Ci riscalderemo tra i rottami di una stagione, prendendo fuoco nel tempo che scorre

di glendower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # Siamo impronta dell'inverno ***
Capitolo 2: *** # Sono pioggia che cade in autunno ***
Capitolo 3: *** # Mi ustionavi come l'estate ***
Capitolo 4: *** # È primavera inghiottita per vergogna ***



Capitolo 1
*** # Siamo impronta dell'inverno ***


 

Inverno ) – 630 words
Ho affrontato questi primi passi solo per starti dietro, ombra e schiavo di un amore di cui non puoi ancora sapere

 



 

Alisopoli è vestita di bianco – di grigio topo, impolverata di nebbia attorno alle case, un pugno di villette con i balconi rotondi dove con la bella stagione sbocciano fiori rossi, gialli e d’arcobaleno dipinti; gruppetti di persone tremano nei cappotti e l’aria gira birbante punzecchiando la pelle, ribelle arrossa le guance e lava gli spaventapasseri nei campi attorno al paesello.
     Lucciole di neve volano zigzagando e come dardi di ghiaccio si attaccano alla strada, strisce nere tra gli edifici, imbiancando con pugni di farina le impronte dei bambini urlanti sui marciapiedi – le orme dei pokémon, custodi delle cose ed esercito di guardie.
     Pizzi di brina luccicano sulle finestre, disegnando perle d’acqua sotto la luce del mattino, un fascio opaco che spunta curioso tra le nuvole, buttato giù da un cielo d’argento spalancato su una giornata di freddo invernale. Febbraio non è mai stato tanto infantile, gioca con i camini intrecciando il fumo nero in forme e volute strane, parole disoneste ed animali mostruosi, previsioni di un futuro che per qualcuno inizia adesso, mentre muove i primi passi verso un’avventura ancora senza copione.
     Giù dal belvedere il paesaggio è anche peggio, spruzzi di verde alzano le braccia spingendo via l’inverno, alleggerendo gli alberi minuti come fantocci di teatro, scheletriche virtù di una natura ancora addormentata. Sul lago senz’acqua due innamorati pattinano vicini, sono due neri puntini tracciati nella linea dell’orizzonte increspato di blu.
     Una bambina, sulla scalinata che dà alla piattaforma, rotea impazzita  ed impacchettata con una sciarpa rossa stretta a fiocco, sale e scende continuamente giù per i gradini, fuggendo ad un fratello amabile che la guarda sorridendo; salutati i due nuovi allenatori, in un via vai velocissimo, sparisce poco dopo, correndo dietro ad un Oshawott innamorato delle sua gonna a palloncino.
     «Allora è il momento, ci si vede in giro» subentra Hue all’improvviso, strattonando Kyouhei impegnato a leccare i fiocchi via dai guanti.
     «Hue, non fare cavolate quando li troverai»  gli afferra un polso ed affonda il naso nella sua giacca in un abbraccio, ispirando un’infanzia che sotto le palpebre lo riporta bambino – lo mostra solo e in lacrime, pieno di rabbia per una perdita a cui l’altro non ha mai rimediato.
     «Io… Il Team Plasma avrà ciò che merita e questa non è una cavolata.»
     «Sono serio, fai attenzione, guai a te se fai stupidaggini perché io no-»   
     «Buono, buono! Io non sarò solo, ho te. Mi verrai a salvare se finisco nei guai, no?» ridendo l'altro si distacca facendo un inchino e Kyouhei sente il respiro mancare – sente la terra girare e il resto capovolgersi in un attacco di panico improvviso.
     «… cerca solo di fare attenzione, okkei? » mormora, trattenendo un ansito per sostituirlo con un gesto delle dita che salutano chi ancora se ne deve andare.
     «Stai tranquillo Kyouhei, ci vediamo presto! » 
     Lo segue per un po’ con gli occhi, fin quando a piedi uniti non si mette a saltellare sui muretti disperdendosi nel chiasso della via maestra.  Lo segue come una punta d'ombra o un cane dietro al padrone, camminandogli poi a distanza, giusto perché vedere il suo sorriso strafottente lo infastidisce, parla di guai e voglia di vivere, di vendetta e desiderio di farsi più forte per riprendersi ciò che gli appartiene anche a rischio di perdere tutto contro un esercito di pedine malefiche, attrici guidate da un Re di cui nessuno ha più sentito parlare se non nei sordi pettegolezzi, nelle fiabe e nelle ballate.
     
