MRR: Una nuova avventura ha inizio

di Shora
(/viewuser.php?uid=405077)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova compagna ***
Capitolo 2: *** la prima lezione di Eveline ***
Capitolo 3: *** Inutile ***
Capitolo 4: *** Il ritorno dei disastri ***
Capitolo 5: *** Chiacchere notturne ***
Capitolo 6: *** Una missione per Makoto ***
Capitolo 7: *** Rapimento ***
Capitolo 8: *** Il potere dall'amicizia ***
Capitolo 9: *** Ancora segreti, ancora bugie ***
Capitolo 10: *** Perdonami ***
Capitolo 11: *** Mare e... disastri! ***
Capitolo 12: *** Due gocce d'acqua ***
Capitolo 13: *** Un po' di relax ***
Capitolo 14: *** Il tramonto sulla spiaggia ***
Capitolo 15: *** Sapevo che non eri come loro ***
Capitolo 16: *** Se solo potessi ***
Capitolo 17: *** Salvo per miracolo ***
Capitolo 18: *** Che errore ho commesso? ***
Capitolo 19: *** Tutta colpa del fato ***
Capitolo 20: *** Missione notturna ***
Capitolo 21: *** Il primo vero sorriso ***
Capitolo 22: *** Incontri nel bosco ***
Capitolo 23: *** Attacco a sorpresa ***
Capitolo 24: *** I disasrtri si allargano ***
Capitolo 25: *** La tristezza di Alice ***
Capitolo 26: *** Tra le lacrime e i sorrisi ***
Capitolo 27: *** Un piano malefico ***
Capitolo 28: *** Salvataggio ***
Capitolo 29: *** Segreti e preoccupazioni ***
Capitolo 30: *** La viglilia di Natale ***
Capitolo 31: *** Solo per un malinteso ***
Capitolo 32: *** Il quartier generale dei Disastri ***
Capitolo 33: *** Uno spiraglio del passato ***
Capitolo 34: *** Come il sole e la luna ***
Capitolo 35: *** Non ti lascio! ***
Capitolo 36: *** La pazzia di Hazard ***
Capitolo 37: *** Un sacrificio costato troppo ***
Capitolo 38: *** Niente rimpianti ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Una nuova compagna ***


Una nuova compagna:

Erano passati tre anni da quando i nostri cadetti avevano messo piede nella fatidica accademia dei Machine Robo Rescue. Oramai si conoscevano tutti alla perfezione, nessuno aveva più segreti, poiché la sincerità tra di loro era tale che si raccontavano tutto. Tutti avevano raggiunto un’età tra i quattordici e i quindici anni. Arias e Makoto erano diventati amici inseparabili e tra loro c’erano anche Jay e Taiyoh. Ovvio le litigate c’erano ancora e sempre per stupidi propositi, ma che ci possiamo fare. Rin, Alice e Sayuri erano diventate un gruppetto niente male e come ben potete immaginare Taiyoh sbavava dietro alla nostra carissima Rin, che faceva finta di niente nonostante anche lei provasse un piccolo sentimento rivolto al ragazzo. Il gruppo dei Yellow Gears era un gruppo a sé non stava molto spesso con gli altri soprattutto per quanto riguarda Daichi.  Fu proprio in quel periodo che il comandante Bitoh, pensando che i ragazzi fossero maturati abbastanza, decise di presentare loro un nuovo cadetto, perciò alle tre del pomeriggio di un fresco e luminoso Lunedì d'estate i Blue Sirens, gli Yellow Gears e i Red Wings furono chiamati a rapporto nella sala comando. Tutti erano molto agitati e non facevano altro che chiedersi cosa il comandate volesse da loro. Una volta arrivati si misero tutti sull’attenti. Bitoh prese parola:
-Miei cari cadetti, sono orgoglioso di dirvi che da oggi in poi nella vostra squadra ci sarà una nuovo o per meglio dire una nuova compagna…-
Tutti i ragazzi cominciarono a guardarsi felici. Non era certo una cosa che accadeva tutti i giorni di avere una nuova compagna di squadra. Il comandante tossì per attirare l’attenzione.
-Avrei preferito finire di parlare senza essere interrotto, ma a quanto pare… comunque la vostra nuova compagna non è altri che…-
-Papà, mi dispiace interromperti ma Marie mi ha detto che dovevo venire.-
Una ragazza con dei lunghi capelli neri e ricci e due occhi verdi brillante comparve sulla porta attirando l’attenzione di tutti i ragazzi. Era di media altezza e indossava già la divisa dell’accademia. Sulla schiena aveva una sacca che a quanto pare doveva contenere indumenti e oggetti personali che si era portata da casa.
-Eveline, possibile che tu e tua sorella non capite mai quello che vi dico?-
-Mi scusi comandante- si intromise Jay –Sbaglio o quella ragazzina lo ha appena chiamato “Papà”?-  chiese infine.
-Non erri Jay, ecco… vedete, la vostra nuova compagna è la qui presente Eveline Bitoh, ovvero mia figlia minore.-
-Eeeehhhh?- chiesero tutti in coro.
-Piacere- disse la ragazzina entrando nella sala. Arias e Makoto erano estasiati dalla bellezza della loro nuova compagna.
-Ora esigerei che vuoi tutti vi presentiate a lei e con la massima gentilezza la accogliate nella squadra alla quale verrà assegnata. Chiaro?-Chiese il comandante Bitoh con una freddezza che fece rabbrividire tutti i cadetti compresa sua figlia.
-Cominceranno i Red Wings- concluse.
-Piacere di conoscerti, il mio nome è Rin Haruka.- si presentò l’unica ragazza membra dei Red Wings.
-Felice di averti con noi io sono Taiyoh Ohzora-
-Io sono Kai Kitazawa-
-Jay-
-Farò colpo su di lei sta a guardare-sussurrò Asso dando una gomitata a Makoto dato che arano vicini.
-Il mio nome è…- il ragazzo biondo cadde a terra per colpa dello sgambetto di “qualcuno” dai capelli blu. Fece finta di niente e si rialzò togliendosi un po’ di polvere dalle spalle.
-Come stavo appunto dicendo…- disse fulminando con lo sguardo Makoto. –Mi chiamo Arias Honoh, ma tu puoi chiamarmi Asso.- La ragazza gli rivolse un sorriso che lo fece arrossire vivamente, poco distante sentì Makoto fargli il verso “ma tu puoi chiamarmi Asso”.
-Bene ora i Blue Sirens.- disse il comandante.
- Io sono Alice Beckham.- Fu la prima a presentarsi.
-Piacere noi siamo Susumu Utada e..-disse uno.
-Tsuyoshi Utada-
-Siamo gemelli come avrai potuto notare-
-Infine io sono Makoto Aikawa- Rispose il ragazzo facendo un passo avanti e il saluto militare. Eveline lo imitò:
-Eveline Bitoh, Piacere di fare la tua conoscenza- disse.
Il ragazzo arrossì e torno al suo posto.
-Infine gli Yellow Gears- finì Bitoh.
-Io sono Daichi Hayami.- si presentò il Robo Master di Drill.
-Molto piacere, Sayuri Suizenji- si presentò facendo un profondo inchino.
- Piacere di conoscerti Ken Minami-
-Felice di averti con noi sono Shoh Ashikawa-
-Bene ora che le presentazioni sono finite decideremo la squadra in cui metterti. Eveline, dai a noi istruttori solo cinque minuti.-
-Ma, papà, Marie non c’è?- chiese lei.
-No, chiederebbe di metterti subito nei Blue Sirens per averti sott’occhio perciò lei non prenderà parte alla decisione.- Detto questo si allontanò con il resto degli istruttori confabulando mestamente. Tutti i cadetti rimasero in un imbarazzante silenzio dopo cinque o sei minuti circa si venne a sapere che Eveline avrebbe fatto parte dei Red Wings.
-Non mi sembra giusto- disse Makoto.
-Come mai?- chiese Sasaki.
-Perché gli Red Wings hanno già preso con loro Jay- rispose arrossendo un po’ ala vista interrogativa di Eveline.
-La scelta è fatta, non voglio sentire altro- disse Bitoh allontanandosi, non prima di aver dato il rispettivo KeiBoy alla figlia. Rin le corse incontro e l’abbracciò.
-Sono sicura che diventeremo ottime amiche!-
-Lo penso anche io- disse la ragazza con un sorriso raggiante sulla faccia.
-Rassegnati Makoto, lei è già mia!- disse Asso correndo dalla sua squadra che dava il benvenuto alla nuova arrivata.  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** la prima lezione di Eveline ***


La prima lezione di Eveline:

Rin e Taiyoh stavano passeggiando per il campo d’allenamento chiaccherando del più e del meno. Per il ragazzo era una sensazione magnifica, stare vicino alla sua amata. Invece la ragazza non pareva particolarmente interessata e questo lo fece stare un po’ male. Rin lo notò.
-Taiyoh, tutto bene?- chiese poi.
-Oh, si, si. Non ti preoccupare Rin…- rispose il ragazzo.
-Sei sicuro. Mi sembri un po’ giù di corda.- ricominciò la ragazza mettendosi davanti al castano che arrossì lievemente per tutte quelle attenzioni.
-E’ normale essere un po’ tristi qualche volta, no?-
-Ma perché lo sei?- insistette la mora.
-Affari miei..- rispose il ragazzo con un po’ di stizza nella voce.
-Contento tu…-
-Rin, Taiyoh!- chiamò qualcuno.
I due ragazzi cercarono di capire a chi potesse appartenere quella voce. Poco distante da loro c’era Alice che sventolava una mano per attirare la loro attenzione. I giovani le corsero incontro.
-Che succede?- chiese Rin piegandosi sulle ginocchia con il fiatone.
-E me lo chiedi pure?! Sono ore che vi cerchiamo, è ora di cena!-
-Davvero?!- domandò Taiyoh con già l’acquolina in bocca.
-Si ed è già tutto in tavola se non vi muovete…-
La ragazza non riuscì a finire la frase che il castano era già sfrecciato verso la sala mensa.
-Certo che quando a fame chi prova a fermarlo è folle, eh?- rise Rin.
-Già…- le fece eco Alice.
-Cosa stavate facendo qui fuori?-chiese la ragazza dai capelli verdi, mentre si avviavano verso la mensa.
-Parlavamo della nuova arrivata.-
-Oh, come ti sembra?-
-Simpatica ma molto timida. Mi chiedo come mai sia venuta qui dopo tre anni e non quando siamo venuti qui anche noi e poi perché Marie non ha mai menzionato di avere una sorella?-
-E’ inutile che ti poni tante domande finirà solo con il fumarti il cervello…- disse una voce maschile.
Rin si voltò verso destra e si trovò vicino Jay. Fece un salto indietro per lo spavento.
-J-Jay, quando sei arrivato!?-
-Da un po’ ma voi non mi avete notato…- disse ragazzo con un tono annoiato nella voce.
-C-Capisco, certo che è inquietante questo tuo modo di apparire così..- continuò la ragazza. Lui fece spallucce.
 
Raggiunsero la mensa propio per vedere Taiyoh che si abbuffava sotto gli occhi attoniti di tutti i cadetti. Rin gli si avvicinò.
-Ti sembra questo il modo di comportarti, sembri un maiale!- Disse tirandogli i capelli.
-Ma che ti ho fatto?!- sbraitò il ragazzo liberandosi dalla presa della ragazza.
-Semplice, stavi mangiando come un porco! Non mi pare sia molto educato, non credi?-
 Taiyoh sbuffò e cominciò a mangiare più educatamente.
-Così va bene?- chiese ironico. Rin alzò gli occhi al cielo e andò a prendersi un piatto. Poco dopo fecero irruzione Arias e Makoto che si urlavano contro.
-E ora questi che hanno?- chiese Alice.
Dopo loro comparve anche Eveline, che un po’ titubante entrava nella sala guardandosi intorno smarrita. Le due ragazze le andarono incontro.
-Ciao Eveline! Come stai?- chiese la mora.
-B-bene, grazie.- sorrise.
-Vieni a sederti vicino a noi.- le propose Alice.
-Va bene..-disse la ragazza facendosi condurre per mano al tavolo dove il trio si era sistemato.
-Aspetta qui, vado a prenderti un piatto.- disse  Rin. Lei annuì piano e cominciò a guardarsi intorno, ora un po’ più tranquillamente.
Intanto i due ragazzi non la finivano di urlarsi contro. Un ragazzino dai capelli castani riccioluti si avvicinò a loro probabilmente per fermarli.
-Vi prego non c’è bisogno di urlare così! E poi per cosa state urlando!?-
-Daichi non ti intromettere sono discorsi da uomo!- disse Makoto.
-Perché, forse io non lo sono?- disse in modo flebile.
-Ecco…- intervenne Asso.
-Quello che voleva dire Makoto è che non potresti capire il motivo della nostra discussione.- disse poi.
-Si, esattamente.- concordò il ragazzo dai capelli blu.
-Magari, se me lo spiegaste…- Sospirò il castano come fosse una cosa ovvia.
I due ragazzi arrossendo lievemente si voltarono verso Eveline che giocherellava con un a forchetta.
-Ecco…- disse il biondo guardando il soffitto.
-Vedi…- cominciò l’altro fissando il pavimento.
Daichi sorrise in modo malvagio (cosa rara per uno come lui).
-Ho capito…- disse sogghignando.
I due ragazzi arrossirono ancora di più.
-Vi piace la ragazza nuova!- concluse poi quasi urlando.
-Ma cosa vai a pensare, Daichi!- ripresero a urlare quei due.
-Mi spiace interrompere una così vivace conversazione, ma non sarebbe ora di mangiare?-
I tre ragazzi si voltarono. Alice li guardava severamente cono le mani sui fianchi e batteva ritmicamente un piede.
-Si, scusa Alice- dissero tutti all’unisono. Così il castano tornò al suo piatto e due ragazzi andarono a prendere qualcosa da mangiare.
 
Finita la cena tutti si diressero verso le proprie camere.
-Che stanza hai?- chiese ad un certo punto Taiyoh a Eveline.
-La numero 24. Era la stanza di mia sorella quando faceva la cadetta. Mio padre me l’ha assegnata perché quando ero piccola mi portava ogni tanto a lavoro con lui, solo che un giorno mi sono persa per i dormitoi e Marie mi ha trovato portandomi in camera sua, così quello per me è diventato un punto di riferimento per me…-
-Ehi! È vicino alla mia!- esclamò qualcuno.
La ragazza dagli occhi verdi si voltò. Sayuri le sorrideva in modo benevolo.
-Spero non ti dispiacerà stare vicino a me…- sussurrò-
-Oh, no, per niente!- disse lei.
-Perfetto per un attimo ho pensato di starti antipatica.- rispose.
-Se vuoi possiamo andarci assieme- disse Eveline.
-Ok, nessun problema.- sorrise la castana.
 
Il KeiBoy iniziò ad agitarsi sulla scrivania di Asso.
-Sono le sette è ora di svegliarsi presto, presto!-
-Calmati, coso esagitato!- disse il ragazzo con voce assonnata. Si voltò verso il muro.
-Svegliarsi, svegliarsi, è ora di alzarsi!- l’aggeggio meccanico cominciò a tirare i capelli del biondo.
-Va bene ho capito mi alzo!-
Si preparò e uscì dalla stanza senza guardare dove metteva i piedi e fu così che si scontrò contro qualcuno, che cadde a terra.
-M-mi dispiace no ti avevo vista.- disse capendo che era una ragazza.
-No, figurati non ti preoccupare.-
Asso arrossì capendo a chi appartenesse quella voce. Le porse una mano per rialzarsi. Eveline l’afferrò.
-Grazie.- sussurrò.
-Ma niente, figurati.- sorrise Arias.
Scesero insieme per la colazione e non appena Makoto vide ciò che stava accadendo si alzò dal tavolo prendendo da parte Asso.
-Che pensi di fare?- gli chiese in tono rabbioso.
-Socializzo.- disse il biondo con aria sognante.
-Quello non mi sembra socializzare, tu ci stai provando con lei!-
-Anche quello è socializzare.-
All’improvviso suonò l’allarme. Tutti i ragazzi si alzarono e corsero verso la palestra per poi prendere nuove istruzioni. Ad aspettarli trovarono tutti gli istruttori. Un altro falso allarme…
-Perché in questi giorni non fate che chiamarci con le sirene?!- chiese scettico Kai.
-Perché è l’unico modo per attirare la vostre attenzione.- rise Marie.
-Io non lo trovo divertente- sbuffò Jay.
-Sbagli, tu non trovi nulla divertente- disse Shoh.
L’altro lo ignorò.
-Bene, oggi faremo un allenamento di arti marziale.- disse Sasaki.
Rin sorrise. Adorava le arti marziali.
-E… questo a che servirebbe?- chiese Taiyoh.
-A sviluppare i vostri riflessi- continuò l’istruttore.
-Ah…ok-
-Bene formiamo delle coppie- disse Marie.
-Asso con Makoto, Eveline con Rin, Alice con Daichi, Ken con Shoh, Jay con Taiyoh, i due gemelli assieme e Sayuri… Sayuri con Kai!-
-Ok, partite pure ad allenarvi- concluse Sasaki.
I ragazzi cominciarono a tirarsi pugni e calci.
Poi Asso si rivolse a Makoto.
-Hai visto, Eveline è stata messa in coppia con Rin, non è un po’ troppo forte per lei?-
Poco dopo si sentì un urletto femminile. I due ragazzi si voltarono Rin era a terra che si massaggiava il fianco.
-Mi dispiace non volevo farti male- si scusò Eveline.
-Cosa?!- disse scettico Makoto.
-Voglio riprovare- disse Rin.
-Ok..- disse Eveline.
La mora si fece avanti ma la ragazza dagli occhi verdi con uno scatto felino le fu dietro bloccandole le braccia.
-M-mi arrendo- disse Rin.
Eveline la lasciò andare.
-Certo che sei forte. Dove hai imparato?- chiese la cadetta sconfitta massaggiandosi una spalla.
-Mi ha insegnato tutto mio padre.-
-Wow, non pensavo che il comandante fosse così forte-
-Rin!- la chiamò l’istruttore. Lei si voltò.
-Vai a metterti un po’ di ghiaccio sulla spalla, tu Eveline, allenati con Makoto e Arias, dato che stanno solo chiaccherando-
Le due annuirono. Eveline si avvicino ai due ragazzi.
-L’istruttore ha detto che devo allenarmi con voi.- sussurrò intimidita.
I giovani si voltarono.
-N-nessuno problema- disse Makoto vivamente preoccupato per la sua incolumità.
-Siete pronti?- chiese mettendosi in posizione di attacco.
I due annuirono lentamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Inutile ***


Inutile:

-Avanti io sono pronta.- disse lei con un sorriso angelico.
-Avanti quanto sarà forte, dopotutto è una ragazza…- sussurrò Arias al suo amico. Makoto per tutta risposta deglutì forzatamente. I due le si lanciarono addosso, lei li scansò di lato, Asso cadde di faccia mentre il ragazzo dai capelli blu riuscì a mantenere l’equilibrio e si voltò in modo fulmineo. Cercò di colpirla con un pugno, lei gli fermò la mono con la sua. Tentò con un calcio diretto al fianco di Eveline ma la ragazza lo bloccò mandaglielo lei a sua volta. Makoto cadde a terra. Asso intanto si era alzato per cadere nuovamente dalle risate per la figuraccia del suo amico.
-Cosa c’è da ridere?-
-Sei stato battuto da una ragazza!- disse continuando a ridere.
-Perché, tu hai fatto di meglio?!- rispose l’altro con dito accusatore.
-Almeno io non mi sono scavato la fossa da solo!-
-Cosa?! Ritira subito ciò che hai detto!-
-Col cavolo!- gli fece la linguaccia il biondo.
Makoto si alzò e i due ragazzi cominciarono a menarsi davanti a tutti.
-Per favore basta!- disse Eveline. Ma i due non la finivano di scannarsi, fino anche un allarme non attirò la loro attenzione.
Red Wings, presto! Incendio al museo vicino alla piazza! Presto ci sono ancora persone all’interno”
-Oh no!-dissero in coro dei cadetti.
I ragazzi facenti parte dei Red Wings corsero verso la sala del Wings Lainer. Mentre la squadra correva fuori dalla palestra arrivò Rin.
-Ma che succede!?- chiese.
-Un emergenza, ma stai pure lì a guardarti intorno, lascia a me tutto il lavoro, tranquilla!- le urlò Taiyoh.
-Come lasciare a te tutto il lavoro! Ma fammi il piacere!- e gli corse dietro.
I cadetti entrarono nel mezzo che gli avrebbe portati nel luogo dell’incendio. Nonostante Eveline fosse nuova non ebbe bisogno di informazioni. Aveva già visto quell’operazione troppe volte. Partirono. Più si avvicinavano, più vedevano gente terrorizzata che fuggiva.
 
Una volta arrivati davanti al museo tutti i cadetti presero le pompe e cominciarono a spegnere l’incendio.
-Sono usciti tutti?- chiese Kai ad un vigile del fuoco che era andato a controllare.
-Si, non c’è più nessuno.- disse sicuro.
-Dov’è Giorgia! Giorgia, dove sei?!- gridò una signora.
-Che è successo?- chiese Jay avvicinandosi alla donna.
-M-mia figlia non c’è. È rimasta dentro!-
“Ok, ora è il mio turno! Dimostrerò anch’io quello che so fare!”
Eveline corse per entrare nell’edificio.
-Eveline, che stai facendo!- urlò Asso.
-Vado a cercare la bambina. Tranquillo se non torno entro 5 minuti venitemi a cercare, ma credo che uscirò prima!- sorrise ed entrò nell’edificio.
La ragazza si addentrò nel museo. Dentro faceva un caldo infernale. La cadetta si guardò intorno non c’era nulla che non fosse lambito dalle fiamme. Cominciò a salire per i piani del palazzo urlando il nome della bimba, finchè al quinto piano non sentì una vocina che gridava “sono qui” e non la finiva di tossire. Sfondò la porta di una sala di esposizioni antiche. La stanza era divisa in due da una trave caduta da soffitto. Era appoggiata in modo obliquo in modo tale da formare un piccolo passaggio. Eveline si guardò intorno e vide una bambina sui sei anni terrorizzata che stingeva un orsacchiotto di peluche.
-Ciao.- disse la ragazza. – Sono dei Machine Robo Rescue, sono qui per portarti in salvo, da mamma e papà.-
Giorgia mosse qualche passo titubante verso la ragazza che tendeva la mano, sorridendole. La bimba passò sotto la trave afferrando la mano della cadetta.
-Perfetto..- sussurrò Eveline, poi prese fuori il KeiBoy.
-Fire, aggancia lo scivolo alla finestra est del quinto piano.-
Il Machine Robo fece quanto ordinato.
-Ora scendi e vai da mamma e papà, ok?- chiese Eveline in tono confidenziale.
La bimba annuì e si lanciò giù dallo scivolo, la ragazza la stava per seguire quando un’altra trave cadde dal soffitto. La cadetta fece un balzo indietro ma cadde e la trave le precipitò sulla sua gamba destra. La ragazza urlò di dolore.
Il fumo aveva cominciato a farsi più denso, la mora cominciò a tossire.
“Che stupida, mi sono dimenticata la bombola dell’aria giù dai Red Wings” Sorrise tra sé e sé in modo triste. Provò a spostare la trave ma con poco successo. Allora cercò il KeiBoy nelle tasche ma non lo trovò. Lo vide poco distante ma non riuscì ad afferrarlo, probabilmente le era scivolato durante la caduta.
“Che morte stupida sto per fare! Io lo avevo detto a mio padre che non ero portata per questo genere di cose ma lui, ovviamente, non m ha ascoltato e ora il mio sogno di diventare scrittrice non si realizzerà mai.”
Tossì ancora più forte, non riusciva quasi più a respirare. Poi sentì una voce che la chiamava. Asso fece irruzione nella stanza e la vide piegata in due dalla tosse.
-Eveline, maledizione!- imprecò.
Lei non rispose. Arias riuscì a toglierle la trave di dosso e tra i gemiti di dolore dalla ragazza se la coricò sulla schiena, scese dallo scivolo, una volta arrivato giù Eveline era svenuta.
 
-Eveline, noi saremo amici per sempre vero?- chiese la voce di un bimbo a lei già nota
-Certo, perché mi chiedi questo?-
-Sento che molto presto qualcosa ci separerà.- disse la voce.
-Davvero?-
Eveline si svegliò di soprassalto. Si mise a sedere sul suo letto. Si guardò attorno stupita, era nella sua camera, vicino al suo armadio notò due figure. Taiyoh e Jay dormivano l’uno addosso all’altro contro l’armadio. Con sorpresa si trovò con indosso il pigiama e pulita, senza neanche un po’ di fuliggine addosso.
“Non mi avranno fatto questo loro vero?” pensò arrossendo vivamente.
Il castano fu il primo a svegliarsi.
-Buon giorno- salutò lui.
-A te!- rispose lei, continuando, però, a pensare chi l’avesse lavata e vestita.
-Oh, tranquilla è stata tua sorella a lavarti e vestirti, non ti abbiamo semplicemente tenuto d’occhio mentre dormivi.- sorrise come se le avesse letto nei pensieri. Nel frattempo anche Jay si era svegliato.
-Vi ringrazio- disse lei.
-Figurati- sorrise Taiyoh.
-Ora però vorrei vestirmi.- disse Eveline.
-Certo.- rispose Taiyoh mettendosi le mani dietro la schiena e dondolandosi come se fosse in attesa.
Lei si schiarì la voce.
-Si..- disse il castano.
-Potrei stare da sola?- chiese.
-Oh, si giusto sei una donna… Eheheh scusa.-.
-Sei proprio uno scemo- commentò Jay.
-Scusa signor perfettino, ma sai che a stare in camera con te non sono mai dovuto uscire perché tu ti dovevi vestire, dopotutto siamo dello stesso sesso, no?- così uscirono dalla porta. La ragazza trattenne un risolino per poi rattristarsi nuovamente.
“Così la mia prima missione è stata un fiasco totale!”
Fece per alzarsi dal letto ma appena poggiò la gamba ferita a terra cadde con tonfo sordo e con un dolore lancinante. Così le venne in mente tutto quello che era accaduto probabilmente ieri dato che l’orologio segnava le sette della mattina. Si appoggiò al tavolo e si tirò su da terra. Dall’altra parte dell’oggetto notò della stampelle. Sorrise e provò a raggiungerle. Con un tempo di lentezza da record riuscì finalmente a vestirsi, ma non finì nemmeno di aprire la porta che suonò l’allarme. Così invece di dirigersi verso la mensa “stampellò” fino alla palestra. Lì trovò tutti i ragazzi. Tutte le squadre di soccorso erano state impegnate in qualcosa che richiedeva il loro intervento.
-Che devo fare?- chiese Eveline a suo padre.
-Nulla saresti inutile con la gamba rotta!-
-Ma devo pur far qualcosa!-
-Si, vai in camera tua e rimanici per evitare che peggiori.- disse lui indicandole la gamba.
-Ma papà..-
-Niente ma! Fila in camera! Muoviti. Io e gli altri istruttori andremo fuori città per un piccolo colloquio, non provare a raggiungere la altre squadre compresi?-
-Si signore- sbuffò lei e si recò in camera sua.
 
I cadetti erano ormai fuori da ore e all’accademia era rimasta solo lei. Verso l’una di pomeriggio decise di andare nell’hangar a fare un giro, tanto suo padre non c’era. Una volta raggiunto udì una voce maschile ma molto acuta che non aveva mai sentito. Si sporse un po’ oltre il muro e vide un uomo con una strana capigliatura dai colori verdi- rossi che rideva maligno.
-Finalmente ruberò i segreti dei Machine Robo Rescue!-
Eveline decise che era meglio andare a chiamare qualcuno, dopotutto lei era “inutile” prima che potesse anche solo voltarsi però perse l’equilibrio e cadde lunga distesa.
-Maledetta gamba- imprecò.
-Pensavo che l’accademia sarebbe stata vuota, ma mi sbagliavo. Piacere di conoscerti giovane cadetta, il colonello Hazard.- disse maligno. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il ritorno dei disastri ***


Il ritorno dei disastri:

-Hazard… ma che cavolo di nome è??- disse scettica Eveline.
-Come osi? Piccola insolente! E poi, il tuo nome dovrebbe essere più bello del mio?-
-Questo è poco ma è sicuro.- rispose lei.
-E, sentiamo un po’, quale sarebbe il tuo nome?-
-Eveline, Eveline Bitoh- rispose lei fiera.
L’uomo fece un passo indietro come fosse spaventato. La ragazza intanto si era rialzata e lo guardava storto, come se non capisse il suo gesto.
“Calmati Hazard! Ne esistono trilioni di ragazze dal nome Eveline, è improbabile che sia proprio lei!”
-Non dovresti essere una tale insolente! Trema davanti al potere dei disastri!-
-In questo momento dovrei avere paura?- chiese lei guardandolo da capo a piedi.
-Non solo dovresti tremare e urlare!- disse lui.
-Uuuuhhhh… così va bene?- chiese Eveline.
-Piccola stupida! Come ti permetti!!-
-Senti, io non posso avere paura di uno che ha i capelli rossi e verdi, intesi? Vai a fare il circo da un’altra parte!-
Hazard fremette. Eveline sostenne il suo sguardo facendo fondere i suoi occhi verdi con quelli del colonello.
-Dato che non vuoi lasciarmi in pace e mi stai anche dando su i nervi, mi congedo. Ma sappi che ci rincontreremo, molto presto!- ghignò lui. La ragazza fece spallucce.
-Ci si vede clown- sorrise maligna infine mentre lui stava scomparendo. Si sentì come un rumore di passi e la voce di suo padre si fece sentire mentre parlava con sua sorella. Si irrigidì di colpo. Se suo padre l’avesse vista fuori dalla camera l’avrebbe letteralmente uccisa, così si recò il più velocemente possibile nella sua stanza. Una volta che ci fu entrata richiuse la porta silenziosamente poi con un sospiro si sedette sul letto.
“Però, che strano tipo che ho incontrato prima.” Si disse.
Scorse un computer sulla scrivania.
“Magari, se era un allievo della accademia è registrato nella memoria del computer!” sorrise. Si avvicinò all’oggetto, lo accese e scrisse il nome del tipo. Le venne fuori una serie di articoli di giornale per poi scoprire che Hazard era in realtà un perfido e senza scrupoli uomo appartenente ai disastri. Ma la cosa che la sorprese di più è che quell’uomo doveva essere morto tre anni prima. Un po’ confusa spense il computer e si buttò sul letto. La faccia affondò nel cuscino.
“Se quell’uomo è morto, perché oggi era all’ hangar dei Machine Robo Rescue? E come ho fatto ha parlarci? Non starò mica diventando pazza!?” I pensieri le turbinavano in testa senza sosta finchè, inconsciamente, Eveline non si addormentò.
 
-Ssshhh, non vedi che sta dormendo!?- disse una voce.
-Non sono cieco sai?- disse un’altra.
-Non si sa mai…- rispose.
-Non ti picchio solo perché non voglio svegliarla!-
La ragazza strinse gli occhi e si mosse voltandosi dalla parte opposta della provenienza delle voci.
-Vuoi stare zitto! La stai svegliando!-
-Ma se sei tu che stai parlando!-
-Makoto, Asso, potete piantarla di parlare e uscire, per favore?- disse Eveline
I due ragazzi si irrigidirono.
-Ecco, visto, l’hai svegliata!- disse Asso.
-Io? ma se tu non la finivi di parlare!- gli urlò contro Makoto.
-Sì, certo, ottima scusa!- disse l’altro.
-Ok, ora per favore dateci un taglio e spiegatemi come siete entrati in camera mia!- li zittì la ragazza che si era seduta sul letto.
-Vedi, eravamo venuti a chiamarti per chiederti se volevi fare merenda, visto che…- cominciò il biondo.
-Merenda!?- intervenne Taiyoh che stava passando davanti la camera della ragazza.
-Si, saremmo venuti ad avvertire anche te, tranquillo!- disse scocciato il ragazzo dai capelli blu.
-Comunque la porta era aperta e così siamo entrati.- concluse Arias.
-Aperta? Ma io mi ricordavo di averla chiusa!-
-Si vede che non era chiusa bene.- disse Taiyoh che nel frattempo stava tirando Makoto per una manica per portarlo a fare merenda con lui.
-Sì, ok, vuoi venire allora?- chiese Asso.
-Va bene.- rispose Eveline.
I ragazzi si diressero verso la mensa dove trovarono tutte le squadre armate di forchettine da dolce e con una gigantesca fetta di torta nel piatto. Taiyoh stava già sbavando. Si lanciò letteralmente contro Rin che aveva preso propio in quell’istante una fetta del dolce. Lui arrivando come un fulmine gli prese il piattino dalle mani.
-Grazie tante Rin!- gli gridò mentre scappava via con il suo piattino.
-Dove pensi di andare, pazzo! Quella era la mia torta!- gli disse correndogli dietro e lasciandosi alle spalle una serie di risate per l’accaduto.
Tutti i ragazzi mangiarono tra chiacchere e risate le loro fette di dolce. Poi Eveline decise che era il momento di ritornare nella sua camera.
-Se vuoi ti accompagno io…- sussurrò Asso alla ragazza.
-Va bene.- sorrise lei.
Entrambi i ragazzi si alzarono e fecero per andarsene se solo il biondo non fosse scivolato su una pozza d’acqua aggrappandosi così anche alla “ferita” che dato il suo precario equilibrio cadde a terra con lui, l’uno sopra l’altra. Eveline aprì gli occhi dopo essersi ripresa dalla caduta, arrossì di colpo. Arias si trovava sopra di lei. Anche il ragazzo cominciò ad arrossire mentre il suo cervello gli faceva vedere le varie tappe di due secondi prima. Spostò piano il ginocchio facendo pressione sulla gamba della ragazza.
-A-Asso, potresti alzarti. Per due motivi: 1. Tutto questo è molto imbarazzante e 2. Sei caduto diretto sulla mia gamba.- gli sussurrò.
-S-sì, scusa- disse lui alzandosi con movimenti quasi meccanici.
Anche Eveline si rialzò, con molta fatica.
-Ehi, accompagnatore, non andiamo più in camera mia?- sorrise la ragazza.
-Oh, si, scusa. Andiamo pure- disse tornando alla realtà e insieme si diressero verso i dormitori.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chiacchere notturne ***


Chiacchere notturne:

Una volta che Arias arrivò alla camera della cadetta la salutò e lei entrò nella sua stanza ricambiando il saluto. La porta si chiuse e Asso rimase nel corridoio da solo, impalato, davanti alla porta della sua compagna. Abbassò la testa e strinse i pugni.
-Che demerito imbecille sono stato. Cosa penserà ora Eveline di me…- si disse.
Decise che doveva smaltire un po’ di rabbia e così andò nel cortile. L’aria frizzante della sera gli diede sollievo dal caldo soffocante presente nei dormitoi. Si sedette su una panchine accanto a lui e volse lo sguardo al cielo. Erano già venute le stelle. Restò con gli occhi incollati al cielo per parecchi minuti finchè non sentì un sospiro. Si voltò in cerca di una qualsiasi anima viva vicino a lui fino vedere la finestra di Eveline aperta e lei affacciata. Anche lei stava guardando il cielo. Asso la fissò per un po’. Cosa poteva turbarla tanto.
-Mi chiedo ancora cosa volesse Hazard…- disse.
-Hazard?- ragionò il biondo.
-Ma non l’aveva sconfitto tre anni fa? E poi perché nessuno ci ha detto nulla?-
-Penso proprio di non essere adatta a questa accademia… mi sento così inutile… non sono in grado di fare nulla con questa gamba rotta…-continuò lei persa nelle sue riflessioni. Asso decise che non era giusto ascoltare i suoi dialoghi interiori e decise di rientrare per poi incontrare Makoto che lo incenerì con lo sguardo per l’accaduto di quella sera.
-Perché mi guardi così?- chiese il biondo.
-Me lo chiedi pure? Sai bene cosa provo per Eveline eppure tu fai di tutto permettermi i bastoni fra le ruote, già che c’eri potevi anche baciarla no? Mi spieghi perché fai tutto questo?-
-Forse perché piace anche a me?- urlò il ragazzo di riamando.
Makoto fece per controbattere ma un rumore di cocci rotti attirò l’attenzione dei due ragazzi che corsero subito fuori un giardino. Daichi era a terra sotto la finestra di Eveline con un vaso di gerani rotto vicino a se.
-Scusa Daichi, non l’ho fatto apposta! È che mi sono voltata per chiudere la finestra e ho preso contro il vaso, eheheh….- disse Eveline.
-N-no, niente figurati!-
“L’ho scampata bella, per poco non mi faceva fuori, come può essere entrata nella accademia se è così maldestra?” pensò.
-Ehi, ciao ragazzi!-Salutò poi con un’insolita esuberanza la ragazza notando Arias e Makoto poco distanti. I due ricambiarono con un timido gesto della mano. A Daichi venne un’idea.
-Eveline, ti piace qualcuno dell’accademia?-
 Lei arrossì vivamente.
-P-perché me lo chiedi?- balbettò la ragazza.
-Pura curiosità…- sogghignò lanciando un’occhiata ad Arias e Makoto.
-Daichi, queste non sono domande da fare!- urlò Makoto rosso in volto per aver notato l’espressione di Eveline.
-G-già! Dò ragione a lui.- disse Asso.
-Forse sono stato un po’ invadente lo ammetto, ti chiedo scusa Eveline.-
-Ma no figurati, ora però è meglio che vada a dormire!- chiuse la finestra e spense la luce.
Si buttò sul letto. Non aveva sonno, forse non avrebbe dovuto dormire quel pomeriggio. Sentì il vociare dei ragazzi che erano ancora nel cortile.
-Non avresti dovuto farle una simile domanda!- disse Arias che pareva furibondo.
-Avete ragione, ma mi premeva troppo, volevo vedere le vostre facce.-
-Guarda che a noi due non importava niente di quello che Eveline avrebbe risposto!- disse Makoto.
-Non mi pareva, date le vostre espressioni.- disse il castano.
Dopo qualche altro battibecco i tre si diressero ognuno in camera propria.
 
