The Six Deamons- Smell of Cherry

di I m a witch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


DISCLAIMER: tutti i personaggi di questa storia mi appartengono e sono frutto della mia fantasta. Eventuali somiglianze con fatti e/o persono sono meramente casuali.




The Six Deamons
-Smell of Cherry-
 
 
Capitolo 1
 
 
Era notte fonda, ormai, e le luci dei fari delle macchine illuminavano con irregolare intermittenza l’interno della nostra cuccetta, terza del corridoio a sinistra del tour bus a due piani.
Accanto a me, come sempre, c’era la ragione principale per cui mi ostinavo a compiere quegli estenuanti e frenetici viaggi: Jason Griffiths, meglio conosciuto dai nostri fan con il nome di Deamon J o semplicemente J. Membro fondatore, insieme a me e a Ryan Allen, il nostro bassista, dei Six Deamons.
Era senza dubbio il chitarrista più discusso, amato, odiato e idolatrato del momento, nel mondo del metal. Il suo talento era innegabile, così come il suo fascino da bello e dannato. Lineamenti regolari con un ché di nobile, mascella squadrata adombrata da un piccolo pizzetto, capelli neri lunghi, corpo perfettamente scolpito ricoperto di tatuaggi di demoni, occhi ghiaccio da perderci la testa dentro.
Sorrisi tra me e me, pensando che l’amore passionale tra il chitarrista e la cantante di un gruppo metal fosse uno dei più banali cliché in cui potessimo incappare.
«Mi stai fissando» borbottò, con voce roca.
Sorrisi.
«Lo so»
Lo baciai a lungo, con impegno e passione, tanto per rimarcare il concetto che lui era solo mio, e non di quelle miliardi di fan in giro per il mondo che lo sognavano ogni notte, immaginando milleuno modi in cui avrebbero potuto incontrarlo, ammaliarlo e uccidermi per poter finalmente stare con l’ambito oggetto del desiderio.
Con scatto agile si impose su di me, approfondendo il bacio.
«Dov’è il bottone per spegnerti, Alice?»
«Se vuoi cercalo dove ti pare, anche se sono anni che ci provi…» sorrisi, piena di allusioni più o meno sottintese.
Jason sospirò, cadendomi pesantemente addosso, senza più riuscire a sostenersi sulle proprie braccia.
«Sono distrutto, sai? Questa sera il concerto è stato particolarmente pesante» si lamentò.
Sorrisi comprensiva, accarezzandogli dolcemente i lunghi capelli.
«Forse non è stato il concerto in sé, ma il fatto che sono tre mesi, ormai, che giriamo il mondo. Non è facile esibirsi una sera sì e una no e nel mentre spostarsi, montare palchi, accordare strumenti, far fronte ai vari imprevisti, promuovere il nuovo album, cercare di non deludere i fan…» sospirai.
Dovevo ammettere che anche io ero particolarmente stanca. Per quanto andassi avanti a furia di riscaldamenti e gargarismi, la mia gola stava risentendo parecchio di quei mesi di sforzi e sempre più spesso iniziava a farmi male. Fortunatamente durante i live potevo contare sull’appoggio di Ian, nostro tastierista nonché seconda voce. Tutto ciò, però, non bastava a farmi rilassare. Jason dovette capirlo, dato che prese ad accarezzarmi lentamente un fianco.
«Cielo, menomale che manca solo un mese alla fine del tour… e sai che faremo, una volta a casa?» chiese, trovando la forza per sollevare la testa e guardarmi con un gran sorriso sornione.
«Cosa?» chiesi, fingendo di non capire.
«Ci riposeremo, dormendo ventiquattro ore di fila…» disse, beato.
Lo guardai con faccia teatralmente delusa, facendolo ridere.
«E ci daremo dentro, anche» assicurò, baciandomi «con del buono e sano sesso»
«Mi piace il tuo programma, sai?»
«Vuoi sapere un’altra cosa che mi piacerebbe fare?» chiese ancora, con espressione seria «Sposarti… ti va?»
Persi un battito.
Stavamo assieme da… quanto, ormai? Otto anni, anno più, anno meno? Senza contare che ci conoscevamo già da molto prima, fin dall’asilo.
«Dici sul serio?» chiesi, non riuscendo a credere alle mie orecchie.
«Sì, sul serio» affondò la testa tra i miei seni e capii che lo fece per nascondere quel lieve rossore che avevo captato, un istante prima «So che non sono cose da proporre alle tre di notte, pressoché nudi, all’interno di una minuscola cuccetta di un tour bus in viaggio da mesi, pieno di omaccioni tatuati… e che quel “ti va?” sarebbe più adatto ad un invito al cinema…» si ammutolì, restando immobile in quella posizione.
Nonostante il suo aspetto da duro e il suo fisico imponente, in quel momento faceva una tenerezza infinita. Gli sollevai il viso per il mento, perdendomi nei suoi occhi profondi.
Cos’era che vi si agitava dentro… paura? Temeva forse un rifiuto?
«Senza contare il fatto che non vedo il mio anello» sorrisi, cercando di sdrammatizzare.
Non si tranquillizzò, anzi.
«Cazzo, che stupido… forse avrei dovuto prenderlo prima, ma eravamo già in viaggio e, sai, non tutti gli autogrill hanno annessa una gioielleria vicino ai bagni pubblici e ai bar scadenti…!»
«Potevi prendermene uno da quei distributori di giochini idioti, hai presente? A volte li hanno, e anche di mille colori!» proposi.
Mise il broncio.
«Fai la seria, per una volta! Non hai risposto»
Lo baciai.
«Non c’è bisogno di rispondere… sai meglio di me che è un sì, con o senza anello»
Mi baciò con trasporto, prendendomi il viso tra le mani.
«Non sai quanto sono… cielo! Ti amo» farneticò, tra un bacio e l’altro.
«Anche io sono felice e ti amo» risi.
Era il momento più bello della mia vita. Avrei potuto mettermi a saltare, urlare e…
Dei colpi secchi fecero tremare la parete nord della nostra cuccetta, facendoci sobbalzare.
«La piantate?! C’è gente che vuole dormire!» sbraitò Cam, nostro vicino di cuccetta, nonché batterista del gruppo.
«Ha detto sì!» gridò Jason, e in quel momento capii che ero l’unica a non aver saputo nulla della proposta, fino a quel momento… prevedibile!
«Oh, finalmente, che cazzo! Congratulazioni! Ora dormite, piccioncini, o avrete un testimone in meno!»
«Scusa, fratello, non faremo più casino!»
«Cosa? Hai già scelto i testimoni?» bisbigliai, ridacchiando.
Fece spallucce.
«Non appena l’ho detto ai ragazzi, si sono subito proposti di farmi da testimoni… sai benissimo come sono quando vogliono qualcosa, no? Non potevo certo rifiutare!»
Risi, immaginandomi le facce supplichevoli dei quattro.
«Sì, in effetti...! Non vedo l’ora di dirlo a Tracy!»
«Probabilmente glielo avrà già detto Ian, anche se ho raccomandato loro di tenere le bocche chiuse. Ora dormiamo, non scateniamo le ire del terribile Deamon C… quello lì ci prende a bacchettate in testa, parola mia!»
«Oh, è solo nervoso perché stasera non ha trovato nessuna da portarsi a letto»
Jason ridacchiò.
«Buonanotte, futura signora Griffiths!»
«Buonanotte!» sorrisi, felice.



Il giorno dopo annunciammo la notizia al gruppo e allo staff. Festeggiammo in piena regola con dello champagne, tra un impegno e l’altro.
«Sono così felice per voi!» mi abbracciò Tracy, con i suoi soliti gridolini concitati. Ricambiai l’abbraccio, felice, al quale si unirono anche i miei compagni di band.
«Ora, però, non privilegiarlo solo perché sarà tuo marito…!» sbottò la nostra chitarra ritmica, Steve, scompigliandomi i capelli.
«Non ti preoccupare, continuerò a maltrattarvi senza distinzioni!» risposi, dandogli un pugno sulla gigantesca spalla tatuata.
Erano tutti così, i miei uomini: grandi e grossi come armadi, ricoperti di tatuaggi, facce da duri ma dolci e iperattivi come solo loro sapevano essere.
La mia famiglia, pensai orgogliosa.
«Adesso tocca a te, Ian!» insinuò Jason, dandogli una pacca sulla schiena.
L’interessato arrossì, ricevendo il dolce broncio di Tracy in risposta, al ché la fissò intenerito.
«Presto o tardi, immagino» sorrise, abbracciandola, tra i fischi generali.
Jason mi avvolse i fianchi con le braccia, appoggiando il viso sui miei capelli blu notte.
«Ascoltate un momento, per favore» disse, serio «Vi prego di non far parola del matrimonio con nessuno, almeno fino a nuovo ordine»
Girai la testa verso di lui, osservandolo sorpresa.
«Perché? Hai forse paura di spezzare il cuore delle tue fan?»
Lo vidi sollevare gli occhi, esasperato.
«Non potrebbe fregarmene di meno» sbottò.
Odiava quando insinuavo un qualche rapporto tra lui e le sue fan. Mi aveva detto più volte, anche in passato, che non aveva alcun interesse sentimentale e/o sessuale verso di loro. Per di più non mi aveva mai dato modo di essere sospettosa, gelosa o isterica, quale puntualmente invece mi rivelavo ogni qualvolta che, gironzolando su internet, trovavo interventi abbastanza scottanti su di lui, nonché esplicite fantasie erotiche. Era una battaglia ancora aperta, tra noi, ma ormai avevo imparato a conviverci, mio malgrado: era il rovescio della medaglia, e poi anche su di me venivano fatti interventi piccanti in rete, così come sugli altri. Eravamo tutti delle rockstar, in fondo, e tutti noi eravamo una succulenta attrazione.
«E allora..?» chiesi, attendendo spiegazioni.
«E allora voglio solo evitare l’accanimento mediatico che si creerebbe intorno a una notizia del genere. Siamo già tutti molto stanchi e stressati, l’ultima cosa che ci serve è far fronte anche a giornalisti insistenti e paparazzi»
Riflettei sulle sue parole, osservando la mia band.
Ian e Tracy, più che abbracciarsi, sembravano sorreggere l’uno il peso dell’altra; Cam era buttato su un divanetto, appoggiato a un Ryan dalle occhiaie preoccupanti; infine Steve era ancora in piedi, ma sembrava visibilmente dimagrito, anche se non avrebbe ammesso di essere stanco nemmeno di fronte a Dio. Per non parlare di tecnici, roadie e tutti gli altri membri dello staff, ormai sull’orlo di crisi isteriche. Inutile parlare di me e Jason, poi: non avevamo più nemmeno la forza di fare sesso.
«Ha ragione» concordò Ryan, stiracchiandosi «Sarebbe meglio riprenderci dal tour, prima di affrontare gli squali della stampa»
Sospirai.
«Bene, allora è deciso. Bruce, quanto manca per Londra?» gridai all’autista.
«Circa tre ore»
Iniziammo a organizzarci per la millesima volta in vista del concerto, calcolando effetti, scaletta, orari e posizioni.
Con nostalgia, ricordai il giorno di sette anni fa in cui decidemmo di fondare la band, nel garage di casa mia. Eravamo io, Jason e Ryan, inizialmente The Three Deamons, essendo in tre, sebbene per poco. Si aggiunsero in seguito Cam, con la sua potente batteria, Ian, con i suoi effetti alla tastiera e la sua voce in sottofondo che resero unici il nostro stile, e infine Steve, da subito in perfetta simbiosi con Jason. Diventammo così The Six Deamons, ognuno col proprio nome in codice: Deamon J, Deamon A, Deamon R, Deamon C, Deamon I, Deamon S, semplicemente J.A.R.C.I.S. Jarcis. Era così che i nostri fan ci chiamavano, in gergo, quasi come fossimo una cosa sola, ed era davvero così.
All’inizio eravamo soltanto dei diciottenni con un vago sogno da raggiungere, senza nemmeno avere minimamente idea di cosa comportasse realmente quel sogno. Pensavamo fosse tutta un’avventura, arricchita da viaggi intorno al mondo, soldi, droga, alcol e puttane. Forse all’inizio era davvero così, ma tutti ci rendemmo subito conto che, in realtà, era molto di più, che avevamo sulle spalle la responsabilità del Presidente degli Stati Uniti, visto che su di noi, sulla nostra musica, facevano affidamento milioni di persone in tutto il mondo.
Potrebbe sembrare un concetto esagerato, ma era così. Quando la realtà si parò davanti a noi per quello che era, era ormai troppo tardi per poterci tirare indietro. Potevamo solo andare avanti, sempre avanti, qualunque cosa fosse successa…
Jason mi tenne stretta per tutto il tempo, aumentando la presa di tanto in tanto.
Mi lasciai cullare: ce l’avremmo fatta a finire quel dannato tour, ne ero certa.
 
