secret base ~ 君がくれたもの ~

di AlyTae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scandalous Sun ***
Capitolo 2: *** Brand new wave ***
Capitolo 3: *** Please, don't say "You are lazy" ***
Capitolo 4: *** SPARKLING ***
Capitolo 5: *** Rock n' Roll Wi(n)dow ***
Capitolo 6: *** HARUKA ***
Capitolo 7: *** Onegai NAVIGATION ***
Capitolo 8: *** I wanna be your Rock n'Roll ***
Capitolo 9: *** Ring!Ring!Ring! ***
Capitolo 10: *** Houkago 1H ***
Capitolo 11: *** BEAUTeen! ***
Capitolo 12: *** Metronome ***
Capitolo 13: *** Aitai ~ Rina's Story ~ ***
Capitolo 14: *** We're looking for our place of life ~ Rina's Story part II ~ ***
Capitolo 15: *** We Are... ***
Capitolo 16: *** ...Oh, shit ***
Capitolo 17: *** ~SPECIALE~ Tributo alle vittime dell'attentato di Parigi ***
Capitolo 18: *** Sayonara Virgin ~ Mami's Story ~ ***
Capitolo 19: *** Runners High ***
Capitolo 20: *** Heaven na Kibun ***
Capitolo 21: *** Space Ranger ***
Capitolo 22: *** Chiisana Honoo ***
Capitolo 23: *** DAYDREAM ***



Capitolo 1
*** Scandalous Sun ***


CAPITOLO  1, Scandalous Sun

“ il lontano sole caldo,
il sole è l’esplosione di me
è abbastanza scandoloso”
 
 


Luglio 2006 ore 21, Niigata (Giappone)
 
Tic. Tac. Tic. Tac.
 
Nel silenzio della stanza, l’unica cosa si poteva sentire era il debole rumore dell’orologio. Rimbombava leggermente nel vuoto, dando allo spazio un senso di malinconia ma, tuttavia, anche di pace e tranquillità. Nessuno osava rompere quella quiete. E ad Haruna andava più che bene.
Rimaneva sdraiata sul suo letto, con gli occhi chiusi e le cuffie alle orecchie, che le sparavano dentro il cervello l’ultima canzone dei Sum 41, con quel loro sound sporco, energico e poco curato che a lei piaceva tanto.
Ogni tanto riapriva gli occhi e si guardava intorno: le pareti della sua camera, come sempre, erano tappezzate da poster di Kurt Cobain, Avril Lavigne e i KISS. Gli occhi di quelle immagini stampate sembravano guardarla negli occhi, dentro se stessa, nella sua anima; sembravano giudicarla, chiamarla, dare lei dei consigli. Haruna sentiva quasi le loro voci nella testa.
 
Stai facendo la cosa giusta? chiedevano Ne sei proprio sicura?
 
Haruna sospirò. Sì, sì ne era sicura.
Continuando a guardare la stanza, il suo sguardo cadde, come al solito, su quell’oggetto sacro che era stato la causa di tutto: la sua chitarra. La sua bellissima chitarra elettrica, Fender Stratocaster, nera e verniciata di bianco.
Suo zio gliela aveva regalata qualche mese prima, per il suo compleanno. Ricordava bene quel giorno. I suoi genitori non erano affatto d’accordo. “Deve studiare.” dicevano “Deve prepararsi per essere ammessa alla scuola superiore. Non ha tempo. La farebbe solo distrarre.”
Haruna aveva sempre amato la musica. Uno dei suoi più grandi sogni era quello di diventare una ballerina. Ballava in casa, per strada, nei corridoi della scuola, ovunque sentisse delle note. Ma non aveva mai pensato di suonare uno strumento. Fino a quel giorno.
“Una con una passione così grande per la musica non può non saper suonare uno strumento! È… è uno scandalo!” aveva detto suo zio.  Haruna ovviamente non aveva esitato a provarla. E per lei fu qualcosa di nuovo e meraviglioso. Ogni sera non poteva fare a meno di suonarla, e spesso riceveva parecchie lamentele da parte dei vicini. E dai genitori. Soprattutto dai genitori.
 
Sentì un rumore provenire dalle stanze accanto.
Ecco pensò sono arrivati.
Sentì il rumore di sua madre che si siede fragorosamente sul divano, borbottando qualcosa che non riesce a capire (probabilmente qualche lamentela sul troppo lavoro) e un tintinnio di tazzine che si scontrano, segno che probabilmente suo padre si sta preparando un caffè.
 
Ci siamo.
 
Lentamente, e un po’ titubante, Haruna si alza dal letto e raggiunge e i suoi genitori in cucina.
- Ciao tesoro!- la saluta sua madre - Scusaci tanto per il ritardo. Oggi in ufficio c’è stato un gran caos…-
- La prossima volta gliene dico due al capo!- la interrupe il padre, visibilmente furioso.
- Amore, ne abbiamo già parlato. Non attaccare briga anche al lavoro! –
Il padre sbuffò.
- Allora Haruna…- continuò sua madre – Non sei emozionata tesoro? Tra qualche giorno cominci il liceo!-
- L’hai finita la valigia? Domani parti presto.-
Haruna prese un respiro. Era sempre più tremante: - Sì, sì l’ho finita la valigia.-
- E’ una fortuna che mia sorella ti abbia permesso di stare da lei, nella sua casa a Tokyo – continuò suo padre – Di solito non ospita mai nessuno, quell’antipatica. Ma per te ha voluto fare un’eccezione.-
- Sono così orgogliosa!- strillò la madre – Una delle scuole più prestigiose della capitale! E hai passato subito il test. Che meraviglia. Con l’istruzione che riceverai là, per te sarà uno scherzo andare all’Università. Diventerai un’ingegnere, proprio come me e tuo padre.-
Haruna prese un altro respiro.
- Mamma, papà… io…-
- Se tuo zio fosse ancora vivo – sospirò suo padre – sarebbe così fiero di te.-
- Già, ma… devo dirvi una cosa.. io…-
- Ed hai ottenuto perfino la borsa di studio! – la interruppe il padre – E meno male, altrimenti sai quanto ci sarebbe costato? Credo sia una delle più costose del Giap…-
- Non ci andrò in quella scuola.-
Nel salotto della casa improvvisamente calò il silenzio. L’unico debole sottofondo era l’orologio appeso alla parete della sala.
Tic.Tac.Tic. Tac.
- Come sarebbe a dire?- disse il padre, gli occhi che ardevano di una collera nascosta.
- Non ci vado.- continuò Haruna, tenendo lo sguardo basso – Ho annullato l’iscrizione.-
Di nuovo silenzio.
Tic. Tac. Tic. Tac.
- Perché l’hai fatto?-
- Non ho mai avuto interesse per quello che fate voi. Ecco perché.-
Sua madre la fissava inorridita, e sembrava fosse sull’orlo delle lacrime. Suo padre fremeva nel tentativo di reprimere la rabbia che stava sicuramente provando. Ma nessuno pianse, ne urlò. Ancora.
Tic. Tac.
Haruna ruppe il silenzio di nuovo.
- Mi sono iscritta ad un’altra scuola. –
Nessuna risposta.
- Dove?-
- A Osaka.-
Pausa.
- E quando parti?-
- L’ultimo treno passa tra un paio d’ore.-
Tic. Tac. Tic. Tac.
 
 

L’aria fresca della notte le pizzicava la pelle. Era piacevole. Le dava un senso di libertà.
A quell’ora non c’era quasi nessuno alla piccola stazione di Niigata. Solo qualche viaggiatore, solitario e silenzioso, senza bagagli in mano; uomini con sguardi tristi sul volto, forse diretti verso mete sconosciute, alla ricerca di una vita nuova. Una vita migliore.
Un po’ come Haruna.
Ingegnere. Avvocato. Architetto. Ma cosa le importava? Fin da bambina i suoi genitori si aspettavano grandi cose da lei; l’aveva sempre spronata a studiare e ad allontanarla da ogni minima distrazione. Ricordava la sé stessa di cinque anni, piegata suoi compiti di matematica, spiando dalla finestra i bambini della sua età che andavano in bicicletta, giocavano, ridevano… la vita che aveva sempre sognato era ben lontana dalle formule di fisica.
 
- Cosa ti è saltato in mente di fare una cosa del genere? E senza nemmeno chiedere il permesso ai tuoi genitori!!-
 
Le urla di suo padre di qualche ora fa ancora le  rimbombavano nelle orecchie.
 
- Una mente così brillante… sprecata in questo modo! È uno scandalo! UNO SCANDALO!-
 
Anche i pianti di sua madre non mollavano la sua mente.
 
- E per di più, una scuola di canto e ballo… Che roba! Ma cosa pensi di fare, poi in futuro?-
- Quella è una scuola piena di artisti! Voglio imparare meglio a suonare… e voglio formare una band!-
 
Guardò l’orologio. Mancava ancora mezz’ora all’arrivo del treno per Osaka. Vide una panchina vuota e si sedette, appoggiando la valigia e la sua chitarra, protetta dalla custodia, vicino a lei.
 
- Un band! Questa è bella! Farai la fame, se speri di avere un futuro così! Finirai per diventare una drogata come tutti quei tipacci che ti ascolti!-
 
I ricordi degli urli di suo padre diventavano sempre più fievoli, coperti dalle urla di Kurt Cobain che dalle cuffie attraversavano le sue orecchie e penetravano nella sua mente.
 
- E dove pensi di stare?-
-  Ho già affittato un appartamento.-
- Con quali soldi pensi di pagarlo, eh?-
- I miei! Lavorerò!-
- Sì, questa è bella…-
 
Una luce nella notte la riportò al presente. Il treno era arrivato. Raccolse le sue cose, salì in carrozza e si sistemò al suo posto. Le poltrone del treno non erano comodissime, ma accettabili per poterci passare la notte. In più il treno era deserto, e questo l’avrebbe aiutata a rilassarsi ancora di più.
Da quando era uscita di casa non si era ancora tolta le cuffie dalle orecchie, sperando che la musica appannasse i suoi ricordi delle urla dei suoi genitori. Non volevano che partisse, era ovvio, ma quando era uscita di casa non l’avevano seguita. Forse avevano accettato la cosa, tutto sommato. Questo pensiero la fece calmare. In quel momento il treno ebbe uno scatto, e ripartì per la sua corsa. Haruna spense l’mp3 e si lasciò cullare dal viaggio, guardando sfrecciare, dal finestrino, le città del Giappone una dopo l’altra, in un turbine di colori,luci e modernità di cui il Paese del Sol Levante era tanto famoso. Poi, lentamente, chiuse gli occhi e si addormentò.

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Capitolo 2
*** Brand new wave ***


CAPITOLO 2, Brand New Wave
'Quando si innalza la tua voce
Il domani cambia
Ho asciugato via le mie lacrime
È una nuova onda!'
 



Luglio 2006 , ore 9:43 Osaka (Giappone)

Il rumore dei freni che stridono sulle rotaie le ferirono le orecchie, creando una specie di ponte tra la realtà e il mondo dei sogni. Sbatté le palpebre, e in quel movimento la luce riuscì a penetrarle nei bulbi oculari, ferendole parecchio gli occhi. Dovette stropicciarseli prima di rendersi conto che ormai doveva essere arrivata a destinazione. Sbadigliò, si stiracchiò e finalmente riuscì ad alzarsi e scendere dal treno.
La stazione di Osaka era già popolata e piena di un movimento di cui Haruna non era per niente abituata. Non poteva crederci. Aveva organizzato tutto minimi dettagli, era pronta per la sua nuova vita in quella città, ma, nel suo profondo, non credeva che si sarebbe realizzato. Si aspettava la reazione dei genitori (soprattutto quella di suo padre), ma si aspettava anche che l’avrebbero trattenuta a forza, incatenata e impacchettata e spedita a Tokyo senza problemi. E invece era lì. Il destino voleva questo, e l’avrebbe condotta verso un grande futuro, ne era sicura.
Si sistemò la chitarra in spalla, e solo in quel momento si rese conto che la notte prima aveva fatto la valigia in fretta e furia, terribilmente in ansia per la notizia che stava per dare ai genitori, e non aveva controllato bene di avere tutto. Si sistemò nella prima panchina che trovò liberà e aprì leggermente la sua valigia. Sembrava non mancasse niente. L’aprì ancora di più, per essere sicura di  non aver dimenticato nulla. In quel momento uno spiffero di vento spinse via un pacco di  fogli che erano al suo interno.
Oh merda…
Haruna scattò immediatamente in piedi, cercando di recuperare i fogli, che ormai erano nuvole di carte sparpagliate per il pavimento sporco della stazione. Spintonando la gente, riuscì a recuperarne un paio. Vide che gli altri si erano depositati ai piedi di un ragazzo dai capelli castani e con uno zaino in spalla abbastanza grande. Quest’ultimo li raccolse subito, nonostante il peso del suo zaino lo fece piegare in modo piuttosto goffa.
- Sono miei..- disse ad alta voce Haruna, cercando a fatica di avvicinarsi a lui, cercando di farsi strada tra il via-vai di gente.
Il ragazzo glieli allungò, molto gentilmente. Mentre di avvicinava, Haruna notò che gli occhi scuri del ragazza per un momento si abbassarono, come se volesse sbirciare ciò che era scritto sui quei fogli. La ragazza sentì gelarsi il sangue, provando una leggera punta di panico salirle dal petto fino ala gola. Con uno scatto glieli strappò di mano. Il ragazzo rimase spiazzato da quella reazione così brusca.
- Grazie!- balbettò Haruna cercando di farlo più gentilmente possibile, ma quella che le uscì fu una voce tremante e ansiosa, piuttosto antipatica ad orecchie esterne, perché il ragazzo si limitò a fissarla basito per poi abbassare il capo ed andarsene senza proferire parole. Haruna si sentì avvampare di vergogna, e pregò che quel tipo non avesse letto il contenuto dei suoi fogli.
In quel momento sentì una vibrazione nei suoi pantaloni. Le era arrivato un messaggio. Era la ragazza con la quale avrebbe dovuto condividere l’appartamento. Aveva messo l’annuncio su internet qualche mese prima, il quale diceva che cercava un coinquilino. Aveva la sua stessa età e avrebbe dovuto frequentare la sua stesse scuola. Insomma, era perfetta. Lei e Haruna avevano chattato parecchio durante l’estate e alla ragazza sembrava molto simpatica. Nel messaggio le chiedeva semplicemente se era già arrivata. In effetti le aveva già detto che sarebbe sbarcata per quell’ora. Haruna le rispose velocemente, dicendo che era arrivata e che prendeva in quel momento l’autobus che l’avrebbe portata al condominio. Poi si ficcò il telefono in tasca e corse verso la fermata del bus. Strinse al petto i suoi fogli. Non voleva più metterli in valigia, tenerli in mano la faceva sentire più sicura.
 

L’indirizzo era decisamente quello. Era arrivato. L’edificio non era molto diverso dalla foto: un po’ più vecchio rispetto agli altri palazzi moderni di Osaka, ma quello era ciò che si poteva permettere. Quasi tutti gli appartamenti inoltre erano stati affittati da ragazzi giovani ancora in cerca di lavoro o di vecchi disoccupati. Più o meno era quindi adatto alla sua situazione attuale. E in più, avere già una coinquilina era una fortuna, così avrebbero potuto dividere i prezzi.
Il suo appartamento, se non ricordava male, era al 10 piano. Prese l’ascensore e raggiunse il suo piano. Bussò alla porta, e sentì dei brividi percorrerle la schiena. Era emozionata. Ancora non ci poteva credere di essere lì. Sentì un rumore di chiavi all’interno. Non fece nemmeno n tempo a deglutire che subito si ritrovò stritolata da un paio di braccia minute, e gli occhi e la bocca coperte da un caschetto di capelli castani.
- Haru- chaaaaan!! Che bello vederti di persona.-
Perfetto. Ora era sicura di non aver sbagliato appartamento. Quella era decisamente la ragazza che aveva conosciuto su internet. Persino i suoi messaggi erano stravaganti. Haruna sorrise timidamente e rispose all’abbraccio.
- Ehm.. anche io sono felice di conoscerti.. ehm…-  in quel momento si rese conto di non sapere il suo nome. Su internet il suo nickname era RINAX , ma escluse completamente che quello potesse essere il suo vero nome.
La ragazza smise di stritolarla: - Ops, hai ragione scusa! Io sono Rina Suzuki. –
Finalmente Haruna riuscì a guardarle il viso: sembrava più giovane di lei, forse di un anno. I capelli erano di un castano molto scuro, che si avvicinava molto al nero pece dei capelli di Haruna. Il viso era ancora quello di una bambina, e i suoi occhi a mandorla aveva la stessa espressione dolce e spensierata di una gioiosa gioventù che Haruna non aveva mai visto, né provato.
- Io sono Haruna Ono..-
- Non vedevo l’ora che arrivassi, Haruna!- Rina le prese la valigia molto gentilmente – Su, entra. Non fare complimenti. In fondo questa sarà casa tua, da oggi in poi.-
 


L’appartamento, come poteva immaginare, non era nulla di speciale: un piccolo soggiorno con un divano e una TV,  una cucina, due camere  talmente piccole che a stento contenevano un letto, un armadio e una scrivania, e un bagno minuscolo. Ma ad Haruna non importava. La felicità di essere lì, in quel momento, le bastava. E quella semplicità, condita con l’entusiasmo di Rina, appariva come la cosa più sensazionale che avesse mai visto.
- Là in fondo c’è la tua camera, se poi vuoi sistemare le tue cose…- le diceva Rina, indicandole le varie stanze.
Haruna appoggiò la chitarra al muro. L’aveva tenuta in spalla per tutto il viaggio in autobus, e cominciava e pesarle. Si rilassò sul divano.
- E così…- iniziò a dire – Anche tu andrai alla Scuola d’Arte di Osaka?-
- Sì!- ripose spumeggiante Rina – Che fortuna averti trovata. Certo che ti sei scelta una scuola parecchio lontana dal tuo paese!-
Rina si sedette vicino a lei. Haruna sospirò:- Lo so, nemmeno i miei genitori erano d’accordo.-
- Li hai convinti, alla fine?-
- Più o meno. Diciamo che.. sono praticamente scappata di casa.-
Rina spalancò la bocca, tirando un grande sospiro di sorpresa:- Veramente? Oh mio Dio.. ma non chiameranno la polizia?-
- No tranquilla. Credo che abbiano capito, alla fine. E tu invece? Mi hai detto che vieni da Tokyo, quindi…-
- Sì bhè.. anche per me è stato difficile convincere i miei. Ho frequentato una scuola femminile a Tokyo, prima di venire qui.-
- Una scuola femminile? Oh Dio ma… è terribile!-
- Lo so! Ma alla fine i miei hanno accettato a farmi venire qui. Ho trovato questo appartamento un mese fa, e ho pensato fosse un vero affare. Non costa molto. Ma da sola iniziava ad essere troppo anche per me. Per questo ho messo l’annuncio per trovare un coinquilino.-
- Lavori?-
- Sì. Part-time. In un bar qui vicino. Faccio la cameriera.-
Haruna annuì. Rina, in effetti, era perfetta per un lavoro del genere. Chi lavora tra la gente deve anche amare la gente, e la gente deve amare te. Rina, con il suo carattere stravagante e il suo viso gentile e carino, avrebbe fatto impazzire chiunque. Haruna dubitava di poter lavorare in un ambiente del genere.
- Devo trovarmi un lavoro…- mormorò.
- Lo troverai, tranquilla. Per me è stato semplice.- le disse Rina – A quali corsi ti sei iscritta, a scuola? Musica?- indicò la sua chitarra appoggiata al muro – Sei hai quella, immagino di sì.-
Haruna scosse la testa:- A dire il vero, mi sono iscritta a quello di canto e danza. Il mio sogno è quello di diventare ballerina. Ma..- alzò la testa, e guardò la sua chitarra – mi piacerebbe molto migliorare a suonare. Vorrei trovare un corso di musica pomeridiano.-
- Wow! Devi proprio farmi sentire qualcosa- strillò Rina con voce eccitata.
Haruna arrossì:- Meglio di no, per ora. Non sono molto brava.- cambiò discorso velocemente – E tu invece che corsi fai?-
- I miei insistevano per farmi continuare con i corsi di disegno. Tutti e due sono degli artisti.- sbuffò – Ma non ho dato loro retta. Ho detto loro che il disegno non è la mia strada. Dovresti vedermi, sono negata! Non riesco nemmeno a tracciare una linea. Così mi sono iscritta al corso di musica… senza che loro lo sapessero.-
- Ma dai! Ho fatto una cosa del genere anch’io- esclamò Haruna. Poi i suoi occhi si illuminarono – Aspetta… musica? Quindi sai suonare uno strumento?-
- Oh, sì! Vieni..- Rina la tirò da un braccio e la portò in camera sua. Haruna notò subito che la maggior parte della stanza era occupata da un enorme, splendido, lucente… pianoforte.
- Wow!- Haruna lo guardò da più vicino. Era straordinario. – E lo sai suonare?-
Rina sorrise, e per tutta risposta, si sedette e cominciò a suonare. Era uno di quei pezzi classici, di Mozart o Beethoven, che Haruna non aveva mai apprezzato più di tanto. Ma vedere le dita di Rina muoversi svelte e abili su quei tasti bianchi e neri l’affascinava tantissimo. La musica era bella, rilassante… e Rina era bravissima. Non potè fare a meno di applaudire.
- Sei formidabile!- le disse.
- Grazie. Lo suono da quando ero piccolissima. La musica è sempre stata una delle mie passioni più grandi. Vorrei tanto diventare una pianista.-
- Con dei livelli del genere, sono sicura che lo diventerai…-
Poi Haruna si bloccò. Come se un lampo l’avesse appena colpita.
E se… bhe, perché no? Avrebbe potuto chiederglielo. Magari avrebbe persino accettato. Rina le stava già simpatica dopo nemmeno dieci minuti che la conosceva. E poi, suonava davvero benissimo. Era una professionista. Perfetta, insomma.
- Rina..- iniziò, leggermente titubante.
- Sì?- rispose lei, rivolgendole un sorriso smagliante.
- Io… so già che nella nostra scuola ci saranno tantissimi studenti che suonano, e io pensavo di formare una band.-
Gli occhi luminosi di Rina, a quelle parole, si oscurarono di un velo di cupa malinconia. Ma Haruna non ci fece caso, e continuò:- Io vorrei esercitarmi meglio con la chitarra, e essere la chitarrista. Per quanto riguarda il resto, bhe, pensavo al solito: un cantante, un bassista e un batterista. Ma tu sei davvero brava e…- prese fiato – ti andrebbe di provare? Una tastierista serve comunque in una rock band.-
Rina abbassa lo sguardo. In quel momento, finalmente, Haruna si rende conto che qualcosa non va. Si era già abituata alla vivacità della sua coinquilina, e vederla improvvisamente pensierosa la prese totalmente di sorpresa.
Ma Rina alza subito lo sguardo, ed stampato sul volto il suo solito sorriso.
- Sei gentile a propormelo – dice – ma non mi va di accettare, mi dispiace. Il fatto è che… non ho mai pensato di far parte di una band. Tanto meno rock. Preferisco la musica classica.-
Haruna non nascose la sua delusione. Ma poi alzò le spalle e sospirò: - D’accordo. Mi sarebbe piaciuto, ma fa’ niente.-
- Coraggio!- Rina sorrise radiosa e si alza in piedi – Comincio ad avere una gran fame! Per festeggiare il tuo arrivo, andiamo a mangiare fuori! Offro io!-
Haruna avrebbe voluto dire che era stanca per il viaggio, ma Rina non volle sentire scuse e la spinse fuori dalla sua stanza. Solo in quel momento Haruna si accorse che, vicino al letto di Rina, c’era un grande poster. Una foto, di un musicista, forse. Ma Rina spense velocemente la luce, e Haruna non fece in tempo a capire chi fosse.

