unendo le sue labbra alle mie. Fu un bacio dolce e delicato, semplice ed innocente. Uno di quelli che solo lui nell'intero Universo poteva dare. Poco dopo, riavvolse, di nuovo, il mio corpo fra le sue braccia e poggiò ancora il suo viso sulla mia spalla.
“Crazie.” Sussurrò facendomi sorridere, e lo strinsi, a mia volta.
Non avrei saputo quantificare i minuti che passammo in quella posizione, e nonostante non fosse esattamente una delle più comode, sarei potuto rimanere il quel modo per anni. Quando però lo sentii allentare la presa dai miei fianchi e respirare un po’ più rumorosamente, mi distesi leggermente accompagnandolo fino a farlo sdraiare e poggiare la testa sul cuscino, facendo attenzione a non svegliarlo. Rimasi ad osservare il suo viso angelico, con un'espressione di certo più rilassata di quella di prima. Gli lasciai un bacio sulla fronte, ormai asciutta, e gli sistemai le coperte per, poi, sollevarmi e sdraiarmi al suo fianco. Avvolsi la sua vita con un braccio e mi avvicinai un po’ di più, cercando di vegliare sui suoi sogni.
 
Non svegliai Mika quella mattina. Se aveva bisogno di dormire, era giusto che riposasse. Non mi sembrò essersi svegliato altre volte, durante la notte. Ogni tanto, riaprivo gli occhi per controllare che andasse tutto bene, e per fortuna non si agitò neanche una volta. 
Ne approfittai per fare la spesa e portare Melachi a fare una passeggiatina, coprendomi bene, nel tentativo di non essere riconosciuto. Tuttavia, fui fermato qualche volta da alcuni fan assolutamente adorabili e gentilissimi e, nonostante non volessi che Michael si svegliasse senza di me a casa, mi divertii a chiacchierare con loro. 
Quando riuscii a tornare, però mi si bloccò il respiro trovando mia madre fuori dalla porta. Ma che ci fa qui?
“M-mamma.” Dissi facendola girare di scatto.
“Marco. Ho provato a suonare un paio di volte, ma non mi ha aperto nessuno.” E allora? “Non c'è Mika?” Ah, ecco perché è venuta.
“Sta dormendo.” Risposi prendendo le chiavi. 
“Ah, ma è tardi.” Affermò guardando l'orologio. Perspicace. 
“Non ha dormito molto stanotte.” Cercai di risultare distaccato entrando in casa.
“Oh, come mai?” Domandò ancora seguendomi fino in cucina.
“Non è stato bene.” Continuai. 
“Mi spiace.” 
“Anche a me, ma basterà un po’ di riposo.” 
“Già...” 
“Che sei venuta a fare?” Chiesi, senza troppe cerimonie, ricevendo in risposta uno sguardo deluso da parte sua. 
“Volevo scusarmi, non solo per ieri, Marco, ma anche per tutti questi anni. Sei mio figlio e non voglio che pensi che io non ti abbia mai pensato. Io ti ho sempre seguito, anche ad alcuni dei tuoi concerti.” Cominciò a spiegare muovendosi nervosamente per la stanza.
“Davvero?” Le chiesi sorpreso.
“Certo.” Si avvicinò a me, ma non indietreggiai. “Ti sei fatto così ometto.” Disse accarezzandomi la guancia con un dito. “Il mio bambino.” Chiusi gli occhi sentendola pronunciare quelle parole con voce tremante. Non mi sentivo chiamare così da troppo tempo. “Sono orgogliosa di te.” Mi tirò a sé e mi abbracciò, e non riuscii a non risponderle stringendola, a mia volta. 
“Marco, amore, where are you?” Sentii la voce di Mika provenire dal corridoio, e mi staccai lentamente da mia madre. “Oh, sorry.” Disse in imbarazzo.
“Michael, come ti senti?” Chiese premurosa mia madre sorridendogli.
“Bene, crazie, e lei signora?” Sembrava in leggero imbarazzo. 
“Bene, ma dammi del tu, per favore.”
“O-okay.” Balbettò confuso avvicinandosi a me. 
Lo presi per mano, senza timore, e gli sorrisi per tranquillizzarlo un pochino, e lui mi rispose mostrando timidamente i suoi incisivi e le sue fossette. Vidi con la coda dell’occhio, mia madre che ci guardava un po’ intenerita. Almeno, questa fu l’impressione che mi diede, anche perché da una parte ero rimasto incantato dagli occhi di Michael.
 
“Da piccolo si è vestito da matita a carnevale.” Disse mia madre sorseggiando il suo thé, facendo ridere Mika come un pazzo.
“Oh, I can’t believe it.” Continuava a ridere, ed io lo fulminai con lo sguardo. “Come on, scometo che tu era adorable.” Mi accarezzò il mento dolcemente.
“Veramente siete stati voi ad avermi vestito in quel modo.” Lo ignorai rivolgendomi di nuovo a lei.
“Mh, aveva anche gli occhialetti, sai, Michael.” Lui, intanto, se la rideva a crepapelle, e sembrava gli avessero raccontato la barzelletta più divertente del mondo. Questa me la paga. “Era un amore.”
“Ci crede, ci crede.” Disse rosso come un peperone.
“È stato anche eletto sindaco del proprio paese.”
“Oh, God, I can’t take it anymore.” Continuò a ridere come un matto buttando la testa sulla mia spalla, mentre io lo guardavo più serio che mai. “Posso morire felice.” Aggiunse abbracciandomi.
“Mh, da quando parli così bene l’italiano?” Lo provocai con un finto ghigno maligno.
“Ehi! Tu è mio insegnante, quindi it’s your fault se io non parla poi così bene.”
“Pft, certo. Oppure, sei tu ad essere pigro.” Smise di ridere e mi guardò anche più serio che mai, poi strizzò gli occhi facendo comparire sul suo viso un sorrisetto malefico, che non presagiva niente di buono.
“Beh, meglio che io vada.” Disse improvvisamente mia madre alzandosi dalla poltrona.
“No, resti.” Oh, che bastardo che è, vuole sapere altre cose imbarazzanti. Me la paga, giuro che me la paga.
“Oh, grazie, Michael, ma devo proprio andare. Si è fatto tardi.” Lo abbracciò e l’accompagnai verso la porta.
“Ehm, allora, grazie.” Le dissi in imbarazzo.
“Sei felice?” Mi domandò fermandosi un attimo.
“Molto.” Risposi sicuro guardando Mika, che prendeva il vassoio dal comodino.
“Bene.” Sussurrò lasciandomi un bacio sulla fronte per, poi, andarsene.
Era strano quello che era appena accaduto. Io, Michael e mia madre a parlare in salone con una tazza di thé, dopo quello che è successo? Sorrisi tra me e me e raggiunsi quell’infame in cucina. Appena mi vide comparire, mi guardò e scoppiò a ridere. È bello stronzo, ma la sua risata è così fottutamente perfetta e troppo difficile da descrivere in altri termini.
“Ti sta imaginando tuto giallo con una goma rosa sotto e la mina sopra.” Spalancai la bocca scandalizzato.
“Come ti permetti?!” Mi avvicinai a lui, che non ne voleva sapere di smettere di ridere, facendolo indietreggiare e sbattere contro il lavandino. “E poi, il costume era al contrario.” Dissi incrociando le braccia al petto e facendo la faccia leggermente imbronciata. Lo sentii ridere ancora più forte, così lo spinsi bruscamente facendogli sbattere la testa contro le ante. Quella volta, fui io a ridere vedendo il suo viso, contratto in un’espressione che vagava tra il dolore o lo scandalo. “Così impari a ridere di me.”
“Oh, really?” Domandò spavaldo massaggiandosi la nuca.
“Really.” Soffiai a pochi centimetri dalle sue labbra, che cercò di avvicinare alle mie, ma prontamente le allontanai. Spalancò gli occhi e mi fissò, per un tempo indeterminabile, in silenzio per, poi, avvolgere improvvisamente le sue braccia sui miei fianchi sollevandomi, facendomi cacciare un urlo, ed iniziò a camminare velocemente verso la camera da letto, sul quale mi buttò senza molta cura. “Brut…” Tentai di parlare ma mi azzittì riappropriandosi delle mie labbra. Cercai di opporre resistenza, in un primo momento, allontanandolo anche con le mani, che però bloccò e portò sul materasso, sopra la mia testa. Allora, tentai di tenere serrata la mia bocca, ma ne morse il labbro inferiore, riuscendo ad intrufolarsi con la sua lingua. Oh, ma chissene frega. Sfilai le mie mani dalla sua presa e le portai sulle sue guance, per avvicinarlo un po’ di più a me. Lo sentii sorridere soddisfatto mentre continuava ad assaporarmi ed esplorarmi.
“Matita.” Disse improvvisamente staccandosi da me e ricominciando a ridere. Ma che cazzarola… come se fosse chissà che cosa.
“Non posso credere che tu abbia rovinato un momento del genere per prendermi in giro.” Lo spinsi via facendolo cadere al mio fianco.
“Oh, boy, you’re amazing.” Mi sorrise dopo essersi riuscito a controllare. Feci un piccolo sorriso, nel tentativo di non farmi vedere, guardando il soffitto. Si accoccolò sul mio petto e prese a giocare con le mie dita. “Ti veste per me da matita, please?” Scoppiai anche io in una fragorosa risata accompagnato, poi, da lui. “Ti amo.” Si riportò sulle mie labbra ridendoci sopra. Anch’io.


#MyWor(l)d


Saaalve! C:
Come state? Spero bene! 
Allora, boh, che dire, mi è venuto fuori così questo capitolo, tra l'altro è vero del costume da matita xD L'avete vista l'intervista di Marco, del 2011 appunto, a QueenSize? Io sinceramente sono morta dalle risate xD 
Cooomunque, stavo pensando: 20 capitoli, puah, ed io che avevo detto che dovevano essere 15 ._." Sì, vi sto rompendo un po' i maroni, pardon.
Scusate ancora, se non rispondo subito alle recensioni dei due capitolo precedenti, ma devo scappare! D: Risponderò il prima possibile, promesso! E scusate se troverete errori, ma non l'ho neanche riletto, perché sono maledettamente in ritardo! D:


Grazie, come al solito, a tutte voi! <3 Vi amo <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 21
*** 2011 pt.3 ***


Roma, Lunedì 8 Marzo 2011
 
 
Poco dopo l’incontro con mia madre, Michael era stato costretto ad andare a Londra per qualche giorno, ma da quando era tornato aveva assunto un comportamento ancora più strano di quello di prima. A parte il fatto che si stava lasciando andare un po’ di più a dei pianti, cosa forse in parte positiva, stava diventando sempre più freddo, ed anche quasi terrorizzato da qualunque cosa accadesse attorno a noi, ma oggi…
Rimasi ad aspettarlo, per parlare un po’, guardando il soffitto portando le braccia sotto la testa, per sollevarmi leggermente ed avere una visione di insieme migliore della stanza, mentre aspettavo che Mika si infilasse sotto le coperte con me. Ero stato praticamente tutto il giorno nello studio a scrivere e comporre, ed effettivamente l’avevo un po’ trascurato, e sembrava, ancora più, giù di corda. Appena sarebbe arrivato, mi sarei scusato. Almeno, quello era ciò che volevo fare. Portai il mio sguardo su di lui, quando lo vidi entrare, con la coda dell’occhio. Gli sorrisi dolcemente, ma lui mi rispose facendo uno dei suoi sorrisi forzati per, poi, asciugarsi il viso con il colletto del pigiama. Ma che ha. Sospirai e mi misi a sedere osservando i suoi movimenti meccanici. Continuai così, fino a quando si portò lentamente sul letto, sembrando quasi in difficoltà, e si sdraiò dandomi le spalle. Ero confuso. Dovevo farmi perdonare, ma sussultò leggermente, quando poggiai una mano sul suo fianco.
“Michael, amore, è tutto okay?” Gli domandai incerto rompendo il silenzio.
“Sure.” Disse senza girarsi. Certo.
“A me non sembra.” Continuai accarezzandogli la schiena, ma, quando lo sentii muoversi leggermente, quasi infastidito, sotto il mio tocco, mi fermai.  “Senti, mi dispiace per oggi, ma ho dovuto buttare, per forza, giù qualche idea per il disco. Dobbiamo ultimarlo entro settembre, capisci?” Tentai, senza ricevere alcuna risposta, se non un altro piccolo movimento meccanico, quasi impercettibile, della testa. “Andiamo.” Avvolsi i suoi fianchi con le mie mani e lo abbracciai da dietro, sentendolo poi quasi tremare. Allentai la presa e mi sollevai, per lasciargli semplicemente qualche bacio sul collo, ma, non vedendo alcuna reazione da lui, mi staccai e lo guardai: teneva gli occhi bassi e muoveva nervosamente le dita sul materasso. “Michael.” Lo richiamai girandogli il viso delicatamente verso di me, per vedere meglio i suoi occhi. “Scusami.” Ripetei dispiaciuto. Mi prese la mano e la cominciò ad accarezzare sorridendo, senza però mostrare i suoi incisivi, che tanto amavo.
“It’s okay. Good night.” Disse semplicemente sistemandosi meglio e chiudendo gli occhi.
“Buona notte.” Dissi, a mia volta, deluso spegnendo la luce.
Era così dannatamente strano quel giorno. Mi sentivo male ripensando a quello che era successo pochi attimi prima. Non ha senso. È vero, sei stato uno stronzo a lasciarlo solo per tutte quelle ore, però… Oh, uffa, mi farò perdonare domani. Ma avevo sbagliato così tanto? Mah.  Buttai un occhio su di lui, un’ultima volta, e cercai di dormire, senza realmente riuscirci.
  

Martedì, 16 Marzo
 
 
Okay, in questi lunghi, e fottutissimi, giorni, è sempre più strano. Non si fa toccare e mi sembra così distaccato. Continuai ad osservarlo mentre dormiva. Però, nonostante tutto quello che era successo, come al solito era adorabile con i suoi capelli arruffati, gli occhioni chiusi e le labbra schiuse, che facevano intravedere i suoi dentoni. Sì, non mi stancherò mai di chiamarli così. Non avrei saputo dire esattamente perché mi avessero preso così tanto, sinceramente. Forse per l’aspetto ancora più bambino che gli davano. O forse perché quando sorrideva erano la prima cosa che mostrava. O ancora, forse perché riuscivano a fargli fare certe faccine incredibilmente divertenti. Non lo so, ma che importa? È perfetto così. Gli scostai con un dito delicatamente un ciuffo, che gli cadeva sul naso. Potrebbe dargli fastidio. La mattina, spesso, cercavo di svegliarmi presto, o comunque prima di lui, per guardarlo dormire. Anche se negli ultimi giorni, sinceramente avevo un po’ paura che potesse fare altri incubi, ma per fortuna non fu più così, se non si contava qualche lamento o frase strana. Di solito, non solo durante la giornata, era sicuro sarebbe stato un maledettissimo innocente orsacchiotto pestifero e combina guai, ma continuava ad esserlo anche durante la notte. Guardarlo per me, non era solo un meraviglioso spettacolo, ma anche una tentazione continua a svegliarlo improvvisamente, sussurragli che lo amavo, rimpossessarmi di quelle labbra a forma di cuoricino e, perché no, farci l’amore. Soprattutto, perché in quelle ultime settimane non si era fatto amare in quel modo. Sviava sempre un po’, e non riuscivo a capirne il motivo, ma cercai di non farglielo pesare più di tanto. Tuttavia, ero deluso e disorientato dal suo comportamento ed il suo cambiamento improvviso.
Solo quando si mosse leggermente, abbracciando il cuscino ed assumendo poi un’espressione imbronciata, schiacciando la guancia contro esso, fui riportato alla realtà. Sospirai incantato, ancora una volta, scacciando via quei pensieri. Lo vidi muoversi lentamente verso di me e posare pesantemente il suo braccio sul mio fianco per, poi, tirarmi a sé, riservando al mio collo lo stesso trattamento, avuto poco prima dal cuscino: vi poggiò il suo viso solleticandolo con i riccioli, che mi preoccupai di sistemare ed accarezzare. Vorrei fermare il tempo. Vorrei non dover partire tra pochi giorni, separandomi ancora una volta da lui. Gli accarezzai con il tocco delicato di uno dito il braccio, stranamente coperto. Non gli piaceva dormire senza maglietta, per carità, ma usava di solito una canottiera, invece quella volta ce l’aveva a maniche lunghe. Effettivamente, è un po’ che dorme così. Strano. Gli presi la mano e cominciai a giocherellare lentamente con le sue dita, ma osservandole bene vidi qualcosa di rosso sotto le unghie e dei graffietti appena accennati, a cui non avevo mai fatto caso sinceramente. Strano. Rimasi ad osservarlo attonito e preoccupato. Gliela accarezzai lentamente e vidi il suo viso assumere un’espressione infastidita. La maglietta. Sgattaiolai velocemente da sotto di lui mettendomi sulle ginocchia e lo scoprii leggermente, il giusto per alzarla e controllare una cosa. Nelle ultime settimane non si lascia abbracciare molto e se ci provo sussulta sempre. Forse però non avrei dovuto farlo. Mi si bloccò il respiro vedendo ciò che aveva nascosto per tutto quel tempo. E lì, tutti i miei dubbi trovarono un loro perché, anche se sarebbe stato meglio non scoprirlo, da un lato. Aveva un segno, abbastanza esteso, giallognolo verdognolo, e sapevo troppo bene di cosa si trattasse. Lo continuai ad osservare e, poi, spostai il mio sguardo su di lui, che continuava a dormire beato.
“Mika.” Cominciai a scuoterlo per un braccio, nel tentativo di svegliarlo, dopo avergli riabbassato la maglietta. “Mika, avanti, svegliati.” Continuai, senza avere grossi risultati. “Michael!” Alzai la voce per, poi, vederlo contrarre il viso chiudendo di più gli occhi.
“Mmh…” Si lamentò girandosi. Eh, no. Mi portai anche io, allora, dall’altra parte.
“Mika, forza, svegliati.” Ricominciai a muoverlo, più bruscamente.
“Mh, oh, come on, Marco. What are you doing? Stop it.” Mi disse assonnato portando il cuscino sopra la testa, che mi occupai di levare subito. “Ma che te prende?” Aveva un’espressione confusa e disorientata, mentre io lo guardavo con sguardo estremamente serio. “Ti senta bene?” Chiese poggiando le mani sul materasso e tirandosi su.
“Non lo so, dimmelo tu.” Continuai ad osservarlo in modo grave.
“Che ha fatto?” Si stropicciò gli occhi, ma poco dopo gli presi il braccio e gli mostrai ciò che io avevo visto, poco prima.
Mi guardò con espressione sorpresa, di chi sa di essere stato beccato in fragrante.
“Cosa sono questi, Michael?” Gli chiesi con tono gelido.
“I-I Me… yes, Mel!” Esclamò improvvisamente, in modo altamente poco credibile.
“Pensi che sia stupido?!” Gli domandai alzandogli la maglietta per, poi, allontanarmi da lui. Forse se non avessi visto quel livido e gli altri segni, ci sarei cascato, ma pensandoci bene Mel è troppo buona per fare una cosa del genere. Lo osservai in silenzio cercando di capire e carpire qualcosa dai suoi occhi, che sembravano così smarriti, in quel momento. Quando però li vidi diventare lucidi e riempirsi di lacrime lentamente ed il suo labbro cominciare a tremolare velocemente, mi riavvicinai a lui ed avvolsi le mie braccia al suo collo. “Scusami.” Sussurrai stringendolo a me. Lo sentii respirare rumorosamente sulla mia spalla e stringermi a sua volta. Chiusi gli occhi cercando di capire cosa stesse succedendo, ma niente. Non volevo arrabbiarmi con lui, né tanto meno turbarlo in qualche modo. “Che è successo?” Soffiai sul suo collo con voce quasi rotta. Sentivo che sarei potuto crollare da un momento all’altro, ma non volevo e non dovevo farlo, semplicemente per lui. Mi staccai e vidi il suo naso leggermente arrossato e le sue guance rigate dalle lacrime, che mi preoccupai di asciugare con i palmi mettendomi a sedere accanto a lui. “Allora?” Non rispose. Abbassò semplicemente il viso tirando su col naso e prendendo la mia mano.
Forse avevo capito il perché di quell’incubo e di quel suo comportamento strano e, spesso, disorientato e distaccato, ma non volevo crederci. Era assurdo, completamente assurdo. Qualcosa dentro di lui si era spezzato. Sicurezze, in parte la sincerità, tutto… spezzato.
“It was an accident.” Disse a bassa voce, dopo un po’.
“Di che genere?” Lo incitai a continuare senza staccare i miei occhi dal suo corpo. Volevo capirci qualcosa, ma sembrava solo impaurito, mentre guardava un punto fisso sul materasso senza dire niente. Non c’era niente da fare: mai come in quegli attimi sembrava un bambino distrutto dal dolore, ma incapace di esternare e spiegare ciò che provava a parole. Era così che me lo ero sempre immaginato alle prese con dei bulli, e così era in quel momento. L’unica differenza era che io non ero uno di quegli animali, ero il suo ragazzo, e non capivo perché si ostinasse, ancora una volta, a tenersi tutto dentro. “Mika, non posso aiutarti se non mi dici che succede." Rimase in silenzio. "Che è successo a Londra?” Mi avvicinai a lui prendendogli anche l’altra mano, cercando il suo sguardo.
“Listen,” Finalmente riuscii ad incontrare i suoi occhi. “this is my problem, not yours, okay?” Lo guardai con espressione tra il confuso e l’arrabbiato. Come può dire una cosa del genere?
“I tuoi problemi sono anche miei.” Dissi serio.
“Se sistemerà tuto, Marco.” Abbassò di nuovo la testa. Neanche lui ne è convinto.
“Che ti succede negli ultimi tempi.” Era più un affermazione che una domanda, però non ricevetti risposta, e lì, esplosi davvero di rabbia, che continuava a ribollirmi dentro. “Che cazzo succede?!” Urlai alzandomi dal letto, sotto i suoi occhi smarriti. “Me lo devi dire, Michael. Sono il tuo ragazzo, me lo devi.” Dissi, quando ormai le lacrime scendevano copiose sul mio viso. Mi osservava con espressione come per dirmi di rassegnarmi e che non me l’avrebbe mai detto. Si avvicinò a me, mi avvolse con le sue braccia ed io mi aggrappai al suo pigiama poggiando la testa sul suo petto, nel quale riuscii a sentire il suo cuore battere all’impazzata. “Dimmelo, ti prego.” Lo supplicai. Sentivo un tale peso dentro di me, un tale dolore, che era lo stesso che stava provando lui.
“Marco, io ti deve protegere.” Che significa? Alzai la testa rincontrando i suoi occhi, e mi fece un sorriso forzato ed amaro.
“Non puoi dirmi una cosa del genere e pretendere di non dirmi niente.”
“Io ti amo.” Sta sviando.
“A-anch’io ti amo, ma non cambia niente questo. Dimmi, c’entra qualcosa con quell’incubo?” Tentai per, poi, vedere quel finto sorriso tramutarsi in una vera smorfia sofferta. Oh, no. “C’entra qualcosa Marta?” Gli domandai titubante e lo vidi chiudere gli occhi ed una lacrima ricomparire sulla sua guancia, ancora umida.
“Marco, io ti deve lasciare.” Cosa?
“Cosa?” Mi staccai rapidamente da lui, che indietreggiò e si buttò di peso sul letto. “Che cosa vuoi dire?” Ritentai facendo finta di non aver capito. Non può averlo detto sul serio.
“Io crede sarebbe melio così.” Continuò poggiando le braccia sulle ginocchia, ed affondandoci la testa.
“Ma che… Michael, qualche settimana fa eravamo in quel letto e mi supplicavi di non lasciarti, ed ora lo fai tu?!” Gli domandai incredulo per, poi, vederlo stringere gli occhi e muovere la testa da una parte all’altra, come quella notte, come se avesse voluto svuotare la testa completamente, da ogni pensiero. “Mika.” Lo richiamai avvicinandomi ed inginocchiandomi davanti a lui. “Non c’è bisogno di fare una cosa del genere, okay? Basterà dirmi cosa è successo.” Cercai i suoi occhi, che però non ne volevano sapere di incontrare i miei. Allungai la mano verso il suo viso, ma quando vi entrai in contatto la scansò con un leggero movimento. “Adesso basta. Non fare il bambino, e spiegami.” Mi imposi, ma mi ignorò e si alzò dirigendosi verso la porta. E lì, non ci vidi più, nuovamente: lo raggiunsi e lo spinsi violentemente contro il muro per fermarlo. “Non puoi pretendere che io faccia finta di niente.” Digrignai i denti, sotto il suo sguardo quasi sconvolto, mentre si massaggiava il braccio con cui era andato a sbattere. Ma poco dopo i suoi occhi, oh, i suoi occhi, mi guardarono con una tale delusione e smarrimento, che mi resi conto di quello che avevo appena fatto. Rilassai leggermente il viso, aprendo poi la bocca nel tentativo di far proferire qualche parola, inutilmente. In silenzio, uscì dalla camera e si chiuse in bagno, per un tempo infinito. “Michael, apri.” Dissi dall’altra parte. “Per favore.” Ritentai senza ricevere risposta. Preso ancora una volta dalla rabbia tirai un pugno allo stipite della porta e tornai in camera, sedendomi sul letto rannicchiandomi, affondando il viso tra le ginocchia. È ridicolo.
 
Lo vidi finalmente uscire e riuscii a notare i suoi occhi, per l’ennesima volta in così poco tempo, gonfi e rossi. Non riuscivo più muovere un muscolo, era come se avere davanti un Mika così, che mai mi sarei immaginato di poter vedere, mi avesse risucchiato via ogni forza. Ma quando, riuscii ad uscire da quella specie di trance, mi alzai subito da letto e gli andai incontro.
“Mika, scusami per prima, io…” Tentai di iniziare a parlare.
“It’s okay.” Mi interruppe facendo un altro finto sorriso. “But, I gotta go.” Eh?
“Cosa? E dove?” Mi affrettai a domandargli.
“A London. Deve.” Rispose senza alzare la testa.
“Perché?” Ritentai.
“Listen, tu ti deve concentrare su tua carriera and…”
“Questo è il problema?!” Lo interruppi. “Sai che me ne frega della carriera se non ci sei tu.” Mi imposi di non ricominciare a piangere.
“It non può funzionare.”
“Prima funzionava, fino a ieri funzionava.” Cercai di convincerlo continuando ad osservarlo, mentre guardava il pavimento. “Ti prego.” Mi gettai su di lui avvolgendo il suo corpo con le mie braccia, nel tentativo di tenerlo con me, ma mi allontanò portando le sue mani sui miei polsi.
“Sorry.” Disse semplicemente uscendo dalla stanza.
“Hai detto di amarmi!” Gli urlai, poco dopo, pieno di rancore sbattendo la porta.
Avrei voluto rincorrerlo, in quel momento, fermarlo e pregarlo ancora di restare con me, perché quello che aveva detto e ciò che stava facendo non aveva alcun senso, ma ero paralizzato. Completamente paralizzato. Quello che era appena successo che diamine di senso aveva, insomma? Nessuno. Mi aveva detto qualche ora prima di amarmi. No, non aveva senso. Un’altra pugnalata al cuore dall’uomo che amo, e per cosa? Per niente. E quella lama continuava a salire, insieme alle lacrime, lungo la gola, creandomi una sensazione così pesante e dolorosa, impossibile da sopportare. Devo andare da Marta.


#MyWor(l)d
Okay, sono in fottutissimo ritardo, chiedo scusa! Allora, non so esattamente da dove sia uscita 'sta cosa, ed a dirla tutta questo capitolo era, quasi, pronto già due giorni fa, solo che dato mi faceva non poco schifo, l'ho riscritto altre due volte, ma questa è la meno peggio. Perdonatemi! Forse, ora, il comportamento di Mika ha un suo perché e.e" 

Ringrazio, come sempre, chi recensisce, chi ha messo la storia fra le seguite e le preferite e, chi, semplicemente, la legge! <3 

Vi chiedo ancora scusa per il ritardo e per questo scempio. Prometto che la prossima volta farà meno schifo!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 22
*** 2011 pt.4 ***


Roma, Sabato 2 Aprile 2011
 
 
Se ne era andato, così, improvvisamente, senza darmi una spiegazione od una ragione precisa e valida. “Ti devo proteggere”, aveva detto. Sì, ma da cosa? E, poi, quello che aveva bisogno di protezione era proprio lui, non ero io. Ecco, si ostinava a dover fare il padre protettivo, ed a farmi passare per il bambino in difficoltà, e non era assolutamente giusto. Se credeva di proteggermi, per non farmi soffrire, beh, si sbaglia. Sto soffrendo adesso. Quello che aveva deciso di fare, mi faceva male più di qualunque altra cosa. Ma che senso ha? Lui soffre. Io soffro. Andava tutto così bene, ma poi qualcosa si era spezzato, dentro di lui. Eravamo riusciti ad andare avanti insieme, nonostante impegni, difficoltà e quant’altro, ma poi tutto era finito, senza motivo apparente. Volevo capire cosa gli avevano fatto e perché, ma non ci sarei riuscito senza il suo aiuto o quello di qualcuno che sa qualcosa. Quando gli avevo chiesto se l’incubo c’entrasse, non aveva risposto. Poi, quando gli avevo chiesto se Marta fosse coinvolta, ho visto una lacrima solcargli il viso e le sue labbra pronunciare quelle parole così dolorose: “Io ti devo lasciare.” Ed in quel momento, sentii il mio cuore frantumarsi in mille pezzettini, che appuntiti graffiavano e laceravano tutto ciò che avevo dentro: amore.
Quei segni. Quel dolore che stavamo condividendo, non volevo fosse condiviso: non potevo accettare che lui stesse soffrendo in quel modo. Non potevo accettare di non essermi riuscito ad accorgere di niente. Non potevo accettare di essere io la causa di quel male, di quelle lacrime. Cosa gli avevano fatto? Avrei ammazzato chiunque si fosse azzardato a fare una cosa del genere. Avevo una voglia matta di massacrare l’artefice, sì, perché tanto io ero la causa, e mi sarei già ammazzato se ne avessi avuto il coraggio. Aveva una tale rabbia repressa, in quel momento, che non sapevo cosa rompere o distruggere. Chiunque fosse stato, l’avrebbe pagata. È una promessa.
Non avevo avuto il coraggio di mettermi in contatto con Marta. Faceva male, troppo male. Mi ero chiuso in casa, senza rispondere al telefono, senza aprire a nessuno che si presentasse fuori dalla porta. Non risposi neanche una volta neanche a Cris. Sono uno stronzo, ma chissene frega. Chissene frega del disco. Chissene frega di tutto. Ricadere, nuovamente, in quel vortice di tristezza e solitudine, mi faceva dannatamente paura, perché non sapevo se sarei riuscito a sopravvivere lì dentro, ancora per molto. Forse non ero fatto, per essere felice. Forse non ero fatto, per amare e per essere amato.
E mi ritrovavo, di nuovo, lì, sul divano, da solo, con una bottiglia di birra in mano ed una sigaretta tra le dita. Era semplice cercare di alleviare il dolore in quel modo, per un po’, ma tanto sarebbe tornato a galla, e questo io lo sapevo bene. Nella mia mente, c’erano solo le lacrime ed il viso distrutto di Michael, che cercavo di scacciare via inutilmente, con il suo sorriso, ma niente. Mentre tentavo di accendere l’ennesima sigaretta, il mio corpo scosso, dagli spasmi dei singhiozzi, ed i grandi sospiri, che facevo nel tentativo di controllarmi, mi impedivano di farlo. Preso, ancora una volta, dalla rabbia, gettai via l’accendino e la sigaretta, tirando un calcio al tavolino, davanti a me.
“Marco, apri!” Sentii la voce di Cris risuonare nel palazzo. Era incazzata. Faceva quella voce squillante, solo quando era davvero nera come una biscia. In tutti quei giorni, l’avevo ignorata, e anche se non era il giusto trattamento da riservargli, come ho detto, chissene frega. Mi ricordai del giorno del mio compleanno del 2009: mi ritrovavo, più o meno, nella stessa situazione, solo che quella volta ero più ubriaco, per terra, e dall’altra parte c’era Mika, che aveva deciso di rompermi la porta. Sorrisi amaramente a quel ricordo. “Marco, per favore!” Urlò ancora dando dei colpi. Sbuffai, pensandoci bene: se le avessi aperto, mi avrebbe mangiato vivo, ma se non lo avessi fatto, mi sarei ritrovato anche senza di lei. Sbarrai gli occhi a quel pensiero, tornando per un attimo lucido. No. Mi alzai con leggera difficoltà, e mi precipitai alla porta, spalancandola violentemente per, poi, trovarmi una Cris più furiosa che mai. Aveva il viso rosso, contratto in un’espressione arrabbiata e preoccupata, allo stesso tempo.
“S-scu…” Tentai di iniziare reggendomi allo stipite della porta.
“Ma io dico, che cazzo ti è saltato in mente?!” Mi interruppe furibonda entrando in casa. “Non rispondi al telefono, non mi apri, non ti fai sentire. Come cazzo hai potuto farmi morire così?!” Mi urlò ancora puntando un dito sul mio petto e guardandomi dritta negli occhi, che stavano diventando sempre più lucidi.
“I-io…” Ritentai di giustificarmi, sotto il suo sguardo inquisitorio, ma non riuscii a dire niente. “Cris…” Cercai di avvicinarmi a lei, ma si allontanò andando a sedersi sul divano, portandosi le mani fra i capelli.
“N-non avresti dovuto.” Si lamentò con voce strozzata. Mi avvicinai, di nuovo, sedendomi accanto a lei e le accarezzai la testa per, poi, avvicinarla al mio petto, sentendola singhiozzare contro esso. “Ho pensato ti fosse successo qual…” Non riuscì a finire la frase e si aggrappò alla mia maglietta, cominciando a piangere più rumorosamente.
“Cris, scusami. Mi dispiace.” La strinsi, ancora di più, a me chiudendo gli occhi, lasciando che le lacrime dipingessero anche il mio viso. “Ti prego, perdonami.” La cullai lentamente cercando di farla calmare.
“Fai così solo quando succede qualcosa con Mika.” Affermò, dopo un po’, senza muoversi, rimanendo in quella posizione. “Ho provato a chiamarlo, ma non mi ha risposto.”
“Mi ha lasciato.” Sorrisi amaramente, ancora, a quelle parole, così vere, ma così dolorose.
“Cosa?” Domandò sbalordita staccandosi da me, ed io annuii semplicemente. “E perché?” Le raccontai quello che era accaduto, senza tralasciare niente. Partendo dall’incubo al suo comportamento strano, fino a finire a quei segni. Mi osservava con attenzione, mentre mi sforzato, forse anche un po’ inutilmente, di non scoppiare a piangere, di nuovo. “Non hai idea di cosa gli possa essere successo?” Mi chiese, dopo che ebbi finito.
“No. Come ti ho detto, la faccia che ha fatto quando ho nominato Marta, mi ha turbato, tuttavia non voglio fare conclusioni affrettate. Insomma, è arrogante, stronza, quello che vuoi, ma non farebbe mai, e poi mai, una cosa del genere. Non ci credo e non ci voglio credere.”
“E allora, come spieghi quella reazione? E poi… io ricordo che tremava, quando l’ha vista arrivare al pranzo con i tuoi.” La guardai confuso, dopo quell’affermazione. È vero. E non mi ero mai curato di chiedergli il perché, di quella paura… Cazzo. Mi alzai di scatto dal divano, prendendo il cellulare, pronto ad uscire. “Ehi, ma che fai.” Mi chiese disorientata.
“Vado da quella.” Dissi dirigendomi verso la porta, ma quando sentii la sua mano prendere la mia, mi bloccai, per un attimo.
“Vengo con te.” Le sorrisi riconoscente e ci avviammo velocemente verso la casa di Marta.
 
“Se scopro che è stata lei, giuro che l’ammazzo.” Affermai nervoso, osservandola mentre guidava.
“Ti aiuto.” Disse, a sua volta, poggiando una mano sulla mia gamba, che non ne voleva sapere di stare ferma. “Però, cerca di calmarti.” Sospirai sorridendole riconoscente.
Era così buona con me, nonostante tutto. Nonostante come l’avessi tratta e nonostante fossi un emerito stronzo. Per quanto io amassi Mika, stavo sbagliando a dipendere così tanto da lui. Ne ero consapevole, ma era stata la prima persona ad avermi amato davvero, passando sopra il mio carattere fin troppo timido e le mie insicurezze. Aiutandomi nei momenti bui e creando quelli più belli. Ma questo, l’aveva già fatto Cris, eppure erano due tipi di amore così diversi. Io, comunque, dipendevo anche da lei, in un qualche modo. Mi importava quello che pensava di quello che facevo e, di fatto, era la prima a cui avevo fatto sentire una mia canzone e, così, è stato con tutte le altre. Senza di lei, quei nastri sarebbero andati nel cestino. Ah, che stronzo.
 
Suonai ripetutamente al campanello attendendo che qualcuno venisse ad aprirci. Quando mi vide, il suo viso si contrasse in un’espressione ancora più furiosa di quella di Cris, e non risultava per niente preoccupata. Mi prese per il colletto e mi tirò dentro e richiuse violentemente la porta alle nostre spalle, facendomi trascinare anche Cristie, che tenevo stretta a me.
“Dove caspita eri finito?! Ma io dico, ti rendi conto di quello che hai fatto? Puoi anche solo immaginare quante persone mi abbiano telefonato chiedendo di te e di quanto tempo hai perso senza lavorare al disco?!” Mi urlò contro, senza neanche salutare, chiedere come stavo, niente…
“So di aver sbagliato, ma avevo le mie ragioni.” Cercai di giustificarmi, senza arrabbiarmi.
“Oh, sì, certo, sentiamole, allora.” Mi incitò strafottente portandosi le braccia al petto e picchiettando nervosamente il piede a terra.
“No, prima devo parlarti di altro.” Mi imposi lasciando la mano di Cristie.
“Ah, pure?!” Esclamò adirata.
“Ascoltami!” Esclamai, a mia volta, adirato, e, con un leggero movimento della testa, mi incitò a continuare. “Sai qualcosa di Mika?” Fece una faccia tra il sorpreso ed il terrorizzato, facendo scomparire quell’espressione strafottente dal suo volto. Sì, sa qualcosa. “Allora?”
“Non so di cosa tu stia parlando.” Disse distogliendo il suo sguardo. “È per quello che sei sparito fregandotene di quello che avresti potuto causare?” Era di nuovo arrabbiata. Girai la testa verso Cris, a chiederle scusa un’altra volta e tornai ad osservarla. “Che ci fa questa, qui?” Chiese, poi, indicandola con disprezzo.
“Questa ha un nome.” Digrignai i denti, facendola rimanere in silenzio. Non doveva permettersi di trattarla così. “Capito?” Continuai.
“Sì, sì, come ti pare.” Sto per perdere la pazienza. “Comunque, io di Mika non so niente.” Aggiunse. “Perché? È sparito?” Domandò poi, formando sul suo viso un ghigno soddisfatto e divertito. Allora, avanzai di un passo verso di lei, pronto a non rispondere di me, ma Cris mi afferrò per un braccio, fermandomi.
“Sì, ma si comportava in modo strano ultimamente. Tu ne sai qualcosa?” Chiese lei, al posto mio.
“Che c’è? Non può parlare per sé, Marco?” Mi guardò ancora più divertita di prima, e Cris strinse, ancora di più, la presa su di me.
“Tu rispondi.” Anche lei stava cercando di controllarsi.
“Mh, se ci penso bene, però, un giorno è venuto da me.” Cosa? Aspettai che continuasse, paralizzato. “È venuto a dirmi come poteva lasciarti. Sai, mi ha detto di provare ancora qualcosa per il suo ex.” Aggiunse.
No, non è vero. La guardai contraendo la mascella, cercando di controllarmi, respirando profondamente. Sentii la gola tirarmi dolorosamente e gli occhi offuscarsi, che però chiusi trattenendo le lacrime.
“Stai mentendo.” Sussurrai addolorato stringendo i pugni. “L’hanno picchiato! Tu l’hai distrutto!” Urlai improvvisamente, e le sarei andato contro se non fosse stato la mano che mi teneva fermo sul posto.
“Accetta la cruda verità. Non poteva funzionare, comunque.” Affermò avvicinandosi a me, accarezzandomi il braccio, che scansai bruscamente.
“Tu menti. Dimmi chi l’ha ridotto in quello stato.” Mi imposi guardandola pieno di odio.
“Per le ferite non so che dirti, né tanto meno del livido. Ti sto dicendo la verità.” Non può… aspetta, come fa a sapere del livido.
“Come fai a sapere tanti dettagli?” Si è bruciata con le sue stesse mani. Il suo viso cambiò ulteriormente espressione, guardandomi terrorizzata ed, in quel momento, capii. “Dimmi subito chi è stato e cosa gli avete fatto. Ah, e sei licenziata.” Ero furioso, dannatamente furioso con lei, ma stavo cercando ancora di controllarmi.
“Pft, non puoi licenziarmi, Marco. Ho un contratto e ti farò passare le pene dell’Inferno.” Mi minacciò.
“Oh, che paura.” La sfidai, a mia volta.
“Senti, tu sei obbligato a tenermi accanto a te fino al 2015, quindi evita di fare cazzate, se non vuoi trovarti nei guai. Non posso dirti chi è stato, ma sappi che quello che ti ho detto è vero.” Sentii, ancora una volta ribollirmi dentro. Ma con che coraggio dice delle cose del genere?
“Spero tu stia scherzando.” Mi uscì una risata nervosa. “Io mi sono fidato di te.” Dissi avvicinandomi a lei. “Possibile che non vuoi capire?!” Scoppiai nuovamente sbraitando, ma fui ancora fermato da Cris.
“Marco, andiamo.” Mi cominciò a tirare via.
“NO!” Tuonai sfilandomi dalla sua presa. “Tu forse non hai capito che se non mi dici quello che voglio sapere, ti denuncio.” La minacciai puntandole un dito contro.
“Non hai il coraggio.” Continuò strafottente.
“Io…” Tentai di iniziare.
“Marco, andiamo da Mika.” Disse riprendendo il mio braccio, e mi girai a guardare lei, che mi osservava terrorizzata. Non sono io. Divento un animale, quando si tratta delle persone che amo.
Diedi un’ultima occhiata e Marta e mi feci guidare fuori da quell’appartamento, nel quale, se non ci fosse stata Cris, probabilmente si sarebbe consumato un omicidio. 
Sì, andiamo da Mika.
 
 
Londra, Domenica 3 Aprile
 
 
Sarei andato a Londra il giorno stesso, se non fosse stato per il fatto che non c’era nessun maledettissimo volo. Ma come è possibile che non ci siano voli per Londra, un fottuto sabato di Aprile?! Che cazzo. Cris era lì, accanto a me, e cercava di tranquillizzarmi, accarezzandomi dolcemente o distraendomi con le sue battutine, che a lungo andare avevano il loro effetto. Volevo vederlo, riabbracciarlo e farmi spiegare tutto quello che era successo.
Quando arrivai davanti alla porta di casa sua, suonai una volta il campanello, senza chiamarlo. Non volevo che, sentendo la mia voce, potesse decidere di non aprire. Mi muovevo nervosamente da un piede all’altro giocherellando con le mani. Respirai profondamente, fino a quando non vidi una figura aprirci. Ma quel leggero sorriso, creatosi al pensiero che potesse essere Michael, si spense quando vide una faccia fin troppo familiare. Andrew. Sentii il cuore bloccarsi improvvisamente e non pompare più sangue al cervello, paralizzandomi completamente. Neanche Cris si mosse, rimase immobile come me, ad osservarlo attonita. Anche se non lo aveva mai visto, dal mio sguardo doveva aver capito di chi si trattasse.
“Who is it, Andy?” Sentii la sua voce angelica provenire dal corridoio ed arrivare davanti a noi. Anche quel suo sorrisino scomparve vedendomi. Di nuovo, quella sensazione alla gola. “M-Marco.” Riuscì solo a dire superando “il suo ragazzo” ed avvicinandosi a me, e prontamente indietreggiai. “No, listen, it isn’t come pensa…” Cercò di iniziare, ma presi per mano Cris e corsi via, tirandomela dietro, sentendo la sua voce continuare a chiamarmi. Ero un cretino, un illuso. Che ne potevo sapere io, se effettivamente Marta l’aveva menato per quello che aveva detto? Comunque, non ne avrebbe avuto il diritto. Giusto… Il peso che sentivo al petto, causato dal battito accelerato, che aveva iniziato a fare il mio cuore, pompando anche troppo sangue, mi fece venire un gran mal di testa, e mi dovetti fermare, piegandomi leggermente.
“Marco, ehi.” Mi lasciai andare lentamente alle braccia di Cris, che mi strinse. “Ehi, guardami.” Sentii la sua mano prendere il mio viso e tirarlo su, ad incontrare il suo sguardo. Tuttavia, non riuscii a vederla bene, le lacrime ormai si erano preparate ad uscire.
“Marco! Cris!” Sentii Mika urlare, ma non mi girai a guardarlo. Non volevo vederlo.
“Andiamo.” Dissi debolmente.
“Aspetta, riprendi fiato.” Sapevo cosa voleva fare: voleva farmi stare fermo lì e farci raggiungere da lui, per parlare, ma non c’era più niente da dire. Niente di niente.
“Voglio andarmene.” Mi rialzai e la ripresi, iniziando a camminare a passo svelto, ma sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla, fermarmi e girarmi bruscamente. Un’altra fitta alla testa, mi fece, contro la mia volontà, poggiare su di lui. Il suo profumo. Sentirlo di nuovo, era come un sogno. Quell’odore di talco riuscì a farmi sentire meglio, ancora una volta.
“Are you okay?” Mi chiese premuroso, sollevandomi il mento.
Rimasi, per un attimo, incantato da quegli occhi, che quella volta avevano assunto un colore leggermente più scuro.
“Lasciami.” Mi staccai velocemente, una volta tornato in me.
“No, listen…” Tentò di iniziare.
“Zitto. Bastava dirmelo e me ne sarei fatto una ragione. Bastava anche spiegarmi quei segni ed avrei potuto aiutarti, ma non l’hai fatto. Li hai usati come scusa e…”
“No, no. Tu no capisce…” Iniziò, ma lo interruppi di nuovo.
“Basta. Va bene, così.” Ripresi per mano Cris, con l’intenzione di ritornare a casa e lavorare su quel benedetto album, che avevo bloccato, per qualcosa che non meritava tanta importanza.


#MyWor(l)d

Mamma mia, che tristezza, ragazzi. Puah. Chiedo venia! 
Comunque, come state? Spero bene! Come procedono le vacanze? ^-^

Allora, come sempre, ringrazio di cuore chi recensisce, chi ha messo fra le preferite e le seguite la storia e chi, semplicemente, la legge. Io, davvero, vi adoro troppo <3 Grazie <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 23
*** 2011 pt.5 ***


Roma, Lunedì 4 Aprile 2011
 
 
“Stai sbagliando.” Mi rimproverò Cristie osservandomi con sguardo estremamente serio, mentre tornavamo in macchina dall'aeroporto.
“Cris, per favore, non ti ci mettere anche tu.” Dissi stropicciandomi distrattamente e stancamente gli occhi con una mano. 
“Dovevi lasciarlo spiegare.” Continuò guidando.
“Era abbastanza chiara la situazione, no? Marta diceva la verità.” Risposi scocciato chiudendo, poi, gli occhi resomi conto delle parole che avevo appena pronunciato. 
“Non sappiamo ancora chi gli abbia fatto del male, però.” Vero. Sospirai scoraggiato. Mi sentivo così tremendamente in colpa nei suoi confronti, ma ero arrabbiato. Insomma, che ci faceva Andrew, o Andy, come lo chiama lui, a casa sua, poco dopo che ci eravamo lasciati? Anzi, poco dopo che LUI mi aveva lasciato. “Parliamo anche di quello che è successo dopo...” La guardai confuso incitandola a proseguire, ma continuò solo ad osservarmi severamente.
“Cioè?” Chiesi, a mia volta, non ricevendo alcuna risposta.
“Quando ti sei sentito male.” Rispose con il viso contratto in un'espressione che vagava, ancora, tra il serio ed il preoccupato. 
“Non mi sono sentito male.” Dissi, a mia volta, scocciato. “È stata colpa del viaggio e tutto il resto.” Continuai guardando davanti a me.
“Se, con tutto il resto, intendi non mangiare, okay.” Sbuffai facendo finta di non averla sentita e girai il viso dalla parte della finestra, osservando l'oscurità della notte, illuminata solo dalla luce dei lampioni. Non si vedeva bene neanche la luna. “Non hai niente da dire, eh?” Continuò.
“Lasciamo perdere.” Dissi semplicemente cercando di scappare al discorso. 
“Non puoi continuare così. Sei un fottuto idiota se ti ostini a comportarti in questo modo.” Mi rimproverò ancora. 
“Ho detto basta, Cris.” Mi imposi rigirandomi a guardarla leggermente arrabbiato. Vidi il suo viso rilassarsi in un'espressione delusa e girarsi di nuovo a guardare la strada. Sospirai. “Scusami.” Non sono più io.
“Io capisco che tu stia male, davvero. Succede, è anche normale, ma non bisogna esagerare e far prendere alle tue emozioni il controllo delle tue decisioni. Devi imparare che ciò che fai e che dici ha un effetto sulle persone che ti circondano, e che non è come credi tu. Non sei invisibile, né tanto meno inutile. Quello che hai deciso di fare, ha un effetto su Mika, su di me, sul tuo lavoro, su tanta altra gente e, soprattutto, su te stesso. E quando l'hai accusato di aver usato le ferite come scusa, ho letto nei suoi occhi la delusione e la paura più grande. Era uno sguardo che non gli apparteneva, e non gli era mai appartenuto, così come questo tuo comportamento. E per quanto lui sbagli a tenersi tutto dentro, tu non devi fare errori di questo genere.” Stetti ad ascoltare attentamente le sue parole. Aveva ragione, fottutamente ragione. Cazzo, io amavo Michael e come l'avevo trattato?! Come una zeppa su cui pulirsi le scarpe. Dio…
Le parole di Cris mi avevano colpito nel profondo, mi erano entrate dentro e non volevo se ne andassero, per il semplice fatto che forse avrebbero potuto far tornare il Marco felice, quello privo di dolore, quello che aveva cominciato a vivere sul serio. Non volevo tornare quel Marco che ero riuscito a seppellire, non molto tempo prima.
“Mi dispiace.” Dissi sospirando mentre lei parcheggiava.
“Dai, scendi.” Mi aprì la portiera ed uscii gettandomi fra le sue braccia. Senza rendermene conto, le lacrime cominciarono a scendere lentamente, come fossero realmente appesantite dal dolore che sentivo, in quel momento. Cercai di controllarmi, ma il mio corpo non riusciva a stare fermo, a causa dei singhiozzi che lo scuotevano leggermente. “Ehi.” Prese ad accarezzarmi delicatamente i capelli per calmarmi.
“S-scusami.” Cercai di dire, facendo uscire però qualcosa di più simile ad un lamento.
“Ssh, tranquillo. Andiamo.” Chiuse a chiave la macchina e mi trascinò a casa. Era tutto così tetro ed il mal testa non ne voleva sapere di lasciarmi in pace. Quando accese la luce del salone, chiusi gli occhi istintivamente, contraendo il viso in una smorfia di dolore. Cazzo. “Marco, sarebbe meglio se mettessi qualcosa sotto i denti. Da quanto non mangi?” Domandò sorreggendomi. Boh. Sei, sette giorni? 
“Non lo so.” Risposi confuso tenendomi a lei.
“Sei una piuma, diamine.” Continuò a trascinarmi senza problemi fino alla camera da letto, sul quale mi adagiò delicatamente. Mi girai, a pancia sotto, abbracciando il cuscino per evitare di avere il fastidio della luce, e sentii la mano di Cris accarezzarmi la schiena. “Vado a prepararti qualcosa.” Disse, poco dopo.
“No.” Quasi esclamai e la fermai prendendole la mano. “Resta qui.” La pregai indicandole il posto accanto a me. 
“Dopo.” Rispose semplicemente sorridendo premurosa e lasciandomi, uscendo dalla stanza.
Ero a pezzi. Davvero. Non pensavo di poter toccare il fondo in quel modo. Il mio fisico non reggeva più niente, ancora meno la mia mente. Qualsiasi cosa riusciva a buttarmi giù ed a farmi rifugiare nei miei peggiori vizi. 
Continuai a tenere gli occhi chiusi svuotando la mente, finché sentii il letto abbassarsi e vidi Cris, che sorrideva mentre mi porgeva un panino. 
“G-grazie.” Balbettai guardandolo, per un attimo titubante per, poi, prenderlo ed addentarlo. Sorrisi lievemente riconoscendo il formaggio che con cui l'aveva farcito.  
“Era il tuo preferito, da piccolo.” Continuò a sorridere abbassando lo sguardo, cominciando a fare, con un dito, dei piccoli cerchi sul materasso. Tuttavia, riuscii a distinguere uno dei suoi sorrisi amari, di quelli che le facevano male. La guardai, in modo quasi inespressivo, continuando a masticare lentamente. “Forza,” Cambiò discorso facendo un altro sorriso forzato. “ce ne sono altri tre.” Spalancai gli occhi, quasi terrorizzato.
“M-ma veramente, io...” Tentai di iniziare a dare delle scuse, inutilmente.
“Per favore.” Mi pregò guardandomi dritto negli occhi, e non riuscii a contestarla più. Semplicemente, sospirai arrendendomi. 
“Tu non mangi?” Le chiesi, dopo un po’. 
“Già fatto, prima.” Sorrise ancora, sinceramente quella volta.
Al secondo panino, però, cominciai a sentire una leggera nausea infastidirmi lo stomaco. Cercai di tirare avanti a mangiare, per lei, ma stava diventando complicato, estremamente complicato. Era come se qualcuno stesse stringendo con troppa forza il mio stomaco e lo stesse girando come una trottola, in continuazione. 
“Cris. C-Cris, aiutami.” La chiamai alzandomi leggermente ed alzando le braccia, facendomi avvolgere dalle sue, subito dopo.
“Marco, che succede?” Mi domandò preoccupata sostenendomi. “Ehi, che hai?” Seguì i miei passi aiutando ad andare verso il bagno. Mi dovetti accasciare a terra vicino alla tazza, cominciando poi a rimettere ciò che avevo mangiato, poco prima, insieme a fin troppi succhi gastrici. “Marco.” Mi richiamò accarezzandomi i capelli dolcemente, cercando di tranquillizzarmi. Chiusi gli occhi riprendendo fiato, nel tentativo di far andare via quel maledetto mal di testa, senza realmente riuscirci mai. La testa mi pulsava come mai aveva fatto e cominciai seriamente a preoccuparmi. Sentivo che sarei potuto morire da un momento all'altro, che qualcosa sarebbe potuto esplodere improvvisamente al mio interno, non lo so... Presi un altro respiro e, con il suo aiuto, mi alzai, per lavarmi il viso ed i denti, e me ne tornai in camera. “Sarebbe meglio ti facessi vedere da qualcuno.” Esordì, dopo un interminabile silenzio, mentre si sdraiava accanto a me accarezzandomi il braccio. 
“Devo solo stare a letto, per un po'. Piuttosto, tu riposa.” Dissi voltandomi verso di lei, ma sentii le tempie cominciare a pulsare più velocemente, in quella posizione. Così, prima di richiudere gli occhi, riuscii a distinguere l'espressione preoccupata che aveva assunto il suo viso. La sto facendo soffrire. “Scusa.” Mi provai a sistemare, con le ultime forze che riuscivo ad avere. La sentii dire qualcosa, ma non riuscii più a capire cosa: ero già bello che andato.
 
“No, non lo so cosa abbia. Ho chiamato mio cugino, che è un medico, e mi ha detto che dovrebbe visitarlo, ma Marco non si presterà molto facilmente. Anche se ha detto che, da quello che gli ho spiegato, potrebbe essere causato da un digiuno troppo prolungato.” Mi svegliai sentendo la voce di Cris pronunciare quelle parole. 
“He's a fucking idiot. Damn.” La risposta che sentii mi fece aprire gli occhi di scatto e bloccare il respiro ancora, sia per la voce, che aveva parlato, sia per la fitta, che mi aveva colpito dolorosamente ancora.
“Anche tu lo sei, Mika.” Lo rimproverò. 
Girai la testa, a guardare la sua figura slanciata e quella più bassa di Cris. Merda, l'uomo che amavo era lì, nonostante il modo in cui l'avessi trattato, così come lei. Dio... Lo vidi mentre la guardava preoccupato e si torturava le mani. Rimasi paralizzato, ancora una volta. Non riuscivo a muovermi. È un sogno o cosa? 
“Marco.” Mi chiamò riportandomi alla realtà, sedendosi accanto a me, portando una sua mano sulla mia guancia, ad accarezzarla. Quanto mi era mancato sentirmi chiamare e toccare così dolcemente.
“C-ciao.” Balbettai non riuscendo a dire nient'altro. 
“How do you feeling?” Mi domandò con aria preoccupata. Non gli risposi e con le poche forze che possedevo, mi gettai fra le sue braccia. Lo sentii sospirare tremando leggermente sulla mia spalla. 
“Scusa.” Dissi per, poi, tossire e poco dopo cercare di non piangere.
“It's okay. It's okay.” Sussurrò accarezzandomi amorevolmente per, poi, lasciarmi un piccolo bacio sul collo.  “Beve.” Mi posò un bicchiere d'acqua, dopo averlo preso dal comodino di fianco al letto, sulle labbra inclinandolo leggermente, ad accompagnarlo nei movimenti. Fu strana la sensazione che sentii assaporandola mentre scendeva fresca lungo il mio corpo, facendomi venire i brividi. Non ero più abituato forse. Avevo continuato a bere solo alcol in quel periodo. Troppo alcol.
“Avete molto di cui parlare. Torno dopo.” Ci informò Cristie uscendo dalla stanza, e le sorrisi riconoscente. 
Mika riportò il suo sguardo su di me, e quel leggero sorriso, che anche lui le aveva rivolto, svanì e si tramutò, poco dopo, in un'espressione lievemente sofferta.
“I'm so sorry per aver lasciato te così.” Iniziò sistemandosi meglio sul letto.
“No, scusami tu per il modo in cui ti ho trattato. Sono stato ingiusto e mi dispiace, solo che non potevo sopportare che mi tenessi all'oscuro di una cosa del genere e di ritrovarti, dopo così poco tempo, con Andrew, soprattutto dopo le parole di Marta.” Mi guardò in un primo momento con aria sorpresa e, di nuovo, quasi terrorizzata, e poi ancora interrogativa. “Mi ha detto che provavi di nuovo qualcosa per lui.” Abbassai lo sguardo guardandomi le mani nervosamente.
“Oh, that's not true! He was en mi casa para scusarse de ultima volta che ci siamo visti. C'era anche tu.” Spiegò.
“Ah...” Farfugliai imbarazzato. 
“Marco.” Mi richiamò alzandomi delicatamente il viso, facendo incontrare i nostri occhi: i suoi, anche se ricoperti da un velo di malinconia, continuavano ad essere fottutamente meravigliosi. “Io amo solo te.” Persi l'ennesimo battito. Quanto mi era mancato sentirglielo dire. Chiusi gli occhi cercando di mantenere permanente nella mia mente quel momento e quelle parole. Mi avvicinò lentamente a sé facendomi poggiare il viso sulla sua spalla ed avvolgendomi fra le sue braccia. 
“Ti farei ancora male, se ti abbracciassi anche io?” Gli chiesi titubante su cosa fare. Si staccò da me contraendo leggermente la mascella ed abbassando lo sguardo. “Puoi spiegarmi cosa ti hanno fatto, Michael?” Gli domandai non ricevendo però risposta. Cominciò a torturarsi il labbro inferiore, facendomi preoccupare ancora di più. “Per favore, fidati di me.” Lo incitai prendendo la sua mano, a controllare i segni, ormai quasi scomparsi. Sospirò rassegnato e puntò nuovamente il suo sguardo sul mio.
“When I was here, qualche giorna before tu tornava da Verona, Matteo e Marta son venuti qui. Cris wasn't with me that day. They told me that tu stava trascurando tuo lavoro per mia colpa e, I don't know, me sono sentito so male. I didn't want to lasciare te, ma doveva farlo, solo che io ci ha meso tropo. Ocasione di farlo è arivata quella matina, dove tu ha visto.” Mi disse cominciando a giocherellare nervosamente con le sue dita.
“Chi te li ha fatti? Chi ti ha picchiato?” Anche se facevano male ad entrambi quelle parole, descrivevano e richiedevano la dolorosa verità. Sospirò ancora, a darsi la forza di continuare.
“Matteo came with two men when I was andando in London. They aspetavano me qui giù, in vicolo per parlare. Io ha perso aereo quel giorno. Io ha fato resistenza e cercato di fare ragionare loro so loro pichiato me, and this...” Si alzò la maglietta facendomi vedere il livido ormai quasi sparito. “this...” Mi fece vedere le mani, anch'esse quasi guarite. “and this” Si leccò due dita passandosele, poi, sulla guancia, vicino all'occhio destro, scoprendo il segno di una brutta ferita, che non avevo visto, poco più accentuata delle altre. “hanno fatto loro.” Sentii la rabbia ribollirmi dentro. Matteo. Dio, avrei potuto ammazzarlo. “But, ora tuto è finito.” Ricominciò ad accarezzarmi il viso dolcemente, tranquillizzandomi.
“Mika, non capisci? Dobbiamo denunciarli. E questa?” Gli toccai delicatamente la ferita, più evidente. “Quando te l’hanno fatta? Sembra più recente.” Dissi affranto.
“No, don’t worry, it è colpa di un anelo.” Spiegò sorridendo amaramente. “But, se io denuncia, noi due non potremo più stay together.” Disse serio. “Io no poso stare senza te, Marco.” Chiusi ancora gli occhi godendomi quelle ultime parole. 
“Neanche io, senza di te.” Sussurrai vedendolo, poi, avvicinare il suo viso al mio, facendo entrare finalmente in contatto le nostre labbra. Quel bacio, così dolce, ma anche così amaro, diventò improvvisamente di un sapore leggermente salato. Riaprii gli occhi e vidi il volto di Mika rigato dalle lacrime, che mi curai di asciugare. Mi sentivo morire dentro vedendolo soffrire in quel modo. Un uomo buono come lui non si meritava un trattamento del genere. “Ti amo.” Gli dissi staccandomi.
“Love you too.” Sorrise e finalmente mi mostrò i suoi dentoni e le sue timide fossette. “But, we must parlare anche di quelo che sucede te.” Mi guardò serio e preoccupato. Lo so. Abbassai la testa imbarazzato. “Tu mi aveva promeso che anche quando non ci sono tu mangiava.” Mi rimproverò. “Tu ora è tropo debole, Marco.” Continuò.
“I-io...” Tentai di iniziare a giustificarmi.
“Tu è stato stupido.” Mi interruppe.
“Lo so...” Sussurrai dispiaciuto. 
“But, ti amo tropo per lasciare te da solo, again.” Sentii gli occhi cominciare a diventare lucidi, finalmente non per qualche dolore. 
Era quello di cui avevo bisogno. Avevano ragione: ero stato uno stupido ed, aggiungerei, un egoista. Sapevo bene che era difficile lasciare certi vizi e non lasciarmi cadere ancora, ma dovevo riuscirci. Tuttavia, quello che avevano fatto all'uomo che amavo, non l'avrei ignorato, di certo. L'avrebbero pagata cara. Non l'avrebbero passata liscia. Mika, un trattamento del genere, non se lo meritava. Non aveva mai fatto niente di male, anzi. 
Presi le sue mani e lo tirai delicatamente a me, facendo rientrare in contatto le nostre labbra. Ed in quel momento, mi resi conto che l'unico errore che potevo permettermi era di essere dipendente da esse e da lui, e non da alcol e sigarette. Non potevo chiudermi ancora in me stesso, rischiando la vita e rischiando di rovinarla alle persone che amavo.


#MyWor(l)d
Saaalve! c: 
Ebbene sì, ho smesso di fare la bastarda, IO. Chi viene accusata, lo sa uwu Scusate la parentesi, ma dovevo precisare :3
Allooora, che dire, spero vi piaccia e che stiate tutti bene! c: <3
Vi ringrazio, come sempre, di cuore. <3 Vi adoro <3
A presto!

Un bacione,
Michaels 
 

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Capitolo 24
*** 2011 pt.6 ***


Roma, Venerdì 22 Luglio 2011
 
 
Ero riuscito a ricominciare a mangiare. Mi ero ripromesso di non cadere di nuovo in quel doloroso vortice. Non volevo e non potevo farlo, non più. Cris e Mika erano riusciti a convincermi ad andare da un medico, che mi aveva semplicemente segnato una "dieta", se così si poteva chiamare, visto che dovevo mangiare ogni giorno ed anche troppo, ed alcuni sali minerali. Per fortuna, però stava andando tutto bene. Anche se Michael, intanto, era dovuto partire per Los Angeles, per lavorare ad una nuova canzone e non sapevamo quando sarebbe riuscito a tornare. Mi mancava, ma dovevo resistere alle sigarette, all'alcol, a tutto. Era troppo difficile, ed effettivamente, ad essere sincero, non riuscii da subito a smettere, ma stavo cercando di limitare il loro consumo al minimo indispensabile.
Intanto, stavo cercando di prepararmi qualcosa in cucina, giusto per farmi uno spuntino. Ed effettivamente, mi stava tornando l'appetito, per fortuna. 
 
I know your photograph,
I know your windy stare,
I know you wanna if I call,
I know you want to laugh.
Go on a sign cry man,
I know you wanna let it go.
 
Cominciai a cantare sussurrando le parole di una delle canzoni del nuovo album, senza curarmi neanche di essere tanto intonato o di seguire l'ordine delle strofe. Anche se era una canzone abbastanza triste, descriveva la mancanza che sentivo nei confronti di Michael, ma in senso positivo probabilmente. 
 
Doesn't metter where you are,
There's no palce that is too far.
I will love until I rule,
In the kingdom of my heart.
 
Mi piaceva quella canzone. Riusciva a descrivere tutto ciò che provavo ed era una medicina, anche per quella mia continua nostalgia nei suoi confronti. Lo sentivo davvero poco, ma mi consolavo col fatto che più passava il tempo, più si avvicinava il momento in cui l'avrei avuto al mio fianco. 
 
“Is it a new song?” Spalancai gli occhi sentendo la sua voce sussurrare quelle parole nel mio orecchio e le sue mani avvolgere il mio corpo. 
Mi girai velocemente a controllare che non fosse tutto frutto della mia immaginazione e lo vidi: sorrideva mostrando le sue fossette, aveva dei pantaloncini corti fino alle ginocchia ed una maglietta beige attillata. Deglutii rumorosamente. Non l'avevo mai visto così... così! Tuttavia, aveva il viso stanco, probabilmente dal viaggio e, se lavorava come me, dal fatto che non chiudeva occhio finché non finiva una canzone soddisfatto.
“Amore!” Esclamai gettandomi, subito dopo, su di lui, avvolgendo le mie braccia al suo collo. 
“E-ehi.” Balbettò divertito stringendomi, a sua volta. 
“Mi sei mancato! Mi sei mancato!” Urlai saltando ed avvolgendo le mie gambe alla sua vita. Indietreggiò in difficoltà andando a sbattere contro il muro. “Cazzo, se mi sei mancato!” Ripetei prendendo fra le mani il suo viso e lasciandogli un bacio sulla guancia. “Troppo!” Uno lieve sulla fronte. “Cazzo, sei qui!” Un altro sul naso. “Ti amo!” Continuai gettandomi poi sulle sue labbra, mentre lui continuava a ridacchiare divertito. Gli mordicchiai delicatamente quello inferiore intrufolando la mia lingua nella sua bocca, esplorando, dopo tanto tempo, ciò che mi apparteneva e che mi era stato privato per troppo. Lo sentii sospirare e riprendere fiato facendo la stessa cosa. Chinò la testa leggermente staccandosi, per, poi, poggiare la sua fronte sulla mia.
“Com'è andata?” Domandai rimanendo in quella posizione così tranquillizzante. Ero come un bambino fra le sue braccia: mi sentivo sicuro.
“Biene, dobiamo ultimarla, ma sta venendo bene.” Rispose poggiando la guancia sulla mia spalla, strofinando delicatamente il naso contro il mio collo. 
Mi chinai leggermente per guardarlo meglio, ma vidi i suoi meravigliosi occhi chiusi. È distrutto...
“Sembri stanco. Vieni.” Gli accarezzai dolcemente i capelli per, poi, rimettere i piedi per terra e prenderlo per mano, trascinandolo in camera da letto. 
Appena lo feci sdraiare mi afferrò per il braccio tirandomi a sé, facendomi cadere su di lui. 
“Ehi.” Risi divertito incatenando il mio sguardo al suo. “Che fai?” Chiesi ricominciando ad accarezzargli la testa. 
“Volio stare con te.” Disse sorridendomi dolcemente.
“Anche io, ma devi riposare.” Gli lasciai un bacio a fior di labbra sollevando la gamba per alzarmi e mettermi accanto a lui, ma mi bloccò ritirandola giù. “Dai.” Lo rimproverai ridendo. Senza rispondere, si alzò leggermente col busto posando le sue labbra sulle mie. Portò le mani dietro al mio collo, a tirarmi ancora di più verso di lui, approfondendo il contatto. Stranamente, cominciò a giocherellare con il mio labbro inferiore leccandolo e mordicchiandolo. Mi si bloccò il respiro quando mi fece sdraiare completamente. Portò una mano sotto la mia maglietta accarezzandomi, e l'altra sulla mia portandola sul suo petto, sul quale riuscii a sentire distintamente il suo battito leggermente accelerato. Sospirai quando sentii la sua bocca andare in contatto col mio collo, fin troppo sensibile. 
“Ha sentito un po' di pancetta.” Mi sussurrò all'orecchio, mordicchiando anch'esso, poco dopo.
“Riposa.” Gli sussurrai dolcemente alzandomi, facendo molta fatica a resistergli.
“Non resta?” Mi domandò guardandomi confuso.
“Volevo me lo chiedessi ancora.” Dissi soddisfatto sdraiandomi accanto a lui. 
Arricciò il naso contrariato ritirandomi a sé. Gli feci poggiare la testa contro il mio torace, cercando di farlo addormentare ascoltando il battito del mio cuore. 
L'ultima volta che avevamo fatto l'amore era stato il giorno di Natale. Da quella volta, lui non si era fatto più toccare per quello che gli avevano fatto, e quando eravamo tornati insieme io, a mia volta, non riuscii a farmi toccare, di nuovo. E per quanto lo desiderassi, la stanchezza gliela si leggeva chiaramente negli occhi ed in ogni centimetro del suo volto. Volevo si riposasse e che si rilassasse. Sapevo quanto potessero stressare tante ore di lavoro e l’amore potevamo farlo in qualsiasi momento, conoscendolo…
Era meraviglioso, però, riaverlo lì accanto a me… non me l'aspettavo. Finalmente sarei potuto stare con lui e prendermene cura, come si meritava. 
 
Quando finalmente riuscì ad addormentarsi, mi diressi in un'altra stanza, cercando di non svegliarlo, per fare gli esercizi che il personal trainer, che mi aveva consigliato il medico, per rafforzare, io direi per creare, il tono muscolare. Inizialmente, avevo cominciato a soffrire particolarmente quegli esercizi, infatti avevo sempre avuto al mio fianco Cris, nel caso non fossi riuscito a reggerli. Cazzo, ero messo male. Allestire quella camera in quel modo, era stata una delle sue idee geniali. Andare in una palestra sarebbe stato più complicato. Stavo tornando in forma, per fortuna. Però, il fatto che Mika provasse ancora attrazione per me mi faceva sentire così bene. Insomma, una dimostrazione era stato il suo comportamento pochi attimi prima. Avevo davvero paura che ciò che avevo fatto al mio corpo, ancora una volta, l'avrebbe allontanato nuovamente da me. Ma così non fu, fortunatamente.
Mi stavo riposando per riprendere fiato, quando sentii qualcosa di pesante posarsi sulle mie gambe. Abbassai la testa di scatto ritrovandomi un Mika più sorridente che mai. Vederlo felice mi faceva felice e, poi, il suo sorriso... ah, il suo sorriso era qualcosa di talmente angelico e surreale per appartenere ad un essere umano. 
“Hi.” Disse semplicemente poggiando delicatamente le sue mani sul mio petto nudo.
“M-Mika, no, sono tutto sudato.” Balbettai tornando alla realtà.
“E alora?” Domandò avvicinandosi a me con fare innocente.
“E-e a-allora n-non v-voglio s-sporcarti.” Balbettai paralizzato ritrovandomi il suo naso a pochi centimetri dal mio.
“This cosa fa impazire me, ancora di più.” Sussurrò con tono fin troppo sensuale cominciando a fare dei cerchi con un dito sui miei addominali, appena accentuati. Lo continuai ad osservare incantato seguendo ogni suo movimento. Vidi la sua mano scendere lentamente e portarsi sul cavallo dei miei pantaloncini, facendomi sussultare. Sorrise con espressione divertita e soddisfatta.
“M-Michael.” Lo chiamai in difficoltà pregandolo con lo sguardo. Le mie suppliche, tuttavia, potevano avere due interpretazioni: o quella proseguire immediatamente, senza aspettare, o quella fermarsi e darmi la possibilità di fare una doccia. Stava a lui decidere. Mi scostò delicatamente i ciuffi bagnati dalla fronte, accarezzandomi, poi, la guancia, mentre continuava a stuzzicare, attraverso la stoffa, il punto più sensibile del mio corpo. Strinsi leggermente gli occhi e serrai la bocca, tenendo una mano stretta sulla sua spalla, nel tentativo di controllarmi. Spostai la testa all'indietro, come invito a torturarmi il collo con amore, come solo lui poteva farlo e portai le mie mani suoi suoi fianchi facendolo muovere lentamente. “Ah!” Esclamai dalla sensazione, che vagava fra il dolore ed il piacere, che mi fece provare quando fece un movimento un po’ troppo brusco.
“Oh, God, s-sorry!” Si fermò improvvisamente chinandosi a darmi un bacio all'angolo della bocca. “Sorry, sorry.” 
“Ma che dici?” Gli alzai il viso sorridendogli dolcemente. “Sta tranquillo, succede. E poi... sappi che mi piaceva.” Gli sussurrai cercando di usare un tono ed assumere uno sguardo provocante per, poi, avvicinarlo a me e baciarlo di nuovo. 
Sorrise timidamente mordendosi il labbro inferiore e ricominciando a muoversi lentamente su di me. Nel frattempo, con mani, quasi tremanti, mi curai di sfilargli via la maglietta. Poggiò, invece, le sue su di esse cercando di fermarle.
“Amore, perché tu trema?” Mi domandò dolcemente guardandomi con aria, quasi, preoccupata.
“I-io...” Era tanto che non facevamo l'amore ed avevo paura di non riuscirlo a coinvolgere come le altre volte. Non so... 
“Ehi.” Mi accarezzò delicatamente la guancia con un dito. “Ti amo.” Mi disse facendo un altro dolce sorriso, come se avesse capito cosa mi affliggesse.
“Ti amo.” Ripetei, una volta tranquillizzatomi, alzandomi col busto per, poi, iniziare a baciargli il collo. Sospirò a quel contatto e sorrisi vittorioso sbottonando i suoi pantaloncini ed abbassando lentamente la zip, sul suo rigonfiamento evidente. Lo sentii imprecare e farfugliare qualcosa di incomprensibile. Si alzò improvvisamente e si privò di tutti gli ultimi indumenti, sorprendendomi. “Ehi, volevo farlo io.” Dissi contrariato. 
“No poso aspetare.” Si inginocchiò davanti a me sfilandomi velocemente anche i miei pantaloncini e tutto il resto, riportandosi, poi, su di me cominciando a torturare le mie labbra e facendo scontrare volontariamente le nostre intimità. Ma quando le tenne insieme con una mano ricominciando a strusciarsi su di me, non riuscii più a controllarmi, gemendo rumorosamente sulla sua bocca, e, quando inarcai la schiena, neanche lui ci riuscì più. Sentirlo sospirare di piacere in quel modo, aveva segnato il mio biglietto di sola andata per il manicomio. “Tu ha deto che te piaceva.” Sussurrò mordendomi poi il lobo. 
“La cosa che stavi facendo prima... ho detto che mi piaceva.” Risposi col fiato corto affondando le mie dita fra i suoi riccioli ed allargando l'altro braccio sul pavimento, artigliando qualcosa di invisibile. 
“So, tu vuole che io smete?” Mi domandò provocandomi.
“N-no.” Farfugliai chiudendo gli occhi, concentrandomi sui suoi movimenti così piacevoli. 
Lo sentii fare una piccola risatina soddisfatta andando, poi, a mordicchiare la mia spalla risalendo verso il collo. Arrivato al limite, cercai di alzarmi e ribaltare le posizioni, ma prima che riuscissi, mi bloccò per i polsi facendomi distendere di nuovo. “Non essere cattivo.” Lo implorai riprendendo fiato. 
“Ssh.” Mi azzittì lasciando una scia di baci e morsi, che partiva da mio torace fino a finire, fin troppo velocemente, sul mio membro.
Mi uscì dalla bocca un urlo strozzato, quando sentii le sue labbra avvolgerlo nel loro calore. 
“M-Mika.” Balbettai eccitato cominciando, ad accompagnarlo nei movimenti. “A-am... a-amore.” Ero davvero arrivato al limite, così mi fermai credendo che anche lui l'avrebbe fatto, ma mi sbagliavo. “M-Michael, sto pe...” Non riuscii a finire la frase, che sentii l'orgasmo invadere il mio corpo ed il mio seme invadere la sua bocca, facendomi urlare, senza alcun controllo. Cercai di riprendermi, recuperando il fiato, quasi finito. Sentii, poco dopo, le sue labbra posarsi sulle mie ed iniziare a muoversi voracemente ed avide su esse. “Avevi detto che saresti stato più buono di me...” Dissi ansimando guardandolo negli occhi.
“Doveva farla pagare te.” Sorrise soddisfatto. 
“Okay, tocca a me.” Tentai di nuovo di alzarmi, ma mi schiacciò nuovamente sotto di lui, muovendo la testa a destra e sinistra ripetutamente, con sguardo furbo, quasi maligno, che non presagiva nulla di buono. Lo vidi allungarsi ed afferrare il pantalone prendendo un tubicino dalla tasca. Oh, no non ditemi che... “Come mai ce l'avevi in tasca?” Chiesi divertito.
“Mh, casualità.” Rispose facendo il vago. 
Sospirò, quando passò sulla sua erezione quella sostanza densa. La visione di lui che si dava piacere da solo mi fece venire l’ennesimo orgasmo cerebrale. Lo tirai a me, senza pensarci due volte, baciandolo ancora ed incominciò a stuzzicare anche la mia apertura con le dita. Ansimai sulle sue labbra fino a quando lo sentii canticchiare qualcosa, che riconobbi, poco dopo.
“Fami respirare ancora. Portami dove... si vola.” A quell'ultima parola si spinse delicatamente dentro di me.
Sorrisi commosso sentendo la sua voce cantare quella canzone, che tanto gli avevo indirizzato, anche a sua insaputa. Lo abbracciai aggrappandomi a lui, mentre iniziò a muoversi velocemente, ansimando sul mio collo. 
Sette mesi. Sette fottuti mesi senza fare l'amore con lui. Come avevo resistito per tutto quel tempo? Ed era evidente che anche lui si era trattenuto per troppo. Quel giorno aveva una tale passione repressa, che stava uscendo tutta in una volta, che mi faceva impazzire. Era sempre dolce, ma anche così... passionale. Lo osservai e cercai di fotografare quell'immagine nella mia mente: i suoi occhi, accesi dalla fiamma del desiderio, che fissavano i miei, le sue labbra schiuse, dalle quali fuoriuscivano gemiti e sospiri, ed i suoi muscoli contratti, che cercavano di prolungare il piacere il più possibile.
“M-Michael.” Ansimai poggiando una mano sul suo petto, sentendo il suo cuore battere in modo estremamente irregolare. 
“Marco!” Esclamò in modo strozzato accasciandosi su di me, esausto. 
Vidi la sua schiena alzarsi ed abbassarsi velocemente cercando di riprendere fiato, fino a quando alzò la testa e mi diede un altro bacio a fior di labbra. 
“È stato bellissimo.” Dissi, come un ragazzo alla sua prima volta, accarezzandogli la fronte bagnata. Effettivamente, però, sembrava tanto una prima volta. Lo amavo come la prima volta. Era riuscito ad essere dolce come la prima volta. “Sei più sudato di me ora, però.” Affermai divertito facendolo ridere lievemente.  Si accoccolò di nuovo contro il mio torace prendendomi per mano. 
Tutto stava tornando alla normalità. Tuttavia, per quanto di normalità si potesse parlare ovviamente. Ma ci amavamo, qual era il problema, allora? Nessuno, assolutamente nessuno.