 
I riflettori ci abbagliavano, rendendo a malapena visibili le quasi sedicimila persone urlanti presenti al concerto. Faceva caldo, l’estate londinese era davvero umida e afosa, anche se nulla paragonata a quella della nostra terra natia, l’Arizona.
I miei capelli blu restavano appiccicati alla fronte, ricoprendo scomposti l’intera lunghezza della mia schiena, ma continuavo imperterrita a saltare da una punta all’altra del palco, ad incitare sempre più la folla, a fare headbanging tra una strofa e l’altra, scatenando sempre più l’isteria dei nostri fan.
Amavo cantare, amavo il palco, amavo la sensazione dei miei vestiti di pelle attaccati addosso dal sudore, amavo i miei fan e la complicità con i miei compagni.
Di tanto in tanto andavo da Ian, duettando una parte con lui, per poi passare da Steve e Ryan per un piccolo sketch comico. Durante l’assolo andavo da Cam, incoraggiandolo a darci dentro sulle pelli, per poi guardare provocante Jason. Era un cazzo di dio, con quella chitarra in mano, la matita nera degli occhi sbavata, la maglietta dei Pantera, sudata, aderiva al petto e rendeva ogni suo muscolo ancora più attraente.
Ci lanciammo uno sguardo d’intesa: quella notte non ci sarebbe stato alcuno spazio per la stanchezza.
Ad un certo punto sentii una strana sensazione addosso, come una pugnalata in pieno petto.
Persi il ritmo delle parole, le dimenticai quasi, pur avendolo scritto io, quel testo: Scary falls, una delle nostre canzoni più famose, il mio principale motivo d’orgoglio. In quel momento sembrava non l’avessi nemmeno mai sentita prima.
Ian mi lanciò un’occhiata preoccupata, correndo subito in mio aiuto, urlando e cantando sul proprio microfono per supplire la mia voce.
Mi portai una mano alla gola: era successo qualcosa alle corde vocali? No, la voce c’era ancora: era il fiato, a mancare. Era come se qualcuno me lo stesse succhiando via, a poco a poco. Spostai terrorizzata lo sguardo su Jason, in cerca di aiuto, ma non trovai nulla se non i sui occhi improvvisamente assenti. Fissava un indefinito punto del pubblico, suonando la propria chitarra con gesti ritmici e meccanici, totalmente privi della sua solita passione.
Cosa gli era preso?
Capendo che qualcosa non andava, a fine canzone le luci si spensero e alcuni dello staff corsero sul palco, tra cui anche Tracy.
«Alice, stai bene?» chiese, preoccupata.
Tutti mi furono subito addosso, così come i ragazzi, preoccupati da quell’improvviso calo che mai era capitato prima d’allora.
Cercai Jason con lo sguardo, trovandolo fermo nella medesima posizione di poco prima.
«Allora, Alice?»
«Sì… scusate, sarà stato un brutto scherzo della stanchezza» risposi, cercando di convincere più me stessa che loro, dato che insistevano già per chiamare un medico.
«Non mi serve un cazzo di dottore!» gridai «Finiamo lo spettacolo e torniamo sul bus»
La folla continuava a gridare “Deamons! Deamons!”: sapevo che il nostro tempo di tregua era già finito da un po’.
Lo staff si affrettò a ritirarsi nel backstage e noi tornammo ai nostri posti.
«Jason..?» tentai di chiamarlo, ma era troppo tardi. I riflettori si accesero su di noi, rigettandoci in quell’Olimpo delle rockstar in cui non era permesso mostrare tracce di debolezza.
Distolsi lo sguardo da lui, cercando di ritrovare la sicurezza per un attimo perduta, dicendomi che avremmo risolto ogni problema a fine concerto.
The show must go on, no?
Riuscii a ricostruire la mia maschera da dura, quella maschera da dea della notte e della musica che mi ero sapientemente costruita in tutti quegli anni, la maschera di Deamon A. Ignorando quella fitta ancora persistente sul petto, continuai a cantare con più ardore di prima, mandando letteralmente in visibilio ogni persona presente in quello stadio. Li sentivo cantare ogni parola delle nostre canzoni, osannare ogni nostra mossa, gridare ad ogni assolo.
Mi girai verso Jason, ma la sua espressione era immutata. Vidi Steve andare da lui, cercare con più discrezione possibile di capire che cosa gli fosse preso: niente da fare. Jason ignorava tutto e tutti, perso nel suo mondo.
Per un attimo temetti che si fosse fatto una striscia, prima del concerto, per poi negarmelo categoricamente. No, non era possibile. Aveva chiuso con la droga da anni, ormai. Tutti noi avevamo chiuso con la droga. Eppure gli effetti sembravano gli stessi di qualche sostanza stupefacente.
«Grazie, Londra! Ci vediamo la prossima volta!» gridai sul microfono, concludendo lo spettacolo.
I fuochi brillarono fulgidi per quell’ultimo minuto, accompagnati dal giro di chiusura dei ragazzi. Poi tutto finì così come era iniziato, con il buio assoluto a proteggerci da ulteriori sguardi.
«Jason!» mi fiondai verso di lui, ma era già sparito.
«Bel concerto, ragazzi, alla fine vi siete ripresi!» sorrise Tracy, correndo ad avvolgere le proprie braccia attorno a Ian.
Il tastierista, però, sapeva che ancora qualcosa non andava, così come lo sapeva il resto della band.
«Si può sapere che succede?» chiese Jon, il nostro manager «Alice, allora?»
«Non lo so» mormorai «Dov’è Jason?»
 
 
Lo cercammo dappertutto per una buona mezz’ora, ma sembrava essere sparito nel nulla.
Come poteva un uomo di quasi due metri sparire in uno spazio così piccolo come il nostro backstage nel giro di tre secondi?!
L’ansia era a mille: non facevo altro che correre per i camerini, le postazioni trucco, aggirandomi come un’anima in pena. Le lacrime scendevano automaticamente sulle mie guance, per quanto cercassi di ricacciarle indietro con forza.
La mia mente elaborava mille scenari, da un crollo emotivo improvviso ad un attentato alla Dimebag Darrell. Qualunque cosa gli stesse succedendo in quel momento, avvertivo con ogni fibra del mio essere che Jason aveva bisogno di me, e io non ero al suo fianco.
«Calmati, Alice, lo troveremo» disse Ryan, prendendomi tra le sue braccia. Iniziò ad accarezzarmi la schiena, per tranquillizzarmi. L’aveva sempre fatto: era il mio migliore amico da sempre. Mi aggrappai ai suoi lunghi capelli biondi, sul rossiccio, resi più scuri dal sudore.
«Non l’hai visto, Ryan? Ho paura!» piansi sul suo petto, riuscendo a malapena a parlare.
«Paura di cosa?» cercò di scherzare, ma anche la sua voce era tesa come corde di un violino.
«Ho paura che… che sia ricaduto nel vortice, capisci? Che si sia fatto di coca, prima del concerto… che qualcosa stia andando storto, che ora, magari, è chissà in quale angolo in overdose e…» non riuscii a completare.
«Non dire cazzate, sai che non farebbe mai niente del genere!» negò categoricamente lui.
«Ragazzi» ci chiamò Cam, con viso terreo «l’abbiamo trovato»
Il sollievo sul mio volto venne subito ucciso dallo sguardo del mio batterista.
«Cos’è successo?» chiesi, con voce talmente profonda da non sembrare nemmeno la mia.
«Alice…» cercò di intervenire Steve, con un’espressione altrettanto sconvolta in viso.
«Dov’è?»
«Io non ti consiglio di andare a vederlo, in questo momento»
Dio, era come pensavo?!
Mi sentivo impazzire.
«Qualcuno mi può dire che cazzo sta succedendo?!» urlai, liberandomi a suon di pugni dalle braccia di Ryan «Che cazzo ha fatto? Dov’è? Si è tagliato le vene, è in crisi, è in overdose, è…» non riuscii a dire quella parola, coprendomi il viso con le mani.
Non riuscivo nemmeno a pensare all’ipotesi che lui fosse… morto.
«Sta bene, purtroppo» disse cupa Tracy, incazzata come mai. Ian cercava di calmarla, ma la ragazza venne verso di me in preda alla collera.
«Che significa “purtroppo”?!» chiesi, fuori di me.
«Cazzo, Alice, è nel tourbus, nella sua cuccetta, quel verme schifoso… va da lui e ammazzalo, Cristo!» urlò la mia migliore amica, pestando i piedi per terra.
Un terribile sospetto mi colpì dritta nel cuore.
Nella sua cuccetta… quel verme schifoso…
Quel cazzone… se fosse stato vero… no, non era possibile!
Corsi verso il tour bus, spingendo di lato ogni povera anima che aveva la disgrazia di intralciare la mia folle corsa. Rischiai più volte di inciampare nei vari fili attorcigliati per terra, cercando di evitarli quasi come se fossero vipere. Uscii dal backstage, correndo per il posteggio privato dietro allo stadio in cui avevamo piazzato i nostri veicoli e bus. Dietro di me sentivo Ian, Steve, Cam e Ryan inseguirmi, cercando di fermarmi.
«Fatevi i cazzi vostri!» gli urlai contro «Se è vero quello che penso e voi state cercando di coprirlo, siete degli esseri ancora più schifosi di lui!»
Si fermarono lì, in piedi sull’asfalto grigio, con sguardo ferito e incerto.
Fanculo, non avevano il diritto di sentirsi offesi!
Entrai come una furia sul pullman, dirigendomi verso la sua cuccetta, la prima del corridoio a destra.
Non ebbi bisogno nemmeno di scoprire la tenda, visto che lo spettacolo tanto temuto era già in bella mostra: Jason, nudo, visibilmente eccitato, con sopra di sé una puttanella insignificante, ansimante, pescata da chissà dove, nuda anche lei. I loro visi erano talmente incollati che sembrava si stessero sbranando la faccia, piuttosto che baciarsi.
Strinsi forte i pugni, sentendo le unghia trafiggermi la carne a fondo.
«Tu… lurido figlio di puttana…» sibilai.
Quello che più mi ferì fu lo sguardo che puntò sui miei occhi: freddo come il ghiaccio da cui prendevano il colore, insensibile. Assente.
«Qualcosa non va?» chiese la troia, con occhi innocenti e sorriso trionfante. Certo, finalmente ha avuto il suo trofeo…!
Venni trascinata via a forza, prima ancora che riuscissi a scagliarmi contro quei due stronzi.
Se solo gli avessi messo le mani addosso…! Sentivo che sarei stata capace di strappargli la pelle, cavargli via gli occhi, prenderli a morsi, a calci… e invece potei solo prenderli a parole. Maledire lui, quella puttana che si era fottuto senza ritegno, per poi maledire me, il mio cuore fottuto dietro al suo, nonostante tutto.
La rabbia scemò di colpo, lasciandomi vuota come il guscio di una noce. Mi accasciai su me stessa, non capendo più nulla. L’ultima cosa che vidi furono le braccia di Ryan, pronte a sorreggermi di nuovo. Sapevo che, quella notte, avrei dormito accanto a lui, nella sua cuccetta, sfogando tutte le mie lacrime.

 



NdA:
Salve a tutti!
Se cercate una storia di demoni, metal e tanto romanticismo... siete nel posto giusto!
Questa storia, come già detto nell'introduzione, è stata scritta per il contest "Il romanticismo del 666" indetto da _LoveStory_ e _Stardust, con i seguenti:
Obblighi: backstage, pullman, tradimento, patto.
Citazioni: “Non dimenticarlo mai: i sentimenti offuscano la capacità di giudizio.” - Come una rosa d’inverno
“L’inferno si trova dentro la tua testa”- Soul eater
Spero di essere riuscita nell'impresa! Fatemi sapere che ve ne pare, ne sarei felicissima! :)
Alla prossima!
Witch ^-^

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
Capitolo 2
 


 
Aprii appena gli occhi. La luce dell’oblò nella cuccetta di Ryan mi informò che era già giorno. Strinsi più forte a me il cuscino, accorgendomi di avere ancora le cuffie dell’I-Pod infilate nelle orecchie.
Distrattamente lo presi, facendo partire una canzone tutta growl e poco musica.
Avevo bisogno di arrabbiarmi, di sentire quel sentimento strisciare in me. Solo così potevo affrontare quella situazione assurda, prendendo a calci e a morsi ogni individuo che mi stava sul cazzo, come avevo sempre fatto.
Tuttavia, in quel momento mi sentivo totalmente svuotata, senza nemmeno la forza di incazzarmi. Ogniqualvolta cercassi di alzarmi in piedi, stringendo i pugni con violenza, finivo irrimediabilmente a terra. Le gambe non riuscivano a sostenere il mio peso, le mani erano troppo molli affinché potessero formare un pugno. Sembrava che il mio corpo fosse composto al 90% di gelatina, piuttosto che d’acqua, e mi ritrovavo in ginocchio su quel pavimento in laminato di simil-legno. Con l’occasione gettavo sguardi attenti attorno a me, esaminando quella superficie liscia e pulita, cercando quel cazzo di ormone della rabbia o che altro che, con ogni probabilità, ieri notte mi era scivolato via dal copro, nella confusione del momento.
Mi accorsi che adesso, nelle orecchie, era sparata una canzone fin troppo calma. Cambiai musica, mettendo la discografia dei Korn, tornando a distendermi sul materasso, tornando ad abbracciare quel cuscino.
«Alice… ti devi alzare. Forza, vieni a mangiare»
Ryan mi scosse con delicatezza, scostandomi i capelli dal viso e togliendomi un’auricolare dall’orecchio.
Ricacciai indietro le poche lacrime che mi erano rimaste, facendo “no” con la testa.
Per nessun apparente motivo ebbi di nuovo l’impulso di piangere. Cristo, non finivano mai, quelle lacrime?
Ryan sospirò, addolorato.
«Ti prego, torna in te… dov’è finita la ragazza che conoscevo? La leonessa pronta a saltare al collo di chiunque non gli andasse a genio?»
«È morta ieri» trovai la forza di sussurrare.
Della mia splendida voce, invidiata ed elogiata da tutto il mondo, non era rimasto altro con un fioco sussurro roco.
Che senso aveva, senza la mia voce? Che senso aveva senza Jason?
Strinsi ancora più forte il cuscino, affondando la faccia nel suo tessuto, grata che non fosse il mio: sapevo che sarebbe stato pregno del suo odore.
Mi sentivo ferita, umiliata nella mia dignità di donna, tradita da quello che era molto più di un fidanzato: era il mio amico di sempre, quel ragazzo della porta accanto, il mio io, il mio tutto.
Concetti banali, ma tremendamente veri, e Ryan lo sapeva bene; era l’unico, lì dentro, che sapesse davvero quanto amassi Jason. Eravamo il trio maledetto, noi, fin da piccoli, il terremoto dell’Arizona, i distruttori di quel buco di città chiamata Wellton. Si aggiunsero gli altri, col tempo, ma il nostro nucleo non cambiò mai.
Tra me e Jason c’era sempre stato quel qualcosa in più, fin da quando lui picchiava i ragazzi che mi prendevano in giro per la mia timidezza, fin da quando io strappavo i capelli a tutte le galline che gli erano sempre andate dietro, fin dalle medie. Ryan era sempre stato il nostro Galeotto, colui che cercava di far scoccare finalmente la scintilla. C’era riuscito, con lo stratagemma di chiuderci in una stanza, ubriachi fradici, durante il diciassettesimo compleanno di Jason. Quella fu la prima di mille e più notti.
Quei pensieri mi diedero nuovamente la forza di piangere. Odiavo sentirmi così debole…!
«Ok, hai il diritto di commiserarti, almeno per oggi, ma entro domani vedi di tornare in te, chiaro? Abbiamo un concerto, …»
«Concerto?» sbottai, alzandomi di scatto, sentendo nuovamente la rabbia ribollire. Bene, se voleva provocare una mia razione ci era riuscito, altroché.
«Saremo a Parigi, ricordi? Tra un’ora abbiamo il volo e…»
«Col cazzo! Non ci sarà nessun concerto, domani, né tra una settimana, né mai più nella vita!» urlai «Ho già sprecato abbastanza voce dietro alle puttane come quella, e so benissimo che ce ne saranno migliaia d’altre in giro per il mondo, inglesi, francesi o cino-coreane che siano, pronte a sbatterselo senza tregua. Perché dovrei offrire la mia voce a delle troie del genere?!»
Quando finii, mi accorsi che avevo gridato più del dovuto, attirando le occhiate impietosite di tre quarti di presenti, tra membri del gruppo e dello staff.
«Non mi guardate in quel mondo, porco mondo, non ho un tumore… mi riprenderò, prima o poi. Sparite!» urlai, raggomitolandomi di nuovo su me stessa. Sentii numerosi scalpiccii di piedi, segno che tutti stavano eseguendo il mio ordine. Tutti tranne Ryan.
«Va bene, se vuoi annulleremo il concerto di domani sera, così come quelli di tutta la prossima settimana. Per un po’ resteremo qui in zona, prenderemo delle camere in un albergo per stare più comodi e darti un po’ il tempo per farti riprendere» mi strinse una mano, con decisione «Ti prego, però, non rinunciare alla nostra musica! Sai bene che quelle troie sono solo una parte dei nostri fan, e nemmeno tanto consistente» continuò «Se devi cantare, lo devi fare per tutti gli altri fan, per quelli che ci hanno sempre rispettato come artisti. Se devi cantare lo devi fare per noi, per me, Ian, Steve e Cam. Se devi cantare lo devi fare per te stessa, perché è sempre stato quello che più ti è piaciuto fare al mondo, perché è ciò per cui sei nata, la tua ragione di vita»
Rimasi scossa da quelle parole, ma non lo diedi a vedere.
«Bel discorso del cazzo… ne riparliamo quando anche tu sarai talmente a pezzi da non avere nemmeno la forza di morire» sospirai, pentendomi subito di quelle parole: Ryan non meritava quel trattamento «Hai ragione, sai, sui fan, su di voi… e mi dispiace, davvero. Su un punto, però, ti sbagli. La mia ragione di vita non è il canto, o almeno non lo è più da un po’: la mia ragione di vita era Jason. Mi sono accorta troppo tardi, purtroppo, che non bisognerebbe mai considerare le persone come pilastri su cui fondare qualcosa, men che meno niente di così prezioso»
Ryan posò un bacio sulla mia fronte.
«So che ce la farai» disse, per poi scendere al piano inferiore.
«Come fai a dirlo?» chiesi, troppo piano perché mi potesse sentire.
Mi chiusi nuovamente in me stessa.