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Capitolo 3
*** Please, don't say "You are lazy" ***


CAPITOLO 3, Please, don’t say “You are lazy”

“Per favore, non dire ‘Sei pigra’
Perché, a dire il vero, io sono pazza”

 

Luglio 2006, ore 12:59, Osaka (Giappone)
- Rina, dov’è che dobbiamo andare ora? Rina?-
Non ricevette alcuna risposta. Rina si era fermata di colpo, in mezzo al marciapiede, e fissava un punto non identificato nel cielo. Haruna la squadrò, incredula.
- Ehi?- disse, sventolandole la mano davanti agli occhi – Rina, ci sei?-
- Scusa.- disse improvvisamente Rina, come appena uscita da una specie di trans – Ho visto… un luccichio nel cielo per un secondo.-
Haruna fissò il punto che stava fissando l’amica un attimo prima, ma il sole era alto a quell’ora del giorno e per poco non si accecò a causa di tutta quella luce.
- Non vedo nulla…- disse – ma probabilmente era un aereo.-
- E se fosse stato un disco volante?-
Haruna ridacchiò, pensando stesse scherzando. Ma appena vide l’espressione seria di Rina, sentì la risata gelarsi nella gola, fino a svanire completamente dietro ad un fasullo colpo di tosse.
- Dicevi…- tentennò Haruna, come per avere un’ulteriore conferma – Dicevi sul serio?-
- Certo.- disse tranquillamente Rina.
- Tu.. ci credi? Voglio dire.. agli alieni?-
- Certo che ci credo. Anzi, ne sono più che convinta.-
Haruna avrebbe voluto ridere, ma Rina sembrava talmente seria che aveva paura di offenderla. E comunque era la prima persona che non aveva paura di confessare una credenza così stravagante, e Haruna non era mai stata una con la mente chiusa.
- Cosa te lo fa pensare?-
- Bha, penso sia ovvio. Insomma, l’uomo non conosce tutto l’Universo. È assurdo pensare che, in uno spazio così vasto, noi siamo l’unica forma di vita. Qualcun altro, da qualche parte, ci dev’essere per forza.-
Quel discorso fece rimanere Haruna a bocca aperta. Non ci aveva mai pensato, eppure aveva senso.
Le due ragazze entrarono in un ristorante dall’aria molto accogliente. Non c’era molta gente, solo pochi tavoli erano pieni e regnava un timido silenzio.
Almeno, fino a quel momento.
- Akira-kun!!- gridò Rina con la sua voce squillante, dirigendosi verso  il bacone-bar del ristorante. Dall’altra parte del bancone c’era un uomo, sui quarant’anni, intento ad asciugare dei bicchieri. Appena vide la ragazza, l’uomo sorrise.
- Rina-san, che piacere vederti!- le disse – Cosa ci fai qui? Se cerchi Shino non c’è. Non so dove sia. Probabilmente sta bighellonando da qualche parte, come sempre…-
- No, tranquillo, non sono qui per questo- lo interruppe subito Rina – Oggi sono qui come cliente. È arrivata la mia nuova coinquilina.-
-Ah!- Akira rivolse uno sguardo ad Haruna, che era rimasta un po’ indietro, abbastanza timorosa – Quindi sei tu!-
Haruna arrossì leggermente, e si inchinò:- Sono Haruna Ono, piacere!-
- Piacere mio, Haruna-san!- la salutò Akira, molto gentilmente. Haruna si sentì un po’ più a suo agio.
Le ragazze si sedettero ad un tavolo, e subito venne portato loro una barca piena di ottimo sushi e una bottiglia di sake.
- Tu lavori qui?- chiese Haruna a Rina.
- No- rispose quest’ultima – Non accettano lavori part-time, qui. Però conosco il proprietario, dato che suo figlio, Shino, lavora con me.-
Abbassò un po’ la voce:- Akira è molto severo con suo figlio. Voleva che fosse l’erede del suo ristorante, ma Shino ha altri sogni. Vuole disegnare manga. Infatti frequenterà la nostra scuola, nel corso di disegno. Suo padre ha accettato, a condizione che se la paghi lui. Shino lavora al bar con me, ma anche in altri posti. Sinceramente non so dove, però…-
Haruna annuì. Poteva capire la situazione del ragazzo. Ma almeno lui non ha dovuto scappare di casa…
Durante il pranzo le due ragazza parlarono molto. Ormai tra loro due stava nascendo un legame di profonda amicizia. Haruna riuscì a sciogliersi anche con Akira, e lo trovò molto simpatico.
Fu Rina a pagare il conto, nonostante le insistenze di Haruna, ma sotto sotto ne fu sollevata dato che non aveva molti soldi con sé.
Devo trovarmi un lavoro…
Appena furono uscite dal ristorante, Rina guardò l’orologio
- Accidenti!- gridò – E’ parecchio tardi. Devo andare la lavoro.-
- D’accordo, va’ pure. Non preoccuparti per me.- le disse Haruna.
- Sicura? Se vuoi ti do’ le chiavi di casa, così…-
- Tranquilla, io ne approfitterò per andare in giro per la città. Sono stata ad Osaka un paio di volte, non dovrei perdermi.-
- Va bene. Allora ti dico dove lavoro, così poi mi vieni a prendere.-
Rina le disse l’indirizzo.
- Bene. Ci vediamo dopo allora!- e corse via.
Haruna sospirò. Si sentiva… felice. Felice e libera, come non era mai stata. E dire che non era neppure un accenno della sua nuova vita, anzi, doveva ancora cominciare. Ma sentiva che sarebbe andato tutto bene. Un grande futuro l’attendeva!
Iniziò ad incamminarsi per le vie di Osaka, un sorriso stampato sulle labbra.
 
 
E dove andare, per passare un po’ il tempo, in una nuova città che ancora non si conosce molto bene?
Haruna chiese ai passanti di indicarle un buon negozio di musica. Ovviamente.  Da quando si era appassionata alla chitarra, Haruna adorava perdersi in quei negozi pieni di strumenti; li osservava tutti con gran curiosità, pensando a quanto sarebbe stato bello avere il tempo di imparare a suonarli tutti.
L’emporio musicale di Osaka era molto più grande di quello di Niigata. Haruna ne rimase affascinata.
Entrò. Non c’era praticamente nessuno. Alla cassa era seduta una ragazza molto giovane, che doveva avere più o meno l’età di Haruna. Aveva il viso perfettamente ovale e deliziosamente paffutello, contornato da una cascata di capelli neri, lucidissimi e molto lisci. Stava leggendo una rivista e intanto allungava la mano verso una sacchetto di patatine, afferrandone una bella manciata e sgranocchiandole rumorosamente. Non degnò Haruna neppure di uno sguardo.
Haruna, sebbene leggermente infastidita, si limitò a sbuffare silenziosamente ed iniziò a dare un’occhiata in giro.  Il negozio era pieno di strumenti fantastici, molti dei quali Haruna non aveva mai visto: oltre ai soliti, come chitarre, violini, pianoforti ecc., la ragazza ammirò anche dei contrabbassi, ukulele, fisarmoniche a bocca, viole e violoncelli, congas  e altro.
Sospirò. Se i suoi genitori le avessero permesso di suonare la chitarra prima, in quel momento avrebbe avuto il tempo di imparare a suonare molti altri strumenti.
Andò nel reparto chitarre. Rimase a bocca aperta. Alle pareti della stanza erano appese mille e mille chitarre, tutte di tipi diversi: elettriche, classiche, acustiche…
Haruna sapeva riconoscerne alcune tipologie, e ovviamente tutte le migliori erano quelle che costavano di più. Il suo sogno era quello di poterle suonare tutte, una volta diventata più brava.
Dentro quella stanza c’era una ragazzo, seduto in uno sgabello, e intento a cambiare le corde ad una chitarra. Probabilmente faceva parte del personale del negozio. Infatti, appena vide Haruna, le chiese:- Hai bisogno di qualcosa?-
La ragazza lo guardò: aveva capelli neri e lisci, e un ciuffo gli cadeva all’altezza degli occhi, profondi e nerissimi anche quelli.
- No grazie- rispose Haruna – Sto solo dando un’occhiata.-
Il ragazzo si limitò ad  annuire e tornò al suo lavoro. Haruna lo guardò ancora. Anche lui, come la cassiera, doveva avere più o meno la sua stessa età. Probabilmente entrambi lavoravano part-time. Si chiese se i proprietari di quel negozio non cercassero altro personale. Lavorare in un negozio come quello sarebbe stato perfetto per Haruna.
Notò che la chitarra alla quale il ragazzo stava cambiando le corde era una Fender, nera e bianca.
- La mia chitarra è uguale a quella…- fece Haruna, cercando di iniziare una conversazione.
Il ragazzo sbuffò:- Fender? Mediocre…-
Haruna rimase spiazzata. E dire che a primo impatto le era sembrato un tipo abbastanza educato.
- Non la trovo affatto mediocre…-
- Si sa, è la chitarra dei dilettanti.- continuò il ragazzo, con noncuranza.
Haruna si stava innervosendo:- Bhe, non tutti la pensano così. E la mia chitarra suona benissimo.-
- E allora vuol dire che sei una dilettante.-
La ragazza uscì da quel reparto. Stava fumando di rabbia. Come si permetteva a parlarle in quel modo?
L a ragazza che stava alla cassa non si era mossa di un muscolo, eppure nella sua espressione c’era qualcosa di diverso. Un sorrisetto divertito. Come se avesse sentito la conversazione nell’altra stanza. E questo fece innervosire ancora di più Haruna. Cercò di non farci caso.
Continuando a dare occhiate in giro, improvvisamente notò un basso, solo soletto, appoggiato vicino alla vetrina. Haruna si chinò per osservarlo meglio. Era bellissimo, di un rosso metallico. Non ne aveva mai suonato uno, eppure ne era affascinata. Adorava il suono che ne fuoriusciva.
- Ehi!-
Una vocina fine e squillante la distrasse dalla sua contemplazione. Si voltò di scatto. Era stata la ragazza alla cassa a parlare.
Si alzò dalla sua postazione e si avvicinò ad Haruna.
- Cosa pensi di fare?- continuò, sempre con la sua voce fastidiosa – Quel basso non è in vendita. È mio.-
- Scusa…- disse Haruna – Scusa, non lo sapevo. –
- Prega di non avermelo rovinato, altrimenti prepara a pagarne i danni, chiaro?-
- Non l’ho toccato…-
- Ehi, cosa succede qui?-
Un uomo di mezza età scese dal piano superiore. Doveva essere il proprietario. Guardò la ragazza, esasperato.
- Stai ancora disturbando i clienti?-
- Questa qui stava guardando il mio basso!- le urlò contro la ragazza.
- Ancora con questa storia…- continuò l’uomo, che iniziava a diventare sempre più furioso – Ti do il permesso di suonarlo, ma ti ho già detto che non è ancora tuo! Per adesso è ancora un articolo del mio negozio.-
- Avevi promesso di tenermelo da parte finché non avrei guadagnato abbastanza per comprarlo!- protestò lei – L’avevi promesso!-
- Non ci metto niente a venderlo, e nemmeno a licenziarti, se non la smetti di rivolgerti in questo modo a tutti i clienti!- poi si rivolse ad Haruna, inchinandosi – Sono mortificato, signorina.  Mi scuso per il comportamento dei miei dipendenti. Spero non l’abbiano infastidita troppo.-
Haruna non fece in tempo nemmeno a rispondere. L’uomo si era girato verso il reparto chitarre, e gridò:- Vale anche per te! Pensi che non ti abbia sentito? Se ti becco un’altra volta che ti comporti male con i clienti ti licenzio seduta stante, chiaro?-
Per tutta risposta, si udì il ragazzo sbuffare. L’uomo si rivolse nuovamente ad Haruna:- Mi scuso ancora. Se c’è qualcosa che posso fare per lei…-
- Me ne stavo andando.- rispose secca Haruna. Mentre si dirigeva verso l’uscita del negozio, sentì alle sue spalle l’uomo che continuava a sgridare quei ragazzi:
- Lo sapevo che non avrei mai dovuto assumere due studenti. Voi giovani siete tutti uguali! Maleducati! Nullafacenti! Pigri!-
- Pigri?- ribatté la ragazza dalla voce squillante – Non provare mai più a chiamarmi pigra. Tu non puoi sapere di cosa sono davvero capace…-

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Capitolo 4
*** SPARKLING ***


CAPITOLO 4, SPARKLING
"Il destino mi dice 'Aspetta un attimo'
E' una sfida - Oh, merda..."


 
Agosto 2006, ore 7:03, Osaka (Giappone)
Era la seconda volta che la sveglia suonava. E, per la seconda volta, Haruna la spense sbuffando. Non voleva alzarsi. La sera prima era andata a letto parecchio tardi, e aveva ancora la mente annebbiata da l’eccessiva quantità di vino che aveva bevuto. Accidenti a Rina e alla sua voglia di festeggiare la fine dell’estate.
- Haruna-chaaaan! È ora di alzarsiiii!-
Haruna sbuffò rumorosamente, poi si stiracchiò e costrinse il suo corpo a scendere dal letto. Ormai era quasi un mese che viveva in quella casa, e aveva imparato che la sua coinquilina era terribilmente mattiniera ed era inutile opporre resistenza. Come faceva ad avere così tanta energia di prima mattina? E dopo aver bevuto così tanto la sera prima, tra l’altro.
Appena aprì la porta della sua stanza, un delizioso profumo di zucchero e frittura raggiunse le sue narici. La colazione. Ottimo motivo per svegliarsi. Soprattutto se la cuoca era Rina. I suoi Takoyaki erano i migliori che avesse mai mangiato.
Andò in bagno, si lavò e si vestì più in fretta che poté e raggiunse la sua amica in cucina, che già era seduta a tavola, pronta e sorridente.
-Buongiorno!- le disse.-
- ‘giorno- rispose Haruna, prima di afferrare le sue bacchette. Era affamata. Si fiondò immediatamente sulla colazione.
- Nervosa?- le chiese dopo un po’ Rina.
Haruna ingoiò il suo cibo :- No, non molto.-
- Nemmeno io. È strano.-
Già pensò Haruna. Quello sarebbe stato il loro primo giorno di scuola, ma non si sentivano per nulla nervose. Anche se, in un certo senso, non ce n’era motivo. Entrambe si erano ribellate ai genitori, avevano scelto la loro strada invece che la loro. Ed eccole lì, in quella casa, da sole con il loro futuro. Insomma, il passo più grande era già stato fatto. A quel pensiero, Haruna sorrise. Più i giorni passavano, e più si sentiva orgogliosa di se stessa. Ora tutto le appariva molto più semplice. La scuola non le faceva paura, e in più sarebbe stata una passeggiata trovare dei musicisti per la sua band. Rimanevano solo due cose in sospeso: trovare un lavoro e trovare un corso di chitarra. Ma niente le sembrava impossibile, ora.
 
 
La scuola non era molto diversa dalle solite in cui era stata. Forse leggermente più grande, dato che al suo interno ci potevano essere diversi corsi, ma nulla di così terribile o impressionabile. La cosa più bizzarra forse erano gli studenti: c’era chi impugnava una grande cartella piena col necessario per disegnare, chi teneva in spalla il proprio strumento o aveva a tracolla una borsa con i vestiti adatti per ballare. Haruna era una di quest’ultimi, ma in mezzo a tutti quegli aspiranti artisti si sentiva fin troppo normale, talmente tanto da essere lei stessa quella fuoriposto.
Rina non aveva una cartella. Teneva sottobraccio una piccola tastiera, un pentagramma e una matita. Appena varcarono la soglia, le due ragazze si separarono ed ognuna si diresse verso la propria classe.
 
 
Haruna si stupì quando vide che la sua classe era una normale aula. Per un corso di danza, si aspettava di andare in una palestra, o in qualcosa di simile. Solo in seguito si rese conto che quella era solo un’aula di passaggio, giusto per cominciare le presentazioni e parlare ai nuovi studenti di come dovevano comportarsi a scuola eccetera.
Il primo giorno è sempre una seccatura… pensò Haruna, sedendosi al suo posto.
Come previsto fu una noia mortale. L’insegnante parlò soprattutto delle regole e degli orari della mensa e di ulteriori attività pomeridiane. Haruna aveva smesso di seguire quei discorsi solo dopo due minuti da quando erano cominciati, e per evitare di annoiarsi ulteriormente tirò fuori i suoi amati fogli per controllarli. Fece il tutto con movimenti molto furtivi. Era gelosissima di quei fogli, e nessuno, nessuno avrebbe dovuto scoprirne il contenuto.
In quel momento la porta dell’aula si spalancò rumorosamente ed una ragazza entrò tutta trafelata. Haruna si ricosse.
- Oh, bene. Ce la siamo presa comoda…- disse l’insegnante.
La ragazza ritardataria aveva lunghissimi capelli neri, che le coprivano buona parte del viso.
- Mi scusi, Sensei…- disse, col fiato corto. Quella voce sottile aveva qualcosa di famigliare, pensò Haruna.
- In questa scuola ci teniamo molto alla puntualità, signorina. Come si chiama?-
- Tomomi Ogawa, Sensei-
L’insegnante scrisse qualcosa sul registro, poi disse:- Vada a posto, adesso. Per questa volta lascio stare, ma che non ricapiti mai più.-
La ragazza rispose con un inchino. Haruna notò che l’unico posto vuoto in tutta la classe era proprio quello accanto a lei. Si affrettò a rimettere i suoi fogli dentro la borsa prima che la ragazza la raggiunse. Appena si fu seduta, scostò le mille ciocche dei suoi capelli dalla faccia, e finalmente Haruna poté vederle il viso, paffuto e grazioso. La riconobbe subito. E la riconobbe anche Tomomi, perché appena si volse verso di lei sbarrò gli occhi dalla sorpresa.
- Guarda chi c’è. La Ladra-Di-Bassi.- disse, con la voce ancora rotta da grossi respiri affannati. Doveva aver corso molto.
- Non volevo rubartelo!- ribatté Haruna, infastidita.
- Sembrava proprio di sì invece..- replicò Tomomi – Ma farò finta di niente, per questa volta. E comunque se vuoi comprare un basso puoi sceglierlo tra mille altri, nel nostro negozio. Più soldi per me. Anche se il salario è una miseria, comunque.-
Haruna la ascoltava a stento. La sua voce le dava fastidio, e per di più parlava troppo, nonostante non si conoscessero neppure. E non era interessata alla sua amicizia.
- Sono una chitarrista.- precisò, sperando che la smettesse di ciarlare.
Tomomi alzò un sopracciglio – Ah. – disse, poi sospirò alzando le spalle – Tanto meglio. Più bassi per me –
 
 
Finite le varie presentazioni e il tour dell’istituto, arrivò l’ora del pranzo. La mensa era enorme, e piena di sciami e sciami di studenti. Quelli nuovi spiccavano tra altri, perché erano gli unici a non avere la divisa. Haruna si sentì improvvisamente a disagio.
Afferrò il suo vassoio e si diresse vero un tavolo vuoto. Nel momento stesso in cui stava per impugnare le bacchette, qualcuno si sedette di fronte a lei. Alzò lo sguardo. Sbuffò.
- Era l’unico posto libero.- replicò Tomomi, sulla difesa.
Non era vero. I posti c’erano, e Haruna ipotizzò che quella ragazza volesse solo darle fastidio. Così fece finta di niente ed iniziò a mangiare. Non voleva darle quella soddisfazione.
La porzione del piatto di Tomomi era esageratamente abbondante, e la ragazza mangiava con estrema golosità. Ecco da dove aveva origine quel viso paffutello. Haruna quasi glielo invidiava, sembrava quello di una bambolina di porcellana. Peccato che fosse costantemente coperto da quella lunghissima cascata di capelli che si ritrovava.
- Potresti levarti quei capelli dalla faccia?- le disse improvvisamente – Mi danno fastidio.-
Tomomi ubbidì senza fare una piega. Solo in quel momento Haruna notò la maglietta che indossava. Nera, con l’enorme scritta “KISS” sul petto, al centro.
- Ti piacciono i KISS?- chiese titubante.
Tomomi la fissò, poi abbassò lo sguardo sulla sua t-shirt.  – Sì..- ripose, quasi stupita che quella ragazza che le sedeva di fronte avesse riconosciuto uno dei suoi gruppi preferiti. Le era successo pochissime volte, prima di allora.
- Anche a me.- disse Haruna – Ho sempre voluto avere una loro maglietta…-
- Ne ho tantissime altre, a casa. Peccato che non potrò più indossarla d’ora in poi.-
- Quando ci daranno le uniformi?-
- Oggi pomeriggio, appena terminate le lezioni.-
Prima ancora che potessero accorgersene, iniziarono a parlare. Parlarono di tutto e di più, ma soprattutto di musica. E scoprirono di avere molte cose in comune, e di trovarsi incredibilmente d’accordo.
Tomomi era una gran chiacchierona. Parlava con foga, senza quasi mai fermarsi, e rideva spessissimo, anche per le cose più stupide. Aveva una grande energia dentro sé, pensò Haruna. Un carattere molto diverso dal suo, ma con il quale, nonostante tutto, si trovava a suo agio. Quasi si pentì di averla giudicata antipatica e fastidiosa.
Improvvisamente, l’attenzione di Haruna fu catturata da una ragazza che mangiava da sola, in tavolo completamente vuoto, non molto distante dal loro. Era di spalle, e quindi non riuscì a vederle il viso, ma era vestita di abiti normali, segno che anche per lei era il primo giorno.
- Chi è quella?-
Tomomi si girò verso la ragazza, la squadrò per qualche secondo, poi disse solamente:- Mami Sasazaki.-
Haruna non capì.
- Eh?-
- Mami Sasazaki.- ripeté Tomomi – Fa il corso di disegno. Lasciala perdere. Quella è strana.-
Haruna guardò la sua nuova amica. Strana? Come faceva a dire se era strana se nemmeno la conosceva? E soprattutto, come faceva a conoscere il suo nome?
- Come fai a dirlo?- disse infine, cercando di esprimersi meno scontrosa che poté.
- Non lo so infatti. Un mio amico è nel suo stesso corso. Dice che sta molto per i fatti suoi, e che non ha ancora parlato con nessuno.-
Haruna la guardò di nuovo. Le faceva un po’ pena. Avrebbe voluto parlarle. Non le importava cosa gli altri dicevano di lei. E poi non era mai stata il tipo che giudicava le persone prima di conoscerle.
Il suono della campanella la riportò alla realtà.
- Oh, dobbiamo andare!- esclamò Tomomi, alzandosi da suo posto, veloce e scattante – Che corso hai, adesso?-
- Canto..- sbuffò Haruna. Non sapeva perché aveva scelto quel corso. Cantare le piaceva, ma non così tanto, e tante volte l’avevano presa in giro per la sua voce. Ma in quella scuola era obbligatorio scegliere almeno due discipline. Avrebbe voluto scegliere musica, ma chiedevano una certa esperienza con lo strumento e il suo livello di chitarrista non era ancora granché. E di disegnare, poi, non se ne parlava proprio. Canto era l’unica cosa rimasta.
- Anch’io.- squittì Tomomi, facendo un grosso sorriso – Che bello, allora siamo di nuovo in classe assieme. Dai, andiamo!-
La prese per mano e la trascinò via con energia. Haruna sorrise. Non era abituata ad un carattere tanto spumeggiante, ma sentiva che lei e Tomomi sarebbero state ottime amiche. Uscirono dalla mensa assieme a l’altra miriade di studenti. L’ultima cosa che riuscì a scorgere fu la ragazza sola di prima che si alzava dal suo posto, lo sguardo basso e malinconico, coperto da una frangetta bruna.

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Capitolo 5
*** Rock n' Roll Wi(n)dow ***


CAPITOLO 5, Rock n’ Roll Wi(n)dow
"Fingendo di essere una superstar,
qualcosa di diverso.
Figo, figo, figo, figo
soltanto figo e impertiente"
 
Agosto 2006, ore 14:00, Osaka (Giappone)
Ci misero un po’ a trovare la loro classe, e buona parte degli studenti erano già arrivati. La cosa pareva non dare alcun fastidio a Tomomi (dato che già quella mattina stessa era arrivata in ritardo), ma mise parecchio a disagio Haruna. Per fortuna, la loro professoressa di canto non sembrava severa come quella di ballo. Anzi, era molto giovane e graziosa, con un sorriso stampato sulle labbra. Si presentò come Mariko. Ad Haruna piacque subito.
La lezione fu molto simile a quella della mattina: si concentrarono soprattutto sulle presentazioni, ed Haruna non ci mise molto a perdersi in altri pensieri. Per distrarsi, fece girare lo sguardo per tutta l’aula, fissando i suoi compagni di classe uno per uno. La maggior parte era costituita da ragazze.
Ad un certo punto il suo sguardo cadde su una ragazza dalla frangetta bruna. La riconobbe subito. Mami Sasazaki, quella che a mensa mangiava da sola e che Tomomi aveva considerato “strana”.  
Anche Mami la stava fissando, e appena incontrò gli occhi di Haruna distolse immediatamente lo sguardo. Come comportamento sembrava decisamente strano, ma ad Haruna quella ragazza incuriosiva sempre di più.
 
 
All’uscita della scuola le consegnarono la divisa scolastica. Haruna l’afferrò, senza degnarla di uno sguardo, e si avviò immediatamente verso casa senza nemmeno salutare Tomomi. Non percepiva molto l’entusiasmo che aveva provato quella mattina.
Con passo deciso si diresse verso la fermata dell’autobus e in attimo raggiunse l’ingresso del vecchio palazzo in cui viveva.  Non era sola. Appena entrò nell’atrio trovò due persone che parlavano animatamente mentre aspettavano l’ascensore: uno di loro era un ragazzo dai capelli lisci e neri, l’altra invece aveva un caschetto color miele.
- Haruna-chan!- urlò Rina, col suo solito sorriso dolce.
Haruna sorrise di rimando all’amica.
- Come è andato il primo giorno?-
- Bene..-
Haruna alzò lo sguardo vero il ragazzo con il quale Rina stava parlando. Sbarrò gli occhi.
Non è possibile..pensò.
Il ragazzo la fissò per qualche secondo. Dal suo sguardo, Haruna capì che anche lui l’aveva riconosciuta.
- Ma guarda chi si vede- disse con un ghigno – Miss-Fender-Dilettante.-
Haruna lo fulminò con lo sguardo. Perfetto. In una giornata sola si era già beccata due soprannomi, per di più da due tizi che aveva conosciuto non meno di un mese prima in un negozio di strumenti. All’appello mancava solo il proprietario. Haruna non si sarebbe stupita più di tanto se l’avesse visto spuntare dal nulla, in quel momento.
Rina guardava prima Haruna, poi il ragazzo, visibilmente stupita e confusa.
- Vi conoscete?-
- Circa..- si limitò a dire seccamente Haruna.
- Ti avevo parlato di lui- continuò Rina – Lui è Shino, quello che lavora con me.-
Haruna si riscosse. Shino? Proprio lui?
- Cos..- balbettò – Ma tu non lavoravi al negozio si strumenti?-
Shino sbuffò :- Faccio molti lavori part-time. –
Rina continuò ad ignorare l’astio che c’era tra di loro : - Si è appena trasferito in un appartamento di questo palazzo, esattamente sotto di noi.-
Haruna sbarrò gli occhi :- Cosa?!-
- Qui è più vicino alla scuola. Suo padre gliel’ha concesso.-
Haruna alzò le spalle, sbuffando leggermente. Non le importava un fico secco di quel tipo, né del suo lavoro, né dei suoi problemi famigliari e tanto meno se sarebbe stato il loro nuovo vicino. Le era totalmente indifferente.
- Anche Shino è un musicista!- continuò Rina. Haruna si fece immeditamente attenta – Sai, Haruna-chan suona la chitarra proprio come te. E vuole formare una band!-
Shino ghignò:- Una dilettante come te che vuole formare una band? Allora direi che c’è proprio bisogno del mio aiuto.-
- Mi dispiace.- ribatté Haruna – Ma non mi serve un chitarrista. Ci sono già io. Quindi, a meno che tu non suoni un altro qualsiasi strumento, non puoi farne parte.-
- Una dilettante decisa fino all’osso. Bene! Farai sicuramente strada.-
- Non dire così, senpai! Haruna-chan è molto brava, invece!-
Haruna non volle continuare quel discorso patetico. Andò dritto prendendo le scale, lasciando gli altri due all’ascensore. Shino l’aveva già stancata. Chi si credeva di essere?  Come si permetteva di giudicarla, senza nemmeno averla sentita suonare poi?
Si riprese e pensò che era inutile arrabbiarsi con quel ragazzo, che nella sua vita valeva meno di zero.
Si stese sul divano, e ascoltò per un po’ il silenzio di casa sua. Poi si rese conto che stava sorridendo.
Sì. Anche se Shino aveva rovinato tutto, quella era stata una giornata niente male. Il primo giorno era andato bene, ed aveva persino una nuova amica. Cosa desiderare di più? L’unica cosa che le mancava ancora era un lavoro. E una band. E dopo, la sua vita poteva dirsi completa. Non desiderava altro.
Qualcuno bussò alla porta. Haruna sussultò.
- Haruna!- gridò qualcuno dall’altra parte della porta. Era Rina – Io vado al lavoro! Ci vediamo stasera a cena, va bene?-
- Va bene!- risposa Haruna. Sentì i passi veloci della coinquilina scendere giù per scale.
Sarebbe stata da sola per tutto il pomeriggio. Non aveva nulla da fare. Cosa avrebbe potuto fare?
Sorrise sotto i baffi. La risposta era ovvia.
 
