Song to the Siren

di kuutamo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Childhood, adolescence, death ***
Capitolo 2: *** Dreams, changes, meetings ***
Capitolo 3: *** You'll never change what's been and gone ***
Capitolo 4: *** It must have been an angel ***
Capitolo 5: *** We Just Wanna Be Whole Again, Again ***
Capitolo 6: *** Stay ***
Capitolo 7: *** Bittersweet, I Want You ***
Capitolo 8: *** Distance ***
Capitolo 9: *** Let Me Kiss You Hard in The Pouring Rain ***



Capitolo 1
*** Childhood, adolescence, death ***






Erano mesi che non si vedeva più la luce del sole.

Come se tutti noi fossimo dentro a una fossa, e la luce del sole ci fosse stata negata. 

Erano mesi, anzi un anno per la precisione, che le vite della mia famiglia erano state scombussolate; prese ed agitate, destinate a non essere più come prima.

 

All'inizio gli avevano diagnosticato 'qualcosa', una massa, ma la confusione regnava anche tra i medici più specializzati, e noi piano piano ci sgretolammo. Come le porcellane antiche.

 

Ero all'ultimo anno di conservatorio e volevo disperatamente diventare una scrittrice e viaggiare per il mondo, ma mi sarei accontentata anche di un lavoro di traduttrice. Nel mio sogno.

Qui però, come in ogni sogno che si rispetti, entrano in campo altre forze. 

 

Mio padre era stato uno dei più giovani pianisti prodigio nella nostra città; aveva studiato molto nella sua vita, con durezza e disciplina impartitagli dai grandi maestri di conservatorio. Aveva girato il mondo e durante un seminario alla Juilliard, aveva conosciuto mia madre, che a quel tempo era un'aspirante studentessa, nonché violoncellista. 

Si sposarono dopo qualche anno e un po' di tempo più tardi, arrivai io a movimentare le loro vite. Vivemmo a Vienna per un po', ma poi papà fu richiesto a Parigi, così ci trasferimmo in un palazzo vicino al centro. 

Quand'ero piccola adoravo andar a vedere mio padre a teatro, mentre era intento a fare ciò che amava: io e mia madre seguivamo ogni suo movimento, ogni nota che suonava con grande amore e profonda passione, trasporto.

Rimanevo estasiata, quasi fulminata dalla profondità e dall'intimità dei suoi gesti. La potenza delle note m'inchiodava sulla poltroncina rossa e m'immergevo completamente nell'opera, uscendone soltanto una volta che si riaccendevano le luci.

La passione di mio padre non tardò a contagiarmi e ben presto m'insegnò a suonare il piano; con estrema dolcezza e pazienza m'iniziò e pian piano iniziai a fare i primi passi verso quel mondo, del tutto nuovo, ma che mi aveva sempre affascinata.

Con il passare del tempo, la carriera di mio padre fece passi da gigante, tanto da concedergli di fare delle vere e proprie tournée in giro per l'Europa. 

Durante le tournée arrivava a star via di casa per mesi, e molte volte sentii la sua mancanza. Il tutto fu accentuato anche dal fatto che non poté più dedicarmi lo stesso tempo di prima per fare pratica ed insegnarmi passi nuovi, così con la mamma decisero di mandarmi da un professore a far lezioni private. 

Una notte, mentre papà tornava dall'aeroporto , si scontrò contro un' auto che correva contromano a tutta velocità. Furono recisi tre nervi della mano destra, quattro costole fratturate e il setto nasale sfondato. L'auto si era quasi completamente accartocciata; nessuno sapeva come aveva fatto mio padre ad uscire vivo da quell'inferno. 

La riabilitazione fu lenta, da quel che ricordo: non mi fu permesso di vederlo per molto tempo, soprattutto all'inizio, ma a volte, quando non c'era nessuno in casa, vedevo che usciva dalla sua stanza e si avvicinava al suo piano bianco, si sedeva ed accarezzava i tasti lisci con la mano buona. Poi si guardava le fasciature sulla destra e ansimava: emetteva due note distorte e poi scattava in piedi sbattendo il coperchio sui tasti. Si voltava alla finestra e si perdeva, sembrava perdersi nella sua angoscia. Io rimanevo zitta, nascosta per tutto il tempo dietro il separé giapponese, a guardare mio padre che veniva mangiato e dilaniato. 

Avrei voluto correre verso di lui tante di quelle volte, abbracciarlo, ma avevo paura che mi respingesse, che non mi volesse più bene come prima. Dall'incidente cambiò tutto.

Con il passare degli anni il suo animo s'indurì come la roccia, e la sua sciagura vi restò infilzata come una spada incandescente. Soffriva in silenzio, seduto al suo pianoforte, ma lo faceva sempre meno spesso. Intanto le primavere passavano e la sua durezza si ripercosse anche su di me: si ostinava a farmi studiare duramente, con la stessa dedizione e lo stesso sacrificio con cui era stato educato lui fin da ragazzo. La mia vita si riduceva alla scuola e alla pratica, le poche amiche che avevo le persi negli anni perché non c'era rimasto tempo a sufficienza per frequentarci, e poi, come diceva sempre, << non valeva la pena sacrificare del tempo per cose futili >> . Mi restava soltanto la notte, mia alleata, per svagarmi e perdermi tra le pagine dei libri che più amavo; quelli erano gli unici momenti in cui potevo scegliere quale vita vivere, se essere una piccola Jane in fuga dal suo Rochester, o Mercedes che aveva perso il suo amore per sempre. Ma più di tutti, era Baudelaire che adoravo: riusciva a rapirmi ma allo stesso tempo a ferirmi con le sue parole; quell'angoscia, la speranza perduta di cui parla tanto nelle sue opere, era la stessa che affliggeva me, la stessa che ero costretta a vivere giorno dopo giorno. Leggerlo mi piaceva molto ma mi riportava tristemente alla realtà, alla fine. 

Mio padre ormai, era ossessionato dalla perfezione, perciò io dovevo essere perfetta: quando avevo quindici anni, l'accademia tenne un saggio per le famiglie, dove c'erano degli osservatori, nonché critici molto importanti; mio padre mi stette col fiato sul collo per mesi affinché io imparassi magnificamente i miei brani. 

Ormai si era trasformato tutto in una gara: ora io dovevo diventare ciò che lui non era riuscito ad essere, e per questo lo odiai.

A diciotto anni m'iscrissi al conservatorio, sotto perenni pressioni dei miei genitori, e lasciai nel cassetto il desiderio di studiare letterature. Mio nonno sembrava l'unico tra quelle mura, in grado di capirmi, l'unico che era rimasto ancora sano di mente. A volte parlavamo per ore, e lui mi raccontava della sua vita, del suo lavoro: aveva ereditato la fabbrica, la storica attività di famiglia, da suo padre e se n'era occupato sino a tarda età. Era incredibile come si ricordasse ogni particolare: dallo spessore delle stoffe ai numeri del filato.  La mamma lo aiutava con le scartoffie , i contratti e la varia burocrazia, ma qualche anno prima aveva lasciato la sua quota azionaria a lei, sua figlia, lasciandole il pieno titolo e potere sull'azienda. Lui non aveva mai amato quel lavoro, ma aveva imparato a conviverci e ad alzarsi dal letto ogni giorno per fare il suo dovere, e cioè continuare ciò che suo padre aveva costruito. 

Ma per me, aveva un piano diverso. Nonostante il suo esempio di vita, mi diceva sempre che avrei dovuto fare della mia ciò che volevo, quello che mi rendeva felice e appagata. Che avrei dovuto parlare una volta per tutte con mio padre, trovare il coraggio e dirgli le cose come stavano senza giri di parole. 

Forse aveva ragione, ma all'epoca mi sembrò una cosa irreale, che non si sarebbe mai realizzata. Bramavo la libertà, ma la paura di ferire chi amavo era più grande e mi faceva restare.

 

Qualche mese dopo il mio ventitreesimo compleanno, gli fu diagnosticato un male, una massa che si era formata dal nulla, come uscita da un buco nero, e che si era però sviluppata in poco tempo, assorbendo tutte le sue energie, mangiandolo.

 

Si spense dopo un anno di continue lotte e trasferimenti. Da mesi ormai era molto dimagrito e alla fine non si reggeva in piedi. Lo vidi in ogni fase e nella mia testa non smise mai d'esserci quella piccola luce di speranza che ognuno di noi sembra intravedere dal tunnel del proprio dolore. Quando la situazione sembrava rialzarsi, all'improvviso tutto il resto piombava nel buio più assurdo e profondo, ogni volta. Sembrava quasi che qualcuno si divertisse a vederci soffrire.

Non smisi mai di sperare, anche perché era una cosa assurda, che se ne andasse così, in quel modo. Era troppo presto. Non me l'ero mai immaginato.

 

Non eravamo una famiglia molto grande, ma nonostante ciò ci avevano lasciato già troppe persone care. 

Avevo guardato la morte in faccia per la prima volta a dodici anni, e come dice la battuta di un famoso film, l'infanzia finisce nel momento esatto in cui ti accorgi che un giorno morirai, quando la dama nera si presenta alla tua porta. 

Ero piccola, troppo, eppure capii ogni cosa di quelle giornate: ogni presentimento era giusto, avevo capito tutto. Feci l'adulta, e da quel momento in poi non credo di essere tornata più bambina. Era cambiato qualcosa in me, qualcosa dalla quale non si poteva più tornare indietro. Ormai la trasformazione era completa.

Col passare degli anni anche altri ci lasciarono, e  intanto dentro di noi, il vuoto aumentava: sembrava che i brandelli del mio cuore venissero spazzati via un pezzo alla volta. Persone importanti, fondamentali, se n'erano andate per sempre, e di loro non rimanevano solo che dei resti dietro una dispendiosa lastra di pietra. Ormai tra me e loro c'era il gelo di quella parete a separarci, il limite dell'universo della vita e della morte.

Continuavano a vivere in me, nei miei ricordi. Perché i morti infondo, non se ne vanno mai per sempre.

 

 

Quando a distanza di poco tempo se ne andò anche lui, mio nonno, ormai del mio cuore non rimaneva nulla. Se n'era andato, con tutti loro. 

 

..I was so confused as a little child..

 

Si dice che quando muore qualcuno si attraversino diverse fasi, come quella della negazione, della rabbia, dell'incredulità. Io dico che il periodo in cui si provano questi sentimenti è infinito, e che essi si provano tutti insieme; non c'è distinzione nel dolore. E soprattutto non si è più gli stessi: ogni qualvolta che qualcuno ci lascia noi cambiamo. Pensiamo di essere gli stessi di un tempo, ma la verità è che viviamo del ricordo di noi, nei ricordi di quando eravamo felici, bambini. 

Diventare grandi fa schifo, perché la consapevolezza fa schifo. Una volta trovata, provata, non ti lascia più.

 

 

 

..My heart, it breaks every step that I take…

 

Dopo la sua morte finii il conservatorio dando tutti gli esami con il massimo dei voti. Un giorno feci sedere mio padre in salotto e gli dissi tutto. Gli dissi che io non potevo essere lui, che dovevo andare e vivere la mia vita senza rimorsi, senza costrizioni. E lo feci. Mio padre non disse una parola e mi guardò andare via. Una notte lo trovai chinato sulla coda bianca del pianoforte, piangeva, ma non mi avvicinai, non ci riuscii. Realizzai solo in quel momento che non riuscivo più a toccarlo, che non ricevevo più carezze.

Qualche giorno dopo partii.

Strinsi forte mia madre, che sembrava essersi quasi essersi ripresa dal duro colpo, o almeno così fingeva di apparire. Non lo era completamente, e io lo sapevo… Mio padre mi abbracciò rigido, e anche con disagio, tanto da farmi desiderare che non lo avesse fatto. 

 

..choose your last words, this is the last time, 'cause you and I, we ere born to die… (inside)

 

 

Infondo eravamo tutti dei poveri esserini rotti, bambole di porcellana con le guance in cocci e il cuore strappato, ognuno che combatteva contro il suo demone, il suo male.

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Capitolo 2
*** Dreams, changes, meetings ***






                                                                                            --3 years later--

 

 

 

 

La stanza era piena di gente; persone con cui ero cresciuta, familiari e altre persone che non avevo mai visto. Tra di loro un uomo con i capelli chiari sfogliava un libro antico, con fare disinvolto: sembrava assorbito del tutto da quello che stava facendo, ma in qualche strano modo si accorse che i miei occhi aleggiavano curiosi su di lui come le ali di un corvo. Prima alzò lo sguardo dalle pagine e poi levò il capo verso di me, scostandosi alcune ciocche ribelli che gli erano finite davanti agli occhi. 

Non riuscivo a ricordare dove avevo visto quel ragazzo. Mi era talmente familiare, che avrei giurato di conoscerlo.

Quando incrociammo gli sguardi la sua espressione si distese in un sorriso: allora mi conosceva. Forse.

Tornò alle sue letture e io m'impegnai per scuotermi e muovere in avanti quei piedi.

 

Andai alla finestra, alla destra del  divano color verde scuro, e mi affacciai.

Faceva caldo quel giorno e c'era talmente tanta luce, che non riuscivo a veder nulla al di là del mio naso. Era tutto colorato e pervaso da un bianco spettrale. 

 

All'improvviso mi sentii afferrare per i fianchi e quando mi voltai di scatto scoprii con sorpresa che era lui: il ragazzo che leggeva.

Mi rivolse un'espressione dolce, la più dolce che avessi mai visto. Sembrava conoscermi, ed io sentivo la stessa identica impressione dentro di me.

Qualcosa mi attirava verso di lui, una forza magnetica, ma non sapevo cosa. Non riuscivo davvero a capirlo.

Mi prese le mani e mi condusse sul divano verde, dove mi fece sedere per prima, e poi mi seguì, posandosi vicino a me, cingendomi delicatamente le spalle con il suo braccio.

Aveva una t-shirt viola, consunta ormai, ma mi piaceva così com'era infondo.

La cosa che mi colpì di più fu il suo odore : era come se profumasse di un fiore sconosciuto, misto ad un olio di vaniglia, che si avvertiva appena dopo la prima inalazione.

Sembrava straniero, o meglio, aveva i tratti somatici diversi da quelli della gente che vedevo tutti i giorni. Il suo viso sembrava appartenere ad alti tempi, un viso rilassato, dai tratti gentili. La barba ricopriva quasi completamente le mascelle e contrassegnava ancor di più il contrasto con il collo, incorniciandone la forma squadrata. 

Gli occhi allungati, scuri e caldi; le ciglia foltissime che allungavano lo sguardo e lo rendevano ancor più profondo. Le sopracciglia scure disegnavano un arco attorno.

Mi guardò e mi sorprese con le mani nel sacco, e con gli occhi letteralmente intrappolati nei meandri del suo volto.

Mi sorrise, e vidi per la prima volta i suoi canini, che sporgevano un po', toccando il labbro inferiore. La bocca carnosa , impegnata a sfoderare un sorriso mozzafiato.

Improvvisamente mi baciò sulla fronte e io chiusi gli occhi, sentendomi in pace.

Poi, come se fosse stata la cosa più naturale e spontanea sulla faccia della terra, mi appoggiai al suo petto, inspirando a fondo. 

Lui si sistemò meglio e mi strinse ancor più forte.

Sentivo il calore del suo corpo avvolgermi totalmente: ero come chiusa in un bozzolo di calore e felicità, al sicuro da tutto e tutti. E maledettamente in estasi.

Tenevo la mano sinistra appoggiata anch'essa al petto: sentivo il suo cuore battere regolare e poi accelerare, forte, sempre più forte.

Gli rivolsi un altro sguardo di nascosto notando il suo collo da un'altra angolatura. Abbassai di nuovo lo sguardo verso l'addome e mi accorsi in quel momento della sua cintura. 

Era una catena a cui erano legate più catene, con dei ciondoli verdi e altri color argento. Ne presi in mano uno per vedere meglio e mi accorsi che erano piccoli teschietti. 

Lui se ne accorse e mi guardò stupito: gli feci segno toccandomi attorno alla vita prendendo la mia cintura; anch'io ne avevo una simile alla sua, quasi totalmente uguale a dir la verità. 

Mi sorrise di nuovo e poi si alzò prendendomi delicatamente per la mano, portandomi con se.

 

 

 

 

 

 

 

Mi ritrovai in un corridoio buio, da sola, da dove riuscivo a vedere una luce relativamente lontana. Ma cos'era?

Mi avvicinai, di più e ancora: una porta. Una porta antica, con delle tende ai lati, una porta di un palazzo.

Quando fui abbastanza vicina alla luce, uno strano luccichio proveniente dalle mie gambe catturò la mia attenzione: un vestito.

Man mano che mi avvicinavo alla famigerata porta da dove filtrava la luce, il vestito si svelava a me : era nero, o blu, forse. Velato, e dalla pesantezza doveva avere diversi strati in tulle e raso. Sulla superficie riuscivo a sentire la grana dei brillantini della stoffa. Mi cinsi la vita e mi accorsi che era molto avvitato, e da quel punto in poi era arricciato , per permettere alle pieghe lunghe e profonde di ondeggiare ad ogni passo. Aveva una scollatura a cuore, dai tratti morbidi e non molto accentuati, e dalle spalle partivano delle maniche a tre quarti, molto ampie e larghe, ariose, fatte di un velo trasparente tendente al blu. Avevo i capelli raccolti e qualcosa incastonato tra essi. Solo due ciocche rosse scendevano giù dalle tempie.

 

Finalmente raggiunsi la porta, e varcai quella soglia: appena misi piede nella stanza per poco non svenni. Era davvero un palazzo: tempestato di tappeti, con lunghi drappeggi che si calavano dalle alte finestre in vetro colorato. Nell'aria si distinguevano bene l'odore del legno e quello dei colori ad olio. Feci qualche passo in avanti e mi accorsi di trovarmi al piano superiore: da lì infatti potevo affacciarmi dalla balconata e vedere la meraviglia. Una lunga e grande scala di marmo bianco portava ad una sala da ballo, lunga e infinita, il pavimento lucido in legno chiaro: gli immensi dipinti dei discendenti di una famiglia che sembrava molto importante si alternavano alle enormi finestre colorate e costeggiavano entrambe le pareti opposte della sala. Dai soffitti alti pendevano lampadari maestosi, frutto delle mani di artigiani esperti e maestri ; le gocce di cristallo brillavano come goccioline d'acqua al sole, anche quelli più minuti, emanando una luce che andava dalle tonalità del blu al verde.E infine, infondo alla stanza c'erano delle sedie, poltrone tappezzate dalle stoffe più pregiate, dai velluti più morbidi. Avevano l'aria di essere dei troni.

 

All'improvviso delle deboli note pervasero l'aria, invadendola  con dolcezza. Una dolcezza che avevo già assaggiato prima.

Ci vollero poche note perché mi accorgessi che conoscevo quella strana e dolce melodia. 

Man mano che la musica si fece più forte riuscii a capire da dove venisse e guardai dritto davanti a me: infondo alla sala da ballo c'era una figura in piedi che porgeva in collo verso sinistra, cullato dalle note che le sue dita percorrevano con perfetta maestria premendo dolcemente le corde del suo violino. Con passione. 

Quando si voltò, mostrandosi a me, mi resi conto che nel profondo sapevo fin dall'inizio chi fosse. 

Era lui, quell'uomo misterioso con cui attimi prima mi ero sentita perfettamente a mio agio.

 

Ma cosa ci facevo lì? Dov'ero?

Quel luogo d'altri tempi era spuntato dal nulla, semplicemente venendo fuori alla fine di un corridoio buio. Guardavo il pavimento lucido oltre la scala da cui stavo ammirando quel miracolo di bellezza, e mi accorsi che David stava venendo verso di me.

-David?-

La mia mente era molto confusa, come se fosse stata annebbiata da nuvole di luce.

David continuava a suonare mentre attraversava l'immensa sala deserta, i suoi passi scanditi sul pavimento in legno. 

Vestito di tutto punto, in nero, sembrava quasi un miraggio, mentre una rosa blu scintillava, sbucando fuori dal taschino.

Mi guardava, continuava a guardarmi in maniera fissa e costante, quasi come se suonare fosse totalmente superfluo.

Quando arrivò ai piedi della scala vi posò con delicatezza il violino, e solo allora mi accorsi magicamente dell'orchestra che continuava a suonare al suo posto la canzone dimenticata. Arrivò e mi baciò la mano, come facevano i gentiluomini che erano vissuti secoli e secoli prima, appartenuti ad un'altra epoca, un altro mondo, assolutamente lontano, ma che in quel momento, in quel palazzo, mi sembrò così vicino. Talmente vicino da portello toccare e respirare.

Al suo contatto un brivido si sprigionò in tutto il mio corpo, raggiungendo gli angoli più remoti e segreti della mia anima. Le sue mani erano esattamente come piacevano a me, perfette in ogni loro venatura ed ombra. La musica le aveva modellate per me.

Mi prese dalle mani e mi studiò per bene: pregai di sembrare almeno decente, anche se avevo un vestito fantastico, cosa che doveva sicuramente stonare sul mio corpo imperfetto. Invece a lui parve piacere, toccò la stoffa blu all'altezza della coscia, verificandone la consistenza, ma sembrava più interessato a capire se fossi vera, o soltanto un'allucinazione. O almeno così mi parve.

Mi guidò verso la balconata marmorea, diafana, e mi ci appoggiò contro: continuava a studiarmi, a guardarmi, ad imprimersi ogni particolare, come se avesse il timore di dimenticarli troppo in fretta.

Poi mi guardò negli occhi, con determinazione, cingendomi la vita e il busto con le braccia possenti in cerca di complicità.

