Destino Natalizio

di Valvonauta_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vigilia imprevista ***
Capitolo 2: *** Aiuto! ***
Capitolo 3: *** Una nuova esperienza ***
Capitolo 4: *** Di nuovo tu? ***



Capitolo 1
*** Una vigilia imprevista ***


Capitolo 1 - Una vigilia imprevista


Roma. Vigilia di Natale. Ore 7.30.
La sveglia del cellulare suonò emettendo squilli brevi sempre più acuti. Si rigirò un po’ nel letto poi, rassegnatasi, aprì gli occhi e allungò il braccio alla fredda aria della casa di almeno 10 gradi più bassa di quella che c’era sotto le coperte. Avrebbe tranquillamente buttato quell’aggeggio contro il muro ma quel “coso”, come amava chiamarlo, era un Samsung S4 e le era costato un occhio della testa.
Infreddolita ed irritata, si alzò inciampando nelle coperte in cui si era avvolta durante la notte. Cadde a terra malamente ed imprecò.
Si alzò digrignando i denti dal nervoso. Se questo Natale iniziava così, beh, sarebbe stato bene che finisse al più presto.
Già odiava quella stupida festività di per se poi se ci si metteva anche la sfiga di mezzo.
Chiara Ferrari. 27 anni. Ultimo anno di Medicina. Fidentina di origine.
Quest’anno aveva deciso di non andare a casa per Natale ma di rimanere nel monolocale che aveva in affitto a Roma.
Motivo? Odiava i genitori, o per meglio dire suo padre, che ogni volta che la vedeva non faceva altro che rinfacciarle di quanti soldi spendeva per mantenerla a non far niente (così catalogava lo studiare) a Roma. Non faceva che chiedere quando avrebbe trovato un lavoro e avrebbe fatto qualcosa nella vita.
Le solite cose, i soliti battibecchi. Non era l’unica a sopportarli: molti suoi colleghi d’università dovevano sorbirsi i rimproveri insensati dei genitori ma lei proprio non riusciva a tollerarli e dopo pochissimi minuti di monologo paterno, si ritrovava ad urlargli contro. Non era una tipa alla quale piaceva subire.
Alla fine aveva deciso di stare a Roma per le vacanza natalizie. Meglio da sola che con le urla di un cinquantenne frustrato nelle orecchie. Inoltre avrebbe avuto modo di studiare per bene per rimettersi in pari con gli esami.
Si alzò. Prese il "coso" tra le mani e andò su Facebook.
Mirko, il suo migliore amico/ex-fidanzato, le aveva scritto un messaggio privato decisamente inquietante.
“Heyy, beleza! Stasera te va de venire da tu amigo? Facciamo fiesta!”
Doveva essere sotto l’effetto di qualche strana sostanza o era lo scherzo di un amico.
Mirko, un suo compagno di facoltà, era un ragazzo di 1.80 con un bel visetto d’angelo, magrissimo ma decisamente simpatico. Un burlone, a differenza di quanto si potesse pensare vedendolo. Non a caso, il suo motto preferito era: l’apparenza inganna.
Con lui aveva avuto una brevissima storia, niente di che. Più che altro soli si erano ritrovati a scopare ma poi avevano smetto dato che la loro amicizia sembrava risentirne parecchio e prima di rovinare tutto irrimediabilmente si erano fermati.
Lei era stata sempre molto scettica verso l’altro sesso ed evitava accuratamente ogni contatto al di fuori di alcuni casi eccezionali, tra cui Mirko. Infatti non era mai stata ufficialmente fidanzata.
Scuotendo la testa gli rispose: “Va bene, a che ora?”
L’idea di passare la vigilia da sola non la allettava granché.
Lui, a differenza sua, era romano quindi non aveva alcun problema di residenza. Inoltre i genitori, ricchi avvocati, erano sempre in giro per il mondo e se ne fregavano abbastanza del figlio. Se da un lato ciò poteva essere fonte di disagio emotivo, dall’altro c’era il vantaggio che la sua enorme casa era sempre a disposizione per feste e festini di qualunque genere.
“22” rispose istantaneamente.
“Ok, bellizzzzzzimo. A stasera.”
Si alzò e preparatasi ed imbaccucatasi a fondo, uscì di casa. Il gelo invernale le sferzò la faccia senza tanti complimenti. E con proprio stupore si ritrovò fiocchi di neve nei capelli. 
Stava nevicando. A Roma. Era qualcosa di rarissimo, che succedeva una volta ogni vent'anni se andava bene.
Non doveva essere iniziata da molto perchè le strade erano bagnate ma per niente ricolme di neve.
Lei, decisamente non amante del freddo e di annessi e connessi, non si fece molto stupire da questo grande avvenimento e 
Frettolosamente, si rifugiò nel bar sotto casa ed ordinò una cioccolata calda con panna, mentre si spogliava degli strati di sciarpa che si era avvolta accuratamente intorno al collo.
La padrona, che, dopo tre anni, ormai la conosceva, le fece gli auguri e le portò una bellissima cioccolata ben pannosa, decorata con una foglia di cioccolato e, da parte, un piattino ricolmo di biscottini al limone, i suoi preferiti.
Consumò il tutto con grande calma, godendosi il calore bollente alla trachea che la cioccolata le donava.
Passata un mezz’ora, guardò l’orologio. Si accorse solo in quel momento di quanto fosse tardi. Si mise il giubbotto alla bell’e’meglio e arraffò la sua roba a casaccio. Lasciati i soldi sul tavolino, quasi correndo, uscì dal locale climatizzato.
Non si era accorta di quanto tempo c'aveva messo a consumare quella stupida cioccolata ed ancor meno si era accorta della persona che stava entrando mentre lei si lanciava giù per i gradini. Così fu inevitabile uno scontro tra i due.
Per poco non cadde per terra di culo ma l'uomo la prese al volo, serrando le mani sui suoi avambracci.
Lei lo guardò velocemente e non poté non notare che fosse un bel ragazzo. Avrà avuto su per giù la sua età.
Si guardarono vicendevolmente. Lui le sorrise comprensivo.
Aveva dei bei denti, bianchi come il latte e splendenti. Lei si rimise in piedi e fece un passo indietro liberandosi dalla sua stretta alle braccia.
“Ops, scusa!” gli disse rossa in volto.
“Scusa a te” rispose per niente irritato.
“Ok, grazie” e si affrettò ad uscire superandolo.
 