 
Non l’aveva toccata molto, in quei mesi. Era talmente presa dalla sua nuova vita, che non ci aveva poi fatto caso. Ma non avrebbe mai potuta dimenticarla. Una forza misteriosa l’attirava verso di lei, ed era una tentazione impossibile da combattere.
Sentì il rumore della cerniera come una musica lontana, di nostalgia. Poi afferrò il manico della sua Fender e la estrasse dalla custodia. Era bellissima e lucente, come sempre.
Haruna ne accarezzò le corde, e la guardò per qualche secondo prima di mettersela a tracolla. Le era mancata. Le era mancata, davvero tanto.
Riprese tutti i suoi cavi e ad attaccò la chitarra all’amplificatore. Le sue mani tremavano impazienti, come ogni volta.  
Il plettro si abbatté violento sulle corde, facendole vibrare. Haruna assaporò quel suono che non sentiva da tanto tempo, sentì piacevolmente le dita che affondavano nel nailon e che un po’ le facevano male, ma era un male che le era mancato davvero tanto.
Iniziò a suonare qualche pezzo che si era imparata da sola, per scaldarsi. Canzoni semplici, pezzi dei Sum 41 e dei Nirvana, ma che a lei piacevano tanto. Finché non decise di provare I Was Made For Lovin' You , uno dei suoi pezzi preferiti dei KISS. L’aveva imparata in passato, ma ancora non si era cimentata nell’assolo. Decise di provare.
Provò, ma sbagliò un accordo. Riprovò. Non aveva premuto bene le corde, e ne uscì un suono molto spiacevole. Riprovò ancora, ma era troppo lenta rispetto all’originale. Sbuffò, ma non si diede per vinta: in fondo poteva ritenersi ancora una principiante, ma il desiderio di diventare una professionista, in futuro, era fortissimo dentro di lei. Provò e riprovò e…
C’era qualcosa di strano, nell’aria. Uno strano sottofondo, ma non era lei a produrlo. Si bloccò. Non si era accorta che la finestra del salotto era spalancata, e il rumore proveniva da fuori. Si affacciò su davanzale e di mise in ascolto.
Era un’altra chitarra. La sentiva, forte e chiara, e quindi non era molto distante. Probabilmente era un suo vicino a suonarla, a pochi piani sotto di lei. Già immaginava chi poteva essere…
Cercò di concentrarsi di più su ciò che stava suonando. L’assolo di I Was Made For Lovin' You , esattamente quella che stava provando lei. Digrignò i denti. Cos’era? Una sfida? Bene!
Tornò al centro della sala ed alzò al massimo il volume dell’amplificatore, per essere sicura che il suo sfidante sentisse forte e chiaro. Fece l’unico assolo che sapeva fare con scioltezza, ovvero quello di In Too Deep dei Sum 41. Era abbastanza complicato, e aveva impiegato mesi per riuscire a farlo.  Poi bloccò le corde, e rimase in ascolto.
Da fuori dalla finestra giunse il rumore di un nuovo assolo, stavolta Sweet Child O’ Mine dei Guns n’ Roses.
Haruna si morse il labbro. Difficile. Reggere il confronto sarebbe stata dura. Decise di improvvisare un riff sul momento. Semplice, ma veloce. La risposta del suo sfidante fu un altro riff, ancora più veloce e ancora più complicato.
La “gara” andò avanti, e Haruna iniziava a sudare. Il suo misterioso avversario era palesemente più bravo di lei. Ma Haruna non era il tipo di persona che si arrende facilmente.
Stava per rispondere, quando sentì un forte brusio provenire da fuori. Non era una chitarra, ma lamentele di persone.
- Insomma! Volete finirla di fare tutto questo baccano?-
Haruna sospirò. Forse avevano ragione. Era da troppo tempo che andavano avanti così.
Mise a posto la chitarra e l’amplificatore. Poi uscì di casa, scese le scale fino al piano terra e bussò a una delle porte degli appartamenti. Shino le aprì la porta. A tracolla portava una Gibson bianca. Esattamente come pensava.
- In effetti ci sarebbe bisogno di una chitarra principale, nel mio gruppo…- ammise lei. Era inutile negarlo. Aveva perso. Shino era molto più bravo di lei, e se voleva formare una band seria aveva bisogno di musicisti seri.
Shino sorrise soddisfatto : - Ne farei volentieri parte… se non avessi già una band. Mi dispiace.-
Haruna abbassò il capo. Era al punto di partenza.
- Però…- continuò il ragazzo – non sei male. Insomma… credevo peggio! Vai a lezione?-
- Ehm… a dire il vero no…-
- Bhè, poco male. Non hai veramente bisogno. Ti serve solo più pratica.-
- In condominio del genere è difficile esercitarsi senza essere interrotti.-
- Vero. Però… - Shino riflettè un attimo – C’è un posto in cui puoi andare ad esercitarti! Ci vado anche io con la mia band…-
- Davvero?- Haruna si esaltò immediatamente – E dove?-
- Te lo dico domani. Ora sono di fretta, devo andare al lavoro.-
Shino stava per chiudere la porta, ma Haruna lo fermò
- C’è una cosa che voglio chiederti! – disse – Per caso… sei in classe con una ragazza di nome Mami Sasazaki?-
- Come fai a saperlo?-
- Me lo ha detto Tomomi. Frequentiamo gli stessi corsi. La conosci, no?-
Shino annuì :- Sì, sono in classe con lei. È parecchio strana.-
- Strana in che senso?-
- Bha…- il ragazzo alzò le spalle – Non è a posto, punto e basta.-
Chiuse la porta. E Haruna fece qualcosa che non faceva da tanto tempo, ormai: tornò al piano di sopra, prese i suoi amati fogli, ed iniziò a scrivere.

 

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Capitolo 6
*** HARUKA ***


CAPITOLO 6, HARUKA
"Invece di un addio,
ho detto 'A dopo' "

Agosto 2006, ore 07:00, Osaka (Giappone)
La mattina dopo alzarsi fu ancora più difficile. Haruna premeva e ri-premeva il bottone della sveglia, sperando di metterla a tacere per sempre. Ma dopo meno di un minuto di pace, questa continuava imperterrita a squillare con il suo motivetto fastidioso. E se non era la sveglia, allora era Rina.
- Haru-chaaaan! Svegliati, siamo già in ritardo!!-
Haruna si scompigliò i capelli, sbuffò, ma poi si convinse ad alzarsi una volta per tutte.
Rina era in cucina che preparava la sua solita fantastica colazione. Era già pronta, i capelli a caschetto perfettamente pettinati e indosso la divisa scolastica: una gonna a quadri rossi e neri, una camicetta bianca e una cravatta decorata allo stesso modo della gonna.
- Ohayo!-  disse sorridente la ragazza dai capelli color miele – Come mi sta?-
Haruna osservò l’amica che faceva un giro su sé stessa. La gonna venne mossa da una leggere aria, che la fece sollevare un pochino mostrando ancora di più le gambe minute della ragazza. Anche la camicia le calzava a pennello, risaltandone la vita stretta e stringendo un po’ nel seno.
- Ti sta benissimo.- commentò, sincera.
- Grazie! Su, vai a metterla anche tu! Voglio proprio vederti!-
Haruna sorrise imbarazzata e tornò in camera sua per vestirsi. Tirò fuori la sua divisa dal sacchetto che le avevano dato il giorno prima.
Si sentiva a disagio. Non aveva praticamente mai indossato una gonna, e non era mai stata molto femminile. I suoi genitori si erano lamentati più volte del suo abbigliamento, ma non ci aveva dato mai molta importanza. Stavolta, però, era diverso. In quella scuola era obbligatorio indossare sempre e solo quella divisa, e non poteva fare altro che indossarla.
Si infilò la camicia e strinse, non senza fatica, la cravatta al collo. Poi toccò alla gonna.
Ma perché hanno dovuto farla così corta? pensò, sempre più a disagio.
Non ebbe neppure il coraggio di guardarsi allo specchio. Semplicemente tornò in cucina, a passi incerti e imbarazzati, per poi piazzarsi di fronte a Rina e aspettando, tremante, un suo commento.
- Haruna- chan!- squittì la sua coinquilina – Oh mio Dio… ti sta benissimo!-
- Stai scherzando?- disse Haruna, mentre sentiva le gote infiammarsi – Sii sincera, ti prego…-
- Lo sono! Sei davvero stupenda! Guardati!-
Rina prese l’amica per le spalle e la piazzò davanti al grande specchio di fronte alla porta d’ingresso. Haruna strizzò gli occhi. Non voleva guardare, aveva paura di ciò che avrebbe visto. La curiosità però fu più forte, ed iniziò lentamente a dischiuderli.
Era bella. Lo era davvero.
La cravatta era stata legata in un modo disordinato, quasi ridicolo, ma stranamente sembrava rispecchiasse perfettamente il suo stile un po’ trasandato, da ribelle. Le gambe uscivano bianche e morbide dalle onde ricurve e sinuose della gonna. Non credeva che possedesse gambe così belle.
- Sei uno schianto, Haru-chan!- disse Rina, sorridendo raggiante.
Senza riuscire a trattenersi, anche Haruna sorrise.
 
 
 
Non appena scesero le scale, trovarono Shino all’ingresso del palazzo. Anche lui indossava la divisa: camicia e cravatta erano uguali a quelle delle ragazze, ma al posto della gonna portava lunghi pantaloni neri. Sembrava le stesse aspettando.
Haruna credette per un secondo che stesse salutando solo Rina, e rimase un po’ perplessa quando il ragazzo le rivolse un timido sorrise, e agitò la mano nella sua direzione. Haruna ricambiò, un po’ titubante, ma sorridente. Il giorno prima avevano iniziato col piede sbagliato, questo era vero… ma la battaglia di assoli era stata divertente, dopotutto.
- Buongiorno Shino!!- disse Rina allegramente.
- Buongiorno a voi!- rispose lui.
I tre parlarono vivacemente per tutto il tragitto, e Haruna iniziava mano a mano a sentirsi a proprio agio. Ormai trovava Shino… quasi simpatico. Lui non le aveva chiesto scusa per come si era comportato i giorni precedenti, ma si rivolgeva a lei con molta più gentilezza, e questa ad Haruna bastava. Poteva essere l’inizio di un’amicizia…
- Ah, quasi dimenticavo!- disse improvvisamente Shino – Ieri dicevi che cercavi un posto dove esercitarti, giusto?-
Haruna si fece subito attenta: - Sì!-
- Bene… C’è una saletta, a sud della città. Si trova in una zona un po’ isolata, ma questo è un bene, così si può fare tutto il casino che si vuole. Ci vado sempre con la mia band! E costa solo pochi yen all’’ora…-
- Come?- lo interruppe Haruna – Bisogna pagare?-
- Bhè… certo! Non avrai creduto davvero che fosse gratis! È pubblica, ci vanno in tantissimi a suonarci. E bisogna anche prenotare un determinato giorno e orario…-
Haruna sentì l’eccitazione di poco prima spegnersi lentamente, come risucchiata da un buco nero presente all’altezza dello stomaco.
- Allora non credo di poterci andare..- disse sconsolata – Non ho soldi, e non ho un lavoro.-
- Haruna-chan, ma cosa dici!- le disse Rina – Se costa davvero così poco, allora posso pagartelo io!-
- Rina, no! Tu fai già troppe cose! Paghi le bollette, e il vitto…-
- Ma lo faccio con piacere Haruna! E so che ci tieni tanto a migliorare con la chitarra…-
- Rina, sei gentilissima ma… mi stai già mantenendo da troppo tempo, non voglio esserti troppo un peso.-
Calò improvvisamente un gelido silenzio. Per qualche attimo si sentirono solo i loro passi che calpestavano l’asfalto.
- Ma... la tua insegnante di canto non è forse Mariko-sensei?-
Haruna alzò la testa verso Shino: - Sì! È proprio lei! Perché?-
- E’ lei la proprietaria della saletta!-
- Ve… veramente?- Haruna sentì il calore dell’emozione tornarle nel viso.
- Sì, sì! Puoi chiederle se puoi lavorare lì! Io ci ho lavorato l’anno scorso. Ti dovrai occupare di mettere a posto gli strumenti, pulire ecc. Insomma, c’è un po’ da spezzarsi la schiena.. Ma forse in questo modo potrebbe fartela usare gratis!-
- Oh mio Dio…- Haruna strinse i pugni ed alzò lo sguardo, sognante – Una saletta! Potrò suonare in una saletta, tutto il tempo che voglio…-
- Waaaa, sono felice per te, Haruna-chan!- urlò Rina, abbracciando forte l’amica.
 
 
 
La risata di Tomomi fu così fragorosa ed acuta, da riuscire a coprire il brusio di tutti gli altri studenti nella mensa. Molti ragazzi dei tavoli vicini non potettero fare a meno di voltarsi nella loro direzione. Haruna arrossì d’imbarazzo, appoggiando la fronte sul palmo della mano.
- Tomomi…- sussurrò, sempre più imbarazzata – Non ce la fai a ridere più piano..-
Tomomi respirò affannosamente, cercano di riprendere il controllo e tornare seria. Ma non ce la fece, ed emise un grugnito, decisamente spiacevole all’udito, prima di scoppiare nuovamente a ridere. Haruna emise un sospiro di rassegnazione. Conosceva quella ragazza da pochissimo tempo, ma aveva già capito che lei non era certo il tipo di persona che conosce il concetto di vergogna. O di dignità.
- Scusami…. Scusami…- cercò di dire la capellona, tra le risa – Ma… Shino in una battaglia di chitarre… dalla finestra… non ce lo vedo proprio…- riprese a ridere, senza ritegno – E i vicini che si incazzano? No vabbè… avrei pagato oro per assistere alla scena…-
- Sì, sì, ok ma non è questo il punto…- sbuffò Haruna – Hai capito quello che ti ho detto? Sulla saletta?-
- Sisi, ho capito…- disse Tomomi, che piano piano stava tornando alla normalità – E allora? Che ti devo dire?-
- Allora dovrei chiedere a Mariko-sensei. Ma non so se accetterà. Pensavo…- esitò – che se lo chiediamo insieme ci sono più probabilità che accetti.-
Tomomi la fissò dubbiosa, gli angoli della bocca leggermente sporchi di riso:- Perché dovrei chiederlo insieme a te?-
- Bhe… - esitò ancora – così darà il lavoro a tutte e due. E potremo suonare.-
- Io ho già un lavoro. E se avessi bisogno di un posto in cui suonare me lo sarei già pagato da tempo, non credi? – prese con le bacchette un boccone esagerato di riso, se lo mise in bocca, e poi continuò – E comunque ti ricordo che ancora non  posseggo un basso. Almeno finchè quel cazzone del mio capo non si deciderà a darmelo!-
Haruna abbassò la testa sconsolata. Non era vero che aveva paura della risposta di Mariko-sensei. La verità era che le sarebbe piaciuto che Tomomi fosse venuta assieme a lei. Certo, suonare è sempre bello. Ma suonare in compagnia… è tutt’altra cosa.
 
 
 
Stavolta non aveva scampo. Avrebbe cantato. Mariko-sensei dovette chiamare tutte le sue alunne, e farle cantare, per poter dare loro un ruolo.
Cantare. Davanti a tutte.
Haruna deglutì. Sì, lei aveva scelto il corso di canto, ma solo in quel momento sentì salirle una certa angoscia su per la gola.
- Oganawa Tomomi!-
Tomomi si alzò dal suo banco. Non sembrava affatto impaurita. Anzi, avanzò verso la cattedra con una decisione che nessuna a parte lei aveva avuto prima.
Cantò. E canto – Haruna quasi non ci credette – davvero bene!
Certo, la sua voce era stridula come sempre, ma per la prima volta le suonò quasi piacevole, da quanto sapeva renderla intonata. Non si stupì, quando Mariko-sensei le affidò il ruolo di soprano.
Haruna iniziò sentirsi davvero nervosa. Per distrarsi, decise di prendere fuori dallo zaino i suoi amati fogli, ed iniziò a rileggerli mentre aspettava il suo turno. Ripensò al giorno precedente, quando aveva ricominciato a scriverci sopra, dopo tanto  tempo che non lo faceva. Prese una penna. La sua mano fremeva dalla voglia di scrivere, la sua mente era colma di ispirazione…
- Ono Haruna.-
Kuso!
Ormai non aveva scampo. Doveva farlo ormai. Si alzò titubante e si avviò verso la cattedra. Mariko le sorrise dolcemente, e la ragazza si tranquillizzò un po’. Quella insegnante le stava già molto simpatica.
Cantò. Ma cantò molto timidamente.
- Sii più sicura, altrimenti non posso valutarti come si deve.- la incitava l’insegnante.
Haruna si sforzò più che poté, ma non ce la fece. Sentiva gli sguardi dell’intera classe puntati su di lei, e il diaframma le tremava per il nervosismo.
Mariko-sensei rimase un attimo in silenzio, lo sguardo basso, mentre contemplava il registro.
- Hai la voce leggermente roca… però è particolare!-
Non si aspettava un commento del genere. E rimase ancora più stupita quando le venne assegnato il ruole di mezzosoprano.
- Complimenti, miss-voce-roca – le disse Tomomi, quando tornò al suo posto. Haruna le sorrise. Ora poteva rilassarsi fino alla fine della lezione. Mancavano solo poche ragazze della classe.
- Sasazaki Mami!-
Haruna si fece attenta improvvisamente. Vide Mami alzarsi tremante dal suo posto e dirigersi verso la cattedra con lo sguardo basso.
Haruna la guardò attentamente. Chissà perché, ma quella ragazza continuava ad incuriosirla tantissimo. La frangetta bruna le copriva gli occhi, ma i capelli scuri risaltavano moltissimo quel suo viso ovale, quell’espressione dura e fredda. Sembrava una ragazza normalissima, solo un po’ timida. Non capiva perché Shino l’avesse giudicata “strana”.
Si mise in ascolto quando iniziò a cantare. Poteva almeno sentire la sua voce, in questo modo. Ne rimase doppiamente affascinata. Mami aveva una voce bellissima. Profonda, non come quella della maggior parte delle ragazze giapponesi. Profonda come quella di un uomo, ma che non mancava certo di femminilità.
Mariko le diede il ruolo di contralto. Se avesse potuto, si sarebbe alzata in piedi e avrebbe applaudito. Ma si trattenne. Mentre Mami tornava lentamente al suo posto, gli sguardi delle due ragazze si incrociarono. Haruna provò a sorriderle. L’altra, per tutta risposta, distolse lo sguardo e rimase imbronciata. Haruna ci rimase davvero male. Non si aspettava una reazione del genere.
La campanella suonò in quell’istante.
- Bene, ragazze. Potete tornare a casa, ora.-
Fu un rumore continuo di sedie e banchi che si spostano. Ma Haruna rimase al suo posto. Aspettò che tutte quante andassero via. Ora era arrivato il momento che aspettava da tutta la giornata.
 
 
- Sensei…-
- Mm?-
Mariko non si era accorta che un’alunna era rimasta in classe. Alzò lo sguardo verso Haruna, con aria piuttosto assente.
- Sensei… se non la disturbo…- iniziò Haruna, un po’ titubante. Ma venne subito interrotta. Qualcuno bussò alla porta dell’aula.
- Avanti!- disse Mariko.
Dalla porta, sbucò fuori il viso paffutello di Mami.
- Sensei…- iniziò. Si bloccò immediatamente appena vide che c’era anche Haruna. Il suo sguardo guizzò subito da una parte all’altra.
- Dimmi, Mami.- disse gentilmente l’insegnante. Haruna si stupì della confidenza tra loro due.
- Ecco…- Mami si riscosse – Mi ero dimenticata di dirglielo prima. Oggi… oggi ho un impegno urgente. Non riuscirò a venire a…-
- Capisco. Non c’è problema.-
- O-ok. Io vado.-
Mami chiuse frettolosamente la porta. Si potevano udire i suoi passi nervosi che si allontanavano.
Mariko concentrò nuovamente la sua attenzione su Haruna.
- Ebbene?-
- Eh?- fece Haruna.
- Non volevi dirmi qualcosa.-
- Ah.. sì… ecco….-
- Cos’avete oggi tutti quanti?- ridacchiò l’insegnante. Una risata molto dolce.
- Ecco… mi hanno detto che lei è la proprietaria di una saletta, e che cerca qualcuno per occuparsene. Sarei interessata e…-
- Capisco.- la interruppe Mariko – Non dilunghiamoci troppo. In effetti nella mia saletta non c’è molto personale, ed è difficile mantenerla. Potrei farti fare una settimana di prova.-
- Davvero?-
- Certo. Se vuoi puoi venire già domani pomeriggio.-
- Oh, la ringrazio! E… quindi potrò anche usarla?-
- Certo.-
- Gratuitamente?-
- Bhe.. dipende da come lavorerai! E ovviamente dovrai prenotare il giorno e l’orario in cui vuoi andarci con la tua band.-
- Cos… ah, nono. Non ho una band. Volevo suonarci da sola, per adesso.
- Da sola?- Mariko la fissò truce – Allora mi sa che abbiamo un problema…-
- In… che senso?-
- Ci sono molti gruppi che usano la mia saletta per provare. E se facessi prenotare una giornata per una persona sola non sarebbe molto giusto.-
- Ma…-
- Mi dispiace, Ono-kun. Non posso chiudere un occhio. Per nessuno. –
Haruna abbassò il capo. Sentì come un vuoto nella sua pancia. C’era così vicina. Finalmente aveva trovato un lavoro e allo stesso tempo un luogo dove poter suonare la sua chitarra. Tutto in fumo. Doveva ricominciare daccapo.
- Ca.. capito. La ringrazio lo stesso.-
Fece un inchino. Si era dimenticata, però, di chiudere la cartella. Un foglio scivolò sul pavimento. Poi un altro. Poi tanti altri ancora. Centinaia di fogli sparpagliati sul pavimento.
- Oddio… mi scusi…-
- Non preoccuparti. Aspetta, ti aiuto.-
Haruna si chinò velocemente per raccogliere i suoi fogli, e metterli velocemente nella cartella. Non si accorse subito, però, che Mariko ne aveva raccolto un paio e, quasi per caso, si era messa a leggerli. E rimase bloccata, in piedi vicino alla cattedra, a leggerli. I suoi occhi si muovevano vispi e veloci sull’inchiostro che macchiava quella carta.
- Sensei.. lasci stare…- Haruna cercò di riprendersi i fogli, ma Mariko li allontanò dalla sua portata, e continuò la sua lettura.
- Haruna…-
Haruna impallidì. Nessuno, nessuno aveva mai letto il contenuto di quei fogli. E non sapeva se esserne imbarazzata o altro. Si era ripromessa di farli leggere a qualcuno, un giorno. Al massimo a qualche amico intimo. Ma non alla propria sensei, a maggior ragione se frequentava le sue lezioni da appena due giorni.
- Haruna…- ripeté Mariko – Queste canzoni… le hai scritte tu?-
La ragazza annuì. Abbassò lentamente il capo, imbarazzata. Quei fogli non contenevano solo canzoni. Era una specie di diario segreto. Le prime delusioni amorose, le litigate coi genitori, i momenti di rabbia, ma anche quelli di positività e allegria… era tutto là dentro. E ogni tanto aggiungeva anche degli accordi, nonostante la sua poca esperienza con la chitarra. Ma non aveva mai pensato di farle vedere a qualcuno, né tantomeno di finirle.
Notò la sua sensei sorridere leggermente. Strano. Non sembrava una risata di scherzo. Sembrava piuttosto… ammirazione. Oddio. Che le piacessero davvero? Stentava a crederci.
Mariko finì di leggere, poi porse i fogli alla legittima proprietaria.
- Vieni domani.- le disse – Ho in mente una bella cosa, per te.-

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Capitolo 7
*** Onegai NAVIGATION ***


CAPITOLO 7, Onegai NAVIGATION
"Per favore, guidami
verso una città lontana"


Agosto 2006, ore 19, Osaka (Giappone)
Era su quell’autobus da venti minuti, ormai. Mariko le aveva detto che il posto era leggermente fuori città ma Haruna iniziava a sentirsi un po’ inquieta. Il veicolo era vuoto, e l’autista ogni tanto le lanciava delle occhiate ambigue, da classico pervertito/pedofilo. Si stavano allontanando dal centro della città, finché non giunsero alla zona industriale. Il luogo che si estendeva fuori dal finestrino era lugubre e deserto, sembrava quasi una zona malfamata.
Haruna strinse a sé la sua chitarra, protetta dalla custodia di stoffa. Forse avevano già superato la sua fermata e non se n’era accorta. O forse l’autista dell’autobus aveva deviato il percorso di proposito, così da condurla in qualche vicolo buio dove nessuno li avrebbe visti né sentiti…
Ecco. Era già partita con le sue fantasie esagerate. Ne era consapevole, ma non poté fare a meno di sentirsi terribilmente nervosa. Decise che sarebbe scesa alla fermata dopo, non importava fosse sbagliata. Si caricò la chitarra sulle spalle e si alzò da suo posto, avvicinandosi tremante all’autista.
- Scusi…- mormorò cercando di sembrare il meno nervosa possibile – Può fermarsi, io scendo qui.-
L’autista la guardò per qualche secondo. I secondi più lunghi della sua vita. Ne era davvero troppo spaventata.
- Certo. – disse alla fine lui, mostrandole un sorriso di denti gialli e storti.  Haruna deglutì.
Dopo una serie di movimenti a scatti, traballamenti e rumori poco piacevoli, le porte dell’autobus si aprirono. Haruna uscì quasi correndo, vogliosa più che mai di allontanarsi da quel tipo.
- Che strumento è?- le chiese, poco prima che la ragazza mettesse il piede fuori.
- Ch… chitarra..- mormorò, di risposta.
- Ah..- fece l’autista, senza staccarla gli occhi di dosso – Brava, brava. Mi piacciono le ragazze che suonano..-
Haruna deglutì di nuovo, e stavolta credette di averlo fatto troppo rumorosamente. Fece un inchino frettoloso e uscì da quella casseruola ambulante, senza aggiungere altro.
 