#MyWor(l)d


Saalve! c:
Uh, due giorni di seguito, che è successo?! Scusatemi c: 
Io intanto mi vado a sotterrare, sul serio. Questa volta ho esagerato un po' troppo xD Chiedo scusa! Non ho avvisato all'inizio del contenuto, perché mi sono detta "Perché devo rovinare tutto prima?" D: E l'altra volta nessuno si era lamentato, quindi, boh :3 Comunque, come al solito, se qualcosa ha turbato o disturbato qualcuno, recensione o messaggio privato e provvederò! C:
Grazie mille! <3 
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 25
*** 2011 pt.7 ***


Roma, Lunedì 12 Settembre 2011
 
 
“Guarda qua.” Dissi entusiasta a Mika buttandomi sul divano accanto a lui, porgendogli il nuovo album.
“Perché no si vede tv, Marco?” Mi domandò continuando a pigiare i tasti del telecomando in modo molto concentrato, ignorando la mia affermazione precedente.
“Ho smesso di pagare il canone, ma alcuni canali si dovrebbero vedere.” Gli risposi perplesso abbassando la mano.
“Perché tu ha smeso?” Proseguì a chiedermi cercando qualche canale che si vedesse.
“Mi sono stufato e dovevo concentrami su altro.” Gli dissi guardandolo con aria estremamente confusa. Ma perché...
“Oh, okay.” Continuò a guardare lo schermo nero. Mi alzai deluso dal divano con l'intenzione di tornarmene nel mio studio, ma sentii la sua mano afferrare il mio braccio e tirarmi bruscamente a sé, facendomi cadere su di lui di peso. “Let me tell you, honey. You are a fucking sexy idiot.” Affermò divertito per, poi, portarsi a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Io?!” Esclamai guardandolo arrabbiato, cercando di rialzarmi, ma risultò difficile, visto il fatto che mi continuò a bloccare tenendomi stretto. “Lasciami, lasciami!” Urlai quando cominciò a farmi il solletico, cercando di prendere il cd, che tenevo lontano da lui il più possibile, allungando il braccio.
“Oh, come on!” Cercò di afferrarlo senza riuscirci, anche se non riuscii bene a capire il perché, visto la sua smisurata altezza.
“Sei stato un maleducato.” Continuai a dimenarmi, finché mi prese per i fianchi sollevandomi leggermente e ritirandomi sul divano per, poi, mettersi sopra di me, bloccando con gambe e braccia qualsiasi mio tentativo di fuga.
“E tu eres tropo facile da inganare.” Sussurrò provocante sulle mie labbra e buttandosi a capo fitto su di loro. Tuttavia, le serrai cercando di resistere il più possibile, ma, quando fece un lamento contrariato e mi morse senza troppa cura quello inferiore con i suoi incisivi, facendomi fare un piccolo gemito, ne approfittò per intrufolarsi nella mia bocca. 
“Stronzo...” Farfugliai infastidito lasciandolo fare. Lo sentii sorridere soddisfatto, fino a quando improvvisamente afferrò il disco staccandosi da me e rimettendosi a sedere sul bordo del divano, osservandolo in silenzio. Non gli piace? “Ehm, che ne pensi?” Domandai incerto posizionandomi dietro di lui, per avvolgerlo meglio tra le mie braccia e tra le gambe.
“This photo.” Disse indicando la foto di copertina, portandosi poi il dito sul labbro inferiore, pensieroso.
“N-non ti piace?” Girò immediatamente la testa portando il suo sguardo su di me. Come biasimarlo? 
“No, it's perfect. Your eyes are so... perfect.” Rispose sorridendomi, facendomi arrossire leggermente. Abbassai lo sguardo imbarazzato poggiando la testa sulla sua schiena. Mi accarezzò dolcemente i capelli tirandoli indietro. Dio, questo gesto…
“G-grazie.” Dopo tutto quel tempo riuscivo ancora ad imbarazzarmi in quel modo, diamine...
“Why Solo 2.0?” Mi domandò, dopo un po’.
“Solo, perché come tema ho deciso di trattare la solitudine, ma in tutte le sue sfaccettature, anche quelle positive.” Gli spiegai prendendogli una mano. “2.0 perché, in termini moderni, è un aggiornamento.” Continuai.
“Agiorname... what?” Mi chiese confuso girandosi di nuovo, aprendo il cd e prendendo il libretto al suo interno. 
“Un cambiamento.” Risposi divertito accarezzandogli la guancia. “Pone fine al vecchio Marco.” Mi sorrise dolcemente avvicinandosi a me, rimettendo di nuovo in contatto le nostre labbra.
“A me piace Marco. Tu no è cambiato.”
“Quel Marco che soffriva, per qualsiasi cosa, ha cominciando ad andarsene piano piano, quando sei arrivato tu.” Si morse timidamente il labbro inferiore per, poi, stringermi forte a sé.
“So, posiamo stare finalmente together per un po’?” Mi domandò poggiando il suo viso sulla mia spalla.
“Ecco, Mika, io a fine Novembre inizio un tour promozionale.” Si staccò immediatamente da me sistemandosi sul divano, per guardarmi meglio. 
Quell'espressione un po’ spaventata e sorpresa, che mi fece perdere l'ennesimo battito per la paura di quello che avrebbe potuto dirmi, si trasformò in un leggero sorriso, poco dopo.
“Manca tanto. Andare te venire a Londra con me?” Mi guardò negli occhi, con i suoi che improvvisamente risultarono di un colore leggermente grigio. 
“Possiamo andare a Londra, Parigi, Los Angeles, Dublino, dove vuoi. A me basta stare con te.” 
“I love you.” Disse dolcemente baciandomi ancora, vagando esperto sulle mie labbra. “Tonight.” Lo guardai confuso, per un secondo, aggrottando la fronte. “Ha meso ‘Tonight’ nel disco.” Spiegò.
“Sì, ho deciso di inserirla. Mi piace ed è tua.” Ricominciai a giocare nervosamente con le sue dita affusolate.
“And you?” Distolse il mio sguardo dalle sue mani, alzandomi il viso. “Are you mine?” Sembrava un bambino in cerca di conferme. 
“Non dubitarne mai.” Lo rassicurai baciandolo, di nuovo, sentendolo poi sorridere soddisfatto. Mi spostò delicatamente e mi fece distendere mentre cercava di approfondire, ancora di più, quel contatto. “Amore,” Lo richiamai staccandomi. “devo dirti una cosa.” Mi invitò a proseguire con lo sguardo. 
“Are you pregnant?” Chiese scherzoso poggiando le mani sulla mia pancia.
“Idiota.” Lo presi in giro dandogli uno schiaffetto dietro la testa. “Stai perdendo dimestichezza con l'italiano.” Dissi ridendo leggermente dall'espressione contrariata assunta dal suo volto. 
“Io no ha mai avuto visions mistiche su italiano.” Affermò confuso arricciando il naso. 
“Ma...” Scoppiai in una fragorosa risata. “partendo dal fatto che non si possono avere visioni mistiche sull'italiano, che io sappia.” Continuai a ridere prendendomi gioco di lui, che continuava ad osservarmi con sguardo minaccioso. “Hai bisogno di qualche altra lezione di italiano.” Gli accarezzai dolcemente i riccioli stringendoli lievemente in un pugno, dopo aver smesso.
“Oh, yes. I know it.” Si avvicinò al mio viso soffiando sulle mie labbra per, poi, spostarsi a dare dei piccoli baci sul mio collo. Al diavolo il suo italiano. Lo amo così com'è. 
Presi il suo viso fra le mani tirandolo delicatamente a me, cominciando a baciarlo con sempre più foga. Quando la sua lingua andò ad accarezzare dolcemente la mia, cercai di ribaltare le posizioni, ma me lo impedì nuovamente. 
“Tutta la palestra che sto facendo, non serve a niente, evidentemente.” Dissi affannato staccandomi.
“Ssh.” Mi azzittì leccandomi dietro l'orecchio, scendendo fino al collo. Sospirai a quel contatto affondando ancora le mie dita fra i suoi riccioli perfetti. Quando sentimmo il campanello suonare, però, respirai rumorosamente adirato e contrariato buttando la testa all'indietro sul bracciolo del divano, mentre Mika si staccò di malavoglia da me alzandosi. “Aspetava someone? Cris?” Mi domandò andando verso la porta. 
“Veramente, no.” Mi riabbassai velocemente la maglietta, che non mi ero neanche accorto mi avesse sollevato. 
“Io no poso aprire, alora, Marco.” Disse allontanandosi, andando in camera da letto. Era molto prudente su certe cose, e non mi dispiaceva più di tanto. 
Solo quando lo vidi scomparire dietro la porta, aprii a chi aveva suonato.
“M-Marta.” La chiamai paralizzato. Da quando era successo quello che era successo, Mika non l'aveva più rivista e non sapevo come avrebbe potuto reagire. “Che ci fai qui?” Le domandai abbassando la voce, uscendo ed accostando la porta.
“Marco, stanno facendo una gran pressione sulla tua omosessualità.” Disse senza troppe cerimonie. 
“Non sarebbe la prima volta. E poi, avevamo deciso che non avrei detto niente, quindi qual è il problema?” Chiesi confuso. “Sanno di Mika?” Continuai, subito dopo, facendomi gelare, da solo, il sangue a quelle mie parole. 
“No, tranquillo. Il problema è che ne ho parlato con alcuni dello staff e loro...”
“Che hai fatto?!” La interruppi con espressione che vagava fra lo sconvolto ed il furioso.
“Fammi finire. Ho detto loro che hai un compagno, non che è Mika.” Si giustificò.
“Non c'era bisogno di dirlo, comunque!” Esclamai contrariato sbraitando. “Più persone sanno, più io e Mika rischiamo, diamine!” 
“Ecco perché, mi hanno dato un consiglio, non proprio da scartare alla prima.” Consiglio?
“Spiegati meglio.” La incitai, di nuovo, a continuare.
“Beh, quando io e te siamo in pubblico, insieme, dovremmo sembrare, sì, beh, più che amici...” Disse guardandomi negli occhi. Cosa? E se questo compromettesse il mio rapporto con Michael? Dio, no...
“I-io non lo so, Marta. Dovrei parlarne con lui.” Dissi guardandomi nervosamente le mani.
“Fallo. Poi vediamo.” Sembrava essersi calmata, da quando ero andato ad affrontarla a casa sua. Aveva abbassato la cresta, come si dice solitamente. 
“Io non voglio prendere in giro i miei fan, però.” Continuai ancora più contrariato di prima. 
“Tu e Mika non potete uscire allo scoperto.” Ha ragione, però…
“Scelta più sua, che mia.” Affermai deluso. “V-vuoi entrare?” Le chiesi aprendo leggermente la porta.
“C'è Mika?” Mi domandò titubante.
“Sì...” 
“Allora, meglio di no. Fammi sapere.” Rispose semplicemente andandosene. Dio, se è strana.
 
“What?!” Esclamò alzandosi di scatto dal letto.
“Mika, aspetta, questa cosa effettivamente potrebbe aiutarci. Sei tu ad aver detto che non...” Tentai di iniziare a parlare.
“No! Cosa fa lei? Te abbracia? Te toca? Te bacia?!” Domandò sbraitando da una parte all'altra. 
“N-no, ma che dici.” È geloso? Oh, Santo Cielo...
“Tu ha detto che sei mine, Marco. Mine.” Si impose avvicinandosi a me.
“Ed allora di che ti preoccupi?” Gli dissi con sguardo e tono malizioso facendogli fare un'espressione sorpresa.
Lo presi per il colletto della camicia trascinandolo con me sul letto, senza mai staccare i miei occhi dai suoi. Mi gettai senza ritegno sul suo collo leccandolo e succhiandolo, dove si trovavano quei suoi due adorabili nei, perfettamente allineati. Non so voi, ma io li adoro. Quando lo sentii sospirare sotto le mie labbra, mi spostai sul suo orecchio, riservandogli lo stesso trattamento. 
“M-Mar...” Lo azzittì gettandomi ancora su quella sua bocca carnosa e morbida. Ecco, le labbra di Mika sono come due gelatine: dolci, morbidi e non ti stanchi mai di loro. Gli sbottonai quel pezzo di tessuto, troppo ingombrante ed inutile in quel momento, e ribaltai le posizioni facendolo ritrovare sotto di me, mentre mi continuava a guardare con occhi impazienti. Si alzò col busto accarezzando con una mano i miei capelli, dietro il mio collo, attaccandosi ad esso e tirandomi velocemente a sé. Approfittai di quella poca distanza, per andarlo a sfiorare fra le gambe e sorrisi soddisfatto sentendo il gemito di piacere che ne seguì. “M-Marco.” Sussurrò col fiato corto muovendo il bacino contro la mia mano. Vidi il suo viso contrarsi in un’espressione quasi sofferta e, poi, le sue labbra rilassarsi in un sorriso compiaciuto, mentre si mordeva quello inferiore. Quando portai le mie mani al bordo dei suoi pantaloni, per abbassarli, però, sentii suonare nuovamente il campanello. No, non è vero. “No aprire.” Disse rigettandosi sulle mie labbra. Cercai di ignorare quel suono fastidioso che continuava ripetutamente ad invadere la casa.
“M-Mika, potrebbe essere importante.” Dissi in difficoltà sulla sua bocca, ansimando.
“No, please.” Lo guardai intenerito, ma avevo paura che potesse essere davvero qualcosa di importante.
“Dai.” Gli diedi un bacio a fior di labbra e mi alzai lasciandolo sul letto, così com’era. Ovviamente mi dispiaceva, ma quel rumore stava diventando assordante. “Arrivo, arrivo.” Quando aprii, mi ritrovai davanti una Cris più sorridente che mai.
“Certo che sei lento, eh.” Mi prese in giro per, poi, cambiare completamente espressione ed osservarmi attentamente.
“Che c’è?” Le domandai preoccupato.
“Ma ti sei visto?” Perché? “Cioè, guardati Marcolino bello. Posso capire che certe cose in una coppia siano importanti, ma voi mi date l’impressione che continuiate a fare sempre e solo quello, cicci.” Disse scherzosa.
“M-ma cosa dici? S-sei impazzita?!” Le chiesi imbarazzato portandomi una mano dietro alla testa, ma quando la vidi indicare verso il basso, abbassai, a mia volta, il mio sguardo seguendola. Spalancai gli occhi e mi girai di scatto. Cazzo. “Ehm, scusami.” La sentii ridere mentre tornavo in camera da Mika, che se ne stava bello sdraiato sul letto ad osservare il soffitto. Anche lui non era messo meglio di me, però. “Come hai potuto farmi uscire in questo stato?” Dissi leggermente arrabbiato.
“What? Io ti aveva detto di restare.” Disse, a sua volta, divertito.
“Ciao Mika!” Sentimmo da dietro la porta della camera la voce di Cristie, che continuò a ridere come un’ossessa.
“Senti, bella, voi donne siete fortunate, okay? Non avete questo genere di problemi, quindi non puoi capire.” Le urlai cercando un modo per risolvere quel fastidioso ed imbarazzante inconveniente. Sentii la meravigliosa risata di Michael invadere la camera da letto, seguita da quell’altra. “E tu che te ne stai lì così, esci, no? Vai a salutarla, se ne hai il coraggio.” Lo sfidai facendolo smettere.
“Ascoltate, fate quello che dovete fare. Io vi aspetto in salone.” Mika mi guardò come ad approvare quella proposta. Eh?
“Ma sei completamente impazzito?!” Domandai scandalizzato prendendo il cuscino e tirandoglielo sulle gambe.
“Ehi! Be careful!” Mi rimproverò portandosi le mani dove l’avevo colpito. “If you want, lei può entrare.” Disse scherzoso. Mamma mia…
“Sei… sei… oh, boh, sei proprio un pervertito!” Lo rimproverai mettendomi dei pantaloni più larghi.
“Sente chi parla.” Ribatté guardandomi con sguardo malizioso. “Me pasa anche a me dei pants larghi, please?” Mi chiede alzando leggermente il bacino, per sfilarsi i suoi. Sentii la gola farsi immediatamente secca, facendomi deglutire leggermente a vuoto. Dio, se gli salterei addosso, ora. “So?” Vedendolo sorridere soddisfatto, li presi e glieli lanciai per, poi, uscire di fretta dalla stanza, facendo, per l’ennesima volta, molta fatica a controllarmi.
“S-scusami.” Le chiesi in imbarazzo sedendomi accanto a lei, che continuava ad osservarmi divertita. “Certo che sei brava a mettere a proprio agio la gente, eh.” Dissi ironico.
“Scusa, è che siete adorabili.” Scossi la testa ridacchiando vedendo, poi, Mika raggiungerci. “Allora, questo disco?” Oh, è vero. Le avevo detto che glielo avrei fatto ascoltare, per intero, prima dell’uscita. Gliene diedi una copia e l’osservò più sorridente che mai, quasi commossa. “Sono orgogliosa di te, Marco.” Affermò dolcemente, facendomi imbarazzare.
“Me too.” Sentii le braccia di Michael stringermi forte ed una sua mano scompigliarmi ulteriormente i capelli. “Cris, poso farte una question?” Chiese, poco dopo.
“Certo.” Annuì posando il cd, sorridendogli, ma ricevendo da me uno sguardo confuso.
“Ha tu visto Marco vestito da matita?” Scoppiò nuovamente in una fragorosa risata. Così? Improvvisamente? Dopo mesi?!
“Oh, sì.” Rispose seguendolo a ruota, diventando rossa, poco dopo, insieme a lui.
“Oh, please, describe him. Please.”
“Ma la volete smettere? E tu te ne esci così? Ma che…” Cercai di iniziare a parlare, adirato ed imbarazzato.
“Oh, come on. Questa ora è ragione di mia life.” Mi abbracciò continuando a ridere, sotto il mio sguardo allibito. “Ha tu una photo?” Le continuò a domandare. Questa me la paga. Giuro.
“Smettetela!” Alzai la voce andandomene via, offeso. Ma guarda te che stronzi questi, oh. “Quando e se mai incontrerò tua madre, vedrai come mi divertirò a scavare nel tuo passato.” Urlai dalla camera da letto, in cui non sapevo esattamente perché ero andato, ma volevo allontanarmi da quei due. “E poi, Cris, è inutile che mi prendi in giro, visto che tu ti sei vestita da zucchero filato.” Dissi, a mia volta, tornando, per un attimo, in salone. Tuttavia, non la vidi. Vidi solo Mika, che guardai con aria interrogativa, mentre mi raggiungeva in corridoio. “Dov’è Cris?” Gli chiesi incantato dal suo sguardo, improvvisamente serio, che portava con sé un pizzico di malizia. Mi sollevò di peso e corse in camera, mentre io cercavo di liberarmi dalla sua presa. “Lasciami! Mi prendi in giro e pretendi che faccia finta di niente?!” Sbraitai dandogli dei pugni leggeri sulla schiena.
“Shut up!” Mi gettò sul materasso mettendosi a cavalcioni sul di me, iniziando a baciarmi con sempre più foga. Tuttavia, io restai fermo, con le braccia incrociate ed incollate al mio petto, con espressione imbronciata. “Oh, come on.” Si lamentò cercando di intrufolare la sua lingua nella mia bocca. “Marco.” Mi rimproverò guardandomi serio. “Okay.” Si alzò e si sistemò accanto a me imitandomi.
Rimanemmo in silenzio, mentre io, poco dopo, iniziai ad osservalo divertito con la coda dell’occhio. Si sta controllando alla grande. All’improvviso, mi gettai su di lui approfittando della sua sorpresa per fare ciò che lui non era riuscito a fare pochi attimi prima.
“Sei un pollo.” Sorrisi sulla sua bocca per, poi, morderla e scendere dando lo stesso trattamento al collo, sentendolo dopo sospirare.
“E tu una matita.” Controbatté facendomi staccare subito da lui.
“Ah, sì, eh?” Lo guardai con ghigno quasi sadico.
“Yes.” Si alzò col busto afferrandomi e tirandomi, subito dopo, a sé catturando ancora le mie labbra.
Poggiai una mano sul suo torace, per darmi stabilità, ed una sulla sua guancia, ad approfondire quel meraviglioso contatto. Infilai l’altra sotto la sua camicia, per accarezzare il suo ventre piatto, sul quale si innalzavano dei leggeri addominali appena accentuati, per, poi, salire ad accarezzarlo fino al petto, sentendolo rabbrividire sotto il mio tocco. Però, mi bloccai sentendo la suoneria del suo telefono squillare e rimbombare per la stanza.
“Non farlo, ti prego.” Lo supplicai affannato.
“Io deve.” Mi lasciò un altro bacio a fior di labbra e si alzò a rispondere.
Mi risistemai sul letto portando le mani dietro la testa, per sollevarla e guardarlo meglio, respirando rumorosamente, ricevendo uno sguardo divertito ed amorevole da parte sua. Casa discografica. Ci vorrà molto. Già lo so.


#MyWor(l)d


Saaalve! C:
Come state? Spero bene! 
Mi dispiace di non essere riuscita ad aggiornare ieri! Chiedo venia! D: 
Cooomunque, sì, questi due non riescono ad avere neanche un momentino di pace in questo capitolo ahah :3 sono stata cattiva ewe

Ringrazio, come al solito, soprattutto chi recensisce <3 poi, chi ha messo la storia fra le seguite e le preferite e chi, semplicemente, la legge! Grazie di cuore <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 26
*** 2011 pt.8 ***


Londra, Domenica 16 Ottobre 2011
 
 
Da quando era uscito il disco, le cose andavano bene, anche se ovviamente tra promozioni ed interviste varie, Mika non ero riuscito a vederlo più di tanto. Ma sapevo che dopo quel breve periodo, avrei potuto passare del tempo di sana tranquillità con lui. Di fatto, appena ne avevamo avuto la possibilità, ero partito insieme a lui per Londra. 
 
Era passata la mezzanotte ed era ancora seduto lì, nel suo studio, a fissare tristemente un punto imprecisato dello schermo del suo computer da ore. Ma che gli prende? Teneva i gomiti impiantato sulla sua scrivania sollevando il viso con le mani, che, ogni tanto, portava sulla tastiera pronto a scrivere qualcosa, ma poi sbuffando scoraggiato ritornava nella posizione precedente. Io lo continuavo ad osservare attentamente, in silenzio, cercando di capire cosa avesse. Sapevo che quando si metteva al pc, era per scrivere, ma non lo faceva ed era visibilmente preoccupato. Come al solito, non si apriva molto su certi argomenti e la cosa mi faceva incazzare, e non poco aggiungerei, perché lui di me sapeva davvero tutto e gli raccontavo cosa mi turbasse, quando dovevo farlo. Invece, lui, testone com'era sempre stato, fingeva un sorriso quando mi passava davanti e quando se ne ritornava da solo soffriva completamente nel silenzio più totale. Ma non sapeva che io lo vedevo, ogni tanto, aprendo leggermente la porta del suo studio, per vedere cosa stesse facendo, ma alla fine restava sempre allo stesso modo e con la stessa identica espressione preoccupata. 
Il tutto era cominciato da quella telefonata da parte della casa discografica. Nei suoi atteggiamenti e nelle sue decisioni, Mika era sempre stato molto impulsivo e deciso. Se si metteva qualcosa in testa, era quella, e nessuno riusciva a fargli cambiare idea. Rispettavo queste cose e sopratutto i suoi spazi, per carità, ma vederlo soffrire, e non saperne l'esatto motivo, faceva male, davvero troppo male.
Avevo deciso: presi in affitto una casetta isolata poco fuori Viterbo, dove avrebbe potuto rilassarsi ed avremmo potuto passare un po’ di tempo tranquilli ed isolati completamente dal mondo. No cellulari. No preoccupazioni. Solo noi.
“Michael, amore, vieni a letto?” Gli domandai dolcemente chinandomi ad abbracciarlo da dietro, lasciandogli un leggero bacio sul collo.
“Mh, Marco, deve finire.” Rispose portandosi sullo schienale accarezzandomi la mano.
“Sei davanti a questo pc da ore.” Dissi con tono inquisitorio aggrottando la fronte e passando dolcemente le mie mani sul suo petto.
“Yes, I know, but...” Tentò di continuare a spiegare, ma decisi di fermarlo prima che iniziasse a parlare troppo.
“Basta, dai.” Sussurrai amorevolmente chiudendo il pc e baciandolo ancora sulla tempia, sentendolo sospirare lievemente, poco dopo, in segno di resa. 
Lo sollevai da quella maledetta sedia e lo presi per mano trascinandolo con me nella camera da letto.
“Crazie.” Farfugliò in modo ovattato schiacciando il viso contro il cuscino. 
“Neanche ti cambi?” Gli chiesi prendendo ad accarezzare i suoi capelli riccioluti.
“Oh, ha dimenticato. Sorry.” Disse per, poi dirigersi verso il bagno, dopo aver preso il pigiama.
Quando tornò in camera, si poggiò lentamente sul materasso dandomi un bacio a fior di labbra per, poi, mettersi di spalle. Lo abbracciai nuovamente da dietro mettendo, poi, sulla sua gamba una mano, sulla quale mise, a sua volta, la sua. 
“Buona notte.” Dissi a bassa voce alzandomi col busto, poggiando il gomito sul materasso, per dargli un altro lieve bacio sulla guancia. 
“Night.” Disse semplicemente facendo un piccolo sorriso.
Non volevo forzarlo a parlare e, poi, era visibilmente stanco. Doveva riposare. Avevamo tempo per discutere della cosa. 
 
Durante la notte, mentre lo osservavo dormire, con quella sua adorabile espressione da bambino innocente sul viso, fui tentato più volte di alzarmi ed andare a controllare il suo computer. Capire se e che cosa aveva scritto, oppure entrare nella sua casella e-mail. Alla fine, a me ne arrivavano alcune dalla mia casa discografica, quando dovevano ricordarmi qualcosa di importante. Forse per lui era lo stesso, no? Tuttavia, mi sarei sentito in colpa. Non potevo farlo, sul serio. Avrei dovuto parlarne con lui, appena se la sarebbe sentita. 
Continuai ad osservarlo incantato. Per fortuna, nella notte, si rigirava più di una volta e potevo vederlo bene mentre dormiva. Quegli occhioni, anche se chiusi, erano perfetti, la guancia un po’ schiacciata contro il cuscino e le sue labbra schiuse, a mostrare i suoi meravigliosi dentoni. Portai la mia mano poco sotto il suo occhio destro, ad accarezzare quella piccola cicatrice, che gli avevano inflitto e di cui, nonostante tutto, sentivo di essere la causa. Vidi il suo viso contrarsi leggermente a quel contatto, come se gli facesse ancora male. 
“Mmh.” Mugugnò stiracchiandosi e, poi, sbadigliando. “Ciao, amore.” Oh, il ritorno del diabete. Parte... ho perso il conto, vabbé. 
“Ehi.” Sussurrai mettendogli un ciuffetto ribelle dietro all'orecchio. 
“Che ci fa sveglio?” Mi chiese sistemandosi meglio sul letto.
“Mi sono svegliato poco fa.” Mentii. “Tu dormi, sono solo le quattro.” 
“No riesce a dormire, Marco?” Domandò preoccupato.
“Te l'ho detto, mi sono svegliato non molto tempo fa. Appena ti addormenti, mi addormento anch'io.” Dissi sorridendogli dolcemente. 
Si avvicinò a me abbracciandomi e posando il suo viso nell'incavo del mio collo, lasciandoci un leggero bacio. Sorrisi cominciando ad accarezzargli la nuca, cercando di farlo rilassare.
 
“Buongiorno bell'addormentato.” Gli sussurrai all'orecchio, dopo essere salito a cavalcioni su di lui, mentre dormiva beatamente a pancia in giù. Lo sentii muoversi e farfugliare qualcosa di sconnesso ed incomprensibile. Per cercare di svegliarlo, presi a baciargli e mordicchiargli dolcemente il collo. “Ti conviene alzarti.” Cantilenai passando al lobo, senza avere molti risultati, anzi nessuno proprio. “Se sei così rincoglionito, posso fare di te ciò che voglio, quindi?” Gli chiesi con tono malizioso accarezzandogli la schiena. 
“Mh, se ci tiene.” Farfugliò mantenendo gli occhi chiusi. 
“Non sarebbe male, ma quando facciamo l'amore, mi piace guardati negli occhi.” Sussurrai. “E possibilmente, vederti minimamente preso.” Finii scherzoso facendogli fare una piccola risata. Si girò improvvisamente sotto di me facendomi sussultare lievemente e piantare le mani sul materasso. “Ehi.” Dissi semplicemente portandone una sulla sua guancia.
“Ehi.” Ripeté alzandosi col busto facendo incontrare, poi, le mie labbra con le sue, beandole di quel dolce contatto un'altra volta. I loro schiocchi, che si sentivano nella stanza, furono accompagnati, poco dopo, dal fruscio delle lenzuola, sulle quali ci muovevamo lentamente e dolcemente. “Ti amo.” Disse, dopo essersi staccato. Il fatto che fosse effettivamente l'unica frase che riuscisse a dire bene, mi faceva ogni volta salire un brivido lungo alla schiena, accompagnato dal fatto che lo diceva col cuore, con gli occhi, con ogni singolo muscolo del suo viso e del suo corpo perfetto. “Che ha?” Mi chiese divertito accarezzandomi i capelli, non vedendo alcuna risposta da parte mia, essendomi incantato a guardarlo. Possibile che mi capiti ogni singola volta?!
“Niente, sei bellissimo. Ti amo anch'io.”  Dissi e lo vidi mordicchiarsi timidamente il labbro inferiore. Oh, quando lo fa, potrei morire. “Senti, avrei una cosa da proporti.” Mi incitò a continuare con espressione interrogativa. “Che ne dici di prenderci una piccola vacanza?” Mi guardò ancora più confuso di prima facendomi ridere leggermente. Ah, le sue faccine buffe sono la cosa più bella di questo mondo. “Ho affittato un piccolo casale isolato a Montalto di Castro, vicino Viterbo, per un paio di settimane. Io e te, nessun altro. Niente cellulari, niente lavoro. Solo io e te e la piccola Mel.” Vidi il suo volto illuminarsi ed i suoi occhi guardare i miei, quasi sognanti. “Ti va?” Domandai sorridente.
“I’d love to.” Fece un altro meraviglioso sorriso per, poi, avvolgere con le sue braccia il mio corpo, riscaldandolo con l’amore, che solo lui poteva trasmettermi. “Thank you, but why?” Domandò, poco dopo. 
“Ti vedo molto stressato dal lavoro ultimamente, Michael.” Approfittai di quella domanda, per iniziare a parlare della situazione che si era venuta a creare. Sospirò rumorosamente abbassando lo sguardo e prendendo la mia mano, iniziando a giocherellare con le dita. “Vuoi parlarne?” Gli chiesi cercando i suoi occhi. 
“Marco, io no riesce a scrivere nothing.” Disse in imbarazzo. “It's like, I don't know, tuto quelo that c'era in my head for the new album... tuto cancelato. Non riesca a meter ordine neanche un’idea.” Proseguì, ma sentii la sua voce spezzarsi e diventare strozzata, un paio di volte. Gli continuai ad accarezzare la guancia, ascoltandolo in silenzio. “Me sente so stupid.”
“Non dirlo neanche per scherzo.” Lo rimproverai. Sapevo quanto soffrisse, ma quei generi di momenti ci sarebbero stati più di una volta, ma per lui era di certo la prima. “Hai bisogno solo di tempo.” Lo rassicurai.
“No, my casa discographic mi fa presione e hanno ragione. They want to help me facendo write to someone else some songs, but, you know, I love to write my truth. Ha basato mia career musicale su sincerità. Quelo che io write it's me. Io ha avuto problemi con altre people, because they wanted to impore me cosa write, ma io no volio. My fans devono sapere who I am, and they capirano. Capirano my childhood, che mio lavoro ha aiutato me a aprirmi,  che io volio aiutare them too, che io amo loro, e capiranno che io amo un uomo.” Disse quell'ultima frase guardandomi intensamente negli occhi, con i suoi leggermente lucidi e più scuri del solito. 
Ci soffriva, e pure tanto. Ma era meraviglioso quello che voleva ed era riuscito a fare con la SUA musica. Lui era meraviglioso. Vidi solcargli lentamente il viso una lacrima, che mi curai di asciugare con un dito.
“Si sistemerà tutto.” Sussurrai stringendolo forte a me. È solo un momento.
 
 
Montalto di Castro, Sabato 22 
 
 
Quando riuscimmo ad arrivare al casale, volevo vedere attentamente l'espressione e capire ogni sentimento di Michael. Volevo capire bene se gli piacesse, oppure no. Era importante per me.
“Oh, my God! Amazing!” Esclamò a bocca aperta lasciando improvvisamente le valigie a terra. Mi abbracciò facendomi mancare il respiro e cadere le valigie, ma chissene frega, mi sollevò e fece dei piccoli giri dicendo qualcosa di difficile comprensione. Sentii di volare fra le sue braccia. “Crazie, crazie!” Risi per quella sua reazione, così infantile, ma così dannatamente dolce. Ero felice gli fosse piaciuta, almeno da fuori. Era molto rustica e mi piaceva come cosa, e soprattutto era completamente isolata. L'immensità verde del prato che ci si estendeva davanti, nel quale Melachi avrebbe potuto divertirsi senza problemi, gli dava un'aria estremamente intima, lontana da occhi indiscreti. Sarà fantastico. Quando mi posò a terra, sorrisi e lo presi per mano, cercando di raccattare le poche valigie e borse che ci eravamo portati. “Wow.” Sussurrò, appena entrati osservando il salotto e, soprattutto, il piano di sopra che si intravedeva da sotto le scale, essendo uno spazio abbastanza aperto. 
“T-ti piace?” Domandai emozionato.
“Of course! God, I love you!” Ributtò per terra le valigie e fece nuovamente cadere le mie, prendendomi alla sprovvista quando si gettò sulle mie labbra, facendomi sbattere contro il muro. Dio, lo amo ancora di più quando fa così. Cominciò a trascinarmi contro esso salendo, senza mai staccarsi da me. 
“Che fai?” Sospirai sorridendo, facendo finta di non capire le sue intenzioni.
“Inauguration.” Sussurrò con sguardo malizioso per, poi, mettere in contatto la sua bocca con il mio collo. Affondai le mie dita fra i suoi riccioli tirandoli leggermente dietro, facendolo mugugnare contrariato. “Where the fuck is the bedroom?” Chiese staccandosi di malavoglia. Sorrisi soddisfatto vedendo la sua impazienza e lo ripresi per mano, trascinandolo con me. Ricordando la volta in cui ero venuto a vederla, spalancai la porta della camera, mentre Michael continuava a tenermi stretto con le mani sui miei fianchi ed esplorava, per l'ennesima meravigliosa volta, la mia bocca. Respirai affannato sopra la sua cercando di riprendere fiato e controllarmi ancora un altro po'. Arrivati ai piedi del letto, gli sfilai senza troppe cerimonie la maglia, che copriva fin troppo il suo corpo perfetto, e mi ci adagiò delicatamente attaccandosi ancora al mio collo. Gemetti ancora di piacere quando lo andò a mordicchiare dolcemente.
“M-Mika.” Sospirai quando lo ritrovai completamente sopra di me, mentre si muoveva sinuosamente e sensualmente affondando le sue dita nel mio ciuffo, continuando a darmi piacevoli torture. Poggiai il mento sulla sua spalla aggrappandomi a lui. Aveva quella maledetta capacità di farmi impazzire ad ogni minimo gesto o movimento. Portò le sue mani ai bordi della mia maglietta e me la sfilò tornando velocemente a fare quello che aveva interrotto. Poco dopo, le sentii vagare sul mio corpo, fino ad arrivare all'elastico dei pantaloni giocandoci, per un po’. Lo sentii sorridere, quando mi sentì farfugliare contrariato incitandolo a sfilarmeli, diventati ormai troppo stretti a causa del suo giochetto, che tanto gli piaceva, e piaceva a me, lo ammetto. Mi rimpossessai delle sue labbra, coinvolgendolo in un bacio sempre più frenetico. “Michael, sbrigati.” Sussurrai affannato su di esse. Soddisfatto delle mie suppliche, me li sfilò chinandosi leggermente a baciarmi poco sopra l'elastico dei boxer per, poi, risalire lentamente lasciando dei leggeri baci, facendomi andare fuori di testa. Alcune volte, sembrava addirittura maligno. Gli piaceva vedermi in balia dei suoi gesti. Eh, beh. Me li abbassò lentamente sorridendomi sadico. Gli accarezzai la guancia, leggermente ruvida dalla barba, che gli dava un aspetto ancora più irresistibile, incantato, anche se decisamente impaziente. Mi inarcai verso di lui, quando sentii le sue labbra entrare in contatto col mio membro avvolgendolo nel loro calore. Gettai la testa all'indietro e decisi, poco dopo, di accompagnarlo leggermente nei movimenti. “Mika...” Ansimai cercando di controllarmi, contraendo i muscoli per non cedere, arrivato quasi al limite. Si gettò sulle mie labbra continuando a giocare con la mano. "Ti prego..." Farfugliai ritraendomi un po' col bacino, senza avere molto successo. Eh, no. Se voleva fare come l'ultima volta, si sbagliava di grosso. Ribaltai immediatamente le posizioni attaccandomi al suo collo, e gli sfilai velocemente i pantaloni, senza neanche sbottonarli, ed i boxer gettandoli in un punto imprecisato della stanza, sotto il suo sguardo soddisfatto per l’effetto che mi continuava a fare ogni volta. Mi sistemai fra le sue gambe e, dopo essermi chinato leggermente a baciare la sua erezione facendolo sussultare, portai la mia sulla sua apertura cercando di fargli il meno male possibile. Quando gemette e cominciò a respirare più affannosamente, si inarcò verso di me e ne approfittai per stringerlo fra le mie braccia accarezzandogli dolcemente la testa. Si aggrappò a me e mi fermai aspettando che si abituasse alla mia presenza. Quando mi girai verso il suo viso, però lo vidi contratto in un'espressione fin troppo sofferente. “Michael, i-io... mi dispiace. Se vuoi smet...” Cercai di iniziare a parlare mortificato. Fa male vederlo così, troppo male.
“N-no, it's okay.” Si attaccò alle mie labbra e si spinse leggermente verso di me, come a darmi il via libera. 
Cominciai a muovermi lentamente facendo attenzione a capire ogni sua emozione. Fare l'amore con lui era meraviglioso, e volevo che per lui fosse la stessa cosa. Avevo paura che invece così non fosse. Anzi, probabilmente non lo era. Non capivo bene perché non riuscissi ad essere dolce come lui lo era con me, e mi sentivo tremendamente in colpa. Lo feci distendere sul letto, sperando che in quella posizione gli facessi meno male. Presi ad accarezzare il suo membro cercando di fargli provare il più piacere possibile e distoglierlo dal dolore, e lo vidi sospirare più rumorosamente e buttare la testa all'indietro aggrappandosi con una mano alle lenzuola, che cominciai a stringere insieme a lui, dando delle spinte un po’ più veloci e decise, alternate ad alcune più lente. “M-Marco.” Ansimò facendo un piccolo sorriso, distendendosi ancora di più, facendomi impazzire ulteriormente.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, ci lasciammo andare al piacere assoluto insieme, venendo simultaneamente. Restai attaccato a lui, e mi ci distesi sopra cercando di riprendere fiato. I nostri respiri ed in nostri battiti accelerati si univano nel silenzio della stanza, dando inizio ad una musica talmente intima. 
Gli accarezzai i riccioli, leggermente bagnati, e gli lascia un bacio sulla guancia stringendolo a me. 
“Stai bene?” Domandai affannato vicino al suo orecchio, sentendolo tremare, poco dopo. 
“Sure.” Disse prendendo la mia mano, stringendola forte e portandola sul suo torace, sul quale sentii il battito tornare, pian piano, quasi regolare. 
“Doccia?” Gli chiesi con sguardo malizioso facendolo ridere.
“Tu è insaziabile.” Mi prese in giro.
“Senti chi parla. E poi, sei un pervertito. Sarebbe una cosa innocente.” Affermai lasciandogli un piccolo bacio dietro l'orecchio. 
“If lo dice tu.” Continuò divertito.
Finalmente, riuscivamo a stare soli in santa pace, senza pressioni, né problemi. E devo dire, che la nostra piccola vacanza era iniziata anche abbastanza bene, dai.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Mamma mia, sto diventando sempre più pervertita ._." Chiedo scusa. Credo dovrò cambiare il rating della storia, voi che dite? xD 
Cooomumque, un'altra volta due giorni di seguito?! Mi sorprendo da sola u.u <3
Allora, come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge in silenzio! <3 Grazie di cuore, davvero. c:

Un bacione,
Michaels

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Capitolo 27
*** 2011 pt.9 ***


Montalto di Castro, Domenica 23 Ottobre 2011
 
 
Cominciai a trafficare ed a tastare lentamente sul letto alla mia sinistra con una mano e con una gamba, alla ricerca del suo corpo caldo, al mio fianco. Tuttavia, quando riuscii solo a distinguere il fresco delle lenzuola, spalancai gli occhi e mi alzai di scatto col busto. Non c’è. Mika non era lì. Girai velocemente la testa alla ricerca dell’orologio sul comodino. Le cinque e trentadue? Era estremamente strano che non si trovasse con me a quell’ora. Quindi cominciai a vagare ed a cercarlo nel corridoio e nelle stanze, ma nel piano di sopra non c’era. Così mi sporsi appena sulla ringhiera di legno ed intravidi una luce appena visibile, proveniente dalla cucina e mi precipitai giù dalle scale. E lo vidi: si era messo nuovamente davanti a quel maledettissimo computer, leggermente chinato e la testa poggiata pesantemente sulla sua mano, col gomito piantato sulla tavola e sotto la sedia Melachi, che dormiva beatamente. Cosa che dovrebbe fare pure lui.
“Mika.” Lo chiamai poggiando delicatamente una mano sulla sua spalla, senza però ricevere risposta. Aggrottai la fronte contrariato, e confuso, e mi porsi leggermente sopra di lui, per controllare che stesse bene. Dorme. Aveva gli occhi chiusi ed il viso aveva assunto un’espressione estremamente buffa, ancora più del solito. La guancia schiacciata e lievemente gonfia sotto l’occhio, accompagnata dalla bocca semiaperta, dalla quale ovviamente si potevano vedere i suoi adorabili incisivi, sul labbro inferiore, sporgeva leggermente la sua lingua. Che buffo. Lo guardai intenerito. Sembrava davvero un bambino indifeso. Buttai l’occhio sullo schermo del pc, sul quale vidi una pagina completamente bianca. Sospirai rassegnato, ma è proprio un testone. Lo sveglio? Non sapevo se farlo o meno, sinceramente. Oppure, sollevarlo e portarlo a letto, anche se sarebbe stata un’ardua impresa, soprattutto senza cercare di dargli fastidio. Alla fine, optai per la prima opzione. “Michael, ehi.” Sussurrai inginocchiandomi ed accarezzandogli il braccio dolcemente. “Amore.” Ritentai poggiando una mano sulla sua guancia. Lo sentii farfugliare qualcosa di incomprensibile e lo vidi strizzare leggermente gli occhi, che riuscì a mostrarmi, poco dopo. “Ehi.” Continuai ad accarezzarlo, sotto il suo sguardo quasi sorpreso.
“Marco.” Biascicò guardandomi poi smarrito. “Oh, God, che ore è?” Domandò sistemandosi meglio sulla sedia.
“Sono passate le cinque e mezza. Da quanto sei qui?” Gli chiesi cominciando ad accarezzargli anche i capelli che, nonostante avesse tagliato ancora di più, erano comunque un po’ arruffati.
“I don’t know.” Rispose sbadigliando e chiudendo la pagina che teneva aperta.
“Perché non fai mai quello che ti dico?” Dissi con tono di rimprovero richiudendo anche il computer ed aiutandolo ad alzarsi.
“Sorry.” Disse semplicemente prendendomi per mano.
Lo trascinai a letto stringendolo forte tra le mie braccia. Forse avevo paura che se ne potesse tornare nuovamente su quello schermo a torturarsi il cervello per buttare giù e scrivere qualcosa, ma doveva solo avere pazienza. Sapevo quanto potesse fare male e dare fastidio una situazione del genere, ma pensarci più e più volte non l’avrebbe di certo aiutato, anzi. E poi, a cosa l’avevo portato a fare in vacanza? Inizialmente gli avevo detto di lasciare anche il pc e di portarsi solo il telefono, ma mi aveva detto che lo voleva a portata di mano in caso gli fosse venuta qualche idea. Come dirgli di no? Aveva ragione, alla fine, ma eravamo in vacanza, insieme… volevo che si concentrasse solo su quello, solo su di noi.
 
“Che roba, oh!” Esclamai guardando fuori dalla finestra il temporale, che si abbatteva sulla casa ed a pochi metri da noi. “Che culo, che abbiamo, eh.” Ed io che avevo programmato delle belle passeggiatine discrete e solitarie.
“Yes, tu ha un bel culo.” Sussurrò divertito al mio orecchio abbracciandomi da dietro e poggiando il suo mento sulla mia spalla.
“Molto divertente…” Continuai infastidito portando le braccia al petto.
“Oh, come on. Relax. Siamo here tuti soli.” Incominciò a lasciare dei leggeri baci sul mio collo. Ma perché proprio lì…
“Che poi tu che me vieni a parlà de relax, non se po’ sentì.” Affermai tirando fuori il mio romanesco.
“What?” Domandò confuso e divertito soffiando sulla mia pelle, facendomi rabbrividire.
“Lascia perdere.” Sospirai girando la testa verso di lui e posando le mie labbra sulle sue. “Che facciamo?” Gli chiesi buttandomi sul divano, cercando di riscaldarmi davanti al caminetto. Mamma mia, fa davvero freddo. Non ricevendo alcuna risposta da parte sua, mi girai a vedere cosa stesse facendo e lo ritrovai mentre mi guardava con uno sguardo estremamente malizioso. Sarei io quello insaziabile, eh? Poi dice a me. Lo osservai attentamente mentre si avvicinava pericolosamente, facendo combaciare ancora una volta le nostre labbra. Chinò leggermente la testa senza staccarsi, scendendo e soffermandosi poco sotto la mandibola. Sospirai e portai la testa all’indietro, come invito ad esplorare più approfonditamente, quel punto così sensibile. Si sdraiò sopra di me facendomi adagiare delicatamente rimanendo attaccato alla mia pelle. Sospirai ancora più rumorosamente sentendolo, poi, sorridere su essa, quando andò a mordicchiarla delicatamente.  Però un temporale, ancora più forte dei precedenti, fece andare via la luce, facendo smettere immediatamente a Mika ciò che stava facendo.
“Shit.” Disse guardando il caminetto.
“Almeno abbiamo quello.” Affermai rincuorato prendendogli le mani per riscaldare le mie, quasi gelide, con le sue.
Lo vidi sorridere dolcemente nell’oscurità e chinarsi, per continuare quello che aveva interrotto. Tuttavia, nonostante il trattamento che mi stava riservando avrebbe potuto farmi impazzire da un momento all’altro, sentivo un gran freddo. Come detto, quel periodo lo soffrivo particolarmente, e la cosa non andava per niente bene. Non dovevo e non volevo rovinare questi giorni insieme a lui, prima di partire per il tour promozionale. Tremai leggermente, contro la mia volontà, quando mi sfilò velocemente la maglia.
“Marco, are you okay?” Poggiò la sua mano fredda sulla mia guancia, facendomi rabbrividire ulteriormente.
“S-sì.” Balbettai abbracciandolo.
“Tu è caldo.” Affermò preoccupato staccandosi e rivestendomi. “Tue difesa ancora deboli sono.” Disse per, poi, sospirare dispiaciuto alzandosi.
“No, è normale. F-fa freschetto.” Dissi ritirandolo a me.
“Wait.” Mi lasciò un leggero bacio sulla fronte rialzandosi, per l’ennesima volta, per, poi, tornare una coperta, con cui mi coprì con cura. Ah, ma perché è così… così!
“Grazie.” Ero in imbarazzo, e per fortuna non poteva vedere le mie guance andare ancora più a fuoco di quelle che già erano. “Vieni qui con me?” Gli chiesi, nonostante il divano fosse estremamente piccolo per tutti e due, e soprattutto per lui, che con la sua smisurata altezza, si ritrovava abbastanza fuori con le gambe. O meglio, anch’io lo facevo, ma di certo lui di più.
“No vuole un thé caldo?” Mi domandò pronto ad andare in cucina.
“No, voglio te.” Risposi rimettendomi, però, leggermente in imbarazzo. Non riuscivo a vederlo molto bene e non riuscivo neanche, di conseguenza, a capire cosa stesse pensando a quelle mie parole, ma poco dopo lo vidi mettersi accanto a me stringendomi a sé e sistemandosi per far sì che fosse lui a stare sotto, ed a farmi da ‘materasso’, come io avevo fatto tempo prima.  “Te l’ho già detto che anche con i capelli così corti sei meraviglioso?” Soffiai a pochi centimetri dal suo viso.
“Al buio lo dice?” Chiese divertito. “Anyway, tu è meravigioso.” Sorrisi mordicchiandomi il labbro inferiore e scostandogli un ciuffetto per, poi, posare le mie labbra sulle sue.
 
 
Mercoledì, 26 Ottobre
 
 
Passammo quei giorni a casa a causa di una lieve influenza che mi ero preso. Dissi più e più volte a Mika che potevamo benissimo uscire, anche perché fortunatamente aveva piovuto solo due giorni, poi basta. Ma ovviamente il papino non voleva rischiare. Certo. Ma lo amavo anche per questo: mi faceva sentire talmente amato e così importante, come forse solo Cris era riuscita a fare in precedenza, qualche volta. Era vero che non mi piaceva essere il bambino indifeso, e che lui facesse il padre premuroso ed apprensivo, ma cosa puoi fare quando Michael Holbrook Penniman Jr. ti porta la colazione a letto, ti riempie di attenzioni più del dovuto, ti bacia ogni due per due, e chi più ne ha, più ne metta? Andiamo…
 
“Quale, secondo te, va meglio?” Gli chiesi guardando il suo riflesso divertito dallo specchio, mostrandogli due cravatte, una blue ed una rossa, mentre cercavo di prepararmi per uscire con lui. Mamma mia, sembro una ragazzina al suo primo appuntamento.
“Before tu dovresta dirme che completo te meta. La camicia è quela?” Indicò quella azzurra che avevo addosso.
“Sì. Mh, quello blue.”  Ma allora metti quella blue, genio.
“Quela red.” Eh? Disse, dopo averci pensato per un attimo, ricevendo in risposta un mio sguardo sorpreso. “What? Tu ha chiesto mio parere. E poi tu colorato è mucho sexy.” Dio… “In lecande too.” Le… che? Sussurrò al mio orecchio posando una mano sulla mia gamba. Ah! Risi divertito da quell’affermazione ridicola facendo il nodo alla cravatta. “Che ci è? Tu no crede me?” Chiese girandomi verso di lui slacciandola e rifacendola, meglio di come l’avevo sistemata io.
“Lasciamo stare.” Risposi guardando le sue mani. “Grazie.” Continuai lasciandogli un bacio sulla guancia, ma mi afferrò per un braccio fermandomi. “Ehi…” Mi girò bruscamente facendo entrare in contatto i nostri petti, nei quali si sentivano distintamente i battiti.
“Tuto qua?” Soffiò a pochi centimetri dalle mie labbra, su cui posò delicatamente le sue, paralizzandomi. “Così è melio.” Affermò soddisfatto.
“A dopo.” Dissi semplicemente ancora incantato andandomene, sotto il suo sguardo divertito.
Mi rasai la barba e consumai l’intera boccetta di profumo. Mamma mia… Sarà stato che era la seconda vera uscita insieme. La prima ero troppo stordito, per quanto mi ricordassi e mi rendessi conto di tutto, ero confuso. Non mi ero preparato così, anzi. Mi ero trascurato e mi ero, giustamente, sentito profondamente in colpa nei suoi confronti. Volevo rimediare quella volta.
“Marco, amore, tu che dice. Me mete que…” Esordì entrando in camera, ma si bloccò quando mi vide facendomi andare nel panico più totale. Faccio così schifo?
“V-va tutto bene?” Chiesi in imbarazzo.
“W-what?” Ritornò alla realtà. “S-sure, but…” Posò le cose che mi stava mostrando sul letto e si avvicinò a me.
“Sto così male?” Gli domandai incerto.
“W-what?!” Ripeté facendo una faccia quasi scandalizzata. “N-no, no. You’re… beautiful.” Oh, Dio, non è vero. Mi sta per venire un infarto. Ma perché, quando mi serve, il defibrillatore se ne va sempre in vacanza? Mi sorrise dolcemente facendomi abbassare lo sguardo. Avvolse il mio corpo fra le sue braccia stringendomi a sé. Sospirai sul suo collo, sollevato dal fatto che mi trovasse in quel modo.
“C-che mi stavi facendo vedere?” Domandai puntando i miei occhi su quei due cosi neri, che si era portato stranamente dietro.
“Oh, yes. Per costume.” Rispose mettendosi quelle due basettone finte sulle guance. Ma che?
“Costume?” Chiesi confuso ridendo dall’aspetto che gli davano.
“Ehi, perché tu ride?” Esclamò offeso sbattendo un piede a terra.
“Beh,” Continuai a ridere. Era davvero troppo buffo. “stai bene.” Lo presi in giro, ironico.
“Tu pensa a tua matita.” Smisi di ridere improvvisamente guardandolo serio, mentre la sua espressione scandalizzata si tramutò in divertita e soddisfatta.
“Ringrazia che ho questo vestito, altrimenti me l’avresti già pagata.”
“Sure… if lo dice tu.” Disse strafottente.
“Tu, brut…” No, calmati. “Mika, non c’è bisogno di travestirci per stare tranquilli. Non ti dico altro.” Dissi sorridendo, ricevendo uno sguardo interrogativo da parte sua. “Tu fidati.” Mi avvicinai, per lasciargli un altro bacio sulla guancia per, poi, andarmene. “Preparati, piuttosto!” Alzai la voce dal piano di sotto.
Quando lo vidi però, poco dopo, scendere le scale mi si mozzò davvero il fiato. Okay, io sapevo che gli avrei organizzato una sorpresa, per cui avrei dovuto usare un completo elegante, e gli avevo detto di portarne uno, in caso fosse successo qualcosa, ma non immaginavo che avrebbe portato una cosa del genere. Un completo ed una cravatta colore dell’oceano, che esaltavano ancora di più i suoi occhi dal colore ancora indefinito, ma così verdi in quel momento. Ecco, i suoi occhi andavano a piacimento ed a seconda delle occasioni. Ho capito, però Mr. Penniman, perché mi vuoi uccidere così? Sentii la bocca seccarsi automaticamente facendomi deglutire a vuoto. Continuai ad osservarlo, finché non fu a pochi centimetri da me, sorridente più che mai.
“Sono ready.” Decretò soddisfatto.
“M-Michael.” Fissai i suoi occhi, vispi e felici, che mi domandavano di proseguire. “S-sei m-meraviglioso.” Balbettai incantato per, poi, vederlo avvicinare lentamente le sue labbra alle mie, posandole delicatamente, lasciandoci un piccolo ma dolce bacio.
“Andiamo.” Mi porse il braccio gentilmente, a cui mi incatenai senza esitazioni.
 
“Oh, come on! Dime dove stiamo andando!” Esclamò accanto a me, mentre continuavo a guidare.
“È un sorpresa.” Cantilenai guardandolo con la coda dell’occhio. “E non ti muovere così tanto. Ti si rovinerà il vestito.” Sta morendo dalla curiosità.
“No mi piaciono sorpese!” Disse offeso incrociando le braccia al suo petto.
“Certo, lo so.” Affermai divertito.
“Bad boy.” Continuò restando in quella buffa posizione.
“Vedrai che ti piacerà.”
“Mh…” Farfugliò torturandosi le labbra. Di questo passo impazzisco.
“Chiudi gli occhi.” Dissi una volta arrivato parcheggiando.
“What?” Domandò contrariato.
“Per favore.” Lo pregai con espressione seria, ma anche in parte divertita, dalla sua fanciullezza innata. Sbuffò e fece come gli dissi di fare. “Non sbirciare, eh.” Lo presi per mano e mi diressi dove avevo prestabilito che si sarebbe svolta la serata. In tutto questo, ovviamente c’era anche lo zampino di Cristie. Ah, l’adoro. Ero preoccupato anche dal meteo, ma per fortuna non sembrava remarmi contro, nonostante il tempo nei giorni precedenti. “Ora puoi aprirli.” Dissi entusiasta facendo attenzione ad ogni sua minima espressione, cercando di capire e carpire ogni sua emozione, positiva o negativa che fosse. Ovviamente, meglio positiva. Lo vidi spalancare la bocca facendo assumere al proprio volto un’espressione, sì sorpresa e meravigliata, ma forse quasi commossa. Davanti a noi si estendevano solo delle piccole colline, illuminate da delle piccole candele che andavano a formare un’immagine ben precisa: due cuori incrociati. Forse era banale, scontato, ma, nonostante mi fossi ammazzato a pensare a qualcosa per tanto tempo, Cris mi disse che le cose più semplici sono quelle più dolci. Di lei mi fido. Poco sotto di noi, un tavolo abbellito da due candele, affiancato da un altro tavolo con la cena, portato lì poco prima dal ristorante a cui avevo chiesto di fare questa cosa un po’ speciale. Il tutto era reso ancora più bello dal cielo, che aveva preso un colore arancione e roseo. Grazie Dio. Questa volta mi hai aiutato. Continuai ad osservarlo, fino a quando spostò il suo sguardo su di me, e riuscii a vedere i suoi occhi lucidi, che avevano preso il colore riflesso del tramonto.
“A-amore.” Scosse la testa incredulo avvicinandosi a me e stringendo forte le mie mani.
“Io ho pensato che, dopo tutto quello che abbiamo passato, che hai passato, questo fosse, anche se piccolo, uno dei tanti modi per dirti grazie per questi quasi… due anni. È vero, tra difficoltà e tanto altro, ma sei ancora al mio fianco e non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo.” Dissi guardandolo seriamente. Sto per piangere anche io, cazzo.
“I-I…” Vidi una lacrima solcargli quel suo viso perfetto ed ebbi l’irrefrenabile bisogno di abbracciarlo. E così feci: lo tirai a me sentendo anche le sue braccia avvolgere il mio corpo. “Io ti amo.” Sussurrò con voce rotta al mio orecchio per, poi, alzarmi il viso ed unire, ancora una volta, le nostre labbra. “E questo no è più picolo, anzi. Io deve ringraziare te. Oh, God, crazie.” Le catturò nuovamente facendomi mancare il respiro. Ogni bacio che mi dava era incredibilmente incredibile, come se fosse ogni volta ancora il primo.
Era poco invece, io lo sapevo, ma avevo bisogno di esternare ancora tutto l’amore che avevo per lui. Anche se tutto ciò che provavo era indescrivibile a parole, e non era possibile ringraziarlo abbastanza per tutto ciò che lui aveva fatto per me, quel poco che potevo fare, lo facevo. Dovevo farlo, per il semplicemente fatto che anche solo amarmi e sentirmi amato in quel modo, non pensavo fosse possibile. Eppure Mika ci era riuscito.


#MyWor(l)d


Saaalve! c:
Come state? Spero bene! *w* 
Vi dirò la verità, mi sono divertita a scrivere questo capitolo, specialmente la seconda parte, e spero che almeno un po' riesca a divertire anche voi :3 <3 so comunque che non è il massimo, anche perché come al solito sono di fretta e deeevo andare, rispondo alle vostre recensioni e corro via. :3 E scusate anche per eventuali errori, l'ho riletto solo una volta, ma spero di non essermi fatta sfuggire niente <3
Mi sono fatta venire il diabete da sola, però ._." 
Cooomunque, come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge lì dietro lo schermo in silenzio! <3 (sì, mi andava di cambiare, se no vedete che palle ewe) 
Vi adoro!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 28
*** 2011 pt.10 ***


Montalto di Castro, Giovedì 27 Ottobre 2011
 
 
La serata era stata perfetta, dico davvero. Osservare tutte quelle sue adorabili espressioni, che riuscivano a farmi capire appieno ogni sua minima emozione, era stato qualcosa di così immensamente dolce e meraviglioso. Eravamo riusciti a passare un momento di intimità fuori dalle mura di una casa, senza cambiare i nostri comportamenti ed atteggiamenti, ed era veramente incredibile. Non avevo dovuto resistere, neanche una volta, dal baciare quelle sue labbra perfette, se volevo, o da prendergli delicatamente quella sua mano dal tocco vellutato. E poi, ripeto, con quel completo era qualcosa di talmente angelico, ma anche qualcosa di talmente attraente. Solo lui poteva far combaciare così bene l’essere completamente innocente e l’essere dannatamente provocante. Vederlo sorridere in quel modo ad ogni cosa che gli mostravo era stata una tale emozione. Sapete, quei sorrisi così dolci che fa ogni volta che è in imbarazzo, oppure incredulo? Beh, erano quelli ed erano i più belli. E quando si portava la mano alla guancia e distoglieva lo sguardo, cercando di nascondere l’ennesimo piccolo disagio, ne vogliamo parlare? Andiamo. E poi, ancora, quella sua risata cristallina? Sarei potuto restare lì ad ascoltarla per ore, incantato, senza mai stancarmi.
Quando, però, smetteva di essere il mio adorabile timido Michael, si trasformava poi nel mio Michael passionale, ed era ancora più fottutamente perfetto. Richiudendo gli occhi, potevo ancora sentire i suoi respiri e sospiri sulla mia pelle, le sue braccia e le sue mani che vagavano senza meta sul mio corpo, e le sue morbide labbra sulle mie. Fare l’amore quella sera era stato qualcosa di indescrivibile. Era riuscito incredibilmente a farmi sentire ancora più amato di quanto già facesse, cosa che non credevo fosse assolutamente possibile ulteriormente.
Ripensandoci ancora, mi mordicchiai il labbro inferiore, un po’ in imbarazzo ma anche, e soprattutto, incantato da quei ricordi, per fortuna non molto lontani. Sorrisi leggermente, quando sentii le sue mani avvolgere lievemente i miei fianchi ed il suo respiro caldo scontrarsi delicatamente contro il mio collo.
“Good morning.” Sussurrò dolcemente lasciandoci un piccolo bacio. “Che sta facendo?” Mi domandò stringendomi, ancora di più, a sé.
“Stavo preparando del caffè, tu lo vuoi?” Gli domandai girando la testa, per incatenare i miei occhi ai suoi, illuminati da una strana luce quella mattina.
“Yes, thanks.” Soffiò sulle mie labbra per, poi, posarci le sue coinvolgendole in un bacio dal ritmo incomprensibile inizialmente. Mi girò verso di lui facendomi lasciare la caffettiera, approfondendo quel contatto. Quando cominciò a fare un po’ più di pressione, indietreggiai fino a scontrarmi col bacino contro il bancone della cucina, sul quale mi adagiò dopo avermi sollevato leggermente. Le sue mani cominciarono nuovamente a vagare velocemente sul mio corpo facendomi salire dei piacevoli brividi lungo la schiena. Posai la mia mano sulla sua guancia e l’altra sul suo fianco e, dopo che ebbi allargato appena le gambe, lo tirai a me fra esse, quasi bruscamente sentendolo sussultare leggermente. Sorrisi sulle sue labbra per, poi, staccarmi lentamente, non molto tempo dopo. Voglio sempre un risveglio così. Ti prego. Accarezzò dolcemente anche lui la mia guancia, lasciandoci poi un lieve bacio per, poi, avvicinarsi al mio orecchio. “You know, io speso la matina, when I’m alone, I’m molto antipatico. Soy un monstro,” Sorrisi divertito da quella frase e da quel miscuglio di lingue. “but, when I’m with you, me sento così straordinariamente bene.” Straordinariamente? Okay, non so se essere più intenerito dalla frase, o dal fatto che sia riuscito a pronunciare una parola del genere. Mi mordicchiò il lobo facendomi sospirare leggermente ed intrecciare le mie dita fra i piccoli riccioli che si era lasciato, per fortuna. Riportai il mio sguardo su di lui, che mi continuava a guardare dolcemente, con quei suoi due occhioni, che nessun altro essere umano poteva possedere. Ammesso che Mika fosse un essere umano. Nah, probabilmente era semplicemente un angelo. “Crazie per ieri.” Disse avvolgendomi fra le sue braccia.
“Grazie a te.” Dissi, a mia volta, abbracciandolo e poggiando il viso sulla sua spalla lo sentii sorridere per, poi, fare la stessa cosa.
 
 
Venerdì, 28 Ottobre
 
 
Merda. Chiusi la telefonata con Marta passandomi distrattamente e disperatamente una mano fra i capelli. Ed ora come faccio? Come facevo a dire a Michael che dovevo tornare a Roma, per le prove del tour e che l’avrei lasciato solo, dopo che gli avevo promesso che avremmo passato del tempo insieme, senza problemi? Non potevo farlo. Non in quel momento, almeno.
Lo osservai, ancora per un po’, fuori dalla finestra mentre giocava e coccolava beatamente Mel, che non vedeva l’ora di prendere delle sane coccole dal suo amato padrone. Quando mi vide, mi sorrise, poi però si alzò di scatto. Forse ho una faccia strana. Cazzo. Mi diressi dentro casa cercando di fare ordine nella mia testa, per dirgli quello che avevo da dire.
“Marco, are you okay?” Mi chiese con tono preoccupato avvicinandosi a me.
“Sì, certo, però...” Lo presi per mano facendolo sedere, di nuovo, insieme a me sul divano. “Michael,” Gli presi delicatamente anche l’altra osservandole mentre mi accarezzavano amorevolmente. Feci un respiro profondo cercando di darmi coraggio. “io purtroppo devo tornare a Roma per il tour di cui ti ho parlato.” Dissi tutto d’un fiato, poco dopo.
“Oh...” Farfugliò con un pizzico di delusione abbassando lo sguardo per, poi, fare un leggero sorriso. “It’s okay. Torniamo.”
“Se vuoi tu puoi restare, però.” Affermai velocemente osservando la sua espressione, che divenne confusa a quelle parole.
“What?” Alzò di scatto la testa. “No, no. Crazie, ma io volio stare with you.” Strinse ancora più forte le mie mani.
“Però, non potremo vederci molto durante la giornata. Questo lo sai, giusto?” Annuì dispiaciuto sistemandosi sul divano.
“Quando dobiamo andare?” Domandò puntando i suoi occhi su di me.
“Questo pomeriggio.” Sospirai riprendendo la sua mano, poggiata sulla sua gamba.
“Oh, okay. Va a fare valigie.” Disse alzandosi. “Viene?” Mi sorrise dolcemente cercando di rassicurarmi.
“Amore, scusami.” Dissi mortificato accarezzandomi nervosamente il braccio.
“Ehi, don’t worry.” Disse, a sua volta, premuroso, alzandomi il viso, portando un dito sotto il mio mento, avvicinando le mie labbra alle sue, sulle quali sorrisi abbracciandolo dolcemente. È fantastico.
 
“Ci torneremo, okay?” Affermai guardandolo mentre guidavo, tornando verso casa.
“Sure.” Rispose dolcemente sorridendomi lievemente. Ma sapevo che gli dispiaceva e non poco, lo vedevo nei suoi occhi, e mi uccideva dentro, ma non potevo farci niente. Ero stato uno stupido ad ignorare una cosa così importante, lo sapevo, ma che ci potevo fare? Ormai il pasticcio era fatto e come se non bastasse, mi ero beccato una bella strigliata da parte di Marta, che come al solito era pronta a rovinare i miei momenti con Mika. “Marco.” Mi chiamò distogliendomi, per un attimo, da quei pensieri e dalla strada.
“Sì?” Lo incitai a continuare guardandolo, non sentendolo proseguire.
“Crazie per questi days.” Sorrisi intenerito poggiando sulla sua gamba una mano, sulla quale posò la sua, con cui l’accarezzò dolcemente stringendola.
“Grazie a te.” È la dolcezza.
Ritornare a lavoro non mi dispiaceva tanto per il fatto di farlo, perché alla fine a me stare sul palco piaceva. Riuscivo a fare cose che non mi sarei immaginato di poter realizzare. Riuscivo ad interagire, in un certo qual modo, con i miei fan. La cosa che invece mi faceva davvero male, era il dovermi separare da lui e, a dirla tutta, mi spaventava anche un po’. Avevo paura che questa cosa potesse compromettere il nostro rapporto. Oh, non pensarci neanche, brutto idiota. Sta andando tutto bene.
 
 
Roma, Sabato 26 Novembre
 
 
“Ci vediamo il 29, eh.” Gli dissi accarezzandogli la mano vicino alla porta, pronto a partire per il concerto di Milano, che si sarebbe tenuto la sera stessa. Erano le sei del mattino ed era troppo presto e, nonostante volessi salutarlo per bene, non volevo disturbarlo dal sonno. Tuttavia, pur avendo l’intenzione di non svegliarlo a quell’ora, quando aprii gli occhi, i suoi erano già lì a guardarmi tristemente. Vederli così tristi, mi aveva fatto uno strano effetto. Mi sentivo talmente in colpa. Sentivo un tale peso al petto dovendolo lasciare così. “Okay?” Ritentai non ricevendo alcuna risposta, mentre lo osservavo: si stava torturando le mani e muoveva nervosamente la gamba avanti indietro. È così tenero.
“Okay.” Farfugliò mordicchiandosi il labbro inferiore e continuando nel suo atteggiamento precedente.
Era vero, ci saremmo rivisti fortunatamente solo qualche giorni dopo. Potevamo resistere, no? Prima di separarci seriamente, per un lungo periodo di tempo. Mi avvicinai al suo viso lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia e posando la mia fronte contro la sua, alzandomi leggermente sulle punte.
“Sono solo tre giorni, chiaro? Ce la faremo.” Dissi accarezzandolo amorevolmente.
“Io pensa già a dopo.” Affermò con tono malinconico portando la sua mano dietro la mia nuca, ad accarezzarmi, a sua volta, i capelli.
“Non preoccuparti.” Sussurrai dolcemente ricongiungendo, per l’ennesima volta, le nostre labbra.
Cercai di assaporarle il più possibile, per far mantenere alle mie il loro profumo ed il loro sapore. Mentre cercava di riprendere fiato, ne approfittai per mandare la mia lingua in esplorazione ancora in quella sua bocca perfetta, dal sapore così delicato, andando poi ad accarezzare la sua dolcemente, che infilò anche lui, a sua volta, nella mia. Affannato mi staccai posando una mia mano fra i suoi ricciolini, sorridendogli. “Ti amo.”
“Love you more.” Sorrisi divertito da quella frase. Se ci fossimo messi a dire chi amava più l’altro, non avremmo più finito, così presi lo zaino e la valigia e lasciandogli un altro bacio a fior di labbra, uscii dall’appartamento.
Tuttavia, una volta salito in macchina con Marta, pronti a dirigerci verso l’aeroporto, presi velocemente il cellulare, scrivendogli un semplice: io ti amo di più. Fine della storia. Quando lo lasciai, però, fui preso da una strana sensazione di tristezza. Anche io cominciai a pensare al dopo 29. Non l’avrei più rivisto per troppo tempo dopo il 29. Mi sarei separato da lui dopo il 29. Merda. Ma soprattutto avevo paura che si mettesse a passare le giornate e le nottate al computer a tentare di scrivere qualcosa. Avevo paura davvero che potesse farlo, senza che ci fossi stato io a fermarlo. E se non ci fosse riuscito neanche durante quei giorni? Sarebbe impazzito e si sarebbe buttato nuovamente giù.
“Marco, tutto bene?” La voce della mia manager mi riportò alla realtà facendomi sussultare leggermente sul sedile.
“S-sì, certo.” Risposi sbrigativo volgendo lo sguardo verso il finestrino. Ero solo con lei ed avevo una domanda, in particolare, che mi frullava per la testa. È il momento adatto. “Marta, posso chiederti una cosa?” Esordii, dopo un po’.
“Dimmi.” Sembra serena.
“Tu sai dov’è Matteo?” Gli domandai senza troppe cerimonie vedendola, poi, contrarre il viso in un’espressione terrorizzata distogliendo i suoi occhi dai miei. “Senti, Mika ha fatto finta di niente. Continua a farlo tuttora, ma io non posso sopportare che una persona possa avergli fatto una cosa del genere, e soprattutto non posso sopportare l’idea che la passi liscia.” Le spiegai, forse inutilmente. “Michael è troppo buono, ma io non ce la faccio e, ti prego, ti parlo da amico, e non da capo o quello che è, dimmi dov’è. Voglio capire perché, ne ho bisogno. E deve pagare, almeno un po’.”
“Io non metto in dubbio che Mika sia una brava persona…” Iniziò a parlare.
“Non sembra.” La interruppi indispettito.
“Non l’ho mai fatto, invece. E poi, come vorresti fargliela pagare? Con le mani? L’ultima volta non è andata molto bene.” Stronza.
“L-lo so, però può pagarla in tribunale.”
“Tu davvero saresti disposto a metterti in una situazione del genere?” Mi chiese sorpresa.
“Per lui, sì.” Risposi deciso.
“Tu sai che se tu e Mika denunciate questa cosa, tu e lui non potrete stare più insieme, vero?” Sentii il petto appesantirsi nuovamente a quelle parole e contrassi la mascella, respirando profondamente.
“È la stessa cosa che mi ha detto lui.” Sospirai ancora. “Ma vedi, non posso farcela. Non posso­.” Annuì dubbiosa.
“Marco.” Alzò la testa lentamente incontrando di nuovo i miei occhi, con i quali le chiedevo di proseguire. “Io non so dove sia, davvero. Forse avrei dovuto fermarlo prima, ma comunque, credo di dover le mie scuse a Mika.” Credi?
“È una buona idea, che apprezzo. Grazie.” Dissi semplicemente, in modo burocratico.
“Mi dispiace anche di avergli detto che lo distraevi dal lavoro.” Sapevo che lo aveva pensato per davvero, ma apprezzavo anche il fatto si stesse scusando. “Non dovevo permettermi.” Già.
Ne avevo già parlato con lei, arrabbiandomi pure, e non poco, ma ritornare sull’argomento e parlarne in quel modo, che sembrava sincero, mi rincuorava in parte. Forse avrei potuto ricominciare a fidarmi di lei.
 