Ed era semplice, era così naturale abbandonarsi a quelle braccia che quasi mi stupì. Non avevo idea di chi fosse, eppure mi sentivo al sicuro. Eppure mi sentivo legata a lui, come se lo conoscessi da sempre, come se facesse parte della mia vita, come se fosse totalmente mio.

Appoggiò la sua fronte sulla mia e rimase a guardarmi, non perdendo mai quel sorriso dolce che permeava le sue labbra. Sfiorava il mio naso, inalava il mio odore socchiudendo gli occhi, cercava il mio sguardo e adulava la mia bocca.

I cuori battevano più forte, e intanto la musica si agitava, riflettendo ogni fibra dei nostri corpi, che stavano entrando in collisione, pericolosamente.

I nostri nasi si accarezzarono e le bocche iniziarono  a  sfiorarsi in una danza infinita, fatta di sospiri e sguardi ammiccanti.

Le labbra si accarezzarono lasciando la propria essenza sulle altre. David assaggiò il mio sapore guardandomi dritto nell'anima, sciogliendomi. 

Entrambi sentivamo l'altro che riusciva sempre meno a reprimere l'istinto. 

Così ci avvicinammo di più, e bastò un centimetro perché le nostre bocche s'incontrassero, ricongiungendosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai lentamente e ripresi coscienza dell'ambiente intorno a me. Ero tornata alla realtà, come si fa dopo ogni sogno: ci si sveglia e il torpore diminuisce ogni minuto che passa, il tepore delle coperte sembra svanire come lo stato di dormiveglia e d'un tratto, tra uno sbadiglio e l'altro, cominci a renderti conto che sei sveglia.

 

Mi alzai dal letto e le dita dei piedi nudi si scontrarono con il pavimento freddo.

 

 

… The road is long we carry on..

 

Vienna al mattino sembrava risvegliarsi lentamente dal suo torpore. Dai vetri si vedevano i suoi profili spigolosi e antichi, ma rassicuranti.

Tutte le mattine mi perdevo ad osservarla, ed arrivavo a fantasticare sino alla linea dell'orizzonte. Pensavo che fissandolo intensamente, li avrei rivisti. 

 

...Sometimes love is not enough, the road gets tough I don't know why…

 

Li avevo lasciati lì, dietro di me, rinchiusi sotto chiave in uno scrigno, lontani dal cuore, perché per il momento non volevo rivederli.

 

..Can you make it feel like home?

 

Qui avevo iniziato una piccola nuova vita, che per quanto fosse vuota, era comunque diversa. Avevo preso in affitto una mansarda che si trovava vicina al centro: c'erano ampie vetrate, uno dei motivi per cui la scelsi, da cui mi fermavo ad osservare il panorama, la silenziosa città di notte. D'inverno faceva freddo, ma non più di quanto ne facesse a Parigi. Il parquet scuro scricchiolava, c'erano otto piani di scale da salire a piedi, ma in compenso, a quell'altezza, tutto giaceva, e non c'era alcun rumore, solo il cielo. Era abbastanza spazioso per me e non avrei saputo trovare di meglio. Mi ero innamorata di quel posto istantaneamente e lo avrei lasciato difficilmente.

 

Mi ero laureata in Letterature e Lingue, e seguito un corso di pittura come attività extracurriculare. Avevo trovato lavoro in una libreria, e per quanto la paga fosse minima, mi piaceva davvero quello che facevo. Oltre a questo, ricevevo degli incarichi da parte della casa editrice con la quale avevo dei contatti: così, grazie al lavoro di traduttrice freelance riuscivo a mantenermi più che bene. 

 

Nonostante tutti gli anni che erano passati, mi piaceva ancora molto andare all'opera: di solito ogni due mesi ci trascinavo la mia amica Jaqueline, un'inguaribile anima rock che tentava di convertirmi. 

L'avevo conosciuta al secondo anno, era più piccola di me, quindi per lei ero e mi sentivo come una sorella più grande. Un giorno si era presentata alla mia porta con un quarto dei suoi "CD più belli di sempre", dicendo che dovevo farmi una cultura musicale più ampia, e non fermarmi soltanto a Chopin e qualche altro parruccone. In effetti fu una bella esperienza, liberatoria, e non fu una cosa totalmente nuova: infatti molte di quelle canzoni le avevo già sentite, in una circostanza o l'altra. 

Presto però iniziai a sviluppare un forte senso critico verso il materiale che mi portava e iniziai a manifestare gusti musicali personali. Jaqueline era felice di avermi smossa dalla mia antichità, ma non condivideva il mio << nuovo genere musicale depresso >>. 

Era una ragazza simpatica, ma completamente pazza. Era stata sempre lei ad iniziarmi ai concerti e quando sul palco saliva la sua band preferita si trasformava in una pazza furiosa urlante. Ma nonostante ciò le volevo bene, ed era stata l'unica che non mi avesse rivolto la parola solo per chiedermi informazioni riguardo alle aule.

 

La mia vita ormai era qui, e non sentivo alcun bisogno di tornare indietro. Per quanto mi mancassero a volte, di notte, non avevo la forza per tornare indietro, per avere la fermezza di rivederli. Mi feriva, ma ogni parte di me mi diceva che dovevo rimanere dov'ero. 

Ci tenevamo in contatto, mamma mi chiamava almeno una volta al mese e ci raccontavamo in lunghe telefonate come andavano le cose, il lavoro, com'era il tempo. Nonostante la nostra costanza era evidente che le cose erano diverse, che i rapporti si erano raffreddati. Le volte con cui avevo parlato con mio padre da quando me ne ero andata si potevano contare sulle dita di una mano: ogni volta me lo immaginavo che dalla poltrona intimasse a mia madre che non desiderava parlarmi, con un gesto lento, di rassegnazione. 

Lo immaginavo in tutta la sua testardaggine, nei suoi silenzi, al suo piano. Immagini dolorose che si susseguivano. E a volte mi sentivo più colpevole di quanto fossi in realtà.

 

..but I'm still doing all I can to try and get me some redemption…

 

 

Ero diventata quasi una ragazza normale, che usciva e aveva amici. Ma quando ero in compagnia notavo quanto gli altri fossero profondamente diversi; mi sentivo fuori posto, differente, perché mi ero persa tutto ed ora quel training velocizzato ed intensivo per diventare una persona normale della mia età, mi faceva notare che non serviva un semplice upgrade per recuperare ciò che non avevo vissuto. 

Ero inesperta, e lo ero in tutto. Ma proprio in tutto. 

Quando ero da sola invece tutta questa pressione e diversità non la percepivo, forse semplicemente perché rimaneva assopita sotto lo strato di pelle. Di sicuro l'unica che non mi facesse sentire totalmente a disagio e Jaqueline, e le ero segretamente grata per questo.

 

 

 

 

 

 

A lavoro l'atmosfera era molto più pacata, anche perché non c'era alcun bisogno di lavorare sul rapporto venditore-cliente, dovevo semplicemente cercare, catalogare ed organizzare libri. La cosa che mi piaceva di più era il forte odore cartaceo che permeava l'ambiente e l'aria. Era un ampio spazio con un mobilio interamente in legno in ciliegio: gli scaffali profondi e altissimi, inoltre la libreria si sviluppava anche su un altro piano a cui si accedeva con due scale, e circondava l'intero perimetro del negozio con le sue librerie disposte in fila una dopo l'altra. 

Il capo mi lasciava leggere un libro al mese dalla sezione usato senza pagare nulla, giusto perché a volte capitavano intere giornate vuote. Purtroppo in questo settore la crisi si era fatta sentire, e non poco. Insomma poi, con le diavolerie ed il formato e-book si era quasi totalmente perduta quella magia che sta nello sfogliare ed accarezzare le pagine dei libri, e soprattutto nel comprarli. Dall'altro lato però vendevamo molto tramite internet, dal momento che avevamo molte edizioni rare o cimeli che ormai in giro non si trovavano più, neanche a pagarli oro. Naturalmente quelli che m'interessavano di più li acquistavo sottobanco per non farmeli sfuggire; guai se non li avessi avuti, me ne sarei pentita di lì a subito. I libri per me erano come pezzi di anima: in ognuno c'era un po' di me, qualche tratto, un pensiero, un gesto che mi rappresentava. 

 

Quel giorno, inaspettatamente arrivò una folla di turisti che si riparò dalla pioggia e poi fece qualche acquisto per ammazzare il tempo ed aspettare che spiovesse. 

Alla cassa c'era molta fila quindi il capo aprì anche l'altra alla mia destra, che di solito era perennemente chiusa e in disuso. Mentre passavo da un cliente all'altro entrò Jaqueline dalla porta d'ingresso facendo un gran baccano con il campanellino al di sopra della sua testa.

" Ehi! Avevo ragione, sei ancora qui"

" C'è molto da fare, come vedi "

Le feci segno con gli occhi che non era il momento per uno dei suoi sfoghi isterici: di solito arrivava tutta sparata e scoppiava in lacrime parlando dei problemi con il suo ragazzo, Joseph, con il quale aveva molti alti e bassi ( e molti era riduttivo ), quindi ogni volta che il mio capo, il signor Christiensen, la vedeva arrivare si faceva il segno della croce, sperando in cuor suo che se ne andasse presto. Pover'uomo! Provavo quasi pena per lui.

Pregai che non fosse venuta a lamentarsi come il suo solito, e fortunatamente era solo passata per riferirmi dei programmi della serata. Si mise in fila ed aspettò che tutti i clienti se ne fossero andati; poi venne il suo turno.

" Io e Joseph abbiamo litigato " esordì. ' Eccoci, ci risiamo' pensai.

" Ma non voglio stare qui a parlare di quell'idiota, stavolta non mi faccio rovinare la serata. Il fatto è che dovevamo andare ad un concerto insieme e lui mi ha fatto largamente girare le scatole con quella Babette - accentuò il nome con una smorfia buffa - quindi che vada al diavolo. I biglietti sono ormai introvabili e mi rode andarci da sola, quindi mi chiedevo…."

" Si, va bene"

" Oh, davvero?" fece gli occhi dolci.

" A che ora è?"

" Tra un'ora "

" Mhm. Devo passare a casa farmi una doccia, non posso in queste condizioni. Il cambio che ho di là può andare , ma.."

" Eh no cara, stasera si cambia! Non siamo mai andate a vedere nulla di questo genere; è una serata un po' più elegante. Il tizio è un solista, uno sofisticato, quindi ci vuole qualcosa di più mia cara. "

Rimasi perplessa. Da quando ci voleva lo smoking per andare a un concerto rock? Decisi di non fare domande e di mettermi completamente nelle sue mani.

" Ok, mi fido. Qualche indicazione però me la potresti anche dare, sei perfida!"

" No no. Stavolta sarà una sorta di concerto al buio"

S'incamminò verso l'uscita e prima di andar via si voltò.

" Vedrai, sarà tutta un'altra musica, ragazza. Ci vediamo tra quaranta minuti sotto casa tua, ti passo a prendere come al solito. Mi raccomando, non sono il tuo ragazzo, quindi non farmi aspettare "

'Il mio ragazzo', si, come no. 

" Trust me sister "

Si voltò e uscì dalla porta a vetri.

 

 

 

Quando arrivai a casa mi spogliai gettando i vestiti sporchi atterra e m'immersi nel vapore della vasca da bagno. Asciugai i capelli fermandoli con un fermaglio e andai davanti all'armadio: cosa poteva fare al caso mio quella sera? Non volevo vestirmi molto elegante, infondo non era un matrimonio, ma nemmeno con troppa semplicità. Avrei potuto accendere il laptop e scoprire chi diavolo sarei andata a vedere, ma volevo preservare la sorpresa; infondo era solo un concerto.

 

 

 

"Siamo in ritardo, accidenti ! "

" Stavolta io ero in orario "  sorrisi a trentadue denti verso Jaqueline.

" Comunque non preoccuparti, il posto non ce lo rubano. A proposito, hai pagato molto i biglietti? Devo darti ancora la mia parte "

Spense l'auto dopo aver fatto la sua lunga e precisa manovra e scendemmo dall'auto.

" Non dire scemenze, sono felice che tu abbia accettato, è già troppo considerando che ti ho informata solo un'ora prima"

" Questo non vuol dire nulla. Ma ho l'impressione che se continuo mi sbranerai.. Almeno li hai pagati poco?"

" Si, non preoccuparti. Dai, affrettiamoci, starà quasi per iniziare ".

 

 

 

 

Il Wiener Konzerthaus era molto suggestivo, era il classico posto in cui vagavi con la mente e ti sentivi in altri tempi; ampi lampadari appesi al soffitto, luminosi, scale ricoperte da tappeti rossi, statue. Ma non era il mio preferito tuttavia.

Prendemmo posto nella sala e girandomi vidi Jaqueline che sollevava i pollici, in segno di vittoria. Che matta.

Le luci erano basse e da un momento all'altro si sarebbe alzato il sipario.

Eravamo in sesta fila ed io ero lato corridoio, un posto che praticamente odiavo, ma che era strategico se volevi andartene indisturbata. Per un momento considerai quella sciocca idea perché ero davvero esausta e stanca di quella giornata che non sembrava finir mai, ma poi mi dissi che prima di darmela a gambe avrei dovuto vedere di cosa si trattava perlomeno.

 

Le luci si spensero e notai l' impercettibile ondeggiare della tenda bordeaux del sipario. D'un tratto la luce bianca si volatilizzò al centro del palco e una figura si materializzò sul palco.

Un uomo alto, vestito di nero con una t shirt chiara: la testa in posizione chinata, un violino sotto il mento. Barba, capelli biondi raccolti in una coda.

' David ' urlai in silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

 

 

Salve !

 

So che nel primo capitolo può sembrare tutto molto confuso e misterioso, ma tutto ha un senso e comincerete a capirlo presto. 

Tutto nasce da un sogno che ho fatto giorni fa e oltre ad aver visto qualche foto di questo fantomatico personaggio, non sapevo davvero chi fosse, ne tantomeno avevo ascoltato qualcosa di suo. Il sogno è davvero avvenuto ed è lo stesso della one-shot che ho pubblicato praticamente l'altro giorno. Purtroppo la garrettite, o come si chiama, ha infettato anche me, e ringrazio DarkYuna per questo !

Il motivo per cui ho deciso d'impelagarmi in un'altra storia è che dopo aver scritto la one-shot non ero totalmente soddisfatta ed inoltre la mia mente aveva già iniziato a mettersi in moto e a sviluppare la storia.

Come sempre, sto cercando di attenermi e mantenermi il più fedele possibile alla realtà, anche se sarà difficile XD

 

Il Wiener Konzerthaus di Vienna esiste davvero e qualche anno fa David Garrett vi ha realmente tenuto un concerto.

 

I versi che ho inserito tra la fine del 1 capitolo e l'inizio del 2, sono di Born to Die di Lana del Rey. Di solito non ascolto questo genere di musica, ma in alcune canzoni ho notato che questa cantante ha una vena piuttosto depressa e malinconica, quindi che dire, siamo sulle frequenze giuste! 

Un altro verso invece, è tratto da Hold on to me dei Placebo.

 

Spero che quest'inizio abbia stuzzicato il vostro appetito e che arriveranno tante recensioni e pareri/commenti o quello che volete. Come dico sempre, fanno molto molto piacere**.

Inoltre si accettano scommesse sul nome. Chissà, forse potreste indovinare: dopo averlo deciso l'ho poi cambiato, perché ho trovato finalmente il nome perfetto per la protagonista, o almeno così credo.

 

Buon proseguimento.

 

Kiitos.

 

 

-fachiluna

 

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Capitolo 3
*** You'll never change what's been and gone ***





Rimasi impietrita. Non potevo credere che lui fosse davvero lì. Perché lo avevo sognato? Perché avevo sognato qualcuno che non avevo mai visto in vita mia? 

Sulle spine, mi girai verso Jaqueline che aveva letteralmente la bava alla bocca e gli occhi a cuoricino.

" Come si chiama?"

" È stupendo vero? È David Garrett, in Germania stravedono per lui" disse a bassa voce.

" Oh Cristo"

Come diavolo facevo a sapere il suo nome? Prima ancor di sapere chi fosse.

" Jaque, è lui il tizio che ho sognato " dissi piano, guardandola con gli occhi sbarrati.

" Che cosa?? Quello che ti ha portato nel palazzo? "

" Si "

" Ma come hai fatto se non sapevi neanche che esistesse? "

" È questa la cosa che mi fa rabbrividire" 

Ci guardammo senza dire una parola, tutt'e due a bocca aperta.

" Forse hai visto da qualche parte il suo viso sui manifesti " azzardò Jaqueline ma poi una donna alla sua sinistra c'intimò di fare silenzio, ammonendoci.

" Ne parliamo dopo, ora goditi lo spettacolo e tranquillizzati, ci dev'essere una spiegazione" aggiunse.

Mi voltai verso il palco, le luci si alzarono e il violino iniziò ad emettere le prime note.

'Dove ti ho visto? Forse ti ho incontrato da qualche parte..'

La testa vagava, non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile, ma probabilmente aveva ragione Jaqueline. Non dovevo preoccuparmi: infondo sognamo di quello con cui siamo stati in contatto, il subconscio elaborava le immagini, e la mia mente faceva il resto dell'opera. Come se già non ci fosse abbastanza casino nella mia testa.

 

Molti anelli in argento, pesanti, gli cingevano le dita che scivolavano leggere da una corda all'altra del suo violino. Il collo piegato su di esso gli faceva assumere un'espressione di assoluta dolcezza.

Era così appassionato, sembrava che pendesse dalle labbra del suo Stradivari.

Per un attimo ebbi come la sensazione di aver già vissuto quel momento, il che contribuì ad alimentare la mia irrequietezza. Ma poi, così come iniziò, se ne andò, lasciandomi in balia di quella musica. 

Guardarlo suonare era come essere in paradiso, ma contemporaneamente nell'anima turbata di un altro: le note mi cullavano e mi rapivano, raccontandomi la loro storia, ma allo stesso tempo c'era qualcosa in sottofondo di estremamente malinconico e dannato, che rispecchiava i drammi di ogni anima che era seduta in quella stanza. 

L'espressione del suo viso, completamente rilassato mi faceva pensare a qualcuno che provava lo stesso amore e lo stesso trasporto mentre suonava: mio padre. 

Sentii gli occhi pungere e le guance che s'arroventavano fulminee. Guardandolo potevo percepire quella stessa intimità quasi segreta che mi faceva sentire in colpa; era come se violassi quel momento magico, in cui un musicista mette completamente a nudo la sua anima, mostrandosi per quello che è davvero. E lui era così..gentile, appassionato, innamorato.

Mi ricordai di quando da bambina, seduta sulle poltroncine rosse, riuscivo a malapena a toccare con la punta dei piedi il pavimento morbido della sala, e ora che ero cresciuta mi sentivo esattamente nello stesso modo, piccola e indifesa, persa nei suoi pensieri. 

 

D'un tratto mi ritrovai completamente rapita, consapevole di aver mandato al diavolo tutte le paranoie. Ora mi godevo quello spettacolo piacevole, dolce, come i tempi andati. 

Vienna mi ricordava la mia infanzia, i momenti felici passati con i miei genitori, quando erano ancora persone vive, e non scheletri in cerca di una nuova anima. Vienna era la mia casa, mi faceva sentire di nuovo bene, o almeno me ne dava l'illusione; questo misterioso uomo però sembrava riuscire ad arrivare dove nessuno mai era arrivato, nel mio passato. Con il suo violino leniva l'anima, nonostante fosse sprofondato in un'immensa ferita. Era delicato, forte, disperato, confortante. Era un ossimoro vivente quel suono, lieve e a tratti stridulo come urla soffocate sotto la stoffa e le piume di un cuscino.

Molti pezzi erano tratti da grandi compositori classici, ma poi d'un tratto mi stupì. Più di quanto non avesse già fatto.

Un uomo in nero tese la mano ad una donna che era in prima fila: lei si alzò e venne guidata sul palco.

" Buonasera, come si chiama?"  pensai all'istante che per parlare tedesco aveva una voce così delicata e soprattutto non aggressiva. Il che è molto raro. Insomma, il tedesco è…tedesco. Non l'avevo mai amato.

" Annette " lei era molto emozionata; credo che solo grazie alla sua età già matura riuscì a controllarsi. Io sarei come minimo finita con la faccia sul pavimento.

Lui le sorrise e la fece accomodare su un divanetto basso, posto vicino all'orchestra. Si sedettero entrambi e notai che istintivamente mi sporsi in avanti per vedere meglio.

" Questa è una canzone per tutti i cuori feriti, lei è mai stata ferita? "

" Beh, si " rise la donna, emozionata.

Riusciva ad apparire così leggero su un argomento che aveva il suo spessore. Per quanto sia ormai diventata una moda stare male.

" Allora potrà capire" si voltò verso la sua orchestra e chiese se erano pronti.

" Guys, are you ready? "

Si mise in posizione aggiustandosi la giacca e premette le prime due note. Si fermò e guardò l'orchestra. Ripetè l'operazione e questa volta guardò il pubblico.

Apparentemente quelle due note sembravano messe lì per caso, campate in aria, ma non ci volle molto per capire di cosa si trattasse. 

Le mie labbra iniziarono a muoversi nel buio.

' Hold up

Hold on

Don't be scared

You'll never change what's been and gone '

 

La naturalezza con cui faceva ondeggiare il braccio su e giù era sconfortante. Si vedeva che amava molto quella canzone, si percepiva nell'aria, nell'atmosfera: nelle parti acute stringeva gli occhi, guardava le corde con dolcezza, quasi come se stesse guardando la donna che amava e in quel momento fui impercettibilmente gelosa. L'attimo dopo averlo pensato, scossi la testa per allontanare quell'assurdo pensiero e continuai a guardare l'esibizione. 