Si sentì sollevata non appena l’autobus svoltò l’angolo e scomparve dalla sua vista. Un sollievo che durò notevolmente poco.
La zona in cui si trovava era quasi peggiore. Deserta, piena di edifici spogli. La strada in cui camminava era piena di bottiglie rotte e liquidi di dubbia provenienza. A Haruna sembrò di scorgere addirittura una siringa, dietro ad un blocco di cemento. Non guardò una seconda volta. Decise che era meglio non indagare.
In giro non c’era nessuno, ma c’era una buona probabilità di incontrare gente poco raccomandabile. Haruna accelerò il passo. Ma in che razza di posto andavano a suonare, i ragazzi? Possibile che non esistevano altre sale di registrazione, magari in centro? Bhe, ovvio che esistevano, ma probabilmente erano troppo costose per dei semplici adolescenti con una gran passione per la musica, vogliosi di suonare un po’ assieme agli amici.
Svoltò l’angolo, lesse i cartelli stradali, e notò con sollievo che si trovava nella via detta da Mariko. Era vicina. Grazie al cielo.
La saletta non la trovò subito. Dovette fare il giro dell’isolato più volte. Essa, infatti, non aveva nessun tipo d’insegna né nulla: era un edificio basso, avente un solo piano, e spoglio, abbastanza mal messo, e si confondeva molto bene con tutti gli altri edifici del quartiere. L’unico punto di riferimento con cui si poteva riconoscere era il negozio che gli stava esattamente di fronte. Tutte le tende erano chiuse e non si poteva vedere cosa ci fosse dentro, ma Haruna intuì che doveva essere una specie di sexy-shop, data la grande scritta SCANDAL attaccata alla porta.
Si affrettò a entrare dentro la saletta. Provò a bussare, ma si rese conto che la porta era già aperta.
Appena entrò, Haruna non poté fare a meno di spalancare occhi e bocca.
 
Non che fosse granché. Era molto piccola, fatta solo da due stanza: la prima, quella principale, in cui si trovava Haruna, era una semplice sala, spaziosa e vuota, a parte la grande quantità di amplificatori e microfoni sistemati negli angoli e contro le pareti.  Quella era senza dubbio la sala-prove. Una porta semichiusa, probabilmente, portava in una stanza più piccola, dove dovevano esserci alcuni strumenti e magari qualche aggeggio elettronico per registrare. C’era un’unica, grande finestra, che offriva la piacevole vista del sexy-shop e della sua grande insegna.
Nella sua semplicità, e sebbene fosse piuttosto misera, Haruna la trovò magnifica. Era così che s’immaginava i luoghi in cui le band rock americane si esercitavano. Ambienti opachi, poveri, ma una volta accesi gli amplificatori non avrebbe fatto nessuna differenza. Nessun oggetto superfluo o chissà cosa. Solo il minimo indispensabile. La cosa più importante veniva in seguito: la musica, e la passione che si prova nel produrla. Nient’altro. E, sicuramente, in un luogo come quello si poteva fare tutto il rumore che si voleva.
Nel suo vortice di pensieri, Haruna non si accorse subito del rumore che proveniva dalla porta socchiusa.
Sussultò. C’era qualcuno che suonava. Tese le orecchie. Era una batteria.
Strano. Mariko le aveva detto di venire prima dell’orario di apertura, quindi non avrebbero dovuto esserci clienti. Ma… dietro quella porta c’era senza dubbio qualcuno che suonava la batteria.
Haruna prese un respiro, e avanzò verso la porta. Forse era Mariko. Come proprietaria, poteva benissimo essere lei stessa una musicista. Sorrise al pensiero. Mariko, con quel suo viso dolce e gentile, una batterista? Haruna si era sempre immaginata i batteristi come dei pazzi completi. In ombra, seduti, di certo coloro che più di tutti sfuggono all’attenzione del pubblico; e allo stesso tempo forti, simpatici, pieni di energia, con una grande responsabilità sulle spalle, un ruolo fondamentale. In effetti, cos’è la musica, senza ritmo? La melodia viene dopo, e può essere di mille modi, ma il ritmo la rende divertente, commovente, ciò che fa muovere la testa di chi ascolta… una base, che non può mancare. In una band, è fondamentale avere un buon batterista. E chiunque fosse al di là di quella porta, Haruna non poté fare a meno di notarlo, ci sapeva fare eccome, con quel pedale! Chiunque fosse, la testa la faceva muovere.
Haruna aprì leggermente la porta, cercando di fare il minor rumore possibile. Non ci riuscì. Il misterioso musicista si accorse subito della sua presenza, e il ritmo cessò.
 
Era come aveva immaginato: una stanza molto più piccola, con un microfono, qualche chitarre e basso di vario genere, grandi spire di fili e cavi che portavano a grandi amplificatori e a macchine che servivano probabilmente a registrare. Ma ciò che si faceva notare maggiormente in quella stanzetta, era la grande batteria che si disponeva al centro. Non può certo mancare una batteria, il batterista non può certo portarsi il suo strumento ovunque.
Non c’era strumento al mondo che non affascinasse Haruna, ma in quel momento non poté concentrarsi molto sulla bellezza di quello strumento. C’era altro che l’aveva stupita non poco.
Appena la vide, Mami si alzò di scatto e fece cadere le bacchette che aveva in mano. Per una frazione di secondo, il silenzio fu rotto solo dal tintinnare del legno.
- Scusa…- balbettò Haruna, ancora incredula – Non… non volevo disturbarti…-
Mami non disse una parola. I suoi guizzavano da una parte all’altra, nervosi. Non sapeva dove guardare, cosa dire o come comportarsi. Anche Haruna era bloccata (più per la sorpresa che per altro.).
Fu lei la prima a parlare: - Non sapevo suonassi la batteria!-
Mami continuava a non parlare. Haruna si schiarì la voce.
- Io… Io sono Haruna Ono. Tu sei Mami no? Frequentiamo lo stesso corso di canto, non so se hai presente.-
Le tese la mano. Mami guardò prima la sua mano, poi la fissò negli occhi e poi distolse nuovamente lo sguardo. Sembrava incerta, non sapeva se stringergliela o no.
Haruna non capiva: perché faceva così? Era da quando frequentava quella scuola che le aveva tentate tutte per fare amicizia con lei, e lei non collaborava in alcun modo. Probabilmente la colpa era degli altri, di tutti quelli che la consideravano strana per… per cosa? Qual era il problema di tutti quanti? Perché Shino, Tomomi e altri pensavano fosse strana? Haruna non ci vedeva assolutamente niente di strano: forse era una ragazza timida, un po’ fredda… forse non era simpaticissima, ma nessuno è perfetto. E adesso che aveva occasione di guardarla più da vicino, non riuscì a non notare la sua bellezza: bel viso, paffuto, occhi abbastanza tondi, neri e profondi, quell’espressione un po’ imbronciata stampata in bocca che la rendeva tuttavia misteriosa, affascinante.
Finalmente Mami parlò. E non fu un “ah sì, mi ricordo di te” o un “piacere di conoscerti”, ma un:
- Non dire a Mariko che stavo suonando.-
Haruna ritirò la sua mano, che ancora non aveva subito nessuna stretta.
- No… no, certo che no.-
C’era rimasta male, inutile negarlo. Mami sospirò.
- Lavoro qui ogni settimana. Mariko non vuole che suoni, perché non ho una band. Per questo vengo qua sempre in anticipo, e posso esercitarmi un po’, ma niente di che alla fine…-
Poi si riscosse, come si fosse resa conto che stava parlando troppo. Haruna poteva capirla, dato che in parte si trovava nella stessa situazione. Ma fu felice di quel suo sfogo improvviso. Era la cosa più simile a una conversazione che avesse mai avuto, assieme a lei.
- Suoni molto bene.- le disse.
Mami la guardò per un momento. Poi fece uno sbuffo :- No. Posso fare di meglio. Almeno.. non proprio alla batteria, ma…- esitò un attimo – Lascia perdere.-
Poi tornò a guardarla, come colpita da un fulmine a ciel sereno :- Ma tu… tu cosa ci fai qui?-
- Ah.. giusto scusa. Anch’io sono qui per lavorare. Mariko me l’ha proposto. Ed ha detto anche che deve parlarmi.
- Anche a me.- la interruppe Mami – Per questo oggi voleva che venissi in anticipo…-
Si scambiarono un’occhiata confusa. Che fu subito interrotta dal rumore di una porta che si apre, e dei passi che si avvicinavano sempre di più. Mariko era arrivata.
 
 
 
- Ho un bel progetto per voi, ragazze…- iniziò subito Mariko, con un sorriso stampato sulle labbra. Haruna e Mami erano sedute sul pavimento polveroso della saletta. Entrambe piuttosto scosse dalle sorprese di quella giornata, ed entrambe consapevoli di non essere pronte a riceverne altre. Ogni tanto, Haruna girava la testa verso la finestra. SCANDAL. L’unica cosa di minimamente vedibile presente dall’altra parte di quella finestra. SCANDAL.
- Conoscete il Namba Hatch?-
Mami annuì con convinzione. Haruna si limitò a guardare la sua Sensei, sempre più confusa. Mariko le sorrise : - E’ un locale. Non mi stupisce che non ne hai mai sentito parlare, Haruna. Non è tra i più famosi di Osaka. Non è di certo un posto raffinato. Costa poco entrarci, ed è frequentato soprattutto da giovani, come voi. E organizza molti eventi in cui si esibiscono molti giovani gruppi. Io ne conosco la maggior parte, dato che vengono quasi tutti a esercitarsi in questa sala prove… Haruna!-
Haruna si fece attenta. Mariko aveva pronunciato il suo nome con un’enfasi del tutto nuova.
- Mi sono davvero piaciute. Le tue canzoni. – le disse, sorridendo. Haruna arrossì. Mami le fissava confusa – Ho percepito il tuo talento. La tua voglia. La tua passione. Ma da quel che ho capito, non sai ancora suonare molto bene. Vero?-
Haruna abbassò lo sguardo. Annuì.
- Bene. Ti propongo una sfida. A fine agosto ci sarà un nuovo evento, al Namba Hatch. Suoneranno molti gruppi giovani. –
Fece una pausa. Haruna era sempre più interessata, e sempre più confusa. Dove voleva andare a parare.
Mariko la guardò. I suoi occhi brillavano di un’emozione talmente intensa, che la ragazza ne ebbe quasi paura
- Forma una band. Cerca di trovare i membri di una band, entro la fine di questo mese. Suonerete al  Namba Hatch.  Trovate dei pezzi da suonare. Ho già parlato con chi organizza l’evento, ed hanno già un posto libero. Fallo, e se ci riuscirai, potrai venire ad esercitarti qui, quando vuoi.-
Aveva sentito bene?
Sì.
Era tutto vero.
Poteva suonare quanto voleva. E avrebbe suonato. In un locale. Un locale anche abbastanza frequentato, da quel che aveva capito. Con una band!
Già, la band… ma… doveva trovarla lei? E non era forse quello che stava cercando di fare, da quando si era trasferita ad Osaka? L’eccitazione divenne panico in pochi secondi.
- Ma… sensei…- balbettò – Trovare una band non è facile. Poi, in così poco tempo… Saremo in grado? Sarò in grado? Io…-
- Sono sicura che ce la farai Haruna. – la interruppe subito Mariko – Ho sentito dire che tu abiti da sola, e che ti sei trasferita qui da Niigata. Tutta da sola. Una ragazza come te ha delle capacità incredibili, fidati se te lo dico io. E poi…- si chinò verso Mami, e le appoggiò una mano sulla spalla. La ragazza quasi tremò a quel contatto. Non si aspettava di centrare anche lei, con quel discorso. L’insegnante le sorrise, e si voltò nuovamente verso Haruna - .. credo di averti trovato già una componente.-
 
 
Le ragazze non si erano ancora riprese, che Mariko fece uscire dalla sua bocca parola del tipo “tra poco arriveranno le prime band che hanno prenotato… ricordate, sono 500 yen l’ora, non accetto sconti… si chiude alle ventuno esatte, non dimenticate di chiudere bene porte e finestre…” ed era già sparita.
 
Il nulla. Tutte le emozioni che provava Haruna si mescolavano nella sua mente, lottavano e creavano una tale confusione da farne fuoriuscire semplicemente il nulla! La ragazza rimase seduta, a fissare il vuoto, senza sapere cosa dire o fare.
La reazione di Mami fu la stessa. Ogni tanto la si sentiva mormorare :- Suonare... al Namba Hatch… dal vivo…. Al Namba Hatch!!...- ma anche lei era incapace di muoversi.
Finché Haruna non si riscosse, e pronunciò a voce altissima :- CAZZO! Cazzocazzocazzocazzo!- si scompigliò i capelli – Ma cosa le è preso? Io volevo solo suonare! Come le è venuto in mente di prenotarmi già per un live? E per di più con una band che attualmente neppure esiste!-
Si sentiva particolarmente irata conto Mariko. La sua decisione le sembrava assurda. Cercò di riprendersi, sospirando forse.
- Mami…- sussurrò. Mami la guardò. Il suo viso, come al solito, non lasciava trasparire molte emozioni, ma non c’erano dubbi che anche lei fosse molto sorpresa.
- Ti prego… ti prego dimmi che mi aiuterai, Mami…-
Mami spalancò gli occhi, senza sapere che dire. Questa confidenza improvvisa l’aveva disorientata.
- Io…- cercò di rispondere – Non lo so…-
- Ti prego! Ti piace suonare no? Diventa la batterista della mia band! Sei brava, sei decisamente già in grado di suonare in un live. Se ti aggreghi tu, saremo già un passo avanti!-
Mami era titubante. Un’altra cosa che Haruna non capiva. Se conosceva il locale, ed era eccitata all’idea di suonarci, perché si rifiutava di suonare assieme a lei?
- Mami! Lo so che non ti sto particolarmente simpatica. Non so cosa tu abbia contro di me, e non lo voglio sapere. Mi sta bene. Ma se suonerai con me, ci guadagneremo entrambe! Potremo suonare qui ogni volta che vorremo. Non sei costretta a stare nella band per sempre. Solo per una sera.. –
- Io voglio suonare!- urlò Mami, dal nulla. Haruna ne rimase spiazzata. Mami si riscosse – C.. cioè…- continuò, visibilmente imbarazzata per ciò che aveva appena fatto – scusa… non è che non voglia suonare con te… però…-
- Allora qual è il problema? Non ti eccita l’idea? Suonerai la batteria, al Mamba.. Nancha.. o come si chiama! Non è quello che desideri da una vita?-
Mami si morse il labbro:- Certo…- sussurrò, pianissimo - … la batteria…-
- Dai, allora è deciso, no?- Haruna si alzò ed iniziò a camminare per la stanza a passo nervoso – Allora.. calmati Haruna, calmati.. Non è poi così difficile. Devo solo trovare un bassista, un cantante… magari un tastierista… chissà, magari se parlo ancora con Rina riesco a convincerla…-
- Scusa..- disse titubante Mami – giusto per curiosità, ma tu che strumento suoni?-
- Chitarra – rispose Haruna distrattamente.
Mami abbassò lo sguardo :- Ah. Capisco.-
Haruna non l’ascoltava. Era nervosa, ma allo stesso tempo eccitatissima. Quasi non si rendeva conto che il suo sogno si stava avverando.
I suoi ragionamenti furono interrotti dal suono improvviso di un campanello. La prima band che doveva esercitarsi era arrivata.

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Capitolo 8
*** I wanna be your Rock n'Roll ***


CAPITOLO 8, I wanna be your Rock n' Roll
"E' in corso una rivoluzione
nel cuore della vera me"

Haruna quasi sussultò quando, appena aperta la porta, si trovò Shino ad un palmo dal suo naso.
- Ha… Haruna?-
- Shino!-
- Ma… tu cosa ci fai qui?-
- Ci lavoro!- disse lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo – Sei stato tu a consigliarmelo o sbaglio?-
Shino rimase imbambolato per qualche secondo, poi si riscosse :- Ah già! Sì, è vero..-
- Ehi, Shino! Vuoi darti una mossa? Non abbiamo tutto il giorno!- disse una voce dietro al ragazzo.
Haruna si mise in punta di piedi per guardare dietro di lui: fuori c’erano altri cinque ragazzi. Alcuni parevano avere la sua età, ma un paio di loro erano sicuramente più grandi.  Ed ognuno di loro teneva, in spalla o in braccio, il proprio strumento.
- Allora!- le urlò Shino, riportandola alla realtà – Ci fai passare, sì o no?-
Haruna si riscosse:- Sì… sì, certo.-
Haruna si spostò. Shino entrò per primo e da dietro di lui spuntarono tutti gli altri. Sembravano a loro agio, quasi come se entrassero dentro casa propria. In effetti, Shino le aveva detto che andava a provare spesso lì, assieme alla sua band.
Ognuno di quei ragazzi, appena entrati, si soffermarono a scrutare Haruna per qualche secondo, un po’ sospettosi. Probabilmente perché non l’avevano mai vista. In particolare un ragazzo dai capelli lunghi e neri si soffermò ad osservarla più degli altri. Invece, appena videro Mami, la salutarono come si fa con un vecchio amico, ma non troppo calorosamente. Insomma, come un vecchio conoscente. Haruna si sentiva leggermente a disagio. Per sfuggire a quella situazione cercò di avviare una conversazione con Shino, e rifugiarsi un po’ in lui.
- Mami da quanto tempo lavora qui?-
- Mm.. da sempre credo. Almeno, da quando io e la mia band veniamo qui, lei c’è sempre stata.-
- Quindi.. la conosci da tanto tempo? Da prima ancora che frequentaste lo stesso corso.-
- Sì, direi di sì..-
- Ma allora.. perché pensi sia strana? Insomma.. non ha nulla di strano…-
- Uffa Haruna, ma perché ti interessa tanto?-
- E’ solo che…-
- Shino!- a parlare era stato il ragazzo dai capelli lunghi. Alle sue spalle, gli altri ragazzi stavano già iniziando a sistemare gli strumenti – Dobbiamo iniziare! Ci sei?-
Shino si riscosse: - Sì, sì… arrivo subito…-
- E’ tua amica? Non ce la presenti?-
La domanda arrivò inaspettata. Sia per Shino che per Haruna. E appena il ragazzo dai capelli lunghi le rivolse un sorriso sbarazzino, facendo apparire delle fossette piuttosto affascinanti sulle guance, la ragazza non poté fare a meno di avvampare. 
Shino lo guardò con sospetto, poi disse frettolosamente: - Lei è Haruna, fa la mia stessa scuola... e lui è Kiichi…. Bene, ora possiamo provare? Abbiamo solo un’ora, non sprechiamola in della sciocchezze.-
- Piacere di conoscerti, Haruna.-
Haruna fece appena in tempo a stringere frettolosamente la mano al ragazzo, prima che Shino lo trascinasse via, visibilmente seccato. Haruna rimase imbambolata per qualche secondo. Quel sorriso, quell’atteggiamento… l’avevano colpita. E non poco.
Mentre tutti i ragazzi preparavano gli strumenti (la band era formata da un bassista, un batterista, un tastierista, due chitarristi tra cui Shino e infine il cantante, che era proprio Kiichi), Haruna si avvicinò a Mami, che stava scrivendo qualcosa su un foglio attaccato alla parete.
- Che fai?-
- Scrivo l’orario di arrivo e partenza delle band.- rispose lei, pacata – Vieni, te lo insegno… Questo è l’elenco delle band prenotate di oggi. Chi vuole prenotarsi, deve avvertire almeno tre giorni prima, così ci si organizza con gli orari. E bisogna sempre scrivere l’orario, perché poi Mariko controlla che i costi siano a posto…-
Haruna ascoltava attenta. Lesse i nomi dell’elenco, quel giorno avrebbero suonato altre tre band.
La band di Shino, la prima dell’elenco, si chiamava Young Death.
Nome poco rassicurante pensò.
- Come fai a conoscere Shino?- le chiese improvvisamente Mami.
Haruna si riscosse :- E’ mio vicino. Conosce la mia coinquilina. E anche una nostra compagna di classe.. Tomomi, ce l’hai presente?-
- Sì – annuì Mami, senza troppo entusiasmo – State sempre appiccicate, voi due..-
Haruna rimase spiazzata da quella risposta. Aveva notato che lei e Tomomi stavano sempre insieme? Questo significava che, comunque, l’aveva notata.
- E’ un tuo compagno di classe, giusto?- azzardò Haruna, tentando di mantenere viva la conversazione. Voleva conoscere meglio Mami, voleva esserle amica. Sarebbe stato meglio anche per lei, dato che erano praticamente costrette a formare una band.
Mami rimase qualche secondo in silenzio, prima di rispondere con un – Sì.- secco.
Haruna non si arrese, e continuò a domandare: - Non andate molto d’accordo?-
- Non abbiamo mai approfondito.. Non abbiamo mai parlato molto, in verità.-
Haruna annuì, ma continuava a non capire. Non capiva l’evidente turbamento che Mami provava nei confronti di Shino, ma soprattutto non capiva cosa Shino trovasse di strano in Mami. Più parlava con lei, più la conosceva, più si rendeva conto che non aveva assolutamente nulla che non andava. Era una ragazza normale. Un po’ distaccata, fredda, forse, ma normale.
La sua testa smise di formulare ragionamenti non appena notò un lieve sorriso sulla bocca di Mami. Rimase quasi spiazzata. Era la prima volta che la vedeva sorridere, e quell’azione la colpì in viso come un raggio di sole troppo accecante.
- Forse mi sbaglio…- disse Mami, senza smettere di sorridere, e rivolgendo ad Haruna un sorriso malizioso – Ma credo proprio che tu abbia fatto colpo..-
Haruna spalancò gli occhi e si sentì avvampare le gote.
- Io… cosa…-
- Carino Kiichi eh?- continuava a canzonarla Mami.
- Ma… cosa dici… non ho fatto colpo!- continuava a balbettare l’altra, visibilmente imbarazzata e nervosa.
- Se se, come no. Ti sta guardando in questo momento.-
Haruna si girò. I ragazzi avevano appena finito di sistemarsi, e stava per accendere gli amplificatori. Kiichi impugnava il microfono ne stava regolando l’altezza. Poi, improvvisamente, il suo sguardo, scuro e profondo, incrociò quello di Haruna. La ragazza si voltò nuovamente, di scatto. Mami ridacchiò divertita, e le punzecchiò la spalla con un dito.
- Sei rossa! Sei rossa!- la canzonò.
Haruna le diede una spinta leggere, fingendosi arrabbiata, ma in realtà sorrideva. Prendersi in giro per dei ragazzi. Ciò che fanno le amiche, di solito, no? Si sentì improvvisamente bene. Sentiva finalmente crescere della confidenza tra lei e Mami, e la sensazione era bellissima. Era a proprio agio. E poi, Mami aveva un sorriso bellissimo. E una bellissima risata. Profonda e travolgente, un po’ come la sua voce.
I Young Death iniziarono a provare, e Haruna si illuminò quando riconobbe gli accordi di Come As You Are dei Nirvana. Erano davvero bravi, perfettamente coordinati tra loro. Shino era la chitarra principale, e lo invidiò terribilmente per la destrezza e la naturalezza con cui suonava gli assoli più difficili. Anche negli altri, però, si percepiva una certa esperienza: la batteria era forte e determinata quando bastava, il basso sciolto e coordinato, la tastiera dava la giusta melodia anche alle canzoni di una certa durezza.. e Kiichi aveva una voce assolutamente perfetta. Profonda, impastata, sapeva adattarsi su tutto. Riusciva a raggiungere le note più basse, talvolta persino quelle più alte, ma senza perdere la sua sonorità.
E Haruna non potè fare a meno di notare che, mentre cantava, la maggior parte dei suoi sguardi erano rivolti a lei.
 
