Paternità. di Afaneia (/viewuser.php?uid=67759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 6: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo. ***
Buon pomeriggio!
Questa è una nuova spin off tratta dalla saga della
Prescelta Creatura; cronologicamente si colloca dopo tutte le altre,
quindi dopo il finale della storia principale e soprattutto dopo Favola
di Natale, quindi dopo il ritorno di Giovanni a Biancavilla.
Che
dire? So che potrebbe non piacere a tutti, ma a me personalmente piace
molto ciò che sto scrivendo, perciò ho deciso di postarla.
Buona lettura!
Afaneia
Rosso non era mai stato
l’uomo più paziente e accondiscendente di questo mondo , proprio no. Certo,
aveva sempre avuto pazienza per le cose che gli interessavano: allenare i
Pokémon, per esempio – e farlo in
completa solitudine, per quasi dieci anni, sulla cima di un monte perennemente
innevato, richiedeva una quantità di pazienza e coerenza non certo propria di
tutti gli esseri umani. Aveva avuto pazienza anche in amore, ma questo era
quanto. Quanto a tutto il resto, aveva sempre lasciato perdere un po’ prima del
dovuto, e probabilmente era per questo che lui e Blu si erano allontanati da
bambini.
Ora che ogni sera dopo cena Blu lo costringeva a sedersi sul divano
davanti a quella serie infinita di scartoffie, aveva scoperto di non riuscire a
resistere per più di mezz’ora a qualcosa che esulava dalla sua comprensione. La
sua vita dura doveva averlo reso molto impaziente e molto impulsivo. Perciò ogni singola sera Blu si ritrovava a
richiamarlo ad alta voce e a domandargli quasi con altrettanta impazienza se
fosse davvero convinto. Per due settimane addirittura chiuse in uno stipo tutti
quei documenti, dicendo che non era necessario farlo per forza in quel periodo:
erano ancora giovani. Ma poi, tornato a casa dalla palestra, scoprì un giorno
che Rosso aveva aperto di nascosto lo stipo e aveva cominciato a ricopiare i
dati dai documenti di sua madre e di suo padre – di suo padre! Lui che di suo
padre, che era morto da anni, neppure voleva sentir parlare…
Blu si soffermò in piedi dietro al divano, scrutando da sopra le spalle di
Rosso ciò che stava scrivendo.
“Pensavo che non volessi farlo” disse a bassa voce, appoggiando lo zaino
sul pavimento. Rosso non si voltò al suono delle sue parole.
“Non ho mai detto che non voglio adottare un figlio, Blu… ho detto che non
sopporto queste scartoffie.”
“E allora perché le hai tirate fuori? Lo sai… tua madre ha detto che le
avrebbe compilate lei al posto tuo, visto che…”
“Il bambino lo adottiamo noi, o mia madre?”
Blu non rispose. Il tono di Rosso era raramente così rauco e scontroso,
eppure mai le sue parole lo avevano reso così felice, o quasi mai. Scomparve in
cucina e aprì il frigo, cominciando ad armeggiare rumorosamente. Sapeva che
Rosso si sentiva a disagio nel sentirsi osservato, e perciò fece finta di non
dar peso a ciò che stava facendo.
Durò molto poco. Ben presto cominciò a sentir provenire dalla sala un
suono di passi e sbuffi e sospiri, e alla fine Rosso entrò in cucina come una
folata di vento esclamando: “Che domande stupide!”
Blu non poté trattenersi dal sorridere con un angolo della bocca. Ma poi,
sforzandosi di sembrare il più serio e sorpreso possibile, si voltò lentamente
domandando: “Che c’è, caro?”
Rosso teneva in mano una piccola pila di fogli accuratamente spillati.
C’era una lunga serie di domande sulle eventuali preferenze circa la
nazionalità del bambino e sulle possibili malattie che poteva avere. Blu le
scorse rapidamente e disse “Non sono affatto stupide. Non tutte le coppie sono
disponibili ad adottare un bambino malato, e certo se ne può discutere, ma non
mi sento affatto di giudicare nessuno.”
Rosso non parve affatto convinto delle sue argomentazioni. Si mise seduto
vicino al tavolo da lavoro, guardando il foglio con occhi cupi, e infine
mormorò: “Beh, ma se ti capita un bambino ammalato cosa fai, lo rimandi
indietro?”
“Queste domande servono apposta a evitare questa eventualità” gli rammentò
Blu con calma. Poi, dopo poco, mormorò: “Comunque… per me puoi inserire tutte
le nazionalità e tutte le malattie. A me non cambia niente. Non rimanderemo
indietro nessuno, mio caro… non preoccuparti.”
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo. ***
Eccomi
qua, dopo
un mese dalla pubblicazione del prologo!
Il
secondo
capitolo era stato in teoria uno dei primi a essere scritti;
tuttavia, non mi piaceva e non mi convinceva affatto. Così,
durante
lunghe, interminabili ore di Analisi e Geometria, l'ho riscritto di
sana pianta; e decisamente mi soddisfa molto di più.
Grazie
a
DanaYume per aver aggiunto la storia ai seguiti e a crystal_93 per
averla aggiunta ai preferiti.
Enjoy!
Afaneia
Perchè è in questo tuo
vagare
che risposte troverai:
sarai tu sulla
montagna
e tu che in cima andrai
Figlio
di chi è padre ormai,
libero camminerai
e quando
un padre tu sarai
in tuo figlio un padre scoprirai.
(Phil
Collins, Figlio di
un uomo, dal film Tarzan,
1999)
Quando
per la prima
volta Rosso prese Drake tra le braccia, si sentì cogliere da
una
tale ondata di dubbi da sentirsi vacillare.
"Attento,
attento, caro... devi tenerlo bene."
Blu gli
era
davanti, vicinissimo a lui, con due mani sul corpo del bambino per
aiutarlo a sostenerlo. Guardandolo, Rosso vide nei suoi occhi una
tale luce di serenità, di amore, di felicità da
impedirgli di
muovere la benché minima obiezione.
"Scusa"
mormorò. "Lo sai che non sono capace di..."
"Lo so,
lo so"
disse Blu tranquillamente. Nulla, quel giorno, poteva scalfire la sua
felicità. "Dallo a me. Non c'è problema. Ti
verrà spontaneo."
Rosso
gli porse il
bambino senza replicare. Stretto tra le braccia di Blu, Drake lo
guardava con limpidi occhi celesti... Rosso si sentì tanto
immerso
in quello sguardo da non udire l'osservazione di Giovanni, ma solo la
risposta di Blu che vi seguì: "Oh, no, papà, te
l'ho già
spiegato. Gli avevano già dato il nome, era su tutti i
documenti.
Non avrebbe avuto senso cambiarglielo. E poi, è un
bellissimo
nome... a noi piaceva. Non è vero, amore?"
Amore?
Blu lo
chiamava raramente così in pubblico. Ma ora, con Drake tra
le
braccia, Blu aveva gli occhi colmi di tenerezza e calore. Rosso
sorrise e accarezzò, con mano incerta, i radi capelli biondi
sul
capo di Drake.
"A me
piaceva
molto" mormorò per conferma. Blu lo guardò
sorridendo e Rosso
si domandò se, come lui percepiva la grande dolcezza nel suo
cuore,
a sua volta Blu percepisse il disagio che albergava nel suo. Ma Blu
non gli diede segnali in questo senso, troppo preso com'era dal volto
di Drake, dai suoi occhi, dalle sue unghie, dalle sue mani... Era un
bambino bellissimo. Aveva già qualche capello chiarissimo
che
sfuggiva dalla cuffietta che gli copriva il capo e le orecchie, e le
sopracciglia ancora rade, quasi bianche, e ugualmente le ciglia, che
però erano più folte e morbide. Aveva un naso
piccolissimo, e la
cartilagine era ancora così sottile e delicata da sembrare
quasi
trasparente in controluce.
Sua
madre era
seduta al fianco del Professor Oak sul bordo del divano, cogli occhi
lucidi e le mani strette in grembo, le labbra serrate per non
piangere. Notandola, Rosso andò a sedersi accanto a lei e le
pose un
braccio sulle spalle. Voleva dissimulare il suo turbamento. Dalia lo
guardò sorridendo: Rosso sapeva quanto disperatamente avesse
desiderato un nipote, e quanto avesse creduto non poterlo avere mai
negli anni del suo esilio.
"Suvvia,
mamma" disse con forza, deliberatamente, sorridendo. "Se
Drake ti vede piangere, penserà che non lo vuoi!"
Già,
era lei a non
volerlo? Rosso si sorprese d'improvviso a porsi con orrore quella
domanda. Eppure trovò subito la risposta: no, non era quello
il
problema! Era precisamente l'opposto: lui voleva Drake, aveva sentito
davvero, con Blu, il desiderio di diventare padre. Ma guardando
l'amore negli occhi di Blu, guardando tra le sue braccia quella
creatura minuscola, impotente, incapace di esprimere una sua
volontà
e di decidere per sé, si domandò se non fosse
egoismo il suo.
Sarebbe forse stato capace di fare da padre a qualcuno, lui che non
era stato capace di occuparsi neppure di se stesso?
Più
tardi, quando
Drake, stanco per gli sballottamenti del trasferimento dalla
struttura cui era affidato a Biancavilla, e forse anche per le
molteplici attenzioni si fu addormentatonella culla vicino al loro
matrimoniale, Rosso cercò di confidarsi con Blu.
"Non
capisco
di cosa tu abbia paura, amore" gli disse Blu sorridendo. Ma poi,
a voce più bassa, soggiunse: "Voglio dire... ho paura
anch'io
in realtà. Ho una paura terribile, ma... so che ameremo
moltissimo
Drake, che faremo di tutto per lui; e so anche che non saremo soli. I
nostri genitori possono darci una mano, e c'è anche mio
nonno... non
preoccuparti, mio caro. Drake sarà il bambino più
felice del
mondo."
Ma
nonostante la
dolcezza delle parole di Blu, Rosso non riuscì a chiudere
occhio
quella notte e rimase sveglio per lunghe ore a scrutare, nella culla,
il volto paffuto di Drake e fu sempre il primo ad accostarsi a lui
quando si svegliò per mangiare. Tuttavia fece finta di nulla
per
tutto il giorno, per non ferire i sentimenti di Blu; e solo a sera,
quando diedero una piccola cena informale con pochi vicini per
presentare loro Drake, Rosso ebbe modo di parlare da solo per pochi
minuti con Giovanni, chiedendogli con una scusa di accompagnarlo in
cucina.
"Mi
sorprende
che tu voglia parlare proprio con me" disse Giovanni a voce
bassa, socchiudendo la porta. Aveva lo sguardo altero e serio. Certo,
anche Rosso ne era sorpreso, in un certo senso: non avrebbe creduto
mai di doversi rivolgere a lui...
"Ho
bisogno di
un consiglio" disse nervosamente. Passeggiava su e giù per
la
cucina: aveva poco tempo. Poi, guardandolo negli occhi, soggiunse:
"Se mio padre fosse vivo, lo chiederei a lui."
Con un
profondo
sospiro, Giovanni si arrese alle sue parole. "Capisco. Parla
pure."
Rosso
riprese a
passegiare nervosamente. Non voleva guardarlo negli occhi.
Parlò
solo dopo lunghissimi secondi.
"Non
hai
creduto mai di essere ingiusto, di essere egoista nei confronti di
Blu? Quando era piccolo, quando avresti ancora potuto decidere di..."
Ma
Giovanni non lo
lasciò finire. "Sì" disse cupamente.
"È solo questo
che volevi sapere?"
"Aspetta"
si affrettò a dire Rosso, alzando le mani. "Non ti
arrabbiare.
Non è a questo che volevo arrivare."
Esitò
ancora un
poco. Poi: "Non sei stato un buon padre per Blu. Ma era tuo
figlio, lui! Drake non lo era, sono stato io a volerlo, a scegliere
di diventare suo padre. E ora, ora che lo sono... ora mi domando
quale diritto io ne abbia; se sia capace, io, di essere un buon
padre; se..."
"Rosso"
disse Giovanni lentamente "Ascolta. Voi avete adottato un
bambino che non aveva nessuno al mondo; i suoi genitori non hanno
potuto crescerlo, non ne hanno avuto la possibilità; voi gli
farete
il regalo più grande del mondo..."
"Ma non
l'ha
chiesto lui!" esclamò Rosso. "Drake non ha chiesto di
nascere, non ha chiesto di essere abbandonato; e soprattutto non ha
chiesto di essere adottato. Non ha scelto lui, e soprattutto non ha
scelto noi; e se non sapessimo renderlo felice?"
"Nemmeno
i
suoi genitori avrebbero potuto garantire per la sua
felicità"
disse Giovanni allargando le braccia. Ma Rosso scosse la testa. Non
si era sentito mai tanto confuso. Non sapeva neppure lui cosa voleva
chiedere, sapere.
"Non
è su Blu
che ho dubbi" disse in tono incerto. "Blu ha tanto amore da
dare. No, sono io il problema..."