Correndo come una forsennata, riuscì ad arrivare in tempo al colloquio di lavoro per cameriera in un ristorantino alla Garbatella.
Il suo probabile datore di lavoro sembrava aver apprezzato la sua volontà ad arrivare in tempo e il modo in cui si era scusata ma, dopo il colloquio, sinceramente non serbava chissà quali aspettative.
Anche perché uscendo vide almeno venti persone dopo di lei.
Sarebbe stato un bel lavoretto, tanto per arrotondare un po’. Antonio, così si chiamava l’uomo che l’aveva esaminata, le aveva detto che era a chiamata, tanto per coprire i buchi di una ragazza che si era rotta un piede e che era quindi in malattia.
Inoltre, il compenso non era niente male per un lavoretto come quello e il locale era davvero carino.
Scoraggiata dalla concorrenza, ritornò a casa. Entrando osservò il piccolo e triste albero di Natale, primo di addobbi, e disperata, si buttò vestita sul letto a faccia in giù ed iniziò a battere i pugni sulle coperte sfatte dalla mattina.
Dormì tutto il pomeriggio. Alle 20, intontita, si svegliò ed iniziò a prepararsi.
Si mise un bel tubino scuro che conservava per le occasioni speciali. Trucco a tema et voilà, era pronta!
La sera, puntuale, si presentò a casa di Mirko. Suonò il campanello ma non rispose nessuno.
Citofonò varie volte ma nulla. Dopo cinque minuti, decise di chiamarlo al cellulare.
Uno, due, …, dieci squilli. Scattò la segreteria.
Ci provò almeno sei volte ma nulla, morto.
Si rassegnò all’idea che quel marpione del suo amico le avesse dato clamorosamente buca o che quello fosse davvero uno stupido scherzo.
Sbuffò e batté un tacco per terra, seccata.
“Tutto ok?” Una voce vagamente conosciuta le sfiorò l’orecchio, da lontano.
Si girò e guardò la figura ad una decina di metri da lei.
Era lui.
 