 
 
 
 Agosto 2006, ore 13, Osaka (Giappone)
- Wow! Stai scherzando? Al Namba Hatch?-
- Sì, ha detto proprio così. Quindi anche tu lo conosci, questo locale?-
- Eccome! Ci sono andata un paio di volte a sentire la band di Shino. Mi aveva invitata. È un bel posto, molto semplice.. e poi è pieno di ragazzi!-
Tomomi , come al solito, quando parlava era un fiume in piena, e la sua voce squillante riusciva a coprire l’intero brusio della mensa. Ma ormai Haruna non ci faceva più caso. Si stava abituando a quell’insopportabile casinista chiacchierona che ormai etichettava come la sua migliore amica.
- E quindi come farai a formare una band?-
Haruna sospirò:- Non lo so ancora. Per adesso siamo solo io e Mami..-
- Mami? Sasazaki Mami?- replicò Tomomi, alzando un sopracciglio e indicando una parte della mensa con un gesto secco del mento. Haruna si voltò verso quella direzione: Mami, al suo solito posto, che mangiava da sola.
- Sì, proprio lei..-
Tomomi fece spallucce in segno di indifferenza, prima di affondare nuovamente le bacchette nel suo piatto di carne.
Haruna sbuffò rumorosamente : - Si può sapere cosa avete tutti, contro di lei?-
Tomomi non alzò nemmeno lo sguardo :- Non ho nulla contro di lei. Nemmeno la conosco.-
- Sei tu che hai detto che è strana…-
- Non l’ho detto. Shino l’ha detto a me.-
- E gli hai chiesto almeno il perché?-
- Non mi interessa. Perché non glielo chiedi tu, visto che ci tieni tanto?-
- L’ho già fatto! Ma non vuole rispondermi! –
- Non a Shino. A Mami.-
Haruna si bloccò. Non si aspettava che l’amica le dicesse qualcosa di così diretto. D’istinto, si voltò di nuovo verso Mami, giusto in tempo per vedere la ragazza alzarsi dal suo posto ed uscire dalla mensa.
- Non posso chiederglielo, perché non c’è nulla da chiedere.- disse semplicemente – Non è strana, è una ragazza normalissima. Ha un sacco di amici. Non qui a scuola, ma conosceva tutte le band che sono venute ieri alla sala prove. E’ molto timida, ma una volta conosciuta bene cambia totalmente carattere. Abbiamo riso molto ieri.-
Tomomi ascoltava masticando il suo pranzo. Non sembrava le interessasse molto l’argomento. In effetti, Tomomi era una ragazza da un carattere invidiabile: non le importava degli altri, delle loro stranezze e delle loro opinioni; lei viveva la sua vita senza troppi viaggi mentali; i fatti di poca importanza non li considerava neppure.
Disse semplicemente: - Cercate di fare un buon lavoro, voi due. Vi verrò a vedere quando suonerete, e voglio che spacchiate! –
Haruna sorrise a quel commento. Almeno sapeva di avere il suo supporto.
- Se vuoi…- continuò la ragazza dai lunghi capelli, pulendosi la bocca con la manica della camicia – Posso parlare con un mio amico bassista. È molto bravo, qualche volta mi ha fatto pure lezione.-
- Grazie mille. Mi sei davvero d’aiuto!-
 
 
 
Rina era seduta sul divano e si guardava le ginocchia. Haruna attendeva in silenzio. Avevano appena finito di mangiare, e aveva smesso un attimo di sparecchiare per porre una semplice domanda alla sua coinquilina. Ora attendava risposta, ma nulla. Rina rimaneva zitta. L’unico rumore che colmava il silenzio era la voce del giornalista alla TV. Molto basso, molto distante.
Finalmente Rina parlò.
- Ne abbiamo già parlato.-
- Lo so Rina, lo so. Ma davvero non vuoi pensarci?-
- Ti ho già detto che non mi piace la musica rock…-
- Non devi stare per sempre. Devi suonare solo per una serata. E poi una pianista brava come te ci sarebbe davvero d’aiuto.-
- Haruna, non voglio farlo! Punto e basta!-
Haruna rimase spiazzata dalla ferocia con cui aveva esclamato quella frase. Rina di solito era sempre così carina, gentile. Sembrava che nulla al mondo la turbasse, che la sua vita fosse perfetta. Ma una reazione del genere voleva dire una sola cosa: anche lei nascondeva qualcosa.
- Io…- disse Rina, come imbarazzata dalla sua sfuriata precedente – Scusami.. è che.. ci sono stata al Namba Hatch, una sera… Ero andata a vedere Shino. E.. non è stata una bella serata, ecco. Non mi è piaciuto affatto. Quello non è il mio mondo, tutto qui.-
- Ok.- disse calma Haruna – Non voglio costringerti. –
- Non ho più voglia di guardare la TV. Tanto dicono sempre le stesse notizie… Vado a dormire.-
- Certo. Buonanotte.-
Rina si diresse verso la sua camera a passo svelto, ma nervoso. Haruna rimase da sola. Sparecchiò svogliatamente, cercando di non fare troppo rumore per non disturbare la sua coinquilina. Il suo sguardo cadde sulla sua chitarra, appoggiata alla parete di fronte a lei, ancora collegata all’amplificatore. Si era esercitata un po’, prima di cena.
Era lì, bianca e nera e lucente. E sembrava la guardasse. La incoraggiasse. Sembrava non vedesse l’ora di salire sul palco di quel locale.
- Ce la farò.- si disse Haruna, con convinzione – Ce la farò.-

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Capitolo 9
*** Ring!Ring!Ring! ***


CAPITOLO 9, Ring!Ring!Ring!
Telefono, squilla!
Voglio sentire la tua voce

 
Il ragazzo uscì, sbattendo la porta della sala prove. Haruna e Mami rimasero da sole, in silenzio.
Era pomeriggio inoltrato, e presto sarebbero arrivati i vari gruppi che dovevano provare. Nessuna delle due parlava. Haruna, come al solito, rimaneva incantata a guardare fuori dalla finestra, e leggere quell’insegna colorata di neon spento e triste.
SCANDAL. SCANDAL.  
L’unica cosa di più o meno guardabile, in quell’insieme di case sudice e strade piene di cocci di bottiglie.
- Meglio così.- disse, finalmente, Mami, rompendo il silenzio – Mi stava antipatico già prima che iniziasse a suonare. Non l’avrei mai preso nella mia band.-
Haruna non disse nulla. Il ragazzo che era appena uscito era l’amico bassista di Tomomi. Lui aveva accettato subito di unirsi a loro, dato che pure lui era da tempo in cerca di una band, e si erano dati appuntamento alla sala prove. Lui aveva iniziato a suonare, per far vedere alle ragazze com’era. Era bravo. Forse… troppo bravo.
Infatti, quando iniziarono a suonare tutti e tre insieme, lui non faceva altro che interromperle, continuando a lamentarsi della poca destrezza di Haruna nella chitarra e della batteria poco precisa di Mami. Finché la ragazza dalla frangetta bruna non aveva perso la pazienza e aveva gridato “O ti accontenti, o quella è la porta!”
E la porta fu.
Erano daccapo.
- Haruna, tranquilla! Troveremo qualcun altro, non ti preoccupare.-
Haruna annuì. Cercava di farsi coraggio, ma l’episodio di quel giorno l’aveva davvero buttato il morale sotto i piedi. Solo in quel momento si rendeva conto di quanto non fosse brava con la chitarra. Sarebbe davvero stata in grado di suonare davanti ad un pubblico, tra l’altro abbastanza numeroso? Si esercitava così tanto, eppure aveva l’impressione di non migliorare per nulla…
- Proviamo un altro po’?- chiese Mami, giocando un po’ con i piatti della sua batteria – Abbiamo solo mezz’ora prima che arrivi il primo gruppo.-
Haruna annuì di nuovo. Cercò di tirarsi su. Non si sarebbe arresa tanto facilmente.
 
 
- Haruna-chaaan!! Se non ti muovi faremo tardi, dai!!-
Ormai le urla di Rina al mattino erano un rito. Haruna faceva sempre più fatica a svegliarsi. Adesso che era nel bel mezzo dell’anno scolastico, ed aveva pure un lavoro, le giornate si facevano più intense e più dure. Dopo un’estate di assoluto riposo, era difficile abituarsi a quel nuovo stress.
Si annodò la cravatta, afferrò la cartella ed uscì velocemente dalla sua stanza, senza nemmeno pettinarsi. Non le importava, e poi non c’era tempo.
Rina si era già avviata giù per le scale. Quando la raggiunse, vide che pure Shino era con lei.
- Buongiorno..- disse Haruna, col fiatone. Gli altri due la presero in giro per il suo solito ritardo, poi i tre amici s’incamminarono a passo svelto verso la scuola. Ormai il percorso lo conoscevano, svoltare gli angoli ed attraversare le vie era praticamente automatico. Shino, in quei giorni, aveva fatto spesso la strada assieme a loro, e si era rivelato un ottimo compagno di chiacchiere. Haruna ormai lo considerava un suo caro amico, anche se ancora non concepiva la sua antipatia verso Mami.
- Haru-chan, allora? Ci sono novità per il gruppo?- le chiese Rina, sorridente.
Haruna raccontò sconsolata l’episodio del bassista, avvenuto il giorno prima.
- Oh.. quando fanno così sono proprio antipatici!- sbuffò la ragazza dal caschetto castano, assumendo un’espressione che avrebbe dovuto sembrare arrabbiata, ma la dolcezza del suo viso non svanì nemmeno per un istante.
- Io avrei fatto lo stesso – replicò Shino, - Insomma… magari sperava di lavorare con dei professionisti, invece si è ritrovato con dei principianti.-
- Shino!- Rina lo colpì alla spalla – Ti sembra questo il modo di parlare?-
- Ahi! Mi hai fatto male! E comunque non volevo offendere, intendevo solo dire che sarebbe meglio per Haruna cercare persone al suo stesso livello, così almeno c’è più equilibrio.-
Haruna non diceva un parola, però ascoltava tutto. Shino aveva ragione, pensava. Era inutile cercare musicisti bravi per la sua band, perché se ne sarebbero andati tutti. Bastava qualcuno di livello piuttosto basso. E poi era tutto momentaneo, solo per una sera. Non era sicura che ci sarebbe rimasta nemmeno lei, in quella band. Le bastava avere il permesso per esercitarsi, e quando sarebbe diventata più brava sarebbero iniziate le vere ricerche, di veri musicisti. Quello era solo il primo ostacolo di un sentiero ancora lungo, ancora tutto da percorrere.
- Sai…- continuò Shino – Se proprio vuoi un bassista, mi stupisco che tu non abbia ancora chiesto a Tomomi.-
Haruna si riscosse dai suoi pensieri, tornando alla realtà.
- Invece l’ho fatto.- rispose – Ha detto che non le serve, dato che ha già un lavoro. E che è comunque inutile, dato che non ha ancora un basso.-
- Ah, giusto..- esclamò Shino, come colpito da un fulmine – Il nostro capo non gliel’ha ancora dato.- stette in silenzio, poi mormorò – Però… la vedo dura.-
Haruna si fece attenta :- In che senso?-
Shino la guardò negli occhi, poi distolse improvvisamente lo sguardo, con un guizzo di pupille. Era truce, preoccupato, cupo. Haruna venne quasi catturata da quell’espressione, e chissà perché, le fece venire anche una certa angoscia. Anche Rina lo stava fissando, con uno sguardo ricco d’ansia.
Shino sospirò, e finalmente disse:- Tomomi lavora veramente poco. Non si impegna per niente. Il nostro capo le ha abbassato lo stipendio più volte, ed altre ancora le ha proprio tolto il salario per intere giornate. Lei vuole lavorare solo fino a che non raggiungerà la somma adatta per permettersi il basso… ma ciò che vuole è un Fender Deluxe Active Jazz di ottima qualità, uno dei pezzi migliori del negozio. Molto, molto costoso. Ogni tanto lo suona, io l’ho sentita: le piace tantissimo, si vede che non vede l’ora di possederlo. Ma… se va avanti così… ho paura che non ce la farà ad averlo presto.-
Haruna ritornò, con la memoria, alla prima volta che aveva incontrato Tomomi, al negozio di strumenti. Ricordava quanto si era arrabbiata, quando si era soffermata ad ammirare quel basso rosso, e ancora di più rammentava le urla che si scambiavano lei e il suo capo. Sì, non doveva essere una gran lavoratrice. Anzi, ormai la conosceva, e poteva affermare con sicurezza quanto fosse pigra e svogliata. Poi dubitava che, anche se fosse riuscita a permettersi il basso, avrebbe avuto abbastanza forza di volontà per poter imparare a suonarlo. Saper suonare uno strumento vuol dire pratica, passione, pratica, impegno, di nuovo pratica…
Un po’ le dispiaceva, ma se davvero Tomomi teneva ad avere quel basso, allora dipendeva solo da lei. E se non si impegnava nel lavoro, Haruna non poteva farci niente.
 
 
 
Durante la lezione di ballo, Tomomi non c’era. Probabilmente stava male, o aveva avuto un imprevisto, ma Haruna non poté fare a meno di preoccuparsi un pochino. In più, si sorprese che non l’aveva avvisata. E quando arrivò l’ora del pranzo, e dovette dirigersi verso la mensa, si sentì tremendamente sola. Non aveva voglia di stare assieme alle sue compagne di classe, ma anche mangiare da sola le metteva addosso della malinconia. D’istinto, cercò Mami. Ma non la trovò alla mensa. Non era neppure al suo solito tavolo solitario. Possibile che mancasse pure lei? Cosa stava succedendo a tutti quanti?
Proprio mentre stava per venirle l’ansia di dover mangiare da sola, vide qualcuno agitare la mano in lontananza. Rina cercava di catturare la sua attenzione. Era seduta ad un tavolo, ed vicino a lei c’era Shino. Haruna tirò un sospiro di sollievo.
- Haruna-chaaaan! Ti abbiamo tenuto il posto, vieni!!-
Haruna si sedette al loro tavolo. Era felice, non aveva mai incontrato Rina a scuola. Di solito i loro orari erano completamente diversi, ma quel giorno fu fortunata.
-Che giornata…- sbuffò Shino – Il nostro prof di disegno ci ha riempiti di compiti! 20 bozzetti da fare! Ma dico io! Manco dovessimo disegnare un manga intero!-
- Sei il solito scansafatiche.- lo canzonò Rina
- La fai facile tu, che passi le tue giornate scolastiche a strimpellare un pianoforte…-
Rina gli diede una pacca sulla spalla.
Shino si voltò verso Haruna :- Non c’è Tomomi oggi?-
Haruna non riscosse :- No.. non è venuta a lezione.-
Shino spalancò gli occhi. Sembrava sorpreso :- Davvero? Strano…-
- Sai cosa può esserle successo?-
Shino scosse la testa.
- Non sei andato al lavoro con lei, ieri?- gli chiese Rina.
- No, ieri ero a lavorare con te. Non ricordi?-
- Ah! Sisi, mi ero confusa.-
Haruna sospirò. Non sapeva cosa fosse accaduto a Tomomi, ma iniziava seriamente a preoccuparsi. Decise che nel pomeriggio l’avrebbe chiamata.
Immersa nei suoi pensieri, quasi non si accorse della figura di Mami che entrava nella mensa e si dirigeva verso il suo solito tavolo. Si riscosse immediatamente. Allora c’era! Era semplicemente arrivata più in ritardo del solito.
- Ehi, Mami! Mamiiii!- urlò, staccando leggermente il sedere dalla sedia e sbracciandosi in tutti i modi possibili per attirare la sua attenzione. Mami la notò subito, ed impallidì di colpo.
- C’è un posto libero qui!- continuò a gridare Haruna, cercando di sovrastare il brusio ovattato della mensa.
Mami continuava a guardarla incredula. La sua espressione sembrava pensare “sta dicendo a me? Sta proprio dicendo a me?”
Haruna sentì qualcuno darle una pacca forte alla schiena. Emise un gemito, e si girò di scatto: Shino.
- Mi hai fatto male!- gli disse lei, furiosa.
- Che stai facendo?- Shino aveva un’espressione tanto pallida quanto quella di Mami.
- Come sarebbe? È una mia amica, e voglio che mangi con me. Mi da fastidio vederla sempre sola!-
- Come… cosa stai dicendo?- Shino balbettava, il suo sguardo era rigido e nervoso – Da quando siete diventate amiche?-
- Vivi sulle nuvole? Lavoriamo insieme da settimane, e stiamo anche cercando una band insieme! Di solito le persone normali dopo un po’ fanno amicizia, poi nel tuo pianeta non so come vadano le cose..-
Haruna era decisamente infastidita. Shino le era simpatico, ma lo odiava quando faceva lo stupido adolescente medio che discrimina gli altri per la minima cosa. E ancora non capiva cosa trovasse di strano in Mami.
Shino la guardò teso: le parole di Haruna lo avevano colpito, questa era sicuro, ma ancora non si era convinto del tutto.
- Haruna…- sussurrò – Sei proprio sicura di voler diventare sua amica?-
- Perché non dovrei? Cosa rischio?-
Shino aprì bocca per parlare, ma si bloccò subito, e restò fermo immobile a fissare qualcosa dietro ad Haruna. La ragazza si voltò. Mami li aveva raggiunti al tavolo. Haruna non sapeva da quanto tempo si fosse avvicinata e per un attimo le venne il panico che avesse sentito tutto. La ragazza, però, rimase impassibile e si sedette accanto ad Haruna e appoggiò rumorosamente il vassoio sul tavolo senza degnare Shino nemmeno di uno sguardo.
- Oggi non c’è la tua amichetta?- chiese, con una sorta di fastidio nella voce.
- Tomomi… non è venuta a scuola oggi.- riuscì a dire Haruna.
Mami rispose con un – Mm.- secco, ed iniziò a mangiare. Shino teneva lo sguardo basso, come se avesse paura di incrociare i suoi occhi.
- Tu sei Mami Sasazaki giusto?- disse improvvisamente Rina – Piacere, io sono Rina Suzuki. Sono la coinquilina di Haruna, lei mi ha parlato tanto di te…-
La ragazza dal caschetto castano le porse la mano, con un grande sorriso sulle labbra. Mami prima la fissò, confusa e dubbiosa insieme, poi sorrise timidamente anche lei, ricambiando la stretta di mano. Haruna sentì il cuore diventarle più leggero. Benedì Rina col pensiero, ringraziò il cielo di aver conosciuto una ragazza così gentile e dolce.
Rina, Rina, grazie di esistere, Rina!
Quello che non collaborava affatto nel tener viva una conversazione era quell’idiota di Shino. Teneva lo sguardo basso, imbronciato, e sembrava non esistesse nient’altro attorno a lui se non il suo piatto di cibo. Lo maledisse con tutta sé stessa.
- Quindi anche tu sei nella band di Haruna-chan!- continuò Rina.
- Sì…- rispose la ragazza dalla frangia bruna, con un filo di voce – Suono la batteria.-
- Ah..- fece Rina – Sembra… sembra bello! Ma non è difficile?-
Mentre le due ragazze chiacchieravano, Haruna notò con stupore una strana luce negli occhi di Rina. Non l’aveva mai vista così interessata. Poi si convinse, però, fosse solo una sua illusione.
 
 
La pausa pranzo era stata piacevole. Rina e Mami avevano parlato molto, sembrava che stesse iniziando a formarsi una solida amicizia tra le due. Haruna non poteva fare a meno di esserne contenta. Finalmente Mami aveva mangiato in una tavolo con altre persone, e non da sola. Era riuscita ad includerla nel suo gruppo, ed il merito era soprattutto di Rina. Shino era stato zitto tutto il tempo, ma forse era meglio così.
Mancavano 5 minuti prima che iniziasse l’ora di Mariko, così Haruna decise di accendere il cellulare e chiamare Tomomi. Le aveva già mandato qualche messaggio, ma anche l’amica non si era fatta viva. Iniziava a preoccuparsi: e se stava male? Non ricordava avesse problemi di salute, anzi…
Digitò il numero, appoggiò il cellulare all’orecchio ed attese. Il telefono squillò, ma nessuno rispondeva. Il rumore sordo dall’altra parte della cornetta non faceva che mettere ancora più in ansia la ragazza. Che fosse davvero successo qualcosa?
Il telefono continuò a squillare, per più di un minuto. Haruna stava per chiudere la chiamata, ma improvvisamente sentì una voce distorta provenire dal telefono.
- Pronto?-
Haruna si affrettò a rimettere il telefono vicino all’orecchio.
- Pronto? Tomomi? Pronto?-
- Haruna?-
La voce di Tomomi era strana. Roca, più profonda del solito. E rotta da singhiozzi.
- Pronto? Tomomi? Ma stai piangendo?-
In risposta, udì un singhiozzo più violento degli altri.
- Tomomi? Tutto bene? Tomomi?-
Haruna iniziava ad essere davvero terrorizzata. Perché stava piangendo? Tomomi, la sua amica sempre allegra e menefreghista.. perché piangeva?
Non ricevette risposta per qualche istante, gli istanti più lunghi della sua vita.
Poi finalmente, Tomomi prese un grosso respiro, e rispose.
 
- Mi hanno licenziata.-

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Capitolo 10
*** Houkago 1H ***


CAPITOLO 10, HOUKAGO1H
Ma dimmi di più di questo giorno speciale,
appoggio il mio zaino, e oui, suono!”
 

 
 
Agosto 2006, ore 15:45, Osaka (Giappone)
Haruna bussò alla porta più e più volte. Niente. Provò a suonare il campanello. Nulla, ancora.
- Tomomi, sono Haruna! Apri!-
Nessuna risposta. Haruna sospirò. Sapeva che Tomomi era là dentro, sapeva che l’aveva sentita, e sapeva che faceva apposta ad ignorarla. Non si diede per vinta.
- Apri, per favore! Voglio solo parlare.-
Ancora nulla.
- Non ti farò nessuna predica! Te lo giuro!-
Nulla.
Sbuffò, pensando che forse era tutto inutile. Conosceva abbastanza Tomomi da rendersi conto di quanto dura fosse la sua testa. Persino più dura della sua. Ma sentiva il bisogno di fare qualcosa per lei. Erano giorni che non veniva a scuola e che non rispondeva al telefono. E l’ultima volta che aveva sentito la sua voce, avevano parlato solo per pochi minuti, poi la ragazza aveva attaccato il telefono, piangendo. Non avrebbe mai immaginato che Tomomi – sì, proprio Tomomi! – fosse capace di piangere in modo così disperato, così malinconico.
Stava per fare dietro front, e andarsene, quando il rumore secco di una chiave infilata nella toppa attirò nuovamente la sua attenzione. La porta si aprì lentamente, e dall’interno sbucò la faccia arrossata e cupa di Tomomi. I suoi capelli lunghi e neri, che le coprivano metà viso, rendevano il suo sguardo ancora più profondo e furioso di quanto già non fosse. Haruna quasi non la riconosceva.
- Non ricordo di averti mai dato il mio indirizzo.- disse Tomomi, con voce profonda e roca. Non era la sua voce, quella.
- Me lo sono fatto dare da Shino.- rispose piattamente Haruna.
Tomomi annuì.
- Entra, se proprio vuoi.- e scomparve in casa, lasciando la porta socchiusa. Haruna esitò qualche momento, prima di entrare.
 
 
 
Non era mai stata a casa di Tomomi, ma appena varcata la soglia Haruna non poté fare a meno di sentire qualcosa di strano, una sensazione calda e accogliente sfiorarle la pelle, ma allo stesso tempo qualcosa di freddo che la fece rabbrividire: la casa era grande, accogliente. Per raggiungere le varie stanze bisognava percorrere un corridoio lungo e largo, addobbato con mobili e comò, le pareti perfettamente bianche abbellite da quadri.  Il muro ogni tanto veniva interrotto da porte di legno liscio e marrone, che probabilmente portavano ad altre stanze. Tantissime stanze. Tomomi doveva far parte di una famiglia abbastanza numerosa.
No, la strana sensazione che stava provando Haruna non andò via. Ma cos’era? Invidia, forse? No. Non aveva motivo di invidiare una sua amica, solo perché aveva una casa più grande. Le piaceva il suo piccolo appartamento, e le piaceva vivere con Rina. Non chiedeva altro nella sua vita, se non un letto per dormire e un’amica con cui condividere le proprie giornate. E la sua chitarra.
No, non era invidia. Era ben altro. Era che la casa di Tomomi le ricordava tremendamente la sua casa a Niigata, che tutte quelle stanze portavano portare alla camera dei genitori o, chissà di un fratello… e che ormai era un mese e mezzo che si era trasferita ad Osaka, e solo in quel momento si rese conto che non aveva mai fatto una telefonata a sua madre. Non aveva detto ai suoi che stava bene, che stava studiando, che il suo sogno si stava realizzando mano a mano, anche se c’era tanto da lavorare. Le sue membra tremarono di una dolce, e tuttavia disturbante, nostalgia.
- Sei entrata o ti sei persa?- la voce di Tomomi rimbalzò nelle pareti della casa, distanze e ovattata. Haruna si riscosse. Aprì la prima porta socchiusa che trovò, dentro la quale proveniva la voce dell’amica. Era la stanza di Tomomi. Accogliente e carina, anche se non molto grande: un letto, una finestra, una scrivania con un computer e uno stereo, uno scaffala pieno di libri (non credeva che a Tomomi piacesse leggere) e ovviamente di CD: KISS, Sum 41, Red Hot Chili Peppers, The Who… Ma la cosa che si notava a colpo d’occhio, appena entrati, era l’enorme poster di Flea attaccato alla parete, esattamente di fianco al letto. Doveva essere il suo bassista preferito.
Tomomi era seduta sul letto, e abbracciava le proprie ginocchia, tenendole strette al petto. E fissava proprio il poster, con aria sognante e malinconica. Era così che passava le giornate? pensò Haruna. Da sola, in camera, piangendo e fissando la foto di un ultra-quarantenne dai capelli viola che stringe tra le mani un Fender Precision Bass Sunburst a cinque corde?
Ad Haruna le piangeva il cuore a vederla così. Avrebbe voluto abbracciarla, ma un gesto del genere l’avrebbe sicuramente infastidita. Tomomi non era il tipo da perdersi in certe smancerie. Allora doveva dire qualcosa. Era lì per quello in fondo. Ma.. cosa?
- Bhè?- disse improvvisamente Tomomi, senza voltarsi – Cosa volevi dirmi?-
Haruna sussultò. Era in difficoltà. Doveva parlarle, ma in quel momento le mancavano le parole.
- Ecco…- mormorò. Si fece coraggio – Sono giorni che non vieni a scuola.-
- Il che significa che ho i miei motivi. Non mi hai nemmeno chiesto se sono malata.-
- Non sei malata.-
- Che ne sai?-
- Tomomi, non hai davvero voglia di parlare di quello che è successo?-
- No.-
Haruna sospirò :- Sono tua amica. Sentiti libera di confidarti.-
- Francamente… sono cazzi miei.-
Haruna sospirò: - Se sono cazzi tuoi, allora perché mi hai chiamata per dirmi tutto?-
Stavolta Tomomi non rispose. Non mosse un muscolo, rimase girata, sempre a fissare il muro. E Haruna non sapeva più che pesci pigliare. Come faceva ad aiutarla, se non collaborava e non si confidava con lei nemmeno un po’?
- Quando ero piccola…- disse improvvisamente Tomomi. Haruna quasi sussultò – mio padre mi fece ascoltare un suo vecchio CD. Avevo otto anni, ancora non ero entrata nel mondo della musica. Ricordo che m’innamorai perdutamente di una canzone di quell’album. Non conoscevo il titolo, e non me ne importava. Continuavo a chiedere e a richiedere a mio padre di farmi ascoltare “quella canzone che mi piace tanto”. Lui iniziò a stufarsi, ma io proprio non riuscivo a smettere di ascoltarla. Un giorno mi chiede come mai mi piacesse tanto proprio quella canzone. Io risposi che mi piaceva semplicemente il suono che faceva all’inizio. Un rumore caldo, possente… strano, anche. Lo so, è stupido dire una cosa del genere. Ma avevo otto anni, come ti ho già detto. Non conoscevo gli strumenti, non capivo la musica.-
Si fermò, e per qualche istante calò nuovamente il silenzio. Haruna trattenne il respiro, come se avesse paura di disturbarla mentre ripercorreva quei ricordi. Non era sicura che stesse parlando proprio a lei, ma non le importava. Aveva appena iniziato a sfogarsi, e quello era l’importante.
- Poi arrivò il giorno del mio quindicesimo compleanno – riprese Tomomi – e mio padre mi fece uno dei regali migliori che potessi desiderare. Un biglietto per un concerto. Fu la serata più bella della mia vita. Finalmente li vidi, gli autori misteriosi della canzone che mi piaceva tanto. La canzone era She’s Only 18. E finalmente capii da dove veniva il suono misterioso che tanto adoravo.- ridacchiò – Incredibile il delirio che fu. Erano drogati marci. Ma ero giovane ed innocente, ancora non capivo certe cose. L’unico che nonostante tutto suonava decentemente era lui. Completamente pazzo, certo. Mezzo nudo, con quei capelli colorati e quel sorriso da psicopatico. Ma suonava divinamente. E mi persi nella melodia che produceva il suo strumento.-
Fece un lungo respiro. E poi riprese.
- Tornai a casa, quella sera, felice più che mai. Abbracciai mio padre, lo ringraziai. Lui mi chiese se mi ero divertita. Non gli risposi. L’unica cosa che riuscii a dirgli fu: “Papà, voglio suonare il basso.”-
Si fermò. Stavolta il silenzio durò più del solito. Haruna aveva il cuore in gola. Era già finito il racconto? Perché non continuava? Voleva sapere come andava avanti, sentiva il respiro bloccarsi nei polmoni, una curiosità che raramente aveva provato. Ma Tomomi non andò avanti. Rimase immobile per qualche istante. Poi, improvvisamente, la sua schiena ebbe una scossa, come fosse colpita da un enorme brivido di freddo. Un singhiozzo. Scoppiò in lacrime.
Haruna si avvicinò a lei, timorosa, come se si stesse avvicinando ad un leone inferocito. Si sedette delicatamente accanto a lei. La abbracciò. E con suo enorme stupore, Tomomi non rifiutò quell’abbraccio. Anzi, strinse l’amica ancora di più a sé. Affondò il viso nel suo petto, le bagnò la t-shirt di lacrime salate, le riempì la bocca dei suoi infiniti capelli. Ma Haruna non protestò. E rimase così, per lunghi minuti, e lasciò che l’amica si sfogasse una volta per tutte.
 