La mora abbracciava il cuscino con lo sguardo fisso nel vuoto. Cominciò a rigirarsi nel letto, non riusciva a prendere sonno. Così afferrò le stampelle. Era circa 00:20 e l’accademia era deserta. Tutti dormivano con il pensiero che l’indomani avrebbero avuto un duro addestramento per le prossime calamità. Passò davanti alla stanza di suo padre, lui doveva essere ancora in piedi. Stava avendo una sonora discussione con sua sorella.
-Devi dirgli la verità! Stai mettendo in pericolo la sua incolumità!- disse sua sorella.
-Come se adesso no lo fosse già! Hai visto no come si è ridotta dopo la sua prima missione!- rimandò suo padre. A quanto pare stavano discutendo di lei.
-Se non erro però lei ti aveva detto qualcosa in proposito della sua iscrizione no?-
-E questo che c’entra Marie! È da generazioni che i Bitoh entrano a far parte dei Machine Robo Rescue. Con lei non sarà diverso!-
-Ma lei è diversa! Tu lo sai bene! Però hai paura della sua reazione davanti alla realtà! Non è così papà?!-
-Marie, esci immediatamente di qui, non ho intenzione di parlare più di questo argomento. Dirò la verità a mia figlia solo quando lo riterrò necessario!-
Sua sorella aprì la porta di scatto e il volto di Eveline venne illuminato dalla luce proveniente dalla stanza di suo padre.
-Eveline?! Che ci fai qui? Non avrei sentito qualcosa spero!- disse sua sorella.
Lei scossa la testa.- No, nulla.- mentì.
Sua sorella sospirò di sollievo. –Mi spieghi che ci fai in giro a quest’ora?-continuò.
-Non riuscivo a dormire perciò andavo a fare un giro.-
-Non dovresti.- intervenne suo padre. –Per evitare peggioramenti, affinché tu possa tornare di nuovo a svolgere le missioni assieme ai tuoi compagni, è bene tu che tenga la gamba a riposo.-
Marie fulminò il padre con lo sguardo.
-La vuoi smetterla di metterla sotto pressione! Viene Eveline, ora ti accompagno in camera!- disse suo sorella rivolgendole un caldo sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Una missione per Makoto ***


Una missione per Makoto:

Marie condusse Eveline in camera sua. Ma lei non aveva comunque sonno e prima che sua sorella se ne andasse la fermò.
-Marie…-
-Si, Eveline?-
-Di che stavate discutendo tu e papà?-
La mora notò la ragazza irrigidirsi debolmente nella poca luce che entrava in camera sua dal corridoio.
-N-niente!- disse poi sforzandosi di sorridere. –Ora devi dormire!- finì.
-Ma io non ho sonno!- ribadì la ragazza dagli occhi verdi.
Sua sorella incrociò le braccia sul petto. La guardò con severità. Eveline abbassò lo sguardo maledicendosi per quel gesto di sottomissione. Marie e suo padre erano le uniche persone che temeva veramente. Per quanto riguardava il suo papà non c’era nemmeno da chiedersi il perché, ma di sua sorella… non ne sapeva il motivo, dopotutto era sempre stata gentile con lei quindi…
-Bene, sorellina…- disse poi la maggiore riscuotendola dai suoi pensieri.-…ora vado!- E stanza aspettare una risposta da parte sua chiuse la porta e lasciando la stanza nuovamente al buio. Eveline che era seduta sul letto si lasciò cadere all’indietro e sentì la testa sprofondare lentamente nel candido cuscino.
-Uffa, e ora che faccio!- si disse.
Dalla finestra aperta non arrivava un suono. Tutto il dormitorio era avvolto nel più completo silenzio. La ragazza sbuffò. Non seppe per quanto si rigirò nelle coperte senza tregua, solo che quando guardò l’orologio quello segnava l’una e mezza di mattina. Sbuffando si girò dall’altra parte voltando le spalle alla porta e continuò a rimproverarsi per aver dormito quel pomeriggio. Finalmente alle due riuscì a prendere sonno.
 
Il KeiBoy  di Makoto cominciò ad agitarsi. Erano le sette meno un minuto. Appena l’orario cambiò questo cominciò a dare un allarme in segno che era ora di svegliarsi. Il ragazzo strinse gli occhi. Anche se erano tre anni che si svegliava in quella maniera non era ancora abituato. L’esserino meccanico, capendo la difficolta del suo Robo Master ad alzarsi, cominciò a saltare su e giù sulla sua testa. Makoto piuttosto infastidito capì che non avrebbe più potuto riaddormentarsi. Con un gesto stizzito della mano cacciò via il KeiBoy mettendosi poi a sedere sul letto. Si preparò. Voleva essere uno dei primi ad arrivare in mensa così avrebbe preso le cialde calde prima che quel pozzo senza fondo di Taiyoh se le mangiasse tutte. Aprì la porta per vedere appunto il castano correre verso la mensa, lo afferrò prontamente per una manica.
-Ehi, Makoto! Che ti prende?!-
-Vorrei riuscire a mangiare stamattina! Ecco che mi prende!- disse lui.
-Eddai, sei sempre il solito guastafeste…-
 Disse lui mettendo il broncio come un bambino a cui sono state tolte le caramelle.
-Andiamo insieme! A passo d’uomo.- precisò il ragazzo dai capelli blu. Raggiunsero la mensa, mentre Makoto teneva ancora saldamente Taiyoh per la manica per evitare che la “bestia inferocita e affamata”, gli rubasse nuovamente la colazione. La televisione era, come al solito, su un canale con il TG. Una notizia colpì tutti i cadetti, soprattutto Makoto, che felice stava addentando la sua cialda al miele. Fissò lo schermo quasi in trans. L’annuncio trattava del rapimento di un cantante subito dopo il suo ultimo concerto. La polizia stava facendo di tutto per ritrovarlo ma il rapitore e la vittima sembravano essere scomparsi nel nulla da parecchi giorni. Marie entrò nella mansa ancora tutta spettinata e con gli occhi segnati da profonde occhiaie.
-I Blue Sirens sono richiesti in una missione di soccorso, Il cantante Nick Otson è stato rapito da un pericoloso psicopatico. A voi toccherà scoprire dove si nasconde e fermarlo. Andate!- detto questo si abbandonò ad un sedia, stravolta.
 
I ragazzi arrivarono all’hangar e pregarono i loro Machine Robo di condurli alla ricerca del cantante scomparso. Makoto decise che si sarebbero divisi in due sotto-squadre per coprire più spazio. Così i due gemelli fecero una squadre e lui e Alice un’altra.
-Bene, Police, secondo alcune coordinate il malfattore dovrebbe essersi rifugiato in una casa nel bosco. Mentre Susumu e suo fratello cercheranno in periferia noi andremo nel bosco qui vicino, ok?-
-Capito Makoto. Tenetevi forte!- disse riferito anche ad Alice.
-Non capisco perché NOI dobbiamo andare nel bosco!-
-Sente Alice non lagnarti, ho deciso così e così si fa! Punto.- disse lui rivolto alla ragazza che lo guardò con un sguardo assassino. Ma lui non ci fece troppo caso e decise di provare a pensare a cosa fare un volta arrivati davanti allo psicopatico.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Rapimento ***


Rapimento:

La macchina sfrecciava veloce sull’asfalto. Alice non la smetteva un solo secondo di lamentarsi che faceva troppo caldo, che lei non voleva andare nel bosco, che avrebbe preferito dormire di più quella mattina, eccetera, eccetera. Makoto ammise a se stesso che sarebbe stato felice di gettarla direttamente dalla macchina in corsa, ma dovette astenersi da quel pensiero. Non sarebbe stato di alcun aiuto, non che le lagne di Alice avessero l’effetto contrario, anzi…
-Makoto!- disse ad un certo punto facendo irritare ancora di più il suo umore. –Mi stai conducendo in un posto disgustoso, ti rendi conto che…-
-Si, me rendo conto, ok? E ora se non chiudi quella bocca ti ci lascio in quel posto orrendo, mi hai capito?-
Alice lo fissò torva per una decina di secondi per poi continuare a lagnarsi. Il ragazzo spense in totale il cervello. Non voleva, nel modo più assoluto, ascoltare ancora una singola parola di quella ragazza. La campagna scorreva veloce, c’erano campi coltivati, vigneti e frutteti. Piano piano, però, lasciarono posto a piccoli boschi e l’asfalto diventava una strada sterrata. Police cominciò a sobbalzare.
-Makoto, non posso procedere più avanti! Rischio di avere danni molto seri!-
-Ricevuto, non ti preoccupare, andiamo avanti noi, a piedi.-
Alice lanciò un gridolino e Makoto si girò preoccupato.
-Io non cammino, hai capito!- disse poi. Il ragazzo sospirò, quella ragazza stava mettendo a dura prova la sua capacità di sopportazione.
-Alice, spiegami, come fai a restare nei Machine Robo Rescue se non vuoi camminare e portare a termine una missione?- la guardò con serietà.
La ragazza cedette e scese dall’auto.
Cominciarono a guardarsi intorno e ad addentrarsi nel bosco.
-Police, resta qui e aspetta il nostro ritorno, ok?-
-Non posso lasciarti da solo, se ti succedesse qualcosa…- fece per ribadire il Machine Robo ma il ragazzo lo zittì con lo sguardo e insieme alla sua compagna, e alle coordinate che gli erano state date, si spinsero nel folto del bosco, seguiti per un bel tratto dalla vista vigile di Police. Ma quando anche questo li abbandonò  si resero conto di essere veramente soli, in luogo a loro totalmente sconosciuto.
-Certo che… me lo aspettavo peggiore!- sorrise Alice.
Makoto non rispose. Si era concentrato su alcune impronte. Non erano si animali, ma forma di scarpa. Erano vicini. Molto. Si addentrarono ancora un po’ per poi vedere una casa non molto lontana da loro. Il ragazzo cominciò a correre e Alice lo seguì,  presa, però, alla sprovvista. Il giovane si fermò prima di bussare alla porta, non avevano nessuna certezza che fosse la casa dell’uomo che cercavano. Poteva semplicemente essere la dimora estiva di qualche famiglia. La ragazza lo raggiunse.
-Allora? Non bussi?- chiese.
-Volevo aspettarti!- disse lui sgarbatamente, dopotutto aveva fatto il gentiluomo non c’era bisogno di attaccarlo in quella maniera.
-Che aspetti, bussa, no?- sussurrò la ragazza per evitare di fare troppo rumore. Il ragazzo dai capelli blu si riscosse.
-Mi dai cinque minuti?!- rispose stizzito.
Fece per bussare ma non appena poggiò le nocche sul legno della porta questa si apri con un sinistro cigolio. Makoto si fece avanti con Alice subito dopo di lui.
-Siamo dei Machine Robo Rescue. C’è nessuno!- urlò all’improvviso facendo sussultare la sua compagna. Nessuna risposta. Si addentrarono ancora di più fino ad arrivare a una rampa di scale. La ragazza provò di nuovo a chiedere se in casa ci fosse qualcuno. Un oggetto cadde con un gran frastuono giù dalle scale. Si trattava della testa di una bambola. Ritoccata in modo tale da fare si che sembrasse veramente decapitata. Alice cominciò ad avere paura e quando il ragazzo volle andare al piano di sopra a controllare  la ragazza si attaccò al suo braccio per fermarlo.
-Ma che fai?- chiese il ragazzo arrossendo lievemente.
-Io… io… ho paura…- ammise lei.
-N-non devi.- rispose lui sorridendole. Le faceva tenerezza.
-Ma non hai visto cosa è caduto dalle scale? E se quel pazzo fosse mal intenzionato?-
Il ragazzo la prese per le spalle e fece in modo che la guardasse negli occhi.
-Alice, ascoltami, andrà tutto bene. Stammi vicino, va bene?- la rassicurò il giovane. La ragazza annuì con le lacrime agli occhi. Salirono piano le scale. Alice era avvinghiata al suo compagno. Una volta sul pianerottolo trovarono un lungo corridoio che dava su molte porte ma non videro nessuno. Qualcosa dentro di loro però diceva che non erano soli. Si sentivano osservati, ad ogni loro movimento. Avvertirono un rumore proveniente da un botola sul soffitto e il ragazzo capì che doveva essere un sorta di soffitta. Sia avvicino e riuscì ad aprire il portello e le scale automatiche scesero. Makoto fu il primo a salire e mentre Alice lo raggiungeva qualcuno l’afferrò da dietro e lei lanciò un gridò spaventata. Il ragazzo si girò allarmato ma l’unica cosa che vide fu un sacco che veniva posizionato sulla sua testa.
 
-Cosaaa??!!- gridarono tutti i cadetti in coro.
-Non possono essere spariti!- disse Eveline.
-E allora perché non sono tornato all’accademia, genio?- disse Jay.
-Magari si erano fermati da qualche parte.- rispose lei a bassa voce un po’ imbarazzata per la sua stupida osservazione.
-Dobbiamo andare a cercali!- disse Asso.
-Certo, ogni cosa a tempo debito.- disse Bitoh.
-Allora si parte!- esultò Eveline.
-No, non tu Eveline!- gridò prontamente suo padre.
-Ma sono stanca di non fare mai niente!-
-Ho detto di no!-
-E io invece ci andrò- lo sfidò lei.
Si girò e si diresse verso l’hangar ignorando i vari richiami di suo padre. Sapeva che poi se la sarebbe cista brutta con lui. Ma per ora la priorità andava ad Alice e Makoto.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il potere dall'amicizia ***


Il potere dell’amicizia:

“Che puzza insopportabile!” pensò Makoto.
Lui e Alice erano stati legati schiena contro schiena nella soffitta della casa dove avevano fatto irruzione. Il tizio li aveva fatti svenire dopo aver posizionato il sacco sulla loro testa. Nella mansarda dove erano stati intrappolati c’era un puzzo intollerabile. Il ragazzo era stato il primo dei due a svegliarsi. Si accorse presto però di non essere solo. C’era un'altra persona insalamata come loro, ma cadetto non riusciva a capire che fosse in tutta quell’orribile penombra! La ragazza si mosse leggermente.
-Alice, stai bene?- chiese Makoto, preoccupato.
-S-sì, credo…- rispose lei ancora un po’ rintronata.
-Per fortuna!- sospirò il ragazzo. Sorrise. Gli sarebbe dispiaciuto che si fosse fatta male.
Dei passi risuonarono sotto di loro. Entrambi i giovani si irrigidirono. La botola venne aperta e un fascio di luce accecò Makoto che fu costretto a socchiudere leggermente gli occhi.
-Come stanno i miei prigionieri?- chiese una voce un po’ roca ma femminile.
-C-chi sei?- chiese Alice che stava per essere presa dal panico. Il ragazzo le diede una leggera gomitata in segno di stare tranquilla.
-Io sono la signora Ketty…- disse in un sospiro alquanto inquietante.
“Certo che come nome non è un gran che, dopotutto è una rapitrice, poteva scegliersi un appellativo migliore, no?” pensò il cadetto.
-Perché ci ha rinchiusi qui?- chiese il ragazzo dai capelli blu.
-Vi siete impicciati in un affare che non vi apparteneva! Lui è mio!- urlò indicando la figura ancora priva di sensi, o che forse dormiva, in fondo alla soffitta.
“A quanto pare la nostra sequestratrice soffre di sbalzi d’umore…” rifletté Alice.
-Che intende farci?- chiese infine la ragazza.
-Farò in modo che non possiate più uscire di qui…- sorrise malignamente la donna.
 
-Eveline piantala di fare la stupida!-gridò Asso.
-Io non faccio affatto la stupida! È che sono stanca di non fare mai nulla mentre voi andare da una parte all’altra della città e io me ne resto in camera come una demerita imbecille!-
-Ma così la tua gamba si indebolirà, vuoi capirlo o no!?- rispose lui.
-No, non voglio capirlo, ok? E ora fammi salire!- disse  cercando di entrare nel Wings  Lainer.
-Eveline per favore!- sussurrò a denti stretti e sul punto dell’esasperazione. Lei per tutta risposta scosse la testa, facendo spettinare tutti i suoi riccioli neri.
-Mi sembri una bambina- le disse Arias sorridendo ma impedendole comunque di accedere al mezzo di trasporto. Lei per tutta risposta incrociò le braccia al petto e mise il broncio. Si fissarono negli occhi per un po’, poi però una voce raggiunse le orecchie della cadetta. Suo padre la stava chiamando piuttosto infuriato.
-Ti prego Asso, fammi salire!- disse Eveline. Il suo tono di voce era totalmente cambiato. Era supplichevole.
-Io…- il biondo stava per controbattere ma venne subito interrotto.
-Ti prego!!!- disse di nuovo la ragazza.
L’uomo fece irruzione nell’hangar. E dopo averla cercata con lo sguardo, e averla anche individuata, si diresse a grandi passi verso di lei. Intanto, però Asso si era spostato dall’entrata del Wings Lainer e la cadetta salì.
-Eveline scendi immediatamente!- urlò suo padre mentre il mezzo accendeva i motori.
-Ci vediamo stasera!- salutò lei con una linguaccia nel frattempo che l’oggetto si allontanava il portello d’entrata si chiudeva. Marie, che lo aveva raggiunto poco dopo, fece un risolino ma smise non appena suo babbo la fulminò con lo sguardo.
-Quando tornerai qui, Eveline, avrai una punizione esemplare.- detto questo se ne andò.
 
Alice urlò di dolore non appena la donna le fece un lungo taglio sul braccio con un coltello da cucina.
-La smetta, la prego!- gridò Makoto.
-Guarda che ce ne anche per te!- disse la donna.
Alice intanto aveva cominciato a piangere tenendosi il l’arto che perdeva copiosamente sangue. La donna si avvicinò al ragazzo che si irrigidì debolmente per la paura. Ketty passò l’arma sulla guancia del giovane che con una smorfia di dolore la seguì con la coda dell’occhio fino a che la tipa non lo tolse e un rivolo di sangue gli segnò il viso. Si sentirono delle voci nel bosco, voci che chiamavano i nome dei due cadetti. Poi qualcuno bussò alla porta. Che come accadde per Makoto e Alice si aprì da sola.
-C’è nessuno?- chiese una voce.
“Asso!” pensò il cadetto felice. Gli occhi cominciarono a brillare per l’euforia.
-Ma chi vuoi che ci sia, non vedi che è abbandonata!?- disse poi una ragazza.
“Eveline?! Ma che ci fa qui, non aveva la gamba rotta!?” rifletté poi preoccupato.
-Senti, se tu sei voluta venire devi stare con me, cercheremo anche nelle case disabitate, ok?- disse Asso. Eveline sbuffò.
-Vado a fare fuori questi impiccioni e poi torno da voi.- disse la donna scendendo le scale.
Si udì un urlo femminile e un gran trambusto. Poi tutto fu ridotto al silenzio. I gradini scricchiolarono, segno che qualcuno stava salendo. La chioma bionda di Asso fece sorridere Alice e sospirare Makoto. Il ragazzo li liberò.
-Non abbiamo molto tempo, Eveline a fatto svenire la donna, con una stampella ma abbiamo i minuti contati.-
Sciolsero anche le corde che legavano l’uomo che si rivelò essere il cantante scomparso, ma non di seppe mai perché la donna lo avesse rapito. Poi tutti insieme si diressero, sul Wings Lainer, verso l’accademia.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Ancora segreti, ancora bugie ***


Ancora segreti, ancora bugie:

Dopo aver consegnato il malvivente alla giustizia e il cantante alla sua meritata libertà i cadetti salirono sul Wings Lainer per la loro ultima tappa: l’accademia. Tutti ridevano e scherzavano, felici di aver portato a termine la missione. Soprattutto Makoto e Alice.
-Non avrei mai immaginato che saresti stata in grado di far svenire una persona con una stampella.- disse ad un certo punto Asso che era seduto vicino a Eveline. Lei si voltò sorridendo.
-Mi aveva presa alla sprovvista, ho reagito d’istinto.-
-Allora spero di non farti mai paura.- commentò Taiyoh mentre teneva in mano una ciotola di riso.
-E quella da dove l’hai presa?- chiese Rin.
Il ragazzo nascose la scodella tra le sue braccia gelosamente.
-La tenevo di riserva in uno scomparto del Wings Lainer.- concluse riprendendo a mangiare. Il veicolo si fermò, probabilmente erano arrivati. Tutti scesero continuando a ridere e sorridere. Asso e Eveline scesero per ultimi, ma non appena la ragazza vide chi la attendeva all’arrivo si rintanò dietro le spalle del biondo. Il padre la guardava in modo rabbioso e la mora ringraziò che lo sguardo non potesse uccidere. Raccolse tutto il contegno che possedeva e con una schiarita di voce scese dal mezzo. Una volta arrivata a terra fece per andarsene con indifferenza.
-Eveline.- la fermò suo padre. Lei si voltò.
-Sì?- chiese nel modo più educato che possedeva.
-Devo parlarti quindi…-
-Scusa papà sono stanca devo andare in camera.- lo sfidò.
Lui le si avvicinò e le diede un ceffone davanti tutti. Le cinque dita del genitore erano ben visibili sulla sua chiara carnagione. Lei si massaggiò la guancia offesa.
-Sei disposta ad ascoltarmi.- disse lui con una gran freddezza nella voce.
-Lo sono ancora meno di prima!- urlò lei.
-Evita di fare la bambina!- ringhiò suo padre.
-Se io sono una bambina io ti vedo come un pessimo padre!- disse lei di rimando. Eveline lo scorse fremere.
-E’ così che mi vedi?!- chiese ancora più arrabbiato di prima.
-Sì, e non intendo rimangiarmelo!-
Intanto Marie stava sbirciando la scena da dietro un muro, sapeva bene che con quel modo di fare Eveline non sarebbe andata lontano, la sua punizione sarebbe diventata più dura del previsto.
-Senti Eveline…- suo padre le poggiò una mano sulla spalla per cercare di calmarla. Lei si scostò malamente.
-Basta, non parlarmi più, io non ti voglio più vedere, mi hai capito!?- buttò a terra le stampelle, si tolse la benda che le copriva la gamba e scappò via nonostante l’arto le procurasse forti fitte di dolore lancinante ad ogni suo passo. Ma non si fermò, non doveva mostrarsi debole. Si diresse in camera sua e sbattè la porta alle sue spalle. Le lacrime cominciarono a rigarle la faccia. Suo padre si rifiutava di ascoltarla e lasciarla fare qualsiasi cosa volesse. Si buttò sul letto.
-Io lo odio, non lo voglio più vedere!- urlò con la testa affondata nel cuscino per evitare che la sua voce si progasse per tutto il dormitorio. Aveva un dolore inimmaginabile alla gamba e un altro più interno, sembrava squarciarle il petto, forse era stata troppo dura con suo padre, dopotutto non le pensava veramente quelle cose che gli aveva detto ma non sopportava l’idea che suo padre volesse farle fare tutto quello che pareva a lui, non era un burattino! Piano piano il pianto si attenuò e Eveline rimase nel più assoluto silenzio. Qualcuno bussò alla porta. Lei non si mosse. Le mani dello sconosciuto picchiarono di nuovo sul legno. Così la ragazza si alzò per andare a vedere chi poteva essere. Sua sorella la salutò con un piccolo gesto della mano.
-Hai bisogno?- chiese la mora.
-Volevo parlarti.- rispose l’altra chiudendo la porta.
Si sedettero sul letto ma nessuna delle due aprì la bocca.
-Non dovresti sforzare la gamba.- disse poi la castana tentando un approccio per la conversazione.
La cadetta fece spallucce.
-Dovrà riabituarsi a camminare prima o poi, no?-
-Già.- disse solo sua sorella. Di nuovo silenzio. Eveline si spazientì.
-Di cosa volevi parlarmi?-
-Forse dovresti scusarti con papà, le tue parole lo hanno ferito, anche se non lo da a vedere…-
La ragazza si irrigidì debolmente. Era troppo orgogliosa per scusarsi prima di qualcun altro.
-Sei troppo orgogliosa, ne io ne tuo padre lo siamo, non lo era nemmeno la mamma, non so proprio da chi tu abbia preso.-
-Se per questo non si sa nemmeno da dove ho preso il colore dei capelli e degli occhi, dato che ne tu, la mamma o papà li avete come i miei…-
-Sei solo un po’ diversa, tutto qui…- disse sua sorella facendo un sorriso forzato. La mora lo notò.
-Sono stanca di essere diversa! Di essere sempre all’oscuro di tutto! Non fate altro che riempirmi la testa di bugie e segreti, perché non potete dirmi la verità!- gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime che presto cominciarono a solcarle le guance.
-Non sono io che devo dirtelo…- rispose piano sua sorella.
-Papà si è preso la responsabilità di riferirti la verità.- continuò.
-E perché non me la dice, io sono pronta ad ascoltarlo.-
-No, non per lui. Lo fa perché ti vuole bene, conoscendoti ti metteresti subito nei guai.-
-Io.. io non le pensavo veramente quelle cose!- disse poi la ragazza dai riccioli neri che, piangendo si appoggiò a petto della sorella. Lei la strinse a se.
-Perché queste cose non le dici anche a lui.- La cadetta annuì piano. Così sua sorella le prese la mano e la condusse nell’ufficio di suo padre.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Perdonami ***


Perdonami:

Il comandante stava guardando il cielo limpido fuori dalla sua finestra, rimuginando su quello che sua figlia gli aveva detto e soprattutto si chiedeva se quelle cose le pensava davvero. Eppure lui non riusciva a capire, la stava solo proteggendo. Qualcuno bussò alla porta rompendo il filo dei suoi pensieri. Anche se scocciato per quella interruzione diede il permesso di entrare nel suo ufficio a chi lo cercasse. Non appena la porta si aprì rimase un po’ interdetto. Si sarebbe aspettato chiunque in quel momento non avrebbe mai pensato di avere davanti Eveline. Normalmente ci volevano dei giorni prima di ricevere sue visite dopo una litigata. L’uomo sorrise senza darlo a notare. Dietro la ragazza c’era Marie che con una leggera spintarella la fece accedere allo studio di suo padre, che la fulminò con lo sguardo, lei ricambiò.
-Vi lascio soli.- sorrise poi fiduciosa la sorella. Eveline la implorò con lo sguardo di rimanere. Lei per tutta risposta chiuse la porta. Nella stanza cadde un denso silenzio. La tensione si poteva tagliare con un coltello. Nessuno dei due aprì bocca e tanto meno si guardarono negli occhi.La mora capì che toccava a lei rompere quel assordante calma. Si schiarì la voce. Suo padre, che era tornato con lo sguardo alla finestra, la guardò in attesa che parlasse.
-M-mi dispiace papà, sono stata troppo dura con le parole…- Guardò suo padre per cecare di capire cose gli passasse per la mante.
-I-io non le pensavo veramente quelle cattiverie…scusa.- riabbassò lo sguardo. Aspettò che suo padre le rispondesse qualcosa e invece rimase zitto. Inizialmente Eveline pensò che magari stava ragionando su cosa dirle, ma dopo due interi minuti di silenzio capì che qualcosa non quadrava. Rimase a guardare il tappeto colorato che suo padre aveva nello studio. Aspettò ancora qualche secondo, poi qualcosa scattò in lei. Somigliava a rabbia ma con una punta amara che aveva a che fare con la tristezza. Non aveva ancora capito che emozione fosse che si rivolse a suo padre.
-Perché non rispondi?! Mi sono scusata, proferire qualcosa sarebbe educato! Se proprio non vuoi parlarmi potresti almeno congedarmi, no?-
L’uomo aprì la bocca ma la richiuse subito dopo. La ragazza strinse i pugni. Le dava molto fastidio l’atteggiamento di suo padre.
-Cosa ti ha detto Marie?- chiese poi lui.
Eveline ci rimase di sasso.
-Che centra mia sorella, ora?- cominciava ad innervosirsi.
-Scommetto che è stata lei a farti venire qui, nevvero?- sogghignò.
-No!- urlò Eveline fuori di sé.
-Io sono venuta a scusarmi e tu pensi sia stata Marie a mandarmi!?-
-Certo che lo penso! Sei sempre stata troppo orgogliosa per venirti a scusare, non lo avevi mai fatto prima!-
-Si cambia, sai papà!- gridò lei di rimando. La mora sentì un pizzicore agli occhi. Capendo che presto le lacrime sarebbero sgorgate dai suoi occhi uscì dalla stanza, correndo si ritrovò in giardino e si rintanò nella siepe. Si sedette tenendo la gamba dolorante distesa. Mentre l’altra le la portò al petto. Cominciò a piangere sommessamente, per non farsi sentire se qualcuno fosse venuto in cortile. Sentì dei passi di corsa e delle voci che la chiamavano. Rimase zitta per evitare di segnalare la propria presenza anche con un solo sospiro. Sorrise al pensiero che, però, non era mai stata brava nel gioco di nascondino. Si ricordò di quel giorno che stava giocando con dei bambini della sua età in un parco giochi vicino a casa loro, la mamma era ancora viva, infatti l’aveva accompagnata lei a giocare. Aveva più o meno sei anni. Fatto sta che si stava nascondendo in un cespuglio, che apriva un piccolo varco fatto appasta per entrarci e nascondersi. Ma era stata subito trovata come poi i turni seguenti. Quella fu l’ultima volta che, però, giocò ad un parco. Sua madre venne coinvolta in una rapina come ostaggio il giorno dopo e non venne risparmiata dal malvivente. A quel punto Marie volle entrare nei Machine Robo Rescue che aveva per comandante suo padre. Lei invece era stata subito messa sotto con gli allenamenti di arti marziali, nuoto, arrampicata, corsa, ecc. Aveva sempre da fare, non aveva più tempo per giocare con niente e nessuno. Da quel giorno suo padre era cambiato era diventato meno permissivo e più severo nei suoi confronti. Già a sette anni aveva capito che sarebbe finita nella accademia dei Machine Robo. Ma in lei stava cominciando a nascere un’altra passione: quella della lettura e anche se suo padre non approvava lei teneva da parte i soldi e mensilmente si comprava un libro che nascondeva sotto il letto e leggeva solo la sera. Poi al suo quindicesimo compleanno le arrivò la bella notizia che il giorno successivo sarebbe partita per l’accademia.
“Ecco, il mio destino è segnato…” aveva pensato. Il suo sogno di diventare una famosa scrittrice fu rifilato in uno dei suoi cassetti mentali più lontani. Ritornò al presente con un scrollata di testa e attese che quel lungo andirivieni finisse.
 
-Vuoi capire che è solo colpa tua!- urlò Marie a suo padre dopo essere tornati nello studio del genitore a seguito di una lunga ricerca riguardante Eveline.
-Lei si è venuta a scusare e tu l’hai trattata malissimo, ti ho sentito, sai? Ero fuori dalla porta.-
-Tanto lo so che l’hai spinta tu per venire a scusarsi.- rispose cauto l’uomo.
-Ti si è bacato il cervello, vero?!-
-Non ti rivolgere così a me, mi hai capito?- disse suo padre.
-Dovevi vedere come era disperata quando sono andata in camera sua! Sei un’insensibile!- detto questo sua figlia se ne andò, lasciandolo solo con i suoi pensieri. Sospirò sconfitto.
-E io che pensavo di fare la cosa giusta…in questo modo sto solamente allontanando Eveline da me.- si disse.
 
La ragazza aspettò che venisse sera prima di uscire dal suo nascondiglio. Per fortuna non l’avevano trovata. Aveva fame, sete e doveva anche andare in bagno, soprattutto quello. Così si diresse in camera sua dove avrebbe potuto soddisfare i suoi bisogni. Infatti da un po’ di tempo aveva usato un ripiano come un frigo. Così avrebbe potuto mangiare senza essere scovata da suo padre. Si trascinò la gamba ferita fino alla porta di camera sua ( prima era passata per la toilette). Si buttò sul letto. L’arto urlava di dolore e si sentiva l’umore sotto i piedi. Sospirò. Suo padre non capiva proprio nulla. È vero, era molto orgogliosa, ma è anche vero che era venuta a scusarsi di sua volontà, anche se ci era voluto un piccolo incoraggiamento da parte di Marie. Si girò più volte su se stessa con il cuscino al petto. Qualcuno bussò alla sua porta. Quella si aprì da sola. Al solito si era dimenticata di chiederla a chiave. Una chioma bionda fece capolino dal corridoio.
-Eveline, ecco dov’eri!- esultò Asso. Lei rispose con un piccolo sorriso.
-Non vieni a mangiare?- lei fece segno di no con la testa. Il ragazzo sospirò. C’era qualcosa che non andava e lui avrebbe capito cosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Mare e... disastri! ***


Mare e… disastri!