 
Tracy venne più volte a trovarmi, nell’arco della giornata. Vedevo chiaramente i suoi sforzi per tirarmi su di morale, arrivando persino a fare l’aeroplanino pur di farmi mangiare qualcosa.
«Guarda, ho fatto una torta per te, quella al triplo cioccolato con panna e fragole che ti piace tanto!» sorrise, porgendomi una fetta.
In quel momento, però, il mio stomaco era completamente chiuso.
«Mi dispiace, ma non ho fame»
Tracy mi abbracciò, con fare dolce.
«Alice, non sai quanto…»
«Non dire nulla, ti prego» mi scostai da lei, cercando di sorridere «Voglio solo essere lasciata un po’ in pace, avere il tempo di riflettere, riordinare le idee. Vedrai che mi riprenderò, promesso. Ora, però, voglio solo stare da sola»
Evidentemente capì la richiesta sottintesa dato che, dopo un ultimo abbraccio, abbandonò la cuccetta di Ryan in cui mi ero momentaneamente stabilita.
Tentennò, fece per dire qualcosa, infine scossa la testa, facendo danzare i suoi ricci biondi.
«Vieterò categoricamente a chiunque di mangiarla per cui, se dovessi cambiare idea, la troverai in frigo» sorrise, andandosene.
Sapevo che era anche un modo per dire che avrei trovato lei sempre al mio fianco, qualora ne avessi avuto bisogno.
Mi coricai, tornando ad abbracciare quel cuscino che, ormai, si era adattato perfettamente alle mie forme.
Ricaddi in un dormiveglia popolato di mostri e demoni.
 
 
Da quel giorno il nostro tour bus vantò un’inquilina in più, una troia con un degno nome da troia: Cherry.
Lo scoprii solo quando mi svegliai da un lungo coma, afflitta dai morsi della fame. Era l’una di notte, erano passate poco più di ventiquattro ore da quel tradimento, e mi ero appena ricordata che c’era ancora una torta al triplo cioccolato che aspettava solo me, in frigo. Scesi nel piccolo angolo adibito a cucina del pullman, per prenderne una fetta e rinfilarmi nella mia tana. Inutile dire che la fame passò subito dopo, non appena vidi quella sgualdrina, in piedi di fronte al frigo, con una fetta di torta tra le mani.
«Quella è la mia torta» sbottai, incrociando le braccia al petto.
Si finse ferita.
«Scusa, non lo sapevo… ti dispiace?»
«Ma no, figurati: vedo che ormai sei abituata a fregarmi tutto da sotto il naso» sbottai, dirigendomi verso il mobile bar lì vicino «Ancora qui?» chiesi, prendendo una bottiglia di whiskey. Cercavo di nascondere la sorpresa e l’irritazione che mi aveva provocato quella scoperta.
Lei mi sorrise tronfia, con quelle labbra rosso fuoco, quei gelidi occhi neri sotto le folte ciglia scure, ciocche di capelli rosso ciliegia le cadevano scomposti sul viso. Quanti anni aveva, all’incirca? Sui trenta, forse? Strano, ieri sera mi sembrava più giovane…
Forse era per via dell’effetto benefico del sesso con Jason; sapevo bene quanto potesse essere bravo, in quel campo. Quel pensiero mi fece tremendamente male, ma non glielo diedi a vedere: non le avrei mai dato la soddisfazione di vedermi ferita o debole.
«Sì, J ha ancora bisogno della mia compagnia» cinguettò.
«Jason ha solo bisogno di una forca» risposi, riempiendomi un bicchiere «e di un’evirazione immediata»
Cherry rise.
«Hai davvero un ottimo senso dell’umorismo, sai? Non sapevo che fossi così simpatica»
«Ci sono tante cose che non sai, di me, e che mi piacerebbe farti conoscere… ad esempio, sai che sono cintura nera di jujitsu?» chiesi, posando il bicchiere sul ripiano di legno e avvicinandomi a lei con fare minaccioso.
Sai che ho frequentato quei corsi, a quattordici anni, proprio per far soffrire le sciacquette come te?
Venni fermata per un braccio da una presa salda, fin troppo conosciuta.
«Levami le tue luride mani di dosso» sibilai, senza nemmeno voltarmi.
«Solo se tu non le metterai su di lei»
Mi girai di scatto.
«Che c’è, hai paura che ti rovini il tuo giocattolino nuovo?» chiesi, sprezzante. L’odio verso di lui, però, crollo di colpo.
Quello non era Jason. Non avevo idea di chi cazzo fosse, ma sicuramente non era lui.
Aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi, nel giro di un giorno sembrava aver perso almeno cinque chili. Era pallido come un morto, persino i suoi vivaci tatuaggi sembravano sbiaditi. Per non parlare degli occhi: neri come la pece, proprio come quelli di Cherry.
Spostai il mio sguardo da uno all’altra, sentendomi circondata da qualcosa di tremendamente malvagio. Senza sapere nemmeno perché, provai terrore allo stato puro.
Quelli non erano esseri normali. Era il primo pensiero che mi aveva colpita, non appena li vidi accanto.
«Chi siete?» chiesi, tremando appena.
Jason rise.
«Non mi riconosci? Eppure hai sempre detto di amarmi…!»
Anche Cherry si unì alla sua risata. Con movenze sinuose, si avvicinò pericolosamente a me.
«Sai, ti conviene andare via da qui, se non vuoi fare una brutta fine…» bisbigliò.
Rimasi immobile al mio posto, inchiodata da una forza oscura. I miei occhi erano fissi sui pozzi neri di Cherry e una morsa fredda mi avvolse le viscere. La donna alzò le mani all’altezza del mio viso. Vidi chiaramente e con orrore le dita affusolate di lei diventare dei piccoli serpenti sibilanti, che presero ad accarezzarmi il viso, minacciosi. Lei stessa sembrò tramutarsi in un serpente, la pelle leggermente squamosa, la lingua biforcuta che faceva capolino dal suo sorriso sardonico.
Urlai, come mai in vita mia.
«Che succede, qui?»
Steve. Oddio, Steve, scappa!
Scattai verso di lui, aggrappandomi al suo collo, respirando affannosamente. Alla fine, le lacrime avevano preso a scendere, sempre più copiose.
Ora avrebbe visto che Cherry, in realtà, era un mostro, un demone, una creatura infernale. Che Jason… cielo, Jason! Avevo dubitato di lui, del suo amore, quando invece era solo una vittima! Perché tutto questo, perché proprio a noi?
«Jason, te l’avevo detto che non sarebbe stata una buona idea portarla con noi» disse invece Steve, con voce fredda, ricambiando la mia stretta con fare protettivo.
Lo guardai, ma il suo viso tradiva solo fastidio, non l’orrore che avevo immaginato dovesse provare.
Fissai allora Jason e Cherry: erano abbracciati, ma relativamente normali. Gli occhi di Jason erano già meno scuri e la pelle di Cherry era tornata come prima, così come le dita e la lingua.
Che cazzo stava succedendo…? Era stato solo frutto della mia immaginazione?
Forse stavo semplicemente impazzendo.
Quell’ipotesi mi fece rabbrividire.
«Non me ne frega un cazzo, se non gli va bene se ne può anche andare» rispose Jason, stringendo ancora di più Cherry, la quale prese ad accarezzargli indolente il petto.
«Tu!» sibilai, rivolta a Cherry «Perché non ti fai vedere per quello che sei realmente? Sei un mostro, ecco cosa sei!»
No, non mi ero immaginata tutto, ne ero certa. La sensazione viscida di quei serpenti sulla mia pelle era ancora viva in tutta la sua ripugnanza.
«Alice, calmati» mi sussurrò dolcemente Steve «Andiamo, abbiamo prenotato delle stanze in un albergo qui vicino e…»
«No, ora mi starai a sentire!» urlai «Quel… mostro deve andarsene dal mio pullman, va bene?! Non è normale, è… non so cosa cazzo sia, ma non è una persona normale!»
Jason e Cherry risero, Steve mi guardò con la stessa compassione con cui si guardano i folli.
«Certo, sono d’accordo anche io sul fatto che sia un mostro…»
«Non parlavo in senso metaforico!»
«… però ora dobbiamo andare» continuò lui, ignorando le mie parole. Mi prese a forza, nonostante provassi a dibattermi, e mi condusse verso un taxi già lì davanti.
«Al St Martins Lane Hotel, Londra, per favore» disse all’autista.
«Io non sono pazza… so quello che ho visto… lei era un serpente, un cazzo di serpente, giuro…»
Lo dissi talmente tante volte che, alla fine, non credetti più nemmeno io a quelle parole.
Steve si limitava a stringermi tra le sue braccia, cullandomi.
«Sei solo sotto shock, è normale» diceva.
Continuavo a negare, ma era tutto inutile: soltanto io riuscivo a vedere quell’inferno intorno a noi.