 
Salve! Buon natale a tutti!
Oggi per augurarvelo per bene ho scritto di getto questa ff. Vorrei che mi diceste se vi piace e se, secondo voi, vale la pena continuarla.
Buona vigilia a tutti. Vi auguro di mangiarvi tanto buon torrone e tanto pandoro zuccheroso ;)
Baciiiii
Francisca

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Capitolo 2
*** Aiuto! ***


Capitolo 2 - Aiuto!


Si voltò. Era QUEL ragazzo.
Capelli castani corti, occhi azzurri, naso "greco", viso d'angelo.
Si, si, proprio lui, quello che aveva scontrato quella stessa mattina al bar e che l’aveva aiutata a non cadere.
Si irrigidì all’istante e, con mille pensieri per la testa, come se niente fosse, iniziò a camminare in senso opposto.
Sperava che ignorandolo se ne andasse.
Di stalker e pazzi assassini ce n’era pieno il mondo. Roma era una grande città e la probabilità di essere stuprate rispetto ad una cittadina come Fidenza aumentavano esponenzialmente.
Non sarebbe stata di certo la prima ad essere ritrovata giù per un burrone, magari vicino la Appia, con i vestiti strappati.
Si, poi magari il delitto sarebbe stato risolto ma tanto lei sarebbe morta, punto e basta, fine della storia, capolinea.
Maledì di aver preso in giro la sua amica Graziella quando le aveva detto di essersi comprata lo spray al peperoncino.
Ora per averne uno avrebbe…
Si sentì presa per un braccio. Immediatamente, presa dal panico, si divincolò e senza guardarsi indietro iniziò a correre a perdifiato come se avesse un alano ringhiante alle calcagna pronto a sbranarla.
Corse, corse nonostante i tacchi alti per cui rischiò almeno quattro o cinque volte di finire sdraiata a terra. Svoltò a destra una volta e un’altra ancora, poi proseguì poi andò a sinistra e a destra. Non sapeva neanche dove si stava dirigendo ma poco le importava. L’unica cosa che aveva a cuore in quel momento era una: seminarlo.
Ad un certo punto si appoggiò ad un muro, stremata ma tranquilla al contempo in quanto era certa che di averlo seminato del tutto.
Alzò lo sguardo. Un cartello recitava: Via Alessando Poerio.
Non c’era mai capitata. Quella sembrava una zona tranquilla, forse anche troppo dato che non c’era praticamente nessuno in giro.
Che quel ragazzo, che prima di allora non aveva mai visto, l’avesse incontrata per caso due volte nel giro di poche ore era statisticamente improbabile, per non dire impossibile. Che invece l’avesse magari pedinata, beh, ci stava.
Perché lo avesse fatto non ne aveva idea e neanche voleva saperlo con tutta sincerità. Preferiva l’oblio alla dura verità in certe occasioni.
In giro tutto era tutto chiuso. Di negozi non ne vedeva. L'unica attività commerciale apparentemente esistente era un piccolo bar che faceva angolo ma anche quello era chiuso. In giro neanche un'anima. Possibile che non ci fosse nessuno per chiedere informazioni? Si, studiava a Roma da anni ma quella zona lì proprio non l’aveva mai battuta, ne era certa. Di cercare di ritrovare la via dell’amico non se ne parlava. E se avesse rincontrato il tipo? L’unica cosa, per recuperare i punti di riferimento, era cercare il Tevere. Una volta trovato era apposto.
Con senso dell’orientamento e un po’ di fortuna, dopo cinque o sei vie e un gruppo di bimbetti (avranno avuto quattordici, quindic’anni) su di giri per qualche birra, ritrovò l’amato fiume. E dopo mezz’oretta fu davanti al portone di casa.
Salì velocemente le scale ed arrivata al secondo piano aprì il portone e lo richiuse dietro di se con tre mandate.
Ecco conclusa una bellissima vigilia di Natale.
Peggio di così proprio non sarebbe potuta andare. Tirò un sospiro di sollievo e andò filata in cucina. Diede un occhiata all’orologio a muro sopra il tavolo: 23.25.
Sbuffò e, posati borsa e cappotto su una sedia, prima si prese una birra dal frigo e poi contro voglia chiamò i suoi.
Al terzo squillo rispose sua madre Angela.
Ne seguì un breve scambio di auguri e puntuale partì il predicozzo mischiato a vittimismo puro.
Continuò a sentire sua madre lamentarsi per una decina di minuti, nell'inutile tentativo di farla sentire in colpa di non aver passato le festività coi parenti, poi, al limite della sopportazione, quasi le buttò il telefono in faccia, bofonchiando un “salutami papà”.
Voleva bene a sua madre, davvero, però certe volte il suo lamentarsi di tutto, sempre, per qualunque cazzata, la irritava. Perché doveva far pesare i suoi problemi sugli altri? In quel senso, lei aveva preso molto di più dal padre che, burbero com’era, parlava a malapena dei propri problemi agli altri, tenendosi tutto dentro.
Era uno che rompeva il cazzo ma non si lamentava mai, mai. Se doveva fare turni estenuanti li faceva e stava zitto. Lo ammirava per quello. Sua madre bastava che si rompeva un'unghia che partiva il piagnisteo per almeno un'ora abbondante.
Si sedette su una sedia, si prese la testa tra le mani e sussurrò: “Buon Natale, Chiara”. Si addormentò sul tavolo, con la birra in mano.