Asso dopo aver parlato a lungo con Eveline la convinse a dare un’altra possibilità al padre e fare pace con lui e così era passato più o meno un mese da quando la ragazza era arrivata all’accademia. La sua gamba era guarita e non appena il generale lo seppe la rimise subito in allenamento. Faceva il doppio degli altri solo perché doveva “riabilitare” la gamba. Dopo pranzo quando tutti andavano riposarsi suo padre le faceva fare almeno 20 giri del campo in cortile e dopo cena l’allenava in palestra con le arti marziali e l’arrampicata fino a mezzanotte. Oppure se non trovava nulla per allenarla le faceva pulire da sola tutto l’hangar. Era talmente stanca per tutto quel lavoro che una sera Asso la trovò addormentata nel ripostiglio delle scope dopo che aveva riposto lo scopone per pulire. E fu così che il ragazzo decise che a tutti, ma soprattutto a Eveline, serviva una vacanzina. Allora espose il suo parere al generale che sembrava approvare finchè non fu menzionato il nome della propria figlia. A quel punto sembrò meno certo. Ma dopo averlo pregato per più di un’ora il biondo riuscì a convincerlo. Riunì tutti nella mensa per decidere dove andare.
-Io propongo la montagna.- disse Daichi.
-No, è troppo freddo e poi cosa si fa in un posto del genere!- intervenne Ken, forse con troppa esuberanza e scoccando un’occhiata a Shoh che fu felice di non dover andare in montagna. Posto che lui odiava.
-E dove vorresti andare?- chiese Makoto.
-Che ne dite della campagna!- propose Kai.
-Mia nonna ha una casa lì e poi cucinerebbe per noi e devo dire che non è niente male ai fornelli.- concluse.
-Io voto per la campagna!- urlò Taiyoh con la mano alzata.
-Tu ci vai solo per la nonna di Kai!- disse Rin.
-Mi sembra un motivo più che valido.- disse incrociando le braccia al petto.
-E… del mare che ne dite?!- chiese Sayuri.
-Oh, io adoro il mare!- disse Eveline.
-Al mare no!-disse Asso.
-Tutta quella sabbia che entra dappertutto! No, grazie!- concluse.
-Eddai, non fare la femminuccia!- rise la ragazza dai riccioli neri, dando una pacca sulla spalla del biondo, forse troppo forte, dato che cadde dalla sedia dove era seduto.
-Oh mamma, scusa Asso.- disse seriamente dispiaciuta lei.
-No, figurati!- disse rialzandosi e massaggiandosi la testa che probabilmente aveva sbattuto.
-Allora, io ho un’idea!- urlò Alice per attirare l’attenzione.
-Facciamo a votazioni: chi vota per la montagna?-
Daichi, i gemelli e Jay alzarono la mano.
-Bene, 4. Chi vota per la campagna?-
Taiyoh, Kai, Asso e Rin sollevarono le mani.
-Solo 4… bene il resto allora è il mare, che è in maggioranza, quindi fate i bagagli per la spiaggia perché fra poco si parte!-
I ragazzi si diressero ognuno in camera propria per fare le valige.
-Scusa Rin, avresti un costume da prestarmi, io non ce l’ho…- disse Eveline rossa per l’imbarazzo.
-Oh, si certo, vieni pure in camera mia e scegli. Ne ho bizzeffe!-
 
Quando tutti furono pronti decisero di andare in una spiaggia non troppo lontana dall’accademia, così se ci fosse stato bisogno sarebbero potuti intervenire quasi nell’immediato. Presero un pullman e, con i soldi che il generale aveva dato a disposizione  affittarono un bungalow  per due giorni in una pineta a qualche metro dalla spiaggia. Era una casetta molto accogliente, a due piani. C’erano in tutto tre stanze con due bagni, un cucinino e la sala da pranzo. Si suddivisero così: la stanza al piano di sopra aveva Eveline, Rin, Alice, Jay e Taiyoh. La seconda stanza, al piano terreno come la terza, era composta da: Asso, Makoto, i gemelli e Sayuri. Infine la terza aveva: Kai, Ken, Daichi e Shoh. Una volta sistemato tutto i ragazzi si diressero al loro lido. Le ragazze stesero i loro teli al sole sulla sabbia calda. I ragazzi, invece, non si curarono dei loro asciugamani e si burattarono direttamente in acqua. Le giovani si tolsero i vestiti per restare in costume.
-Wow, Eveline, sei magrissima!- Fece notare Alice così che tutte le altre si voltassero verso di lei.
-G-grazie!- balbetto lei in imbarazzo.
-E il mio costume ti sta benissimo!- sorrise Rin. Lei ricambiò.
-Scusa Alice?- disse poi la ragazza riccioluta.
-Si?-
-Mi metteresti un po’ di crema solare?- chiese porgendogli il tubetto.
-Certo!- rispose prendendo l’oggetto.
-Ecco fatto!- esclamò poi, soddisfatta di sé.
-Grazie!- disse poi Eveline.
-Vado a fare un bagno. Voi venite?- chiese prima di correre in acqua.
-No, no.- dissero tutte in coro.
-Ok.- così corse in mare. Al contatto con l’acqua fredda le venne la pelle d’oca. Poi una volta abituatasi a quella temperatura si diresse verso il i suoi amici. In poche bracciate era già arrivata.
-Ehi, ragazzi, che fate?- chiese.
-Nulla di interessante.- disse Daichi.
-Che ne dite di un gara di tuffi?- propose Shoh.
-La trovo un’idea magnifica!- affermò convinto Asso.
-Allora che aspettiamo!- rise Eveline.
Dopo un’ora di tuffi, che trovò come vincitori a pari merito Eveline e Shoh. Tutti i ragazzi tranne Arias e la mora tornarono a riva.
-Che facciamo noi due?- chiese allora il biondo.
-Mmm… prova a prendermi!- disse dopo averci pensato un po’ su, la ragazza.
-Cosa?!-
-Non avrai mica paura!- lo schernì la giovane.
-Io, ma figurati.- rispose lui.
-Allora cominciamo!- sogghignò la ragazza.
Cominciarono a nuotare, Asso per prendere Eveline, finchè non la mise con le spalle agli scogli. Mise le mani a fianco delle spalle della ragazza. Le loro fronti si incontrarono. La mora arrossì lievemente.
-Ti ho preso!- sussurrò il biondo. Un sorrisino furbo si dipinse sul volto di Eveline.
-Ne sei davvero sicuro?- prese un gran respiro e andò sottacqua, si diede la spinta con i piedi contro gli scogli e passo sotto il ragazzo.
-A me pare di no!- rise non appena riemerse.
-Ehi, ma così non vale!- si lamentò il biondo.
-Non mi pare di aver stabilito delle regole.- disse Eveline fingendo di ragionare.
-Piccioncini, ci dispiace interrompere un così bella scena, ma che ne dite di venire a prendere un gelato con noi?- rise Rin. I due per essere stai così chiamati arrossirono.
-V-veniamo molto volentieri.- disse Asso. Poi un esplosione attirò la loro attenzione.
-Cos’è stato?- disse Alice che li aveva raggiunti assieme a tutti gli altri.
-Veniva dalla pineta!- osservò Kai.
-Andiamo a vedere cosa è successo, potrebbero esserci dei feriti!- disse Eveline risalendo sugli scogli.
-Già.- concordò Jay. Tutti insieme cominciarono a correre verso il luogo da dove si era sentito il boato e da dove ora usciva del fumo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Due gocce d'acqua ***


Due gocce d’acqua:

I ragazzi si ritrovarono nel profondo della pineta dove era scoppiato un incendio.
-Ecco, anche in vacanza ci tocca intervenire in incendi!- si lamentò Jay.
-Bando alle ciance! Noi dei Red Wings staremo qui per tenere sotto controllo le fiamme, gli altri vadano alla fonte d’acqua più vicina e la trasporti qui con qualsiasi mezzo!- urlò Asso. I ragazzi fecero quanto detto. Poi una voce attirò la loro attenzione. I giovani alzarono lo sguardo e videro un ragazzo seduto su un ramo, con i piedi a penzoloni.
-E tu chi saresti?- chiese Eveline.
-Faccio parte del gruppo dei disastri. Mi chiamo Mike.- Saltò giù dall’albero e scoccò un occhiata alla ragazza che gli aveva posto la domanda. Lei lo fissò con curiosità. Aveva i capelli neri ricci e due occhi verdi. Doveva avere la loro stessa età.
-Come il gruppo dei disastri?! È stato sconfitto tre anni fa!- disse Jay, spaventato mentre i ricordi lo sommergevano.
-Questo è quello che pensavate voi.-
-Lascialo perdere Jay e aiutaci a tenere a bada il fuoco.- gridò Asso.
-E’ tutto inutile, io comando il fuoco!- e detto questo schiccò il medio e il pollice della mano sinistra, cosicché si formasse una fiammella.
-Ma… questa è… stregoneria- sussurrò Rin.
-No, mia cara. È solo fonte di lunghi ed estenuanti allenamenti.- rispose quello.
-Se non devi dare spettacolo te ne puoi anche andare!- si intromise Eveline.
-Come?!-
-Abbiamo da fare non vedi?!- disse la ragazza indicando le fiamme scettica.
-Ma come ti permetti!-
-Io mi permetto eccome, ci stai solo dando fastidio!-
-La mia è arte!-
-Sì, arte che va bene per il circo!-
-Sei solo invidiosa!- urlò il moro.
-E di cosa? A me non va di far divampare il fuoco ovunque sai??-
I cadetti li guardavano come se stessero assistendo ad uno spettacolo.
-Sono uguali…- commentò Asso. Gli altri annuirono lentamente. I due ragazzi mori continuavano a battibeccarsi senza sosta.
-Eveline, ora piantala e vai ad aiutare gli altri a prendere l’acqua!- disse Jay. Lei annuì e fece per correre via. Mike l’afferrò per un polso.
-Dove credi di andare?!- disse poi.
-Dove cavolo mi pare, hai capito?- disse portando a se il polso in modo tale da liberarsi dalla presa.
-Eveline!- la riprese Taiyoh. Nel mentre che era girata il ragazzo aveva afferrato un bastone che ora teneva in alto, sopra la testa. La ragazza si girò di scatto e si scansò di lato.
-Se la metti così!- afferrò un ramo anche lei e cominciarono a usarli come spade. Ognuno parava i colpi dell’altro con estrema precisione. Ad un certo punto della lotta Eveline mise Mike con le spalle ad un albero.
-Sei in trappola!- sussurrò.
-Ne sei davvero sicura?- e così dicendo si abbassò e passo sotto le gambe leggermente divaricate della cadetta.
-Ma cos…- non riuscì a finire la frase che dovette parere un’altra bastonata proveniente dal ragazzo.
- E’ come se si leggessero nei pensieri!- sussurrò Kai allibito, anche questa volta il resto del gruppo assentì con la testa. I due ragazzi si colpivano senza sosta, intanto che il loro nemico era occupato con Eveline, i ragazzi ne approfittavano per spegnere l’incendio che piano piano si stava attenuando fino a quando i due “combattenti” non caddero a sedere per terra. Erano pieni di lividi, graffi e avevano il fiatone. Entrambi avevano gli occhi chiusi.
-Ti arrendi?- chiese il ragazzo aprendo solo l’occhio destro.
-Manco morta!- ribadì l’altra con l’occhio sinistro aperto.
Contemporaneamente afferrarono i bastoni che avevano poggiato di fianco a loro e, senza alzarsi, si diedero, sempre nel contemporaneo, una bastonata in testa.
-Ahia!- sbottò Eveline.
-Che male!- le fece eco l’altro.
-Così impari!- gli fece la linguaccia la ragazza. Il moro notando che ormai era spento il suo incendio si rialzo un po’ traballante.
-Dove pensi di andare!- chiese la giovane alzandosi anche lei con un po’ di difficoltà.
-Affari miei!- rispose quello. Schioccò le dita della mano destra e dietro di lui si aprì un portale, nero.
-Ci rivedremo! Ne sono certo!- detto questo fece il saluto militare e saltò dentro il portale.
-Cosa?! Io non ho mica finito!- Eveline fece per correre nel portale ma quello richiuse e lei cadde per terra.
-Maledetto!- imprecò fra i denti. Poi si rialzò come se nulla fosse e si voltò verso i suoi amici che la guardavano in modo strano.
-Che c’è?-
-Come che c’è?!- Disse Rin. Lei piegò la testa da un lato in segno che non aveva capito quello che ragazza stava dicendo.
-Eravate due gocce d’acqua!- finì la mora. La giovane scoppiò a ridere ma fu l’unica.
-Questa è bella!- disse e poi cominciò a trotterellare verso la spiaggia.
-Cosa c’è Jay?- chiese Taiyoh notando l’espressione pensierosa dell’amico.
-Ho una strana sensazione: io ho già visto quel ragazzo.-
-E ci credo, faceva parte dei disastri!-
-No, in un altro senso, l’ho avuta anche quando ho conosciuto Eveline, ho come l’impressione che ci conoscessimo da tempo, come è successo con il ragazzo di poco fa!- finì.
-Sarà solo la tua immaginazione.- disse poi il castano con una scrollata di spalle.
-Già, probabilmente…- e insieme agli altri si diresse in spiaggia.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Un po' di relax ***


Un po’ di relax:

Tutti tornarono in spiaggia. Eveline sembrava appena uscita da un negozio di caramelle da quanto era felice. Saltellava allegramente come un bambina e nessuno ne capiva il motivo. Jay, invece continuava a essere pensieroso. La sensazione che aveva provato, ma che ancora persisteva, era molto fastidiosa e una moltitudine di pensieri non facevano che turbinargli in testa alla velocità della luce.
“Perché i disastri erano tornati?!” questo era il concetto che più degli altri era frequente e lui riusciva ad afferrarlo prima che scivolasse via insieme agli altri.
“Sono stati sconfitti con la morte del colonello Hazard, no?”
-A cosa pensi?- chiese ad un certo punto Eveline spuntando dietro di lui e facendogli venire quasi un infarto per lo spavento.
-Ah… nulla…- rispose quello dopo essersi ripreso.
-A me non pare…- disse poi la mora squadrandolo sospettosa.
-Vuoi lasciarmi pace, forse non te lo voglio dire, non te la sei posta la questione?-
-E perchè non me lo vuoi dire?- sembrava un bambina di quattro anni. A Jay diede un po’ il nervoso.
-Perché no! Punto! Chiusa la discussione!- urlò scocciato. Eveline rimase un po’ spiazzata da quella reazione ma quando lui si voltò, dato che le aveva dato le spalle, lei gli rivolse un caldo sorriso.
-Ricordati che se hai bisogno io sono sempre disponibile.- e poi trotterellando se ne andò. Lui la fissò per un po’ e sospirò. Ma perché quando le parlava gli sembrava di conversare con una delle sue più vecchie e care amiche? E soprattutto quei gesti, espressioni e sorrisi, perché gli sembrava di averli già visti da qualche parte in un tempo molto lontano dal presente? Scosse la testa e si ripeté le parole di Taiyoh nella testa.
-E’ tutto frutto della  mia fantasia.- ribadì, poi più convinto, ad alta voce.
-Ehi, Jay, non vieni a fare il bagno?- disse una voce che lo riportò al presente. Il ragazzo si guardò intorno cercando la fonte di quel richiamo e vide Shoh che agitava una mano per attirare la sua attenzione.
-Arrivo!- disse togliendosi la maglietta e buttandola a terra si tuffo direttamente in acqua. Anche le ragazze erano entrate in acqua e Eveline stava con loro, anche se avrebbe preferito andare a fare il bagno con i ragazzi. Di certo sarebbe stato più divertente e invece, per evitare che si creassero malintesi che lei poi non aveva voglia di risolvere, rimase ad ascoltare i resoconti di Alice sugli ultimi smalti, un po’ di gossip sulle celebrità e tutte quelle altre cose noiose. Lanciò un’occhiata all’altro gruppo e vide che si dilettavano in un gara di nuoto.
“ Quanto vorrei unirmi a loro!” pensò la mora.
-Terra chiama Eveline!- disse Rin sventolandole una mano davanti agli occhi.
-P-presente!- gridò presa di sorpresa nei suoi pensieri e in quel momento le sembrava la cosa più sensata da dire.
-Non hai spiccicato parola, tutto bene?- chiese la ragazza.
-Oh, si si, non preoccuparti!- disse poi con un sorriso rassicurante.
-Eveline volevamo porti una domanda. Cosa ne pensi di Asso?- Disse Alice.
-E’ un amico, perché?- chiese con un leggero rossore in volto.
-Solo un amico?! Non è niente di più?- sogghignò la ragazza dai capelli verdi.
-No, è solo un amico! È simpatico è socievole e devo dire che ci vado piuttosto d’accordo. Ma non andiamo oltre.- rispose con sicurezza.
-Bene, ora Alice tocca a te!- sorrise Rin.
-Dimmi cosa ne pensi di…Makoto!- concluse.
-E’ uno sbruffone!-
-Solo questo…- disse Rin un po’ dispiaciuta di non aver trovato nulla di più sulla sua amica.
-No, nulla di più! Ora sta a te Rin!-
-Ok.- fece la ragazza in attesa della prossima domanda.
-Dimmi, tra te e Taiyoh, cosa c’è?- chiese Alice con uno stano luccichio negli occhi.
-P-perché proprio lui?- chiese poi in imbarazzo la mora.
-State sempre insieme.- disse la ragazza.
-E’ un grande amico, lo conosco dal primo giorno che ho messo piede all’accademia e devo dire che crescendo si è fatto carino, è sempre un pozzo senza fondo, ma è simpatico e gentile nei miei confronti.-
-Ho capito ti piace eeee??- sorrise la ragazza che le aveva fatto la domanda.
-Forse, un po’… e anche se fosse?- chiese Rin, ormai paonazza dall’imbarazzo. Tutte le amiche scoppiarono ridere.
-Sayuri e di Daichi?- chiese ancora Alice.
-E’ vero, parlaci di come ti trovi con lui!- disse Rin.
-E’ un bel ragazzo, ma io non sono adatta a lui, scommetto che nel suo cuore c’è già un’altra ragazza.- sospirò con un tono triste nella voce.
-Io non penso.- disse Eveline. La ragazza alzò gli occhi verso di lei.
-Dici?-
-Ne sono certa!- Parlarono ancora per qualche minuto finchè Eveline non decise di tornare a riva. Raggiunto il suo asciugamano lo agguantò e cercò un posto all’ombra. Una volta trovato si sistemò lì e cominciò a pensare al tipo che aveva appiccato il fuoco nella pineta. E così la banda dei disastri che si presumeva sconfitta era ritornata. Senza accorgersene si era addormentata. Il suo risveglio non fu uno dei suoi preferiti, infatti venne svegliata de due belle secchiellate d’acqua. Si drizzò sedere di scatto e cominciò a guardarsi intorno per capire chi potesse essere stato. Vide Makoto e Asso che se la ridevano poco distanti con due secchielli in mano. Intercettò il loro sguardo. Negli occhi aveva la stessa freddezza che aveva suo padre quando era arrabbiato con qualcuno. I due cadetti rabbrividirono nonostante facesse un caldo mortale. La ragazza si avvicinò a loro che ora non ridevano più, anzi sembravano alquanto spaventati.
-Di chi è stata l’idea?- chiese a denti stretti.
-Sua! È stata tutta una sua idea!- urlarono contemporaneamente i ragazzi indicandosi a vicenda. La ragazza li squadrò dall’alto in basso, poi gli tolse i secchielli dalle mani, li riempi d’acqua e rovesciò il liquido sopra la loro testa bagnandoli da capo a piedi. Infine guardò compiaciuta la propria opera.
-Non vale Eveline, noi ti avevamo bagnato solo dalla pancia in giù!- si lamentò Makoto.
-E io vi ho bagnati dalla testa in giù, invece!- detto questo di avvicinò al suo asciugamano, lo sollevò e si rese conto che era tutto bagnato. Con un sospiro lo appallottolò e lo mise nella borsa da mare che si era portata dietro.
 
Era ormai sera quando i ragazzi tornarono al bungalow. Daichi aveva fatto una corsa al supermercato più vicino e aveva comperato qualcosa ad mangiare per tutti. Dopo essersi sfamati i cadetti si fecero una doccia e si diressero verso le proprie camere. Quasi tutti si addormentarono subito. Eveline invece, che si era portata di nascosto da suo padre un libro, si stava dilettando nella sua lettura alla luce di un pila quando le arrivò un oggetto morbido in faccia. Un po’intontita lo prese in mano costatando che fosse un cuscino. Sentì Alice che sogghignava. La mora le lanciò il cuscino.
-Ahio!- la sentì dire. Stava per scusarsi quando la ragazza continuò a parlare.
-Rin non me lo aspettavo da te! Che ne dite di una battaglia di cuscini, ragazze?-
-Ma siamo al buio!- disse Eveline.
-Così sarà ancora più bello!- rise la ragazza dai capelli verdi. Cominciarono a lanciarsi cuscini a tutto andare. Ad un certo punto Taiyoh accese la luce ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Rin gli lanciò il cuscino in faccia. Lui rimase un po’ interdetto e l’oggetto cadde per terra poi si unì anche lui alla lotta. Jay, anche con la luce accesa, se la dormiva della grossa, quando, a causa degli sghignazzi e risate fu svegliato anche lui e subito colpito da una cuscinata di Eveline che era destinata a Taiyoh, ma che il ragazzo aveva schivato. Il giovane si tolse il guanciale dalla faccia.
-S-scusa Jay…- disse Eveline un po’ impaurita dalla faccia del amico che sembrava furente. Il ragazzo appena svegliato gettò il cuscino addosso ad Alice che con un’altra cuscinata la diresse verso Rin che abbassandosi andò a colpire Eveline. L’euforia presto contagiò anche Jay e la guerra continuò fino a che qualcuno non salì le scale.
- Ma che state facendo!- li rimproverò. I ragazzi urlarono terrorizzati perché non avevano sentito arrivare nessuno e addosso a Makoto si catapultarono cinque cuscini che lo colpirono in pieno volto. Lui per poco non cadde dalle scale. Si tolse malamente tutti gli oggetti dalla faccia. Era rosso di rabbia.
-Ma che vi è preso! A quest’ora dovreste dormire!!-
-Scusa!- dissero tutti assieme. Il ragazzo dai capelli blu sospirò e spense la luce.
-Ora vedete di dormire, ok?- disse con ancora un tremito minaccioso nella voce.
-Si, buonanotte!- Tutti si coricarono di nuovo e Eveline, ancora armata della sua pila, ricominciò a leggere il suo amato libro.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il tramonto sulla spiaggia ***


Il tramonto sulla spiaggia:

La luce improvvisa accecò tutti gli inquilini della stanza di sopra. Eveline strinse gli occhi ma non si svegliò.
-Allora, tutti in piedi!- disse Makoto mentre apriva un’altra tenda che non permetteva alla luce di entrare.
-Makoto, ma sono solo le otto!- si lamentò Jay.
-Dovevate essere in piedi da circa un’ora!- sbottò l’altro ragazzo. Taiyoh si portò la coperta fino al mento voltandosi dalla parte opposta della luce.
-Forza voglio vedervi giù tutti entro cinque minuti! Spero abbiate capito l’importanza delle ore di sonno e che la notte non serve a fare battaglie di cuscini!- si voltò e per tutta risposta al suo rimprovero arrivò, da parte di Rin, una cuscinata che lo colpì alla nuca. Alice e la mora cominciarono a ridere. Il ragazzo dai capelli blu si girò e ribadì quanto detto prima, con un tremito di voce che doveva nascondere la rabbia che stava crescendo a causa di quel dispetto, poi scese in cucina.
-Non è giusto però!- si lamentò la ragazza dai capelli verdi.
-Io volevo dormire di più! Scommetto che lo a fatto apposta!- concluse.
-Approvo in pieno!- disse Rin.
-Sottolineo!- disse Taiyoh ancora sdraiato nel letto e alzando solamente una mano che poi cadde pesantemente sulle lenzuola. I quattro ragazzi si voltarono verso Eveline aspettandosi che dicesse qualcosa sull’argomento ma che, invece, stava dormendo tranquilla.
-Certo che quella lì ha il sonno pesante…- commentò Jay. Gli altri annuirono. La ragazza dai riccioli neri era raccolta in posizione fetale e teneva stretto al petto qualcosa. Rin si alzò per andare a vedere cosa la ragazza potesse tenerne così gelosamente nascosto. Scostò piano la coperta e notò che la loro compagna dormiva cingendo un libro. La mora glielo sfilò dalla stretta. Ma non appena questo avvenne fu come se un campanello dall’allarme suonasse nella sua testa e la mora aprì gli occhi di scatto. Si mise a sedere in fretta guardandosi freneticamente intorno.
-Cerchi questo?- chiese Rin notando la reazione dell’ amica. Lei annuì sollevata.
-Non è un comportamento eccessivo, dopotutto è solo un libro!- disse Jay.
-Il fatto è che mio padre non deve sapere che leggo. Quindi mi è venuta per istinto questa reazione. Vedete anche Marie leggeva di nascosto e quando mia padre la sorprese con un libro in mano glieli bruciò tutti. Non voglio che capiti la stessa cosa ai miei. Io ci tengo un sacco!- Tutti annuirono.
-Allora, pigroni, volete scendere a colazione o no?!- la voce di Asso salì lungo la tromba della scale.
-Sì, arriviamo!- dissero tutti in coro per risposta. I ragazzi lasciarono la stanza alle ragazze in modo che si potessero cambiare e poi scesero anche loro. Mentre raggiungevano la cucina un odore di croissant e latte al cacao raggiunse le loro narici e lo stomaco di Eveline emise un noto brontolio. Le tre amiche risero. Arrivate, si sedettero al tavolo e mangiarono la loro colazione. Quella mattina, però, nessuno aveva notato che Taiyoh era particolarmente felice anche se non sapeva nemmeno lui il perché. Si voltò verso Rin che teneva i capelli ancora sciolti.
-Stai bene con i capelli sciolti.- disse il castano mentre le guance si infiammavano.
-Grazie.- rispose lei con un leggero rossore sul viso. Tutti al tavolo sorrisero a quella scena. Erano una causa persa quei due. Entrambi si piacevano ma nessuno lo dimostrava minimante all’altro.
-Bè, i-io vado a lavarmi i denti di sopra!- balbettò Rin, mise i piatti nel lavello e corse di sopra ancora rossa.
“Maledizione, lo messa totalmente in imbarazzo!” si maledisse mentalmente Taiyoh. Rin intanto si era chiusa in bagno ed era a sedere sulla vasca. Aveva i gomiti sulle ginocchia e si teneva la testa.
“Che figura da demerita imbecille ho fatto davanti a Taiyoh! Non dovevo arrossire così!” cominciò a darsi dei pugnetti sulla testa.
“Basta Rin calmati!” si disse per tranquillizzarsi. Qualcuno bussò alla porta.
-Rin? Scusa non volevo metterti in imbarazzo!- era la voce di Taiyoh. Che carino era a preoccuparsi di lei. Aprì piano al porta.
-Tranquillo, nessun problema! E poi non mi hai messo in imbarazzo!-
-Sicura?-  Lei annuì.
-E allora perché sei scappata così?- chiese il castano ora un po’ confuso.
-Ecco… vedi…- cominciò la mora. La voce dei loro compagni di stanza raggiunse le loro orecchie. Appena sbucarono in camera i due ragazzi avvamparono.
-Non volevamo interrompere nulla!- si scusò Eveline.
-No, no, non era niente di importante!- disse sbrigativamente il castano.
-Per fortuna!- sorrise la riccioluta e tutti insieme prepararono la roba per andare in spiaggia.
 
-Possiamo a prendere un gelato prima di andare in spiaggia?- chiese Taiyoh.
-Ma abbiamo appena fatto colazione!- disse Alice.
-Lo so, ma io ho ancora fame!- ribadì il ragazzo.
-E va bene, passiamo per una gelateria!- disse esasperato Makoto.
Arrivarono ad bar che faceva anche gelati. Così il castano prese un cono al puffo.
-E quella roba cos’è?!- chiese schifata Rin.
-E’ puffo.- rispose l’interpellato con non curanza.
-Ti piace quella roba?- chiese sorpresa Eveline.
-Sì.- rispose lui e cominciò a leccare il suo cono. Alice si chinò e osservò il colore del gelato più da vicino.
-Ha lo stesso colore dei capelli di Makoto!- concluse soddisfatta. A quella affermazione il ragazzo si innervosì.
-Sei forse daltonica? Io ho i capelli blu, non di quel orribile colore!- sbraitò. Tutti scoppiarono a ridere e il ragazzo arrossì lievemente. Tra risate e chiacchere i ragazzi si diressero alla spiaggia. Aspettarono che Taiyoh finisse il propio cono e poi si tuffarono in acqua. Cominciarono a schizzarsi ed affogarsi a vicenda poi decisero di tuffarsi a turno dagli scogli. Tra Shoh e Eveline si era creata una certa rivalità per quanto riguardava i tuffi. Ognuno faceva salti sempre più spettacolari. Finchè alla fine distrutti si trascinarono ai propri teli.
 
Anche questo giorno volse al termine e i ragazzi, apparte Taiyoh e Rin, tornarono alla loro casetta. Per cucinare o per farsi una doccia e togliersi un po’ di sale di dosso. Rin si sciolse nuovamente i capelli e lasciò che il vento glieli muovesse un po’. Si sedette accanto al castano.
-Non è magnifico?- chiese.
-A che ti riferisci?- chiese lui.
-Al tramonto, idiota! A me sembra un biscotto che si puccia nel latte. Sai, ricevere un bacio al tramonto sulla spiaggia è sempre stato il mio sogno…- il ragazzo arrossì, cos’era quella, una proposta? Scosse la testa, ma cosa andava a pensare. Rin appoggiò la tasta sulla sua spalla.
-Anche io lo trovo meraviglioso.- bisbigliò Taiyoh in un soffio.
-Sai dovresti tenerti più spesso i capelli sciolti, stai molto bene!- Rin voltò la testa dall’altra parte per non far vedere il leggero rossore comparso sulle sue guance poi sussurrò un “ grazie”. Girò nuovamente la testa verso il mare ma senza volere il suo sguardo cadde sul viso del castano. Come mai sentiva il cuore battergli così forte e le farfalle nello stomaco? Anche il ragazzo si voltò verso di lei e gli occhi della mora si fusero con quelli di Taiyoh. Ad un certo punto il ragazzo le si avvicinò chiudendo gli occhi. In un certo senso Rin sapeva quello che da li a poco sarebbe successo ma non fermò il castano. Il giovane poggiò le sue labbra su quelle della ragazza facendo una leggera pressione. Poi spinse un po’ di più facendo perdere a Rin l’equilibrio, ma quella prima di cadere sulla sabbia circondò il collo del ragazzo con le braccia. Entrambi dischiusero leggermente le labbra e queste si unirono un incastro perfetto. Dopo poco si separarono e si sorrisero.
-Mi pare che il tuo sogno si sia appena realizzato…-
-Già, ho come l’impressione di doverne trovare un altro!- rise poi la mora.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Sapevo che non eri come loro ***


Sapevo che non eri come loro:

-Tanto lo so che non resisti più di me!- disse Eveline.
-Mi sa tanto che è il contrario!- ribattè Asso.
-Ragazzi, avete intenzione di scendere di lì sì o no?!- urlò Rin.
-Rin, questa è una scommessa, non posso mollare, capisci?- disse Arias.
-Ma è da più di mezzora che siete appesi a testa in giù su quel ramo!- constatò la ragazza.
-Questo non ha importanza perché io… aiutoooo!!- Si sentì un gran tonfo e tutti si voltarono verso il biondo che era appena caduto dall’albero. Si rialzò massaggiandosi la nuca.
-Ahah, che ti dicevo!- urlò la ragazza mora ancora appesa e tenendosi su con una mano, solo che non riuscì a sostenere tutto il suo peso e cadde anche lei.
-Stavi dicendo?- disse Arias guardando Eveline che si metteva sedere massaggiandosi un fianco con una smorfia di dolore sul volto.
-E’ stata solo sfortuna…- disse la ragazza incrociando le braccia al petto. Tutti risero.
-Ora che ne dite di andare a prendere le vostre valige, prima di perdere il treno?- li riprese Alice.
-Oh, sì, subito!- disse La riccioluta saltando in piedi.
-Vince chi arriva primo!- urlò al biondo mentre correva verso il bungalow.
-E-ehi ma non vale, tu sei partita prima!- ribattè il ragazzo correndole dietro.
-Colpa tua che non stavi attento!- rise la cadetta cercando di aprire la porta prima che il suo compagno la raggiungesse.
-Ma abbiamo a che fare con due bambini?- chiese Rin battendosi una mano sulla fronte. Poi con lo sguro incontrò Taiyoh. Stava parlando allegramente con Jay e Makoto e le tornò in mente la sera scorsa. Si erano promessi di non dire niente a nessuno ma non fare finta che tutto quello successo sulla spiaggia venisse cancellato dalla faccia della terra. Le venne un po’ di rabbia a quel pensiero ma il suo filo fu rotto dal gran trambusto proveniente dalla casetta.
-Arrivo prima io!- cantilenò la mora.
-E ci credo, hai barato!- disse Asso oramai senza fiato.
-Siete pronti per tornare a casa?- chiese Daichi.
-No!!- dissero tutti in coro per risposta.
 
I ragazzi erano sul treno e guardavano sconsolati fuori dal finestrino, le case e le campagne scorrevano veloci. Lasciare quel luogo era stato più complicato del previsto, già sentivano la mancanza del leggero venticello, volevano sentire ancora la calda sabbia sotto i piedi e il richiamo dei gabbiani che volteggiavano, leggeri, nel cielo blu. Volevano udire di nuovo lo scrosciare delle onde e volevano di nuovo tuffarsi dalla scogliera, volevano continuare ad andare a letto tardi e rifare altre battaglie con in cuscini. Le stazioni passavano una dopo l’altra e la loro fermata fu annunciata prima ancora che i ragazzi se lo aspettassero. Riluttanti scesero dal trano e si incamminarono verso la loro accademia. Erano tutti stranamente silenziosi. Soprattutto per quanto riguardava Eveline, non aveva aperto bocca nemmeno in treno. Era come se stesse se stesse cercando di ricordare qualcosa che era accaduto molto tempo prima ma che proprio si rifiutava di tornarle alla mente. Ogni volta che ci pensava non sapeva perché vedeva il viso sorridente di sua madre. Quei bei capelli biondi e quei fantastici occhi color nocciola con le sfumature marron scuro. E di nuovo la solita e fatidica domanda le tornava alla mente: Come faceva lei ad essere così diversa. L’essere diversa… quel concetto la faceva impazzire. Perché non era come il resto della famiglia. Cosa aveva lei di storto? Ogni volta che ci ragionava le lacrime le salivano agli occhi. Non solo era diversa fisicamente ma, ora che ci pensava, anche caratterialmente. Nessuno era come lei, perché? Scosse la testa per scacciare quelle fastidiose fantasie. Ma non servì a nulla. Anzi fu addirittura peggio poiché le tornò in mente la notte in cui sua madre morì. Quando glielo dissero si era sentita improvvisamente sola e abbandonata ma la cosa strana era che quella sensazione non era nuova per lei. Quando , poi, la sera andò a dormire non riusciva a prendere sonno. Si sentiva smarrita, persa e giurò che in quel momento sentì come se qualcuno la stesse abbracciando e le stesse sussurrando di non avere paura perché lei le era sempre vicino. Finalmente quel fastidioso flusso fu rotto dal molesto rumore dei cancelli elettronici che si aprivano. Sollevò gli occhi dal terreno e sorrise. Casa dolce casa(si fa per dire…). Il comandante venne a dargli il benvenuto. Tutti fecero il saluto militare e poi l’uomo diede l’ordine di ritirarsi ognuno nelle proprie camere. I ragazzi sistemarono ognuno le proprie cose quando all’improvviso suonò l’allarme. Era scoppiato un incendio in un condominio e la missione richiedeva l’aiuto dei Red Wings ovviamente per spegnere l’incendio, dei Bleu Sirens per tranquillizzare e guidare i civili e infine gli Yellow Gears per evitare ulteriori danni agli edifici circostanti. I cadetti corsero ai loro mezzi di trasporto e si diressero verso l’edificio in fiamme. Subito, tutti, si misero al lavoro. I Red Wings cominciarono a usare le pompe per spegnere l’incendio. Ma ogni volta che questo sembrava domato il fuoco divampava di nuovo.
“Qui c’è qualcosa che non va!” pensò Eveline con il sudore che le scendeva lungo la fronte. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. C’era qualcuno sul tetto.
“Forse è un ferito e si è rifugiato lì per scampare alle fiamme.” Spense la pompa dell’acqua e cominciò a correre verso le scale esterne che portavano al tetto. Le salì alla velocità della luce per poi rimanere spiazzata dalla rivelazione che l’attendeva lassù in alto.
-M-Mike…- balbettò.
Quello si girò, altrettanto sorpreso di essere stato scoperto.
-Ohi, ciao!- salutò dopo aver capito chi era la ragazza.
-Che ci fai qui?- chiese fredda lei.
-Mi sembra ovvio.-
-Vedi di piantarla, non sei autorizzato a propagare incendi ovunque!-
-E tu, da brava bambina, sei venuta a fermarmi vero?- sorrise malizioso dopo averla squadrata dall’alto in basso. La mora si mise in posizione pronta ad attaccare senza dare peso alla provocazione.
-Se questo si rivelerà necessario… sì!-
-Bene, bene. Vorrà dire che mi divertirò un po’- si posizionò anche lui. Cominciarono a tirarsi calci e pugni e, come nella pineta, era come se ognuno leggesse nei pensieri dell’altro. Ad un certo punto Eveline venne messa a terra.
-Perché lo fai?- chiese.
-Cosa?- disse lui facendo il finto tonto.
-Perché appicchi incendi!-
-E’ il mio modo di vivere.-
-In che senso?- domandò la ragazza.
-Sono stato educato così.-
-Non hai mai pensato di cambiare? Di diventare buono?-
-Io non posso diventare “buono”…-
-E perché no? Jay ci è riuscito o sbaglio?-
-Ma lui non era veramente cattivo. Era stato semplicemente adottato. Io sono nato da una madre che aveva fatto disastri e che era nata da genitori che ne avevano fatti altrettanti. Io ho la cattiveria dentro…- Sussurrò. Non ne sembrava felice.
-Io scommetto che sotto sotto sei buono.- sorrise Eveline. Mike non rispose. Ricominciarono a combattere. Spingendosi sempre di più verso il bordo del tetto. Nessuno dei due però se ne accorse. Poi la mora mise un piede fuori, verso il vuoto e sbilanciata cadde all’indietro. Improvvisamente si sentì afferrare. Alzò lo sguardo. Mike l’aveva afferrata al volo.
-Non guardare giù!- disse. Per tutta risposta Eveline abbassò lo sguardo. Cominciò a vedere tutto sfocato. Aveva sempre sofferto di vertigini. Si avvinghiò ancora di più al braccio del ragazzo.
-Ma tu ascolti la gente quando ti parla.- sbuffò lui. Poi la tirò su.
-Che ti avevo detto, c’è del buono in te!- sorrise la giovane scostandosi una ciocca da davanti gli occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Se solo potessi ***


Se solo potessi:

-Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa di buono in me?!-
-Se fossi stato davvero cattivo non mi avresti salvata!-disse Eveline con il sorriso sulle labbra.
-Non mi andava di vederti cadere, tutto qui…- ribattè il ragazzo.
-Tu non me la racconti giusta.- rispose la mora squadrandolo con uno strano luccichio negli occhi. Il ragazzo indietreggiò un po’.
-Sei alquanto inquietante con quello sguardo…- sussurrò. La ragazza scoppiò a ridere.
-Mou, che c’è da ridere!?- si lamento il giovane.
-Il fatto è che siamo nemici e ci siamo messi a parlare come se nulla fosse.- Il ragazzo parve ragionarci qualche secondo. Poi si voltò.
-Mi spiace ora devo andare.- schiccò le dita e il solito varco si aprì. Mike si voltò verso la mora.
-Ci rivedremo molto presto…- salutò militarmente e se ne andò.
 