 
E dire che, vista la casa in cui abitava, la famiglia di Tomomi doveva essere benestante e senza alcun problema. Ma, come la sua amica le raccontò più tardi,  Haruna scoprì che suo padre aveva persona da poco il lavoro. Per fortuna anche la madre lavorava e per il momento riusciva a portare il pane a casa. Il pane, ma non un basso. Tomomi era sempre stata una ragazza molto viziata, ed aveva sempre avuto tutto. Ma Haruna sentiva che quello non era un semplice capriccio per lei. Era un vero proprio sogno, un desiderio così bruciante che aveva addirittura voluto lavorare lei stessa per ottenerlo… “Lavorare”. Si fa per dire, dato che era già stata licenziata. Era pigra, sfacciata, talvolta maleducata e imbronciata, talvolta sorridente e pazzamente piena di allegria. Ma ora mostrava un lato del tutto diverso. Quelle non erano lacrime di una bambina capricciosa. Quelle erano le lacrime di qualcuno che ci aveva provato, ci aveva provato davvero, ma aveva fallito.
Haruna la teneva abbracciata a sé, e sorrideva furbamente sotto i baffi. No, non stava gioendo dell’infelicità dell’amica. No, ci mancherebbe altro. Sorrideva, perché lei, a differenza di Tomomi, era determinata(non testarda, ma determinata. Sono due cose diverse), ed ogni volta che cadeva riusciva subito a trovare un modo per rialzarsi. E aveva già pensato, in quei giorni, mentre Tomomi non c’era, ad un modo per aiutarla. Non voleva dirglielo subito. Voleva che l’amica si sfogasse anche un po’. Le faceva bene. E più aspettava, più sarebbe stato più piacevole per lei ascoltare la buona notizia.
Prese un respiro :- Tomomi…-
Tomomi smise di singhiozzare, poi guardò l’amica con grandi occhi lucidi.
Haruna finalmente poté sorridere liberamente :- Ho parlato con Mariko- disse, con voce entusiasta – Dice che se parteciperai al suo progetto, e suonerai con noi al Namba Hatch, potrai avere accesso alla sala prove tutte le volte che vorrai. E il basso delle studio sarà a tua completa disposizione. E poi – a pronunciare le ultime parole, le se illuminò il viso – se accetti di lavorare per lei, presto avrai abbastanza soldi per comprarne uno tutto tuo!-
 
 
Agosto 2006, ore 7:50, Osaka (Giappone)
Nonostante tutto, il banco accanto ad Haruna era vuoto anche quella mattina. Eppure credeva di aver risolto tutto. Perché Tomomi non tornava a scuola?
La campanella era appena suonata, e l’aula era piena di quel piacevole brusio mattutino di studenti che si siedono ai proprio posti, aprono le loro cartelle e si scambiano qualche assonnata parola col compagno di banco. Mami entrò in classe e passò di fianco ad Haruna. Anche lei notò subito il banco vuoto.
- Non avevi detto che ne avresti parlato, con la tua amica?- le chiese subito.
- L’ho fatto.- rispose Haruna tristemente – Ma non capisco come mai non sia venuta a scuola oggi.-
- Almeno le è piaciuta la proposta? Cosa ha risposto? Era felice?-
Haruna si morse il labbro :- Non lo so. Proprio appena avevo finito di dirglielo è arrivata sua madre. Ha visto sua figlia in lacrime e si è preoccupata, ci siamo dovute inventare una scusa sul momento. E l’aria era talmente tesa che ho preferito andarmene via e…-
- Sedetevi ragazzi!-
Mariko era appena entrata in classe, e il suo richiamo aveva fatto zittire tutti quanti, Haruna compresa. Mami rivolse un ultimo sguardo malinconico all’amica, come se volesse dire “ci abbiamo provato”, e si diresse velocemente al proprio posto. Durante la lezione, Haruna era distratta. Aveva tanto pregato Mariko di assumere qualcun altro, e credeva di essere stata utile per Tomomi. Cosa c’era di sbagliato, nella sua proposta? Forse l’aveva offesa… Sì, Tomomi doveva aver pensato che Haruna volesse solo un bassista per la sua band.
Haruna deglutì, angosciata. Un po’ era vero. In quei giorni era stata impegnata a trovare un bassista, nessuno andava bene e il giorno dell’esibizione si avvicinava sempre più. Aveva l’ansia a mille, ed il licenziamento di Tomomi era in effetti capitato a fagiolo. Sembrava un segno del destino. Un segno del destino… che cosa patetica! Si prese la testa fra le mani, i gomiti appoggiati al banco. Era stata un’egoista a pensare ad una cosa del genere, solo a pensarla. Ma in fondo essere egoisti è umano. E poi, in quel caso, non ci guadagnavano entrambe? Haruna avrebbe suonato tutto il tempo che voleva alla saletta, e Tomomi avrebbe avuto il suo basso. Si trattava di suonare per una sera, una sera soltanto! Non era costretta a suonare per sempre con lei.
I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta dell’aula che si apriva energicamente e rumorosamente.
- Buongiorno sfigatelli!-
Quella voce. Stridula. Fastidiosa. Haruna la conosceva. E non era mai stata così felice di sentirla.
- Oh!- Mariko si sistemò gli occhiali sulla punta del naso – Signorina Ogawa! È un piacere riaverla qui con noi, dopo tanto tempo…-
Tomomi non lasciò neppure che la professoressa finisse di parlare. Con un balzo leggero, si fiondò su di lei e l’abbracciò. La classe, stupita e scandalizzata allo stesso tempo, scoppiò in un brusio confuso. Haruna non sapeva se scandalizzarsi o mettersi a ridere. Solo una come Tomomi poteva azzardare un simile gesto lì, davanti a tutti, senza nemmeno aspettare che finisse la lezione. Eppure Mariko non protestava. Anzi, Haruna giurò di vederla sorridere.
- Grazie..- sussurrò Tomomi all’orecchio della sua insegnante, senza mollarla.
- Non c’è di che – rispose Mariko a basso voce – Ma… potresti lasciarmi? Siamo nel bel mezzo della lezione.-
Tomomi aspettò ancora qualche secondo prima di lasciarla andare, e dirigersi verso il suo posto.
- Mi stavo preoccupando. Credevo non venissi…- le confessò Haruna, appena l’amica si fu seduta accanto a lei.
- Mi stupisci. Credevo sapessi che io arrivo sempre in ritardo.- rispose quest’ultima.
- Potevi fare un’eccezione, almeno per oggi...-
- Bha, piantala di dire sempre cavolate.-
Haruna non fece in tempo neppure a fingersi arrabbiata, o a sbuffare, che subito si ritrovò bocca, occhi e viso completamente ricoperti da una cascata di capelli lunghi, neri e sottili. Anche lei era diventata vittima degli abbracci di Tomomi.
- Grazie.- le disse
- Non.. non ho fatto niente.- rispose Haruna, un po’ in imbarazzo visto che gran parte della classe si era voltata a guardarle. Anche Mariko le stava guardando, ma si limitò a sorridere e a fare finta di niente.
- Non è vero. Hai fatto tantissimo invece. Tantissimo.-
Haruna si arrese, rilassando il corpo tra le braccia dell’amica, che la strinse a sé ancora di più. Qualche banco più in là, Mami le guardava. Ma non sorrideva.
 
 
Agosto 2006, ore 19, Osaka (Giappone)
Una batterista. Una chitarrista. Una bassista.
Haruna le contava con le dita, ragionando tra sé e sé, mentre l’autobus sfrecciava, forse un po’ troppo veloce, verso la periferia della città. Da un bel po’ di tempo non si vedeva l’autista pervertito, ed aveva lasciato il posto ad un altro tipo, più giovane e anche simpatico. Per questo Haruna era decisamente più tranquilla durante i suoi spostamenti dal centro di Osaka alla saletta.
Una batterista. Una chitarrista. Una bassista. Cosa mancava? Bhe, erano decisamente a buon punto. Mancava solo un cantante. Ad Haruna non sarebbe dispiaciuto neppure avere un tastierista, ma il giorno del live si avvicinava e non c’era più tanto tempo da perdere in ricerche. Dovevano ancora decidere i pezzi da suonare, e soprattutto doveva ancora iniziare a provare. In più, c’erano altri piccoli dettagli che non avevano preso in considerazione. Per esempio, come chiamarla, la band? Certo, non sarebbe durata per sempre, ma un nome ci doveva essere per forza. E poi, come vestirsi, sul palco? Poteva sembrava una sciocchezza, ma Haruna aveva notato che ogni gruppo che veniva a suonare nella saletta aveva un proprio stile: metal, dark, punk, colorato, hippie, stravagante… Insomma, bisognava pensare anche alla presenza scenica.
La chitarrista sentiva il cervello pulsare dall’enorme quantità di pensieri che l’affollavano. Così tante cose da fare, così poco tempo. Sentiva crescerle nel petto una gran ansia. Cercò di respirare, e di calmarsi. Non aveva ancora l’acqua al collo, poteva ancora organizzarsi. Doveva solo rimanere lucida e non perdere la concentrazione. Ce l’avrebbe fatta.
Scese dall’autobus dirigendosi a passo deciso verso la saletta. Nonostante ci lavorasse da settimane, quel quartiere non cessava mai di darle i brividi, ed ogni volta era impaziente di varcare la soglia dello studio. Almeno là dentro era in compagnia, e si sentiva al sicuro. Una volta arrivata, notò con sollievo che la porta era già aperta. Mariko le aveva dato una copia delle chiavi, nel caso un giorno arrivasse lei per prima, ma sapere che c’era già qualcuno la tranquillizzava.
Appena mise piede all’interno dell’edificio, le sue orecchie captarono subito qualcosa di diverso. Nelle pareti rimbalzavano delle risatine, stridule e fragorose, sicuramente provenienti da due o più ugole femminili. Era piuttosto presto per i gruppo, in teoria ci darebbe dovuta essere solo Mami. Strano.
Il mistero venne svelato non appena buttò l’occhio alla grande unica stanza della saletta: Mami e Tomomi erano sedute sul pavimento, una di fronte all’altra, e parlavano animatamente. La batteria era al suo solito posto, ed in più, appoggiato alla parete, c’era uno dei bassi che Mariko teneva nella seconda stanzetta, già collegato ad un amplificatore acceso. Forse avevano già suonato assieme, ma a quanto pare era durato poco.
Haruna si dovette schiarire la voce più volte, prima di attirare l’attenzione delle ragazze.
- Ehi Haruna!- esclamò Tomomi – Sei arrivata finalmente!-
- Già..- rispose Haruna, con poco entusiasmo – Almeno non devo fare le presentazioni.-
Mami sorrise timidamente, annuendo. Sembrava felice di aver conosciuto Tomomi, e dire che ogni volta che ne parlava sembrava dirlo con un certo fastidio.
- Almeno avete suonato?- sbuffò la chitarrista, indicando i sue strumenti.
- Sì! Ehm..cioè no- disse goffamente Mami – Voglio dire… la batteria non è molto accordata. Ora la metto a posto…-
Si alzò e si diresse verso il suo strumento, iniziando a sistemare rumorosamente il kit.
Haruna si procurò un altro amplificatore, lo attaccò alla sua Fender ed iniziò a pizzicare le corde, controllando che fosse accordata. Mentre faceva ciò, Tomomi si era avvicinata a lei.
- Ehi..- le disse a bassa voce – Mami è davvero una forza!-
- Ho notato che state andando piuttosto d’accordo…-
- Sì! Lo devo ammettere, avevi proprio ragione su di lei. È simpaticissima. Ci siamo fatte un sacco di risate. Proprio non capisco perché Shino parli tanto male di lei.-
- Non è quello che ti ho sempre detto?- sbuffò Haruna, e il tono che le uscì dalla bocca fu abbastanza acido ed antipatico. Le faceva piacere che Tomomi avesse cambiato idea su Mami, eppure questa loro amicizia non le andava molto a genio. E non ne capiva il motivo. Era forse gelosa? Ma di chi? Di Tomomi o di Mami? Non si sapeva rispondere neppure lei, e concluse che non le importava nulla.
Finalmente sentì Tomomi suonare. Era da quando l’aveva conosciuta che moriva dalla curiosità di vederla all’opera. Non ne rimase né delusa né completamente soddisfatta. Senza dubbio era bravina, ma la poca padronanza con lo strumento si sentiva. Non era colpa sua, d’altro canto non aveva mai avuto l’occasione di esercitarsi regolarmente visto che non aveva mai posseduto uno strumento tutto suo. Però, per il livello generale della band, andava benissimo.
Una volta sentita Tomomi, ed averla accettata a tutti gli effetti all’interno del gruppo, Haruna parlò alle due amiche dei suoi ragionamenti che aveva avuto in autobus.
- Quindi, ci manca un cantante. E dobbiamo pensare anche a tutte le altre cose.. ma a quelle ci penseremo poi. Avete per caso qualcuno da ingaggiare? Non so, degli amici…-
Mami si stava già grattando la testa, cercando di pensare a qualcuno, ma Tomomi le interruppe immediatamente :- Io non starei a perdere tempo a cercare. In fondo non siamo tutte e tre delle studentesse di Mariko?-
Haruna e Mami rimasero un attimo in silenzio, e si scambiarono un’occhiata pensierosa.
- Non credo di essere in grado di suonare e cantare allo stesso tempo.- disse immediatamente Mami.
- In effetti, alla batteria è difficile…- rifletté Tomomi – Bhe… posso farlo io!-
Haruna non amava la voce di Tomomi, ma non poteva assolutamente negare che fosse bravissima a cantare. Però il problema non era risolto.
- Sei sicura di farcela?- le chiese.
Per tutta risposta, Tomomi impugnò il manico del basso e provò immediatamente a suonare e cantare un pezzo nello stesso momento. Non ci riuscì. Quando cantava, le sue dita perdevano la concentrazione, toccando distrattamente le dure corde, sfasando così completamente la canzone. E se provava a concentrarsi di più sul basso, non riusciva a cantare bene.
- Lascia perdere Tomomi. È troppo difficile.- la fermò Haruna.
Tomomi sbuffò :- Però che pizza!-
Amava cantare, e questo lo si capiva dall’entusiasmo con il quale partecipava alle lezioni di Mariko. Ma se non ne era in grado, doveva farsene una ragione.
- Bhe, allora perché non provi tu Haruna?-
Haruna strabuzzò gli occhi :- I..io?-
- Massì! Dai, con la chitarra cantare è decisamente più facile. E poi stai migliorando ogni giorno di più, ne saresti sicuramente in grado!-
Haruna deglutì. Già era nervosa al pensiero di suonare davanti ad un pubblico, figuriamoci anche a cantare! Di sicuro non sarebbe uscito niente di buono. Si sarebbe bloccata, la gola sarebbe diventata secca… No, sarebbe stato un disastro!
- Io, cantare? No, non se ne parla!-
- Perché no? Dai, hai una bella voce.-
- Non è vero! Non posso cantare davanti a della gente. Mi vergogno, non sono capace…-
- Sì che sei capace.-
- No! Non lo sono! Io…-
- Haruna!- tuonò Tomomi, ad alta voce, richiamando la sua attenzione – Questa cosa è importante per ciascuna di noi. Tutte e tre ne guadagneremo qualcosa. O sbaglio? Me ne hai parlato per giorni, so quanto significhi tutto questi per te.-
Haruna si zittì immediatamente. Non aveva mai sentito parlare Tomomi così, e le sue parole la toccavano nel profondo.
La bassista continuò:- Non c’è tempo di cercare un cantante. Tu puoi farlo, sono sicura che ci riuscirai benissimo.-
Anche Mami era in silenzio, ed ascoltava. L’aria della saletta era carica di tensione ed eccitazione.
- Coraggio Haruna! “E’ solo per una sera. Non devi farlo per sempre”. Non è quello che dici sempre tu?-
Touché. Era verissimo. Haruna non poteva più replicare. Solo una sera. Una sera, e poi si sarebbe concentrata solo ed unicamente sulla sua carriera di chitarrista. Respirò profondamente. Sì, per una sola sera, poteva farlo. Dentro di sé sentiva un turbine di emozioni che si alternavano dal panico, all’ansia, all’angoscia, ma decise che non si sarebbe fermata.
- Okay- rispose alla fine, cercando di dare un tono di convinzione alla voce – Allora, direi che a questi punto la band è fondata!-
Tomomi e Mami sorrisero. Anche loro sentivano crescere una determinazione tutta nuova. Strinsero i pugni, in segno di Fight!. Esattamente qualche istante dopo, il campanello annunciò l’arrivo del primo gruppo che doveva esercitarsi.
- Accidenti, di già?- esclamò Mami – Come vola il tempo! Haruna, vai ad aprire per favore? Io rimetto a posto la batteria.-
- Certo!- Haruna si tolse di dosso la chitarra, e mentre si dirigeva alla porta, chiese :- Chi è il primo gruppo, oggi?-
- Se non sbaglio, i Young Death.-
Haruna non aveva ancora captato la risposta, che aprì la porta e si ritrovò Kiichi ad un palmo dal suo viso.
Il ragazzo le rivolse uno dei suoi sorrisi radiosi ed affascinanti :- Ciao Haruna.-
La ragazza s’irrigidì immediamente, sentì raggelarsi il sangue e il cuore battere sempre più lentamente sotto le costole.

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Capitolo 11
*** BEAUTeen! ***


CAPITOLO 11, BEAUTeen!
 
"La tua espressione cambia ogni volta che sbatto le palpebre,
non riesco a toglierti gli occhi di dosso"

Kiichi. Da solo. Che strano. Dov’era Shino? Dov’erano tutti gli Young Death?
- Haruna!- la salutò il ragazzo, con il suo solito sguardo sorridente ma allo stesso tempo reso misterioso dal ciuffo di capelli neri che gli copriva un quarto del viso.
- Ciao…- mormorò Haruna in risposta, ancora un po’ confusa, poi si riscosse : - Sei da solo? Dove sono gli altri?-
- Sono arrivato in anticipo di proposito. Non avevo molto da fare. Anche se avevo paura che non ci fosse nessuno…-
Venne interrotto da una risata isterica di Tomomi proveniente dall’altra sala. Una risata che pareva più lo strillo acuto di una di quelle donne nei film dei supereroi che chiedono sempre aiuto. Per nulla fastidioso insomma. Haruna sentì le orecchie dolerle di quel fastidio famigliare, che provava solo in due occasioni: quando staccava il cavo dalla chitarra senza spegnere l’amplificatore e quando Tomomi rideva a una distanza inferiore ai 20 km.
Kiichi alzò il sopracciglio, assumendo un’espressione sorpresa: - Ehi! Cosa succede qui dentro?-
- Ehm..- rispose Haruna, un po’ in imbarazzo – Abbiamo una ragazza nuova!-
Quando Kiichi entrò, ed andò assieme ad Haruna nella sala principale, trovarono Mami e Tomomi impegnate a ridere come delle galline su chissà quale fatto assurdo, mentre mettevano in ordine gli strumenti e gli amplificatori che stava usando qualche istante prima.
- Ah!- fece Kiichi – Stavate suonando!-
- Sì.. ecco, più o meno…-
Venne interrotta bruscamente, nuovamente dalla voce squillante di Tomomi.
- Ehi! Ma io ti conosco!-
La ragazza dai lunghi capelli si avvicinò a Kiichi, rivolgendosi a lui con la sua solita scioltezza che Haruna tanto invidiava. Lei non sarebbe mai stata capace di parlare in quel modo con uno sconosciuto. Anzi, prima di stringere una specie di amicizia con Kiichi erano passati giorni e giorni di convenevoli ripetitivi e sguardi. Tanti sguardi. Ogni volta che ci pensava, Haruna arrossiva.
Tomomi squadrò Kiichi ancora per qualche istante, poi esclamò : - Ma certo! Il cantante dei Young Death! Vengo sempre a vedervi suonare!-
Gli occhi di Kiichi, prima confusi, immediatamente si illuminarono : - Ah, ora mi ricordo di te! Sei l’amica di Shino, no?-
- Esatto!- sorrise la ragazza, e gli porse la mano – Tomomi, piacere.-
- Io sono Kiichi.. ma sì, come ho fatto a non riconoscerti prima? Sei sempre in prima fila, quando suoniamo…-
Non fece in tempo a finire la frase, che Mami immediatamente prese Tomomi per un braccio, la attirò leggermente a sé e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Poi entrambe ridacchiarono. Kiichi e Haruna le guardavano, confusi più che mai. Haruna, in particolare, era molto a disagio. Si sentì improvvisamente estranea. Le sue amiche, le migliori che avesse mai avuto, ora la stavano escludendo e ridevano di chissà cosa (e si conoscevano da nemmeno dieci minuti) e lei ne era tagliata fuori. In più c’era Kiichi, e chissà come mai non riusciva proprio a sentirsi tranquilla con lui a fianco.
- Scusate – cercava di dire Mami, la voce spezzata da risatine isteriche – Ma.. credo che Mariko si sia dimenticata di portare tutti i cavi… in magazzino ce ne sono pochi… facciamo un salto a prenderli, qui vicino c’è un negozio…-
Haruna non ricordava ci fosse nessun negozio che vendesse cavi per amplificatori nelle vicinanze. Anzi, tutto ciò che potevi comprare nel raggio di un chilometro erano manette e vibratori. Ma, ad essere sincera, non si era mai avventurata più di tanto in quella zona.
- Però qualcuno deve badare alla salette… Haruna, ti dispiace?-
- Eh?- Haruna si riscosse. Cosa? Aveva capito bene? Non solo la escludevano da chissà quale divertente faccenda, ma ora la volevano pure lasciare lì da sola?
- Volete che vi accompagni?- chiese gentilmente Kiichi.
- No, no!- si affrettò a dire Tomomi – Tu stai con Haruna. Sai, nel caso arrivasse un maniaco… meglio che non stia qui sola soletta.-
Perfetto. Perfetto. Da sola, con Kiichi. Massì. Logico. In quel momento avrebbe avuto tutte le ragione di spaccare la faccia ad entrambe. Strinse i pugni cercando di controllarsi. Con quelle due avrebbe fatto i conti più tardi, davanti a Kiichi le era impossibile prendere le decisioni su qualsiasi cosa.
- Non ti dispiace, vero, Haruna?- le disse di sfuggita Mami, mentre Tomomi già si dirigeva verso l’uscita senza smettere di ridere.
Cosa glielo chiedeva a fare? Aveva scelta, forse?
- Ma cos’hanno oggi?- le chiese perplesso il ragazzo.
Haruna fece spallucce, e sospirò rumorosamente:- Non chiedermelo. Oggi mi sembrano tutti impazziti.-
Kiichi rise. E Haruna, all’udire quella risata, così profonda e così cristallina, sentì un leggero brivido attraversarle la schiena.
Anche lei azzardò una risatina, più per nervosismo che per la battuta di per sé. Poi, entrambi soffocarono la risata in sospiro imbarazzato, per poi calare nuovamente nel silenzio.
Haruna sentiva le guance bruciarle, e sperava con tutto il cuore di non essere visibilmente rossa, o almeno non troppo. Perché si sentiva così? Ogni volta che Mami la canzonava e la prendeva in giro per la sua “cotta” per Kiichi, negava sempre, però non aveva mai preso in considerazione che quel ragazzo potesse piacerle davvero…
- E così…- disse improvvisamente Kiichi – ce l’hai fatta a trovare la band, no?-
Haruna sussultò. Si era persa nei suoi pensieri, e per un attimo aveva dimenticato di essere lì, in quella situazione.
- Sì- rispose goffamente – Tomomi è la nostra bassista adesso, però dobbiamo ancora decidere quali brani suonare, e come chiamarci.-
Kiichi annuì. Si sentiva così stupida, e impacciata. Possibile che non riusciva nemmeno a scandire le parole più semplici?
- Allora…- mormorò – Tra poco arriveranno i tuoi compagni. Meglio che inizi a smontare la nostra roba..-
Infatti, la sua chitarra e il basso di Tomomi erano ancora attaccate agli amplificatori accesi. La batteria invece non si poteva spostare, dato che era l’unica che possedeva Mariko ed era utilizzata da tutti. I piatti, però, erano da cambiare, ma di solito se ne occupava Mami e Haruna non era capace. Avrebbe aspettato il suo ritorno.
- Aspetta, ti aiuto.-
Haruna s’irrigidì per qualche istante, poi mormorò un timido “grazie”.
 