 
Milano
 
 
Okay, manca meno di un’ora. Non entrare nel panico, ciccio. Ero seduto sul divanetto del mio camerino e continuavo a muovere la gamba nervosamente. Insomma, ritornavo a cantare su un palco così importante, davanti a così tanta gente. Sentivo il mio cuore sbattere violentemente contro la mia gabbia toracica, fino a farmi addirittura male. Cominciai a respirare affannosamente, senza rendermene conto. Finché non vidi Marta entrare velocemente a dirmi qualcosa, che non riuscii a capire. Ma quando mi vide in quello stato, corse inginocchiandosi accanto a me.
“Marco, Dio, che ti prende?” Mi chiese preoccupata accarezzandomi il braccio.
“N-non lo so.” Balbettai guardandola smarrito.
“Calmati.” Mi rassicurò prendendo e porgendomi una bottiglietta d’acqua. “Da quando ti innervosisci così tanto, prima di salire sul palco?” Mi domandò confusa.
“Non lo so.” Ripetei affranto. “C’è qualcosa di alcolico, qui?” Gli domandai guardandola con occhi supplichevoli. Sì, ho bisogno d’alcol.
“Cosa? No, tu non salirai sul palco mezzo ubriaco.” Mi rimproverò, ma decisi di non risponderle. Esagerata.
Non mi sentivo per niente pronto ad affrontare un concerto del genere, davanti a tutte quelle persone che si aspettavano tanto da me. Non sapevo esattamente cosa mi fosse preso, ma per la prima volta mi resi conto che in quei giorni, nonostante avessi provato fino a notte fonda, che forse non avevo dato il meglio di me e che non potevo assolutamente deludere tutta quella gente. Forse avevo pensato troppo a rilassarmi, senza pensare realmente alle conseguenze. Portai lo sguardo sulla pelle nera del divanetto su cui ero seduto. Sorrisi leggermente tranquillizzandomi, quando mi vennero in mente il giorno in cui parlai, di nuovo, con Mika e le nostre lezioni di italiano, durante la mia permanenza ad X Factor. Di conseguenza, pensai al suo sorriso ed alle sue adorabili fossette, che tanto avevo desiderato mordicchiare. “Stai meglio?” Mi chiese riportandomi alla realtà.
“C-credo di sì.” Dissi alzandomi, ma mi resi conto che le gambe mi tremavano, così mi risedetti immediatamente.
“Adesso, calmati. Manca tanto all’inizio. Rilassati, ti vengo a chiamare fra poco.” Mi diede una lieve pacca sulla spalla e se ne andò lasciandomi di nuovo solo.
Sentii la vibrazione del cellulare accanto a me, e quando vidi di chi si trattasse sentii magicamente il mio cuore diminuire il suo battito, come se si fosse tranquillizzato insieme ai miei pensieri. Mi affrettai a rispondere, con un sorriso in viso che non avevo da ore.
“Ehi.” Lo salutai cercando di risultare il più tranquillo possibile.
“Ehi! Come sta?” Risi sentendolo urlare dall’altra parte del telefono.
“Bene, grazie, tu?” Chiesi divertito.
“Fine, but tu già me manca.” Affermò dolcemente. Mi sciolgo.
“Anche tu.” Dissi, a mia volta, cominciando a torturarmi il labbro inferiore. “Che fai?” Gli domandai, poco dopo.
“Oh, well, nothing. Stava with Mel, but now dorme. So stava ascoltando tuo cd again e stava vedendo the librino. Chi è Michael?” Lo sentii stranamente fin troppo serio dall’altra parte, a quella domanda. Mi sta prendendo in giro?
“Come chi è Michael?” Chiesi confuso aggrottando la fronte. “Sei tu, o mi hai mentito sulla tua identità?” Lo presi in giro.
“Per cosa me ringrazia?” Continuò confondendomi, ancora di più. Ma è completamente uscito di zucca?
“Per tante cose.” Lo sentii fare una piccola risata dall’altra parte facendomi rilassare dalle strane parole di poco prima. “Cris non ha voluto che la inserissi.” Aggiunsi divertito.
“Really?” Chiese sorpreso.
“Già, sempre la solita.” Scherzai passandomi una mano fra i capelli, già perfettamente sistemati e se mi avessero visto fare quel gesto spettinandoli ulteriormente, mi avrebbero ucciso.
“She’s amazing.” Disse dolcemente.
“Vero.” Concordai sdraiandomi.
“Tra quanto inizia?” Mi domandò, dopo un po’, facendomi sospirare rumorosamente.
“Trenta minuti.” Risposi guardando l’orologio.
“Tu sarà fantastico. Amo tua voce e tanti altri amano lei e te.” Sorrisi timidamente. Possibile fosse riuscito a comprendere il mio disagio ascoltandomi, solo per qualche minuto? Non capivo come facesse a tranquillizzarmi ed a rendermi talmente sereno, anche solo facendomi ascoltare il suono della sua voce. “Però io amo te di più di loro. I really do. Io ti amo Marco Mengoni.” Continuò facendomi chiudere gli occhi ed immaginare di averlo qua, mentre me lo diceva con una tale dolcezza.
“Anch’io.” Cercai di contenermi, tuttavia. Non si poteva sapere chi girasse fuori dalla mia porta, dietro la quale sentii, poco dopo, Marta bussare e chiamarmi. “Devo andare.” Sbuffai rimettendomi seduto.
“Sure. Good luck. Remember: you will be incredible and I love you.” Sorrisi, per l’ennesima volta, tra me e me, a quel secondo incoraggiamento, alzandomi.
“Grazie.” Mi uscì con un filo di voce, quasi un soffio provocando una leggera risata dall’altro capo del telefono, che lasciai in camerino per, poi, uscire.
Mi aveva dato la carica giusta. Lui era incredibile. Era riuscito a calmarmi, in così poco tempo, con quelle meravigliose parole, che avevano avuto ovviamente un effetto talmente positivo. Scontato forse dire, che quella sera cercai di dare il massimo, non solo per Mika, ma soprattutto per quelle persone che erano lì per me e che, come lui stesso aveva detto, mi amavano. Strano a dirsi, ma è così.


#MyWor(l)d
Saaalve! C:
Allora, okay, scusatemi taaaaanto. So che è una noia pazzesca 'sta cosa, però non mi andava di saltare il momento in cui si separano per il tour. 
A dir la verità, volevo scrivere anche il giorno in cui Marco torna a casa, per il concerto di Roma, ma io solitamente per un capitolo scrivo 7-8 pagine su Word, e mi si stava allungando davvero troppo e ci stavo mettendo un po' troppa roba. Ma comunque, considerando che una volta che finisco di scrivere, inizio sempre quello successivo per mantenere un piccolo filo logico (cosa che non sempre riesco a fare xD), va bene, dai :3
Cosa bella: visto che tanto ormai sono a buon punto, non escludo di pubblicare il 29 stasera o domani mattina. Meglio lo aspettiate domani mattina, non voglio fare promesse che non potrei mantenere :3 
Beh, comunque, spero che questa schifezza non vi abbia annoiato poi così tanto D:
Un immenso grazie, come sempre, a chi recensisce, a chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite ed a chi, semplicemente, la legge! :3 
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 29
*** 2011 pt.11 ***


Roma, Mercoledì 30 Novembre 2011
 
 
Una volta terminato il concerto, non potevo che esserne soddisfatto, anche quella volta, e corsi letteralmente via, appena mi fu possibile. Durante la giornata non ero riuscito a vedere Mika, come avevo tuttavia programmato di fare, prima della serata. Ma i vari impegni non me l’avevano permesso. Di conseguenza, non potevo resistere un minuto di più senza di lui, sapendo soprattutto che era a pochi metri da me.
Appena scesi dalla macchina, pronto a correre a casa, però sentii la mano di Marta bloccarmi bruscamente, fermando il mio intento. La guardai confuso ed adirato, finché non la vidi abbracciarmi e posare le sue labbra sul mio collo, facendomi irrigidire. Ma che cazz…
“Fai finta di ridere.” Mi sussurrò sbrigativa continuando a fare quello che stava facendo. Sentivo il mio cuore battere all’impazzata. E se Mika, per qualche fatale motivo, ci avesse visto? Gli avevo mandato un messaggio dicendogli che sarei stato a casa in meno di cinque minuti. Cazzo. Cercai di mantenere la calma e, senza farle domande, cominciai a fare come mi aveva detto. “Okay.” Si staccò improvvisamente da me lasciandomi di stucco. “C’era qualcuno, lì dietro.” La guardai, ancora più confuso di prima, ricordando poi cosa mi aveva detto di fare, quando ci trovavamo insieme in pubblico. “Buona notte. Riposa.” Disse semplicemente lasciandomi un altro bacio sulla guancia e risalendo in macchina.
“N-notte.” Dissi, a mia volta, paralizzato. Alzai lentamente la testa verso la finestra di casa, quasi impaurito dal fatto che potesse aver visto tutto. Non vedendo però niente, mi rilassai tirando un sospiro di sollievo. Non potevo aspettare l’arrivo dell’ascensore, così presi tutto ciò che avevo e corsi su per le scale, sorridente più che mai. “Michael!” Esclamai spalancando la porta e lasciando cadere le valigie a terra, senza molto tatto, ma chissene frega. Ma tutto quell’entusiasmo scomparve, quando lo vidi appoggiato al muro con il volto completamente inespressivo. No, non l’ha visto. “E-ehi. Sono qui.” Continuai avanzando nervosamente. Lo vidi, a sua volta, avvicinarsi a me, quasi con fare minaccioso, e non sapevo che pensare in quel momento. La mia mente era come improvvisamente svuotata da ogni pensiero, cacciato via da un sensazione innata di paura e confusione. Anche i suoi occhi erano spenti, e di certo non erano per soli quattro fottutissimi giorni senza vedermi. “M-Mik…” Prima che potessi richiamarlo cercando di fargli dire qualcosa, poggiò le sue mani sulle mie spalle per, poi, spingermi nuovamente bruscamente contro porta. “Ma che…” Tentai di iniziare a parlare, ancora più disorientato di prima, ma venni interrotto da un’altra strattonata da parte sua. Il mio cuore ormai aveva iniziato a battere così velocemente da farmi venire il mal di testa, facendomi perdere la forza anche nelle gambe. Se non ci fossero stata le sue mani a sorreggermi, probabilmente mi sarei ritrovato inevitabilmente col sedere per terra.
“Trope persone stano tocando te, Marco. Già uno, che isn’t me, ha baciato queste labra. Sono mine, Marco. Tu sei mine, okay?” Sussurrò con rabbia a pochi centimetri dal mio viso, avventandosi su di esse, senza controllo facendomi mancare il respiro ed aggrappare allo stipite della porta.
Tuttavia, riuscii a distinguere l’odore ed il sapore dell’alcol sulle sue labbra. Dio, no. Sapevo che bevesse, ogni tanto, ma non credevo si potesse mai ubriacare, soprattutto dopo il discorso che mi aveva fatto. Capii, anche da quella frase, che ancora non aveva digerito il bacio di Matteo, né tanto meno sopportava quello che Marta ed il mio staff stavano tentando di far credere alla gente. Ma sapevo anche che non poteva essere per quelle cose, che si era comportato in quel modo. Non poteva essersi ubriacato in meno di due minuti.
“M-Mika.” Farfugliai ansimando sulla sua bocca, cercando di allontanarlo leggermente e riprendere fiato, inutilmente. “Michael.” Ritentai posando le mie mani sui suoi fianchi scansandolo appena, per vedere meglio il suo viso e sentii un tale tuffo dentro di me a quella vista. Era contratto in un’espressione talmente sofferta, i suoi occhi lucidi e socchiusi, che cercavano di controllare le lacrime, pronte a scendere su quelle sue guance rosse, e le sue labbra piccole e tremolanti. Non posso reggere una cosa del genere. “Ma che ti prende?” Gli domandai preoccupato e confuso accarezzandogli dolcemente i capelli. “Perché hai bevuto?” Continuai senza, però, ricevere risposta. Mi afferrò per la vita stringendomi, forse un po’ troppo, ed attaccandosi al mio collo, mordendolo facendomi quasi male. Quando mi ritrovai, senza rendermene conto sul letto, con Mika che premeva con forza contro il mio corpo, mi gettai nel panico più totale. “M-Michael, no. F-fermati. Basta.” Lo pregai inutilmente. Più lo osservavo e più capivo le sue intenzioni e non mi piacevano per niente. Non volevo farlo, non così e sapevo che neanche lui l’avrebbe voluto fare in uno stato del genere. “Michael!” Lo richiamai urlandogli contro scansandolo, con le poche forze che riuscivo ad avere. “Smettila.” Mi imposi alzandomi dal letto barcollando.
Cercai di ributtare giù le lacrime e quel fastidioso e tagliente nodo alla gola. Non pensavo potesse arrivare ad un punto del genere. Lo guardai mentre continuava ad osservarmi in modo completamente inespressivo. Rimasi stretto alla tenda cercando di reggermi in piedi, mentre lo fissavo paralizzato ed in parte deluso. E, nonostante stesse per fare qualcosa di orribile, anche se non credevo ne avrebbe avuto il coraggio, era estremamente doloroso vederlo così.
Non era di certo il ritorno a casa che mi aspettavo. No, anzi, direi. Mi aspettavo di sentire sì, le sue braccia avvolgere il mio corpo e le sue labbra toccare le mie, ma assolutamente non con quella prepotenza ed aggressività.
“M-Marco, I…” Come si fosse ripreso improvvisamente, cominciò a parlare con tono quasi calmo.
“Fatti una bella dormita.” Dissi pieno di rabbia uscendo e sbattendo la porta della stanza violentemente.
Non volevo trattarlo in quel modo, perché sapevo che non lo aveva fatto di sua spontanea volontà, ma ero arrabbiato. Perché ubriacarsi? Perché assalirmi in quel modo? Io quando mi ero ubriacato, non lo avevo mai assalito e non ero mai diventato così aggressivo… Okay, forse una volta con Matteo, ma non cambia nulla, perché io avevo le mie ragioni e non lo avevo trattato mai in quel modo. Non mi era mai passata neanche quella stupida idea per la testa.
 
Non riuscivo a dormire su quel maledettissimo divano. Non ero più arrabbiato, forse ero solo deluso e leggermente confuso. Mika non era uscito dalla camera da letto, e non saprei dire se per fortuna o no. Alla fine, io speravo che venisse dietro di me subito dopo a spiegarmi meglio la situazione, ma forse pretendevo troppo. Era ancora più disorientato di me e si vedeva fin troppo bene.
Non sapevo esattamente che ore fossero, ma dalla finestra filtrava una leggera luce, che forse segnava la fine della notte. Non lo so. Non so neanche cosa siginifica ‘sta frase. So solo che lo vorrei qui con me. Senza di lui, mi sono sentito davvero perso, e non voglio neanche immaginarmi nei prossimi mesi. Sarebbe stata troppo dura. Non doveva iniziare così questa giornata e per cosa, poi? Non so neanche questo. Non sapevo cosa pensare. Non volevo credere che Mika si fosse rifugiato nell’alcol, come avevo continuato a fare io fino a poco tempo prima, perché non riusciva a scrivere. È ridicolo. Ci doveva essere qualcos’altro sotto, perché così non aveva davvero alcun senso.
Alcuni passi mi riportarono alla realtà, distogliendomi da quei pensieri. Mi asciugai in fretta le lacrime, che avevano cominciato a scendere e che finalmente si erano decise a smettere, non molto tempo prima. Vidi la sua figura slanciata portarsi timidamente davanti a me. Come al solito, continuava a torturarsi le mani ed a muovere la gamba nervosamente. Nella piccola oscurità, tuttavia, riuscii a distinguere il suo viso bagnato, anch’esso probabilmente dalle lacrime, e la sua espressione mortificata, mentre si mordeva duramente il labbro inferiore con i suoi incisivi, tanto che avevo paura potesse farsi male sul serio. Così, mi alzai di scatto restando con una gamba posata sul divano, e portai velocemente una mano sulle sue labbra, ad accarezzarle dolcemente con le dita, facendolo smettere.
“M-Marco, i-io…” Farfugliò ricominciando a mordicchiarselo.
“Smettila.” Sussurrai spostandomi sulla sua guancia ed accarezzando delicatamente il labbro con un dito.
“Marco, I’m so sorry.” Mugugnò con voce spezzata abbassando la testa, indeciso sul da farsi.
“Sta’ tranquillo.” Lo rassicurai avvolgendo il suo corpo fra le mie braccia e tirandolo a me. Lo sentii sentii sospirare rumorosamente contro il mio collo, facendomi venire i brividi, e stringendomi a sua volta. Le sue lacrime cominciarono a scagliarsi come lame contro la mia pelle iniziando a piangere silenziosamente. “Va tutto bene. Non è successo niente.” Lo cullai lentamente accarezzandogli i capelli.
“That’s not true.” Si lamentò nascondendo il viso ed aggrappandosi alla mia maglietta.
“Ssh.” Lo azzittii cercando di essere delicato. Faceva così dannatamente male. Sapevo quanto si sentisse in colpa, ma ormai era tutto passato. Era tornato ad essere il mio Michael.
“Sorry, sorry, sorry…” Continuò a ripetere mentre cercavo ancora di tranquillizzarlo. “Perdoname.” Non dava segno di volersi calmare, neanche un po’.
“Basta, Mika.” Gli lasciai un leggero bacio sulla testa allontanandolo appena, per vederlo meglio negli occhi, e cercare di tranquillizzarlo, ma li abbassò immediatamente. Non riesce a reggere neanche il mio sguardo…
“Scusame, I-I don’t know che mi ha preso, Marco. Io non riusciva a scrivere nothing e ci era in fridge bira a-and I… don’t know.” Cercò di iniziare a spiegare, ma si coprì poco dopo il viso con le mani. “Tu me mancava a-and…” Non riuscì a proseguire, che le sue parole furono bloccate da un forte singhiozzo, dopo il quale decise di rifugiarsi di nuovo tra le mie braccia. “Tu and Marta.” Disse sussurrando, quasi impercettibilmente. L’ha vista.
“Ssh. Basta, Michael, calmati adesso.” Lo risollevai cercando di rincontrare i suoi occhi gonfi, che però continuavano a sviare. “Amore, guardami.” Lo incoraggiai supplichevole facendoli finalmente incatenare ai miei. “È tutto finito, okay?” Annuì incerto riabbassandoli, però poco dopo.
“Amore.” Ripeté, dopo essersi quasi calmato, alzando ancora fortunatamente il viso. “Io ha un gran mal di testa.” Sorrisi lievemente stringendolo nuovamente e trascinandolo nella camera da letto con me. Era così fragile ed il fatto che avesse cominciato a parlare e spiegarmi di sua spontanea volontà, senza che fossi io a chiedergli perché, fu una cosa che in parte riuscì a tranquillizzare anche me. Stavo riuscendo a farlo aprire sempre di più e si stava sentendo sempre più libero di esternare ciò che provava, sia nei momento felici, che soprattutto in quelli difficili. “I don’t wanna lose you, Marco.” Farfugliò accoccolandosi sul mio petto, nel quale il mio cuore continuava ad aumentare i suoi battiti. Non era la prima volta che lo sentivo pronunciare quelle parole. Sospirai tirandolo a me e facendogli poggiare delicatamente il viso nell’incavo del mio collo. “No me lasciare.” Lo sentii singhiozzare di nuovo, e cercai di limitare i suoi spasmi stringendolo forte fra le mie braccia.
“Non lo farò mai. Come può anche solo sfiorarti una cosa del genere? Non succederà, te lo prometto.” Sussurrai dolcemente lasciandogli dei baci sulla tempia. “Ti ho spiegato quello che vogliono fare quelli. Non è vero niente, se non il fatto che ti amo.” Alzò i suoi occhi gonfi e rossi verso i miei facendoli incontrare finalmente. Forse si sta calmando.
“Marco, tu ha mai avuto una… una girlfriend?” Mi domandò improvvisamente spiazzandomi.
“Cos…” Oh, no. Non avrà mica letto o sentito di…
“Who is Claudia?” Proseguì interrompendo i miei pensieri.
“Mika, è una storia di quasi dieci anni fa.” Dissi quasi esasperato e dispiaciuto.
“I know, but I was curioso.” Disse, a sua volta, prendendo a giocherellare con le mie dita
“Ascolta bene. Io ti amo Michael Holbrook Penniman Jr.” Imitai le parole che lui mi aveva detto, qualche giorno prima, e vidi finalmente le sue labbra stendersi in un leggero sorriso. “Il passato è passato, chiaro?” Annuì timidamente, imbarazzato.
“Yes, but I don’t wanna essere pasato anche io.” Ho capito. Era terrorizzato dal fatto che, in un qualche modo assurdo, io potessi lasciarlo, per una donna poi, che in quel caso sarebbe stata Marta. Ma è un idiota.
“Tu pensi davvero che, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, potrei mai lasciarti?” Gli chiesi cercando i suoi occhi, ancora leggermente arrossati.
“No.” Rispose con un soffio abbassando la testa, ancora di più.
“No, esatto.” Sussurrai stringendolo ancora più forte a me.
Lo osservai finché non lo sentii respirare più rumorosamente accoccolato contro il mio petto, mentre con una mano stringeva la mia e con l’altra la maglietta. Quante volte l’avrò ripetuto che sembra un angelo, in tutto e per tutto mentre dorme? Troppe forse, ma non mi stancherò mai di dirlo. Non sapevo che pensare sinceramente su tutti questi suoi dubbi. Era sempre stato incerto, ma davvero in quell’ultimo periodo era diventato incredibilmente insicuro. Sarà stato quel momento così delicato, in cui ha mostrato ancora di più i suoi punti deboli. Ma da una parte, era qualcosa di estremamente positivo. Si stava liberando piano piano di tutto ciò che lo appesantiva, e di ciò che non riusciva a fargli esternare tutte le sue emozioni ed i suoi sentimenti negativi. Non sapevo cosa fosse esattamente, ma se ne stava liberando, e non poteva che essere un bene. Anche se, non capivo esattamente se fosse per quello, oppure per il suo blocco artistico improvviso. Poteva essere di tutte e due, ma davvero non lo riuscivo a capire. Per esempio, la domanda di pochi attimi prima, mi fece pensare che sia stato solo ed esclusivamente per la mia mancanza e quella paura. Può essere? Mh, no. Sarebbe ancora più ridicolo. Sospirai rassegnato cercando di addormentarmi anche io.
 
Mi risvegliai, non molte ore più tardi, sentendo il suo sguardo puntato su di me, che però distolse immediatamente appena cercai di incontrare i suoi occhi. Si vergogna?
“Buongiorno.” Dissi sbadigliando cercando di fare finta di niente e metterlo a proprio agio.
“G-giorno.” Balbettò sistemandosi, per vedere meglio il soffitto. Bella la vista? Senza pensarci più di tanto, mi portai su di lui facendolo sussultare. Volevo che mi guardasse bene e che capisse che per me, quella notte, non era successo niente. Che non ce l’avevo e che non ce l’avrei mai avuta con lui. Tuttavia, riabbassò la testa guardando il vuoto più totale. Poggiai una mano sulla sua guancia e gliela accarezzai, mentre gli facevo rialzare il viso costringendolo a guardarmi. “M-Marco… che tu fa?” Mi domandò titubante rimanendo paralizzato. Senza rispondergli, mi chinai posando delicatamente le mie labbra sulle sue, non più aggressive come qualche ora prima. Per un po’, non sapevo cosa fare, lasciò che le mie si muovessero lentamente, senza rispondere. E, nonostante la cosa mi stesse ferendo piano piano, cercai di continuare, senza farmi prendere dalla troppa delusione. Insistetti a muovermi su di esse, finché non lo sentii finalmente ricambiare quel contatto. Sorrisi quando sentii la sua mano accarezzarmi dietro il collo e tirarmi, ancora di più, a sé. Quando mi fermai, però vidi i suoi occhi ancora leggermente lucidi. Vederlo in quello stato, mi uccideva dentro. Sul serio.
“Vado a farmi una doccia, vieni con me?” Gli chiesi cercando di distogliere la sua mente dai sensi di colpa.
“C-crede è melio di no. Fata already iera.” Non nascosi un pizzico di delusione da quella risposta, quella volta.
“Oh, okay.” Dissi semplicemente alzandomi dal letto e lasciandolo solo. Che merda.
Potevo capire che ci stesse male e che si sentisse un po’ in imbarazzo, ma non doveva fare così. Alla fine, feriva anche me.
Nel momento in cui rientrai in camera, mentre mi asciugavo distrattamente i capelli con l’asciugamano, che mi affrettai a posare, vidi Mika seduto sul bordo del letto, con i gomiti piantati sulle sue ginocchia e la testa fra le mani. Aveva gli occhi chiusi ed il viso contratto in un’espressione talmente sofferente. Mi avvicinai velocemente a lui facendolo sussultare, quando poggiai la mia mano sulla sua spalla.
“M-Marco.” In quelle ultime ore fu la cosa che aveva detto di più, sempre con lo stesso tono tormentato, che mi stava mandando letteralmente fuori di testa.
“Michael, adesso basta, però, eh.” Gli dissi con tono quasi di rimprovero. “Lo vuoi capire che non è successo nulla?” Aggiunsi, poi, con tono più comprensivo.
“I-if I think a… a quelo che I should fare te, I…” Balbettò, di nuovo, sul punto di piangere.
“Ti prego, basta.” Ripetei abbassandomi alla sua altezza, poggiando le mani sulle sue spalle. “Non l’avresti mai fatto, per il semplice motivo che non avresti mai potuto. Non l’hai fatto e non ne avresti avuto il coraggio. Io lo so ed anche tu lo sai.” Cercai di rassicurarlo accarezzandogli le braccia. “Sei troppo buono per fare una cosa del genere, Michael. Ti saresti fermato comunque e questa è una mia certezza, che deve essere anche tua.” Mi guardò finalmente nuovamente con i suoi occhi, dai quali vidi scendere lentamente una lacrima, che mi affrettai ad asciugare. “Io mi fido di te.” Continuai ad accarezzargli col tocco delicato di un dito la sua guancia umida. “E ti amo.” Aggiunsi sorridendogli dolcemente.
Lo osservai, finché non portò le sue mani sui miei fianchi, coperti da un altro asciugamano, e mi trascinò su di lui distendendosi sul letto. Ricongiunse le sue labbra alle mie, che mordicchiò come a chiedere il permesso per intrufolare la sua lingua nella mia bocca, che non si stancava mai di sentirne il sapore. I nostri respiri divennero sempre più corti, mentre cercavamo di riprendere fiato inutilmente. Ne approfittai per staccarmi e sfilargli velocemente la maglietta del pigiama. Lo vidi sorridere ed alzarsi col busto avvinghiandosi al mio collo, mentre mi accarezzava delicatamente gli addominali scoperti, se così si possono chiamare. Posai la mia mano sul suo petto spingendolo giù cominciando a riservare lo stesso trattamento al suo di collo, mordicchiandolo e baciandolo. Quando iniziai a scendere lentamente lasciandogli una scia di baci sul quel corpo perfetto, lo sentii sospirare sempre più rumorosamente ed impazientemente, dandomi una sensazione di controllo della situazione mai avuta prima. Sorrisi guardandolo con sguardo malizioso giocando con l’elastico del suoi pantaloni, dai quali potevo osservare soddisfatto l’effetto che avevo ancora su di lui. Tuttavia, decisi di risalire velocemente e riappropriarmi delle sue labbra, sentendolo, poi, mugugnare contrariato.
“Marco…” Ansimò cercando di riprendere fiato riafferrandomi per i fianchi e cominciando a farmi muovere su di lui.
“Siamo impazienti, eh? Signor Penniman?” Lo presi in giro soddisfatto staccandomi, per un attimo, riprendendo a fare poi quello che avevo interrotto.
“Tu cosa dice?” Rispose indispettito slacciandomi l’asciugamano e gettandolo via, in qualche parte indefinita della stanza. Fui io ad ansimare, quando andò ad accarezzare il punto più sensibile del mio corpo per, poi, affondare il viso nell’incavo del suo collo, respirandoci rumorosamente. Mi tirò bruscamente verso di lui e lo sentii sorridere soddisfatto mentre riprendeva a baciarmi.
“B-basta.” Lo pregai ritraendomi e scostandogli la mano e bloccandogliele entrambe sul materasso. “Lo sai che questa me la paghi, vero?” Sussurrai a pochi centimetri dal suo viso sorridendogli maligno.
“Che io ha fato?” Domandò facendo una faccia da bambino indifeso, che contribuì a farmi andare, ancora di più, fuori di testa. Gli sfilai velocemente i pantaloni lasciando che seguissero il destino, avuto poco prima dall’asciugamano. Ritornai a lasciargli dei baci poco sotto la mandibola scendendo lentamente, sentendolo, poi, sussultare quando infilai una mano nei suoi boxer. Non ci capii più niente, però, nel momento in cui lo vidi buttare la testa contro i cuscini e cercare di contenersi serrando le labbra, mordicchiandosi quello inferiore, vedendolo sorridere compiaciuto ogni tanto. Scesi velocemente lungo il suo corpo lasciandoci una scia di baci, fino ad arrivare a quel pezzo di tessuto inutile. Gli rivolsi un ultimo sguardo quasi sadico, mentre mi guardava supplichevole per, poi, cominciare a stuzzicarlo attraverso la stoffa. Lo vidi inarcarsi verso di me e sentii soddisfatto il verso strozzato che ne seguì. Portai le mie mani ai loro bordi e glieli abbassai lentamente provocando uno sfregamento volontario, che lo fece ansimare ancora più affannosamente di prima. Voglio vedere fino a quanto resiste. E quando le mie labbra andarono in contatto con il suo membro avvolgendolo completamente, davvero non riuscì più a resistere. Ogni verso, ogni respiro ed ogni ansimo mi davano una sensazione di potere sempre crescente. Affondò le sue dita nel mio ciuffo accompagnandomi nei movimenti delicatamente. Sto per impazzire pure io, qua. Quando mi staccai ritornai avido sulle sue labbra, e sorrisi su di esse sentendolo lamentarsi leggermente, quando posi fine a quel contatto. “Tu è un picolo combina guai.” Disse affannosamente, divertito.
“Io non ho fatto niente.” Affermai con fare innocente. Sorrise nuovamente portando la sua erezione contro la mia apertura. Mi chinai leggermente, quando sentii i miei muscoli più sensibili donarsi a lui, ancora un’altra volta. “M-Mika.” Sospirai contro il suo collo, a cui mi aggrappai, sentendolo muoversi lentamente sotto di me.
“M-Marco.” Sentirlo pronunciare il mio nome, in quel modo, ogni volta che facevamo l’amore mandava ogni mio neurone a farsi benedire. Mi prese delicatamente il viso fra le mani posando le sue labbra sulla mia guancia, respirandoci affannosamente contro. “Ti amo.” Disse dolcemente baciandomi di nuovo, aumentando la velocità dei suoi movimenti.
“Ti amo.” Ripetei impiantando le mie mani sul materasso, mentre continuava a posare la sua bocca su ogni centimetro del mio corpo.
Portò la sua mano sul mio membro cominciando a stuzzicarmi, aggiungendo piacere al piacere. Buttai leggermente la testa all’indietro ansimando ancora, senza controllo, finché le sue dita non si posarono sulle mie labbra accarezzandole ed abbassandomi il viso, facendomi rincontrare i suoi meravigliosi occhi, che già sapevo mi sarebbero mancati terribilmente, soprattutto quando facevamo l’amore. Momento in cui assumevano un aspetto talmente desideroso e dolce, che riusciva ancora in parte ad imbarazzarmi, come la prima volta. Lo vidi fermarsi e contrarre i muscoli e ricominciare a dare delle piccole spinte, con le ultime forze che gli rimanevano, rilasciando uno di quei suoi versi gutturali, che fece arrivare al limite anche me, sotto il suo tocco.
Cercammo di riprendere fiato guardandoci intensamente, finché non mi tirò a sé stringendomi fra le sue braccia, lasciandomi dei leggeri baci poco dietro l’orecchio.
“Tra quanto parte?” Mi domandò, poco dopo, accarezzandomi i capelli, facendomi staccare di malavoglia da lui.
“Quattro ore.” Risposi affranto accoccolandomi sul suo petto, rimanendo in quella posizione, perché finché potevo essere ancora un tutt’uno con lui, l’avrei fatto. Sarà così difficile.


#MyWor(l)d


Saaalve, di nuovo! c:
Sì, sono in anticipo xD Vi spiego: sono ufficialmente in vacanza e solitamente, quando entro in vacanza, mi rifugio in casa per tipo una settimana perché devo realizzare che sono in vacanza c: non fate domande, per favore. Non mi capisco neanche io. Ed in quella settimana, mi dedico solo ed esclusivamente alla scrittura, salvo inconvenienti x3 
Beh, comunque, mamma mia, la prima parte è così triste D: non so da dove mi sia uscita fuori sinceramente, ma spero comunque che non vi annoi, così come il resto D: <3
Grazie, come al solito, a chi recensisce, a chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite ed a chi, semplicemente, la legge! Grazie! *-* <3
Un bacione,
Michaels 

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Capitolo 30
*** 2011 pt.12 ***


Londra, Sabato 31 Dicembre 2011
 
 
La prima parte del Solo Tour ormai era giunta al termine, già dal 17 Dicembre, a dir la verità, però ero dovuto andare a Milano, per un po’, per chiarire e stabilire dove e quando si sarebbe svolta la seconda parte. Le cose andavano bene, tutto sommato, anche se sentivo tremendamente la mancanza di Mika. Insomma, un mese senza di lui era stato davvero uno strazio. Ancora di più, essendo al corrente del fatto che questo suo blocco non ne voleva sapere di lasciarlo in pace. In un primo periodo, avevo chiesto a Cris se, ogni tanto, quando sarebbe stata libera, potesse e gli andasse di passare un po’ di tempo con lui. Così, per distrarlo un pochino. Tuttavia, la cosa che mi rincuorò ulteriormente fu che lui stesso l’aveva già chiamata. Stavano legando sempre di più, e la cosa non poteva che farmi felice. Però, non molto tempo dopo, Michael era stato costretto a tornare a Londra, chiamato dalla sua casa discografica. Come se non bastasse, quelli là gli continuano a fare tutte queste pressioni.
I giorni passavano e, ogni volta che lo sentivo per telefono, sembrava essere sempre più preoccupato e la cosa non mi piaceva. Non mi piaceva, affatto. Non volevo facesse come l’ultima volta che ci eravamo visti, così decisi di prendere il primo aereo disponibile, per partire e passare il capodanno insieme a lui. Non sapevo chi avrei trovato a casa sua per la serata sinceramente, ed avevo un po’ paura, che però veniva completamente eliminata dal fatto che, forse, magari stando un po’ di tempo con me avrebbe potuto rilassarsi. Magari.
Le mie mani cominciarono stranamente a tremare a pochi centimetri dal campanello. Morivo dalla voglia di rivederlo, ma ero preoccupato di poterlo ritrovare come l’altra volta. Non avevo paura di lui, era innocuo, ma proprio non volevo rivederlo in quello stato. Ma proprio il pensiero che potessi ritrovarlo in quel modo, mi spinse a prendere un bel respiro profondo e poggiare appena un dito su quel bottone rosso, aspettando che arrivasse ad aprire.
“Just a second!” Lo sentii urlare dall’altra parte della porta, facendomi ridere appena sentendo la sua voce improvvisamente squillante e le falcate con cui cercava di attraversare la stanza. Ha risposto, però. Sta bene. “Hi, sorry.” Disse distrattamente abbottonandosi i pantaloni. Mi si mozzò il fiato e rimasi di sasso vedendolo con la camicia aperta e la cravatta allentata al collo, che gli davano un aspetto talmente… selvaggio. Si può dire, no? Quando alzò il viso, dopo che ebbe finito, però non potei trattenere un’altra piccola risata dalla faccia che fece. “A-amore.” Balbettò tramutando quell’espressione sorpresa in uno di quei sorrisi che solo lui poteva fare.
“Ciao, ricciolino.” Lo salutai come se non lo avessi visto per poche ore, invece di un fottutissimo ed interminabile mese.
“Oh, no, please. No chiamarme così.” Disse, a sua volta, chiudendosi alcuni bottoni della camicia. L’ha capito? E da quando sa cosa significhi ‘ricciolino’? Ah, vabbé…
“Okay. Allora, ciao, puffetto.” Continuai a prenderlo in giro facendogli contrarre il viso in un’espressione confusa ed arricciare il naso. Ah, quanto mi è mancato vederglielo fare.
“What the fuck is a puf…” Tentò di iniziare a parlare disorientato.
“Oh, sta’ zitto e baciami, diamine.” Lo interruppi spingendolo dentro casa e richiudendomi la porta alle spalle, avventandomi sulle sue labbra, che non facevo mie da troppo tempo. Lo sentii sorridere sulle mie, mentre mi portava le sue mani sulle guance accarezzandole delicatamente e tirandomi ancora di più a sé, facendo scontrare i nostri nasi, tagliandomi ogni possibilità di respirare. Cercai di riprendere fiato, ma come al solito, ogni volta che ci provavo, infilò la sua lingua nella mia bocca, ad accarezzare la mia dolcemente. “Mi sei mancato.” Dissi affannato staccandomi, per un attimo.
“Anche tu.” Ansimò ricominciandosi a muovere avidamente su di me. “Come” Pose nuovamente fine a quel meraviglioso contatto, facendomi mugugnare contrariato. “ha” Aho, e basta. “fato” Mo’ m’arrabbio. “a venir?” Mi domandò sorridendo, cercando il mio sguardo.
“Ho finito, per ora.” Continuai a respirare velocemente bramando di nuovo quelle sue labbra, alle quali tentai di riavvicinarmi.
“Che significa?” Proseguì a chiedermi allontanandomi leggermente, tenendo le sue mani sulle mie spalle.
“Come che significa?” Gli chiesi, a mia volta, confuso ed impaziente facendolo indietreggiare verso il divano.
“Quanto te ferma?” Specificò divertito, e forse anche un po’ soddisfatto, dal mio atteggiamento. No, senza ‘forse’.
“Ricomincio a Febbraio.” Risposi sorridendogli dolcemente.
“F-febraio?” Balbettò incredulo spostando le sue mani sui miei fianchi, accarezzandoli per, poi, tirarmi a sé, facendo aderire perfettamente i nostri corpi. Annuii avvicinandomi al suo viso, sfiorando ancora il suo naso col mio. “No me prende en giro, right?” Soffiò sulle mie labbra facendomi salire un altro piacevole brivido lungo la schiena.
“Perché dovrei.” Gli dissi fissando quei suoi occhi, in cui avrei potuto perdermi ogni santissima volta.
“It’s… it’s fantastico.” Si buttò di peso sul divano, facendomi mettere a cavalcioni su di lui, continuando a fissarmi completamente incredulo.
“Lo so.” Affermai semplicemente avvicinando il mio viso al suo e baciandolo un’altra volta.
“Will you restare here, with me?” Mi domandò posando nuovamente la mano sulla mia guancia.
“Se mi vorrai.” Risposi abbassando la testa imbarazzato ed incominciando a giocare con le sue mani, accoglienti e calorose. Non vorrei costringerlo a tenermi qui.
“Sure. So, will you hug me?” Oh, un bambino proprio.
“Ogni volta che vorrai.” Ti  abbraccerei ogni singolo secondo della giornata.
“And then, will you kiss me?” Soffiò sulla mia pelle alzandomi il viso dolcemente e mi persi per l’ennesima volta i quegli occhi infiniti, che quella volta erano riusciti ad assumere un color cioccolato. Ma come fa…
“Quando vuoi.” Dissi incantato poggiando una mano sul suo petto, leggermente scoperto, fortunatamente, ancora dalla camicia sbottonata.
“A-and will we fare l’amore together, again?” Lo vidi mordicchiarsi timidamente il labbro inferiore a quella frase per, poi, abbassare nervosamente gli occhi e passare le sue mani sulle mie gambe, riscaldandole.
“Ogni volta che ne avremo bisogno, Michael.” Sorrisi amorevolmente vedendolo, poi, rialzare di scatto gli occhi, nei quali riuscii a distinguere improvvisamente un pizzico di commozione. “Anche adesso.” Aggiunsi in un sussurro sulle sue labbra, avventandomi nuovamente su di esse, pochi attimi dopo.
Quando cominciai a muovermi su di lui, un po’ volontariamente, un po’ involontariamente, tra un bacio e l’altro, sentendolo sospirare, rimasi sorpreso nel sentire le sue mani tentare di allontanarmi velocemente da lui.
“W-wait, Marco.” Farfugliò cercando di staccarsi da me, ma cercai di continuare ad ignorare quegli strani tentativi. Ma che gli prende? “Wait.” Rise leggermente facendomi interrompere quel contatto, leggermente deluso.
“Che succede?” Gli domandai preoccupato da quella sua improvvisa interruzione.
“Io ti vede davero stanco.” Affermò percorrendo ed accarezzandomi con un dito il profilo del mio collo. “Tu dovresta riposare.” Proseguì a parlare con tono estremamente dolce. In quel momento, mi ricordai che ero arrivato mentre lui si stava preparando per andare da qualche parte e cominciai a sentirmi, sempre di più, in colpa. “Marco, what’s wrong?” Mi domandò vedendo probabilmente il cambiamento dell’espressione sul mio volto.
“O-oh, Dio, scusami Mika. Tu stavi uscendo per andare da qualche parte ed io sono piombato improvvisamente qui. S-scusami.” Dissi velocemente alzandomi di scatto, sotto i suoi occhi sorpresi.
“Ma che tu sta dicendo?” Mi chiese confuso raggiungendomi, mentre avevo cominciato a girare nervosamente per la stanza.
“Cazzo, ti avrò rovinato i piani. Forse dovevi andare da tua madre, o comunque dalla tua famiglia e non è giusto che io venga ad intrufolarmi così. Il fatto che io non abbia qualcuno con cui passare il capodanno, eccetto te, non vuol dire che tu debba passarlo per forza con me. Sono un egoista, scu…” Iniziai a parlare a macchinetta in modo così veloce, che anche io facevo fatica a capirmi.
Effettivamente, ero stato un egoista. Che cretino che sei stato. Questo poraccio avrà pure il diritto di stare con qualcuno che non sia tu, no? Razza di idi…
“Marco, stop!” Urlò quella seconda volta fermando quei miei giri senza meta e senza senso. “Ma che ti avere preso? Are you completamente impazito?” Mi domandò tenendo salde e strette le sue mani sulle mie braccia. “Io stava andando a un party, that’s true, ma not with my family. They are tuti partiti. Io dovuto restare qui e no poteva muoverme, so my casa discographic invitato me a un party.” Mi spiegò accarezzandomi lentamente.
“M-ma ci devi andare. Ci sarà molta gente importante ed io…” Tentai di iniziare a parlare, ma cominciò ad agitare esasperato la testa da una parte all’altra, a destra e sinistra.
“Shut the fuck up!” Esclamò interrompendomi divertito piegandosi leggermente, per guardarmi meglio. “Io no voleva pasare with nobody else trane te questa sera, ma io credeva che tu no poteva. Now, che tu ha fato me questa amazing surprise, I wanna stay here with you. Only with you. Did you get that, piece of idiot?” Mi sorrise dolcemente, pur pronunciando quelle ultime parole, non proprio gentili. “I love you.” Mi mordicchiai il labbro inferiore risentendo quelle parole, che non arrivavano più ovattate, come al telefono, fortunatamente.
“Mi è mancato sentirtelo dire.” Sussurrai in imbarazzo, sia per la frase che per la piccola scenata, fatta appena pochi attimi prima.
“What? No ha capito. Repeat it.” Disse, a sua volta, a bassa voce facendo una faccia buffa, mentre cercava di guardarmi dritto negli occhi, facendomi ridere lievemente. Mi sta prendendo in giro, ma lo fa così dolcemente e così dannatamente bene…
“Mi è mancato sentirtelo dire.” Ripetei più ad alta voce rincontrando il suo sguardo, che più tenero e comprensivo non poteva essere.
“Well, in this caso… I love you, I love you, I love you.” Ripeté continuamente avvicinandosi di più a me, facendomi indietreggiare, fino a farmi ritrovare contro il muro, tenendo i suoi occhi incatenati ai miei. “Listen, io sono bravo. Te lo dice anche en italiano: ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo.” Continuò ed io non potei fare a meno di arrossire immediatamente, sentendo le mie guance andare letteralmente a fuoco. “And you? Do you love me?” Mi domandò dolcemente mordicchiandosi appena il labbro inferiore, gesto che, ogni santissima volta, era capace di bruciare i miei pochi neuroni rimasti, bruciati non solo dalla mia stupidità innata, ma soprattutto da questi suoi momenti, in cui riusciva ad essere così puerile e così passionale allo stesso tempo. Ed erano i momenti migliori.
“Certo, che ti amo. Ti amo più di qualunque altra cosa. Ti amo per così tante cose, che non farei in tempo ad elencartele in una vita intera. Farei prima a cercare di dimostrartelo direttamente.” Vidi l’espressione del suo viso mutare improvvisamente, da divertita quale era, fino a poco tempo prima, in una così seria, ma, sapete, era quella serietà dolce. Quella in cui il tuo interlocutore non sa proprio che dire, perché sei riuscito a spiazzarlo con poche, ma semplici, parole.
Si avvicinò nuovamente a me, posando le sue morbide labbra sulle mie, dando inizio ad una danza estremamente intima. Io non riuscivo a capire esattamente come facesse a farmi venire, ogni volta, quella piacevole sensazione di completezza allo stomaco, che pochissimo prima, come per magia, era riuscito a far sentire vuoto. Era lì probabilmente il suo trucco. Ti privava di una cosa con un piccolo sguardo o con una piccola frase, e colmava quel vuoto, aggiungendo sempre qualcosa di nuovo, senza però farti sentire sazio. Mi chinai appena a baciare quel suo collo perfetto, sentendolo sospirare leggermente, pochi attimi dopo, mentre affondava le sue dita fra i miei capelli.
“Io no ha preparato nothing, Marco. Sorry.” Disse staccandosi da me. Ma sai che cosa cappero me ne frega, se non hai preparato niente?!
“Oh, tranquillo, Mika. Non sapevi sarei arrivato. Scusami, ancora.” Affermai andando completamente contro i miei pensieri, che non vedevano l’ora di uscire dalla mia bocca, insieme a quelli meno casti da far uscire, di certo, in altri modi.
“Don’t say that neanche para scherzare.” Mi rassicurò prendendomi per mano e trascinandomi in camera da letto, seguiti da Mel. “Tu sembra così stanco.” Ripeté, quasi affranto, accarezzandomi i capelli sulla porta.
“È normale.” Lo rassicurai facendo lo stesso gesto, compiuto da lui pochi attimi prima, mentre mi faceva adagiare delicatamente sul letto. Era così premuroso con me, ma stava facendo riuscire la figura del padre apprensivo. Tuttavia, dovetti ammettere che era una figura alla quale mi stavo affezionando sempre più. Faceva parte di lui e come poteva non piacermi, come faccio a non amarlo? “Che fai?” Gli domandai alzandomi leggermente col busto, quando ormai ogni mia capacità di pensiero e di respirare sembrava essere partita improvvisamente in vacanza, mentre lo vedevo che si levava quei vestiti eleganti.
“Come, che facio? Me cambia.” Affermò come se fosse stata la cosa più normale del mondo. Sì, ma intanto io qui, sto per avere un altro infarto.
“Un Capodanno in pigiama, sul serio?” Proseguii cercando di mantenere la calma, deglutendo poi a vuoto.
“It’s alternative.” Rispose infilandosi la maglietta del pigiama. “Come noi.” Aggiunse raggiungendomi e sdraiandosi accanto a me.
“Come noi.” Ripetei divertito cominciando a fare dei piccoli cerchi sul materasso, dopo essermi quasi ripreso del suo corpo mezzo nudo. Come se non l’avessi mai visto, poi.
“So, anche tu te cambia.” Aggiunse divertito posando la sua mano sulla mia, fermandola.
“E va bene.” Mi arresi alzandomi dal letto.
“Because...” Iniziò una frase, ma per un momento non riuscii a capire bene ciò che voleva che dicessi. Lo guardai confuso chiedendogli spiegazioni, vedendolo poi sbuffare e portarsi le mani al viso. “Because we are…” Mosse il braccio per dirmi di continuare. Ah!
“… noi siamo alternativi.” Continuai ridendo andando in bagno scuotendo la testa da una parte all’altra, dopo aver capito quello che voleva fare. “Pure te, però, amore, eh!” Gli urlai mentre mi cambiavo. Con lui era tutto così diverso. Riuscivo a sentirmi davvero bene, e la sua pazzia non poteva che migliorare le cose.
“Io cosa?” Me lo ritrovai davanti alla porta, quando la riaprii, a braccia conserte, che mi guardava con sguardo inquisitorio.
“Sono appena arrivato e metti il mio cervello in moto troppo velocemente.” Dissi avvicinandomi a lui, facendolo indietreggiare.
“Sorry.” Si scusò continuando a ridere, finché non avvolse il mio corpo fra le sue braccia e si buttò di peso sul letto, facendomi accoccolare contro il suo petto. “How è andato tour?” Mi chiese mentre continuava a darmi dei leggeri baci sulla fronte. Resterei così, per sempre.
“Bene, ma sono felice di stare con te, ora.” Gli dissi alzando il viso, per guardarlo meglio in quei suoi occhioni. Mi sorrise timidamente posando le sue labbra sulle mie. “Tu, invece? Sei riuscito a scrivere qualcosa?” Lo vidi sospirare rumorosamente e prendere la mia mano, incominciando a giocherellare con le mie dita, scuotendo la testa a destra e sinistra. Idiota, perché gliel’hai chiesto? Come se non ci pensasse già abbastanza. Mi sistemai meglio sopra di lui, poggiando le mie mani sul materasso, dandogli un altro bacio, nel tentativo di rimediare.
“I love you.” Sorrise dolcemente posando una mano sulla mia guancia, mentre con l’altra stringeva appena la mia gamba.
“Anch’io.” Dissi, a mia volta, amorevolmente accarezzandogli le labbra con due dita.
Più lo osservavo, e più mi convincevo che fosse la perfezione fatta persona, e di non meritarmelo totalmente. Nel corso della mia vita, ho fatto tanti errori, facendo soffrire non poche persone, ed il fatto che lui fosse fra quelle mi faceva sentire ancora peggio. Non riuscivo a capire come potesse stare con me, ma forse era meglio evitare di chiedergli spiegazioni. Non volevo mettermi e, soprattutto, metterlo in una situazione così spinosa. Per quanto io mi sforzassi di essere alla sua altezza, sapevo che non ci sarei mai riuscito ad arrivarci.
In quel momento, leggevo nei suoi occhi però tante emozioni messe insieme, ma mi rendevo conto che alcune erano negative. Il non riuscire ad esternare musicalmente parlando, ciò che voleva, continuava a fargli male, ed io mi sentivo talmente inutile ed impotente davanti a quella situazione. Volevo aiutarlo, ma non sapevo come farlo. L’unica cosa che potevo fare, di fatto, era cercare di distrarlo il più possibile, distogliendolo completamente da quella delusione, che gli si leggeva in volto. Essere deluso da sé stesso, probabilmente era la cosa che gli faceva più male. Si aspettava molto, forse anche troppo. Non nel senso che, faceva più di quello che si potesse permettere, no assolutamente. Ma era un perfezionista e, di conseguenza, anche molto severo, ma l’insicurezza che si portava dietro non faceva che peggiorare l’intera situazione. Era proprio questo il problema, voleva e poteva arrivare talmente in alto. Altezza dalla quale, però, poteva precipitare improvvisamente, e farsi molto male. Ed alla base di quella caduta, alla fin fine, c’erano sempre le sue incertezze ed insicurezze, e purtroppo, sapevo bene quanto fosse difficile liberarsene. Forse, era addirittura impossibile, specialmente per un carattere come il suo.
“A che pensa?” Mi domandò improvvisamente interrompendo i miei pensieri e riportandomi alla realtà, ma in quel momento sentimmo le persone che stavano cominciando ad uscire per strada, pronti a fare il conto alla rovescia, così guardai l’orologio. Manca un minuto. Ammazza, com’è passato in fretta il tempo. Vabbé che sono arrivato tardi, però…
“Amore,” Gli sorrisi dolcemente guardando i suoi occhi curiosi. “grazie per questo altro anno meraviglioso, davvero. Spero che quest’altro che passeremo insieme, e tutti quelli che verranno dopo, siano uno più bello dell’altro. Senza di te” Abbassai leggermente lo sguardo prendendogli la mano. “non sarei qui.” Mi alzò delicatamente il viso guardandomi seriamente negli occhi.
Dovevo essere sincero con lui, e quello era ciò che pensavo.
“Tu mi dà tropa importanza, Marco.” No, non è vero. Scossi la testa contrariato da quell’affermazione, sentendo un improvviso nodo alla gola e gli occhi offuscarsi piano piano. “Quelo che poso prometere te de fare è che cercherà di rendere every day di tua life felice e without sofferences.” Aggiunse asciugandomi una piccola lacrima, che mi era sfuggita. “Come tu sta facendo nela mine.” Tornai a guardarlo, senza più fare caso alle lacrime, che ormai avevano cominciando a scendere senza preavviso.
“Non è vero.” Sorrisi amaramente accarezzandogli il suo volto angelico. Se lo fosse, non continuerebbe a soffrire così.
“Yes, it is.” Stavo per ribattere, ma sentii la sua bocca posarsi velocemente sulla mia, quasi disperata, ad azzittirmi. “Please, don’t cry. It hurts me.” Aggiunse, quando ormai anche lui stava piangendo.
“Non farlo neanche tu, allora.” Dissi divertito asciugandogli il viso con i palmi posando la mia fronte contro la sua e, ancora, le mie labbra sulle sue.
Alla fine, non sapevamo neanche perché lo stavamo facendo. O meglio, forse sì, ma forse era anche un tentativo di sfogare e liberarsi di tutta la tensione accumulata in quel mese, senza vederci. Entrambi con i propri pensieri ed in nostri dubbi, che cercavamo di risolvere e colmare in quel momento, che era risultato il più perfetto.


#MyWor(l)d


Saaaalve! c: 
Come state? *-*
Sì, ho saltato Natale e, di conseguenza, il compleanno di Marco. Sinceramente, avevo iniziato a scriverlo, ma stava venendo che è uno schifo, quindi ho evitato! D:
Oh, beh, dai, Marco torna da Mika e... mi sono fatta di nuovo venire il diabete da sola ç_ç
A parte questo, spero che a voi sia piaciuto e che non vi abbia annoiato più di tanto! c:
Ringrazio, come al solito, chi recensisce soprattutto, poi chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! Quindi, grazie! :3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 31
*** 2012 pt.1 ***


Londra, Domenica 1 Gennaio 2012
 
 
“Beh, buon anno, allora.” Sussurrai a pochi centimetri dal suo viso accarezzandogli dolcemente la guancia, sentendo gli scoppi dei fuochi d’artificio, accompagnati dalle urla della gente per strada.
“Happy new year, amore.” Soffiò sulle mie labbra posandoci, poi, delicatamente le sue, coinvolgendomi in un bacio lento, durante il quale sembrava voler assaporare al meglio ogni centimetro della mia bocca. Il sapore salato che le lacrime avevano lasciato su entrambi, alla fine, rendeva il tutto ancora più dolce. “Te andare di vedere fuochi?” Mi domandò facendo assumere al suo viso un’espressione talmente eccitata, che vidi i suoi occhi illuminarsi ulteriormente.
“Andiamo.” Divertito, lo presi per mano e lo aiutai ad alzarsi dal letto.
Lasciai che fosse lui a guidarmi, però, non sapendo se volesse uscire o vederli semplicemente da una delle finestre. Alla fine, optò per la seconda possibilità. Andammo fino al salone, dove ce n’era una abbastanza grande, dalla quale si potevano vedere bene. Sembrava l’avesse addirittura scelta di proposito, per quel momento. Lontana da occhi indiscreti, ma si poteva avere una buona vista. Mi fece mettere davanti a lui ed avvolse i miei fianchi fra le sue braccia calorose, poggiando il mento sulla mia spalla.
“Amazing.” Affermò incantato cominciando ad accarezzarmi dolcemente. “Te piace?” Mi chiese facendomi girare la testa verso di lui ed incontrare i suoi occhi.
“Sono bellissimi.” Risposi ipnotizzato, forse riferendomi più a quei due pozzi senza fine che si ritrovava, piuttosto che ai fuochi.
“Come te.” Dio, ma perché… Mi lasciò un leggero bacio dietro l’orecchio, facendomi abbassare la testa imbarazzato.
“Sei un adulatore.” Lo presi in giro cominciando a giocherellare con le sue dita nervosamente, facendogli arricciare il naso confuso e contrariato. Chissà se mi ha capito.
“Viene.” Richiamò la mia attenzione indietreggiando fino a sedersi su una sedia a dondolo, che si trovava poco dietro di noi, facendomi accomodare fra le sue gambe. “It’s più comodo here and tu può riposare.” Mi disse lasciandomi un bacio sulla testa. Medico. Infermiera. 118. 911. 999. Quello che è, ma qualcuno venga in mio soccorso, maledizione. “Are you okay?” Mi domandò, forse non sentendo alcuna risposta da parte mia.
“Certo, grazie.” Mi girai appena, il giusto per posare le mie labbra sulle sue, sentendolo poi sorridere. “Però, sei sicuro che ce regga ‘sta cosa?” Aggiunsi guardando bene le gambe della sedia, forse fin troppo fine per reggere il peso di entrambi effettivamente.
“What?” Farfugliò divertito seguendo il mio sguardo. Okay, forse dovrei continuare ad evitare di parlargli in romanesco.
“Non è che, poco poco, se rompe?” Ritentai in modo un po’ più comprensibile.
“Oh, no. Don’t worry.” Rispose riprendendo dolcemente la mia mano. “You know, when I was picolo, aveva paura di fuochi.” Esordì, dopo un po’ senza parlare.
“Come mai?” Gli domandai sorpreso ritornando ad osservarlo, posando una mano sul suo fianco, come per aggrapparmi a lui.
“When io sentiva loro, chiudeva subito my eyes and tapava my ears. I was scared. Il suono, il rumore era tropo forte. But, un giorno io ha avuto coraggio anche di guardare loro, and when ha visto how erano beli and colorati, no ha avuto più paura.” Mi spiegò senza staccare i suoi occhi dai miei. Gli sorrisi dolcemente accarezzandogli la guancia, scostandogli un piccolo ciuffo dal viso. Non mi aveva parlato spesso della sua infanzia. Sapevo ciò che lui mi aveva detto, quindi poco, e quello che avevo letto sui giornali nelle sue interviste. Non potevo che essere felice di quella piccola, ma non insignificante, confidenza. Mi ha fatto sentire nuovamente importante, in modo particolare, rendendomi partecipe dei suoi ricordi, belli o brutti. “Un po’ come ha suceso with you.”
“Tu avevi paura di me?” Domandai perplesso.
“No, avevo paura di quelo che poteva acadere. Forse aveva solo paura di esere felice e di... osare. You know, tu è entrato in my life così, senza avisare. I was already involved.” Sospirai ricordando cosa era successo per quella dichiarazione. “But when io ha capito cosa provava davero per te, no ha avuto più paura.” Mi rivolse un leggero sorriso accarezzandomi la guancia con un dito.
Un altro botto catturò la nostra attenzione, ed io ne approfittai per accoccolarmi meglio sul suo petto, portando sul bracciolo una gamba, sulla quale lui posò l’altra mano. Non era molto comoda come posizione, se ci si andava a pensare, ma stavo così meravigliosamente bene fra le sue braccia e poggiato al suo corpo, che mi riscaldava, come nessun altro aveva fatto, per fortuna, aggiungerei. Distolsi il mio sguardo dai fuochi d’artificio, per spostarlo nuovamente su di lui. Era così bello, anche con i capelli più corti, che però fortunatamente era già un po’ ricresciuti. Amavo intrecciare le mie dita fra i suoi soffici riccioli, come a ricreare una piccola parte di quella sensazione di tutt’uno, che sentivo anche, e soprattutto, quando facevamo l’amore. I suoi occhi che osservavano incantati tutti quei colori che dipingevano il cielo del nuovo anno. Quella sua bocca e quelle sue labbra perfette spalancate in un sorriso sempre più sorpreso, come quello di un bambino quando vede un trucco di magia o, comunque, qualcosa che per lui sembra completamente impossibile da fare.
 
Quando riaprii gli occhi, avevo ancora il viso affondato nel collo di Mika, che aveva la testa leggermente chinata e poggiata sulla mia. Mi ero addormentato senza neanche accorgermene, nonostante tutto quel trambusto, e non doveva essere solo per la stanchezza generale. Forse, soprattutto, per la sensazione di pace e tranquillità che lui soltanto riusciva a darmi, mentre continuava a muovere avanti ed indietro quella sedia. Sì, deve essere di sicuro per questo. Sorrisi avvicinando le mie labbra al suo collo e lasciandoci una piccola scia di baci, mentre accarezzavo delicatamente i suoi capelli. Lo sentii farfugliare qualcosa e lo vidi stringere appena gli occhi per, poi, darmi l’onore di rivederli ancora appena sveglio. Quelle pupille dilatate, che gli davano un aspetto ancora più indifeso, mi erano mancate terribilmente, insieme al suo profumo fresco di talco e tutto ciò che solo lui poteva darmi.
“Buon giorno.” Soffiai sulla sua pelle sentendolo, poco dopo, rabbrividire per, poi, ricominciare a fare quello che avevo interrotto.
“Good morning.” Sbadigliò stiracchiandosi appena, facendomi quasi cadere, ma fortunatamente sentii le sue braccia stringermi prima ancora di ritrovarmi col sedere per terra. “Sorry.” Disse divertito.
“Non sai quanto mi sia mancato risvegliarmi così.” Dissi incatenando il mio sguardo al suo, finché non lo vidi avvicinarsi lentamente a me posando le sue labbra sulle mie, muovendole a ritmo sempre crescente, non dandomi, per l’ennesima volta, la possibilità di riprendere un po’ di fiato.
Quando sentii il calore della sua mano posarsi sulla mia guancia, mi avvicinò ancora di più a sé, approfondendo quel contatto. Portai la mia, invece, sul suo collo facendo la stessa identica cosa, come a diventare, anche in quel caso, una cosa sola. Fui io quella volta ad infilare la lingua nella sua bocca, esplorandola ed assaporandola nuovamente.
“Oh!” Esclamò staccandosi improvvisamente da me. Ma perché ha questo brutto vizio di interrompere questi momenti?!
“Che succede?” Chiesi con espressione confusa e, forse anche, un po’ preoccupata.
“Noi no ci siamo visti para Natale e tuo Birthday.” Affermò dandomi un bacio a fior di labbra ed alzandosi di scatto, facendomi cadere quella volta. Logico. “Oh, sorry!” Disse ridendo porgendomi la mano, mentre io lo continuavo a guardare spazientito afferrandola. Lo vidi scomparire, poco dopo, in un’altra stanza ed io ne approfittai per prendere il mio di regalo. Avevo un po’ paura, sinceramente, ma ero quasi convinto che gli sarebbe piaciuto. Almeno spero. “Prima io.” Dicemmo insieme appena fu tornato. “No, prima tu.” Continuammo entrambi con i pacchetti in mano, facendoci ridere.
“Okay, allora facciamo che li apriamo insieme.” Proposi sorridendogli eccitato.
“Okay.” Acconsentì porgendomi il suo.
Lo presi ed io gli diedi il mio, che alla fine neanche era un pacchetto. Era una busta, che continuava ad osservare con espressione curiosa e sorpresa. Aspettai che l’aprisse e che vedesse cosa ci fosse dentro. Mi piaceva capire tutte le sue emozioni e ciò che pensava in un determinato momento. Lo vidi portarsi una mano alla bocca e strabuzzare, in modo estremamente buffo, quei suoi occhioni, puntandoli una volta su di me ed un'altra volta su quel foglio.
“I-io ho pensato che ti potesse piacere, e…” Tentai di iniziare a parlare nervosamente.
“Wait, wait. Tu ha fato sul serio questo para mi? Para noi?” Mi domandò incredulo.
“S-sì, sai, ti è piaciuta tanto e, non lo so. Ti piace?” Gli domandai incerto cominciando a giocare con la scatolina che avevo fra le mani.
“Se me piace? Marco, tu ha comprato una casa.” Disse avvicinandosi a me mantenendo quella meravigliosa  espressione in volto. Sì, ho comprato la casa di Montalto di Castro.
“Non è una casa. È la nostra casa.” Lo corressi sentendolo, poi, farfugliare qualcosa di incomprensibile ed avvolgermi fra le sue braccia. “Ci potremo tornare quando vogliamo in vacanza. Potremo fare tutto quello che vogliamo ed in più nessuno saprà di noi, perché non è stata acquistata ufficialmente a nome mio. Potremo stare tranquilli.” Aggiunsi stringendolo, a mia volta.
“Oh, God, amore. You are so crazy, crazie.” Aveva la voce leggermente spezzata dall’emozione e non potei sentirmi meglio, in quel momento.
“Sono così felice che ti sia piaciuta.” Sussurrai lasciandogli, poi, un bacio sulle guancia, solcata da una piccola lacrima. “Oh, non piangere, ti prego.” Dissi divertito staccandomi da lui ed asciugandogliela.
“Ti amo.” Rise lievemente ancora incredulo e gli rivolsi un dolce sorriso per, poi, cominciare a concentrarmi su quella scatolina. Chissà cos’è. Però, quando alzai lo sguardo verso di lui, mentre tentavo di scartarla, vidi il suo viso cambiare completamente espressione, diventando preoccupato e titubante.
“Michael, amore, che hai?” Gli domandai, a mia volta, preoccupato posando delicatamente una mano sulla sua guancia.
“I-I think that my present is… is not enough.” Confessò abbassando la sguardo e passandosi una mano dietro il collo, nervoso.
“Ma che dici.” Lo rassicurai, quasi divertito. “Sarà magnifico, già lo so, perché è tuo.” Lo sentii mugugnare ancora. Ma perché è così insicuro. Cercai di farlo tranquillizzare rivolgendogli un altro sorriso, mentre lo aprivo, ma risultò totalmente inutile. Si portò una mano alla bocca, cominciando a torturarsi le dita, mordicchiandole. Mi affrettai a fermarlo, tentando di evitare che si facesse del male.
“M-Marco…” Cercò di parlare, ma lo fermai con un piccolo gesto.
“Devi stare tranquillo.” Non mi piaceva affatto vederlo così dubbioso. Velocemente lo aprii scoprendoci dentro un meraviglioso orologio dorato che già amavo. Somigliava tanto ad uno che, qualche tempo prima, gli avevo detto che mi piaceva, ma era leggermente diverso.
“L-lo ha disegnato io e lo ha fato fare a quela casa. E’ un unico modello.” Spiegò rapidamente facendomi alzare di scatto lo sguardo. L’ha disegnato lui?
“L’hai disegnato tu?” Annuì timidamente ed io non potei fare a meno di continuare a guardarlo più sorpreso che mai. “Mika, ma è stupendo.” Dissi incantato.
“Giralo.” Mi incitò facendo un gesto con la mano. Feci come mi aveva detto di fare e rimasi incredibilmente ancora più sorpreso di prima. C’era una piccola incisione con le nostre iniziali, almeno credo. La doppia emme poteva stare sia per il mio nome e cognome che solo per i nostri nomi. Appena sotto c’era scritto ‘25 Dicembre 2011’ e ancora più giù un tremolante ‘I love you’, che mi fece sorridere ulteriormente. “Sorry, io voleva incidere, ma sa che sono maldestro.” Cercò di giustificarsi, ancora in imbarazzo.
“Lo rende ancora più perfetto.” Dissi quasi sussurrando, quando ormai quel nodo alla gola non era più possibile da controllare. Mi gettai fra le sue braccia sentendolo sussultare, come se non se lo aspettasse. “Grazie.” Incontrai i suoi occhi, che da preoccupati quali erano, avevano cominciato piano piano a rilassarsi. Forse aveva capito che miglior regalo non poteva farmi. “Lo adoro.”
“Alora, no piangere.” Mi prese in giro divertito passandomi le mani sul viso.
“Scusa, è che è la cosa migliore che potessi regalarmi.” Lo vidi mordicchiarsi timidamente il labbro inferiore, avvicinandosi a me per posare le sue labbra sulle mie.
Come poteva credere che non mi piacesse o che, comunque, non potesse essere all’altezza del mio? Era meraviglioso. Insomma, un modello unico? E l’incisione? Come diamine faceva a non piacermi! L’aveva disegnato lui, Cristo.
Sentii le sue braccia stringermi forte a sé, facendo aderire perfettamente i nostri corpi, e mi sollevò appena da terra sospirando e continuando a concentrarsi sulla mia bocca, finché non arrivò in camera da letto, sul quale mi adagiò delicatamente, sdraiandosi poi su di me avvinghiandosi al mio collo. Cominciò a far vagare le sue mani sul mio corpo, infilandone una sotto la maglietta del pigiama, facendomi venire i brividi. Feci la stessa cosa accarezzandolo, però, sulla sua schiena liscia, mentre continuava a mordicchiarmi e baciarmi. Quando me la sfilò, percorse con la lingua scendendo fino al mio petto, riservandogli lo stesso trattamento, facendomi sospirare rumorosamente. Ormai conosceva fin troppo bene i miei punti deboli, questo è vero, ma anche io conoscevo i suoi. Presi il suo viso fra le mani tirandolo a me ed intrappolando le sue labbra con le mie. Gli morsi delicatamente il labbro inferiore sentendolo gemere leggermente, dandomi il via libera per esplorare ancora la sua bocca. I nostri respiri affannati invadevano la stanza, nella quale si riuscivano anche a sentire, i nostri schiocchi e lo strusciare delle lenzuola, che creavano nell'insieme una dolce musica. Avvolsi la sua vita con una gamba, avvicinandolo e facendo scontrare i nostri bacini. Sorrisi sulle sue labbra sentendolo gemere appena e rendendomi conto della sua eccitazione. Mise un braccio dietro il mio collo e l’altra mano sul mio fianco, come per reggersi, mentre cominciava a muoversi velocemente su di me, creando un inevitabile e continuo scontro fra le nostre intimità, ancora coperte. Non c’era niente da fare. Seppur io avessi cercato di farlo impazzire in un modo, lui avrebbe sempre continuato a fare di meglio, rispondendo al fuoco con il fuoco, provocandomi. Mi aggrappai, a mia volta, alle sue braccia cominciando ad ansimare, senza farci caso più di tanto. Portai una mano sul lenzuolo stringendolo il più forte possibile, poggiando pesantemente la testa contro il cuscino. Quando riportai i miei occhi su di lui, che tentava di non far uscire alcun suono dalle sue labbra e mi guardava con quel suo sguardo concentrato, mentre mi donava quell’immenso piacere, davvero non seppi più controllarmi. Lo fermai facendolo alzare leggermente da me, e lo privai della maglietta per, poi, abbassargli appena i pantaloni, insieme ai boxer, avventandomi sul suo membro, sotto il suo sguardo sorpreso ed eccitato.
“Oh, Marco.” Ansimò buttando la testa all’indietro, dando libertà ad ogni verso, represso fino a quel momento. Dio, il modo in cui lo dice. Quando cominciò a spingersi leggermente verso di me, però lo bloccai facendolo mugugnare contrariato.
“Non ci devi neanche provare.” Lo minacciai staccandomi da lui.
“Why?” Mi domandò affannato con fare innocente, ma lo ignorai ricominciando a fare ciò che avevo interrotto. “Okay.” Disse con voce strozzata fermandomi, a sua volta.
Posò una mano sul mio petto e mi spinse facendomi ricadere sul letto, privandomi e privandosi anche lui degli ultimi indumenti. Piantò le sue mani sul materasso sdraiandosi su di me, creando uno scontro probabilmente volontario tra le nostre erezioni. Lasciò una scia di baci lungo il mio corpo, fino ad arrivare all’inguine, dandomi davvero la sensazione di poter impazzire, quando prese a stuzzicarmi con la mano.
“Michael, ti prego.” Farfugliai contorcendomi sotto il suo tocco. Tuttavia, le mie suppliche non gli andavano a genio e risultavano completamente inutili. Quando si metteva una cosa in testa, doveva finirla. Quando le sue labbra però avvolsero il mio membro in un caldo abbraccio, mi lasciai andare al piacere più totale ansimando e gemendo, senza controllo, mentre lo sentivo sorridere soffisfatto dell’effetto che continuava ad avere su di me. “Sei troppo vendicativo, però.” Sospirai affannato ridendo appena, accarezzandogli la guancia, una volta che pose fine a quel maledetto giochetto.
“Tu me provoca.” Si giustificò rimettendosi a cavalcioni su di me, riposando le sue labbra sulle mie.
Quando però, sentii la sua mano riprendere la parte più sensibile del mio corpo, mi bloccai rendendomi conto delle sue intenzioni.
“M-Mika, no, aspetta, io non voglio farti ancora ma...” Cercai di iniziare a parlare, preoccupato.
“Ssh.” Mi azzittì a pochi centimetri dal mio viso. “I need you.” Soffiò semplicemente sulle mie labbra facendomi scoppiare il cuore in petto, sul quale poggiò la sua mano, vedendolo poi sorridermi dolcemente, probabilmente sentendo il mio battito così accelerato, in quel momento. Dai suoi occhi capii che era la verità. Aveva bisogno di me, come io avevo bisogno di lui. Io, per tutto quel tempo, avevo avuto l’irrefrenabile bisogno che lui mi facesse sentire completo, anche in quel modo. Tuttavia, ero terrorizzato dal fatto di fargli del male e farlo soffrire. Per quanto io lo desiderassi, non volevo che ciò accadesse. Non volevo vedere il suo viso contratto in una smorfia di dolore, ancora meno vedere delle lacrime taglienti solcargli il viso, come del resto era già successo. Non volevo sentirlo respirare velocemente contro la mia pelle, mentre cercava di riprendere fiato distogliendosi dal dolore. Lui era talmente dolce mentre facevano l’amore. Riusciva ad esserlo ogni volta. Era stato così delicato sin dalla prima volta, invece io no. Non ci sono mai riuscito e soffrivo per ed insieme a lui. Ma quegli occhi e quella frase, detta con quel tono, erano riusciti a darmi in parte fiducia. Così, con un piccolo e lento movimento, lo aiutai a spingermi contro le sue carni più sensibili, sentendolo sospirare leggermente. Feci attenzione, ancora una volta, ad ogni espressione del suo viso, cercando di capire e carpire le sue emozioni, ma per la prima volta, non lo vidi stringere fortemente i suoi occhi e respirare sempre più velocemente. Lo spinsi lentamente verso di me, trattenendo il respiro, mentre continuava a guardarmi dolcemente sorridendomi. Aspettai che si fosse abituato a me, dopo così tanto tempo. Tirai un sospiro di sollievo, non vedendolo soffrire, anzi. “Amore, perché tu piange?” Ruppe il silenzio accarezzandomi appena con due dita la guancia, asciugandomi una lacrima, di cui neanche mi ero reso conto, causata dall’ennesima emozione troppo forte di quella giornata.
“Perché ti amo.” Rise lievemente posando le sue labbra all’angolo della mia bocca, cominciando a muoversi lentamente su di me, mentre titubante tentai di accompagnarlo nei movimenti.
Non volevo piangere, sul serio. Non avevo lo stimolo di farlo, non sentivo quel nodo, alcune volte fastidioso, alcune volte piacevole, alla gola. Non mi si era neanche offuscata la vista. È capitato e basta. Era questo l’effetto che mi faceva il suo amore. Era pieno di sorprese e meravigliosamente imprevedibile, oltre che incredibile. Ed il nuovo anno non poteva cominciare meglio.