"E qual
è il
problema?" domandò Giovanni stancamente.
"Il
problema è
che io voglio disperatamente essere padre di questo bambino"
disse finalmente Rosso. "Ma sarà altrettanto per lui? Quando
scoprirà chi sono io, chi sono stato io, quanto malato io
sia stato,
quanto dolore io abbia causato in tutti coloro che mi conoscevano...
non mi chiederà come io abbia potuto arrogarmi il diritto di
decidere per lui? Non mi rinfaccerà di non avermi scelto
come padre,
di non avermi mai voluto come padre? E non mi rinfaccerà
ogni
singolo errore che io abbia compiuto, anche in buona fede,
nell'occuparmi di lui, non mi dirà quanto io sia stato
egoista nel
pretendere di diventare suo padre senza però essere
abbastanza
buono, abbastanza bravo, abbastanza saggio, abbastanza tutto da
prendermi cura di lui?"
Ma solo
dopo questo
sfogo Rosso, prendendo fiato, osò di nuovo sollevare gli
occhi di
Giovanni; e d'improvviso sbalordì nel vedere i suoi occhi
sgranati e
quasi lucidi, sconvolti; il suo sguardo rapito, stranito; la sua mano
tremante, convulsa, stretta sulla maniglia della porta...
"Non so
rispondere alla tua domanda, Rosso" balbettò a fatica.
"Proprio
non so risponderti..."
"Rosso,
papà!
Siete ancora lì dentro? Quanto vi ci vuole con questo
purè di
patate?"
Era la
voce giosa,
divertita, di Blu. Giovanni si riscosse alla sua voce. "Arriviamo"
disse. "Stavamo... scaldando..."
I suoi
occhi
apparivano rapiti da qualcosa, da qualcuno. Appoggiò la mano
sulla
maniglia, ma prima di aprirla, come evitando lo sguardo di Rosso,
disse: "Non so risponderti, è vero. Blu mi ama ancora, come
vedi, ma... ma hai ragione: non tutti i figli sanno perdonare i loro
padri. Ma non so aiutarti, Rosso, mi dispiace, e non so neppure se
alcun padre saprebbe farlo al posto mio. Ma ti prego, non dir nulla a
Blu: non farlo soffrire proprio ora che ha finalmente trovato tutto
ciò che cercava, una vera famiglia. Non tormentiamolo
inutilmente
per qualcosa cui non può rimediare..."
"Non
hai
ancora tenuto in braccio Drake" disse Blu improvvisamente. Erano
soli in casa.
"Che
cosa?"
Blu
arrossì
leggermente. "È colpa mia a dire il vero. Scusami. Sono
stato
un po' geloso di Drake, e avevo paura che si facesse male se...
è
uno dei miei difetti" soggiunse sorridendo. Rosso lo guardò,
domandandosi quali difetti Blu gli avesse mai realmente dimostrato di
avere, e non ne trovò nessuno.
"Scusami,
amore. Perché non rimediamo subito? Prima di metterlo a
dormire."
"Non
so...
io..." balbettò Rosso ansiosamente. Per un attimo non seppe
bene che fare; ma Blu lo sospinse dolcemente a sedere sul bordo del
letto, e con cautela infinita lo aiutò a stringere Drake tra
le
braccia.
"Se
stai
seduto sul letto non puoi lasciarlo cadere" disse Blu
sorridendo.
Non
aveva scuse.
Rosso strinse maggiormente quel corpo profumato di talco e di latte,
caldo, disperatamente inerme tra le sue braccia.
"Accarezzalo"
mormorò Blu. "La sua voce gli giunse come lontanissima.
Drake
aveva gli
occhi limpidi, lucenti, che già seguivano il suo sguardo. Se
anche
Rosso avesse voluto rispondere a Blu, non gli sarebbe stato
possibile: gli sembrava che un universo intero fosse in quel momento
nella stanza, tra lui e Drake, e che da quell'universo in nessun modo
fosse possibile scappare. Non solo: non gli interessava, in nessun
modo voleva scappare. Accarezzò con due dita quel volto
paffuto e
arrossato, lungamente, e Drake agitò le braccia scalciando,
e a un
tratto, senza preavviso, catturò con una mano minuscola il
suo
indice.
In quel
momento a
Rosso furono chiare due cose. La prima era che Blu, silenziosamente,
si era dileguato dalla stanza; che evidentemente, in modo
più o meno
consapevole, si era reso conto dei suoi dubbi, e aveva deciso di
aiutarlo a quel modo, nel modo più efficace possibile. La
seconda,
che qualuque cosa accadesse, non voleva più rinunciare a
quei
limpidi occhi, a quella mano paffuta che ora stringeva il suo dito, e
che un giorno avrebbe stretto la sua mano intera; e che non poteva,
davvero mai in nessun modo avrebbe potuto fare a meno di essere
egoista, che era più forte di lui, infinitamente
più forte della
sua volontà, come la voce di Missingno era stata nel suo
passato: in
nessun modo a quel punto egli avrebbe potuto accettare di rinunciare
a Drake.
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo. ***
Buonasera
a tutti!
Finalmente
riesco a postare il mio capitolo preferito di questo racconto, il
capitolo, soprattutto, nel quale maggiormente m'identifico. Ve lo posto
con un caro ringraziamento a Cristal_93 e a Fiulopis per le recensioni.
Che dire?
Vi lascio al capitolo. Buona lettura e, già che ci siamo...
buon Halloween!
Afaneia
"Oh!
Speravo,
signori, che avreste amato la mia aquila, che il vostro amore avrebbe
dato una ragione d'essere alla sua bellezza... Ecco perché
mi davo a
lei e la nutrivo del sangue della mia anima... Ma vedo che sono il
solo ad ammirarla..."
"Io
vivevo per lei,
ma lei, perché vive?... Aquila, che ho nutrito con il mio
sangue,
con la mia anima, che con tutto il mio amore ho accarezzato...
dovrò
dunque lasciare la terra senza sapere perché ti amavo?
Né quello
che farai né quello che sarai dopo di me, sulla terra...
sulla
terra, io ho invano...io ho invano interrogato."
(André
Gide, Il Prometeo male incatenato)
Rosso aveva dovuto imparare ad accettare la presenza di Giovanni
nelle loro vite. Certo, non era una presenza oggettivamente
ingombrante; non pretendeva certo di irrompere in ogni momento a casa
loro, o d'intromettersi nella gestione del loro privato. Tuttavia,
talora passava a trovarli. Non sempre però telefonava prima,
e
capitava a volte che non trovasse Blu in casa. In tal caso, tuttavia,
affermava di non voler disturbare, e si apprestava ad andarsene.
Rosso si trovava allora costretto a invitarlo a entrare.
Finalmente un giorno trovò il coraggio di dirgli: "No,
Giovanni, che non disturbi. So che passi a trovare Drake più
che
Blu, e hai tutti i diritti di farlo, poiché sei suo nonno
esattamente come lo è mia madre; perciò non
importa che fingi di
non voler disturbare. Hai tutti i diritti di vedere Drake. E
comunque, siamo soli per la maggior parte della giornata. Vieni!"
Da allora, Giovanni cominciò a venire più spesso
a trovarli,
inducendo Blu a tornare a casa prima dalla Palestra. Spesso portava
qualche regalo per Drake: pupazzi, calzini, tutine, libri illustrati,
giocattoli istruttivi con lettere e numeri.
"Giovanni!" lo rimproverò Rosso un giorno. "Questi
sono giocattoli molto costosi."
"Lo so, Rosso, e meglio di te" replicò Giovanni con calma.
Sorrideva. "Se glieli porto è perché posso
permettermi di
farlo. Tu non preoccuparti."
Rosso non era precisamente soddisfatto da questa risposta: lui sapeva
da dove proveniva quel denaro. Tuttavia era lo stesso denaro col
quale era stato allevato Blu, col quale la casa in cui vivevano era
stata acquistata, e sarebbe stato ipocrita farglielo notare.
Era un enorme pupazzo a forma di Dewgong, coperto di una morbida
peluria bianca da sembrare autentica – era davvero un
giocattolo di
qualità, un giocattolo costoso, di certo. Si
rassegnò, e disse:
"Allora... grazie. Drake ora sta dormendo, però. Glielo
metterò
accanto, così lo vedrà quando si
sveglierà. Vieni, entra pure."
Si allontanò dalla porta e Giovanni entrò con la
giacca in mano.
Rosso aveva aperto le finestre, e l'aria fresca entrava
piacevolmente: era un maggio caldo e promettente. Aveva messo Drake
nel box, per tenerselo vicino lontano dai riscontri d'aria, ma Drake
si era stancato di giocare e aveva finito per addormentarsi. Giovanni
lo guardò teneramente: Drake pareva quieto e sereno,
addormentato
sulla pancia. Rosso si chinò su di lui e gli
appoggiò accanto,
badando a non svegliarlo, l'enorme peluche.
Si sollevò e scomparve in cucina. Faceva molta fatica ad
accettare
di passare del tempo da solo con Giovanni, ma per amore di Blu si era
ripromesso di comportarsi correttamente; e poi, c'era qualcosa in
Giovanni che lo attirava. Forse, come gli aveva detto lui stesso,
erano i fantasmi che li avevano accomunati per anni.
"Mia madre ci ha portato del succo di fragole, stiamo cercando
di finirlo prima che vada a male. Ne vuoi un po'? A Blu piace molto."
"Lo prendo volentieri se ne prendi anche tu.
No, non sembrava davvero il crudele capo del Team Rocket, l'uomo che
aveva tanto dolore disseminato, tante creature ucciso. Rosso prese
due bicchieri alti, sottili e vi versò il succo di sua madre.
"Sei venuto qui solo per portare quel Dewgong?" domandò ad
alta voce. Non era una domanda aggressiva, o meglio, in qualunque
altra situazione lo sarebbe stata; ma tra lui e Giovanni no, non era.
Ritornò in salotto. Giovanni si era seduto sul divano,
davanti alla
televisione spenta; Rosso appoggiò sul basso tavolino i due
bicchieri e si sedette di fronte a lui. "Sapevi bene che Blu era
in Palestra, vero?"
"Sì, lo sapevo" rispose profondamente Giovanni. "Ma
ti dirò la verità, Rosso... avevo voglia di
chiacchierare un po'
con te. Oltre che di vedere Drake, ovviamente."
"E a me che volevi dire?" replicò Rosso. Era a piedi nudi:
era vestito di abiti da casa, con morbidi jeans strappati e una
maglietta bianca sulle spalle larghe, sul petto ampio.
"Non so, Rosso... nulla di che. Ho piacere di stare qui con voi,
con Drake, con... con te, anche. Io e te ci capiamo molto bene. Non
trovi?"
Rosso sorrise appena, chinando il capo. Alzò le spalle, e
replicò:
"Sì, mi pare di sì."
Rimasero in silenzio per un po' di tempo. Poi Giovanni riprese:
"C'era qualcosa che volevo chiederti" proseguì allora
Giovanni. Rosso assentì col capo. "Dimmi pure."
"Volevo domandarti se hai sfidato di nuovo Mewtwo, dopo... dopo
quel giorno."
Se Rosso fosse stato un Pokémon, avrebbe rizzato le orecchie
e si
sarebbe messo in guardia contro un nemico. Ma era solo un semplice
essere umano, e dovette accontentarsi di spostarsi lentamente sulla
poltrona, così da appoggiare sul tappeto i piedi nudi e
bianchi, ma
segnati e ispessiti dai calli di dieci anni di fatiche. Guardava
fissamente Giovanni: il suo sguardo era fermo e sicuro, il suo
respiro lento e regolare. Voleva solo saperlo.
"L'ho rivisto" disse semplicemente. "Sono sceso negli
abissi della Grotta Ignora, l'ho cacciato, l'ho trovato..."
"Lo hai sfidato?" esclamò Giovanni: gli occhi gli
brillavano.
"No!" disse Rosso a bassa voce, e quella luce si spense. "O
meglio... sì, l'ho sfidato, maè stato lui a non
raccogliere la mia
sfida. Non volevo combattere con me. Ha respinto i miei attacchi, ma
senza reagire."
"Non voleva più combattere?" chiese debolmente Giovanni.
Il suo sguardo era mesto e ansioso, come se la sua voce parlasse di
un amore lontano.
Rosso negò col capo. "No, non voleva. Celebi l'aveva assunto
tra i Pokémon leggendari, gli aveva dato
l'immortalità, ma
soprattutto l'aveva liberato dalla prigionia nella quale tu l'avevi
rinchiuso."
Giovanni tacque a lungo. Poi, a bassa voce: "Era sereno?"
Rosso rifletté per lunghi secondi su quella domanda. Era un
ricordo
lontanissimo (era successo quasi dieci anni prima) eppure
quell'attimo era ancora presente alla sua mente.
"No, ancora non lo era. Era ancora arrabbiato, ancora infelice
per la sua nascita, per ciò che gli avevi fatto fare. Ma
voleva
diventarlo, voleva conquistare la propria serenità: e
proprio non
accogliere la mia sfida era la più immediata soluzione che
conoscesse."