     Hue finirà nei guai ma lui ha il potere di fermarlo.
     Se è diventato allenatore, dopotutto, lo ha fatto per lui e solo per lui.
     La parte comprensiva di desideri, il suo ''sé'', è solo schiava e di altri coscienza – è solo serva e del compagno l’amante.


E quando si lasciano riprende a nevicare....




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note dell'autrice: iniziamo con un: “chi non muore si rivede’’, giusto? E lo so che avrei una Isshu da concludere ma volevo davvero fare qualcosa anche su questa coppia e, prima che mi voli via l’idea, meglio cogliere la palla al balzo senza pensarci più. Secondo me questa coppia è una di quelle coppie sofferenti e sì, lo so che è solo un mio modo di vederla ma rigiocando al gioco proprio in questi giorni sembra tanto che il protagonista viva per aiutare il rivale che vuole solo farsi forte per riportare il pokémon perduto alla suaamata parente, al fine di poter cancellare uno sbaglio che non vuole ricordare. Un rivale con il: “complesso della sorella’’, giusto per chiarire ed io, senza tanti complimenti, ho voluto incentrare la fic proprio su questo, sfruttando la carta delle stagioni per narrare il tempo che Kyo-pan spreca correndo dietro a qualcuno che di lui non s’interessa minimamente *angst pulsa nell’ombra* sebbene lui pensi tutto il contrario. Smetto di spiegare perché voglio evitare di /spoilerare/ tutto e mi eclisso! Oh beh, per il resto vi auguro una buona lettura e se se mi lasciate una microscopica recensione mi farete sicuramente tanto tanto felice. --
 

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Capitolo 2
*** # Sono pioggia che cade in autunno ***


 

Autunno ) – 930 words
Ho voluto guardare attraverso le nubi dopo il temporale, volevo vedere se riuscivo a ritrovarci riassunti in sette colori

 



 