#MyWor(l)d


Saaalve! c:
Okay, ragazze, vi dirò la verità, sono d'accordo con la piccola e saggia Cris: questi due danno l'impressione di fare sempre e solo quello. xD
Per carità, io li amo quando si amano, però... lo fanno ogni due capitoli, andiamo xD Io seguo consigli, e vi amo ancora di più quando me li date, ma la mia perversione sta salendo a livelli che neanche un Super Sayan ce arriva. D:
Okay, detto questo uwu spero comunque che non vi abbia annoiato! :3
Grazie mille, come al solito, a chi recensisce soprattutto, poi a chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite ed a chi, semplicemente, la legge! Glattie! :3 <3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 32
*** 2012 pt.2 ***


Londra, Venerdì 20 Gennaio 2012
 
 
Quando ero arrivato tutto sembrava girare intorno a noi. Eravamo riusciti perfino ad uscire un paio di volte, senza troppi problemi. Ma quel piccolo paradiso che eravamo riusciti a creare, improvvisamente sparì dopo a malapena una settimana. Michael si era rinchiuso, così, nel suo studio, e se ne stava o al computer, senza scrivere, oppure al pianoforte, senza neanche suonare. Per carità, io non mi aspettavo che passasse ventiquattr’ore su ventiquattro con me, però ero andato a stare con lui, per un breve periodo di tempo, per cercare non solo di avere un po’ di meritato riposo, ma soprattutto per aiutarlo a distrarsi un pochino, soltanto un pochino. Invece, niente. Sembravo non esistere proprio più per lui. Non veniva a dormire prima delle tre, e lo sapevo perché lo aspettavo, pur facendo finta di essermi addormentato. Eppure, la prima settimana era stato così affettuoso con me, così dolce. Era come se improvvisamente fosse ricaduto nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni senza riuscire ad uscirne, e mi faceva dannatamente male vederlo così. Ma era anche così testone ed impulsivo, che forse neanche si rendeva conto dell’effetto che aveva su se stesso, ed anche su di me, per dirla tutta, e di conseguenza sulla nostra relazione. Davvero, in quelle due ultime settimane vederlo era diventato un privilegio.
Il 21 io dovevo ripartire. Era la sera del 20 e, con mio grande dispiacere, avevo finito di rifare le valigie. Le stavo portando in soggiorno, per averle pronte la mattina seguente, per andare in aeroporto. Tuttavia, mentre facevo avanti ed indietro per il corridoio, decisi di aprire leggermente la porta del suo studio, per accertarmi che stesse bene. Ma lo vidi seduto vicino al pianoforte, con lo sguardo rivolto verso il basso e le dita che si muovevano sui suoi tasti, senza realmente suonarli. L’espressione del suo viso era contratta in una smorfia quasi di dolore, e Dio solo sapeva che peso sentivo al cuore vedendolo così. Come al solito, non ero abbastanza per alleviare le sue sofferenze, e forse quella era la cosa che più faceva soffrire me, perché a me, alla fine, bastava un suo sorriso per sentirmi meglio, per lui no.
“Michael, amore, è tutto okay?” Gli domandai preoccupato avvicinandomi a lui, che alzò la testa di scatto facendo incontrare i suoi occhi, nei quali riuscii a leggere addirittura dell’angoscia, con i miei. “Ehi, che hai?” Proseguii poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla ed inginocchiandomi al suo fianco. Lo sai cos’ha che non va.
“Please, Marco, leave me alone.” Rispose riabbassando lo sguardo e levando le mani dai tasti.
Quelle parole, dette con quel tono supplichevole, per giunta, furono una vera e propria pugnalata al cuore. Era come se improvvisamente fosse ritornato il vecchio Mika. Quello che non si fidava del tutto di me e che si ostinava a tenersi tutto dentro. Sentii una strana sensazione alla gola, come se tutto ad un tratto qualcosa volesse bloccare ogni mia possibilità di respirare, unita ad una fastidiosa fitta al petto ed ad una sensazione di calore fin troppo alto dal collo in su.
“P-perché?” Gli chiesi titubante cercando di controllare le mie emozioni.
“Perché sì. Io ha bisogno di stare alone.” Disse semplicemente privandomi ancora dei suoi occhi.
“M-ma…” Tentai di iniziare a parlare chiedendogli un’ulteriore spiegazione.
“No ha capito cosa io ti ha chiesto?!” Domandò interrompendomi, contraendo il viso in un’espressione scocciata ed arrabbiata.
“Ma Mika, io…” Non potevo vederlo in quello stato.
“Ora me arabia, Marco. Quale part tu no capisce when io dice di lasciarme alone? Te deve dire di andartene? Così capisce melio?” Disse con tono fin troppo strafottente. Non è Michael.
Mi stava ferendo, sempre di più, con quelle parole. Era come se avesse preso un coltello, me l’avesse piantato nel petto e lo stesse rigirando, più e più volte, a suo piacimento, più sadico che mai.
“I-io veramente volevo dirti che domani ho l’aereo per Roma, dato che devo ricominciare i preparativi per il concerto, con un po’ di anticipo. Volevo solo passare un po’ di tempo con te. Tutto qui.” Spiegai velocemente portandomi una mano sul braccio, massaggiandolo imbarazzato, mentre tentavo di reprimere le lacrime.
“What? Io pensava che te ne andava il primo de febraio.” Affermò confuso alzandosi immediatamente dallo sgabello.
“Ecco, lo avresti potuto sapere se mi avessi ascoltato almeno una volta, in quelle rare occasioni in cui siamo stati insieme in queste ultime due settimane.” Dissi abbassando la testa deluso.
“Tu invece non me lo ha mai deto!” Alzò la voce improvvisamente dando un pugno contro il  pianoforte, facendomi sussultare.
“Sì, invece!” Alzai il tono, a mia volta, indispettito.
“Tu mente.” Continuò puntando i suoi occhi accusatori ed arrabbiati su di me. Ma perché fa così…
“Ah, davvero? E che ci guadagnerei a mentirti, eh? Dimmelo, per favore, perché io evidentemente non capisco neanche questo.” Ero infastidito e, soprattutto, deluso. Come può pensare una cosa del genere.
“I don’t know, but io no me ricorda questa cosa.” Disse con tono più pacato incrociando le braccia al petto.
“Se tu non sei capace di ascoltare o non possiedi la memoria sufficiente per ricordarti certe cose, allora di certo la colpa non è la mia, ma non azzardarti più a darmi del bugiardo!” Urlai pieno di rabbia uscendo e sbattendo violentemente la porta.
Lo avevo continuato a sopportare, sul serio, ma che mi accusasse di mentire proprio non potevo reggerlo. Insinuare che volessi fregarlo era davvero troppo. Ormai le lacrime avevano fatto la loro lenta e dolorosa salita verso i miei occhi, che cercavano tuttavia di reprimerle, in un qualche modo.
“No, Marco, wait…” Sentii la sua voce improvvisamente raggiungermi e la sua mano afferrare la mia girandomi verso di lui.
“Lasciami, per favore.” Gli chiesi sul punto di piangere cercando di sfilarla dalla sua presa.
“No, please, listen to me.” Disse con tono supplichevole tenendomi stretto.
“No, ascoltami tu. Sono stanco di non essere abbastanza per te, Michael. Io ci ho provato, ci provo ogni santissimo fottuto giorno, ma niente. Non sono niente evidentemente e non puoi neanche lontanamente immaginare quanto questo faccia male.” Sputai fuori, quando ormai i miei occhi non riuscivano a vedere chiaramente niente, impedendomi di capire cosa stesse pensando o provando.
“No, Marco, io ti amo, sor…” Cercò di iniziare a parlare, ma erano sempre le solite scuse.
“Sorry di là, sorry di qua. Marco, ti amo. Non dici altro, Mika.” Chiusi gli occhi cercando di ripulirmi almeno un po’ la vista, e tutto quello che riuscii a vedere era lui che gesticolava, senza sapere cosa dire esattamente, dopo che mi ebbe lasciato la mano.
“Because it is the truth.” Disse, dopo un po’, con tono di certo più tranquillo di quello di pochi attimi prima.
“Scusa, ma adesso sono io a non avere voglia di parlare con te.” Sussurrai appena dirigendomi verso la cucina.
“Plea…” Sentii la sua mano afferrare il mio braccio, per fermarmi, ma sfuggii alla sua presa immediatamente, quando ormai anche la sua voce era spezzata.
“Per favore te lo chiedo io, Mika. Non voglio dirti cose che potrebbero ferirti o di cui io potrei pentirmi. Io almeno a queste cose ci penso.” Aggiunsi per, poi, andarmene e lasciarlo lì da solo in corridoio.
Detestavo discutere o litigare con lui, ma quella volta davvero non ero più riuscito a controllarmi. Per quanto io lo amassi, non capiva quanto alcune parole e determinati atteggiamenti potessero ferirmi. Sapevo che lui fosse troppo per me e che forse facevo troppo poco per lui, per riuscire a colmare le sue mancanze o comunque a tranquillizzarlo, ne ero consapevole. E però non capivo proprio perché, così, da un momento all’altro, tutto fosse cambiato nuovamente, e lui dovesse rovinare quel piccolo periodo di tempo che potevamo passare finalmente insieme, prima che io partissi. È vero, sarei tornato quasi subito per altri due mesi, per riprendere dopo un tour teatrale ad Aprile, però era chiedere tanto passare del tempo in santa pace, senza problemi, col proprio ragazzo? Beh, evidentemente sì. Forse era solo colpa mia, ma ciò non cambiava l’intensità del dolore che provavo.
Me ne andai in cucina sperando che, quella volta, non mi seguisse. Sentivo il bisogno di bere e, quando ne sentivo il bisogno, automaticamente dovevo fumare. Così, presi quello che mi serviva ed uscii fuori, per prendere una boccata d’aria, sedendomi sui primi scalini, consumando quella bottiglia ed accedendomi una sigaretta. Alla fine, di fatto, io non avevo mai smesso né di bere ed ancora meno di fumare. Avevo di certo ridotto il loro consumo, ma non l’avevo azzerato del tutto. Se non c’era Mika, per fortuna c’erano solo a consolarmi, quindi ne sentivo un dannatissimo bisogno. Inalare quel fumo e sentire l’alcol invadere il mio corpo, mi dava quella piccola sensazione di libertà che, di fatto, non avevo. Mi davano la possibilità di piangere senza sentirmi in colpa e di fregarmene se la gente, come in quel momento, mi fissava, chi preoccupato, chi scandalizzato. Se volevo ridere, lo facevo. Se volevo piangermi addosso, lo facevo. Se volevo dare un calcio alla bottiglia, lo facevo. Semplice.
Sentii la porta alle mie spalle aprirsi improvvisamente ed ovviamente non poteva che essere lui, per parlare e chiarire la situazione, ma non sapevo se sarei stato disposto a farlo quella volta. Almeno, non subito.
“Marco, entra?” Chiese rimanendo dietro di me.
“No, fra un po’, magari.” Cercai di rispondere con tono pacato giocando con la bottiglia di birra che avevo in mano.
“Please.” Sussurrò non volendo stare fuori a quell’ora probabilmente, senza però avere nessuna risposta da parte mia. “Oh, e va bena.” Lo vidi con la coda dell’occhio sedersi accanto a me sulle scale, mentre mi continuava ad osservare. “Tu no dovresta fumare” Mi rimproverò togliendo dalle mie labbra la sigaretta, che avevo acceso poco prima. “e neanche bere.”
“Senti, non cominciare a fare il paparino apprensivo. Mi da sui nervi.” Dissi francamente e riprendendogliela dalle mani.
“Marco, please, non me piace quando fai così.” Affermò con tono preoccupato, mentre cercava il mio sguardo, facendomi fare un piccolo sorriso amaro.
“Sapessi quante cose non piacciono a me.” Affermai, a mia volta, rimettendomi la sigaretta in bocca.
“Listen, I’m really sorry. Sa di no essere il massimo, okay? I’m a fucking disastre e sono antipatico quando diventa così, ma no ce poso fare niente. Io poso cercare di cambiare for you, Marco, but at the moment, io sono così.” Cambiare per me? Volsi il mio sguardo verso di lui fregandomene se avrebbe visto le lacrime, incontrando i suoi occhi tormentati. Io non volevo che cambiasse per me, lui era perfetto così com’era, ma mi faceva comunque male vederlo così e sentirmi impotente. “Okay?” Ritentò avvicinandosi leggermente a me.
“Io non ti chiederei mai di cambiare. Non voglio che tu lo faccia, Michael.” Dissi per, poi, portarmi la bottiglia alla bocca, ma vidi la sua mano fermarmi ed afferrarla. “Ehi, ma che fai.” Farfugliai contrariato.
“No beve quando tu è con me.” Replicò con tono e sguardo severo.
“Ti devo ricordare cosa è successo l’ultima volta che ti sei ubriacato tu?” Domandai con espressione vittoriosa sapendo che l’avevo colpito nel profondo. “E se non vuoi vedermi bere, vattene.” Aggiunsi senza pensare più di tanto.
Vidi il suo viso quasi rilassarsi per, poi, contrarsi diventando sofferente. Socchiuse gli occhi, che riuscii a vedere diventare rapidamente, sempre più, lucidi ed aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse, poco dopo, per alzarsi ed entrare in casa sbattendo la porta.
Ripresi la bottiglia e ripensai a quello che avevo appena visto. E lì, in quel momento, mi resi conto di aver fatto una cazzata immane. Come potevo avergli rinfacciato una cosa del genere, sapendo quanto ci avesse sofferto? Sei un dannatissimo stronzo. Ero passato dalla parte del torto. Alla fine, ce l’aveva fatta. Aveva vinto lui venendo da me e facendomi dire quelle cose, senza che io pensassi realmente alle conseguenze.
Spensi velocemente la sigaretta ed entrando in casa sentii una piccola melodia provenire dal suo studio, così mi diressi lì. In realtà, non era una piccola melodia, erano semplicemente le sue mani poggiate pesantemente sui tasti del pianoforte, mentre si dondolava leggermente nel tentativo di calmare inutilmente le lacrime tenendo gli occhi strettamente chiusi. Prese improvvisamente tutti i fogli bianchi che aveva, le penne ed i pennarelli e li gettò per terra, con un gesto deciso, facendo uscire da quelle sue labbra perfette un piccolo lamento. Il suo torace si muoveva velocemente avanti ed indietro, assecondando il suo respiro fin troppo accelerato dalla rabbia e dal dolore. Si poggiò al muro strisciando su esso, fino a finire per terra, portandosi al petto le ginocchia, affondandoci il viso, contratto ancora in quella espressione, che avrei tanto voluto non aver mai visto.
“Stupid, stupid, stupid.” Lo sentii lamentarsi sussurrando, mentre si dava dei colpetti sulla testa e, in quel momento, capii che non potevo davvero più sopportare di vederlo così.
“Michael.” Richiamai la sua attenzione spalancando la porta completamente e sedendomi accanto a lui, facendolo smettere. “Per favore, basta.” Lo pregai guardandolo in quei suoi occhi coperti da un evidente velo di delusione e malinconia. “Mi dispiace. Scusami, non avrei dovuto. Capisci perché ti avevo detto di lasciarmi solo adesso? Non volevo ferirti.” Gli spiegai velocemente.
“Io ha fato stesa cosa. But, you know, io no credeva che tu aveva dimenticato, ma sperava almeno che mi aveva perdonato.”
“Ma io l’ho fatto. L’ho fatto il giorno stesso. Amore, guardami.” Sentendomi chiamarlo in quel modo alzò la testa di scatto. “Per favore, perdonami.” Mi guardò ancora una volta col viso rigato dalle lacrime per, poi, nasconderlo nel mio collo.
“Sorry.” Farfugliò stringendomi.
“Ssh.” Cercai di tranquillizzarlo avvolgendolo, a mia volta, fra le mie braccia ed accarezzandogli delicatamente i capelli.
“Sorry per questi days, per prima e per tuto il resto.” Disse con voce ovattata e spezzata dal pianto, mentre io cercavo di cullarlo, ma, ancora una volta, le sue lacrime si scagliavano come lame affilate contro la mia pelle, e facevano ancora più male sapendo che ero stato io stesso a provocarle.
Dovevo smetterla davvero di bere. Anche se non mi ero ubriacato, farlo potrebbe essere per sempre stata un’arma a doppio taglio. Per quanto potesse farmi liberare, poteva farmi dire cose che lo potevano ferire seriamente. Era vero, lui aveva sbagliato a comportarsi in quel modo, ma io non ero stato da meno. Nel mentre, però, nella mia testa giravano troppe domande. Se non fossi davvero stato quello giusto per lui? Se l’avessi fatto continuare a soffrire al mio fianco? E se fosse stato meglio senza di me? Eppure, io una vita senza di lui non riuscivo più ad immaginarmela e risultava alquanto ridicola ai miei occhi. Anche perché ciò che c’era stato prima di lui non potevo di certo definirla vita.
In tutto ciò, non sapevo che ore fossero, ma sapevo per certo che fosse decisamente tardi, infatti non molto tempo dopo, Mika si era addormentato fra le mie braccia, ed io ne approfittai per asciugargli velocemente il viso. Non molto tempo più tardi sarei partito, e non avevo speso le ultime ore di quella giornata con lui come speravo. Ed in più, mi chiedevo se le cose sarebbero rimaste le stesse, se non avesse avuto rancore nei miei confronti per ciò che gli avevo rinfacciato, e soprattutto se mi avrebbe amato allo stesso modo. La situazione, di suo, era già molto complicata da parte sua, ora questa cosa l’avrebbe resa ancora più difficile. 


#MyWor(l)d


Saaalve! 

Oh, che tristezza 'sta schifezza. E' vero che ciò che si scrive alcune volte rispecchia lo stato d'animo D: Beh, spero comunque che voi stiate bene e che le vostre vacanze procedano alla grande <3 
Un grazie, come al solito, soprattutto a chi recensisce, poi a chi ha messo la storia fra le seguite e le preferite e chi, semplicemente, la legge! ^-^
Un bacione,
Michaels
 

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Capitolo 33
*** 2012 pt.3 ***


Roma, Giovedì 2 Febbraio 2012
 
 
Il tre Febbraio avrei cominciato la seconda parte del Solo Tour ad Udine, fino al tredici. Non era tanto, se ci si andava a pensare bene, ma le giornate senza Michael diventavano sempre più lunghe ed interminabili. Quando ci eravamo salutati, il giorno dopo quella discussione, nonostante ci sforzassimo di sorridere e di far finta di niente, entrambi avevamo del rancore, uno nei confronti dell’altro. Io per avermi trattato in quel modo quantomeno ingiusto. Lui per avergli rinfacciato quello che aveva fatto, qualche tempo prima. Mi resi conto che le cose davvero non andavano, quando mi alzai tentando di unire le mie labbra alle sue, credendo di incontrarlo a metà strada, ma così non fu, come non fu immediata la sua risposta al bacio, anzi, non c’era neanche stata. Il fatto che si fosse addormentato fra le mie braccia, non credevo che fosse un segno di perdono, ma almeno di ripresa, ed invece. I suoi occhi sfuggivano in continuazione ai miei, ed alla fine decisi di andarmene, senza prolungare più quel momento così doloroso per entrambi.
Non sentivo la sua voce da quasi dieci giorni e mi sembrava di impazzire. Non volevo però neanche sentire le sue canzoni, avrebbe solo peggiorato la situazione. Non lo sentivo dirmi ‘ti amo’ o chiamarmi ‘amore’ da troppo tempo e faceva male, anche solo ripensare a quando e come lo faceva.
Cominciai a girare e rigirare quell’ennesimo pacchetto di sigarette, ancora chiuso, fra le mani, indeciso sul da farmi. Non sapevo se aprilo o meno. Farlo sarebbe significata la fine, per me. Sarebbe significato piangere, ancora una volta, e non volevo farlo. Il giorno prima l’avevo passato a versare lacrime amare, come quello prima ancora, del resto. Quei due giorni dei tre piccoli di pausa, li avevo passati in quel modo.
Sbuffai rassegnato prendendo il cellulare e composi il suo numero a memoria in pochi secondi, attendendone forse troppi, poco dopo. Non mi risponde neanche. Preso dall’ansia, portai la mano alla bocca cominciando a mordicchiare nervosamente le unghie e agitando forse troppo velocemente la gamba. Andiamo, cazzo, rispondi.
“Hello?” Appena rispose, mi sistemai meglio sul divano mettendomi al bordo, cercando di mantenere la calma.
Sentire la sua meravigliosa voce mi provocò una tachicardia immediata, ma rimasi deluso da come mi aveva risposto, come se non avesse riconosciuto il mio numero.
“M-Michael, sono io.” Balbettai incerto.
“Oh, Marco, how are you?” Mi stavo sentendo preso in giro, per l’ennesima volta.
“B-bene,” Mentii. “tu invece?” Domandai, a mia volta.
“I’m fine.” Rispose semplicemente, come se mi stesse facendo un favore.  “Ha iniziato tour?” Ah, allora non si era dimenticato del tutto l’italiano.
“Domani, ma…”
“Fino a quando?” Mi interruppe improvvisamente, ma, in cuor mio, forse ingenuamente, speravo tanto che quella domanda fosse un sottinteso ‘quando potrò rivederti?’.
“Il 13, poi mi fermo fino ad Aprile.”
“Ancora?” Chiese con tono sorpreso.
“Sì, poi finisco a Maggio.” Spiegai velocemente.
Quella sarebbe stata un’altra cosa che avrebbe saputo, se mi avesse ascoltato, in quelle due fottutissime settimane, almeno una dannatissima volta.
“Oh, okay.” Mugugnò semplicemente dall’altra parte del telefono. “I gotta go, sorry. Ce sentiamo soon.” Disse velocemente.
“Ah, va bene, ma Mika...” Tentai di fermarlo prima che potesse attaccare, ma fu inutile.
Sentii quei fastidiosi squilli invadere la mia testa. Volevo dirgli che lo amavo e non me ne aveva dato la possibilità, e cominciai a pensare che potesse essere per non dire che mi amava anche lui o dirlo in modo fin troppo freddo, per non ferirmi. Beh, l’hai fatto comunque.
Alla fine, ero stato io a cedere chiamandolo, mettendomi probabilmente in ridicolo, e mi sentivo così maledettamente stupido. Presi velocemente quel pacco di sigarette e lo aprii infilandomene una fra le labbra, inspirando ancora prima che si fosse accesa. Quando sentii il fumo invadere il mio corpo, automaticamente mi sentii rilassato, più leggero. Ma, poco dopo, quella sensazione si tramutò in un peso troppo grande al petto, che spinse nuovamente le lacrime lungo il mio corpo, fino a farle arrivare pesantemente agli occhi. Non ce la posso fare.
 
Dopo non so quanto tempo a piangermi, in modo estremamente ridicolo, addosso sul divano ed aver finito le lacrime ormai, mentre fissavo il vuoto più totale, sentii il campanello suonare più volte. Non avevo voglia di alzarmi da lì, né di vedere e parlare con qualcuno. Tuttavia, quando capii che si trattava di Cristie, che come al solito con la sua delicatezza si faceva sentire, mi sforzai di alzarmi ed andarle ad aprire.
“Marcolino!” Esclamò buttandosi tra le mie braccia.
“Ehi, Cris.” Tentai di ricambiare il suo abbraccio nel modo più gentile possibile.
“Ti ho inviato un messaggio, per avvisarti che sarei passata a salutare il mio cantante preferito, prima che partisse.” Disse accarezzandomi dolcemente la schiena. Quando, però, si staccò da me, la sua espressione sorridente cambiò totalmente, tramutandosi in una preoccupata e seria. “Marco.” Mi richiamò posando una mano sulla mia guancia umida e richiudendosi, con l’altra, la porta alle sue spalle.
 
“Mika ubriaco ed aggressivo non ce lo vedo proprio.” Affermò pensierosa, dopo che le ebbi spiegato la situazione e tutto ciò che era successo.
“Non ce lo vedevo neanche io, ma questa situazione sta sfuggendo di mano ad entrambi.” Dissi preoccupato continuando a puntare gli occhi davanti a me, senza in realtà riuscire a vedere qualcosa, avendo la mente offuscata da troppe cose.
“Immagino. Cosa può essere successo? Perché non dovrebbe riuscire a scrivere?” Mi domandò mentre mi guardava, anche lei preoccupata.
“Questo suo blocco lo sta mandando al manicomio. Non riesce ad esprimere ciò che vuole, e per lui è insopportabile ed impossibile da accettare.”
“Ci tiene al suo lavoro, non lo biasimo per questo, ma mi sembra strano. Sicuro non ci sia nient’altro sotto?” Mi chiese sistemandosi meglio sul divano.
“Sta perdendo piano piano fiducia in sé stesso, e credo la stia perdendo anche in me. Non mi dice niente.” Sospirai consolato passandomi una mano fra i capelli. “Le ultime due settimane a Londra sono state un inferno, Cris.” Mi decisi a guardarla negli occhi. “Vederlo soffrire in quel modo, è qualcosa che non riesco a sopportare. L’ultimo giorno è stato il peggiore di tutti, sono esploso completamente. Sono andato dalla parte del torto rinfacciandogli quella storia e non credo mi veda più come mi vedeva prima.” Spiegai affranto portandomi le mani al viso.
“Ma no, che dici.” Cercò di avvicinarsi a me e levarmele lentamente.
“No, sono serio. Il modo in cui mi ha guardato quando gliel’ho detto, le lacrime, quando ci siamo salutati… non eravamo più noi. Insomma, fino a qualche settimana prima eravamo al settimo cielo, ed improvvisamente tutto è sparito. La verità è che non riuscivo a sopportare l’idea di non essere abbastanza per lui.” Dissi ricacciando giù il groppone che mi stava salendo in gola.
“Marco, ma sei completamente impazzito?” Domandò con espressione quasi scandalizzata.
“No, se lo fossi non soffrirebbe in questo modo. Insomma, io lo amo e solo il fatto di sapere che lui mi amava, mi faceva stare bene.”
“Amava? Faceva? Marco, senti, io non lo vedo da un po’, ma adesso parlare al passato mi sembra esagerato. Basta vedere come ti guarda e come parla con te e di te. Te lo avrei fatto vedere seriamente quando eri partito. I suoi occhi brillavano esattamente come i tuoi.” Mi disse sorridendo appena, cercando di incoraggiarmi.
“Mh…” Farfugliai incerto.
“Io so perfettamente quanto sia stato difficile per te accettare, in così poco tempo, di amarlo e ricominciare una relazione­, anche se non lo dai a vedere, ma noi due sappiamo il perché. Mika è una persona speciale, e non dovrò di certo dirtela io questa cosa. Ti sei innamorato di lui prima ancora di conoscerlo effettivamente.” Vero. “Io non voglio vederti di nuovo soffrire e neanche che mi tieni fuori dalle tue sofferenze, un’altra volta. Credo che tu e lui siate una delle coppie più improponibili di questo mondo,” La guardai stranito e sorpreso da quelle parole. Improponibili? “sì, siete incredibilmente simili, e solitamente della monotonia ci si stufa, ma voi no, non lo fate, non potete farlo, perché nonostante lo siate, vi completate. Ed anche se siete due uomini fragili, siete sempre lì, uno accanto all’altro, no? Nonostante tutto ciò che è successo, non vi siete lasciati, anzi, avete reso il vostro rapporto ancora più forte. E sì, questo momento talmente delicato forse vi sta un po’ allontanando, sta rendendo le cose più difficili, ma in tutte le coppie ci sono questi generi di problemi.” Abbassai nuovamente la testa imbarazzato, perché alla fine nessuno poteva avere più ragione di lei. “Tu hai comprato una casa, Marco. Questo vuol dire che nel futuro ti vedi insieme a lui, magari con dei piccoli scalmanati e fuori di testa, proprio come voi due, no?” Rialzai la testa di scatto sentendola parlare in quel modo.
Sapeva del mio desiderio di diventare padre giovane, ma, di fatto, non ne avevo ancora intenzione di parlarne con Michael. Anche se quella casa, per me, risultava piccolo un inizio.
“I-io…” Tentai di iniziare a parlare, forse un po’ intimorito da ciò che quelle parole potevano significare.
“Non devi sentirti in imbarazzo, è normale, io lo so.” Disse cercando di tranquillizzarmi. “E so anche che il vostro lavoro e la vostra fama rendono le cose ancora più difficili. Quando potrete e sarete pronti, sarete liberi di vivervi questa storia come Dio comanda. Non c’è niente di male nell’amarsi, e capisco che per voi sia ancora più difficile, ma sappi che io sarò sempre al tuo fianco.” Mi disse stringendomi ancora più forte la mano.
“Cris.” Sussurrai per non far sentire la mia voce, che probabilmente sarebbe uscita spezzata, abbracciandola. “Grazie.” Posai dolcemente le mie labbra sulla sua guancia, vedendola arrossire leggermente.
Avrei fatto tesoro di tutto quello che mi aveva detto. Era troppo importante per me, ma quella grande sensazione d’angoscia, che mi invadeva ripensando a ciò che gli avevo detto, non ne voleva sapere di lasciarmi in pace. Ripensare anche alla conversazione, fin troppo fredda che avevo avuto con lui, pochi attimi prima, mi diede un lieve dolore al petto improvviso. In un paio di settimane sarebbero potute accadere molte cose, e mi sforzavo di convincermi che nessuna di esse sarebbe stata negativa.
 
 
Verona, Sabato 11 Febbraio 2012
 
 
Era da poco finito il penultimo concerto e non vedevo l’ora di tornarmene in albergo per farmi una doccia e cercare di dormire, almeno un po’. Mika non l’avevo più sentito. Lui non si era disturbato di chiamarmi, ed io neanche. Avevo tentato la via della riappacificazione, senza avere molto successo, e sinceramente ero stufo di rincorrerlo. Sì, mi sono stufato. Potevo capire che fosse arrabbiato, ed io non potevo esserlo? Certo, che posso. Se non mi voleva più né sentire né vedere, poteva benissimo dirlo. Me ne sarei fatto una ragione. Tuttavia, il sol pensiero mi gettava una tale ansia addosso insostenibile, ma non potevo farci niente. Da parte mia, non potevo fare altro e sapeva che se avesse deciso mai di tornare indietro, io sarei stato lì, pronto a ricominciare insieme a lui. Se no lo sa, è un idiota. Ma lui, d’altro canto, non dava segno di voler cedere e di voler porre fine a questa situazione, era più che chiara come cosa.
“Ci vediamo domani mattina. Sono nella stanza accanto, buonanotte.” Marta mi salutò, come di consueto, davanti alla porta della mia stanza, a ricordarmi che qualunque cosa avessi fatto, sarebbe stata lì, e la cosa non faceva che aggiungere ansia all’ansia.
“Buonanotte.” Dissi semplicemente a testa bassa sospirando, cercando di entrare dove finalmente avrei avuto un po’ di pace, ma fui fermato ancora dal suono della sua voce.
“Marco,” Catturò la mia attenzione ed alzai lo sguardo appena, per vederla meglio, a chiederle di proseguire a dire ciò che voleva dirmi. “sei stato grande.” Mi sorrise dolcemente, sorriso al quale risposi, per ringraziarla, e per mia immensa gioia, poi, entrai in camera.
Apprezzavo il fatto che stesse diventando sempre più affidabile e sempre più un’amica. Non mi chiedeva più di Michael, anche se sapeva che qualcosa non andava, specialmente dopo che le avevo detto che non me la sentivo di parlarne.
Quando ormai l’adrenalina se ne stava andando e mi stavo cambiando, per andare a letto, mi resi conto che l’orologio che Mika mi aveva regalato non l’avevo mai tolto. Era sempre stato lì, sul mio polso, come a darmi la forza di continuare e che, forse, era ancora un appiglio che tutto non fosse finito così amaramente. Lo tolsi per un attimo, per rivedere l’incisione. 25 Dicembre 2011. Come poteva essere cambiato tutto così velocemente, in meno di due mesi? Era ridicolo, completamente ridicolo. Pulii con un dito quelle goccioline che si trovavano sul suo piccolo display, per vedere che ore fossero, oppure semplicemente per immaginare di star accarezzando la sua pelle liscia, ma di certo l’effetto non era quello. Le tre e trentasei. Sospirai scoraggiato. Nonostante l’inevitabile stanchezza e la mia voglia improvvisa di dormire, i suoi occhi ed il suo sorriso non ne volevano sapere di lasciarmi in pace.
Fui distolto da quei pensieri, anzi da quell’unico amaro e dolce pensiero, quando sentii qualcuno dare dei colpetti alla mia porta. Fan? Mi alzai di malavoglia dal letto, cercando di rendermi presentabile, nonostante il pigiama. Quando mi decisi ad aprire, la visione che mi si presentò davanti mi mozzò completamente il fiato. Spalancai gli occhi e la bocca cercando di far proferire qualche parola da essa, ma fu assolutamente inutile. È tardi, ciccio. Stai sognando. Sì, stai decisamente sognando. Aveva un cappello ed una sciarpa, che gli copriva il volto, ma quei bellissimi occhi avrei potuto riconoscerli tra milioni e milioni di persone.
“M-Mika?” Tentai sussurrando, sperando che davvero non si trattasse di un sogno e che quello che mi ritrovavo davanti non fosse un maniaco omicida con gli occhi più belli del mondo intero.
“Marco.” Quando sentii la sua voce angelica, capii che forse non stavo del tutto sognando ed il mio cuore cominciò a battere come non faceva da troppo tempo.
“Mika, ma che ci fai qui?” Sussurrai di nuovo cercando di non farmi sentire e tirandolo dentro la stanza, spaventato dal fatto che qualcuno potesse vederlo.
Toccare nuovamente la sua mano, così morbida e così delicata, mi provocò una scarica lungo tutto il corpo, facendomi tremare appena. Non sapevo che fare. Avevo un bisogno irrefrenabile di abbracciarlo e baciarlo, ma da una parte non sapevo come avrebbe reagito, e non volevo sentirmi ferito come l’ultima volta.
“Are you okay?” Mi domandò preoccupato.
“S-sì, ma che ci fai qui?” Rinnovai la domanda precedente ancora paralizzato. “Avrebbero potuto vederti, scoprirti e poi è tardi.” Dissi velocemente gesticolando nervosamente.
“Ho visto che stava qui in Verona su internet a-and I… tu no è happy de vederme?” Mi chiese con espressione perplessa. Certo che lo sono, ma non so come comportarmi.
“I-io veramen…” Non riuscii a finire la frase che ritrovai finalmente le sue labbra sulle mie, che finalmente riuscirono a godere di ciò che tanto avevano desiderato.
Le mie gambe cominciarono a tremare piano piano e non riuscii a reggere la forza e la disperazione con cui si muovevano su di me, facendomi indietreggiare, ma sentii le braccia di Mika avvolgermi e tirarmi a sé, approfondendo quel contatto, sorreggendomi. Ci staccammo per un attimo ed abbassai la testa, a sfiorare appena il suo torace. Vidi anche le sue mani tremare e non potei fare a meno di prenderle e cercare di porre fine a quel movimento tanto timoroso.
“Io no vuole litigare with you anymore.” Cominciò a parlare affannato. “Sono stato un monstro e no te lo meritava. Marco,” Continuò dolcemente rialzandomi delicatamente il viso con un dito. “no è vero che tu no è abastanza para mi. Tu è tuto ciò di cui io ha bisogno para ser happy, okay? I need you, I really do.” Lo guardai fisso in quei occhi che tanto avevo sognato la notte. Era sincero. Lo pensava per davvero. Non erano più neanche pieni di delusione e di rabbia. Era tornato ad essere il mio Michael. Sentii inevitabilmente quel nodo alla gola che tirava, quasi dolorosamente, e le lacrime offuscarmi la vista. Un piccolo tremolio al labbro inferiore fu ciò che riuscì a scatenare la loro fuoriuscita, abbattendo ogni mio tentativo di difesa. “No piangere, please, no piangere.” Sussurrò sulle mie labbra posando le sue mani sulle mie guance, asciugandole e riprendendo ciò che aveva interrotto.
Intrecciai le mie mani al suo collo, portandole verso i suoi riccioli, ricresciuti ancora di più, affondandocele dentro. Lo strinsi ancora fra le mie braccia cercando di convincermi che non fosse tutto un sogno. Alla fine, il sapore della sua bocca era quella, il suo profumo di talco era quello. Non può essere solo un sogno.
“Scusami per quello che ho detto.” Ansimai riappropriandomi, poi, delle sue labbra.
“It’s okay. No è suceso niente. Solo io me deve scusare.” Spiegò staccandosi velocemente.
“Non è vero.” Gli accarezzai delicatamente la guancia. “Non ti devi scusare, va bene? È come hai detto tu: non è successo niente.” Lo tirai dolcemente a me, dopo aver avvolto i capelli in un delicato pugno, facendogli poggiare la fronte contro la mia.
“Io ti amo.” Sentirglielo dire ancora una volta, non poteva che darmi una sensazione di pace interiore.
“Anch’io ti amo.” Gli sorrisi per, poi, stringerlo nuovamente fra le mie braccia poggiando la testa sulla sua spalla. “E mi dispiace tanto. Io non avrei dovu…”
“Ssh, it’s okay.” Sussurrò posando, poi, delicatamente le labbra sul mio collo.
Non volevo altro, in quel momento. Avevo solo bisogno di lui e della sua voce. Dopo così tanto tempo senza e solo con tanto rancore che ci eravamo portati dietro, volevo solo godermi appieno quel momento. Era venuto a Verona, alle quattro del mattino, nel mio albergo rischiando fan e quant’altro, dopo quello che era successo. Avevo davvero paura che non mi volesse più né vedere né sentire, una tremenda paura. Ma aveva ragione Cris. Il nostro rapporto ad ogni difficoltà si continuava a rafforzare sempre di più.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Beh, non so, questo capitolo è venuto un po' così. Non avevo molte idee per la testa, stranamente, ed alla fine è uscita questa cosa qua, che spero non vi abbia annoiato più di tanto.TwT
Mi scuso già da adesso se non rispondo subito alle vostre recensioni ed ai messaggi che mi avete inviato, dato che ho visto di averne un po', ma devo scappare. Prometto che risponderò al massimo domani mattina! <3 Vi ringrazio, come al solito, e vi adoro <3
Un bacione,
Michaels
 

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Capitolo 34
*** 2012 pt.4 ***


 
La Spezia, Martedì 14 Febbraio 2012
 
 
Anche la seconda parte del tour era terminata ed io non vedevo l’ora di passare i due mesi successivi insieme a Mika. Non dico che le cose siano tornate esattamente come prima, ma quasi insomma. Continuava a esserci sempre un po’ di titubanza da parte di entrambi, soprattutto quando si parlava di contatto fisico, ma potevo capirlo che ci fosse. Inizialmente, forse, mi aveva disorientato, visto il modo in cui si era presentato in albergo ed i baci e le carezze che ci eravamo riservati, ma capivo bene che l’imbarazzo c’era eccome, sia da parte mia, che da parte sua. Ma non me la volevo prendere con lui. Basta discussioni.
Ed era lì nel mio letto, al mio fianco, ancora un’altra volta, dopo aver rischiato di nuovo di essere visto da fin troppe persone. Nonostante la sua smisurata altezza, la camminata abbastanza goffa, ma pur sempre perfetta, nessuno gli aveva fatto caso, ma andava benissimo così. E poi, mi piaceva l’idea di averlo accanto a me il prima possibile. D’altro canto, saremmo tornati a Roma poche ore più tardi, io in macchina con Marta e lui, si presupponeva, in aereo. Oppure, potrei spiegarle la situazione e chiederle di tornare tutti insieme… oh, quantomeno mi uccide. Come idea non era malaccio, ma mi avrebbe rincorso sicuramente per tutto l’albergo con un’arma in mano venendo a conoscenza del rischio che avevamo corso. Ma ho comunque detto al responsabile di non mandare nessuno in camera, senza il mio consenso. Ah, genio.
Gli scostai delicatamente uno dei suoi ciuffi arruffati dal viso, per vedere meglio i suoi occhietti chiusi, che non vedevo l’ora incontrassero magicamente i miei. Nonostante avessimo fatto tardi quella notte e fossi abbastanza distrutto, da tutto ciò che il tour e quella situazione avevano comportato, avevo bisogno di rivederlo dormire con quella sua espressione innocente, che tanto amavo. La sua mano stringeva appena la mia, mentre il suo braccio avvolgeva dolcemente la mia vita e la sua guancia ed il suo orecchio si posavano sul mio petto, nel quale si poteva probabilmente sentire il mio battito sereno e rilassato, che da tanto mancava.
Quando sentii, però, gli occhi farsi sempre più pesanti, pronti a farmi accompagnare Michael, mi decisi ad alzarmi appena e posare le mie labbra sulla sua fronte, fino a scendere verso il suo collo. Non volevo dormire. Volevo solo vederlo e convincermi che l’uomo che avevo al mio fianco non fosse frutto della mia crudele immaginazione, ed avevo paura che se ne potesse andare di nuovo, da un momento all'altro. Mugugnò qualcosa di incomprensibile contraendo il suo viso in un’espressione quasi contrariata, che si tramutò, poco dopo, in un lieve sorriso.
“Amore.” Farfugliò a bassa voce rimanendo con gli occhi chiusi e tirandomi delicatamente a sé.
“Scusami, non volevo svegliarti.” Sussurrai dispiaciuto lasciandogli un altro bacio fra quei riccioli perfetti.
“Are you sure?” Chiese divertito accoccolandosi, ancora di più, su di me e posando le sue labbra sul mio torace, sopra il tessuto maglietta del pigiama.
“Sì… no… forse…” Risposi vago accarezzandogli dolcemente il braccio, cominciando a farci dei piccoli cerchi con un dito, sentendolo, poi, ridere lievemente. “Torna a dormire.” Aggiunsi guardando il soffitto.
“Tu è così stanco.” Abbassai nuovamente lo sguardo verso di lui, che mi osservava con quei suoi meravigliosi occhi, preoccupato. Ma perché vederli così, di prima mattina, mi fa sempre lo stesso effetto, dopo anni? “Tu dovresta dormire.” Mi accarezzò la guancia sorridendomi. "Viena." Si sistemò meglio sul letto, mettendosi di lato, invitandomi a farmi avvolgere dalle sue braccia. Invito che non mi feci ripetere due volte, accoccolandomi contro di lui, che mi incominciò a lasciare dei leggeri baci dietro la testa, facendomi rilassare. “Dorme.” Mi sussurrò dolcemente all’orecchio facendomi venire i brividi, sentendolo, poi, sorridere appena, probabilmente soddisfatto dell’effetto che ancora riusciva a provocarmi. “Ti amo.” Aggiunse posando le sue labbra sul mio collo, gesto che mi fece chiudere automaticamente gli occhi.
Non era vero che, quando faceva il ‘paparino apprensivo’, come l’avevo definito, mi dava fastidio, almeno non più. Alla fine, devo ammetterlo, come cosa mi piaceva. Mi piaceva il suo essere premuroso e che si occupasse, in un certo senso, di me, cosa che forse solo Cristie aveva fatto prima di lui. Mi piaceva sentirmi così tranquillo tra le sue braccia, proprio come un bambino fra quelle del padre. Tuttavia, anche io volevo che, più o meno, si sentisse così con me, e speravo vivamente di essere riuscito a farlo qualche volta.
“Anch’io ti amo.” Dissi, a mia volta, stringendo la sua mano, poggiata contro il mio ventre, cominciando a giocherellare con le sue dita.
Quel piccolo paradiso mattutino, però fu destinato a finire, non molto tempo dopo, dalla voce di Marta che, non riuscii mai a capire bene il perché, era entrata senza preavviso, nonostante io le avessi detto e ridetto che sarei stato io a chiamarla quando mi sarei svegliato e che, quindi, sarebbe potuta venire. Questo significava: puoi entrare pure, perché Mika sta in bagno e, come al solito, ci mette cinque fottutissime ore e non potrai scoprirlo. Anche se quella volta a Verona, mi continuava a guardare storto e stranita, dallo scorrere dell’acqua e tutto il resto dei rumori, che ovviamente Michael non si preoccupava di non fare, che provenivano da dietro quella porta. Ed io, ovviamente gettato nel panico più totale, vista la poca preoccupazione del mio ragazzo, esordii dicendo che lo sciacquone, di un hotel a quattro stelle, si era rotto. Cosa a cui non so se abbia creduto o meno.
“Marco, su svegliati, dobbiamo muoverci. Devi fare un’intervista.” Intervista? Oh Dio, no. La sentii lontana mentre percorreva quel piccolo corridoio, facendomi alzare di scatto dal letto insieme a Michael, che mi guardava con espressione terrorizzata.
“Mika, svelto. Mettiti qui.” Lo presi per mano e lo spinsi dentro l’armadio a muro, visto che non avrebbe fatto probabilmente in tempo ad arrivare al bagno, senza essere visto da lei.
“But, i-io…” Cercò di iniziare a protestare per qualcosa, ma non gli diedi il tempo di finire, perché, cazzo, non avevamo tempo.
“C-ciao, Marta.” Dissi chiudendo violentemente la porta e poggiandomi su essa pesantemente, incrociando le braccia al petto, cercando di avere un atteggiamento quantomeno lontanamente normale. Impossibile. “C-che ci fai qui?” Balbettai facendo finta di non aver sentito ciò che mi aveva detto poco prima.
“Dobbiamo andare a fare un’intervista, te l’ho detto, quindi muoviti. Questo pomeriggio ci mettiamo in viaggio per Roma.” Mi spiegò osservando attentamente la camera. Ti prego, ti prego, ti prego.
“Oh, okay.” Dissi semplicemente grattandomi nervosamente la nuca, sperando che se ne andasse, ma sentii un rumore ed un piccolo lamento provenire da dietro di me, che catturò la sua attenzione.
“Chi c’è lì?” Mi domandò alzando un sopracciglio, insospettita, indicando l’armadio alle mie spalle.
“Dove lì? Oh, no, nessuno.” Mi avvicinai a lei cercando di accompagnarla alla porta e fare finta di niente.
“Marco.” Si bloccò un’altra volta cercando il mio sguardo con i suoi occhi, fin troppo inquisitori.
“Che c’è? Andiamo a fare colazione? Ho tanta fame.” Tentai di riprendermi ricominciando a camminare.
“Ma verame…” Cominciò a parlare ancora, ma mi fermai sentendo la stessa identica sequenza di rumori udita non molto tempo prima. Merda. “Un altro sciacquone rotto, Marco?” Disse ironica.
“I-io…” Chiusi gli occhi sospirando rassegnato, vedendola poi raggiungere l’armadio, scoprendo un Mika chinato e dolorante che si massaggiava la testa ed il gomito, quasi furiosamente.
“Sorry.” Farfugliò con espressione sofferente, ma con voce talmente innocente. “È che era buio a-and io forse tropo alto per questa thing.” Continuò indicando il ripiano, a cui non avevo fatto caso, sopra di lui.
Non potei che guardarlo intenerito avvicinandomi ed aiutandolo ad uscire, accarezzandogli dolcemente le parti che gli facevano male.
“Stai bene?” Gli chiesi vedendolo, poi, annuire appena stringendo un occhio, probabilmente infastidito, mentre continuavo a massaggiargli la testa. “Credo ti verrà un bernoccolone.” Aggiunsi divertito cercando di sdrammatizzare la situazione.
“What is a bernoc…” Tentò di iniziare a parlare inutilmente, poco dopo.
“Chi comincia a parlare?” Si intromise interrompendolo Marta, della quale mi ero quasi completamente dimenticato, attirando la nostra attenzione.
Io e Michael ci guardammo negli occhi, entrambi preoccupati, sotto lo sguardo della mia manager, che vagava fra il furioso e la ricerca di spiegazioni. Merda.
 
“Marco, poteva entrare chiunque!” Mi urlò contro mentre Mika continuava ad osservarla in silenzio terrorizzato, seduto sul letto, muovendo nervosamente la gamba avanti ed indietro.
Lo osservai guardare me per, poi, guardare lei, più e più volte confuso ed imbarazzato, mentre continuava a massaggiarsi la testa.
“M-ma sì, lo so. Ecco perché ho chiesto di non far entrare nessuno del personale in camera mia, senza il mio permesso.” Le spiegai velocemente vedendola, poco dopo, sospirare e sorridere appena.
“Sei stato comunque imprudente.” Disse con tono più pacato guardandomi, per la prima volta, con sguardo comprensivo e sorridendo ancora, scuotendo la testa da una parte all’altra. “Suppongo che Mika venga con noi fino a Roma.” Aggiunse, infine, ed io non potei fare a meno di guardare prima di tutto lui, che si alzò di scatto dal letto mostrando i suoi adorabili dentoni, per, poi, ritornare a guardare Marta.
“Grazie.” Le dissi semplicemente abbracciandola, sentendola, un’altra volta, sospirare rassegnata e divertita.
Vidi Michael avvicinarsi a noi, dopo che ci fummo allontanati, e, dopo un pizzico di esitazione, si chinò avvolgendola anche lui fra le sue braccia.
“Scusami.” Sussurrò Marta al suo orecchio, in un suono appena percettibile.
Finalmente riuscii a sentirmi tranquillo di vivere quella relazione anche davanti a lei ed ebbi l’ennesima conferma che il cuore di Mika non aveva limiti di grandezza, anzi.
 
 
Roma, Mercoledì 15 Febbraio
 
 
“Merda, ma è appena stato San Valentino!” Esclamai entrando in casa, resomi conto di che giorno se ne fosse andato effettivamente, poche ore prima. Me ne ero completamente dimenticato e non avevo comprato niente a Mika, nessuno regalo, e cominciai a sentire i sensi di colpa ricominciare a tartassarmi, come se non fosse bastato il mal di testa generale. “Cazzo, amore, scusami.” Farfugliai sedendomi sul divano e portandomi le mani sul viso, imbarazzato e distrutto, non solo dagli ultimi giorni, ma soprattutto per ciò che ero riuscito a farmi sfuggire.
“Ehi, don’t worry. It’s okay.” Cercò di tranquillizzarmi incominciando ad accarezzarmi amorevolmente la schiena. “Tu è tropo stanco, Marco. No è suceso niente.”  Proseguì mentre io continuavo a darmi dei piccoli schiaffetti, disperato. “Amore, stop it.” Disse con voce che vagava tra il divertito ed il preoccupato, mentre tentava di fermarmi.
“M-ma io…” Balbettai cercando le parole giuste per scusarmi e di rimediare, in qualche modo, che probabilmente non sarei neanche riuscito a trovare.
“Ssh.” Mi azzittì facendomi appoggiare la testa contro il suo petto. “Now we andiamo a letto, okay? Tu ti è anche addormentato in the car.” Si alzò dal divano portandomi con sé fino in camera, continuando a sussurrarmi parole comprensive, nel tentativo di calmarmi. “Ha fame?” Mi domandò posando la mano sulla maniglia della porta, senza aprirla.
“Mh, un po’, ma sono troppo stanco per andare in cucina e prepararmi qualcosa.” Dissi con voce ovattata mantenendomi aggrappato a lui.
“Good.” Eh? Mi lasciò un piccolo bacio sulla testa aprendo finalmente la porta.
Quando mi staccai, spalancai i miei occhi stanchi, osservando ciò che c’era davanti a me e riportandoli, non molto tempo dopo, su di lui, più e più volte.
La stanza era avvolta da una luce soffusa, creata dalle numerose candele accese sparse in giro, che emettevano un piacevole profumo. Accanto al letto c’era un piccolo tavolo, sul quale si trovavano alcuni vassoi, affiancati da una bottiglia di champagne e da due bicchieri. Lo guardai ancora una volta cercando di capire cosa avesse in mente e nei suoi occhi, però, riuscii solo a vedere amore, il suo magico e splendido amore.
“D-Dio, Mika, io…” Mi bloccò riprendendomi per mano ed adagiandomi delicatamente sul letto sdraiandosi su di me, lasciando una scia di baci lungo il mio collo.
Sospirai a quel contatto affondando la mia mano fra i suoi capelli e tirandolo poi a me, per riappropriarmi della sua bocca.
“Te piace?” Mi domandò respirando affannosamente.
“E me lo chiedi pure?!” Ansimai prendendolo in giro, sorridendogli e ritornando a fare ciò che avevamo interrotto.
“Alora, mangiamo.” Mi rispose divertito avvicinandosi al tavolo. Sempre il solito.
Quando mi porse il bicchiere, non vedevo l’ora di far entrare qualcosa di alcolico nel mio corpo, ma portandomi il piccolo calice sulle mie labbra, capii che non era quello che credevo.
“E-ehi, ma questo è thé.” Dissi contrariato allontanando il bicchiere dalla bocca, guardandolo mentre se la rideva sotto i baffi.
“Ti ha deto che tu no beve anymore.” Disse, a sua volta, divertito, con sguardo furbo.
“M-ma… Oh, uffa.” Sospirai avvicinandomi a lui e posando le mie labbra sulle sue, portando una mano sul suo collo, accarezzandolo ed avvicinandolo, ancora di più, a me. “Mi hai illuso, però.” Farfugliai ritornando subito a concentrarmi su di lui.
Sapevo che lo faceva per il mio bene, ma risultava così difficile pensare di non bere più. Tuttavia, scacciai via quel pensiero malato, che avrebbe potuto rovinarci seriamente la serata, e cercai godermi il più possibile quel momento talmente intimo, primo di tanti, dopo così tanto tempo.
 
“L’idea delle fragole l’hai ripresa da un film, dì la verità.” Lo presi in giro, dopo aver rimesso tutto nei vassoi, riferendomi alle fragole ricoperte di cioccolato, che erano destinate ad essere mangiate come dessert.
“Ha sempre voluto farlo.” Sorrise portandosene una alla bocca, ma mi affrettai a fermarlo ed imboccarlo io, facendolo ridere lievemente imbarazzato.
“Q-quindi con Andrew non l’hai fatto.” Dissi con tono incerto abbassando la testa e cominciando a guardare la coperta sul materasso.
“No.” Replicò deciso finendo di masticare. “Con nesuno io l’ha fato e ci sono a lot of altre cose che io ha fato solo with you.” Mi alzò delicatamente il viso facendomi rincontrare i suoi meravigliosi occhi. “Ha provato emozioni che solo tu ha potuto farme provare.” Aggiunse passandomi una fragola sulle labbra ed imboccandomi, a sua volta per, poi, mordere anche lui l'altra metà.
“Michael,” Abbassai lo sguardo imbarazzato mordendomi timidamente il labbro inferiore, prendendo, poi, la sua mano ed incominciando a giocherellare con le sue dita, mentre sentivo il suo sguardo su di me. “lo so che te lo ripeto spesso, ma ho bisogno di dirtelo ogni volta che posso. Ti amo.” Rialzai la testa timoroso e lo vidi sorridermi e portare la sua mano sulla mia guancia.
“No smetere mai de farlo e neanche de dimostrarmelo.” Mi avvicinai nuovamente al suo viso strofinando appena il mio naso con il suo per, poi, riappropriarmi delle sue labbra. “Now dorme.” Disse avvolgendomi fra le sue braccia e portandomi sopra di lui, facendomi accoccolare contro il suo torace.
Quanto mi erano mancati quel genere di momenti negli ultimi mesi. Troppo, davvero troppo. Sentire il suo respiro sulla mia pelle ed i movimenti del suo petto, che si muoveva ritmicamente su e giù cullandomi dolcemente, che mi accompagnavano piano piano verso il mondo dei sogni, e la sua mano che mi accarezzava i capelli rilassandomi ancora di più, erano qualcosa che avevo avuto seriamente paura di poter perdere.

Sentii delle labbra posarsi appena sulla mia guancia e delle dita intrufolarsi sotto la mia maglietta, ad accarezzarmi leggermente la schiena, provocandomi dei piccoli, ma piacevoli, brividi. Riaprii lentamente gli occhi, rendendomi conto di avere il viso affondato nell’incavo del suo collo profumato. Sorrisi appena e ci lasciai un bacio per, poi, accoccolarmi nuovamente contro di lui.
“Come stai?” Gli domandai assonnato posando una mano sul suo petto, muovendola lentamente.
“Bene, ma tu” Mi posò delicatamente la sua sulla fronte scoscandomi un ciuffo. “ha notato che è caldo, again.” Concluse.
“Mh, fa niente.” Farfugliai richiudendo i miei occhi e prendendo un respiro profondo.
“Marco, tu è ancora così debole.” Disse con tono preoccupato.
Tornai a guardarlo sistemandomi meglio sopra di lui, impiantando le mani sul materasso, per sollevarmi appena. Sembrava veramente in pensiero. Io, però, in fondo mi sentivo bene. I concerti, bene o male, ero riuscito a reggerli. Certo, forse con un po’ più di difficoltà rispetto a quelli del tour precedente, ma ci ero riuscito.
“Sto bene.” Tentai di tranquillizzarlo facendogli un piccolo sorriso passando una mia mano fra i suoi riccioli. Tuttavia, quella frase risultò inutile e poco credibile ai suoi occhi, quando sentii le braccia tremare leggermente e cedere facendomi ricadere sul suo petto. “Scusa.” Mugugnai cercando di rialzarmi, ma fui bloccato da lui.
“Continua a prendere medicine?” Mi chiese tenendomi stretto a sé.
“S-sì, certo, tranquillo. Ma non sono proprio medicine, amore…” Tentai di iniziare a spiegargli che, alla fine, erano qualcosa di molto più semplice.
“They help you a star melio, quindi sì. Sono medicine.” Mi interruppe deciso prendendo il mio viso fra le mani, trascinadolo verso il suo. Mh…
Non gli risposi cercando di porre fine a quel momento alquanto imbarazzante. Era vero, mi aiutavano a sentirmi meglio ed erano riuscite ad aiutarmi ad affrontare tutto il tour. Tuttavia, avevo paura di dirgli che, forse, avevo cominciato a prenderle troppo frequentemente. Ma perché glielo dovrei dire? Alla fine, non facevano male, anzi. Era come aveva detto lui e, poi, erano molto leggere. Non potendo assumere alcol prima dei concerti, c’erano loro, e mi servivano, come del resto mi aveva assegnato il cugino di Cris, ad affrontare li allenamenti.
Ma tutte quelle cose non erano importanti, perché alla fine di tutto, avevo di nuovo Michael al mio fianco, e non ci poteva essere medicina migliore di quella.


#MyWor(l)d

Saaalve!
Okay, questo è il meglio che sono riuscita a fare e mi faccio schifo da sola ç_ç Considerando anche il fatto che ci ho messo quasi cinque ore a scrivere 'sta cosa (no, non sto scherzando), riscrivendola poi più volte, vi assicuro che questa è la meno peggio ._." 
Non so, forse sarebbe meglio prendermi un piccolo periodo di pausa, di qualche giorno (non dico settimane, eh), ma non vorrei rovinare ulteriormente la storia, scrivendo qualche cavolata ç_ç Scusatemi.

Beh, come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge. Grazie di cuore, davvero <3

Un bacione,
Michaels

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Capitolo 35
*** 2012 pt.5 ***


Alt! Sì, lo so che avevo detto che mi sarei presa una piccola pausa, ma stamattina mi è venuta in mente quest'idea e mi sono messa subito a svilupparla. Inizialmente, il tutto sarà molto confuso, ma non preoccupatevi, non sono andata ancora di più fuori di testa, è fatto di proposito. x3 
Beh, ci vediamo giù, allora (?) ._.





Roma, Venerdì 17 Febbraio 2012
 
 
“Marco, please! Stop it!” Sentii la voce di Michael in lontananza e le sue braccia stringermi, in modo fin troppo forte, a sé.
Non sapevo più dove mi trovassi, perché Mika sembrasse così preoccupato o perché urlasse, perché avessi cominciato a sudare… niente proprio. Sapevo solo che sentivo un gran freddo e che il mio corpo non voleva saperne di smettere di tremare e che la mia gola implorava alcol, sempre di più, ma non ero riuscito neanche minimamente ad immaginare di chiederglielo. Mi ucciderebbe. Ma quel giorno, sentii di non poter resistere di più, pur avendo la più grande volontà del mondo.
Erano giorni che mi sentivo male, ma mai, come in quel momento, potevo sentirmi peggio. Avevo avuto la febbre alta, ma potevo tutto sommato sopportarla, nel complesso, però tutto stava diventando più difficile. Non capivo neanche da cosa potesse essere provocato quel dolore che sentivo.
Mika era in pensiero, e mi ripeteva di voler chiamare un medico, ma io ero riuscito sempre in parte a distoglierlo da quella scomoda idea, ma al terzo giorno non resistette più e chiamò Cris, che arrivò a casa più preoccupata che mai.
“M-Michael.” Balbettai improvvisamente cercando, con le poche forze che avevo, di stringerlo, a mia volta, per riscaldarmi.
Continuai a respirare affannosamente. Mi sentivo smarrito e solo, nonostante avessi lui a pochi millimetri da me. Affondai il viso sul suo torace aggrappandomi alla sua maglietta, continuando ad ansimare rumorosamente contro di essa.
“A-amore.” Il tono della sua voce risultò appena spezzato alle mie orecchie, ma arrivava in modo così ovattato, come se fosse lontano chi sa quanto, ed invece era proprio lì, davanti a me.
“Per favore, aiutami.” Lo implorai iniziando a piangere.
“Ma che ti succeda.” Prese ad accarezzarmi delicatamente la testa, poggiando il suo mento su essa.
Mi sentivo talmente nervoso e dolorante in tutte le parti del corpo, peggio ancora di quando avevo fatto il primo allentamento. No, ma che dico. Questo è mille volte peggio. Vedevo tutto offuscato, come se qualsiasi cosa fosse stata avvolta da un alone nero ed oscuro, che mi terrorizzava terribilmente. Doveva essere solo un brutto, bruttissimo, incubo fin troppo reale, però.
“Mika, ora che arriva mio cugino, non puoi stare in stanza con noi.” Disse Cris allontanandolo da me.
“No, io deve stare with him!” Urlò adirato scappando dalla sua presa.
Continuai a cercare di far tornare in un qualche modo il mio respiro regolare, aggrappandomi alle coperte e poggiando pesantemente la testa contro il materasso, mentre osservavo Michael, al quale le lacrime continuavano a rigare quel suo viso talmente perfetto.
“Non si può. Non puoi farti vedere da altre persone insieme a Marco.” Gli spiegò spingendolo verso un’altra stanza.
“B-but, non poso lasciare lui alone.” Proferì quasi in un piccolo lamento.
“Andrà tutto bene, okay? Tu ascolta solo, in silenzio.” Cercò di tranquillizzarlo, ma ero troppo impegnato a cercare di non tremare, per preoccuparmi ancora di loro.
“M-Mika.” Lo richiamai contorcendomi sul letto, gonfiando appena le guance tentando di evitare di rimettere proprio lì.
“Marco.” Disse, a sua volta, in un sussurro puntando i suoi meravigliosi occhi su di me, smettendo di guardarla. “Cris, please, I can’t take it anymore.” Si rivolse nuovamente a lei con sguardo supplichevole. “Ti prega, medico è tuo cugino. Lui può mantenere secret.”
Vidi Cristie spostarsi lentamente sospirando, lasciarlo rientrare in camera e Michael si affrettò a raggiungermi e stringermi nuovamente a sé.
“It’s okay, it’s okay.” Mi cullò lasciandomi dei leggeri baci sulla testa, ma lo pregai di fermarsi lamentandomi e contraendo il viso in un’espressione di dolore. Devo rimettere.
“Chiamo Marta.” La sentii dire mentre si allontanava dalla camera.
“No, wait! His heart, Cris, his heart va tropo veloce!” Urlò preoccupato cercando di farla tornare da noi, mentre teneva una mano sul mio petto, contro cui il mio cuore continuava a sbattere violentemente, amplificando ulteriormente il mal di testa.
“Michael, t-ti prego, aiutami ad andare in b-bagno.” Lo pregai e non esitò ad alzarmi e portarmici immediatamente, lasciando che rimettessi, mentre mi teneva premurosamente la testa. Presi un respiro profondo, infreddolito, e mi ributtai su di lui chiudendo gli occhi, cercando di rilassarmi inutilmente. “M-Michael,” Lo richiamai e mi scostò i capelli dal viso, come a chiedermi di proseguire. “ho bisogno d-di b-bere.” Farfugliai guardando il pavimento. Perdonami, ma ho resistito davvero troppo.
“Shit.” Mugugnò riportandomi a letto. “Cris!” Urlò ancora, proprio nel momento in cui lei stava rientrando.  
“Ho richiamato anche mio cugino, sta per arrivare, ma mi ha detto che deve essere dovuto all’astinenza…” Gli incominciò a spiegare ciò che le era stato riferito, pochi attimi prima, ma fu interrotta da Mika, che aveva già capito tutto.
“… da alcol.” Finì chiudendo gli occhi e portandosi le mani fra i capelli. “Io deve chiamare un’ambulance.” Aggiunse tirando fuori il suo cellulare dalla tasca.
“Ha detto che sarebbe inutile.” Disse agitata. “Mika.” Si avvicinò a lui e lo fermò poggiando le mani sulle sue spalle, attirando la sua attenzione. “Mika, se andassimo al pronto soccorso non si sa quando riuscirebbero ad attenderlo, non ne vale la pena e poi è un personaggio pubblico. Solleverebbe un polverone e non riuscirebbe a stare tranquillo, come dovrebbe.” Spiegò anche lei con le lacrime agli occhi.
“E tuo cugino che farebe?” Gli domandò guardandola preoccupato, mentre io continuavo a stringere forte la sua mano, facendola diventare di un colore violaceo.
“Mi ha detto solo che sta portando l’occorrente per questo genere di casi.”
Michael riportò il suo sguardo su di me, facendo incontrare nuovamente i nostri occhi, ma ero troppo confuso per capire cosa stesse succedendo esattamente. Nella mia testa c’era solo il desiderio di alcol, che non riusciva a farmi stare fermo, facendomi contorcere e muovere bruscamente contro di lui, che cercava di tranquillizzarmi.
Il mio cervello non riusciva più a connettere niente. L’ultima volta che avevo bevuto era stato durante l'intervista di qualche giorno prima, quando mi avevano offerto qualche bicchiere di vino, poi nulla più, per cercare di rendere fiero di me Mika, però, in quel momento, avevo una dannatissima voglia di bere. Anzi, ne ho bisogno.
 
Un rumore assordante invase le mie orecchie, che mi curai immediatamente di coprire con le mani, cacciando un urlo di dolore, attirando nuovamente l’attenzione di Mika.
“Marco…” Sussurrò nuovamente con quel tono disperato accarezzandomi dolcemente la fronte, imperlata di sudore, così volsi lo sguardo verso di lui, che aveva il viso contratto in un’espressione talmente sofferente, aggiungendo dolore al dolore.
Vidi Cristie, non molto tempo dopo, correre via ad aprire la porta, tornando poi con Marta ed un altro uomo che non riuscii da subito a riconoscere. La prima si avvicinò rapidamente a me dicendo qualcosa, che però non riuscii a capire, poiché parlava troppo velocemente.
“Allora, mi hai detto che è in queste condizioni da qualche ora.” Esordì una voce non proprio sconosciuta.
“Sì, ma aveva già la febbre alta da circa tre giorni, i tremori e non dormiva tanto, e faceva degli incubi agitandosi, quando ci riusciva.” Spiegò Cris mentre lo osservava preparare ed attaccare delle strane apparecchiature accanto a me.
“Marco, mi senti?” Vidi una luce, poco dopo, accecarmi, ma qualcosa mi impediva di chiudere gli occhi e di muovermi ancora, così mi limitai ad annuire terrorizzato. “È nella fase avanzata della forma maggiore…” Sospirò girandosi, poi, a guardare Cris. “Da quanto non beve?”
“N-non lo so. Mika, tu lo sai?” Riportai i miei occhi, dopo aver ripreso la minima possibilità di vedere, su di lui, che continuava a torturarsi le labbra e le dita mordicchiandosele.
“I-io… crede che… ultima volta è stata… interview! Sì, l’interview, giorno dopo che ha finito tour.” Disse, dopo un attimo di esitazione.
“Quindi il 14.” Disse lei, a sua volta.
“Sì, sono passate circa 72 ore. Okay, è relativamente normale quando si sospende improvvisamente il consumo di alcol, soprattutto dopo che l’organismo si è abituato ad assumerlo tutti i giorni, in una certa quantità.”
“Ma lui avere cominciato a ridure tempo fa.”
“Ne siete sicuri?”
Le poche cose che riuscivo a ricordarmi, più o meno, bene erano le sue braccia stringermi e la sua voce disperata che mi rassicurava e che implorava qualcosa o qualcuno che tutto quello finisse. Vederlo così preoccupato mi faceva sentire ancora peggio, perché mi rendevo conto che, forse, la causa di tutta quella preoccupazione e di quelle lacrime ero io. Ma non potevo farci niente, era come se avessi perso il controllo del mio corpo e di ogni mia capacità. Le cose, però, peggiorarono quando non sentii più il calore di Michael avvolgermi.
“Marco, sta’ fermo!” Esclamò Cris bloccandomi per i polsi, contro il letto, ma non ce la facevo a stare fermo, proprio no.
Quando però sentii un altro ago attraversare lentamente la mia pelle ed una sostanza entrare in circolazione nel mio corpo, mi bloccai appena cercando di concentrarmi su quello che stava succedendo.
“Che gli fa?” Domandò Mika con voce tremante.
“In questi casi c’è bisogno della somministrazione di tiamina e di benzodiazepine, che sedano il paziente per evitare dei rischi dovuti alle convulsioni.” Gli spiegò velocemente estraendo la siringa dal mio braccio. “Anche quando riesce a farlo addormentare, bisogna mantenere il dosaggio. Serve anche per le analisi successive, per far sì che il paziente non si agiti ancora.”
Il mio cervello non connetteva niente, ma aveva memorizzato tutto. Era qualcosa di estremamente strano, che non mi ero mai riuscito a spiegare. Spostai il mio sguardo verso quegli occhi dal colore ancora indefinito, che mi guardavano pieni d’angoscia e malinconia. Gli sorrisi lievemente allungando il braccio verso di lui, ma era più lontano di quanto immaginassi. Allora, lo vidi avvicinarsi e cominciare ad affondare le sue dita fra i miei capelli, completamente zuppi.
“No sarebe melio portarlo at the hospital?” La sua voce melodiosa era sempre più lontana, mentre con l’altra mano stringeva la mia.
“Questi macchinari ed apparecchi che ho portato monitorano ed inviano ogni informazione ed ogni dato del paziente alla clinica. Non si preoccupi. In certi casi, è meglio che i pazienti si ritrovino in un luogo confortevole. Spostarli potrebbe solo peggiorare la situazione. Inoltre, dopo questo momento le convulsioni dovrebbero finire, per dare spazio solo alla febbre, ai tremori e qualche volta al vomito. Anche se potrebbe non capire, per un po’ di tempo, quello che gli viene detto o comunque non rispondere.” Mi confonde sempre di più, questo qua.
 
 
Sabato, 18 Febbraio
 
 
“È tuta colpa mia.” Sentii la voce di Mika accanto a me, ma non riuscivo del tutto a capire da che parte fosse e se stesse piangendo, dal tono che aveva.
“Ma che dici...” Cris.
“Yes, io gli ho deto di smetere de bere, glielo ha imposto senza saper cosa poteva fare.” Si lamentò ancora.
Allora, tentai di riaprire gli occhi e lo vidi lì, mentre continuava a stropicciarsi gli occhi rossi e gonfi, a causa delle lacrime che gli avevano rigato quel viso angelico.
“Mika,” Si inginocchiò davanti a lui. “tu gli hai dato un inizio per smettere, per porre fine a quella merda in cui si rifugia, ogni volta che crede di non potercela fare, okay?” Lo rassicurò.
“Mh…” Mugugnò annuendo e tirando su col naso, portando il suo sguardo su di me. “Marco.” Si rizzò meglio a sedere cominciando ad accarezzarmi delicatamente la guancia con un dito. “Me sente?”
Continuai a fissarlo, per un po’, disorientato, cercando di mettere a fuoco ciò che mi circondava, ma riuscivo soltanto a sentire uno stramaledetto freddo. Sentii le sue braccia avvolgermi nuovamente e stringermi delicatamente a sé, sollevandomi appena mentre continuava ad accarezzarmi dolcemente i capelli, tra i quali lasciava dei leggeri baci, ogni tanto. Ma improvvisamente mi aggrappai a lui ricominciando a respirare affannosamente.
“M-Mika.” Non sapevo neanche perché lo avessi chiamato, forse avevo solo bisogno di risentire la sua voce e di farmi stringere ancora di più.
“I’m here with you, amore. It will be okay. Andrà tuto bene.” Sussurrò posando le sue labbra sul mio collo, completamente zuppo di sudore, come qualsiasi altra mia parte del corpo. Non mi ero mai sentito così male in vita mia, e solitamente mi bastava sentire la sua voce per stare meglio, ma quella volta era davvero troppo lontana e non riuscivo a connettere subito ciò che mi diceva e chiedeva, mi limitavo ad annuire e cercare di tenermi stretto a lui, provando a controllarmi e riscaldarmi in qualche modo. Mi sembrava di ripetere, in continuazione, solo il suo nome alternato ad una disperata richiesta di alcol, che però non veniva mai accontentata, purtroppo. Ero fermamente convinto che berne, anche solo un piccolo goccetto, mi avrebbe fatto sentire bene e mi avrebbe portato via da quel vortice di paura e sofferenza, nel quale non volevo più stare. “Amore mio.” Mugugnò cominciando a muoversi, ancora un po’, cullandomi e sentii qualcosa, che avrei potuto giurare fossero delle lacrime, cadere lungo la mia fronte, imperlata, già di suo, di sudore. Quando realizzai, dopo un bel po’ di tempo, che effettivamente stava piangendo, portai al mia mano sul suo torace accarezzandolo lentamente. “È bolente, Cris.”
“È normale, Mika.” Rispose lei guardandomi, sorridendo appena, forse cercando di tranquillizzarmi.
“B-but, lui tremare così tanto.” Mi adagiò nuovamente sul letto prendendo, poi, le mie mani, che non ne volevano sapere di stare ferme, e ci posò delicatamente le sue labbra, continuando a sussurrarmi parole dolci e confortanti. “Beve.” Poggiò sulla mia bocca un bicchiere inclinandolo leggermente, accompagnandolo nei movimenti, ma ne rimasi profondamente deluso scoprendo esserci solo della maledettissima acqua, ed esitai, poi, per un attimo. “Come on.” Disse ancora con tono supplichevole accarezzandomi la guancia, tenendomi appena sollevata la testa.
Mi fermai a guardarlo per un po’: aveva i capelli tutti arruffati, nei quali mi risultava difficile distinguere i suoi meravigliosi riccioli, gli occhi occhi rossi e gonfi, così come il naso, le guance rigate dalle lacrime ed il labbro inferiore tremolante.
Ripensandoci, come avevo fatto a farlo soffrire in quel modo? Non se lo meritava, e tutto perché? Perché non riuscivo a smettere di bere, a porre un divieto d’accesso all’alcol nel mio corpo. Ero ridicolo. Che poi, neanche mi ricordavo il motivo effettivo per cui avevo cominciando a bere. La solitudine? Il dolore? Le delusioni continue? Chi lo sa. Come detto, non riuscivo a connettere più niente.
“Mika, forse è meglio che esci a prenderti una boccata d’aria. Ci sto io con lui.” No, ti prego. Non farlo andare via.
“No.” Disse deciso spostando lo sguardo verso di lei. “Deve stare with him.” Finì riportando i suoi occhi su di me, facendo un sorriso forzato.
“Cerca di calmarti un pochino, almeno.”
“I-io…” Ti prego, non andartene. “How much time lui starà così?” Le domandò cambiando discorso.
“Mio cugino dice che solitamente dopo tre, al massimo cinque, giorni dovrebbe regolarizzarsi, o almeno diminuire l’intensità di questi attacchi.”
“E quando se riprenderà?”
“Dipende. Due, tre mesi…”
“Ma lui ha tour a April, come farà? Deve fermare absolutely tuto.”
“Provvederemo, Mika. Vediamo la situazione come procede.” M-Marta? Non mi ero neanche accorto fosse lì. “Ha ragione lei, però. Esci un attimo, dai.” Lo vidi sospirare per, poi, tornarmi a guardare.
“Torno subito. Promete io te.” Mi sussurrò dolcemente, ma lo bloccai prendendolo per mano, vedendolo, poi, rigirarsi e sorridermi lasciandomi un bacio sulla fronte. “Vado anche a prendere coperte, okay? Così starà al caldo.” Lo vidi scomparire dietro la porta e Cris sedersi accanto a me, accarezzandomi il braccio.
“Va tutto bene, Marcolino. I farmaci stanno facendo effetto, piano piano, e tu sei forte, anzi fortissimo, chiaro? Ma l’hai visto Mika, poco fa?” Fece una piccola risatina amara. “E tu che dicevi che non eri abbastanza per lui. Sei uno sciocco.” Mi scostò delicatamente il ciuffo bagnato dagli occhi, anche se non cambiò di molto, visto la confusione che avevo in testa.
 
 
Domenica, 19 Febbraio
 
 
Mi risvegliai avvolto da una coperta calda e dalle braccia di Michael, che avevo riconosciuto da subito grazie al suo profumo, e con le sue mani che mi accarezzavano dolcemente la schiena. Probabilmente aveva più effetto il suo corpo, piuttosto che quel pezzo di stoffa. Portai una mia mano, con leggera difficoltà, dietro di me, posandola sulla sua gamba. Resosi conto che ero sveglio, si alzò di scatto col busto, facendo muovere bruscamente il letto, peggiorando ulteriormente il mio mal di testa.
“Amore, me sente? Me riconosce?” Mi domandò velocemente cercando i miei occhi.
“S-sì… come potrei dimenticarmi del tuo bel faccino da angelo, ma anche un po’ da scemo?” Lo presi in giro, parlando con voce roca, anche se ancora leggermente confuso.
“Oh, God, thank you.” Farfugliò abbracciandomi nuovamente, e cercai di stringerlo, a mia volta. “Before che sucede qualsiasi thing, p-please, cerca de controllarte. So che è dificile, ma deve mantenere la calma.” Sentii la sua voce spezzarsi più volte mentre mi parlava e, non molto tempo dopo, le sue lacrime inumidirmi il collo. “Shit, tu è ancora così caldo.” Continuò avvolgendomi meglio con la coperta. Nel frattempo, notai troppi aghi e troppe cose strane entrare e scomparire nel mio braccio, così stranito cercai di staccarle, ma fui fermato da lui, prima che potessi farlo. “No! No, no, amore, tu no deve levare queste cose, okay? Sono per e-en… endovena e per altre medicine. Don’t levare them. They help you.” Lo guardai confuso ed improvvisamente sentii le lacrime salire ed invadere i miei occhi, dai quali non tardarono ad uscire. “Oh, no, amore, perché tu piange? No farlo, please.” Mi stinse nuovamente a sé accarezzandomi dolcemente i capelli.
Mi sentivo una merda. In un piccolissimo momento di lucidità, avevo capito quello che stava succedendo e mi sentii una vera e propria merda. Come avevo potuto ridurmi in quello stato? Il mio corpo richiedeva alcol, proprio come l’acqua. Ma come avevo fatto? E poi, cosa ancora più importante, come avevo fatto a far soffrire in quel modo Michael? Non se lo meritava assolutamente. Eppure, era sempre stato lì, al mio fianco, a sorreggermi ed a soffrire con me e per me. Ma come si poteva volere una persona come me al proprio fianco? Poteva essere benissimo felice con Andrew, o con chiunque altro, insomma. Perché soffrire, in quel modo?
Il suo viso era distrutto, completamente distrutto, e tutto solo e soltanto per causa mia. Avrei preferito soffrire in silenzio, di nuovo in solitudine, piuttosto che fargli ancora del male. Sono un emerito coglione. Non sapevo cosa fare, né cosa dirgli, così mi strinsi semplicemente a lui, continuando a tremare, cercando di pensare il meno possibile a quel desiderio malato, che non faceva altro che far ammalare entrambi. 