Il ragazzo alzò lo sguardo verso il cancello che piano piano si apriva, mosse qualche passo incerto verso il cortile. Si guardò intorno. Quando i Machine Robo Rescue avevano distrutto il loro quartier generale dei disastri non sospettavano nemmeno che esistesse un palazzo così grande dove vivevano le più grandi famiglie fondatrici della banda. Era in quel luogo scuro e tetro che Mike era venuto al mondo e ancora adesso ci viveva. Li aveva un solo amico (se così si poteva chiamare) Karl. Dopo aver attraversato tutto l’immenso cortile spoglio arrivò alla porta principale e l’aprì. Quatto quatto fece per dirigersi in camera sua ma una voce lo fermò.
-Non si saluta più?- il ragazzo si irrigidì e si voltò piano. Un ragazzo dai capelli neri e occhi marroni era appoggiato al muro e lo fissava divertito.
-C-ciao Karl.-
-Come è andata la missione?- chiese il primo.
-E te cosa importa?!- chiese diffidente Mike.
-Hai fallito, vero? Mio caro sei così prevedibile. Anche da piccolo eri così, non sei cambiato di una virgola.- gli diede un buffetto sulla guancia, cosa che al ragazzo diede piuttosto fastidio.
-Meglio che vai ad avvisare tua madre che non hai portato a termine la missione che ti ha affidato. Ah, ti avviso è di cattivo umore.- disse l’amico mentre si allontanava. Mike deglutì rumorosamente.
“Fantastico, non bastava il mio fallimento, lei doveva anche essere di cattivo umore!!” Si diresse a grandi passi verso la sala centrale dove si trovava sua madre. Una volta arrivato bussò piano. La donna diede il permesso di entrare. La porta si apri cigolando. Entrò nella stanza avvolta dalla penombra. Era vuota come al solito. L’unico oggetto presente nella sala era il trono dove sua mamma era seduta. Il ragazzo si inginocchiò al suo cospetto come la rigida educazione da lei impartitagli gli aveva insegnato.
-Ben tornato Mike.- disse la donna regalandogli uno dei suoi sorrisi glaciali. Il ragazzo rabbrividì e si chiese quando avesse dimenticato come si sorridesse normalmente.
-Madre…- rispose poi lui.
-Allora, come è andata?- chiese lei. Il moro sentì le gambe cominciare a tremare ma si costrinse a restare fermo.
-H-ho fallito…madre…-rispose quasi sussurrando. Il sorriso della donna si allargò fino a diventare paurosamente maligno. Poi si alzò e si avvicinò al figlio che cominciò a temere per la sua incolumità.
-Tu sai cosa succede a chi abbandona o fallisce le missioni, vero Mike?-
-Si madre, lo so…-
-Bene.- gli fece un fredda carezza sui capelli ricci. Poi fece scivolare il dito indice sotto il mento del ragazzo e facendo una leggera pressione lo costrinse a guardarla negli occhi verdi.
-Sei fortunato, oggi non mi va di punirti. E poi penso ti sia bastata la punizione di qualche giorno fa, quando hai appiccato il fuoco nella pineta, no?- Al ragazzo scappò un sospiro di solivo. Il sorriso della madre si allargò ancora un po’. Gli afferrò un polso in modo tale che il braccio si sollevasse. La manica della maglietta scivolò fino alla spalla scoprendo il lungo e  profondo taglio che la madre gli aveva inferto il giorno che aveva conosciuto Eveline. Non si era del tutto rimarginato. La donna passò, con l’unghia affilata, sulla sottile linea della ferita, riaprendola. Il moro strinse i denti mentre il sangue colava lungo il braccio. La madre gli lasciò il polso e il ragazzo si mise una mano sul taglio per evitare che uscisse troppo sangue.
-Ora puoi andare.-
-G-grazie, madre…- e così il giovane, a capo chino, si allontanò. Si diresse in camera sua e si medico la ferita. Le parole di Eveline gli risuonarono in testa: “Non hai mai pensato di cambiare? Di diventare buono?”. Le lacrime sgorgarono dagli occhi del ragazzo.
-Se solo potessi…- singhiozzo avvolgendosi le mani intorno al petto e simulando un abbraccio, del quale aveva bisogno ma, lui lo sapeva benissimo, non sarebbe mai arrivato.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Salvo per miracolo ***


In salvo per miracolo:

Il giorno dopo Mike si svegliò presto. Era sdraiato sul suo letto girato su fianco, verso la finestra. Odiava quel luogo buio e tetro. Provò a sedersi ma non appena fece pressione con il braccio tagliato, quello gli procurò un dolore inimmaginabile e lui ricadde pesantemente sul letto. Sospirò. Ci riprovò, con una sola mano però e aprì la finestra. Ci si affacciò e un ricordo gli tornò alla mente. Dalla sua stanza poteva vedere il cortile. Quel luogo spoglio pieno di piante morte e alberi senza foglie e dove non batteva mai il sole una volta non era così. Una volta era pieno di fiori colarti, un mini paradiso terrestre. Lui ci giocava sempre con Karl e altri due bambini, di cui non ricordava ne il nome ne il sesso. Sapeva solo che un giorno una bambina lo chiamò e gli fece vedere un bellissimo fiore che persino sua madre adorava. Poi però, quei due bambini scomparvero. Lui non sapeva perché ma da quel giorno sua madre era diventata la fredda e crudele persona che era ancora oggi. Il volto sorridente di Eveline gli venne in mente per un momento. Le sue parole lo tormentavano ancora.
-Ho capito…- disse ad un certo punto.
-Devo andare da lei e chiarire alcune cosette…- Ma di certo non poteva passare dalla porta principale, qualcuno lo avrebbe visto. Decise che avrebbe scavalcato la finestra, avrebbe percorso tutto il cortile e poi sarebbe andato alla accademia dei Machine Robo Rescue. Sapeva benissimo che era rischioso ma sentiva che doveva provarci. Quando ormai era del tutto fuori qualcuno lo afferrò per il colletto della maglia e lo sollevò.
-Caro mio, dove pensi di andare?- la voce di sua madre lo paralizzò dal terrore.
-Non dirmi che pensavi di andartene, figlio mio.-
-M-madre io…- Lei lo lasciò cadere per terra. Mike emise un gemito di dolore.
-Tu lo sai che a me non piacciano i traditori.- riprese fredda.
-Chiedo perdono madre…- Rispose il ragazzo guardando basso.
-Io non me ne faccio nulla delle tue scuse, farò in modo che non capiti più.- Il solito gelido sorriso ricompari sulle sue labbra. Mike spalancò gli occhi dal terrore, sapeva bene quello che sua madre stava insinuando.
 
Dopo più di un’ora di dolori strazianti per tutte quelle frustate ricevute sua madre smise e osservò il figlio steso a terra, respirava affannosamente, immerso nel proprio sangue, proveniente da tutte le ferite che la donna gli aveva inflitto.
-Bene.- sorrise infine.
-Ora va’ a seminare altra distruzione e ti avviso non esigo altri fallimenti. Farai meglio a non tornare se mi devi portare un’altra cattiva notizia.- Se ne andò. Mike si rialzò piano. Le gambe tremavano a più non posso. Lo reggevano a malapena in piedi.
-C-come vuole, madre…- sussurrò sapendo che comunque non lo avrebbe sentito. Traballante si avvicinò alla porta e ci appoggiò per non cadere.
“Se questo riuscirà a farla tornare la donna solare di un tempo non fallirò.” Una lacrima gli attraversò la guancia sporca di sangue ancora fresco. Attraversò tutto il cortile. Ogni movimento gli procurava un mare di dolore. Aveva ferite ovunque: sul petto, braccia, gambe e schiena. Si era cambiato i vestiti poiché quelli di prima erano laceri. Aprì il portale e si ritrovò sul tetto di un palazzo. Di malavoglia schioccò le dita e la fiammella si accese appiccando fuoco. Entrò nel palazzo incendiando ovunque. Le urla terrorizzate delle persone gli giunsero alle orecchie. In men che non si dica si sentirono le sirene dei pompieri. Di li a poco sarebbero arrivati anche i Machine Robo Rescue. Il ragazzo non ce la faceva più. Il fumo lo stava soffocando. Non trovava più la via d’uscita che si era prefissato, ma ormai non gli importava più. Senza ammetterlo sperò che di vedere per l’ultima volta Eveline. Quella ragazza aveva qualcosa di speciale. Tossì. Tutto il corpo gli fece male per le ferite ancora aperte. Si accasciò contro il muro ad occhi chiusi e si sentì scivolare verso il basso mentre il corpo era scosso da brividi per il dolore.
“Madre, perdonatemi…” pensò con un sorriso triste sul volto. Alla fine svenne.
Si sentì una voce:
-C’è qualcuno lì!-
-Eveline ferma! Non fare azioni azzardate!- le urlò Jay.
-Probabilmente è ferito e a bisogno di noi.- I ragazzi si avvicinarono.
-Per tutti i martiri… Mike!- gridò poi la ragazza.
-Presto portiamolo giù e chiamiamo un’ambulanza!- disse il ragazzo.
 
Una luce accecante svegliò il ragazzo. Si trovava in una stanza da ospedale era piccola. C’era solo il suo letto una scrivania e una sedia. Appoggiata al tavolo dormiva una ragazza.
“Eveline!” pensò Mike. Si sedette sul letto e si sorprese di trovarsi tutte le ferite fasciate.
-Ti sei svegliato, finalmente.- disse una voce. Il moro si voltò verso Eveline che gli volgeva un sorriso stanco e aveva gli occhi segnati da profonde occhiaie.
-Si…- rispose lui guardando basso. Si scostò le coperte dalle gambe e fece per alzarsi ma non appena mise piede per terra cadde con un tonfo sordo.
-Non sei pronto per uscire!- disse la ragazza accorrendo per aiutarlo a rialzarsi.
-Avevi gravi ferite per tutto il corpo come te le sei fatte?-
-I-io non.. lo so…- mentì mentre le immagini della mattina scorsa gli tornavano in mente.
-D-devo tornare a casa…-
-Sei impazzito?! Devi rimanere qui!- disse Eveline.
-Mai madre sarà preoccupata.- detto questo aprì il portale e ci entrò ma ancora non sapeva che una volta arrivato a casa avrebbe sofferto la peggiore punizione della sua vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Che errore ho commesso? ***


Che errore ho commesso?:

Eveline era rimasta in ginocchio per terra, a fissare il punto in cui Mike era sparito. Le sembrava così strano che quel ragazzo non sapesse come si era ferito in quel modo. Dopotutto erano tagli profondi e dovevano essere molto dolorosi. Asso aprì la porta di scatto facendo sobbalzare la cadetta.
-Eveline… dov’è il ragazzo?!-
-Se ne è andato.- rispose lei con naturalezza e con una scrollata di spalle.
-E dove?-
-A casa sua! Dove se no?-
-Ma… non hai provato a fermarlo?-
-Asso, secondo te perché sono per terra, in ginocchio?-
-Ok, ci hai provato… ma ti ha detto almeno il motivo?- chiese poi il ragazzo con un sorrisino sul volto.
-Ha detto che sua madre era preoccupata per lui… scommetto che è una madre che gli vuole bene e per questo lui non vuole farla angosciare.- disse la ragazza con un sorriso da innocente sul volto.
 
Mike era davanti hai cancelli di casa sua. Nonostante ogni movimento gli procurasse un infinito dolore cominciò a correre verso la sala dove sua madre si trovava abitualmente. Non voleva si preoccupasse per lui, dato che stava bene. Più o meno. Spalancò la porta della stanza.
-Madre!- gridò con un sorriso.
Sua madre, che stava guardando da tutt’altra parte, lo squadrò da capo a piedi.
-Mike non mi pare di averti dato il permesso di entrare.- rispose poi, impassibile.
-V-voi non eravate preoccupata per me…?-il suo sorriso sparì
-Sul serio pensavi che fossi preoccupata per te? Come potevo esserlo? Dopotutto se tu fossi perito nell’incendio che tu avevi appiccato avevi solo fatto il tuo dovere portando a termine la missione.- Il ragazzo abbassò lo sguardo.
-Piuttosto…- riprese lei.
-… hai portato a termine la compito che ti avevo affidato?- Il moro tremò. Sua madre lo vide.
-Non hai portato a termine l’incarico?!- chiese con un tono rabbioso mentre si avvicinava minacciosamente al giovane.
-Ah… i-io…- un balbettio uscì dalle labbra del ragazzo. La madre lo prese per il collo, sollevandolo. Mike non riusciva quasi a respirare.
-Mostriciattolo, come ti ho generato io ti posso distruggere! Ti ricordi cosa ti avevo detto ieri?!- Il moro non rispose, come poteva. La donna strinse ancora un po’ la presa.
-Non dovevi presentarti se dovevi portarmi una brutta notizia.- Lo lasciò cadere a terra a peso morto. Lui si portò una mano al collo che ora aveva evidenti segni rossi. Sua madre afferrò una delle sue tante fruste appese al muro. Era lunga e all’estremità aveva due uncini molto appuntiti. Mike sbarrò gli occhi dal terrore.
-Con questa, forse imparerai a darmi ascolto, che ne dici, figlio mio?- disse la donna accarezzando l’oggetto come se fosse un cucciolo e sorridendo malignamente. Poi senza preavviso lo strumento si abbatté sul corpo del ragazzo che gemette dal dolore. La tortura andò avanti per due ore, circa.  Gli uncini ghermivano la sua pelle senza sosta. Poi sua madre smise per un momento. Mike era a terra con gli occhi semi chiusi. La donna fece per avvicinarsi e per istinto il ragazzo cercò di raccogliersi in posizione fetale. Purtroppo non ci riuscì a causa del dolore lancinante che gli attraversava tutto il corpo. La donna si chinò su di lui.
-Mike, tu sai che faccio questo per il tuo bene, vero?- sussurrò lei ad un suo orecchio.
-S-si, m-madre lo so…- gli costò una fatica immensa pronunciare quelle parole.
-Bene, allora posso continuare.- Alzò nuovamente la frusta che nuovamente si abbatté sul corpo esamine del moro. Il giovane si morse un labbro per non urlare. Lo fece con una forza tale che ben presto sentì il sapore amaro e ferroso del sangue in bocca.
-Mike, c’è qualcuno che ti distare, non è così? Dove è finita la tua spietatezza e crudeltà? Dimmi chi è che te l’ha portata via?- chiese la donna. Le parole di Eveline risuonarono come campane nella testa del giovane: “io scommetto che sotto sotto c’è del buono”. Comunque non rispose alla domanda della madre. Dopo un’altra ora di punizione Mike era certo che sua madre non si sarebbe più fermata se non fosse stato per il colonello Hazard. Era la prima volta che il ragazzo era felice di vederlo. Condusse via la donna dicendo che doveva firmare importanti documenti. Quella passò accanto al figlio senza degnarlo minimamente di uno sguardo. Il moro rimase a terra nel più completo silenzio. Si portò le mani davanti agli occhi. Erano piene di tagli e sangue. Cominciò a piangere. Dove aveva sbagliato questa volta? Perché non riusciva a rendere felice sua madre? Con un immenso sforzo e con un dolore sovraumano si mise a sedere. Se veramente essere frustato era per il suo bene allora non si poteva lamentare. Pensò che non appena si sarebbe rimesso in sesto sarebbe dovuto tornare a disastrare altri edifici e al solo pensiero gli venne la nausea. Ma se questo poteva rendere felice sua madre avrebbe sofferto le peggiori pene dell’inferno. Si alzò in piedi e con estrema fatica uscì dalla sala per dirigersi in camera sua. Si volse indietro un momento. Dietro di sé c’era una scia di sangue.
“ Dopo che mi sarò medicato meglio venire a pulire, altrimenti mia madre si arrabbierà…” Poi si diresse nella sua stanza.
 
Eveline era stesa sul letto a leggere. Però si sentiva strana: come se una parte si lei stesse male. Ritornò alla pagina che stava leggendo. Era più o meno la settima volta che rileggeva la stessa riga. Sospirò. Poi Rin entrò come un tornado nella sua stanza. La riccioluta nascose il libro sotto il cuscino. Perché si dimenticava sempre di chiudere quella maledetta porta a chiave?
-Scusa Eveline ho interrotto qualcosa?-
-N-no, nulla.- sorrise.
-Perfetto, sono venuta a chiamarti, la cena è pronta!-
-Oh, si, arrivo!- detto questo si alzò e insieme alla sua amica si diresse verso la mensa.

Spazio dell'autrice:
Chiedo perdono per aver caricato il capitolo così in ritardo, spero che il contenuto valga la pena della vostra attesa.
Saluti,
Shora.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Tutta colpa del fato ***


 Tutta colpa del fato:

Erano passati più o meno tre giorni da quando Eveline aveva visto Mike per l’ultima volta. Da quell’ultima volta non c’erano stati disastri e proprio la ragazza non ne capiva il motivo. Distesa sul letto ripensava alla giornata in ospedale ad aspettare che il misterioso ragazzo si svegliasse. Era stata stranamente inquieta per tutto il tempo e poi… si era addormentata. Guardò l’orologio, fra poco avrebbero servito il pranzo ma lei non aveva fame. Qualcuno bussò alla porta.
-Avanti, la porta è aperta!-
“Ovviamente!” pensò. Era la solita smemorata, mai una volta che si ricordasse di chiudere la porta. La chioma di Taiyoh fece capolino dal corridoio.
-Eveline il pranzo è pronto, vieni?-
-No, grazie Taiyoh…-
-Ehi, va tutto bene?-
-Oh, si, si…- disse lei.
-Cos’è sei pensierosa?-
-E già.-
-Ok, se ti viene fame sai dov’è la mensa, ciao!-
-Si, ciao!- Aspettò ancora venti minuti, poi si alzò e prese una felpa, se la legò in cintura. Uscì. Nel cortile un venticello fresco le scompigliò i capelli.
“Magari se mio padre non mi becca vado a fare un girò in città…” si guardò circospetta intorno poi quatta quatta  uscì. Camminava sul marciapiede mentre le macchine le sfilavano accanto arruffandogli i capelli, mentre lei con un gesto stizzito li rimetteva dietro l’orecchio. Si sedette su una panchina e sospirò. Alzò lo sguardo verso un edificio. Sul tetto c’era una specie di giardino pensile. Poi di punto in bianco cominciò a uscire fumo.
-Cosa?!- in quel momento lassù ci fu un’esplosione. Le persone uscirono al più presto dall’edificio. Eveline invece di seguire la folla decise di andare a indagare per capirne qualcosa di più. Raggiunse il giardino ormai completamente lambito dalla fiamme. Si mise le mani davanti agli occhi per il troppo calore, non aveva ne l’abbigliamento ne l’attrezzatura adatta. Poi intravide una figura nelle fiamme.
-M-Mike?!- chiamò. Il ragazzo si voltò.
-Ancora tu?- disse il ragazzo spalancando gli occhi.
-Io pensavo che avessi smesso di appiccare incendi.- disse Eveline.
-Bè… ti… ti sbagliavi!- disse come se stesse cercando le parole giuste.
-Ma non ti stanca sentire le urla della gente indifesa che scappa?- Il ragazzo finse di ragionarci su.
-Mmm… no!- disse poi. Fece per fare un passo avanti ma, improvvisamente, Eveline lo vide piegarsi su sé stesso con una smorfia di dolore sul volto. Mike si portò la mano sull’esterno coscia mentre, sul tessuto dei jeans che aveva addosso, si creava una macchia rossa.
-Ehi, tutto bene?- chiese la ragazza soccorrendolo.
-S-si, tutto bene!- disse lui allontanandosi da Eveline. La mora lo guardò confusa.
-Ma che ti prende?- chiese lei.
-Il… il fatto è…- prese un respiro. –E’ che ci comportiamo come se fossimo grandi amici quando invece siamo solo nemici!-
-Ma non è vero! Noi siamo amici…-
-No! Non è così!- lo interruppe lui.
-Ma… ma tu mi hai…-
-Sì, è vero, ti ho salvata! Ma questo no vuol dire nulla!- il ragazzo scosse la testa.
-E ora…- continuò.- Se veramente vuoi fermarmi… combatti.- la guardò con durezza. Lei scosse la testa, piano. Per tutta risposta ricevette un calcio allo stomaco che la fece cadere in ginocchio. Le lacrime salirono agli occhi di Eveline, anche Mike sentì gli occhi pizzicargli. Come mai vedere quella ragazza in quello stato lo faceva stare male?
-Eveline, mettitelo in testa, noi due siamo fatti per stare l’uno contro l’altra! E se te la devi prendere con qualcuno prenditela con il fato!- Una lacrima rigò la guancia del ragazzo. Eveline la notò e sorrise.
-Tu non pensi quelle cose veramente.- disse poi.
-Invece si…-
-Se tu fossi veramente convinto di quello che pensi, ora non staresti piangendo.- Mike fremette. Poi una scossa sorprese i ragazzi.
-L’edificio sta per crollare!- disse Eveline. Un sorrisino comparve sul volto del moro. La ragazza lo notò.
-Qu-questo era il tuo intento?!- chiese poi la mora alzandosi in piedi debolmente. Aveva capogiri per via del fumo ed era debole poiché non aveva pranzato. Un pensiero le attraversò la testa. Perché i pompieri non erano ancora arrivati? Un’ altra scossa. Eveline ricadde a terra.
-Bene, prima di schiantarmi a terra e morire io me ne vado.- disse Mike aprendo il portale. Si voltò verso la ragazza e la guardò: “C’è qualcuno che ti distrae, non è vero Mike?”. La voce di sua madre, prepotente, si fece viva nella sua mente. Scosse la testa ed entro nel varco. Eveline si guardò confusa e terrorizzata intorno. Da dove poteva uscire. Il fuoco aveva chiuso qualsiasi via di fuga. Si rialzò. Vide un tubo che doveva appartenere ad una pompa dell’acqua Lo fisso ad un ramo di un piccolo melo non ancora del tutto morso dalle fiamme e scese lungo il muro dell’edificio usando il tubo come una corda e mentre le gambe tramavano, una volta a terra, chiamò i vigili del fuoco e i suoi compagni. Ma oramai era troppo tardi. L’edificio crollò.
 
Mike bussò alla porta della sala di sua madre.
-Avanti.- disse lei. Mike entrò nella stanza con un sorriso sul volto ma questo scomparve non appena vide il colonello Hazard vicino a sua madre. Quell’uomo faceva la corte alla donna da quando sua padre era morto e a lui non stava bene.
-Cosa vuoi Mike?-
-Ah… ecco io… ho completato la missione.- ora si aspettava che sua madre gli rivolgesse un sorriso e gli dicesse che era stato bravo. Non accadde.
-Hai fatto solo il tuo dovere.- Detto questo si alzò seguita dal colonello e passò si fianco al figlio senza degnarlo di uno sguardo. Il ragazzo abbassò gli occhi. E ora dove aveva sbagliato?
“Mike, una sola vittoria non cancella una serie di sconfitte!” disse una vocina nella sua testa. Camminò fino in camera sua e si sedette sul letto.
-Anche la prossima volta non fallirò.- Poi ripensò a Eveline.
“Speriamo che almeno lei abbia capito il senso delle mie parole… non era mia intenzione ferirla…” 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Missione notturna ***


Missione notturna:

Eveline sbattè la porta alle sue spalle. Si buttò sul letto e chiuse gli occhi. Non era riuscita a far niente oggi: Mike l’aveva piantata in asso e l’edificio era crollato lasciando un sacco di persone senza casa. Che razza di cadetta era se non riusciva nemmeno a spegnere un fuoco?! I ragazzi erano arrivati troppo tardi poiché, stranamente, gli allarmi non avevano funzionato. C’erano stati 11 morti, sepolti dalle macerie, tra cui donne e bambini, 13 feriti gravi e 2 persone in coma… una strage. Perché Mike l’aveva fatto? Cosa lo aveva indotto a cambiare così tanto? Ricordò quando il ragazzo l’aveva presa al volo prima che si schiantasse a terra. Rivide i suoi occhi verdi pieni di sicurezza ma anche di una strana tristezza. Era strano ma, adesso che ci pensava, non l’aveva mai visto sorridere. E quella ferita alla gamba, come se l‘era fatta? Respirò a fondo. Strisciò fino al suo cuscino e da lì sotto sfilò il libro che aveva nascosto ore prima, forse, così, si sarebbe potuta distrarre. Non appena aprì il libro però la voglia di leggere le passò e semplicemente si stese con la pancia verso il basso con il libro al suo fianco. Una mano poggiata sulla copertina. Quella posizione le diede sicurezza come se il volume potesse proteggerla da tutto e tutti. Si stava per assopire quando qualcuno bussò alla sua porta. Aprì gli occhi di scatto e velocemente nascose il libro sotto il materasso.
-A-avanti…- disse lei con un sospiro. Makoto fece irruzione in camera sua. Era abbastanza arrabbiato e sulla divisa c’era una macchia rosa…probabilmente frappè alla fragola o ai frutti di bosco.
-Hai visto Rin?!- chiese praticamente ringhiando.
-Emm… no, perché?-
-Quella ragazza me la pagherà cara!-
-Posso sapere il motivo?- chiese Eveline visibilmente confusa.
-Non si vede?! Mi rovesciato il frappè addosso!-
-Eddai, non lo avrà fatto apposta!-
-E invece si… c’è un complotto contro di me…- disse pensieroso. Eveline alzò un sopracciglio.
-Okaaaay…-
-Tu non ne fai parte, vero?- la squadrò minaccioso. La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma una voce la precedette.
-Ehi, Eveline, posso nascondermi nel tuo armadio dato che sto fuggendo da Ma…- La riccioluta vide Rin impallidire visibilmente. Il ragazzo si voltò e la squadrò da capo a piedi.
-Tu… considerati una ragazza morta!-
-E-Eveline ci vediamo più tardi a mensa… ciao!!- disse poi la mora cominciando a correre via. La ragazza fissò la scena attonita, poi scoppiò a ridere. Ma con chi aveva a che fare in questa accademia? Ma dopo tutto erano i suoi primi amici. Adesso che ci rifletteva bene non aveva mai avuto dei veri amici. Tutti i bambini con i quali aveva avuto a che fare l’aveva sempre trattata male o l’avevano sempre presa in giro. Soprattutto una ragazzina di nome Jennifer. La solita bella ragazza bionda, occhi azzurri e pelle candita. Non come la sua spruzzata di lentiggini. Era sempre dietro a richiamare i suoi capelli e i suoi vestiti: “Hai i capelli riccioluti del diavolo e neri come la morte” oppure “Cos’ha la tua faccia ti sei dimenticata di lavarla?!” questo era riferito a quelle poche lentiggini in faccia. Per fortuna che suo padre veniva a prenderla a scuola prima dell’orario normale per i suoi allenamenti. Scosse la testa e si diresse verso la palestra. Era vuota come al solito. Prima di cena non c’era mai nessuno e lei ne approfittava. Dopo mezzora di addominali si sdraiò a terra e fissò il soffitto.
-E’ bello pulire il pavimento, Eveline?- chiese una voce. Si mise a sedere. Jay era appoggiato allo stipite della porta con le mani incrociate e la guardava sorridendo.
-Io non stavo… che ci fai qui?-
-Sai, potrei farti la stessa domanda.- Le sorrise divertito. Quella ragazza era ingenua, facile da condizionare con domande contorte o giochi di parole. Infatti ci mise un po’ prima di rispondere a Jay.
-Ho fato un po’ di addominali.-
-Divertente?-
-Sì, abbastanza.- disse lei. Il ragazzo le si sedette accanto incrociando le gambe.
-Senti, ci tenevo a farti una domanda.- disse Jay.
-Fai pure.- dichiarò la ragazza.
-Hai mai avuto un migliore amico?- Vide la ragazza ragionarci su.
-Sì, ma ero molto piccola non ricordo chi sia.- il cadetto si aspettò di vedere quel sorriso angelico spuntare nuovamente sul volto della ragazza, ma non accadde.
“Forse sono stato troppo invadente!” pensò.
-Scusa, se la mia domanda ti ha dato fastidio non era mia intenzione…- si scusò.
-No, assolutamente.-  disse la ragazza.
-E tu?- chiese poi. –Hai mai avuto un migliore amico?-
-Si, ne avuti tre, da bambino e ora c’è Taiyoh, Asso, Makoto e anche tu.- La ragazza gli volse un piccolo sorriso.
-Ragazzi la cena è pronta!- disse una voce. I due si girarono. Davanti alla porta c’era Daichi.
-Oh, sì, arriviamo subito.- disse Jay
 
-Oh, per caso qualcuno di voi sa dove sono Rin e Makoto?- Chiese poi Kei verso la fine della cena.
-Veramente no…- Disse Arias.
-In effetti, oggi si stavano rincorrendo per il dormitorio…- disse Eveline.
 
-Scendi dall’albero se hai il coraggio!- urlò Makoto.
-E’ questo il bello, io non ce l’ho!!!- rispose Rin. Un brontolio di stomaco sorprese i due ragazzi.
-Facciamo così… decidiamo una piccola tregua. Così mangiamo.- propose la mora. Makoto ci pensò su un attimo.
-Va bene.- Così la ragazza scese dall’albero e insieme al suo compagno andò in mensa a rifocillarsi un po’.  Si unirono ai loro amici e trascorsero il loro tempo tra chiacchere e risate. Si fecero le dieci.
-Che ne dite di andare a letto. Domani ci dovremmo allenare duramente.- disse Taiyoh con uno sbadiglio.
-Accordo in pieno!- disse Rin.
-Mi associo.- affermò Eveline.
-Sottolineo.- dichiarò Asso. Si diressero nelle loro stanze da letto.
 
L’allarme suonò, svegliando i cadetti che si diressero, una volta messa l’uniforme, nella palestra. Ad attenderli trovarono Marie.
-Un incendio è scoppiato una montagna poco distante da qui, vicino ad un albergo. In più un frana a chiuso l’unica via di fuga utilizzabile per i cittadini. Quindi Red Wings e Yellow Gears, andate.- I cadetti fecero il saluto militare e, secondo le coordinate a loro fornite, partirono subito al salvataggio. Una volta arrivate, le rispettive squadre fecero il propio dovere. Era una notte nebbiosa e perciò non era il caso di separarsi dal gruppo.
-Questa è stata opera di Mike…-disse Eveline.
-Cosa te lo fa pensare?- chiese una voce dietro di lei. Si voltò. Eccolo li, appollaiato su ramo.
-Sapevo che c’eri tu dietro tutto questo!- sbottò la ragazza.
-Uuhh, sei perspicace, Eveline.- rispose scendendo dall’albero.
-Piantala di prendermi in giro!- urlò lei. Intanto i ragazzi, dopo aver liberato la via d’uscita e spento l’incendio, si erano raccolti intorno ai due litiganti. Senza volerlo Mike si era avvicinato al bordo del precipizio dove tutti si trovavano. Ma nessuno lo sospettava nemmeno lontanamente a causa della nebbia. Fu un attimo. Sul limite del burrone si erano già create delle crepe e, grazie al peso del ragazzo, il pezzo di terra, sul quale il ragazzo si trovava, si stacco dalla montagna. Il moro stava per precipitare nel vuoto, ma l’istinto di sopravvivenza lo condusse ad aggrapparsi a qualcosa o meglio, in questo caso, qualcuno. Infatti, Eveline era abbastanza vicina e, prima che lei potesse rendersene conto, Mike l’aveva afferrata per una caviglia. Eveline venne trascinata verso il basso.
-No, Eveline!- gridò Asso. Provò a prenderla per il polso, ma riuscì solo a sfiorarle le dita della mano. Fu quasi un caso. La maglietta di Eveline si impigliò in un arbusto che cresceva lungo il precipizio. La loro caduta venne fermata. Mike era ancora attaccato saldamente alla caviglia della ragazza. Si ritrovarono sospesi nel vuoto.
-Scusa è tutta colpa mia…- disse Mike.
-Non ti preoccupare, troveremo il modo di uscire da questa situazione!- La mora sentì la presa attorno alla sua caviglia attenuarsi.
-Che non ti passi nemmeno per l’anticamera del cervello di mollare la mia gamba, intesi?!- disse la ragazza guardandolo negli occhi.
-Ma quel arbusto non ci terra su tutti e due. Se ti lascio almeno tu potrai salvarti!-
-Non dirlo nemmeno per scherzo!-
-Sei gentile a preoccuparti per me ma… io penso che per me sia meglio morire. Sono un buono a nulla, faccio soffrire le persone, compresa mia madre e non ha amici. Forse morire è la scelta migliore.-
-Vuoi piantarla di dire cavolate!- Qualcosa di caldo cadde sulla guancia del ragazzo. Alzo gli occhi e vide che Eveline stava piangendo.
-Non capisci! C’è qualcuno che ti vuole bene. Io, per esempio! Se tu non ricambi, se tu mi odi o mi consideri il nemico a me non interessa! Io ti vedo come un amico e non potrei sopportare l’idea di perderti!- Mike abbassò lo sguardo.
-Anche io ti voglio bene ed è per questo che preferisco la tua vita alla mia…-
-Mike non…- Il ragazzo lasciò la presa e precipitò nel vuoto.
-No! Mike!- urlò la ragazza. Ma le parole non servirono a fermare o rallentare la sua caduta e Eveline non poté fare altro che osservare impotente la scena, mentre Mike scompariva nella nebbia.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Il primo vero sorriso ***


Il primo vero sorriso:

-Mike! Mike!- continuò a chiamare la ragazza come se servisse a qualcosa. Le lacrime continuavano a solcarle le guance.
“Smettila, Eveline! Ora vedi come scendere da qui. Una volta giù cerca Mike!” Annuì per farsi coraggio. Ma non appena guardò verso il basso, per vedere se c’era un appigliò, fu avvolta dalle vertigini. Rialzò lo sguardo. Constatò che i piedi appoggiassero su una sporgenza, poi districò la maglietta dalla pianta e cominciò a scendere. Ringraziò mentalmente suo padre  per averle insegnato arrampicata. Dopo un po’ di discesa cominciava a sentirsi più sicura, improvvisamente, però, un pezzo di terra sotto i suoi piedi cedette e lei si fece forza per restare appesa e non urlare. “Non guardare giù!” Era la voce di Mike quando l’aveva afferrata prima che precisasse nel vuoto. Ricacciò indietro il ricordo assieme alle lacrime. Riprese a scendere. Poi il suo piede toccò terra. Si inginocchio sul suolo con le mani tremanti e graffiate. I capelli le ricaddero sulla faccia. Si guardò attorno se Mike fosse morto doveva per forza essere lì, ma di lui nessuna traccia.
-Eccola lì!- disse una voce.
-Eveline!-Chiamò un’altra.  La disperazione ebbe il sopravvento su di lei e le lacrime ricomparirono, calde e inarrestabili, sul suo volto. Si portò le mani davanti agli occhi.
-Eveline… cos’è successo?- chiese Asso inginocchiandosi davanti a lei. La ragazza non rispose e continuò a piangere. Arias le cinse le spalle e la scosse delicatamente.
-Eveline…- Lei gli buttò le braccia al collo e lo abbracciò continuando a singhiozzare. Il biondo per un po’ non ricambiò il suo gesto poi, preso dalla tenerezza, la stinse leggermente a sé. La mora parve calmarsi. Lentamente il ragazzo la allontanò da sé e la guardò negli occhi. Lei si asciugò le ultime lacrime che, solitarie, scendevano lungo il suo volto.
-Cos’è successo? Dov’è Mike?- ritentò Asso. A quel nome Eveline si morese un labbro.
-E’ caduto… la mia maglietta si era impigliata in un arbusto e lui sosteneva che non ci avrebbe sorretto entrambi così… lui…- la voce gli morì in gola mentre cercava di soffocare un altro singhiozzo, l’ennesimo.
-Se fosse morto, lo avremmo visto.- disse Taiyoh. Arias annuì.
-Allora devo andare a cercarlo- affermò Eveline. Si alzò e fece per correre via ma qualcuno le prese un polso, fermando la sua corsa.
-Non puoi!- si voltò e vide il viso serio del biondo.
-Ma… ma…- biascicò la ragazza.
-Eveline c’è la nebbia, è un posto sconosciuto, ti perderai!- La mora non lo ascoltò e cercò di liberarsi dalla sua presa, con il risultato di trovarsi entrambi i polsi bloccati.
-Lasciami!- gemette.
-Asso a ragione, Eveline.- Rin fece un passo avanti.
-Sarebbe rischioso separarsi dal gruppo.-
-Ma se fosse ferito e si fosse trascinato nel bosco?!- sussurrò la cadetta. I suoi compagni si lanciarono brevi occhiate tra di loro. Cosa potevano dirle per rincuorarla.
-Sarebbe strano, dopotutto avrebbe lasciato qualche traccia e… e poi è forte, vedrai che se la caverà!-Disse Jay. La mora abbassò lo sguardo e si lasciò condurre via.
 