Un capitolo corto. Mi spiace se vi aspettavate magari qualcosa di più. Volevo introdurre meglio il personaggio della protagonista. Spero di non deludervi coi prossimi.
Francisca

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Capitolo 3
*** Una nuova esperienza ***


Capitolo 3 - Una nuova esperienza


La mattina si svegliò con allucinanti dolori alla schiena per aver passato la notte stravaccata malamente sul tavolo e ai piedi per le scarpe col tacco.
Scalciò via quegli strumenti di tortura, gettandoli malamente contro l’anta del frigo.
Guardò l’orologio sopra la sua testa. Erano le 7.
Il malumore che la attanagliava era ai suoi massimi storici e non vedeva l’ora di prendersela con quel coglione del suo “amico”. Ma che erano scherzi da fare, la Vigilia di Natale per giunta?
“Con lui ho chiuso!” disse al muro.
Si alzò, indispettita, e preso il cellulare in mano chiamò il suo ex-amico che, ovviamente, manco a farlo apposta, non rispose.
Scattò la segreteria telefonica e lei lasciò un messaggio che si avvicinava pericolosamente ad una vera e propria minaccia: “Brutto coglione, testa di pino! La prossima volta gli scherzi fatteli da solo. Fanculo. Non farti più sentire, ok? Addio!”
Buttò giù fuori di sé tanto che per un attimo fu tentata di dare un pugno al muro, poi, ragionandoci, capì che era una idea idiota.
Possibile che il mondo facesse di tutto per rovinarle la vita?
Si buttò sul letto, in modo scomposto e si risvegliò dopo due ore, un po’ più riposata di prima.
Decise che doveva uscire. Farsi Natale da sola già era abbastanza deprimente, stare inoltre rinchiusa in casa come una cretina sinceramente non era la tattica migliore per migliorare la situazione.
Si fece una doccia, sfregandosi il corpo e i capelli per bene, quasi che così potesse spazzare via anche il malumore.
Si vestì in fretta e furia ed uscì sbattendosi la porta dietro, ignorando di non aver fatto il letto da due giorni, di non aver messo a posto casa.
Liquidò il problema con un 'Tanto ci vivo da sola'. Era una persona ordinata, in linea di massima, e anche un po’ rompicoglioni sotto questo punto di vista, era anche per quello che aveva deciso ad un certo punto di prendere casa da sola.
I primi due mesi a Roma, aveva preso una casa in affitto con altre tre ragazze. Era stato un inferno.
Queste tipe, due siciliane e una veneta, erano zozze in una maniera indecente, prive di ogni rispetto per l’altro e sfacciate come poche.
Fortunatamente il contratto era un 4+4 e, dopo due mesi di forzata convivenza, messasi subito a cercare una nuova ragazza da piazzare con le tizie e un nuovo alloggio, nel giro di un mese aveva liquidato la brutta esperienza ed era andata a vivere da sola nel minuscolo trilocale che ora era suo.
In quella circostanza, stranezza della vita, aveva avuto invece molta fortuna. La proprietaria era una donna anziana e pacifica e, grazie a Dio, l’aveva presa particolarmente in simpatia. Era una vecchia signora, con una bella pensioncina, che aveva due appartamenti in quel palazzo, uno dei quali dove fino a pochi anni prima abitava il figlio, e di cui, in cambio di un po’ di compagnia e di pulizie ogni tanto, le aveva abbassato di molto il prezzo iniziale.
La posizione era abbastanza centrale, facilmente raggiungibile con metro ed autobus e non per niente male dentro, dato che era abbastanza recente come interni.
Scese giù, per strada, e respirò a pieni polmoni quell'aria gelida.