Con estremo controllo e consapevolezza del suo fascino si voltò di lato appoggiandosi al braccio della donna e lei gli cinse le spalle sorridendo. Fece tutto non staccando mai la sua attenzione da ciò che stava con tanto amore facendo. A volte guardava il pubblico, sorridendo. Era un sorriso caldo, ampio, che scaldava il cuore. Il sorriso di una di quelle persone il cui viso ispirava una fiducia ed una calma infinita; ti potevi fidare al primo incontro, ti potevi lasciar guidare verso nuovi mondi, c'erano loro a proteggerti.

 

Gli Oasis erano entrati di sicuro tra le band britanniche che amavo di più: erano considerati quasi pop, ma c'era qualcosa in loro di estremamente energico, erano popolari, ma le loro canzoni dannate. Di stampo fortemente anni '90, forse racchiudevano buona parte di ciò che erano stati quegli anni: i loro effetti distorti mi facevano pensare al punk e al grunge, ma nelle melodie c'era quella loro miscela malinconica che costituiva poi il loro marchio. Dopotutto c'era un motivo se li riconoscevi subito quando passavano una loro hit alla radio.

 

Alla fine del brano, che si era andato sempre più acutizzando, ritornò sulle note gravi iniziali e così concluse. 

Dopo aver ricevuto gli applausi e l'entusiasmo del suo pubblico, ringraziò la signora che aveva gentilmente partecipato, e la riaccompagnò verso le scale al lato del palco. 

Tornò alla sua postazione centrale aggiustandosi il codino e dopo poco iniziò un altro pezzo.

 

C'era qualcosa ora nel suo sguardo, nel suo sopracciglio incurvato all'insù, di tremendamente malinconico: l'asta si agitava in preda a movimenti che quasi sembravano spasmi guidati dalle sua mano. Le dita si muovevano veloci sulla lunghezza del corpo dello strumento: si passava da note gravi a quelle acute in un batter d'occhio. Una melodia dannata ma allo stesso tempo bellissima. 

C'era qualcosa d'infinitamente inquietante in quel modo di suonare, d'interpretare il pezzo, ma allo stesso tempo di magico. Da ogni musicista, mentre suona, si può vedere la sua anima, perché si mette completamente a nudo. Non avevo mai avuto dubbi su questo. E anche se è circondato da migliaia di persone, lui riesce a farlo e a respirare con il suo strumento per quei pochi minuti. Fondersi con la musica e perdercisi dentro, è uno dei misteri, ma anche una delle cose più belle del mondo. Si da il meglio di se stessi ma anche il peggio. Come si dice in queste occasioni, spogliandosi della propria carne e rendendo la propria anima trasparente per qualche secondo, emergono pregi e difetti, e si prende tutto il pacchetto. Ogni dolore e ogni gioia sono con noi sempre: si nascondono nel nostro viso, insediati tra le rughe e nel nostro sguardo. Le mille sfumature che possiamo assumere fanno vedere molto di noi stessi, e spesso, anche se tentiamo di ostentarle e nasconderle, loro sono lì su di noi, cicatrici indelebili.

Il nostro più grande nemico è lo specchio di noi stessi.

 

 

 

 

 

 

 

Le luci si alzarono e gli applausi gremirono la sala. Tutti si alzarono in piedi ed anche io e Jaqueline ci alzammo per rendergli omaggio.

Il musicista s'inchinò più e più volte ringraziando la platea: poi, nel momento in cui mi alzai i suoi occhi saettarono su di noi, o almeno così mi parve. Distolse subito lo sguardo e guardò altri punti della sala: era stato solo un caso, infondo non ci conoscevamo affatto, non c'erano motivi per cui avrebbe dovuto esitare e guardarmi. ' Che idiota stratosferica sono '

 

" Dimmi che non è fantastico?!" Jaqueline aveva un sorriso a trentadue denti.

" È stato magnifico, stavolta hai fatto centro, devo riconoscerlo"

" All'inizio però era partito male eh ! Cioè tutta roba classica…. Stavo quasi per dormire, mi aveva assopito peggio di una camomilla, poi per fortuna ha iniziato con i pezzi rock. Amen!" risi, la musica classica non faceva proprio per lei.

" Sei insopportabile! Dai, non erano male quei pezzi"

" Si certo, mia nonna li avrebbe apprezzati, si sarebbe sorbita il bis volentieri" disse sarcastica.

" Forse è arrivato il momento di farti un po' di scuola sai? Dopotutto ora tocca a me "

" Tutto ma non la classica, ti scongiuro. C'è già mio padre che ci ha pensato e non è andata bene, se vuoi può confermartelo ! "

" Ma se non ti piace questo genere di musica, perché hai preso i biglietti per il concerto di un violinista?" in effetti ora che ci riflettevo non aveva molto senso.

" No, ma dico, lo hai guardato bene? "

" Sei sempre la solita.. E la cosa più sconfortante è che ci saresti venuta con il tuo ragazzo! " la guardai con disapprovazione.

" Non direi che lui si preoccupa di come mi sento, quindi si, ci sarei venuta lo stesso, anzi forse lo avrei fatto di proposito ! Comunque i biglietti li ho avuti da mio padre, due settimane fa non sapevo neanche io chi fosse"

" Che confusione..."

" Allora, si chiama David Garrett ed è tedesco, ma naturalizzato statunitense, o forse no… Beh, dalle mie ricerche però ho scoperto che si divide tra Berlino e New York "

" Io avrei scelto New York mille volte "

" A chi lo dici. Comunque, tornando al mio paparino, che a volte è tanto gentile, ho saputo da lui che dopo il concerto c'è una specie di after party per i ricconi che sono venuti a vedere il vichingo. Mi ha detto che se lo raggiungiamo ci fa passare lui" ne parlava quasi come se fosse stato un pezzo d'esposizione in un museo, con sotto una targhetta dorata che diceva : << Vichingo del Nord >> .

" Insomma, ma se non ti piace questa gente perché vuoi andarci? "

" Perché ci sarà il vichingo, è l'ospite d'onore, rimbambita! " disse enfatizzando sull'ultima parte della frase.

" Non lo so, Jaque.."

" Allora mettiamola così: tu verrai con me"

Quando si ci metteva riusciva a diventare una vera iena. Ma mi piaceva anche per questo suo lato testardo e assolutamente schizofrenico.

" Come spiegherai a tuo padre che io non sono Joseph?"

" Capirà, ora muoviti, dobbiamo raggiungerlo prima che se ne vada. Vieni"

Mi prese per mano; tutti stavano ancora applaudendo e nella sala c'era molta confusione. Percorremmo il corridoio avvicinandoci al palco. 

Lui era ancora lì che ringraziava il pubblico e nel momento in cui girammo verso la destra del palco i nostri sguardi s'incrociarono: sembravano istanti lunghissimi, come in quei primi piani al rallenty nei film; mi guardò con stupore e curiosità, poi mi squadrò da capo a piedi. In quel momento mi chiesi se era tutto in ordine, ma dovevo avere un aspetto orribile: mi ero agitata per tutta la durata del concerto. Si mosse fulmineo e dalle gambe ritornò al viso e poi distolse lo sguardo. Ormai eravamo passate e riuscivo a vedere il padre di Jaqueline che era intento ad applaudire. 

Mi aveva guardata, di nuovo.

 

" Ciao papà"

" Jaqueline - esordì suo padre con dolcezza, poi mi guardò - ma dov'è Joseph?" chiese, ancora intento a guardare verso il palco.

" Con Babette" sussurrò acida lei fingendo un colpetto di tosse.

" Come? "

" Non poteva venire" 

Annuì e poi mi guardò di nuovo sorridendomi.

" Salve, le è piaciuto il concerto?"

" Moltissimo, è davvero straordinario signore"

" Finalmente ne ho la conferma. Te lo avevo detto Jaqueline che sarebbe stato un successo, quei signori dovrebbero ascoltarmi di più, ci so fare con questo genere di cose"

" Sei il migliore, ma ora non ti vantare troppo davanti alla mia amica, le ho detto quanto puoi essere vanitoso"

" Davvero? Beh, allora non dirò più una parola signorina. "

" Quando ci sarà l'after?"

" Inizierà tra una ventina di minuti, giusto il tempo di lasciar andare via il pubblico e di darsi una rinfrescata"

" A questo proposito, vuole scusarci, dovremmo un attimo andare alla toilette" m'intromisi con un sorriso smagliante.

Jaqueline capii e lo salutò. 

" A dopo signor Weigner" mi accodai.

Quando fummo qualche passo più in là strinsi il braccio di Jaqueline e le domandai:

" Ma che lavoro fa tuo padre?"

" È amico dei signori che gestiscono questo posto; a volte gioca anche a poker con loro. Dice sempre che dovrebbero assumerlo perché ci sa fare, sa cosa vuole il pubblico e consiglia il tipo di eventi"

" Insomma, in altre parole gli fa fare un sacco di soldi"

" Brava, vedo che hai afferrato il concetto" rise.

" Ma dimmi, come mai mi hai fatto scappare in quel modo? Ti scappa?" disse ridendo. 

" Da morire, dopotutto sono due ore che stiamo sedute" mentii.

" Va bene, allora andiamo"

 

Salimmo l'imponente scalinata principale e poi percorremmo i corridoi. Mentre mi facevo guidare mi persi ad osservare i particolari antichi di quell'ambiente: le scale erano in marmo, un bianco sporco, ricoperto da un lungo tappeto rosso che scendeva per tutta la sua lunghezza come una lingua di serpente. Sui grandi corrimano ai suoi lati c'erano delle statue raffiguranti degli angeli: erano fatte di pietra nera, lucida, scintillante sotto la luce dei lampadari dorati a goccia. Erano le tipiche statue paradisiache, che quando le si guardava da un'altra angolatura sembravano essere tristi, intrappolate.

I corridoi erano più stretti con degli ornamenti dorati disegnati a mezz'altezza sulle pareti, candelabri a forma di tridente che sporgevano. Arrivammo a destinazione e senza dubbio, quel posto non poteva non essere perfetto anche lì. Il bagno era sui toni chiari, piastrellato con disegni a motivo floreale, che riprendevano i tratti del corridoio. 

Mi sbrigai svelta ed uscii prima di Jaqueline. Mi lavai le mani bagnandomi i polsi con l'acqua fresca e poi guardai la mia immagine riflessa allo specchio. Appoggiai le dita ancora sgocciolanti sul piano di granito color salmone: stava succedendo, stavo per incontrarlo, di nuovo. 

In quei secondi sperai più e più volte di non incontrarlo per davvero. Ero tesa come una corda di violino. Ah. Battuta infelice.

" Ti sei imbambolata? " disse arrivandomi alle spalle.

" Scusa, ero sovrappensiero"

" Non preoccuparti, sei bellissima" sorrise, con una sorta d'innocente malizia negli occhi.

" Anche tu, stai davvero bene così, dovresti mettere i tacchi più spesso"

" Beh almeno sarei più alta, ma fanno un male boia"

" Come ti capisco "

" Tu invece devi prestarmi questo vestito. Non è per niente da te, sembra uscito dal mio armadio!"

Era un vestito rosso scuro, scollato a mò di fascia, che arrivava fino al ginocchio. Ma la particolarità stava nel fatto che era letteralmente tempestato da spille da balia e borchie di ogni forma e dimensione. Alla fine avevo scelto qualcosa di non troppo serioso e avevo fatto colpo su Jaqueline; ora sapevo che mi avrebbe stressato fino alla nausea  per avere quel vestito.

" Dai, ora andiamo. Ho una sete della miseria"

" Anch'io ".









Note:

La canzone è Stop Cryng your heart out degli Oasis . La scena che ho descritto succede davvero, ed è solito farla: io l'ho immaginata simile a quella che si vede in questo video http://www.youtube.com/watch?v=zxoYQyBQoFk . 

Il titolo del capitolo prende il nome proprio da un verso di questa fantastica canzone.

Enjoy.


 

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Capitolo 4
*** It must have been an angel ***




Only you can heal inside…. Only you can heal your life..

Tremolio alle gambe, mani che gesticolavano da sole, insofferenza: non capivo perché esisteva una piccola parte di me che in cuor suo sperava d'incontrarlo. 
Insomma non avrei saputo neanche di cosa parlare, dal momento che non avevo neanche un suo disco. Che vergogna, andare ad un concerto senza nemmeno aver ascoltato una canzone prima di allora; in teoria durante le nostre uscite questa strategia andava bene ma di solito non andavamo nel backstage a parlare con i tizi che suonavano. 
In quel momento mi pentii amaramente di aver accettato quell'invito. Sarei dovuta rimanere a casa a bere una cioccolata calda sotto il mio piumone. Quanto mi mancava in quel momento, Dio.

" Ehi, ma cos'hai? Hai un colorito verdognolo, tipo da - sto per vomitare, scansati! - tutto bene? " mi guardò preoccupata.
" Si, certo.. È forse avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male, mi sento un po' sottosopra"
" Ma se non abbiamo cenato nemmeno!"
" A pranzo" buttai lì veloce.
" Certo… Non è che è per via di quella storia? Guarda che dev'esserci una spiegazione, non puoi essertelo immaginato da sola"
" Non è per quello, figurati, è solo che mi sento scombussolata.. Forse dovrei mangiare qualcosa"
" Ehm, no cara, se no vomiterai per davvero in mezzo a tutti questi fichi imbalsamati. Meglio se bevi qualcosa prima, magari dell'acqua però!"
" Agli ordini " dissi mettendomi una mano sulla fronte.

A volte avevo come la sensazione di abbindolarla, ma sapevo che non erano poi così tante le frottole che si beveva. E di sicuro quella che le avevo appena detto non l'aveva neanche considerata. Sapeva quando non volevo parlare di una cosa, o meglio lo capiva, ed io apprezzavo il fatto che pur capendo che inventavo scuse, lei non insistesse sull'argomento. Infondo non mi conosceva poi così tanto: conosceva la nuova me, perché in fin dei conti era nata anche per merito suo, l'aveva vissuta; ma del mio passato, di Parigi… di tutto il resto, o meglio della maggior parte della mia vita, non conosceva nulla. Ed ero grata che le andasse bene così. Forse era per questo che l'amicizia fra di noi funzionava: non c'erano obblighi ne verità, ne tantomeno il bisogno di raccontare tutti i particolari di ogni cosa come delle tredicenni incallite. Ci dicevamo solo ciò che avevamo voglia di confidarci, e ci andava bene così. Eravamo adulte.



...It must have been an angel..


Jaqueline fu fermata da alcuni amici del giro di suo padre e mi strinse il braccio per tutto il tempo, insofferente anche lei. 

" Beh, il nostro ospite dovrebbe arrivare a momenti signorine"
" Non vediamo l'ora ! Andiamo a prenderci qualcosa da bene, volere qualcosa signor Smidth?" disse sbattendo le ciglia, prendendolo palesemente in giro senza che neanche se ne accorgesse.
" No grazie, andate pure" 
" Con permesso" dicemmo in coro.

Appena ci fummo allontanate ed avviate verso il tavolo del buffet Jaqueline esplose:
" Cristo, che palla al piede "
" Vedo che quando passi del tempo con tuo padre te ne penti presto " dissi infierendo.
" Con quello ogni mio buon proposito se ne va a fa- abbassò la voce guardandosi intorno- a farsi f******!" sbuffò esausta.

Mentre arrivavamo al tavolo, un gruppetto di ragazzi salutò Jaqueline da lontano e lei ricambiò sorridente.
" Vieni, ti presento alcuni miei amici. Saranno contenti di conoscerti "
" Preferisco rimanere qui, ho bisogno di mandar giù qualcosa. Ma tu vai pure, non devi starmi appiccicata tutta la serata, puoi prenderti una mezz'ora " scherzai.
" Ma dai, e cosa fai qui da sola? "
" Sopravviverò, tranquilla"
 Mi guardava con l'aria di chi si sente colpevole a lasciare un agnellino da solo al macello; a volte mi sorprendeva il tatto di quella ragazza.
" Và, tranquilla "
" Vieni se cambi idea, oppure fammi anche solo un cenno, ok? "
" Si, promesso" 
" Allora a dopo " disse con dolcezza, e si allontanò.

Era stata molto carina ma non avevo voglia di fare nuove conoscenze, il signor Smidth bastava ed avanzava per quella sera.
Avevo bisogno di bere, ma credo ci volesse qualcosa di un po' più forte dell'acqua.
Lo stomaco brontolava, ma non avevo fame. Così mi avvicinai al tavolo imbandito e studiai i drink. Tutta roba analcolica: succhi di frutta vari tutti analcolici, ginger analcolico, e lo champagne che odiavo. Perfetto. 

" Io prenderei il ginger, per cambiare "
Una voce alle mie spalle entrò all'improvviso nel mio campo uditivo, spaventandomi a morte.

" Mi ha spaven.." mi girai e lo vidi.


…Yes, it must have been an angel..

Era praticamente dietro di me, tanto vicino da ritrovarmi a una spanna dal suo viso. Lui. Lui era lì, non era più il mio sogno.
" Mi dispiace " si scusò con un sorriso.
Si era raccolto di nuovo i capelli in un codino: le ciocche ribelli accostate momentaneamente dietro le orecchie non c'erano più, ora erano tutte in ordine, al loro posto. 
La prima cosa che vidi però furono i suoi occhi, che mi guardavano, ancor prima di essere scoperti. 
Allungò il braccio e per un momento pensai seriamente che volesse avvicinarsi, poi prese due calici con del liquido rosso vivo e me ne porse uno.
" Le è piaciuto il concerto? " mi chiese.
Mi ero totalmente imbambolata, completamente intontita. Non credevo stesse succedendo davvero. Poi mi buttai: se dovevo morire tanto valeva provarci con stile.
" Molto. È stato… sorprendente. Mi ha davvero stupita con quel pezzo degli Oasis, è uno dei miei preferiti"
" Anche uno dei miei.. Eppure, l'ho già eseguito altre volte, che strano "
" Ah.. " mi guardai imbarazzata intorno, distogliendo piano lo sguardo.
" Lei ha l'aria… Possiamo darci del tu? "
" Si, si, certo"
" Grazie… Hai l'aria di non essere mai stata ad un altro concerto prima d'ora "
" A dir la verità… Fino a due ore fa non sapevo neanche chi fossi "
" Ah.. "
Ma che cavolo mi era preso, diavolo.
" Scusami, devo sembrarti una stupida. È che la mia amica aveva i biglietti e me lo ha detto all'ultimo momento "
" Capisco "
Disse. Sembrava che le mie parole lo avessero ferito. O forse faceva di tutto per mettermi a disagio.
Rigirava la base del calice tra le dita, e l'argento dei suoi anelli ticchettava a contatto col vetro.
" Beh, in realtà… - esordii, attirando la sua attenzione- ti avevo visto una volta, ma non durante un concerto "
" Allora non mi sono sbagliato. Quando ti ho vista, poco fa in sala, avevo avuto l'impressione di conoscerti. Dov'è successo? "
Bene, brava, sei una vera idiota.
" Ti ho sognato "
Lui si stranì, guardandomi perplesso.
" Dovrò sembrarti davvero matta, ma è la verità. Giuro che prima di stasera non ti avevo mai  sentito suonare ma non devi prenderla come un'offesa.. non ti avevo ancora..scoperto. Tutto ciò che sapevo era che suonavi il violino, e il tuo nome.. Era come se ti conoscessi da una vita, mi comportavo con così tanta.. naturalezza"
Silenzio.
" Guarda, scusami, ti ho fatto perdere del tempo. Ancora complimenti per la tua esibizione, sei stato perfetto ed anche il tuo Stradivari; è molto difficile trovare persone che lo sappiano accordare bene- dissi abbozzando un sorriso, trattenendomi in equilibrio sul ciglio di un burrone- Allora, buona serata.." 
Sorrisi imbarazzata e mi allontanai con il mio ginger, che non avevo nemmeno bevuto, affrettandomi, pregando gli dei celtici di non farmi cadere per terra e fare un'ulteriore figura di cavolo.

Ma come mi era saltato in mente, come?!
Non era qualcuno che conoscevo da una vita, era un perfetto estraneo. E con un perfetto sconosciuto a cui racconti di averlo incontrato in un sogno non fai una bella figura. Pessima decisione. 
Oltre ad essere risultata una perfetta idiota che non conosceva neanche chi andava a sentir suonare, mi ero praticamente scavata la tomba da sola  con quell'ultima perla di saggezza. 

Continuai a camminare, senza saper esattamente dove il mio subconscio mi stesse guidando, e quando uscii da un balcone mi ritrovai su una terrazza, illuminata da piccoli lampioncini in vetro e ferro battuto che disegnava motivi floreali.
Mi appoggiai sui gomiti ed avvertii immediatamente il freddo marmo che rifletteva la luce, disegnando ombre verso il panorama della città. 'È così bella' pensai.
' È così bello..' pensai.

Era così strano rivederlo. Era così strano (ri)vederlo per la prima volta sul serio, dal vivo e non solo come frutto della fantasia di un sogno. Mi sentivo peggio di prima, ma era come se mi sentissi un po' in pace, molto infondo. Era una minima sensazione, quasi impercettibile.

Sentii dei passi silenziosi e mi voltai.