 
Quella notte Steve continuò a starmi vicino, dormendo con me nella suite dell’albergo. Lo osservavo dormire profondamente, tanto da arrivare persino a russare sommessamente.
Sorrisi appena. Non sapevo che russasse, la notte.
Quel lieve rumore mi faceva compagnia, dato che non riuscivo a prendere sonno. Ripensavo alla scena di poco prima, sul tour bus. Gli occhi neri di Jason, la sua smorfia malvagia. Le dita di Cherry, la sua lingua biforcuta, le squame della sua pelle… possibile che avessi immaginato tutto, persino la sensazione viscida di quei serpenti? Era tutto così reale che, a ripensarci, riuscivo ancora a sentirli su di me.
Guardai l’orologio: erano le tre di notte. Ad un certo punto ebbi la sensazione di essere osservata, che Steve non fosse la mia sola compagnia, in quella stanza.
Mi coricai a pancia in su, chiudendo gli occhi. Forse stavo davvero impazzendo.
Di colpo avvertii un peso posarsi sulla mia pancia e delle morbide labbra poggiarsi delicatamente sulle mie. Aprii gli occhi di scatto: il viso di Cherry, seduta a cavalcioni su di me, era incollato al mio, le nostre labbra erano unite da una sostanza viscida e nera dal gusto amaro che non riuscii a definire.
«Ciao, mia piccola Alice» bisbigliò, interrompendo il bacio. Aveva di nuovo quelle sembianze demoniache: i serpenti che aveva al posto delle dita stringevano due pugnali neri, sibilando minacciosi contro di me.
Provai a gridare, a muovermi, ma era come se avessi perso qualsiasi potere sul mio corpo. Potevo solo restare lì, immobile, con gli occhi sbarrati fissi sui suoi.
Steve… ti prego, svegliati!
«È inutile, dorme profondamente» sussurrò Cherry. Rise «Sì, riesco a leggerti nella mente… sei sotto il mio controllo, adesso, così come Jason»
Se solo potessi muovermi…
«Non potresti fare nulla comunque, sono troppo forte per te, ragazzina»
Cercai di respirare con calma, ragionando con logica e razionalità. Non stava accadendo davvero, era solo una mia proiezione mentale, un’illusione…
«Sono più reale di quanto immagini» disse lei, incidendomi la carne del polso sinistro con uno dei pugnali. Bruciava, ma non riuscii comunque a gridare. Le lacrime sfuggirono dai miei occhi, mentre sentivo il sangue scorrere sulla mia pelle, bagnando e macchiando le lenzuola candide del letto.
Era tutto reale… non sapevo se essere felice per il fatto di non essere pazza o triste per la certezza che sarei morta a breve.
Puoi anche avere me, ma non avrai mai Jason.
Cherry rise, sollevando uno dei pugnali sopra il mio petto.
«Jason l’ho preso già… e adesso tu morirai»
«Alice» bisbigliò Steve, rigirandosi sul letto.
Di colpo Cherry sparì, lasciandomi libera dal suo incantesimo.
Non appena potei muovermi, cominciai a tossire forte. Scappai verso il bagno privato della suite, sentendo l’impulso di vomitare. Rigettai nel gabinetto quella schifosa sostanza nera che Cherry mi aveva infilato in bocca con quel bacio, risentendo quell’orribile gusto amaro invadermi.
«Alice!» chiamò Steve, raggiungendomi in bagno.
«Steve!» urlai, buttandomi su di lui «È tutto vero! Cherry è un demone, tiene Jason sotto il suo controllo! Dobbiamo aiutarlo, dobbiamo…»
«Calmati, Alice!» disse lui, ormai completamente sveglio e lucido. Il suo sguardo si puntò sul mio polso sanguinante.
«Cristo, che hai fatto?!» scattò, afferrando un asciugamano lì vicino e avvolgendoci il mio polso, più stretto che poté «Hai preso a tagliarti? Cazzo, che combini?»
«Non sono stata io, è stata Cherry!» spiegai, piangendo.
«Cherry?» chiese, stralunato.
«Sì! Era lì, fino a poco fa, nel letto! Era su di me e mi aveva come ipnotizzata, non so! Mi ha inciso il polso con un pugnale! Non riuscivo a muovermi e lei sembrava un serpente… ha detto che Jason è sotto il suo controllo, che vuole uccidermi…»
«Alice…» Steve sospirò, cercando di trovare le parole giuste.
Venni come investita da una doccia gelida.
«Non mi credi» dissi, e non era una domanda.
«Come cazzo posso credere a una storia del genere?» disse lui, stringendo gli occhi «Cherry è rimasta sul tour bus, a miglia di distanza, e anche quando non sarebbe potuta entrare qui dentro, senza considerare il fatto che io non ho sentito nulla…»
«Senti, so solo che me la sono ritrovata addosso, sul letto, okay? Mi stava baciando, mi ha infilato un qualcosa di nero e schifoso in bocca che ho appena vomitato… guarda nel gabinetto, se non mi credi!»
Steve fissò il gabinetto, scettico. Lo fissai anche io: era perfettamente pulito.
Merda!
«Alice, hai sognato ogni cosa…»
«No, non è vero! Dio, Steve, guardami!» dissi con decisione «Sai benissimo che Jason non è più lo stesso, da quando c’è lei… persino i suoi occhi sono cambiati!»
«Non vuol dire niente, può essere solo semplice stress! E poi spesso usa delle lenti colorate…»
«Non è lo stress, e non sono delle fottute lenti colorate!» gridai «C’è qualcosa che non va, me lo sento, e stanotte ne ho avuto la conferma! Quella Cherry è un demone…»
«Un demone!» sbottò Steve, scuotendo la testa.
«Mi devi credere! Cristo, scriviamo ogni giorno testi su demoni e diavoli! Le copertine dei nostri album ritraggono le creature più strane e spaventose, persino durante i live, nel palco, sono presenti delle loro riproduzioni, noi stessi ci definiamo “demoni”, o lo hai forse dimenticato, Deamon S
«Sai bene quanto me che quelle sono solo delle idee di marketing, Alice! I mostri hanno fascino, attirano la gente, ma non esistono!»
«Sono il nostro pane quotidiano!» gridai, prendendolo a pugni.
«Calmati!» urlò lui, bloccandomi le braccia contro le piastrelle del bagno, il polso bruciò terribilmente. I miei sessanta chili scarsi non potevano nulla contro i suoi novanta passati «Quello di Cherry è stato un incubo, il taglio sul polso te lo sei fatto da sola, forse incoscientemente, ma è opera tua»
«Tu non puoi sapere quello che ho visto io… stiamo cadendo dritti all’inferno!»
«L’inferno si trova dentro la tua testa!» urlò.
La presa sulle mie braccia si allentò appena. Mi accasciai sul pavimento, portandomi le ginocchia al petto.
Steve si chinò su di me, con sguardo ferito.
«Domani chiameremo uno psicologo»
«Non ho bisogno di uno psicologo!» urlai, ma non riuscii più a dire nulla. Improvvisamente ebbi una terribile crisi, e non riuscii più a parlare.
Steve mi prese in braccio, coricandomi sul letto. Prese il telefono sul comodino, chiamò qualcuno, forse i ragazzi. Non riuscii a capirlo. Persi i sensi.
Avrei tanto voluto che il pugnale di Cherry mi avesse trafitto il cuore…



“L’inferno si trova dentro la tua testa!”

 

“Non dimenticarlo mai: i sentimenti offuscano la capacità di giudizio”
 
 
Il dottore diceva che era tutto perfettamente normale.
«I sentimenti offuscano la nostra capacità di giudizio» continuava a dire, spiegando che non ero pazza, ma semplicemente scossa dal trauma subito. Erano chiari i primi segni di uno stadio depressivo, che potevano però ancora essere presi in tempo.
Quella notte con Cherry? Allucinazioni, dovuti a un fenomeno di paralisi ipnagogica, che spiegava anche perché non potessi muovermi a avessi difficoltà respiratorie. Anche questo era dovuto al forte stress.
I sentimenti offuscano la nostra capacità di giudizio.
I miei sentimenti, a sua detta, mi avevano condotto a considerare Cherry un demone.
Il fatto che la identificassi come un demone, disse, era solo una barriera costruita dalla mia mente come forma di tutela, visto che non accettavo il fatto di essere stata tradita per lei. In tal modo cercavo di giustificare Jason, cercando di “risolvere” i nostri problemi di coppia trascendendoli su una dimensione paranormale. Lo stesso principio valeva per il taglio che, inconsapevolmente, mi ero inflitta: la mia mente attribuiva la colpa a Cherry, per catalizzare su di lei la mia rabbia e la mia angoscia.
Era un demone, sì, ma solo nella mia testa.
“L’inferno si trova dentro la tua testa!”
“I sentimenti offuscano la nostra capacità di giudizio!”