Erano passati due giorni. Eveline non usciva mai dalla sua camera, non mangiava più. Di giorno piangeva e di notte sognava Mike, svegliandosi di soprassalto e sentendosi come vuota. Le sue giornate passavano mentre lei e ne stava sdraiata sul letto. Il terzo giorno la ragazza si ritrovò rannicchiata in un angolo della sua stanza. Si circondava le gambe con le braccia e appoggiò la testa contro il muro. Sembrava in trans. Qualcuno bussò ma lei non ci fece nemmeno caso e non rispose.
“Mike è morto!” pensò “Se fosse sopravvissuto avrebbe già appiccato un altro incendio…” Le nocche batterono di  nuovo contro il legno della porta con il finire che questa si aprì da sola. Asso fece capolino in camera sua dal corridoio.
-Eveline, noi dei Red Wings facciamo una partita a volano… vuoi venire?- lei scosse piano la testa. Il sorriso che il ragazzo aveva quando era comparso in camera sua svanì lasciando posto ad una smorfia d’irritazione.
-Ma che ti sta succedendo?!- gridò. Per tutta risposta Eveline abbassò lo sguardo.
-Eveline torna in te!- Asso la scosse per le spalle. Vedendo che non aveva alcun effetto passò alle parole.
- Smettila di pensare a lui! È morto, andato! Fare così non ti servirà a nulla!- La mora strinse i pugni.
-Se mi aveste dato retta…- sussurrò. Il biondo la guardò confuso. La ragazza si alzò in piedi. Le lacrime ricominciarono a rigarle il volto.
-Se voi mi aveste ascoltata ora lui sarebbe ancora qui. Potevamo andarlo a cercare e invece…- si portò una mano davanti agli occhi e corse fuori da camera sua. Uscì dall’accademia e corse, corse fino allo sfinimento, trovandosi poi in un parco completamente deserto. Inciampò e cadde lungo distesa, il corpo scosso da violenti singhiozzi. Si sedette in ginocchio cercando, inutilmente, di asciugare le lacrime. Poi sentì dei passi dietro di sé. Si voltò e quello che vide la lasciò senza parole. Mike era ritto davanti a lei e la guardava sbalordito. La ragazza si alzò, piano e altrettanto lentamente si avvicinò al ragazzo. Quello non appena la vide alzarsi da terra abbassò lo sguardo. Eveline gli mise una mano sul petto del moro, aspettandosi di trapassarlo come se fosse aria. Una volta assicuratasi che fosse in carne ed ossa gli mollo un ceffone.
-Questo è per aver mollato la presa!- disse lei. Mike si portò una mano alla guancia arrossata. Poi inaspettatamente la ragazza lo abbracciò stretto. Con il risultato che il ragazzo arrossì. Il moro la prese per le spalle e la fissò dritta negli occhi.
-Si dice che per morire si deve completare uno scopo… ho tanto lavoro davanti a me…- finalmente le sorrise, felice.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Incontri nel bosco ***


Incontri nel bosco:

-Ehi, aspettatemi!- disse la voce di una bambina. Poi ci fu un tonfo e leggeri singhiozzi.
-Ti sei fatta male?- chiese un Mike bambino.
-Mi sono sbucciata un ginocchio.- disse la bimba mostrandoglielo.
-Aspetta,  ho un cerotto.- disse lui. Frugò nella sua taschina dei pantaloni e ne tirò fuori l’oggetto.
 Mike si svegliò di soprassalto. Ancora quello strano sogno. Si sedette sul letto, confuso. Scorse la foto sul suo comodino, era uno scatto al quale teneva molto. Ritraeva lui e sua madre abbracciati, lei sorrideva felice, lui pure e avrà avuto più o meno quattro anni. Pensò che in questi giorni sua madre era di buon umore, forse perché giugno era finito. Dopotutto in quel mese c’era il compleanno di suo padre e durante quel lasso di tempo sua madre era più irascibile del solito. Sospirò e guardò l’orologio: segnava le 7: 15. Verso le dieci sarebbe dovuto andare ad indagare, non poteva disubbidire a sua madre. Si distese di nuovo sul letto.
“Cosa starà facendo ora Eveline?” si chiese. Gli venne in mente il loro ultimo incontro, ripensò all’abbraccio e arrossì. Nascose la faccia nel cuscino.
“Ma che mi sta succedendo? Perché non faccio che pensare a lei? Non sarà che…”
 
-Sveglia sono le sette, sveglia!!- il KeiBoy di Eveline cominciò a saltellare sulla sua scrivania e alla ragazza ci volle tutta la sua buona volontà per non scaraventarlo giù dalla finestra. Si tirò su a sedere e si mise i capelli dietro l’orecchio. Poi sorrise, si alzò dal letto e aprì la finestra facendo in modo che la luce del sole inondasse la sua stanza. Si vestì e si diresse verso la mensa, saltellando. Una volta arrivata si servì con una fetta di torta alla crema e del buon latte freddo con il cacao. Prese posto vicino a Rin, Taiyoh e Asso che stavano già consumando la loro colazione.
-Come va?- chiese raggiante.
-Tutto bene, grazie.- rispose Arias. Lui e Eveline si erano chiariti dopo l’ultima litigata sul fatto di Mike avvenuta più o meno una settimana prima e ora andavano di nuovo d’accordo come prima… o quasi.
-Anche noi!- dissero gli altri due ragazzi.
-Per caso sapete cosa ci aspetta oggi?- chiese poi Rin.
-Non saprei, dato che Miyajima, non ci ha detto nulla.- i ragazzi si voltarono di scatto e videro Jay che si stava avvicinando con un vassoio. Lui li fissò uno ad uno.
-Che c’è?!- chiese.
-Potresti anche avvisare prima di comparire all’improvviso. Mi hai fatto perdere dieci anni della mia vita!- disse la ragazza che aveva esposto la domanda. Taiyoh si avvicinò al volto della mora.
-A me pari tale e quale a prima.- disse dopo un’attenta analisi. Rin lo guardò scettica, faceva sul serio?
-Io vado a finire di prepararmi.- disse poi, alzandosi.
-A-aspetta, vengo anche io!- disse il castano trangugiando la sua porzione di torta.
-Cos’è hai paura di rimanere da solo?!- chiese Rin, divertita dalla reazione del ragazzo.
-Può darsi.- le si avvicinò e la prese a braccetto e, anche se la cadetta fece finta di nulla, non poté evitare la comparsa di un lieve rossore selle guance. Jay si sedette davanti a Eveline e cominciò a mangiare tranquillamente.
-Davvero non sai quello che dovremmo fare oggi?- chiese la ragazza. Il ragazzo annuì.
-Nessuno ci ha detto nulla, ma penso che presto qualcuno verrà ad avvisarci.- questa era la voce di Asso.
-Vabbè… ora vado a lavarmi denti.- disse la mora alzandosi. Salutò e si diresse verso il bagno delle ragazze lì incontrò Rin. Si salutarono nuovamente.
-Senti, Rin, posso farti un domanda?- chiese Eveline mentre metteva il dentifricio sullo spazzolino.
-Sì, certo, fai pure.
-Tra te e Taiyoh… c’è niente?- La ragazza vide l’amica arrossire vivacemente.
-N-no, nulla!-
-Davvero?-
-Sì, g-giuro!-
-Ok…- Non appena le ragazze ebbero finito di lavarsi i denti suonò l’allarme. Tutti cominciarono a correre in palestra. Marie li aspettava sorridendo.
-Bene, oggi vi aspetterà una missione un po’ diversa dal solito.- I ragazzi non si mossero, rimasero in ascolto.
-Sulle montagne dove avete svolto l’ultima missione, circa una settimana fa, si stanno sviluppando diversi incendi dolosi, di natura sconosciuta. Il vostro compito sarà quello di trovare il colpevole e fermarlo. Siccome bisognerà coprire una fascia di terreno molto ampia partiranno tutte le squadre di soccorso. È tutto. Oh e mi raccomando, non lasciate mai il sentiero, dato che la vostra missione si svolgerà nel bosco.- La donna si voltò e se ne andò.
-Nel bosco no!- si lamentò Arias.
-Cos’è, hai paura?!- lo schernì Eveline.
-No, assolutamente e solo che…-
-Hai paura, hai paura!- cantilenò Eveline.
-Non è vero!-
-Ehi, ragazzi, vediamo di piantarla, che ne dite.- Li riprese Rin.
-Ok, scusaci.- dissero i due contemporaneamente.
-Tanto lo so che hai paura!- sussurrò sorridendo, Eveline all’orecchio di Asso, il quale fremette.
 
-Eccoci qui!- disse Makoto guardando i margini della foresta. Si voltò verso il resto dei cadetti.
-Bene, ci sono tre sentieri. Noi Blue Sirens andremo in quello di destra, i Red Wings in quello al centro e gli Yellow Gears in quello di sinistra. Tutto chiaro?- Tutti fecero il saluto militare e si diressero dove gli era stato detto.
-Ancora non ho capito perché hanno dato il comando della missione a Makoto!- si lamentò Asso.
-Volevi forse dirigere tutto tu?- chiese Jay.
-Magari…- rispose il biondo. Eveline non stava ascoltando, era troppo impegnata a pensare a Mike, se tutti quegli incendi fossero a causa sua. Guardò l’orologio: erano le dieci in punto. Qualcosa frusciò vicino a lei. Subito si voltò verso destra. Casa era stato? Guardò i suoi compagni che procedevano spediti davanti a lei. Si assicurò di non essere vista e sgusciò tra le alte felci, abbandonando il sentiero. Avanzò nel bosco senza meta, era sicura di aver visto qualcosa e voleva sapere cosa. Si ritrovò in una radura. Un capriolo brucava felice, non appena la vide, però, scappò.
-Uffa, l’hai fatto scappare!- brontolò qualcuno. Eveline alzò gli occhi e vide un ragazzo con i piedi a penzoloni su un ramo.
-Mike?! Che ci fai qui?- chiese la ragazza.
-Qualcuno mi sta rubando il lavoro.- rispose lui con una scrollata di spalle. Poi scese dall’albero.
-In che senso?- chiese.
-C’è qualcuno che appicca incendi al posto mio.- replicò calmo.
-Quindi non sei tu! Mi hai tolto un peso dal cuore!-
-E tu, invece, che ci fai qui?-
-Dobbiamo trovare il tipo che incendia e fermarlo.-
-Dobbiamo?- chiese Mike.
-Sì, io e…- Eveline si guardò in giro confusa.
-Non è che ti sei persa?- domandò il ragazzo.
-Ecco… io… non saprei.- sorrise. Il moro rimase un po’ perplesso.
-Sarà meglio ritrovare il sentiero prima che gli altri si accorgano che manco.- Eveline fece per girarsi e andare via ma inciampò in un buco. Mike l’afferrò per un polso prima che rovinasse a terra. La portò delicatamente a sé. Per un attimo pensò a come sarebbe stato baciare la ragazza che ora stava tra le sua braccia. Arrossì, poi scosse violentemente la testa. Si limitò ad abbracciarla da dietro. Appoggiò la fronte contro la testa di Eveline e ispirò a fondo il profumo dei suoi capelli. Sapevano di miele e pensò che chiunque l’avesse presa con se come fidanzata o come moglie, sarebbe stato un uomo molto fortunato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Attacco a sorpresa ***


Attacco a sorpresa:

Mike sentì Eveline muoversi delicatamente per sciogliersi dall’abbraccio, così lui la liberò dalle sue braccia. Poi la ragazza si voltò.
-Grazie, se non ci fossi stato tu mi sarei fatta male cadendo per terra… o per lo meno non mi sarei divertita a rialzarmi.- si mise in punta di piedi e, raggiungendo la guancia del ragazzo, gli diede un casto bacio che fece un sonoro schiocco. Il moro diventò paonazzo e per non farsi notare diede le spalle alla cadetta. Alla ragazza scappò un sorriso, poi si voltò e si batté un pugnetto sulla mano.
-Ok, è il momento di capire da che parte sono arrivata e riprendere il sentiero.- disse. Ma non fece a tempo di muovere due passi, che inciampò in una radice e cadde lunga distesa.
-Uff, sempre la solita.- si maledisse mentre si sedeva in ginocchio e si toglieva la terra dalla maglietta della divisa. Mike le si avvicinò.
-T-tutto bene?- chiese dopo essersi seduto accanto a lei.
-Si, si. Sono solo inciampata… la solita imbranata.- sorrise. Si rialzò con un sospiro e tese la mano al ragazzo. Lui la afferrò.
 
-Ragazzi non vi pare che manchi qualcosa?-
-Che intendi dire Taiyoh?- chiese Jay.
-Non so’ c’è troppo silenzio…-
-Un momento ragazzi, dov’è Eveline?! Un momento fa era dietro di me!- esclamò Asso.
-Ecco cosa mancava!- disse il castano. Rin lo fulminò con lo sguardo.
-E’ sparita una cadetta! Per di più una nostra compagna! E tu… non sei preoccupato?!- lo rimproverò poi la mora.
-Certo che sono preoccupato. Cercavo solo di sdrammatizzare un po’ la situazione…-
-Non c’è nulla da sdrammatizzare!- urlò Rin, fuori di sé per la preoccupazione
-Rin calmati!- disse Kai. –Probabilmente sarà rimasta indietro e ora ci starà aspettando o ci starà raggiungendo.- finì.
-Giusto! Se facciamo il percorso al contrario la incroceremo per forza!- Disse Asso.
 
I due ragazzi vagavano nel bosco senza meta. Gli occhi di Eveline cercavano una qualsiasi traccia che riguardasse un sentiero. Mike le stava dietro.
-Mi togli una curiosità?- chiese lei.
-Certo.-
-Perché mi segui?-
-Emm… nel caso cadessi… io sarei qui per prenderti al volo!- azzardò.
-Va bene che sono imbranata, ma non così tanto!- la ragazza gli volse un sorriso.
-Non si sa mai…- Poi entrambi scoppiarono a ridere. Improvvisamente ci fu un fruscio accanto a loro.
-Cosa è stato?- chiese la mora aggrappandosi al braccio del ragazzo.
-Sarà solo un animale.- disse il ragazzo.
-Un animale… che insulto.- Mike si irrigidì all’istante. Un uomo spuntò dalla boscaglia.
-Tu sei… quel tipo strambo… quello che era venuto all’accademia!- disse la ragazza.
-Io sono il colonello Hazard!- urlò l’individuo.
-Si, si. Tutto quello che vuoi.- disse Eveline sventolando su e giù una mano. Il gesto innervosì l’uomo, poi si rivolse al ragazzo.
-E così invece di indagare passeggiavi con una ragazza…- Il ragazzo fece per rispondere ma Eveline si mise davanti al moro.
-Che per di più è dalla parte del nemico!- la cadetta storse il naso. Non le piaceva essere chiamata “nemico”, dato che non era lei dalla parte del torto.
-Non stavamo passeggiando!- disse la mora.
-Ah, no e che cosa?!- chiese Hazard.
-E-ecco…- Eveline si trovò in difficoltà. Ma l’uomo non aveva intenzione di ascoltare ciò che la cadetta cercava di dire, un pensiero gli aveva attraversato la testa. Doveva approfittarne. Avere una ragazza dei Machine Robo Rescue, da sola non era cosa da tutti i giorni. Poteva usarla come esca. Mise una mano nella tasca del suo camice bianco, simile a quello da scienziato e ne tirò fuori una specie di sassolino bianco. Se lo rigirò tra il pollice e l’indice, poi sorrise malignamente. Se Mike avesse visto quello che il tipo teneva in mano avrebbe potuto avvisare la ragazza di mettersi al riparo, ma confuso com’era, in quel momento, vedere cosa Hazard aveva tirato fuori gli sembrava l’ultimo dei suoi problemi. Senza dare alcun preavviso, il colonello, gettò il sassolino per terra. Quello scoppiò facendo divagare le fiamme. L’esplosione fece letteralmente volare indietro i due ragazzi. Mike sbattè la schiena contro un albero e perse i sensi. Eveline, invece, rotolò, coprendosi la testa con le mani, fino a scontrarsi contro un albero… il che fece piuttosto male. Si mise a carponi tenendosi su con i gomiti, invece che con le mani, la testa china. Capito quello che era successo innalzò il capo e con gli occhi cercò Mike. Lo individuò e con una smorfia di dolore si rialzò in piedi, prima di correre verso il suo amico si appoggiò al tronco. Sentiva le gambe cedere, ma non si diede per vinta e con uno sforzo immane raggiunse il corpo privo di sensi del ragazzo.
-Mike!- chiamò scuotendolo piano. La sua voce era poco più di un soffio. Hazard le si avvicinò.
-Sei patetica.- Disse.
-Patetica? Io? Lo sarai ben tu! Attacchi persino i componenti della tua stessa squadra!-
-E te cosa dovrebbe importare?- avvicinò il suo voltò a quello di Eveline. La ragazza fremette. Con la cosa dell’occhio vide il moro muoversi leggermente e aprire gli occhi. Quelle due sfere verdi brillarono in quell’inferno di fuoco. La ragazza sorrise e in quell’attimo di distrazione il colonello decise di agire.
 
-Avete sentito?!- chiese Taiyoh.
-Sembrava un’esplosione!- disse Jay.
-E’ meglio andare a controllare!- ribadì Rin. I ragazzi cominciarono a correre verso il luogo da dove era arrivato il boato.
 
Hazard prese Eveline per un polso, allontanandola dal ragazzo.
-Lasciami!- gridò lei.
-Supplica quanto vuoi.- disse lui ghignando. Si avvicinò ad un suo orecchio:
-Che ne dici di fare un salto al nostro quartier generale?- sussurrò. Eveline non lo ascoltò, diede un strattone più forte degli altri e riuscì a liberarsi. Cercò di dare un pugno all’uomo, per poi andare a soccorrere Mike, ma non andò secondo i suoi piani. Il colonello le prese il braccio e glielo mese dietro la schiena, facendo anche una leggere pressione. La ragazza urlò dal dolore. Il ragazzo intanto si era alzato e anche se ancora un po’ stordito aveva intenzione di intervenire. Hazard lo notò.
-Non ti muovere o la tua amichetta farà una brutta fine!- il moro imprecò fra i denti, poi si sentirono delle voci provenire dal bosco e Jay comparve nel luogo dell’attacco. Non appena vide l’uomo però arretrò di qualche passo finendo con il cadere.
-Jay, da quanto tempo!- sorrise il colonello. resto della squadre dei Red Wings ebbe la stessa reazione, una volta arrivati sul posto. Approfittando di quel momento di distrazione Mike si lanciò contro l’uomo che perdendo l’equilibrio cadde, lasciando il braccio della ragazza. Quella traballò ma rimase in piedi. Senza perdere tempo, il moro, si mise davanti a Eveline. Hazard si rialzò, lo fissò con cattiveria e fece per contrattaccare. Mike non gli diede il tempo di fare nulla. Battè le mani e le allargò creando davanti a loro un muro di fuoco.
-Non la toccare.- disse poi scandendo bene le parole. L’uomo era sbalordito, poi gli rivolse un sorriso strafottente.
-A te ci penserà tua madre.- sussurrò tra i denti. Aprì un portale e ci entrò. Una volta scomparso a anche le fiamme si dileguarono. Il moro richiuse le mani. Da quelle si levò una sottile strisce di fumo. Si guardò i palmi, erano tutti rossi e bruciate, quel tipo di “magia” non gli veniva ancora perfettamente. Si inginocchiò e la ragazza gli fu accanto.
-Grazie.- bisbigliò.
-Di nulla figurati.- disse lui con un leggero rossore in viso e quello non era a causa del calore esterno.
-Cosa voleva dire Hazard con “ci penserà tua madre a te”?- il ragazzo si irrigidì debolmente.
-N-niente. Ora devo andare.- aprì un portale e fece per entrarci.
-Aspetta…-
-Cosa c’è?- chiese il ragazzo.
-Se hai bisogno io ci sono, ricordatelo, sempre.-  Le lacrime salirono agli occhi del moro.
-Grazie…- poi sparì.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** I disasrtri si allargano ***


I disastri si allargano:

Mike si ritrovò nel solito giardino spoglio. Cominciava a detestare quel posto. Si diresse a passo incerto verso la grande villa, aveva paura, una paura tremenda. Che gli avrebbe fatto ora sua madre?
“ Maledetto Hazard… sempre nei miei affari deve mettere il naso?” pensò.
Aprì la porta della casa e stranamente non vide Karl ad attenderlo all’ingresso. Di solito era sempre il primo che gli chiedeva come erano andate le missioni. Continuando a rimuginare si diresse verso lo stanzone dove sua madre lo attendeva. Allungò una mano tremante verso la porta di legno e bussò. Sua madre le diede il permesso di entrare. Varcò l’ingresso della stanza e quello che vide lo lasciò allibito. Accanto al grande trono di sua madre si trovava una ragazza, aveva lunghi capelli rossi, che le arrivavano fino alle caviglie. In fondo erano legati con un bel fiocco blu. I suoi occhi azzurri, ribelli e furbi, risplendevano nella penombra della stanza. Era vestita in modo leggero, una maglietta a maniche corte bianca e una gonna lunga fino al ginocchio celeste. Gli sorrise.
-Spero di ricorderai di Amy.- disse sua madre. Oh, eccome se sene ricordava. Non aveva mai visto una persona tanto invadente e cocciuta come lei. L’ultima volta che l’aveva vista era stato più o meno un anno fa.
-Sì, me ne ricordo.- disse con un filo di voce.
-Bene, perché lei resterà da noi per un bel po’.-
-Come?!- chiese il ragazzo visibilmente confuso.
- Che dici? Non sei felice!?- domandò la ragazza saltandogli addosso . Lui la allontanò da sé piuttosto malamente.
-E… e dove dormirà?- chiese Mike.
-In camera tua.- disse sua madre. –Ci sono due letti, tranquillo, il tuo sarà il solito.- Il ragazzo fece per replicare, sua madre lo fermò con gelido gesto della mano.
-Non voglio sentire discussioni e ora, per favore, portala a fare un giro della villa.- ordinò. Stavano per uscire quando sua madre lo chiamò.
-Mike, Hazard mi ha raccontato l’accaduto… che non succeda più!- ringhiò. Lui deglutì e assentì con la testa.
-Dove mi porti?- chiese la ragazza saltellando da una parte all’altra. Come poteva la figlia di una delle più grandi famiglie fondatrici dei disastri, sembrare tanto innocente.
-In camera mia.- rispose secco lui.
-Nostra.- lo corresse lei.
-Come vuoi.- Mike aprì la porta della camera da letto e la ragazzina ci si fiondò dentro. Avrà avuto pure la sua età ma sembrava una bambina.
-Quello è il mio letto.- disse il ragazzo indicando l’oggetto vicino alla finestra. – Ti è vietato salirci.- Lei fece spallucce e si diresse verso l’altro giaciglio. Ci si sedette sopra e si guardò attorno.
-E’ accogliente.- Sorrise. Mike si sedette sul suo letto e cominciò a leggere il libro che si trovava sul suo comodino.
-Ehi, non dovevi portarmi in giro?- si lamentò Amy.
-Si, dopo.- disse assorto nella lettura.
-Ma io voglio farlo ora!- ribattè.
-E io voglio farlo dopo!- concluse lui, fulminandola con lo sguardo. Per un po’ il silenzio si appropriò della stanza.
-Facciamo un gioco?- chiese Amy ad un certo punto.
-No.- disse Mike.
-Perché?-
-Sto leggendo.- Lei non lo ascolto nemmeno.
-Si chiama “il gioco della domande”.-
-Fammi indovinare… tu mi fai una domanda e io devo rispondere?- chiese scettico il moro.
-Bravo, come facevi a saperlo?- Lui per tutta risposta si battè una mano sulla fronte.
-Bene cominciamo… Qual è il tuo colore preferito?-
-Il blu.-
-Davvero? Anche il mio! Animale preferito?-
- Il gatto.-
-A me piacciono i topi.-
-Bene.-
-Non si molto socievole!- si lamentò Amy.
-Invece sì! Ma lo sono se voglio, perché voglio e, soprattutto, con chi voglio.- Ripose il libro.
-Vuoi continuare il giro?- chiese guardandola negli occhi.
-Oh, sì!- disse poi lo abbracciò. Lui se la levò di dosso. Odiava la persone appiccicose o chiunque lo abbracciava senza il suo permesso. Poi ripensò all’abbraccio di Eveline. Lei era un’eccezione. Poteva abbracciarlo quanto voleva.
 
-Lasciami in pace!- urlò Eveline.
-Secondo te con chi sta discutendo?- chiese Asso a Rin.
-Ha la faccia di una che lo sa?-
-Secondo me non le ha fatto bene camminare per il bosco.- Un secondo urlo.
-Non fare il finto tonto. Aaahh  stammi lontano!- Rin la raggiunse.
-Eveline tutto ok?- Lei per tutta risposta si nascose dietro di lei. La mora guardò Asso, con fare interrogativo. Lui alzò le mani in segno di resa.
-Rin proteggimi.- disse la riccioluta.
-Ma da chi?-
-Da lui- Eveline indicò un punto imprecisato del terreno.
-Devo proteggerti da… un passerotto?!- Lei annuì.  Rin scoppiò a ridere e l’esserino volò via.
-Mou, che c’è da ridere?- chiese allora la mora.
-Una che affronta Hazard e i disastri non può avere paura dei passerotti.- Per tutta risposta l’altra incrociò le braccia al petto.
-E poi perché, scusa?- continuò Rin.
-Quando ero piccola stavo dando da mangiare a uno di loro, poi non so perché, ma di punto in bianco lo stormo intero cominciò a inseguirmi… è stato orribile!- rabbrividì.
-Ok, adesso basta chiacchierare, ricominciamo a cercare il malvivente.- esordì Jay. Tutti annuirono e si rimisero in marcia.
 
-Mike, corri vieni qui a vedere!- gridò Amy.
“Cosa può avere di così eccitante un giardino spoglio?” si chiese scocciato. Almeno dopo il giardino la visita sarebbe finita e lui si sarebbe potuto rilassare con il suo libro. Sospirò. Si avvicinò la ragazza ma non appena vide quello che la ragazza teneva in mano arretrò di un passo.
-Cos’hai, è solo un passerotto.-
-A-Appunto.- disse lui. Lei fece per avvicinarsi.
-No, tienimelo lontano.- disse il moro. La rossa sorrise. Lasciò andare l’uccellino e si avvicinò al ragazzo.
-Non pensavo potessi avere paura dei passerotti. Eppure ti conosco da anni…-
-Non ho paura…-
-Oh, invece si!-
-Va bene, adesso basta. Vado in camera mia.-
-Aspettami vengo con te!-
 
-Ehi, qui ci sono tre deviazioni!- disse Taiyoh osservando il sentiero.
-Vorrà dire che ci divideremo in tre gruppi- disse Asso.
-Allora Rin e Taiyoh voi andrete nella deviazione di destra, Kai e Jay voi in quella al centro mentre io e Eveline andremo in quella di sinistra. Tutto ok?- decise il biondo. Dopo aver annuito ognuno si diresse nella direzione assegnata. Passarono interi minuti in cui Eveline e Asso non si scambiarono una parola. Poi proprio quando la ragazza stava pe rompere il silenzio, una strana voce riscosse entrambi. Quatti quatti si fecero avanti, verso la provenienza della voce. Videro un uomo con un giaccone nero accendere un accendino e chinarsi per dare fuoco a delle felci.
-Ehi, tu!- gridò Eveline. Lui si voltò spaventato.
-Siamo dei Machine Robo Rescue, sei dichiarato in arresto.- disse Arias. Inaspettatamente il tipo tirò fuori una pistola e la punto contro i ragazzi. Quelli alzarono le mani.
-La metta via.- disse il biondo con una insolita calma. Lui per tutta risposta caricò l’oggetto. I due si lanciarono un’occhiata. Poi la ragazza fece per avvicinarsi e Asso cercò di distrarre l’uomo.
-La smetta, siamo disarmati.-
-Non andrò in carcere.- ribattè lui.
-Doveva pensarci prima.- continuò Asso.
“Ok sono abbastanza vicina.” Pensò Eveline. Senza nessun preavviso diede un calcio alla mano del tipo che teneva in mano l’arma. Quella cadde per terra. La ragazza la raccolse.
-Ora ci segua senza fare tante storie.- disse. Quello fece per correre ma si scontrò contro qualcuno.
-Dove pensa di andare?- chiese Alice mentre faceva roteare un anello delle manette con l’indice.
-Come hanno già detto i miei compagni: la dichiaro in arresto.- Makoto prese le manette dalle mani della ragazza e le mise ai polsi del malvivente.
-Ottimo lavoro.- disse poi rivolto agli altri due che si batterono il cinque, felici.
 
Mike si diresse in camera sua. La cena era stata piuttosto veloce e ora voleva solamente dormire. Amy lo seguiva come un cagnolino. Entrò nella stanza e si mise nel proprio giaciglio, augurando buona notte alla sua coinquilina. Si addormentò immediatamente. Erano passate ore da quando lui si era assopito e nonostante fosse stanco si svegliò ugualmente. Nella stanza alleggiavano dei singhiozzi.
-Amy, sei tu?- chiese strofinandosi gli occhi.
-Sì, ma non ti preoccupare, ho fatto solo un brutto sogno.- In quel momento il ragazzo provò pena per lei. Dopotutto si era ritrovata a dormire in una casa diversa dalla sua e lui era stato scortese con lei.
-Che posso fare?- chiese.
-Posso dormire nel tuo letto?-
-Si, certo.- fece per scendere.
-No, con te.- disse.
-O-Ok- rispose il moro arrossendo. Si appiattì contro il muro per fare posto alla ragazza. Poi le augurò buona notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** La tristezza di Alice ***


La tristezza di Alice:

I cadetti erano tornati all’accademia e stanchi morti si erano ritirati nelle proprie camere. Eveline era entrata e aveva richiuso la porta alle sue spalle, poi distrutta si era lasciata cadere sul letto. Oramai gli occhi gli si chiudevano da soli. Si costrinse a cambiarsi prima di infilarsi sotto le coperte. Una volta che si fu rintanata sotta la trapunta si addormentò nell’immediato.
-Ahio, mi hai fatto male- si lamentò Eveline massaggiandosi il braccio.
-Uh, scusami, non volevo!- la canzonò un ragazzino.
-Oh, Mark non trattarla così, non vedi che è già ridotta male di suo. Con quei capelli e quegli orribili puntini sulla faccia!- La ragazza abbassò lo sguardo.
-Giusto, Jennifer, hai ragione.- i due le passarono accanto e il ragazzino le diede una spallata così che tutti i suoi libri cadessero per terra. Lei si chinò e cominciò a raccoglierli mentre le lacrime le rigavano la faccia.
Si svegliò di soprassalto e con sua grande sorpresa si ritrovò gli occhi umidi.
“Ma perché questi assurdi ricordi mi assillano ancora?” si chiese mentre si rigirava nel letto, a caccia di una posizione comoda per riaddormentarsi. Ora aveva dei veri amici e tutti le volevano bene per come era veramente.
 
Alice si svegliò ancora prima che il suo KeiBoy le desse la sveglia. Il sole picchiava proprio sul suo letto e questo le aveva dato fastidio. Si cambiò mettendosi la divisa, poi guardò l’orologio: 6:58. Decise di scendere in mensa e approfittarne per mangiare un boccone. Agguantò il suo cellulare, se lo mi se in tasca e si diresse al refettorio. Non passarono più di cinque minuti che l’ambiente cominciò a riempirsi di cadetti, pronti per una nuova giornata di allenamenti.
-Ehi, Alice!- salutò Rin. Lei ricambiò con lo stesso entusiasmo. Poi le raggiunsero anche Taiyoh, Jay e Asso.
-Taiyoh, hai veramente intenzione di mangiare tutta quella roba?- chiese Jay fissando male tutta la montagna di ciambelle messe alla rinfusa sul suo vassoio.
-Certo.- rispose lui sicuro.
-Cosa?! Come non ci sono più ciambelle!- tutti si voltarono verso Makoto che era appena entrato in mensa.
-E’ così, le ultime le ha prese Taiyoh.- rispose Satoko. Il ragazzo si voltò furioso verso il castano che cominciava ad avere paura.
-Tu… sei sempre il solito pozzo senza fondo!- lo prese per un orecchio.
-Ahio, lasciami.- implorò lui.
-Solo se mi lasci qualche ciambella!-
-Questo mai!!- gridò Taiyoh.
-Ehi, ragazzi basta! Vi pare che Eveline stia facendo una scenata del genere per delle ciambelle!- disse Alice indicando la ragazza che stava ringraziando con un gesto della mano la cuoca. Si avvicinò al tavolo dove si trovavano i suoi compagni.
-Buongiorno ragazzi come va?- chiese.
-Bene grazie.- risposero in coro. Il telefono di Alice cominciò a vibrare. Lei lo prese in mano e lesse il nome sullo schermo. Spalancò gli occhi dalla sorpresa.
-Chi è?- chiese Rin curiosa. La ragazza non la ascoltò e corse in cortile per poter rispondere alla chiamata senza essere assillata da domande.
-Michael sei veramente tu?- chiese incredula la cadetta.
-Ehi, sorellina, come va?- rispose lui.
-Ma dove sei? Pensavo fossi a Hollywood a girare quel nuovo film di cui mi avevi parlato.-
-In effetti ero a Hollywood, ma avevo voglia di rivederti. Perciò sto venendo da te.-
-Davvero?-
-Si. Sono da poco atterrato in Giappone e anche se il fuso orario mi ha un po’ rintronato sto aspettando la linea diretta per arrivare all’accademia.-
-Oh, sì, che bello.-
-Ok, ora chiudo, è arrivato il treno. Ti voglio bene, sorellina.-
-Anche io te ne voglio.- sorrise e chiuse la chiamata. Era fuori di se dalla gioia, saltò e si mise a correre verso la sala dove si trovavano tutti i suoi amici.
-Non vedo l’ora di dar loro la bella notizia!- disse tra dei risolini di felicità.
 
-Bene, siamo sul posto.- disse Amy.
-Mi spieghi ancora una volta perché lo stai facendo- chiese Mike, sbuffando.
-Senti vuoi o non vuoi creare disastri?- chiese lei mettendosi le mani sui fianchi.
-Se ti dicessi che non volessi.-
-Ci rimarrei male ma… lo farei lo stesso. Dopotutto sono nata per far del male.- Sorrise in modo furbo. Della infantile ragazza di ieri non c’era nulla.
-Bene sai che da qui passa il treno, no? La linea diretta che porta all’accademia dei… come si chiamano?- chiese la rossa.
-Machine Robo Rescue.- disse Mike.
-Sì, esatto. Noi lo faremo saltare!-
-Cosa?!- domandò incredulo il ragazzo.
-Ka-bum!- fece Amy e allargò le mani, simulando l’esplosione. Il moro la guardava sbigottito. Dentro quel treno c’erano un sacco di persone, famiglie che tornavano da un viaggio, ragazzi.
-Eddai, non ti fa piacere sentire le grida delle persone, terrorizzate.- chiese Amy, sempre sorridendo.
-Io… veramente…-
-Ho capito, dovrò fare tutto da sola.- Dalla tasca tirò fuori un sassolino simile a quello di Hazard, ma quello che la ragazza era nero.
-Questo oggettino ci darà una mano nel far saltare il treno.- Si sentì un fischio.
-Sta arrivando…-disse Mike.
-Bene.- disse la rossa. Amy lanciò il sassolino sui binari, non appena le ruote del treno schiacciarono l’oggetto quello scoppiò facendo esplodere il treno. Amy esultò vittoriosa, Mike fissò attonito la scena. Sulla sua coscienza ci sarebbero state un sacco di vite che lui stesso aveva distrutto.
 
-Ci è appena arrivata una nuova notizia.- disse la signorina del Tg alla TV. Tutti i cadetti si voltarono verso la televisione.
-Il treno, in linea diretta con l’accademia dei Machine Robo Rescue, è esploso per cause ancora ignote.- Tutti i ragazzi sapevano che sul quel treno c’era il fratello di Alice.
-Non ci sono superstiti.- disse infine. Lo sguardo dei cadetti passò dallo schermo della TV al viso di Alice e da quello alle immagini che erano trasmesse in diretta. La ragazza dai capelli verdi stinse i pugni, Eveline vide i suoi occhi velarsi di lacrime, ma non pianse (per lo meno non subito). Si morse il labbro inferiore e corse fuori. Eveline fece per andarle dietro ma qualcuno l’afferrò per un polso. Si voltò e vide Taiyoh che scuoteva la testa.
-E’ meglio lasciarla sola.- La mora fissò la porta dalla quale la cadetta era uscita.
-Già forse hai ragione.-

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Tra le lacrime e i sorrisi ***


Tra le lacrime e i sorrisi:

-Non ci credo, non ci credo!- continuava a dire Alice. Camminava avanti e indietro per il cortile, digitando in continuazione il numero di suo fratello e ogni volta quello risultava occupato. Sconfitta si lasciò cadere su una panchina, lì, vicino a lei. Poggiò i gomiti sulle cosce e si tenne la testa con le mani, in uno stato di disperazione assoluta. Le lacrime cadevano calde sui suoi pantaloncini mentre una strana rabbia si insinuava in lei. Già, rabbia. Verso i disastri che avevano colpito proprio suo fratello, un affronto davvero personale, non glielo avrebbe mai perdonato. I singhiozzi erano l’unica fonte di rumore che le giungeva alle orecchie nella pace assoluta che regnava nel cortile, ma poco le importava. Voleva solo stare da sola. Il telefono nella sua tasca vibrò insistente. Lo prese in mano: “Mamma” diceva la scritta. Di malavoglia rispose asciugandosi le lacrime.
-Pronto?- disse la ragazza.
-Ciao, tesoro, sono la mamma.- disse la voce dall’altro capo del telefono. Aveva una voce dolce e cercava di non far trasparire la tristezza per infondere un po’ di coraggio alla figlia. Quella sospirò.
-Ciao mamma.- disse poi.
-Come stai?- chiese la donna, pur sapendo la risposta. La giovane scoppiò di nuovo a piangere.
-Mamma, lo voglio ancora qui! Lo voglio vicino a me, a stringermi forte per infondermi coraggio!- urlò disperata.
-Ma lui vive nel tuo cuore.- disse la donna cercando di consolarla anche se un singhiozzo le ruppe la voce.
-Ma io lo voglio vedere, abbracciare e ora non lo posso più fare!- si appoggiò del tutto allo schienale della panchina.
-Bimba mia… lo so che è dura, ma tu sei forte potrai di certo superare questo ostacolo.- disse la madre.
-Ora però devo andare, sai come è tuo padre con queste storie, devo consolarlo…- dichiarò la donna, tirando su con il naso, poi chiuse la chiamata. Alice rimase ancora per un po’ con il telefono attaccato all’orecchio, fissando il vuoto, ascoltando il ritmico suono proveniente dall’apparecchio. Poi lo chiuse lo rimise in tasca. Si sarebbe vendicata, eccome se lo avrebbe fatto. I disastri gliela avrebbero pagata cara.
 
-Dove si è cacciato quel ragazzo?!- chiese Rin a Eveline.
-Cosa vuoi che ne sappia io??- rispose spazientita per il lungo cecare.
-Makoto!- chiamo la riccioluta.
-Andiamo a vedere in palestra- propose Rin, l’amica annuì. Le ragazze corsero per tutta quella miriade di corridoi, fino ad arrivare in palestra. Il ragazzo era lì, seduto sul pavimento e sembrava pensieroso. Le due amiche si lanciarono un’occhiata poi si diressero da lui.
-Makoto.- disse Eveline. Lui si voltò.
-Sì?- La pazienza di Rin superò il limite.
-Come “si?”!? Non ti sei accorto che una tua compagna di squadre sta male?-
-Questo lo so!- rispose in modo rabbioso.
-E allora perché non sei da le a consolarla?- chiese ancora la mora.
-Non sono affari miei, non mi pare che Alice abbia richiesto l’intervento di nessuno. - Sbottò.
-Io penso che la tua compagnia la rallegrerebbe un po’…- disse gentilmente Eveline.
-E perché propio la mia?- Chiese il ragazzo perplesso.
-Bhè, di certo la conosci più di me e… sei il suo caposquadra, dopotutto. Dovresti darle man forte!- gli sorrise. Lo sguardo di Makoto passò dal volto sorridente della riccioluta a quello arrabbiato e alquanto inquietante di Rin. Con un sospiro si alzò.
-E va bene, andrò a parlarci. Ma solo perché voi mi avete scocciato, sia chiaro!- Velocemente uscì dalla palestra. Rin e Eveline si lanciarono un’occhiata e si scambiarono un cinque.
 