Lui era già dietro di me; me l'aveva fatta di nuovo.
" Sai, non credo tu sia matta.."
Mi guardò, osservandomi in ogni particolare: ogni parte che i suoi occhi esaminavano era come se andasse a fuoco, come se ogni sguardo provocasse un'abrasione. Il suo fissarmi m'inchiodava, rendendomi impossibile anche il più semplice dei movimenti. Una ciocca di capelli m'invase in viso, disegnando una linea storta, e vidi tutto rosso.
Se ne accorse e con una mano, continuando a mantenere il contatto visivo, la scostò delicatamente posandola vicino alle altre ciocche e schiuse le labbra.
" ..anch'io ti ho già vista "
" E dove? " chiesi curiosa. Pensai che forse potevo trovare una risposta a tutte quelle assurdità.
" Credo in un'altra vita " disse con rammarico.
" Già.."
" Oppure, chissà, in un sogno.. " le labbra si allargarono in un sorriso.
" Scusami, sono stata davvero inopportuna poco fa, non avrei dovuto "
" E perché? Non hai fatto nulla di male "
" Una persona così non dev'esserti sembrata molto normale.."
" Per me lo sei molto di più tu di tutte quelle persone false che ti elogiano per ricevere la loro quota d'attenzione "
Sorrisi. Quelle parole mi fecero piacere. Chissà come doveva essere stressante girare il mondo e sentirsi ripetere sempre le stesse cose.
Finalmente avvicinai il calice alla bocca e bevvi il primo sorso della bevanda rossa e frizzante, dal retrogusto amaro. Lui fece lo stesso e poi mi porse la mano.
" Comunque, io sono David, è un vero piacere conoscerti "
" Desdemona, il piacere è tutto mio "
" Desdemona..che nome insolito - disse osservandosi intorno compiaciuto- ti sta bene "
" L'unica cosa che mi piace di questo nome è che posso festeggiare l'onomastico il giorno di Ognissanti , perché è un nome adespoto. Per il resto però non mi piace poi così tanto… Insomma, mi fa pensare ad una biondina rifatta o ad un'arpia " 
Scoppiò a ridere fragorosamente, socchiudendo gli occhi.
" No no credimi, d'ora in poi invertirai la tendenza. Quando sentirò di nuovo questo nome penserò alla misteriosa ragazza sognatrice dai lunghi capelli rossi "
Arrossii. Pregai che non se ne fosse accorto e provai a guardarlo. Era molto strano, ma nonostante quell'imbarazzo che si prova parlando a una persona per la prima volta, sentivo che avrei potuto raccontargli qualunque cosa avesse voluto sapere. Era come la chiacchierata di due amici che magicamente si ritrovano. Ed io sentivo quella medesima sensazione: era come se lo avessi ritrovato.
" Se lo dici tu..  Comunque anche tu hai dei bei capelli " buttai lì, non sapendo assolutamente cosa dire.
Lui sorrise e alzò il braccio portandolo alla nuca: si slegò il codino ed infilò l'elastico al polso. Scosse delicatamente la testa.
" In verità non mi sono mai piaciuti, cerco sempre di cambiarli "
" Beh, anch'io… Non sono una che si piace molto "
" Dovresti " disse. Che imbarazzo, imbarazzo puro.
Alzò lo sguardo, ora incorniciato dai capelli biondi che ricadevano ai lati del volto. I suoi occhi erano color cioccolato, scuri e profondi. Si voltò verso il panorama e io lo seguii.
" Allora, Desdemona, da quanto suoni? "
Sbiancai. Ringraziai che fosse buio e che non mi stesse guardando.
" Come scusa? "
" Qualcuno che riconosce uno Stradivari al primo colpo e che sa determinate cose sulla sua accordatura, deve saperla piuttosto lunga, non credi? "
Ma come diavolo aveva fatto? Colpita e affondata.

" Eccoti, ti ho cercata dappert… " Jaqueline si fermò e per poco non gli cadde la mascella per terra. La raccolse e poi ricollegò il cervello con uno spinotto.
" Salve! Splendido concerto ! Davvero, sei stato formidabile! "
" Oh, grazie, sei gentile "
" Questa è la mia amica, Jaqueline "
" Molto piacere " si strinsero la mano.
Le sue guance si fecero rosse ma presto riprese a parlare.
" Ero venuta per dirti che gli altri mi hanno chiesto di andare con loro in un locale, vuoi venire? "
Mi guardai le scarpe. Avrei dovuto tornare a casa da sola.
" Mhm, l'idea non mi fa impazzire, credo che me ne andrò a casa. Dì loro che mi scuso "
" Sei sempre la solita, un po' di house non ha mai ucciso nessuno- sbuffò, poi si rivolse a David; le cose avevano preso una piega alquanto strana- Sai, lei stasera è andata a nozze con la tua musica, non è stata così attenta neanche quando l'ho portata a vedere i Black Sabbath " scosse la testa rassegnata.
David mi guardò ridendo, forse mi capiva.
" Sono due cose diverse " dissi in imbarazzo, giocherellando con una ciocca di capelli.
" Si si, tanto ho perso le speranze tempo fa, che vuoi farci… Ci vediamo domani, passo in libreria. Ciao David, e ancora complimenti ! "
Lui annuii e lei s'incamminò rientrando, poi si voltò.
" Cavolo, come torni a casa? "
A piedi, brutta scema.
" Prendo un taxi " la guardai con gli occhi ridotti a due sottili fessure. Lei fece una smorfia.
" Se vuoi dico a mio padre di darti uno strappo "
Nel mentre, lui guardava i nostri movimenti, come se ci stesse studiando, osservando. 
" Non importa, non voglio disturbarlo "
" Come vuoi, però se cambi idea è ancora dentro "
" Va bene "
" Ci vediamo. Ciao! "
" Buonanotte " dicemmo in coro.

Rimanemmo soli di nuovo: Jaqueline mi aveva offerto solo una piccola pausa che mi aveva consentito di respirare. Ora si ritornava in battaglia, in un campo di mine. Ero ancora tremendamente nervosa, ma più lo guardavo e più il suo viso m'infondeva un profondo senso di calma.

" Se vuoi posso farti accompagnare dal mio autista " disse d'un tratto, ricollegandosi alla conversazione di pochi attimi prima. Non capivo se era un suo strano modo di offrirmi un passaggio, o un modo carino per dirmi che non mi avrebbe portato a casa di persona. Tanto meglio, mi sarei evitata ulteriore imbarazzo.
" Sei molto gentile, ma prenderò un taxi, qui a Vienna non sono molto costosi, sai? "
" Era un modo più sicuro per farti arrivare a casa, ci sono molti svitati in giro, sai? " mi fece il verso.
" Beh, per quanto ne so anche tu potresti esserlo " risposi per le rime. Lui rise portandosi una mano alla bocca. Mi piacevano davvero molto i suoi anelli, erano grandi, d'argento, massicci e molto particolari. Non avrei mai potuto trovarli in giro, pensai. Lui mi sorprese mentre osservavo interessata la sua mano.
" Cosa guardi? "
" Gli anelli.. " se li guardò.
" Piacciono molto anche a me "
Aveva davvero delle belle mani, mani da musicista. Il tipo di mani che gli artisti nel passato disegnavano, con tutte quelle venature ed ombre piene di particolari.
" Secondo me sono una di quelle cose che la dice lunga su chi siamo "
" Già. La penso come te "
" Un violinista non porterebbe mai degli anelli - gli appuntai- ma tu è evidente che non sei… come gli altri "
" Lo prendo come un complimento? "
" Ti lascio con il beneficio del dubbio - dissi scostandomi dal marmo a cui ero appoggiata di schiena- Ora devo proprio andare, è stato bello conoscerti "
" Beh, ora almeno se ti capiterà di sognarmi, saprai chi sono " mi prese in giro.
" Già, ora posso dirlo. Ti auguro una buona serata e che abbia tutto ciò che desideri dal tuo futuro "
" Anche io, è stato un piacere conoscerti, mi auguro che ti abbia convinto in qualche modo ad ascoltare la mia musica "
'Eccome'
" Ti prometto che domani appena esco di casa, compro il tuo disco "
" Ci conto, eh " mi puntò il dito contro.
" Ciao.."
Gli sorrisi per l'ultima volta e poi mi strinsi nelle braccia incamminandomi. Lui si voltò verso le luci della città e si perse; lo sentii fare un respiro profondo.
" Aspetta.. - mi fermò e si girò sui piedi - Mi tratterrò ancora un giorno a Vienna, e… Ti andrebbe di vederci per un caffè? Mi piacerebbe molto continuare a parlare di musica "
Bam. 
Il cuore tentennò. Sorrisi piano e poi mi voltai, i capelli scompigliati di nuovo dal vento. Ora però anche i suoi si muovevano come animati da una forza oscura, coprendogli parte del volto.
" Verresti? " chiese. 
Io ci pensai, o almeno finsi di pensarci.
" Sarebbe bello…"
" Allora facciamo mhm.. alle 10?
" Per me va bene.. Dove? "
" Sono stato poco qui a Vienna, tu conoscerai molti più posti di me.. "
Io non ci giurerei, pensai. C'era un caffè che mi piaceva molto, in una zona molto bella della città.
" ..Allora al Café Schwarzenberg alle 10, è uno dei caffè più antichi della città "
Non potevo crederci; doveva aver battuto la testa.
" Allora sarà fantastico "
" A domani- dissi, ancora scioccata, tentennante, diffidente da quella realtà. Sperai tanto di non averlo dato a vedere. - Buonanotte "
" Buonanotte " disse, e suggellò così quel nostro primo (per così dire), inaspettato incontro.


La notte ora che ero da sola appariva così tenebrosa e cupa: le ombre dei palazzi creavano disegni gotici che avevano vita propria. Nell'aria c'era ancora l'odore della pioggia; la fredda notte di aprile suscitava brividi sulla mia schiena. Stringevo il soprabito al petto e guardando le nuvolette d'aria biancastre salire verso il cielo, mi accorgevo di quanto ancora era bella quella città. Il suo fascino non sarebbe mai svanito.


..I am nothing but a shadow in the night.





Note:

La canzone citata nel capitolo è Angels Walk Among Us degli ANATHEMA. Mentre quella citata nella scena finale è Part II dei PARAMORE .

Il Café Schwarzenberg esiste davvero e si trova nei pressi della stazione di Karlsplatz ed è uno dei più antichi, esistente fin dal XIX secolo.

Alla prossima!



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Capitolo 5
*** We Just Wanna Be Whole Again, Again ***



Passai l'intera notte a pensare a cosa ci eravamo detti. Era così naturale parlare con lui, quasi liberatorio: sembrava quella persona che ti conosce da una vita, che ti capisce senza che ci sia il bisogno che tu gli dica una parola in più. Ma era poi così strano? Mentre pensavo cambiavo continuamente idea: qualcosa di così spontaneo ai miei occhi non riusciva ad essere pienamente sbagliato. 

Era un estraneo; questo era un dato di fatto, oggettivo. Ma allora perché sembrava tutto fuorché qualcuno che non conoscessi? 

Sensazioni. Erano tutte delle stupide, semplici sensazioni con nulla di concreto alle spalle: solo un sogno, sgretolatosi l'attimo dopo il mio risveglio, il mondo che aveva costruito aveva cominciato a crollare, svanendo, ed era rimasto solo un ricordo. Però quest'ultimo era lungi dall'essere flebile, frammentario o sfocato. Lo ricordavo bene, come pochi. Di solito il meccanismo era che man mano che il tempo scorreva, il sogno affievoliva, ma mi succedeva esattamente il contrario; anzi, ogni volta che ci ripensavo vi si aggiungevano particolari.. Io che mentre arrivavo alla luce infondo al corridoio mi guardavo i piedi nudi, avvertendo il freddo del granito; il tulle che mi solleticava le ginocchia; il mio sguardo sulle mani di David mentre prendevano le mie; la luce scintillante nei suoi occhi; il solletico provocato dalla sua barba…. Erano tutti particolari che riaffioravano come fulmini a ciel sereno, più vivi che mai.

Riuscii a prendere sonno solo un'ora prima dell'alba, quasi temendo e avendo paura che il giorno in cui lo avevo incontrato finisse, proprio come il sogno. E se fosse stato anche il nostro incontro soltanto un sogno?

 


 

9.55

I tram verdi e gialli transitavano fermandosi all'incrocio e poi via sparati giù verso Schwarzenberg platz.

Il caffè aveva aperto già da ore, e i frettolosi lavoratori vi erano passati per il rito mattutino. Ora il personale stava riordinando i tavoli; all'interno c'era poca gente, segno che il primo orario di punta era stato superato. I tavolini che affacciavano su marciapiede, all'aperto, a parer mio stonavano con i meravigliosi interni antichi. 

Ero appena arrivata; timorosa che lui si trovasse già dentro, entrai e mi sedetti ad un tavolo fiancheggiato da una vecchia vetrata che dava sulla strada adiacente. 

'Bene, hai ancora del tempo' pensai. Si, ma tempo per cosa? Infondo era solo un caffè, non c'era da essere nervosi. Perché mai avrei dovuto esserlo.

Accavallai le gambe e il fastidiosissimo tic di cui non riuscivo a liberarmi quand'ero nervosa iniziò: il piede prese a muoversi veloce facendo dondolare la gamba e il jeans che largo ricadeva sugli stivali, coprendoli quasi interamente. 

' Perché hai accettato? ' 

Resistetti alla crudele tentazione di mordermi le unghie: in teoria la presenza di smalto avrebbe dovuto scoraggiarmi a farlo, ma non sempre tutte le cavolate che si leggono sono vere. 

 

" Sono in ritardo? "

David sbucò d'un tratto alle mie spalle e togliendosi il basco si sedette. Si aggiustò il codino leggermente scompigliato in attesa che parlassi. L'unico neurone rimasto vigile e non imbambolato alla sua sola vista prese in mano la situazione e iniziò ad inviare impulsi.

" Sei puntualissimo.. Anch'io sono arrivata due minuti fa" dissi riacquistando lucidità.

Una delle cameriere vide che la persona che stavo aspettando era arrivata e venne a prendere le ordinazioni. O almeno era quello che avrebbe dovuto fare.

" O mio Dio! Ma lei è David Garrett, il violinista! " 

David sorrise dolcemente e mi guardò : doveva esserci abituato. Non avevo avuto ancora il tempo di documentarmi, ma doveva essere davvero famoso. Non che questo m'importasse.

" Posso avere una foto ? La prego ! "

" Ma certo ! " accettò gentilmente.

" Scusa, potresti..? Grazie" mi allungò il suo cellulare. Io feci un sorriso e misi a fuoco.

" Ecco fatto " dissi sorridente.

'Ora staccati, grazie'

Ops. Si, lo avevo pensato. E una parte di me neanche se ne vergognava.

 

" Oh grazie mille! Lei è davvero un fenomeno, ho comprato il suo ultimo album"

Lui, ricordandosi della mia promessa della sera precedente probabilmente mi guardò alzando un sopracciglio.

" Mi fa molto piacere… Po-tremmo ordinare?.." disse senza sembrare indelicato.

" Oh, ma certo, che sciocca!  Cosa vi porto?"

David mi guardò, facendomi cenno di ordinare per prima.

" Un caffè con del latte a parte, grazie "

" Per me un espresso invece "

" Arrivano subito! " 

La ragazza scodinzolò felice verso il bancone e tornò pochi minuti dopo con le nostre ordinazioni.

 

David mi fissava. Continuava a farlo, e non parlavamo, nessuno dei due, e non riuscivo a capire perché. Così fui la prima a rompere il silenzio.

" Perché mi fissi?"

Lui si avvicinò, appoggiando i gomiti sul tavolino, poggiandosi una mano sul lato del viso.

" Anch'io ho come la sensazione di conoscerti.. di conoscerti da una vita"

'Davvero?'

" Sul.. sul serio?" dissi disorientata. 

" Dopo che ci siamo parlati e che sono ritornato in albergo, ho pensato molto… Il tuo viso..è quasi come se lo avessi visto. Non sei una modella vero?"

" Per carità" dissi, cadendo dalle nuvole.

Lui rise. Doveva conoscerne molte. Insomma, chissà quante donne gli ronzavano intorno.

Allontanai quei pensieri che rendevano il gusto del caffè così sgradevole. 

Bevvi qualche sorso e poi appoggiai il bicchiere sul piattino, la mano sul tavolo.

Mi guardò e poi con un unico gesto veloce mi voltò la mano, prendendomi tra le dita i polpastrelli e tastandoli. 

Fuoco. Era bastato il semplice e innocuo tocco fra le nostre dita per scatenare dentro una scintilla e poi una fiamma.

Fece un sorriso vincente, da chi ci aveva visto giusto. Come per dirmi 'Avevo ragione!'.

" Da quanto suoni il piano?"

Cercai di non farmi uscire gli occhi dalle orbite, ma infondo sapevo fin dall'inizio il motivo del suo gesto quindi risposi.

" Da qualche annetto" 

" Perché menti?" mi chiese con espressione curiosa. Poi mi rivoltò il palmo verso il basso e mi accarezzò l dita, partendo dalle unghie lisce e corte fino alle nocche dove si soffermava massaggiando piano con il polpastrello.

" Hai mani fine e dita lunghe e affusolate - mentre parlava faceva nelle pause e continuava ad accarezzarmi- non sono segni che compaiono con un po' di pratica. Ti sei nutrita di musica anche tu… ci hai passato le notti insonni"

'Ma tu, chi sei? Perché lo sai?..' Rimasi folgorata, come se una meteora mi avesse colto in pieno e io mi fosse elettrificata.

La cameriera che ci aveva servito ci stava fissando, cercando di sembrare indifferente e vaga. La cosa m'innervosiva alquanto.

" Sei bravo.. " dissi, ancora frastornata.

" Un musicista sa riconoscere sempre un suo simile.. Allora, quando hai iniziato?" mi chiese di nuovo, paziente e curioso. Le sue dita ancora sulle mie. Io mi sforzai di non scoppiare, e poi, naturalmente, accarezzai con il pollice la sua mano. Con l'altra, tastai il giubbotto di pelle dietro di me e presi il pacchetto: tirai fuori una sigaretta e poi glie le offrii. Lui ne prese una, così accesi la mia e gli porsi l'accendino. Il piede si agitava.

Espirai profondamente, fino a svuotare tutti i polmoni e poi mi sistemai sui gomiti.

" Avevo sette anni.. - lui si stupì, ma ritornò in se, assumendo di nuovo quell'espressione dolce che metteva una pace spaventosa dentro di me, calmandomi. - mio padre fu il mio primo insegnante, il mio eroe" dissi, volgendo lo sguardo verso il soffitto, sovrappensiero. Ricordavo quei tempi come se ancora fossero lì accanto a me, ma non lo erano. Pensai che il mio cuore non aveva faticato molto del dirglielo; gli aveva permesso di sapere.

Sorrise, allungando una delle fossette ai lati della bocca. Poi annuì e mi lasciò continuare. Volevo davvero farlo?

" Poi cambiai vari maestri, ed eccoci qui " dissi risoluta.

" Hai mai suonato in pubblico? "

" Certo, quando si tenevano i saggi, ma nessuno mi ha mai notata. Non era destino si vede"

Lui mi scrutò; era pensieroso, ma impassibile. Se avessi dovuto dire con certezza a cosa stesse pensando, non avrei saputo davvero cosa dire. Era indecifrabile, ma probabilmente perché non ero stata abbastanza attenta e scaltra per capire a cosa stesse pensando. Per dedurre quale fosse la prossima domanda.

" ..Quando hai smesso?"

Un altro colpo, dritto lì, dove c'era il vuoto. 

Ispirai, gli occhi mi bruciavano.

" .. Sono quasi quattro anni che non tocco un pianoforte"

" Lo ricordi con precisione, è un buon segno…"

" Un buon segno per cosa? Non ho alcuna intenzione di ricominciare se è questo che intendi "

" Perché provi così tanto odio? Sembra quasi come se odiassi questo strumento, che invece potrebbe darti molto di più di quello che ti aspetteresti di ricevere"

" Io non provo odio " scandii bene. 

" Allora è rabbia" disse.

Io non risposi. Questo gli consentì di continuare ad insinuarsi nella mia persona. Spensi la sigaretta nel posacenere, schiacciandola fino a renderla irriconoscibile.

" È perché nessuno ti ha notata? " iniziò a dire. Sembrava che avesse davvero a cuore la mia causa persa. Ma perché, poi?

" Perché ti da tanto fastidio che io non suoni? "

" Perché hai smesso?" disse di nuovo, guardandomi fisso, riducendo gli occhi ad una fessura. 

" Perché sono morta dentro " esplosi.

Lui mi guardò, esterrefatto, consapevole che aveva esagerato. Consapevole di aver superato il limite consentito, di essere entrato nella foresta nera.

Lasciai una banconota che mi ritrovavo in tasca sul tavolino e prendendo in giubbotto uscii. I capelli davanti al viso. 

Non dovevo esplodere. Non dovevo esplodere. Non dovevo esplodere. Non davanti a lui. 

Il groppo in gola era ormai salito. Sentivo gli occhi pungenti, pronti anch'essi ad essere detonati.

 

Sentii David alzarsi e dopo qualche secondo fu dietro di me. Eravamo sul marciapiede; guardavo i blocchi di pietra grigi e scacciavo accenni di lacrime calde.

Sentivo il suo sguardo basso, che nonostante tutto continuava a tenere sott'occhio i miei movimenti.

" Mi dispiace.. Non avrei dovuto "

Per me era difficile parlarne, era difficile parlare di quello che era successo. Era uno scoglio troppo insormontabile da superare. Era come un coltello caldo che affondava senza ostacoli dentro il burro: mi uccideva con una lenta velocità.

" È difficile… " fu tutto quello che riuscii a dire. 

Della rabbia o della presunta arrabbiatura nei suoi confronti non era rimasta traccia: era con me stessa che ce l'avevo. Con qualcuno che si nascondeva dietro vetri, credendo che fossero specchi, qualcuno che rimandava l'affronto con la realtà creandosi vie alternative per aggirare lo scoglio e non andare a scontrarcisi nel bel mezzo di una tempesta.

Presi un respiro profondo e decisi di voltarmi, comportandomi come un'adulta una buona volta. 

 

" È una bella giornata.. Non voglio rovinartela.."

" Mi.. "

" Ti andrebbe di vedere il mio posto preferito? " lo interruppi.

Lui s'illuminò e mi posò una mano sul braccio.

