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di Matrider90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Mi sveglio. Le prime luci dell'alba entrano dalla finestra della mia stanza. Un po' assonnato prendo l'orologio a carica da sotto il mio cuscino e, cercando di mettere a fuoco, guardo l'ora. Sono le 5. Mi scappa un leggero sorriso pensando che tra qualche ora sarà ufficialmente il mio compleanno. Il mio fratellino, dorme beato nel letto difronte al mio. Accanto c'è un piccolo comodino con una grossa candela accesa e consumata in gran parte. Come al solito avrà avuto paura del buio e non avrà voluto spegnerla. Metto i piedi giù dal letto e, in modo quasi automatico, mi infilo maglietta e pantaloni che sono freddi e secchi per i troppi lavaggi. Senza guardare, allungo una mano sotto il letto e prendo gli stivali da caccia che, in fondo, sono gli unici che possiedo. Prendo nuovamente l'orologio e giro la carica finché non sento un piccolo “click” che mi annuncia il suo funzionamento per altre sei ore e lo metto in tasca. Dal giorno del “grande buio” quasi nessun apparecchio elettronico a più funzionato e di batterie non se ne trovano molte. Apro il cassetto del mio comodino e raccolgo una piccola foto alquanto rovinata e scolorita dagli anni. Nella foto sono ritratti i nostri genitori morti ormai da 4 anni. Fisso la foto e mi perdo per un attimo nei loro volti sorridenti, cercando di ricordare i bei momenti passati assieme, finché il ricordo della loro morte non si palesa vivido nella mia mente. Un'immagine che, dopo tutti questi anni, popola ancora i miei incubi. Distolgo subito lo sguardo e ripongo in tutta fretta la foto nel cassetto cercando di allontanare la mente dai brutti pensieri. La nostra casa è un'unica stanza, piccola e con le pareti grige senza intonaco o vernice che la rendono piuttosto tetra. Nell'angolo sinistro, non molto lontano dal mio letto, c'è un camino spento con ancora i residui della cenere.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi avvio verso la porta cercando di fare poco rumore per non svegliare il mio fratellino. Nell'istante in cui apro la porta un gatto rosso tutto spelacchiato si fionda in casa, salta sul tavolo e comincia a miagolare a più non posso.

-Shhhh! Zitto gattaccio- sbotto io con un filo di voce.
Mi avvicino per acchiapparlo e buttarlo fuori ma quello con un balzo va a finire proprio sul letto di mio fratello svegliandolo.

-Hunter, fratellone...- dice Benjamin assonnato.
-Dormi Ben, è solo un gatto- faccio io prendendo il gatto in braccio e stringendolo forte in modo da non farlo fuggire.
-Stai uscendo?- mi chiede strofinandosi gli occhi.
-Mi dispiace, devo andare alla serra- gli rispondo in tono sconsolato.
-Ma oggi è il tuo compleanno, avevi detto che oggi saresti stato con me- dice Benjamin con gli occhi che si riempiono di lacrime.
-Perdonami Ben...- gli dico sedendomi sull'angolo del letto accanto a lui. Con voce più dolce proseguo.
-Ti prometto che torno per mezzogiorno così potremo passare il pomeriggio insieme-
Con la mano gli scompiglio un po' i capelli.
-Promesso?- chiede asciugandosi le lacrime.
-Promesso! Però adesso basta piangere, sei un ometto-
-Si!- risponde lui sfoderando un sorrisone.
-Ora dormi-
Ben annuisce con un gesto del capo e torna a sdraiarsi nel letto con il sorriso ancora stampato sul volto.