Makoto raggiunse velocemente il cortile e individuò Alice. Non molto lontana da lui, era seduta su una panchina e fissava il terreno. Si avvicinò con cautela alla ragazza, quasi di soppiatto. Vide le sue lacrime cadere veloci verso il terreno.
-A-Alice…- sussurrò. Lei alzò gli occhi da terra. Erano gonfi e rossi. Makoto non l’aveva mai vista in questo stato e ne rimase leggermente scioccato.
-Cosa vuoi?- chiese la ragazza cercando di assumere l’espressione più dura che potesse avere.
-Volevo sapere come stavi.- disse il ragazzo. La guardò cercando di decifrare il suo volto.
-Come vedi non bene!- sbottò Alice. Il giovane non si arrese e si sedette accanto a lei.
-Senti, non sono mai stato bravo con le parole, ma… so che perdere un fratello non è una cosa piacevole. Io non posso capirti e di certo non posso provare quello che stai provando tu ora, perciò…-
-E’ come un taglio.- lo interruppe Alice.
-Un enorme taglio che dilania il petto e il cuore, ma il dolore non se va. Rimane lì, a bruciare imperterrito.- Si asciugò una lacrima. Makoto rimase un po’ interdetto. Non si aspettava una descrizione di ciò che la ragazza stava provando.
-A-allora ti lascio, mi dispiace di non poterti essere di aiuto, nn sono bravo in certe situazioni…- disse il ragazzo alzandosi.
-Aspetta!- una voce e una delicata mano lo fermò. Si voltò. Alice lo fissava in modo gentile, anche se l’ombra della tristezza, ancora, copriva il suo volto. La giovane si avvicinò, Makoto la sentì contare fino a tre, la vide prendere un profondo respiro e poggiare le sue piccole mani sulle sue spalle. Alice si mise in punta di piedi e poggiò le sue labbra su quelle di Makoto. Il ragazzo nel frattempo aveva spalancato gli occhi per la sorpresa. Era un semplice bacio, come che quelli che si danno come si è bambini, senza andare troppo in profondità, ma entrambi sapevano che questo avrebbe portato alla nascita di qualcosa di nuovo tra loro due. La giovane si staccò e lo fissò.
-Grazie…- sorrise.
-…e scusa.- aggiunse in un sussurro, abbassando lo sguardo e correndo via.
 

Angolo della autrice:

Carissimi! Sono riuscita a caricare questo capitolo, purtroppo non garantisco per gli altri… penso che questo sia dovuto ad una eccezione, dato che il problema non è del tutto risolto. Spero di poter aggiornare presto… non prometto nulla… mi dispiace. XC
Vostra Shora.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Un piano malefico ***


Un piano malefico:

Il colonello Hazard camminava avanti e indietro per il tetro corridoio. Aveva le mani attorcigliate le une con le altre, dietro la schiena e il cervello lavorava come un matto. Proprio non riusciva a capire. Quel ragazzino stava cambiando troppo, perché? Strinse i pugni e si diresse nella camera dove dormivano i due ragazzi. Aprì piano la porta in modo tale da non svegliare nessuno. Guardò la stanza avvolta nell’oscurità. Scorse Amy che dormiva nel secondo letto che lei aveva addossato contro la libreria. Era assopita in modo scomposto, scoperta e con un braccio cadente. La bocca era semichiusa e da quella uscivano leggeri respiri. I capelli erano tutti sparpagliati sul cuscino. Qualcuno sospirò. Si voltò velocemente e vide Mike rigirarsi nelle coperte. Probabilmente aveva un sonno disturbato. Aveva la fronte corrugata come se non riuscisse a capire quello che stava sognando, nel frattempo di dimenava nel lenzuolo. Hazard fece una piccola smorfia. Quel ragazzo non gli era mai piaciuto e finchè ci fosse stato lui tutti i suoi piani non avrebbero trovato una conclusione. Infatti il giovane doveva avere una propensione nel mettere il naso nei suoi affari e farli andare tutti a monte. In più, come se non bastasse era diventato strano. Più dolce, meno convinto nel fare disastri. Sembrava non provare quel sadismo nel sentire le urla delle persone nelle orecchie. Anche per questo avevano invitato Amy, doveva fargli ritrovare il gusto di creare disastri, ricordargli quanto era bello far tremare le persone davanti al potere dei Disastri. Ma comunque il piano sembrava non funzionare, Mike era sempre più spaventato da sé stesso, dalle vite che aveva spento. Spesso lo si vedeva con la testa fra le nuvole e lo sguardo triste. Ma Hazard aveva capito cosa turbava il giovane e aveva intenzione di eliminare il problema alla radice. Doveva solamente fare fuori quella ragazzina. La seccatrice che si divertiva nel spegnere gli incendi. Quella moccisetta aveva sorpassato il limite. Mike era una promessa, era successore di sua madre, non poteva cambiare a causa di una stupida ragazzetta. Chiuse la porta, piano. Ora il corridoio era illuminato della flebile luce dell’alba e Hazard si diresse verso la sua camera, sorridendo, poiché aveva capito come i disastri avrebbero finalmente potuto trionfare.
 
-No!- gridò Mike mettendosi a sedere e aprendo gli occhi di scatto. Si guardò attorno, era nella sua stanza. Con un sospiro si lasciò cadere all’indietro. Si portò una mano alla tempia e cercò di calmarsi leggermente, con poco successo. Amy aprì leggermente gli occhi.
-Cos’è tutto questo chiasso?- chiese con la voce impastata dal sonno.
-N-nulla… continua pure a dormire- rispose il ragazzo. Si voltò verso la finestra, era l’alba. Dannazione, perché quel sogno lo ossessionava tutte le notti? Cosa voleva significare? Chi era quella bimba che gli sorrideva felice? Tante domande a cui non aveva risposta gli turbinavano nella mente. La testa cominciò a fargli male e così decise che era meglio smettere di pensare al sogno. Con la coda dell’occhio vide la rossa sedersi sul letto.
-Che fai?- gli chiese confuso.
-Per colpa tua non riesco a dormire!- sbottò.
-Scusa…-
-Il tuo “scusa” non mi farà ritornare il sonno.- disse lei con una vocina irritante. Mike fece finta di non sentire. La giovane si alzò e aprì la porta.
-Dove vai?- chiese il moro.
-Tu fai sempre un sacco di domande!- rise Amy. Il giovane rimase serio. La sua curiosità non gli pareva qualcosa su cui scherzare.
-Uh, come sei monotono. Comunque sto andando in cucina a mangiare, vieni?-
-No.-
-Perché no?-
-Non lo sai? Mia madre non vuole che si mangi senza di lei.-
-Oh… va bene. Allora parliamo un po’.- disse la rossa.
“Mi chiedo ancora cosa ho fatto di male nella vita!” pensò stressato il moro.
 
Accademia dei Machine Robo Rescue 13:30
 
-No, ragazzi, vi prego non di nuovo!- disse Rin battendosi una mano sulla fronte. Eveline e Asso non la badarono nemmeno. Si guardarono negli occhi.
-Al mio tre, chi tiene il respiro più a lungo vince.- disse Eveline.
-Ti sei messa contro il ragazzo sbagliato, amica mia!- rise l’altro.
-Uno…- contò la mora.
-Due…- fece il biondo.
-Tre!- gridarono insieme. Entrambi presero un grosso respiro. Arrivarono, su per giù, a 50  secondo che il ragazzo scoppiò a ridere.
-Cosa c’è?- chiese Taiyoh che stava assistendo alla scena.
-L-la faccia di Eveline, hahah, fa morire!- Tutti si voltarono verso la ragazzina. La giovane era seduta in ginocchio, le mani strette in un pugnetto e poggiate sulle cosce, gli occhi chiusi. Il volto era tutto rosso, sembrava uno scoiattolo che aveva due enormi ghiande in bocca da quanto respiro aveva preso. Eveline aprì un occhio, sentendo tutti ridere, poi vedendo Arias sogghignare riprese a respirare.
-Cosa avete tutti da ridere?- chiese confusa.
-Dovevi vedere la tua faccia!- esclamò Alice che, anche lei, rideva insieme agli altri. Oramai la ragazza si era ripresa dalla morte del fratello, avvenuta più o meno tre settimane fa. Ed a Eveline non era certo sfuggito quello che c’era tra lei e Makoto, ma per precauzione non aveva detto nulla. La mora sta per replicare quando suonò l’allarme. Tutti i cadetti si diressero verso la palestra, dove trovarono Marie ad attenderli.
-E’ scoppiato un incendio in un palazzo poco lontano da qui! Presto Red Wings!-Tutti i ragazzi corsero ai loro mezzi di trasporto.
 
Una volta sul posto, videro che la situazione era più pericolosa del previsto.
-Vado dentro a vedere se ci sono delle persone bloccate dalle fiamme. Voi intanto spegnete il fuoco!- gridò Eveline e cominciò a correre verso l’edificio. Subito si ritrovò avvolta da un caldo insopportabile. Si calò la maschera in viso e cominciò a correre per i piani chiamando a gran voce chiunque avesse bisogno di aiuto.
-Certo che sei proprio un ingenua.- disse una voce. La ragazza si voltò, ma prima di capire chi fosse si trovò scaraventata dall’altro capo del corridoio nel quale di trovava. Il suo aggressore le aveva sferrato un potente calcio allo stomaco. Aprì leggermente un occhio. Il colonello Hazard si fece largo tra le fiamme e si chinò verso il suo viso.
-Penso che prima di annientarti mi divertirò nel torturarti un po’, mia cara Eveline.- disse con un sorriso sadico sul volto.
 
Angolo dell’autrice:
Carissimi sono tornata! Vi chiedo umilmente scusa per questa prolungata assenza. Devo dire che ero a corto di ispirazione e questo capitolo non è venuto come mi aspettavo anzi devo dire che mi fa schifo. M ala decisione spetta a voi, cari lettori… fatemi sapere,
Vostra,
Shora.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Salvataggio ***


Salvataggio:

Un gemito di dolore uscì dalle labbra di Eveline quando, con un calcio, Hazard la sbattè contro un muro. Scivolò a terra con il fiato monco.
-Non sei così forte per essere la figlia del comandante Bitoh.- la schernì l’uomo.
-Come fai a sapere chi è mio padre?- chiese lei con enorme fatica.
-Oh, mia cara io so un sacco di cose su di te!- ridacchiò lui. La mora si alzò, con le gambe traballanti. Si appoggiò al muro.
-Sorprendente, stai ancora in  piedi.- la prese in giro il colonello.
-Non mi arrendo facilmente.- sorrise lei, poi si lanciò contro il suo avversario. Tentò di dargli un pugno allo stomaco ma venne bloccata.
-Prevedibile.- si limitò a commentare Hazard. Prese la ragazza per un bracciò e glielo mise dietro la schiena. Eveline si morse un labbro per non urlare, non voleva dare tale soddisfazione al suo nemico.
-Sei patetica…- sibilò il comandante ad un suo orecchio. La mora digrignò i denti. La spinse e lei cadde a terra.
-Non credere, i miei compagni verranno cercarmi.-
-Verrebbero… ma non possono.- sorrise sadicamente l’uomo. Eveline lo fissò in modo interrogativo.
-Le fiamme bloccano tutte le entrante e quelle non si possono spegnere, a meno che io non me ne vada.-
“Maledetto!” pensò la mora. Si rialzò di scatto e con un impeto di rabbia si lanciò contro il suo avversario. Quello si spostò di lato evitando l’attacco e Eveline finì a sbattere nuovamente contro il muro. Un po’ stordita, scrollò la testa. Sentì una fitta al braccio. Lo guardò e vide che il suo arto era percorso, dal polso al gomito, da un taglio irregolare e profondo. Voltò la testa a destra e a sinistra, constatando di trovarsi su un mucchio di schegge di vetro, probabilmente di qualche finestra. Con una smorfia di dolore si rialzò, facendo tintinnare i pezzi di cristallo trasparente. Il sangue usciva copioso dalla ferita, ma poco le importava, voleva solamente uscire di lì, tornare dai suoi compagni. Ma il suo orgoglio era più forte di qualsiasi desiderio, non avrebbe abbandonato quella lotta.
-Sei proprio una stupida.- disse Hazard. Si avvicinò pericolosamente alla mora. La sbattè contro il muro, il dolore le attraversò la spina dorsale e le tolse il respiro facendola cadere dolorosamente sul vetro rotto. Un singhiozzo le si fermò in gola. No, non si sarebbe messa a piangere come una bambina. Hazard tirò fuori un coltello dalla tasca del suo camice e si abbassò.
-Facciamola finita, ora.- la ragazza sentì la lama fredda e tagliente del coltello poggiarsi sul suo collo. Deglutì.
-Di le tue preghiere.-
-Eveline!- chiamò una voce. Sia Hazard che la mora si voltarono.
-Tu… come hai fatto ad arrivare qui!- gridò l’uomo.
-Ho i miei trucchi.- esordì Mike e così dicendo schiccò le dita. Il colonello con un urlo mollò il coltello, diventato incandescente. Il ragazzo si avvicinò alla giovane.
-Tutto bene?- chiese poi.
-Sì, grazie.- sorrise lei, nascondendo il braccio ferito dietro la schiena. Mike i voltò verso il nemico. Entrambi si fissarono.
-Sei un vigliacco! Te la prendi con un ragazza! Le donne non si toccano nemmeno con un fiore!- esclamò poi il moro alzandosi e mettendosi davanti a Eveline.
-Piccolo incosciente, hai appena firmato la tua condanna a morte.-
-Ma sono sicuro che tua madre avrà la punizione adatta.- Ghignò ma visto che il ragazzo non si scompose fece una leggera smorfia. Scomparve.
La ragazza si alzò e abbracciò il giovane da dietro.
-Grazie, sei stato molto coraggioso.- Mike avvampò.
-M-ma… ma f-figurati. Per te questo ed altro.- balbettò imbarazzato. La mora gli sorrise ed al ragazzo parve di sognare.
-Eveline!- un gridò salì lungo la tromba delle scale. I suoi compagni stavano arrivando.
-Bhè… ci si vede…- disse il moro con un piccolo sorriso ed entrò nel portale. Eveline rimase a fissare il punto in cui il giovane era sparito. Quel ragazzo era davvero strano, ma sapeva che, se fosse rimasto, i suoi amici lo avrebbero incolpato delle ferite che lei riportava.
 
-Mike, tua madre ti vuole vedere!-disse Amy, correndogli incontro non appena lo vide entrare nella villa.
-Sembrava piuttosto infuriata, che gli hai fatto?- chiese la rossa.
-Nulla.- disse lui.
-A lei nulla…- si diresse verso la sala di sua madre e bussò.
-Avanti.- la solita fredda voce si fece sentire da dietro la porta. Mike varcò la soglia e, tramante, si avvicinò alla donna.
-Oh, sei tu Mike.- disse lei. Lui si inchinò, cercando di non pensare a quello che di lì a poco gli sarebbe successo.
-Hazard mi ha raccontato l’accaduto. Ti ricordi che ti avevo detto l’ultima volta?-
-Che… che non doveva succedere più.-
-Ma è accaduto nuovamente… perché?- chiese sua madre mentre si alzava.
-Madre… io…- cercò di dire lui, ma una fitta al braccio sinistro per la frustata ricevuta gli fece morire la voce in gola. Si portò la mano sulla ferita. La frusta si alzò di nuovo e si abbatté sul corpo del ragazzo. Ma oramai lui non si scomponeva più. Era un gesto abituale. Doveva solo lasciar sfogare sua madre. Già, doveva solo aspettare la fine del supplizio
.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Segreti e preoccupazioni ***


Segreti e preoccupazioni:

-Non puoi dirmi di restare calma! Io vado a parlarle!-
-Amy, per favore!- le gridò Mike dietro. Ma lei parve non ascoltarlo, così il ragazzo l’afferrò per un polso. La ragazza si girò, con un leggero rossore in viso.
-M-Mike, ti ha praticamente ucciso…- sussurrò lei flebilmente.
-Ci sono abituato.- disse lui con distacco. Tornò a medicarsi le ferite in camera sua, Amy lo seguì leggera come un fantasma.
-Dimmi perché.- asserì poi lei.
-Cosa?-
-Perché hai salvato quella ragazza?- Mike la fissò incredulo. Come faceva a sapere che si era messa in mezzo hai piani di Hazard.
-Tu come fai a…- il moro venne bruscamente interrotto dalla rossa.
-Dimmelo e basta.- disse lei con durezza.
-Sono stanco degli spargimenti di sangue.- rispose lui, con un sospiro.
-Menti.- il ragazzo si voltò verso la giovane, incredulo. La frangia rossa le copriva il volto. Mike fece per parlare ma Amy lo precedette.
-Mi stai mentendo spudoratamente. Non è vero che sei stanco delle stragi. Semplicemente non volevi che il suo sangue venisse sparso, tu non volevi la sua morte, non è così?!- il ragazzo era senza parole come faceva lei a sapere queste cose.
-Mike lei fa parte del nemico! Per quanto tu possa sforzarti lei morirà per mano di Hazard, di tua madre o, se si renderà necessario, mia.- lo fissò con cattiveria.
-Rappresenta un potenziale pericolo per te. Ti sta facendo cambiare, devi tornare quello che eri una volta!- urlò rabbiosa.
-Ma io non voglio tornare come prima!- gridò lui con talmente tanta violenza che fece sussultare la rossa. Poi corse via.
 
Hazard stava uscendo dalla sua stanza quando qualcuno si scontrò contro di lui cadendo a terra. Si voltò per capire chi fosse.
-Tu, piccolo mostriciattolo, non sei stanco di gironzolare.- Mike si rialzò e si spolverò i pantaloni. Il colonello notò le bende che il ragazzo si era applicato per evitare la fuoriuscita di troppo sangue, a causa delle ferite di sua madre. Sorrise vittorioso.
-Vedo che tua madre ti ha punito a dovere.-
-Non sono affari tuoi.- disse seccamente il ragazzo superandolo ma venne prontamente afferrato per il colletto della maglia e tirato indietro.
-Che vuoi ancora?!- chiese acido.
-Che non ti salti più in mente di mandare all’aria un mio piano. Perché altrimenti sarò io a punirti e di certo non sarò così generoso come tua madre.- sibilò.
 
-Eveline, palla!- gridò Rin.
-Cosa?- chiese lei tornando con i piedi per terra dopo un lunga riflessione. Si voltò appena in tempo per vedere la palla colpirla in piena faccia.
-Eveline, tutto bene?- chiese Asso avvicinandosi. La ragazza si massaggiò la nuca mentre si metteva a sedere.
-Sì, sto bene!- sorrise. Fece per alzarsi ma una fitta al braccio sinistro le strappò un leggero gemito. La ferita bruciava ogni volta che faceva pressione sull’arto.
-Per me non è una mossa geniale giocare a pallavolo nella tue condizioni.- disse Taiyoh.
-Scherzi?! È solo un graffio.- si sforzò di sorridere lei.
-Non è un graffio ma un bel taglio, quindi ora vai a riposarti.- le disse Makoto.
-Ma…ma…-
-Niente “ma”, se continui a sforzarlo avrà difficolta a cicatrizzarsi!- esordì Rin. Eveline mise il broncio. Poi, arrabbiata si alzò e si diresse in cortile.
-Non è giusto, non sono più una bambina!- si disse ad alta voce.
-Maledetto Hazard, gliela farò pagare.- ringhiò poi rivolta verso il cielo.
 
Quartier Generale dei Disastri  23:55
Mike si rigirò nelle coperte ancora un volta. Non riusciva a prendere sonno. Temeva per l’incolumità di Eveline. Chissà come stava ora. Ma perché nessuno lo capiva? Perché nessuno si metteva nei suoi panni? Costretto a combattere contro la persona della quale, oramai, si era innamorato. Ma quel segreto era troppo pericoloso, persino a pensarlo Mike si sentiva inquieto, come se qualcuno potesse udire la sua mente lavorare su quel concetto. Se fosse stato scoperto non poteva nemmeno immaginare l’orrore che lo aspettava, ma lui lo sapeva bene e per questo era sempre più agitato e viveva nella paura di essere scoperto. Si  mise a sedere e fissò Amy nel suo letto che dormiva serena. Sospirò. Perché lui non era come lei? Perché lui era diverso? Perché aveva paura di creare disastri ora? Si buttò all’indietro e si lasciò affondare ne l cuscino e chiuse gli occhi. Che cosa gli stava accadendo?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** La viglilia di Natale ***


La vigilia di Natale:

Erano passati i mesi, il caldo se ne era andato e aveva lasciato posto all'inverno che aveva portato con sè il freddo e, sì, anche il Natale. Era una festa meravigliosa, quella che tiene svegli i bambini di tutto il mondo in attesa che babbo Natale porti loro dei bellissimi doni ma era anche una festa particolarmente stressante per una cadetta in particolare... Eveline.
 
-Uff, io odio l'inverno!- sbuffò Tayioh.
-Scherzi?!- lo riprese Rin. -E' in assoluto la stagione più bella di tutte!- esclamò con un sorriso mentre osservava la neve scendere lentamente.
-Forse per te... l'estate è molto meglio!- ribbattè il castano.
-E' meglio l'inverno.- rimbeccò la mora.
-Estate!-
-Inverno!-
-Estate!-
-In..- la ragazza non riuscì a finire la frese che qualcuno la interruppe.
-Ok... ora basta.- disse Makoto con il solito tono neutro.
-Guarda che ha cominciato lei!- disse il ragazzo dai capelli castani.
-Ma non è vero!- esclamò la ragazza-
-Non mi interessa chi ha iniziato! Ora vedete di stare zitti e muti!- esordì l'altro ragazzo in preda al nervosismo. Quella mattina, nonché la vigilia di Natale, erano tutti un po' tesi. Nessuno ne sapeva esattamente il motivo. Alcuni erano nervosi per il troppo lavoro. Infatti quell'anno gli incendi o altre calamità sembravano aver la propensione a scoppiare in quel periodo. Altri erano nervosi per aver dormito poco ed eccetera, eccetera... Eveline scese le scale di tutta fretta con una focaccina presa dalla mensa in bocca. Afferrò il cappotto di volata e cominciò a infilarselo. 
-Dove vai?- chiese Asso che era intento a leggere un libro mentre i tre litigavano.
-Non ho tempo per spiegare.- disse quella in preda all'agitazione.
-Ci vediamo dopo!- salutò poi tirandosi dietro la porta e uscendo dall'accademia. I quattro si guardarono incuriositi.
-Ehi, Arias!- Chiamò Rin. Lui alzò gli occhi dal libro.
-La tua bella è uscita perchè non vai con lei a farle compagnia?!-
-M-ma che dici! Se è uscita da sola un motivo ci sarà, no?- disse. Poi tirò su il libro per coprire il volto paonazzo.
 
Mike fissò la carta da regalo sulla sua scrivania e il piccolo scrigno con dentro una  collana, lì accanto. Spostava lo sguardo nervoso da un oggetto all'altro.  Era la settima volta che cercava di fare quel dannato pacchetto ma non era mai stato bravo a fare gli incarti dei regali. Sospirò. Prese nuovamente le misure e riprovò a incartare l'oggettino se non che, in quel preciso istante Amy entrò come un tornado nella sa stanza facendolo trasalire. Velocemente nascose lo scrigno vellutato nella sua tasca.
-Ehi Mike!- urlò la ragazza mettendo le braccia attorno al collo del ragazzo seduto sulla sedia. 
-Che c'è?- chiese quello che con un gesto infastidito si liberava della sua "amica".
-Fuori nevica, vieni?-
-A fare cosa?-
-A giocare, a cosa se no?-
-Amy, non sei un po' grande per giocare a palle di neve?-
-Che cosa hai di così importante da fare per non venire fuori con me?!- gnolò lei senza ascoltare la provocazione. Poi scorse la carta da regalo.
-Per chi è il regalo?- chiese poi con un sorriso furbetto sul volto. Il ragazzo arrossì leggermente.
-No-non sono affari tuoi...- disse poi lui.
-Cosa sono tutti questi segreti?-
-Q-quali segreti? Io... io non ho segreti!- disse forse con un po' troppo di veemenza e con un sorriso tirato. Amy lo fissò con sospetto. Mike afferrò la carta.
-Devo andare!-
-Dove?!- chiese la rossa prendendolo per un polso.
-Non ti interessa!-
-Mike, guarda che ho capito tutto e ti assicuro che non me ne starò con le mani in mano!- Il ragazzo si irrigidì, che avesse scoperto il segreto che aveva cercato di nascondere con tutte le se forze?
-C-cosa hai capito?- balbettò il moro preoccupato.
-Ho capito che non sei in grado di fare i regali... non sono stupida sai?- Mike trasse un sospiro di sollievo e si voltò.
-Beccato!- disse.
-Allora dov'è il regalo?- Mike tirò fuori la scatoletta di velluto nero.
-Eccolo.- la ragazza la afferrò senza indagare troppo (strano per una come lei).
-Carta, grazie!- disse poi tendendo la mano. Mike gliela passò. In pochi minuti la ragazza finì il pacchetto.

 
-Cosa gli compro? Cosa gli compro?- Eveline era in preda al panico. Aveva fatto i regali a tutti fuorché ad Asso. Lui era l'unico a cui Eveline non sapeva che regalare.
-Qualche problema?- Lei si voltò spaventata. Arias era proprio davanti a lei.
-Tu che ci fai qui?!- disse sorpresa.
-Vediamo... sei uscita di fretta, non mi hai detto dove andavi e sta nevicando molto forte...- disse il biondo contando quello che diceva sollevando un dito ogni volta -... mi sembravano tutte buone ragioni per venirti a cercare. E poi non sei difficile da trovare mi è bastato vedere un ragazza dai capelli ricci che parla e si lamenta da sola.- cominciò a ridere.
-Mou, non sei simpatico, sai?- disse lei mise le braccia incrociate al petto. Gesto piuttosto infantile.
-Allora qual'è il problema?- ripetè il biondo.
-Non posso dirtelo...- disse lei abbassando lo sguardo.
-E perchè?- chiese lui.
-Ecco... non posso e basta!- sorrise lei.
-Posso almeno aiutarti?-
-Sì. Cosa vorresti per Natale?- Asso scoppiò a ridere, nuovamente.
-Quindi era questo il problema?- Eveline annuì rossa in viso.
-Vuoi la verità?-
-Mi pare ovvio.- rispose la mora.
-Nulla.- rispose semplicemente lui.
-Nulla?- ripetè la giovane.
-Esatto, niente. Mi basta sapere che i miei amici sono con me andrà tutto bene.-
-Dici sul serio?!-
-Sì, tranquilla.- le sorrise.
-Ora torniamo all'accademia.- continuò e le prese la mano. La ragazza arrossì. E mentre tornavano indietro le venne l'illuminazione, sapeva cosa avrebbe regalato ad Asso.
 
Mike cominciò a girare per le strade oramai deserte. Erano più o meno le nove e ventitré di sera. Il pacchetto era in tasca. Doveva trovare l'accademia dei Machine Robo Rescue per dare il suo regalo ad Eveline. Dopo per un altro quarto d'ora di camminata la trovò. Era un posto enorme come avrebbe fatto a trovare la ragazza che cercava senza essere scoperto. Poi la fortuna fu dalla sua parte. La cadetta che voleva uscì dal portone seguita da un sacco di altri ragazzi che dovevano essere i suoi compagni. L'unico problema, ora, era riuscire a catturare la sua attenzione. Ma anche questa volta la dea bendata gli diede man forte e la ragazza si girò, per puro caso, nella sua direzione. Si allontanò un momento con una scusa.
-Mike che ci fai qui?- sussurrò in tono di rimprovero.
-Ah, io... dovevo darti questo!- disse e arrossendo le diede il pacchetto. la ragazza lo guardò.
Mike non dovevi disturbarti! E poi io... non ne ho uno per te...- disse arrossendo per la vergogna.
-Non importa.- disse l'altro sorridendo.
-Il più bel regalo è che tu accetti il mio.- Lei sorrise teneramente, prese il pacchetto poi si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte. Mike avvampò. 
-Scusa ma ora devo andare!- salutò allontanandosi e il moro la osservò scomparire dietro il muro dell'edificio. Ora era meglio tornare a casa.
 
-Siete tutti pronti!- gridò Eveline. I cadetti si erano riuniti, senza Arias, nell'hangar.
-Sì! Gridarono tutti in coro.
-Perfetto.- fece partire l'autoscatto e corse a mettersi in posa con gli altri. La macchina fece due o tre scatti e poi stampò le foto. Eveline scelse la più bella e dietro con un pennarello indelebile ci scrisse, in caratteri cubitali: Ti vogliamo bene, Asso!
-Ecco fatto!- disse poi vittoriosa. 
-Domani mattina gliela diamo tutti insieme. Questo è il nostro regalo per lui.- Tutti annuirono e poi andarono a letto.
 
Angolo dell'autrice:
Eccomi qui! Computer nuovo vita nuova... forse. Comunque il mio vecchio aggeggio si è rotto e per Natale me ne hanno regalato un nuovo. Che bel regalo! Vi chiedo perdono per averci messo tanto ad aggiornare ma il vecchio computer è... esploso... letteralmente!
Okay, ora la pianto con le solite scuse,
Alla prossima,
Shora.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Solo per un malinteso ***


 Solo per un malinteso:

Eveline si svegliò a causa di un forte rumore proveniente dal piano di sotto. Il sole entrava prepotente nella sua stanza attraverso la finestra, nemmeno le tende avevano potuto fermare la luce. Lentamente si tirò su a sedere, fece mente locale e si catapultò letteralmente giù dal letto fiondandosi contro il calendario. Il 25 Dicembre era cerchiato in rosso. Esultò felice. Si vestì in fretta e furia, inciampando, quasi, mentre si infilava i pantaloni, rifece il letto e aprì la porta. Scese le scale il più in fretta possibile e si ritrovò nella sala comune di tutti i cadetti. L'albero di Natale che avevano montato cinque giorni prima si stagliava bello luminoso a causa di quelle luci che Alice aveva insistito tanto a mettere e Makoto aveva detto che, conciato così, più che un'abete, la pianta, sembrava un lampione. Tutti avevano riso constando che, dopotutto, era vero. Il filo dei ricordi di Eveline fu rotto dallo stesso rumore che l'aveva svegliata.
-Un altro? Tayioh sei proprio una frana!- questa era la voce di Rin. La mora si diresse verso la cucina e vide il castano che stava raccogliendo i cocci di una piatto, probabilmente. Rin lo guardava severa.
-E' il secondo che rompi in una mattina! Mi vuoi spiegare come farai a farti dei pasti se non riesci nemmeno a tenere in mano un piatto?!- lo rimproverò.
-Ehi, ti ho chiesto scusa!- si lamentò il ragazzo. Eveline scoppiò a ridere. Adorava scene del genere, la facevano sempre sbellicare. 
-Eveline da quanto tempo sei sveglia?- chiese Taiyoh vedendola sulla soglia della cucina.
-Circa da quando si è rotto il primo piatto.- sorrise lei.
-Scusa non volevo svegliarti...- disse lui, mortificato.
-Tranquillo non è successo nulla e poi mi sarei svegliata comunque. Il sole aveva inondato la mia stanza.- Si misero a ridere.
-A proposito, che stavate facendo qui in cucina?-
-Volevamo preparare la colazione per tutti. Così dopo averemmo scartato i regali insieme.- disse Rin.
-Posso aiutarvi?-
-Certo!- sorrise il ragazzo. Cominciarono ad armeggiare con i fornelli e pentolini. Prepararono dei croissant e del caffè latte. Poi, orgogliosi, osservarono la loro opera si complimentarono l'un l'altro. Si sentirono delle voci provenire dalla sala comune, tante voci. Poi il resto dei loro amici fece irruzione in cucina e vedendo che i propri amici avevano fatto la colazione per loro per poco non si commossero. A rompere quella meravigliosa atmosfera fu Taiyoh con la fatidica domanda:
-Quando si mangia?- tutti scoppiarono a ridere e prendendo una brioche ciascuno consumarono una gustosa colazione. In seguito, felici e saziati, si diressero nella sala di ritrovo. Si sedettero su poltrone e divanetti, occupandone anche i braccioli.
-Bene, ci serve che qualcuno distribuisca i regali.- disse Alice che indicò i pacchetti sotto l'albero.
-Oh faccio io, io, io!!- esclamò Shoh.
-Prego.- fece Daichi. Il ragazzo si inginocchiò e cominciò a leggere i nomi dei regali e a distribuirli. Quando furono finiti Ken diede il via e lo "spacchettamento" ebbe iniziò. 
-Rin! E' magnifica!- esclamò Tayioh rigirandosi una ciotola per il riso, striata azzurra e bianca che aveva trovato nel primo pacchetto.
-Sapevo che ti sarebbe piaciuta!- sorrise. Poi scartò il regalo da parte  del castano e rimase senza parole. In mano aveva un piccolo anello argentato.
-Ti piace?- chiese il ragazzo. Lei annuì piano. Poi saltò addosso a Tayioh ringraziandolo infinitamente. Eveliene sorrise a quella scena poi scartò i suoi regali. Ricevette due libri che posizionò vicino a sè, poi il suo occhio cadde sul regalo di Mike. Lo prese e con estrema cautela lo aprì. Una scatoletta di velluto gli rimase tra le mani. Ripensò al volto paonazzo del ragazzo che gli porgeva il regalo e sorrise. Aprì lo scrigno e tirò su la graziosa collanina che vi stava dentro. La catenella era d'argento e il ciondolo era un'ala d'angelo verde chiaro, il suo colore preferito. Sorrise. Quel ragazzo era d'oro, se la mise al collo. Poi prese la foto e si avvicinò ad Asso mentre gli altri ragazzi la seguivano.
-Emm... Asso... questa è per te.- disse Eveline arrossendo un po'. Il ragazzo prese l'istantanea e la osservò. Rimase zitto e Eveline temette che il regalo non avesse avuto l'effetto sperato. Il ragazzo girò la foto e lesse la scritta dietro, poi alzò lo sguardo verso i suoi compagni.
-Io... davvero... grazie!- sussurrò con le lacrime agli occhi.
-Uuhh il nostro eroe si è commosso!- lo schernì Eveline. Lui le diede una leggera spintarella, per gioco, sorridendo. Poi notò la catenina che portava al collo. La fissò con lo sguardo leggermente cupo.
-Eveline chi te l'ha regalata?- chiese con un piccolo tremito nella voce.
-Cosa?- chiese lei.
-La... la collana.-
-Oh... non te lo dico!- disse ridendo e facendogli una linguaccia. Ma il biondo non rise, la ragazza smise e lo fissò.
-Asso, tutto bene?- domandò poi.
-Sì... scusate ma non mi sento molto bene. Vado in camera mia.- Si alzò e salì le scale, in direzione dei dormitori. La mora lo seguì con lo sguardo finchè non scomparve.
"Cosa gli sarà successo?" Si chiese. Si voltò e vide che la foto che avevano fatto era rimasta sul divanetto dove Arias era seduto prima.
"Forse non gli è piaciuto il regalo..." Pensò dispiaciuta.
 
Asso si sedette sul letto e sospirò. 
"mi sono comportato da vero idiota..." pensò. 
"Magari era il regalo di una delle ragazze. Poteva benissimo averlo fatto Rin." Ma qualcosa dentro di lui qualcosa diceva che non era così. Si strinse la testa rabbioso.
-Ma che mi succede, non è da me reagire così per una cosa del genere!- si disse.
"Sei semplicemente geloso." disse una vocina nella sua mente.
-Ma che scemenza sono queste!- ribadì ad alta voce.
 
Eveline camminava a testa bassa per il marciapiede, senza sapere dove stava andando.
"Sono stata una stupida a pensare che un regalo del genere potesse piacere. Una foto era una cosa troppo banale." sentì le lacrime pizzicargli gli occhi. Si costrinse ad non piangere. Il buio calava piano piano, in Inverno era normale che le tenebre scendessero presto. Era fuori da quella mattina. Non aveva voglia di stare in luogo chiuso. Quando era triste camminare era la scelta migliore. Guardò l'orologio: 17:07. Forse era meglio tornare indietro, in strada non c'era più nessuno. Non che lei avesse paura, se qualcuno l'avesse assalita lei avrebbe saputo come difendersi, ma sentirsi l'unica fuori, al freddo non le giovava. Fece dietro-front, in direzione dell'accademia. Camminava mentre la neve scricchiolava sotto i suoi piedi quando una voce la fermò. 
-Come mai siamo tutta sola oggi, piccola Bitoh?- Si voltò allarmata, ma si ritrovò immediatamente bloccata. Un braccio premuto contro la schiena e l'altro schiacciato contro la vita.
-Finalmente ti riesco a trovare senza rinforzi. Bene, me ne approfitterò sicuramente.- disse Hazard mentre metteva una mano davanti alla bocca di Eveline in modo che non chiamasse aiuto e la trascinò dentro un portale.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Il quartier generale dei Disastri ***


Il quartier generale dei Disastri:

“Fa freddo…” pensò Eveline. “…e ho la nausea…” Sopirò. Un campanello d’allarme risuonò nella sua mente.
“U-Un momento… dove mi trovo?!” Aprì gli occhi di scatto. Si trovava in una stanzetta piccola, tutta bianca senza nemmeno un elemento, era vuota. Le braccia le dolevano. Forse perché era appesa al muro attraverso delle catene? Sì, era senz’altro per quello. Con le mani afferrò le catene che terminavano con una manetta, chiusa attorno ai suoi polsi. Fece forza e si sollevò un po’, gli arti superiori ne trassero un piccolo giovamento, ma durò poco. La porta si spalancò. Per la sorpresa la ragazza mollò le catane e, attirata dalla forza di gravità, si ritrovò a penzolare con prima, con le braccia che le dolevano ancora di più per lo strappo ricevuto. La figura che fece la comparsa nella stanza diede inizio al peggior incubo di Eveline. Hazard avanzò verso di lei, per risposta la giovane lo fissò con durezza. L’uomo sogghignò.
-Vedo che ci siamo svegliate piccola Bitoh.-
-Che occhio!- ribatté lei sarcastica.
-Noto una nota di sarcasmo nella tua voce.- disse Hazard sempre con un sorrisetto ebete sul volto.
-Lasciami andare!- rimandò Eveline cambiando argomento.
-Mi spiace ma questo non è possibile.-
-Perché? Cosa vuoi da me?- domandò lei.
-Voglio vederti soffrire le peggiori pene dell’inferno.-
-C-Come?!-
-Hai capito bene cara. Farò in modo di fari desiderare di non essere mai nata.- sogghignò sadicamente Hazard.
-E come pensi di fare? Io non ho paura di te!-
-Ne avrai.- commentò l’uomo. Fece qualche passo verso la porta.
-Vado a prendere un oggettino.- disse poi. 
-Aspettami qui.- rise.
-Dove vuoi che vada!- gridò arrabbiata Eveline di rimando.