" Con molto piacere, Desdemona" .


 

I lunghi giardini del Belvedere si estendevano e si perdevano quasi fino all'orizzonte. I sassolini di ghiaia bianca scricchiolavano sotto i nostri passi, muovendosi sotto le suole delle scarpe. Il verde riempiva i giardini della classica rigogliosità e pienezza primaverile, la rinascita.

Il sole si fece debole e come succede nei giorni variabili, il cielo si oscurò, mandando a benedire tutte le promesse dei i raggi caldi che scaldavano la pelle.

" Forse hai parlato troppo presto " disse lui osservando il cielo, piegando il collo all'insù. 

Lo guardai: era davvero indescrivibile. Ogni dettaglio al posto giusto, dettagli che si svelavano piano, ad ogni sguardo. Il mento e il naso rivolti verso l'alto, l'incavo degli occhi, le lunghe ciglia che disegnavano sagome nello sfondo grigiastro del cielo.

" Forse dovremmo sbrigarci a raggiungere il palazzo" 

Qualche secondo dopo esserci messi in marcia, dal cielo iniziarono a cadere le prime gocce leggere di pioggia, rarefatte e poi sempre più concentrate, fino a diventare davvero grandi. 

" Ok - disse coprendosi come meglio poteva. Si tolse il giubbotto e me lo offrì- inizio seriamente a pensare che tu sia una sorta si strega "

" Forse sono solo una meteorologa mancata " dissi.

" Per carità ! Sarei il primo a non ascoltarti " scherzò.

" Ti ringrazio " dissi, indicando il suo giubbotto. Era impregnato dal suo odore, finalmente lo avevo ritrovato. Ricordai di averlo già sentito, ma mai distinto. 

" Non c'è di che " disse con un sorriso. Si coprì la testa e con un braccio mi cinse leggermente le spalle, accompagnandomi. 

" Dai, sbrighiamoci " disse, e iniziammo a correre verso la porta d'entrata.

 

...Let it rain, let it rain, let it rain into my heart.. 



Una volta entrati si scostò ed entrambi ci sistemammo come meglio potevamo. 

Avevo i jeans neri ancora più scuri, totalmente bagnati dalla pioggia. Fortunatamente la maglietta si era salvata grazie al giubbotto di pelle. 

 

Iniziammo il giro e salendo le scale ci recammo al primo piano. Quel posto era davvero uno dei più belli di Vienna, e per me era il più bello in assoluto. Aveva arredi antichi, mobili in legno pregiato e marmo ovunque. Il pavimento scricchiolava in alcuni punti delle stanze, dove fiumi di persone avevano camminato prima di noi. È strano, ma a volte penso alle persone che sono state o si sono trovate in un luogo, molto tempo prima di me; penso agli oggetti che hanno posseduto, che hanno toccato o anche semplicemente alle cose che hanno visto, come queste stanze o i giardini del palazzo, e mi viene un senso di malinconia incurabile. La nostalgia per un passato mai neanche vissuto, ma solo visto nelle fotografie. Il mondo che cambia e che conserva nei suoi abissi quello che ha visto. A volte vorrei essere il mondo e vedere come sono andate le cose. 

 

Alcune delle sale erano loro stesse delle opere d'arte con decorazioni in oro, e servivano solo da passaggio tra un'esposizione e un'altra. Vedemmo molti quadri, capolavori inestimabili che stanchi posavano per essere guardati, rimanendo quasi completamente immutati.

Dalle finestre notai che il sole ora stava splendendo, seppur debole, nel cielo che solo pochi minuti prima era stato tempesta. Lui guardò nella mia stessa direzione:

" Ma anche la tua amica s'inzuppa ogni volta che esce con te? "

" Più o meno "  dissi ridendo. 

Era una bella sensazione, poter stare bene con lui in quel momento. Mi sentivo più leggera.

" Allora, lo hai mai visto? "

" Che cosa? "

" Il bacio. Dicono che sia davvero meraviglioso "

" Ah già, il Belvedere è famoso per questo quadro.. Però non c'è solo questo, sai? Qui ci sono alcuni dei miei quadri preferiti "

" Posso indovinarli? " mi chiese posandosi una mano sul mento.

" Non credo ci riuscirai " scossi la testa.

" Mi sottovaluti, ragazza "

" Allora provaci, quando lo vedrò non ti dirò niente, come con tutti gli altri. Vedremo "

Sorrise. 

" Eccoci "

Intanto eravamo arrivati alla sala dov'era conservato Il Bacio: da quanto ricordavo, era riposto in una teca di vetro, a doppio fondo. C'era un po' di fila davanti a noi, tanto da non riuscire neanche a vederlo.

" Sei già stata qui, vero? " 

" Si, due o tre volte. È un posto affascinante " affermai, guardandomi intorno confermando ciò che dicevo.

" Abiti da molto qui ? Sai, lo percepisco dall'accento.. Non sei di queste parti "

" Da qualche anno. C'è qualcosa che non sai di me? " dissi arrossendo lievemente.

" Non so quasi nulla di te " 

" Ti sbagli, sai molte cose… Più di quante ne abbia dette da quando vivo qui "

Era incuriosito, lo percepivo, nei suoi occhi che si crucciavano.

" Sono io a non saper nulla di te " dissi spostandomi da una gamba all'altra.

" Che cosa vuoi sapere? "

" Perché hai scelto il violino? "

I suoi occhi s'illuminarono, ma sembrò in imbarazzo.

" Sai, quando ho iniziato non l'avevo preso sul serio.. Con gli anni mi sono..come innamorato. Il suo suono è dolce, come invece stridulo a volte: ma nelle note acute è come se ci fosse qualcosa di estremamente intimo e nostalgico, che trasforma anche i brani più gioiosi in qualcosa di più profondo, in un esperienza molto più radicale. Adoro il modo in cui si suona questo strumento inoltre, perché è praticamente al di sopra del tuo cuore e chinandoti su di esso è come se gli parlassi, come se gli confidassi i tuoi segreti più profondi.Quando lo suono è come se qualcosa di viscerale mi attraversasse… anzi, parte da me, dalle mie dita e di espande nell'aria. Poi avverto vibrare la nota da sotto il legno, misto al suo profumo: è come una voce che ti parla nella notte "

" È il tuo elemento. Lo hai scelto inconsapevolmente, o forse così credi " dissi. Mentre parlava si toccava i capelli, scostandoli dietro un orecchio. Poi giocherellava con la collana che gli pendeva sul petto. Notai solo allora che la pioggia non aveva risparmiato neanche lui.

"Non so come sarebbe andata se avessi scelto di suonare qualcos'altro: forse è stato destino. Ma probabilmente avrei rinunciato dopo poco. So solo che quando suono, riesco a trovare l'armonia perfetta: non m'importa più di chi mi sta davanti, dei problemi, dei difetti. Quando suono riesco a vedere l'aura della mia anima, e riesco a vedermi come davvero mi sento dentro "

" Senza maschere " aggiunsi sovrappensiero.

" Già…" continuammo a guardarci per qualche secondo e poi, come se fosse stato un gesto incontrollabile ed autonomo, allungai la mano fino al suo volto, avvicinandomi con un passo. Lui tentennò, non riuscendo ad afferrare quello che avessi intenzione di fare.

Posai le dita sul suo mento e nel momento in cui lo feci, una pioggia di fuoco esplose dentro di me; sentivo la pelle bruciare, di nuovo. Accompagnandolo con la mano, gli voltai delicatamente il viso verso l'alto riuscendo così a vedere il lato sinistro del collo: era roseo, liscio, senza alcun segno sospetto. 

Lui appena capì sorrise.

" Per fortuna sapevo cosa sarebbe successo, così ho preso precauzioni "

" Vedo che sai il fatto tuo " constatai.

" Non mi andava di portare la sciarpa per tutta la vita per nascondere quel segno " risi.

" Neanch'io ce l'avrei fatta -dissi - Guarda! Ci siamo.."

Ci avvicinammo in punta di piedi, quasi a non volerlo disturbare; quasi come se quella tela e quei colori avessero vita propria. Entrambi lo osservavamo dalla stessa postazione, l'uno accanto all'altra.

" Sai, - iniziai - quello che mi colpisce di più del suo stile, è la capacità di incorporare tante varianti così diverse, in ogni quadro "

" Lo stile di Klimt è inconfondibile, diverso da ogni altro. Va completamente per i fatti suoi.. Mi piace "

" Anche a me.. Sembra disperato, tanta è l'intensità che c'è dentro "

David si spostò facendo piccoli passi, e si posizionò dietro le mie spalle : sentivo il suo respiro sul collo scoperto, dove prima d'essere raccolti ricadevano i capelli. Il suo profumo ora permeava il mio spazio e s'infondeva ai miei sensi, annebbiandoli, nutrendoli di quella melodia. Non riuscivo ad individuare cos'era. 

" Si baciano come se fosse l'ultima volta.. come se fossero destinati a non incontrarsi mai più e si concedessero un ultimo momento prima della fine. È interessante il modo in cui la tristezza possa essere bella, quasi soave " si avvicinò ancor di più, sfiorandomi il collo chinandosi col naso, annusandomi piano.

" Hai un buon profumo " disse a bassa voce. Cercai di non muovermi, lasciando che la mia mente imprimesse nel profondo quella meravigliosa ma allo stesso tempo inaspettata sensazione. Era come se nell'aria aleggiasse un segreto che non doveva essere svelato. Doveva appartenere solo a noi, a noi soltanto. Come se in quegli istanti il mondo non esistesse.

" Anche tu.. " dissi con voce flebile, quasi inudibile. Lui però riuscii a sentirmi e mi accorsi che stava sorridendo dietro di me. 

Mi osservava, mantenendo gli occhi bassi, riuscendo quasi ad udire i battiti del mio cuore.

" Vieni, usciamo ".

 

 

Ci guardavamo, ancora e ancora. Passeggiando per i giardini i nostri occhi si scambiavano sguardi complici, curiosi, accesi da una passione latente.

Ci sedemmo su una panchina all'aperto, dal colore muschiato alla base : ormai il sole era tornato a spendere alto nel cielo, e stavolta speravo che non sarebbe sceso giù il mondo di nuovo come prima.

 

Prima di sedersi, tirò fuori un libro dalla tasca posteriore dei jeans e se lo sistemò vicino per evitare di bagnarlo sedendocisi sopra.

" Le braci " lessi storcendo il collo da un lato. Era quasi arrivato alla fine, lo si vedeva dal segno d'usura con cui erano segnate le pagine sul fondo.

" Si, lo conosci? "

" Non è la prima volte che sento questo autore, però no, non l'ho letto " lui annuì.

" È ungherese, poco conosciuto suppongo. Aspetta, tu lavori in una libreria, giusto? Ieri sera la tua amica.. "

" Si, ci lavoro mezza giornata "

" Ti piace? " disse facendosi scuro in volto, distogliendo il suo sguardo dal mio per la prima volta. Ora guardava dritto davanti a sé, perdendosi tra le siepi. I raggi del sole che filtravano tra le ciocche dei capelli, facendo brillare i pigmenti su tutta la loro lunghezza.

" Molto.. - dissi non capendo da dove venisse il suo disturbo- Scusa se te lo dico, ma è una reazione strana questa per uno a cui piacciono i libri " tornò su di me e si girò con tutto il corpo poggiando il libro sulla panchina distrattamente e una gamba su di esso. Avvicinandosi.

" Non riesco a capire come ti basti vendere libri per essere felice.. È più forte di me "

" Non ho mai detto di essere felice " ora distolsi io lo sguardo che vagò alle sue spalle e poi sulla sua spalla, ritornando al suo volto. 

" Suonando potresti esserlo… " disse quasi vergognandosi. Percepivo la sua paura di potermi ferire di nuovo, in qualche modo.

" Non credo.. Il tempo cambia le cose, le persone. È vero - dissi, guardandolo negli occhi, senza paura- un tempo mi rendeva felice, mi faceva stare bene, ma quel tempo è finito "

Abbassò lo sguardo e posò la sua mano sulla mia; la studiò con cura e poi mi carezzò la guancia con una dolcezza che mi parve calda e rassicurante come il calore del sole. Mi persi in quel tocco, lasciandomi andare tra la sua mano.

" Ma cosa ti ha ridotto così.. " disse retoricamente. Sembrava starci male davvero. Sembrava davvero preoccupato per me.

" La vita " risposi, e non c'erano esitazioni in quelle mie parole, ma solo un'estrema consapevolezza di che cosa stessi parlando.

 

Il suo cellulare irruppe nel discorso e lui lo tirò fuori dalla tasca. Lesse il display e disse:

" Scusami un secondo, a questa devo proprio rispondere " 

" Fai pure, non preoccuparti " dissi e lui s'incamminò percorrendo qualche metro con il telefono in mano. Non riuscivo a sentire quale fosse l'argomento della conversazione ma sospettavo fosse una telefonata di lavoro. 

' Certo che sarà fantastico fare ciò che più si ama come lavoro ' pensai.

Mi guardai intorno, dondolando le gambe dall'alto al basso e poi presi in mano il libro. Lo aprii e sfogliai le prime pagine lentamente e poi ne odorai la carta : avevo sempre amato farlo, l'odore era una delle cose più belle che potesse darti un libro. Su quelle pagine si percepiva leggermente la presenza del suo odore, dell'odore di David; ero sempre stata convinta che sulle pagine rimanesse la traccia del lettore.

Quando tornò mi guardò con espressione dispiaciuta.

" Era il mio manager; purtroppo dobbiamo rivedere dei dettagli, ma speravo di poter passare un altro po' di tempo in tua compagnia, invece bisogna proprio che io vada. La macchina è già qui fuori "

" È il tuo lavoro, devi curarlo. Guarda, - mi alzai stropicciandomi i jeans- non preoccuparti, davvero "

" Mi dispiace di dover anticipare, a dir la verità mi secca un bel po'… Posso almeno offrirti un passaggio questa volta? " sorrisi.

" Resto qui un altro po', ma tu vai.. Avrai mille cose da fare " 

Si avvicinò, sempre di più, fino a ritrovarmi a venti centimetri dal suo volto.

" Sicura? " disse, accompagnando le parole al movimento delle palpebre.

" Si " risposi, quasi con affanno. Mi mancava l'aria quando lo avevo troppo vicino. 

" Allora ci salutiamo qui " dedusse con un velo d'amarezza.

" Non è un addio.. - dissi per spezzare il muro di malinconia che era calato giù- Ti prometto che verrò a vederti la prossima volta che suonerai a Vienna " 

" Mi farebbe felice - disse con un filo di voce. Non aveva mai staccato gli occhi dal mio volto, guardandomi a momenti alterni le labbra e gli occhi - Non ti ho detto una cosa "

" Cosa? " chiesi curiosa.

 

L'odiosa suoneria del mio cellulare risuonò tra i nostri corpi e lui si fermò. Tirai fuori l'aggeggio e vidi che era mia madre. Feci segno che dovevo rispondere e lo avvicinai all'orecchio.

" Mamma, ciao " dissi con voce irritata.

" Stanotte ti ho sognata… " disse, incapace di trattenersi. Il mio sguardo saettò su di lui. Mia madre continuava a parlarmi dall'altro capo del telefono, ma non ascoltavo neanche una parola.

" Avevi un vestito blu, ed eri bellissima " nello stesso momento in cui lo disse il suo volto cominciò ad allontanarsi dal mio fino a restituirmi una piena visuale della sua figura.

Quelle parole mi sconvolsero. Con una mano tenevo ancora attaccato all'orecchio il cellulare, mentre guardavo David allontanarsi. Non mi diede il tempo neanche di elaborare quanto mi aveva appena detto che stava già andando via.

" Buona fortuna " mimò con le labbra rivolgendomi un ultimo sorriso. 

" Anche a te " dissi allo stesso modo.

 

Lo vidi allontanarsi fino alla fine della siepe e poi sparire dietro di essa. Dunque era così, lo avevo visto andare via , probabilmente per sempre. All'improvviso il groviglio che avevo dentro iniziò a farmi male, attanagliandomi: avrei avuto voglia di abbracciarlo, di risentire il suo odore ancora, per l'ultima volta, inondarmi il viso. Mi sentivo frastornata, confusa al punto tale da rendermi conto delle urla preoccupate di mia madre solo quasi un minuto dopo.

 

" Si, mamma ci sono " dissi, sedendomi, con il morale sottoterra.

" Com'è il tempo lì? " disse.

" Nuvoloso, ha piovuto. Ora c'è il sole, fa caldo " non mi accorsi che ogni affermazione stonava largamente con la successiva. Ma d'altronde era vero: quel giorno era tanto confuso quanto lo era la sottoscritta.

" Oggi sei strana, più del solito "

" Grazie, mamma " la ringraziai facendo una faccia acida e scocciata. Accavallai le gambe e poi lo vidi: il libro di David era rimasto per tutto il tempo sulla panchina; lo aveva dimenticato lì. 

Lo presi in mano e lo girai tra esse sfogliandolo, avvertendo di nuovo il suo odore venir fuori dalle pagine. Il groviglio nello stomaco si strinse. 

 

" Come stai ? " mi chiese con voce amorevole, calma, come se sapesse già cosa le avrei risposto, le parole esatte.

" Bene " mentii.




Note:

Non aggiorno praticamente da secoli. 
Avevo dimenticato questa storia, mi è giusto tornata in mente quando l'altro giorno c'era David in tv.
Spero piaccia, buona continuazione.

Ringrazio chi commenterà e chi leggerà soltanto. 

 

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Capitolo 6
*** Stay ***



Ero rimasta per quasi un'ora in quel giardini, seduta a rigirarmi quel libro tra le mani. Dopo che avevo messo giù il telefono avevo semplicemente respirato : tirato un bel respiro e riavvertito quella terribile sensazione di perdita. Era come dire addio a qualcuno che avevi appena ritrovato, e proprio ora che lo avevi lì, ti era sfuggito, come acqua tra i palmi delle mani. Era arrivato come un uragano scatenando una tempesta di fuoco e calore dentro di me, sotto la pelle, e nel momento in cui se n'era andato aveva lasciato come un vuoto inspiegabile, e il freddo mi aveva avvolta. L'unico compagno che ora restava a consolarmi. Lo sentii fino alle ossa e non riuscivo a capirne il perché: attorno a me vedevo persino persone con una maglietta estiva; il sole splendeva adesso, e non c'era motivo per essere infreddoliti in quel modo. Pensai d'essere malata, e forse lo ero davvero. 

 

 

Alle 3 arrivai in libreria per il turno, ed iniziai a lavorare.

 

" Devi raccontarmi tutto, non mi muovo da qui. Giuro che se non me lo dici dovrai trascinarti via con me attaccata a una gamba "

" Abbiamo solo parlato, di musica "

" E..? "

" E poi me ne sono andata "

" E..? "

" E poi l'ho rivisto stamattina, se proprio lo vuoi sapere… " dissi a bassa voce sistemando un libro sullo scaffale, voltandomi per non farmi vedere in viso.

" C-COSA!?!?! "

" Ci siamo visti stamattina per un caffè " 

" Hai fatto colpo, ragazza ! "

" Mhm, non direi.. "

" Vedrai che ti chiederà di uscire di nuovo "

" Non credo proprio, riparte domani "

" Guarda che abita a Berlino, citrulla.. E poi vedrai che ti chiamerà "

' Berlino ? ' pensai.

" Non ci siamo scambiati i numeri, Jaqueline " dissi.

" Ma dico, a cosa diavolo stavi pensando ? Dio, sei senza speranze "

" Grazie " dissi con una smorfia e con voce acida. Presi la scala e andai due librerie più in là a sistemare un'altra pila di libri fuori posto. Poi ne guardai uno e lo guardai affranta.

" Ha dimenticato un libro, oggi, quando ci siamo visti " aggiunsi con voce flebile. Mi legai i capelli e massaggiai la nuca.

" Perfetto ! È un'occasione perfetta per rincontrarlo ! ..Devi solo scoprire dove..alloggia "

" Già.. Perché Vienna è una piccola città con due alberghi, vero? " dissi sarcastica.

" Devi solo cercarlo, da qualche parte dovrai pur iniziare ! "

" Il fatto è che non sono sicura di volerlo fare - dissi svelta, agitandomi - insomma, anche ammesso che lo trovassi, cosa dovrei dirgli? Dovrei presentarmi lì alla sua porta con un libro dicendo ' Sai, sono io, ti ricordi di me? ' Chissà quante ragazze invita fuori "

" Al momento so che è single " buttò lì Jaqueline, sfogliando con indifferenza un libro, ovviamente essendo falsamente vaga.

" E chi se ne frega " risposi spingendo con veemenza un libro contro il fondo dello scaffale. Jaqueline mi guardò.

" Questa non sembra una reazione di chi è indifferente " mi rimproverò giocherellando con il libro.

Io mi voltai e continuai a sistemare la mia pila. Lei continuò  a fissarmi per un po', con lo sguardo pensieroso, indice che il suo cervello stesse macchinando qualcosa. 

" Facciamo così, tu continua a sistemare quei libri a cui sembri moooolto interessata, io telefono a tutti gli alberghi di Vienna e se lo trovo ti chiamo "

Mi girai stupefatta. Come mai faceva questo per me? Non era da lei. O per lo meno non l'aveva mai fatto prima.

" Se ti stai chiedendo come mai mi prendo questa briga, beh… Te lo devo, per tutte le volte che ti ho stonato con Joseph "

Annuii. 

" Fai come vuoi, ma non lo troverai "

" Mi piaci quando sei ottimista " sorrise a trentadue denti. Poi si voltò e scese le scale andando al piano di sotto.