Erano diventate come delle preghiere, per me, da recitare ogni notte, ogni istante del mio dormiveglia popolato da mostri e demoni.
Anti ansiolitici e riposo: le parole chiave da dover rispettare, in quel periodo.
Jon annullò tutti i concerti del mese entrante, scusandosi da parte nostra con i fan.
Per quanto riguarda Jason, lui e Cherry furono spostati in un albergo diverso dal nostro, per evitare che li potessi incrociare casualmente durante il giorno.
I primi dieci giorni di “cura” furono i peggiori della mia vita: trascorrevo le giornate a letto, senza nemmeno la forza di bere. Nonostante non mangiassi praticamente nulla, avevo iniziato a gonfiare a causa del cortisone, soprattutto all’altezza della gola. I farmaci mi inducevano in un continuo stato di dormiveglia e l’intero universo intorno a me era solo una realtà confusa e lontana. Non mi ero sentita in quel modo nemmeno sotto le droghe più pesanti: i mostri persistevano, e io venni lasciata da sola, in pasto a loro.
Col tempo iniziai ad abituarmi ai farmaci, cominciando ad essere sempre un po’ più lucida.
Cominciai a comprendere che ero davvero sola, in quella battaglia, che avrei dovuto fare buon viso a cattivo gioco.
Dissi al dottore di non avere più allucinazioni né istinti suicidi, mi scusai con i miei amici, col mio staff, soprattutto con Steve. Assicurai a tutti loro che presto avremmo iniziato un nuovo tour, riprendendo le tappe annullate.
Tutti furono felici di quelle notizie: il dottore diminuì la dose di medicine, i miei amici e lo staff tornarono a fidarsi di me.
Era un pomeriggio assolato e, per la prima volta da giorni, ero davvero sola, senza nessuna guardia del corpo intorno. Stavo prendendo il sole su una delle sedie sdraio dell’albergo, a bordo piscina, con un semplice bikini blu addosso, fumando una sigaretta. Leggevo un manga misconosciuto quando, ad un tratto, temetti di avere un’altra allucinazione: Jason veniva verso di me, come se fosse la cosa più normale del mondo.
«Ciao! Hai visto Ian?» chiese, tranquillo, con le mani infilate nelle tasche dei bermuda grigi.
Per poco non mi affogai, il fumo a metà tra gola e polmoni. Spensi la sigaretta sul posacenere del tavolino alla mia destra, tossendo. Lo fissai, abbassando leggermente le lenti dei miei occhiali da sole.
Anche lui ne portava un paio, dei Ray Ban con lenti a specchio. Indossava un berretto in testa, una t-shirt nera con ampio scollo a “v” e delle semplici infradito ai piedi.
«Stai dicendo sul serio?» riuscii a chiedere.
Si sistemò il berretto, leggermente confuso.
«Sì. È da un po’ che lo cerco, ma non l’ho trovato da nessuna parte»
Mi aveva fraintesa. Certo.
«No, dico, “stai dicendo sul serio” nel senso “mi stai davvero rivolgendo la parola”?»
Allargò le braccia con fare teatrale, sollevando a tal punto le sopracciglia che riuscii a vederle da sopra le lenti.
«Vedi qualcun altro, intorno?»
Rimasi shockata, non sapendo spiegare quell’evento. Perché non c’era Cherry, con lui? Come mai mi aveva rivolto la parola? Avrei tanto voluto vedere il colore dei suoi occhi, per riuscire a capire se fosse ancora soggiogato da quella strega o meno.
Mi alzai dalla sdraio, gettando manga e occhiali da sole a terra. Lo presi per mano, senza riflettere, portandolo nella dépendance della piscina.
«Che stai facendo?» chiese, irritato.
Entrammo in uno spogliatoio minuscolo. C’era appena lo spazio per muoversi. Chiusi la porta a chiave e, con uno scatto, gli tolsi gli occhiali.
I suoi occhi, sospirai, sollevata.
Non erano color ghiaccio come al solito, ma si avvicinavano sempre più al celeste, seppur con qualche sfumatura nera.
«Jason» dissi, con voce tremante, prendendogli il viso tra le mani «ti prego, torna in te!»
«Non mi toccare!» sbottò, scostandosi con violenza «Vuoi capire che è finita, tra noi? Adesso amo Cherry!»
Ognuna di quelle parole fu una pugnalata in pieno petto, ma le ignorai. Non potevo mollare, non ora.
«No, tu non la ami! Sei solo stato… stregato, o qualcosa del genere!»
«Tu sei pazza. Dovrebbero imbottirti con un altro po’ di roba, sai?» ghignò, maligno.
No, quello non era Jason, e i suoi occhi erano sempre più scuri.
«Allora baciami» gettai, lì per lì.
Riuscii a prenderlo contropiede.
«Cosa?»
«Ho detto di baciarmi. Se è vero che non mi ami, allora non proverai niente per un semplice bacio… e poi te lo chiedo come un favore. Se proprio deve finire, tra noi, almeno concedimi un ultimo bacio. Vedilo come un addio»
Una lacrima sfuggì ai miei occhi perché, in fondo, era quello che pensavo davvero.
Lo vidi tentennare, combattuto. Alla fine si avvicinò a me, con cautela.
Vidi il suo viso perfetto avvicinarsi al mio, sentii il pizzetto solleticarmi piacevolmente il mento. Ricordai quando, una volta, aveva deciso di tagliarlo e io lo avevo costretto a farselo ricrescere, perché amavo quella sensazione ruvida sulla mia pelle.
Posò le labbra sulle mie, con delicatezza, e io mi aggrappai con forza a lui, avvolgendo le mie braccia dietro al suo collo robusto. Fu un bacio disperato e nostalgico. Piangevamo entrambi, stringendoci sempre di più. Le sue mani furono subito sul mio viso, sui miei capelli, sul mio corpo. Mi spinse contro la parete di quel minuscolo spogliatoio, un po’ rudemente. Ogni secondo che passava vedevo i suoi occhi farsi sempre più chiari, tornare quelli di sempre, come se quelle lacrime stessero lavando via il male che li aveva contaminati. Nel suo sguardo c’era sempre meno odio e sempre un po’ più del nostro amore.
«Alice…» sussurrò, sulle mie labbra. Sorrisi felice.
Prese a tremare, scosso da violenti conati. Si staccò da me, girandosi di lato, vomitando quella stessa sostanza nera che, giorni prima, avevo rigettato anche io in albergo.
Gli accarezzai le spalle, aspettando che avesse espulso ogni traccia di quello schifo.
Qualunque cosa fosse, dedussi che era attraverso quella sostanza che Cherry riusciva a manipolare le persone.
Finalmente compresi perché non era rimasta traccia di quella roba, nel gabinetto dell’albergo: evaporava all’istante, a contatto con qualsiasi superficie, senza lasciare traccia.
Non appena ebbe finito si accasciò a terra, il viso stravolto ma sollevato.
«Jason» gli accarezzai con delicatezza una guancia, fissandolo nei suoi splendidi occhi cristallini. Mi sorrise, ricambiando la carezza.
«Eccoti, finalmente» bisbigliò, con voce roca.
Lo strinsi a me, più forte che potei.
«Dovrei dirlo io…! Dio, quanto mi sei mancato!»
Piansi, stavolta di felicità. Inspirai a fondo il suo profumo e lui fece lo stesso con me.
«Anche tu» sospirò, accarezzandomi la schiena nuda, sistemandomi sulle sue gambe.
Riprese a baciarmi, le mani tra i miei capelli.  Mi fissava con i suoi occhi, quelli che avevo sempre amato, colmi di amore e desiderio.
In quel momento realizzai che erano passate più di due settimane dall’ultimo nostro momento d’intimità. Il pensiero che, durante tutto quel tempo, lui fosse stato con un’altra mi faceva morire, ma la consapevolezza che tutto ciò era accaduto contro la sua volontà mi spingeva a lavare via dalla sua pelle tutto quello che era successo.
«Voglio te… per favore…» sussurrò in un bacio, negli occhi era evidente la profondità di quella supplica.
Annuii, sfilandogli la maglietta, ripercorrendo il suo petto, la sua schiena, le sue braccia, disegnando i contorni di quei tatuaggi, rendendomi conto di conoscerli ormai a memoria, quasi come se glieli avessi fatti io stessa.
Le sue mani furono sui lacci del mio bikini. Sciolsero quei nodi, gettando di lato quegli inutili pezzi di stoffa scura.
Avvertivo distintamente tra le mie gambe quanto mi desiderasse in quel momento e di quanto la cosa fosse reciproca. I nostri baci erano sempre più passionali, sempre più famelici: le nostre labbra sembravano non volersi staccare un attimo, chiedendo sempre di più, quasi avessero il timore che, se si fossero allontanate, non si sarebbero ritrovate mai più.
Le mie mani slacciarono i suoi bermuda, e lui mi aiutò a  sfilarseli, alzandosi leggermente da terra. Come al solito non indossava niente, sotto di essi, e ci ritrovammo improvvisamente a contatto, pelle con pelle, eccitazioni diverse sovrapposte.
Gli accarezzai una guancia, sorridendo sulle sue labbra. Mi era mancato da morire.
Le sue labbra si staccarono dalle mie solo per avanzare verso i miei seni. Le mie dita afferrarono il berretto e lo gettarono via, stringendo poi i suoi lunghi capelli neri, ancora più scompigliati di quanto già non fossero normalmente.
Spinsi la sua testa verso di me, in un muto invito a continuare i suoi baci roventi sul mio seno, facendogli capire la mia impazienza.
Lo sentii ridacchiare, mentre, prendendomi per i fianchi, mi sistemava su di lui e, con un gesto ormai tremendamente familiare, fu dentro di me.
Sospirai, affondando il mio viso sui suoi capelli, e lo stesso fece lui, ancora tra i miei seni.
Amavo quella sensazione che ci legava, fisicamente e spiritualmente. La distanza tra noi si annullò di colpo, rendendoci nuovamente una cosa sola.
Le sue labbra furono sulle mie, le sue mani mi accarezzavano i fianchi, incitandomi a muovermi, e così feci.
Inizialmente provai qualche fitta al basso ventre, cosa che mi fece capire definitivamente che non eravamo davvero insieme da fin troppo tempo, ormai. Il dolore, però, si sciolse ben presto in calore e piacere, facendomi muovere sempre più velocemente, con maggior disinvoltura. Ansimavamo pesantemente, muovendoci in sincronia perfetta, come avevamo sempre fatto. Le sue dita artigliarono la carne dei miei fianchi, facendomi capire che aveva quasi raggiunto l’apice del suo piacere. Con un sorriso mi abbandonai anche io, lasciandomi travolgere insieme a lui da quell’orgasmo che, come un’onda, ci portò lontano da tutto quello che era successo, da tutta la malinconia, la solitudine e le stranezze di quei giorni.
Con pesantezza, respirando ancora affannosamente, mi abbandonai sul suo petto, aggrappandomi alle sue forti spalle. Lui mi cinse con le sue braccia, baciandomi con delicatezza il collo.
Avrei tanto voluto che quel momento durasse in eterno, lasciando oltre quella porta turchese il mondo intero.
Le mie dita artigliarono con un po’ troppa violenza i suoi capelli neri.
«Tu sei mio» sussurrai.
Lo sentii ridacchiare.
«Sono tuo, giuro, lo sono sempre stato»
Sorrisi, soddisfatta, baciandogli delicatamente la spalla destra, per poi tornare ad appoggiarmici sopra.
Le sue mani percorrevano lentamente la mia schiena, facendomi rabbrividire.
Non so quanto tempo restammo così, in quella posizione. Fin troppo presto le sue dita si fermarono. Si scostò leggermente, afferrando il mio bikini e porgendomelo.
Sospirando mi alzai, staccando i nostri corpi, ancora uniti. Rimisi il costume sotto l’attento sguardo dei suoi occhi, ancora famelici. Nonostante ciò lo vidi reprimere quella nuova ondata di desiderio e, alla fine, si rivestì anche lui, con mio sommo dispiacere.
 «Ascoltami bene, non abbiamo molto tempo» disse, fissandomi con espressione seria «Cherry ha nascosto qualcosa, nella mia cuccetta, sotto al materasso, una specie di libro o quaderno. In un momento di lucidità stavo cercando di prenderlo, ma lei, per poco, non mi ha staccato la testa a morsi. Credo che sia qualcosa a cui lei tiene molto, non so per quale motivo»
Mi sedetti nuovamente su di lui, accogliendo il dolce invito delle sue braccia tese verso di me, pronte a riacciuffarmi in quell’abbraccio.
«Pensi che, al suo interno, si trovi il suo punto debole?» chiesi, risentendo le sue mani sulla mia schiena, leggere.
«O magari un modo per trovarlo» confermò lui «Ti prego solo di fare molta attenzione. Se dovesse farti del male… non potrei mai perdonarmelo»
Mi accarezzò la cicatrice sul polso, con dolcezza.
«Farò attenzione, promesso» lo rassicurai, baciandolo.
«Alice… sappi che, anche quando sono sotto il suo controllo, non smetterò mai di amarti. Chiaro? Devi ricordarlo: non dubitare mai del mio amore per te»
«Non ho mai dubitato, infatti»
Mi fissò con un’espressione talmente scettica che scoppiai a ridere
«Beh, forse nei primi tempi…!»
Rise anche lui.
«Lo sapevo! Sei sempre stata sospettosa di me, vero?» stavolta i suoi occhi si fecero tristi.
«No, non lo sono mai stata. Sai benissimo che era solo un pretesto per essere gelosa» dissi, rendendomene conto anche io per la prima volta.
Non era vera e propria gelosia, solo un modo per manifestare il mio affetto.
«Sai, anche se ero mentalmente controllato da quel demone, ricordo benissimo la faccia che hai fatto quando ci hai scoperti… o quando, quella notte sul bus, in cucina, ha iniziato a minacciarti» si accigliò «È stato strano. Era come se… come se la mia personalità si fosse sdoppiata. Una parte di me avrebbe voluto cacciarla, picchiarla, ma non riuscivo più controllare il mio corpo. Sentivo che una potente entità, al suo interno, mi impediva di riprenderne il possesso »
«Lo capisco benissimo» dissi, ricordandomi quella terribile notte in albergo. Altro che paralisi ipnagogica…! Un terribile pensiero si fece largo nella mia testa «Dimmi… quando tu e lei… insomma, siete intimi…»
Sospirò, capendo dove volessi arrivare.
«Sì, purtroppo capisco ogni cosa» strinse i pugni« Non vorrei, davvero… penso a te e mi faccio schifo da solo. Come se mi stesse…»
«…violentando?» completai.
«Beh, è brutto sentir dire una cosa del genere da un uomo grande e grosso come me ma sì, credo che sia la stessa cosa.»
Lo baciai, determinata a cancellar via quell’espressione triste sul suo volto.
«Fortunatamente è tutto finito!» sospirai.
Mi scostò con delicatezza, alzandosi e porgendomi una mano, aiutandomi a mettermi in piedi. Mi abbracciò, lasciando un bacio sui miei capelli.
«No, non è finito… sento che è sempre più vicina» si agitò «Ricordati del diario… e che ti amo, va bene? Stai attenta!»
Mi diede un ultimo bacio, per poi uscire di scatto dallo spogliatoio.
«Jason, aspetta!»
No, ti prego… non tornare da lei!
Corsi via dalla dépendance, inseguendolo. Lo trovai in piscina, con Cherry appiccicata sopra. Lo stava baciando, passandogli con la lingua quella sostanza nera.
Gli occhi di Jason erano di nuovo neri, maligni. Lo avevo perso un’altra volta.
«Attenta a non spingerti troppo in là con i miei giochini, Alice» mi minacciò Cherry, portandoselo via con sé.
«Anche io ti amo, J. Ti salverò, stanne certo»


Quella sera riuscii a intrufolarmi nel pullman. Cherry e Jason erano fuori: era l’occasione perfetta per scoprire cosa si nascondesse in quella che, ormai, era diventata la loro cuccetta.
Sollevai il materasso, con gesti affrettati. Niente, non c’era nessun tipo di libro o quaderno. Tastai la base di legno, giusto per assicurarmi che gli occhi non mi stessero ingannando.
Rimisi a posto il materasso, avvilita.
Che Jason mi avesse mentito, magari per portarmi fuori strada? No, non avrebbe avuto senso… e poi era perfettamente in sé.
Oppure Cherry si era portata dietro quel libro, nell’albergo in cui alloggiavano lei e Jason? Beh, quello sarebbe stato un gran bel problema…
Gli occhi mi caddero sui cuscini. Li afferrai, tastandoli.
Chissà se… bingo!
Aprii la federa del cuscino di Cherry, cercando quella superfice rigida che avevo tastato dall’esterno.
Evidentemente dopo il tentativo di Jason doveva aver cambiato il nascondiglio del suo tesoro, per paura che lo scoprisse di nuovo.
Tirai fuori quello che si rivelò essere un quaderno nero, con delle ciliegie rosse sulla copertina. Che fantasia…!
Lo infilai all’interno del mio giubbotto di pelle e, tenendolo stretto al petto, uscii di corsa dal tour bus, risalendo sul taxi, pronta a tornare in albergo.
Lo avrei letto in tutta calma, sul letto della mia suite.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


  
Capitolo 3
 
 
 
 
Mi fiondai nella mia stanza, chiudendo la porta a chiave, con tanto di cartello “Non disturbare” appeso nel pomello esterno.
Con mani tremanti presi il quaderno, nascosto accuratamente all’interno del mio giubbotto di pelle.
Mi sedetti sul letto, a gambe incrociate, aprendolo sulla prima pagina.
Rimasi sconvolta, letteralmente.
Durante il tragitto fino in albergo avevo ipotizzato che fosse qualcosa come un libro d’incantesimi, o un quaderno in cui Cherry descriveva i propri riti demoniaci… spaziando poi con la mente, da perfetta nerd, ero arrivata addirittura a pensare che fosse un Horcrux o addirittura il famigerato Death Note. Non che credessi realmente alle ultime due ipotesi. Il Signore Oscuro non si era ancora rivelato e poi, se fosse stato davvero il Death Note, sarei morta già da tempo di attacco cardiaco.
No, quello che avevo davanti era un semplice diario. Il diario segreto di una ragazza, a prima vista.
Pensai a Cherry.
Strano che una donna di trent’anni passati tenesse ancora così tanto al proprio diario d’adolescente…!
Sulla prima pagina c’era scritto “Cherry” a caratteri cubitali, circondato da cuori e ciliegie.
Sotto il nome, con grafia rotonda e un po’ insicura, vidi una piccola nota a margine.


Beh, in realtà mi chiamo Kate, Katelyn Frey, per essere precisi, ma tutti mi chiamano da sempre Cherry, dato che mi piacciono da morire le ciliegie!


Mi misi a ridere. Era un pensiero talmente infantile! Una di quelle cose che, a ripensarci dopo anni, con la mente più matura, ti facevano venire voglia di prenderti a pugni da sola.
Iniziai a sfogliare il diario, scuotendo la testa.
Con sorpresa notai che la prima confidenza risalisse al 23 aprile di quello stesso anno.
Cosa…?
Di solito le donne non scrivono diari segreti, senza contare che quella non era una semplice donna!
Lessi l’intera pagina.
Parlava dei soliti problemi adolescenziali: di quanto facesse schifo la scuola, dei professori coglioni, dei troppi compiti.
Ero sempre più confusa. Come poteva frequentare ancora la scuola?
Il resto era tutto uguale: scuola, amori non corrisposti, civette che la prendevano in giro, l’unico appoggio della sua migliore amica, una certa Melany, compagna nei corsi di chimica, lettere e storia.
Da quelle pagine si deduceva che Cherry, in realtà, o per meglio dire Kate, fosse una ragazzina timida di quindici anni, con una cotta segreta non corrisposta per un suo compagno di matematica e una passione sfegatata per la nostra band, passione che condivideva con la sua amica Melany.
Il suo diario era letteralmente tappezzato dalle nostro foto, dai nostri testi ricopiati con la sua grafia rotonda. In alcune pagine, intorno ai testi, facevano di nuovo capolino quei cuori buffi e pieni, alcuni con un “Jason” scritto all’interno.
Come conciliare l’immagine di quella ragazzina del diario con la donna-demonio con cui avevamo a che fare?
Il diario era scritto con centinaia di penne colorate e, nel leggerlo, per poco non persi la vista. Sembrava che un unicorno ci avesse vomitato sopra.
L’ultima confidenza risaliva al 10 luglio, esattamente tre giorni prima del concerto.