  Era difficile, molto difficile, concentrarsi su tutti quei fili neri con Kiichi al suo fianco. Lottava con tutta sé stessa per non girarsi a guardare il ragazzo, tutto concentrato nel togliere e mettere i piatti alla batteria. Per essere solo un cantante, sembrava un esperto in strumenti musicali.
Avanti, di’ qualcosa pensava tra sé Haruna, solo per fare conversazione. Non c’è nulla di male. Di’ qualcosa, coraggio..
- Ehi, vedo che ci sai fare…- riuscì finalmente a commentare, dopo aver esitato dei minuti interi.
Kiichi inizialmente assunse un’espressione molto stupita, come se non si aspettasse un intervento del genere, e Haruna si sentì ancora più stupida di quanto non si sentisse già.
Poi, con suo grande sollievo, il ragazzo sorrise: - Sono.. nato, diciamo, come batterista. Era la mia passione, già da quando avevo più o meno otto anni. Sono anche bravo… ma questa band un batterista lo aveva già, e non aveva intenzione di lasciare il suo posto. Mi fecero cantare, e piacqui molto.. nonostante non abbia mai avuto interesse a cantare.-
Haruna si sentì improvvisamente leggera: la conversazione stava prendendo un’ottima, un’ottimissima piega.
- Bhe, io trovo che tu abbia davvero una bella voce…-
-  Per carità, non mi lamento mica. Mi piace far parte degli Young Death. Ma la batteria rimane una delle mie più grandi passioni.-
Haruna sospirò :- Anche io dovrò cantare, nella mia band.-
Kiichi la guardò stupito :- Davvero? Credevo suonassi la chitarra.-
- La suono. Ma ero l’unica in grado di suonare e cantare nello stesso momento.-
- E quindi è già sicuro che suonerete al Namba Hatch?-
- Già. Mariko ci ha già registrate. Ma ancora non mi sento molto pronta…-
- In questo caso… devo assolutamente venirvi a sentire suonare!-
Haruna sentì un tuffo al cuore. Perfetto. Già era nervosa di suo, e adesso che Kiichi Kiichi Kiichi KIICHI! aveva detto che sarebbe venuto a vederla, sentiva l’ansia crescerle dentro più che mai. Di nuovo la sua mente venne affollata da tutte le cose a cui doveva pensare: quali canzoni suonare? Come chiamarsi? Come presentarsi sul palco? Una band doveva avere anche uno stile, una caratteristica, qualcosa che le faccia distinguere dalle altre…
- Ehi, tutto bene?-
Haruna si riscosse :- Sì. Tutto a posto.-
Kiichi sorrise davanti al suo nervosismo, e per un attimo Haruna credette che la stesse prendendo in giro.
- Sei tenera quando arrossisci.-
Ad Haruna non sembrava di arrossire. Almeno, non prima di quella frase.
- Co.. cosa?- balbettò. E Kiichi rise di nuovo.
La ragazza ormai era nella confusione più totale. Non sapeva come prendere quei gesti. La stava prendendo in giro? Oppure cercava di creare un’amicizia con lei, comportandosi in quel modo?
- Il vero motivo per cui sono venuto qui prima… - riprese a parlare il ragazzo, senza guardarla negli occhi – è che speravo di trovarti qui.-
Adesso che sì che stava arrossendo. Haruna sentiva come se delle fiamme ardenti si fosse accese appena sotto la pelle, cuocendole la carne.
Stavolta Kiichi si voltò verso di lei, fissandoli con i suoi occhi neri :- Ma non con Mami. Da sola.-
Haruna inghiottì la saliva :- E perché?-  Dove trovò il fiato per chiederlo, non lo seppe neppure lei.
Adesso sì che non riusciva proprio a ragionare. Non si era neppure accorta in che modo Kiichi si fosse avvicinato così tanto. Di tutto lo spazio-tempo, riusciva a percepirne solo dei loop: Kiichi che si avvicinava, che allungava il collo sempre di più per poter raggiungere il suo viso. E quando le sue labbra furono vicinissime a quelle di Haruna, alla ragazza dei secondi parvero delle ore. Non sapeva cosa fare, se spostarsi o se rimanere ferma dov’era. Non ebbe molta scelta, perché prima che potesse sentire un qualsiasi contatto, sentirono il rumore di una porta che si apre scricchiolando. Kiichi si allontanò immediatamente, distogliendo lo sguardo, e puntandolo verso il luogo dal quale veniva il rumore.
- Che state facendo?- chiese Shino, guardandoli con sospetto.
Haruna teneva lo sguardo basso, facendo finta di essere completamente concentrata sui vari pulsanti degli amplificatori, quando invece li aveva già controllati più volte ed ormai sapeva che ogni cosa era al suo posto.
Dio mio, che cazzo è appena successo?
Kiichi invece si rivolse all’amico con un sorriso naturalissimo, come se non fosse assolutamente appena successo nulla.
- Mami è uscita un attimo, la aiutavo a mettere a posto.-
Shino alzò le sopracciglia. Forse lo aveva convinto, ma continuò a guardare Kiichi con sguardo accusatore.
 
 
Mami e Tomomi ritornarono, e dopo di loro anche i restanti Young Death fecero la loro entrata. Il gruppo iniziò a provare normalmente. Tomomi  cantava le loro canzoni a memoria, ogni tanto non esitava a prendere in giro Shino per i suoi movimenti mentre suonava. Il ragazzo ovviamente rispondeva per le righe ogni volte, ridendo. Quando arrivò il gruppo successivo, se ne andarono. Kiichi uscì senza degnare Haruna di un saluto.
 
 
- Oh mio Dio! Oh mio Dio!-
Stava spazzando il pavimento e pulendo le finestre della saletta. Ma a cosa serviva pulire le finestre, se da lì poco Tomomi le avrebbe rotte con la sua voce strillante?
- Dio santo Tomomi, non urlare!- diceva Mami, ma anche lei era sull’orlo di scoppiare dal ridere. E Haruna era sempre più rossa.
- Siete davvero delle stronze!-
- Non posso credere che non vi siate baciati! Ma non poteva farlo prima?! Domani Shino mi sente, così impara a rovinare un così bel momento…-
- No! Non dire nulla a Shino, ti prego. Non dite nulla a nessuno!-
- Qual è il problema? Aaah, io lo dicevo che Kiichi ti piaceva! L’ho sempre detto! Sono settimane che lo dico!- continuava a ripetere Mami.
Haruna la fulminò con lo sguardo. Appena tutti i gruppi se n’erano andati, la verità era saltata fuori: quel giorno, Mami e Tomomi non avevano avuto nessuna intenzione di escludere Haruna. Stavano solo escogitando un piano per poterla lasciare da sola con Kiichi. Haruna era indignata, ma allo stesso tempo sollevata. Adesso era davvero sicura di far parte di quel trio fantastico. Improvvisamente un lampo le attraversò la testa, per un momento: forse, dopo il live al Namba Hatch, loro tre avrebbero potuto continuare come gruppo. Non chiedeva di diventare famosa, le sarebbe bastato continuare a suonicchiare per qualche locale di Osaka… Ma fu solo un’idea passeggera e svanì subito.

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Capitolo 12
*** Metronome ***


CAPITOLO 12, Metronome
"Fammi sentire
l'amornia che io e te stiamo suonando"

 
Agosto 2006, ore 12:37 , Osaka (Giappone)
- Con cosa potremmo iniziare?-
- Qualcosa dei Nirvana? Sono facili da suonare.-
- Va bene. E cos’altro?-
- Hell Song? Dei Sum 41..-
- Non li conosco.-
-Ascoltali! Così oggi pomeriggio proviamo.-
- E come dovremmo vestirci?-
La serata al Namba Hatch si stava avvicinando sempre di più, e l’eccitazione delle tre ragazze era alle stelle. Sedute al loro tavolo della mensa, durante la pausa pranzo, si concentravano a malapena sui loro piatti. Il tempo stringeva e c’era ancora tanto da organizzare.
- Potremmo truccarci la faccia di bianco e nero!- propose Tomomi – Come i KISS!-
Mami e Haruna si scambiarono un’occhiata. I KISS piacevano a tutte e tre, ma quella scelta di stile sembrava troppo violento per loro. In fondo erano delle liceali di sedici anni, dai giovani visi dolci e paffuti. Non stava bene presentarsi sul palco così aggressive. Ma era anche vero che non potevano suonare in semplice jeans e maglietta. Troppo banale.
- Coloriamoci i capelli.- propose Mami.
- Non mi ci vedo in stile punk.- sbuffò Tomomi. Mami sospirò delusa. Nelle settimane in cui avevano lavorato insieme, Haruna aveva osservato che era amica di molte band che si presentavano nella saletta con vestiti sfarzosi e capelli di mille colori diversi. Lei stessa le aveva confessato che le sarebbe piaciuto molto colorarsi i capelli. Ad Haruna, però, non piaceva molto quello stile. E dubitava che i genitori di Tomomi sarebbero stati d’accordo.
Nel tavolo calò il silenzio per qualche minuto. Più idee venivano fuori, più erano indecise sul da farsi.
- Tra l’altro…- disse improvvisamente Haruna – Come ci dovremmo chiamare?-
Calò il silenzio un’altra volta.
- Ci vorrebbe un nome figo. In inglese, magari. Come gli Young Death. Non so… Tipo War Machine o Hearts Queens.-
- Hearts Queens non è male.-
- Non mi piace. Mi sembra un nome detto così a caso.-
- In effetti lo è.-
- Non decideremo mai se non siamo mai d’accordo!- sbottò Haruna, con un’aggressività tale che a Mami e Tomomi quasi andò di traverso il boccone.
- Tranquilla Haru.- disse Tomomi, in tutta tranquillità – In fondo non c’è bisogno di trovare un bel nome no? Durerà solo per una sera.-
Haruna si bloccò.
Già.
Le tornò in mente quello che aveva pensato qualche giorno prima, di continuare con quel gruppo anche dopo il Namba Hatch. Se lo avesse proposto? Mami e Tomomi sarebbero state d’accordo? O erano interessate solo ad avere uno strumento, ed un luogo in cui provare? Non era quello che voleva anche lei, in fondo? Adesso non ne era più così sicura.
Indugiò un momento. E alla fine, tacque.
 
 
 
Si salutarono all’uscita della scuola e si diedero appuntamento alla saletta quella sera. Avrebbero provato insieme prima dell’arrivo dei gruppi, e se necessario anche dopo. Non avevano ancora deciso un nome, o uno stile, ma per lo meno una scaletta era già stata decisa e questo era già tanto.
Non aspettò Rina, sapeva già che sarebbe andata direttamente a lavorare, quindi s’incamminò verso casa da sola. Improvvisamente sentì qualcuno afferrarle il braccio con violenza. Sussultò.
- Shino!- gridò, mentre ancora ansimava per lo spavento – Sei impazzito forse? Mi hai fatto prendere un colpo.-
Shino la guardò. Non sembrava essere lì semplicemente per fare quattro passi insieme.
- Che è successo tra te e Kiichi?- disse semplicemente.
La domanda piombò talmente diretta ed inaspettata che Haruna dovette ragionare un attimo prima di capire esattamente cosa intendesse dire.
- Eh?-
- Non fare la finta tonta. Cosa è successo? Parla!-
- Lui ti ha detto qualcosa?-
- Non mi ha detto niente, ma lo conosco da anni, non può nascondermi qualcosa tanto facilmente. Allora?-
Haruna si era quasi totalmente scordata di quello che era successo. Lo stress per il live e le tante cose da fare non le lasciavano molto tempo per pensare ad altro. Ma al ricordo dell’accaduto, sentì uno strano calore attraversarle le guance. Di sicuro stava arrossendo.
- Ci siamo quasi baciati.-
Shino sgranò gli occhi :- Vi siete baciati?-
- Quasi.- puntualizzò la ragazza.
- Diamine. E lo avresti lasciato fare?-
- Non.. non lo so! Ci stavo ancora ragionando su…-
- Sembrava avessi già preso una decisione.-
Haruna lo fulminò con lo sguardo. Allora le cose stavano così. Li aveva colti sul fatto.
- Lui ti piace?-
- Non lo so.-
- Non hai detto di no.-
- No, non l’ho detto.-
Shino sbuffò esasperato. Haruna iniziava ad innervosirsi. Cosa gli importava? Se avesse iniziato a conoscere meglio Kiichi, sì, molto probabilmente le sarebbe piaciuto. E di sicuro non le era assolutamente dispiaciuto ciò che era successo tra loro due. Non era sicura di provare qualcosa per lui, ma che le facesse piacere non c’erano dubbi.
E poi, perché continuava ad avercela con Mami? Più il tempo passava, più l’atteggiamento di quel ragazzo iniziava a darle i nervi. Non lo capiva. Gli voleva bene, ma non lo capiva proprio.
Arrivarono a casa. Shino aprì la porta di casa sua, mentre Haruna stava già iniziando a salire le scale.
- Senti, fa’ quello che ti pare!- le disse il ragazzo – Puoi essere amica di Mami, e puoi fare quel che vuoi con Kiichi… ma davvero, stai attenta a quel ragazzo. Non c’è da fidarsi. Ma che lo dico a fare, molto probabilmente te ne accorgerai da sola.-
E si chiuse la porta alle spalle, prima che Haruna avesse il tempo di mandarlo a fanculo.
 
 
 
Arrivarono alla saletta con ben tre ore di anticipo, per sicurezza. Quella volta dovevano davvero provare senza distrazioni, senza scuse, senza troppe perdite di tempo.
- Non ci riesco ragazze! È inutile!- Mami lanciò con furia le bacchette, che finirono dall’altra parte della sala, tintinnando e rotolando.
- Calmati Mami!- cercò di tranquillizzarla Haruna – Manca una settimana, se ti eserciti vedrai che…-
- Una settimana! Non ci riuscirò mai, in una settimana!-
Stava iniziando a farsi prendere dal panico. Haruna si morse le labbra. Non era preparata ad un simile comportamento, e non sapeva come comportarsi, quali parole utilizzare con l’amica. Anche a lei venne improvvisamente il panico. Ma non per il live. Aveva paura che Mami volesse rinunciare all’ultimo momento.
Tomomi, con calma, si chinò a raccogliere le bacchette e le porse nuovamente a Mami, la quale, nell’orlo delle lacrime, sembrò tranquillizzarsi e le ri-afferrò.
- Se vuoi- disse la bassista – possiamo non farla, questa canzone. E’ un po’ complicata, in effetti. Possiamo sceglierne un’altra più semplice.-
Mami abbassò lo sguardo :- Mi dispiace facciate questo per colpa mia. So che è una canzone che vi piace molto.-
La canzone era In Too Deep dei Sum41.
- Non preoccuparti – disse Haruna – E’ tanto che cerco di imparare l’assolo, ma non ci riesco proprio. Forse è meglio non farla alla fine..-
- L’assolo è facile.-
Mami disse quell’ultima frase in modo particolarmente violento, ma Haruna fece finta di non averlo notato.
- Sì.. però io non so fare molti assoli. In  fondo, non ho mai avuto delle vere e proprie lezioni di chitarra. Forse è meglio fare qualcosa di più punk, senza assolo. Anche la batteria dovrebbe essere più facile…-
Mami si alzò di scatto dalla sua postazione, con una tale foga che i piatti della batteria traballarono. Si avvicinò ad Haruna con fare abbastanza esasperato. Sia la chitarrista e la bassista ne rimasero spiazzate.
- Posso?- chiese la batterista, indicando la Fender di Haruna.
- S..sì..- rispose Haruna, incapace anche solo di immaginare cosa volesse fare Mami con la sua chitarra.
Se la sfilò di dosso e la passò a Mami, la quale la indossò con movimenti talmente aggraziati e fluidi da non sembrare affatto una che non aveva mai maneggiato una chitarra in vita sua. Tali dubbi vennero subito cancellati.
Mami suonò l’assolo. Non lo fece alla velocità originale, ma leggermente più lento. Eppure era perfetto, pulito, molto più fluido di come lo faceva Haruna. Sia lei che Tomomi rimasero a bocca aperta.
- Ecco – disse sfacciatamente Mami – comincia col farlo un po’ più lento, magari poi riuscirai a…-
- Ehi! Ehi! Ehi! Ferma lì dove sei!- squittì Tomomi, togliendosi di dosso il basso di Mariko e avvicinandosi alle sue due amiche – Non ci avevi mai detto che sai suonare la chitarra!-
- Non ci hai mai detto che la sapessi suonare così bene.- puntualizzò Haruna, seria in volto.
Mami si morse le labbra :- Non ho mai avuto l’occasione di dirvelo...-
- Sì, invece. Almeno di accennarcelo.-
Mami abbassò lo sguardo :- Non è importante. Suonerò la batteria con voi, quindi…-
Porse nuovamente la chitarra alla legittima proprietaria. Haruna l’afferrò per il manico, incapace di rimettersela indosso. Si sentì improvvisamente a disagio. Tradita. Mami sapeva suonare il suo strumento. Il suo.  E lo sapeva fare molto meglio di lei.
- Da quanto tempo?- disse in un sussurro.
Mami la guardò, interrogativa :- Cosa?-
- Da quanto tempo suoni la chitarra?-
Mami esitò un attimo prima di rispondere :- Cinque anni.-
Haruna strinse ancora più stretto il manico della sua chitarra :- Hai preso delle lezioni?-
Ancora qualche istante di esitazione :- Sì.- un attimo di silenzio – Ma ho smesso da un po’, non avevo abbastanza soldi da permettermelo. – ancora un attimo di silenzio, molto più pesante di quello di prima – per questo ho iniziato a lavorare per Mariko. Speravo di guadagnare abbastanza per ricominciare.-
Se avrebbe stretto di più quel manico, sicuramente l’avrebbe rotto in due.
- E la batteria? Da quanto tempo suoni la batteria?-
- Da quando ho iniziato a lavorare per Mariko. C’era la batteria, qui nella saletta, e quindi provavo un po’ a suonarla quando non avevo nulla da fare. Col tempo sono diventata abbastanza brava, senza rendermene conto…-
- Per sbaglio, praticamente.-
Mami abbassò lo sguardo. I ruoli si erano invertiti. Adesso era Haruna a sentirsi arrabbiata e Mami a sentirsi in colpa.
- La mia passione è la chitarra.- riuscì a dire Mami – E’ da quando mio padre me la mise tra le mani la prima volta. Ho pensato subito “questo sarà il mio strumento. Questa sarà la mia vita”. Poi, quando tu mi hai trovata mentre suonavo la batteria… è stato un caso. Un semplice caso. Sono successe così tante cose, poi: Mariko che ci organizza una serata al Namba Hatch – al Namba Hatch, cavolo! il Namba Hatch! – e tu ci tenevi tantissimo. Non potevo dirti di no, solo perché suono il tuo stesso strumento. Mi capisci?-
Haruna annuì. Stava iniziando a sentirsi più leggera, ma non troppo. Tomomi taceva, e ascoltava. Per la prima volta, sembrava conscia dell’atmosfera grave della situazione.
- Non rinuncerò al live. Suonerò la batteria, tranquilla. Dopo questo live, Mariko darà il permesso a tutte e tre di suonare nella saletta individualmente. Riprenderò la chitarra, ma non ti darò fastidio. Saremo ognuna per la sua strada.-
Haruna si morse il labbro :- Ognuno per la sua strada…- ripeté.
Ci aveva pensato, ci aveva pensato davvero di proporre a Tomomi e a Mami di continuare dopo l’esibizione. Non ci sarebbe stato più bisogno del permesso speciale di Mariko per suonare nella saletta, perché sarebbero state una band. Una band a tutti gli effetti. Ora, il suo piccolo sogno stava scivolando via dalle sue mani. Mami voleva suonare la chitarra, e Haruna non poteva fare niente per dissuaderla. In fondo, condivideva lo stesso amore per quello strumento, e poteva capirla benissimo. Si vergognò quasi di averla solo pensata quella cosa.
Ognuno per la sua strada.
- E niente…- s’intromise improvvisamente Tomomi - … rosso di sera, bel tempo si spera.-
Scoppiarono tutte e tre a ridere. In fondo non era successo nulla di grave. Haruna avrebbe trovato sicuramente un’altra band con la quale formarsi. E poi, c’era ancora Tomomi…
Giusto. Tomomi. Magari lei avrebbe accettato. Glielo avrebbe chiesto. Più tardi magari.
 
 
- Ehi, questa volta non era male!-
Dopo quella piccola discussione, avevano ripreso a suonare e si erano esercitate per ben due ore, senza mai fermarsi. Le prime volte non erano molto fluide, andavano fuori tempo e molto spesso si perdevano. Ma man mano che suonavano iniziavano a trovare la giusta armonia tra loro. Avevano già pronta persino una scaletta.
- Sì, questa era meglio!- disse convinta Haruna, anche se era consapevole che doveva esercitarsi molto di più a suonare e cantare insieme. Ogni tanto perdeva il tempo.  Tuttavia, le ragazze era sudate, stremate, e contente come non mai.
- Proviamo un’altra volta?-
- Sì, dai! Tanto manca ancora mezz’ora prima che arrivi il primo gruppo…-
Mami aveva appena finito di pronunciare la frase quando suonò il campanello. Tutte e tre le ragazze s’irrigidirono, gli occhi spalancati.
- Di già?-
- Saranno in anticipo…-
- No, che palle! Non possiamo più provare.-
- Magari è di nuovo Kiichi – disse maliziosamente Tomomi – che spero di beccare ancora Haruna da sola.-
Haruna fulminò l’amica con lo sguardo, la quale aveva già iniziato a ridacchiare insieme a Mami. Haruna le ignorò e si diresse vero la porta. Un po’ le tremò il braccio quando aprì. Temeva davvero fosse di nuovo Kiichi.
Ma non era lui. Era Rina.
- Rina?!- Haruna quasi gridò il suo nome. Quella sì che era una vera e propria sorpresa. La sua coinquilina non era mai venuta a trovarla alle prove. Anzi, non credeva nemmeno sapesse dove si trovasse la saletta.
La ragazza dal caschetto castano le sorrise dolcemente : - Oggi ho finito prima di lavorare! Così ho pensato di venirvi a trovare!-
- Ma… come hai fatto a trovare il posto?-
- Me l’ha detto Shino. Permesso…-
Rina scivolò, aggraziata come un giunco, all’interno della saletta. Haruna notò in quel momento che indossava ancora la divisa da cameriera del bar in cui lavorava: una camicia bianca come il latte, con ricamato sul petto il nome del bar in katana, in rosa, una gonna dello stesso colore della camicia, forse un po’ troppo corta, anch’essa ricamata in rosa con motivi floreali. Era molto graziosa. Troppo graziosa. Era rischioso per lei girare in quello stato in un luogo del genere, pieno di pervertiti, a pochi passi da un sexy shop dove probabilmente vendevano vestiti da cameriera molto simili a quello. Nonostante sapesse quanto fosse matura la sua coinquilina, Haruna decise che più tardi le avrebbe ricordato che, se avesse voluto ancora venirla a trovare dopo il lavoro, almeno avrebbe dovuto fare un salto a casa per cambiarsi. Era più giovane di lei, dopotutto, e sentiva che doveva proteggerla, anche se la maggior parte delle volte era proprio Rina a prendersi cura di Haruna.
Appena vide Mami, Rina la salutò con un grande sorriso, poi si presentò a Tomomi con un inchino.
La bassista la squadrò per qualche secondo.
- Io e te non ci conosciamo?-
Rina, sorridendo nervosamente, rispose: - E’ probabile che tu mi abbia vista a scuola, ma non ci siamo mai presentate. Non frequentiamo gli stessi corsi…-
- Non a scuola.- insisteva Tomomi. Haruna non riuscì a trattenere un sospiro. Quella ragazza sapeva proprio essere testarda, a volte – Io ti ho già vista più volte. Probabilmente…-
- Sono un’amica di Shino.- rispose frettolosamente Rina. Troppo frettolosamente. Ad Haruna non sfuggì che c’era un certo nervosismo nella sua voce – E’ probabile che tu mi abbia vista con lui da qualche parte, oppure che lui ti abbia parlato di me… Comunque, ho qualcosa per voi!-
Nessuno aveva notato il sacchetto di plastica che teneva in mano, con sopra scritto lo stesso logo che aveva ricamato sul petto. Da lì, fuoriuscirono quattro bicchieroni di carta contenenti del caffè bollente al caramello, più un altro sacchetto di carta che a giudicare dall’odore doveva contenere chissà quali dolci appena sfornati. L’odore del cibo raggiunse le narici delle musiciste, che avevano passato le due ore precedenti a suonare senza mai fare una pausa, e le aveva inebriate in qualsiasi parte del corpo e della mente. Dimenticarono subito la fretta con la quale Rina aveva cambiato discorso.
- Direttamente dal bar!- disse, sorridendo.
Haruna l’avrebbe sposata :- Rina… ma… dobbiamo pagarti qualcosa?-
- Tranquille, offre la casa!-
- LARGO!- urlò Tomomi, liberandosi subito del proprio basso e fiondandosi sul sacchetto di carta.
- Tomomi! Ti sembrano modi? – la rimproverò Haruna.
Rina invece rise divertita:- Servitevi pure, non ci sono problemi. Ne ho preso una bella scorta.-
All’interno del sacchetto di plastica, infatti, c’erano ben altri tre sacchetti di carta ad aspettarli.
- Oh, Rina…- Haruna era quasi commossa – Grazie!-
L’amica le sorrise.
- Mami, smettila di stare lì, vieni a mangiare con noi!-
- Un attimo! Un attimo!-
Mami non si era ancora alzata dal suo posto. Era rimasta alla batteria, e stava ancora cercando di tenere il tempo della canzone, senza riuscirci. Sentiva però di esserci vicina, e aveva paura che se avesse smesso avrebbe perso del tempo prezioso disimparando tutto.
- Dai Mami! La proviamo dopo!- Tomomi aveva già la bocca sporca delle fecola di patate dei daifuku che stava addentando senza pietà – Guarda che se stai lì io mi mangio tutti i dolci del tuo sacchetto.-
Mami parve non sentirla. Era troppo presa. Non si era nemmeno accorta che Rina si era avvicinata e la stava fissando mentre continuava a pestare il pedale della grancassa con forza. Quando alzò lo sguardo quasi sussultò.
- Suoni la batteria…- mormorò Rina affascinata.
- Già..- rispose Mami – Tu suoni la tastiera, no?-
- Si… pianoforte e tastiere…- precisò Rina, senza staccare gli occhi dalla batteria – Comunque ho sempre pensato che la batteria sia uno strumento molto interessante. Posso provarla dopo?-
- Certo! – rispose Mami, ma il profumo del caffè al caramello raggiunse finalmente anche le sue narici – Dopo, però.-
 