" Signor Christiensen, per caso ha un elenco telefonico ? "

 


Due ore dopo Jaqueline mi si presentò davanti all'improvviso strillando come una matta. Mi sbattè un foglietto con degli scarabocchi dritto in piena faccia: lo aveva trovato. Quella ragazza era incredibile; se voleva qualcosa state pur sicuri che se la prendeva, non c'erano limiti per lei. Era la classica persona a cui il mondo le si apriva senza difficoltà né intoppi. 

Presi il foglio in mano e vidi che alloggiava al Grand Hotel Wien. 

' Però.. ' pensai, si trattava bene. D'altronde poteva permetterselo.

" Jaqueline ti sono grata per averlo trovato e per aver sacrificato il tuo tempo, ma seriamente.. Pensi davvero che mi lascerebbero entrare? Lui è uno famoso, e non so neanche quanto, e io sono la prima pazza presa chissà dove che tenta di farsi dire il numero della stanza. Dai.. "

" Mi hai rotto le scatole ! Và e provaci, inventati qualcosa, io ho fatto la mia parte. "

Io rimasi in silenzio a dondolarmi da un piede all'altro, continuando a guardare quell'indirizzo scritto in una calligrafia inquadrabile.

" Fà un tentativo, solo uno… Almeno potrai dire di averci provato "

" Non credo che voglia vedermi " dissi e non dissuasi gli occhi dal pezzo di carta. Guardavo il vuoto.

" E cosa te lo fa pensare di preciso? Se non ci provi non lo saprai mai con certezza "

" Prima mi hai fatto pensare ad una cosa a cui non avevo pensato: il numero. Se avesse avuto voglia di tenersi in contatto con me, ce lo saremmo scambiato "

" Ma forse non ne ha avuto il tempo "

Questo era un punto a suo favore. Ma non mi convinceva. Sospirai.

" Decidi tu, io ora vado - prese la borsa che aveva posato sul pavimento e se la mise attorno al braccio - fammi sapere cos'hai fatto dopo, ma se hai deciso di non andare non parlarmi per almeno due giorni, sarò offesa " disse scendendo le scale. 

Io sorrisi.

" A presto Jaqueline, buona serata "

" Vado da Joseph "

" Come non detto " mi corressi ridendo. Lei mi fece un cenno con la mano e poi se ne andò.
 

 

La rosa dei venti in marmo segnava ' sud '. Le mattonelle lucide facevano risplendere ancor di più l'atrio del Grand Hotel Wien; la luce dei lampadari si rifletteva sui vetri della porta girevole da cui ero entrata. Avevo le mani in tasca, ancora saldamente ancorate a quel foglietto di carta che ormai si era accartocciato. Davanti a me lunghe scale con ringhiere bronzee in ferro battuto portavano al piano superiore, mentre ampi tappeti ricoprivano il pavimento di quella sala. 

" Signorina, ha bisogno di qualcosa ? " mi disse il receptionist da dietro al suo bancone. Io mi avvicinai, ancora spaesata e cercai di trovare le parole, che in realtà non avevo.

 

" Salve, ho chiamato prima, beh in realtà la mia amica, per la camera del Signor Garrett "

" Ah, è lei? " mi guardò con aria scocciata, fissandomi con gli occhiali allungati sul naso. Brutto segno.

" Si. Ecco, vorrei sapere qual'è la sua camera. Oggi ha dimenticato questo libro " dissi mettendo in fila quelle parole. Tirai fuori il libro dalla borsa e glie lo porsi, come prova.

" Mi dispiace, non posso farla salire " disse rivolgendo uno sguardo distratto al libro.

" Ma si tratta solo di qualche minuto, la prego "

" Non so chi sia lei. I clienti di questo albergo si aspettano un'assoluta sicurezza e soprattutto privacy, che ho già violato dopo gli estenuanti e ripetuti tentativi della sua amica. Per quanto ne so potrebbe essere anche una pazza che cerca qualche autografo "

" Oggi ci siamo visti e abbiamo preso un caffè insieme, è per questo che ho il suo libro, lo ha dimenticato - spiegai gesticolando. Lui mi guardò di sbieco - Senta, so che posso sembrarle matta, ma non lo sono, quello che ho detto è la verità "

' Si, molto convincente, complimenti . Dire a qualcuno a cui sembri pazza che non lo sei. Che genio. Idiota ' mi maledissi.

" Se davvero lei e il signor Garrett vi siete visti oggi, sa dirmi com'era vestito ? " mi squadrò guardandomi intensamente negli occhi.

" Jeans, giubbotto di pelle e berretto " dissi tutto ad un fiato.

" Di che colore? "

" Verde scuro " risposi sicura. I tratti del suo volto si ammorbidirono impercettibilmente, segno che avevo aperto una minuscola breccia nella sua espressione impassibile. Era un uomo sulla sessantina, probabilmente lavorava in quell'albergo da tutta una vita, e ci teneva particolarmente a fare le cose in un certo modo. Si sistemò meglio gli occhiali sul naso e si schiarì la voce.

" Bene, vedo che mi sta dicendo la verità signorina - si fermò per smascherare un qualsiasi mio segno di cedimento, ma non trovò pane per i suoi denti. Poi abbassò lo sguardo e si mise a riordinare le scartoffie che aveva dietro il bancone - Stanza 307 " disse poi di botto.

" La ringrazio, è stato gentilissimo " 

" Lei sembra in gamba signorina, non me ne faccia pentire " mi guardò speranzoso.

" Non si preoccupi " lo rassicurai e poi lo salutai.

 

 

Salii le scale per cinque infiniti piani e finalmente arrivai. Mi accostai al muro per riprendere fiato e guardai il soffitto.

C'era un silenzio tombale, il corridoio era vuoto: la moquette rossa, le pareti bianche e beige con piccoli lampadari sul soffitto, lungo tutti i corridoi. 

' Che diavolo ci faccio qui '

Avevo iniziato a tremare al terzo piano, quando tra l'ansimare e il salire le scale mi ero resa davvero conto di dove stessi andando. Le paure e soprattutto i timori erano infiniti: non sapevo se avrebbe gradito la mia presenza lì, se l'avrei disturbato o peggio se l'avrei trovato in compagnia. Quell'opzione mi fece male, come se un ago mi avesse punta inaspettatamente. Tra di noi non era successo nulla, avevamo parlato e non c'era stato alcun contatto fisico, o quasi. Non potevo ignorare certe cose, ma neanche costruirmi castelli in aria come una quindicenne, pensando di aspettarmi chissà cosa. Se c'era qualcosa in cui ero brava era il prepararmi: sapevo prepararmi alle peggiori situazioni, il trucco stava nell'aspettarsi sempre il peggio, accendere il pessimismo a mille e considerare le cose per difetto, mai per eccesso. Non ero riuscita ad essere pronta solo una volta, e ora non l'avrei mai più permesso.

 

Mi diedi una sistemata e mi tirai sù. Potevo farcela, dovevo solo restare calma e sembrare il più naturale possibile.

Imboccai il corridoio alla mia sinistra e guardai i numeri sulle porte, man mano camminando: 304, 305, 306…307. Per un attimo credetti che mi fosse venuto di nuovo l'affanno, ma era tutto nella mia testa. Eccola: la stanza era davanti a me, e lui era proprio dietro quella porta in mogano rosso a pochi passi dal mio cuore ansimante.

Avvicinai l'orecchio al legno verniciato e riuscii a sentire una melodia delicata, che sembrava triste e malinconica. Probabilmente si stava esercitando con il suo violino e io l'avrei interrotto. Non avrei dovuto arrivare fino a li, per cosa poi? Un libro che avrebbe potuto ricomprarsi alla prima occasione. 

La verità era che la mia mente si era già rassegnata a non poterlo rivedere, si era imposta di abituarsi a quest'idea in quel giardino, senza che io le avessi detto nulla, lo aveva semplicemente fatto. Poi Jaqueline mi aveva stravolto: io che avevo già considerato la romantica ed inguaribile idea di tenere quel libro tutto per me, di custodirlo. Di annusare le sue pagine per risentire il suo odore, che a poco a poco si sarebbe affievolito, per poi scomparire del tutto. 

 

Mi feci forza e sistemandomi i capelli dietro le spalle inspirai profondamente.

Mi maledissi, ma nello stesso momento la mia mano battè le nocche sul legno duro e il suo del violino si fermò.

Per qualche secondo ci fu silenzio e poi il rumore dei passi attutiti dalla moquette. In quel momento l'ultima cosa che sperai fu che l'uomo della reception mi avesse mandata nella camera giusta.

 

Il chiavistello scattò e l'uomo che avevo sognato si materializzò al di là della porta che era appena stata aperta. Appena mi vide mi guardò esterrefatto, come se avesse visto un fantasma.

" Ciao, non volevo disturbarti ma.. -lo guardai, ma lui non si mosse di un millimetro, sembrava quasi non respirare - hai dimenticato questo " conclusi, allungando con una mano Le Braci verso di lui, ancora ancorato saldamente alla maniglia.

Lo prese e lo guardò; poi rivolse di nuovo gli occhi a me e fu come se mi avesse fulminato, mi aveva guardata profondamente, quasi entrando dentro l'anima, e lo aveva fatto in un secondo. 

" È il Sentiero del giardino di Giverny " disse guardandomi e in quel preciso istante arrossii violentemente ed ebbe la conferma di non essersi sbagliato. Aveva indovinato il mio quadro preferito, ed io non sapevo davvero come ci fosse riuscito.

" È.. È esatto " riuscii a dire soltanto .

 

Lui si staccò dalla porta, lasciandola e fece un passo verso di me, quasi come a tastare l'aria circostante. Poi si avvicinò di più e repentinamente ci ritrovammo a pochi centimetri l'uno dall'altra. 

Mi guardava negli occhi, fisso, senza mai stancarsi, sembrava quasi che non battesse nemmeno le sue lunghe ciglia. L'intensità permeava l'ambiente intorno a noi quasi disegnando un'aura. Poi mi prese una ciocca di capelli tra le dita e sporgendosi di lato la annusò, inalando profondamente ad gli occhi chiusi. Io rimasi a guardarlo: ora gli ero davvero vicina, così vicina da sentire il suo calore espandersi da sotto la pelle. 

Riaprì gli occhi e prendendomi dolcemente la guancia avvicinò le sue labbra alle mie. Mi baciò piano, quasi come se avesse paura di spezzarmi; l'altra mano mi cingeva la schiena e saliva piano, fino a raggiungere poi il collo. Il bacio si fece sempre più intenso, quasi come se la miccia fosse finita e la dinamite stesse iniziando a detonare: mi strinse il volto tra le mani, agitandosi. Io mi sporsi verso di lui, spingendolo con le spalle alla parete del corridoio. Lui si staccò e il baciò finì: in quel momento rimasi come una sciocca e pensai subito di aver sbagliato qualcosa. 

David mi baciò, stavolta più forte e mi guidò nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle. Seguivo le sue labbra morbide, arrossate, ed il suo corpo, che ad ogni passo sentivo più vicino, come se fosse il complementare del mio. Mi tolse la giacca e la gettò sul divano; riuscii a rendermi conto soltanto che era di colore verde, che riprendeva i toni della camera. 

Mi cinse la vita con entrambe le braccia e mi sollevò da sotto le cosce, mettendomi sulla sua spalliera, baciandomi ansimante.

" Perché sei tornata ? " mi chiese, appoggiandosi sulla mia fronte.

" Non potevo.. Non potevo lasciarti andare " sussurrai  con un filo di voce. Lui mi guardò intensamente, con la stessa intensità di un attimo prima se non di più. Mi baciò. Era come se le mie parole lo avessero determinato ancora di più.

Mi accarezzò i capelli liberandomi il volto, i fianchi, lungo le cosce, sporgendosi verso di me: poi mi prese di nuovo in braccio e io mi avvinghiai alla sua vita continuando a baciarlo, la barba che mi solleticava le guance. 

Ci adagiammo sul letto e mi sormontò completamente, tenendomi stretta fra le sue braccia: non potevo sfuggirgli. Mi baciò il collo, disegnando linee dall'orecchio fin giù al petto.

" Resta con me.. " mi disse ansimando. Continuò a baciarmi a stringermi, sempre di più.

" Non vado da nessuna parte" dissi divincolandomi. Ora ero seduta sulle sue gambe, con il suo sguardo addosso, perso nei miei occhi. Tolsi la sua t shirt e con un gesto rapido rubai il suo elastico, disfacendo il codino lasciandogli liberi i capelli. Erano morbidi, profumavano. Era lo stesso odore della sua pelle. Lui fece lo stesso e mi liberò della maglietta, avvolgendomi con le sue braccia, possenti e sicure ma delicate allo stesso tempo. Mi strinse a se e pensai di essere in paradiso. Ora riuscivo a sentire il suo petto contro il mio, il suo calore sulla mia pelle, il suo cuore che batteva irregolare e bellissimo. 

 

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Capitolo 7
*** Bittersweet, I Want You ***



Mi svegliai in piena notte, come da un sussulto. Sentivo la sua mano calda sotto lo sterno e il suo respiro caldo sul collo, proprio come quella mattina. Avevo il suo profumo addosso, ora si era fuso con il mio e riuscivo a sentirlo intorno a me, come un velo protettivo. Mi voltai piano, per non svegliarlo e quando fu nella mia visuale mi accorsi che anche lui era sveglio. 

" Cosa fai? " chiesi in imbarazzo, come se mi avesse colta in flagrante.

" Ti stavo osservando… Non sono riuscito ad addormentarmi. E tu invece? " mi aveva guardata tutto il tempo. 'Che vergogna' pensai tra me e me. 

" Mi sono svegliata di colpo, non so perché.. "

" Forse ti mancavo… Tu mi mancavi " disse sorridendo lievemente,  puntandomi la bocca.

" Probabilmente " dissi, girandomi totalmente, sistemandomi di fronte a lui; i nostri visi vicinissimi. Lo guardai negli occhi e poi prese a giocare con una ciocca dei miei capelli.

" Come hai fatto ad indovinarlo ? - chiesi, riferendomi al quadro - non ho aperto bocca quando ci siamo passati davanti, eppure tu.. ci sei riuscito lo stesso "

" Non te ne sei accorta, ma i tuoi occhi ti hanno tradita… Nel momento in cui lo hai visto hanno iniziato a brillare, erano luce " disse con trasporto.

" Chi sei tu? " sussurrai. La domanda rimase a mezz'aria e lui continuò a guardarmi, baciando i capelli rossi.

" Sai molto più di me di chiunque altro, questo com'è possibile ? "

" Forse ci siamo davvero incontrati in un'altra vita, per poi perderci "

" Io non credo in queste cose… "

" Nemmeno io.. Ma questi sono i fatti. Insomma, perché allora mi avresti sognato? "

" Concindenze "

" A me non è mai capitato di sentirne una così strana "

" Neanche a me… - mi fermai a guardarlo: i tratti del suo volto, gli zigomi, le sue mani perfette con unghie leggermente lunghe e appuntite verso il centro - Hai detto di avermi sognata, con un vestito blu.. Nel mio sogno ero vestita allo stesso modo "

Alzò il sopracciglio schiudendo le labbra come per dire qualcosa, poi si fermò.

" Raccontami il tuo sogno " dissi. Lui si sporse in avanti avvicinandosi di più, stringendomi fra le braccia, poggiando poi la fronte alla testiera del letto imbottita e ricoperta di tessuto turchese.

" Ricordo poco… - esordì schiarendosi la voce - Stavo suonando una canzone che non avevo mai suonato e quando aprii gli occhi mi ritrovai in una sala da ballo maestosa, la luce mi accecava, e poi ti vidi : eri in cima ad una scala, ed eri vestita con un lungo vestito blu, blu intenso " si corresse. Guardava il soffitto, strizzando gli occhi affinché ricordasse meglio.

" Poi ti venni incontro, ma non ti conoscevo, e nonostante questo c'era qualcosa dentro di me, qualcosa di rassicurante che mi spingeva da te, che mi spingeva a fidarmi. Era come se avessi bisogno di te in quel momento. E quando ti baciai, fu come se… " si perse tra i ricordi, lasciando in sospeso quelle parole.

" …Come se ti conoscessi da sempre?" azzardai, consapevole dentro di me che doveva per forza essere così. Il suo sguardo guizzò su di me, rapito dai suoi pensieri. Rimase stranito, come sopraffatto.

" Si " 

" Ti sembrerà assurdo, ma il tuo sogno è uguale al mio, o almeno ad una parte " 

" Credi ancora nelle coincidenze? " 

" Devo " scosse il viso in segno di disapprovazione. Infondo ero un'irrimediabile anima irrazionale, per quanto potesse sembrare contraddittorio. Io andai contro il suo petto, posandoci il volto che s'irradiò immediatamente del suo calore rigenerante.

" Il tuo profumo è così buono " mi uscì di bocca in meno di un secondo, mentre ero ancora intenta ad inalare tutto il suo odore, ad occhi chiusi. Lo sentii sorridere e baciarmi sul capo con dolcezza. 

" È come se fossi stato sempre con me… Non mi abituerò mai a questa strana consapevolezza " dissi accarezzandogli l'addome, arrivando fino al suo tatuaggio a forma di V. Pensando alle parole che avevo appena pronunciato, mi venne un istintivo senso di tristezza.

" Domani devi davvero andar via? " gli chiesi alzandomi su un gomito.

" Purtroppo si… " si fece scuro in volto non appena udì la mia domanda. Era chiaro come il sole che non era ancora rientrato nei cancelli del mondo reale. In quel momento mi rimproverai di non aver avuto la capacità di godermi quel momento e di aver permesso che la mia mente si rimettesse in funzione. Avevo paura, paura di non rivederlo più.

" Cosa.. Cosa facciamo? " dissi, guardandomi intorno, massacrandomi le unghie con lo sguardo basso.

" ..Non lo so " tentennò. Lo guardai e poi mi alzai, mi misi seduta dandogli le spalle. Ora guardavo l'armadietto con dentro la tv : vidi la mia immagine riflessa nel suo schermo e constatai che ero un disastro, ma in quel momento come apparivo non m'importava minimamente. Mi presi le ginocchia tra le braccia e ci appoggiai il viso stanco.

" Non ha mai funzionato… Voglio dire, la lontananza. È terribile " disse flebile, rivolgendo lo sguardo alla finestra. Riuscivo a vedere le sue mosse chiaramente, senza farmene accorgere.

" Avrei dovuto saperlo - dissi improvvisamente rabbiosa - avrei dovuto capirlo il primo momento in cui mi hai guardata " mi alzai di scatto tirando le coperte. 

" Ma cosa dic.."

" Forse sono solo un'altra delle tante..  Forse guardi tutte  in quel modo, con quell'intensità negli occhi - dissi con voce tremante. Ero di fronte a lui, in piedi, con le lenzuola avvolte al bacino. Lo guardai e poi sorrisi triste, sarcastica- Io non ti conosco nemmeno, che diavolo ci faccio qui " chiesi retorica. Velocemente iniziai a raccogliere i miei vestiti sparsi sul pavimento, ma sentii un braccio afferrarmi, sorreggermi.

" Io non vado a letto con la prima che mi capita "

" Lo hai appena fatto " dissi risentita. Non sapevo bene se mi stessi insultando da sola; probabilmente sì.

" Ti sbagli. Tu.. tu sei diversa, Cristo, lo hai detto tu stessa - iniziò a contraddirmi con fervore - sono due giorni che parliamo di sogni, sensazioni, impressioni "

" Esatto, e non sono nient'altro che questo. Pensaci " mi strinse sopra i fianchi, con forza, ma senza farmi male.

" Tra noi c'è qualcosa, qualcosa che non ha un nome, ma che nessuno di noi due può negare - sospirò specchiandosi dei miei occhi - Non puoi semplicemente buttarla su quel piano e andartene. È troppo facile "

" E cosa dovrei fare? Parti domani e non so neanche se potrò vederti ancora. Due secondi fa sei stato tu stesso a dire che non credi alle cose a distanza "

" Parlo per esperienza. Vivere una persona a distanza è orribile, a un certo punto la musica non ti basta più. Non ti sazia più " disse, guardandomi negli occhi ma fissando il vuoto nelle iridi. 

Ci sedemmo sul fianco del letto, senza lasciare la presa. Lo ascoltai, semplicemente.

" Sono stato con donne che vedevo poco, molto poco. Sono via trecento giorni l'anno, non riesco a stare a casa mia, figuriamoci a costruire un rapporto. Tu dirai, 'perché loro non ti hanno seguito, perché non sono venute con te?' è semplice parlare, ma realtà è sempre molto diversa dalle parole che si dicono. Alla fine anche con le migliori intenzioni, si finisce col privare l'altro della propria vita… - si fermò, quasi a riprendere fiato dai suoi ricordi - In altre parole, tutte le volte che ci hanno provato, non è andata, semplicemente. Questo è il motivo principale per cui tutte le mie relazioni sono durate solo pochi mesi " si giustificò.

Ero senza parole. Ero sconfortata. Ma la mia mente gli dava silenziosamente atto che aveva ragione, ma taceva.

" È per questo che non credo alle relazioni a distanza, a tutte le promesse che si fanno e che poi non si mantengono, ma non perché non si riesca a mantenerle; perché ad un certo punto ci si rende conto che non vale la pena sacrificare la propria felicità per qualcuno che vedi cinque o sei volte l'anno. Non ne vale la pena… E io voglio evitarti tutto questo, questo schifo. Ho rinunciato all'amore per la musica ed è successo e basta…ma ne ero consapevole, lo sono sempre stato " 

" Capisco.. " riuscii a dire soltanto.

" Non voglio che tu soffra… Certo l'ho fatto, l'ho fatto nel momento esatto in cui ho aperto quella dannata porta, ma in questo modo non dovrai star male oltre. È per questo che me ne sono andato oggi - disse distogliendo o sguardo, imbarazzato - i miei appuntamenti potevano aspettare in realtà, ma non ho voluto prolungarmi di più. Sapevo che ancora pochi minuti e ti avrei rapita "

In quel momento aprì una breccia del mio cuore, nella carne, squarciandola con forza. 