Dieci giorni – dieci come le volte in cui Kyouhei ha sentito un nome diverso dal suo, gridato tra gli incubi atroci del combattimento e delle creature sfruttate fino alla completa caduta, rubate ai loro padroni originali e poi elette in sfide vinte solo a metà. Dieci tonfi e boati da lupo prima di vedere il mondo crollare addosso ai vivi con tutta la sua forza e la sua rabbia, diluito in cascate e mulinelli che sbattono gli allenatori più volte sul ponte della nave, imprigionando strette tutte le persone buone e cattive, legandole in un groviglio di gambe e di braccia non appartenenti ai suoi proprietari originali.
      Lì c’è tempesta e burrasca – c’è tormenta, pugnala l’estate nella schiena e se la porta improvvisamente via, abbassando il sipario sull’erba già marcia ed ingiallita, cambiando i colori in uno schizzo a carboncino dove ciò che prevale è la natura più vecchia, crespa di rughe ed alberi nudi.
      Piove in piccole pause: cielo e mare si sistemano l’uno nello spazio dell’altro in una famiglia, fratelli gemelli per una volta inscindibili a far parte di un unico intero, figli dello stesso identico padre in un chiaroscuro di azzurri bagnati ad acquarello nero.
      Fuori piove in un rito d’autunno ed il vento fa volare via gli ombrelli, spingendo i pokémon in città a ripararsi sotto le tettoie ed obbligando gli umani a coprirsi un po’ di più rispetto a ieri; tappeti di foglie e primi freddi al contempo buttano zucche d’arance e castagne dentro ai giardini, tra profumo secco di legna sul fuoco e dolci gonfi di caldo forno.
      Nell’aria del porto, lo schianto assordante di un tuono frantuma il gonfiore delle nubi e le apre in uno squarcio di lama e scintille, miccia di bomba e fuoco d’artificio sopra la Nave Reale, un vecchio veliero attraccato al maggiore scalo di Austropoli nella rappresentazione perfetta di un mezzo in bottiglia, tormentato da unicorni d’acqua sbattuti contro la nera e lunga chiglia rotta a metà in quella sirena che ne protegge l’apice.
      Fiamme arancioni mangiano la legna pian piano, mentre due amici scappano in fretta giù per le scalette, facendosi largo a spintoni tra la folla accalcata per tutto il porto a guardare la prima disfatta della regalità per mano loro e loro soltanto.
      Uno dei due è arrabbiato, non si trattiene e con un pugno colpisce un ormeggio, mentre l’altro lo costringe a ragionare, tirandogli una manica all’altezza del gomito.
      «Non c’era, e allora? Hue basta, basta impuntarti così! Se non è qui sarà altrove» urla disperato il ragazzino con il cappello rosso, fermandosi sul filo sottile della banchina, aggrappato alla ringhiera di protezione. Strilla come il vento implacabile e piange senza neanche conoscere il perché, desidera capire ma non ci arriva, brama risolvere ma non conclude  niente.
      «Tu non capisci, più tempo passa e più il Team Plasma fa dei danni al Pokémon di mia sorella e a tutti quelli che hanno rubato!»
      «Invece lo so, lo capisco.»
      «Tu non capisci niente. Dovresti essere utile solo per aiutarmi a far felice lei e lei soltanto…e invece» Hue lo sposta, gli mette le mani sul petto e lo spinge – lo allontana, cerca un ritaglio di spazio in mezzo a quel litigio e lo manda via dai suoi occhi «e invece, quando ti guardo, io la vedo. La tua sola presenza mi mette fretta, per questo devo muovermi!»
      «M-mi dispiace. Sono qui solo per aiutarti Hue.»
      «Ed è questo il problema, sei qui e non ti scolli.»
      «Me ne posso andar-» ma qualcosa lo interrompe, lo costringe a voltarsi, a gettare l’attenzione più in alto, oltre il fumo nero di fiamme e le grida dei primi soccorsi. Capita sempre così, tra di loro, uno parla e non finisce mai.
      «Guarda Kyo, l’arcobaleno.»
      Non se ne sono accorti in principio ma la pioggia ha smesso di cadere e non ci hanno badato perché coinvolti a farsi del male. Dove prima la natura si è sfogata urlando e piangendo a pieni polmoni, adesso c’è un arco di luce – uno spacco largo quanto un sentiero dove sette colori s’intrecciano per unirsi in un ponte di materiale impalpabile sotto il polpastrello di chi lo indica con sguardo di sogno.
      Kyouhei non sa più come respirare e si abbandona alla dura consapevolezza di sentimenti che si fanno più insistenti, azzardandosi a toccargli le dita con la punta di un’unghia; vuole il calore bagnato della sua mano e la sicurezza che ora tutto va bene. L’altro gli fa scivolare un braccio attorno ai fianchi, lo tira verso di sé e si fa perdonare scaldandogli la pelle - ustionandogli il corpo fradicio ed appesantito dai vestiti zuppi.
      «È bellissimo» gli sussurra Hue sulla bocca perché si è chinato a guardarlo negli occhi, incontrando un sorriso così bello da fargli voltare subito lo sguardo.
      «Sì, è proprio bellissimo.»
 
 
Ride, ridono insieme. Oggi va meglio, oggi ci sono loro e loro soltanto.
 

Sua sorella è solo un temporale per ora passato, lui è il cielo di nuovo sereno. 




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l'autrice disse:
disse poco, sono viva e tanto mi basta. Sono un'altalena per difetto, vado in alto e in basso, ci sono e non ci sono. Fossi meno...meno stupida su certi argomenti - uno tra questi, proprio la scrittura - stresserei i vari fandom fino a riempirli del mio pantano ma purtroppo non è così e finisco puntualmente per fare il fantasmino. Non so se faccio un ''ritorno'' trionfale dopo una pausa nella quale non ho scritto praticamente nulla (e quindi non mi sono tenuta in allenamento, se così si può dire), se non piccole cose tenute in privè, però spero di non deludere troppo, ho ancora bisogno di sgranchirmi le dita e i pensieri, così come le idee e il modo di mettere giù i pensieri. Ora sono in un periodo piuttosto buono e vedrò di aggiornare prima, non dopo...quanto, più due mesi? GUH. Giocare ai videogiochi fa male, ti prende troppo e quest'anno è sicuramente la mia rovina, ci sono troppe cose belle ;A; Mi sto dilungando con delle cavole, però in un qualche modo devo allungare il brodo, altrimenti non avrei un bel niente da dire come al solito. Direi che questo è un bentornato con i fiocchi. Vivubì e ringrazio chi, nel capitolo precedente, ha commentato. Risponderò alla prossima, giusto per rifarmi. <3 Ness.