Il bagliore degli occhi azzurri di Mewtwo aveva illuminato le sue
notti per lunghi, lunghi anni sulla vetta dell'alta montagna di
Johto; ma Luisa gli aveva poi parlato della sua quiete, della sua
ritrovata pace. Mewtwo era ormai lontano dai tormanti terreni,
carnali della lotta, degli scontri continui; era un Pokémon
leggendario, anche se il meno etereo di tutti."
Giovanni assentì, sì, ma senza convinzione:
rimase immobile, in
silenzio con lo sguardo chino sulle ginocchia e, stretto in una mano,
il bicchiere ancora pieno.
Finalmente Rosso parlò. Disse: "So cosa vuoi. Vorresti
rivederlo, parlargli, dirgli che ti dispiace, che eri cieco e
avvinto; che ora che sei libero, sei dispiaciuto, ma sai d'aver
vissuto una vita intera solo per creare la sua; che non vuoi che ti
ringrazi, ma che ti odi un po' meno; vorresti che ti perdonasse;
vorresti, semplicemente, rivedere i suoi occhi per una volta, e in
essi trovare pace, poiché sapere di aver rubato e ucciso, ma
per
generare una creatura serena e in qualche modo felice, sarebbe certo
un po' meno terribile che sapere d'averlo fatto per creare un essere
infelice di vivere..."
Si pentì quasi d'avergli parlato così... a
nessuno si dovrebbe
parlare così! Giovanni taceva, tuttavia le dita strette
attorno al
bicchiere parevano tremare. In quel momento si udì il pianto
di
Drake, e subito Rosso balzò in piedi e scomparve dal
salotto. Vi
ritornò dopo vari minuti col bambino avvinghiato al collo.
"Hai visto, Drake? È passato a trovarci il nonno. Hai visto
il
bel peluche che ti ha portato? È un Dewgong! Con Dewgong
puoi
giocare, puoi dormire... hai sentito quanto è morbido?"
Giovanni lo guardò dalla poltrona, scrutando il suo fisico
tormentato e muscolare, segnato in superficie da vene pulsanti e, in
taluni punti, alcune cicatrici...
"Sembri un papà delle riviste" disse guardandolo.
A Rosso scappò una risata a quell'idea. "Tu dici?"
domandò, appoggiando le labbra sulla fronte di Drake: era
proprio
uno di quei padri modello, bello come una divinità.
"Sì, dico. Sai, di qualche pubblicità..."
"Perché cambi così argomento?" domandò
allora Rosso,
sedendosi di nuovo sulla poltrona con Drake in braccio. Subito Drake
protese le braccia verso il nonno, ma Rosso intuì che non
era il
momento e lo trattenne.
"Cambio argomento perché hai ragione" mormorò
Giovanni.
"È così, è proprio come hai detto:
vorrei rivedere Mewtwo,
vorrei incontrarlo, parlargli... domandargli se, ancora, si ricorda
chi io sia... Vorrei che non mi avesse dimenticato, e che magari solo
un po' del suo rancore fosse sfumato, scomparso... è come
dici, mio
caro ragazzo, è esattamente come dici tu. Che altro dovrei
dire che
tu non mi abbia già detto?"
Tese le braccia al bambino. Rosso si alzò e glielo
passò al di
sopra del tavolo: tra le braccia di Giovanni, un colosso robusto
quanto e più di un armadio, Drake sembrava davvero
scomparire.
"Non ha ancora cominciato a parlare?" domandò Giovanni,
accarezzandogli il capo morbido e ricciuto. Drake intrappolò
le sue
dita con una mano paffuta.
"Ancora no. C'è tempo, è ancora troppo piccolo"
rispose
Rosso con calma. In effetti Drake aveva poco più di sei mesi.
"Voglio proprio sapere cosa dirà la prima volta" disse
Giovanni. "Diventerai un grande allenatore, proprio come i tuoi
genitori, sai, Drake? Me lo sento."
"Ce lo sentiamo tutti" disse Rosso ridendo. "Spero
tanto nel suo futuro, Giovanni. Non voglio a tutti i costi che
diventi un allenatore, no, no: potrà fare nella sua vita
tutto ciò
che desidera, che sia onesto, ovviamente" soggiunse guardandolo
in tralice. "Tutto ciò che della sua vita m'importa,
è che i
suoi occhi non diventino rossi mai, non del rosso che ardeva nei
miei; che scelga sempre in libertà, che non sia costretto da
nessuno, e che nessun fantasma vegli mai le mie notti... non voglio
che soffra quanto io ho sofferto, non voglio che, semplicemente,
debba rinunciare a vivere anche un anno solo della sua vita, in nome
di qualcosa che non potrà raggiungere mai..."
"Te ne penti?" domandò Giovanni a bassa voce.
"Non chiedermelo ancora, Giovanni; lo sai; sono pentito, ma
rifarei ogni singola cosa, ogni singolo passo con la stessa passione,
la stessa convinzione di allora; ciò che ho fatto, l'ho
fatto per
amore, e non cambia molto che l'amore fosse per Blu o per Drake, o
per il mio sogno o per me stesso..." O per Missingno, soggiunse
tra sé e sé, ma non disse niente al riguardo,
poiché nessuno in
tutto il mondo conosceva Missingno, a parte lui e pochi altri.
"Te ne penti, tu?"
Calò un silenzio profondo, abissale. Poi Giovanni, con voce
flebilissima, mormorò: "Sì." E subito dopo
riprese,
carezzando con l'enorme mano il morbido capo di Drake: "Ciò
che
tu hai perduto, lo hai ritrovato dopo non molto: Blu ti ha
aspettato..."
"Ma Ambra! Tu sai dov'è Ambra? Lei non mi ha aspettato! Blu
è
cresciuto senza ch'io lo vedessi... Mewtwo, senz'avermi amato,
è
fuggito, lui che tra tutti ho scelto per dedicargli la mia vita...
ah, non credi che sia una tragica, terribile fatalità? Che
proprio
Mewtwo, che con tutto il mio amore ho generato... che proprio lui tra
tutti mi abbia abbandonato?"
Calò un silenzio che Rosso avrebbe disperatamente voluto
interrompere parlando, rispondendo, dicendo qualsiasi cosa... ma non
seppe che dire. Chinò gli occhi cercando di parlare e
tuttavia...
Drake cominciò a piagnucolare facendo smorfie, come faceva
sempre
quando aveva bisogno di farsi cambiare. Rosso balzò in
piedi,
sentendo da qualche parte dentro di sé di poter cogliere
quell'occasione per far cadere la conversazione, far finta di nulla,
non tornar più sull'argomento... ma d'un tratto non gli
parve
onesto, e si fermò. Giovanni si alzò e gli
passò lentamente il
bambino; pareva deluso, come se avesse tentato, per anni, di trovare
una risposta a una domanda che lo aveva tormentato, ossessionato,
assillato nell'esilio tetro dei suoi lunghi anni, come se quel giorno
avesse fatto un tentativo ultimo, supremo nel chiederlo a Rosso,
l'unico essere al mondo a conoscere la sua verità; come se,
dopo il
doloroso sforzo per porla, quella domanda, avesse visto crollare ogni
sua speranza e non in una risposta vaga, ma nell'assenza di una
qualsiasi risposta... Rosso non si sentì capace di lasciarlo
così,
sospeso nel vuoto, e decise di rispondere.
"Non è una fatalità" mormorò
semplicemente e come
combattendo per trovare la forza per mormorare quelle parole.
Trovò
la forza e proseguì, cullando Drake per poter parlare per
quei pochi
momenti: "Com'era mio destino di vagare, per anni, inseguendo
quel vano mio sogno, così era il tuo quello di sprecare la
tua vita
creando Mewtwo, un essere che sfuggiva alla tua volontà, un
essere
nato per diventare divino..."
Allora si rifranse il dolore di Giovanni; fu un attimo, un battito di
ciglia; Giovanni mosse un passo avanti e gridò con voce
terribile,
tonante: "Ma l'ho creato io, io! Io ho dato la mia vita per lui,
e lui mi ha abbandonato! Io, io sono solo, ora! Io sono espulso dalla
società civile! Io ho perduto mia moglie, io ho ucciso, io
ho
rubato, io sono condannato! Io, io ho perso tutto, e loro credono che
io l'abbia fatto perché Mewtwo fosse libero?
Perché lui libero e io
no, lui divino e immortale, e io... son rimasto solo, io! E di tutto
ciò per cui ho lottato, oer cui ho pianto e ho perso, non ho
avuto
nulla, io! Né di rivedere i grandi occhi di Mew,
né di parlare per
l'ultima volta con l'essere che ho generato, vendendo l'anima e
l'impero..."
Cadde spossato sul divano, incapace di parlare ancora, di urlare.
Drake piangeva infastidito e Rosso corse al piano di sopra,
disperatamente cercando di capire, di...
Quando ne riemerse, tornò a sedersi cullando Drake, senza
osare di
guardare Giovanni in volto. Dal divano, l'uomo li scrutava con occhi
spenti e vacui.
"Mi dispiace, Giovanni" mormorò Rosso senza guardarlo. "Mi
dispiace, so che...". Non sapeva cosa dire.
"No, non sai, Rosso" disse Giovanni con voce spenta. "Hai
un compagno, hai un bambino meraviglioso. Hai perduto dieci anni di
vita, è vero, ma ora sei qui, hai una vita, hai una
famiglia. Ti
pare che abbia lo stesso, io? Non hai avuto Ho-Oh, ma hai ritrovato
ciò che avevi già lasciato, al tuo ritorno.
Certo, ho ritrovato
Blu, so che stai per dirlo; ma non è più il
bambino che ho
lasciato; era cresciuto mentre io non c'ero, s'era fatto uomo, creato
una famiglia..."
"Non hai avuto Ho-Oh, ma non l'hai perduto. È diverso. Non
hai
avuto il tempo di amarlo... io l'ho avuto, ma così poco! E
mai, mai
Mewtwo ha saputo che lo amavo. Era ciò che mi meritavo, per
ciò che
avevo fatto: ero stato malvagio, spietato; ma altri aveva deciso che
dovevo esserlo! Non era proprio tutta colpa mia! Ma ugualmente, sono
stato punito solo io..."
Rosso si sentiva profondamente colpito dalle sue parole. Scrutava il
volto paffuto di Drake tra l sue braccia, ancora senza osare guardare
Giovanni.
"Se io trovassi il modo" cominciò a voce bassa "Se io
trovassi il modo di farti vedere Mewtwo, una sola volta, di farti
parlare con lui per qualche minuto... se io vi riuscissi... pensi che
troveresti pace?"
"Ah! E chi può saperlo?" domandl Giovanni. "Credevo
che riuscire a generare Mewtwo, dopo lunghi anni, potesse darmi pace,
eppure sappiamo tutti com'è andata. Mio caro ragazzo! Ti
ringrazio
del pensiero che hai avuto, ma tu per primo sai che non è
possibile
trovare Mewtwo. No, no, Rosso: questo è solo lo strano gioco
della
fatalità: io e te abbiamo dovuto essere condannati
perché altri
potessero essere liberi... ciò che c'è di
sbagliato, è che non ci
è stato chiesto il nostro parere. Abbiamo dovuto dare la
nostra
vita, volenti o nolenti, per fare la felicità altrui... oh,
non
credere che per Mewtwo non l'avrei fatto, sai! Tutta la mia anima
avrei dato per lui, e volentieri, se l'avessi saputo; ma avrei voluto
sapere ciò che mi aspettava..."
Se Rosso avesse potuto, si sarebbe alzato in piedi, guardandolo con
occhi fiammeggianti. Ma Drake scalciava inquietamente tra le sue
braccia, e Rosso rimase seduto sul divano.
"Giovanni" disse allora con voce nitida e ferma,
guardandolo con occhi decisi e alteri "Ascoltami! Tu sai che io
ti ho sempre odiato, che ho fatto di tutto per distruggere il tuo
impero, e che non me ne pento; ma sai quanto io e te condividiamo,
anche, e che ti capisco come nessun altro al mondo è capace.
Se
fossi certo di non poterti aiutare, non te ne avrei mai parlato; ma
so di poterlo fare, e ti giuro che lo farò."
Giovanni l'aveva scrutato in silenzio, assorto, privo d'espressione.
Non era un momento glorioso, monumentale con quel bambino tra di
loro, ma le sue parole erano importanti, forti...
"Va bene, Rosso" mormorò. "Ti ringrazio, mio caro
ragazzo, ti ringrazio molto. I tuoi pensieri sono molto nobili, come
lo sono sempre stati da quando eri piccolo, e li accetto nella stessa
buona fede con cui me li rivolgi. Ti ringrazio molto."
Giovanni rimase con loro tutta la sera, e non ne parlarono
più, né
vi accennarono nei giorni seguenti. Ma non appena, dopo cena, se ne
fu andato, Rosso inviò segretamente un messaggio a Luisa dal
suo
Pokégear.
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Capitolo 4 *** Capitolo quarto. ***
Buon pomeriggio!