" Te lo avrei lasciato fare " tremai. Lui si voltò, ora mi guardava di nuovo.

" Alla fine sei riuscita a scovarmi.. Sei stata tu a rapirmi. Come quando ti ho guardata per la prima volta ieri sera, mentre mi applaudivi non sapendo neanche chi fossi " 

" Mi fa male pensare di lasciarti andare " dissi d'un fiato, continuandolo a guardare negli occhi, nonostante sentissi che diventavano appannati e pungenti.

" Non lo voglio nemmeno io, ma sarà più facile….per entrambi "

" So che hai ragione, ma non voglio accettarlo " diedi voce ai miei pensieri. Mi strinse forte a se, avevo il viso che affondava pienamente nei suoi capelli sciolti sulle spalle. Tentavo con tutta me stessa di imprimermi nella memoria quel momento, quel profumo, quel calore.

" Tornerai? Qui… a Vienna? "

" Come posso non farlo? Non voglio dimenticarti, cancellarti… Non lo vorrei mai. Voglio rivederti, ascoltarti di nuovo parlare, ridere "

" Sarebbe ora di scambiarci i numeri " dissi pensando alla faccia di Jaqueline mentre le dicevo che non avevo il suo numero.

" Certo, tutto quello che vuoi… Ora vieni qui " mi disse, stringendomi ancora di più, più di quanto avessi potuto immaginare. Era così bello vivere, respirare tra quelle braccia, rassicurante e perfetto. 

" Devo fare una cosa " dissi alzandomi in punta di piedi. Lui mi guardò perplesso e attese che uscissi dal bagno.

Rovistai tra le sue cose, sentendomi come un'intrusa e trovai una piccola forbice argentata. Mi guardai allo specchio e sfilai una ciocca rossa dalla chioma riversata sulle spalle; la tagliai quasi alla radice e la legai con un elastico. Chiusi la luce e ritornai da David con una parte di me in mano.

" Ho visto che i miei capelli ti piacciono parecchio - abbozzai un sorriso - questa è per portarmi sempre con te, o almeno per avere una parte di me vicina ovunque andrai, ovviamente se vorrai " mi rabbuiai.

Lui me la prese di mano con delicatezza e tra le dita la annusò.

" Profuma di vaniglia, come la tua pelle - immediatamente arrossii - La porterò sempre con me, te lo prometto " disse, poi si alzò a mi prese le mani, congiungendole. Posò il mio regalo sul comodino al lato del letto e i accarezzò piano le braccia, fino alle spalle. Ad ogni suo tocca la pelle mi bruciava, disegnava strisce di fuoco, una dopo l'altra. Mi guardò, ero completamente nuda, lo eravamo entrambi.

" Sei bellissima " disse. Io mi coprii leggermente i fianchi, sentendomi improvvisamente a disagio.

" Non devi nasconderti, mai " mi ammonì con un bacio. Ero stupita.

" Ma hai appena dett…. " mi mise un dito sulle labbra fermando il corso delle mie parole.

" Stanotte non voglio pensare a domani, voglio pensare solo a te - disse tirandomi a se con il mento - È presto per iniziare a stare male. Il nostro incantesimo non è ancora finito "

" L'alba è lontana.. " aggiunsi di rimando, quasi guidata dalle sue parole, in balìa dei suoi occhi che mi guardavano come se fossi l'essere più bello che fosse mai esistito, con desiderio e gentilezza. 

 

Iniziò a baciarmi la spalla, percorrendo la clavicola e poi il collo, accaldato. Fuoco. Mi strinse, gettandomi sul letto, torreggiando su di me. Le sue braccia forti sembravano davvero delle torri attorno a me, pronte a proteggermi da qualsiasi cosa potesse scalfirmi. I baci si susseguivano, sempre con minor distanza l'uno dall'altro, ansimanti. Mi morse il collo piano, quasi come un gioco. Le mie mani correvano sua schiena, dalle spalle ai fianchi, indugiando sulle scapole, dove le unghie corte lo ferivano lievemente. Mi guardò, perso, ed io lo guardai, persa.

" Voglio perdermi in te " dissi di getto, non riuscendo più a controllare le mie emozioni irrequiete.

" Non aspetto altro .. " sussurrò.




" Devi proprio andare, vero? " dissi malinconica sorseggiando il mio thè alla vaniglia.

" Si… Devo arrivare sempre due giorni prima di una data; le persone con cui lavoro, l'orchestra, cambiano sempre e sai, ci si deve coordinare "

" Capisco..  - accarezzai la ceramica con il pollice, poi la misi giù, decidendo che fosse ancora troppo calda - Com'è vivere la tua vita? " diedi voce ad un pensiero.

" Bello, impegnativo.. Com'è vivere? Il mio è un lavoro come un altro da alcuni punti di vista, ma spesso mi perdo i momenti migliori " disse accarezzandomi il ginocchio.

" Dove sei cresciuto? " gli chiesi appollaiandomi sul cuscino. Avevamo ordinato la colazione e la stavamo mangiando seduti a letto, tra una chiacchera e l'altra. Era come se volessimo conoscere più informazioni possibile l'uno dell'altra.

" In Germania con i miei genitori e fratelli, mia madre era una ballerina sai, per questo viveva lì, ma aveva origini statunitensi. Poi sposò mio padre, ed eccomi " disse con un sorriso mesto.

" I miei s'incontrarono a New York, studiavano entrambi alla Juilliard "

" Io ho studiato lì - s'illuminò - è fantastica, ma richiede sforzi non comuni. Voglio dire, ti assorbe completamente "

" Io non l'ho mai vista, solo sulle riviste e nelle vecchie fotografie "

" Tu dove sei cresciuta invece? "

" Proprio qui .. "

" Non hai un accento molto marcato… " mi guardò in cerca di risposte. Sapeva che bastava spingere solo un altro di più per farmi parlare.

" Ho abitato per anni a Parigi, parlato il francese e tutte le altre cose che si fanno in Francia " dissi gesticolando.

" Mi è sempre piaciuta Parigi, possiede un romanticismo innato, chissà forse scorre nella Senna e irrora tutto e tutti - rise - Quale era il tuo posto preferito lì? " chiese curioso.

" I cimiteri -dissi a disagio. Mi prudevano le mani - È strano lo so, ma hai presente il loro silenzio? M'infonde una gran calma. Ogni settimana andavo di nascosto a Montparnasse "

" Conosco quello di Père-Lachaise, famoso per i nomi illustri che vi sono sepolti " disse interessato.

" Si, anche quello è molto bello, forse quello che lo è di più " 

" Allora perché non è il tuo preferito? " 

Tentennai. Non sapevo se dirgli quel mio piccolo segreto o se continuare a tenerlo per me. Avevo paura che mi avrebbe riso in faccia. Probabilmente lo avrebbe fatto.

" A Montparnasse è sepolto Baudelaire - dissi schioccando la lingua al palato - Sai, è sempre riuscito a capirmi più di chiunque altro " dissi evasiva. Lui sorrise.

" Ho sempre trovato come una sorta di ossessione quella che la gente ha di portare fiori sulle tombe di poeti, musicisti, persone famose. Però tu ne parli come se fosse la cosa più giusta e naturale del mondo. Quasi come se lo avessi conosciuto, se stessi visitando la tomba di un tuo parente "

Mi voltai, e guardai oltre le tende, oltre le fibre di tessuto. Non riuscivo a vedere niente.

" Un giorno smisi di andarci " sibilai con lo sguardo perso.

Silenzio.

" Tutto bene ? " mi chiese a bassa voce mettendomi la mano sul braccio.

" Si " dissi distogliendo lo sguardo dalla tenda.

" Ho detto qualcosa di sbagliato? " lo guardai timidamente e cambiai argomento scuotendo la testa.

" Come sei finito a suonare il violino? Hai imparato a scuola? " 

Lui si stranì all'inizio, e poi si convinse che fosse meglio rispondere e abbandonare l'argomento precedente.

" No, no.. È stato molto più naturale. Tra mia madre ed anche mio padre, in casa c'erano sempre molti cd di musica classica, sai, roba da opera e balletti. Un giorno mio fratello prese a suonare il violino, non ricordo il motivo principale, ma ricordo che da un giorno all'altro volli imparare anch'io. Sai, è stato come un amore a prima vista. Ma devo ammettere che ho avuto anche una bella dose di fortuna. Sicuramente in alternativa avrei fatto il manager, forse di un musicista " disse alzando gli occhi al cielo pensoso.

" Io avrei voluto fare la scrittrice "

" Beh, sei in quell'ambiente però… Se ti sforzi e soprattutto se ci credi davvero non c'è motivo per cui tu non possa farcela "

" Ho abbandonato l'idea.. Mi sono limitata a realizzare parte del sogno "

" Quale? "

" Studiare letteratura. Come avrai capito la lettura è una mia grande passione. La finzione a volte, quasi sempre, è molto più soddisfacente della realtà. L'unica pecca è che sfuma velocemente, sparisce appena arrivi all'ultima pagina. Il lato positivo è che puoi rileggere il libro " dissi ridendo, quasi rassegnata.

" Cosa credi manchi alla tua vita? " strinse le palpebre leggermente, quasi per mettermi meglio a fuoco. Mi grattai dietro la nuca.

" Serenità - pensai dicendo - forse è in questa parola che si può riassumere tutto "

Mi accarezzò la guancia, sollevandomi il volto, affinché lo potessi guardare in viso.

" Non so se io abbia il diritto di dirtelo ma… Qualunque cosa tu abbia passato, devi cercare di lasciarla indietro. I ricordi possono essere come del veleno nascosto in una succulenta e scintillante mela rossa. Non puoi fidarti " disse malinconico.

" Come si fa a lasciare indietro una parte di te stessa? " domandai guardandolo intensamente, voltandomi.

" A volte è necessario spezzarsi dentro per andare avanti, suppongo "

" Hai mai provato una cosa così..? Hai mai dimenticato i ricordi? "

" Non credo sia possibile… Sarebbe come dimenticare noi stessi, chi siamo.. Sono spine, ma aiutano ad andare avanti, anche se in uno strano modo. Sai, come quando non si rimuove una spada in pieno petto per non sanguinare di più "

" Quindi non c'è soluzione " conclusi affranta e pensierosa.

" Bisogna imparare a convivere con il dolore… Non si può controllare, ma forse si può assopire "

" C'è bisogno ti tempo, vero? "

" Credo di si.. " i suoi occhi erano curiosi di sapere da dove venisse la tristezza dei miei, ma non me lo chiese. Rimase lì con le mie pene e mi abbracciò. Il suo calore poteva sul serio lenire le ferite della mia anima, o era solo un'allucinazione? Sentivo un calore strano nel suore, curativo.

" A volte ho l'impressione che tu sia la mia medicina " mi sfuggì.

Mi baciò, guardandomi dall'alto, dicendomi:

" È una delle cose più belle che potessi dirmi.. " sorrise.

" Sarà dura.. " dissi, e lui capii cosa intendessi. Entrambi guardavamo fisso davanti a noi, guardavamo la fine di un film ormai ai titoli di coda nello schermo della tv, spenta.




Ci rivestimmo, facendo prima la doccia insieme: ci insaponammo a vicenda, lui mi massaggiò dolcemente le spalle e la schiena e poi la baciò.

I suoi capelli s'inscurirono sotto il getto dell'acqua, appiattendosi ai lati delle orecchie. Mentre lo guardavo a volte mi sembrava come un sogno, e in realtà lo era. Mi baciò sulla fronte, stringendomi a sè. I nostri corpi aderirono completamente l'uno all'altro, neanche l'acqua riuscì ad insinuarsi tra di noi, scorrendo via dalle nostre spalle. Ricordo di aver pensato che quel momento non finisse mai. Non provavo alcun imbarazzo, niente. Ero semplicemente me stessa, come non lo ero da tanto, troppo tempo. Forse era proprio questo il motivo che mi attraeva di più a lui.

 

 

Il momento di salutarci arrivò, come un fulmine a ciel sereno, perché nessuno dei due voleva davvero che tutto quello finisse. 

" Dovrei tornare a Vienna entro l'anno.. Se vuoi possiamo rivederci "

" Mi piacerebbe " lo guardai. Aveva una sciarpa leggera che teneva larga attorno al collo, un giubbotto nero e i suoi immancabili anelli. Li guardai.

Lui se ne accorse, per la seconda volta, e ne sfilò uno dal dito.

" Anch'io voglio che tu abbia qualcosa di mio… Questo mi è sempre piaciuto molto "

" Non voglio che te ne privi, è troppo personale "

" Più dei tuoi capelli? " disse ammonendomi dolcemente.

" Hai vinto tu.. - Mi prese la mano e infilò il pesante anello in argento all'indice. Ora un serpente si era accoccolato al mio dito, avvolgendolo sotto il suo corpo tempestato pietre nere -  È meraviglioso " continuai a guardarlo.

" Si avvolgerà a te come vorrei fare io… Ti abbraccerà "

Lo strinsi tra le dita, quasi facendomi male. 

" Grazie ..- dissi con gli occhi lucidi- Non so per quale motivo io ti lasci farmi questo ma… Diavolo - esplosi, continuando a gesticolare - è come se mi leggessi dentro, e quando cerco di pensare razionalmente ti guardo e una vocina mi ripete che devo fidarmi di te "

" Anche il mio cuore… Forse ci siamo sempre fidati l'uno dell'altra, senza neanche accorgercene"

" Si.. " 

Il uomo con una felpa grigia lo chiamò, ricordandogli dell'aereo da prendere.

Sentii il cuore prepararsi ad un tuffo nel vuoto, allo schianto sulle rocce della scogliera.

" Ricordati di chiamarmi, per qualunque cosa… "

" Lo farò.. " dissi con le migliori intenzioni. Mi prese il viso fra le mani un'ultima volta e mi baciò con passione. La stessa intensità di quel sogno, quel meraviglioso sogno. Poi si appoggiò sulla mia fronte esausto, vinto dalle proprie emozioni, baciando anch'essa e ad occhi chiusi mi sussurrò tremante parole dolci ma piene di malinconia. Il suo odore sul mio viso, sui miei vestiti, sulla pelle.

" A presto, piccola Desdemona .. " 

 

 

Salì sull'Audi grigio metallizzato e mi salutò dal vetro. Io feci lo stesso; sembrava uno di quegli epici addii, come nei vecchi film americani. Il cielo era grigio e per un attimo ebbi davvero l'impressione di vivere in un mondo bianco e nero. La luce e l'oscurità, la felicità e la tristezza. 

Ci guardammo un'ultima volte e i suoi occhi sparirono dalla mia visuale annebbiata, i suoi grandi occhi color nocciola, caldi e rassicuranti.

Il vento soffiò e sembrò quasi come se insieme alle poche foglie sul marciapiede, avesse portato via anche lui. Via da me.

 

We just wanna be whole again, again..


Vogliamo solo sentirci interi di nuovo, di nuovo.

 

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Capitolo 8
*** Distance ***



" Allora, ci vieni stasera al pub?" 

" No Jaqueline, ho un gran cerchio alla testa, mi dispiace "

Lei borbottò qualcosa e poi fece un colpetto di tosse.

" Ehm.. Guarda che è la stessa scusa della settimana scorsa, dovresti almeno studiartele meglio " la guardai, stanca. Non le avevo mentito, nessuna delle due volte, ma in parte era vero ciò che affermava.

" Non me la sento, tanto non sei sola, voglio dire, Joseph non viene? " presi il cappotto da dietro il bancone e lo indossai.

" Buona serata signor Christiensen "

" Anche a voi ! " disse felice di vederci andare via.

Cercai una mentina nella borsa e quando la trovai la inghiottii.

" Desdemona, devi finirla con questa storia assurda "

" Quale storia? " dissi acida ma indifferente, scontrandomi con il fresco dell'aria di giugno.

" Sono passati due mesi, due. Due mesi che non fai altro che pendere da quel telefono e sussultare ogni volta che squilla. State insieme? Rispondimi stavolta " si arrabbiò.

" Non credo, no. Non è una relazione "

" Ecco. Quindi per l'amor di Ronnie James Dio, smettila di comportarti come una vedova solitaria. Non ha detto anche lui che è meglio se restate amici? Allora fallo e inizia a vivere come facevi prima " 

Prima? L'unico momento in cui mi sono sentita quella di << prima >>, quella di una volta, è stato con lui. Quando se n'è andato sono tornata alla realtà, e lo ammetto è stata dura rientrarci, ma non mi conosci abbastanza se affermi che prima ero felice o altre strozzate varie. 

La mia mente esplose, la mia parlantina no.

" Jaqueline, ma che cosa vuoi da me? Vuoi che venga con te a quella stupida festa? Ok, lo farò ma poi? Non mi alletta per niente l'idea di vedere gli altri, ne di sentire te e Joseph litigare come cane e gatto. Voglio andare a casa, fare un bagno caldo e guardare un film "

" Se solo ti aprissi di più… "

" Sai come stanno le cose.. Te l'ho spiegato "

" Si, ma non so come stai tu… Insomma - continuammo a camminare per la strada, mentre le vetrine ad una ad una si abbassavano con le luci spente - dici di stare bene e l'attimo dopo quasi non contieni i lucciconi. Vorrei starti più vicina ma non me lo permetti, vorrei aiutarti, ma mi schivi "

" Sei molto dolce Jaque, ma quando sto così, mi piace stare da sola… Apprezzo molto quello che fai, tutti i tentativi per farmi distrarre, ma dovrà passare…deve. " guardai fisso davanti a me, le luci delle strade che iniziavano ad accendersi e a brillare.

" Ricordati che sono tua amica.. " 

" Lo so, certo che lo so… Però non preoccuparti "

" Spero che non debba davvero "

Arrivammo al semaforo e poi ci separammo.

" Passa una buona serata allora " disse.

" Anche tu Jaque, e divertiti non litigare " le sorrisi, poi mi voltai ed entrai nella metropolitana scendendo le scale ripide.

 

La metropolitana di Vienna era diversa da ogni altra. Ogni sua stazione era lungi dall'essere monotona e omologata, tranne quelle più moderne, un non-luogo che si faceva presto a confondere. No, ogni fermata era diversa con i suoi particolari, e le mie stazioni preferite erano quelle più antiche, con parti in legno verniciato di un verde chiaro antico, pieno di crepe ed angoli scheggiati. Il tempo era passato portando con se i giorni migliori di tutte quelle architetture, ma lasciando un'infinita bellezza che non sarebbe mai svanita. Questa è la differenza tra gli edifici e l'essere umano: noi invecchiamo, la nostra pelle si raggrinzisce e i capelli s'imperlano di grigio, ed intanto perdiamo persone importanti camminando per il nostro percorso, che non è poi tanto lungo. Le pareti hanno occhi, custodiscono segreti, hanno visto nascere, crescere, invecchiare e morire molte persone e nonostante tutto sono ancora qui, ancora in piedi, forti e vigorosi, quasi fossero lo scheletro portante e la memoria di noi esseri viventi. 

 

L'aria mi prese per la seconda volta di sorpresa; nonostante fossimo alla fine di giugno, di sera a volte un venticello freddo si faceva largo fra le strade, smuovendo i rami degli alberi dalla loro staticità estiva, creando turbinii ed onde sulla superficie dell'acqua delle fontane e dei laghetti.

I lampioni facevano risplendere le pavimentazioni e si specchiavano sulle vetrine dei piccoli negozi. Quella sera c'era poca gente attorno ai tavolini della gelateria, famosa per il suo gusto sacher artigianale. 

Di solito mentre camminavo, mi capitava spesso di guardarmi i piedi, soprattutto quando conoscevo bene il percorso che stavo intraprendendo. In quel momento lo feci, e mi resi conto che le mie scarpe erano davvero rovinate, arrivate decisamente al capolinea e che era ora di gettarle nella pattumiera. Mi dissi che l'avrei fatto appena arrivata a casa, ormai mancava poco. Strinsi la giacca al petto  e di colpo il cellulare squillò, il vento mi accarezzava i capelli vicini alle tempie. Lessi il nome sullo schermo - risposi.

 

" Com'è andata? Dio, racconta "

" Desdemona, cavolo, non avevo mai visto tutta quella gente. Le cose si stanno smuovendo più di quanto mi aspettassi "

" Te l'avevo detto - sorrisi attraversando la strada - era inevitabile, tu sei fantastico. Streghi le persone "

Silenzio.

" Già, forse è così… Tu come stai? "

" Tutto bene, qui niente di nuovo, tutto uguale " sospirai.

Silenzio.

" Ti ho pensata… - disse, poi si schiarì la voce e continuò piano - ti ho pensata durante Stop Crying, ricordi? "

" Si, certo … Anche io ti ho pensato "

" E a cosa hai pensato? " che domanda bastarda. Si sarebbe accorto che improvvisamente arrossii anche a dieci mila chilometri di distanza. Furbo.

" A tutto, a niente "

" Cosa vuoi dire? "

" Mi sono resa conto che  è difficile lasciarti andare… Molto di più di quello che pensavo "

" Non voglio che tu mi lasci andare .. "

" Devo, prima o poi… Lo hai detto anche tu che non è possibile… "

" Lo vorrei davvero " gli si smorzò in gola.

" Anch'io.. Anch'io " guardai assente la notte davanti a me.

" Hai programmi per stasera o sei sola? "

" Cos'è, sei geloso Mr Garrett ?" chiesi scherzando, sdrammatizzando. Sentì un sorriso anche dall'altro capo.

" Mi preoccupo solo per te. Ti isoli troppo, sei sempre sola "

" Ma ci sei tu… " mi sfuggì.

Sentii l'amarezza, una nota d'amarezza nel suo respiro.