 

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Capitolo 3
*** # Mi ustionavi come l'estate ***


 

Estate ) – 1118 words
Ho cercato di essere lei dentro il mio corpo, fin quando le tue mani non sono venute a riprendermi


 

Il caldo entra nella pelle, è afa e rosario di candele che scavano – è incendio appiccato dentro alla carne, brucia le ossa in briciole e fa imprecare, insopportabile nel vento piatto e ancor più umido che agita a scatti i lumi, cigolanti quadrati di ferro appesi al corto albero a cui sono avvolte le vele maestre di ciascuna gondola. Preghiere all’estate si posano di bocca in bocca ed un quieto salmodiare confuso rompe qualsiasi bolla di silenzio – spacca e sostituisce i sussurri concitati dei bambini in festa, desideri espressi in anticipo a stelle che, sul guanto scuro e quasi viola del cielo, timidamente si confondono dietro le nuvole, sbuffi di zucchero dolciastro ancora sporchi per il tramonto appena passato, arrossati dal bel tempo di sole che solitamente accompagna le vacanze. Ruvide acque gorgogliano, ruggendo contro il legno delle palafitte dove sbattono, tormentate dal via vai di canoe in continuo movimento sul pelo dell'acqua nera, filtro e spuma del mare di Grecalopoli, città balneare per eccellenza. Onde blu schiumano inviperite, brontolando sotto il gruppo di chiglie che dolcemente galleggiano sospese sopra l'oceano; dirette verso l’insenatura costiera situata oltre il villaggio, quelle si confortano compatte, pericolosamente vicine e simili ad un battaglione di legno e metallo con cui solcare e conquistare i mondi.
      La processione gira in cerchio nel mezzo della baia, sistemando famiglie unite per aspettare la benedizione della stagione e catene, mazzi di gonfie lanterne accese, sono pronte per aprire uno squarcio nel cielo, lanciate in aria da ogni chiatta illuminata a giorno per schiarire l’oscurità densa quanto una bottiglia di petrolio versata sulle teste di quei curiosi; fanali tremolanti remano controcorrente, impersonando lucciole rotonde con le ali di cartapesta in un turbinio di lievi schiocchi, applausi e brevi grida scalpitanti. Storie e leggende – nenie, ninnananne e canzoni piratesche contano i minuti, aspettano le mezzanotte quando fiori artificiali faranno la loro comparsa; vecchie madrine tengono le mani in grembo e gli anziani buttano ancore per fermare la flotta, tra i fischi agitati di infanti impazienti.
      Hue è lungo disteso sul fondo di una lancia, la più lontana, incastrata ad opera d’arte fra scogli appuntiti velati da bruma grigia e spessa che la nasconde alla vista. Ha i polsi fermi sulla fronte – i polpastrelli a chiudere le palpebre, premuti su rigagnoli di lacrime che scendono fitte oltre il profilo della mascella rigida, cadendo e bagnandogli l’orlo della canottiera – piovono e non si fermano, come rubinetti rotti che non possono più chiudersi perché il meccanismo si è inceppato. Nell’ombra indiretta del faro maggiore, gli tremano le spalle, impazzite e scosse dai singhiozzi di pianto; è un fantasma, uno spiritello cattivo che ha finito per inguaiarsi nel suo stesso gioco, offuscamento e sagoma dell’eroe che ha sempre voluto essere.
       «Cosa mi dirà Aika quando le porterò quel mostro?»
      Una Poké Ball giace a poppa – una sfera maledetta dove le urla di un Liepard s’aggrappano alla schiavitù, al sentore di morte dov'è cresciuto, evolvendosi con la rabbia di una creatura divenuta ormai immortale, colpevole della tristezza che lo ha costretto a ferirsi e a combattere per una causa senza senso.
      «Ce l’hai fatta Hue, ovviamente ne sarà contenta. Le hai restituito il suo regalo» la voce roca di Kyouhei è una coltellata al petto – una porta chiusa a doppia mandata dopo che il Team Galassia ha dovuto piegare il capo davanti alla sua stessa forza, consegnandogli il tesoro tanto sognato; è crepuscolo e calore nella vicinanza del suo corpo con cui fa scudo al compagno a riposo, sistemato a cavalcioni su di lui visto il poco posto a disposizione per entrambi.
      «Mi odierà» pigola, quando le lacrime si fanno così forti da rubargli anche il respiro, affannato e stanco, deformato con un nastro che gli annoda e chiude la gola in una morsa di disagio, rimpianto e sconfitta anche se ha ottenuto il contrario.
      «Puoi sempre provare a dirle che ti dispiace, oppure puoi provare ad immaginartela qui» c’è tenerezza nel modo in cui lo guarda senza incontrare il suo viso e quando, quel piccolo ladro dai capelli castani, gli ruba distrattamente un bacio – gli soffia dentro tutto quello che ha trattenuto per mesi, fino ad anteporre il suo amore ad un orgoglio inservibile in casi come questi «tieni gli occhi chiusi, Hue e fingi che io sia lei.»
     Nessuno trasmette niente in emozioni perché l’immaginazione malata non li perdona, è peccato e violenza. Ciò che si annida tra di loro è solo un desiderio così forte che però arriva a rompergli il cuore, frantumandolo con un pugno tanto da fargli male fisico e mentale – è così forte che nell’oscurità prende istantaneamente forma e il suo amico d’infanzia si arrotonda fino a trasformarsi in una bambina con le guance rosse ed il sorriso imperfetto per la mancanza di due denti nell’arcata superiore.
     «Aika.»
    «Sono qui» fa, quando le mani di Hue si appoggiano al suo ventre per cercarlo e toccarlo, premendo per incidere solchi sulla carne molle dei fianchi, infilandosi impudiche negli spazi tra un bottone e l’altro, strappati all'indumento per scoprirgli il petto e per far scivolare le maniche della camicia giù a raggiungere le spalle, ad imprigionargli le braccia impossibilitate a rispondere. Lì, è lì nel momento in cui inverte le posizioni e le sue labbra si avvicinano per mordere la piega dell’incavo nel collo e lasciano segni che non passeranno se non dopo giorni - lì quando lo spoglia e scende sull'inguine, prendendosi ciò che nessun altro ha ancora mai toccato.
     «Ti amo Aika.»
     «Lo so. Va tutto bene, sono contenta che tu sia tornato da me» l’agonia dei toni lo fa sospirare – gli fa strusciare il bacino quando, sotto di sé, Hue s’inarca in un richiamo che lo mette a nudo e lo fa urlare con voce e identità non sue.
    Nell’atmosfera arida un rimbombo copre gli ammonimenti – calma i gemiti e irradia vampe colorate nello spettacolo pirotecnico che tutti stanno aspettando, regalando al golfo centinaia di albe in pochi secondi.
     Hue, negli schiocchi, sta chiamando proprio il suo nome ma ciò che distingue, giunto alle soglie di un apice dove ha sempre voluto spingersi, è invece l'epiteto: Aika.