 

 
10 luglio 2010
 
 
Caro diario,
ieri è stato il giorno del mio compleanno! Ebbene sì, finalmente sono sedicenne!
Indovina cosa mi hanno regalato ieri, mamma e papà? Un biglietto per il concerto dei Six Deamons! Saranno qui a Londra fra tre giorni e andrò lì insieme a Melany… è il sogno di una vita che si realizza! Presto li vedrò dal vivo, compreso il mio Jason… oh, chissà se riuscirò anche a incontrarli, magari, a fine concerto! Forse sto viaggiando troppo con la fantasia, vero…?
Comunque sia, ieri sera io, Melany e alcuni nostri amici siamo andati in quel pub che ha aperto la scorsa settimana,
“The Apocalypse”. È fantastico! Persino i nomi dei panini sono a tema!
Mi hanno fatto trovare una torta al gusto di ciliegia, ovviamente. Solo Melany poteva organizzare qualcosa del genere per me!
Ci siamo divertiti, è stata una bella serata… e poi ho anche conosciuto un ragazzo!
Anche se… beh, non mi ha detto nulla, di sé, né il suo nome, né quanti anni avesse o che scuola frequentasse… e devo ammettere che fosse anche piuttosto strano!
Si è avvicinato a me, senza alcun motivo apparente, così abbiamo iniziato a chiacchierare del più e del meno. Anche lui è fan dei
Six Deamons, sai?
Ci siamo messi a parlare della loro musica, di quanto siano potenti… beh, lì per lì ho detto che mi piaceva parecchio
Deamon J.
“Davvero?” ha detto lui “Sì, in effetti è un gran figo!”
Continuammo a parlare di lui e, a un certo punto, ha iniziato a fare discorsi strani, del tipo:
“Ti piacerebbe essere la ragazza di Deamon J?”
Arrossii. Gli spiegai che, in effetti, era da tempo una mia fantasia, sebbene sapessi che lui e Deamon A fossero fidanzati da tempo.
La invidio, sai? Deamon A, intendo… è così bella, la sua voce è limpida e potente, semplicemente unica! I suoi testi sono pura poesia, e il suo carisma… insomma, ha tutto! Solo una tipa Alice potrebbe stare con Jason… sono fatti per stare insieme, e si vede, anche durante i live.
Anche se… beh, la invidio e basta, sebbene al tempo stesso la rispetti.
Il ragazzo, poi, mi ha chiesto se fossi disposta a dare l’anima, pur di realizzare quel mio sogno proibito. Beh, la prima cosa che feci fu ridere e dire di sì, così, di getto. Di certo non sono domande che ti fanno spesso, e quel tipo era parecchio strano… chissà, probabilmente si era anche fumato diverse canne, prima della conversazione! Lui continuava a prendere la cosa quasi seriamente, come se ci credesse per davvero.
In quel momento, sai… non so spiegare esattamente cosa successe. Provai una sensazione strana, molto sgradevole, all’altezza del petto, come se non disponessi più del mio corpo, o dei miei sentimenti. Fu solo un attimo, ma fu la sensazione più brutta della mia vita.
Non so davvero da cosa fosse dovuto… forse è stata l’ansia pre-concerto, o qualcosa del genere.
Se ne accorse anche lui dato che, avvicinandosi un po’ di più a me, mi ha chiesto se stessi bene. Gli spiegai che avevo avuto solo un brivido di freddo… lui sorrise.
“Bene, qui ho finito!” disse, allora “Sappi che nemmeno un patto col diavolo può nulla contro l’amore… e che un corpo senz’anima invecchia in fretta. Se sarà tuo entro un mese, sarà tuo per sempre, altrimenti farai una brutta fine.”
Detto questo sparì tra la folla, senza nemmeno salutarmi.
Non so che pensare…
L’ho raccontato a Melany, ma lei si è messa a ridere. Ha detto che i ragazzi con un macabro senso dell’umorismo non dovrebbero mai farsi le canne, o anche peggio.
Sì, ha ragione lei. Che altro potrebbe essere, altrimenti?!
A volte sono davvero stupida, così ingenua…
Comunque sia, adesso vado a letto, sono molto stanca. Da stamattina mi sento leggermente male… spero di non avere l’influenza, per il concerto!

 

 
Cherry.



O… cazzo.
Cercai di fare mente locale.
In teoria, stando a quanto scritto sul diario, Cherry dovrebbe avere sedici anni appena compiuti, anche se ne dimostra molti più di trenta. In effetti, in quell’arco di tempo trascorso con noi, aveva continuato a invecchiare visibilmente…
Rilessi le parole del  ragazzo misterioso del pub: “Un corpo senz’anima invecchia in fretta”.
Cherry aveva davvero fatto un patto col diavolo, seppur inconsapevolmente? Quel ragazzo, dunque, era…
No, non era possibile! Insomma, il diavolo non aveva l’aspetto di un ragazzino qualunque, incrociato in un pub!
In quel momento mi venne in mente una frase sentita da qualche parte…
“Il diavolo non viene da noi con la sua faccia rossa e le corna. Lui viene da noi travestito da tutto quello che hai sempre desiderato”
Rilessi più volte quella pagina di diario, cercando di orientarmi in quella storia intricata. Dunque Cherry, in realtà, non era un demone, ma semplicemente una ragazzina così ingenua da cascare in un tranello del diavolo, stringendo un patto con lui, vendendo la sua anima in cambio di Jason… no, in cambio della possibilità di poter stare con Jason!
C’era scritto che avrebbe dovuto conquistarlo entro un mese, se voleva che fosse suo per sempre. Con orrore, guardai la data nello schermo del cellulare: erano le undici di sera del 28 luglio. Basandomi sulla data del diario, il patto era stato stretto il 9 luglio, quindi avrei dovuto salvare Jason entro il 9 agosto.
L’ansia iniziò a invadermi. E se fosse stato troppo tardi, ormai?
No, quello stesso giorno ero riuscita a farlo tornare in sé, baciandolo.
“Nemmeno un patto col diavolo può nulla contro l’amore”.
Avrei dovuto incontrarlo di nuovo, parlare con lui, fargli vomitare quella roba e fare in modo che non incontrasse più Cherry, almeno fino al 9 agosto. Ma… cosa sarebbe successo a Cherry, quel giorno?
Il diavolo le aveva detto che, se Jason non fosse stato suo entro un mese, avrebbe fatto una fine orribile.
Rilessi quel diario pieno di ricordi, di delusioni, di sogni e speranze. Cherry era solo una ragazzina, anche lei vittima delle circostanze. Non era il mostro che avevo pensato, anzi.
Sospirai.
Avrei tanto voluto salvare anche lei, ma come?
Un patto è pur sempre un patto.
Melany…
Forse, se fossi riuscita a contattarla, avrei potuto scoprire di più su quella situazione. Anche lei era presente, quella sera.
Bussarono alla porta e, a quel suono, mi alzai di scatto dal letto.
«Chi è?» chiesi, con voce tremante.
Pregai con tutto il cuore che non fosse Cherry, per poi ricordarmi che, se avesse davvero voluto farmi una visita, non si sarebbe certo presa il disturbo di bussare alla porta.
«Sono io, Tracy»
Andai ad aprire, sollevata.
Tracy era in piedi di fronte alla porta, con aria preoccupata.
«Entra» le dissi, con una leggera ansia addosso «Cosa è successo?»
Chiusi la porta alle mie spalle, sperando che non fosse capitato nulla ad Jason.
«Volevo solo dirti che… ti credo. Insomma, credo a tutta questa situazione»
La guardai, sospettosa.
«Davvero? Come mai?»
Tracy si sedette sul mio letto, come se stesse cercando le parole giuste.
«Vedi, non ho voluto dirtelo prima, ma… Cherry mi ha fatto subito una cattiva impressione, fin dalla prima volta che l'ho vista. Inizialmente pensavo che fosse solo per una questione di solidarietà nei tuoi confronti ma, giorno dopo giorno, il disagio che provo verso di lei è sempre più forte. C’è qualcosa di oscuro, nel suo essere» sospirò «O per meglio dire, non c’è…»
«Non c’è qualcosa di buono, vero? Tipo la sua anima»
Mi fissò, sconvolta.
«Sì, qualcosa del genere»
Mi sedetti accanto a Tracy, prendendole una mano.
«Ci siamo trovate in altre situazioni strane, ricordi?» mi chiese.
Annuii. Sì, Tracy era sempre stata un po’ strana, sotto quel punto di vista. Spesso riusciva a comprendere le persone al primo sguardo, anticipando situazioni che si sarebbero poi realmente verificate.
«Non ti ho mai creduto, lo sai» le dissi, senza cercare di fingere «Adesso, però, con la situazione attuale… sì, credo che sia possibile il fatto che tu sia un po’ più percettiva, per così dire»
«Non lo sono mai stata più di tanto» confidò lei «Ultimamente mi accadono sempre più spesso cose strane, orribili incubi in cui Cherry assume la forma di un serpente. Forse è dovuto alla sua vicinanza»
Le raccontai di quell’episodio, nella piccola cucina del pullman, e di quella stessa notte nell’albergo. Le feci leggere il diario, esponendo i miei dubbi.
«Sì, ora è tutto chiaro» concordò Tracy, confermando le mie ipotesi «Sento che la cosa giusta da fare sia contattare questa Melany»
«Lo credo anche io, ma non so come rintracciarla»
Tracy andò a prendere il mio portatile, sul comodino vicino al letto.
«Fortuna che la tecnologia ha inventato Facebook!»
Cercammo Kate, avendo il suo nome e cognome. Una volta trovata, restammo sconvolte. L’immagine del profilo ritraeva due ragazzine dall’aria spensierata: una era chiaramente Cherry, sebbene sedicenne. La prima cosa che notai furono i suoi occhi: erano splendidi, dello stesso verde dei prati.
La foto risaliva a meno di un mese prima.
«Mio Dio, è assurdo» sussurrò Tracy, anche lei scossa.
«Secondo te la ragazza accanto a lei, nella foto, è Melany?» chiesi, cliccando poi sulla foto.
Il tag riportava in effetti che quella ragazza dai lunghissimi capelli mogano e gli occhi castani si chiamasse Melany Thompson.
«Direi di sì…»
 
 
Incontrai Melany il pomeriggio dell’indomani, in un piccolo bar della periferia di Londra.
«Io… non ci credo… Alice Mills!» pianse quasi la ragazza, vedendomi.
Mi misi l’indice sulle labbra, sorridendo.
«Sì, in carne e ossa» sussurrai.
Entrammo nel locale, sedendoci a un tavolo situato nella veranda posteriore.
Vidi Melany chiaramente confusa ed emozionata. Sorrisi indulgente, togliendomi il berretto  e gli occhiali da sole che avevo indossato per mascherarmi.
A quel punto giurai che fosse davvero sul punto di svenire.
«Ti starai certo chiedendo perché ti ho contattata»
«Sì, in effetti… non che mi dispiaccia, certo, tutt’altro, ho sempre desiderato incontrarla… cioè…» balbettò, arrossendo.
«Diamoci pure del tu!»
«Certo, A…»
«Alice, per favore»
«Alice» mormorò lei.
Ordinammo del thè fresco con qualche pasticcino. Erano quasi le cinque del pomeriggio ed eravamo pur sempre a Londra, in fondo.
«Allora, Alice» disse, dopo un po’ «perché hai voluto incontrarmi?»
Presi il diario di Cherry dalla borsa, posandolo sul tavolo.
Al vederlo, Melany si mise a piangere.
«Come fai ad averlo?»
«Kate è con noi dalla sera del concerto» spiegai.
Melany si portò le mani alla bocca.
«Perché non mi ha detto nulla? Sono stata così in pensiero per lei, per non parlare dei suoi genitori!»
Mi raccontò che, subito dopo il concerto, si sono perse di vista. Una volta uscita dallo stadio, dunque, ha provato a chiamarla, ma il cellulare era spento.
«Avrei dovuto starle più vicino, tenerle la mano… è facile perdersi quando ci sono così tante persone, in giro» continuò, singhiozzando «I suoi genitori ci vennero a prendere, ma lei ancora non c’era. L’abbiamo cercata dappertutto, abbiamo anche chiesto alla security, ma nulla, sembrava volatilizzata. Alla fine abbiamo chiamato la polizia, che ci ha consigliato di tornare a casa. Una volta lì…»
Pianse sempre più forte, non riuscendo più a continuare.
Le porsi un fazzoletto, abbracciandola.
«Calmati, su… bevi un po’ di thé» le avvicinai la tazza, facendo attenzione a non versarlo.
Melany ne bevve un sorso, parve tranquillizzarsi.
«Scusami» mormorò, asciugandosi le lacrime.
«Non ti preoccupare, è normale. Devi volerle molto bene»
Melany annuì, con decisione.
«Cosa è successo, una volta a casa?»
«Trovammo una lettera sul suo letto» continuò, triste «C’era scritto che odiava la sua vita, odiava tutti noi, che avremmo dovuto considerarla morta perché non si sarebbe mai più fatta rivedere. Alcuni dei suoi vestiti erano spariti, così anche la polizia la interpretò come una fuga da casa. Da allora non ne sappiamo più nulla» scosse la testa, sorridendo amara «Io non credetti subito a quelle parole. Poteva anche odiare la scuola, la vita, i suoi, ma non avrebbe mai potuto odiare me, impossibile. Siamo sempre state come sorelle, capisci? Come ha potuto fare una cosa del genere senza dirmi nulla?»
Sospirai, carezzandole delicatamente i capelli.
«Se avessimo saputo la sua età, avremmo subito avvertito la polizia. Purtroppo, però, Kate non è più la ragazza che conoscevi. Ti sembrerà strano ma lei, in questo momento, sta con Jason»
«Co… cosa?» balbettò lei, strabuzzando gli occhi «Intendi che stanno proprio…?»
«Sì. Quella sera, dopo il concerto, li ho trovati a letto insieme»
Melany si fece pallida.
«O mio Dio… Alice, non so davvero che dire! Lei ha sempre avuto una cotta per Deamon J, cioè, per Jason, ma… insomma, chi è che non l’ha mai avuta?»
Sollevai un sopracciglio, sorpresa. Lei, probabilmente, pensò che quelle parole mi avessero offesa.
«Scusami, so che sarai già abbastanza depressa. Dio, faccio schifo con le parole! Quello che voglio dire è che Jason è un tipo che affascina, sì, così come tutti gli altri. È normale avere una cotta per la rockstar del proprio cuore, no? Ma la cosa finisce lì»
Ricordai delle mie innumerevoli “cotte” giovanili per David Gilmour, Robert Plant… o ancora per Axl Rose, Bon Scott. Improvvisamente, riuscii a capire che anche noi avevamo creato quegli stessi sentimenti nei cuori dei nostri fan. E io che ne ero sempre stata gelosa, arrivando addirittura a litigare con Jason!
«Ma come ha fatto a incontrarlo?»
Le raccontai della sera del concerto, di quella sensazione strana, dello sguardo assente di Jason, dell’averlo trovato con Cherry. Le dissi di come la sua amica si fosse trasformata in una specie di serpente, per ben due volte, che aveva cercato di uccidermi, che teneva Jason sotto controllo, che, ormai, dimostrava quasi trentacinque anni e continuava a invecchiare ogni ora.
«So che è assurdo» continuai, vedendo Melany fissare la superficie di legno del nostro tavolo «ma devi credermi. Guarda, leggi qui»
Le misi davanti agli occhi l’ultima confidenza del diario di Kate.
«No… oddio» balbettò, mangiandosi nervosamente le unghia «Se solo avessi saputo…!»
«Non potevi saperlo; non l’aveva capito nemmeno lei»
Melany scosse la testa.
«Non so che pensare…»
«Melany» le presi il volto tra le mani, fissandola dritta negli occhi «quello che sta accadendo è tutto vero. Devi credermi»
Melany era titubante.
«Anche se ti credessi… come potremmo risolvere la situazione?»
«Me ne occupo io, tu devi solo pensare a farla tornare in sé»
«Ma se è diventata davvero la donna che tu dici non mi starà mai a sentire!»
«Sei pur sempre la sua migliore amica, no?»
«Lo ero, prima che vendesse l’anima. Il fatto che invecchi tanto in fretta vuol dire che non ne ha più una Chi lo dice che sia ancora capace di provare dei sentimenti?»
«Penso che, in realtà, parte della sua anima sia rimasta in lei, altrimenti sarebbe già morta. Devi solo toccare le corde giuste… se non vuoi farlo per aiutare me, fallo per Kate!»
Melany sospirò.
«Ci proverò. Dimmi solo dove e quando»
 