Lo so, lo so, come mi ha fatto notare un lettore, è un sacco
di
tempo che non aggiorno. Il bello è che il capitolo era
concluso già
da un pezzo. Ma che dire? È difficile convincersi a copiare
dal
formato cartaceo a quello telematico. Perciò, lo pubblico
oggi, con
un caro ringraziamento a crystal_93 e a Fiulopis per le recensioni;
con l'ultimo capitolo ringrazierò diffusamente chi ha
aggiunto la
storia a una qualche lista personale.
Che dire? Buona lettura a tutti!
Afaneia
E
chi lo sa, se Dio avesse scelto un altro
per
servire la sua volontà...
Non
avrei cambiato vita.
(Le piaghe, dal film Il Principe d'Egitto,
1998)
Rosso trascorse una settimana senza ricevere alcuna notizia da Luisa.
Finalmente, il venerdì successivo, la ragazza gli
inviò un
messaggio sul Pokégear. C'era scritto: Sarò
lì alle nove.
Era per quel giorno, dunque! Rosso sprofondò di nuovo in
quel suo
inquieto, angosciato mutismo; ma Blu, pensando che semplicemente si
fosse svegliato di cattivo umore, non vi fece caso e lo
salutò
semplicemente, affettuosamente baciandolo sulla bocca, come ogni
mattina. Guardandolo uscire per recarsi in Palestra, Rosso
provò una
fitta acuta di colpevolezza alla bocca dello stomaco all'idea di
tenergli nascosto qualcosa; ma dopotutto, pensò, Blu sapeva
quanti
segreti ed emozioni lui e Giovanni condividessero: l'aveva percepito,
con la stessa forza con la quale aveva percepito quasi ogni suo
pensiero da quando si conoscevano...
Drake era sveglio e irrequieto, quella mattina: probabilmente gli
sarebbero presto spuntati i dentini e cominciava già a
tormentarsi.
Rosso lo coccolò a lungim riempiendolo di baci e parlandogli
con
quieta voce rassicurante, e nel frattempo, tra una coccola e l'altra,
si vestì rapidamente, scomodamente; e alle nove in punto
aprì la
porta al primo suono del campanello, senza neppure chiedere chi
fosse: Luisa ricambiava sorridendo al suo sguardo severo.
"Buongiorno."
"Buongiorno" disse Rosso a disagio. "Benvenuta. Entra
pure. Grazie di..."
Non terminò la frase. Nervosamente si accostò in
silenzio al box e
vi sistemò Drake tra i suoi pupazzetti e i suoi giocattoli.
Drake
scalciò e mugolò aggrappandosi coi pugni al
cappuccio della sua
felpa rossa.
"Sei nervoso?" domandò Luisa entrando. Chiuse la porta per
non far passare spifferi: era giugno, ma di prima mattina l'aria era
ancora fresca.
"Un po'" borbottò Rosso. Non gli piaceva sentirsi debole.
Con voce più alta e decisa, proseguì: "Oggi
è un po'
uggioso... se vedi che comincia a piangere, dagli uno di quei
giocattoli refrigeranti che trovi in frigo... verso mezzogiorno, la
minestrina col formaggio. Noi non lo facciamo mai, ma visto che non
è
abituato a te, se non vuole mangiare puoi provare a distrarlo con i
cartoni animati. Suppongo di essere di ritorno poco dopo l'ora di
pranzo, quindi laverò io i piatti..."
"Rosso" disse Luisa sorridendo "Non preoccuparti. Non
sono una mamma, ma ho fatto la baby sitter qualche volta; e sono
sicura che io e lui faremo presto amicizia" soggiunse
sorridendo, e con la mano accarezzò dolcemente, timidamente,
il capo
biondo e ricciuto di Drake. Al tocco della sua bianca mano ruvida e
callosa, Drake parve immediatamente più quieto; finalmente,
Rosso
sorrise.
"Giochi sporco" disse a bassa voce. Ma Luisa scosse il
capo: non era una sua scelta l'aura divina che trascendeva da lei.
"Va bene" disse finalmente Rosso con forza: gli pareva
d'essere più calmo lui stesso. "Adesso vado. Dove...?"
"Presso le Spumarine" mormorò Luisa. Rosso la
guardò con
sgomento. "Sì. C'è una piccola grotta, molto,
molto prima del
luogo dove riposa Articuno. Non credo che ci saranno problemi per..."
"Va bene" disse Rosso con decisione. "Ce lo porterò
io. Non c'è problema."
Sollevò Drake per un momento e lo baciò con
affetto, cercando di
fargli capire che sarebbe tornato presto. Poi, dopo averlo di nuovo
sistemato nel box, si accostò in silenzio alla porta. Subito
Drake
si aggrappò alle sbarre del box e cominciò a
piagnucolare e a
gettare gridolini per richiamarlo.
"Non preoccuparti" mormorò Rosso. "Fa sempre
così.
Ma bisogna che impari a star tranquillo. Tornerò dopo
pranzo, Drake"
soggiunse rivolto al bambino "Te lo prometto."
Malvolentieri, si diresse alla porta e si convinse a uscire,
ignorando le grida e i gemiti di Drake. "Lo distrarrò io"
gli disse Luisa in tono di confidenza, prima che Rosso, richiudendo
la porta, si avviasse in silenzio, cupamente, a passi svelti verso la
casa che Giovanni aveva preso in affitto. Era solo una piccola casa a
due piani nella periferia di Biancavilla, a forse dieci minuti a
piedi dalla loro casa. Il giardino era spoglio e vuoto: Rosso
bussò.
"Chi è?"
"Buongiorno, Giovanni. Sono... sono Rosso."
Seguì un attimo di silenzio. Poi: "Aspetta... ti apro
subito."
Giovanni era in vestaglia. Questa fu una cosa che colpì
Rosso molto
profondamente. Era perfettamente lavato e sbarbato, ma era in
vestaglia: sulle prime, Rosso non riuscì a parlare.
"Buongiorno, Rosso... non ti aspettavo."
Finalmente Rosso, come riscuotendosi dal suo stupore,
balbettò: "Non
volevo disturbarti, ma... ma ho bisogno che tu venga con me."
Ora anche Giovanni era stupito. Lo guardò fissamente. "Con
te?
Dove?"
"Con me... in un posto. Non posso spiegarti. Fidati di me."
Giovanni notò probabilmente il turbamento negli occhi di
Rosso, il
suo nervosismo, il tremore che agitava le sue mani. Sospirò
profondamente. "Va bene... certo. Andiamo. Dammi solo qualche
minuto per... tu, intanto, accomodati."
"Va bene" borbottò Rosso. Entrò in casa e
richiuse la
porta, ma rimase sull'ingresso: era un appartamento modesto e un poco
buio, pulito, freddo. Giovanni si avviò in silenzio verso le
scale:
Rosso fece in tempo a esclamare: "Mettiti degli abiti comodi...
vecchi."
Gli abiti comodi e vecchi di Giovanni erano una giacca e una maglia
nera, pantaloni neri e mocassini neri. Rosso non disse niente.
Si diressero verso la spiaggia. Rosso percepiva il disagio di
Giovanni, il suo stupore, la sua perplessità; e lo
sentì ancora
maggiore quando, sulla spiaggia, chiamò il suo Blastoise.
"Rosso! Ma dove vuoi andare?"
"Tu seguimi e basta" disse Rosso con convinzione.
"No! Non ti seguo finché..."
Ma senza ascoltarlo Rosso prese posto vicino al collo di
Blastoise e dalla sua schiena si voltò a guardarlo coi neri
occhi
fiammeggianti. Allora, come convinto da qualcosa che vi aveva scorto,
Giovanni obbedì.
"Attento... attento."
"Certo che è molto scomodo... non lo ricordavo."
"Ma no... è l'abitudine. Andremo piano."
Non parlarono più. Giunsero in vista delle Spumarine,
finalmente ne
raggiunsero le coste. Finalmente, una volta a terra, Giovanni
parlò
di nuovo.
"Ebbene? Ora mi spiegherai perché..."
Rosso lo guardò silente con sguardo cupo e pensieroso.
"Ho mantenuto la mia promessa" disse a bassa voce.
D'un tratto Giovanni ebbe tutto chiaro, dunque: vi era un'unica
spiegazione alla tormentata agitazione di Rosso, a quel viaggio fino
alle Spumarine... Rimase in silenzio per qualche momento. Poi:
"Rosso, sei ben sicuro di..."
"Giovanni" disse Rosso "Entra là dentro."
"Rosso..." sospirò Giovanni. Ma quegli scosse il capo.
"No, Giovanni... è la verità. Fidati di me."
Giovanni, che aveva aperto la bocca per replicare, tacque
bruscamente. Esitò. Rosso annuì col capo. "Fidati
di me,
Giovanni. Io ti aspetterò qui."
Colpito da un profondo tremore, come guidato da una forza
irresistibile, Giovanni entrò.
Giovanni mosse il primo passo nella grotta lentamente, gravemente,
quasi a fatica. Lo avvolgeva un'oscurità inquietante,
angosciante,
ma Giovanni non aveva avuto paura del buio mai, né nelle
notti
insonni né nei rifugi oscuri durante i lunghi, scomodi
trasferimenti
del suo esilio solitario.
Avanzò ansiosamente nel buio. Dov'era? Non vedeva nulla, non
sentiva
nulla, se non il rumore angosciante del proprio respiro. Da esso si
accorse che ansimava.
Rosso doveva essersi ingannato, disse tra sé. Ben presto
sarebbe
uscito da quel luogo oscuro, sarebbe tornato da Rosso; lo
avrebbe
ringraziato, con tutto l'affetto del mondo, di aver tentato di
aiutarlo, di placare il suo dolore; gli avrebbe poggiato
familiarmente la mano sulla spalla e l'avrebbe ricondotto a
Biancavilla, in tempo per pranzo.
No, pensò per l'ultima volta Giovanni, volgendosi con un
groppo in
gola- non c'era nessuno lì, proprio come aveva sempre saputo
e come,
forse, aveva in fondo al cuore sperato...
Ma l'entrata, da cui proveniva per lui una scarsa, fioca luce,
scomparve improvvisamente. Giovanni lottò per non cacciare
un grido:
l'oscurità l'avvolse maggiormente, come neppure si era
aspettato...
Un attimo dopo ardeva una luce dai riflessi azzurrini che rischiarava
le punte aguzze delle stalattiti; Giovanni rimase immobile, quasi
senza respiro, senza il coraggio di voltarsi a guardare...
Ma poi: "Eccomi." Quella voce! Era quella la sua, la sua
voce! Era... oh, ma come voltarsi, come? E rischiare magari di vedere
coi propri occhi che si era sbagliato, che non era Mewtwo; di
accorgersi di non aver fatto che immaginare quella voce, senza averla
realmente udita, per il solo desiderio grande che aveva della
presenza di Mewtwo...
"Voltati." Era la sua voce inconfondibile, irresistibile;
quasi senza volerlo, Giovanni si voltò. Sì: era
il suo corpo
possente, guizzante, muscolare; era il suo corpo bianco e violaceo,
ingombrante, inquietante; e sul suo corpo ardevano due occhi chiari
illuminati d'azzurro...
Vederlo fu un dolore, una rivelazione. Per Giovanni fu come un colpo
in pieno petto e rimase infatti immobile, ansimante, quasi incredulo
di fronte alla materialità, all'innegabilità
della sua presenza.
Mewtwo era di fronte a lui, era vicinissimo a lui, come a malapena
era stato nei pochi mesi che aveva trascorso con lui.
Mewtwo non parlava. Dopo i primi lunghi secondi di silenzio ed
immobilità, Giovanni mosse un passo avanti, tremando,
esitando; ma
bruscamente, quand'era in procinto di compiere il secondo, si
trattenne. Lo aveva appena attraversato il tragico ricordo del giorno
della fuga di Mewtwo, la sua rabbia, la sua disperazione, il suo
dolore. Era poi certo che Mewtwo lo avesse perdonato?
Tuttavia, d'improvviso, sotto l'altero sguardo azzurro di Mewtwo,
egli percepì come un'illuminazione inaspettata
ciò che da lui
Mewtwo si attendeva; ciò che da sempre, forse
inconsciamente, Mewtwo
aveva sperato, inquietamente, di ricevere da lui, per porterlo
perdonare e, finalmente, trovare pace. Sì! Giovanni
d'improvviso
comprese cosa doveva fare perché entrambi potessero trovare
pace, e
mentre Mewtwo lo scrutava con sguardo fermo, egli mosse un deciso
passo in avanti: erano a pochi centimetri di distanza, vicini come
non erano stati mai. Giovanni si sentì davanti a lui nudo,
spogliato, impotente, umile, ma soprattutto colpevole; tuttavia,
cercò profondamente dentro di sé quel coraggio
che gli occorreva e
disse: "Perdonami. Se ho sbagliato, è stato per averti amato
troppo, e non aver mai avuto il coraggio di mostrartelo."