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note dell'autrice: ah, come al solito in ritardo ma non importa, io sono fatta così. Ci metto secoli anche se la fic in questione è pronta il giorno dopo che l'ho depositata su carta. Alla fine si è rivelata più cruda di come l'avevo concepita - si è rivelata a sfondo incest, dati i sentimenti di Hue decisamente planati verso qualcosa di meno casto del solito amore per una sorella. Da come si può notare, la prossima è l'ultima flash ed è quasi ovvio che non si evolveranno ed andrà a finire in modo piuttosto angst (perché di qualcosa di diverso dall'angst non riesco a trattare) e ciò mi spingere a scrivere un finale felice a parte, magari ambientato anni dopo a questa raccolta. Chissenefrega, penserete ma le stagioni di per sé mi deprimono, segnano il vecchio - sentimenti che mutano solo in parte e non mutano abbastanza. CON LA SPERANZA NEL CUORE, abbandono le note, non prima di dire che, la situazione fatta di lanterne e barche, riprende da Rapunzel e la scena con lei e il ladro, un omaggio a questo meraviglioso cartone che ringrazio, visto che mi ha dato un'idea diversa dal solito modo di concepire l'estate tra bagni e salti in spiaggia. Grazie per l'eventuale lettura, a presto! Ness.
 

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Capitolo 4
*** # È primavera inghiottita per vergogna ***


Primavera ) – 1050 words
La Soluzione era lì, l'avevo vista centinaia di volte - l'avevo letta accennata in un libro e poi sentita nel vento e nelle stagioni passate da servo.
 