A Roma non nevicava più (solo a dire la frase 'Nevica a Roma' le scappava da ridere) però in compenso la poca neve che si era attecchita all'asfalto non si era sciolta.
Già bastò quell'aria frizzantina per risvegliarla e ricaricarle un po' le batterie.
Prese la metro, di cui aveva l'abbonamento e gironzolò un po' per il centro di Roma, in Via del Corso inizialmente, poi ritrovò inconsciamente, come molte altre volte succedeva, a girovagare per Via Condotti.
Ammirare quelle vetrine con quei prezzi proibitivi e quegli abiti che erano favolosi, la faceva sognare ad occhi aperti, senza ritegno.
Era una persona con i piedi per terra, di certo una che amava illudersi ma quelle vetrine la portavano in un’altra dimensione, fantasticata. Era seriamente qualcosa più forte di lei.
Fece avanti ed indietro almeno tre o quattro volte. Poi sognare diventò troppo doloroso, pensando ai sacrifici che i suoi avevano fatto per mandarla all'università, e decise di passare davanti al Parlamento, li di certo fantasticare diventava decisamente impossibile. Lo superò, schifata, passò per via del Seminario, di fronte al Pantheon, affascinata da tanta bellezza; vide Palazzo Madama, il Senato, e finì in Piazza Navona, la sua meta finale, tra le fontane del Bernini e le chiese del Borromini.
Ogni volta si stupiva di quanto bello fosse il centro di Roma, di quanto fosse stupendo, di quanta storia c’era in neanche mezzo km di strada.
Dove ti giri, dovunque, trovi storia, arte, bellezza.
Certe volte, vedendo i Fori Romani o il Colosseo o proprio Piazza Navona, o per meglio dire l’ex Stadio di Domiziano, non poteva fare a meno di pensare a come era, a come vivevano i romani e si ritrovava a desiderare di prendere una macchina del tempo e ritornare nell’Antica Roma, ai tempi di Augusto, o sotto Gaio Cesare, meglio conosciuto come Caligola, per vedere il famoso cavallo senatore. Una mossa come quella ora come ora sarebbe stata stupenda. I senatori di ora non sono di certo meglio di quelli che tanto odiava Caligola nel 40 d.C. Potesse lui vederli, cosa direbbe?
Oh, che scelta venire a Roma. Aveva dovuto litigare col mondo per andarci. I suoi ovviamente preferivano Parma o Milano, ma no, lei voleva andare a Roma e alla fine, dopo urla, grida e minacce c’era riuscita e, col senno di poi, fu la scelta più azzeccata che avesse mai fatto in vita sua.
Gironzolò, con questi pensieri frullarle per la testa, per i mercatini natalizi, curiosando, osservando, toccando.
Alla fine, come sempre, non comprò nulla. Ritornò indietro, sui suoi passi, entrò in Galleria Alberto Sordi, dalla Feltrinelli, a guardare alcuni libri (libri che tanto amava), quando il telefono squillò.
"Pronto?" rispose al numero sconosciuto.
"Ciao sono Antonio di Ciro&Ciro, volevo dirti che avremmo scelto te per il part-time. Non ti ho detto molto ieri perché avevo molti colloqui da fare ed ero interessato soprattutto a vedere i curricula più che non spiegare alle candidate i dettagli."
Wow. Questa non se la sarebbe mai aspettata. Forse la buona sorte stava soffiando dalla sua parte. Sentendo il silenzio, Antonio dall'altra parte buttò li la proposta: "Potresti venire entro oggi pomeriggio, così discutiamo un po'?"
"Ma certo! Posso venire - guardò l'orologio – anche tra mezz'ora."
L'uomo dall'altra parte della linea ne sembrò entusiasta.
"Penso che io e te andremmo molto d'accordo. Le ragazze spigliate mi piacciono assai. Comunque vieni oggi verso le tre, che almeno parliamo con calma."
Sorrise, lusingata dai complimenti: " Ok. A dopo.”