-Mike, tutto bene?- chiese Amy.
-Io… penso di sì.- disse solo. Era strano, aveva notato Amy, dalla vigilia di Natale. C’era qualcosa che lo turbava molto. Dormiva poco e mangiava ancora meno. Cosa poteva avere? Sopirò sconfitta. Quel ragazzo era un enigma troppo difficile per lei. 
-Scusa, ma vado a fare un giro…- disse Mike e a testa bassa si allontanò. La rossa lo osservò mentre se ne andava con una miriade di punti interrogativi che le si affollavano nella mente. Mike camminava per il corridoio. Era il primo giorno dopo Natele ma, la festa, quell’anno, non si era svolta come aveva sperato. Anzi era tutto degenerato di male in peggio. Aveva sentito sua madre pronunciare le parole più brutte che gli fossero mai giunte alle orecchie, se aveva pensato di avere il cuore in pezzi, per via di sua madre, non aveva mai sentito davvero il dolore di sentirselo lacerare dalla persona per cui era costretto a lottare, persino contro la persona che amava.
“Quel ragazzo non è mio figlio, una nullità del genere non può portare il buon nome dei disastri. Ha fallito quasi tutte le missioni, come posso vederlo come mio degno erede, è tutto suo padre e si è visto che fine ha fatto.” Ancora gli rimbombavano in testa, quelle dannate parole, che sua madre aveva pronunciato in una chiacchierata con Hazard, che lui aveva “accidentalmente” ascoltatato. Una lacrima corse lungo la sua guancia. Si sentiva vuoto, se Eveline e lui non si fossero mai incontrati, ora non avrebbe mai trovato un motivo per rimanere in vita. Già, era solo il pensiero della ragazza a temerlo ancorato alla sua vita che stava piano piano degenerando.

Hazard rientrò nella sua stanza vuota. Eveline alzò lo sguardo, oramai aveva perso il suo spirito combattivo, il dolore alle braccia le annebbiava alla mente, ma, a dire il vero, attaccar briga con colonello non era il suo primo pensiero, era più che altro concentrata ad esaminare l’oggetto che l’uomo teneva in mano.
-Ti piace?- chiese Hazard orgoglioso di aver attirato l’attenzione della ragazza. La giovane fece per dire qualcosa ma richiuse subito la bocca. Aveva capito benissimo che “giocattolo” il colonello teneva in mano.
-Sai, la madre di Mike, colleziona oggettini del genere, ma con suo figlio ci va leggera. Purtroppo, vedi, io non sono come lei.- sorrise. Eveline spalancò gli occhi mentre, la frusta romana che Hazard teneva in mano, si abbatteva su di lei.

-Alice, hai visto Eveline? È da stamattina che non la vedo.- disse Rin, correndo incontro all’amica, che se ne stava comodamente sdraiata sula neve durante la pausa pranzo, pensando agli affari suoi. 
-Effettivamente, questa mattina non è scesa a fare colazione.-
-Già e ieri mi pare di non averla vista rientrare.-
-Magari sta male ed è rimasta in camera.- propose Alice.
-Andiamo a controllare.- asserì Rin. Le due ragazze cominciarono a correre lungo i corridoi e salire le scale di tutta fretta per arrivare alla stanza della loro amica. Bussarono e la porta si aprì da sola, mostrando un letto rifatto nel modo più impeccabile che avessero mai visto.
-Qui non c’è.- disse Alice.
-Questo lo vedo anche io.- rispose malamente Rin.
-Che fate ragazze?- chiese una voce alle loro spalle. Le due si girarono spaventate, Asso e Makoto le guardavano disorientate.
-Ditemi che sapete dove si trova Eveline.- urlò la mora, che aveva afferrato Arias per le spalle e aveva cominciato a scuoterlo come una forsennata.
-N-non lo sappiamo… ma ora smetti di scotermi così!- gridò il biondo.
-Scusa…- sussurrò Rin.
-Raccontateci quel che è successo.- disse pacatamente Makoto.
-Eveline è… è scomparsa.- disse piano Alice.
-Che… che vuol dire scomparsa?- balbettò Asso in confusione.
-Quante definizioni di “scomparsa” conosci?- chiese la mora arrabbiata.
-Da quanto non la vedete più?- chiese il ragazzo dai capelli blu.
-Da ieri mattina, più o meno da quando Arias è andato in camera sua… per motivi ancora sconosciti.- Alice lo fulminò con lo sguardo.
-Ah, voi vedere che ora è colpa mia?!- sbottò il biondo.
-Nessuno ha detto questo!- rimandò Rin.
-Certo, lo stavate insinuando però!- 
-Tu sei completamente pazzo!- commentò la mora.
-Basta! Ragazzi piantatela, una cadetta è scomparsa, non è il momento di litigare.- disse Makoto.
-Chi è che è scomparso?- I ragazzi si voltarono e videro il comandante Bitoh dietro di loro.

Un altro urlo di Eveline si scatenò a causa di un’ennesima frustata. Il corpo era corso da violenti fremiti per il dolore e le lacrime le rigavano il viso, sporco di sangue. Il suo sangue.
-Mia cara, urla quanto vuoi. È musica per le mie orecchie e di certo qui nei sotterranei non ti sentirà nessuno. Sfogati pure.- La frusta tagliò nuovamente la sua pelle, provocandole un’altra scarica di dolore. Gli abiti si erano lacerati in più punti e la ragazza vide sotto di sé una gran pozza di sangue. Continuò a piangere anche se il suo orgoglio ne risentiva, non si era mai piegata a tanto. Un’altra frustata al fianco sinistro le fece mancare il respiro per qualche secondo, gli occhi erano colmi di lacrime e di preghiera nel far finire quella tortura che andava aventi da diverse ore.
-Come sei deboluccia.- disse l’uomo abbassando la frusta.
-Persino Mike fa meno scena di te!- riprese sprezzante.
-Che… che intendi dire?- quelle parole richiesero a Eveline una gran spesa di energia.
-Te l’ho detto no? Anche quell’impiastro viene frustato, soprattutto quando non porta a termine le missioni.- la ragazza venne avvolta dai sensi di colpa. Quante ferite doveva aver collezionato per causa sua? Un turbine di ricordi le invase la mente: Mike steso sul letto con le fasce, pieno di ferite che diceva di non saper come se le fosse procurato o la vista di Mike piegato su se stesso, mentre il tessuto dei suoi jeans veniva sporcato del suo sangue, probabilmente per una ferita riaperta. La vista le si offuscò nuovamente e le lacrime ricominciarono la loro discesa lungo le guance della ragazza.
-E’ colpa mia…- sussurrò, con la voce strozzata. Hazard sorrise capendo quello ragazza intendeva dire.
-Sì, è colpa tua. Mike ha collezionato frustate su frustate per colpa tua.- Per E
veline fu come ricevere uno schiaffo, forse più doloroso di tutta la tortura subita finora. Aveva garantito un pazzesco dolore ad un ragazzo, ad un suo grande amico.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Uno spiraglio del passato ***


Un spiraglio del passato:

 “Che posto strano.” pensò Eveline. Si trovava in quello che doveva essere uno splendido giardino, sembrava un’oasi.
“Wow, è proprio un bel posto!” rifletté poi, entusiasta.
-Ehi, molla, quello è mio!- disse una vocina. La ragazza si guardò intorno confusa. Mosse qualche piccolo e titubante passo verso la provenienza delle voci e vide dei bambini. C’era una piccolina dai capelli rossi, uno dai capelli castani, uno castano scuro uno moro e… una lei piccolina!
“Cosa?!” pensò la giovane esterrefatta. Quella mini-lei avrà avuto sì e no quattro anni, sorrideva felice e spensierata. Ma chi erano gli altri bimbi?
-Venite!- disse ad un certo punto Mini-Eveline. E, con la combriccola alle calcagna, e con la vera Eveline dietro, condusse tutti vicino ad un bellissimo fiore. Era molto simile ad un girasole, ma non era alto come gli altri anzi, era piuttosto piccolo. Anche la ragazza si chinò, come i piccolini, ad osservare la piantina. Il bambino moro fece per coglierla.
-Fermo, Mike! Che fai!?- disse mini-Eveline.
“M-Mike?! Quel bambino è Mike?!”
“Come faccio a conoscerlo da così piccola?!”
-Voglio portarlo alla mamma!- disse quello tutto conciato.
-Non puoi farlo, porteremo la mamma qui, così potrà vederlo lei.- Lo scenario cambiò. Era sempre nello stesso luogo, sempre vicino al fiore di prima, ma non c’erano più tutti quei pargoli.
-Vieni mamma, dai!- da un piccolo sentiero comparvero mini-Eveline e mini-Mike. Eveline lo osservò meglio. Stessi occhi, stessi capelli… sì, era lui non c’erano dubbi. Solo una cosa era diversa. Il suo viso. Era rilassato, sorridente. Non come quello che aveva visto lei… sembrava avere solo paura e tristezza negli occhi e forse ora ne sapeva il motivo. Dietro di loro comparve una donna, molto bella. I capelli neri corvino, lunghi fino alle caviglie, gli occhi verdi brillante e un sorriso radioso che scopriva i suoi bianchi denti.
-Cosa dovete farmi vedere?- chiese la signora.
-Guarda.- dissero mini-Mike e mini-Eveline in coro e mostrarono tutti fieri il fiore.
-Oh, ma è bellissimo!- disse la donna. Si chinò e abbracciò i due bimbi.
-E’ stupendo tesori miei!- Eveline osservò la scena esterrefatta. Chi era quella donna? Perché la stava abbracciando?
-Figli miei, non so cosa farei senza di voi, penso impazzirei.- sorrise e stampò un baciò sulla guancia dei due bimbi che sorrisero radiosi. L’immagine cominciò a dissolversi, Eveline si gardava confusa attorno, non voleva andare via di lì, fi avvolta dal bianco più completo e poi…
Eveline aprì gli occhi di scatto. Si trovava rannicchiata in un angolo della stanza vuota dei sotterranei. Hazard l’aveva sciolta dalle catene “gentilmente” facendola cadere a peso morto per terra, semi svenuta e poi se ne era andato come se nulla fosse promettendo di tornare con una “sorpresina”. A dirla tutta, Eveline, non moriva dalla voglia di vedere che cosa avrebbe preparato quel pazzo. La serratura schiccò. La ragazza si irrigidì, mentre sentiva una scarica di dolore propagarsi per il corpo a causa di quel gesto.
“Forse era meglio stare a dormire…” pensò. Il colonello fece la sua comparsa. Aveva con sé un pezzo di pane e un bicchiere d’acqua. Lanciò il pezzo di cibo accanto a lei, come fosse un animale e poggiò il bicchiere d’acqua dall’altra parte della stanza, che aveva intenzione di fare?
-Avanti, mangia e bevi, devi rimetterti in forze… non vorrai svenire subito appena la tua nuova tortura comincerà.- lo disse con naturalezza, come se fosse la cosa più normale al mondo. La giovane fissò il tozzo di pane e poi puntò lo sguardo su Hazard.
-No.- disse solamente.
-Fai tu. Fossi in te mangerei… non vedo l’ora di vederti soffrire di nuovo.- sfoderò di nuovo un ambiguo e sadicissimo sorriso. Poi uscì lasciandola avvolta dal più completo silenzio. Eveline fissò di nuovamente l’alimento a suoi piedi, allungò una mano, mentre il dolere le percorreva l’arto, e afferrò il cibo. Lo portò alla bocca e ne morse un bel pezzo. Lo finì in fretta, aveva fame. Si avvicinò, quasi strisciando, al bicchiere d’acqua e lo bevve tutto con avidità. Poi si portò le ginocchia al petto, circondandosi le gambe con le braccia e poggiò la fronte sugli arti inferiori, restò in quella posizione in attesa dell’inizio della nuova tortura.
 
-Non posso credere che qualcuno sia riuscita a rapirla!- disse Asso.
-Avete un’idea di possa essere stato?- chiese il comandante Bitoh.
-Potrebbero essere stati i Disastri.- congetturò Makoto.
-Se così fosse sarebbe un bel guaio.-
-Non si preoccupi, comandante, andremo a recuperarla.- disse Rin, sicura.
-Non è per quello. Il fatto è che Eveline rischierebbe di conoscere cose di cui dovrebbe essere all’oscuro, se ci tiene alla propria incolumità.- disse Bitoh.
-Che… che cosa vuol dire?- chiese Alice leggermente in confusione.
-Mi spiace, ma non posso dirvelo.-
-E perché no?- chiese Taiyoh.
-Sono informazioni riservate…- disse solo. Cadde un silenzio di tomba.
-Forza, cominciate a investigare. Il vostro compito: capire chi ha rapito la vostra compagna e recuperarla. Chiamate tutti i componenti di tutte le squadre!- Tutti i presenti fecero il saluto militare e se ne andarono.
“Spero solo non sia troppo tardi…” disse il padre della ragazza rapita, fissando un punto vuoto fuori dalla finestra.
 
Hazard entrò nella stanzetta. Eveline vide subito la nuova frusta che il tipo teneva in mano. Era lunga, in cima si divideva in due e in cima a ciascuna estremità erano posti due uncini. La ragazza deglutì forzatamente.
“Questa volta non mi piegherò e non piangerò.” Si disse. Ma il suo sguardo la tradì. Si capiva che aveva paura, le pupille erano dilatate e tremavano. Sogghignano il colonello si avvicinò, la giovane fece per raccogliersi ancora di più in posizione fetale con poco successo. L’arma si abbatté sulla schiena strappandole un gemito. Si morse il labbro, non avrebbe urlato. Un altro colpo, un altro e ancora, ancora e ancora. Eveline sentiva il sapore ferroso del sangue in bocca. I denti avevano spaccato il labbro a causa della forza che aveva impiegato nel morderlo.
-Su, dai, non ti trattenere!- la incitò a gridare Hazard.
“ Non ti darò tale soddisfazione anche oggi.” Pensò invece lei. I colpi si fecero sempre più potenti e presto la ragazza non era più rannicchiate su sé stessa, ma per terra, distesa, mentre gli uncini ghermivano senza sosta la sua pelle aprendo nuove e vecchie ferite.
 
-Mike pensi di alzarti oggi, da quel letto?- chiese Amy, che stava giocando a memory da sola. Il ragazzo era steso sul letto sul fianco sinistro, verso la finestra.
-No.- disse solo.
-Dai facciamo qualcosa insieme, sei diventato apatico…- si lamentò la rossa.
-Se trovi qualcosa di divertente da fare, poteri anche alzarmi.- disse il giovane con ancora le parole della madre che gli rimbombavano nella mente, senza tregua. Ogni volta che il discorso finiva, ricomincia, a mo’ di disco rotto.
-Facciamo una sfida di coraggio!- esultò Amy. Mike sospirò.
-Farò cominciare proprio te, mio adorato depresso.- Il ragazzo sbuffò.
-Che devo fare?- si mise a sedere, fissando la rossa davanti a sé.
-Devi andare nei sotterranei al buio, farti un bel giro e poi tornare indietro.-
-Al buio per forza?-
-Se accendessi le luci che prova sarebbe, scusa?- disse Amy. Lui si alzò dal letto e cominciò a dirigersi verso le cantine.
-Io ti aspetto davanti alle scale, poi quando torni me lo dici tu che fare!- gli urlò dietro la ragazza. Lui sventolò una mano, i segno di aver capito.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Come il sole e la luna ***


Come il sole e la luna:

Hazard sbattè la porta dietro di sé, soddisfatto del suo lavoro. Torturare quella ragazza lo rendeva estremamente felice. Si stava divertendo un po’, tra un poco, tanto, l’avrebbe fatta fuori. Voleva che sentisse ogni singola sfumatura di dolore prima del colpo di grazia. Cominciò ad appropinquarsi alle scale e, una volta arrivato, di sorprese di trovare la porta aperta. Era certo di averla chiusa quella mattina, chi poteva essere sceso?
 
Mike camminava con le mani in tasca e lo sguardo basso.
“Sto facendo una cosa ridicola!” pensò stressato. Le cantine erano enormi e poi cosa intendeva Amy con: “un bel giro.”? Che ne sapeva lei se stava camminando o stava fermo? E poi a lui le cantine non gli piacevano, Karl gli aveva sempre raccontato storie di fantasmi che riguardavano la cantina… e lui odiava le storie sui fantasmi. Sentì dei leggeri singhiozzi, si bloccò immediatamente. Si guardò intorno mentre il pianto continuava… che fosse un fantasma? No, impossibile, gli spettri non esistevano, giusto?
“Mike, piantala, non sei più un bambino e non puoi credere alle storielle che ti raccontava un tuo amico!” si rimproverò.
-C’è qualcuno?- gridò. Nessuna risposta.
-Se c’è  qualcuno lo dica!- urlò nuovamente.
 
Eveline smise di piangere e restò in orecchiò. Qualcuno stava urlando qualcosa!
-Allora? C’è qualcuno?- disse ancora la voce. Quel suono… lei l’aveva già sentito!
“Mike!” pensò improvvisamente. Aprì la bocca per urlare ma non riuscì ad emettere un fiato. Venne presa dal panico. Aveva un’occasione per uscire di là… ma non riusciva a parlare. Provò di nuovo, ne uscì un sussurro.
“Ti prego Mike, non te ne andare. ” pregò. Si schiarì la gola e riprovò. Stavolta uscì qualche suono. Prese un gran respiro e ci provò nuovamente.
-Mike!- era un urlo rauco e un po’ grottesco ma almeno si era fatta sentire.
-Mike!- gridò ancora. Sentì dei passi avvicinarsi alla sua stanza. Chiamò ancora, stavolta più piano, sperando che quel qualcuno, fuori dalla porta, fosse il ragazzo che l’aveva salvata prima che precipitasse nel vuoto e non quel pazzo scatenato di Hazard. Sentì battere contro la porta.
-E-Eveline?!  Sei tu?!-
“Sia ringraziato il Cielo!” esordì mentalmente la ragazza.
-Mike!- chiamò solo quella, oramai quel nome sembrava l’unica parola presente nel suo dizionario. La porta si aprì di scatto e il giovane dai capelli neri comparve nella stanza. La ragazza ricominciò a piangere, stavolta per la felicità. Il moro gli si fece accanto e lei gli buttò le braccia al collo, incurante del dolore che le attraversò il corpo.
-Eveline chi ti ha fatto questo?- disse lui allontanando la giovane da sé con delicatezza, per farle provare il minimo dolore, sapeva quanto faceva male muoversi quando si ricevevano frustate. Non gli ci era volto molto per capire la provenienza delle ferite. Lei non rispose, era impegnata a piangere.
-Ma tu guarda, la coppia di nuovo riunita.- Hazard era appoggiato allo stipite della porta.
-Dovevo immaginarlo.- disse Mike a denti stretti.
-Cosa? Che torturavo la tua bella sorellina?-
-S-Sorellina?!- chiesero in coro i due ragazzi.
-Cosa sono quelle facce sorprese? Non ditemi che non l’avevate capito!- il colonello li guardò scettico. Mike strinse leggermente la presa attorno ai polsi di Eveline, che aveva afferrato all’entrata di Hazard, pronto a lanciarsi in una corsa forsennata per scappare, dimenticandosi, però, le condizioni della ragazza accanto a lui.
-La qui presente Eveline Bitoh, anche se questo non è mai stato il suo vero cognome, è stata separata da te all’età di quattro anni e mezzo, più o meno, da… me!- sorrise orgoglioso.
-Ma… che stai dicendo?- chiese Eveline.
-Eravate insopportabili, insieme.- continuò l’uomo ignorando la giovane.
-Appena uno crollava l’altro era pronto a sostenere il caduto.- i due ragazzi si fissarono.
-Eravate una mente in due corpi, vi capivate anche con uno sguardo. Ma eravate troppo diversi. Due gemelli completamente differenti. Una allegra, spensierata sempre ottimista e con il sorriso sulle labbra che rivolgeva a tutti… da far venire il diabete…- rifletté, poi continuò.
-… L’altro cupo, triste, negativo ma soprattutto con lo spirito della distruzione. Una vera promessa per i Disastri. Eravate l’opposto, due facce della stessa medaglia. Eravate come il sole e luna, diversi ma l’uno non poteva esistere senza l’altro, vi bilanciavate. Una il giorno, l’altro la notte. La cosa non avrebbe nemmeno creato tanti problemi, se non che, crescendo Mike diventava troppo simile alla sorella, preferiva creare anziché distruggere, curare invece che fare male e la cosa non andava bene, per nulla.- fece una pausa.
-Ma vostra madre non voleva separarvi, eravate tutto per lei. La bambina poi, era tutta uguale al padre, che tra parentesi, feci fuori io…- Eveline sentì Mike fremere scorse una lacrima correre per la sua guancia.
-Così ci pensai io. Una notte entrai piano in camera vostra. Dormivate tenendovi per mano, nello stesso letto… disgustosi. Vi separai e presi in braccio Eveline, che al contrario tuo, aveva n sonno molto pesante. Mi tele trasportai in un parco e la lasciai lì. Che fine avrebbe fatto non importava ma era necessario che non vi rivedeste mai più. Il caso volle che fu il comandante Bitoh e la sua famiglia a prendersi cura di te… Eveline… In quando a vostra madre beh, lei perse totalmente il senno. Cancellò ogni traccia di sua figlia, non voleva sentire nominare il suo nome da alcuno, strappò tutte le foto che la ritraevano, fece appassire il giardino dove giocava da piccola con suo fratello e gettò via qualsiasi suo oggetto personale. Non volle mai sapere quello che le successe, una volta appreso che era scomparsa e che non sarebbe più tornata, divento malvagia, crudele e fredda soprattutto con Mike, l’unica cosa che non aveva potuto gettare via e che gli ricordava te.- lanciò uno sguardò alla mora.  
-Da principio tuo fratello restava ad aspettarti tutto il giorno, guardando fuori dalla finestra, in attesa di poter giocare con te e quando osò chiedere alla madre dove eri finita lei fece finta di non ricorda e convinse il figlio di non aver mai avuto una sorella e fece in modo che nessuno glielo ricordasse.- i due giovani ascoltarono tutto fino alla fine, poi si fissarono esterrefatti. Erano fratello e sorella. Questo spiegava molte cose: la loro capacità di parare i colpi l’uno dell’altra con estrema precisione, la loro straordinaria somiglianza e il legame che si era stretto tra di loro quasi subito. Eveline si alzò piano da terra, con le gambe traballanti.
-Sei… sei stato un mostro!- gli disse.
-Se lo dici tu…-  Hazard fece spallucce. Mike si alzò a sostenere la sorella.
-Ora non penserete che vi lasci ancora insieme, vero?-
-E’ finita Hazard, che pensi di fare?!- disse il moro.
-Uccidervi, così la finiremo con questa storia una volta per tutte.- constatò, sfoderando un coltellino, che aveva tirato fuori dalla tasca del suo camice. I due ragazzi si fissarono un secondo. Bastò.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Non ti lascio! ***


Non ti lascio!:

Il colonello si lanciò verso di loro. Mike tirò a sé Eveline per evitare che l’arma le si conficcasse nel petto, ma, instabile com’era, gli cadde addosso e i due finirono in terra. Che momento imbarazzante e inopportuno per Mike. Con la coda dell’occhio, il giovane, scorse Hazard avvicinarsi. Prese Eveline per la vita e rotolò verso sinistra, in direzione della porta in modo da schivare l'ennesimo colpo diretto a loro. Si mise in ginocchio velocemente e costrinse sua sorella ad alzarsi, la prese per mano e corse fuori dalla stanza con la presa attorno al polso di sua sorella sempre più stretta. Sentiva che traballava per velocità presa, ovviamente le frustate l’avevano indebolita molto, non c’era da rifletterci sopra, ma non era questo il momento di lasciarsi andare. Il colonello era dietro di loro, Mike sentiva i suoi passi. Era stranamente calmo come se sapesse per certo che non gli sarebbero scappati. Il ragazzo invece sentiva la tempia pulsare e il cuore battere sempre più forte nel petto, minacciando di rompere la cassa toracica. Si infilarono in un corridoio di destra. Mike non sapeva nemmeno dove fossero o dove fosse l’uscita, ma per adesso era meglio staccarsi Hazard di torno e poi ragionare per uscire. All’improvviso Eveline cadde. Il moro si voltò allarmato.
-Eveline, tutto ok?- chiese. Lei annuì.
-Avanti alzati, Hazard si avvicina.- la incitò. Lei scosse il capo.
-Che ti è preso?!- chiese prendendola per un polso e cercando di farla alzare, lei non si mosse.
-Sono stanca…- disse piano.
-Che vuoi dire?- chiese Mike agitato sentendo il colonello che si avvicinava.
-Tu vai Mike. Lasciami qui.-
-Cosa?!- chiese lui.
-Sono un peso… ti rallento e prenderà tutti e due, se invece avrà solo me il suo piano non sarà compiuto e anche se io morirò tu rimarrai in vita, perciò…- il rumore di uno schiaffo risuonò nell’aria. Eveline rimase spiazzata mentre si portava una mano alla guancia arrossata.
-Sei impazzita per caso?- chiese il ragazzo. Eveline si morse il labbro inferiore mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Mike le si inginocchiò davanti, la mora notò una lacrima correre lungo la sua guancia.
-Che fine ha fatto la Eveline di sempre?! Quella che non si arrende mai?!- non ebbe risposta.
-Come potrei abbandonarti? Lo sai cosa verrebbe dire per me?- chiese ancora.
-Come potrei lasciare la ragazza che mi sta più a cuore di chiunque altro? Quella che mi ha fatto provare un sentimento che si avvicinava all’amore? Come potrei lasciare mia sorella?- A quelle affermazioni Eveline spalancò gli occhi, non pensava che potesse significare tanto per Mike. Non pensava di averlo addirittura fatto innamorare di lei. Si sentì sollevare da terra e senza rendersene conto si ritrovò sulla schiena di suo fratello.
-E’ meglio uscire di qui, ora.- disse il ragazzo.
-Mike… ti voglio bene.- singhiozzò fuori la mora.
-Anche io, molto.- mormorò lui.


-Se fossero stati i Disastri come faremmo a capire dove cercare?- disse Taiyoh, quando tutti si furono riuniti.
-In effetti l’ultima volta il loro quartier generale lo abbiamo trovato per puro caso…- rifletté Jay.
-Potrebbe essere ovunque!- sospirò rassegnata Alice.
-Sarà come cercare un ago in pagliaio…- sussurrò Makoto riflettendo con le braccia incrociate al petto.
-L’unica differenza è che quell’ago noi dobbiamo trovarlo!- esclamò Asso alzandosi.
-Non possiamo fallire, dobbiamo trovare Eveline!-
“Se hanno solo provato torcerle un capello gliela farò vedere io!” pensò poi. Improvvisamente il suo sguardo si rabbuiò.
“Se veramente questo fatto è capitato per causa mia non potrei mai perdonarmelo…” rifletté.
 
Mike camminava ancora per i corridoi oscuri senza, però, sentire il colonello dietro di loro. Questo era un buon segnale. Il ragazzo sentiva la maglietta sulla schiena fradicia, ma non era sudore, bensì il sangue di sua sorella per le ferite riaperte.
-Eveline, tutto ok?- chiese. La ragazza non rispose.
-Eveline?- chiamò ancora. Ottenne lo stesso risultato. Si voltò vero destra e vide il capo della ragazza adagiato sulla sua spalla, gli occhi serrati e la bocca semi-chiusa. Dormiva. Mike sorrise teneramente a quella scena. Decise di fermarsi un attimo, avevano seminato Hazard e lui aveva un po’ di mal di schiena. Mise per terra sua sorella appoggiandola ad il muro umido del corridoio. Lui si stirò, tese tutti i muscoli e ascoltò i sonori scricchiolii delle sue ossa poi si sedette vicino alla giovane. Si guardò intorno. Dove si trovava? Non riconosceva il posto. Erano molto lontani dall’uscita o l’avrebbero trovata una volta svoltato l’angolo? Sperava proprio nella seconda ipotesi, Eveline aveva bisogno di medicazioni, perdeva abbastanza sangue. Si rialzò e la riprese sulla schiena mentre sentiva la sua colonna vertebrale protestare. Un smorfia di dolore si dipinse sul suo volto mentre ricominciava la marcia per evitare di essere ucciso, insieme a sua sorella, in quella che sembrava essere diventata una caccia all’uomo.  


Hazard camminava furioso per la cantine. Li aveva persi, maledizione! Era stato così stupidamente sicuro di sé che non si era messo a correre dietro di loro, semplicemente camminava velocemente. Ora con il coltello stretto nella mano sudata cercava anche un solo respiro che segnalasse la presenza dei ragazzi. Ma non trovava la sola traccia del loro passaggio. Avevano preso un vicolo di sicuro, una stradina secondaria per confonderlo, seminarlo. E ci erano riuscito in modo eccellente, non c’era che dire. Ma il colonello era altrettanto sicuro che i due si fossero persi e sicuramente cercando l’uscita si sarebbero imbattuti in lui e egli non avrebbe mai commesso lo stesso errore. Questa volta li avrebbe separati una volta per tutte. Non c’era scusa che tenesse, li avrebbe cancellati da questo mondo.
 
Eveline si riscosse piano. Non appena provò a muovere la testa un dolore lancinante le percorse il corpo. Emise un piccolo gemito di dolore e fu per quello che Mike capì che si era svegliata.
-Eveline… come va?-
-Un po’ dolorante ma a posto.- mentì.
-Lo sai che non puoi mentirmi, vero?- le disse il ragazzo con un piccolo sorriso. Lei rispose nello stesso modo.
-Fammi scendere.- disse ad un certo punto la ragazza.
-Non se ne parla.- disse il moro scuotendo la testa.
-Posso camminare e poi tu sei stanco!- asserì Eveline.
-Io non sono stanco.- dichiarò lui.
-Lo sai che non puoi mentirmi, vero?- chiese lei nello stesso tono del ragazzo. Quando se ne accorse le scappò un risolino che venne frenato da una scarica di dolore. Anche il ragazzo rise.
-Allora è proprio vero che siamo gemelli!- disse il moro.
-Già, è un peccato però averlo scoperto in questo modo…- ribadì piano la giovane.

Ciao carissimi,
Mi spiace di aver caricato così in riardo ma una punizione mi impediva di avvicinarmi al computer... davvero alcuni di voi sono riuscita ad avvisarli altri no e... mi spiace moltissimo. Spero che il capitolo sia valso la pena della vostra attesa!
Vostra,
Shora ^-^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** La pazzia di Hazard ***


La pazzia di Hazard:

I due ragazzi camminavano per il tetro corridoio senza dirsi un parola. Eveline aveva insistito molto per scendere dalla schiena di Mike e anche se lui aveva opposto resistenza ora, la giovane, gli camminava accanto. Cercava di mostrarsi forte, non dolorante, ma solo prendere una boccata d’aria le faceva male. Il moro la sbirciò mentre contorceva le labbra per non far uscire un gemito di dolore. Sorrise. Quella ragazza era sorprendente, pur di non pesare a qualcuno si faceva male da sola.
-Eveline, sei sicura di farcela?- chiese poi.
-Ti ho già detto che sono a posto.- sbottò quella poggiandosi, però, una mano sulla pancia per una probabile fitta.
-Va bena, ma stai calma.- rise Mike. Sua sorella sorrise. Aveva ragione, non c’era morivo di agitarsi. Angosciarsi non gli avrebbe fatto ritrovare la via d’uscita. Un brontolio di stomaco si fece vivo nel silenzio delle cantine. Eveline arrossì.
-Da quanto tempo non mangi?- chiese preoccupato il ragazzo.
-Stamattina Hazard mi ha dato un pezzo di pane. Sto bene, riesco a stare a digiuno per un po’…- Suo fratello sospirò. Si mise le mani in tasca e alzò lo sguardo. I suoi occhi iniziarono a brillare. Poco davanti a loro c’era la porta.
-Eveline abbiamo trovato l’uscita!- disse felice.
-E tutto senza farsi ammazzare da Hazard!- esultò la mora. Cominciarono a velocizzare il passo, con i sorrisi stampati sul volto. All’improvviso la ragazza urlò. Il giovane si voltò allarmato. Hazard la teneva bloccata a sé e le puntava un coltello alla gola. Mike fece per soccorrerla.
-Non ti avvicinare più di così o la uccido!- esordì il colonello, felice di avere una delle sue prede in pugno. La ragazza cercò di liberarsi, dimenandosi. L’uomo strinse di più la presa. Eveline sentì il dolore propagarsi per tutto il suo corpo e non poté evitare un lamento di dolore. Hazard sogghignò. Mike fremette. Poi il suo sguardo incrociò quello di sua sorella. Lei fece scattare gli occhi dalla sua persona alla porta più volte per fargli capire che doveva scappare. Il ragazzo recepì il messaggio e scosse la testa.
-Io non ti lascio!- disse con le lacrime agli occhi.
-Te l’ho già detto mi pare… non potrei mai fare una cosa del genere…- l’ultima parte della frase fu un sussurro. Il colonello capì che stavano comunicando nel modo più comune dei gemelli: senza farsi notare. Una rabbia cieca si impossessò di lui. Se proprio dovevano comunicare che lo facessero ad alta voce.
-Ricominciate con i vostri messaggi muti?!- L’uomo aveva un tono feroce e il ragazzo cominciò a temere per l’incolumità di sua sorella. Vide il coltello fare una certa pressione sul collo di Eveline e lei chiudere gli occhi, pronta ad abbracciare la morte. Mike venne preso dal panico. Poi una voce risuonò nella sua mente.
Io ti aspetto davanti alle scale, poi quando torni me lo dici tu che fare!”. Ma certo, Amy! Il ragazzo prese un gran respiro e chiamò quel nome.
-Amy!-
“Renditi utile. Ti prego!” nulla.
-Ammyyy!- provò ancora.
-Mike mi hai chiamato?- chiese la rossa affacciandosi. Appena vide la scena rimase attonita. Anche Hazard era piuttosto sorpreso e allentò di poco la presa. La mora ne approfittò e diede un calcio alla gamba dell’uomo che, preso alla sprovvista, lasciò la ragazza. Il giovane non aspettava altro. Prese la sorella per il polso e si lanciò in una corsa forsennata su per le scale. Arrivarono in cima, Amy si spostò e i due ragazzi chiusero la porta alle loro spalle e vi si appoggiarono contro.
-Amy, bloccala con qualcosa!- disse Mike mentre sentiva la pressione della porta farsi sempre più prepotente a causa della forza impiegata dall’uomo. La rossa si guardò attorno ma, spaesata com’era, non le venne in mente nulla.
-La… la sedia!- biascicò la mora. Indicò con un cenno del capo l’oggetto appoggiato al muro. Il ragazzo si lanciò verso la seggiola mentre Amy aiutava Eveline a tenere chiusa la porta, anche se non ne capiva a pieno il motivo. Ma dopo aver visto Hazard puntare un coltello contro una ragazza si sentiva più che motivata a farlo. Il giovane mise la sedia sotto la maniglia della porta, in modo tale che non si abbassasse. Tutti fecero un sospiro di sollievo, poi la rossa, come c’era da immaginare, scattò.
-Qualcuno mi spiega che sta succedendo? E chi è questa ragazza?!- sclerò. Le due si fissarono un attimo.
Eveline, quella è mia ridammela!” una voce si vece viva nella mente della mora.
“Si chiama Amy… che sia…”
-E’ mia sorella.- disse Mike. La rossa fisso la giovane. Indietreggiò di qualche passo.
-Non può essere tua sorella. Lei è morta 11 anni fa.-
-Come facevi a…- il moro non finì la frase.
-Tua madre stessa me lo ha detto!-
-Quindi tu lo sapevi.- asserì il moro ferito dalla mancanza di sincerità dell’amica.
-Non potevo dirti nulla!- disse quella ad occhi bassi.
-E… perché mai?- chiese il giovane. Non ottenne risposta. Eveline si alzò un po’ traballante e si avvicinò al fratello. Amy provò a sovrapporli, effettivamente erano identici.
-Come hai fatto a sopravvivere? Mi dissero che eri precipitata in un burrone mentre rincorrevi una palla.- la mora scosse la testa.
-Era un bugia. Hazard mi aveva abbandonato in un parco. La famiglia a capo dei Machine Robo Rescue mi ha trovato e accudito.- l’altra giovane aprì la bocca per dire qualcosa ma fu preceduta.
-Aprite questa porta, luridi mostriciattoli- gridò Hazard.
-Neanche per sogno, prima che tenti di uccidere anche me!- urlò la rossa. Hazard capì che in qualche modo poteva ribaltare la situazione se Amy era dall’altra parte della porta. Non le piaceva essere stuzzicata, avrebbe sicuramente fatto una mossa azzardata.
-Sei solo una codarda.- le disse l’uomo. La giovane in questione strinse i pugni.
-Ma… ma come ti permetti?!- rimandò quella.
-Una delle figlie di una delle più potenti famiglie dei disastri ha paura di mettersi in gioco, mi fai pena, sai?-
-Adesso ti faccio vedere io!- Amy si avvicinò alla porta e fece per togliere la sedia mentre il colonnello fremeva dall’impazienza di uscire di lì e fare una strage.
-Ferma!- disse Mike prendendole il polso. La ragazza arrossì.
-Non ti rendi conto che Hazard si sta solo usando per aprire la porta?- la rossa tornò improvvisamente alla realtà e allontanò la sua mano dall’oggetto che stava per togliere come se bruciasse.  
-Io… scusa.- l’uomo, dall’altra parte della porta, fece una faccia contrariata. Quel ragazzino era sempre in mezzo, anche quando stava per farcela.
-Non volevo arrivare a tanto ma…- cominciò il colonello mentre tirava fuori un oggetto dalla sua tasca.
-Tempo fa, temendo che i Machine Robo Rescue scoprissero questo posto avevo piazzato ordigni esplosovi sotto tutto l’edificio.-
-Intendi dire che i sotterrerai sono piene di bombe?- chiese Amy spaventata.
-Esattamente.- disse Hazard con un’insolita calma nella voce.
-È un bluff!- gridò Mike, credendo ad un nuovo modo di indurre i tre ad aprire la porta.
-Allora perché ho qui con me il detonatore?- chiese l’uomo.
-Non ti uccideresti mai da solo…- disse Amy.
-Ne siete così certi?- i tre si guardarono. Poi,  la rossa, presa dalla tensione tolse la sedia e aprì la porta. Nel mentre, il colonello, aveva spinto il pulsante che avrebbe distrutto l’unico posto che Mike aveva conosciuto come “casa”.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Un sacrificio costato troppo ***