#MyWor(l)d


AriSalve! c:
Sì, mi rendo conto che sia davvero troppo triste e troppo duro come capitolo, e che a non tutti potrebbe piacere, MA purtroppo si sa che con l'alcolismo non si scherza e ho cercato di rendere il più realistica possibile la situazione, perché alla fine, diciamocelo, uno non può smettere di bere così, di punto in bianco, soprattutto se beve come ho fatto bere io Marco nella storia. Sarebbe impossibile.
Beh, spero non abbia turbato nessuno! 
Detto questo, vorrei ringraziare er mio beddazzo siciliano, Manuel, che si è preso il disturbo di spiegarmi bene in cosa consistesse la sindrome da astinenza alcolica ed i suoi sintomi. Glattie <3
Ovviamente, tutti voi che, come al solito, recensite! *-* <3 Vi amo, davvero <3 Grazie anche a chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi legge in silenzio, lì dietro! :3 
Bene, in attesa che un qualche tuono mi fulmini come questa mattina e mi dia una benedetta idea, vi mando un bacione! <3
Michaels

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Capitolo 36
*** 2012 pt.6 ***


Roma, Lunedì 20 Febbraio 2012
 
 
“No, lui ha ancora febre alta e trema, Cris.” Sentii la voce di Mika in lontananza, diventare sempre meno ovattata, mentre mi passava delicatamente una mano fra i capelli. “Yes, I know… Sì, ha venuto prima. Ha deto che ha abasato quantità de medicine... Mh, okay, bye.” Lo vidi, poco dopo, chiudere la chiamata sospirando esasperato e tornare a puntare i suoi occhi su di me. “Ehi.” Sussurrò sorridendo ed accarezzandomi dolcemente la guancia. Mi bloccai un’altra volta ad osservarlo. Mi ero imbambolato ed ancora riuscire a connettere ciò che mi veniva detto e parlare mi risultava difficile. “Me sente?” Mi domandò speranzoso, ma non ricevendo alcuna risposta da parte mia, l’espressione del suo viso cambiò immediatamente, diventando delusa e scoraggiata. Mi avvolse, ancora una volta, fra le sue braccia facendomi poggiare la testa sulla sua spalla. “Me fa così male vederte così. No credeva che mai poteva sofrire così tanto, Marco. No credeva che se sarebe creato questa situazione.” Lo sentii singhiozzare e provai a mia volta di stringerlo, ma nonostante i miei sforzi, risultò completamente inutile. “Io ha fato te una promesa e no sono riuscito a mantenerla. Please, perdoname.” Un altro singhiozzo, ancora più forte del precedente, scosse il suo corpo contro il mio, riuscendo a trasmettermi, forse in parte, ciò che stava provando.
Avrei voluto dirgli che lo sentivo, ma soprattutto che non era colpa sua e che lui non aveva infranto la promessa che mi aveva fatto, perché quando ero con lui tutto era meno doloroso. Cercai di andare contro il dolore fisico e risposi al suo abbraccio, facendolo sussultare. Sospirò ancora contro il mio collo e mi sollevò appena, prendendo il mio viso fra le mani, incatenando i suoi occhi rossi ai miei, ancora leggermente offuscati, ma attraverso i quali riuscivo a vedere la sua più completa sofferenza.
“Michael…” Tentai di iniziare a parlare, ma ne uscì solo un piccolo sussurro roco e strozzato, a cui seguì qualche fastidioso colpo di tosse.
“Ssh, no te sforzare. Io resta qui con te.” Sorrise, ma era uno di quei suoi sorrisi amari, quelli che faceva quando non voleva far preoccupare ancora di più le altre persone. Mossi la testa a destra e sinistra, fregandomene del male che provavo, facendogli aggrottare la fronte confuso. “Che sucede? Che vuole dirme?” Chiese preoccupato e, in quel momento, mi venne in mente il blocchetto che tenevo nel comodino di fianco al letto, nel caso mi fosse venuta qualche idea per il testo di una canzone durante la notte. Indicai in difficoltà il cassetto e lui, ancora più disorientato di prima, si affrettò ad aprirlo. “El block notes?” Annuii lievemente afferrandolo debolmente insieme alla penna, sotto il suo sguardo, sempre più confuso e curioso. La mia mano, però, non ne voleva sapere di stare ferma, così sentii immediatamente quella di Mika stringerla e fermarla, accompagnandola nei movimenti. Gli sorrisi riconoscente porgendoglielo, vedendolo, poi, strizzare leggermente gli occhi e concentrarsi a capire cosa ci fosse scritto. “N-no… n-non è c-colpa tua. T-ti amo.” Lesse ad alta voce ed alzò automaticamente la testa di scatto. Vidi i suoi occhi farsi di nuovo lucidi e sentii, non molto tempo dopo, le sue labbra posarsi delicatamente sulle mie, muovendole lentamente, come a non volermi fare male ulteriormente. “Ti amo anch’io.” La sua voce spezzata risuonò nelle mie orecchie e le lacrime comparvero nuovamente sulle sue guance, sulle quali con un po’ di difficoltà posai le mie mani, per asciugarle, anche se in modo abbastanza maldestro. Lasciò un leggero bacio su di esse per, poi, allungarsi leggermente e prendere dei panni bagnati, che quando posò sulla mia fronte, mi provocarono un inevitabile tremore, ancora più forte dei precedenti. “I know, è un po’ fredo,” Sorrise ritraendo appena la mano. “but aiuta temperatura a scendere.” Rise lievemente, probabilmente a causa della mia faccia, contratta in un’espressione infastidita. “Sorry. It will be okay.” Si bloccò di colpo sorridendo, di nuovo, improvvisamente per, poi, scuotere la testa quasi divertito e continuare a fare ciò che stava facendo. Ma che…
“G-grazie.” Balbettai infreddolito facendogliela rialzare di scatto, incatenando il suo sguardo al mio.
“Marco,” Mi chiamò sdraiandosi nuovamente al mio fianco. “medico ha deto che se febre si abasa, è bene fare un bagno tiepido.” Fece una piccola risatina. “You know, no me ricordava cosa significava ‘tiepido’, so io ha chiesto a lui. But, come facio senza mio maestro pazo?” Domandò scherzoso passandomi una mano fra i capelli, facendo ridere flebilmente anche me. “Anyway, te la sente di farlo?” Annuii, anche se incerto. E se poi sento più freddo? “Okay, alora io chiama lui per levare tute queste cose. Torno subito.” Lo vidi allontanarsi ed uscire dalla stanza, e mi sentii di nuovo talmente solo e smarrito. Cominciai a guardarmi intorno per un attimo e mi resi conto che quella stanza era fin troppo vuota, proprio come nei momenti in cui mi chiudevo in casa passando le giornate con una sigaretta in mano ed una bottiglia nell’altra. Sentii le lacrime salire ed invadere i miei occhi per, poi, cominciare a rigare lentamente il mio viso. Tuttavia, non erano solo stati quei dolorosi ricordi. Sapevo che era stato come automatico. Mi sento solo? Voglio alcol. Voglio alcol? Non lo posso avere. Non lo posso avere? Piango. Piangevo proprio come un bambino, al quale avevano levato il proprio giocattolo preferito. Quando Mika rientrò in camera, mi guardo più preoccupato che mai raggiungendomi velocemente. “Amore, che ha? I’m here.” Mi strinse forte fra le sue braccia confortandomi. “I’m here. Sorry.” Si scusò posando le sue labbra sul mio collo e muovendo appena i nostri corpi, da una parte all’altra. “Ora ariva lui, okay?”
Ero un idiota, sul serio. Avevo quel fantastico uomo al mio fianco ed io piangevo perché volevo dell’alcol. E sapevo che era sbagliato e che non potevo, ma era più forte di me. Non ce la facevo. Per quanto io mi sforzassi, non ce la facevo e mi sentivo un emerito cretino, perché Michael un trattamento del genere non se lo meritava.
 
Non avrei saputo quantificare il tempo in cui rimanemmo in quel modo, ma ci staccammo quando arrivarono Cris, che ero sorpreso di vedere, con suo cugino, che finalmente ero riuscito a riconoscere.
“Come sta?” Domandò lei a Mika sussurrando, forse per non farsi sentire da me. Inutile.
“Crede melio. Reagise de più.” Le rispose sorridendo appena. “But, prima ha cominciato a piangere.” Vidi il suo volto cambiare totalmente espressione.
“Visto l’abbassamento della temperatura e la diminuzione così evidente degli spasmi, io proverei a continuare a dare i farmaci esclusivamente per via orale e continuare solo ad alimentarlo con la flebo. Credo che se mettesse qualcosa di effettivo sotto i denti, potrebbe rimettere. Purtroppo questo può essere un altro degli effetti collaterali di questi farmaci.” Affermò mentre si preparava a levarmi quei fastidiosi aghi ed adesivi appiccicosi. Tuttavia, feci un piccolo lamento quando cominciò a togliermene uno. “Giustamente gli fa più male, adesso. Ha la pelle ancora molto sensibile, come il resto del corpo.” Spiegò girandosi a guardarli.
“Amore, guarda my eyes, okay? Look at them.” Lo vidi avvicinarsi ed intrecciare la mia mano con la sua, in un gesto estremamente delicato. “Stringe ogni volta che te fa male.” Disse sorridendomi dolcemente e feci come mi aveva detto, con le poche forze che avevo, nel tentativo di distrarmi. “Bravo, bravo, bravo.” Mi sussurrò più volte, lasciandomi alcuni piccoli baci sulla tempia. “Ha quasi finito.”
Nonostante le sue parole, il dolore era a dir poco insopportabile, davvero. Quando mi cadde un’altra lacrima, Mika si affrettò ad asciugarla. Non era questione di sensibilità, mi faceva male, punto e basta. Cercai di controllarmi respirando profondamente e velocemente, distraendomi dal dolore. Tornai ad osservare i suoi occhi, che disperati cercavano i miei, e non potei fare a meno di tranquillizzarmi, quasi del tutto. Gli sorrisi lievemente e lui mi rispose regalandomi la vista di quelle sue fossette e di quei suoi dentoni. Ma continuavo a vedere quell’angoscia e quella preoccupazione, che lui non doveva più provare, per il semplice fatto che non se lo meritava.
“Bene. Potete andare.” Lo informò facendogli un piccolo sorriso di incoraggiamento. “Marco, te la senti di camminare da solo?” Chiese improvvisamente attirando la mia attenzione. Ci posso provare.
Annuii mentre sentivo le braccia di Mika avvolgermi per il busto ed aiutarmi ad alzarmi dal letto. Sentii però le mie gambe fin troppo leggere e fin troppo deboli, così mi aggrappai il più possibile a lui.
“I-io no crede è una buona idea.” Intervenne tenendomi stretto a sé. No, ce la posso fare. Lasciai, per un attimo, la sua presa sotto i suoi occhi contrariati e preoccupati da quel mio tentativo di allontanarlo, ma quando feci un piccolo e semplice passo, le sentii tremare e cedere facendomi cadere pesantemente contro di lui, che mi afferrò prontamente, evitandomi una ridicola e dolorosa caduta. Chiusi gli occhi scoraggiato, cominciando a dare dei lievi colpi con la testa contro il suo torace. Le lacrime non tardarono ad arrivare ed invadere ogni centimetro dei miei occhi e, poi, delle mie guance. “Amore…” Mi strinsi, ancora di più, a lui aggrappandomi alla sua maglietta cominciando a singhiozzare, in silenzio.
“Ehi.” Cercò di tranquillizzarmi anche Cris accarezzandomi dolcemente la schiena.
Che poi, non sapevo neanche perché stessi picchiando, se così si può dire, Michael, che non aveva fatto assolutamente niente. Sapevo solo che stavo diventando sempre più ridicolo, non solo ai miei occhi, ma soprattutto ai suoi ed a quelli di tutti quanti i presenti. Cazzo, non riuscivo neanche a tenermi in piedi per conto mio.
Mi accompagnò fino al bagno, facendomi sedere al bordo della vasca, aprendo poi l’acqua. Teneva salda la sua mano sul mio braccio, come se avesse avuto paura che potessi cadere da un momento all’altro. Ricominciai inevitabilmente a tremare con più intensità e cominciai a cercare qualcosa con cui riscaldarmi, senza trovare niente però, alla fine.
Sentii le sue mani fredde entrare in contatto con la mia pelle, mentre mi sfilava delicatamente la maglietta, e non potei fare a meno di stringermi nuovamente a lui cominciando a respirare più affannosamente.
“It’s okay, it’s okay.” Tentò di rassicurarmi riscaldandomi e continuando a spogliarmi lentamente. Insomma, non riuscivo neanche a svestirmi o a fare un bagno da solo. Era così straziante e stressante quella situazione che non potevo che sentirmi deluso da me stesso. E la cosa peggiore era che, non riuscivo a smettere di pensare a quella sostanza che mi aveva ridotto in quello stato, a dir poco, pietoso.
Mi aiutò ad entrare nella vasca, mentre continuava a riempirsi, accompagnandomi nei movimenti, facendomi sedere nell’acqua tiepida, che però non faceva che peggiorare le cose. Chiusi gli occhi cercando, poi, di riprendere fiato, fino a quando lo sentii raggiungermi e mettersi dietro di me ed avvolgermi fra le sue braccia. Mi fece poggiare delicatamente contro il suo corpo caldo, lasciandomi dei leggeri baci dietro all’orecchio, mentre cercava di passare una spugna insaponata sul mio, ma era decisamente più fredda rispetto al resto dell’acqua. Ogni tanto, sentivo le sue labbra posarsi sulla mia schiena, facendomi venire, anche di più, i brividi.
“Michael.” Lo chiamai affannato attirando il suo sguardo su di me.
“Dimmi.” Sussurrò posando il suo viso sulla mia spalla, cercandomi con gli occhi, ma abbassai ulteriormente la testa, imbarazzato da quel momento, che mi stava distruggendo dentro.
“P-perché è così d-difficile?” Gli domandai, come se lui avesse saputo darmi una risposta, poi.
Sospirò contro la mia pelle dandomi una strana, ma rilassante, sensazione di calore, che mi portò ad attaccarmi a lui, ancora di più. Cercai, poco dopo, di girarmi appena per abbracciarlo meglio.
“Io no lo sa, Marco, ma tu deve esere forte.” Mi disse sorridendomi dolcemente e passandomi quella maledetta spugna sul petto, sul quale, però dopo si soffermò poggiando la sua mano.
Lo vidi contrarre il viso in una smorfia di dolore, e levarla immediatamente, come se si fosse scottato. Non riuscii a capire quel gesto, ma sentii, non molto tempo dopo, le sue mani posarsi delicatamente sulle mie guance ed avvicinarmi a lui, fino a far sfiorare le mie labbra con le sue. No. Mi ritrassi portando i miei occhi verso l’acqua, che continuava, pian piano, a riempire ancora la vasca.
“S-scusami,” Gli dissi flebilmente. “però Mika, ti prego, solo un bicchiere, solo uno e tutto questo finirà.” Lo supplicai non avendo però il coraggio di alzare testa e guardarlo.
“Io no poso.” Rispose con tono deciso.“Se tu prenderà anche solo un bichiere, tuto questo sarà inutile.” Chiusi gli occhi scacciando via quelle frasi senza senso. Questa cosa è inutile. “Tu vuole davero bere, smetere di nuovo e rivivere gli ultimi giorni?” Stava parlando in modo alterato, e la cosa non mi piaceva affatto.
Scossi la testa, ma non come risposta alla sua domanda. Volevo solo liberarmi di quelle stupide parole. Non avevano senso. Non avevo deciso io di stare così e non era giusto che lui mi vietasse una cosa del genere. Contrassi il viso in un’espressione sofferta, sentendo, poi, quel fastidioso nodo alla gola, che continuava a darmi la sensazione che stesse bruciando, e le lacrime aggiungersi a quello spettacolo pietoso. Portò la sua mano dietro alla mia nuca, per tirarmi a sé ed io non potei fare a meno di scoppiare in un pianto disperato ed irrequieto.
“Ti prego…” Mugugnai, quando ormai la testa continuava a pulsare come non aveva mai fatto prima.
Sentivo di poter esplodere da un momento all’altro mentre cercavo di concentrarmi su quel dolore, per non pensare ad altro, e la cosa non faceva che alimentare la mia paura ed il mio stato di smarrimento totale.
“Tu ce la deve fare. Tu può farcela. Io lo so.”  Mi incoraggiò accarezzandomi dolcemente le spalle.
“N-no.” Affermai tremando concentrandomi sul suo profumo.
“Sì, invece.” Disse deciso alzandomi nuovamente il viso, costringendomi a guardarlo negli occhi. “Tu no deve cedere, okay? No deve. Ce la faremo insi…”
“Perché sei qui?” Gli domandai incerto interrompendolo.
“What?” Il suo viso si contrasse in un’espressione confusa e sorpresa, quasi indignata.
“Tu potresti essere felice con un altro, da un’altra parte.” Dissi semplicemente non rendendomi neanche conto, per un attimo, di quanto quelle parole, pronunciate in quel modo, potessero fare male ad entrambi.
“What the fuck are you talking about?” Mi chiese, con tono alterato, allontanandomi da lui, forse per guardarmi meglio. Lì per lì, non riuscii a capire cosa mi avesse detto. A malapena riuscivo a capire ciò che dicevano le persone attorno a me in italiano, figuriamoci in inglese. Portai le mie mani al bordo della vasca, cercando di sollevarmi ed uscire, per tornare nel caldo del letto. “No, Marco, wait…” Lo sentii alzarsi subito dopo di me, ed in quell’attimo, cedetti ricadendo su quel maledetto piano d’appoggio scivoloso.
Cacciai un piccolo urlo strozzato di dolore rimanendo lì, ridicolamente accasciato, mentre, per aggiungere qualcosa per migliorare la situazione, cominciai a tossire, per la botta allo stomaco, che quello scontro aveva causato. Fossi stato in altre condizioni, non mi avrebbe fatto così male, ma fu davvero doloroso. Sentii Mika dirmi qualcos’altro, di impossibile comprensione, mentre le sue braccia cercavano di sollevarmi. Dolore, freddo e delusione. Quella era la combinazione più distruttiva che ci potesse essere, in quel dannato momento, ed eppure la prevalente in tutti quei strazianti giorni. Mi misi a sedere cercando di riprendere fiato, mentre mi avvolgeva e mi asciugava con un accappatoio. Neanche un minimo di forza per fare il minimo indispensabile. Quando quell'ulteriore pensiero si intromise nella mia testa, quei tentativi di far tornare il mio respiro regolare si trasformarono, in poco tempo, in dei singhiozzi di disperazione.
Farfugliai, ancora una volta, il suo nome in un lamento, affondando il viso nell’incavo del suo collo ed aggrappandomi a lui. Le parole che continuava a ripetermi non riuscivo a capirle. Di nuovo, quel suono ovattato invase le mie orecchie, e, invece di cercare di rilassarmi sentendo la sua voce, non faceva altro che gettarmi ancora più ansia addosso. Quando mi lasciò, tentai inutilmente di tenerlo stretto a me vedendolo, poi, asciugarsi e vestirsi, a sua volta, per, poi, aiutarmi a fare la stessa cosa.
La nullità fatta persona, ecco cosa ero. Non riuscivo a fare niente, se non con l’ausilio di qualcuno. Ma come si poteva essere caduti così in basso?
“Marco,” Sentii la sua voce farsi fortunatamente sempre più chiara. “me sente?” Annuii lievemente facendogli fare un piccolo sospiro di sollievo, mentre continuava a guardarmi inginocchiato davanti a me. “Io no potrebbe stare da nessuna altra parte, perché ti amo e te prometo che io e te riusciremo a farcela, okay? Io sarà qui con te.” Notai i suoi occhi farsi man a mano più lucidi, tuttavia lo vidi cercare di controllarsi, mordendosi appena il labbro inferiore. “Io vuole vedere tuo soriso, again. Sentire tua risata e tua voce. E io promete te che riuscirà a farlo, okay?” Concluse con voce spezzata.
“Sì.” Dissi in un sussurro appena percettibile, che mi uscì più simile ad un piccolo lamento.
Mi asciugò dolcemente le lacrime, ricacciando giù le sue per, poi, avvicinare il suo viso al mio e posare delicatamente le sue labbra sulle mie. E quella volta, non mi tirai indietro, lo lasciai fare per il semplice motivo che sentivo il bisogno di quel contatto. Avevo bisogno di lui e di tutto ciò che riusciva a darmi, che in quei momenti, forse ingiustamente, non riuscivo a sentire totalmente.
Tuttavia, una volta tornati in camera, non riuscii più a sostenere il suo sguardo. Era una cosa fin troppo umiliante farmi vedere in quello stato da lui. Per la prima volta, in quelle ore, avrei voluto che Mika non fosse lì con me. Avrei voluto che si trovasse da un’altra parte con un altro, che se lo meritasse davvero, magari a Londra con Andrew, o comunque con qualcuno che lo avesse potuto rendere felice. Avrei voluto avere più coraggio, al posto di quell’egoismo che lo voleva al mio fianco, di trattarlo male, per qualche ragione insensata, ferirlo ulteriormente, offenderlo e cacciarlo via, ma il mio essere egoista me lo impediva. Vederlo stremato e straziato da quella situazione, non faceva che peggiorare i miei sensi di colpa.
Mi prese delicatamente per mano sdraiandosi accanto a me, quando ormai se ne erano andati Cris e suo cugino, che aveva già provveduto a mettere quei maledettissimi aghi sotto la mia pelle.
“Amore,” Mi chiamò posando la sua mano sulla mia guancia, ma feci finta di essermi addormentato un’altra volta. Non ce la facevo a sentirlo parlare o a guardarlo. Era più forte di me. Era imbarazzante e doloroso, al tempo stesso. Si avvicinò a me avvolgendomi fra le sue braccia, cominciando a lasciarmi dei baci sulla testa, che continuavo a sentire estremamente e fastidiosamente pesante. “io continuerà a stare a tuo fianco.” Affermò deciso, come se mi stesse facendo un’altra promessa ed avesse saputo che non stavo dormendo. Non me lo merito.


#MyWor(l)d


Saaalve c:
Come state? :3
Allooora, sì, ce l'ho fatta. Al terzo giorno sono riuscita a scrivere qualcosa, che spero vi piaccia almeno un pochino c: Io non so come sia venuto, sinceramente, ma spero che non sia poi così noioso ç_ç
Ringrazio, come sempre, chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! :3 (sì, c'ho poca fantasia in questa parte) x3 <3
Beh, a presto! C:
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 37
*** 2012 pt.7 ***


Montalto di Castro, Lunedì 19 Marzo 2012
 
 
Da quando si era venuta a creare tutta quella situazione, Mika non se ne era mai andato, neanche quando la sua casa discografica lo aveva chiamato, per tornare a Londra. Eppure, aveva solo risposto che aveva tutto sotto controllo e che non poteva tornare in quel momento, per motivi personali, da quello che ero riuscito a capire. Lo sapevo perché lo avevo sentito parlare al cellulare affianco a me, quando credeva che stessi ancora dormendo. Ed il fatto che stesse trascurando, sempre di più, il suo lavoro a causa mia, non faceva che peggiorare ed aumentare i miei sensi di colpa.
Durante la notte, non riuscivo a chiudere occhio per più di un paio di ore. Mi risvegliavo agitato e con il cuore che pompava sangue fin troppo velocemente, dandomi la sensazione di poter esplodere da un momento all’altro. Invece, nel frattempo, le braccia di Michael, come al solito, cercavano di tranquillizzarmi e di farmi stare fermo. Solo dopo qualche minuto, cominciavo a sentire un forte dolore fisico, ma durante quei dolorosi attimi, non potevo fare a meno di muovermi.
Per quanto io lo implorassi di darmi qualcosa, lui si imponeva e, quando davvero diventavo asfissiante, si alterava e mi urlava contro, sgridandomi proprio come farebbe un padre adirato, dopo i numerosi capricci del figlio. Ed io non potevo fare a meno di starmene zitto, rannicchiato ed offeso, rifiutando ogni suo abbraccio, per l'ingiustizia che credevo mi venisse fatta. Mi ha anche buttato tutte le bottiglie che avevo in casa, diamine! Glielo aveva detto il medico di fare così, se avessi cominciato ad insistere troppo, e lui, ovviamente, non poteva far altro che seguire i suoi consigli. Solo dopo, riuscivo a rendermi conto di quanto potesse essere difficile per lui trattarmi in quel modo. Lo vedevo gridare e sbraitare ogni volta davanti ai miei occhi, nonostante si fossero già riempiti di lacrime, per, poi, uscire come gli ordinavo sempre di fare. Ed in quei momenti, lo odiavo con tutto me stesso, perché mi dava un amore che non meritavo affatto e non mi dava la possibilità di amarlo, come lui faceva con me, facendo sì che se ne andasse definitivamente ed evitasse quella sofferenza inutile, proprio come me. Ma, quando lo cacciavo via, per quanto mi facesse male e sapessi quanto lo stessi ferendo, fuori dalla porta, sentivo piangere anche lui e parlare con qualcuno per telefono, probabilmente con Cristie.
La piccola speranza che si stufasse di quella situazione e se ne andasse via per sempre, svaniva quando lo vedevo rientrare e mi sentivo ancora peggio vedendo il suo volto, sul quale leggevo ogni sua angoscia, sofferenza e delusione. Ma dopotutto, come poteva non essere deluso da me?
“Spero che tu un giorno me perdonerà.” Mi aveva sussurrato uscendo dalla camera da letto, dopo la mia ennesima disperata richiesta. E lì, mi ripetevo che mai sarei riuscito a perdonarlo di avermi vietato di stare bene. Tuttavia, poi, quando tornavo lucido e mi rendevo conto di come lo stessi trattando e di quanto dolore gli stessi causando, capivo che effettivamente era lui a dovermi perdonare, e non io. Non sapendo, però, come avrei mai potuto farmi perdonare, sceglievo una strada ancora più dolorosa: cercare di ferirlo a tal punto da non volermi più vedere, ma non funzionava mai. “Io sa che è tua rabbia a parlare.” Mi diceva.
Ma non era del tutto vero. Era anche la mia speranza di non dovere più farmi vedere in quello stato da lui e di evitargli altri momenti così strazianti. Mi guardava con quei suoi occhi ricchi di malinconia, e poveri della loro meravigliosa luce, che tanto li caratterizzava.
 
Tuttavia, quel giorno aveva chiesto a Cris di accompagnarci a Montalto di Castro, per passarci un po’ di tempo. Ma nonostante le mie numerose opposizioni, mi ritrovai, non molto dopo, sul sedile posteriore della macchina, con gli occhi di Mika puntati su di me, che mi osservavano tristemente. Ed io, ovviamente, non potevo riuscire a reggere il suo sguardo e mi limitavo a guardarlo, a disagio, con la coda dell’occhio. Portò improvvisamente la sua mano sulla mia facendomi sussultare appena, ma la ritrassi, ancora più in imbarazzo di prima. Vidi Cris indirizzarmi un’occhiataccia di rimprovero dallo specchietto retrovisore, ma la ignorai totalmente. Lo sentii sospirare scoraggiato e girarsi dall’altra parte, verso il finestrino. Fortunatamente, non eravamo particolarmente lontani, quindi sarei potuto arrivare a casa e chiudermi in una benedetta stanza.
Quando scesi dalla macchina, anche se con un po’ di difficoltà, mi affrettai a prendere quelle poche cose che mi ero portato ed ad entrare. Ormai fisicamente stavo bene. Non riuscivo a fare grandi sforzi, ma stavo bene. Avevo solo un po’ di febbre e mal di ossa, ma decisamente meno di prima.
Non capivo perché fossimo lì e neanche perché non potessimo restare a Roma. Non avevo voglia di stare ancora solo con Mika. No, non è vero. Mi sedetti sul letto maledicendomi per quello che avevo appena pensato. Mi stavo calando troppo nella parte di quello che non lo voleva al proprio fianco. Non era vero. Io volevo passare ogni secondo della mia giornata insieme a lui, ma non in quel modo, talmente umiliante. Stavo cercando di convincermi da solo inutilmente, perché stare insieme a Michael era qualcosa di indescrivibile per me. Riuscivo a stare improvvisamente meglio e lo amavo con tutto me stesso, ma proprio perché lo amavo dovevo comportarmi da stronzo. Dovevo far sì che si allontanasse da me e ritornasse alla sua vita ed al suo lavoro. Non poteva occuparsi di me per sempre.
Mi tornò in mente il giorno in cui avevo fatto il bagno insieme a lui, e rivedendomi nella mia testa in quello stato pietoso, non potei fare a meno di schifarmi. Così come i giorni in cui lo avevo falsamente pregato di andarsene o in cui avevo rifiutato un suo abbraccio. Non gli avevo più detto che lo amavo e neanche avevo più assaporato il sapore della sua bocca. Non mi facevo sfiorare da lui più neanche con un dito e, nonostante mi mancasse quanto l’alcol sentirlo ancora più vicino a me, non dovevo cedere, per lui.
“Che cosa credi di fare con Mika, Marco?” Sentii la voce di Cris riportarmi alla realtà e mi girai di scatto causandomi un inevitabile mal di testa.
“N-niente.” Balbettai impaurito vedendo l’espressione spazientita e, a dir poco, furiosa del suo viso.
“Ah, niente? Quel poveretto è stato con te, al tuo fianco, per tutti questi dannati giorni e… cazzo, se l’avessi visto come l’ho visto piangere io, non ti azzarderesti a trattarlo in questo modo!” Esclamò arrabbiata cominciando ad avanzare verso di me minacciosa, facendomi cadere sul materasso.
“I-io voglio che se ne vada.” Farfugliai incerto abbassando la testa e cominciando a torturarmi le mani, non credendo neanche io a quelle ridicole parole.
“Che cosa?!” Il tono della sua voce stava, pian piano, diventando sempre più alto ed alterato, e mi sentii inevitabilmente nuovamente attaccato da qualcuno, come quando Michael mi vietava di bere.
“Voglio che se ne vada!” Urlai pieno di rabbia ammutolendola immediatamente.
In quell’istante, sentimmo qualcosa cadere, che attirò l’attenzione di entrambi. Vidi Mika, che aveva mollato bruscamente le valigie a terra, comparire sulla soglia della porta poggiandosi pesantemente su essa. Vidi i suoi occhi completamente inespressivi e, poi, il suo volto contrarsi in un’espressione di dolore, come se gli avessero inflitto sul serio qualcosa. Cercai di aprire bocca e far proferire qualche parola, ma fu totalmente inutile. Notai, non molto tempo dopo, i suoi occhi farsi, man a mano, sempre più lucidi e non potei fare a meno di sentirmi un fottutissimo verme. Quando si affrettò ad allontanarsi, Cris mi rivolse un altro sguardo a dir poco deluso e, poco dopo, si decise a seguirlo. Fui tentato anche io di farlo. Avrei voluto dirgli che lo ringraziavo, che lo amavo, che lo volevo al mio fianco e che quelle parole, come aveva detto lui, erano state guidate solo dalla rabbia. Ma il pensiero di avercela quasi fatta nel mio intento mi bloccò, facendomi rimanere seduto su quel letto, dove, solo qualche mese prima, avevamo fatto l’amore.
Sospirai chiudendo gli occhi, cercando di rilassarmi inutilmente e mi portai le mani fra i capelli, affondando la testa tra le braccia. Avevo fatto un’emerita ed imperdonabile cazzata. Cris aveva ragione, come sempre d’altronde: ero stato un vero e proprio ingrato nei confronti di Mika. Tuttavia, ero combattuto. Insomma, ero riuscito a scacciare via il mio egoismo, per fare ciò che credevo fosse meglio per lui, ma, allo stesso, ero consapevole del fatto che lo stessi ferendo. Ecco, in questi momenti avrei bisogno di alcol. Scacciai via anche quel pensiero, senza esito positivo.
Mi alzai e mi diressi lentamente in cucina sperando che non avesse buttato tutto anche lì. Mi fermai vedendolo sdraiato sul divano mentre si copriva il viso con un braccio. Faceva dei respiri profondi, ma spezzati, fatto dovuto di certo al pianto precedente. Dalla finestra, non vidi la macchina, quindi supposi che Cris se ne fosse già andata. Mi nascosi quando si passò una mano sugli occhi per, poi, cominciare a guardare il soffitto. Mi avvicinai al frigorifero, per aprilo, cercando di fare il meno rumore possibile. Mi venne spontaneo deglutire vedendo quella sostanza tanto desiderata in quelle settimane. Chiusi appena la porta, per controllare che non fosse lì e tornai a guardare quella bottiglia dorata che, da amica, si era tramutata improvvisamente in nemica. Allungai, tremando e fremendo, un braccio verso quella piccola medicina letale, che avrebbe potuto porre fine a tutte le mie sofferenze, come, d’altro canto, aveva già fatto. Mi bloccai, però, sentendo un singhiozzo ed un lamento provenire dal salone. Mika. Automaticamente mi ritrassi pensando al suo dolce sorriso, arricchito da quei suoi due incisivi, incorniciati da quelle sue due adorabili fossette, che da tanto, anzi troppo, tempo non vedevo. Se avessi lasciato il via libera all’alcol di rientrare nel mio corpo, non solo io sarei stato inevitabilmente meglio, ma poi mi sarei ritrovato nella situazione di partenza, e così anche Michael. No. Mi resi conto che se avessi ricominciato a bere per, poi, smettere avrei vissuto nuovamente quei giorni interminabilmente dolorosi, ma, soprattutto, li avrei fatti rivivere a lui. No, non posso fare una cosa del genere, né a lui né a me stesso.
“M-Marco, che sta facendo?” La sua voce mi arrivò spezzata ed insicura, proprio come quella di un bambino che non riesce a capire cosa stia succedendo intorno a lui, con l’unica differenza che lui lo sapeva, o meglio, credeva di saperlo.
“N-no, Mika, non è come pensi.” Mi affrettai a richiudere il frigo incontrando inevitabilmente i suoi occhi rossi, ricoperti da una profonda delusione. Cioè sì, ma non proprio.
“Ah, no?” Domandò incerto avvicinandosi a me.
“No, i-io stavo per chiuderlo.” Cercai di spiegargli, ma continuava a guardarmi in modo estremamente dubbioso. “Lo giuro, Michael. Per favore, credimi.” Gli andai anche io incontro cercando di convincerlo a guardarmi negli occhi ed a capire che era la verità. È la verità.
Riaprì la porta mantenendo un’espressione estremamente seria per, poi, prendere tutte le bottiglie e portarle sul piano vicino al lavandino. Oh, no, non starà mica per… Feci un passo verso di lui afferrandolo per il polso, e spostò nuovamente il suo sguardo su di me, sfilando velocemente il braccio dalla mia presa e riprendere a fare ciò che stava facendo. Le stappò, una ad una, buttando via quel liquido nel lavandino.
“Doveva pensarce prima, scusame.” Disse con tono piatto gettandole nella spazzatura, sotto i miei occhi interdetti e paralizzati. “Tu vuole davero che io me ne va?” Domandò all’improvviso poggiandosi con le mani sul piano, spiazzandomi. “Alora?” Insistette alzando appena la voce, facendomi sussultare.
“I-io non lo so…” Risposi incerto cominciando a torturarmi nervosamente le mani, senza alzare la testa verso di lui.
“Risponde!” Si impose urlando, quasi, ed io non potei fare a meno di alzarla, a quel punto, notando, poi, i suoi occhi estremamente impazienti.
“I-io… no.” Mi arresi, alla fine, sentendo, non molto tempo dopo, il mio labbro inferiore tremolare, ma non volevo piangere, ancora una volta, davanti a lui. Non posso permettermelo.
“Good, perché io no me ne sarei andato comunque.” Affermò riavvicinandosi a me e sollevandomi delicatamente il viso con un dito, costringendomi a guardarlo. “I need you, Marco.” Mi sorrise dolcemente facendo sfiorare le mie labbra con le sue.
“M-Mika, io…” Tentai di iniziare a spiccicare qualche parola, ma ero paralizzato da quella vicinanza, grazie alla quale riuscii, dopo tanto tempo, a perdermi nei suoi meravigliosi occhi.
“Please, deve essere sincero. Dimmi che tu ha bisogno di me, come io ha bisogno di te.” Sussurrò con tono quasi disperato e non potei fare a meno di cedere totalmente.
“Io ho bisogno di te, più di qualunque altra cosa. Più della musica e più dell’alcol stesso.” Dissi deciso posando una mano sulla sua guancia, accarezzando le sue labbra con un dito.
“A-are you serious?” Mi domandò sorpreso allontanandosi leggermente.
“Sì,” Lo ritirai a me bramando di rimpossessarmi di ciò che mi apparteneva. “io non volevo farti soffrire ancora, Michael. Ecco perché ho detto che volevo te ne andassi.”
“Io sofre de più senza de te.” Disse, a sua volta, posando la sua fronte contro la mia, ancora un po’ calda a causa della febbre.
“Perdonami, ti prego.” Quella volta fui io ad utilizzare un tono disperato e spezzato da un pianto, che minacciava di rovinare quel momento.
“Ssh, it’s okay. È tuto dimenticato. Noi ne usciremo insieme, okay? I promise you e questa volta la mantengo.” Pensa davvero di aver infranto l’altra?
“L’altra non l’hai mai infranta.” Lo rassicurai soffiando sulla sua bocca, cosa che lo fece, con mia grande soddisfazione, tremare lievemente.
“Dimmi che no saremo semplicemente io e te anymore, but solo noi.” Non capii da subito quella frase, ma sorrisi per il modo con cui l’aveva detto, che vagava fra il supplichevole e l’amorevole.
“Solo noi.” Ripetei facendo sfiorare, nuovamente, le nostre labbra. Le fece combaciare perfettamente, ancora un’altra volta, dopo tanto, con un piccolo movimento, quasi disperato, che mi fece indietreggiare appena, ma sentii la sua mano afferrarmi delicatamente per un braccio e tirarmi a sé, poggiando poi l’altra sul mio fianco. Portai, invece, le mie sul suo viso avvicinandolo ulteriormente a me, approfondendo quel contatto, che da troppo mancava. Quando si decise a mordermi, con delicatezza, che solo lui poteva avere, il labbro inferiore, non esitai minimamente a fargli fare quello che voleva fare. Andò ad accarezzare dolcemente ogni centimetro della mia bocca con la lingua, ed io ne approfittai per riservargli lo stesso identico trattamento. Cercai di riprendere fiato staccandomi da lui, con respiro accelerato. Gli sorrisi posando una mano sulla sua guancia, che però notai leggermente calda, così la spostai sulla sua fronte, sotto i suoi occhi confusi e divertiti. “Michael, Dio, credo di averti attaccato la febbre, scusami.” Dissi dispiaciuto velocemente.
“Don’t worry.” Mi sorrise, a sua volta, riappropriandosi delle mie labbra, con una voracità ed avidità che poche volte aveva utilizzato.
Portai la mano sulla sua spalla attirandolo, ancora di più, a me indietreggiando verso il piano della cucina, contro il quale, poco dopo, andai a sbattere e Mika ne approfittò per poggiare delicatamente il suo corpo sul mio, facendoli combaciare perfettamente, proprio come le nostre bocche. Mi sollevò appena e mi fece sedere, allargando le mie gambe e posizionandosi fra di esse. Quando si spostò sul mio collo, baciandolo e mordicchiandolo, non potei fare a meno di fare un piccolo sospiro di piacere, che si accentuò quando mosse il suo bacino contro il mio.
Lo volevo. Volevo, per l’ennesima volta, dopo tanto tempo, fare l’amore con lui. Volevo sentirmi, di nuovo, un tutt’uno con lui. Volevo sentire il suo respiro sulla mia pelle. Volevo rivedere i suoi occhi accesi da quel desiderio, che si univa a quella loro magnifica dolcezza.
Lo accarezzai salendo dalle gambe fino al bordo della maglietta, pronto a sfilargliela, ma fui bloccato dalle sue stesse mani. La cosa, però, mi creò non poca confusione. Lo osservai disorientato chiedendogli spiegazioni con lo sguardo.
“Marco, tu è ancora così debole a-and io ha paura de farte… male.” Mi spiegò abbassando la testa, imbarazzato.
“No,” Gliela alzai lentamente facendo sì che mi guardasse bene mentre gli parlavo. “tu non mi fai mai male” Dissi vedendolo, poi, mordicchiarsi il labbro. “ed io ho bisogno di te.” Soffiai sulle sue labbra, sulle quali, subito dopo, poggiai le mie godendo del loro sapore.
Scesi verso il suo collo riprovando a levargli la maglietta e, quella volta, non oppose resistenza. Continuai a lasciargli dei baci fino a scendere verso la spalla, sulla quale lasciai una piccola scia di morsi, finendo sul suo petto. Lo sentii sospirare rumorosamente ed avvicinarsi ulteriormente a me, creando un altro inevitabile scontro fra i nostri bacini, che mi provocò una piacevole e forte scossa lungo tutto il corpo. Quando, però, portò la sua mano al cavallo dei miei pantaloni, non potei fare a meno di lasciarmi scappare un gemito più alto degli altri, dopo il quale mi alzò il viso ricatturando le mie labbra. Tentai di slacciargli rapidamente la cintura, ma mi fermò sfilandomi la maglia e facendomi sdraiare. Anche se, curioso delle sue intenzioni mi rialzai poggiandomi sui gomiti per guardarlo meglio. Lo vidi arrossire e nascondere il viso nell’incavo del mio collo, lasciandoci ogni tanto dei baci. Fece lo stesso percorso fatto da me, poco prima, accarezzandomi però solo con la lingua. Vederlo muoversi in quel modo su di me, non fece che aumentare la mia eccitazione e, non molto tempo dopo, sentii i pantaloni farsi decisamente troppo stretti. Cercai di sbottonarli, per darmi un minimo di sollievo, quando stavano cominciando a farmi davvero male, ma le sue mani prontamente si posarono sulle mie bloccandole ancora. Mi fece un sorriso malizioso, ma pieno di soddisfazione, che non aveva mai presagito nulla di buono. Senza distogliere il suo sguardo dal mio, si portò sul rigonfiamento ormai evidente, lasciandoci dei baci e dei morsi attraverso la stoffa. Socchiusi gli occhi a quei contatti, che si ripetevano più e più volte, lasciando, invece, che dalla mia bocca fuoriuscissero i versi ed i gemiti più disparati. Lo sentii sorridere compiaciuto e staccarsi da me cominciando ad armeggiare con i miei pantaloni, sbottonandoli ed abbassando la cerniera lentamente, cosa che contribuì a farmi andare sempre più vicino al limite. Gemetti più rumorosamente, buttando leggermente la testa all’indietro, quando finalmente si decise a liberare la mia erezione da quei dolorosi ed inutili strati, che mi separavo da un piacere ancora più piacevole. Imprecai contrariato facendolo ridere, quando risalì tornando verso il mio collo per, poi, mordicchiarmi dolcemente il lobo.
“Who was molto impaziente, signor Mengoni?” Sussurrò con tono estremamente provocante facendomi salire un brivido lungo la schiena. Signor Mengoni.
Sarei potuto venire in quel preciso istante, se non avessi preso un altro respiro profondo imponendo al mio corpo di non cedere così presto.
Intrecciai le mie dita fra i suoi riccioli aggrappandomi a lui, mentre allungava la sua mano facendole avvolgere il mio membro stuzzicandolo, forse in modo anche fin troppo spudorato.
Iniziai ad ansimare contro il suo orecchio, senza darmi alcun limite di controllo. Tanto, ormai… Mi lasciò diversi baci sulla guancia cominciando, poi, a scendere nuovamente fino all'inguine, indirizzandomi un altro sguardo estremamente malizioso, prima di gettarsi a capofitto sulla mia intimità, provocando l'inevitabile uscita di un urlo strozzato dalle mie labbra. Sussultai quando sentii la sua lingua percorrere il suo profilo, fino a risalire soffermandosi improvvisamente sulla parte superiore.
“Michael…” Sospirai chiudendo gli occhi e lasciandomi andare completamente a ciò che le sua bocca mi stava donando.
Era una sensazione troppo piacevole, forse ancora di più delle altre volte. Per quanto avessi provato a darmi un minimo di contenimento, ogni tentativo risultò completamente inutile. Mi venne in mente il fatto che quella era la prima volta che facevamo l’amore nella nostra casa. Mi morsi incredulo il labbro inferiore. Era strana come cosa, ma resomene conto non riuscii a non sorridere ed accarezzargli delicatamente la guancia, attirando la sua attenzione. Mi guardò con quei suoi occhi, che avevano assunto un color cioccolato, e mi sorrise lievemente riavvicinandosi a me, facendo sfiorare dolcemente i nostri nasi e posando le sue labbra sulle mie. Approfittai di quella vicinanza per cominciare a sbottonare i suoi pantaloni ed abbassarli leggermente infilando la mia mano nei suoi boxer, dai quali potei osservare soddisfatto la sua erezione. Sussultò a quel contatto contraendo il viso in un’espressione di dolore, che lì per lì mi preoccupò, ma quando lo vidi sorridere compiaciuto e lasciarsi andare al piacere, attaccandosi a me e respirando affannosamente contro la mia pelle, continuai cercando di dargli almeno una minima parte delle emozioni che lui era riuscito a dare a me.
“Ti amo, Marco.” Ansimò lasciando dei baci delicati sul mio collo.
Mi bloccai per un attimo a quelle parole, che da tanto non gli sentivo dire e non ero riuscito io stesso a pronunciare. Mi guardò confuso, quasi terrorizzato, trattenendo il respiro, ma mi affrettai a tranquillizzarlo.
“Ti amo anch’io.” Gli dissi, a mia volta, vedendo, poco dopo, i suoi occhi farsi rapidamente lucidi. Mi resi conto di quanto lui possa aver sofferto in quelle interminabili e dolorose settimane. Forse, l’avevo fatto sentire davvero poco amato, a tal punto di dubitare del mio amore nei suoi confronti. Era stata una delle cose più ingiuste e cattive che io gli avessi potuto fare. Mi alzai col busto avvolgendolo fra le mie braccia, sentendolo, poi, ricambiare stringendomi forte a sé. “Scusami, Mika, io non avrei dovu...” Mi azzittì baciandomi ed accarezzandomi dolcemente i capelli, gesto che aveva fatto spesso in quel periodo, ma che forse, ingiustamente, non ero mai riuscito ad apprezzare abbastanza.
Mi fece adagiare nuovamente sul piano distendendosi su di me, posando le sue labbra sul mio torace e sul mio collo per, poi, guidare il suo membro contro la mia apertura. Mi aggrappai automaticamente a lui tentando di controllarmi. Per la prima volta, sentii un po’ più di dolore, ma cercai di riprendere fiato respirando più velocemente.
“A-amore, vede? No poso, tu sta male.” Affermò guardandomi preoccupato.
“No.” Replicai semplicemente, a mia volta, attaccando nuovamente le mie labbra alle sue ed azzardando una spinta contro di lui, facendolo inevitabilmente ansimare contro di esse.
Cominciò a muoversi lentamente, impaurito da qualsiasi movimento brusco che avrebbe potuto fare. Continuai a vederlo insicuro inizialmente, ma, pian piano, riuscì a lasciarsi andare, forse anche grazie alle mie parole ed ai respiri di piacere, che proprio lui mi stava riuscendo a provocare.
Non importava se mi facesse male o meno, perché alla fine riuscivo a stare bene. Il suo modo di fare l’amore era il più dolce, ma anche il più passionale, che una persona potesse avere. E nonostante il dolore, sentivo la necessità di essere una persona sola insieme a lui, dopo tanto tempo, e di fargli capire quanto mi dispiacesse del modo ingiusto in cui l’avevo trattato e che lo amavo più di qualunque altra cosa.


#MyWor(l)d
Saaalve! c:
Allora, sì, forse era ora che dopo quasi tre mesi facessero l'amore, dai u.ù 
Ma cooomunque, mi scuso per l'ennesimo ritardo e spero sia stato di vostro gradimento! :3
Come al solito, un grazie a tutti voi, per essere sempre qui! *-* <3 Aw, vi adoro <3
A presto! <3
Un bacione,
Michaels 
 

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Capitolo 38
*** 2012 pt.8 ***


Montalto di Castro, Martedì 20 Marzo 2012
 
 
Mi alzai di scatto col busto ritrovandomi, da subito, nel calore delle braccia di Michael, che continuava a stringermi a sé. Ci risiamo. Come quasi tutte le notti, in quel periodo, mi ritrovavo a fare i conti con quelle circostanze che andavano ormai contro la mia volontà. Sì, perché io non volevo svegliarmi improvvisamente, durante la notte, col fiato corto ed il mio cuore che minacciava di andarsene via dalla gabbia toracica. Erano quei momenti in cui era il mio corpo a richiedere qualcosa, che però non poteva avere e che io, ormai, non volevo più. Sapevo sarebbe stata ancora lunga e difficile, ma non ci volevo avere più niente a che fare.
“It’s okay, it’s okay.” Cominciò a ripetermi quella piccola frase, che forse un po’ troppo stavo sentendo ed un po’ troppo spesso lui stava pronunciando, soprattutto con quel tono rassicurante, ma pur sempre preoccupato.
“M-Michael, aiutami.” Lo implorai aggrappandomi alla sua maglietta e lui sapeva che quando lo dicevo era perché, improvvisamente, come se fossi tornato ai primi giorni di quell'agonia, non riuscivo a muovermi più come avrei voluto ed avevo bisogno del suo ausilio per arrivare anche solo in bagno.
Se avessi saputo quello che avrei passato ed avrei fatto passare a Mika iniziando a bere, non avrei mai incominciato. Eppure, era diventato qualcosa di così importante per me nei momenti più difficili. Una sottospecie di amica, che amica propriamente non si poteva definire. Mi aveva pugnalato alle spalle, in un certo senso. Ma, nonostante fosse diventata importante per me, Michael era diventato essenziale per cominciare a vivere. E l’essenziale è molto più di importante.
Ogni volta che sentivo le sue braccia avvolgere il mio corpo, era l’ennesima conferma che lui era ancora lì, insieme a me, e non mi aveva mai abbandonato lasciando che cadessi, di nuovo. La mia ingratitudine non l’aveva portato via e mi resi conto anche che, probabilmente, mi amava più di quanto io effettivamente, ed ingiustamente, pensassi.
La cosa che, forse, mi faceva stare peggio, però, era il fatto che i primi tempi, prima ancora di tornare lui stesso a dormire, aspettava ogni volta che io mi addormentassi, cosa che, tuttavia, non succedeva spesso, ma in quelle ultime due settimane, forse fortunatamente, crollava appena il suo corpo entrava in contatto con il letto. Quindi la sua stanchezza era talmente forte da riuscire a passare sopra le preoccupazioni. Per me, era decisamente meglio che lui riuscisse a chiudere occhio, ma mi rendevo conto di quanto fosse esausto da quella situazione.
Sapevo che non potevo permettermi di fare altri errori con Michael, perché, anche se fosse restato per sempre al mio fianco, sapevo che avrebbe sofferto ancora, e non volevo mai più che ciò accadesse.
 
Mi risvegliai lentamente e leggermente infastidito, quando sentii qualcosa di bagnato ed appiccicoso entrare, più e più volte, in contatto con la mia mano. Cercando di mettere a fuoco ciò che avevo davanti, vidi un grande ammasso di peli color miele, che mi fissava con quei suoi occhietti adorabili. Mel.
“Ciao, bella.” Farfugliai richiudendo gli occhi ed accarezzandogli dolcemente quel suo musetto. “Grazie per avermi svegliato. Ti assumerò come mia sveglia personale.” Continuai sentendola scodinzolare più velocemente, così tornai a guardarla. “Che c’è? Vuoi salire qui?” Le domandai divertito, ma neanche il tempo di battere una mano sul letto una seconda volta che già era lì, fra le mie gambe, schiacciandomi sotto il suo peso. Mi lasciai scappare alcuni lievi colpi di tosse, che, però, si trasformarono, non molto tempo dopo, in delle piccole risate. “Ah, Mel, ho trattato malissimo tuo padre, sai.” La ricominciai ad accarezzare, ma mi bloccai rendendomi conto di quella penultima parola che avevo pronunciato. Padre. Ma sì, alla fine, per Melachi, Mika era come un padre. Insomma, si prendeva cura di lei, la amava alla follia, la coccolava e la viziava appena poteva. Da quando lo avevo conosciuto, ero convinto del fatto che sarebbe stato un ottimo padre, e non credevo affatto di sbagliarmi. Che pensieri che te fai di prima mattina, ciccio. “Ma tu… ieri eri in casa? Sì, beh, sai, quando io e Mika… Sì, dai, hai capito.” Mi continuò a guardare chinando appena la testa di lato, confusa probabilmente. Ma mi capisce, sul serio? “Non mi sembra di averti vista. Forse, eri in giardino. Beh, scusami, ma meglio così, sarebbe stato abbastanza imbarazzante. Molto probabilmente, non mi sarei potuto concentrare con i tuoi occhietti vispi ad osservarci.” Fece un piccolo verso, molto simile ad un lamento, poggiando il suo muso sulla mia gamba, come ad ignorare ciò che le avevo detto. “Nun ce stavi, giusto?” Domandai, di nuovo, accigliando lo sguardo, per prenderla in giro. Tanto non mi risponderà.
Mi stiracchiai distendendomi un po’ di più e sbadigliando, ma mi bloccai quando andai a colpire, senza essermene reso conto prima, il volto di Michael, al quale forse ero troppo vicino. Prima che potessi scusarmi, però, lo vidi aprire gli occhi di scatto ed alzarsi immediatamente dal letto.
“D-don’t touch me!” Urlò improvvisamente cominciando, poi, a respirare più velocemente e più affannosamente.
Mi spaventai vedendolo così confuso e disorientato, ma mi affrettai a raggiungerlo mettendomi in ginocchio sul materasso, per far sì che mi guardasse bene e cercasse di riconoscermi, uscendo da quella sua fase di smarrimento, quasi totale.
“Mika, ehi.” Tentai di attirare la sua attenzione, ma i suoi occhi vagavano per la stanza impauriti, come se stessero cercando qualcosa. “Amore, guardami.” Presi il suo viso fra le mani. “Non è successo niente. Sono stato io, scusami.” Gli spiegai velocemente passando una mia mano fra i suoi riccioli.
Il suo petto non faceva altro che andare avanti ed indietro continuamente, con una rapidità che cominciò, piano piano, a diminuire quando lo strinsi fra le mie braccia e gli feci posare delicatamente la testa sulla mia spalla, aspettando che si regolarizzasse e si calmasse. Di certo, il fatto che Mel stesse abbaiando accanto a noi, non migliorava la situazione, ma cercai di non pensarci facendole semplicemente un cenno di mano che la tranquillizzasse. Avevo paura che stesse facendo un altro incubo su quello che gli era successo prima di tornare a Londra. D’altronde, era già capitato, di rado, ma era già capitato.
“Sorry.” Mugugnò affondando il viso nell’incavo del mio collo ed io ne approfittai per chinarmi appena e lasciargli un piccolo bacio sulla guancia.
“Non devi scusarti.” Sussurrai sdraiandomi sul letto e facendolo adagiare sopra di me. Si accoccolò contro il mio petto prendendomi per mano e cominciando a giochicchiare con le dita. “Stavi…” Sospirai bloccandomi, per un attimo, indeciso se fargli quella domanda o meno. “Stavi facendo qualche brutto sogno?” Gli chiesi infine stringendolo, ancora di più.
“No, me sono spaventato a basta.” Rispose alzando lo sguardo verso di me, rivolgendomi un sorriso forzato.
“Mi dispiace.” Avvicinai il mio viso al suo lasciandogli un bacio fior di labbra. “Ti ho fatto male?” Passai un dito dove l’avevo erroneamente colpito, e mi resi conto che era proprio poco sotto quella piccola cicatrice, che ormai fortunatamente stava diventando sempre meno visibile.
“No.” Sussurrò scuotendo la testa a destra e sinistra, lasciando un altro bacio sul mio collo per, poi, accoccolarsi nuovamente contro il mio torace.
Anche se non stava facendo un incubo, sapevo bene che la storia di Matteo non l’aveva ancora del tutto digerita ed i sensi di colpa non poterono che accentuarsi ulteriormente. Non volevo vivesse nella paura che, in qualsiasi momento, le persone avrebbero potuto fargli del male e che qualsiasi movimento potesse risultare motivo di incertezza e, appunto, di paura. Era anche per quello se volevo scoprire dove si trovasse quel delinquente e fargliela pagare: per farlo sentire un po’ di più al sicuro. Non poteva essere sparito nel nulla.
Vidi, non molto tempo dopo, la sua schiena alzarsi ed abbassarsi sempre più frequentemente ed il suo respiro farsi sempre più pesante. Mi chinai appena, per vedere se si fosse addormentato o meno, e mi fu dato l’onore di rivedere il suo viso mentre era nel suo stato più innocente dell’intera giornata. Sì, perché ci sono volte in cui è davvero tremendo. I suoi occhioni chiusi, coperti da qualcuno dei suoi ciuffetti ribelli, e quella sua bocca perfetta semiaperta, che permetteva di far intravedere i suoi adorabili dentoni, che spesso si erano ritrovati a mordicchiare dolcemente la mia pelle, proprio come il giorno precedente. Non potei fare a meno di sorridere ricordando quei meravigliosi attimi, avvenuti solo qualche ora prima, in cui avevamo fatto l’amore. Avrei potuto rifarlo in quel preciso istante, se non fosse stato così distrutto. Infilai le mani sotto la sua maglietta sentendolo, poco dopo, rabbrividire leggermente e vedendo il suo viso contrarsi in un’espressione quasi infastidita. Quando si sistemò meglio su di me, ne approfittai per coprirlo ancora. Posai una mano sulla sua fronte rendendomi conto che aveva ancora un po’ di febbre. Eravamo stati in contatto, in quell’intero mese, solo la notte effettivamente, ma non riuscivo a non pensare da quanto tempo sapeva di averla e da quando la stava completamente ignorando. Quando glielo avevo fatto notare il giorno prima, non ne era rimasto poi così sorpreso. Lo sapeva già.
“Sei proprio un testone, Michael.” Affermai quasi divertito.
Ed era la verità. Era un vero e proprio testone. Se si metteva una cosa o un’idea in testa, era impossibile smuoverlo e fargliela cambiare. Era testardo proprio come un mulo.
 
“Te la sente de fare una pasegiata? È una bela giornata.” Mi disse senza girarsi continuando ad osservare il paesaggio che si estendeva davanti a lui, fuori dalla finestra.
“Hai la febbre, amore. Evitiamo.” Risposi vedendolo, poi, ritornare a guardarmi pregandomi con lo sguardo. “Oh, no. Non ci provare. Non ce la farai questa volta.” Distolsi il mio dal suo, mentre si avvicinava e si sedeva al mio fianco sul divano. “Non provare a farmi quegli occhi, capito?!” Continuai a riportare ed a spostare lo sguardo dal suo viso, che continuava a pregarmi come il peggiore dei bambini.
“Please, Marco, please. Please, please, please.” Mi pregò con tono supplichevole saltellando. Non. Cedere.
“Hai la febbre.” Affermai cantilenando e guardando il soffitto. Bravo, Marco. Continua così.
“But, io vuole uscire!” Si lamentò rimettendosi seduto composto. “Come on, do you love me?” Ma che..
“Ma che razza di domande sono?!” Esclamai scandalizzato ed, in parte, indispettito.
“Dai.” Disse divertito portandosi rapidamente su di me ed avvicinando le sue labbra al mio collo, soffiandoci sopra, facendomi venire inevitabilmente la pelle d’oca.
“B-beh, i-io…” Sospirai osservando il percorso che la sua mano aveva deciso di intraprendere scendendo lungo il mio corpo. “s-sai, non è b-bene uscire in q-queste c-condizioni.” Lo vidi sorridere soddisfatto da quella mia reazione spostandosi, poi, sul mio lobo, cominciando a mordicchiarlo dolcemente.
“Come on.” Disse, un’altra volta, facendomi sussultare, quando lo sentii sfiorarmi fra le gambe.
“M-Mika, n-non voglio c-che ti ammali, ancora.” Balbettai in difficoltà continuando ad osservare attentamente ogni suo movimento.
“E if io dice che dopo te dare un premio?” Domandò con tono fin troppo malizioso. Questo si chiama gioco scorretto.
“B-beh, sai, io sono più uno che prende, prima di dare qualsiasi cosa.” Cercai di reggergli il gioco tentando di risultare, almeno in minima parte, provocante quanto lui.
“Oh, really?” Chiese spavaldo staccandosi ed incatenando i miei occhi ai suoi, talmente luminosi e belli, dall’aspetto angelico.
Si avvicinò pericolosamente a me facendo sfiorare i nostri nasi appena e soffiando sulle mie labbra. Mi stava facendo impazzire ed era proprio quello che voleva. Cercai di placare, almeno in parte, tutti i pensieri che vagavano nella mia mente ed il desiderio che avevo di lui, avanzando verso la sua bocca, ma, con mia grande sorpresa, lo vidi allontanarsi e privarmi di ciò che volevo. Sta facendo sul serio? Sul suo viso comparve un ghigno quasi sadico, ma fui riportato alla realtà quando sentii le sue mani intrufolarsi sotto la mia maglietta e cominciare ad accarezzare lentamente i miei addominali appena accentuati. Sospirai nuovamente a quel magico tocco, sia per le sue dita, a dir poco, gelide che, e soprattutto, per la sensualità con cui si muovevano. Le fece salire fino al petto alzandomi la maglietta, facendo entrare in contatto il mio corpo con il freddo della casa. Mi rivolse un ultimo sorriso malizioso per, poi, chinarsi e posare le sue labbra su ogni centimetro della mia pelle, che riuscivano a trovare.
“M-Michael…” Niente, oggi non riesco a smettere di balbettare.
Non vedendo alcuna risposta da parte sua, ma, anzi, continuò a scendere fregandosene del fatto che mi stesse mandando completamente fuori melone, mi decisi a fermarlo ed a prendere il suo viso fra le mani tirandolo a me, azzerando finalmente le distanze fra le nostre bocche. Intrappolai il suo labbro inferiore intrufolando velocemente la mia lingua nella sua bocca, esplorandola. Cercò di riprendere fiato, ma non gli diedi neanche il tempo di farlo che cominciai a spingermi prepotentemente contro di lui, che perse, per un attimo, stabilità rischiando di cadere all’indietro. Tuttavia, per mia fortuna, si aggrappò alla mia spalla, spostando, poi, la sua mano sul mio collo approfondendo quel bacio. Ci separammo, io più soddisfatto che mai, ritrovandoci entrambi col fiato corto ed il respiro affannato.
“Tu è proprio un picolo combina guai.” Ansimò guardandomi negli occhi.
“Tu non mi devi provocare.” Deglutii buttando pesantemente la testa sullo schienale del divano. Lo sentii ridere e, come se niente fosse, posare nuovamente le sue labbra sul mio collo. “Sei sicuro di poter uscire?” Gli domandai mentre, ormai, sembrava fin troppo concentrato a farle entrare in contatto, più volte, poco sotto la mia mandibola. Punto sensibile anche quello, ma cercai di controllarmi e di distoglierlo da quello che stava facendo.
“Yes, la febre è bassa.” Farfugliò senza dare tregua alla mia pelle. Bene, perché non posso resistere un minuto di più.
“Okay, andiamo, allora.” Dissi cercando di alzarmi, ma mi bloccò facendomi ricadere, poco dopo. “Che c’è?” Gli chiesi confuso.
“No sono più seguro de voler andare a fare una pasegiata.” Affermò con fare innocente. Ah, davvero?
“Ma è una bella giornata.” Imitai le parole che mi aveva detto lui stesso, non molto tempo prima. “Forza,” Gli lasciai un bacio sulla guancia facendolo sollevare e ricadere sul divano. “andiamo.” Sbuffò divertito raggiungendomi. “Aspetta,” Lo bloccai, però, vedendo il suo abbigliamento un po’ troppo leggero per le sue condizioni. “copriti.” Dissi mettendogli una sciarpa ed una giacca abbastanza pesante.
“Crazie.” Mi sorrise lasciandomi un altro bacio a fior di labbra e, una volta chiamata Mel, mi prese per mano per, poi, dirigerci fuori.
 
“Sai, stavo pensando: a te piace di più quando ti chiamo ‘Mika’ o quando ti chiamo ‘Michael’?” Gli chiesi improvvisamente accarezzandogli il dorso della mano, mentre osservava il cielo come incantato.
“Mh, you know, prima no me piaceva il nome Michael…” Iniziò a parlare, ma rimasi perplesso da quella risposta.
“Cosa?! Me lo potevi dire. Per tutto questo tempo ti avrei chiamato solo Mika!” Esclamai interrompendolo dispiaciuto ed in imbarazzo.
“Lasciame finire!” Esclamò, a sua volta, divertito. “Diceva. No me piaceva, ma da quando me ce chiama tu me piace tantisimo.” Affermò sorridendomi dolcemente. Aprii bocca per dire qualcosa, ma mi azzittì precedendomi. “E poi, me piace because ‘Michael’ es più lungo de ‘Mika’, so io poso ascoltare de più suono de tua voce.” Arrossii a quell’affermazione abbassando lo sguardo. Si fermò prendendomi entrambe le mani, ma ero troppo felice, ma anche fin troppo imbarazzato, da quello che aveva appena detto, quindi me ne stetti, per un po’, a testa bassa mordicchiandomi nervosamente il labbro inferiore. “Ehi,” Ma quando me la alzò lentamente non potei fare a meno di immergermi da subito in quel piccolo, ma meraviglioso mondo, improvvisamente verdognolo, quale erano i suoi occhi. “ti amo.” Posò delicatamente la sua mano sulla mia guancia accarezzandomi con un dito il labbro, che stavo sottoponendo ad una sottospecie di vivisezione, ponendo fine a quel gioco nervoso.
“Anch’io.” Sorrisi appena per, poi, ricongiungere ancora ed ancora le nostre labbra, che incontrai a metà strada. “È bello qui.” Dissi, dopo un po’, riprendendo a camminare.
“Già, è tuto così… green!” Esclamò entusiasta avvolgendomi con un braccio intorno al collo. Lo osservai pensando a quanto fosse bello vederlo felice ed a quanto fosse bello esserlo insieme a lui. La luce che lo caratterizzava sembrava essere tornata. I suoi dentoni venivano, ormai sempre, incorniciati da quelle sue due adorabili fossette, che aggiungevano perfezione alla perfezione. Volevo che ogni giorno passato insieme raggiungesse i livelli del Paradiso, di cui tutti parlavano. Niente sofferenze. Solo gioie. Solo amore. Sempre e solo noi. Non volevo nient’altro dalla vita, ma mi rendevo conto che, anche se erano poche cose, erano quelle più difficili da conquistare. Difficili ma non impossibili. E sapevo che io e Michael ci saremmo riusciti un giorno, perché eravamo già a metà strada. Avevamo il nostro amore ed eravamo semplicemente solo noi. “A che pensa?” Sussultai risentendo quel suono melodioso.
“Niente di importante.” Risposi sorridendo. Quei progetti li avremmo esauditi insieme, ma non dovevamo correre e se ne fosse venuto a conoscenza, probabilmente, ci saremmo concentrati solo su quelli. Io volevo che fosse una cosa spontanea a cui arrivare, esausti magari, ma soprattutto soddisfatti. Però, sapevo che erano le stesse cose che voleva anche lui, quindi non ci restava che aspettare e proseguire il nostro percorso insieme. “A proposito di cose importanti, amore, ti devo dire una cosa.” Dissi storcendo il naso.
“Tell me.” Vidi il suo viso contrarsi in un’espressione quasi terrorizzata. “Ce sediamo, però?” Mi chiese indicando un posto all’ombra, sotto un albero. Annuii accarezzandogli la mano sulla mia spalla, mentre tenevo stretta l’altra. Si sedette e mi fece accomodare fra le sue gambe, facendomi poggiare la schiena contro il suo torace, dal quale stranamente riuscii a percepire il suo battito leggermente irregolare. “Dimmi.”
“Stamattina ho parlato con Marta e mi ha chiesto se dovevamo sospendere il tuor teatrale o meno e, beh… le ho detto di no.” Dissi tutto d’un fiato chiudendo gli occhi terrorizzato da ogni sua possibile reazione.
“What?!” Urlò girandomi verso di lui ed obbligandomi a guardarlo. “Are you completamente fuori de testa?!” Continuò con espressione totalmente preoccupata.
“I-io veramente credo di essermi ripreso e…” Iniziai a spiegare quel poco che c’era da spiegare, ma mi fermai vedendolo scuotere la testa da una parte all’altra.
“Tu no può, Marco. Tu è ancora debole. Ma dimmi, cosa ti è saltata in testa? Tu sta already male!” Mi rimproverò osservandomi attentamente.
“No, sto bene, invece. Il tour inizierebbe il 19 Aprile, quindi avrei tutto il tempo di recuperare.” Cercai di rassicurarlo in qualche modo, forse inutilmente.
“Marco, tu rischia e io no volio che ti senta male durante un concerto.” L’espressione del suo viso, mentre lo diceva, era estremamente seria. Ma aspetta, ha usato un congiuntivo? Ah, vabbé.
“Andrà tutto bene. Dura poco, okay?” Feci un altro sorriso vedendolo, poi, passarsi dubbioso la lingua sulle labbra, gesto che, giusto per la cronaca, mi aveva fatto quasi mandare a quel paese la ragione, facendomi considerare seriamente la possibilità di fare l’amore sotto l’albero in quel preciso istante.
“Okay, ma io venire con te.” Cosa?! Disse, in fine, spiazzandomi completamente.
“Cosa?!” Mi guardò perplesso, probabilmente per l’espressione sorpresa che aveva assunto il mio viso e per il tono che avevo utilizzato. “C-cioè sarebbe fantastico, però io non voglio che tu trascuri un minuto di più il tuo lavoro.” Cercai di spiegargli velocemente quella mia reazione.
“Io ha tuto soto controlo.” Affermò sicuro.
“Facciamo così, tu vieni a Milano il 19. Il mio staff mi sta cercando una casa lì, quindi dovrebbe essere facile, no? Resti lì, se ti va, e ti concentri sul tuo nuovo disco, okay? Non voglio che trascuri ancora il tuo lavoro.” Ripetei per essere sicuro che capisse le mie intenzioni.
“Tu te ne va da Roma?” Domandò perplesso stringendomi la mano.
“Per adesso è solo per avere un appartamento lì, dato che ci dovrò andare spesso. Ma resto stabilmente qui. E comunque, abbiamo sempre la nostra casa.” Sussurrai sorridendogli e posando delicatamente le mie labbra sulle sue.
Era meglio così. Si doveva concentrare sul suo nuovo album. Non volevo chiedergli se fosse riuscito a scrivere qualcosa o meno, visto che l’ultima volta in cui glielo avevo domandato non era andata molto bene. Mi adagiai nuovamente contro il suo petto poggiando la testa sulla sua spalla, per osservarlo meglio in ogni sua perfezione. Perché sì, era la perfezione.


#MyWor(l)d


Saaalve! c:


Uh, due giorni di seguito! Sono troppo contenta *w* <3
Bene, che dire... Mh, boh x3 Non so. Spero sia di vostro gradimento e non mi resta che leggere le vostre opinioni! c:
Ringrazio, come di consueto, in particolare chi recensisce, perché aw, mi riempite il cuore di gioia ogni volta con le vostre meravigliose parole! Grazie mille, davvero <3
Poi, ovviamente, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! Grazie! *w* <3

Un bacione,
Michaels

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Capitolo 39
*** 2012 pt.9 ***


Milano, Venerdì 20 Aprile 2012
 
 
Alla fine, Mika aveva deciso di venire con me a Milano per la prima data del tour teatrale, che sarebbe terminato a Roma a fine Maggio. Da quello che avevo capito, lui si sarebbe fermato lì per un po’ per, poi, eventualmente andare e tornare da Londra, viste le pressioni, forse più che giuste, della sua casa discografica. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto se fosse venuto con me per tutte le tappe, sapevo che non poteva non concentrarsi sul suo lavoro. Ormai, era anche giunto il momento di farlo. Durante quel mese, però, le sue condizioni erano diventate non poco instabili, e sinceramente stavo cominciando a preoccuparmi sempre di più, nonostante lui dicesse di stare bene e che fosse più che normale avere un po’ di febbre. , effettivamente forse sarebbe stato normale, se fosse durata qualche giorno, ma ormai erano più di trenta giorni che andava e veniva, alcune volte in modo più intenso, altre invece meno. Ma ciò non toglieva il fatto che non stesse bene. A tutto ciò, inoltre, si aggiungevano una strana agitazione ed un’estrema stanchezza. Quindi, non mi poteva venire a dire fosse tutto normale, perché non lo era e volevo capirci assolutamente qualcosa.
 
Quando rientrai, accompagnato da Marta, dopo il primo concerto, la casa era stranamente avvolta nel più completo silenzio e non potei che bloccarmi alla porta, per sentire meglio un qualsiasi rumore.
“Forse si è addormentato.” Affermò poggiando una mano sulla mia spalla, avendo probabilmente notato il fatto che fossi in pensiero.
Volsi il mio sguardo verso di lei leggermente preoccupato. Avevo parlato con Michael al telefono nemmeno dieci minuti prima. Credevo fosse già andato a dormire a quell’ora, ma mi aveva chiamato lui stesso, per chiedermi come fosse andata. Dopo un attimo di esitazione, mi affrettai ad andare in camera, per accertarmi che stesse bene. Tirai un sospiro di sollievo vedendolo dormire, con Melachi ai piedi del letto.
“Che fai? Vegli sui sogni di papà?” Domandai scherzoso, ormai quasi rilassato, accarezzandole la testolina pelosa.
“Vedi? Sta bene. È normale che si sia addormentato a quest’ora, è tardi.”  Mi rassicurò rimanendo appoggiata allo stipite della porta.
“Sì, però, come ti ho detto, mi sto preoccupando. La febbre va e viene in continuazione, e poi, è spesso nervoso e molto stanco.” Replicai passandogli delicatamente un dito sulla guancia, avendo paura di poterlo svegliare da un momento all’altro, spaventandolo.
“L’ho notata anche io questa agitazione.” Disse rivolgendomi, però anche lei, un’occhiata preoccupata. Allora, non sono solo io.
Come se non fosse bastato, la sua testardaggine non aveva paragoni. Non ne voleva sapere affatto di chiamare un medico, riuscendo a convincermi talaltro, rifilandomi la storia del “ma poi ci scoprirebbero”. Così, ho chiamato Cristie, per farmi dare il numero di suo cugino, che, giusto per sottolineare il suo essere testone, lui stesso non mi voleva dare. Tuttavia, neanche Sebastiano aveva saputo dire molto, dopo averlo visitato, se non di fargli prendere alcuni antibiotici e di tenerlo semplicemente sott’occhio. Ma ciò che aggiungeva ansia all’ansia, era il fatto che io non avrei potuto farlo per via dei concerti. Ecco spiegato perché lo avessi incitato a tornare a Londra, dove aveva più conoscenze ed amici, o almeno di restare a Roma, dove aveva Cris, ma ovviamente è un fottutissimo zuccone. Comunque, mi aveva spiegato che sarebbe potuta essere febbre da stress. Sì, era stato così nervoso da ammalarsi, e tutto per colpa mia.
Un suo piccolo lamento attirò l’attenzione di entrambi. Lo vidi contrarre il viso in un’espressione infastidita e sofferta per, poi, rilassarsi appena affondandolo nel cuscino. Sorrisi guardandolo: sembrava proprio un bambino malato, un po’ troppo cresciuto, tutto rannicchiato su sé stesso.
“Guarda, vieni.” Le sussurrai facendole un cenno di mano, invitandola ad avvicinarsi al letto, mentre tenevo una mano leggermente poggiata sul suo petto. Venne verso di noi e titubante fece la stessa cosa sgranando, poi, gli occhi sorpresa. “Senti? Non è normale avere un battito così irregolare, soprattutto quando si dorme.” Cercai di convincerla del fatto che le mie preoccupazioni non fossero del tutto infondate, ed avevano le proprie ragioni.
“Effettivamente…” Disse allontanandosi e raggiungendo il posto di prima.
“Possiamo chiamare un medico di qui, Marta? Per favore, è da troppo tempo che sta così. Ho paura che possa essere qualcosa di grave. Gli antibiotici non gli fanno più di tanto. All’inizio sembrano funzionare per qualche ora o qualche giorno, ma poi niente, ritorna tutto al punto di partenza.” La pregai sperando che capisse. Sospirò guardandomi comprensiva per, poi, annuire. “Grazie.” Le dissi sollevato.
“Più tardi lo chiameremo, ma adesso vai a letto e riposati. E ricordati, però, che non ci potrai essere durante la visita e su questo non voglio sentire obbiezioni.”
“M-ma…” Cercai di oppormi, ma un suo piccolo cenno mi fece capire che non potevo proprio starci.
Non era giusto, però. Michael era stato sempre al mio fianco, quando ero stato male, perché io non potevo fare lo stesso? Volevo e dovevo stare accanto a lui. Ma perché non siamo a Roma…
“Notte.” Disse semplicemente andandosene.
“Aspetta, prendi le chiavi.” Si bloccò e mi guardò confusa mentre gliele porgevo. “Non si sa mai, nel caso tu venissi direttamente con questa persona, io non potrei venirti ad aprire e Mika... non so, tu prendile e basta.” Le spiegai ricevendo un altro sorriso da parte sua.
“A più tardi.” Le sorrisi, a mia volta, riconoscente.
Riportai i miei occhi su di lui, che continuava ad abbracciare il cuscino, rannicchiato. Posai una mano sulla sua fronte facendo attenzione a non essere brusco, e la sentii ancora lievemente calda, ma non in modo eccessivo.
Tutta quella situazione lo aveva portato ad un tale nervosismo da fargli salire la temperatura e causargli qualche altro problema e mi sembrava estremamente strano, in quel momento, perché non sapevo e non credevo, nella mia ignoranza, forse, in campo medico, fosse possibile una cosa del genere. Mi ricordai, però, che gli era già successo qualche anno prima, quando eravamo stati a Londra, ma non fino a quel punto, almeno. Non così tanto. Mi ripromisi che, in quei quattro giorni prima di ripartire, avrei scoperto e risolto ciò che lo faceva stare così. Potevo capire lo stress tra quello che avevamo passato e le pressioni sul disco, ma tutto ciò doveva avere una soluzione, anche perché, dopo così tanto tempo, doveva stare tranquillo. Inoltre, ero convinto del fatto che, nonostante volesse farmi credere di non essere per niente preoccupato delle sue condizioni, forse per non far inutilmente stare in pensiero proprio me, anche lui lo era, e la cosa non faceva che aggiungere, di conseguenza, altro stress.
 