***

Prese l'autobus e dopo poco arrivò dal ristorantino napoletano, in perfetto orario.
Antonio, appena la vide entrare, l'accolse stritolandola nel proprio abbraccio, da brav uaglion napoletano.
"Vieni di là, vieni di là" la invitò caloroso. Il locale era chiuso, tutto già in ordine e pronto per la sera.
La fece accomodare nel proprio studiolo, dove era stata solo il giorno prima, che sembrava fungesse più da archivio, e si sedette dietro la scrivania.
"Come ti ho già detto ieri il tuo contratto è a chiamata. E durerà finché la ragazza si riprenderà, il che dovrebbe richiedere all'incirca un mesetto e mezzo."
Lei mosse attenta su e giù la testa in segno di assenso.
"Bene. Il tuo compenso sarà, se accetti il lavoro, di 8 e 70 all'ora. La tua occupazione è cameriera. Servizio ai tavoli." Prese il suo curriculum in mano, dal cassetto alla sua destra. "Ho visto che hai già avuto una esperienza in questo settore, due mesi in un bar a Fidenza."
"Si, esattamente" confermò lei, seria.
"E' un po' poco, lo ammetto, ma per noi basta. Inoltre abbiamo bisogno di personale abbastanza giovane e di bella presenza, e fai al nostro caso."
Ripose il foglio sulla scrivania: "Domande?"
"Quando inizio?"

***

Era davvero un bel localino: intimo, curato e con begli accostamenti nell'arredamento, con colori pastello, sobri.
Bellissimo il murales che occupava per intero una delle pareti del locale, che raffigurava Napoli in tutto il suo splendore.
"Queste sono le cucine" le indicò velocemente. Era il momento del tour.
C'erano due cuochi maschi in cucina, al momento, fasciati nella loro ‘tenuta da lavoro’.
"Pari e Dispari, venite qua, che vi presento il nostro prossimo acquisto" li chiamò dalla porta.
I due non stavano facendo al momento stavano riordinando un po' i piani da lavoro.
Uno era basso, circa 1.65, tarchiato, un po' paffutello e dotato di un baffetto ma completamente calvo. Avrà avuto sui trentacinque-quarant'anni.
L'altro, invece, quasi a voler far contrasto con l'altro cuoco, era altissimo, quasi due metri e magro come un chiodo. Aveva i capelli castano chiaro e gli occhi verde smeraldo. Avrà avuto la sua età, non di pìù. Curiosamente le ricordò Stecco di A Bug's Life. Non poté non sorridere.
Ora capiva perché avevano preso molto probabilmente ispirazione dal film di Bud Spencer e Terence Hill per definirli.
Il tarchiato fu il primo a stringerle la mano con forza, serioso e bofonchiò da sotto i baffi un semplice: "Ciccio" "Il Dispari" completò il Capo. Appena finita la presentazione girò sui tacchi e riandò a pulire il bancone.
L'altro invece le fece un gran sorriso e le strinse la mano con gentilezza: "Piacere, Francesco – e in tono più basso, in modo che l’altro non sentisse – non fare caso a Ciccio, è scorbutichello ma è bravo nel suo lavoro" e le strizzò l'occhio.
"Ovviamente, lui è il Pari" disse sogghignando Antonio. "Ed è l'unico Nordico, insieme a te, del locale."
"Ah" si limitò a rispondere non sapendo se agli occhi dell'uomo era una cosa positiva o negativa. Concluse che essendo lui di giù molto probabilmente la risposta era no.
"Io sono di Aosta" le disse lui.
"Aosta" ripetè sorpresa persino lei.
"Stupita, vero? Ed il signorino è finito a Roma sotto la guida di un terrone a fare da mangiare terùn."
I due uomini risero allegri. Lei si unì a loro in modo poco convincente, un po’ spiazzata da questo così accentuata auto ironia.
Antonio si mise ad urlare: "Quando avete finito di pulire potete andarvene."
Uscirono dalla cucina e l'uomo le disse: "Per la firma credo che dovrai aspettare domani"
Aggrottò la fronte, interdetta: "E perché mai?"
Alzò un sopracciglio: "Beh, il padrone dovrà pur vederti. E devi parlare con lui."
E lei che pensava che fosse Antonio il Padrone!
"Ah, quindi non è sicuro..." fece lei sulla difensiva.
"No, no, è uno tranquillissimo. Vedrai, non fa mai storie" e le sorrise ancora.
"Io credevo fossi tu il Padrone..." ammise.
"No, no, io sono solo il direttore di questo postaccio" e le fece l’occhiolino.
Poi si guardò intorno come se stesse cospirando un attentato terroristico, le sussurrò: "Il padrone è nordico pure lui. E' genovese. Ha fiutato anni fa l'affare del locale napoletano, che di certo attrae di più di quello milanese, ma di certo se lo avesse gestito direttamente lui, chi ci sarebbe venuto? E quindi eccomi qua!" e allontanandosi le fece un gran sorrisone.
"E come la mettiamo con il cuoco valdostano?" disse scherzosa, senza pensarci.
Credendo di aver osato troppo fece per scusarci ma la risata prorompente dell'uomo la precedette.
Le diede due pacche nella schiena e le fece un gran sorrisone: "Mi piaci, sai? E penso piacerai anche ai clienti, si si!"
Non sapendo che altro aggiungere si limitò a: "Beh, a domani"
"A domani cara, ti chiamo io stasera per farti sapere l'orario" e la accompagnò alla porta.