Un sacrificio costato troppo:

La prima cosa che i tre sentirono fu forte boato, il resto fu confusione. Eveline ricordò di essere volata parecchi metri in là e poi di aver cercato con la vista suo fratello e l’altra ragazza.
-Mike!- chiamò a gran voce. Provò ad alzarsi ma una fitta alla caviglia la fece desistere e ricadere a terra. Portò le mani alla parte dolorante digrignando i denti.
-Mike!- chiamò ancora. Vide un’ombra comparire dalla polvere sollevata dall’esplosione. Sorrise. Ma la figura che le spuntò davanti non era suo fratello e nemmeno Amy: era Hazard. La paura le attanagliò le viscere, il respiro accelerò accompagnato dal battito cardiaco.
-Io sapevo che oggi sarebbe stato un grande giorno.- sogghignò lui. Lei si limitò a fissarlo, incapace di proferire parola. Erano scappati da quell’uomo e proprio quando pensavano di essere in salvo il destino si prendeva nuovamente gioco di loro, favorendo il nemico.
-Cos’hai piccola Eveline? Hai preso la parola?- chiese il colonello. La ragazza rimase muta.
-Meglio così. Almeno non potrai chiamare aiuto.- sogghignò sadicamente Hazard.
“Ma se non so nemmeno se sono vivi!” pensò la mora. Ci fu una possente scossa. Probabilmente l’esplosione aveva creato danni alle fondamenta e ora la casa sarebbe crollata.
-Finiamo il lavoro alla svelta così me la potrò svignare prima che mi crolli tutto addosso.- si disse il colonello ad alta voce. Eveline provò ad indietreggiare ma la sua schiena sbattè contro un parete solida. Era spalle al muro. Fece un profondo respiro e si rassegnò. Era finita, la sua vita di solo quindici anni era finita. Un piccolo sorriso amaro le si formò sul volto mentre, mentalmente, salutava tutti i suoi amici. L’uomo davanti a lei alzò il coltello che ora si sarebbe macchiato del suo sangue.
“Addio a tutti.” Pensò Eveline. Chiuse gli occhi. Una figura le si parò davanti, la mora alzò lentamente le palpebre. Mike era davanti a lei, il braccio alzato davanti al suo volto e il coltello conficcato nell’avambraccio, nella zona vicino al gomito. Hazard portò a sé l’arma, estraendola, quindi, dall’arto del ragazzo, che gemette dal male.
-Mike!- strillò la ragazza dietro di lui con le lacrime agli occhi. Perché? Perché non riusciva a cavarsela da sola e tutti quelli che l’aiutavano finivano con il farsi male? Valeva davvero la pena riempirsi di ferite per lei?
-Tsk, sempre in mezzo tu?- sbottò il colonello.
-Non ti permetterò di toccare mia sorella.- disse il moro sicuro di sé.
-Vorrà dire che ucciderò prima te!- affermò l’uomo, infastidito dal ragazzo. Stava per colpire il giovane quando una nuova scossa si fece viva tra le mura della casa. Hazard perse l’equilibrio. I due fratelli decisero di approfittare di quel momento. La ragazza si alzò, incurante del dolore che le attraversava la caviglia e con la sua mano intrecciata con quella di Mike ricominciarono a fuggire. Il moro si infilò in un corridoio. Il piano era di andare nel cortile e da lì fuggire. Il tutto prima che l’edificio crollasse loro addosso. All’improvviso Eveline si fermò, suo fratello si voltò allarmato.
-Tutto bene?- chiese. Lei annuì.
-Allora perché ti sei fermata?-
-Abbiamo lasciato indietro Amy!- disse Eveline.
-Non è un problema.-
-Come non è un problema?!-  lei si divincolò dalla stretta del fratello, fattasi più stretta.
-Laggiù c’è quel pazzo scatenato di Hazard ed Amy è lì con lui!- Mike sorrise.
-Tu non la conosci. Non è facile da far fuori, ha sempre un asso nella manica, fin da quando era piccola!- asserì il moro.
-E poi…- il ragazzo riprese la mano di sua sorella.
-Amy conosce questa casa come le sue tasche. Sfuggirà ad Hazard comunque.- finì con un sorriso che rassicurò Eveline. Ricominciarono la loro fuga.


I due ragazzi correvano come due forsennati per corridoi che ad Eveline parevano tutti uguali. Porte e portoni tutti identici, avanzavano tra una scossa e l’altra sempre più potenti, ogni tanto pezzi di soffitto minacciavano di cadere loro addosso e i due erano costretti a prestare attenzione per non essere, poi, sommersi dalle macerie. Passarono davanti ad una grande sala. Eveline non ci diede importanza e corse avanti ma Mike, invece, si fermò e guardò dentro la stanza. La mora tornò indietro mentre Mike entrava nella locale. La ragazza vide subito una figura femminile, capelli lunghi, neri e ricci. Teneva in mano quella che sembrava una foto. Piangeva.
-M-Madre…- fece Mike.
“Madre?” pensò sbigottita la giovane.
-Mike!- sobbalzò quella. Si asciugò frettolosamente le lacrime con il dorso della mano libera. Il ragazzo era a bocca aperta, sua madre… piangeva?
“Se quella è la madre di Mike vuol dire che è anche la mia…”ragionò Eveline che, però, non si accingeva ad entrare.
-Non mi pare di averti dato il permesso di entrare.- disse nel solito tono autoritario e gelido ma in quel momento sul ragazzo non aveva effetto. Il moro analizzò l’oggetto in possesso di sua madre; era una foto che ritraeva quattro persone. Suo padre, sua madre, lui e… Eveline. Ora capiva il pianto di sua madre. Represse l’impulso di abbracciarla. Lei lo odiava, non le avrebbe fatto piacere. Certo se fosse accaduto il contrario Mike sarebbe stato felice. Lui non disprezzava sua madre, un qualsiasi gesto d’affetto da parte sua e nei suoi confronti era sempre ben accetto. Ma non era mai arrivato.
-Madre…- tentò ancora.
-Vattene.- disse solo quella. Il ragazzo fu invaso da un gran senso di rabbia.
-Perché?!- Sua madre si voltò esterrefatta, suo figlio non aveva mai disubbidito ai suoi ordini. Mike teneva i pugni serrati e guardava la donna con gli occhi colmi di lacrime.
-Perché mi odi? Perché mi disprezzi? Che cosa ti ho fatto?!- gridò. Eveline, ancora fuori dalla stanza, sobbalzò alla reazione avuta dal fratello.
-Sono davvero un pessimo figlio come dici tu?- Lei non disse nulla e abbassò gli occhi. Questo gesto diede un gran fastidio al giovane.
-Lo so, io non sarò mai come lei… ma non posso farci niente e tu lo sai!-
-Di… Di chi stai parlando?!- chiese sua madre.
-Lo sai benissimo. Parlo di mia sorella, Eveline.- La donna spalancò gli occhi. Come faceva suo figlio a ricordare ancora? La mora decise che, forse, era meglio entrare così fece qualche passo nella sala. L’adulta si voltò nella sua direzione e, una volta vista, sbiancò. C’era da aspettarselo, lei doveva essere morta undici anni prima. La donna indietreggiò di qualche passo e lasciò cadere la foto. La collisione tra la cornice e il pavimento fece spaccare il vetro dell’oggetto. Eveline si avvicinò ancora fino a raggiungere Mike.
-E-Eveline…-
-Mamma?- quella parola suonò strana, era da molto che non la pronunciava. Le lacrime ricominciarono a scorrere sulle guance di sua madre.
-Che scherzo di pessimo gusto. Chi sei tu?- chiese la donna.
-Sono tua figlia…- disse la ragazza un po’ esitante.
-Questo non è possibile! Lei è morta!- strillò quella con gli occhi leggermente spiritati.
-No, sono viva, madre!- tentò la mora.
-Impostora, sei solo impostora!- gridò la donna. Una nuova scossa fece tremare il terreno e il soffitto minacciò di venire giù.
-E tu, impiastro.- disse rivolgendosi a suo figlio.
-Dove l’hai trovata? E come l’hai convinta?- finì.
-Io… Io…- un’altra scossa, più forte della precedente fece cedere un bel pezzo di soffitto, dividendo la donna dai due ragazzi. La maceria aveva costretto i fratelli ad indietreggiare, finendo nei pressi dell’uscita della sala. Chiunque si fosse trovato dalla loro parte opposta non sarebbe potuto andarsene, il resto del soffitto bloccava l’uscita.
-Madre!- gridò il ragazzo. Non udì risposta. Provò ancora con il medesimo risultato.
-Madre!- aspettò, nulla.
-Madre, madre!- chiamò ancora. Le lacrime affiorarono sulle sue guance
-Madre!- un piccolo ma veritiero pensiero gli si era infilato con forza in testa. Era morta.
-Madre…- sussurrò cadendo in ginocchio. Non era riuscito nel suo intento. Era morta come una donna infelice e lui non era riuscito a farle tornare il sorriso, nemmeno con sua sorella lì accanto. Non era riuscito a mantenere la promessa di farla tornare quella di un tempo, quella che era la sua vera mamma. Era un fallimento.
-Mike…- sua sorella si chinò su di lui. Lui scoppiò in un pianto a dirotto.
-Eveline… lei è…- sua sorella annuì piano mentre suo fratello piangeva, dilaniato dal dolore. Ci fu un altro scossone, del calcestruzzo cadde sui due giovani.
-A-Andiamo, Mike…- sussurrò la mora. Lui annuì piano e si rialzò continuando a fissare quel pezzo di cemento che gli aveva portato via sua madre. Ma non sapeva che il suo dolore non era ancora finito.


Imboccarono l’ennesimo corridoio e continuarono a correre, secondo Mike quello doveva essere l’ultimo. Infatti, poco dopo, ecco la grande porta che li avrebbe portati via da lì. Senza rendersene conto aumentarono la velocità della corsa e non poterono evitare un piccolo sorriso per essere ancora vivi. Evitarono un altro pezzo di cemento cedente e continuarono. Oramai la grande villa stava cadendo a pezzi, presto sarebbe stata solo un cumolo di macerie. Mike abbassò la maniglia e aprì la porta. I due fecero per oltrepassarla ma qualcuno li afferrò per il colletto.
-Vi ho preso, finalmente.- A quella voce i due si immobilizzarono. Hazard. Costrinse i ragazzi a voltarsi e li sollevò, prendendoli per il collo. Ai due fratelli manco subito l’aria. Il moro calciò il vuoto cercando, invano, di colpire il colonello. Era davvero finita? Ad un passo dalla libertà? No, non l’avrebbe permesso! Si sentì sfiorare la mano. Vide sua sorella sorridere amaramente, capì. Eveline voleva che la prendesse per mano. Intrecciò le sue dita con le proprie, sarebbero morti insieme. L’uomo stinse di più la presa. Il ragazzo sentiva i polmoni bruciare, non avrebbe retto per molto. Sentì la mano della ragazza affievolire la tenuta fino a che non la sentì più vicino a sé.
“Eveline, ti prego, non te ne andare anche tu…” pensò disperato. Hazard mollò improvvisamente la presa. I ragazzi caddero a terra. Mike prese un bel respiro che fu sollevante quanto doloroso. Il colonello, adesso aveva un profondo taglio alla vita. Il moro vide una chioma dai capelli rossi.
“Amy!” il giovane era entusiasta. Le scosse continuavano a tormentare i muri della casa.
-Piccolo mostriciattolo!- inveì l’uomo.
-Mike, Eveline scappate!- gridò la ragazza. Un’altra maceria cadde poco distante da loro.
-Io lo tengo occupato, voi andate!-
-Amy e tu?- chiese la mora.
-Me la caverò.- Non era vero, lei lo sapeva. La ragazza prese suo fratello per mano. In quel momento la casa cedette e cominciò a crollare su sé stessa. Mike e Eveline si precipitarono fuori dall’edificio. Il moro si voltò indietro per vedere anche Amy uscire dalla villa ma tutto ciò che scorse fu il suo sorriso e le sue labbra che si muovevano a sussurrare queste parole:
-Ti amo, Mike.- Infine, anche lei, venne sommersa dalle macerie.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Niente rimpianti ***


Niente rimpianti:

Amy provò a muovere un braccio. Il dolore le strappò il fiato dai polmoni. Tutto quello che sentiva non era altro che dolore e un’assurda fame d’aria che non veniva soddisfatta. Aveva capito quello che stava accadendo e non aveva paura. Stava morendo ma non poteva farci nulla, il filo del suo destino si era rotto, aveva finito la sua corsa nel tempo, tempo durato solo quindici, miseri, anni. Sorrise come per far vedere alla morte che non aveva paura del suo abbraccio. Questa, però, stava arrivando lentamente facendole crudelmente vedere quante cose, una ragazza brillante come lei, avrebbe sicuramente fatto. Scacciò quei pensieri. Aveva fatto abbastanza, la sua permanenza in questo mondo era finita. Aveva completato il suo scopo altrimenti non si sarebbe trovata in questa situazione. Adesso che ci rifletteva, però, tutto il suo mondo le era letteralmente crollato addosso, in questo momento doveva essere disperata. Eppure, lei, era felice, si era sacrificata per una buona causa, lo sapeva perfettamente, aveva detto a Mike quello che provava e aveva rivisto Eveline. Le sarebbe piaciuto parlare un po’ con lei come nei vecchi tempi. Non aveva rimpianti. Stava morendo da ragazza felice. Amy non seppe quanto tempo passò prima che chiudesse gli occhi, se trascorsero secondi, minuti o ore, ma quando lo fece si sentì sollevata e non oppose resistenza appena sentì la morte sollevare la sua anima, sorrise semplicemente di felicità. Una piccola lacrima le si formò all’angolo dell’occhio destro.
“Tranquillo Mike, veglierò sempre su di te e tua sorella…” questo fu il suo ultimo pensiero.


-Amyyy!- gridò Mike, in lacrime, per l’ennesima volta. Eveline era dietro di lui, guardava le macerie della villa incapace di parlare. Era accaduto tutto troppo velocemente e l’unica cosa che riusciva a fare era piangere.
-Non e possibile! Amy non può essere morta!- il ragazzo fece per lanciarsi verso quella che era stata casa sua ma sua sorella lo prese prontamente per un polso, lui si voltò. Si guardarono negli occhi per qualche secondo poi, lei, lo abbracciò. Insieme caddero in ginocchio nel giardino spoglio, piangendo l’uno sulla spalla dell’altra, sostenendosi gli animi a vicenda. Per non crollare definitivamente. Il mutamento che il loro spirito stava avendo in questo momento li avrebbe segnati a vita. I due gemelli diversi, come la faccia differente di una stessa medaglia, si erano ritrovati e avevano dato luogo ad una catena di eventi che si era fermata con la distruzione di una villa e due cuori, uniti da un unico legame, sanguinanti. Eveline alzò il volto dalla spalla del fratello e fissò il cumolo di macerie sentendo un nuovo nodo alla gola formarsi. Si sciolse delicatamente dall’abbraccio e fissò il viso di suo fratello con gli occhi ancora colmi di lacrime. Vide quelli del ragazzo. Anche quelle bellissime sfere verdi avevano ancora molto dolore da versare ma si stavano trattenendo. Gli sorrise.
-Appena te la senti possiamo andare.- disse. Il ragazzo si guardò alle spalle e vide la villa distrutta. Distolse subito lo sguardo per evitare di scoppiare nuovamente in lacrime.
-Andiamo.- dichiarò con un’insolita fermezza alla sorella. Ma quella affermazione era più che altro una promessa a sé stesso: non avrebbe mai più messo piedi in quel luogo. Si alzò e tese la mano alla ragazza. Lei la afferrò. Mike aprì il portale che li avrebbe condotti via da lì. Lasciò che Eveline vi entrasse per prima e si voltò indietro per l’ultima volta.
“Addio Amy. Grazie di tutto.” Una lacrima scivolò dall’occhio sinistro del ragazzo che poi oltrepassò il varco.

I due fratelli si trovarono nel cortile dell’accademia. Il portale si chiuse alle loro spalle e un soffice materasso bianco accolse le loro scarpe. I gemelli, tenendosi per mano, si lasciarono cadere sulla neve. Eveline sentì il gelo toccarle la pelle e i suoi vestiti bagnarsi. Lasciò correre. Era stravolta e voleva solo dormire, lasciarsi andare in un pianto di felicità per essere ancora viva dopo aver visto la morte volarle accanto per poi scomparire come un fantasma, voleva piangere perché era ancora vicina a Mike, perché era piena di gratitudine verso la sorte nonostante le avesse causato molto dolore. Sentì la presa del ragazzo intensificarsi e ricambiò capendo cosa il ragazzo stesse pensando. Ormai erano collegati, una mente in due corpi. Chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere dal silenzio.
“Un attimo, perché tutta questa calma?” pensò Eveline sedendosi di scatto. Quel posto non era solito per essere pieno di vita e chiacchere?
“Cosa sarà successo…?” pensò preoccupata la ragazza. Si alzò e traballante si avviò verso la porta, suo fratello la seguì. Entrarono nell’edificio. Nessuna voce li accolse, solo la desolazione del corridoio davanti a loro che si scuriva sempre di più poiché la notte era già alle porte. Cominciarono a girare per la struttura, per Mike era un labirinto tutto uguale. Raggiunsero la mensa e si sedettero ad uno dei tanti tavoli presenti nella stanza.
-È normale che questo posto sia così… vuoto?- chiese il ragazzo confuso e con la voce ancora impastata dal pianto. La mora scosse la testa.
-Normalmente è un posto allegro.-
“Dove sono finiti tutti?- si chiese mentre poggiava il capo sul tavolo. Suo fratello la imitò. Chiusero gli occhi e si lasciarono trasportare dal sonno nel mondo dei sogni dove, la loro felicità, esisteva secondo i loro desideri.


Un rumore di cocci rotti svegliò Eveline, Mike continuò a dormire. La giovane aprì gli occhi e vide un piatto per terra ai piedi di una ragazza. Notò che si teneva le mani davanti alla bocca per non urlare, poi le spostò.
-E-Eveline?- chiese.
-Ciao Rin.- sorrise la mora.


Erano passati due mesi dall’avventura di Eveline e Mike. La notizia del suo ritornò fu un vero e proprio evento. Tutti erano stati molto in pensiero per lei, temendo il peggio e si erano messi subito sulle sue tracce, anche se con poco risultato. Suo padre le aveva rivelato la verità senza che lei si scandalizzasse troppo, oramai era già stata informata. Suo fratello non si integrò subito con i nuovi compagni ma non per causa loro. Il rifiuto era da parte sua. Eveline, però, riusciva a capire. Aveva perso la madre e la sua migliore amica, voleva solo un po’ di tempo per sé, passando le sue giornate in camera steso sul letto a fare miliardi di volte il punto della situazione e fu proprio in quei momenti di riflessione che prese una decisione. E così arrivò la mattina del 27 Febbraio. Quel giorno Eveline si svegliò piuttosto tardi, senza Hazard a creare danni c’era meno lavoro per tutti. Si vestì e mentre stava per dirigersi verso la mensa scorse un foglio sulla sua scrivania o meglio, una lettera per lei da parte di Mike. Ma quando gliel’aveva consegnata? Cominciò a leggerla:
Cara sorellina,
So che quello che sto per dirti ti sembrerà un gesto azzardato ma ti assicuro che ci ho pensato a lungo. Ho deciso di partire e fare un lungo viaggio. Starò via per molto, forse anni, non lo so con certezza. La mia nave parte questa mattina ma ti prego non venire al porto, ho preferito scriverti una lettera come saluto perché vederti mi avrebbe fatto desistere e tu mi avresti sicuramente impedito di partire… conoscendomi.* Mi mancherai un sacco e spero tu potrai capire la mia scelta. Mi auguro di sì. A nessuno, penso, faccia piacere partire sapendo che qualcuno a lui caro non è d’accordo. Detto questo a presto mi adorata sorellina,
con affetto,
Mike.

Una lacrima cadde sul foglio e la leggera calligrafia di Mike sbavò.
“Come hai osato!?” pensò Eveline.
“Come hai pensato di partire senza avvisarmi!?” La mora uscì correndo dalla stanza ma invece di andare in mensa si lanciò verso l’uscita dell’accademia.
-Eveline dove stai andando?- chiese Taiyoh vedendola correre via.
-Non ho tempo, scusa!- gridò lei.
-Ok. Vuoi che chiami tuo fratello per la colazione?- chiese ancora mentre la ragazza si fiondava fuori dall’edificio.
-Non c’è bisogno, grazie!- rispose quella. Prese la strada per il porto e cominciò a correre in quella direzione più veloce che poteva.
“Mike sei un vero stupido!” pensò la mora con le lacrime agli occhi.

Mike, affacciato al parapetto del ponte della nave, osservava tutte le persone salutare i propri cari. Per lui non c’era nessuno ma andava bene così. Erano un po’ in ritardo con la partenza ma non aveva importanza. Assaporò la brezza marina e indirizzò un pensiero a sua sorella. In quel momento la vide. Spalancò gli occhi.
“Sto sognando di certo!” si disse il ragazzo, si strofinò gli occhi. Lei c’era ancora e stava scendendo le scale che portavano alla passerella dove le persone salutavano i familiari. La vide farsi largo tra la folla. La nave fischiò e salpò. Il giovane vide sua sorella alzare lo sguardo verso di lui. I loro occhi si incontrarono. Con un ultimo sforzo la ragazza si trovò in prima fila.
-Mike!- gridò piangendo. Lui le sorrise e cominciò a sventolare una mano salutandola.
-Mike!- urlò di nuovo lei.
“Scusa Eveline ma ho ricevuto la chance di poter ricominciare a vivere. Non la sprecherò.” La giovane parve percepire i suoi pensieri, abbassò il braccio che tendeva verso la nave che si allontanava sempre di più. Un’ultima lacrima cadde sulla ringhiera di ferro. Sorrise. Agitò una mano in segno di saluto, aveva capito. Non poteva fermarlo.
“Rialzati Mike e continua per la tua strada. I nostri destini si incontreranno di nuovo.”
 
Spazio dell’autrice:
*Mike si riferisce a sé stesso in quanto sono gemelli e spesso hanno gli stessi comportamenti.
Cari, allora come va? Eccomi con il penultimo capitolo di questa storia… non avrei mai pensato di dirlo O.O, hahaha! Mi spiace che presto dovremo lasciarci ma oramai la storia ha raggiunto il suo epilogo. Non mi dilungo più tanto poiché i veri saluti li farò nel prossimo capitolo, a presto miei cari!
Vostra,
Shora

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Epilogo ***


Epilogo:

-Lo sai che non puoi battermi!- disse Asso mentre si metteva in posizione, pronto a correre.
-Lo sai che stai sbagliando di nuovo?- scherzò un’Eveline diciasettenne. Si trovavano al campo dell’accademia e si stavano di nuovo sfidando. Stavolta la gara era di corsa. Chi per primo faceva due giri di campo vinceva. Taiyoh, poco lontano da loro, avrebbe fatto “l’arbitro”.
-Siete pronti?- chiese. I due concorrenti si lanciarono uno sguardo infuocato a vicenda poi, in coro:
-Sì!-
-Bene. Pronti… partenza…- i ragazzi si posizionarono per uno scatto migliore.
-…Via!- gridò il castano. I giovani partirono subito con una buona accelerazione che vide in testa Arias, anche se di poco. Ma come c’era da aspettarsi Eveline non si diede per vinta, il suo orgoglio la spingeva a consumare tutte le sue risorse. Cominciò ad aumentare la velocità. Oramai erano arrivati a tre quanti del secondo giro senza che la situazione cambiasse. Poco dopo, però, la ragazza raggiunse il suo rivale ma tutti i tentativi di staccarlo risultavano inutili. Il traguardo era a pochi metri da loro. La mora consumò le ultime risorse provando ad accelerare per superarlo. Il biondo, però, non si sa come, capì la sua mossa e la raggiunse subito. Tagliarono il traguardo insieme. Una volta raggiunto l’arrivo si lasciarono andare e si piegarono sulle ginocchia.
-Ho vinto io!- disse Asso con il fiatone.
-In quale universo parallelo esistente? E’ palese che ho vinto io!- ribatté Eveline.
-Sei per caso cieca. S’è visto che il traguardo l’ho tagliato io per primo.-
-Caro, forse ha bisogno di occhiali? Te li posso comprare se vuoi.- lo prese in giro la mora. Il ragazzo fece per aprire bocca ma qualcuno lo precedette.
-Saranno passati due anni ma non vi smentite mai, eh?-
-Rin, tu che centri?- chiese Arias, contrariato per la sua apparizione nella loro discussione.
-Passavo di qua.- disse solo lei.
-Comunque siete arrivati pari.- affermò Taiyoh avvicinandosi con il sorriso sulle labbra per la scena precedente. I due sfidanti si guardarono un attimo.
-Te lo avevo detto che non avevi vinto tu!- dissero insieme. Rin e il castano scoppiarono a ridere.
-Non cambierete mai.- sorrise la mora.
-Forse non abbiamo intenzione di farlo.- rise Eveline. Si sedette sull’erba al limite del campo e afferrò la sua bottiglietta d’acqua che aveva precedentemente abbandonato sul terreno. Bevve avidamente consumando più della metà del liquido contenuto.
-Ah, che bella bevuta!- disse poi, sollevata. Si sdraiò e si fece accarezzare dai raggi solari estivi. Gli altri tre si sedettero accanto a lei. Cominciarono a parlare animatamente, sempre con i sorrisi stampati sul volto. Era bello essere così affiatati dopo così tanto tempo.
-Eveline sei pronta per stasera?- chiese la ragazza.
-Rin, dobbiamo solo lanciare una lanterna nel cielo.- rispose confusa la giovane.
-Non è una semplice lanterna. E’ la lanterna.- disse Taiyoh.
-Giusto! Dobbiamo festeggiare un altro anno qui all’accademia.- sopraggiunse Asso.
-Ci divertiremo tutti insieme!- esclamò il castano. A quella affermazione Eveline si rabbuiò. Non erano al completo. Mancava lui.
-Tutto ok?- chiese il ragazzo vedendola improvvisamente triste. Lei sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi falsi e rassicuranti.
-Va tutto bene. Mi era solo tornata in mente una cosa.- I tre si guardarono senza capire.
-Scusate ma ora meglio che vada in camera a riposarmi. Voglio essere in forma per stasera.- detto questo la mora si alzò e si diresse verso la sua stanza. Entrò nel edificio. Non riuscì più a trattenere le lacrime e scoppiò a piangere in mezzo al corridoio.
“Mi manchi Mike.” Pensò tra i singhiozzi.
-Eveline...- si sentì chiamare. Non si voltò. Asso le si avvicinò.
-Guarda che non riesci a scaricarmi facilmente come hai fatto con Taiyoh e Rin. Ho capito cosa pensavi prima ancora che sorridessi in quel modo.- disse lui. A quel punto la ragazza si voltò e gli gettò le braccia al collo, nascondendo il volto nel suo petto continuando il suo pianto imperterrito.
-Mi manca da morire!- sussurrò. Arias le poggiò una mano sul capo. Non sapeva cosa dire ma avere la ragazza dei suoi sogni così vicino gli faceva battere il cuore in maniera folle.
-Tranquilla, Eveline, tornerà.- disse solo, incapace di inventarsi altro.
-Ma sono due anni che è partito.- rispose la giovane.
“In effetti…” pensò Arias. Dopo qualche minuto in cui nessuno dei due aprì bocca la mora cominciò a calmarsi finché il suo pianto non sfumò fino a diventare una serie di sospiri intrisi di tristezza.
-Va… va meglio?- chiese il ragazzo. Lei annuì e lentamente si allontanò dal corpo del biondo. Asso era piuttosto contrario a quelle mossa, ma non lo diede a vedere.
-Scusa, ti ho inzuppato la maglietta.- disse asciugandosi le ultime lacrime. Il giovane si guardò l’indumento che aveva qualche chiazza più scura.
-Oh, non ti preoccupare, sono cose capitano.- sorrise e con lui la ragazza.
-Ti va una fetta di torta?- chiese il biondo.
-E dove la prendiamo?!- chiese lei scioccata per una domanda tanto strana.
-Miracolosamente Taiyoh non se le è mangiate tutte a colazione, ragion per cui…-
-…ne sono avanzate!- finì la mora con l’acquolina in bocca.
-Esatto! Quindi, riformulo: Ti va una fetta di torta?- le porse il braccetto.
-C’è da chiederlo?- disse lei accostandosi al ragazzo.


La sera arrivò in fretta. Così in fretta che Eveline non se ne accorse. Quando capì l’ora che si era fatta si era resa conto di essere estremamente in ritardo. Si lanciò fuori dalla sua stanza. I suoi compagni la stavano senz’altro aspettando per il lancio della lanterna. L’evento si sarebbe tenuto nel cortile sul retro, vicino all’hangar dei Machine Robo, per il semplice fatto che era più ampio e lo spettacolo si sarebbe visto meglio. La ragazza uscì dalla porta principale e fece per correre dai suoi amici quando uno scricchiolio la trattenne. L’ultima volta che era stata sorpresa alle spalle era stata portata in luogo nel quale era quasi morta. Ma chi poteva tentare un agguato nell’accademia dei Machine Robo Rescue? Non era un gesto pericoloso? Si voltò immediatamente allarmata.
-Chi va là?- chiese. Il rumore si ripeté finché un ombra non comparve nella sua visuale. Il cuore della giovane fece una capriola. Che era quel tipo?
-Sempre attenta ai rumori, eh Eveline?- quella voce… le era così estranea ma allo stesso tempo familiare. Lo sconosciuto si mise sotto la luce di un lampione poco distante da lui. La prima cosa che la mora vide furono i suoi capelli neri, ricci. Poi il suo sguardo si spostò ai suoi occhi. Delle bellissime sfere verdi, vivaci, con una nuova felicità. A Eveline mancò il respiro.
-Mike?- chiese incredula.
“E’ di sicurò frutto della mia fantasia…”pensò allibita la ragazza. Quello inclinò la tasta di lato
-Non riconosci più nemmeno tuo fratello?- chiese sorridendo. Il tentativo della giovane per trattenere le lacrime fu inutile così corse incontrò al ragazzo. Lo abbracciò piangendo dalla gioia e nascose il volto nel suo collo. Lui ricambiò la stretta arrossendo leggermente.
-Mike…- singhiozzò Eveline.
-Ora sono qui.- disse lui cercando di far scemare il suo pianto accarezzandole dolcemente i capelli.
-Sei stato un stupido! Lo sai quanto mi sei mancato?!- chiese lei fissandolo negli occhi.
-Posso averne un’idea dalla tua reazione.- rise lui.
-Non sei simpatico!- la ragazza mise il broncio fingendosi offesa. Poi il suo volto si illuminò, come se fosse ritornata improvvisamente alla realtà.
-Vieni Mike! Dobbiamo lanciare una lanterna nel cielo!- gridò euforica.
-U-Una lanterna?!- chiese lui stranito.
-Sì!- rispose Eveline.
-E perché mai?- chiese il giovane.
-Indica la fine la fine di un altro anno in quest’accademia!- senza aspettare la reazione del giovane, sua sorella, lo prese per un polso e lo condusse nel luogo dell’evento. Appena comparve Shoh si voltò verso di lei.
-Eveline, ce l’hai…- la voce gli morì in gola appena vide chi era con lei. Tutti, vedendo la reazione del ragazzo, si voltarono nella direzione della loro compagna e notarono subito Mike. Il giovane sentendosi osservato abbozzò un sorriso e salutò timidamente con la mano. La maggior parte dei cadetti era scioccata.
-Eveline quello è…- cominciò Makoto.
-E’ tornato!- disse lei sorridendo trionfante. Subito si scatenò un delirio, i ragazzi gli si riversarono addosso riempiendolo di attenzioni e domande. Quando, dopo parecchi minuti, gli spiriti si acquetarono decisero che era ora di celebrare un altro anno. Perciò Daichi e Alice presero la lanterna, l’accesero e con una poderosa spinta la mandarono verso l’alto. Quella si librò leggiadra nel cielo. Tutti applaudirono. Arias si sedette vicino a Eveline.
-Bello spettacolo, eh?- disse.
-Già…- rispose lei. Asso la guardò per un attimo, poi, raccogliendo ogni briciola del suo coraggio le disse:
-E-Eveline volevo dirti una cosa…-
-Cosa?- chiese curiosa la ragazza.
-Veramente volevo parlarti in privato.-
-E come mai?- ora la giovane era confusa. Il biondo cominciò a torturarsi le mani. Jay, che stava osservando la scena, si avvicinò furtivo al giovane, sorridendo.
-Avanti Asso! Non fare il timido.- e così dicendo spinse il ragazzo contro Eveline. Prima che lei potesse rendersene conto si era ritrovata con le labbra di lui premute sulle sue. Sentì il ragazzo allontanarsi, probabilmente per chiederle scusa ma lei non glielo permise e prese il suo volto tra le mani. Aprì leggermente la bocca, approfondendo così quel momento.  Per la ragazza fu una sensazione fantastica, si sentiva leggera come una piuma. Le pareva di volare. Per quanto tempo aveva atteso questo momento! Si separarono. Il volto del biondo era paonazzo e anche la mora era un po’ rossa.
-Io… Eveline… scu…- la ragazza non gli fece finire la frase. Gli mise il dito indice sulle labbra.
-Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo ancora.- sorrise. Arias rimase allibito da quella rivelazione.
-Quindi tu l’avevi capito?- chiese.
-Non sono mica scema, sai?- rise lei. Asso arrossì ancora di più. Mike dopo aver visto la scena si era leggermente rabbuiato. Il sentimento che provava per sua sorella non si era ancora estinto anche se erano parenti. Vederla baciarsi con un altro, davanti a lui, lo fece stare male. Ma lei aveva scelto la sua strada e lui avrebbe dovuto cancellare quell'emozione che gli faceva venire le farfalle nello stomaco ogni volta che la vedeva. Eveline si avvicinò a suo fratello e gli sedette accanto. Gli diede un bacio sulla guancia, capendo che si trovava in un momento di inquietudine.
-Ti voglio bene.- gli sussurrò all'orecchio.
-Anche io, Eveline, molto.-  la stinse a sé. Rimasero seduti l’uno vicino all’altra senza aprire bocca, mentre guardavano il simbolo di quell’anno allontanarsi nella notte.



Angolo dell’autore:
… … … *Piange* Ragazzi, sigh, è il momento di salutarci! Questa era la fine della storia che spero sinceramente sia piaciuta! Sono felice di essere arrivata a questo punto. Esattamente come Eveline ha fatto con Asso ho tagliato questo traguardo insieme a voi ma, soprattutto, grazie a voi. Ringrazio principalmente tutti quelli che hanno commentato che mi hanno invogliato nella continuazione della storia. E poi tutti quelli che hanno letto. Solo il primo capitolo è stato letto da ben 1164: grazie di cuore! Spero un giorno di poterci risentire, magari in un’altra storia. Sappiate che questo racconto è il migliore che sono riuscita a fare grazie al vostro supporto. Arrivederci a tutti,
Vostra,
Shora <3
P.S: Mi mancheranno le vostre recensioni ^.^


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1862584