Ecco, la semplicità di quelle parole, di quella frase. Per
quanti
anni Giovanni aveva pensato a cosa mai avrebbe potuto dire a Mewtwo:
aveva sognato infiniti, melodrammatici discorsi, aveva sognato grida,
scontri forse; e ora finalmente aveva capito cos'era che
bisognava
dire.
E allo stesso modo, finalmente, fu Mewtwo a parlare. Disse: "Non
hai amato che Mew, e la tua ossessione per lui. Non hai amato altro,
né hai amato me, ma di me ti sei servito. Altro non sono
stato, io
che l'insormontabile ostacolo sulla tua strada verso gli occhi
azzurri di Mew, l'errore irreparabile, forte quanto il destino; ma
non volevi me..."
Sì: Mewtwo non era stato ciò che lui voleva,
ciò che lui bramava;
e Giovanni lo ribadì con voce forte e decisa, consapevole
d'essere
inerme di fronte alla potenza di Mewtwo...
"Per aver tanti anni vagheggiato Mew, per averlo inseguito e
bramato nei miei sogni, tu sei stato tutto ciò che ho
ottenuto; e
non ho saputo comprenderti, non ho saputo..." Non aveva saputo
tante cose; reprimendo la sensazione che questo pensiero gli dava,
Giovanni proseguì dolorosamente.
"Non ti ho amato fin dall'inizio, ma ti ho amato fin dopo la
fine, e di più non ho potuto. Non volevo te, ma è
te che ho
trovato, è a te che ho dedicato lunghi e lunghi anni della
mia vita,
senza saperlo e probabilmente senza volerlo."
"Giovanni" disse infine Mewtwo. La sua voce vibrava come di
una grande emozione; pareva irritato, addolorato. "Mi hanno
detto che da molti anni desideri rivedermi. Per quale motivo?"
Giovanni provò d'improvviso un profondo dolore, ma
soprattutto si
sentì avvampare di vergogna, di umiliazione. Credette per un
momento
di non poter rispondere. Ma poi, come parlando da un profondo abisso
del quale non riusciva a vedere la cima, cominciò:
"Quando mi hai lasciato, quando sono rimasto solo, senza mio
figlio, senza di te, ho provato un dolore immenso. A tutto avevo
rinunciato per generare te: a mia moglie, a mio figlio, al mio
impero... tutto, tutto avevo abbandonato per te! Te, la cui
malvagità
era stata la punizione della mia; te, che eri molto più
simile a me
di quanto mai sarebbe stato Mew; te che proprio per questo, mio
malgrado e nonostante la mia delusione, ho amato più di
quanto mai
avrei amato Mew. E di tutti coloro che avevo amato e desiderato in
vita mia, proprio tu, cui avevo disperatamente dedicato la mia vita,
proprio tu mi hai abbandonato..."
Mewtwo aveva ascoltato in silenzio il fiume delle sue parole. I suoi
limpidi occhi chiari erano infissi sul suo volto spigoloso, angolato,
quasi anziano, eppure parevano non vederlo; parevano guardare
aldilà
dei suoi stessi occhi, delle sue parole.
"Se ti ho abbandonato" disse finalmente con voce profonda e
vibrante "è stato per non aver ricevuto mai da te alcuna
traccia di amore o di amicizia che fosse per me direttamente;
è
stato per il tuo affannoso cercare gli occhi di Mew nell'azzurro che
ardeva nei miei durante le lotte... è stata
l'incredulità, lo
sgomento, il dolore che ho visto nel tuo sguardo la prima volta che
ti sono stato mostrato in quella villa dell'Isola Cannella;
è stato
il tuo volerti servire di me per combattere solamente, senza volermi
amare che per la mia forza e la mia invincibilità, e
null'altro;
finalmente, insomma, per non aver mai accettato di aver avuto me
anziché Mew, e avermene fatta scontare la colpa, quando mai
io avevo
chiesto di venire al mondo...."
Fargliene scontare la colpa? Oh, no, no! Mai Giovanni aveva provato,
neppure nei recessi della sua mente, l'orrido desiderio di vendicarsi
su Mewtwo per non aver avuto Mew. Giovanni arretrò
istintivamente,
confusamente; forse, Mewtwo lesse in questo suo gesto il rivelarsi di
sentimenti colpevoli. Tuttavia Giovanni si riprese e tentò
di
ribattere, di replicare: "No! Non hai capito, non hai mai
capito. Ti ho odiato all'inizio, è vero, poiché
dopo anni di
lavoro, anni di impegno per rivedere Mew, è stata una
delusione per
me vedere te..." Subito colse un fremito lungo il corpo di
Mewtwo, un guizzo nervoso della sua lunga coda percosse il suolo; e
prima che potesse proseguire, parlare ancora, difendersi, la voce
tonante di Mewtwo risuonò nella grotta come un terremoto ed
egli
gridò: "Ma non ti ho chiesto io di generarmi!"
"E non ho chiesto io, non ho chiesto io di essere destinato a
farlo!"
La voce di Giovanni echeggiò nella grotta con
l'intensità di quella
di Mew. A quelle parole, Mewtwo ammutolì di colpo; e Giovanni
proseguì furente, infervorato: "Non ho scelto io di vedere
Mew,
di restarne affascinato, incatenato, e di esserne ossessionato! Non
ho scelto io di nascere già destinato a creare te, di votare
alla
tua creazione ogni giorno della mia vita. Pensa che io sono stato
condannato ad amare Mew e a non poterlo avere mai! Non è
stata poi
tutta colpa mia, non esser stato capace di amarti... non ho deciso
io, liberamente, di crearti, ma altri con l'inganno mi hanno convinto
a farlo! Non è stato forse per volere di sire Celebi che,
alla fine,
ho fatto quel che ho fatto...? Per creare il più terreno,
materiale
dei suoi leggendari, ch'egli potesse generosamente accogliere tra le
sue fila..."
Si fermò ansimante, esausto, a osservare Mewtwo. Quegli non
rispondeva. Guardava lontano qualcosa che nessun'altro al mondo
avrebbe potuto vedere, neppure Celebi, neppure Missingno. Pensava a
quanto complesso, intricato fosse il destino nel quale Celebi aveva
involontariamente avviluppato le vite di ciascuno col compimento del
peccato originale...
"Ora puoi capire per quale motivo non sono stato in grado di
amarti fin dall'inizio" disse Giovanni finalmente. "Non ti
ho potuto amare perché non eri tu che avevo desiderato;
ciò non
toglie che abbia saputo amarti dopo, forse senza accorgermene, e
forse molto di più quando non ti ho avuto più. Mi
era forse
possibile non amarti, simile a me quanti tu eri, disperato e
infelice, desideroso di qualcosa che non c'era? Qualcosa che, mentre
per me cessava lentamente di essere Mew, per te diventava
rapidamente, ansiosamente la tua libertà, la tua
dignità..."
"E perché me l'hai tolta?" esclamò Mewtwo.
Sì, egli era
il meno etereo di tutti i leggendari: anche ora percuoteva
nervosamente il suolo con la lunga coda.
"Perché non sapevo che altro fare!"
L'eco delle sue parole si ripeté più volte
nell'aria della grotta;
Mewtwo era rimasto immobile, silente. Giovanni si sentì
impressionato dal silenzio che seguì alle sue parole.
"Non sapevo che fare, cosa fare di te. Dopo aver gettato via la
mia vita, non avevo ottenuto nulla di ciò che mi aspettavo;
e ho
agito nel modo che in quel momento non mi sembrava il migliore, ma mi
sembrava l'unico... e non importa quanto fosse sbagliato e assurdo,
alla mia mente esso sembrava l'unico possibile, l'unico plausibile,
l'unico accettabile: fare di te la mia arma segreta, il mio strumento
perfetto e infallibile, così da trarre egualmente qualcosa
da tutte
le mie azioni... Capisci, capisci ora che se ho tanto sbagliato nei
tuoi contronti, è stato per non aver saputo che fare? Per
non aver
saputo superare la mia delusione; e per ultimo, per non aver saputo,
anche, abbandonare, superare il ricordo di Mew, passare oltre,
accettare di non averlo avuto e concentrarmi su ciò che
c'era..."
Calò il silenzio di nuovo, finalmente. Il respiro di Mewtwo
era
lento, profondo, ritmico, possente.
"Perché dunque hai voluto vedermi per l'ultima volta?"
"Per chiederti scusa" disse Giovanni semplicemente. "E
non perché io mi aspetti di essere perdonato, o
perché fossi tanto
presuntuoso da aspettarmi che tu comprendessi le mie ragioni; ma
perché semplicemente tu potessi sapere in quale misura io
fossi
pentito, sapere la verità su di me; perché tu
potessi rinfacciarmi
la tua rabbia e il tuo dolore, e persino perché tu potessi
vendicarti, se ne avessi avuto il bisogno. Per tutti questi motivi,
certamente, ma non solo: volevo anche, se non altro, rivederti per un
momento; rivedere l'oggetto di tutti i miei dolori, di tutte le mie
fatiche; volevo poterti avvicinare per un momento, per poi tornare
alla mia vita che trascorre come se tu non fossi mai esistito..."
"Molto bene" disse Mewtwo finalmente. "Se è questo
tutto ciò che volevi, l'hai ottenuto. Puoi andare, ora."
Era finita. Giovanni capì che non avrebbe veduto mai
più Mewtwo,
che quella era davvero definitivamente l'ultima volta che lo vedeva,
che gli parlava; che averlo veduto non aveva fatto che acuire il suo
dolore. Istintivamente aprì la bocca, fece per parlare, per
chiedere, per trovare una qualsiasi scusa per soffermarsi ancora un
minuto; ma non gliene venne nessuna che non fosse patetica e
umiliante, e tacque.
"Molto bene" ripeté con voce spezzata. "Molto bene.
Hai ragione. Ti ringrazio molto. Io..."
Si rese conto di star dicendo cose sciocche. Era meglio tacere: il
greve sguardo di Mewtwo incombeva su di lui, forte quanto il destino,
come aveva detto lui stesso.
Non c'era più nulla da dire. Si voltò e
lentamente, come se fosse
molto più vecchio di com'era entrato, si avviò
verso il punto in cui
ricordava essere l'entrata della grotta, ora vagamente più
luminosa
e distinguibile. Si soffermò un momento prima di uscire, con
gli
occhi socchiusi, e si sentì in petto un respiro doloroso e
lento,
faticoso. Ma poi, quando, con un doloroso strappo, si decise ad
avanzare ancora, giunse la voce di Mewtwo.
"Non so perdonarti, ma so comprenderti. Non è stata poi
tutta
colpa tua. Il destino di generare un leggendario era forse troppo
grande per un essere umano. Non hai avuto la possibilità di
scegliere. Non è stata davvero tutta colpa tua. Addio,
Giovanni:
sappi che nessuno più soffrirà come te."
|
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Capitolo 5 *** Capitolo quinto. ***
Salve
a tutti!
Inutile
sottolineare il grande ritardo nell'aggiornamento: purtroppo ho avuto
gravi problemi di cui occuparmi nell'ultimo mese, e a causa di questi
stessi problemi può darsi che anche il prossimo capitolo
(l'epilogo
di questa storia) subirà un grave ritardo. Sento di dovervi
delle
scuse e spero che comprendiate.
Tengo
anche a dire che, a causa di recenti risvolti nella mia vita privata,
questo capitolo è stato arricchito di un significato
totalmente
nuovo e più profondo rispetto al periodo nel quale
è stato scritto.
Spero che possiate apprezzarlo a vostra volta.
Che
altro dire? Come al solito, vi auguro una buona lettura!
Afaneia.
Emone:
Questa grande forza e questo coraggio, questo dio gigante che mi
sollevava nelle sue braccia e mi salvava dai mostri e dalle ombre,
eri tu? Questo odore proibito e questo buon pane della sera sotto la
lampada, quando mi mostravi i libri nel tuo studio, eri tu, credi?
Creonte:
Sì, Emone. [...]
Emone:
Padre, non è vero! Non sei tu, non è oggi! Non
siamo tutti e due ai
piedi di questo muro dove bisogna solamente dire sì. Sei
ancora
potente, tu, come quando ero piccolo. Ah! Ti supplico, padre, che io
ti ammiri, che io ti ammiri ancora! Sono troppo solo e il mondo
è
troppo spoglio se non posso più ammirarti.
Creonte:
Si è completamente soli, Emone. Il mondo è
spoglio. E tu mi hai
ammirato troppo a lungo. Guardami, è questo diventare un
uomo,
vedere di fronte a sé il viso del proprio padre, un giorno.
Jean
Anouilh, Antigone.
Quando Giovanni uscì da quella grotta, sembrava che sul suo
volto
sbiancato si fossero succeduti innumerevoli anni; ma egli camminava
in silenzio, come rapito da un sogno, e i suoi occhi erano privi e
vacui come se ancora dovessero uscire da quella grotta,
separarsene...
Senza una parola, Rosso balzò in sella al suo Blastoise e
aiutò
Giovanni a salire, poi si diressero verso Biancavilla, in silenzio.