Si, sono viva.
V'è piaciuto? Sto preparando il terreno per piantarci la storia vera.
Pian piano sto intessendo la storia.
Questa volta vi ho fatto un signor capitolo, in termini di lunghezza.
Mi auguro abbiate apprezzato! ;)
Baci
Francisca

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Capitolo 4
*** Di nuovo tu? ***


Capitolo 4 - Di nuovo tu?

La sera brevemente le fu comunicato l’orario al quale presentarsi: alle undici.
Era davvero strano che il locale fosse aperto anche per Natale e giorni in cui comunque la maggior parte sceglieva di stare chiusa, soprattutto se così in periferia, ma del resto chi era lei per dire a che ora aprire o meno? Finalmente sembrava avere trovato un lavoro ben retribuito – in senso relativo ovviamente – e si metteva a fare critiche, a trovare il capello nell’uovo? E’ sempre stata così, criticona, e quel periodo un po’ negativo non faceva che accentuare questa sua naturale predisposizione.
Si presentò di nuovo al Ciro&Ciro, come stabilito, e addocchiato Antonio al bancone della cassa gli sorrise avvicinandoglisi per salutarlo.
“Wow, che puntualità. Anzi…” Lo vide guardare l’orologio. “Sei di dieci minuti in ritardo!”
“Ritardo?”
Guardò con il panico in gola guardò l’orologio: 10.54. Ma che diavolo sta dicendo?
Sentì una pacca sulla spalla: “Tranquilla, fidenziana… no… aspetta, fidenzina. Giusto?”
Confusa per l’umorismo e per le preoccupazioni – alquanto improbabili - del suo probabile capo, non capendo minimamente se scherzava o no, non rispose continuando a guardarlo in attesa di spontanee delucidazioni.
La osservò di rimando, anche lui senza dire una parola, spiazzato dal suo stesso silenzio, poi ritte le spalle, portando lo sguardo alla parete disse: “Io a voi del Nord proprio non vi capisco.”
E lo vide sorridere amaro, e si sentì allora in dovere di recuperare: “Siamo… noi ci chiamiamo fidentini.”
Riportò subito lo sguardo sul suo viso: “Bene, bene, fidentina. Sarà meglio che ti ingegni un po’ in senso dell’umorismo, perché ne sei davvero sprovvista.”
“Ehm, si….” rispose titubante.
“Io vado in cucina… tu sarà meglio che ti siedi ed aspetti il padrone, dovrebbe arrivare a momenti. A voi del nord deve proprio piacere arrivare in anticipo” e lo vide scomparire nel retro, scrollando la testa.
Ahia, già partiamo male, pensò. Ma che dovevo fare, perbacco?
Sentì che qualcosa tra lei ed Antonio si era rotto, e che molto probabilmente a meno di strani accadimenti non l’avrebbe più resa partecipe delle proprie battute. Beh, meglio così! pensò. Io non ce la faccio a sopportare per sette ore una persona che scherza sempre e che mi dà in continuazione della nordica o polentona.
Sempre che dovrò sopportarla, aggiunse una vocina fuori campo, bastarda.
Si, effettivamente, chi dice che al padrone del locale piacerò?
Presa alla sprovvista vide una figura cercare di entrare nel locale, aprendo la porta. Si avvicinò subito dicendo “Guardi che il locale è ancora chiu…” e alzando lo sguardo lo vide in faccia.
Lui, di nuovo.
No, non ci credo!! E’ un incubo! Riuscì a trattenere a stento l’esclamazione.