La mattina, avrei voluto aspettare che fosse lui ad alzarsi, per evitare di spaventarlo, ma, quando ormai sapevo che Marta sarebbe arrivata con un medico da un momento all’altro, mi decisi a svegliarlo io. Cominciai a passargli delicatamente una mano fra i capelli sentendolo, poi, mugugnare contrariato qualcosa di incomprensibile.
“Michael, svegliati.” Sussurrai a poca distanza dal suo orecchio cercando di essergli il più vicino possibile per avvolgerlo subito fra le mie braccia, nel caso avesse cercato di alzarsi di scatto. “Amore, dai.” Continuai parlandogli dolcemente. Farfugliò qualcos’altro e lo vidi stringere appena gli occhi per, poi, aprirli lentamente. Mi guardò, per un attimo interminabile, in modo non poco confuso. “Buongiorno.” Ritentai lasciandogli un bacio sulla guancia.
“Marco.” Biascicò facendo un lieve sorriso, richiudendoli e stringendomi a sé.
“Non vorrei svegliarti, amore, ma tra un po’ arriva Marta con un dottore e…” Li riaprì di scatto guardandomi preoccupato.
“Te senta male?” Mi domandò frettolosamente interrompendomi e posandomi una mano sulla fronte, facendomi ridere lievemente.
“No, tranquillo.” Gliela presi spostandola ed accarezzandogliela delicatamente. “È per te.”
“Ma io sta bene.” Disse contrariato e non potei fare a meno di rivolgergli uno sguardo di rimprovero.
“Per favore, ho bisogno di stare sereno in queste settimane e voglio capire che cos’hai.” Tentai di sensibilizzarlo, affinché lo facesse più per me, che per sé stesso. Forse funziona.
“Okay.” Sbuffò richiudendo gli occhi.
“Io, purtroppo, non posso stare qui, ma devo stare in un’altra stanza. Non volevo non mi trovassi con te, senza una ragione.” Gli spiegai osservando bene il suo viso, sul quale si poteva vedere benissimo la sua stanchezza.
“Va bene, alora me cambia.” Disse come rassegnato lasciandomi un bacio a fior di labbra.
Lo aiutai allora ad alzarsi continuando a ripetergli di stare tranquillo e sereno, ma alla fine quello che risultava più nervoso fra i due ero proprio io, come dice lui.
 
Nonostante i miei sforzi di stare in silenzio e sentire attentamente ogni dialogo, ogni frase ed ogni parola che veniva pronunciata in camera da letto, non riuscii a capire un bel niente e, inevitabilmente, cominciai a preoccuparmi ed a fremere per la voglia di sapere. Continuavo a mordicchiarmi ossessivamente le unghie ed a muovermi nervosamente per la stanza. Già prima, si vedeva esausto e non poteva, dopo più di un mese, continuare a stare così. Appena sentii la porta di casa chiudersi, dopo un tempo che sembrò interminabile, uscii velocemente per tornare da loro. Se ne stava seduto sul letto mentre parlava con Marta sussurrando, e non mi piaceva affatto. Perché sussurrano? Non ce ne era bisogno. La cosa cominciò a diventare sempre più preoccupante quando si resero conto della mia presenza per, poi, fermarsi di colpo. Mika cercò di rivolgermi un sorriso rassicurante, che, tuttavia, risultò completamente inutile.
“Allora?” Dissi avvicinandomi e sedendomi accanto a lui e prendendolo per mano. Rivolse un altro sguardo verso di lei, che gli sorrise lievemente. Dio. “Michael…” Cercai di fargli riportare i suoi occhi su di me cercando di capire eventualmente se mi avrebbe mentito o meno.
“I’m fine. It’s come ha deto cugino di Cris: essere solo stress.” Mi spiegò guardandomi in modo estremamente dolce, che sembrava sincero.
“Già, deve stare a riposo, per un po’.” Aggiunse Marta attirando la mia attenzione. “Considerando, poi, che negli ultimi tempi va meglio, basteranno anche un paio di settimane.” Proseguì posando una sua mano sulla spalla di Mika, che continuava ad osservarmi come a voler capire qualcosa in più di ciò che stavo pensando.
Negli ultimi tempi va meglio? Era quello ciò che avevano detto al medico? Non era propriamente la verità, però.
“Ma non è vero.” Affermai dubbioso e, soprattutto preoccupato.
“Me ha anche controlato presione, and it’s okay. Un po’ alta, ma va bene. Qualche days e io starà bene.”
“M-ma devi prendere qualcosa?” Gli domandai cercando di essere il più informato possibile.
“No, don’t worry. I have to solo riposare.” Mi rispose stringendo forte la mia mano.
Nonostante stessero cercando di convincermi che andasse tutto, più o meno, bene, non avrei saputo spiegare esattamente per quale motivo, non mi convincevano affatto. Era strano, fin troppo anche. Tuttavia, se quello era ciò di cui realmente aveva bisogno, non volevo oppormi o creargli altri problemi, che avrebbero potuto compromettere ulteriormente il suo stato di salute.
 
 
Sabato, 21 Aprile
 
 
Lo osservavo attentamente, seduto sul divano, mentre continuava ad andare nervosamente avanti ed indietro per la stanza ascoltando pensieroso ciò che gli dicevano per telefono. Da quello che avevo capito, si trattava, come del resto sempre in quei giorni, della sua casa discografica, alla quale avrei tanto voluto urlare contro e spiegare che, se si fossero ostinati a fargli tutte quelle pressioni, la situazione di Mika sarebbe andata man a mano peggiorando e che, quando gli sarebbe venuta qualche fottutissima idea, l’avrebbe messa per iscritto. Ma, ovviamente, non avrei mai potuto farlo, perché probabilmente mi avrebbe ammazzato lui stesso senza pensarci due volte.
Si ostinava a torturarsi le labbra con le dita mordicchiandosi, ogni tanto, le unghie e, avendo paura che si potesse fare del male sul serio, mi alzai e gli abbassai prontamente il braccio facendolo sussultare per, poi, fargli segno di smetterla con la testa. Mi guardò con espressione confusa e contrariata riprendendo ad ascoltare ciò che gli veniva detto. Sospirò come rassegnato passandosi una mano fra i capelli, una volta chiusa la chiamata, non molto tempo più tardi.
“È tutto okay?” Gli domandai incerto posando una mano sulla sua spalla, facendolo girare, e mi rivolse un sorriso quasi forzato posando la sua su di essa, accarezzandola.
“Yes, but, deve tornare a Londra.” Rispose guardandomi con fare dispiaciuto.
“Oh, okay.” Dissi semplicemente abbassando leggermente gli occhi, in parte deluso.
“D-deve andare anche a Los Angeles para iniziare a registrare a-and…” Tentò di iniziare a parlare, ma io non potei fare a meno di concentrarmi su quel ‘registrare’.
“Aspetta, hai scritto qualcosa, quindi?” Alzai la testa di scatto sorridendo.
“Yes, b-but…”
“Michael, ma è fantastico!” Esclamai avvolgendolo fra le mie braccia e lasciandogli dei baci sul collo, sentendolo ridere flebilmente.
Non sapevo se essere felice o meno nel complesso, perché avrebbe significato non vederlo per quasi un mese e mezzo, ma, allo stesso tempo, anche che avrebbe potuto concentrarsi sul suo disco, dopo essere riuscito a scrivere finalmente qualcosa. Tuttavia, non potei non pensare al fatto che non si sarebbe potuto rilassare completamente, però avrebbe avuto più persone amiche al suo fianco, e la cosa non poteva, di certo, non rincuorarmi.
“Io ha paura che tu te può sentire male, anche durante la note.” Affermò, dopo un po’, staccandosi e guardandomi con sguardo estremamente serio e preoccupato.
“Non ti preoccupare.” Cercai di tranquillizzarlo rivolgendogli un lieve sorriso. “Piuttosto, ho paura di qualsiasi cosa potrebbe succederti.” Aggiunsi posando delicatamente la mano sulla sua guancia.
“Don’t worry.” Disse, a sua volta, avvicinando il suo viso al mio, facendo strofinare appena i nostri nasi. Adoro quando lo fa.
“Q-quando parti?” Chiesi titubante incatenando i miei occhi ai suoi, visibilmente tristi.
“Crede domani.” Sospirò abbassandoli, privandomi della loro vista per, poi, riportarli su di me ed alzare un angolo della bocca, facendomi un mezzo sorriso forzato. Anche se vedere una fossetta sola risultava strano, era comunque stupendo. “No volio andare via.” Fece come un lamento affondando il viso nell’incavo del mio collo.
“Neanche io, ma è giusto così, Mika. È anche ora che ti concentri sul tuo nuovo disco, e vedrai che questo periodo passerà in fretta.” Lo rassicurai accarezzandogli dolcemente la schiena. “L’unica cosa che ti chiedo, però, è di rimanere sereno e di cercare di rilassarti, senza lasciarti mettere sotto pressione da nessuno. So che è difficile, ma cerca di farlo, per favore.” Aggiunsi con tono, a dir poco, supplichevole stringendolo ulteriormente a me. Quando lo sentii tirare su col naso, non potei che rimanerne sorpreso, così mi staccai leggermente da lui allontanandolo e prendendogli il viso tra le mani, scoprendo i suoi occhi lucidi ed il suo naso appena rosso. “Amore, non piangere, ti prego.” Gli asciugai velocemente le lacrime lasciandogli un bacio all’angolo della bocca, proprio dove si stava facendo strada una di loro. “Mi prometti che ci proverai?” Sussurrai cercando di sorridere, vedendolo, poco dopo, annuire e tornare nella posizione di prima. “Andrà tutto bene.” Lo strinsi nuovamente a me cullandolo lentamente.
“A-and if tu ha uno di tuoi atacchi? Io volio stare con te, Marco.” Mi spiegò con voce spezzata.
“Sto bene e devi stare tranquillo, okay? Me l’hai promesso.” Lo rimproverai dolcemente stringendo la sua mano ed accarezzandogli il busto con l’altra.
“Io ti ha promeso che ce prova, no che lo farà.” Si lamentò sciogliendo l’abbraccio ed asciugandosi il viso con la manica della felpa.
“Beh, allora, promettimi che lo farai.” Dissi cercando il suo sguardo, tentando falsamente di risultare il più tranquillo possibile, per non innervosirlo ulteriormente.
“Mh…” Continuava a guardarsi le scarpe muovendo una gamba avanti ed indietro.
“Allora?” Insistetti divertito incontrando finalmente i suoi occhioni tormentati.
“Okay.” Farfugliò rigettandosi fra le mie braccia. “Ma tu me promete che me chiamerà prima de ogni concerto, durante pause fra una song e altra, alla fine e when torna in hotel?” Disse più serio che mai.
“Ma…” Lo guardai divertito facendo una piccola risata. “Posso prometterti che ti chiamerò prima, durante le pause, perché non potrei mettermi, come ben sai, a parlare al telefono con te sul palco, dato che alcune volte neanche scendo alla fine di una canzone, anche se non mi dispiacerebbe, quando finisco e quando sono in albergo.” Gli spiegai velocemente ricevendo uno sguardo, a dir poco, confuso da parte sua.
“What?!” Risi inevitabilmente ancora guardando l’espressione buffa che aveva assunto il suo viso.
“Ti chiamo quando hai detto tu, ma le pause in programma sono solo due, va bene?” Rettificai.
“Me acontenta.” Sorrise appena per, poi, chinarsi e posare delicatamente le sue labbra sulle mie. “Oviamente anche durante giornata ce sentiamo, right?” Aggiunse staccandosi improvvisamente, per un attimo.
“Certo.” Scossi la testa, ancora più divertito di prima, riprendendo a baciarlo.
Ero felice che quel suo blocco si fosse finalmente deciso a lasciarlo in pace ed a lasciare che si esprimesse al meglio. Ero consapevole del fatto che mi sarebbe mancato da matti, ma era giusto che riprendesse ciò che aveva interrotto e, forse, era meglio anche che riuscisse a stare un po’ lontano da me. Per quanto mi facesse male ammetterlo, era proprio a causa mia se stava così. L’unica cosa che desiderassi davvero era che lui riuscisse ad essere completamente felice e sapevo bene che con la musica ed esprimendo la sua arte poteva riuscirci. E niente più della sua felicità poteva essere più importante per me.


#MyWor(l)d
Saaalve!
Mamma mia, scusatemi per questo assurdo ritardo! Chiedo venia, chiedo venia, chiedo venia ç___ç 
Come state? Spero bene! <3
Capitolo così... scritto un po' di getto, ma spero sia comunque di vostro gradimento. Chiedo scusa anche per degli eventuali errori e, soprattutto, se non rispondo subito alle vostre recensioni. Prometto che entro domani pomeriggio lo farò! Grazie mille <3
Che poi... sto così rinco da credere di aver pubblicato il 17, ed invece no, mi rendo conto solo ora di aver pubblicato il 18, aw *w* questo perché non guardo mai l'orologio, ma vabbé. FESTA NAZIONALE. No, no. MONDIALE. Tutti insieme a festeggiare! *w*
Come al solito, ringrazio chi recensisce la storia, chi l'ha messa fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! Doppio grazie mille <3 :3
Un bacione,
Michaels 

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Capitolo 40
*** 2012 pt.10 ***


Roma, Domenica 27 Maggio 2012
 
 
Era arrivata l’ultima data del tour, che finalmente stava giungendo al termine, e non a caso a Roma. Mika era lì. Finalmente, dopo più di un mese, sarei riuscito a rivederlo, stringerlo di nuovo fra le mie braccia ed assaporare le sue labbra. Gli avevo parlato il giorno prima, mentre ero in macchina con Marta, e sembrava sereno. Le registrazioni andavano bene ed era riuscito non solo a scrivere molto, ma anche a stare finalmente con i suoi amici e con i suoi parenti, di cui, non lo nascondo, ero un po’ geloso. Non solo per il fatto che avessero potuto stare con lui ogni giorno e curarlo, ma soprattutto perché potevano stare con lui in pubblico, senza timore. Ma alla fine, se ci andavo a ripensare, di lì a poco, lo avrei riavuto al mio fianco, e questo bastava. Purtroppo, per molto poco tempo, perché doveva tornare appena dopo una settimana a Londra e, poi, nuovamente a Los Angeles, e non avrei potuto seguirlo. Non per impegni o qualcos'altro, ma semplicemente non volevo essergli ancora di intralcio nel suo lavoro. Doveva assolutamente concentrarsi, anche perché mi aveva detto che doveva ultimare l’album entro i primi di Settembre, e non è che mancasse, poi, così tanto. Nel frattempo, però, la cosa certa era che mi sarei goduto quei giorni insieme a lui.
Avevo tentato di scoprire cosa avesse veramente, ma né Michael né Marta erano stati disposti a spiegarmelo. Avrei voluto anche conoscere qualcuno della sua famiglia, per chiedere se quello che mi diceva e mi arrivava per telefono fosse la verità o meno. Invece niente, dovevo fidarmi di quello che sosteneva lui, ossia che stava bene. Anche se ciò che mi avevano detto entrambi, ed il modo in cui l’avevano fatto, non mi aveva convinto per niente.
Ero riuscito ad arrivare presto, e mancava tanto al concerto. Non potevo che esserne felice: avrei passato ancora più tempo con Mika. Salutai frettolosamente la mia manager prendendo tutto ciò che mi serviva, rifiutando ogni tipo di aiuto, per entrare e correre immediatamente dentro il palazzo, nel quale, a non molta distanza da me, si trovava l’unico uomo con cui volessi passare il resto della mia vita. Mi scusai più volte con degli sconosciuti, che rischiai di investire durante il tragitto, ma chissene frega. Il mio cuore non ne voleva sapere di rallentare la velocità con cui si andava a scontrare contro la mia gabbia toracica. Era bello stare bene, senza dover ricorrere ad aiuti esterni. Era davvero meraviglioso, ed anche se delle volte era stato davvero difficile, i primi tempi, sapevo di potercela fare, e tutto grazie al ragazzo più straordinario dell’Universo e non solo.  
Spalancai la porta con un sorriso che da troppo tempo non avevo, ed entrai in casa lasciando cadere a terra le valigie, con noncuranza, sperando di ritrovarmelo magari sul divano a pigiare i tasti del telecomando della tv, in disuso, come più volte aveva fatto. Tuttavia, non lo vidi neanche in salone.
“Michael!” Lo chiamai sperando in una risposta, ma tutto ciò che riuscii a sentire fu qualcosa cadere, una porta spalancarsi e dei passi provenire dal corridoio.
Mi mossi cercando di capire che diavolo stesse combinando e lo vidi, finalmente, con un sorriso grande quanto il mio.
"Marco!" Neanche il tempo di dirgli qualcosa, che sentii le sue braccia avvolgere il mio corpo e sollevarmi leggermente. “You are here! Oh, God, Marco, ti amo.” Disse muovendosi appena da una parte all’altra, e non potei fare a meno di ridere affondando le mie dita fra i suoi riccioli.
Mi sistemai meglio avvolgendo la sua vita con le mie gambe e posando le mie mani sulle sue spalle, per guardarlo meglio. Non sembrava affatto stanco, anzi sembrava addirittura sereno. I suoi occhi brillavano di luce propria ed i suoi dentoni e le sue immancabili fossette riuscirono, ancora una volta, a darmi la sensazione di star sognando.
“Ti amo immensamente, Michael.” Dissi posando una mano sulla sua guancia.
“Che significa?” Domandò sorridendomi dolcemente.
“Significa che il mio amore per te è immenso.” Risposi semplicemente sorridendogli, a mia volta.
“Imenso?” Arricciò il naso divertito.
“Infinito, proprio come i tuoi occhi, la tua voce, la tua bellezza… proprio come te.” Affermai incantato osservandolo.
Mantenendo quell’espressione divertita e confusa avvicinò il suo viso al mio facendo sfiorare i nostri nasi ed unendo finalmente le nostre labbra. Sentirlo così vicino era così bello, così come sentire di nuovo il suo sapore. Le sue si continuavano a muovere sulle mie, con delicatezza, fino a quando non lo sentii catturare il mio labbro inferiore sentendo, poi, la sua lingua cominciare ad esplorare la mia bocca, desiderosa di quel contatto così intimo. Chinai appena la testa tornando improvvisamente a guardarlo: aveva gli occhi chiusi, ma ci metteva così tanta dolcezza e passione, che non potei fare a meno di sorridere per, poi, tornare anch’io in quel mondo magico, in cui solo lui riusciva a creare e portarmi. Quando aveva cercato, però, di allontanarsi, gli accarezzai il collo tirandolo ulteriormente a me impedendoglielo, facendolo, poi, sorridere sulle mie labbra. Ansimai sulle sue cercando di riprendere fiato e tornando a fare ciò di cui avevo bisogno. Sentii le sue mani, che erano ben salde sui miei fianchi e li accarezzavano, spostarsi verso le mie gambe per tenermi meglio. Ci allontanammo lentamente e posai la mia fronte sulla sua perdendomi, ancora una volta, nei suoi occhi senza fine.
“Damn, quanto me sei mancato.” Sussurrò poggiando la testa sulla mia spalla ed io ne approfittai per rimettermi con i piedi per terra, preoccupato del fatto che si potesse stancare troppo. Posai una mano sulla sua guancia non sentendola fortunatamente calda. Mi sorrise prendendola e lasciandoci un bacio delicato per, poi, abbracciarmi di nuovo. “Come ha andato tour?” Mi chiese staccandosi e guidandomi verso il divano.
“Molto bene, tu invece? È tutto okay con l’album, giusto?” Domandai, a mia volta, vedendolo, poi, annuire lievemente.
“Siamo a buon punto.” Rispose con aria soddisfatta abbassando, poi, però, la testa e cominciando a giocherellare con le mie dita.
“Sicuro?” Continuai cercando il suo sguardo, perplesso da quell’improvviso incerto comportamento.
“Yes, sure, but,” Incatenò nuovamente i suoi meravigliosi occhi ai miei. “segueme.” Aggiunse alzandosi. Lo guardai confuso, ma mi lasciai portare dove voleva andare. Rimasi sempre più sorpreso vedendolo entrare nel mio studio. Ma che ha… Si sedette sullo sgabello leccandosi appena le labbra. È nervoso?  “Volio farte sentire una cosa.” Disse strofinando le mani sulle gambe, come ad asciugarle, portandole, poi, su quei tasti bianchi e neri, iniziando a suonare una melodia, che sembrava da subito dolce e confortevole.
 
Love is a drug and you are my cigarette
Love is addiction and you are my Nicorette
Love is a drug, like chocolate, like cigarettes
I'm feeling sick, I've got to medicate myself


Quando sentii la sua voce, a dir poco, perfetta pronunciare quelle prime parole, ebbi una strana, ma piacevole sensazione, cercando di far attenzione alle parole che le sue labbra pronunciavano. Non sapevo, però, se stesse parlando di sé stesso, o di me sinceramente, ma mi limitai ad ascoltare l’amore che traspariva già dalle prime strofe. Volevo vedere dove voleva arrivare.
 
I want your love, don't try to stop me
Can't get enough, still hanging on me
Your guilty heart, don't let it break you
And if you pray, well, no one's gonna save you

 
“Voglio il tuo amore, non cercare di fermarmi”? Uh, e chi te ferma, tesoro mio. E poi, ce l’hai già. Più ascoltavo le sue parole e più mi convincevo che quella canzone era il resoconto, se non lo specchio, non solo degli ultimi mesi, ma anche di tutti questi anni passati assieme. Alzò, per un attimo, la testa facendo incontrare nuovamente i nostri occhi. I suoi, però, li vidi leggermente lucidi, e spaventati, forse da quello che avrei potuto pensare di quelle frasi ed in quel momento.
 
Like everyone that you fear 
And everything you hold dear
Even the book in your pocket.
You are the sun and the light
You are the freedom I fight
God will do nothing to stop it

Rimasi incantato guardandolo, mentre pronunciava quelle frasi, a dir poco, magiche. Lui era il sole e la luce, non io, che rappresentavo solo oscurità, nel suo mondo. Lui era la libertà per cui combattevo, non io, che ero diventato come una crudele prigione. Era riuscito a mettere tutto ciò che lui era per me, in una canzone, indirizzandomela, o almeno credo. Tentai di aprire bocca e dire qualcosa, ma, a parte il fatto che non ci riuscii, non volli rovinare neanche un secondo di quei meravigliosi attimi. Lasciai solo che le lacrime salissero lungo il mio corpo e che mi offuscassero la vista, che però mi preoccupai di far tornare da subito chiara, volendo vederlo perfettamente.
 
The origin is you
You're the origin of love
 
Cantò quelle due strofe alzandosi leggermente, ma continuando a suonare con quelle sue dita perfette, ed avvicinando il suo viso al mio, soffiando, poi, sulle mie labbra facendomi salire un brivido lungo la schiena. Stava scherzando, vero? Io sarei l’origine dell’amore? Ma è lui! Era sempre e stato solo lui. Io ero solo stato, per tanto, anzi troppo tempo l’origine del suo dolore. Non poteva provare e credere una cosa del genere.
 
Well, if God is a priest and the devil a slut
Now there’s a reason for loving
Like every word that you preach
Like every word that you teach
With every rule that you breach
You know the origin is you
 
Io non sapevo davvero cosa dire. Rimasi incatenato ai suoi occhi, mentre ascoltavo attentamente le parole che aveva scritto ed utilizzato, accompagnate da quella musica dolcemente stupenda. Mi poggiai al pianoforte, e mi resi conto che le mie mani non la smettevano di tremare e le lacrime di scendere lungo le mie guance. Era un’emozione troppo forte, soprattutto se andavo a ripensare a quando lo osservavo da lontano. Poi, il primo bacio, il primo Natale insieme, la prima volta che avevamo fatto l’amore, ‘Tonight’, il primo Capodanno a Londra… e tutte quei momenti venivano accomunati da lacrime di gioia e commozione, causate da emozioni altrettanto forti.

 
From the air I breathe, to the love I need
Only thing I know, you're the origin of love
From the God above to the one I love
Only thing that's true, the origin is you
 
Mi chiedevo come avesse fatto ad entrare nella mia testa e trascrivere tutto ciò che avrei voluto scrivergli io. Lui era aria e l’origine di tutto. Mi asciugai timoroso le lacrime passandomi il braccio sul viso, tornando, poi, a guardarlo, mentre anche lui era sul punto lasciar spazio alle lacrime, si morse appena il labbro inferiore.
 
Like stupid Adam and Eve they found their love in a tree
God didn't think they deserved it
He taught them hate, taught them pride
Gave them a leaf, made them hide
Let's push their stories aside
You know the origin is you
 
In quei piccoli frammenti, riuscii a notare l’amarezza nel suo sguardo. Forse, quelle frasi per lui rappresentavano proprio il non poter uscire allo scoperto e vivere la propria libertà, per cui alla fine stavamo combattendo insieme. Libertà che neanche Adamo ed Eva erano riusciti ad avere, in un primo momento, come potevamo aspettarci che anche noi potessimo finalmente averla?
 
Some love's a pill and some love is a candy cane
It tastes so sweet but leaves you feeling sick with pain
Your love is air, I breathe it in around me
Don't know it's there but without it I'm drowning
 
Non può averlo detto davvero. Quando stavamo lontani, era esattamente come soffocare. Se non c’era, era come se non ci fosse stata l’aria. Quel maledetto nodo alla gola rischiava di farmi fare un fastidioso singhiozzo, che avrebbe rovinato quel momento, così cercai di reprimerlo il più possibile, serrando la bocca e lasciandomi andare invece ad un pianto silenzioso. I suoi occhi erano come ipnotizzati coi miei, appena offuscati, ma potei notare anche i suoi brillare, assumendo un colore grigiastro.
 
Love, you're the origin of love
Love, love, love…
 
Pronunciava quel ‘love’ con un tale, appunto, amore, mentre ormai le lacrime scendevano anche lungo quel suo viso perfetto, che non potei fare a meno di inginocchiarmi accanto a lui e posare le mie labbra sulle sue, quasi azzittendolo. Niente di più bello poteva fare per me. Niente di più bello poteva dire.
 
Thank God that you found me
Thank God that  you found me…
Love… Thank God that  you found me…
 
Cantò le ultime strofe sussurrandole appena contro la mia bocca per, poi, sollevare lentamente le mani dal pianoforte e portare sulle mie guance bagnate asciugandole, e mi decisi a fare la stessa identica cosa. Aumentai il ritmo con cui mi muovevo su di lui nel tentativo di fargli capire quanto gli fossi grato e ti quanto quella canzone rispecchiasse anche i miei sentimenti.
“Tu sei matto.” Dissi affannato facendo una piccola risata commossa ed imbarazzata.
“No crede di esere mato, perché tuto quelo che ho deto it’s you, it’s me, it’s us. È noi, ma tuto parte da te. You’re the origin of love.” Replicò con voce leggermente spezzata.
“Mika, ma non è vero.” Affermai asciugandogli le ultime lacrime ed intrecciando le mie mani al suo collo.
“Sì, invece. That’s the truth. Questa è prima song che sono riuscito a scrivere dopo un anno e mezo, and…” Un anno e mezzo?
“Un anno e mezzo?” Chiesi sorpreso. Ma non era andato a Los Angeles meno di un anno fa?
“Yes, quando io provava, canzoni erano sbagliate, but, this one is perfect. I know it. I’m sure about that, perché it’s you.” Spiegò rivolgendomi uno dei suoi incantevoli sorrisi. Poggiai una mano sul suo petto, e sentii il battito del suo cuore ancora irregolare, allora lo guardai preoccupato cercando di capire cosa gli stesse succedendo, di nuovo. “Don’t worry, I’m okay. It’s just l’emozione.” Mi rassicurò passando delicatamente un dito lungo il profilo del mio collo, facendomi venire la pelle d’oca. Gli credo.
“Io non so davvero come ringraziarti.” Sussurrai poggiando la mia fronte contro la sua accarezzandogli dolcemente la guancia.
“Io deve ringraziare te, perché mi ha dato tuto quelo di cui aveva bisogno.” Sussurrò, a sua volta, per, poi, riunire le nostre labbra.
Fu un contatto dolce, lungo, ma non frenetico. Semplice. Rimanemmo così, senza muovere neanche un muscolo. Sembrava un legame così… essenziale, ma era soprattutto indistruttibile.
 
 
Lunedì, 28 Maggio
 
 
Tour finito, uguale, più tempo con Mika. Non vedevo l’ora di tornare a casa. Era tardi ormai e gli avevo detto di andare pure a dormire, appena avevo finito il concerto, e che saremmo stato tutti quei giorni insieme senza problemi, lasciandosi finalmente convincere.
Ero ancora scombussolato, sinceramente, dall’idea che quella canzone sarebbe stata per sempre dedicata a me, come mi aveva detto lui stesso il giorno prima.
Rientrai e, fortunatamente, non si sentiva un bel niente, quindi cercai di fare il meno rumore possibile, dirigendomi in camera da letto. C’era solo la luce della lampada accanto al letto, dalla parte del mio comodino, grazie alla quale riuscii a vederlo dormire beatamente abbracciato al cuscino. Tuttavia, rimasi sorpreso nel vederlo dormire solo in boxer e, nonostante non facesse per niente freddo, avevo paura che le sue condizioni di salute non si fossero ancora del tutto ottimizzate, così, per non svegliarlo, presi una coperta leggera, ma prima di coprirlo, poggiai la mia mano sul suo petto, per controllare che il battito fosse regolare o meno, e mi sentii profondamente sollevato di non sentirlo per niente accelerato. Alla fine, mi aveva detto che non era tutto quello che mi avevano riferito lui e Marta, ma che non si ricordava il nome che gli aveva detto il medico. Ma come si può? Ma tentò di tranquillizzarmi spiegandomi che ormai stava bene e che, come potevo ben vedere, era in ottima forma. Vero… Comunque, lo coprii per, poi, chinarmi e lasciargli un leggero bacio sulla testa vedendolo contrarre il viso appena in un’espressione infastidita e coprirsi ancora di più. Bambino.
 
Tuttavia, prima di mettermi a letto insieme a lui, dovevo assolutamente lavarmi. Non potevo mettermi a dormire in quel modo: tutto sudato. Doccia o bagno? Mh… scelta difficile… Ah, vada per il bagno. Tanto prima che mi addormento co’ tutta ‘sta adrenalina. Dopo aver aspettato un po’ che si riempisse abbastanza ed essermi spogliato velocemente, mi immersi nell’acqua calda facendo un sospiro di sollievo, ma mi bloccai un attimo a ripensare quello che era successo, non molto tempo prima, in quella vasca. Chiusi gli occhi, però, cercando di scacciare via quei brutti ricordi, che ormai facevano parte del passato. Era una sensazione così piacevole sentire tutti i nervi tesi distendersi sotto quel meraviglioso e rilassante abbraccio caloroso.
Non potei non sorridere ripensando a Michael, pochi attimi prima. Mentre dormiva, sembrava proprio un bambino. Era semplicemente adorabile. Il bello, però, era che, nonostante facesse uscire il suo lato puerile anche in quel momento, riusciva ad essere, per giunta, dannatamente sexy. Ecco, ‘sti pensieri a quest’ora nun li devi proprio da fa'. 
“Marco, amore, sei here?” La voce di Mika mi distolse dai miei pensieri facendomi sussultare appena.
“Michael, sono in bagno.” Mi affrettai a rispondergli vedendo, non molto tempo dopo, la sua testa riccioluta comparire sulla porta e le sue labbra aprirsi in un dolce sorriso. “Che ci fai sveglio?” Gli chiesi quasi sussurrando, avvicinandomi al bordo vicino a lui.
“Voleva vedere se era arivato, ma no c'era, so io ha chiamato te, ma tua mobile phone era here a casa.” Mi rispose rimanendo fermo lì. Gli rivolsi, a mia volta, un piccolo sorriso facendogli segno di avvicinarsi e mi alzai appena incontrando le sue labbra a metà strada. “You know, I'm molto bravo a fare masagi.” Aggiunse staccandosi improvvisamente. 
“Ah, sì?” Dissi curioso incantandomi a guardare i suoi occhi. 
“Mh, mh.” Annuì portando un dito sotto il mio mento tirandomi ulteriormente a sé. “Così te puoi rilassare.” 
“Forse, però, è meglio che tu vada a dormire. È molto tardi.” Gli accarezzai la guancia. Sembra stanco…
“Well, anche tu dovresta, ma no lo fai.” Replicò incrociando le braccia al petto. 
“Lo sai meglio di me che dopo un concerto è difficile andare subito a letto.” Dissi divertito dal suo atteggiamento.
“Come on, io dorme quando tu dorme.” Disse, a sua volta, mettendosi in ginocchio davanti a me, poggiandosi al bordo e cominciando ad osservarmi con quei suoi occhi, talmente intensi, quanto innocenti.
Lo guardai confuso, per un attimo, ma poi fui io ad avvicinarmi ed a strofinare delicatamente il mio naso col suo, cosa che faceva soprattutto lui solitamente.
“Vuoi venire qui con me?” Gli domandai vedendo, poi, un sorriso più grande dei precedenti farsi spazio sul suo volto. 
Sembrava non aspettare altro. Lo vidi levarsi l'unico indumento che lo copriva sentendo, poi, la bocca farsi improvvisamente asciutta. Deglutii inevitabilmente a vuoto facendogli fare una piccola risata, mentre mi raggiungeva. Sentii le guance andarmi a fuoco ed abbassai immediatamente lo sguardo cominciando a far finta di osservare attentamente l'acqua, finché non avvolse le mie spalle con un braccio facendomi sussultare.
“Come on!” Esclamò ridendo e scuotendomi appena. 
“C-che c'è?” Chiesi incerto.
“You're so shy certe volte, Marco,” Continuò divertito. “but altre you're so audace.” Aggiunse mettendosi a pochi centimetri dal mio volto. Audace?
“B-beh, io...”
Rimasi stordito, ancora una volta, da quelle parole e quella vicinanza, fino a quando non sentii le sue labbra posarsi nuovamente sulle mie, sulle quali si muovevano in modo non poco avido, interrompendo ciò che stavo per dire. D’altronde, forse è meglio così. Mi mancò il respiro, quando sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi e tirarmi velocemente sopra di lui. Ne posai una sulla sua spalla ed una sul suo torace cercando di tenermi e darmi stabilità. Gli morsi delicatamente il labbro inferiore facendolo sospirare, dandomi il via libera per esplorare finalmente la sua bocca, che sembravo non conoscere mai abbastanza e di cui non mi sarei mai potuto stancare. Gli accarezzai dolcemente il petto liscio e bagnato cominciando a mordicchiare il suo collo. Sentii le sue labbra posarsi sul mio, più e più volte, mentre continuava a tenere salde le sue mani sulle mie gambe. Non so se l'ha fatto di proposito oppure no, ma quando andò a sfiorare la mia intimità, non potei non interrompere immediatamente il trattamento che gli stavo riservando incatenando il mio sguardo al suo, nel quale vedevo tutto tranne l'innocenza che aveva fino a poco prima. Gli feci un mezzo sorriso d'intesa e ripresi a baciarlo appena sotto la mandibola, mentre la mia mano cominciò a scendere lentamente lungo il suo corpo, fino ad entrare in contatto con l'acqua e, non molto tempo dopo, con il suo membro, che notai, con mia non poca soddisfazione, non del tutto rilassato. Cominciai a stuzzicarlo lentamente chinandomi leggermente mordicchiando e baciando il suo petto, sentendolo ansimare a volume, man a mano, più alto, proprio contro il mio orecchio. 
“M-Marco.” Farfugliò affannato poggiando la testa sulla mia schiena, lasciandoci, ogni tanto, dei baci. 
Catturai nuovamente le sue labbra tirandolo a me e non riuscii a trattenere un piccolo gemito quando le nostre intimità si andarono a scontrare. Lo feci alzare velocemente continuando a torturare il suo collo per, poi, scendere e dare dei piccoli morsi sulla sua spalla. Lo vidi sollevare una gamba ed uscire velocemente dalla vasca prendendo un asciugamano preoccupandosi di asciugare prima me e, poi, lui senza interrompere il contatto fra le nostre labbra. Mi prese per i fianchi incominciando ad indietreggiare verso la camera da letto, sul quale mi adagiò dolcemente, raggiungendomi a cavalcioni, rivolgendomi forse un sorriso fin troppo malizioso, che però riusciva ad essere contemporaneamente incredibilmente dolce. Quando la sua mano si andò a posare sulla mia erezione, trattenermi diventò sempre più difficile. La fece salire fino al mio collo per, poi, tirarmi a sé riunendo le nostre bocche. Dio, questa cosa mi farà andare fuori di testa. Si spostò, quasi subito, sul mio petto ricominciando a scendere, percorrendo il mio corpo solo con la lingua. Lo continuai ad osservare come incantato in ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni suo verso, capaci di farmi ammattire nel giro di un nanosecondo. Sussultai quando le sue labbra entrarono appena in contatto con la parte superiore del mio membro, serrando le mie per evitare di far uscire qualsiasi cosa da esse. 
“Michael…” Ansimai buttando leggermente la testa all’indietro, affondandola, poi, nel cuscino dietro di me artigliando con le unghie la sua spalla. “Dio.” Quasi esclamai, quando lo avvolse completamente nel calore della sua bocca, incominciando ad accompagnarlo, muovendo il bacino contro di lui.
Cacciai un urlo strozzato, quando pose fine a quella piacevole tortura contorcendomi maggiormente, nel momento in cui continuò a stuzzicarmi con le dita.
“Che ne dice de esere audace stanotte?” Mi domandò sussurrando all’orecchio con tono provocante facendomi deglutire, ancora una volta. 
Lo guardai disorientato a quella frase, indeciso su come interpretarla esattamente. Alzò un angolo della bocca osservandomi attentamente ed aspettando una qualsiasi risposta da parte mia, che però tardava ad arrivare, per l’effetto che quelle sue parole avevano avuto su di me. Mi sollevai col busto facendogli fare inevitabilmente la stessa cosa, mettendoci entrambi sulle ginocchia. Gli lascia dei leggeri baci e mordicchiai il suo collo, fino a ricominciare a scendere sentendolo sospirare rumorosamente, quando arrivai finalmente sull’inguine, avvolgendo la sua erezione con la mia mano, che cominciai a muovere lentamente. Lui, invece, iniziò ad ansimare sempre più rapidamente, e, quando la avvolsi nella mia bocca, ascoltai vittorioso l’urlo che ne seguì. Intrecciò le sue dita fra i miei capelli e lo vidi buttare la testa leggermente all’indietro, cominciando ad ansimare e respirare affannosamente. Percorsi il profilo del suo membro con la lingua, più e più volte, facendolo contorcere e stringere i pugni, nel tentativo di non cedere così presto. Tuttavia, quando cercai di andare un po’ più in fondo, tutto fu inutile. Venne accompagnato da un altro urlo spezzato, per mia grande soddisfazione.
“Sorry.” Rise nervosamente sollevandomi verso di lui e coinvolgendomi in un altro bacio, che andava, man a mano, diventando sempre più frenetico.
“Tu mi hai detto di essere audace.” Sussurrai al suo orecchio per, poi, mordicchiarglielo, facendolo sospirare.
Prima che potesse replicare, lo presi per i fianchi e lo buttai a pancia in giù sul letto, posizionandomi su di lui, lasciandogli un bacio dietro al collo.
“I know.” Disse affannato, poco dopo, affondando immediatamente una mano fra i miei capelli tirandomi a sé ed incollando le mie labbra alle sue. “Te lo dirà speso, se tu farà sempre così.” Aggiunse divertito per, poi, ricominciare a baciarmi dolcemente. Portai la mia erezione contro la sua apertura, sentendolo sospirare da subito e facendolo inarcare contro di me. Continuai a guardarlo, mentre socchiudeva gli occhi e lasciava che da quella sua bocca perfetta fuoriuscissero gemiti ed ansimi, sempre più frequentemente. Gli lasciai un bacio sulla guancia per, poi, spingermi completamente dentro di lui. Ancora una volta, i nostri corpi combaciavano perfettamente. Continuai ad osservarlo, per capire se gli stessi facendo male o meno, ma lo vidi sorridere compiaciuto, e la cosa non poté che darmi coraggio. Cominciai a muovermi lentamente cercando di essere il più delicato possibile, posando, ogni tanto, le mie labbra dietro la sua nuca. Mi chinai a lasciargli un altro morso sulla spalla facendogli scappare un altro gemito di piacere. “Faster…” Ansimò aggrappandosi alla mia schiena. Faster?! Cosa cazzo significa adesso ‘faster’?! Ma perché mi devo mettere a pensare all’inglese in un momento del genere. Faster, faster, faster… oh, ma che diavolo! Azzardai una spinta più forte delle altre sentendolo, poco dopo, fare un urlo strozzato ed ovattato contro il cuscino. Faster! Che diamine, dillo in italiano, però… Mi incominciai a muovere a ritmo sempre più veloce, come alla fine lui stesso mi aveva chiesto di fare. Respirai affannosamente contro la sua schiena impiantando le mani sul materasso, ma quando vidi Mika artigliare le lenzuola, le portai entrambe sulle sue stringendole forte, intrecciando le nostre dita. Rialzò la testa respirando anche lui in modo affannato e riposando le sue labbra sulle mie. Farfugliò qualcosa di incomprensibile ed io, timoroso di qualsiasi richiesta mi avesse potuto aver fatto, rallentai. “Marco!” Esclamò, quella volta, gettando lievemente la testa all’indietro lasciandosi andare,  poi, completamente sul letto.
Il modo roco con cui mi chiamava, era qualcosa che andava oltre a quello che stavamo facendo. Andava oltre ogni mio tentativo di controllo. Diedi le ultime sconnesse spinte accasciandomi, poi, di peso su di lui esausto, mentre entrambi cercavamo di riprendere fiato. Mi sdraiai al suo fianco accarezzandogli i ciuffetti bagnati, che gli cadevano sulla fronte. Sorrise stringendo la mia mano per, poi, riaprire gli occhi, che non mi sembrava di veder lucidi, e, solo in quel momento, potei dirmi completamente sollevato.
“Ti ho fatto male?” Gli chiesi, comunque, per sicurezza accarezzandogli la guancia.
“No,” Si avvicinò accoccolandosi contro di me, lasciando che lo avvolgessi fra le mie braccia. “ha stato meraviglioso.” Sussurrò lasciandomi un bacio a fior di labbra.
Continuai a guardarlo ed ad accarezzarlo aspettando che si addormentasse. Era così bello vederlo dormire col sorriso. Sembrava sereno e rilassato. Finalmente, dopo tanto tempo, avremmo potuto essere noi due, di nuovo. La distanza stava diventando complicata, ma nei momenti in cui ci rivedevamo era come non ci fossimo visti per anni, ed era proprio quella forse la cosa migliore. Ci amavamo, ancora di più, quando riuscivamo a stare insieme, dopo così tanto tempo. Anche se, forse sarebbe stato meglio, magari, non da questo, ma dai prossimi album, farli uscire, più o meno, nello stesso periodo, per partire in tour contemporaneamente, senza doverci separare quando uno stava in vacanza, e l'altro no. Mh, gliene parlerò.


#MyWor(l)d

Saaalve! C:
Oh, Dio, scusatemi tanto per questo folle ritardo, ma, vi giuro, avevo meno di una mezza idea, ma non sapevo affatto come svilupparla. Ma poi, evviva, evviva, arriva la mia cara moglie in mio soccorso e mi fa rimettere un po' di ordine, in questa mia testolina bacata. xD In compenso, è un po' più lungo :3 Non so sinceramente come sia venuto, perché lo trovo un po' strano xD però, vabbé, non mi resta che leggere cosa ne pensate voi C:

Mh, allora, stavo pensando però... Siamo alla decima parte del 2012 e siamo appena a fine Maggio DDD: Cacchio, vi chiedo scusa se sto allungando così tanto xD Vi chiedo scusa anche se vedete il carattere della scrittura diversa. Non so perché, ma EFP mi ha fatto problemi e, dopo aver imprecato per tipo un'ora, mi sono arresa twt
Coooomunque, come al solito, ringrazio chi recensisce (aw, vi amo <3), chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, sta lì dietro in silenzio! :3
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 41
*** 2012 pt.11 ***


Roma, Mercoledì 13 Giugno 2012
 
 
In quei giorni, Michael era estremamente nervoso. Riuscivo a sentire quella sua angoscia per telefono. Aveva paura che il nuovo e primo singolo di quell’anno, che avrebbe di fatto anticipato l’album, in uscita a metà Settembre, sarebbe potuto non piacere. La collaborazione, però, con Pharrell Williams, secondo me, era anche una carta a suo favore. E poi, ‘Celebrate’ me l’aveva fatta ascoltare in un demo, ed era pazzesca. Mi meravigliai, ancora di più, rendendomi conto del lavoro che era riuscito a fare in quelle poche settimane. Era come se fosse riuscito ad esplodere completamente. Tutta quella creatività, che era stata dolorosamente ed ingiustamente repressa, ce l'aveva fatta finalmente ad uscire facendolo esprimere, e nel migliore dei modi, direi.
Tuttavia, non potevo nascondere affatto la mia preoccupazione nei suoi confronti. Non doveva sentire così tanto stress, o avrebbe rischiato di ammalarsi di nuovo, e non volevo. Non poteva. Purtroppo, ci eravamo dovuti separare molto presto. Sette giorni, seppure fantastici, erano davvero pochi per me, per noi. Vero, sarei potuto andare con lui a Londra e Los Angeles, o comunque dove avrebbe dovuto registrare, visto il mio periodo di vacanza ‘post-tour’, ma, come detto, non volevo assolutamente essergli ancora di intralcio e, nonostante lui avesse cercato di convincermi in tutti i modi possibili ed inimmaginabili, alla fine, trovandomi con le spalle al muro, ero stato costretto a dirgli che anche io dovevo tornare a lavorare e che avevo una serie di interviste da fare, cose in parte vere, però. Perché, in fondo, il lavoro consisteva inizialmente solo nella scrittura e nella composizione delle canzoni, ed avrei potuto farlo in qualsiasi parte del mondo, ma era riuscito ad essere comprensivo ed a capirmi. Per quanto riguarda le interviste, non ne avevo poi così tante, ma doveva concentrarsi assolutamente. E per quanto fosse difficile e dura, era un mio dovere lasciargli i suoi spazi.  
Inoltre, mi aveva detto che aveva già un paio di idee che gli piacevano per il video, ma non aveva voluto dirmi esattamente in cosa consistessero. “Volio farte rimanere a boca aperta!” Sentendolo parlare, per un attimo, in modo talmente eccitato e sereno, non potei fare a meno di ridere intenerito da quel suo lato, così voglioso di stupire tutti quanti. Ma alla fine, sarebbe riuscito a farlo sempre e comunque, per il semplicemente motivo che, cazzo, era Mika! Però, quando glielo dicevo, mi rispondeva con un secco “Appunto.”, e lì mi incazzavo come poche volte ero riuscito a fare. Un testone ed un idiota, ecco cosa era.
Per giunta, mi continuava a domandare se stessi bene o meno, ed io, ovviamente, non potevo dirgli altro se non che, anche se mi mancava, stavo benissimo di salute, nonostante sapessi altrettanto bene che non fosse la pura verità. E forse, mi rendevo conto che anche lui, allora, mi aveva potuto mentire negli altri giorni in cui eravamo stati costretti a separarci. Il sol pensiero mi faceva venire la pelle d’oca e salire una tale angoscia, che riuscivo a sentire lungo tutta la mia spina dorsale. La notte non riuscivo a dormire molto per paura di quei pochi attacchi, anche se lievi, rispetto ai precedenti, che potevo avere. Se ero sveglio, capivo quando ne avrei potuto avere uno, così mi affrettavo a prendere i farmaci che mi aveva dato il medico. Ma, di fatto, senza preavviso, come avrei fatto a superarne uno tutto da solo? Non lo avevo mai fatto. Non volevo e non potevo farlo. Non volevo neanche chiamare Cris, che probabilmente, da brava amica, avrebbe raccontato tutto a quel poveretto di Michael, e non potevo assolutamente permetterle una cosa del genere. Non in quel momento così delicato per lui, almeno.
 
Quella notte, però, ero riuscito, nella mia buona stupidità, a crollare totalmente sul letto. Non avrei dovuto farlo, anche perché mi risvegliai tutto sudato ed in preda agli spasmi, mentre il mio respiro si faceva, man a mano, sempre più accelerato ed affannato, e quando non sentii il profumo ed il calore del corpo di Michael, mi gettai ulteriormente nel panico. Non c’erano le sue braccia a stringermi ed a controllarmi, mentre continuavo a disfare involontariamente le lenzuola del letto. Mi aggrappai al cuscino cercando di far tornare, in un qualche modo, il mio battito regolare, sperando di sentirlo improvvisamente e magicamente al mio fianco. Invece, niente. Non c’erano neanche le sue mani sulle mie guance, mentre cercavano ossessivamente di fare incontrare i miei occhi con i suoi, angelici e tranquillizzanti, quanto le pasticche, se non di più. Non c’erano nemmeno le sue labbra, che si posavano delicatamente sulla mia fronte imperlata di sudore, più e più volte. In un piccolo frammento di lucidità, cercai di allungarmi inutilmente verso il comodino, per prendere quella maledettissima scatolina, l’unica cosa che mi avrebbe potuto aiutare, in quel doloroso momento. Tuttavia, una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se qualcuno lo stesse tirando e rigirando, fin troppo violentemente, mi invase facendomi rannicchiare e piegare nuovamente su me stesso. Sentii un doloroso peso al petto opprimermi ed una fastidiosa sensazione alla gola, come se qualcuno si stesse divertendo con una lama al suo interno. Chiusi gli occhi cercando di pensare ad altro e distogliermi da quella tortura, stringendo forte fra le mani la coperta e fra le braccia quel cuscino, che tanto avrei desiderato fosse Michael. Non avrei saputo dire come o perché, ma nella mia testa, che continuava ad essere tartassata da un male troppo forte, balenò l’idea di mordere altrettanto forte qualche cosa, che fosse più vicina a me. E così feci. Serrai fra i denti la stoffa di qualcosa, che non riuscivo ad identificare. Quando una fitta più dolorosa delle altre mi colpì alla testa, non potei fare a meno di cacciare un urlo di dolore. Non riuscii a rendermi conto, in un primo momento, delle lacrime che si facevano spazio sul mio viso. Lo feci soltanto quando il mio corpo iniziò ad essere scosso anche dai singhiozzi.
Avrei voluto potermi alzare, prendere quelle medicine, oppure il telefono e chiamare qualcuno, magari non Mika, non Cris, ma qualcuno. Marta. Presi un altro respiro profondo cercando di allungare il braccio nuovamente verso il comodino, ma niente. Per quanto mi sforzassi, risultava tutto totalmente inutile. Non avevo mai vissuto quel momento da solo, per il semplice motivo che ogni volta che cominciavo a sentire freddo ed a sudare, prendevo automaticamente quelle pasticche, che riuscivano a farmi effetto quasi subito. Feci un ultimo tentativo sollevandomi appena e dando un calcio dove si trovavano, facendole cadere a terra. Un altro urlo strozzato uscì dalle mie labbra, quando andai a sbattere bruscamente contro quel pezzo di legno. Quando le vidi più vicine a me, ai piedi del letto, ai quali non capivo neanche come fossi riuscito ad arrivare, la mia mente completamente offuscata, elaborò la stupida idea di allungarmi ancora una volta, ma automaticamente persi l’equilibrio cadendo accanto a loro. Serrai le labbra cercando di trattenere un altro urlo, con forza che neanche credevo di aver usato, sentendo poco dopo quel fastidioso odore e sapore ferreo invadere la mia bocca. Senza pensarci più di tanto, mentre le mie mani continuavano a tremare, in modo maldestro mi affrettai a prenderne due. Secche e taglienti scesero lungo la mia gola dandomi la sensazione di star sanguinando anche dentro, ma non potei non tirare un sospiro di sollievo poggiando il viso sul pavimento freddo e sentendo, non molto tempo dopo, il mio respiro ed il mio battito farsi, man a mano, sempre più regolari.
 
 
Lunedì, 30 Luglio
 
 
Le cose andavano bene, molto bene. Gli attacchi stavano diventando, piano piano, sempre meno frequenti, anche se, avevo evitato di raccontare a Mika ciò che era successo poco più di un mese prima, perché, per fortuna sembrava finalmente essere in salute, e non volevo rovinare assolutamente niente. Alla fine, me l’ero cavata. Il singolo era riuscito ad avere un certo successo, ed io non potevo che essere fiero e felice per lui. Era più sereno, ma sapevo che sarebbe durata per poco, purtroppo, perché, nel giro di poco più di un mese, sarebbe stata la volta dell’album vero e proprio. Ma, in cuor mio, speravo vivamente che riuscisse a controllare questo suo nervosismo e tutta l’ansia che, anche inutilmente e da solo, riusciva a mettersi addosso.
“Deve ripartire para finire registrazione e montagio del video de ‘Celebrate’, e per alcune interviews, ma torna presto.” Disse accarezzandomi dolcemente la guancia, mentre se ne stava sdraiato sul divano con la testa sulle mie gambe.
Sapevo che il video sarebbe stato reso pubblico il dieci Agosto, quindi aveva non poco tempo a disposizione e, comunque, sapevo anche che lo avrei riavuto lì al mio fianco quasi subito.
“Okay.” Sussurrai passandogli una mano fra i capelli, che aveva tagliato di nuovo. "Perché continui a tagliarteli..." Affermai contrariato chinandomi sulla sua bocca, bramando di rimpossessarmi di essa.
Poggiò nuovamente le sue labbra sulle mie beandole di quel meraviglioso contatto, ignorando, però, completamente le mie parole. Gliele leccai lentamente, come a chiedergli permesso di intrufolarmi dentro di lui, e diventare, ancora una volta, una cosa sola. Quando mi diede il via libera, fu come se le mie papille gustative fossero andate incontro al sapore più dolce a cui potessero essere mai state sottoposte. Intrecciai le mie dita ancora fra i suoi riccioli troppo corti facendolo sospirare appena. Quando sentii la sua mano andarmi ad accarezzare delicatamente il collo, fui travolto da una piacevole scossa.
“Vorei poter uscire con te e baciarte davanti a tuti quanti, urlare a mondo intero che io ti amo, Marco.” Affermò leggermente affannato prendendomi per mano e passandosi nervosamente la lingua sul labbro inferiore per, poi, mordicchiarselo.
“Potremmo farlo.” Dissi facendogli alzare la testa di scatto, mostrandomi i suoi occhi timorosi e fin troppo dubbiosi da quella mia affermazione. “No?” Ritentai incerto accarezzandogli dolcemente il dorso con il pollice.
“Io no posso.” Rispose in un soffio quasi impercettibile riabbassando lo sguardo e lasciando la mia presa, ponendo fine a quel contatto così delicato.
“Non c’è niente di male nell’amare qualcuno.” Ripetei le parole che Cris mi aveva ripetuto qualche mese prima, quando le cose ancora non andavano poi così bene. Credevo in quelle parole. Erano la pura verità. Lo sentii mugugnare qualcosa sistemandosi meglio sul divano. “Tu credi ci sia qualcosa di sbagliato, Michael?” Gli chiesi titubante ed impaurito da qualsiasi sua risposta.
“N-no… I don’t know, but, sta per uscire mio disco a-and…” Si bloccò vedendo probabilmente l’espressione che aveva assunto mio volto. Mi sentivo ferito e profondamente deluso. Erano tutte scuse, io lo sapevo. Erano scuse proprio come qualche anno prima. “M-Marco, io…”
“Mika, io non voglio costringerti a fare niente, però, per favore, non venire allora a dirmi cavolate del tipo ‘vorrei baciarti davanti a tutti’, perché non ti credo.” Affermai semplicemente cercando di alzarmi ed allontanarmi per un po’ da lui, ma mi afferrò per il braccio facendomi ricadere al suo fianco.
“No deve dire queste cose. No sono cavolate. Io vorei farlo per davero.” La sua voce era talmente dispiaciuta e malinconica che non riuscii a non tornare a guardarlo, vedendo i suoi occhi così sinceri, ma sempre così intimoriti.
“Ed io ti ripeto, che c’è solo un modo.” L’amarezza di quella frase sapevo bene che effetto avrebbe avuto su entrambi. Si incazza.
“But, I can’t!” Quasi urlò improvvisamente facendomi sussultare appena. Appunto. “No ancora.” Farfugliò in modo quasi incomprensibile, tanto che mi convinsi del fatto che fosse stato un brutto gioco della mia mente contorta, o che comunque intendesse dire qualcos’altro.
“Non venirmi a dire queste cazzate, per favore.” Mi rialzai per evitare di evolvere quella discussione in una dolorosa ed assurda litigata.
Ma perché doveva sempre rovinare ogni momento insieme? Era un vizio, Cristo! Era uno dei suoi innumerevoli talenti, o forse lo faceva di proposito. Ma comunque, doveva smetterla di coltivare questa sua inutile capacità.
Non volevo discutere con lui. Avrei solo voluto che non dicesse cose che sapeva avrebbero potuto tramutare quell’attimo così dolce, in qualcosa di estremamente acido. A me piaceva come avevamo instaurato la nostra relazione, ma il fatto di non poterci vedere tutte le volte che volevamo, ovunque volessimo andare, mi lasciava un po’ così, insomma. Tuttavia, non gli avevo più chiesto di darci una vera libertà e non capivo perché avesse dovuto ricordarmi che non potevamo averla. Che poi, neanche quello era vero. Lui non voleva averla, perché, alla fine, cosa sarebbe potuto accadere? Calo nelle vendite? Forse, ma credo nei miei e nei suoi fan. E, poi, entrambi facciamo musica perché ci piace, non per altro. Insulti? Questa è la società odierna, ridicolamente arcaica. Ma, di fatto, quale sarebbe il problema? Io avevo lui e lui aveva me. Non basta questo? Evidentemente, no.
 
Tu pensi solo al tuo lavoro, mi sembra che continui a fare lo stesso discorso 
E invece ti costruirò un muro, perché non provi a immaginare un finale diverso.

 
Ecco, quelle erano le parole che mi vennero in mente, in quel momento. Le avevo scritte tempo prima, così, ripensando a ciò che avevamo passato la prima volta che avevamo parlato di quell’argomento. Lui non riusciva ad immaginare un finale diverso dalla ‘fine della sua carriera’. Ma sapevo che fosse giusto che pensasse prima di tutto a sé stesso, prima che a noi. Lo sapevo bene, ma mi faceva ugualmente male. Uscii di casa nel tentativo di distrarmi e prendere una boccata d’aria, ma, visto il periodo in cui eravamo, risultò del tutto inutile. Roma d’estate era qualcosa di insostenibile, ma c’era anche di peggio purtroppo. Sfilai velocemente dalla tasca dei pantaloni un accendino, e dall’altra un pacchetto di sigarette, ancora non aperto, che tenevo lì da non poco tempo. Sapevo che Michael non sarebbe sceso, anche se saremmo stati sul retro isolati da tutti. Non sapevo neanche se fosse a conoscenza o meno di quel posto. Ma, in ogni caso, non avrebbe potuto, quindi ero abbastanza tranquillo. Era già stato e continuava ad essere difficile tentare di smettere di bere, almeno potevo abbandonarmi, ogni tanto, al fumo, di cui comunque avevo nettamente diminuito il consumo.
Non mi dava tanto fastidio il fatto che Michael non volesse dire di noi alla gente, anzi, riuscivo a capirlo. Era il modo in cui lo diceva. Sembrava che per lui stessimo facendo qualcosa di sbagliato, che noi fossimo sbagliati, e la cosa non mi piaceva affatto. Ci avevo messo anni ad accettarmi da quel lato e lui non poteva essere proprio il primo a ributtarmi giù da quella, più che giusta, convinzione. Ma sul serio, è così sbagliato amarti? Perché, poi? Perché siamo Mika e Marco Mengoni, oppure perché siamo noi? Arrivati a quel punto, non capivo se effettivamente quel suo comportamento fosse dovuto al fatto che non fossimo due uomini sconosciuti, o proprio al fatto che andassimo contro ciò a cui la società ci aveva abituato. Forse, aveva paura e non riuscivo a comprenderlo. Tuttavia, non eravamo gli unici, e mai lo saremmo stati. E poi, saremmo stati anche l’uno al fianco dell’altro. Io non lo avrei mai lasciato solo.
Sentii la vibrazione del cellulare da una delle tasche e mi affrettai a prenderlo, nel caso fosse stata una cosa importante, ma quando vidi il suo nome sul display, lo guardai, per un attimo, interdetto e confuso, ma, poi, feci un piccolo sorriso e lessi il messaggio che mi aveva inviato. “Io credeva che aveva smeso de fumare”? Spalancai gli occhi quasi terrorizzato e sussultai sentendo delle braccia avvolgere il mio corpo e delle labbra posarsi delicatamente sul mio collo.
“Tu doveva smetere, Marco.” Sussurrò dolcemente cercando il mio sguardo.
“N-non dovresti essere qui, potrebbero vederti.” Dissi preoccupato continuando a scappare ai suoi occhi.
“Sono belo coperto.” Affermò e non potei fare a meno di portare i miei occhi di scatto su di lui, a guardarlo. Non riuscii neanche a trattenere una piccola risata vedendolo conciato in quel modo: un cappello di lana, una giacca ed una sciarpa. A luglio?! “Che ci è?” Chiese divertito e, forse, anche un po’ indispettito da quella mia reazione.
“Non senti caldo?” Domandai, a mia volta, posando una mano sulla sua guancia, osservandolo incantato. È così dannatamente perfetto.
“Un po’, ma voleva vedere se stava bene.” Rispose premuroso sorridendomi. Ah… Cristo.
“Scusami.” Dissi semplicemente guardandolo dispiaciuto accarezzandogli le labbra con un dito.
“Scusame tu, amore. Io no vuole che tu pensa che io me vergogna de amarte, perché no è vero. Io sono fiero di amare te e di tuto quelo che abiamo fato insieme. But, io ha paura de metterme in una situazione più grande de me, de noi. Io ha paura che questa cosa ci può separare per sempre.” Mi spiegò passando dolcemente le sue mani sul mio corpo, facendomi venire, ancora una volta, i brividi.
“Niente ci separerà, Michael. Dovresti saperlo.” Mi girai verso di lui per guardare meglio quei suoi occhi, che avevano assunto un meraviglioso color cioccolato al latte.
“Yes, but… dame tempo.” Quasi mi pregò prendendomi per i fianchi ed osservandomi attentamente.
“Io non voglio costringerti a fare niente. Se non vuoi farlo, non devi farlo. A me basta stare con te.” Dissi avvicinandomi alle sue labbra, incontrandole finalmente a metà strada in un piccolo contatto, quasi impercettibile. “Ti amo.” Sussurrai vedendolo sorridere ancora con quei suoi due dentoni e quelle adorabili fossette, una più accentuata dell’altra per, poi, riunirle magicamente.
Va bene così.
 
 
Domenica, 5 Agosto
 
 
Michael sarebbe tornato di lì a poche ore, se non in un’ora, forse. Beh, fatto sta che non vedo l’ora. Mi aveva chiamato mentre stavo da Cris. Il suo aereo era appena atterrato, e non stavo più nella pelle. Non era che non lo vedessi da chi sa quanto, al massimo tre giorni, ma rivederlo era sempre così meraviglioso. Avevo bisogno di averlo a pochi centimetri da me, sentire la sua voce melodiosa, la sua risata incantevole e toccare finalmente il suo corpo perfetto.
Tornando a piedi da casa di Cristie cercai di rimanere il più inosservato possibile. Tanto le nostre case erano abbastanza vicine, ma girando e vagando con gli occhi, non riuscii a non notare il bel faccino del mio ragazzo in prima pagina su più di un giornale. Così, curioso mi avvicinai a quell’edicola cercando di capire di cosa si trattasse. Tuttavia, quando lessi le parole che erano state scritte, il mio cuore si fermò automaticamente ed incominciò, subito dopo, a battere sempre più velocemente. Ogni mia capacità di pensiero e di respirazione andarono, man a mano, scomparendo.
“Il cantante anglo-libanese, Mika, esce allo scoperto: ‘sono gay’.”,"Mika fa coming-out."Deglutii a vuoto afferrando uno di quei pezzi di carta tra mani, a dir poco, tremanti. Non può averlo fatto sul serio. Non me ne aveva neanche parlato, eppure l’avevo sentito per telefono neanche un’ora prima. Dio, no. Ero sicuro che l’avesse fatto principalmente per convincere me, ma se lui non voleva?! Non poteva essersi sentito costretto a fare una cosa del genere. Così, presi rapidamente il cellulare, per chiamarlo e capirne di più. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette squilli… andiamo, Cristo! Sospirai scoraggiato ed esasperato sentendo l’avvio della segreteria telefonica. Niente. Non mi restava che aspettare il suo ritorno e parlargli.
 
Avevo finito, non molto tempo prima, di leggere le parole che aveva rilasciato solo il giorno precedente, e me ne stavo seduto sul divano a mordicchiarmi nervosamente le unghie ed a muovere velocemente la gamba cercando di controllarmi e concentrarmi su quello che avrei potuto dirgli o, comunque, su come avrei potuto chiedergli scusa. Aveva ragione: era una cosa più grande di lui e di noi. Mi era bastato sentire qualche stupido ed ingiusto commento di alcune persone che si affrettavano a comprare quei giornali. Non capivo affatto come fossi riuscito a controllarmi dal dargli un cazzotto in pieno volto. Ma alla fine, nella mia testa c’era una frase in particolare: “Questa è la mia vita reale.” Ed era così vero. Non potei far a meno di fare un piccolo sorriso. Erano le stesse parole che aveva utilizzato qualche tempo prima, quando mi aveva detto che i suoi fan avrebbero potuto capirlo, anche senza doverlo dire pubblicamente.
Appena sentii delle chiavi entrare e girare nella serratura della porta, mi alzai di scatto per andargli subito incontro. Le posò distrattamente sul comodino e lasciò il suo zaino per terra per, poi, incontrare nuovamente i miei occhi. Mi rivolse uno dei suoi meravigliosi sorrisi, incorniciati dalle sue altrettanto meravigliose fossette, che mi davano, ogni volta, la sensazione di essere in Paradiso.
“M-Mik…” Tentai di iniziare a parlare, ma sentii le sue labbra posarsi immediatamente sulle mie e la sua lingua, senza preavviso, invadere la mia bocca incominciando ad esplorarla dolcemente. Intrecciai le mie mani dietro al suo collo, mentre lui teneva saldamente le sue alla mia vita. Un piacevole brivido mi travolse, quando le sentii iniziare un percorso lungo la mia schiena per, poi, scendere nuovamente ed infilarsi sotto la mia maglietta. Erano così lisce e dal tocco vellutato che non potei far a meno di fare un piccolo sospiro di piacere. Morsi delicatamente il suo labbro inferiore intrufolando, a mia volta, la mia lingua, per far sì che potesse anche lei godere del suo dolce sapore. “Sei completamente impazzito, Michael.” Dissi affannato, una volta staccatomi, sulla sua bocca vedendolo sorridere lievemente.
“No,” Soffiò per, poi, cercare di riprendere fiato. “io voleva farte capire che no crede sia sbagliato tuto questo, perché è la cosa miliore e più giusta che poteva fare in my life.” Continuò accarezzandomi il petto con una mano, e con l’altra il busto.
“M-ma non volevo ti sentissi costretto.” Affermai dispiaciuto passando i miei pollici sulle sue labbra.
“No lo ero, infati. Io doveva dirlo ai miei amici, Marco, and, sopratuto, a my family, okay?” Disse, a sua volta, deciso incatenando ulteriormente i suoi occhi magnetici ai miei. “Poso presentarti a mia family, finalmente, senza paura.” Aggiunse sorridendomi dolcemente ed il mio cuore perse automaticamente l’ennesimo battito. C-cosa?! Cioè, io volevo conoscere la sua famiglia, ma… se non fossi piaciuto? Se avessi fatto o detto qualcosa di sbagliato, come al solito, d’altronde? Oh, no… “Amore, are you okay?” La voce angelica di Mika mi riportò alla realtà da quei pensieri, a dir poco, assillanti e preoccupanti. “Ehi,” Mi scrollò appena per le spalle. “solo se tu te la sente, but, loro voliono conoscere te.” Continuò per, poi, stringermi fra le sue braccia.
“V-va b-bene.” Balbettai tentando di ricambiare l’abbraccio, ma ero ancora fin troppo scombussolato da quello che mi aveva appena detto. Merda.
“Noi due ancora no posiamo dire a tuti che stiamo insieme, perché io sa che anche tua cariera è in momento delicato, okay? Quando potremo, lo faremo. Te lo promete.” Sussurrò al mio orecchio accarezzando la mia pelle dolcemente col suo respiro.
“Solo se vorrai.” Sussurrai, a mia volta, stringendolo, ancora di più, e lasciandogli un bacio delicato sul collo. Il fatto che avesse detto a tutti di essere gay mi aveva spiazzato completamente, soprattutto dopo la piccola discussione che avevamo avuto. Eppure, avevo dubitato di lui credendo che si vergognasse di noi, e non potei non sentirmi un maledetto idiota. Sì, sei proprio un emerito idiota, Marco. Stava per uscire il suo nuovo album, stava per affrontare un nuovo tour, si era messo contro il sistema. E, solo in quel momento, mi resi conto di quello in cui l’avevo messo incontro. Aveva ragione: quella cosa avrebbe potuto danneggiare la sua intera carriera. Anni ed anni di lavoro spaccaschiena rovinati da me. Quella era diventata improvvisamente la mia paura più grande, perché, per quanto io cercassi di convincermi, sapevo che la società non poteva prendere alla leggera una cosa del genere. “Michael, amore, scusami.” Farfugliai appena con voce quasi strozzata.
“Io doveva farlo da tempo, Marco. Andrà tuto bene, perché io ha te, lo so.” Rispose semplicemente sciogliendo l’abbraccio e guardandomi attentamente negli occhi.
Sì, e non me ne sarei mai andato, però, nella mia testa cominciò a girare una sola domanda: avrei dovuto farlo anche io? Avremmo destato sospetti su di noi? Ma forse quella era l’ultima cosa. L’ostacolo più grande, probabilmente, erano Marta e tutti gli altri. Sospirai rassegnato gettandomi di nuovo fra le sue braccia esili, ma anche così protettive.