Quando costeggiarono l'Isola Cannella, la sua desolazione, la
possenza del suo vulcano, Rosso colse la strana fissità con
cui lo
sguardo di Giovanni l'accarezzò, vi si soffermò;
gli sembrava di
poter sentire il suo pensiero, il suo rimorso al ricordo di
ciò che
quell'isola aveva ospitato...
Finalmente, raggiunsero la spiaggia. Rosso richiamò il suo
Blastoise
e i due rimasero in piedi, silenti sulla sabbia tiepida.
"Va tutto bene?" chiese Rosso, finalmente. Giovanni non
rispose.
"Vuoi venire a pranzo da noi?"
Giovanni parve riscuotersi un po'. Guardò Rosso, come se
stentasse a
riconoscerlo. "A pranzo? Oh... no. No, grazie."
"A cena, allora" insistè Rosso. "Ci sarà anche
Blu.
Vuoi che veniamo noi da te? Oppure mia madre..." Ma Giovanni non
reagiva: teneva gli occhi fissi al suolo, traendo profondi sospiri.
Rosso si sentiva il petto gonfiarsi d'ansia e di crescente
disperazione. "Giovanni, su, dimmi qualcosa!" Non era certo
di cosa dire, di cosa fare. Giovanni guardava la sabbia, senza
reazione o segno di star ascoltando. Poi, senza motivo, d'improvviso
mosse un passo verso il paese. Come se quel passo l'avesse sbloccato,
Giovanni ora camminava verso il centro senza più guardarlo.
Rosso
protese la mano, fece per chiamarlo, ma non lo seguì.
Qualcosa nel
suo cuore gli diceva che nessuno al mondo, neppure Suicune, in quel
momento avrebbe potuto raggiungerlo.
Per una serie di innumerevoli giorni, Giovanni parve svanito dal
mondo. Rispondeva al telefono solo se vedeva il numero di Blu sul
display, e contrariamente al suo costume non passò neppure
una volta
a portare a Drake qualche regalo. Più di una volta Rosso
andò
dirittura a casa sua, a suonare il campanello con rumorosa
insistenza, ma per quanto a lungo suonasse, non ottenne mai alcuna
risposta.
Finalmente, un tardo lunedì pomeriggio, quando ormai aveva
perso
ogni speranza, e pensava soltanto alla terribile indecisione tra
prepararare un'insalata di pollo e patate o ordinare un paio di pizze
per cena in attesa di Blu, udì il suo Pokégear
trillare per un
messaggio ricevuto. Lo aprì distrattamente, aspettandosi
l'ennesimo
messaggio di sua madre circa del succo di fragole che aveva preparato
per loro, o un delizioso golfino che aveva trovato al mercato e non
aveva potuto resistere a comprare per Drake, e per questo motivo,
quando lesse il messaggio inviatogli da Giovanni, non lo
capì. C'era
scritto: Perché non andiamo incontro a Blu
stasera? Se sei
d'accordo, passerò da te alle 19.00.
Fissò a lungo il piccolo schermo luminoso incredulo, senza
capire,
senza crederci. Poi, senza nemmeno chiedersi se credeva davvero a
quello che aveva appena letto, si alzò e andò a
mettere a Drake dei
vestiti per uscire: se davvero Giovanni aveva intenzione di mantere
la parola, sarebbe passato a prenderlo da lì a quaranta
minuti.
Precisamente quaranta minuti dopo, in seguito a una lunga, accalorata
lotta, Drake era ben assicurato sul suo passeggino, aggrappato a un
pupazzetto di Houndour che amava portarsi dietro quando usciva, e un
discreto scampanellio risuonava nel salotto mentre Rosso finiva di
allacciarsi freneticamente le scarpe da ginnastica e si lanciava a
spalancare la porta.
"Ehm... Buonasera, Giovanni."
Gli dispiacque subito di non aver trovato nulla di meglio da dire,
qualcosa di più profondo, pregno di significato, carico di
aspettativa. Ma lo sguardo quieto, sereno di Giovanni gli toglieva
ogni parola, ogni iniziativa: non era quello l'uomo che si era
aspettato di vedere. Sì, egli si era aspettato l'uomo di
quel giorno
alle Spumarine, sulla spiaggia bianca di Biancavilla... e ora, di
fronte a lui, vi era un altro uomo.
"Buonasera, Rosso" rispose Giovanni lentamente, chinando il
capo verso di lui con un sorriso tranquillo. "Sei pronto?"
Non vi fu risposta. Si avviarono a passi lenti lungo il Percorso 1,
spingendo con vaga difficoltà il passeggino lungo il
sentiero
irregolare: stava arrivando l'estate, e la sera era tiepida e
immobile.
"Perché mi hai chiesto di andare incontro a Blu?"
domandò
Rosso lentamente, come se stesse ponendo cautamente un piede davanti
all'altro sul ghiaccio secco. Giovanni lo guardò dall'alto
della sua
elevata statura, come divertito dalla sua domanda.
"Non l'indovini? Voglio andare a salutare mio figlio, con mio
genero e mio nipote. Non trovi che sia una cosa piuttosto normale,
durante una serata piacevole come questa?"
Eppure Giovanni doveva ben sapere che non era quella la risposta che
Rosso si aspettava e voleva. Ma Rosso si sforzò di mantenere
la
calma. Domandò: "Per nessun altro motivo che questo?" Ma
stavolta Giovanni lo guardò senza rispondere.
"Che cosa ti ha detto Mewtwo, Giovanni?" esclamò
finalmente Rosso, spazientito. Il volto di Giovanni parve
distendersi, come se non stesse aspettando altro che quella domanda,
e la sua bocca si piegò appena in una sorta di sorriso.
"Devo chiederti perdono, Rosso" disse. Il suo volto
guardava ora lontano. Calava la sera, e le ombre degli alberi
cominciavano a confondersi e a divenire indistinguibili dal terreno
circostante. "Mi spiace di non averti risposto, di aver ignorato
le tue chiamate, i tuoi messaggi. Non volevo vedere nessuno, parlare
con nessuno. Ho faticato molto a mostrarmi tranquillo e indifferente
con Blu, per non preoccuparlo. So di aver sbagliato a ignorare
proprio te, che potevi aiutarmi, ma... spero che tu mi capisca."
Rimase in silenzio per un po'. Rosso continuava a spingere
difficoltosamente il passeggino, ma Drake non sembrava minimamente
turbato e ora protendeva le braccia verso tutto, gli alberi, l'erba,
emettendo sillabe eccitate.
"Sì, ti capisco" ammise finalmente a bassa voce.
Camminarono ancora a lungo, in silenzio. Finalmente, Giovanni
riprese: "Non penso che dirò mai a nessuno, neppure a te,
che
cosa è successo laggiù, e sono certo,
più che certo che capirai.
Ma posso, voglio dirti che cosa ho portato con me fuori da quella
grotta." Rosso levò lo sguardo su di lui con viva
curiosità:
Giovanni lo ricambiò direttamente e disse con voce profonda,
sonante: "Laggiù ho trovato la risposta alla domanda che mi
hai
fatto tempo fa. Rammenti?"
Quale domanda? Rosso si guardò attorno con
perplessità, come
cercando in ciò che lo circondava la domanda che gli aveva
fatto.
Poi, d'un tratto, quando chinò gli occhi sul passeggino che
spingeva, e vide il biondo capo di Drake reclinato all'indietro, e i
suoi chiari occhi azzurri che lo scrutavano ridenti ed eccitati,
affettuosi, seppe d'un tratto che quella domanda se l'era portata
dietro per mesi, ininterrottamente. Era la domanda che ogni giorno,
ogni notte si poneva e vedeva riflessa in quegli occhi limpidi.
"Sì, rammento" disse con voce sorda.
Giovanni sorrise appena, alzando lo sguardo. La sera era ora
uniformemente grigia, ma ancora luminosa, e i suoi duri lineamenti
robusti si stagliavano contro quel cielo livido.
"C'è qualcosa che molto spesso non ci ricordiamo"
cominciò. "Qualcosa che a volte ci sembra tanto ovvio, tanto
naturale da non sembrarci nemmeno importante. Mi sono ricordato che
il compito di generare figli è stato demandato a noi. Lo so"
soggiunse, come in risposta al suo sguardo sgomento. "Te l'avevo
detto che sembra ovvio, tanto scontato da essere privo d'importanza.
Ma d'improvviso ho compreso che è questo il punto cruciale,
la
chiave di volta del problema."
"I nostri figli non nascono dal mare, o dalle montagne, o dai
fiori... o da nient'altro. Non li genera Celebi per porgerceli e
affidarceli. Li generiamo noi. Scegliamo noi se generare un figlio, o
più di uno, e quando farlo. È una scelta
demandata a noi, a noi
umani deboli e fallaci. E diventare genitori non ci rende
necessariamente migliori, o infallibili, o saggi. Ci rende solo
responsabili della vita che abbiamo generato... ma non ci fornisce
alcuno strumento per migliorare noi stessi, per aiutarci a non
commettere altri sbagli, a compiere sempre le scelte giuste.
Diventare genitori lascia deboli e sciocchi come siamo sempre
stati... con un peso che non sempre siamo in grado di portare. Io non
lo sono stato" soggiunse, e la sua voce ebbe una profonda
vibrazione dolorosa.
"Ma questo, all'inizio, i nostri figli non lo sanno. Noi padri
specialmente sembriamo sempre belli, invincibili, saggi,
intelligenti... noi siamo tutto: protezione, amore, vita, nutrimento.
Ripongono in noi la massima fiducia, ci vedono come depositari di
ogni potere e facoltà; e il peggiore tradimento che possiamo
compiere nei loro confronti è di non portarli al parco
perché
piove..."
"Ma la loro cecità non dura per sempre, e verrà
sempre, per
tutti, un giorno in cui i nostri figli ci guarderanno negli occhi, e
ci domanderanno: perché hai fatto questo? Non ti
eri reso conto
che era un errore? Come hai potuto farlo? Quel giorno non
potremo
più far finta di essere bravi e forti, bearci della
considerazione
di cui avevamo goduto nei loro occhi... Dovremo confessare tutto
quello che abbiamo fatto. E non ci rimarrà nient'altro da
fare che
chiedere loro di perdonarci, di comprendere che siamo stati umani,
non soltanto per nostra colpa... sperare, finalmente, che ci
perdonino. Ma a loro volta, anche loro sono umani, umani come siamo
noi! E non è detto che essi vogliano, o sappiano perdonarci
per gli
errori che abbiamo fatto; errori che forse, dopotutto, anche loro
compirebbero al posto nostro, o che avrebbero compiuti se noi non
l'avessimo fatto prima di loro..."
"E tuttavia, rimane quello il nostro unico compito, Rosso: tutto
quello che ci resterà da fare, da tentare... è
chiedere perdono e
sperare che i nostri figli siano in grado di darcelo. Forse
è tutto
quello che ho voluto fare io, alla fine."
"Blu ti ha perdonato" disse debolmente Rosso. Non sapeva
quasi cosa dire. Ma Giovanni ebbe un sorriso sardonico.
"Blu ha perdonato anche te, se è per questo. Quasi senza
averla
conosciuta, Blu ha preso da sua madre... qualcosa in più di
ciò che
aveva lei stessa, forse. Anche sua madre ha sempre saputo
perdonare... certo, è giunto il momento in cui le cose da
perdonare
sono diventate imperdonabili, e lei mi ha abbandonato. Al contrario
di lei, Blu ha saputo perdonare anche l'imperdonabile. Blu mi ha
perdonato quando sono tornato..." Rosso si sentì pieno di
vergogna a queste parole, come sentendosi di aver abusato di quella
grande generosità di Blu. Giovanni parve cogliere il suo
disagio.
"Blu ti ama nel modo meno umano che conosco, Rosso. Ha saputo
perdonare i tuoi errori, le tue mancanze, le tue sciocchezze. E lo
stesso ha fatto con me. Non è facile per noi uomini
perdonare,
Rosso. Ma che strana la vita, non è vero, vecchio mio? Nella
mia, ho
generato un figlio meraviglioso, capace di comprendere, amare,
perdonare; e il più potente fra tutti i Pokémon,
una creatura
leggendaria, divina, immortale, ma tanto legata alla terra da essere
totalmente incapace di perdonare..."
Calò il silenzio, finalmente. Pareva che Giovanni fosse
ormai
rassegnato, quasi sollevato dall'aver condiviso con lui quella
conclusione che faticosamente, quasi per miracolo aveva riportato da
quella grotta. Rosso continuò lentamente a camminare, con
gli occhi
chini sul biondo capo di Drake proteso verso gli arbusti e le rocce a
lato della strada... era dunque questo che avrebbe dovuto fare, un
giorno? Guardare suo figlio negli occhi e dirgli tutta la
verità,
tutti i suoi errori, sperando che lo perdonasse, che non lo
disprezzasse...?
"Oh, guarda. Eccolo. Lo vedi?"