I campi di grano vengono su bucando a groviera la terra, aprendola a tratti e spuntando di testa: prendono aria allungandosi al ciano del cielo e si estendono gialli. Uniti insieme sono forche di mais e spighe nutrite con la bocca del sole, si ergono dritte ma curvano dolcemente in punta, sfiorate e mosse ormai ubriache di vento. Interi sentieri fatti con i cereali arrivano prepotenti fino alle porte dei viali percorribili in bici, ti inghiottono dividendosi a metà una volta raggiunta l’altezza dei fianchi e in quella natura ci puoi fare anche il bagno. Innaffiate di rugiada, le granaglie sono così un'allegra foresta, intrico di radici da poco pronte per essere portate in tavola dentro al piatto; vivaci, ricoprono e inondano l'intera collina, scendono a strapiombo e affogano il circondario fino al punto in cui non arriva e non regge la vista e sfocate diventano oro, un disegno al tramonto con pastelli e china. 
      Dove il centro dell’appezzamento è segnato da una rete sottile, lo spaventapasseri tiene alzata la lancia – muove la spada e a colpi d’affondo allontana il gracchiare profetico dei corvi, salvando il raccolto dai nemici del seme tagliando le ali al predatore che volteggiando gli si avvicina; brutto d’aspetto ma forte nel cuore di stagno e cotone, ha un sorriso sdentato che distrae dal suo rovinato cappello e dalla sua salopette bucata e in procinto di staccarsi dal palo che lo tiene eretto. 
      Sciami di api frullano a guardia dell’erba, lottando per la sopravvivenza contro i contadini arrampicati alle estremità delle scalette pieghevoli a raccogliere frutti, doni del clima da far rotolare nei cestini pesanti quanto macigni che pazientano ai piedi degli alberi. Mele di rubino diventano trofei, premi da esporre e mostrare a merenda. 
        La primavera qui è giunta un pelo in anticipo – con un acconto anticipato di giorni, battuto a pugni il freddo è esplosa colorando le rose di rosso, appoggiandosi ai petali per farne fiori da appendere al muro. Quadri dipinti, con quelle piante ha abbellito i prati, riempiendo il verde di profumi e farfalle multicolore create dai confini estremi di un sogno prodotto in letargo.
      Al risveglio, oggi il paese ha stirato le braccia miagolando e la prima alba calda non si è fatta attendere troppo. Giocando nascosta fra vette disposte a zigzag, montagne bianche ancora in procinto di sciogliersi, ha allungato le dita per chiuderle sulle guance imbronciate dei suoi cittadini poco disposti a lasciare il letto e sui Pokémon assonati lungi e non pronti per tornare davvero a combattere. 
        L’odore di pulito del primo bucato steso all’aperto non si è fatto attendere troppo e le mamme inseguono bimbi mattinieri che corrono ridendo fra i fili imbottiti del bucato steso ad asciugare, mentre i papà seminano negli orti e radunano verdure da cuocere in pentola a cena. 
      Il profumo arriva all’altalena – si dilata e circonda lo spiazzo, cigola nella catena attaccata all’albero e regge il peso di un Kyouhei che si finge morto e che accumula la sabbia spostandola con le scarpe. Sembra dormire ma sbircia il paesaggio con attenzione; è diventato maestro e presto lascerà Alisopoli per altre medaglie, allenatori ed incontri – per avventure finalmente fuori dal nido. Segue due uccelli che pigolano cercando qualcosa da mettere nel becco e all’arrivo di un cespuglio nero nella sua visuale inizia a parlare con il copione già pronto, permettendo all’altro ragazzo di sedersi silenziosamente nell’altra giostra vicina.
      «Stavo pensando che non dovremmo continuare da dove abbiamo lasciato. Dobbiamo azzerare tutto e riavviare». Cestinare il Liepard e buttare Aika, rifiutare la loro esistenza e rendersi consapevoli che lei è un’antagonista, non uno degli eroi.
      «Kyouhei?» il viso di Hue ha un fremito e lo guarda storto, vorrebbe dire che tutto sa e purtroppo anche tutto conosce ma le parole si legano alla lingua e restano appiccicate al palato; violano la parte preziosa del suo nome e dirlo non ha l’effetto delle cose recenti da scartare ma solo quello degli oggetti vecchi e coperti di polvere.
      Sa del suo essersi finto un po’ Aika quando la notte con il suo artiglio gli è entrata dentro – sa delle preghiere in ginocchio prima di addormentarsi e della schiavitù dalla quale fatica ancora a liberarsi, della ragione che ha smarrito seguendolo e del male che ha avvertito come una scossa quando ha capito che fra loro non sarebbe stata semplice. Hue sa della tristezza incastrata nei suoi occhi e della lotta infinita per accontentarlo. Sa eppure non accetta. Gli suona strano, violento ed ingiusto quasi quanto le ferite che gli ha inferto.
     «Sì, va bene così. Non farmi quella faccia confusa però» l’altro ride, segue il corso delle cose – lo conosce, lui stesso lo giostra e non ha motivo di disperarsi quando la scelta l’ha fatta personalmente. «Ora proseguiamo come d’accordo. Tu invece sei?»
     «Ahh, Hue e tu già lo sai. Sono Hue e credo di amarti, questa volta davvero».
     L’espressione di Kyouhei è dolce in superficie ma confusa al di sotto, c’è sempre un freno a tirarlo indietro quando vorrebbe protendersi avanti – c’è una molla che attutisce e protegge all’impatto e perciò inarca un sopracciglio dimenticandosi di sorridere per non concedergli soddisfazioni.
     «Non saltare tutte le tappe, io teoricamente non ti conosco né ti ho mai visto. Perciò non prenderti confidenze che non puoi permetterti, ok?»
    «Mi stai dicendo che se mi avvicino troppo urlerai allo sconosciuto?» gli prende una mano – lo mette alla prova, gioca con il tremore impossibile a fermarsi del polso e gli bacia una per una le nocche, passando al dorso e alla lunghezza del braccio per fermarsi all’interno del gomito; salirebbe fino alla spalla se non fosse per l’amico che lo spinge via senza dare troppe spiegazioni. 
    «È più probabile di no ma se deve andare come ho già deciso, allora sì. Stai attento».
    «Non mi piace questo gioco, signor Kyouhei che non dovrei conoscere» ricade a sinistra e si appoggia fingendosi stanco; sbuffa per ozio e perché il gioco è antipatico. 
    «Per ora neanche a me, eppure devi fidarti. Alla fine ci piacerà» conclude spingendo per riprendere a dondolare, senza esserne del tutto sicuro.
   Ricominciare: ricostruire – ricominceranno. Ciclo delle stagioni e pagina nuova appena stampata di libro – ricominciare per tornare al principio, iniziare a conoscersi da zero e per essere solo Kyouhei, quello incontrato per caso una mattina seduto sull’altalena. 