#MyWor(l)d

Maaaaamma mia, come mi dispiace, ragazze, sul serio! ç_ç
Scusatemi tanto, tanto, tanto, per questi continui ritardi! E' che, come avrete potuto ben notare da questi capitoli, la mia mente ha poche idee e non riesce a svilupparle neanche bene xD E vi chiedo scusa dal profondo del mio cuore. ç_ç Cercherò di farmi perdonare! <3

Ma comunque, come state?? Le vacanze come procendono? :3 <3

Come sempre, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! :3

Un bacione,
Michaels

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Capitolo 42
*** 2012 pt.12 ***


Londra, Sabato 1 Settembre 2012


Quest'attesa è snervante. La mano di Michael continuava ad accarezzarmi dolcemente la spalla ed ogni tanto si spostava sulla mia guancia sfiorandomi delicatamente con un paio di dita, regalandomi una piacevole sensazione di pace, che però se ne andava tragicamente quando i miei pensieri si spostavano automaticamente al momento che stavo per vivere. C’era solo una porta marroncina a separarmi da esso. Nonostante non mi sentissi affatto pronto ad incontrare la famiglia Penniman, avevo detto a Mika l'esatto contrario. Non saprei dire bene il perché. L’ho fatto e basta. La settimana prima, tutti e sette i giorni che precedettero il fatidico giorno, il suo meraviglioso sorriso non se ne era mai andato. Sembrava l'uomo più felice ed emozionato del mondo, e chi ero io per rovinare la gioia del ragazzo che amavo? Girava per casa fischiettando e lasciandomi alcuni baci ogni volta che ci incrociavamo, quando lui usciva dal suo studio oppure andava avanti ed indietro per le stanze, mentre continuava a parlare al cellulare con qualcuno. Le sue fossette non se ne erano mai andate da quel suo volto perfetto e quei suoi occhi, alcune volte estremamente scuri, altre incredibilmente chiari, ormai brillavano di luce propria. 
Che sarei riuscito a fare, però? Insomma, avrebbero parlato sempre e solo inglese, ben diverso da quella lingua dolcemente sconosciuta ed adorabilmente inventata di Michael. Una questione era sapere le cose basilari, un'altra era instaurare un discorso ed intraprendere una conversazione sensata. Non ce la farò mai. 
“Are you ready?” Mi domandò facendo scivolare delicatamente la sua mano lungo il mio braccio, fino a far intrecciare le nostre dita in modo perfetto. Se sono pronto? No, cazzo, no che non sono pronto!
“Certo.” Mentii rivolgendogli un sorriso forzato, arricciando appena le labbra. 
Quelli erano i sorrisi che alla fine gli avevo rivolto per tutti quei giorni, ma fu come se solo in quel momento fosse riuscito a rendersi conto del mio enorme disagio. Slacciò lentamente i nostri corpi girandosi verso di me e poggiando le sue mani sulle mie spalle, accarezzandole e riscaldandole. Non riuscii a reggere il suo sguardo talmente dolce e comprensivo. Quei suoi occhi erano capaci di abbattere ogni mia difesa e denudarmi completamente. Si abbassò appena per arrivare alla mia altezza ed alzarmi, poi, con estrema delicatezza il mento. 
“Amore, are you okay?” Mi chiese solleticando il profilo del mio collo, provocandomi un piccolo tremore lungo la schiena. Chinai appena la testa posandola sulla pelle profumata del suo. “Viene.” Si sedette sul muretto trascinandomi con sé e facendomi sedere sulle sue gambe asciutte, ma toniche. “Cosa ci è che no va?” Mi sorrise premuroso, ma i suoi occhi erano visibilmente perplessi e preoccupati, tanto che neanche per un secondo ero riuscito a reggerli. 
“M-Michael, ho paura...” Ammisi incominciando a giocherellare timidamente con le sue dita. 
“De cosa?” Domandò nuovamente, quasi con tono divertito, ma anche confuso.
“I-io...” Chiusi gli occhi sospirando rassegnato. 
Non potevo rovinargli la serata. Non potevo dirgli quello che mi spaventava. Non potevo dirgli che non mi sentivo all’altezza.
“Ehi, amore,” Lo sentii prendermi per le spalle, sollevarmi appena e farmi risedere sul muretto, adornato da alcuni vasi. Tornai a guardarlo ritrovando il suo sguardo incredibilmente tranquillizzante. Mi sorrise lievemente sfiorandomi la guancia con una delle sue dita affusolate da pianista. “tu no deve preocuparte. Andrà bene.” Cercò di rassicurarmi capendo cosa fosse ad affliggermi.
“Ma se io non dovessi piacere, Mika? Se sbagliassi qualcosa? Se capissi una cosa per un'altra, rispondendo in modo sbagliato?! E se, ancora peg...” 
“Shut the fuck up!” Esclamò serio richiamando la mia attenzione, mentre io ormai ero partito ad elencare tutte le mie paranoie, fino a quel momento tenute nascoste. “Tu piacerà loro, okay? E if tu sbaglierà, va bene, sbaglierà.” Lo guardai malissimo a quell'affermazione inclinando la testa contrariato, provocando l'uscita di una delle sue piccole goffe adorabili risate da quelle labbra perfette. “Loro capirano, ma tu don't worry. Sarà bravissimo.” Aggiunse tirandomi a sé e stringendomi fra le sue braccia. Portai la guancia sulla sua spalla, posando la mia bocca delicatamente sul suo collo. 
“Grazie.” Farfugliai trovando rifugio nel suo calore e lasciando che il suo profumo di talco, che tanto amavo, mi inebriasse le narici. 
“Tu doveva dirme che no te sentiva di venire.” Sussurrò sciogliendo l'abbraccio e sorridendomi dolcemente. E come potevo dirtelo?! 
Ricambiai al suo sorriso e gli sistemai un piccolo ricciolo ribelle dietro all'orecchio. 
“Scusami.” Dissi semplicemente alzandomi e porgendogli la mano, che, dopo un attimo di esitazione e confusione, afferrò aiutandosi e posando le sue labbra sulle mie. 
Quel contatto riuscì a darmi una sensazione di tranquillità e serenità improvvisa che mi stupì non poco. Ricongiunse e intrecciò nuovamente le nostre dita aspettando che prendessi un bel respiro profondo e pronto, poi, a suonare, puntò il dito su quel piccolo pulsante bianco. Tuttavia, lo vidi bloccarsi e ritrarsi improvvisamente per, poi, avvicinarsi al mio viso, mentre continuavo ad osservarlo confuso.
“Ti amo.” Soffiò al mio orecchio facendomi salire un piacevole brivido lungo la schiena.
“Anche io.” Mi girai verso di lui lasciandogli un altro bacio all'angolo della bocca per, poi, spostarmi sulla sua guancia, proprio dove si faceva spazio una delle sue due meravigliose fossette. 
Si rigirò verso di me avvolgendo con le sue braccia la mia vita e ricongiungendo le nostre labbra. Intrecciai le mie al suo collo, spostando, poi, le mie mani sul suo viso, approfondendo quel contatto così dolce. Mi strinse, ancora di più, a sé spostandosi poco sotto la mia mandibola torturandola delicatamente con i denti. Mi uscì un piccolo sospiro di piacere ed affondai la mia mano fra i suoi ricciolini fin troppo corti. Non sapevo cosa fosse stato a far scattare qualcosa di particolare in lui, ma sentii la sua intrufolarsi sotto la mia camicia perfettamente abbottonata e sistemata nei pantaloni in occasione della serata. Mi slacciò due bottoncini poco sopra l'elastico accarezzandomi lievemente gli addominali appena accentuati. Quando però la portò nei miei boxer sgranai gli occhi per, poi, socchiuderli, subito dopo cercando di capire cosa avesse in mente.
“Me piace sentirte tremare soto mio tocco.” Disse con tono sensuale mordicchiandomi, subito dopo, il lobo. Dio...
“N-non p-possiamo qui, p-perché mi fai q-questo?” Balbettai, dopo che ebbe sfiorato un punto troppo sensibile facendomi sussultare. 
“Me piace provocarte.” Spiegò con fare incredibilmente innocente.
“P-proprio qui?” Non posso andare lì dentro con un'erezione nelle mutande, Cristo!  Quello era ciò che avrei dovuto dirgli, ma che assolutamente non volevo dire.
“Qui.” Ripeté spingendomi verso l'oscurità soffusa del giardino. Che sta facendo?
“Che... che stai facendo?” Dissi incerto mentre continuava a torturare il mio collo e sbottonava la mia camicia sgualcendola. “N-no, Michael, non posso rovinarla, l'avevo sistemata per bene.” Balbettai ancora vedendo, poi, le sue mani scendere verso la mia cintura e slacciarla velocemente. “A-arriveremo in ritardo.” Ritentai posando le mie mani sulle sue cercando di allontanarle inutilmente.
“Siamo en anticipo.” Sussurrò spingendomi verso una casetta di legno in giardino. Non posso farlo nel giardino dei Penniman. Non possiamo.
Prese una chiave che si trovava sullo stipite della porta e la aprì riprendendo a baciarmi entrando per, poi, richiuderla alle sue spalle ed accendere una piccola luce. Era una casetta anche fin troppo ordinata. Sembra una piccola capanna, ma non ebbi il tempo di osservarla, poiché le mani di Mika spinsero ancora facendomi cadere su una piccola sedia a sdraio. Sentii il mio cuore bloccarsi e come spostarsi sulla bocca dello stomaco, quando mi abbassò la cerniera sfregandola volontariamente sul mio rigonfiamento ormai evidente, a causa di tutti i trattamenti che mi stava riservando.
“M-Mik...” Le sue labbra si posarono ancora sulle mie azzittendomi. Intanto lui continuava ad armeggiare con i miei pantaloni, che avevo comprato proprio per l’occasione, fino a quando li sentii scendere lentamente fino alle caviglie. Una la portò fra le mie gambe stuzzicando la mia erezione attraverso la stoffa. Piccoli sospiri di piacere fuoriuscirono dalla mia bocca, ma incominciai a mordicchiarmi il labbro inferiore tentando di controllarmi e di non far sentire niente al di fuori di quella casetta. Percorse il mio corpo con la lingua inumidendolo e bagnandolo, segnandolo ogni tanto da alcuni morsi con i quali intrappolava la mia pelle aumentando la mia eccitazione. Quando arrivò all'elastico delle mutande, le abbassò velocemente liberando la mia intimità, mettendola in contatto con il freddo e l'umidità dell'ambiente. “M-Michael, n-non possiamo.” Lo pregai falsamente. 
“Ssh.” Mi azzittì di nuovo.
“M-ma...” Quello che ne uscì dopo fu più un suono gutturale, quando la sua mano avvolse fortemente il mio membro. Chiusi gli occhi concentrandomi su quello che stava facendo e sui suoi movimenti, alcune volte lenti da diventare strazianti ed altri talmente veloci da far male. Artigliai i braccioli di legno della sedia contorcendomi, nel momento in cui anche la sua bocca abbracciò la sua parte superiore bagnandola. Quando si spinse più a fondo non riuscii a trattenere un urlo strozzato, sentendolo poi sorridere compiaciuto. Sentii le sue mani vagare sul mio corpo scostando la mia camicia sbottonata e la cravatta allentata, fino a concentrarsi sul mio petto stringendo appena i miei pettorali, se così si possono chiamare. La sua bocca e la sua lingua si cominciarono a muovere sempre più velocemente dandomi una sensazione fin troppo piacevole, tanto da farmi dimenticare di dove mi trovassi e dare il via libera ai miei gemiti ed ansimi di uscire senza barriere. “M-Mika, ti amo, ma t-ti prego...” Farfugliai con col fiato corto intrecciando le mie dita fra i suoi capelli guidandolo nei movimenti. Alzò lo sguardo facendomi vedere quei suoi meravigliosi occhi, che, accesi dal desiderio, forse erano riusciti ad eccitarmi, ancora di più di quello che la sua bocca mi stava donando. Con uno schiocco troppo rumoroso, che mi riportò alla realtà e che fece salire ulteriormente la mia paura di essere colti in fragrante, lasciò che la mia erezione tornasse in contatto per qualche secondo con il freddo della stanza per, poi, avvolgerla nuovamente nel calore della sua mano. Ormai i miei gemiti uscivano senza problemi dalla mia bocca, che però Mika si curò di rendere occupata in un bacio talmente dolce, quanto passionale. Il respiro, già corto da quelle emozioni troppo forti, andava man a mano come scomparendo. I movimenti circolari che compiva e che riservava al mio membro turgido stavano diventando sempre più insopportabili. “M-Michael...” Gemetti sulla sua bocca, quasi pregandolo di porre fine a quel giochetto sadico. 
“Te ha deto che me piace vederte così.” Sussurrò al mio orecchio provocando come un contorcimento non volontario del mio corpo. Buttai leggermente la testa all'indietro contraendo i muscoli sentendolo, poi, tuffarsi nel mio collo e ricominciare a scendere, ancora una volta, verso il mio punto più sensibile. Arrivato al limite, risultò completamente inutile ogni tentativo di controllo e di prolungare quel piacere troppo grande. Sentii una scarica travolgermi ed il mio seme invadere la bocca di Michael, seguito da un altro piccolo urlo strozzato, placato in poco tempo proprio dalle sue labbra avide delle mie. Gli rivolsi un sorriso malizioso, mentre continuavo a cercare di riprendere fiato. Un altro sguardo di intesa mi portò a posare la mia mano sul suo petto, per allontanarlo da me e farlo indietreggiare verso il muro abbassandogli con un gesto secco e deciso i pantaloni, infilandogli l'altra nei boxer ed accarezzandogli l'erezione rigonfia. Lo sentii sospirare sulla mia bocca e gemere compiaciuto ed in balia dei miei gesti. Mi spostai con l'altra sotto la sua camicia bianca andando a toccare coi polpastrelli i suoi addominali ed il suo torace, provocandogli un piacevole tremore.
Non pensai di star facendo ciò che stavo facendo nel giardino della casa della madre di Mika e dove erano presenti i suoi parenti, in quel momento. Non ci riuscii. Quello che mi aveva appena fatto provare era stato qualcosa di troppo travolgente. La passione ci aveva invasi entrambi, e soprattutto aveva invaso lui, dopo settimane e settimane a lavorare, e chi sapeva quando ne avremmo riavuto l'occasione. Un impulso ed un desiderio improvvisi di amarci in tutti i sensi, in tutti i gesti, che, anche se spesso erano arrivati, mai avevamo avuto il coraggio di far uscire completamente fuori dalle mura di casa. Ed invece, eravamo lì, in una capannina graziosa, di cui ancora non capivo ragione di esistere. Ma alla fine, che importava? Niente. C'eravamo io, Michael ed il nostro amore, insomma noi, e ciò bastava.
“M-Marco,” Sospirò sulle mie labbra socchiudendo gli occhi. La paura di essere scoperti, tuttavia, mi resi conto che era riuscita a rendere la cosa ancora più eccitante. Che pensieri. “p-please...” Farfugliò mordicchiandosi il labbro inferiore.
Sapevo per cosa mi stava pregando, ma anche io lo avevo fatto, no? Andai a stuzzicarlo sulla parte superiore con le dita giocando anche con lo sguardo. Il suo era visibilmente sofferente, ma anche talmente compiaciuto da quello che stavo facendo. Sentii un rumore di attrito causato dalle sue unghie che si erano andate ad impiantare su quel muro di legno chiaro ed un altro gemito di piacere fuoriuscire dal suo corpo. Senza preavviso, lo vidi abbassarsi anche quell'ultimo indumento, gettarsi sulle mie labbra e ributtarmi sulla sedia. La sua erezione umida che premeva contro le mie carni, mi fece aggrappare automaticamente alle sue spalle, mentre le sue braccia mi stringevano a sé. Affondò il viso nell'incavo del mio collo baciandolo e mordicchiandolo, incominciando a muoversi con la sua solita dolcezza. Sentire il suo respiro accelerato ed i sospiri di piacere a pochi millimetri dal mio orecchio continuava ad essere sempre emozionante. Presi il suo viso fra le mani, affinché potessi vedere meglio i suoi occhi, in cui riuscivo ogni volta a capire cosa provasse, ed il bello era che era sempre amore, con la stessa identica intensità. Quando aumentò la forza e la velocità delle spinte, cacciai un piccolo urlo, che con tutto aveva a che fare tranne che con il dolore. I suoi muscoli ben delineati in quel momento, li vidi distendersi, subito dopo un gemito più alto degli altri. Si accasciò su di me cercando di riprendere fiato lasciando che la bocca aperta facesse scontrare il suo fiato caldo contro il mio petto, per far tornare il suo respiro quantomeno regolare. Gli accarezzai la schiena ancora coperta dalla camicia e lascia dei delicati baci sulla sua fronte leggermente bagnata. 
“Dobbiamo imparare a controllarci.” Ansimai accarezzandogli la guancia.
“Why?” Domandò avvicinandosi, ancora di più, e ricongiungendo le nostre labbra. 
“Perché ora la mia camicia è tutta sgualcita.” Lo rimproverai divertito ponendo fine a quel contatto.
“Tu è più sexy con camicia così.” Affondò il viso nell'incavo del mio collo per mordicchiarlo sistemandomi e riallacciandomi i pantaloni, lasciandomi, poi, una piccola pacca fra le gambe facendomi saltare sulla sedia.
“Ehi!” Esclamai contrariato e sorpreso da quel gesto. Guardai l'orologio, che lui stesso mi aveva regalato e che non avevo tolto mai, e sgranai gli occhi terrorizzato. Le otto e quarantadue?! “Cazzo, Michael, è tardi!” Quasi urlai alzandomi di scatto. “Cavolo, ora penseranno che è colpa mia, e di fatto lo è! Avrei dovuto fermati, vedi?! E cosa dico ora? ‘Scusate, sono stato preso dalla passione con vostro figlio nella casetta in giardino’?!” Merda. Merda.
“Amore, calmate. No sucede niente, io fa sempre tardi, loro lo sanno.” Cercò di tranquillizzarmi guardandomi negli dritto negli occhi. Allora, si alzò e si risistemò anche lui. Quando ero pronto ad uscire, però mi bloccò riunendo le nostre labbra, entrambe intrise del sapore dell'altro. “Andiamo.” Disse semplicemente stringendo la mia mano e dirigendosi nuovamente verso quella porta, dietro alla quale si sarebbe svolta una serata non poco complicata per me.
“M-Mika, sono sudato, puzzo. Abbiamo sbagliato, non avrem…” Tentai di iniziare a trovare le scuse più plausibili per non varcare quella soglia.
“Marco, stop! Ti è meso boceta intera de profumo a casa!” Mi rimproverò. “E poi, no sbagliamo mai quando noi faciamo l’amore.” Aggiunse sorridendomi dolcemente.
“Hai ragione, scusami.” Sussurrai sfiorando le mie labbra con le sue e strofinando appena i nostri nasi. Lo tirai delicatamente a me sentendo le sue mani risistemarmi la cravatta e la camicia.
“Are you ready?” Annuii e strinse la mia, e con l’altra andò a pigiare il pulsantino bianco. Siamo come al punto di partenza, ma sono un po’ più sicuro.
Ed era la verità. Se stavo con Michael ero e mi sentivo al sicuro. Tutte quelle paranoie, seppur ancora persistenti nella mia mente, sapevo che, se fossi stato con lui, avrei potuto superarle e passare del tempo tranquilli insieme, essendo noi stessi. Avrei potuto abbracciarlo, sussurrargli che lo amavo, dargli un piccolo bacio ed accarezzare la sua pelle senza timore, magari con un po’ di imbarazzo, ma senza timore, cosa che ero riuscito a fare solo davanti a Cris. L’idea mi piaceva tanto e, poi, avrei conosciuto la sua famiglia. Era un passo importante a cui avevo pensato molto spesso in quei giorni, ma... posso parlare con sua madre e scavare nel suo passato e scoprire cose imbarazzanti, quanto il costume da matita. Oh, sì.
 
Non so come, non so quando, ma fummo invasi da un gruppetto di persone, forse cinque, che mi salutarono come se fossi stato il loro migliore amico di una vita, e, devo ammetterlo, questa cosa riuscì da subito a mettermi a mio agio. Mika venne assalito prima di tutto dalla madre, che sembrava non vedere il figlio da chi sa quanto. Anche se mi diceva che spesso si ritrovavano in contrasto, era stata una scena meravigliosa. Mi rendevo conto di che bel rapporto avessero nonostante tutto, quello che io e la mia non avevamo più avuto. Fu automatico pensare a lei. Non l'avevo vista più dopo il giorno in cui aveva svelato i miei buffi ricordi d’infanzia al mio ragazzo. Li osservai per bene. Le tre sorelle erano esattamente come Michael me ne aveva parlato: un po’ impiccione, ma gentili. Yasmine, Paloma e Zulei... Zuleika, mi sembra. Sì, ma chi è chi? Me ne ero già dimenticato, così mi limitai a sorridere e ridere quando loro lo facevano. Sono un idiota. C’era anche il loro fratello più piccolo, che somigliava tanto a Mika, che però aveva i tratti più dolci probabilmente. Si vedeva fossero fratelli, e pure tanto, ma Michael aveva una grazia ed una dolcezza in volto che nessun altro poteva avere. E, oh cazzo, era più alto. Credevo che mi prendesse in giro quando diceva di essere più basso di Fortuné, ma effettivamente così era. Assurdo!  C’era anche una donna più anziana, che supposi essere sua nonna. Era estremamente seria, ma anche tanto gentile, e, si vedeva, amava i nipoti.
Sentivo la mano di Mika accarezzarmi dolcemente la gamba, di tanto in tanto, sotto il tavolo, gesto che riusciva a tranquillizzarmi ancora di più. Tuttavia, mi sentivo a mio agio fra di loro, anche se spesso capitava che non capissi ciò che dicevano, lui era subito pronto, capendo dal mio sguardo che non avevo compreso appieno, a dirmelo con la sua lingua, che capivo sempre troppo bene. Mi solleticava all’orecchio con le sue labbra perfette ed io non potevo fare a meno di ritrarmi leggermente ridendo imbarazzato, non rendendomi conto di ciò che potevano pensare gli altri. Michael aveva già detto loro che ero un cantante proprio come lui, e mi chiesero come stesse procedendo e se stessi lavorando ad un nuovo album. In quel momento, non riuscii non pensare al fatto che, di lì a poco, l’uomo che amavo sarebbe partito per un tour promozionale, dopo l'uscita del disco. Strinsi automaticamente più forte la sua mano guadagnandomi uno sguardo sorpreso da parte sua. Gli sorrisi per rassicurarlo e gli accarezzai il dorso con il pollice lasciandogli un bacio sulla guancia, vedendolo subito dopo mordicchiarsi timidamente il labbro inferiore. Vidi una delle sorelle dargli una piccola gomitata sulle costole facendolo girare di scatto verso di lei, che continuava a mandargli una strana occhiata. Annuì e si rigirò verso di me posando delicatamente le sue labbra sulle mie. Sentii il mio cuore fermarsi automaticamente. Che devo fare?? Portò la sua mano sul mio collo approfondendo quel contatto. Come che devi fare?! Ricambia, imbecille! Così risposi immediatamente, che sapeva, ancora una volta, di libertà, che a piccoli pezzi stavamo riuscendo a conquistare.
Quando ormai la serata stava per concludersi, io e Mika eravamo seduti sul divano di casa Penniman in un modo che non mi era mai passato per la testa di fare in un posto che non fosse stato solo nostro. Mi aveva fatto poggiare con la schiena contro di lui, mentre ascoltava attentamente ciò che gli altri gli dicevano, ma io non potei che rimanere incantato ad osservare il suo viso rilassato, che sprizzava felicità da tutti i pori. Finalmente, forse, si sentiva più sereno e meno condizionato. Avrei tanto voluto che la stessa cosa fosse accaduta con i miei, ma così non era stato. Tuttavia, ormai tutto era fatto, ed a me bastava stare con lui per essere felice.
“Te diverte?” Mi domandò in un sussurro lasciandomi, poi, un piccolo bacio dietro l’orecchio, una volta resosi conto che continuavo a puntare i miei occhi su di lui.
“Sì, molto.” Risposi sincero continuando incantato a guardarlo. "Anche se speravo di scoprire qualcosa di imbarazzante per cui prenderti in giro." Aggiunsi sussurrando, guadagnandomi uno sguardo scandalizzato da parte sua.
“Mh..." Mi rivolse uno dei suoi sguardi dispettosi. "Tu piaciuto tanto loro, sai. Ha deto me mamma de dirte de stare tranquilo.” Affermò cambiando discorso, facendo dei piccoli cerchi con un dito sulla mia spalla. Arrossii subito a quelle parole. Era così evidente il mio imbarazzo? Credevo di averlo superato e di essermi mostrato sicuro, ed invece… “Ehi, amore, don’t worry. Fidate, tranquillo.” Disse divertito posando le sue labbra sulla mia tempia, ed io sospirai rassegnato cercando di tornare a rilassarmi nel calore del suo corpo.
 
Vogliono rivedermi. Vogliono rivedermi. L’hanno detto, ed io lo faccio, mi farò rivedere, anche perché al fianco di Mika resto.
“Grazie per la serata.” Dissi, una volta rientrati a casa.
“Crazie a te.” Mi cinse i fianchi fra le sue braccia ed io ne approfittai per portare le mie al suo collo. “Tu è stato meraviglioso, tuto lo ha stato. Sono tanto contento.” Gli accarezzai dolcemente il viso disegnadone il profilo perfetto con le dita, che fermò e sulle quali lasciò un altro bacio delicato.
“Andiamo a dormire, dai. Sei stanco.”
Era andata davvero meglio di quanto mi aspettassi. Era stato divertente e, secondo quanto diceva lui, ero piaciuto alla sua famiglia e non potevo che esserne felice.  


#MyWor(l)d

Okaaaaay, ci sono. Chiedo scusa per quest'ennesimo ritardo D: Mamma mia... Scusatemi tanto! <3
Come state? Spero bene! :3
Allora, ringrazio come al solito chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! :3

Un bacione, 
Michaels

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Capitolo 43
*** 2012 pt.13 ***


Roma, Mercoledì 26 Settembre 2012
 
 
Da quando il nuovo album di Mika era uscito, non avevo più avuto l'opportunità di vederlo per più di ventiquattro ore. Detestavo davvero questi periodi in cui i nuovi dischi uscivano. Significavano interviste, promozioni e tour. Insomma, significavano un nostro inevitabile allontanamento. Io volevo godere di ogni momento insieme a lui, ma sapendo che non lo avrei rivisto più per un bel po' non riuscivo a farlo appieno, e probabilmente avrei dovuto fare esattamente il contrario. Stare insieme a Michael era fantastico, ma il pensiero di non averlo al mio fianco per non poco tempo mi tormentava, snaturando ogni momento passato insieme. Sembravo di cattivo umore, anzi lo ero, perché senza di lui non riuscivo a stare ormai. Un piccolo puntino su un grande foglio bianco, dalle mille sfumature, ed il fatto ancora più sorprendente era che erano tutte sfumature estremamente vivaci, che riuscivano a descrivere e dare felicità ed amore. 
Mentre lo osservavo dormire, cercavo di memorizzarmi sempre di più la sua immagine, cercando di farla restare permanente nella mia mente. Probabilmente, già lo era e quella era solo una scusa per continuare a guardarlo in modo alquanto maniacale. Ma quei suoi occhioni chiusi, quelle labbra a forma di cuoricino schiuse, a far intravedere quei suoi due adorabili incisivi, la guancia leggermente gonfia, poiché schiacciata contro il cuscino, ed il suo braccio che andava ad avvolgere calorosamente la mia vita e la sua mano che stringeva appena il mio fianco, erano qualcosa che doveva permanere nella mia mente, perché spesso mi sarei ritrovato la notte a desiderarlo accanto a me. Rendendomi conto del fatto che fosse un po’ troppo scoperto, però, gli sistemai meglio la coperta per, poi, accarezzargli delicatamente il viso che, da rilassato, si contrasse lievemente. Quando dormiva si rendeva conto di tutto, io, invece, proprio no. Molto spesso, poteva lanciarmi qualsiasi cosa addosso, e non me ne sarei reso affatto conto. Anche se, secondo me, quel suo stato di dormiveglia era stato dovuto, in particolare, dalle sue paure più profonde. Scacciai via quei pensieri, concentrandomi su quell’angelo addormentato che riempiva le mie giornate di tranquillità e gioia. Con Melachi che dormiva beatamente fra le sue gambe e la testa pesantemente posata sulla sua coscia, riusciva ad essere una visione sorprendentemente ancora più dolce.
Mi sembrava incredibile che, il giorno appena prima del concerto che avrebbe aperto ufficialmente il tour, fosse riuscito a trovare del tempo per tornare a Roma da me per, poi, ripartire qualche ora più tardi. E si poteva dire che, alla fine, fosse venuto a passare solo la notte con me. Ed era bellissimo poterlo sfiorare con dolcezza. Non c’era stato bisogno di fare l’amore quella volta. Volevamo solo dormire uno al fianco dell’altro, per l’ultima volta per tanto tempo. Abbracciati. Uniti.
Ormai mancavano poche ore al suo volo, quindi andai a posare la mia mano sul suo viso accarezzando dolcemente con il pollice il suo labbro inferiore sporgente e con gli altri polpastrelli andai a toccare delicatamente il profilo del suo collo ed il suo orecchio, mentre col palmo riscaldavo la sua guancia rilassata. Sentii qualche mugugno e qualche lamento uscire dalla sua bocca, sulla quale posai la mia azzittendolo. Menta. L’unico uomo che sapeva di menta appena sveglio. Le freschezza mi invase ed il suo sapore dolciastro e pungente, ma piacevole, andò a prendere posto della secchezza e l’amarognolo mattutini. Lo vidi serrare gli occhi ed aprirli lentamente e, una volta resosi conto di chi aveva davanti, lo sentii sorridere e sistemarsi meglio sul letto cominciando a ricambiare velocemente al bacio. Il fruscio delle coperte, accompagnato dai nostri piccoli tentativi di riprendere fiato, fu seguito da un rapido movimento da parte di Michael, che si portò su di me, senza mai interrompere il contatto, ed affondò le sue dita fra i miei capelli. Gli strinsi fortemente i fianchi, per tenerlo stretto, fino a quando cominciai a vagare su quel suo corpo perfetto. Con una mano salii fino ai suoi riccioli corti, sentendone tuttavia la consistenza delicata e morbida, mentre l’altra la infilai sotto la maglietta del suo pigiama, toccando la sua pelle alquanto calda. Ma non bollente, è dolcemente calda, come se riuscisse a rilassare. Scese lentamente verso il mio collo facendomi fare un altro piccolo sospiro di piacere, fino a risalire sulle mie labbra. Un altro paio di schiocchi e lo vidi staccarsi delicatamente da me, riaprendo finalmente i suoi occhi.
“Buongiorno.” Disse semplicemente sorridendomi ed accarezzandomi dolcemente la guancia con un paio di dita.
“Buongiorno.” Ripetei sussurrando, ma le parole mi morirono come in gola, quando mi ricordai che quel risveglio per molto tempo non lo avrei più avuto.
“Are you okay?” No.
“Sì,” Mentii andando nuovamente contro i miei pensieri. “sono solo ancora un po’ scombussolato da questo meraviglioso inizio di giornata.” Aggiunsi vedendolo sorridere ancora e posare la sua fronte contro la mia. Mi mossi appena facendo sfiorare i nostri nasi, fino a quando sentii la sua mano stringermi e tirarmi appena la maglietta. Lo guardai confuso e spaventato mi affrettai a chiedergli spiegazioni. “Stai bene?” Annuì prendendo la mia e darle un trattamento più delicato.
“Vuole solo sentire ancora il sapore delle tue labra.” Rispose per, poi, riunirle esaudendo magicamente un altro mio desiderio.
“V-vorrei accompagnarti all’aeroporto, ma…” Tentai di iniziare a spiegare una volta posto fine anche a quel meraviglioso contatto.
“Don’t worry,” Mi interruppe accarezzando il mio labbro superiore. “I know. Tu ha registrazioni.”
Potei notare, tuttavia, un piccolo velo di malinconia ed un piccolo velo di delusione nei suoi occhi e nel suo tono di voce, ma decisi di non appesantire quel momento. Mi limitai a stringerlo fra le mie braccia ascoltando i battiti del nostro cuore andare all’unisono ed i nostri respiri diventare, man a mano, regolari.
 
Eravamo esattamente nella stessa situazione di undici mesi prima: uno di fronte all'altro con occhi dalla tristezza velata da un piccolo sorriso forzato. La cosa peggiore, però, era che saremmo stati di nuovo in quel modo solo qualche mese dopo, successivamente all'uscita del mio di album, già in fase di elaborazione. Mi prese delicatamente per mano facendomi portare timidamente lo sguardo su di lui. Gli angoli della sua bocca si alzarono leggermente dandole una cornice appena accentuata dalle sue fossette. Feci la stessa cosa, ma di certo senza la perfezione che tanto lo caratterizzava. Sembravamo due persone che si stavano per dare l'addio, ma di fatto per fortuna così non era. Tuttavia, il pensiero che non l'avrei visto come volevo per mesi e mesi, mi dava quella terribile impressione. Ma insomma, c'è di peggio, no? C'è gente che deve salutare i propri cari mentre vanno in guerra! Eppure, faceva così male lo stesso, ogni santissima volta. 
“Marco, io ti deve dire un po’ di cose, prima de partir.” Esordì con sguardo incredibilmente serio. Oh Santo Dio, ti prego, fa che non sia qualcosa di brutto.
“Dimmi.” Dissi, a mia volta, non vedendo alcun proseguimento da parte sua, stringendo ulteriormente le sue mani.
“In realtà, sono due cose solo, but molto importanti.” Affermò con tono pacato, ma riuscii a notare, tuttavia, un piccolo filo di nervosismo e preoccupazione nelle sue corde vocali. Abbassai le spalle perplesso e lo invitai a continuare con un semplice cenno di capo. Sospirò come a prendere coraggio chiudendo qualche secondo gli occhi per, poi, riaprirli e cominciare a parlare. “Il tour inizia domani, come tu sa, but tu no sa quando finisce. Well… it dovrebe finire quasi seguramente in July.” Eh?!
“Luglio?!” Esclamai sorpreso abbandonando la sua presa.
“D-don...” Si bloccò di colpo non sapendo neanche lui cosa dire effettivamente. Ma che potrebbe dire, alla fine?
“Mika, un tour è pesante da intraprendere, e lo so che per te non è assolutamente la prima volta, ma è quasi un anno!” Aprì la bocca per ribattere con qualcosa di certo senza senso, ma lo interruppi ancora prima che potesse cominciare a farlo. “E noi?” Già. E  noi?
“Noi no cambiamo comunque.” Rispose ricongiungendo rapidamente le nostre mani. “Io ha tre date en Italia, per ora ufficiali, anche a Roma e a Milano.” Aggiunse accarezzandomi dolcemente una guancia. Crede sul serio che due giorni su non so quanti sarebbero bastati? “Oh, please, Marco no guardarme così.” Non sapevo che faccia avessi fatto esattamente, ma non mi interessava in quel momento. “E poi, ce saranno dele pause in qualsiasi caso di qualche giorno o qualche week, so noi posiamo stare insieme.” Mi lasciai in parte convincere da quelle parole. Abbassai la testa sentendo, non molto tempo dopo, Michael alzarmela delicatamente e rivolgermi un sorriso comprensivo per, poi, avvolgermi dolcemente nel calore delle sue braccia, tra le quali riuscivo a sentirmi completamente a casa. Lo strinsi ulteriormente a me, come a volermi impregnare completamente del suo inebriante profumo. Quando sciolse l’abbraccio, però, mi ricordai che c’era qualcos’altro che doveva dirmi, e, per quanto cercassi di prepararmi al peggio, l’ansia cresceva e cresceva sempre di più. “L’altra cosa è che my cameraman resta Andy.” Disse tutto d’un fiato.
“An… A-Andy?” Ripetei come paralizzato.
Non poteva essere vero. Non poteva aver deciso di farsi accompagnare per mesi e mesi dal suo ex compagno. Già riuscivo a vederli sempre in contatto, mentre Andrew se lo mangiava con gli occhi e Mika, ingenuo com’era, si sarebbe lasciato abbindolare un’altra volta. Ed io? È la fine. È la mia fine. Sarei stato lontano da lui ed a colmare la mia mancanza ci sarebbe stato proprio quel cameraman. Ma come poteva aver preso una decisione del genere? Insomma, io non contavo assolutamente niente allora.
“Amore, no preoccuparte, io sa quelo che fa.” Cercò di rassicurarmi, anche se risultò assolutamente inutile.
“Michael, quello è il tuo ex.” Dissi semplicemente con tono e sguardo estremamente dubbioso.
“Yes, but tu è mio ragazzo, okay? No te deve preoccupare.” Ritentò facendomi uno dei suoi sorrisi rassicuranti, che, però, quella volta non riuscì ad avere molti effetti su di me.
“Non credi di chiedermi un po’ troppo?” Replicai leggermente indispettito.
“Listen, he is mio amico, capisci?” Incrociai le braccia al petto, ancora più contrariato di prima.” A-and è stato my first true love.” Sputò fuori come se fosse stata la cosa più normale e giusta da dire in quel momento. Tuttavia, risultò assolutamente la più sbagliata. Ero geloso, e forse questo lui lo sapeva, ma era anche la verità. Però, mi dava comunque fastidio pensare che per lui, io non ero stato il primo vero amore. Non ero stato il primo ragazzo. Non ero stato il primo a toccare le sue labbra. Non ero stato il primo con cui aveva fatto l’amore. Non ero stato io il primo a farlo sentire completo. Invece, lui per me era stato tutte quelle cose meravigliose. Rilassai il viso, come a fargli assumere un’espressione quasi delusa, e forse di fatto lo ero, ma vidi il suo assumerne una preoccupata, mentre afferrava nuovamente le mie mani, slacciandole e togliendole da quella posizione. “Sorry.” Fu quasi un sussurro il suo.
“Non preoccuparti.” Feci un piccolo sorriso forzato chinando appena la testa da un lato, guardando a terra, quasi intimidito.
Sapeva di aver sbagliato e sapeva di avermi ferito, ma cercai di non darlo a vedere in ogni caso. Stava per partire per un tour e doveva stare tranquillo. Stava bene, finalmente. Alla fine, mi ero riuscito a far spiegare cosa avesse esattamente: affaticamento cronico e febbre da stress. Assurdo, davvero. Tutta quella situazione gli aveva dato una tensione, da causargli ciò. Ma grazie alle direttive del medico, che oltre al riposo gli aveva detto di tenersi in forma e di seguire anche determinate abitudini alimentari. Non so il perché, l’unica cosa su cui mi ero riuscito a concentrare in quei momenti era sul viso di Mika, rilassato e felice dopo troppo tempo.
“Marco…”
“Promettimi solo che ci sentiremo ogni volta che potrai.” Lo interruppi, prima ancora che potesse cominciare a dire qualcosa che mi avrebbe fatto cambiare ulteriormente stato d’animo.
“Te lo prometo.” Soffiò avvicinandosi alle mie labbra e posandoci le sue, in modo delicato, ma quasi disperato.
Fu un contatto, piccolo ma intenso. Non mandammo le nostre lingue ad esplorare le nostre bocche. Eravamo forse entrambi in imbarazzo, lui per quello che aveva detto ed io per lo stesso identico motivo, ma andava bene così.
“Beh, allora, ci vediamo presto.” Dissi appena posi fine al nostro contatto. Mi sorrise semplicemente per, poi, prendere lo zaino che si era portato dietro ed uscire, ma lo bloccai prendendogli una mano facendo riportare i suoi occhi su di me. “Ti amo.” Glielo dovevo dire, glielo dovevo ricordare assolutamente.
“Anche io.” Disse, a sua volta, accarezzandomi dolcemente il dorso con un dito e scomparire dietro la porta.
Forse, però, speravo in un altro bacio, magari con più sentimento. Non un bacio a stampo, ma uno dei nostri baci, quelli che parlavano per noi e sapevano di noi, quelli che univano non solo le nostre labbra, ma anche i nostri cuori, che battevano così forte insieme che sembravano una cosa sola. Siamo una cosa sola.
 
 
Sabato, 10 Novembre
 
 
In quei giorni ero venuto a sapere che Mika sarebbe venuto a Roma per un concerto all’Atlantico, ma l’avevo scoperto solo grazie a Cris, che l’aveva letto da qualche parte su internet. Lui non mi aveva neanche chiamato per avvisarmi ed io c’ero rimasto non poco male. Stavo cercando di capirlo, ma la promessa? Beh, forse non ha tempo, idiota. Ma neanche un messaggio?
Quelle sei settimane senza di lui erano state troppo difficili, e, per quanto cercassi di non pensare a lui ed Andrew in continuo contatto, non ce la facevo. Ogni volta che la paura si faceva sentire di più, gli scrivevo oppure provavo a chiamarlo, molte volte senza ricevere una risposta immediata. Alcune volte le ricevevo con ore ed ore di ritardo. Non volevo essere asfissiante ed opprimente, ma ero terrorizzato all’idea di saperli l’uno avvinghiato all’altro, dopo tanto tempo. Sarebbe bastato un piccolo sguardo ed Andy sarebbe riuscito a perdersi negli occhi di Mika, e viceversa.  Si vedranno, si avvicineranno e senza accorgersene saranno l’uno sulle labbra dell’altro. Oh, no.
 
Non è poi per sempre 
Voglio vivere ogni istante 
Eri tu. 
Lui non è speciale…

 
“Marco, Marco, fermati!” Sentii la voce di uno dei tecnici chiamarmi e la base della canzone interrompersi subito dopo.
“Che c’è?” Domandai confuso togliendomi appena le cuffie e scostandomi dal microfono. “Allora?” Continuai non ricevendo alcuna risposta da dietro il vetro, dal quale vedevo Marta con il capo chino, a guardare per terra.
“Hai detto ‘lui non è speciale’.” Mi informò dopo un piccolo momento di esitazione riavvicinandosi all’altoparlante. Merda.
“Oh, scusate.”  Dissi in imbarazzo portandomi una mano dietro al collo grattandolo nervosamente.
“Okay, ricominciamo.” Affermò semplicemente portando lo sguardo sulla mia manager che, a sua volta, mi guardò con occhi estremamente dispiaciuti.
Le feci un piccolo sorriso per rassicurarla e tornai a concentrarmi sulla musica che ricominciò a risuonarmi in cuffia, nel suo suono melodioso e rilassante, anche se, ad un certo punto, tutto diventava tranne che rilassante. Mi resi conto, solo in quel momento, di aver scritto una canzone troppo pesante, anche se dolce. Ma dovevo concentrarmi sul mio lavoro, e cercare di non pensare a quello che stava succedendo ed ai miei pensieri, molto probabilmente sbagliati, almeno spero. Perché però non ti ha avvisato?! Quella domanda mi tormentava fin troppo, e sarebbe stata una alla quale non avrei avuto alcuna risposta concreta per un bel po’. Oh, lui ti ama Marco. Sei colui per cui ha detto al mondo di essere gay, non per Andrew, diamine. Beh, forse lui non l’ha forzato… Oh, basta!
 
 
Milano, Venerdì 30 Novembre
 
 
Michael era stato ospite della semifinale di X Factor, ed inutile dire che ero non poco nervoso che potesse accadere la stessa identica cosa che era successa a noi con qualcuno dei ragazzi. Sei un idiota. Quella volta, tuttavia, mi aveva avvisato inviandomi un messaggio, tra un'intervista e l’altra, e non vedevo l’ora di averlo a pochi centimetri da me dopo così tanto tempo. Stavo aspettando che venisse nel mio appartamento che avevo preso in affitto a Milano, per passare la notte lì e ripartire poche ore dopo. Appena lo vidi entrare mi catapultai da lui buttandomi fra le sue braccia senza esitazioni, mettendo da parte tutta la delusione che si era fatta spazio in me in quei giorni.
“E-ehi.” Lo sentii ridere divertito, mentre mi continuava a passarmi amorevolmente una mano fra i capelli dandomi una piacevole sensazione di pace e tranquillità, che in quelle settimane quasi mai avevo provato. Mi lasciò un leggero bacio sulla testa stringendomi ancora di più a sé, sollevandomi appena da terra. “Come sta?” Mi domandò facendomi sorridere. Non imparerà mai.
“Ora bene,” Chiusi gli occhi aggrappandomi alla sua giacca di pelle nera ed affondando il naso nel suo collo profumato, coperto da una sciarpa. “tu?” Alzai il viso incontrando il suo sguardo comprensivo e stanco notando, tuttavia, anche i suoi capelli brillanti e corti, dei suoi riccioli neanche l’ombra.
“Fine, but, Marco, what’s wrong?” Mi chiese notando probabilmente il mio cambio di espressione.
“N-niente, m-ma i tuoi ricci?” Sentivo che stava cambiando, anche troppo forse.
“Oh, nothing. Today voleva farli così.” Rispose rivolgendomi uno dei suoi sorrisi che solitamente riuscivano a tranquillizzarmi. “So…” Sussurrò avvicinando il suo viso al mio facendo sfiorare delicatamente i nostri nasi.
“Perché qualche settimana fa non mi hai detto che avresti avuto un concerto a Roma?” Gli chiesi abbassando la testa e posandogli una mano sul petto, ad allontanarlo, prima che potesse unire le nostre labbra.
“M-Marco, I… credeva che tu doveva lavorare.” Disse sbrigativo, dopo avermi mostrato un piccolo e fastidioso momento di titubanza nel rispondere.
“Tu” Alzai la testa di scatto deluso da quelle parole. “credi davvero che non avrei trovato un po’ di tempo per vedere l’uomo che amo, dopo quasi due mesi?” A quelle parole abbassò le spalle aprendo appena la bocca, indeciso su cosa dirmi, ma la richiuse pochi secondi dopo, come rassegnato.
“I’m sorry.” Si scusò in un sussurro quasi impercettibile prendendo la mia mano. “Te mi è mancato tanto.” La strinse delicatamente accarezzandone il dorso per, poi, intrecciare le nostre dita e prendere l’altra.
“A-anche tu.” Cercai di stringere a mia volta le sue dimenticandomi un attimo di quello che era successo e cercando di cominciare a godere di ogni secondo di quel breve momento. “Com’è andata stasera?” Gli domandai cambiando argomento.
“Fine, me sono divertito. Ha dovuto parlare sempre inglese, ma io capiva tutto, anche cose imbarazanti." Disse ridacchiando. "Ha fato anche giudice de nuovo, come quando io ha stato ospite a X Factor quando tu era in competizione!” Esclamò entusiasta. “Te ricorda?” Ma è scemo?
“Certo.” Dissi divertito. “Insomma, ho avuto la possibilità di rivederti in quell’occasione.” Aggiunsi passando delicatamente un dito sul suo viso e mi rivolse un timido sorriso lasciando un piccolo bacio sulla mia mano.
“You know, hanno cantato una tua canzone questa sera.” Mi informò mostrandomi ancora di più i suoi incisivi e le sue meravigliose fossette.
“Ah, sì?” Chiesi curioso. Che onore.
“Yes, ‘In un giorno qualunque’. It’s amazing, mi ha sempre piaciuta.” Quasi saltò dicendo quella frase.
“L-la conosci?” Balbettai sorpreso provocando un automatico cambio di espressione del suo volto.
“Sure.” Corrugò la fronte ed incrociò le braccia al petto come offeso. “Io ascolta quasi sempre tue canzoni, amore.” Cosa?!
“Cosa?!” Domandai ancora più sorpreso di prima facendolo arrossire di colpo.
“W-well, y-yes, you know, when me manca tua voice e… e io mete tue canzoni.” Abbassò lo sguardo cominciando a stuzzicarsi una piccola pellicina sul pollice.
Lasciai che la secchezza che teneva unite le mie labbra, fosse sostituita dal dolce sapore delle sue. Mi gettai su di lui, incrociando le braccia dietro al suo collo. Sentii le sue avvolgermi dolcemente la vita e tirarmi a sé. Mi era mancato sentire il calore del suo corpo contro il mio. Mi era mancato il suo profumo. Mi era mancata la sua voce. Mi è mancato lui. Fino a quel momento mi ero sentito come una batteria scarica, che stava riprendendo l'energia di cui necessitava dall’unica cosa che poteva restituirgliela.


#MyWor(l)d


Saaalve! c: 
Come state? Le scuole stanno per ricominciare, eh x3
Ma comunque, allora, la canzone di Marco, "20 Sigarette", non ho voluto metterla per intero perché, intanto non so ancora se la userò più avanti, ma anche perché poi mi si sarebbe allungato troppo il capitolo :3 Beh, detto questo, spero sia stato di vostro gradimento!
Come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! :3 <3
Un bacione,
Michaels
 

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Capitolo 44
*** 2012 pt.14 ***


Milano, Venerdì 7 Dicembre 2012
 
 
Erano passati solamente sette giorni e, in via del tutto eccezionale, io e Mika saremmo riusciti a vederci per la seconda volta dall’inizio del tour. Sarebbe stato di nuovo ospite a X Factor, questa volta per duettare con una delle finaliste di Morgan, Chiara, che personalmente mi piaceva. Il problema era che Michael non aveva smesso neanche per un secondo di parlare della puntata e di quanto questa ragazza gli piacesse, da un punto di vista puramente artistico, come lui stesso dice. Continuava a sottolinearlo e la cosa mi cominciò davvero ad innervosire. Continuava, inoltre, a voler sviare l’argomento Andrew ed i possibili perché nella mia testa si moltiplicavano come mai avevano fatto prima. Uno peggio dell’altro.
Tuttavia, in un momento imprecisato, mi incantai ad osservare le sue labbra perfette, che troppe poche volte avevo avuto l’onore anche solo di sfiorare in quelle poche occasioni. Si muovevano, sì, ma non sulle mie. Da esse fuoriusciva la sua adorabile lingua completamente e maldestramente inventata. Ogni tanto si mordicchiava il labbro inferiore e si risistemava sulla sedia incrociando le braccia. Io, però, mi limitavo ad osservarlo, senza realmente ascoltare ciò che mi veniva detto. Alla fine, erano sempre le stesse cose. “Il tour va bene”, “Chiara è una ragazza d’oro dalla voce pazzesca”, “non vedo l’ora di tornare su quel palco con lei”… ‘na rottura, ‘nsomma! Per quanto prima mi potesse bastare sentire semplicemente il suono melodioso della sua voce, in quel momento non riuscivo a godermelo appieno. Era bello vederlo sorridere e ridere, ma forse, in cuor mio, avrei voluto che si fosse concentrato un po’ di più su di me, su di noi. Era giusto fosse così, no? Uno torna dalla persona che, teoricamente, ama, in un periodo in cui vedersi era diventato non poco complicato, e ci si comporta in modo leggermente diverso dal suo, o sbaglio? Oh, beh, forse sono io che la vedo in uno modo un po’ troppo assurdo e fantomatico. Mentre ormai ascoltavo più i miei pensieri, che il suo discorso, sbuffai senza farci caso più di tanto, e posai il gomito sul tavolo, poggiando poi il mio viso sulla mano. Anche la postazione che avevamo preso mi diede da pensare. Insomma, di solito ci mettevamo sul divano, l’uno appiccicato all’altro, accoccolati. Invece, quella volta, ci ritrovavamo in cucina a sorseggiare del disgustoso thè alle cinque di pomeriggio, come dei bravi inglesini. Sì, Marco, proprio inglesino sei tu. Lo vidi bloccarsi improvvisamente e guardarmi con aria disorientata e quasi delusa.
“Marco, what’s wrong?” Mi chiese sistemandosi meglio sulla sedia, posando la sua mano resa particolarmente calda dal calore della tazza, che però a contatto con la mia mi aveva dato una sensazione di freddezza quantomeno strana. Non era la prima volta che mi rivolgeva quella domanda in quelle ore, ma non sapevo che risposta dargli, perché c’erano troppe cose che non andavano, in primis noi. Ormai sembrava non si trattasse più di noi, ma di me e di lui. Come se fossimo diventati di nuovo due cose differenti e separate. A me piaceva da morire ascoltarlo parlare delle cose che lo rendevano felice, ma stava cominciando a diventare fin troppo ripetitivo, come se volesse parlare di tutto, tranne di quello che poteva realmente interessarci. Stava cominciando ad essere fin troppo evidente questo suo tentativo di sviare e la cosa non mi piaceva. Affatto. “Marco?” Cercò di attirare nuovamente la mia attenzione accarezzandomi con i polpastrelli il dorso della mano.
“Mika…” Inevitabilmente mi fermai non sapendo cosa dire esattamente.
“Well, raccontame!” Nel momento in cui stetti per aprire bocca, fu lui a bloccarmi facendo finta di niente. Questo è davvero troppo. La conversazione, se così si poteva chiamare, stava prendendo una strana piega. Non aveva più un senso e non si avvicinava neanche lontanamente a quelle che avevamo solitamente. “Come on! Tell me, come andare album?” Proseguì facendomi sussultare quando posò rumorosamente le mani sul tavolo.
“Bene.” Risposi semplicemente osservando il suo sorriso, forse anche un po’ troppo falso. Cercava di nascondere un evidente disagio. Tentativo che risultò da subito del tutto inutile e smascherato da quei suoi occhi imbarazzati, quasi smarriti. “S-sai, sono nella lista dei candidati per partecipare a Sanremo 2013.” Aggiunsi cercando di smorzare quella tensione che aveva invaso entrambi.
“Really?” Vidi il suo viso cambiare totalmente espressione, tramutandone l’aspetto da disorientato a sorpreso ed orgoglioso. Mi limitai ad annuire sentendo, poi, le sue braccia ed il suo calore avvolgere il mio corpo. “Tu spacarà!” Esclamò facendomi perdere totalmente l’equilibrio sulla sedia e facendoci cadere inevitabilmente entrambi per terra.
“Michael!” Lo rimproverai in modo poco credibilmente contrariato.
Corrugai la fronte cercando di calarmi il più possibile nella parte dell’arrabbiato, ma fu tutto inutile quando sentii la sua risata fuoriuscire da quelle sue labbra perfette.
“Sorry, I’m happy.” Disse semplicemente affondando il viso nell’incavo del mio collo per, poi, lasciarci dei leggeri baci.
“Non è ancora sicura la mia partecipazione, però, eh.” Lo avvertii divertito da quella reazione talmente dolce, lasciando perdere quel mio tentativo di spaventarlo.
“Shut the fuck up!” Mi rimproverò dandomi un piccolo scappellotto dietro la nuca. Risi lasciandomi andare liberamente a quel momento, di cui simili ultimamente ne avevamo avuti ben pochi. Sapeva che avevo già partecipato a Sanremo quando avevo vinto X Factor, arrivando terzo con ‘Credimi Ancora’, e sapeva anche che non ci ero rimasto troppo bene e, forse, quella felicità era dovuta proprio a quello. Era una seconda opportunità per dimostrare ancora di ciò che potevo fare. Ma non ci pensai più di tanto, perché per qualche minuto mi sembrò di tornare a quello che eravamo prima che il tour iniziasse e del ritorno di Andrew, ossia noi. “Che song tu porterà?” Chiese allontanandosi da me con un sorriso emozionato in volto.
“Mika, mancherebbero due mesi!” Dissi ridacchiando in imbarazzo. “Anche se… anche se ho già una piccola idea ed un piccolo abbozzo, ma molto, molto piccolo.” Vidi i suoi occhi mutare nuovamente da emozionati a fin troppo furbi, leggermente sadici. “Oh, no. Non ti dirò niente.”
“Oh, come on!” Incrociò le braccia al petto offeso, alzandosi appena col busto.
“No.” Affermai deciso mettendomi nella sua stessa posizione. Spalancai gli occhi avvertendo il suo respiro caldo, quando si avvicinò nuovamente a me con fare minaccioso facendo sfiorare più e più volte i nostri nasi e le nostre labbra ed ogni volta che cercavo di unirle, prontamente si allontanava facendomi percepire chiaramente ogni sua soddisfazione. “Smettila.” Lo rimproverai posando una mano sul suo petto allontanandolo ulteriormente.
Vidi come una paura invadere i suoi occhi e la sua bocca aprirsi continuamente senza però riuscir a far proferire neanche la minima parola.
“M-Marco, w-what…” Prima che potesse finire la sua ennesima domanda, afferrai un lembo di stoffa della sua felpa tirandolo a me per, poi, capovolgere le posizioni, facendolo ritrovare sotto di me.
Finalmente ero riuscito a sentire il sapore dolce delle sue labbra, che tanto mi aveva fatto penare. Avevo bisogno di quel contatto, che in un certo senso riusciva a farmi capire che fosse ancora mio. Riuscivo a sentire la sua confusione mentre cercava di rispondere al bacio, fino a quando anche lui si affrettò ad afferrare un pezzo del mio maglione tirandomi ancora di più a sé. Mollai la presa e posai una mano sul suo collo sentendolo, con mia grande soddisfazione, rabbrividire lievemente, e l’altra sulla sua guancia accarezzandola dolcemente. Chinai appena la testa spostandomi verso la sua mandibola, poi incominciai a scendere poco sotto di essa, facendolo sospirare. Pose fine a quei numerosi contatti con la sua pelle, prendendo il mio viso fra le mani per, poi, riportare le mie labbra sulle sue, avide. Intrappolò il mio labbro inferiore fra di esse, sostituendole poi con i suoi denti, mordicchiandolo e giocandoci. Non sapevo esattamente dove volesse andare a parare, ma non mi sarebbe di certo dispiaciuto. Su questo sono sicuro. Quando sentii la sua lingua intrufolarsi nella mia bocca, sorrisi soddisfatto riservandogli lo stesso ed identico trattamento. Nell’attimo in cui cercò di riprendere un minimo di fiato, glielo impedì cominciando ad approfondire ulteriormente quel meraviglioso contatto. Lo sentii farfugliare qualcosa di difficile comprensione ed allontanarmi poco dopo, osservandomi respirando in modo a dir poco affannato.
“Devi smetterla di essere così dispettoso.” Spiegai scostandogli uno dei suoi ricciolini che gli cadeva sulla fronte.
“Me piace esser dispetoso.” Disse semplicemente accarezzando le mie gambe. “Alora, me dice qualcosa su questa canzone? Deve ricominciare?”
“Guarda bello mio, me sembra de capì che, tra i due, quello che abbia sofferto di più qui sei proprio stato tu. Se proprio dovemo dirla tutta.” Gli feci notare.
“Shut the fuck up!” De novo? “Alora?” Si avvicinò nuovamente pericolosamente a me e, indeciso sul da farmi, presi leggermente le distanze cercando di riflettere sotto i suoi occhi curiosi.
“C’è un termine che ho preso da te, se devo essere sincero.” Dissi in imbarazzo mordicchiandomi il labbro inferiore. Avevo paura che si arrabbiasse e che mi credesse uno con poche idee, ma volevo solo avere un altro legame segreto con lui, di cui sempre e solo noi avremmo saputo. Anche se, effettivamente, non gli avevo chiesto se gli andasse bene o meno. Tuttavia, rimasi piacevolmente sorpreso da quel sorriso eccitato ed emozionato che si fece spazio sul suo volto, accompagnato da quei suoi due occhi curiosi che mi incitavano a continuare. “Tornerò all’origine. Torno a te, che sei per me l’essenziale.” Canticchiai appena, intimidito da una sua qualsiasi reazione.
“Marco, are you serious?” Mi chiese improvvisamente facendomi sussultare.
Era una domanda alla quale si potevano dare diverse interpretazioni, no? Ma io ovviamente feci spazio nella mia testa solo a quelle puramente e terribilmente negative.
“P-posso c-cambiarla, se p-preferisci. Non preoccuparti, i-insomma, è solo una piccola bozza. N-non sarà necessariamente q-quella del F-Festival.” Mi affrettai a spiegare, senza neanche guardare il suo viso. Avevo paura. “Insomma, n-non so neanche s-se p-parteciperò.” Poco dopo, tutto quello che uscì dalla mia bocca fu una serie di risate nervose, che non facevano altro che peggiorare la situazione.
“Marco, adeso smetela tu!” Disse divertito. Ma che c’è da ridere? È così divertente come cosa? “Tu fa un respiro profondo e io poi te parla come se deve.”
“Tu non parlerai mai come si deve.” Non ho resistito, scusate. Mi guardò con fare incredibilmente serio, smettendo di fare quelle sue piccole risatine goffe.  
“Tu è mio insegnate, io ricorda te.” Replicò offeso incrociando nuovamente le braccia al petto.
“Io posso cercare di insegnare, ma tutto sta nelle mani e nella testolina dell’alunno.” Dissi spavaldo a mia volta.
“Oh, Marco, please, what the fuck are we talking about?” Sembrava non poco scocciato e mi piaceva come cosa. Sapeva di non poter più ribattere. Ho vinto. “Antipatico.” Aggiunse scansandomi ed alzandosi lasciandomi solo, lì per terra. Che si sia arrabbiato sul serio? Ma andiamo…
Lo vidi pulirsi indispettito i vestiti per, poi, uscire frettolosamente dalla cucina per andare chi sa quale parte della casa.
“Michael, amore…” Imitai tutto ciò che aveva fatto poco prima e gli andai dietro afferrandolo per il braccio e girandolo rapidamente verso di me trovando, con mio grande conforto, un piccolo sorriso beffardo ed i suoi adorabili incisivi mordersi ossessivamente il labbro inferiore nel tentativo di non scoppiare a ridere improvvisamente. Cosa che fallì inevitabilmente quando vide il mio viso, che probabilmente aveva assunto un’espressione a dir poco preoccupata. “Stronzo.” Biascicai infastidito mollando la presa.
“Come on.” Farfugliò cercando di riprendere fiato, in un’occasione ben diversa da quella precedente. Cercai, tuttavia, di non lasciarmi convincere da quella voce dolcemente melodiosa che aveva deciso di utilizzare, fino a quando non si avvicinò nuovamente a me poggiando le sue mani sulle mie spalle tirandomi a sé, facendomi sentire il suo respiro caldo andare a contatto con la mia pelle, dandomi quell’ennesima piacevole sensazione. “Io amo già questa song. But, you are the origin of love, come tu può tornare da te?” Che ragionamento è?
“Tu sei la mia origine, Michael. Tutto ciò di cui ho bisogno… l’essenziale.” Circondai il suo corpo fra le mie braccia osservando attentamente il suo viso, talmente sorpreso quanto emozionato.
Non avevamo avuto una conversazione del genere neanche una volta in quei mesi. Mi sentivo sollevato in parte, almeno durante quei brevi attimi, in cui ero riuscito a non pensare ad Andrew ed a tutti gli atteggiamenti strani di Mika. Eravamo stati di nuovo noi per un piccolo frangente, ed era bellissimo essere una cosa sola.
“Lo sa che io ti amo, vero?” Il mio cuore automaticamente perse più di un battito. Avevo bisogno di questo genere di conferme ormai. Ero fin troppo spaventato all’idea di poterlo perdere e ricordarmelo era diventata una cosa importante per me. “Right?” Ad essere sincero, ultimamente avevo i miei dubbi.
“Certo.” Risposi sorridendogli cercando di risultare il più sincero possibile. Come al solito, il mio cervello e la mia bocca andavano in due direzioni e versi completamente opposti. “E tu? Tu lo sai che ti amo, giusto?”
“Of course!” Esclamò senza esitazioni. “Chi altro tu potrebe mai amare?” Mi prese in giro. Nessuno. Gli rivolsi un altro sorriso abbassando lo sguardo. Aveva ragione. Chi altro avrei potuto amare? Senza di lui non avrei mai saputo cosa fosse l’amore, quello vero. E lì stava la mia paura di perderlo, perché se se ne fosse andato, io sarei ricaduto in quel vortice di sofferenza senza fine. Senza di lui il vecchio Marco avrebbe ripreso il sopravvento su questo, quello amato e felice. E forse, non parlavo con Michael delle mie perplessità proprio per quella paura. Metterlo al muro e scoprire tutto ciò che sarebbe potuto accadere durante quel tour, avrebbe significato qualcosa di troppo grande per me e per lui. Per noi, insomma. La mia speranza più grande era che fosse tutto solo frutto della mia immaginazione e dei miei pensieri fin troppo fantasiosi e negativi. “Marco, io però adesso deve andare. Deve stare presto agli studi di X Factor p-per prepararme and, subito dopo, io ha volo.” Subito dopo?!
“Oh, okay.” Detestavo profondamente quando mi ometteva questo genere di cose.
Era una cosa importante, no?! Avevo organizzato con l’aiuto di Marta una piccola serata al suo ritorno, che avrei dovuto inevitabilmente annullare. La mente si svuotò completamente da ogni pensiero, lasciando che varie sensazioni si impadronissero di me. Quella più dolorosa e più permanente fu quella della delusione, che si tramutò, non molto tempo dopo, in un fastidioso dolore vuoto alla bocca dello stomaco. Pensavo sarebbe rimasto almeno fino al mattino dopo, ma come al solito mi sbagliavo.
“I’m sorry.” La sua voce ed il suo tono mi riportarono alla realtà riempiendo la mia testa vuota, appesantendola improvvisamente.
“Fa niente.” Dissi in un soffio grattandomi distrattamente il braccio, senza una vera ragione. “E q-quando ci potremo rivedere?” Gli domandai quasi timoroso da una qualsiasi possibile risposta.
“I don’t know.” L’ennesima pugnalata al cuore arrivò sentendo quelle parole.
Erano quelle di cui avevo più paura. Il ‘non lo so’ è qualcosa di terribilmente indefinito. E l’indefinito è una delle cose fa più paura, ma non solo a me, a chiunque. L’uomo programma la sua vita per prevedere l’indefinito, cercando di adattarlo a quello che più lo aggrada e che meno lo spaventa. Così quando si trova ad affrontare il vero indefinito si ritrova nello smarrimento totale. Ed era esattamente così che mi sentivo: smarrito. Smarrito in quel pauroso indefinito, solo. Non solo, però nel senso di compagnia, ma quel solo che faceva ancora più paura. Sentirsi incredibilmente solo, pur essendo circondato da persone, alcune straordinarie, altre meno, ma pur sempre circondato da persone, era stata una cosa che non avevo mai più provato dopo aver conosciuto Mika. È una solitudine indefinita, ed era quella peggiore. Le cose indefinite erano le cose peggiori.


#MyWor(l)d

Oh Santo cielo, scusatemi. Non posso che scusarmi per la lunga assenza e per questo scempio. Perdonatemi! 

Mi siete mancati tanto tanto! *-* Come state?? <3 
Spero solo non sia troppo noioso. Qui cerco di far capire più o meno qual è la situazione tra Marco e Mika, che però lascia spazio a varie interpretazioni. Lo so. :3 Direi che qui poniamo anche fine al 2012. Altrimenti, davvero diventa troppo lungo. Quattordici parti a rompervi i maroni con quest'anno, sinceramente lascia a desiderare xD 
Comunque, come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge! <3
Vorrei però fare un ringraziamento speciale alla mia piccola Mengoni, nonché mia moglie, la nostra cara _Lollipop_96 che mi è stata a fianco in queste settimane e che, boh, amo da impazzire! Ti amo. Punto. *-* 
Okay, credo di aver detto tutto! A presto c: 
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 45
*** 2013 pt.1 ***


Sanremo, Domenica 17 Febbraio 2013
 
 
Qualche ora prima ero venuto a sapere che Mika aveva annunciato le date della seconda parte del tour. La cosa che mi ferì di più però fu che, dopo avermi chiamato, non si preoccupò di farmene neanche il ben che minimo accenno. Niente. Non mi aveva detto che aveva quasi un mese di pausa. Non mi aveva chiesto se volevamo vederci né se sarebbe tornato a Milano per un po’ di tempo. Era tutto così strano. Lui ed il suo atteggiamento erano strani. Sapevo bene che qualcosa si era rotto improvvisamente e, per quanto mi possa aver fatto male, cercai per un bel po’ di tempo di evitare di pensarci. Cercai di fare finta di niente concentrandomi su quello che forse sapevo fare meglio. Dovevo lavorare ad un disco, che sarebbe uscito di lì a poco, e partecipare al Festival di Sanremo. Era evidente quanto non fossi capace di amare appieno qualcuno, per quanto fossi innamorato di Michael, con l’aiuto di Cristie e di Marta, ero riuscito a capire tante cose. Perfino Cris si stava cominciando ad infastidire del comportamento di Mika. Inizialmente, aveva cercato di dissuadermi dal pensiero di lui ed Andy avvinghiati l’uno all’altro, dopo un altro concerto massacrante. Ma poi, aveva cominciato a far silenzio, ad ascoltare tutto ciò che la mia testa aveva elaborato e, piano piano, aveva cominciato a sospirare silenziosamente e, quando lo faceva, era segno che non aveva più parole e che in parte forse pensava che io non avessi tutti i torti.
 
Sobbalzai sulla sedia sentendo una mano entrare in contatto con la mia spalla. Voltai la testa di scatto, forse sperando di incontrare proprio quei due occhi dolcemente ipnotici, ma trovai solo quelli azzurrini di Marta, che mi rivolse un sorriso confortevole. Forse credeva fossi nervoso e curioso di sapere se avrei vinto o meno quell’edizione del Festival. Ci tenevo tanto. Ci tenevo davvero tanto, però tuttavia non riuscivo a non pensare a Michael e a quanto avrei voluto averlo lì, insieme a me. Avrei voluto fosse stata la prima persona che avrei abbracciato. La prima ad essere orgogliosa di me. Ma proprio come accadde per la finale di X Factor, non riuscivo a godermi appieno quegli attimi. Non riuscivo a godermi tutta l’ansia che poteva portare e tutta la soddisfazione che potevo provare. Magari arriva all’ultimo momento, proprio come quel giorno. L’avevo sperato veramente con tutto il cuore. Avevo cantato L’Essenziale cercandolo con lo sguardo fra il pubblico, ma di lui nemmeno una traccia. Non era previsto come ospite, ma quanto avrei desiderato trovarlo seduto lì, mentre si emozionava nel vedermi e nel sentirmi, perché solo io e lui avremmo saputo che quella canzone era per lui, era per noi. E magari saremmo riusciti a chiarire tutte le divergenze con un solo scambio di sguardi. Avremmo potuto parlare ed amarci solo con gli occhi o magari solo con un piccolo sorriso. Avrei potuto dargli quel bacio che non avevo avuto il coraggio di dargli quella sera della finale. Quell’occasione mancata, che forse era risultata la più fortunata e la scelta più giusta che avessi potuto fare.
“Manca poco.” Mi disse sedendosi accanto a me e rivolgendomi un altro sorriso comprensivo.
“Già…” Riuscii solo a dire incominciando a torturarmi le mani.
Avevo bisogno di stare in silenzio e sperai vivamente sarebbe riuscito a capirlo ma, al contrario, si avvicinò un po’ di più a me accostando le sue labbra al mio orecchio.
“Non devi pensare a Mika stasera, okay? Cerca di goderti la serata. Per favore.” Sussurrò appena facendomi venire i brividi. Annuii semplicemente, anche se, essendomi già esibito, non sapevo davvero cos’altro pensare se non al fatto che avrei voluto averlo là, insieme a me. Mi sentii ancora una volta incredibilmente solo. Come se quella parte mancante, magicamente ritrovata, mi fosse stata di nuovo sottratta. “Ci sono i tuoi.” Aggiunse distogliendomi di nuovo dai miei pensieri. La guardai sorpreso e solo dopo mutai la mia espressione in una probabilmente infastidita. “Vuoi vederli?” Mi domandò poggiando delicatamente la sua mano sul mio ginocchio.
“No. Cioè… mia madre, forse, ma mio padre…” Risposi in modo incerto, titubante.
“Marco,” Mi richiamò come ad ordinarmi di tirare su la testa e guardarla negli occhi. “sembri stanco.”
“Beh, considerando che negli ultimi giorni non ho avuto molto tempo per dormire ed è mezzanotte passata, direi che è normale.” Affermai cercando di sciogliere un po' la tensione, guadagnandomi però uno sguardo dubbioso da parte sua.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse poco dopo alzandosi dalla sedia e portandosi dietro di me, a massaggiarmi appena le spalle.
“Resisti ancora solo un’altra oretta, campione.” Sussurrò dandomi una piccola pacca per, poi, andarsene e lasciarmi nuovamente solo.
Mi stiracchiai lentamente sbadigliando, ma mi bloccai sentendo il cellulare vibrare in una delle tasche dei pantaloni e mi affrettai a prenderlo. Sentii le mani tremarmi ed il cuore cominciare a scontrarsi contro la gabbia toracica, così tanto che dovetti per un attimo fermarmi per fare un respiro profondo. Quasi lo feci cadere. Solo quando lo presi, mi resi conto di quanto fossero sudate le mie mani e di quanto stessero tremando. Tuttavia, rimasi deluso nel non vedere il suo nome comparire sul display di quell’aggeggio infernale. Ma le mie labbra, poco dopo, si contrassero in un leggero sorriso, una volta letto il messaggio di Cris. ‘A Mengo’, io sto aspettà de vedette vince. Non potei far a meno neanche di fare una piccola risata.
In quel preciso istante, però, sentii la porta aprirsi e vidi entrare nella stanza Marta seguita da altre persone ed amici informandomi che di lì a poco avremmo saputo il nome del vincitore. Prima di risedermi controllai nuovamente il cellulare. Magari mi ha chiamato e non me sono reso conto. Ma così non fu. Dovevo smetterla di farmi illusioni e di tormentarmi. Quello sarebbe stato il mio momento. Se avessi vinto, avrei dovuto godere ogni singolo secondo, senza pensare a Michael o a lui ed Andy.
E così feci. Qualche secondo di silenzio e di suspence. Un altro respiro profondo. Un battito più forte degli altri. Un nome. Il mio. Una scossone. Il cuore si ferma nuovamente. Un sorriso. Un sorriso vero.
Sono cambiato.
Mi resi conto solo in quel mio piccolo silenzio di quello che ero e di quello che era successo. In poco più di quattro anni ero cambiato. Dalla finale di X Factor ero cambiato. Da pochi mesi a quella parte lo ero. Forse ero solo cresciuto, ma ero cambiato. Quel giorno ero crollato. Ero arrabbiato, sia con lui che con me stesso perché credevo di non essere stato capace di tenermi stretto qualcuno di davvero importante di nuovo. Quella volta, invece, non ero arrabbiato. Non riuscii ad esserlo. Ero solo deluso, ma riuscii ad essere felice. Riuscii a rendermi conto di quello che avevo conquistato, senza pensare che avevo finalmente dimostrato qualcosa a Mika. E, ad essere sincero, è anche una bella sensazione. Ciò non significava che non lo amassi più come lo amavo prima, anzi. Ero follemente innamorato di lui, ma forse ero innamorato solo di una parte. Per quanto pensassi di conoscerlo, non lo conoscevo totalmente. Non potevo farlo, non dopo solo quattro anni. Nessuno avrebbe potuto. Probabilmente, avrei imparato ad amare tutto di lui, ma prima di amare avrei dovuto capire e tutto ciò non sarebbe mai potuto accadere nel giro di qualche anno.
Quell’attimo di ammutinamento iniziale si tramutò nel giro di un nanosecondo in adrenalina pura. Strinsi istintivamente la mano di Marta e mi alzai, senza pensare neanche a quanto avrei desiderato fosse Michael a stringermi tra le sue braccia. Per quanto cercassi di distrarmi, però, una domanda in particolare durante la conferenza stampa mi fece ricadere all’interno di quel velo di malinconia. “A chi dedichi questa vittoria?” Inutile, forse, dire che avrei tanto voluto dedicarla proprio a lui, a me, a noi. Ma dovetti solo dire delle parole di convenienza. Mi sentivo troppo manipolato certe volte. Mi sentivo guidato verso un essere che non mi corrispondeva affatto. Mi ritrovavo ad essere ciò che mi portavano ad essere gli altri, ma come volevano e piaceva a loro. Ci sono spesso persone che si convincono di essere in un certo modo e non riescono a pensare di non essere realmente loro stesse. Mentre ce ne sono altre che si rendono conto di quello che gli altri vogliono che diventino e soffrono per una libertà realmente non concessa.
 
 
Milano, Lunedì 18 Febbraio
 
 
Erano state ventiquattr’ore estremamente frenetiche. Conferenze, interviste, messaggi, chiamate. Tra l’altro, con Michael ero riuscito a parlare per a malapena soli cinque minuti. Mi aveva chiamato in mattinata e sembrava felice, ma nulla più. Non ascoltavo neppure più quello che mi diceva riguardante il Festival. Aspettavo in ansia che mi dicesse che tra poche ore sarebbe tornato qui e che saremmo stato l’uno nelle braccia dell’altro, ma niente. Eppure, per quello che sapevo io e da quello che dicevano i giornali, aveva finalmente un mese e poco più di riposo. E mentirei se dicessi di non aver pensato di ritrovarmelo davanti improvvisamente una volta aperta la porta. Fu l’ennesimo colpo al cuore, che si stava ormai ammaccando ed accartocciando più e più volte ad ogni sofferenza.
Ma a quei pensieri, mi bloccai. Andai subito nel mio studio trattenendo il respiro. Richiusi la mano intorno a quella maniglia gelida, abbassandola con un colpo secco, ma tutto ciò che vi trovai dietro fu un freddo ancora più gelido. Tutto era freddo per il semplice fatto che lui non era lì a riscaldarmi. Mi avvicinai lentamente al pianoforte. Lo sfiorai coi polpastrelli e riprovai nuovamente quella fastidiosa sensazione pungente. Poco più di due anni prima ci avevamo fatto l’amore. Era Natale. Eravamo a Roma, quando effettivamente la maggior parte delle cose andavano bene. Mi sedetti quasi automaticamente su quello sgabello in pelle nera ed andai a toccare tasti, anch’essi freddi ed impolverati.
 
Non è poi per sempre
Voglio vivere ogni istante
Eri tu.
Lui... non è speciale
Almeno so fingere bene
Ero io.

 
Mi venne naturale cantare quella canzone. Era quella che rispecchiava meglio ciò che provavo e ciò che avevo provato in un determinato periodo. E soprattutto, potevo esprimermi e cantarla nel modo che più mi rappresentava. Senza né paura né camuffamenti. Però, se ci andavo a pensare attentamente, con sincerità, non potevo non capire che tutta la canzone era una farsa, un camuffamento. Tutto lo era. La nostra storia. Le nostre bugie. Tutto. E niente si salvava, se non forse l’amore.
 
E soffia il vento di levante
E gli alberi si svestono
Piegandosi un po'.
E fumo 20 sigarette
Guardandoti su foto che io
non scorderò.


Se solo non fossi stato così concentrato ad immaginare il suo viso nella mia testa e l’agognante bisogno di fumo, forse in modo anche troppo ridicolo, probabilmente mi sarei ritrovato con il calore di una sigaretta fra le dita ed il suo fastidioso, ma rilassante, odore che mi invadeva le narici e con l’altra mano a sfogliare le sue foto in quel cellulare, che tanto speravo squillasse improvvisamente mostrandomi il suo nome sullo schermo.

E non c'è niente di speciale su nel cielo
Solo un aquilone che resiste al vento gelido
Se a portarlo ero solo io
Come sai non è per sempre, per sempre
Non più.



Risultava incredibilmente complicato ormai portare da solo quell’aquilone chiamato amore. Più ciò che riusciva a sostenerlo andava rompendosi e deteriorandosi, più diventata difficile tenerlo in alto. Non sarebbe riuscito ancora per tanto a viaggiare in modo talmente fragile. Rischiava di schiantarsi al suolo e per quanto avesse cercato di resistere, sarebbe risultato inevitabile. E raggiunta quella consapevolezza, come un bambino che perde ciò che lo poteva far sorridere più di qualsiasi altra cosa, una terribile sensazione di vuoto interiore andò a sostituire quella di inquietudine e di speranza.

Sopra un pianoforte
Si sparpaglia la mia mente
Anche se
Io credo di star bene
E spero che tu sia felice
Come me.



Avrei tanto voluto far sentire queste parole a Michael per fargli capire che ciò che era scritto in quella canzone, in certi passaggi, era l’esatto contrario di quello che realmente provavo. Non riuscivo a dirglielo in modo diretto e chiaro, e magari usando quel metodo ci sarei riuscito. Ormai le avrei provate tutte, per il semplice fatto che non riuscivo a sopportare più quella situazione. Forse, pur volendo la sua felicità da sempre, avrei voluto addirittura che si fosse sentito anche per solo un secondo come mi ero sentito e continuavo a sentirmi io: perso ed abbandonato. Una delle sensazioni peggiori che una persona avesse potuto provare, soprattutto dopo essersi sentita così al sicuro con qualcun altro.

E casa, viaggi e poi l'amore
Due occhi che guardano i miei
E non sono i tuoi
È una notte rosa neve
Ho voglia di camminare
Solo con me



Ovviamente, non era vero neanche questo. Non volevo essere solo. L’unica persona che avrei voluto davvero in quel momento era proprio lui, ma non era lì. Non poteva essere lì, o forse semplicemente non voleva. Non riuscivo a capire granché ormai.

E penso che eravamo solo passi piccoli
Che vanno in due diverse direzioni
E se per caso tu domani ti trovassi qui
Sarebbe bello dirti 'in fondo va bene così'.



Eravamo all’inizio in un lunga strada, illuminata dalla luce del giorno e quando su di essa calavano le tenebre, potevamo contare l’uno sulla luce dell’altro, ma allora perché mi sentivo così impaurito da quell’inspiegabile oscurità che si era venuta a creare? Una biforcazione improvvisa ed invisibile ci aveva diviso e, contrariamente a quello che avevo sempre pensato, non riuscivo a trovare la via per tornare a casa. Anzi, più andavo avanti e più quell’obbiettivo lo sentivo allontanarsi.

E non c'è niente di speciale su nel cielo
Solo un aquilone che resiste al vento gelido
Se a portarlo ero solo io
Come sai non è per sempre, per sempre
Non più
Non è per sempre, per sempre
Non più.

 
Avevo sul serio pensato che sarebbe stato per sempre? Ne ero stato talmente convinto da essere riuscito a cadere in una favola inesistente? In una di quelle storie che di lieto fine ne potevano sapere ben poco? In una di quelle in cui il “vissero felici e contenti”  all’ultima riga dell’ultima pagina non sarebbe mai potuto essere scritto? Evidentemente, sì.
 