La voce di Giovanni gli giunse come da una grande lontananza. Gli
parve immensamente serena. Alzò lo sguardo dal passeggino:
sì,
dall'ombra grigia emergeva una magra figura slanciata, che camminava
con passo leggero ed elastico. Sì, Giovanni aveva ragione,
considerò
dolcemente: l'amore di Blu, la sua capacitù di perdonare,
ancora
poco aveva di umano, di terreno. Chissà se anche Drake
avrebbe
saputo perdonare.
"Pensi che Drake si offenderebbe se lo spingessi io per qualche
metro?"
Benché ormai fosse concentrato e attento, gli parve che
questa
domanda provenisse da una distanza ancora maggiore. Non c'era alcun
dubbio su cosa Giovanni intendesse, allora perché era tanto
sorpreso? Forse, gli disse un angolo remoto della sua mente,
perché
mai Giovanni gli aveva rivolto alcuna richiesta. Sì,
educatamente,
gli aveva chiesto il permesso di entrare in casa, di fermarsi a cena,
di usare il bagno o il telefono; ma non era una semplice
formalità?
Quando, anni prima, una vita prima a dire il vero, gli aveva chiesto
di unirsi a lui e diventare un suo ufficiale, era stato un invito,
quasi una sfida: ma non era mai stata una richiesta. Quella,
inevitabilmente, lo era.
"Penso che ne sarebbe onorato" disse infine. Chissà come,
quelle parole non gli costarono alcuna fatica. Gli lasciò il
passeggino, ritraendosi di qualche passo, e continuarono a
passeggiare lentamente, incontro a Blu, lungo l'ingrigire del giorno.
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Capitolo 6 *** Epilogo. ***
Ora
i miei occhi vedono
perché
vedono te.
Bugo, Ora i miei occhi vedono.
Il giorno in cui Drake compì nove anni, Rosso non si
sentì
immediatamente più vecchio. Al contrario, trascorse una
giornata
piacevolissima con la sua famiglia e nel primo pomeriggio si
occupò
volentieri della festa di compleanno: ricevere gli ospiti,
intrattenere i genitori, sorvegliare i giochi...
Era una bella giornata e i bambini giocarono perlopiù in
giardino,
urlando e rincorrendosi e sporcandosi i vestiti. Rosso li sorvegliava
dalla porta, girandosi pensierosamente in mano un piatto di plastica
ormai vuoto, e sorrideva delle loro urla. Quanto tempo era passato da
quando anche lui aveva giocato agli stessi giochi in quel giardino,
rincorrendosi con Blu?
"Papà, papà, stasera posso andare a dormire dal
nonno? Ha
detto che domattina mi fa vedere i Pokémon del suo parco!"
esclamò a un tratto l'acuta voce di Drake. Sorpreso, Rosso
chinò
gli occhi a incontrare quelli del figlio: era arrivato correndo di
gran carriera dal cancello, dove si stava affacciando in quel momento
Oak. L'anziano professore camminava ormai a passi tardi e lenti,
affaticati, eppure conservava ancora una vitalità
instancabile, una
voglia di vivere, scoprire, indagare... Rosso sollevò una
mano a
salutarlo, prima di chinarsi di nuovo sul figlio: aveva le guance
arrossate per le corse e i giochi, la fronte lucida di sudore, i
biondi capelli come fili sottili, scarmigliati e umidi. Rosso glieli
sistemò con la mano, sorridendo: anche lui, un tempo, era
stato così
impetuoso, dinamico, vivace.
"Certo, Drake. Ora vai ad aiutare tuo nonno e fallo accomodare
in casa, poi torna pure a giocare coi tuoi amici. Io arrivo subito. E
non tormentarlo per sapere se ti ha portato un regalo!" lo
ammonì poi, ma inutilmente: Drake stava già
correndo attraverso il
vialetto, gridando esattamente la frase che Rosso gli aveva appena
raccomandato di non dire.
Scuotendo il capo, Rosso rientrò in casa e andò
al piano superiore
alla ricerca di Blu: era salito da quasi quindici minuti, ma ancora
non era ridisceso. Tuttavia il bagno era vuoto, la loro camera
deserta: dove poteva...
Ma certo. Blu era in piedi, immobile sull'uscio di quella camera:
teneva le braccia incrociate, la spalla appoggiata contro lo stipite
della porta. Era in silenzio: si limitava a osservare la cameretta di
Drake, i poster appesi alle pareti, i mobili verniciati di bianco, il
copriletto con una delicata fantasia di Vileplume e Bellossom, i
costosi giocattoli sugli scaffali, la culla che avevano lasciato,
quando ancora non sapevano se volevano adottare un altro figlio...
"Blu" lo chiamò con un senso lieve d'incertezza: sentiva
di starsi intromettendo in un momento molto delicato. Ma Blu non
parve turbato: voltando leggermente il capo verso di lui, sorrise
appena e tornò a dargli le spalle, forse per nascondere il
naso
arrossato e le palpebre gonfie. "Amore."
In due ampie falcate, Rosso fu al suo fianco e lo avvolse tra le
braccia. Blu non si oppose: affondò interamente nel suo
petto,
sorridendo appena, e levò gli occhi su di lui.
Sì, aveva pianto.
Rosso lo scrutò vivamente.
"Blu, amore... che cosa c'è?"
"Non importa. Solo un po' di malinconia. A te non capita mai?"
"Non in camera di Drake" affermò Rosso seriamente. "Che
cos'hai?"
Blu scosse lentamente il capo: Rosso, che lo conosceva bene, seppe
che stava trattenendo le lacrime. Quando parlò, la sua voce
suonò
leggermente più alta del normale.
"Sono già passati nove anni, Rosso. Tra un anno
vorrà avere il
suo primo Pokémon, partirà per qualche viaggio...
non potremo più
proteggerlo."
"Oh, Blu..." incominciò Rosso, ma subito Blu lo
interruppe: "No, Rosso. Non sono paranoie da mammina
iperprotettiva: è la verità. Quando dico che non
potremo
proteggerlo non mi riferisco ai malintenzionati, agli incidenti...
parlo di lui, delle scelte che potrebbe compiere."
"Drake è un bambino intelligente."
"È tuo figlio" ribatté Blu. Non c'era rancore
nella sua
voce. "È testardo, impetuoso..."
"Non è affatto ambizioso, però." Rosso aveva
capito dove
portava il discorso di Blu, o almeno così gli sembrava. "La
danza gli interessa quasi più dei Pokémon." Era
vero: da
quando Drake aveva insistito per essere iscritto a scuola di danza,
due anni prima, questa era diventata una delle sue più
grandi
passioni. Rosso aveva avuto il sospetto che all'origine di questa sua
scelta vi fosse una graziosa bambina con le trecce nere, ma in ogni
caso Drake adorava veramente ballare.
"Non esiste solo l'ambizione, Rosso" disse Blu. "Ci
sono altre passioni... altri difetti."
Rosso sorrise nei suoi dubbi, intrecciando lentamente le dita nei
suoi capelli. "Hai paura che diventi come me?" domandò
dolcemente. Blu scosse il capo.
"Ho paura che diventi infelice, come sei stato tu" replicò
semplicemente. "Non parlo solo del suo viaggio. Noi non ci
saremo per sempre e non sempre saremo coinvolti nella sua vita. Non
potremo sempre esprimere il nostro parere quando sceglierà a
chi
legare la sua vita, che lavoro fare..."
"Ma Blu" insisté Rosso, afferrando le sue spalle come se
volesse riscuoterlo da questi pensieri "Drake non ha ancora
dieci anni!"
"Appunto, mio caro" mormorò Blu teneramente, come se
questo fosse esattamente il fulcro del problema. "Dieci anni!
Tanto poco l'avremo avuto con noi!"
Dieci anni. Loro stessi ne avevano quasi trenta, li avrebbero
compiuti l'anno seguente: voleva dunque dire che erano trascorsi
quasi vent'anni da quel giorno in cui avevano scelto i loro
Pokémon,
si erano sfidati in quel laboratorio...? Per la prima volta Rosso
vide quei vent'anni incisi, scavati nel volto di Blu; li lesse nella
piccola ruga verticale che gli vide per la prima volta tra gli occhi,
mentre era così accigliato... l'accarezzò
pensierosamente con un
dito. Vent'anni...
"Scendiamo, altrimenti mia madre penserà che ci siamo
appartati, alla nostra età" si costrinse a dire
scherzosamente
nel tentativo di esorcizzare quel pensiero. Anche Blu rise all'idea e
si asciugò per l'ultima volta gli occhi con la mano.
"Giusto, scendiamo."
"A proposito, Drake vorrebbe andare a dormire da tuo nonno
stanotte. Gli ho detto di sì" lo informò mentre
si avviavano
verso le scale. Blu assentì.
"Hai fatto bene. A mio nonno fa bene un po' di compagnia. Ed
è
tanto che noi due non stiamo un po' da soli" soggiunse
superandolo lungo le scale con una risata maliziosa. Rosso ne
sorrise: era tanto che non udiva quella risata.
Anche se la casa del suo bisnonno distava forse cinque minuti e
sarebbe stato di ritorno il giorno seguente, Drake si portò
dietro
come al solito una piccola valigia piena di giocattoli, libri e
vestiti adatti a tutti i climi. Rosso e Blu andarono a salutare lui e
Oak in giardino e Drake li salutò seriamente come se fosse
in
procinto di partire per una piccola guerra.
"Addio, papà: ci rivedremo domani mattina!" furono le sue
ultime parole prima di scomparire aldilà del cancello.
"Chissà da chi ha imparato a parlare così"
commentò Blu
a mezza voce, in tono divertito. Rosso lo guardò sorpreso:
"Da
chi?"
"Ma da te! Non fosti tu a dirmi, quando avevamo undici anni, che
la mia serenità placava il tuo animo avido e ambizioso o
qualcosa
del genere?" lo rimbeccò Blu ridendo apertamente. Neppure
Rosso
poté trattenersi dal ridere a quel ricordo, quello dei suoi
discorsi
infantili elevati e altisonanti. Gli diede una pacca sul sedere e Blu
si scostò divertito da lui, apprestandosi a rientrare in
casa.
"Vado dentro a sistemare un po' di quegli avanzi. Tu vieni?"
"Arrivo tra un minuto" rispose Rosso distrattamente. Blu
rientrò in casa socchiudendo la porta.
Era una serata calda, piacevolmente ventilata. Immobile sul vialetto,
Rosso inspirò profondamente quell'aria tiepida e profumata,
l'aria
della sua casa a Biancavilla, e quasi per un'abitudine
lasciò vagare
lo sguardo sull'orizzonte. Quella sera l'aria era limpida, ogni cosa
aveva un contorno nitido, nettamente definito. Si vedeva anche,
piccolissima a quella distanza, la cima della Torre dell'Avvento -
così era stata chiamata l'elevata Torre che Missingno aveva
innalzato per celebrare l'inizio della sua Età dell'oro.
Quella sera
Rosso v'infisse lo sguardo con particolare fissità: per
qualche
motivo, aveva sempre sentito quell'edificio come la risposta a ogni
suo affanno.
"Avvento di Missingno" ripeté tra
sé, rievocando
le parole che su quella Torre erano incise. Erano davvero trascorsi
dieci anni da quel giorno in cui Luisa gli aveva descritto il vero
significato della sua maledizione, gli aveva spiegato che il suo
sacrificio l'aveva portata a salvare il mondo intero dal destino che
Celebi, senza volere, aveva imposto a tutti compiendo il peccato
originale? Sorrise pensierosamente, riflettendo su quell'idea che gli
era balenata in mente nel momento in cui Blu gli aveva confidato i
suoi timori sul futuro di Drake. Ecco, concluse finalmente levando
gli occhi su quella Torre, quella sera, dopo anni, aveva compreso
qual era veramente il dono che Missingno gli aveva fatto per
ripagarlo di tutti i suoi dolori, come gli aveva promesso nella
Città
dei Numeri: era lo stesso dono che aveva fatto a tutta
l'umanità, ma
lui solo, ancora, sembrava esserne consapevole. Missingno gli aveva
permesso di liberare suo figlio, facendolo contribuire al supremo
atto di redenzione compiuto da Luisa, e mai nessun dono, nessun
risarcimento al mondo avrebbe potuto costituire per lui maggiore
fonte di felicità in quel momento. Drake sarebbe stato
veramente
libero anche grazie a lui, che libero non era stato. Ne era valsa la
pena, dunque, di perdere dieci anni di vita, per poter vivere e
morire sapendo di aver lasciato in eredità a suo figlio non
un
destino inestricabile, ma un'infinita libertà...
Per la prima volta in vita sua, quella sera Rosso fu grato a
Missingno per averlo scelto per quella missione. Levando la mano in
direzione della Torre, egli finalmente si riconciliò con lui
e poté
salutarlo come un vecchio amico. E poiché egli sapeva che
Missingno
è in tutti i luoghi e in tutte le cose, non ebbe bisogno di
essere
troppo vicino alla Torre per percepire la sua risposta: era il dolce
frusciare del vento, era la serenità che prese le sue
membra, era la
risposta che poteva dare al suo uomo.