Benjamin ha solo sette anni ma sta crescendo, penso avvicinandomi alla porta con ancora il gatto stretto a me che cerca in tutto i modi di divincolarsi. Fino a qualche tempo fa non avrebbe nemmeno voluto restare da solo anche quelle poche ore prima dell'arrivo di Elsa, la nostra vicina di casa che si è tanto affezionata a lui da diventare quasi una seconda mamma. Dopo la morte dei nostri genitori senza di lei non avrei saputo come fare.
Vorrei restare tutto il giorno con lui, ma il lavoro alla serra è l'unico modo che ci permette di avere un pasto, anche se misero, ogni giorno. Crescendo capirà.
Lo guardo ancora una volta, mentre si addormenta e con un'ultima frase mi chiudo la porta alla spalle.
-A più tardi, ometto-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cammino a passo svelto verso quella che da qualche anno è come una seconda casa. La chiamiamo La Serra.
Un grande capannone costruito con lo scarto di vecchi materiali, plastica per lo più. Dopo il “grande buio” la caccia e la pesca erano le uniche fonti di sostentamento, ma con il passare del tempo non erano più sufficienti a sfamare tutti i sopravvissuti che arrivavano qui in cerca di un rifugio. Fu Zelan ad avere l’idea di realizzare una grande serra dove coltivare ogni sorta di ortaggi e frutta per il fabbisogno di tutti. In soli 2 anni, grazie al lavoro di molti, abbiamo costruito un edificio di quasi un chilometro di lunghezza ed è in continua espansione. Da quel giorno Zelan è diventato il nostro capo e nonostante a lui non piaccia definirsi tale, senza di lui non saremmo stati in grado di realizzare tutto questo.
Vista la lunghezza della Serra ogni giorno, in base al lavoro, veniamo assegnati ad una mansione ed oggi a me è toccata la semina.
Allungo il passo, non voglio rischiare di arrivare tardi. Alle 5.45 esatte mi aggrego alla fila di lavoratori che devono firmare il registro delle presenze. Un uomo basso, tarchiato e con pochi capelli ai lati del capo si occupa di controllare firma ed orario di ogni singolo lavoratore che entra. Ogni minuto di ritardo equivale ad una riduzione della paga giornaliera e lui è fin troppo fiscale in questo.
Firmo il registro poco prima delle 6 e mi dirigo verso la mensa per prendere la mia “colazione”, una sbobba marrone densa che nessuno osa chiedere di cosa è fatta. Nessuno però se ne lamenta, per alcuni è anche l’unico pasto della giornata.
Mentre mangio mi dirigo alla zona della semina e ho tempo di ammirare questo immenso edificio a cupola largo 150 metri. Le pareti semi trasparenti mostrano il fiume che scorre imponente e che fa muovere giganteschi mulini ad acqua che portano il prezioso nettare in ogni zona della serra. Adoro guardali girare attraverso le parerti e quando arriva sera mostrare solo la loro ombra.
«Hei Hunter, ragazzo!» mi giro in direzione della voce e vedo Reran che mi saluta.
«Ciao Reran!»
«Forza forza, non c’è tempo per i convenevoli, c’è troppo lavoro da fare» mi dice con fare spiccio.
Sulla ottantina, lunghi capelli bianchi legati a coda di cavallo Reran ricorda una di quei vecchi saggi che si trovano spesso nei libri di fantasia.

«Va tutto bene?» gli chiedo sorpreso. Con gli anni ho imparato a conoscere questo vecchietto un po’ lunatico ma è la prima volta che si comporta così.
«Bene?! Bene?! si tutto benissimo se non conti questo tremendo mal di schiena che mi assilla» dice Reran in tono alterato. «Ahh, non diventare mai vecchio ragazzo» aggiunge sconsolato. Io sorrido e presi guanti e attrezzi mi metto al lavoro.
Come sempre il lavoro ripetitivo della semina mi fa cadere in un vortice di pensieri e ricordi che mi isolano dal mondo. Cerco di far emergere solo i ricordi belli prima del grande buio e l’immagine felice dei miei genitori si palesa davanti ai miei occhi. Sono talmente vividi che mi sembra di poterli toccare.
Passano minuti, forse ore on saprei dirlo ma ad un certo punto vengo risvegliato dal mio mondo da una mano che si appoggia sulla mia spalla...

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