 
Per la prima volta da settimane, quella sera, noi del gruppo cenammo tutti insieme. Avevamo ordinato qualcosa con il servizio in camera e fatto portare il tutto nella suite di Ryan, sistemandoci sul tavolo del piccolo salotto privato annesso alla stanza, così da avere più privacy. Tracy si era seduta alla mia sinistra, stringendo la mia mano da sotto il tavolo. Alla mia destra, invece, sedeva Ryan, con un braccio sulla spalliera della mia sedia.
I ragazzi cercavano di comportarsi come al solito.
Steve teneva banco come sempre, raccontato migliaia di stupidi aneddoti della sua vita, per la maggior parte inventati. Cam era quasi completamente ubriaco ma continuava a bere, scatenando l’ilarità generale. Ian cercava di fare dei discorsi seri, ma nessuno gli dava retta. Jason e Cherry, invece, sembravano in un mondo tutto loro. Lei lo aveva isolato da noi, dal suo gruppo, per ammaliarlo con baci e carezze languide.
Sapevo che fosse tutto un maleficio e che Jason mi amasse ancora, ma vederlo flirtare con Cherry mi rigettò nella depressione più nera. Mangiai solo qualcosa, pur di non dare a vedere ai miei amici quanto stessi soffrendo.
Cercai di tener presente a me stessa che anche lei era solo una vittima, ma era difficile resistere alla tentazione di metterle le mani alla gola. Ormai, notai, dimostrava quasi quarant’anni. La situazione peggiorava a vista d’occhio. Il 29 luglio era già passato e non avevo ancora un piano ben preciso.
«Amore, glielo dici tu?» chiese Cherry, con voce suadente.
Alzammo la testa contemporaneamente verso di loro, interrompendo l’allegro chiacchiericcio che si era creato.
«Certo» sorrise lui, lasciandole un bacio sulle labbra. I suoi occhi erano quasi completamente neri «Ragazzi, io e Cherry abbiamo deciso di sposarci»
Cosa…?
«Cosa?» urlò Tracy, scattando in piedi. Ian la fece sedere, cercando di calmarla.
«Qualche problema?» chiese Cherry, con un largo sorriso.
«Ce ne sarebbero molti, di problemi» sbraitò Cam, agitandosi.
Jason lo guardò truce.
«Non vedo perché la cosa dovrebbe importarti»
«M’importa perché stai facendo un’enorme cazzata, Jason! Senti, tu ed Alice siete miei amici da quasi una vita, okay? Tutti noi sappiamo che è sempre stata lei quella giusta per te! Posso anche capire le scappatelle, d’accordo, col tempo ci si stanca a mangiare dallo stesso piatto...»
Steve, accanto a lui, gli diede una violenta gomitata, al ché Cam mi guardò, imbarazzato.
«Senza offesa, Alice»
«No problem» dissi, con una scrollata di spalle. Ero abituata da tempo ai suoi modi diretti, gli volevo bene anche e soprattutto per quello.
«Dicevo… non ti rendi conto che ti stai facendo fottere il cervello da quella lì?!»
«Non parlare di lei in questo modo!» sibilò Jason.
I suoi occhi erano sempre più neri.
Dovevo fare qualcosa, e subito.
Sorrisi tra me e me. Quello era il momento ideale.
«Ragazzi, basta così» dissi, ostentando tranquillità.
Cam mi guardò come se avessi un drago dietro le spalle.
«Perché stai ferma lì senza far nulla?» mi gridò contro, indicando Jason e Cherry.
Perché attendevo un piano, e ora me lo stavano offrendo su un piatto d’argento.
«Perché ormai ho perso ogni speranza. Apprezzo le tue parole, davvero, ma tra me e Jason ormai è finita; dobbiamo farcene tutti una ragione» dissi, fissando la tovaglia.
Il braccio di Ryan mi strinse le spalle in un caldo gesto di protezione.
«Dobbiamo rispettare le loro scelte» disse, in tutta calma. In realtà sapevo bene che, in quel momento, avrebbe picchiato Jason a sangue.
«Amico… sei davvero sicuro della tua scelta?» chiese Steve, guardando Jason dritto negli occhi.
Lui non rispose. Lo vidi tentennare sotto il nostro sguardo, il nero un po’ meno denso.
«Certo che siamo sicuri!» intervenne Cherry, buttandoglisi addosso.
«Non stavo parlando con te» sibilò lui, per poi scuotere la testa e alzarsi «Io salgo in camera… inviate la bomboniera al mio assistente»
Anche Cam si alzò.
«Te l’avevo detto che avresti avuto un testimone in meno» sbottò, guardando Jason con aria delusa.
Al tavolo restammo io, Ryan, Tracy, Ian, Jason e Cherry. Su di noi calò un silenzio imbarazzato.
«Bene…!» sorrise Ian, battendo le mani «Congratulazioni! Avete già deciso la data?»
«Pensavamo il prima possibile… il primo agosto, ad esempio! Che ne dici, amore?» chiese Cherry, sorseggiando del vino rosso.
«Sarebbe perfetto!» rispose lui, con un sorriso.
Il giorno del mio compleanno? Bene…!
«No, non potete!» urlò Tracy, gettandomi un’occhiata preoccupata «È solo fra tre giorni!»
«Se hanno fretta fagli fare quello che vogliono, no?» dissi alla mia migliore amica, stringendole leggermente la mano, nascoste dalla tovaglia «Anzi, sarebbe il caso di rimboccarci tutti le maniche e iniziare ad organizzare l’evento! Tracy, perché non vai a chiamare qualche amica? Potremmo festeggiare un addio al nubilato coi fiocchi, per Cherry…!» proposi, cercando di mettere enfasi nella frase.
Tracy sembrò afferrare il concetto.
«Ottima idea, Alice! Vado subito in suite a ripescare dei contatti… a dopo, e congratulazioni!» rise, andando via.
Ian e Ryan ci guardarono sconvolti mentre Cherry, sospettosa, si strinse sempre più ad un impassibile Jason.
«Come mai tutta questa gentilezza?» chiese, fiutando l’inganno.
«Così mi offendi, cara Cherry… stai entrando a far parte della nostra famiglia, dopotutto, no? Voglio solo scusarmi per il mio comportamento, una piccola festicciola è il minimo che possa fare. Perché non invitiamo anche la tua migliore amica… Melany, giusto?»
Cherry si alzò di scatto, tremando. Per un attimo riuscii a intravedere il verde dei suoi occhi.
«Come… come lo hai scoperto?»
«Beh, è risaputo che le federe dei cuscini siano dei nascondigli piuttosto banali…!»
«Tu… ridammelo!» urlò, scagliandosi contro di me. Ian e Ryan balzarono verso di lei, fermandola.
In quel momento, con la coda dell’occhio, vidi Jason farsi sempre più teso e iniziare a tremare, i suoi occhi variare dal nero all’azzurro, le mani artigliare con forza la base della sedia. Capii il conflitto interiore che si stava agitando al suo interno, tra quella malvagia entità e la sua anima. Pregai che riuscisse a trattenersi ancora per un po’.
Ian e Ryan notarono il suo stato, ma erano troppo impegnati a trattenere Cherry. Si vedeva chiaramente che, nonostante entrambi  fossero grandi e grossi e Cherry una cosa minuscola a confronto, stessero mettendo tutte le loro forze per riuscire a tenerla.
«Ho detto di ridarmelo!» gridò ancora lei, agitandosi sempre di più.
Vidi la sua pelle farsi sempre più squamosa, la sua lingua sibilare.
Ecco, c’eravamo quasi.
«No, perché?» sorrisi, più acida che potei «Mi sto divertendo tanto, leggendo le tue fisime da adolescente, Cherry… o forse dovrei dire Kate?»
A quel punto Ian e Ryan non riuscirono più a trattenerla e Cherry, con un balzo, tramutata ormai in demone, si gettò addosso a me.
Scartai di lato, evitandola.
«Mi credete, ora?» gridai a Ian e Ryan.
«Cazzo!» sentii urlare Ian.
Afferrò un coltello, diretto verso Cherry. Quella, però, lo vide e con un gesto del braccio lo fece volare contro la parete, facendogli perdere i sensi:
Cazzo, Tracy… quanto diavolo ci stava mettendo?!
Cherry ripartì all’attacco, ormai fuori controllo. Ryan le tirò un piatto, colpendola alla testa, ma lei non sembrò nemmeno notare il profondo taglio che le provocò sulla tempia, che si rimarginò subito dopo.
«Alice… scappa!» urlò Jason, riprendendo per un attimo il controllo del proprio corpo.
No, dannazione, c’eravamo quasi…!
La porta della suite, finalmente, si aprì.
«Kate»
Al suono di quella voce il demone si bloccò di colpo.
«Melany» la sentii sussurrare, gli occhi neri spalancati.
Sorrisi, sperando che tutto andasse come previsto.




NdA
Innanzitutto grazie davvero a tutti coloro che stanno seguendo questa ff!
Volevo informarvi che il prossimo sarà l'ultimo capitolo della storia; è già scritto, lo posterò a giorni!
Avrei voluto dilungarmi un po' di più ma, essendo una storia partecipante ad un contest con dei limiti ben precisi, ho dovuto concludere il tutto entro i cinque capitoli.
Bene, fatemi sapere cosa ne pensate, come sempre!
Ci tengo al vostro parere e, con l'ultimo capitolo, comunicherò anche quello dei giudici del contest! ;)
Alla prossima!
Witch ^-^