Sfiorai appena gli ultimi tasti del pianoforte e mi allontanai lentamente da loro sospirando rumorosamente e, solo in quel momento, riuscii a rendermi conto delle lacrime che avevano deciso di prendere spazio lungo le mie guance, rendendole più indifese e fragili di quello che potevano essere. Cercai di fare un altro respiro, ma la cosa risultò incredibilmente difficile, tanto che il mio corpo non poté far a meno di tremare e, poco dopo, ingobbirsi leggermente. Cercai di creare una barriera chiudendo gli occhi, ma le lacrime riuscivano a continuare a scendere creando dei solchi invisibili sul mio viso.
Tentai di fare mente locale e di controllare quanto il più possibile i leggeri spasmi che continuavano a scuotermi. Stavo sfogando tutto ciò che non ero riuscito a sfogare e stavo versando tutte le lacrime che avrei voluto Mika stesso mi asciugasse. Avevo represso per tutto quel tempo il dolore di quell’ennesima delusione.
“Marco, what’s wrong?” No, non è vero. Non poteva avere sul serio la tempistica più sbagliata del mondo. Non doveva vedermi in quel momento ed in quelle condizioni. Non volevo mi pensasse così fragile mentre non c’era. Ero riuscito a resistere da solo e l’unico attimo in cui avevo deciso di concedermi di cedere, lui arrivava. Per la prima volta, desiderai seriamente di non averlo al mio fianco. Stavo subendo l’ennesima umiliazione e di umiliazioni, purtroppo, ne avevo avute tante e non solo da parte sua. Sentii le sue mani protettive entrare in contatto con il mio corpo cingendomi le spalle, avvolgendomi in un abbraccio, di cui l’unico aspetto che riuscivo a decifrare era quello esclusivamente convenzionale. Almeno, io riuscivo a vederci solo quello. “Marco, please, parla con me.” Riuscii a sentire che la sua voce aveva assunto una sonorità preoccupata e, innervosito, mi girò bruscamente verso di lui.
Una volta incontrati i suoi occhi, capii che avevano qualcosa di diverso. Come qualcosa di nostalgico, ma non riuscivo a capire se fosse dovuto al fatto che gli fossi mancato io o gli mancasse qualcun altro. Pur volendo ad un certo punto dirgli qualcosa, o anche solo magari abbracciarlo, sentivo quel solito fastidioso nodo alla gola che mi impediva di dire qualsiasi cosa ed il mio corpo non poteva che stare immobile fra le sue di braccia. Improvvisamente tutto diventò inspiegabilmente più caldo. Quella pungente sensazione di freddo era stata sostituita dal suo calore. Ma non riuscivo a capire se fosse scienza oppure amore. Avrei voluto spiegargli la confusione che mi portavo dietro da troppo tempo, ma tutto ciò che riuscì ad andare oltre le mie labbra fu un altro singhiozzo seguito da un lamento di disperazione. Lo sentii affondare la sua mano tra i miei capelli e tirarmi a sé facendomi affondare il viso nell’incavo del suo collo.
Dovevo prendere una decisione in fretta. Potevo scegliere di fare finta di niente, come d'altronde avevo sempre fatto da quando era partito per il tour, oppure cercare di capire cosa stesse succedendo realmente fra di noi. E come succedeva spesso, avevo fatto la scelta sbagliata.


#MyWor(l)d


Okaaay, sono in super mega imperdonabile ritardo. Chiedo venia! D: 
Ma comunque, come state?? Come procede l'anno? :3 Spero davvero bene per tutti! *-* 
Sì, lo so. Vi faccio aspettare per non so più quanto e vi scrivo questa... cosa. Spero che non annoi troppo e che comunque sia di vostro gradimento. Ho voluto fare un capitolo un po' più introspettivo sia per fare chiarezza sia per confondervi (?) Non ha senso. Sì.  
Vi ringrazio, come al solito, per tutto e per la pazienza che avete c: 
Vi adoro!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 46
*** 2013 pt.2 ***


Milano, Venerdì 22 Febbraio 2013
 
 
È qui. Era lì, accanto a me. Mi stringeva amorevolmente fra le sue braccia, mentre con una mano mi accarezzava dolcemente i capelli ed ogni tanto incominciava a giocherellare con alcuni dei miei ciuffi che saltavano fuori dall’ordine creato per ore dal gel.
“Io volio provare a rivedere i tuoi hair disordinati.” Sussurrò al mio orecchio facendomi rabbrividire appena.
Tuttavia, decisi di ignorare le sue parole. Restai immobile con la testa poggiata sulla sua spalla e il mio corpo contro il suo. Lo sentii sospirare e ricominciò a fare ciò che aveva interrotto. Io continuai ad osservare un punto indeterminato della stanza. Ogni tanto spostavo il mio sguardo sul caminetto, spento come noi, altre volte verso il soffitto ed altre ancora sul tavolino poco distante. Avrei voluto baciarlo tutto il tempo, ma non ne avevo il coraggio, non più almeno. Baciarlo sarebbe forse risultata un’altra umiliazione, ed io ero profondamente stanco di essere umiliato dalla gente, e lo ero anche di delusioni su delusioni.
È vero, avevo desiderato quel momento, come sempre d’altronde, con tutto il mio cuore e per troppe volte, ma l’orgoglio quella volta non riusciva a mettersi da parte. Non riusciva ad andarsene e a smettere di offuscarmi la mente. Forse, ero solo arrabbiato. Anzi, lo ero, e pure tanto. Ma cosa avrei dovuto fare? Ero stanco di fingere davanti e dietro le telecamere. La verità che prima avvolgeva il nostro rapporto non poteva nascondersi in modo talmente semplice. Ero stanco delle cose dette e non dette.
“Marco,” si avvicinò un po’ di più a me distogliendomi di nuovo dai miei pensieri. “io ti sta pregando, amore. Please, cerca di esere sincero con me e dimi che cosa c’è che no va.” Cosa c’è che non va? Tutto. C’è tutto che non va. E no, non è esagerare. Perché sei tu il mio tutto e tu non vai. Sei tu quello che non va qui e, dato che siamo una cosa sola, neanche io riesco ad andare.
“Niente.” Mi limitai a dire abbassando lo sguardo e incominciando ad impegnare le mie dita in un intreccio continuo senza senso.
“Cerca de esere sincero almeno un po’ o prova a fingere melio.” Affermò infastidito spiazzandomi. Cosa? L’ha detto sul serio?
“Cosa?” Mi alzai di scatto ponendo fine al contatto tra i nostri corpi, spostandomi all’altro estremo del divano.
Fissai attentamente i suoi occhi cercando di capire se mi stesse o meno prendendo in giro. Erano semplicemente un insieme di rabbia e delusione, anche se, scavando un po’ più in profondità, potei vedere la sua malinconia, che forse mi ero ripromesso e mi ero ordinato di non vedere, per non oscurare la mia, perché lui sarebbe sempre stato qualcosa che sarebbe riuscito a sopraffare le mie emozioni. Quell’uomo era la mia forza, ma allo stesso tempo rappresentava il mio più grande punto debole.
“Yes, tu sta rovinando tuto, e perché? Para niente. Non me parla e finge di non avere qualcosa, male però. No eres un buono actor, Marco.”
“No, no, aspetta. Tu” e marcai bene questa parola, simbolo che forse stavo sul serio per perdere la pazienza. “dici a me di essere sincero?! Sei serio, Mika? Io starei fingendo? Io starei mentendo? Sei tu e stai cercando di accusarmi per darmi la colpa, ma, ti giuro, non ci riuscirai. È solo tua la colpa. Invece di cercare di capire cos’ho esattamente, cerca di capire il motivo per cui sto così.” Dissi alzando leggermente il tono della voce.
Indirizzò i suoi occhi contro i miei, ma non con la dolcezza con cui di solito quel contatto si creava, ma bensì con una strana nota amara. Irrigidì immediatamente la mandibola, le sue labbra si sollevarono appena a sinistra, dove di solito si veniva a creare la sua dolce fossetta, che quella volta tutt’altro risultò, e i suoi occhi si chiusero appena. Deglutì in un movimento quasi impercettibile, come se stesse cercando qualcosa di plausibile da dire effettivamente. Io non sarei un buon attore, eh.
Più si comportava in quel modo, più la mia rabbia saliva diventando incredibilmente invadente sulla gabbia toracica, in cui si creava una sensazione di pesantezza e, subito dopo, una di eccessiva leggerezza, che di certo non alleggeriva la dose provocandosi più e più volte, ma andava a generare automaticamente un’ulteriore sensazione di dolore.
“Marco, io no sa perché tu sta così e è quelo che io vuole capire, ma se tu no mi aiuta, io no poso riuscirci. Sono serio, no riesce a trovare una reason particolare. Se tu me parlasse…”
“Parlarti?” Lo interruppi ammutolendolo, ormai sul punto di scoppiare. “Parlarti?! Okay, ti parlo e ti parlerò molto chiaramente, ma parlerò una sola volta e voglio che tu sia sincero.” Mi fissò senza fiatare, forse indeciso sul rispondere o meno. “Okay?!” Cercai di incitarlo a dire qualcosa, ma si limitò semplicemente ad annuire per, poi, abbassare la testa ed incrociare le braccia dietro la schiena. Era la posizione che assumeva quando si sentiva indifeso e non sapeva esattamente cosa fare. Così, pensando a quello che significavano quei gesti, cercai di allontanare ogni possibile piccolo cedimenti, che probabilmente avrebbero fatto crollare ogni mio tentativo di andare fino in fondo alla questione e di capire il perché di quel cambiamento radicale nel nostro rapporto. E non posso permettermelo. Non posso permetterglielo. “Sono stanco, Mika. Sono stanco. Mi sono stancato già da tempo. Ma non di noi, sia ben chiaro. Mi sono stancato di me e di te, che facciamo vite separate. Tu hai dei segreti con me,” Lo vidi aprire bocca appena, ma lo bloccai prima che potesse negare qualsiasi cosa. “e non venirmi a dire che non è vero, perché lo sai che è così. Qualcosa si è spezzato, ma non capisco cosa. Da quando Andy è tornato a far parte della tua vita, non sei più lo stesso. Sembri un altro.” Pronunciai quest’ultime parole guardandolo attentamente negli occhi, che cominciai a vedere leggermente luccicare e, per la ripromessa che mi ero fatto, posi fine a quel contatto. “Sei più vicino ad un estraneo, piuttosto che al mio Michael.” L’amarezza traspariva in ogni singola sillaba, ma non potevo continuare a mentire a me stesso. “Ti prego, devi dirmi la verità. La vera verità, senza titubanze. Ho bisogno di sapere.”
“Tell me.” Un piccolo soffio uscì dalle sue labbra, quasi un soffio strozzato.
“Sei andato a letto con Andy in questi mesi?” Domandai tutto d’un fiato cercando di non far trasparire alcuna emozione che avrebbe potuto farmi tradire da solo.
“What?! Are you fucking impazzito, Marco??” Alzai la testa di scatto incontrando di nuovo il suo sguardo, che sembrava davvero sorpreso ed arrabbiato. Non potei che sentirmi in parte sollevato da quella reazione. Cercai di carpire qualcosa di più, qualcosa che potesse darmi una conferma di ciò che stava dicendo e che stava per dire. “Come può pensare tu una cosa del genere? Io no farei mai te this.” Tirai un piccolo sospiro di sollievo e chiusi gli occhi, lasciandomi cadere rumorosamente di peso sul divano, tonfo a cui seguì un interminabile intervallo di tempo imbarazzante e silenzioso. Mi massaggiai lentamente le tempie desiderando di sparire il prima possibile. Invece, sentii Mika sedersi lentamente accanto a me e la sua mano ricominciare ad accarezzare delicatamente i miei capelli, in un gesto che mi diede l’impressione di essere di nuovo noi. “Marco, io ti amo.” Un sorriso amaro comparì sul mio viso.
Forse, ero io a non riuscire a vederci a causa della grande sensazione di rancore che avevo cominciato a nutrire nei suoi confronti. Ero arrabbiato perché non era mai lì con me e, quando poteva, io non potevo stare lì con lui.
“Allora perché ti sei comportato così? Perché eri così freddo? Così indeciso?” Cercai di ricacciare quelle minacciose lacrime e quella fastidiosa e graffiante sensazione alla gola giù.
“Marco, listen to me,” Lo sentii sistemarsi meglio sul divano e girarsi verso di me e girarmi verso di lui facendo sì che entrambi fossimo dritti l’uno davanti all’altro. Riaprii gli occhi togliendo quelle barriere che avevo messo per non mostrarmi fragile come in realtà ero. “è vero che io ha potuto sembrare un po’ distacato, un po’ fredo, ma l’unica reason is… is che… A-Andy…” Quella piccola sensazione di pace, che finalmente si era riuscita a venire a creare dentro di me, se ne andò fosse stata come niente.
“Andy?” Lo pregai di continuare con tutto me stesso: col tono della mia voce, con gli occhi disperati, con le mie mani che stringevano il più forte possibile le sue.
“Lui sì, voleva ricominciare tuto di nuovo. Ha provato a kiss me, a convincerme, ma io ha deto lui de no.”
“Allora perché ti sei comportato così?” Non ha senso.
“Well, io era embarazzato. No sapeva che fare. Dopo quasi quatro years, io ha lasciato lui… Me sono sentito in colpa quando me ha deto tuto quelo che ha pasato, Marco. Io no ha pensato più di tanto a quelo che poteva pensare e passare. Mi sono vergognato de me stesso e volevo rimediare, ma aveva anche paura che rimediando avrei potuto sbagliare something.”
“Tipo farti di nuovo coinvolgere da lui?” Probabilmente gli diedi l’impressione che l’unica cosa che effettivamente mi importasse era di farmi male, ma non potevo rimanere con altri dubbi.
Volevo cercare di capire il più possibile e non avere più segreti. Anche se aveva paura di avere un cedimento, nonostante il dolore, volevo saperlo. Certo, significava che l’amore che provava per me stava vacillando, però non volevo rimanere all’oscuro di una cosa del genere.
Tuttavia, portò immediatamente il suo sguardo sul mio. Forse era un effetto della luce, ma vidi i suoi meravigliosi occhi tremare e scavare dentro i miei. Un piccolo sorriso si fece spazio sul suo viso e poggiò la sua mano sulla mia guancia, accarezzando dolcemente col pollice il mio labbro inferiore.
“No, questo no. I’m in love with you, I really do.” Lo disse con tono deciso, che più deciso non poteva essere.
Era quella voce ferma e decisa che di solito aveva solo quando diceva di amarmi. Sentii il mio corpo scaricare via tutta la tensione accumulata e feci la cosa più giusta che potessi fare e la cosa che più desideravo. Mi spinsi contro di lui mettendo avidamente di nuovo in contatto le nostre labbra, dopo troppo tempo con un’intensità del tutto diversa. Era un’intensità piena di amore vero e senza più paure. Sentii l’ennesima scarica di adrenalina percependo nuovamente il suo sapore nella mia bocca. Posai la mano a mia volta sul suo viso e lo tirai verso di me. Avevo bisogno di sentirlo il più vicino possibile a me. Avevo bisogno diventare, anche solo per qualche secondo, una cosa sola insieme a lui. Rabbrividii percependo il suo respiro affannato contro il mio quando ponemmo fine a quel contatto a dir poco disperato. Posò delicatamente la sua fronte contro la mia e mi rivolse uno di quei suoi sorrisi a cui nessuno può resistere. Quelli in cui tutto il suo viso sorride: i suoi occhi, le sue labbra, le sue guance… un sorriso vero.
 
 
Martedì, 23 Aprile
 
 
Negli ultimi due mesi, grazie alla positività del momento e alla tranquillità che riusciva a darmi Michael, avevo terminato finalmente il nuovo album. Era un periodo relativamente sereno, nonostante interviste, promozioni e quant’altro.
Mika aveva terminato da poco più di una settimana il suo tour e sarebbe tornato a Milano di lì a poche ore. Ovviamente, non vedevo l’ora di averlo qui, soprattutto ripensando alle parole che poco prima aveva pronunciato lui stesso al telefono: “ho una sorpresa”. E io amo le sorprese. Soprattutto le sue.
Mi stesi sul letto cercando di rilassarmi e subito mi misi a pancia in giù ed infilai una mano sotto il materasso prendendo la sua foto che tenevo sempre in quello spazio. Avrei voluto incorniciarla e metterla sul comodino, ma non potevo farlo e lo odiavo. Avrei voluto avere delle foto sul telefono, ma, come mi aveva detto Marta, non era prudente tenerle lì. Odiavo tenere tutto così segreto e non essere chi ero. Anche se tutte queste sensazioni malinconiche se ne andavano appena posavo lo sguardo su quella foto, sul suo sorriso e mi concentravo su tutti i piacevoli effetti collaterali che ne seguivano.
Fortunatamente, e stranamente, la situazione si era stabilizzata fra di noi e, prima di iniziare il mio tour a Maggio, volevo proporgli di tornare a Roma e magari, se gli fosse andato, di andare a Londra per un po’. Così sarebbe riuscito anche a trovare un clima ancora più familiare.
“Amore!” Sentii la porta di casa chiudersi, poco dopo il suono melodioso della sua voce proveniente dal corridoio.
Persi un battito e riposi automaticamente quella foto sotto il materasso alzandomi di scatto dal letto, ma, proprio mentre stavo per uscire dalla stanza, andai a scontrarmi contro il suo meraviglioso corpo. Impacciato, cercai di indietreggiare. Tuttavia, le sue braccia mi avvolsero stringendomi. Affondai il viso nel suo petto e strinsi forte fra le mie mani la sua giacca impregnata dal suo profumo. Avevo bisogno di sentirlo vicino e di avere la conferma che fosse là con me, finalmente.
Alzai appena il viso avvicinandomi al suo collo che accarezzai con la punta del naso e, con mia grande soddisfazione, lo sentii rabbrividire sotto quei piccoli contatti. Poco dopo, posai la mia bocca sulla sua pelle liscia e vi lasciai un delicato bacio. Non potei fare a meno di sorridere sentendolo sospirare appena. Infine, incatenai i miei occhi ai suoi. Non sorrideva, era semplicemente come incantato. Così, intrecciai le mie dita fra i suoi capelli riportandolo nella mia dimensione, sentendolo sobbalzare leggermente, e finalmente un sorriso illuminò il suo volto. E quando sorrideva ero io ad incantarmi.
“Ciao.” Sussurrai appena osservandolo attentamente.
“Hi, amore barbuto.” Sussurrò divertito a sua volta avvicinandosi a me. Fece scontrare delicatamente i nostri nasi e mosse appena il viso solleticandomi per, poi, avvicinarsi e posare le sue labbra sulle mie. Era un bacio semplice e, forse, era proprio quella la cosa capace di farmi impazzire. “Vuole sapere la surprise?” Domandò subito dopo che si fu staccato.
“Certo!” Esclamai entusiasta ponendo fine completamente al contatto fra i nostri corpi e prendendolo per mano per guidarlo dentro la camera. Incominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore e a sorridere. Ed io, a mia volta, cercai di non farmi distrarre da quel giochetto e lo incitai a continuare. “E dai, non farmi stare sulle spine.” Lo pregai prendendolo per mano.
“Okay, okay…” Disse divertito sistemandosi meglio sul letto.
“Non fermarti, continua!” Mi stava facendo morire di curiosità di proposito e lo avrei volentieri ammazzato in quel momento. No, dopo. Prima voglio sapere la sorpresa.
“Io ha acetato un lavoro.” I suoi occhi erano visibilmente felici, ma allo stesso tempo soddisfatti per quello che mi stava facendo.
“Cioè?” Chiesi confuso.
“Sky me vuole come giudice de X Factor Italy.” Disse improvvisamente sorridendo come poche volte aveva fatto. Aspetta… cosa?!
“C-cosa??” Chiesi incredulo osservando attentamente i suoi occhi sperando che non mi stesse prendendo in giro.
“Me hanno chiesto and io ha deto sì. Così I can restare e posiamo stare più insieme, Marco. T-tu è felice?” Mi domandò quasi incerto.
“F-felice? Amore, ma me lo chiedi pure?!” Mi catapultai letteralmente fra le sue braccia facendolo stendere completamente sul materasso. Non potei fare a meno di riempire ogni centimetro del suo viso di baci, cercando di sistemarmi il meglio possibile su di lui. Alzò leggermente il busto rendendomi ancora più difficile sia respirare che ragionare. Averlo qui avrebbe reso molto più facile la situazione. “Cavolo, quanto ti amo.” Affermai tra un bacio e un altro facendolo ridere.
Improvvisamente decise di sollevarmi per, poi, rigettarmi sul materasso e mettersi lui su di me avvinghiandosi al mio collo, procurandomi un’inevitabile scarica di piacere. Passai le mie mani lungo il suo corpo tonico avvicinandolo ulteriormente. Quando si fermò, però, riaprii gli occhi e lo vidi allungarsi verso il pavimento per prendere un foglio. Ma ebbi a malapena tre secondi per capire che, tuttavia, di un foglio non si trattava affatto. Oh, no.
“Ehi, that’s me.” Esclamò. Oh, bene. Almeno riesce ancora a riconoscersi, dai. Mi sentii invaso dall’imbarazzo e cercai di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. “Perché tu ha una mia foto?” Mi chiese divertito.
“B-beh… è sempre lì quella. Q-quando mi manchi, i-io… beh, vedi… oh, andiamo, che hai capito.” Quasi offeso mi rigirai sul letto affondando il viso nel cuscino. Voglio sparire.
“Marco, ehi, che tu fa.” Nella sua voce si poteva ancora distinguere quella nota di divertimento che non fece altro che peggiorare la situazione. “Ehi.” Continuò scuotendomi leggermente, ma lo ignorai. Mi irrigidii ancora di più sentendo le sue labbra posarsi provocatoriamente dietro il mio collo. “Tu è così adorable.” Sussurrò lasciandomi una scia di baci, che mi stavano portando piano piano verso il cedimento.
“Smettila.” Dissi con voce ovattata cercando di fare finta che mi desse fastidio. “Preferivo quando mi prendevi in giro per la storia della matita.” Lo sentii ridere ancora più rumorosamente ed io ne approfittai per infilare la testa sotto il cuscino.
“Oh, come on.” Scocciato e divertito allo stesso tempo, decise di girarmi poco delicatamente verso di lui, ma non lo degnai neanche un attimo di uno sguardo. “Look at this.” Mi decisi ad alzare così gli occhi e a guardarlo mentre tirava fuori dalla giacca il suo portafoglio, da cui prese quello che sembrava un pezzo di carta piegato. Mi mostrò sorridente la mia foto che si portava sempre dietro ed il mio cuore non riuscì a far altro se non battere come poche volte in quegli ultimi mesi aveva fatto. Sorrisi divertito buttando la testa sul cuscino e lo tirai a me riunendo nuovamente le nostre labbra. Ma come si fa?!


#MyWor(l)d

Oh, Dio, lo so. Sono in imperdonabile ritardo e vi chiede scusa ç_ç davvero, scusatemi tanto <3
Come state?? Spero bene :3
Okaaay, spero anche che questa cosa non sia poi così noiosa, ma purtroppo non ho saputo fare di meglio ç_ç
Come al solito, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi semplicemente la legge in silenzio! :3 
Vi adoro <3
A presto!
Un bacione,
Michaels

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Capitolo 47
*** 2013 pt.3 ***


Dublino, Martedì 23 Luglio 2013 
 
 
 
Mika.
 
Dublino.
 
X Factor.
 
Mika.
 
Dublino.
 
X Factor.
 
Mika.
 
Dublino.
 
X Factor.
 


 
Quelle erano le uniche parole che la mia mente era riuscita ad elaborare nell'ultima settimana. Io e Michael saremmo andati a Dublino per scegliere le ragazze che lui avrebbe portato al live di X Factor. Aveva scelto me. Sapevo che l'aveva fatto per stare insieme il più tempo possibile, ma da un lato speravo davvero che, anche se non mi avesse conosciuto, mi avrebbe chiamato in ogni caso. Tuttavia, non ne ero sicuro. Per il momento mi bastava poter fare una piccola vacanza con lui, per quanto di vacanza si potesse parlare. 
 
Mi aveva parlato spesso di una certa Violetta, che aveva una voce che gli interessava in particolar modo e che si era esibita con il suo ukulele in una canzone che Mika amava tanto sin da quando era bambino. Dunque, in poche parole, aveva già deciso che lei doveva passare, io dovevo aiutarlo a scegliere le altre due. 
 
Quello che mi spaventava però era il dover stare davanti alle telecamere facendo finta di non essere niente di più se non colleghi, al massimo amici. Non ero bravo a mentire, almeno non col corpo. Se Michael si trovava nei paraggi, io dovevo necessariamente osservarlo. Dovevo necessariamente toccarlo. 
 
Appena atterrato nella Capitale Irlandese, accompagnato da Marta, decisi di andare subito in albergo per posare le mie cose ed andare allo Slane Castle, a cui avevo accesso anche per quel giorno. Ero curioso di vederlo. Ne avevo sentito parlare e volevo sanare quella mia curiosità. Michael sarebbe arrivato solo il giorno dopo, poco prima dell'inizio degli Home Visit.
 


 
“Sicuro che non sia un problema se ti raggiungo dopo?” Mi chiese Marta dopo aver sorseggiato un po' di caffè. 
 
Io e lei ci eravamo fermati ad uno Starbucks non troppo lontano per parlare meglio ed organizzare quelle giornate.
 
“Stai tranquilla, starò bene mammina.” Risposi divertito. “Fai quello che devi fare. Se vuoi fare un giro per Dublino, fallo. Se vuoi andare da qualche parte a rilassarti, fallo. Se vuoi tornare a dormire in albergo, fallo. Tu non preoccuparti. Io starò solo in un posto. Il massimo che mi può accadere è perdermi nel castello.” 
 
“Cosa non proprio improbabile.” Mi prese in giro ed io socchiusi appena gli occhi.
 
“Ma quanto sei simpatica, eh.” Dissi con tono acido poggiandomi allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto. 
 
“Quando arriva Mika?” La guardai mentre si avvicinava al tavolo con aria particolarmente interessata.
 
“Domani mattina. Ci vediamo direttamente per le riprese allo Slane Castle.” Cominciai a giocherellare con la bustina di zucchero usata che avevo fra le mani.
 
“Ma come va tra di voi? Insomma, state bene, no?” Sussurrò appena per non farsi sentire.
 
“Sì, tutto bene. Ci siamo visti lunedì scorso a Milano.”  
 
“Sei felice, Marco?” Alzai di scatto lo sguardo per far incontrare i nostri occhi. Perché questa domanda?
 
“Certo.” Risposi deciso. “Perché?”
 
“Volevo solo un'altra conferma.” Disse vaga.
 Vabbè.


 
“Allora ci vediamo dopo e fai attenzione ai fantasmi!” La sentii urlare mentre si dirigeva verso il taxi che l'avrebbe portata in albergo. 
 
“Fantasmi?!” Domandai terrorizzato, ma ormai la vidi in lontananza. 
 
Odio i fantasmi. Odio anche il loro solo pensiero. 
 
Quando vidi attentamente quella distesa di verde che si espandeva davanti a me, non riuscii a far altro se non rimanerne ammaliato. Era incredibile. Ed altrettanto incredibile era quel castello immenso e non osavo immaginare quale bellezza nascondesse dentro di sé. Potrei decidere di rimanere qui per sempre. 
 
La troupe di X Factor era già lì per sistemare le ultime cose e le varie telecamere. Ne approfittai per fare un giro per quel posto paradisiaco. Sembrava davvero un sogno. Se solo Mika fosse stato lì accanto a me, probabilmente sarei riuscito a godermelo molto di più. Ormai mancava così poco che il tempo non passava mai. Il cuore batteva più velocemente e lo stomaco faceva movimenti strani non appena lui sfiorava i miei pensieri. 

Mi addentrai tra i giardini e le siepi cercando qualcosa che non sapevo nemmeno io cosa fosse esattamente. Camminavo a passi veloci e il mio sguardo si spostava da una parte all’altra. Quando mi sedetti sotto ad un albero, sentii la vibrazione del mio cellulare provenire dai pantaloni e, dopo un po’ di tempo perso a cercare di prenderlo da quei cosi troppo stretti, riuscii a vedere il suo nome sul display ed automaticamente un sorriso si fece spazio sul mio viso.
“Pr…” Iniziai a parlare, ma fui bloccato immediatamente.
“Voltate.” E sì, udii la sua voce proprio dietro di me.
Feci come mi aveva detto di fare: mi voltai. E lo vidi. Il suo corpo slanciato, sempre coperto da migliaia di colori ed illuminato dai suoi occhioni verdognoli, che quasi riuscivano a confondersi con il paesaggio che ci circondava in quel momento, e il suo candido sorriso.
“M-Michael, che ci fai qui?” Chiesi quasi in difficoltà, indeciso sul da farmi. Avrei voluto lanciarmi contro di lui e sommergerlo di baci, ma prima che potessi farlo io, decise di farlo lui. Percepii nuovamente le sue labbra, morbide e carnose, che quasi sapevano di fragola. Questa è fragola, Marco. E sorrisi ancora di più, immaginandomelo sull’aereo a scartare ed ingurgitare le caramelline che tanto gli piacevano. Impaurito però dal fatto che qualcuno ci potesse vedere lì intorno, mi staccai da lui di malavoglia. “Come hai fatto a trovarmi? E non dovevi arrivare domani?” Gli domandai elettrizzato.
“Ti ha seguito para un po’. Voleva vedere dove andava. E sì, doveva arivare domani, ma ha potuto anticipare di un giorno e ha deciso di farte esta picola surprise.” Lo vidi mordicchiarsi il labbro inferiore e Dio se lo volevo.
“Quanto mi sei mancato.” Mi rifugiai fra le sue braccia godendo appieno di quel contatto e del calore che riusciva a trasmettermi.
“Anche tu. Te va de venir dentro? Vuole farte vedere mia room.” Affermò prendendomi per mano e, non ebbi nemmeno il tempo di acconsentire, che mi ritrovai ad essere trascinato verso il castello.
“Michael, amore, ma sbaglio o il tuo italiano è peggiorato?” Sogghignai appena e lo vidi bloccarsi di colpo.
“Tu dice? Oh, God, come fa? No vuole fare bruta figura tomorrow.” Riuscii a vedere nei suoi meravigliosi occhi il disagio e la paura più totale di non essere all’altezza della situazione.
“Non preoccuparti. Dopo facciamo un po’ di ripetizioni.” Quella frase mi uscii forse più maliziosa di quello che veramente voleva essere, ma non me ne importò più niente quando lo vidi con un sorriso altrettanto malizioso stampato in faccia e avvicinarsi in modo pericoloso a me.
“Con molto pleasure.” Sussurrò al mio orecchio per poi, poco dopo, mordicchiarmi in modo quasi impercettibile il lobo.
Inevitabilmente deglutii rumorosamente incapace di controllarmi anche il minimo. In quel momento, la mia testa riuscii a produrre un solo pensiero, e le ripetizioni di italiano non ci entravano proprio niente. Assolutamente, manco un piffero c’entrano.
 
“Ricordati semplicemente che quando c’è una parola maschile in italiano, va sempre con la ‘o’, e quando è una parola femminile con la ‘a’, sempre con le dovute eccezioni ovviamente.” Gli spiegai,  mentre entrambi eravamo seduti sul letto a due piazze della sua stanza con una penna e un quadernino su cui si spaziava la sua scrittura adorabilmente sbilenca.
“Okay, quindi la parola, femminile e lo stilo, maschile.” Tentò. Stilo?
“Eh, pure te, Michael però, me vai subito a becca’ la parola che fa l’eccezione.” Dissi divertito, enfatizzando con vari gesti la situazione.
“Scuse…” Sembrava abbattuto, tanto che abbassò il viso e incominciò a torturarsi le mani.
“Ehi, amore, scherzavo.” Mi avvicinai a lui e cinsi le sue spalle con un braccio per poi lasciargli un piccolo bacio sulla tempia. “Sei adorabile comunque.” Sussurrai ponendo fine a quel giochetto nervoso che stava facendo con le sue povere dita.
“Io no vuole esere adorable.” Eh, nun ce poi fa’ niente, ciccio. È una cosa de natura.
“Okay, allora ti dirò un po’ di parole che fanno eccezione a questa regola, va bene?” Annuì incerto e mi preoccupai quando mi resi conto che i suoi occhi scappavano in continuazione ai miei e che erano leggermente lucidi. “Amore, ehi, che succede?” Presi il suo viso fra le mani, allarmato, e asciugai una piccola lacrima che si stava facendo spazio sulla sua guancia.
“Io no vuole sembrare ancora più stupido.” Dichiarò con tono lamentoso tirando su col naso.
“Ma non sei e non sembrerai stupido, chiaro? Stai tranquillo. Sei bravissimo, hai imparato l’italiano molto velocemente, eri solo un po’ arrugginito perché sei stato fuori, ma non preoccuparti.” Lo guardai attentamente aspettando un segno di consenso e, subito dopo che lo ricevetti, mi avvicinai ulteriormente a lui per lasciargli un piccolo bacio all’angolo della bocca, mentre con le dita gli asciugavo le lacrime.
Si vedeva che era terrorizzato dalla cosa che stava per fare. Si vedeva che aveva paura, ma non ne aveva ragione. Doveva essere solo se stesso e tutti l’avrebbero amato, proprio come avevo fatto io. Era impossibile non amarlo, però non perché fosse stupido, bensì proprio perché era adorabile nella sua goffaggine. Ma non era necessariamente un punto a suo sfavore, anzi.

 

 

Mercoledì, 24 Luglio
 
 
 
“Stavi facendo gli occhi dolci a Violetta.” Me ne uscii da un momento all’altro socchiudendo gli occhi infastidito, dopo essere usciti dalla stanza delle audizioni e esserci diretti in corridoio.
“What?!” Esclamò con voce stridula fermandosi di botto, frenando sia il suo che il mio percorso su per le scale.
“Nega, eh. Ti ho visto, sa. Dalle telecamere si vedeva tutto, e dico tutto.” Affermai con tono accusatorio.
“Oh, come on. No può tu fa davero el geloso. No è stato così. E io ha visto te guardare fondoschiena de Chiara. E se tu dice di no, mente.”
“Spero tu stia scherzando.” Dissi scandalizzato.
 
“Tu è molto, molto, molto giovane.” Mi imitò tirando fuori la lingua come a far capire che stavo sbavando.
 
“Fino a prova contraria, era giovane.” Dissi indispettito.
 
“Pft, shut the fuck up.” Disse a sua volta incrociando le braccia al petto e girando la testa dalla parte opposta alla mia.
 
“La parte più bella però è stata quando Valentina ti ha detto che la canzone non era dedicata a te.” Dissi divertito.
“E tu ha deto che io me crede sempre chi sa chi. No è vero.” Improvvisamente si imbronciò per poi darmi un pizzico sul braccio.
“Mika!” Urlai saltando all’indietro. “Ma sei scemo…” Mi massaggiai dolorante il punto leso e decisi di superarlo e dirigermi verso la stanza che mi aveva fatto vedere il giorno prima.
Una volta entrato, mi misi di fronte alla finestra per osservare i cieli scuri e piovosi di Dublino che andavano in contrasto completo con quelle pacifiche distese verdi, che però insieme formavano un’armonia pressoché unica. Lo sentii cingermi amorevolmente i fianchi e poggiare delicatamente il mento sulla mia spalla, ad osservare anche lui il paesaggio.
“No voleva farte male.” Sembrava quasi divertito, ma quel piccolo soffio mi distolse completamente dal mio tentativo di risultare offeso.
Un brivido mi percorse giù per la schiena per poi risalire in modo fin troppo piacevole. Le sue labbra si posarono sul mio collo, mentre le sue mani facevano un percorso a parte che andava da sotto la mia camicia azzurra fino alle mie gambe. Ho bisogno di te. Avevo bisogno di lui. Avevo bisogno di essere di nuovo una cosa sola con lui.
“Perché hai scelto Dublino?” Sussurrai appena voltandomi e accarezzandogli leggermente il collo, sfiorando con le dita la sua guancia.
 
“Sei stato bene su in Irlanda e ci tornereste pure en inverno...” Canticchiò rivolgendomi un piccolo sorriso.
 
“Non siamo in inverno.” Scherzai cercando di controllare quella gioia che si era propagata pian piano per tutto il mio corpo sentendolo cantare una delle mie canzoni.
 
“Ce tornerei solo con te.” Affermò a sua volta deciso.
 
“Se mi avvicino ti lasci andare?” Domandai avanzando un passo verso di lui.
 
“Se me avvicino ti lasci tocare?” Allora la sa.
 
“Se mi avvicino ti voglio sentire.” Continuai ad andargli incontro, mentre lui indietreggiava lentamente verso il letto, dopo avermi cinto la vita con le sue mani, delicate ma forti.
 
“Se te avvicini faciamo l'amore...” Disse con un tono di voce quasi impercettibile chinando il viso per poi attaccare le sue labbra sul mio collo.
 
“Michael...” Un piccolo sospiro troppo preso da quel contatto che ormai sapeva farmi impazzire.
Mi accompagnò fino a farmi stendere sul materasso spostandosi sulla mia bocca. Senza neanche pensarci, presi a sbottonare la sua camicia blue, mentre lui si occupava della mia. Sentii le sue mani vagare ormai esperte dei miei punti più deboli. Riaprii gli occhi solo quando mi resi conto di essere arrivato all’ultimo bottone per osservare ammaliato il suo corpo tonico, che non esitai nemmeno un secondo ad accarezzare lievemente con le dita, quasi a volergli fare il solletico. Si accasciò appena su di me con il sorriso sulle labbra, forse un po’ divertito, forse un po’ eccitato. Anche in quella situazione riusciva ad essere come un bambino. Ma quando nella luce soffusa della stanza, portata solo dalla finestra, vidi i suoi occhi osservarmi attentamente, mi fermai. “Che hai?” Gli domandai scostandogli dal viso un ricciolo che era riuscito a scappare dalla sua precisa pettinatura.
“Ricordo.” Rispose semplicemente sistemando meglio le mani sul letto, per far sì che fosse ben sollevato su di me.
“Cosa?” Continuai ad indagare incuriosito.
“Prima volta che noi abiamo fatto l’amore.” Potei vedere le sue guance dipingersi di un leggero rosso. Se la ricorda?
“La ricordo bene.” Dissi sorridendo, quasi in imbarazzo. “Perché ci stavi pensando?”
“Uno de ricordi più beli che io ha è quando tu mi ha deto, beh, che io era el primo. In quel moment, ho capito che mi amavi davvero. Tu era troppo timido per voler solo sesso e troppo sincero per mentirme.”
Non riuscii più a trattenermi. Non riuscivo più ad aspettare. Avevo bisogno di sentirlo mio, ancora una volta, dopo tanto tempo. Ripresi a baciarlo aggrappandomi con un braccio alle sue spalle e con una mano cercavo di approfondire ulteriormente il contatto tendendola sulla sua guancia. Decisi di ribaltare la situazione facendolo ritrovare sotto di me. Volevo avere il controllo su di lui. Lasciai dei leggeri baci sul suo collo, così esile. Quando lo sentii gemere sotto i miei tocchi, dovetti lottare con me stesso per non commettere pazzie improvvise e bruciare completamente ogni tappa di quel magico momento. Una volta ripreso controllo dei miei sensi, gli sfilai con lentezza disarmante la camicia rimanendo arpionato al suo collo e lo sentii imprecare contro di me e pregarmi di sbrigarmi. Ma vogliamo mettere? C’è soddisfazione più grande di questa? Posai con calma la camicia ai piedi del letto e mi sedetti su di lui riprendendo a baciarlo e muovendo leggermente il bacino, facendolo scontrare con il suo.
“Ti amo.” Sospirai sulle sue labbra vedendolo poi sorridere, forse troppo concentrato sui miei movimenti.
Mordicchiai il suo labbro inferiore, mentre ormai entrambi eravamo entrati in affanno, e mi spostai poco dopo sulla sua guancia. Solo successivamente mi accorsi che la testata del letto aveva cominciato a sbattere appena contro il muro. Rumore che però andava forse ad abbassarsi grazie a quello della pioggia e dei lampi, che ogni tanto comparivano in cielo, illuminando in nostri corpi e, soprattutto, il volto di Michael, che teneva gli occhi socchiusi, le labbra schiuse e la testa tesa verso il cuscino dietro di lui, quasi concentrato a mantenere l’autocontrollo.  La sua eccitazione era evidente e sentirla così vicina alla mia, mentre ogni tanto andavano a scontrarsi, non faceva altro che farmi impazzire ancora di più. Quando mi fermai e mi alzai leggermente da lui, con un rigonfiamento alquanto evidente nei pantaloni, dalla sua gola uscì un mugolio che vagava tra il compiaciuto e il contrariato. Andai a slacciare e togliere la cintura di pelle marrone che aveva sempre con una certa lentezza per poi sbottonare e abbassargli la cerniera.
“Marco, please…” Stava vivendo una piacevole agonia e potevo sentirlo dal suo tono di voce, che trasudava disperazione e eccitazione al contempo.
“Sh…” Intrufolai la mia mano nei suoi boxer per accarezzare la sua erezione ormai turgida.
Improvvisamente, con un colpo secco, decisi di spogliarlo completamente, liberandolo almeno dalla tortura dei vestiti. Risalii lungo il suo corpo per incollare di nuovo le mie labbra alle sue, per scendere poi verso il suo collo, il suo petto, il suo stomaco,molto lentamente.
“Wait.” Mi fermò col poco fiato che aveva in gola e si sollevò col busto per privarmi della mia camicia azzurra, che lanciò via da qualche parte.
Decise di rimpossessarsi delle mie labbra, mentre mi levava velocemente la cintura e mi sbottonava i pantaloni. All’improvviso, sentii la sua mano pronta a vendicarsi che mi massaggiava attraverso alla stoffa. Gemetti contro la sua bocca e la sua vendetta si completò quando mi privò di ogni indumento e avvolse la mia erezione. Poggiai la fronte contro la sua spalla, sentendolo lasciare dei baci sulla mia. Incominciai a respirare affannosamente, senza pensare a chi avrebbe potuto sentirci.
Cercai di riprendere in mano la situazione, così poggiai una mano sul suo petto e lo spinsi contro il materasso, deciso a ricominciare il percorso che fugacemente prima aveva interrotto. Durante tutto quel lasso di tempo l’avevo osservato in ogni suo movimento, mentre si contorceva lievemente, cosa che si andò ad accentuare quando avvolsi il suo membro fra le mie labbra. Gemeva, si dimenava, mi accompagnava e tutto ciò non faceva altro che darmi più sicurezza e più piacere. Quando stava per arrivare al limite, decisi di fermarmi e tornare a concentrarmi sulle sua bocca, ormai costantemente aperta.
Non ci pensai molto e, dando attenzioni ad altri punti del suo corpo, mi spinsi contro di lui, cercando sempre di essere il più delicato possibile.
“Ti amo, Marco.” Sospirò contro la mia pelle e quello per me fu il segnale per iniziare a muovermi.
Gli lasciavo dei leggeri baci sul collo, sulle guance e sulle labbra, mentre lo sentivo entrare con me in un turbine di emozioni. Mi era mancato così tanto fare l’amore con lui, sentirlo così preso da me e riuscire a regalargli determinate emozioni. Cercavo di essere il più delicato possibile, ma allo stesso tempo anche passionale. Volevo fargli capire che per una notte ci saremmo potuti perdere l’uno nel corpo e nell’amore dell’altro, perché ne avevamo bisogno più di qualunque altra cosa.
Strinsi fra le mani le lenzuola cercando di mantenere ancora per un po’ l’autocontrollo e sentii quelle di Mika intrecciarsi automaticamente alle mie, stringendole il più forte possibile.
Esausto mi lasciai cadere su di lui, che poco prima aveva ceduto, e lo tenni stretto fra le mie braccia cercando di stringerlo il più possibile.
 
“Tu è così cambiato, Marco.” Spezzò improvvisamente il silenzio, mentre continuava ad accarezzarmi dolcemente con un dito lo spalla.
 
“In negativo?” Gli chiesi quasi allarmato stringendomi ancora di più contro il suo corpo.
 
“No, no para mi.” Non potei non alzare la testa per far incontrare i miei occhi con i suoi, di cui troppo sentivo la mancanza. “Sai in cosa tu però no è cambiato?” Mi domandò sorridendo. Scossi la testa a destra e sinistra curioso della sua risposta. “In tuoi occhi… Sono sempre stessi. Così espresivi, io riesce a vedere tutto di te attraverso de loro.” Li osservò per un po’, come ipnotizzato ed io non potevo che guardarlo a mia volta ammirato. Non sapevo dove voleva arrivare. “In queste…” Aggiunse dopo un po’ portando il suo pollice sulle mie labbra, accarezzandole. “E in questo.” Infine portò la sua mano sul mio petto, in cui probabilmente sarà riuscito a sentire il mio cuore battere come faceva solo quando entrava in contatto con lui.
Non sapendo cosa dire o cosa rispondergli, la cosa più giusta da fare mi sembrò quella di sporgermi verso di lui e catturare le sue labbra con le mie, fino a quando non finii nuovamente su di lui per poi poggiare la testa sul suo torace e farmi cullare dal suo respiro e dai battiti del suo cuore.
 
#MyWor(l)d
 
Saaaaalve c:
Le "vacanze" fanno beeeeeeene, dai. No. So che non è un granché e mi dispiace tanto perché non vedevo l'ora di scrivere su questo periodo e su quest'anno sinceramente, perché, andiamo, questi curuculli di cioccolato non sanno mentire e sono l'antitesi dell'antisgamo :3
Però sono una bastarda, lo so. Vi lascio a bocca asciutta in continuazione e risorgo ogni tanto. Chiedo umilmente venia. Dai, che nonostante tutto mi volete bene :3 (?) Ce se spera almeno ç_ç
In ogni caaaaaso, vi ringrazio come al solito per l'immensa pazienza che avete <3
Un bacione,
Michaels
 

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Capitolo 48
*** 2013 pt.4 ***


Dublino, Giovedì 25 Luglio 2013
 
 
Ultimo giorno a Dublino. Era stata un'esperienza unica per me. Non sono mai stato particolarmente bravo a giudicare la gente, a dare una mia completa opinione su altre persone, anche se mi capitava spesso di farne di dure a me stesso. Oh, smettila Marco. Di quel è il vero motivo per cui queste giornate sono state meravigliose.
E va bene. Lo ammetto. L'unica ragione è Mika. Contento?
Certo.
Bene.
Mentre ero estremamente impegnato a discutere tra me e me, cercavo di sistemare le ultime cose nello zaino per tornare a Milano e riprendere le prove del Tour, anche se di voglia non è che ne avessi tanta. Cioè, sì, avevo voglia di lavorare, ma non avevo alcuna voglia di separarmi di nuovo da Michael. Ogni volta era uno strazio. E la situazione andava peggiorando se pensavo che di quei giorni ultimamente ne avevamo avuti talmente pochi. Avevamo senza dubbio passato un periodo non facile entrambi, e la cosa inevitabilmente era andata a riflettersi sulla nostra relazione. Ma il peggio era passato, credo.
"Marco, sa per caso dove è mio telefono?" La vocina di Mika mi arrivò ovattata dal bagno.
Ruotai la testa a destra e sinistra alla ricerca del suo cellulare, che prontamente si trovava sul comodino di fianco al letto. Che tonto. Mi portai l'indice alla bocca per mordicchiarmelo, indeciso se attuare quello che la mia mente stava elaborando o lasciare stare e dirgli che era lì.
"No, mi spiace." Dissi senza pensarci un secondo di più prendendolo subito dopo essermi slanciato velocemente verso il comodino per afferrarlo.
"Are you sure?" Mi domandò una seconda volta entrando in stanza, facendomi girare di scatto per poi portarmelo dietro la schiena.
"Mh, riprova in bagno, magari l’hai lasciato in carica là." Tentai di rimandarlo via cercando di essere il più credibile possibile.
“No crede serà là, già io ha cercato.” Affermò lievemente preoccupato continuando a cercarlo con lo sguardo in ogni angolo della stanza.
“Riprova.” Dissi nuovamente con tono deciso, forse anche troppo, così tanto da fargli piantare i suoi occhi nei miei, sospettoso.
Si fermò un attimo corrugando la fronte, cercando probabilmente di capire cosa stesse succedendo. Socchiuse gli occhi e schiuse la bocca, senza proferire parola. La serrò per un istante mettendosi dritto con la schiena e le gambe, consapevole che qualcosa lì dentro non andava, ed io mi trovavo in serie difficoltà, mentre cercavo di non cedere e scoppiare a ridere.
“Marco…” Mi chiamò quasi in un piccolo sussurro, impercettibile.
“Cosa?” Non riuscii più a trattenermi ed una piccola risata fuoriuscì dalle mie labbra. Idiota. Resisti.
“Che tu ha dietro la schiena?” Domandò avvicinandosi lentamente a me, avendo ormai capito quello che avevo fatto.
“Io? Niente.” Provai a mandare avanti quella scenetta, per quanto ancora mi fosse possibile, perché ormai ero quasi arrivato al limite.
La mia voce era evidentemente sottoposta ad un determinato sforzo per non scoppiare in una fragorosa risata.
“Fame vedere.” Suonò quasi come un ordine, la sua voce appena alterata, la mia faccia rossa come un peperone, le mie labbra piegate in un sorriso divertito.
“Ma non ho niente.” Ritentai ricomponendomi, inutilmente.
“Marco.” Ormai il tono deciso che aveva assunto non faceva altro che divertirmi di più.
“Davvero.” Gli mostrai un mano vuota alla volta, prima la sinistra e poi la destra. “Vedi?” Cercai di andare avanti in quella farsa, consapevole che ormai aveva capito tutto, ma mi divertivo ancora di più vedendolo quasi arrabbiato.
“Marco Mengoni, fame vedere immediately cosa tu ha dietro la tua schiena.” Uh, ‘Marco Mengoni’, è proprio arrabbiato. Meraviglioso.
“Niente, ho detto.” Quella volta la mia provocazione era più che evidente.
“Marco.” Lo vidi avanzare verso di me, quasi con fare minaccioso, per poi slanciarsi verso di me e cercare di afferrarmi per il polso, ma prontamente riuscii a spostarmi ed a sfuggire alla sua presa.
“No!” Esclamai incominciando a correre in giro per la stanza.
“Brut…” Lui, a sua volta, decise di rincorrermi vedendo il suo telefono nella mia mano.
Uscii dalla camera per dirigermi in un posto ignoto, il più lontano possibile da lui. La troupe di X Factor ci guardava come se fossimo impazziti completamente, ma chissene frega. Eravamo semplicemente degli amici che giocavano per loro, e non di certo una coppia follemente innamorata.
Corsi su per le scale al piano superiore, ormai con il fiato corto, rincorso da Mika che, quando mi voltai, vidi salire due o tre scalini alla volta, nel tentativo di raggiungermi il prima possibile.
“Allontanati da me!” Gli urlai cercando di aumentare il passo, anche solo il necessario per non farmi prendere.
“Questa me la paga!” Quelle frasi probabilmente si sentirono per tutto il castello e, anche se quella cosa che stavamo facendo era una delle più insensate al mondo, era la più bella.
Tra il divertito e lo spaventato, corsi lungo il corridoio e, ormai esausto, entrai in una stanza e, mentre cercavo di scavalcare il letto, Michael era riuscito ad afferrarmi per una gamba, ed io caddi inesorabilmente sul materasso.
“Lasciami.” Dissi con il respiro affannato allungandomi, provando a non fargli prendere il cellulare.
“Give me my mobile phone. Now, Marco.” Lo ignorai bellamente continuando a cercare di allontanarmi. “Te giura che no faremo l’amore para molto, molto tempo.” Mi minacciò.
“Non riesci” il suo corpo schiacciava quasi prepotentemente il mio “a resistermi.” Finii la frase col poco fiato che mi rimaneva.
“Questo lo dice tu.” Mi afferrò il polso e lo avvicinò a sé, ma io tentai in ogni modo di tenere la presa il più stretta possibile, mentre cercava di tenermi fermo con le gambe e con l’altro braccio e mentre, nonostante tutto, entrambi continuavamo a ridere come due perfetti idioti. Accidentalmente, lo schermo si illuminò e attivò nella foga la telecamera del telefonino e, probabilmente nel mio tentativo trattenerlo il più possibile, scattò qualche foto.
“Va bena! Hai vinto.” Disse tra il divertito e lo scocciato, lasciandosi cadere su di me e lasciando la presa.
“Io vinco sempre.” Dissi spavaldo, a mia volta, riprendendo fiato.
“Adeso però dame telefono.” Lo sentii ridere prendendo la mia mano.
“Guarda, hai accidentalmente scattato delle foto.” Affermai indicando il piccolo riquadro in basso a sinistra del display. “Ma quanto cazzo so' figo!” Esclamai entusiasta osservando attentamente una di quelle foto, resa ancora più meravigliosa dal dolce sorriso di Michael, che diede due colpi di tosse contrariato. Posai i miei occhi su di lui e portai la mia mano sulla sua guancia, incantato. “Io sarò pure 'nfigo da' madonna, ma tu sei fottutamente perfetto.” Sorrise. Un sorriso incantevole. Continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore, facendo intravedere appena in parte i suoi adorabili incisivi. I suoi occhioni verdognoli mi andarono pian pianino attirando verso di lui, e proprio nel momento in cui le mie labbra stavano per toccare le sue, mi bloccò.
“Ehi, io non sarei figo?” Chiese quasi contrariato facendomi ridere lievemente.
“Tu sei molto di più.” Affermai deciso spostandogli un ricciolino che gli cadeva sulla fronte, sfiorando appena il suo nasino.
“Magara.” Disse arrossendo.
“Zitto e baciami.” Lo tirai verso di me dal colletto della camicia spazientito, bisognoso della sua bocca.
Finalmente riuscii ad unire le mie labbra alle sue e fu come rinascere. Un contatto appena violento all’inizio, che poi andava man a mano diventando sempre più dolce e delicato. Cercai di sistemarmi meglio, sollevandomi un po’ e facendolo alzare lievemente dal mio corpo, contatto e calore che andai subito a ricercare. Posai la testa all’indietro sul materasso chiudendo gli occhi e tentando di riprendere fiato, che tornò subito a mancare quando sentii le labbra di Mika percorrere il mio collo, baciandolo ed lambendolo appena di saliva, facendomi inevitabilmente venire i brividi una volta staccatosi.
“Cosa direbbaro se someone vede noi.” Sospirò facendo scontrare il suo fiato contro la mia pelle umida.
“Oh, sarebbe un bel guaio.” Ansimai affondando le mie mani fra i suoi capelli. “Ma non ci deve importare.” Dissi rivolgendogli un piccolo sorriso.
“Vera.” Concordò passando la sua mano lungo il mio corpo.
“Mi viene solo una cosa ora che potrebbero dire.” Piantai nuovamente i mie occhi nei suoi.
“Cioè?” Domandò curioso.
“Cioè che il mio amore nei tuoi confronti è palpabile a chilometri e chilometri di distanza.” Sussurrai avvicinando il mio viso al suo, facendo sfiorare appena i nostri nasi.
“Lo direbbe pure io,” sospirò sulle mie labbra. “ma direbbe anche che, yes, tu è molto piacevolemente palpabile.” Un sorriso malizioso e sbilenco allo stesso tempo si fece spazio sul suo meraviglioso viso.
“Idiota…” Dissi rassegnato lasciandogli un bacio a fior di labbra.
“Una cosa, se una de mie ragaze ariva in finale, vorei che tu facessi il dueto.” Mi propose staccandosi per poi posare la sua mano sulla mia guancia.
“D-davvero? Vuoi che lo faccia io?” Chiesi sbalordito.
“Certo, tu solo può fare questo per me.” Rispose convinto sorridendomi dolcemente, mentre mi accarezzava in un tocco delicato la guancia.
Fin troppo felice per parlare, mi limitai a sorridergli a mia volta. Aveva scelto me, di nuovo. Aveva scelto me, per l’ennesima volta. Soddisfazione più grande non ci poteva essere. Ha scelto te, Marco.
 
Era arrivato il momento di tornare a Milano. Ed era anche giunto il momento per me e Michael di separarci, perché lui avrebbe preso un altro aereo, diretto a Londra, dove sarebbe dovuto essere ospite, poche ore più tardi, di uno show. Però, in compenso, mi avrebbe raggiunto qualche giorno dopo.
Separarci, ovviamente, non era mai stato semplice, ma eravamo più sereni. Le cose andavano meglio e avevamo passato dello straordinario tempo insieme.
“Chiamame appena tu ariva, por favor.” Disse quando ormai eravamo arrivati all’aeroporto e saremmo dovuti scendere dalla macchina, per separarci poco tempo dopo.
“Certo, non preoccuparti.” Cercai di tranquillizzarlo prendendolo per mano ed andando ad accarezzargli il polso delicatamente con i polpastrelli. Entrambi non fiatammo per un po’, immersi nei nostri pensieri. Tenevo gli occhi bassi, mentre osservavo le nostre mani che andavano intrecciandosi fra di loro, ma sentivo tuttavia il suo sguardo su di me. “Michael.” Mi decisi a rompere il silenzio.
“Dime.” Sussurrò appena, sussurro che mi creò un piccolo brivido lungo la schiena.
“Non la reggo più questa situazione.” Alzai lo sguardo verso di lui, che capì immediatamente quello che intendevo, tanto che vidi i suoi occhioni coprirsi di un ulteriore velo di malinconia. “Ci sono volte in cui, anche se amo follemente il mio lavoro e le persone che mi seguono, vorrei mollare tutto e stare con te, per sempre, in qualsiasi luogo. Ci sono momenti in cui mi manchi terribilmente, in cui prendo il mio cellulare, guardo le tue foto o cerco notizie su di te. Non dico di stare insieme ventiquattr’ore su ventiquattro, ma vorrei almeno avere la libertà di poterti portare in un ristorante elegante la sera ogni tanto, andare al cinema, avere una nostra foto nel blocco schermo del cellulare, per stare meglio guardandoti quando mi manchi o le cose vanno male e vorrei poterti chiamare in qualsiasi momento.” Mi osservava e mi ascoltava in silenzio, interessato. E non doveva dire niente, perché probabilmente molte di quelle cose le desiderava anche lui. “Vorrei che fossimo una coppia normale qualche volta, anche se sono consapevole che senza tutto questo, probabilmente noi non ci saremmo neppure incontrati di nuovo, dopo la prima volta. Oh, Dio, probabilmente mi sarei imbucato a qualche tuo concerto, ma non mi avresti notato.” Aggiunsi facendolo ridere lievemente. Ah, la sua risata.
“Io me ricorda de te, al mio concerto, in una delle prime file, con Cristie, qualche anno fa.” Mi stupii a quelle parole. Se lo ricorda ancora? “No fare quela faccia, io me ricorda tuto de noi. Ogni moment, ancora prima di amarti come te ama adesso.” Appena pronunciò quelle parole, miei occhi si appannarono appena.
Nulla e nessuno riusciva a farmi più felice di lui. Riusciva a sorprendermi in ogni circostanza.
“Ci vediamo presto.” Dissi semplicemente aprendo lo sportello della macchina, ma sentii la mano di Mika afferrare la mia e tirarmi a sé, inducendomi a richiudere la porta.
Mi strinse fra le sue braccia ed io affondai il viso nell’incavo del suo collo, inebriandomi di quel meraviglioso profumo che portava. Lo abbracciai a mia volta respirando profondamente.
“Molto presto.” Aggiunse allontanandosi per poi, poco dopo, unire le nostre labbra per l’ennesima volta.
 
 
Londra, Sabato 17 Agosto
 

Io e Michael avevamo deciso di passare il fine settimana del suo compleanno insieme. Ormai mancava poco e il clima in casa era già festoso, soprattutto da parte di sua madre e le sorelle che erano venute per organizzare le varie cose per l’occasione. Dopo tanto tempo che non le vedevo, la situazione non sembrava essere cambiata. Mi trattavano sempre in modo estremamente rispettoso e affettuoso.
Anche se, devo ammetterlo, l’unico che non sembrava particolarmente emozionato era proprio Mika. Mi avevano detto inoltre che negli ultimi giorni aveva passato la maggior parte del tempo nel suo studio, a scrivere qualcosa di cui non erano a conoscenza.
Era sera e ormai molti dei preparativi erano pronti. Così, guidato dalla mia curiosità, decisi di raggiungerlo e capire come andasse o se ci fosse qualcosa che gli stesse dando preoccupazioni. Una volta percorso il corridoio, mi fermai davanti alla porta e mi sporsi in avanti appoggiandoci l’orecchio, ma non riuscii a percepire alcun rumore. Bussai leggermente con un dito, creando un suono appena percettibile e, quando sentii la sua voce fare un verso, aprii la porta e lo trovai con il busto e il capo chini e gli occhi rivolti verso lo schermo del computer. Aveva un’espressione concentrata, pensierosa.
Mi avvicinai e avvolsi il suo corpo con le mie braccia, stringendolo appena, e poggiai il mento sulla sua spalla, in silenzio, proprio come stava lui.
“Che fai, uomo incredibilmente sexy e adorabile quasi trentenne?” Sussurrai al suo orecchio sentendolo prima irrigidirsi e poi, subito dopo, rilassarsi.
“Stava scrivendo una lettera.” Disse appoggiandosi allo schienale e contro il mio corpo. Lettera?
“A chi?” Domandai curioso.
“A me stesso.” Rispose facendomi aggrottare la fronte, non capendo cosa intendesse veramente. “Vuole scriverme esta lettera, per rileggerla quando io avrà ottant’anni. No potrà farlo prima. Volio lasciarmi qualcosa di me e di questa vita, anche quando sarà vecchio.” Mi spiegò incominciando a mordicchiarsi un dito.
“Posso leggerla anche io?” Lo osservai, mentre girava la testa di scatto verso di me e mi chiedevo se fosse un cattivo segno. “C-cioè se non vuoi fa niente, ov…”
“Certo,” mi interruppe. “volio che tu la legge ora, insieme a me, e volio che you la legge quando tuti e due saremo vecchi e decrepiti. Ci sei anche tu.” Lo guardai sorpreso, ma subito dopo la curiosità mi portò a spostare lo sguardo verso lo schermo del suo computer.
Iniziai ad osservare ogni singola parola, ed una dopo l’altra, c’erano dei tratti in cui il mio sorriso si andava allargando, e altri in cui si spegneva. C’era un Mika curioso, ma anche perplesso, che faceva domande a se stesso, come se si fosse voluto ricordare ogni domanda da farsi dopo cinquanta anni.
Poi mi bloccai.
“Mi chiedo se hai dei bambini e come li hai avuti, perché so per certo che non sei stato con una ragazza. Tuttavia spero tu li abbia e che mi somiglino. Spero anche che al tuo fianco ci sia ancora Marco. Sì, Marco Mengoni. Ma sì, quel ragazzo dal cambio di capelli repentino. Prima ha un ciuffo, poi scompare, poi torna. Quel ragazzino che, con i suoi occhi tormentati, ma dolci e profondi, ti ha conquistato in poco tempo. Quello che ti ha fatto davvero provare la fenomenologia d’amore. Ti sei innamorato di lui prima con un saluto, poi con lo sguardo, poi ancora con il cuore. Dimmi che è ancora lì accanto a te. Dimmi che sta leggendo insieme a me le mie parole. Dimmi che tiene fra le sue braccia nostro nipote. Dimmi che sta posando i suoi meravigliosi occhi su di me. E, se è lì, anche se non ho dubbi, girati e ricordarti di ringraziarlo e di dirgli di nuovo che lo ami.”
Il cuore. Il mio cuore continuava a battere forte, all’impazzata. I miei occhi, lucidi, mi rendevano difficile la vista. È questo che vuole? È questo quello che pensa? E quello di avere dei bambini è un desiderio che condividiamo?
“M-Michael, i-io…” Cercai di parlare, ma il forte nodo alla gola che avevo mi impediva di proferire parola.
“Ssh, amore. Non piangere, por favore, che poi piange pure io.” Disse divertito asciugandomi le lacrime, che ormai scendevano lungo il mio viso. “Una cosa, te la dico mentre cerca de calmarte, okay?” Annuii, ma prima sentii le sue mani guidarmi davanti a lui e farmi sedere sulle sue gambe. “Ehi,” cercò i miei occhi e mi sorrise dolcemente. “questa lettera deve anche andare en un giornale tra qualche week per mia rubrica e, beh, se tu vuoi poso inviarla così oppure poso cancellare questo pezzo e la teremo para noi.” Mi prese un colpo a quelle parole e mi affrettai ad asciugarmi completamente il volto.
“Cosa?” Gli chiesi sorpreso. Davvero?
“Io è pronto, Marco. Volio vivere la nostra storia come qualunque altra persona. Volio poterti prendere per mano in qualsiasi posto. No vuole avere paura.”
“Anche io sono pronto.” Affermai deciso, anche se ancora troppo stordito da quello che mi aveva detto.
Era assurdo, completamente assurdo, ma allo stesso tempo era qualcosa di straordinario. Incatenai i miei occhi ai suoi e mi incantai ancora di più vedendo il suo meraviglioso sorriso farsi spazio sul suo viso. Gli sorrisi a mia volta avvicinandomi a lui e, chinato il capo, poggiai delicatamente le mie labbra sulle sue.
Doveva essere un nuovo inizio. Un inizio libero e di libertà. Avremmo incontrato non poche difficoltà, tra cui probabilmente la furia di Marta, ma saremmo stati finalmente liberi di essere noi.
Merda.
 
 
#MyWor(l)d 
 
Sono tornaaaaaata, yeeeee
Purtroppo per voi .-.
Come state?? Spero bene *-* 
Sono iniziate le vacanze, finalmente, anche se probabilmente molti di voi fra poco affronteranno degli esami e a queste persone tengo fare il mio imbocca al lupo :3
Bene. Spero comunque che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e mi scuso come al solito per il ritardo, ma cercherò di tornare ad essere costante. 
Come sempre, ringrazio chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite e chi, semplicemente, la legge in silenzio! 
Grazie mille, davvero <3
Un bacione!
A prestissimissimo :3
Michaels

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Capitolo 49
*** 2013 pt.5 ***


Milano, 24 Ottobre 2013

 
 
“Marco,” mi svegliai leggermente sentendo la voce di Michael in lontananza. O forse è un sogno. “Marco, tu è svelio? Ehi, Marco, come on. Sei svelio?” Poggiò la sua mano sulla mia spalla tirandomi verso di lui per andare a sussurrare nuovamente un “sei svelio?” contro il mio orecchio. Ma sta scherzando?
"
Mmh..." farfugliai semplicemente, quasi infastidito.
“Come on, please. Dime che è svelio.” Ma io… “Dai!” Come il peggiore dei bambini, decise di spintonarmi bruscamente. Eh, ma allora dillo.
“No, Mika. Non sono sveglio” dissi con voce ovattata sistemandomi meglio sul letto e allontanandomi appena da lui.
“Ma tu ha parlato” affermò contrariato.
“No, sono la tua coscienza e ti dico che, se vuoi rimanere vivo ancora per qualche annetto, sarà meglio per te smettere di disturbare quel povero Cristo di Marco.”
Sentii solo un leggero lamento uscire dalle sue labbra seguito da un piccolo sbuffo, mentre si sistemava dall’altra parte del letto. E subito dopo non potei fare a meno di sentirmi in colpa. Se mi aveva svegliato, un motivo doveva esserci. Che faccio? Strinsi gli occhi e li aprii cercando di mettere a fuoco tutto quello che mi circondava, rimanendo in mobile. La nostra classica stanza dalle pareti beige. Che novità. Sentivo il respiro di Michael dietro. Era distante da me, forse di spalle, in attesa di addormentarsi di nuovo e, solo quando sentii l’ennesimo sospiro, capii che c’era qualcosa davvero che non andava. Aveva bisogno di parlare, non voleva solo rompermi di prima mattina, come altre volte era successo. Allora mi decisi a girarmi. È girato anche lui, come pensavo. Il suo corpo, incredibilmente bello, era immobile, eccetto le sue braccia, che si muovevano quasi impercettibilmente e seguivano i movimenti delle sue mani, una sotto e l’altra sopra il cuscino, che probabilmente stava subendo le loro torture, a causa del suo nervosismo.
Decisi di avvicinarmi a lui lentamente, per poi poggiare sul suo fianco la mia mano, contatto che lo fece sobbalzare appena.
“Scusami” sussurrai al suo orecchio lasciandogli subito un leggero bacio sul collo. Senza dire niente, si limitò a stringere le spalle ed a fare un mezzo sorriso forzato. “Cosa ti fa stare così?” gli domandai direttamente, senza fare troppi giri di parole, poggiando poi il mento sulla sua spalla e cingendogli i fianchi.
Se aveva bisogno di parlarmi, l’avrebbe fatto senza farsi pregare troppo. Lo conoscevo.
“Ha paura” si limitò a dire mantenendo quel suo adorabile viso imbronciato.
Paura?
“Di cosa?” Continuai incerto e confuso, preoccupato e, lo ammetto, divertito anche da quel suo atteggiamento che aveva assunto, tipico di un qualsiasi bambino un po’ offeso, un po’ con la testa fra le nuvole.

“Questa serra” aggiunse stringendosi un po’ più contro di me. Questa sera? Ma ti costa tanto spiegarmi tutto direttamente, amore? Che succede questa sera? Pensa, Marco, pensa.
Aspetta.
Allora. Prima di tutto, che cappero di giorno è?! 24 Ottobre. Okay. E fin qui ci siamo.

“Marco!” Saltai sul materasso, quasi spaventato da quel suo mezzo urlo e da quella leggera gomitata contro il mio stomaco.
Spostai, sempre più confuso, il mio sguardo nuovamente su di lui, cercando di capire il perché di quel suo gesto.
"Che c'è?!" Chiesi ormai adirato d
a quel suo comportamento.
“Oggi è giovedì!” Esclamò tornando a rannicchiarsi contro il mio corpo. Giusto! Oggi è giovedì, Marco! 
E allora? Feci qualche rapido calcolo, cercando finalmente di capire in qualche modo, almeno ci provo, il motivo di tutti quei piccoli gesti al limite della sanità mentale. Poi capii. Spalancai gli occhi e quasi mi irrigidii sul letto anche io. Oggi c’è X Factor.
Oggi c’è X Factor.
Ma che cretino che sono.
“Oh Dio, Mika, scusami. Non avevo realizzato” mi limitai a dire, per poi vederlo nuovamente stringere le spalle ed abbassare lo sguardo cominciando a giocare con le mie mani, cosa che faceva principalmente quando era molto nervoso, ma cercava di controllarsi torturando le mie povere e fortunate dita.
Era vero, quella sera ci sarebbe stato X Factor. Fino a quel momento era stato felice di farlo, molto felice, ma quella sera sarebbe stato il turno del live, quindi qualsiasi errore avesse fatto sarebbe stato in diretta. Niente sarebbe potuto essere tagliato e montato. Si sentiva come improvvisamente indifeso davanti ad un mondo che lui di fatto conosceva in altro modo. Se faceva un errore durante ad un concerto, gli dispiaceva ovviamente, ma era pur sempre il suo pubblico, la sua seconda famiglia. Avrebbero riso insieme. A X Factor era leggermente diverso. A vederlo non c’era solo chi lo amava, ma anche chi non lo conosceva molto bene e era terrorizzato all’idea di fare la figura dello stupido, che non era assolutamente, ma ogni tanto aveva questi complessi ingiustificati all’improvviso.
Probabilmente in quel momento, aveva solo bisogno di una parola di conforto, di qualcuno che gli riuscisse a dare un po’ di sicurezza.
“Andrai di merda, come al solito.” si girò di scatto e mi fulminò con lo sguardo. Non potei a fare a meno di scoppiare a ridere per l’espressione adorabilmente incazzata che aveva assunto il suo viso. “E dai, lo sai che scherzo” continuai cercando di soffocare le risate. Mi spinse via, ancora più imbronciato di prima, e si chiuse ulteriormente. Tornai finalmente serio, avendo capito che quel giorno proprio di giocare non aveva voglia. “Okay, scusa, davvero. Non volevo” tentai di abbracciarlo di nuovo, ma continuava ad essere estremamente freddo e rigido. “Michael…” quasi sussurrai il suo nome, ormai preoccupato, avvicinandomi a lui.
“Leave me alone” disse irritato.
“Dai, non fare il bimbo. Stavo scherzando. Devi stare tranquillo, andrà tutto benissimo” poggiai la mia mano sulla sua spalla, nel tentativo di girarlo dalla mia parte, ma nulla, e allora feci l’unica cosa che avrei potuto fare in quel momento: feci ancora più forza mettendolo con le spalle sul materasso e costringendolo a mostrarmi quel suo visetto imbronciato. Adorabile. Mi misi delicatamente a cavalcioni su di lui, attento a non fargli male od a dargli fastidio. “Dai” aggiunsi divertito.
“Lasciame” il suo tono deciso quasi mi convinse a smettere a fare quel gioco appena all’inizio, ma… Andiamo, sono Marco Mengoni.
Lo bloccai allora per i polsi portandoglieli entrambi sopra la testa e cercai di fermargli saldamente il busto con le gambe. Anche se era più alto, di certo io ero diventato più robusto e leggermente più muscoloso. È troppo pigro quello per fare un po’ di palestra, anche se lui si definisce solo “troppo impegnato”.
“Ripetilo” soffiai sulle sue labbra con un sorriso malizioso.
Mi fissò per un po’, in silenzio, socchiudendo gli occhi, probabilmente per capire dove volessi arrivare. È semplice, caro mio.  
Improvvisamente lo vidi avvicinarsi e il mio cuore iniziò a battere ancora di più nella gabbia toracica. Deglutii quasi incantato. Fino a quel momento avevo avuto io il controllo, non potevo permettere lo prendesse lui.
Dimi una parola sola che mi sfiori e che mi faccia muovere verso di te… ora” canticchiò portando le sue mani sui miei fianchi e tirandomi ulteriormente a sé.
Sorrisi divertito avvicinando le mie labbra alle sue, facendo sfiorare appena i nostri nasi. Mi allontanai leggermente, per vedere meglio i suoi occhi. Brillavano e avevano assunto un colore chiaro, come un verde, tendente però al marrone. Erano sempre stati gli occhi più belli che io avessi mai visto. Erano i suoi occhi, solo suoi. Nessun altro li aveva. Sembravano un vortice di bellezza ed emozioni. Quegli occhi erano delle gemme, fin troppo rare. Non li potevi vedere ovunque, eppure io li avevo lì, in qualsiasi momento.
“Baciami” soffiai ancora sulle sue labbra, schiuse, cosa che faceva inevitabilmente intravedere i suoi adorabili incisivi.
Sul suo volto si dipinse un meraviglioso sorriso. Non se lo fece ripetere due volte. Unì le nostre labbra, muovendole in un modo che vagava tra il vorace e il dolce. Un modo che solo lui poteva avere. Sentii le sue mani posarsi sulle mie guance, per approfondire ancora di più quel contatto. Si mosse sotto di me sistemandosi meglio.
Una strana e piacevole scarica mi attraversò. Ancora, ancora ed ancora. Una dopo l’altra. Poi, quando spostò la sua bocca rosea sul mio collo, aumentarono ulteriormente. Non più una alla volta, ma due, tre… Finivano direttamente dritte nel petto. Piccole frecce. Ecco cosa erano: piccole frecce. Ognuna di esse andavano ad invadere ogni millimetro del mio cuore, inebriando i sensi. Mi sentivo come estraniato dal mondo ormai. Quasi avrei potuto vedere me e Michael su quel letto dolcemente disfatto, mentre ci attorcigliavamo l’uno nel corpo dell’altro, l’uno nelle labbra dell’altro. Quasi sognavo di vedere da fuori quell’attimo, per tenerlo per sempre in mente.
“Vorei tu venisi come me esta sera” mi disse affannato staccandosi.
“Purtroppo non posso” risposi turbato. Era ovvio che non potessi e di certo lui non poteva invitarmi tra il pubblico come se niente fosse. Era impossibile. “Sarò comunque sempre con te, okay?” lo rassicurai.
Annuì, ma i suoi occhi avevano come un velo di insicurezza fin troppo evidente.
“Verai ospite quest’edizione?” mi domandò prendendomi per mano.
“Dipende se mi invitano” risposi divertito scostandogli uno dei suoi piccoli ciuffetti dalla fronte.
“De sicuro lo faranno, ma io chiederà de farlo il prima posibile” affermò facendomi sorridere.
Avrei voluto baciarlo, ma per quello c’era tempo. In quel momento aveva bisogno di un abbraccio ed io avevo bisogno di abbracciarlo. Quindi mi distesi su di lui e cinsi il suo busto con le mie braccia, poggiando la testa sul suo torace. Le sue mani andarono delicatamente ad accarezzarmi i capelli. Le sue gambe si intrecciarono con le mie, quasi ad arpionarsi ancora di più al mio corpo.
Amavo quando Mika diventava così bisognoso di me. Quando aveva paura o era preoccupato per qualcosa, correva da me, non al telefono con un amico. Correva da me. Ero il suo ragazzo, ma prima di tutto ero suo amico ed era in quegli attimi in cui ce lo dimostravamo l’un l’altro.



#MyWor(l)d


Saaaalve :3
non uccidetemi, per favore. Lo so che sono esageratamente in ritardo ç_ç
Chiedo umilmente perdono. Mi sento una merdina ç_ç 
Voi come state?? Spero bene!
Lo so che il capitolo non è un granché ed è anche più corto del solito, ma... Boh, scusate ancora ç_ç
Nonostante tutto, ci tenevo a dedicarlo ad una personcina speciale: la mia piccola Mengoni! *-* nonché mio amore, nonché mia moglie, cioè ___Lilith :3 
Grazie, come sempre. Ti amo tanto, ricordalo u.u 
E ci tenevo anche a ringraziare, come al solito, chi recensisce, chi ha messo la storia fra le preferite, chi la segue e chi la legge semplicemente. Grazie mille <3 
E scusate tanto ancora.
A presto,
Michaels

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