 
Ok, non aggiornavo da novembre dello scorso anno e chiedo venia. L'idea per l'ultima fic in realtà già c'era, compresa di testo ma solo nell'ultimo periodo (questa settimana) ho pensato di cambiarla. Non avendo più tempo materiale per via del lavoro, ho raccolto idee su idee e uao, sono riuscita a finirla in tempo recordo proprio oggi. All'inizio ero partita con il pensiero di farli finire male - di continuare a dare ad Hue la sua ossessione ma poi mi sono concentrata sul ciclo delle stagioni e sul cambiamento delle cose che evolvono e maturano. Ricominciare è qui infatti un sinonimo di stravolgere, rifare tutto, lasciare cadere le foglie per poi aspettare di nuovo l'infoltimento degli alberi - raccogliere dai semi i frutti e ritrovare di nuovo i fiori. Kyouhei azzera le colpe di Hue e le sue perché è un po' lui stesso la primavere che cancella l'inverno e dà nuova vita. 
Altro punto che vorrei specificare è il cambiamento del nome della sorella di Hue. Per sbadataggine mi sono accorta di averle dato lo stesso epiteto della rivale femminile di B&N2 e non avendo trovato il suo originale da nessuna parte, nel capitolo precedente l'ho cambiato per inserire: Aika "canto funebre" piuttosto azzeccato.
Cosa vorrei aggiungere? Niente, finalmente ho chiuso questa raccolta che si protraeva da secoli ): Grazie a chi l'ha seguita e commentava, la GreySky vi vuole bene. Ness.
 

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