Rientrò lentamente in casa. Trovò Blu in cucina,
intendo a
sistemare gli avanzi della festa del pomeriggio nel minor numero
possibile di contenitori. Scivolò in silenzio alle sue
spalle e
circondò con le braccia la sua vita sottile. Blu
sobbalzò per la
sorpresa, ma rise quando sentì le sue braccia avvolgerlo e
poggiò
quello che aveva in mano. "Oh, Rosso..."
"Blu" mormorò Rosso, affondando il volto nell'incavo del
suo collo. "Ho capito."
"Capito cosa?"
"Che Drake è libero, Blu. Che tutto ciò che
farà, lo farà
non per un destino impostogli, ma perché lo avrà
scelto
liberamente. E che tutto ciò che noi potevamo fare l'abbiamo
fatto,
nel miglior modo possibile: l'abbiamo allevato, educato secondo i
nostri valori. Non ci era possibile nulla di più."
"E quindi?" chiese Blu con calma. Facendo leva sui suoi
fianchi, Rosso lo fece voltare verso di sé e infisse lo
sguardo in
quelle iridi azzurre soavemente amate. Scorse di nuovo tra i suoi
occhi quella piccola ruga verticale, dolorosa, e la baciò.
In quel
momento sentiva che non avrebbe potuto amare nulla di più di
quella
ruga accigliata.
"Da un certo momento in poi non ci sarà più nulla
che potremo
fare per Drake, se non rimanere qui, esserci sempre se avrà
bisogno
di noi, pregare che non gli accada nulla e che sia sempre felice. Non
potremo dargli nulla di più di noi stessi, del nostro amore
incondizionato... so che non è nulla di più di
quello che mi hai
detto tu oggi pomeriggio" soggiunse vedendo un'ombra di
melanconia nei suoi occhi "Ma è questa la verità,
Blu. Nessuno
può garantire per la felicità di Drake. Tuttavia..."
"Tuttavia?"
"Tuttavia io ti prometto che Drake sarà veramente libero. E
ti
prometto anche che se dovremo rimanere qui, soli, ad aspettare che
ritorni o che ci dia sue notizie, o che ci telefoni una volta
all'anno dalla sommità di un monte dove si è
ritirato per
allenarsi" proseguì con una lieve nota ilare nella voce "Io
attenderò con te vicino a quel telefono, per tutta la vita,
se sarà
necessario."
Per un attimo Blu chinò gli occhi confuso a queste parole:
non
sembrava che fosse quella la risposta che voleva da Rosso. Ma dopo un
momento levò di nuovo lo sguardo e sorrise.
"Grazie" mormorò cingendogli il collo con le braccia. "E
chi te lo ha detto che Drake sarà libero? È uno
di quei discorsi
filosofici che fate tu e mio padre quando io non ci sono?"
chiese poi in tono canzonatorio. Rosso sorrise: "Più o meno."
"A proposito, viene domani a cena."
"Nessun problema" commentò Rosso distrattamente, facendo
per allontanarsi a questo punto dalla stretta delle sue braccia. Ma
Blu non sembrava affatto intenzionato a lasciarlo andare: era
stupefacente quanta forza potessero esercitare le sue braccia magre
quando si stringevano per abbracciarlo. A Rosso piaceva quella forza:
gli pareva che fosse l'espressione fisica della grande dolcezza del
suo cuore. Perciò rimase tra le sue braccia e lo strinse
ancor più
a sé.
"Rosso..."
"Sì?"
"Ti amo ancora come tanto tempo fa."
Rosso sorrise. Aveva affondato il volto nei capelli di Blu, quei
riccioli rossi che gli parevano emanare un profumo meraviglioso, il
profumo della sua casa. "Ti ho amato un po' di più per ogni
giorno che abbiamo trascorso."
Blu lo guardò dolcemente. "Allora spero che mi ami davvero
tanto. Abbiamo quasi trent'anni, Rosso. Sto cominciando a sentirmi
incredibilmente vecchio. Anche tu ti senti più vecchio?"
Sì, qualche volta si sentiva vecchio. Tuttavia
provò a minimizzare:
"Mi sento più maturo."
La meravigliosa risata di Blu, cristallina, immutabile, liberatoria.
"Smettila! Stiamo invecchiando tutti e due. Scommetto che non
saresti più in grado di portarmi al piano di sopra in
braccio come
hai fatto la prima volta..."
Blu sapeva perfettamente che Rosso non poteva resistere a una sfida
lanciatagli.
Drake aveva adorato l'idea del campeggio in giardino sin dal momento
in cui Rosso gliel'aveva proposta. Quel pomeriggio Blu era partito
alla volta della Lega Pokémon per presenziarvi come
Capopalestra:
Rosso, che forse ipocritamente detestava i giorni e le notti che
trascorrevano divisi, come ogni anno l'aveva lasciato andare con un
velo di malinconia, ma sforzandosi di non farglielo notare, e
semplicemente gli aveva ricordato di invitare a cena Luisa e i suoi
fratelli il prima possibile. Tuttavia quell'anno reputava di aver
avuto davvero una buona idea per ignorare quel senso di vuoto
destinato a durare pochissimi giorni, e soprattutto per farlo
superare meglio anche a Drake.
Avevano riesumato la sua vecchia canadese blu e l'avevano montata sul
prato al tramonto. Avevano mangiato carne alla brace nel giardino
ammantato d'ombra e, anche se non era neppure la prima volta che
usavano il barbecue quell'estate, il cibo aveva davvero un sapore
migliore se consumato in "campeggio". Poi, circondati dalle
lucciole, avevano parlato a lungo nella notte, con voci
progressivamente più basse e più simili a fruscii
via via che tutte
le luci, a Biancavilla, si spegnevano. Quando divenne troppo tardi e
troppo freddo, si spostarono all'interno della piccola tenda e
continuarono a parlare ancora più a lungo, al buio, stretti
l'uno
all'altro nel sacco a pelo.
"Papà, mi racconti perché sei salito sul Monte
Argento?"
"Oh, Drake, ma te l'ho raccontato centinaia di volte!"
"Dai papà, per favore..."
Al buio, Rosso non poteva vedere Drake, eppure riusciva a immaginarsi
perfettamente il suo volto pallido e lentigginoso tutto speranzoso e
ansioso di sentire per l'ennesima volta la sua storia preferita, con
gli occhi pesanti di sonno. Certo, Drake sapeva più o meno
tutto
della vita dei suoi genitori: sapeva vagamente che lui aveva vissuto
grandi avventure, aveva sconfitto l'impero di suo nonno, era stato
considerato per anni un allenatore invincibile e quasi leggendario,
vivendo in isolamento sulle cime del Monte Argento... sapeva che lui
e Blu erano rimasti separati per anni prima di tornare insieme e
adottarlo, ma lo sapeva come una semplice curiosità, come
una
sciocchezza tra adulti, e nulla di più. Conosceva anche la
follia di
Rosso, la sua ambizione, non nei dettagli, certamente, ma la vedeva
come una grande qualità eroica del suo papà.
Nessun significato
avevano per lui quei dieci anni trascorsi in completa solitudine:
dieci anni erano un tempo tanto lungo per lui da non essere nemmeno
concepibile, un po' come quando diceva: cento milioni di
miliardi
di milioni di miliardi di anni. Un tempo tanto lungo da non
essere niente, insomma.
Così Rosso gli raccontò di nuovo della sua
ambizione, della
leggenda della Prescelta Creatura, della sua volontà di
diventare
realmente invincibile... Drake lo ascoltava nell'oscurità
col fiato
sospeso: la sua parte preferita era quando lui scalava per la prima
volta il pendio ripido del monte.
"Papà, ma c'erano gli Ursaring?"
"Già, c'erano anche degli Ursaring" spiegò Rosso
per
l'ennesima volta.
"E anche i Misdreavus?"
"Certo. Un sacco di Misdreavus." Drake adorava i
Misdreavus. Rosso doveva trattenersi all'idea di rivelargli quale
regalo avesse in serbo il professor Oak per il suo prossimo
compleanno e ci riusciva solo pensando a quale stupore si sarebbe
dipinto sul suo volto alla vista di quel Misdreavus shiny...
"Ma tu non avevi paura?"
Questa domanda era nuova. Rosso fece una pausa prima di rispondere:
"Sì, qualche volta ho avuto paura."
"E non avresti mai voluto tornare a casa?"
Come dirgli che tornare a casa era il suo più grande
desiderio, ma
tornarvi da vincitore, da Prescelta Creatura, col consenso di Ho-Oh,
col beneplacito di Missingno? Nell'oscurità di quella tenda,
Rosso
rivide la sommità estrema della montagna dove solo lui aveva
osato
mai spingersi: da quella cima, da quella guglia rocciosa elevata
verso l'infinito, nei suoi momenti di pazzia, Rosso si era scagliato
contro il cielo, urlandogli la sua rabbia e la sua disperazione,
disperatamente desiderando gli occhi di Blu, ma sempre senza poter
rinunciare alla tragica fatalità di dover compiere la
maledizione di
Missingno. Da quella cima, quando follemente si era sentito
invincibile, aveva furiosamente urlato contro il cielo che era lui la
Prescelta Creatura, che era il più forte del mondo; da
quella cima,
finalmente, disperatamente aveva pregato e pianto, supplicato e
implorato Ho-Oh di discendere a lui, di riconoscerlo, aiutarlo,
salvarlo; aveva pregato Celebi, non osando nominare il nome di
Missingno per timore di udire ancora la sua voce, di sciogliere le
sue catene, di dargli la forza di tornare a casa.
"Certo, molte volte."
La voce di Drake cominciava a farsi più lenta e impastata di
sonno.
"E allora perché non sei tornato?"
Intuendo che stava per addormentarsi, Rosso lo fece sistemare meglio
col capo sul proprio petto, prima di rispondere molto lentamente.
"Perché ero troppo ambizioso, perché non
m'importava di niente
e di nessuno, fuori che del mio sogno. Perché..."
Ma Drake si era addormentato. Rosso rimase immobile ancora a lungo,
accarezzando con la mano i suoi sottili capelli biondi, con lo
sguardo infisso nel tessuto scuro della tenda sopra di lui. Attorno a
loro, fuori da quella tenda, la notte era silente e immota. Drake gli
aveva appena posto la domanda che da sempre paventava da lui, ma
ancora non si era reso conto dell'importanza di quella domanda,
né
delle implicazioni della sua risposta.
Un giorno forse non troppo lontano, un Drake più alto,
più adulto,
con gli stessi limpidi occhi azzurri gli avrebbe probabilmente fatto
la stessa domanda e non si sarebbe più accontentato di
quella
risposta solamente. Quel giorno Rosso avrebbe dovuto parlare molto
più a lungo, dare molti più dettagli, dire infine
ad alta voce
quella verità che profondamente l'aveva tormentato in quei
lunghi
anni, che ancora non aveva avuto il coraggio di rivelare a nessuno
sebbene tutti, probabilmente, la sapessero già; la
verità che gli
faceva bruciare la gola e gli occhi se appena provava a mormorarla...
"Neppure per te sarei tornato, Drake."
Sentì una lacrima bruciagli all'angolo dell'occhio e se
l'asciugò
piano, attento a non svegliare il suo bambino addormentato. Un
giorno, si disse stringendosi ancor più Drake al petto, gli
avrebbe
rivelato anche quella verità guardandolo negli occhi,
fronteggiando
la sua reazione... e confidava che quel giorno suo figlio l'avrebbe
compreso e perdonato, finalmente.
Fine.
È
per me quasi un dolore finire questa storia, dopo avervi lavorato per
quasi un anno, anzi di più. Tuttavia, tutte le cose devono
finire, e
devo dire che non potrei essere più soddisfatta di questo
epilogo.
Dopo aver provato a scriverlo per mesi e mesi, ieri sera ho avuto
un'illuminazione improvvisa: ho cambiato completamente l'idea
iniziale e l'ho buttato giù tutto d'un fiato. E lo
preferisco così.
Non
so se qualcuno starà ancora seguendo questa storia a
distanza di
mesi dall'ultima pubblicazione; in ogni caso, come mio solito, tengo
a fare i dovuti ringraziamenti.
Un
sentito grazie ad Animalia1Dfan, cristal_93, Giandra, Linnea, Marie
Claire, Sky98 per aver aggiunto la storia ai Preferiti; grazie a
DanaYume, Linnea, pikaendpichu98 per averla aggiunta alle Seguite;
grazie a pikaendpichu98,cristal_93, Sky98 e Fiulopis per le cortesi
recensioni.
Aggiungo
un sentito ringraziamento personale a Fiulopis per il suo continuo
sostegno personale. La parte in cui Rosso e Blu discutono sul modo di
parlare di Drake la dedico ovviamente a lei, che mi rinfaccia questo
aspetto della storia da quando ho postato Storia
di Rosso e di Blu.
In
generale, grazie vivamente a tutti anche solo per essere giunti fin
qui, per avermi sostenuta e letta durante tutta la pubblicazione
della mia Saga.
A
presto!
Afaneia
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