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 


Melany era in piedi di fronte alla porta, visibilmente sconvolta. Notai quanto stesse cercando di farsi coraggio, stringendo forte i pugni.
«Sì, sono io» sorrise, avvicinandosi a Cherry «Ero tanto preoccupata per te… temevo che ti fosse successo qualcosa di male»
Lacrime nere rigarono le guance di quello che, ormai, era totalmente un demone in quanto aspetto.
«Mi è successo, infatti, qualcosa di male» rispose, accasciandosi su se stessa.
Prese a tremare violentemente, rigettando quella sostanza nera.
Melany si tirò indietro.
«È un bene che vomiti quella roba» le dissi «Continua, non ti fermare!»
La ragazza annuì, tra le lacrime, poggiando una mano sulle spalle dell’amica, accarezzandola.
Con la coda dell’occhio vidi Tracy, terrorizzata, correre verso il corpo di Ian, subito rassicurata da Ryan sulle condizioni del suo ragazzo.
Melany continuava a sostenere Cherry, passandole una mano sui capelli.
«Fin quando ci sarò io, con te, non ti accadrà nulla di male» le sussurrò.
A quelle parole, però, Cherry si alzò di colpo, infuriata.
«Bugiarda! Tu mi hai lasciata sola con lui! Hai permesso che mi facesse questo!»  gridò, indicando il proprio colpo.
«Lo so, e mi dispiace, è colpa mia. Ora però risolveremo tutto, insieme»
«No, non si può» mormorò Cherry, per piegarsi su se stessa e rigettare nuovamente.
Vidi anche Jason, in un angolo, liberarsi da quel male.
Pallido e sudato si sedette sul pavimento, poggiando la testa contro la parete, riprendendo le forze. Dovetti resistere all’impulso di correre da lui: non era ancora finita.
«Kate» la chiamai, avvicinandomi.
«Tu… tu mi odi!» sibilò lei, ritraendosi.
Notai che la parte sinistra del suo corpo era completamente normale, l’occhio era persino tornato verde.
Le sorrisi.
«Ti sbagli, non potrei mai odiarti. Sei solo una vittima, come tutti noi» dissi, allargando le braccia «So che sei una brava ragazza, e anche che ami tanto il nostro gruppo. Ne sono felice, davvero»
Cherry pianse, ad ogni lacrima tornava a essere sempre un po’ più Kate. Sembrò anche che stesse tornando giovane.
«Devi continuare a lottare così, Kate, stai andando alla grande» disse Tracy, incoraggiandola.
«No… sono malvagia...»
«Non lo sei. Non volevi davvero fare questo patto, ti ha ingannata»
Kate annuì, piangendo.
«Però l’ho fatto comunque. Ormai sono una dannata»
«No, non è detto!» gridai.
Mi rifiutavo di crederci, non poteva essere vero!
Senza nemmeno rendermene conto corsi da lei per abbracciarla.
In un primo momento cercò di divincolarsi, per poi gettarsi in quell’abbraccio, piangendo le sue lacrime nere.
Melany si unì a noi, piangendo anche lei.
«Ti staremo vicini, ok?» le sussurrai ad un orecchio.
«Tu… allora è vero che non mi odi?»
«Non ti odio, piccola»
Avevo perdonato del tutto quella ragazza. Leggendo il suo diario mi ero accorta di quanto fossimo estremamente simili. Anche io, quando avevo sedici anni, mi sentivo un’emarginata, un’incompresa, ma ho potuto contare sull’appoggio dei miei amici e del mio sogno, diventato finalmente realtà. Lei, invece, non aveva avuto la mia stessa fortuna, anzi, il male aveva persino deciso di approfittarsi della sua sofferenza per trarne vantaggio.
«Però Jason mi odia!»
«No, nemmeno lui ti odia… vero?»
Lui mi guardò, scettico. Era ancora pallido e provato per l’esperienza appena passata. Nonostante ciò ebbe la forza di sorridere, seppur debolmente. Si alzò, vacillando, si inginocchiò insieme a noi e ci avvolse tra le sue braccia tatuate.
«Questa situazione… non so esattamente da cosa sia nata ma, se Alice dice che non è colpa tua e che non c’è motivo per odiarti allora le credo. Ti aiuteremo… siamo una famiglia»
Sentii Kate singhiozzare ancora più forte. Ormai era quasi tornata quella di prima, gli anni e le rughe cadevano via dalla sua pelle insieme alle lacrime dense e scure, facendo riemergere il ritratto di quella ragazza dall’aria dolce e timida.
«Noi… ti perdoniamo!» dissi, con decisione.
A quel punto, però, Kate si alzò di scatto, gli occhi nuovamente neri.
Melany, Jason e io ci allontanammo da lei. Sentii le braccia di lui stringermi con fare protettivo, quasi cercasse di farmi da scudo contro quella nuova e sconosciuta minaccia.
Tracy era sempre più atterrita, con accanto il solo sostegno di uno Ryan alquanto sconvolto per via di ciò che si stava verificando sotto i propri occhi. Ian era ancora svenuto: sperai con tutto il cuore che stesse davvero bene, l’impatto era stato piuttosto violento.
Kate sorrise maligna, incrociando le braccia al petto e chinando la testa di lato.
«Ma brava la mia Alice» disse una voce profonda e oscura. Al solo sentirla venni percorsa da violenti brividi in tutto il corpo.
Quello era il Male.
«Sei riuscita a rovinare il mio piano.» continuò «Avete dimostrato una forma di amore nei confronti di quest’inutile ragazzina, riuscendo persino a perdonarla. Il patto non può aver luogo, senza una fonte d’odio ad alimentarlo»
Ecco perché, non appena Melany era entrata nella camera, semplicemente con la sua presenza e con l’affetto nei confronti di Kate, era riuscita a renderla libera.
Sorrisi, nonostante tutto.
«Questo significa che Kate avrà indietro la sua anima!»
Il Male sorrise.
«Sì, ma questo non vuol dire che riesca a sopravvivere. Il suo corpo è molto provato dall’eccessivo e improvviso invecchiamento e ringiovanimento. Non è consigliabile privarsi per lungo tempo della propria anima, seppur parzialmente. Morirà non appena lascerò il suo corpo»
«No!» urlò Melany, piangendo «Non puoi!»
Quelle frasi provocarono una sua sonora risata.
«Posso fare questo e ben altro, non mettermi alla prova. Se la cosa vi può consolare, la sua anima non mi appartiene più, per cui riposerà in pace»
Piansi.
Avrei dovuto essere felice del fatto che la sua anima, alla fine, avrebbe avuto la pace che meritava, ma ciò non m’impedì di piangere al pensiero che la sua vita si stava infine spegnendo.
Jason mi strinse più forte, infondendomi un calore mai provato prima.
Il Male storse la bocca, disgustato.
«Beh, mi dovete un’anima, e io non dimentico mai i miei debiti… ho l’eternità per riscuoterli. Ci si vede» detto questo gli occhi di Kate tornarono verdi, la sua espressione divenne serena. Il suo corpo si accasciò di colpo a terra e Melany fu subito lì, prendendola prima che toccasse la moquette caramello.
Ci avvicinammo a lei, compreso Ryan, seppur con reticenza.
«Kate? Kate!» continuava a chiamare Melany, scuotendola.
Lei, però, non rispose, né i suoi occhi verdi diedero segno di vita.
Sulle labbra, notai, aveva un sorriso appena sbocciato. Agli angoli degli occhi, ancora aperti, rivolti con sguardo vacuo verso il soffitto della suite, delle piccole lacrime facevano capolino, trasparenti.
Jason le chiuse gli occhi, mentre Ryan abbracciò Melany, allontanandola dal corpo dell’amica.
Vidi Tracy rabbrividire per poi sorridere, serena.
«Ho sentito… tanta pace. Era la sua anima, finalmente al sicuro» spiegò, carezzando i capelli rossi di Kate.
Jason mi diede un bacio sulla testa.
«Stai bene?» mi chiese, sorridendo, ancor debole.
«Sì… per così dire» sbuffai, appoggiandomi a lui «Tu?»
«Da parecchio non stavo così bene, anche se ho passato tempi migliori. Kate… è così diversa da Cherry. Mi devi spiegare molte cose» disse, guardandomi negli occhi, serio come mai.
Sospirai, osservando il corpo di Kate.
Piansi ancora, senza nemmeno rendermene conto.
«Ti spiegherò tutto, promesso. Adesso, però, pensiamo a lei»
 
 
Mettemmo in ordine la suite, per poi chiamare un’ambulanza, dicendo che una nostra amica si sentiva improvvisamente male.
Spiegammo alla polizia, chiamata in seguito alla constatazione del decesso e all’accertamento che si trattasse di una persona scomparsa, che Kate era fuggita di casa, intrufolandosi la sera del concerto all’interno del nostro tour bus. Dicemmo che eravamo riusciti a contattare Melany, nella speranza che riuscisse a convincerla a tornare sui suoi passi ma che, in quel momento, si fosse accasciata improvvisamente a terra.
I risultati dell’autopsia sembrarono dar conferma alle nostre parole: Kate morì di arresto cardiaco, dovuto a un affaticamento anomalo del cuore. I medici non seppero spiegare da cosa fosse derivato quell’affaticamento in un individuo talmente giovane, limitandosi a dire che avveniva solo in casi rarissimi per via di malattie cardiache ancora nei primi stadi.
I funerali si tennero tre giorni dopo.
Era l’1 agosto, una giornata inclemente di sole e calura.
Era il giorno del mio venticinquesimo compleanno, trascorso al cimitero, di fronte alla lapide di marmo bianco sormontata di fiori colorati di Katelyn Frey.
L’intera band era presente, finalmente a conoscenza di ciò che era accaduto nell’ultimo mese. Io e Tracy raccontammo ai ragazzi tutta la storia, nonostante Cam e Steve fossero ancora scettici al riguardo. Spiegai loro il piano che avevo escogitato in un momento di follia, in quel bar, aggrappandomi alla speranza che l’amicizia tra Melany e Kate fosse più forte del male, così come l’’amore tra me e Jason, convincendo così la ragazza a venire con me in albergo, aspettando il momento più propizio per indebolire Cherry e farle incontrare. Non aveva funzionato come avrei voluto: Jason era finalmente libero, così come Kate, ma lei, alla fine, era morta comunque.
Avevo fallito, era morta.
«Non è stata colpa tua. Abbiamo fatto tutto ciò che era possibile» mi aveva detto Tracy, ma continuavo a scuotere la testa. Mi sentivo in colpa verso Melany, verso i genitori di Kate. Non avevo nemmeno il coraggio di guardarli in faccia.
Melany, in piedi alla destra della lapide, piangeva ancora. Ryan, notai, aveva preso a cuore quella ragazza, continuando a consolarla, un braccio ad avvolgerle le spalle e l’altro ad accarezzarle i capelli. Era sempre stato così, pensai, pronto a sostenere chiunque, fosse anche una sconosciuta. Era nella sua natura.
I genitori di Kate erano visibilmente sconvolti. Abbracciati, piangevano la morte della loro bambina, senza riuscire ancora a spiegarsi molte cose riguardo la sua improvvisa fuga, o quella lettera trovata sul letto.
Avrei tanto voluto trovare delle parole per dar loro conforto, ma non riuscii proprio a cavare nulla, frenata dai sensi di colpa che mi stavano rodendo l’anima.
«Non spetta a noi alleviare il loro dolore» mi disse Jason, a fine funerale, conducendomi verso il taxi.
Prima che riuscissi a salire, Melany corse verso di me, con Ryan accanto.
«Alice, aspetta!»
Mi fermai, fissando gli occhi a terra.
«Melany, mi dispiace, avrei dovuto…»
Melany mi abbracciò di slancio, piangendo sulla mia spalla. Mi unii a lei, stringendola più forte che potei.
«Grazie!» mi disse «L’hai liberata…. Grazie a te potrà riposare in pace»
Scossi la testa.
«L’ho uccisa, Melany. Non cercare di giustificarmi»
La ragazza inorridì, afferrandomi con fare deciso il viso tra le mani.
«Nient’affatto. La colpa non è nostra, mettitelo bene in testa. Non dobbiamo lasciarci prendere dai rimpianti, e sai perché? Perché è lui che ci spinge a provarli, per indebolirci. Dobbiamo essere forti, chiaro? E lo saremo insieme!»
Venni scossa da quelle parole, rendendomi conto della verità celata in esse. Vidi Ryan sorridere, gli occhi fissi su Melany, e capii che parte di quel discorso era suo, nato probabilmente per alleviare quegli stessi sensi di colpa che anche Melany aveva dovuto provare. Continuava a maledirsi anche lei, in fondo, per aver lasciato sola la sua amica, in balia del Male. Lo sapevo bene, non aveva fatto altro che ripeterlo, in quei giorni, tra le lacrime dei suoi occhi vuoti e spenti. In quegli stessi occhi, però, adesso riuscivo a vedere la scintilla di una nuova determinazione, e tutto ciò era grazie al mio migliore amico, a Ryan. Diceva sempre le cose giuste, al momento giusto.
La salutai con calore, entrambe promettendo a vicenda di farci sentire.
Salimmo sul taxi, allontanandoci dal cimitero, salutandola con la mano dai finestrini, vedendo la sua figura, solitaria su quel prato, farsi sempre più piccola.
Il giorno dopo avremmo ripreso il tour da dove l’avevamo interrotto, partendo per la Francia: non potevamo restare un minuto di più, era già tanto che la produzione ci avesse concesso il tempo di porgere gli ultimi saluti a Kate.
Il viaggio verso l’aeroporto fu stranamente silenzioso, per noi sei.
«Direi che la storia è finita» mormorò Tracy, appoggiandosi stancamente a Ian, ancora non del tutto ripresosi da quella sera.
«No, non credo» disse Jason «Ragazzi, mi è venuta un’idea per il nuovo album…»
 
 
L’adrenalina era a mille.
Da lungo tempo non eravamo su un palco e fummo investiti dalla potenza di quei cori, dall’amore e dall’ammirazione dei nostri fan.
Per la prima volta riuscii a vederli, uno per uno.
In ognuno di quei volti si moltiplicava quello di Kate, portandomi molto spesso sull’orlo della crisi.
A fine canzone feci un gesto alla mia band, affinché smorzasse leggermente i toni.
«Ragazzi» dissi sul microfono, rivolta al pubblico che, in tutta risposta, iniziò a gridare. Sorrisi «Volevo ricordare con voi una nostra fan inglese che, nemmeno una settimana fa, ha perso la vita. Era una ragazza adorabile, anche se non ho avuto modo di conoscerla bene, né nel migliore dei modi. So che, in questo momento, ci guarda, da lassù. Kate, questa è per te.»
Come concordato iniziammo la nostra nuova canzone, Smell of Cherry, composta e improvvisata proprio in quei giorni, nata dalle paure, dalle sofferenze e dalle scoperte di quell’ultimo mese.
 
The Devil wants you, but you’re now free.
Fly high, little Cherry, don’t stop your flight.
Our love is the wind under your wings.
Fly high, little Angel.

Fly high, little Cherry.


 
Era curioso di come riuscimmo a comporre quella canzone in maniera del tutto naturale.
Ci chiudemmo all’interno dell’ennesima suite dell’ennesimo albergo per un giorno intero, con i nostri strumenti, i nostri fogli scarabocchiati e i nostri sentimenti ben in vista, pronti all’uso. Come ai vecchi tempi trovammo subito quell’intesa, divenendo una cosa sola. Di nuovo Jarcis.
La prima persona al mondo ad ascoltare quella canzone fu Melany, a chilometri di distanza da noi, ma sempre vicina. Con lei si era creato un rapporto speciale, nato dal fatto di aver vissuto quella sovrannaturale situazione, di aver provato le stesse sofferenze, di aver riportato le medesime ferite.
«Spacca i culi» ci disse dall’altro capo del telefono, con la voce leggermente rotta.
Ridemmo, per poi abbracciarci.
Jon, il nostro manager, non era d’accordo sull’esecuzione al pubblico ancor prima della pubblicazione dell’album, dovendo essere quella la track list principale del progetto. Noi cinque, però, eravamo determinati a eseguirla quanto prima; era un nostro modo per rendere omaggio a Kate, per concretizzare e archiviare quella situazione a modo nostro, attraverso la musica e la passione dei nostri fan, di cui anche lei fece parte.
Li vedemmo ballare, urlare, canticchiare il motivo di quella canzone fino a quel momento sconosciuta ma che, in quel modo unico e speciale che solo la musica era in grado di creare e spiegare, era già entrata nel cuore di tutti loro.


Un anno dopo Smell of Cherry divenne un concept album, incentrato sulla storia vissuta nel luglio del 2010.
Ottenne un enorme successo, scalando in fretta le classifiche di tutto il mondo.
I numeri, però, poco ci importavano. Ciò che più ci dava gioia era l’aver reso Kate, Cherry, immortale.

 


NdA
Ed eccoci alla conclusione! :')
Che dire, grazie a tutti coloro che l'hanno seguita/letta/ricordata e, soprattutto, a 21century che ha recensito i capitoli!
Spero che vi sia piaciuta e... fatemi sapere! ;)
See you next time!
Witch ^-^

 

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