" Cazzo, devi smetterla David… Non riesco a tenermi nulla per me da quando ti conosco. Davvero, è insopportabile "

" Invece è una cosa che mi piace, sei sincera. Dovresti esserne felice "

" Sono anche troppo sincera - mi morsi un labbro. Intanto aprii il portone ed iniziai a salire le scale - Tu invece cos'hai in programma? "

" Solo tanto riposo, mi sono chiuso in camera e non credo che avrò neanche la forza per togliermi i vestiti di dosso " 

" Jet lag eh? Brutta bestia"

" Puoi dirlo forte "

" Sai, dovresti comprarti un libro super noioso così basterà iniziarlo a leggerlo quando l'aereo parte per farti sette ore filate di sonno. Provalo, secondo me funziona ! "

" Seguirò il tuo consiglio, di solito sono sempre ottimi "

" Che film mi consigli per stasera? Sono molto indecisa, sceglilo tu per me " mi comportavo davvero come se lui fosse lì con me, quando in realtà era solo un'ombra che si proiettava dalla mia mente alla realtà. Sembravo una vedova che non riusciva a liberarsi del fantasma del marito, Jaqueline aveva perfettamente ragione.

" Chiama Jaqueline e invitala, almeno passi la serata con lei "

" È al pub. So quello che stai per dirmi, ma avevo un gran mal di testa e non ci sono andata, mamma "

" Sei l'unica persona in assoluto che conosca che non sappia inventare una balla decente! " 

" Beh, meglio così no? Allora, quale film mi consigli? "

" Musicale "

" Giuro che se rivedo August Rush stavolta piango senza smettere fino a lunedì "

" Allora un thriller "

" Va già meglio, grazie " - feci cadere le chiavi sul pavimento e con uno sbuffo le raccolsi, entrando nell'appartamento.

" Cos'è quel fracasso, hai rotto qualcosa? "

" Mi sono cascate le chiavi, sono appena rientrata "

" Non dovresti ritirarti da sola, almeno compra un'auto, così devi fare solo le scale e sei già dentro " a volte si preoccupava in un modo così dolce, sembrava che ci tenesse davvero a me.

" Non mi piacciono le auto "

" Sei una ragazza strana, quasi a tutti piacciono le auto "

" Io sono Quasi " dissi sorridendo.

" Forse è un punto a tuo favore, chissà "

" Sei sempre pieno di complimenti, eh! "

" Non fare la permalosa, lo sai che vai bene così come sei. Altrimenti non saresti tu "

" A quanto dici sembra che tu mi conosca da sempre, e invece è solo da pochi mesi "

" Non saprò i particolare, ma ho capito come sei davvero "

Mi sedetti sul letto a riposarmi, lasciando la borsa sul pavimento.

" Ah si, e come sono? " 

Silenzio. 

" Sei strana, ma dietro la maschera di stranezza che indossi quasi involontariamente ce n'è un'altra, fatta di dolore e lacrime… Qui però mi hai fermato, ricordi? Non sono riuscito ad andare oltre, ma sotto tutti quei muri ci sei tu, la stessa che scherza, che ride delicatamente portandosi una mano al mento, tu "

Rimasi spiazzata per un attimo, come tutte le volte che mi faceva un complimento, che scavava, che s'insinuava dietro quei muri di cui parlava con un piccone.

" Chi sei tu, David? " sospirò.

" Credo che non smetterai mai di farmi questa domanda, vero?.. "

" Credo che non smetterai mai di cogliermi di sorpresa " sorrise. Se chiudevo gli occhi riuscivo a vederlo, di fronte a me. 

" Spero proprio di no, come spero che non smetterai tu di farlo "

 

Ed eccolo lì, che di nuovo lasciava e sparpagliava indizi nella mia povera mente già parecchio confusa. Cercava di dirmi di non smettere, di continuare a parlare con lui, a fargli compagnia. Continuava a tenermi vicina a sé, era straordinariamente bravo in questo. E forse, poi, era la medesima ed identica cosa che facevo io. Ad entrambi sembrava piacere sguazzare in quel tipo di dolore, soffocante. O almeno per me. Lui non mi diceva mai, semmai lasciava solo intendere quanto stesse male. 

Perché ci tenevamo ancora ancorati l'uno all'altra? Dopotutto era stata una notte, una sola bellissima notte. Non l'avrei mai dimenticata, ma poteva bastare? Poteva bastare per legarmi ad una persona così tanto? Poteva bastare per riservarmi a lui soltanto? Poteva bastarmi per continuare a respirare? Ad arrancare nel buio.
 

 

Le giornate in libreria passavano piene, grazie alla bella stagione e ai fiori nelle aiuole dei parchi che portavano innumerevoli turisti in quella che sentivo vicina a definire la mia città. Per lo più i turisti acquistavano guide e mappe, e i più acculturati aggiungevano al conto libri sui personaggi illustri che erano vissuti, passati o anche solo sepolti a Vienna. Il signor Christiensen mi diede anche un piccolo aumento, e non mi fece che piacere, dal momento che sul fronte traduzione non c'erano notizie ormai da mesi. 

In quel periodo leggevo avidamente, come se volessi vivere dentro quello spessore leggero che hanno le pagine e non nella mia vita. La finzione era sempre bene accetta, una finestra che dava sul mondo perfetto, sul mondo irrealizzabile. Continuavo ad amare molto la lettura perché mi faceva sentire a casa e soprattutto mi faceva sentire senza alcun difetto, perché tra quelle righe io non avevo volto, se non quello dei protagonisti narrati. A volte mi piaceva estraniarmi da me stessa, spersonalizzarmi.

Mia madre era sempre precisa, attenta e meticolosa nel rito delle sue telefonate. Mi chiedeva sempre le solite cose, come stavo, se mangiavo a sufficienza e se c'erano novità. Verso la metà di luglio, durante la pausa in un caldo pomeriggio, quando risposi al telefono ebbi per un minuto un tuffo al cuore. Successe qualcosa che mi stupì, che in qualche modo mi smosse qualcosa dentro, che poi però ritornò al suo posto.

 

" Come stai, papà? " 

" Bene, continuo a prendere quelle inutili medicine, ma un giorno o l'altro smetto " lo diceva sempre, e appena glie lo sentii dire sorrisi.

" Dovresti, ma prima consulta il tuo dottore, non si sa mai. Come vanno le cose a Parigi? " chiesi.

" Tutto piatto. L'ultima volta che io e tua madre siamo andati all'opera siamo rimasti molto delusi, è da almeno due stagioni che assumono gente che 'prova' a suonare. Improponibile "

" Beh, potresti consigliarli, dopotutto ti conoscono da una vita, si fideranno di te "

" Sai, potrei anche farlo ma, se sei bravo in una cosa perché farla gratis? " era tipico di lui: me lo aveva sempre detto, notai se non altro che da quel lato non era affatto cambiato. Tra noi c'era come un imbarazzo in apparenza sottile ma in realtà profondo, come uno squarcio su una tovaglia da pranzo, ma entrambi facevamo del nostro meglio e cercavamo di coprirlo mettendoci sopra i piatti, per non far brutta figura.

" Giusto " abbozzai una risata.

" Desdemona.. "

" Si? " dissi speranzosa.

" La nonna a volte mi chiede quando tornerai, insomma quando ci verrai a trovare.. "

" Papà non lo so.."

" So che hai il tuo lavoro - disse soffermandosi con un accenno d'insofferenza nella voce - le tue cose, ma cerca di trovare un ritaglio di tempo "

" Papà?.. "

" Dimmi "

" Tu vuoi vedermi?.. " dissi in pieno imbarazzo, coprendomi gli occhi con la mano sudata.

Ci fu silenzio, almeno per qualche secondo prima che sospirasse e rispondesse.

" Ricordi il Natale qui? Eri così ansiosa di aprire i tuoi regali.. Lo sei stata anche crescendo, anche per delle stupidaggini. Credo che quel periodo dell'anno sia stato il più duro - disse a fatica, con parole tirate, emozionate - anche la nonna lo ha avvertito sai? "

" Papà, rispondimi.. "

Sospirò piano.

" Sono tre anni che non ti vedo vicino al camino a scartare i regali e ci manchi. Non ricordo più neanche che profumo abbia la mia bambina "

Sorrisi, mentre gli occhi facevano quel che potevano per non fare scorrere fiumi di lacrime a lungo represse. Tirai sù col naso alzando gli occhi al cielo per ricacciarle indietro.

" Grazie "

" Di cosa? "

" Avevo bisogno di sentirtelo dire, papà "

Percepii quello che mi parve un sorriso dall'altro lato, lontano. Mi guardai le gambe fasciate dai jeans grigi e i piedi tesi verso il muro di mattoni del vicolo in attesa e poi glie lo dissi.

" Mi manchi. Mi mancate tutti ".
 

 

Quella conversazione mi aveva parecchio scombussolata, mi aveva scossa a tal punto da dirgli che mi mancava. Forse non glie lo avevo mai detto, come non riuscivo più a dirgli ti voglio bene. 

Quella chiacchierata mi fece bene e grazie ad essa mi resi conto poi di quanto fossimo simili: entrambi tentavamo di biascicare qualche parola sensata, in imbarazzo, investiti da treni in piena corsa. Volevamo entrambi che fosse l'altro  a sporgersi per primo, ad esporsi. E quella volta lo feci io, ma fu molto naturale, lo avvertii come un istinto da non poter non prendere in considerazione. Mi era mancato davvero non sentire la sua voce: veniva al telefono di rado e sembrava sempre una forzatura,  e anche se probabilmente anche quella volta lo aveva fatto sotto l'insistenza della mamma, era riuscito a farlo vincendo il suo orgoglio, e questo mi bastava. Mi bastò per intravedere una minuscola luce in lui: gli mancavo, e in quel momento mi sentii serena. 

 

David mi mancava,  ed era inutile negarlo anche solo a me stessa.

La cosa che mi mancava di più erano le sue braccia, il calore che sprigionavano, il suo odore. Ok, forse erano più di una le cose di cui sentivo la mancanza ma si riassumevano nel suo nome.

Eravamo rimasti in bilico, sul filo del rasoio, senza neanche sapere quando ci saremmo rivisti. Quell'inconsapevolezza mi uccideva, era come vivere nell'ignoranza, non smettendo mai di sperare in qualcosa d'indefinito. 

Tra noi c'erano molte cose non dette, alimentate dalla paura di andare oltre, ma quel limite lo avevamo già superato; ora dovevamo tornare indietro. Dovevamo sederci e parlare, decidere cosa fare di quello che stava nascendo fra noi, di quello che c'era stato, o almeno era così che me lo immaginavo. Nell'impossibilità di sapere il giorno preciso in cui ci saremmo rivisti rimandavo sempre le prove dei miei discorsi mentali, non arrivando mai ad una conclusione nella mia mente: nella solitudine buia della notte buttavo qui e lì dei pensieri, delle presunte parole che avrei voluto dirgli e che forse un giorno gli avrei detto, ma le appuntavo con leggerezza nella mia mente, dimenticandole nel momento esatto in cui chiudevo gli occhi e mi addormentavo. Era un lassismo a cui non potevo sottrarmi; la pura e semplice verità era che volevo che andasse così, volevo lasciar correre, volevo che tutti i pensieri mi scivolassero addosso. Non ero mai stata così e anche se la mia parte razionale tentava di riportarmi all'ordine, dentro di me c'era caos ed era immenso. Volevo essere in balia delle sensazioni, per la prima volta, anche se facevano male. 

 

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Capitolo 9
*** Let Me Kiss You Hard in The Pouring Rain ***



" Allora ci vediamo prima del Life Ball, mi raccomando se hai bisogno chiamami e ti manderò qualcuno " 

" Dai, non ti preoccupare, è una città tranquilla e poi sai che so mantenere un profilo basso, non avrò problemi "

Misi sulle spalle la custodia e aggiustai il cappello.

" David? "

" Si? "

" È una cosa seria..? Voglio dire, hai già perso la testa? "

" Forse " mi voltai e feci per andarmene. Un sorriso mi spuntò spontaneo.

" Non la illuderò, se è questo che ti preoccupa "

" Bene " sopirò soddisfatto. Lo sguardo impenetrabile, le rughe d'espressione distese.

" Ci vediamo quando arrivi allora, nel weekend "

" Ci vediamo ! " mi salutò con la mano e ognuno andò per la sua strada. Salii in auto e mi diressi all'aeroporto. 

 

Gli edifici scorrevano veloci ai lati disegnando linee confuse, sfumando i volti delle persone avvolte nei propri pensieri. L'aria condizionata iniziò a circolare nell'abitacolo e subito si rinfrescò creando dislivello con il calore del finestrino.

 

' Chissà cosa fa in questo momento, forse sarà a lavoro ' pensai tra me e me. Mi ero sorpreso più e più volte ad interrogarmi sulla sua giornata, intento a curiosare e ad immaginarla mentre faceva le cose di tutti i giorni.

A volte mi chiedevo se la stessi illudendo, se ci stessimo illudendo per bene entrambi. D'un tratto proiettai nella mente quello che avevo appena risposto al mio manager, e mi chiesi se fossi stato davvero sincero. La verità era che non lo sapevo, non sapevo che cosa c'era di preciso tra noi. Non sapevo come chiamarci, definirci. Nessuno dei due lo avrebbe voluto: sapevo che era difficile, che lei non era abituata a quella situazione. 

Dentro di me sentivo un forte bisogno di averla accanto, ma non glie lo avrei mai chiesto. Non avrei potuto chiederle di sacrificare la sua vita, quello che sembrava essersi costruita con le sue sole forze, lontana da tutti. Questa mia determinazione mi feriva, ma dall'altro lato mi gratificava il fatto che fosse la cosa migliore per lei. 

Infondo mi avrebbe dimenticato, lo speravo. Forse non completamente, ma lo speravo. Non potevamo continuare a lungo, e lo sapevo, ma adoravo cullarmi in quell'incertezza. Uno stadio dolce e neutro, che presto sarebbe finito. Ne ero consapevole.

Non sapevo cosa sarebbe successo una volta che l'avrei rivista ma la mia mente iniziò a farmi scorrere davanti agli occhi quei pochi ricordi che avevo di lei, suggerendomi cosa sarebbe accaduto. Sapevo così poco di lei, neanche il suo cognome. Era.. sfuggente, come i suoi capelli. I suoi capelli rossi, rosso scuro, quasi neri al buio quando non c'era luce. Ricordavo il suo odore delicato, ma qualche volta avevo come l'impressione di avvertire che il ricordo del suo volto svaniva. Avevo una paura assurda che svanisse del tutto, si dileguasse come nuvole. 

 

C'erano momenti in cui la mia vita mi piaceva di meno, nei quali lo sconforto mi avvolgeva completamente. Un senso di mancanza, di una mancanza nella mia esistenza. A volte m'illudevo di vivere solo della mia musica come un perfetto idealista romantico, o che come Rimbaud prendeva il suo sacco in spalla e viveva all'aria aperta con i propri sogni a fargli da stelle nel cielo notturno.

Sentivo la mancanza di calore. 

Adoravo il mio lavoro, che non era un vero e proprio lavoro poi ma una passione, la mia personale ragione di vita. Il mio cuore però iniziava a stancarsi di tutta quella solitudine, rifiutava la miserabile condizione di essere perennemente solo in una camera d'albergo. Era come avere una doppia personalità a volte.

Cos'era quel tremore che avvertivo fin nelle viscere? Potevo curarlo con note di violino? Ci avevo sempre provato; speravo che avrebbe funzionato anche stavolta.

 

Mi voltai verso la città: si stava incupendo, diventava bruna. Ormai il sole se n'era andato, ma sarebbe tornato e io sarei perfino riuscito a vederlo alcune ore prima. 

L'aereo si preparò alla sua corsa sfrenata che precedeva il decollo: era un momento che adoravo, poteva disturbare la maggior parte delle persone perché sembrava che stesse per succedere l'irreparabile, ma io avevo sempre pensato che il brivido che si provava in quel momento era impagabile; era qualcosa di puro e primordiale, forse paura, qualcosa che mi spingeva in alto nel vero senso della parola, che ti dava il vero senso del volare. 

 

Rovistai nello zaino a spalla e trovai due libri: avevo ascoltato il consiglio di Desdemona e all'aeroporto prima d'imbarcarmi mi ero fermato a leggere i titoli disponibili. Ce n'erano vari, da quelli per teenager ai romanzi rosa per signore e poi vidi la sezione fantascienza. Scelsi un libro sull'alpinismo: cinquecento pagine, neanche mezza figura e tanti nomi incomprensibili di cui non avrei capito nulla erano la miscela magica per assicurarmi lunghe ore di sonno. Senza togliere nulla agli appassionati, era solo questione di gusti e quello era forse il libro più lontano dal mio mondo.

Me lo poggiai sulle ginocchia e controllai l'altro: aveva una copertina un po' sgualcita ai lati, la carta lì formava angoli ondulati. Ero a buon punto, quasi alla fine, ma d'un tratto mi venne voglia di rileggere tutto d'accapo. Sfogliai le prime pagine, guardai l'anno di pubblicazione e l'edizione e poi andai avanti a caso proseguendo fino al segno che avevo lasciato. Voltai l'ultima pagina e proprio al centro, lontano dall'orecchia, c'era un lungo e sottile capello ramato; i suoi riflessi scintillavano sotto la luce debole e stantia. 

'Desdemona' 

Sorrisi, inconsapevolmente pensando a lei. 

Poi quasi come se fosse un istinto naturale, mi portai il libro vicino alla bocca e ispirai profondamente, gli occhi socchiusi. Sulle pagine ruvide al tatto aveva lasciato una minuscola traccia di sé che sarebbe presto svanita: c'era un accenno del suo profumo alla vaniglia ma solo in quel punto, poi, più niente. 

Mi scostai lentamente pensando a come fosse metaforica quella piccola sua presenza. Rivolsi lo sguardo fuori, al cielo, dove la luce cupa accarezzava le nuvole dissolte; il buio veniva fuori, spargendo i suoi colori scuri come in un quadro di Van Gogh e io vidi i suoi occhi risplendere tra le stelle ancora opache all'orizzonte.

Me la sarei mai tolta dalla testa? Infondo vi era entrata così velocemente… Avrei potuto provarci, ma le possibilità di un risultato immediato erano vane. 

Dopotutto era da lei che stavo andando. 

 

 

Finalmente un'altra lunga e calda giornata era finita e di lì a pochi minuti sarei potuta tornare a casa, camminare scalza e buttarmi sul divano a vedere un film, che per quanto potesse essere noioso mi avrebbe distratta e dato un'occasione in più per crollare sfinita ed addormentarmi subito. 

Avevo pensato di passare del tempo con Jaqueline nel fine settimana, così non avrebbe più detto che ero come una monaca di clausura. 

" Signor Christiensen io vado, passi una buona serata "

" Anche tu cara, ci vediamo lunedì. E mi raccomando, divertiti " disse sorridendomi.

Ormai la Jaquelinite aveva contagiato anche lui, inspiegabilmente stava iniziando ad assomigliare alla mia amica per alcuni tratti: mi esortava continuamente a divertirmi, alludendo al fatto di uscire probabilmente. Mi ero arresa, e quindi cercavo di depistare anche lui, vestendomi di un ampio sorriso ogni volta. 

 

Uscii dal negozio mentre il capo iniziava a spegnere tutte le luci. Quella sera c'era un cielo magnifico, bagnato di rosso e linee arancioni, ma nonostante ciò una leggera pioggia ricopriva gli edifici con una cappa. Ovviamente, appena fui fuori iniziò a piovere più forte : avrei dovuto avere un ombrello nella borsa, ma forse lo avevo tolto quando le brutte giornate sembravano esser finite. Mentre frugavo tastando ogni sorta di equipaggiamento nella mia borsa mi sentii chiamare:

" Desdemona … " conoscevo quella voce. Mi voltai, e vidi un uomo seduto su una valigia nera, che si copriva con uno zaino alla meno peggio. Vidi lui. Cosa diavolo ci faceva qui David?

" Ma che…? " le parole rimasero sospese e mi avvicinai a lui a passo svelto, lui si alzò; mi sembrò di volare.

Mi prese dalla vita e le nostre bocche s'incontrarono come se sapessero ormai la strada e non ci fosse nulla che potesse impedir loro di ricongiungersi.

 

….Let me kiss you hard in the pouring rain ..

 

La pioggia mi bagnava i capelli appiattendoli sulle tempie, scrosciando sui nostri volti. Ma a noi non importava. In quel momento credo che il mondo intero fosse divenuto cenere ai nostri occhi, come se si fosse dileguato insieme ad una nuvola. C'erano solo i suoi baci, le sue carezze, le sue mani che mi tenevano stretta a lui come non mai, il calore del suo addome che si sprigionava dentro di me e mi riscaldava. In quel momento capii che non c'era posto più sicuro al mondo, di quelle braccia. E proprio in quegli istanti, mi vennero in mente quelle parole che erano diventate come un comandamento per me.

 


Scesi piano dalle punte dei piedi, prendendogli il viso tra le mani.

 

" C'incontreremo sempre sotto la pioggia, lo sai? È destino " disse lui mantenendo lo sguardo basso.

" Cosa ci fai qui? - lo abbracciai, il volto contro il suo petto e la sua t-shirt inzuppata, ma non m'importava. - Non è uno scherzo della mia mente, vero? "

" No, no. Sono qui per davvero Desdemona - mi prese le mani allontanandomi dall'abbraccio - So che non dovrei dirlo, ma mi sei mancata.. " sorrisi.

" Vieni, leviamoci da questa dannata pioggia. Vieni con me, voglio portarti in un posto " . 




Note:

Credo passerà altro tempo prima di aggiornare da questo punto in poi. Non posso promettere niente, per quello che vale.

Ringrazio chi leggerà e commenterà questo capitolo. 

 

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