Fu seriamente tentata di mettersi a correre come l’ultima volta. Questo è uno stalker non ci sono dubbi!
“Guardi che è chiuso” ripeté, sperando che così se ne andasse più in fretta.
Anche lui sembrò rimanere spiazzato alla sua vista e rimasero per un bel po’ a guardarsi senza muovere muscolo, ma poi lui sembrò riprendersi e superare la sorpresa, o così cercò di farle credere.
“Piacere, sono Andrea” disse lui, tendendole la mano, con un sorriso.
Ma che sorpresa e sorpresa, sto bastardo violentatore vuole fregarmi, ecco com’è!
Lei sembrò per niente intenzionata a stringerla e iniziò una vera e propria invettiva, dando vita ai suoi pensieri, nel tentativo di dissuaderlo dal proprio intento, qualunque esso fosse:  “Guardi che mi deve lasciare in pace. Io non la conosco, e neanche voglio conoscerla. Se non la smette di importunarmi io chiamo i carabinieri, ha capito?!”
“Che succede qua?” esclamò la voce di Antonio da dietro di lei e sentì i suoi passi avvicinarsi, finché non le fu al fianco.
“Antonio, ho provato a dire al signore di andarsene, ma non sente ragione!” esclamò.
E girandosi verso di lui per dire questa frase vide il suo volto rabbuiarsi ed incredulo esclamare, indicando il presunto tizio maniaco: “Ma che cliente, e cliente! E’ lui il padrone!”
In un attimo, uno solo, si sentì sprofondare.
Si girò verso il fantomatico Andrea, incapace di fare qualunque cosa se non spalancare la bocca, in evidente affanno e sotto shock.
“Ma che è quell’espressione da pesce lesso, per Dio!” le fece, dandole una mezza ficconata al braccio. Poi si rivolse a lui tendendogli la mano, e lui gliela strinse di rimando, togliendole lo sguardo di dosso: “Salve Antonio, pronti per il pranzo?”
“Si, si, tutto pronto, signore!” pochi attimi di silenzio ed eccolo aggiungere: “Lei è la ragazza che le dicevo.”
Lo vide rigirarsi verso di lei, trattenendo un sorriso, mentre lei ancora aveva l’espressione da pesce lesso.
Ma la vista di quel sorriso compiaciuto e vincente – che lei interpretò come niente meno che perversione  - la risvegliò dal torpore dello shock.
Non poteva lavorare alle dipendenze di un maniaco, chissà che avrebbe fatto.
Guardandolo ferita disse: “Antonio non ti scomodare a presentarmi. Non sono più interessata al lavoro. Mi ritiro. Scusate per la perdita di tempo. Addio.”
Ed uscì dal locale sotto lo sguardo improvvisamente attonito del maniaco, e le esclamazioni di Antonio.
Uscì dal locale più in fretta che poté nonostante le gambe molli e anche quella sera, dalla disperazione, non rifece il letto.


Scusate l'enorme ed imperdonabile ritardo.
Cercherò di essere più assidua negli aggiornamenti, ma in questo periodo ho avuto un blocco clamoroso, nel quale non riuscivo neanche a scrivere due frasi senza mettermi a cancellarle e rifare tutto da capo. Nada.
Poi, ieri, come l'incanto ispirazione a manetta e ho buttato giù questo capitolo, che appena finito di scrivere, dopo una breve revisione, ho pubblicato. E' breve, ma sempre meglio di niente,
Valvo

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