 
 
Ormai era l’ultima settimana di agosto, e il caldo soffocante dell’estate stava finendo. Per le ragazze, quindi, sentire il bollente caffè scivolare nelle loro gole fu un grande piacere. Anche i dolci del bar dove lavorava Rina erano davvero ottimi. Mangiando e chiacchierando, il tempo volava e mezz’ora passò in un lampo. Non c’era più tempo per provare, e le ragazze decisero che per quel giorno poteva bastare così.
- Ragazze… Kuso! – urlò Tomomi, pulendosi la bocca con la manica. La sua solito finezza – Tra poco arrivano gli Young Death! Muoviamoci a pulire tutto.-
Raccolsero tutte le varie cartacce e pulirono il pavimento. Anche Rina le aiutò. In quattro riuscirono a mettere a posto ogni cosa in pochissimo tempo.
- Vieni qui Haruna!- gridò Tomomi – Aiutami a mettere a posto gli strumenti.-
Haruna si diresse verso la piccola stanza degli strumenti, mentre Rina chiedeva ancora una volta a Mami di provare la batteria. Tomomi era seduta sui talloni intenta a srotolare un groviglio di cavi abbastanza complicato.
- Dopo gli Young Death sarà il turno dei Nights – disse la bassista, tenendo lo sguardo fisso su quell’ammasso di fili neri – e sai che il loro chitarrista vuole l’amplificatore con più effetti. Ci conviene tirarlo subito fuori, ci riesci?-
Haruna annuì, di malavoglia. Quando toccava ai Nights provare, le venivano sempre i brividi. L’amplificatore che il loro chitarrista esigeva era uno dei migliori della collezione di Mariko, il più professione e decisamente il più costoso. I Nights pagavano di più rispetto alle altre band per utilizzarlo, questo era ovvio, ma nonostante i soldi in più Haruna odiava dover sollevare quel coso enorme e trascinarlo dallo sgabuzzino alla sala ogni volta. Sarà stato anche l’amplificatore migliore, ma era decisamente il più pesante. Lo sollevò e lo tenne tra le sue braccia esili per qualche istante, cercando di camminare. Lo riappoggiò a terra quasi subito. Tomomi sorrise.
- Se continui così, arriverai in sala domani l’altro.-
- Come sempre, no?-
Ridacchiarono.
- Tomomi…- azzardò Haruna, dopo un istante di silenzio.
- Mmh?- fece la bassista, sempre intenta a srotolare cavi.
- Io… ecco… mi chiedevo una cosa.-
- Dimmi.-
- Saresti interessata a fondare una band? Con me?-
I movimenti di Tomomi si fecero sempre più lenti, finché non smise del tutto di lavorare. Ma non guardò Haruna negli occhi, né disse nulla.
- Intendo… dopo il Namba Hatch!- continuò Haruna – Mami potrà suonare la sua chitarra da sola, come Mariko ha promesso a tutte noi. Ma se invece di suonare da sole, continuassimo? Mami ci lascerà, però possiamo trovare un altro batterista. E magari un cantante. E un tastierista, se riusciamo a trovarlo…-
Tomomi si voltò a guardarla. Non aveva nessuna espressione in volto. Haruna iniziò a respirare affannosamente. Non sapeva cosa pensare, l’attesa della risposta le parve lunga e snervante.
Alla fine, sul viso della bassista, apparve uno dei sorrisi più smaglianti che avesse mai fatto.
- Sono con te, mia frontgirl!- disse, stringendo un pugno in segno di fight!.
Anche Haruna sorrise, e respirò sollevata. Aveva una bassista. Aveva un futuro. Non tutto era perduto.
Il silenzio venne rotto da uno strano rumore proveniente dalla saletta. La porta era semichiusa, quindi le ragazze lo percepirono lontano e ovattato. Eppure sembrava proprio il ritmo di una batteria. Haruna riconobbe subito il ritmo di In Too Deep.
- Ehi, è perfetto!- commentò Tomomi, tendendo l’orecchio – Incredibile! Mami l’ha già imparato!-
Entrambe si precipitarono nuovamente nella saletta. Ma quello che videro fu esattamente l’opposto di ciò che si aspettavano di vedere.
 
Mami, in piedi, davanti alla batteria, intenta a fissare Rina a bocca aperta mentre quest’ultima pestava la grancassa e maneggiava le bacchette, facendole volare sui piatti, con un’abilità quasi surreale. Almeno, ad Haruna parve surreale. Si stropicciò gli occhi, credendo di sognare. Eppure era lì. Era reale. Rina seduta alla batteria. Rina che suonava la batteria. Rina che suonava la batteria, bene.
- Rina…- riuscì solo a mormorare.
A Rina caddero le bacchette di mano. In volto le apparve un’espressione di stupore e angoscia. I suoi occhi guizzavano veloci, guardavano prima Mami e poi Haruna. La sua bocca tremava incerta, come se volesse dire qualcosa senza riuscirci.
- Non posso crederci!- gridò Tomomi improvvisamente. La sua voce squillante echeggiò per tutta la saletta, rimbombando sulle pareti.
-Io…- Rina si alzò di scatto, inciampando impacciata,  prendendo contro un piatto che emise un rumore sgradevole – Io… adesso devo proprio andare. Ci vediamo a casa, Haruna…-
Detto questo uscì velocemente, mentre Haruna doveva ancora focalizzare nella sua mente la bizzarra situazione.

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Capitolo 13
*** Aitai ~ Rina's Story ~ ***


CAPITOLO 13, Aitai ~ Rina's Story ~
"Voglio incontrarti, incontrarti
anche se siamo separati
e tu sei lontano da me,
ricordo ancora il tuo sorriso"

Haruna non riusciva a ragionare. La sua mente era completamente offuscata quando scese dall’autobus con un balzo (la corta gonna dell’uniforme scolastica si alzò leggermente a contatto quando saltò giù dal mezzo pubblico, e ciò non sfuggì ad un uomo sui trent’anni che passava di lì in quel momento, ma la ragazza non se ne curò molto), e rimase tale mentre correva veloce per il centro di Osaka. Non lo vide nemmeno, il paesaggio di quella città meravigliosa che aveva sempre paragonato alla propria libertà. L’unica cosa che vedeva davanti ai suoi occhi era Rina, seduta alla batteria, che suonava con una naturalezza che mai le avrebbe attribuito. Almeno, non per quanto riguardava quello strumento.
Oltre a quello, ancora le ronzava nelle orecchie la frase che aveva detto Tomomi qualche minuto prima, esattamente appena dopo Rina era scappata via: “Ah! Ora ricordo dove l’avevo già vista…”
 
 
Le sue gambe la portarono a casa. Sapeva benissimo che Rina non poteva essere lì. Era il posto più ovvio dove iniziare a cercare. Se voleva stare da sola, molto probabilmente avrebbe scelto un posto più nascosto. Ma da qualche parte doveva pur cominciare.
Aveva talmente fretta, talmente paura, che la mano le tremò mentre tentava di infilare la chiave nella toppa e le sembrò di metterci dei minuti interi ad aprire la porta. Guardò il salotto, poi cercò in cucina, in bagno ed infine in camera di Rina. Come aveva immaginato: la sua coinquilina non c’era.
Col cuore che le batteva a mille per la preoccupazione e per la corsa, Haruna si lasciò andare pesantemente sul letto di Rina, poi si mise a sedere, mettendosi le mani tra i capelli, i gomiti appoggiati alle cosce.
Non sapeva che pesci pigliare. Che ci faceva lì seduta? Perché non si alzava? Perché non usciva di casa e non riprendeva le ricerche? Cercava di convincersi, ma non si mosse mai dal suo posto.
La verità era che non era così preoccupata per Rina. Sì, era più piccola di lei di tre anni, ma era sicuramente più responsabile di lei e aveva vissuto in quella città da sola da più tempo di lei, non le sarebbe successo nulla di male. Ciò che veramente inquietava Haruna, era il perché. Perché aveva reagito in quel modo, quando l’aveva sorpresa a suonare la batteria? Aveva paura di farle qualche dispiacere, per caso? Proprio ad Haruna, poi, che adorava la musica rock e ed era affascinata da qualsiasi ed inimmaginabile strumento musicale? No, non aveva senso scappare da Haruna, e avere paura di una sua reazione negativa.
Insomma, come avrebbe dovuto reagire? Rina che suona la batteria, cavolo, quel fatto era tanto assurdo quanto meraviglioso. Perché scappare, se Haruna non poteva far altro se non esplodere di gioia?
Alzò lo sguardo, senza smettere però di scompigliarsi i capelli, cercando di calmare quella sua testolina piena di domande e senza nessuna risposta. Gli occhi ispezionarono veloci, quasi senza farlo apposta, la camera di Rina. Ci era entrata solo una volta, lì. Ancora lo ricordava. Era appena arrivata ad Osaka, e Rina aveva suonato la tastiera per lei. Il suo pianoforte era esattamente davanti a lei, appoggiato al muro, di un nero lucente e pulito. Era così in ordine, quella cameretta. Non come quella di Haruna, dove c’erano più vestiti sul letto e sulla scrivania che all’interno dell’armadio. Continuando a guardare l’ambiente che la circondava, però, il suo sguardo si fermò su una parte di parete che prima di allora non aveva mai visto. Il muro candido, dipinto di un rilassante color indaco, veniva interrotto da un grande poster appiccicato alla parete con lo scotch. Un poster di Keith Moon.
La goccia che fece traboccare il vaso. Perché mai Rina, che da un mese intero ripeteva ad Haruna che non le piaceva la musica rock, che ascoltava solo musica classica, che l’unico strumento che le interessava davvero era il piano, aveva un cazzo di poster di Keith Moon in camera sua!?
Quel poster era sempre stato lì, Haruna se lo sentiva. Ed era parecchio, parecchio strano che una che suonava Mozart e Bach tutto il giorno, fosse fan dei The Who.
Finalmente, decise di alzarsi dal suo posto e ritornò in strada, diretta al ristorante di Akira. Era il padre di Shino, il migliore amico di Rina, e sicuramente avrebbe saputo darle delle spiegazioni.
 
 
Maggio 2006, ore 14:25, Osaka (Giappone)

Il ristorante era terribilmente pieno. Shino si asciugò la fronte, sfinito, prima di prendere l’ennesima barca di sushi da portare a qualche altro noioso ed impaziente cliente. Per fortuna avrebbe chiuso di lì a pochi minuti, poi finalmente sarebbe stato libero di andare da Mami per provare con la sua band.
‹‹ Cerca di sorridere, Shino!›› gli disse suo padre, appena il ragazzo tornò nelle cucine ‹‹Non è piacevole per i clienti ritrovarsi con un cameriere così imbronciato››
Per tutta risposta, il figlio sbuffò ancora più forte :‹‹Non contare su di me, questa sera. Devo provare con la band. La grande notte sarà domani…››
Akira sorrise. Suo figlio poteva essere pigro quanto gli pareva, durante certi lavori, ma niente come la sua passione per la musica lo rendeva così lavoratore.
‹‹Mi sbaglio, o domani sera c’è il tuo turno al negozio di strumenti?››
Shino sbuffò nuovamente. Quel giorno sembrava non sapesse fare altro che sbuffare: ‹‹Ho già chiesto il permesso al capo, e mi ha detto che va bene a patto che recuperi le ore perse. Lavorerà Ogawa per me.››
‹‹Vuoi lasciare quei due da soli? Si scanneranno vivi. ››
Finalmente, Shino si lasciò sfuggire un sorriso. Anche Akira rise, ma poi tornò serio.
‹‹A parte gli scherzi, Shino, è davvero importante che tu inizi a guadagnare qualche soldo in più. È indispensabile, se vuoi iscriverti in quella scuola… ››
‹‹ Papà, ne abbiamo già parlato. Sto lavorando molto, riuscirò a pagarmi da solo la scuola, e potrò iscrivermi sia al corso di musica che a quello di disegno. Dai, è solo per una sera. E poi, non capita tutti i giorni di suonare al Namba Hatch. ››
Era troppo elettrizzato. Certo, ci aveva già suonato in quel locale. L’anno precedente, Mariko, la proprietaria della saletta dove soleva provare con gli Young Death, aveva loro proposto loro di partecipare ad una serata dove avrebbero suonato dei gruppi emergenti. E così era stato. I ragazzi avevano suonato, non molto bene dato che era la prima volta che suonavano dal vivo, ma si divertirono molto. E come se non bastasse, appena finito il concerto, Mariko li aveva raggiunti dietro le quinte per dire loro quanto erano stati fantastici e li aveva invitati in tantissimo altri locali popolari di Osaka. Mariko aveva molte conoscenze, nel campo musicale di quella città. Col tempo, gli Young Death si erano esibiti più e più volte, migliorando sempre di più, ed iniziando a comporre canzoni loro. L’indomani, esattamente un anno dopo, avrebbero suonato al Namba Hatch, di nuovo, ma non assieme ad altri gruppi; solo loro, per un’intera sera, e avrebbero suonato pezzi scritti e composti da loro. Ci sarebbe stata molta gente, sicuramente. Erano riusciti ad avere una certa fama ad Osaka, ed avevano un discreto numero di fans, soprattutto tra i liceali e gli studenti della loro età. Dovevano essere perfetti. Perfetti!
‹‹ E con Mami? ›› chiese a tradimento Akira ‹‹Sei riuscito a parlarci? ››
Shino si fece improvvisamente cupo. Avrebbe voluto fulminare suo padre con lo sguardo. Odiava parlarne, questo lui lo sapeva, ma nonostante ciò continuava a toccare quell’argomento. E ciò lo faceva innervosire.
‹‹Andiamo Shino! ›› disse spazientito Akira ‹‹La vedi tutti i giorni! Avrai sicuramente avuto occasione di parlare con lei. ››
‹‹La vedo tutti i giorni perché lavora nella saletta in cui proviamo. È inevitabile vederla. E se non ci parlo, è perché non voglio. Con lei è finita. Una volta per tutte. ››
Fece un lungo sospiro. Suo padre lo guardò con occhi pieni di compassione.
‹‹ Shino, ti conosco troppo bene. È inutile quanto cerchi di parlare male di lei con gli altri, quanto cerchi di allontanarla. Se ti piace ancora, se vuoi tornare con lei… dovresti davvero parlarci.››
‹‹Non ci voglio più tornare, con lei. Non mi posso più fidare di lei. ››
Quella conversazione carica di tensione fu piacevolmente interrotta dal suono della piccola campana appesa sopra la porta del ristorante, che annunciava l’arrivo di un nuovo cliente.
‹‹ Spiacenti, ma abbiamo appena chiuso. Riapriremo alle 18.›› Akira pronunciò quella frase in modo quasi automatico, tanto era abituato a ripeterlo con tutti quei clienti pigri che non riuscivano nemmeno a leggere il cartello posto fuori dal locale, dove erano scritti a grandi caratteri gli orari di apertura e chiusura. La sua espressione, però, cambiò di colpo appena posò gli occhi sulla persona che era appena entrata.
Una ragazza molto giovane, probabilmente della stessa età di Shino, con un tenero caschetto castano che le contornava il viso – un viso terribilmente grazioso – , dolci occhi marroni, e un paio di occhiali dalla montatura viola che non facevano che risaltare ancora di più quel faccino paffuto. Indossava una maglia verde scuro, talmente lunga che poteva utilizzarla addirittura come vestito. Nonostante ciò, Akira riuscì a scorgere lì sotto un paio di pantaloncini corti e neri. Si vergognò di aver guardato in quella zona. Era decisamente troppo vecchio per perdersi in certe sconcezze, in più era un padre di famiglia fedele, ma resistere alla bellezza di quella ragazzina era davvero difficile. Solo in seguito, si accorse che teneva in mano un pezzo di giornale.
‹‹Io veramente … ehm…›› mormorò timidamente lei . Dio, pure la sua vocina era terribilmente graziosa ‹‹avrei notato l’annuncio che avete messo sul giornale. Non ho esperienze di lavoro, però… ››
La ragazza appoggiò il giornale al bancone della zona bar. Akira diede una rapida occhiata. Sì, aveva messo l’annuncio “Cercasi cameriere” poche settimane prima. Si era reso conto che lui e Shino non potevano bastare. Poi gli affari andavano bene, e poteva permettersi molti altri dipendenti.
Guardò con sospetto la ragazza.
‹‹Quanti anni hai? ›› le chiese.
Lei arrossì leggermente, ed attese qualche istante prima di rispondere: ‹‹Quindici. ›› rispose alla fine.
‹‹Mi spiace, non prendiamo minorenni. E poi, tu sei sicuramente una studentessa, e vorresti un lavoro part-time, giusto? ››
La ragazza annuì.
‹‹ Niente da fare.›› disse secco, tuttavia gentilmente, Akira ‹‹Solo tempo pieno. Mi spiace. ››
La ragazza annuì di nuovo. Cercava di nascondere la sua delusione, ma la debole luce dei suoi occhi la tradiva. Akira era dispiaciuto, ma non poteva farci niente.
‹‹Bene, allora io me ne vado!›› giusto in quel momento Shino era uscito dalla cucina ed aveva lanciato il grembiule a suo padre. I suoi occhi caddero sulla misteriosa ragazzina. I due si scrutarono a vicenda con sospetto.
‹‹ Credevo non assumeste minorenni…›› si lasciò sfuggire lei.
Shino parve offeso da quell’affermazione ‹‹Ehi, ho diciassette anni! Mostra rispetto per i più grandi!››
‹‹Lui è mio figlio.›› si affrettò a dire Akira ‹‹Non lo pago.››
Il ragazzo si limitò ad uscire dal ristorante senza dire una parola. Akira sospirò.
‹‹Devi scusarlo, purtroppo ha un caratteraccio. Probabilmente ho commesso qualche errore io, mentre lo crescevo.››
La ragazzina annuì di nuovo, timidamente.
‹‹Non voglio sembrarti un ficcanaso, ma come mai una ragazzina di quindici anni ha così tanta urgenza di trovare lavoro?››
La ragazza esitò un attimo, prima di rispondere : ‹‹Vivo da sola. Devo pagare l’affitto, e la scuola.››
Akira sgranò gli occhi : ‹‹Vivi da sola? Ma… non puoi! Alla tua età…››
‹‹Diciamo che sono più o meno scappata di casa. Comunque, la ringrazio per il suo tempo, scusi se l’ho disturbata.›› fece dietro front e si diresse velocemente verso l’uscita. Akira rimase immobile, a fissare il punto dove era scomparsa.
 
 
Era sfinito. Le prove lo avevano davvero distrutto. Per due ore intere avevano suonato ininterrottamente, facendo pochissime pause, cercando di rimediare ad ogni loro imperfezione. Avevano addirittura completato la loro nuova canzone, e l’avrebbero suonata l’indomani per la prima volta. La stanchezza si mescolava al nervosismo. C’era sempre molto timore, a presentare una canzone nuova di zecca.
Stanco morto, e con ancora la chitarra in spalla, però, non avrebbe avuto modo di riposarsi nemmeno quella sera. Doveva lavorare. Aveva saltato il lavoro del pomeriggio al negozio di strumenti, ma non aveva nessuna scusa per poter saltare anche il suo secondo lavoro. Maledisse suo padre e la avarizia. Manco la scuola voleva pagargli, al suo povero figlio, e lui era costretto a lavorare come un cane tutto il giorno, in posti diversi. Come avrebbe fatto a trovare le energie per esibirsi?
Sconsolato, camminò nel centro della città finché non raggiunse il bar in cui era costretto a shakerare drink e preparare caffè. Non gli piaceva il lavoro di barista. Avrebbe preferito fare il cameriere, ma in quel locale accettavano solo ragazze, in modo da vestirle da Maids stile anime e poter soddisfare gli occhi dei clienti più pervertiti. Uno stile che a Shino disgustava non poco, ma alla fine lui voleva solo dei soldi, quindi non si era mai lamentato. E poi, con sé si era portato anche qualche volantino del concerto al Namba Hatch da distribuire ai clienti, così, per farsi un po’ di pubblicità. Non credeva molto a queste cose, ma non si sa mai.
Appena entrato, si diresse velocemente verso il bancone, senza neanche dare un’occhiata in giro. Voleva solo finire il suo turno al più presto per poter filare a casa a riposarsi. Sentì la voce lontana di chissà quale cliente che ordinava un mojito e un cuba libre. Preparò i drink con i soliti movimenti, quasi automatici. Sistemò poi i due bicchieri su un vassoio, poi si guardò intorno alla ricerca di una cameriera libera.
‹‹Ehi! Tu!›› gridò ad una che le dava le spalle, a pochi passi dal bancone ‹‹Un mojito e un cuba libre per il tavolo cinque, pronti!››
La cameriera lo raggiunse e afferrò il vassoio con movimenti indecisi, e solo allora Shino riuscì a vederla in volto.
‹‹Ehi, ma…››
‹‹…››
‹‹Tu… tu sei quella di oggi?!››
Ne era sicuro. Era difficile riconoscerla adesso, conciata con quel vestito ridicolo che il direttore costringeva a far indossare a tutte le cameriere, ma non aveva dimenticato quegli occhi teneri e quel viso. Era sicuramente lei. E anche la ragazzina l’aveva riconosciuto.
‹‹Tu sei il ragazzo maleducato del ristorante!››
‹‹Cos… bha! Lasciamo stare. Tu cosa ci fai qui, piuttosto?››
‹‹Mi hanno dato il lavoro. A differenza vostra!›› lo disse in maniere piuttosto aggressiva, del tutto incoerente col modo di fare timido che aveva adottato fino a quel momento.
‹‹Ehi! Cameriera!! Stiamo aspettando i nostri drink!›› urlarono i due uomini del tavolo cinque, interrompendo la loro conversazione. Due uomini sulla trentina, dall’aspetto tutt’altro che rassicurante. Shino lanciò loro un’occhiata piena di disgusto.
‹‹Ci credo…›› disse, rivolto di nuovo alla ragazza ‹‹Il capo vuole tenersi stretto clienti di quel genere lì. L’unica cosa che vuole dalle cameriere è che abbiano un bel viso e delle belle gambe. Hai detto di avere quindici anni? Bhe, sei anche una delle più vecchie delle tue colleghe. Tutte ragazze con problemi economici, che hanno un disperato bisogno di aiutare i genitori, dispose a mettercela veramente tutta… costrette a lavorare in un posto come questo.››
La ragazza parve turbata da quella rivelazione improvvisa. Infatti, reagì in maniera particolarmente incazzata: si girò di scatto, e disse frettolosamente : ‹‹Facciamo solo il nostro lavoro. E non è carino far aspettare i clienti. ››
Shino osservò la ragazza servire i drink a quei tipacci. Non riuscì a sentire quello che dicevano, ma poteva immaginarlo, anche solo leggendo il labiale da lontano: come ti chiami, mi dai il tuo numero, pensi che sono troppo grande per te, e apprezzamenti vari. La ragazza, però, seppe tener testa. Li ignorò completamente, mantenne un’espressione glaciale e per niente spaventata, poi si diresse nuovamente verso il bancone.
‹‹Sei stata brava.›› le disse frettolosamente ‹‹Insomma… mi raccomando, non assecondarli mai. Poi, non potranno farti granché dentro il locale..,››
‹‹Non ho bisogno di queste raccomandazioni.›› fu la secca risposta.
Shino si sentì leggermente in colpa. L’aveva sottovalutata. Era giovane e timida, ma responsabile. E solo in quel momento, guardandola meglio, si rese conto di quanto fosse bella. Prima non l’aveva osservata con così tanta attenzione.
‹‹Ehm…›› il ragazzo si schiarì la voce, e le porse, quasi senza pensarci, il volantino del concerto, in modo piuttosto impacciato ‹‹Io… io ho una band e… domani suoniamo in un locale.››
La ragazza guardò prima Shino, poi il volantino tra le sue mani tremanti, poi afferrò il pezzo di carta e lo fissò dubbiosa
‹‹Li sto distribuendo per… per far pubblicità…›› continuò Shino, cercando di sembrare sicuro di sé ‹‹Non ti sto chiedendo di venire… magari, se conosci qualcuno che può essere interessato… spargi la voce.››
La ragazza rimase in silenzio, senza staccare gli occhi da volantino.
‹‹Mi chiamo Shino›› si decise finalmente a dire il ragazzo, sperando di rompere quel silenzio imbarazzante.
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. Poi, finalmente, sorrise. Uno dei sorrisi più dolci e radiosi che Shino avesse mai visto
‹‹Mi chiamo Rina.›› disse, inchinandosi ‹‹Piacere.››

 
 
Luglio 2006, ore 17:13, Osaka (Giappone)
Entrò con foga dentro il locale, senza curarsi del fatto che il suo interno fosse vuoto e buio. Si guardò intorno, alla ricerca di Rina. In quel momento, l’unica cosa importante era trovarla.
- Spiacenti, siamo chiusi. Apriamo alle diciot…- Akira si bloccò improvvisamente, appena riconobbe colei che era entrata : - Haruna!-
- Akira…- Haruna aveva il fiatone a causa della corsa – Ti prego, Rina è scomparsa, e…-
- Scomparsa?- Akira sgranò gli occhi, adesso ricchi di sorpresa e preoccupazione – Cosa? Perché? Cosa è successo?-
- Io… a dire il vero, credevo fosse venuta qui…- nel vedere che Akira era sorpreso quanto lei, Haruna si abbondò di nuovo all’angoscia pi totale. Adesso sì che non aveva idea di dove cercare.
- No, oggi Rina non l’ho proprio vista. Ma perché, cosa succede?- anche l’uomo adesso era visibilmente angosciato. Haruna provò a spiegargli i fatti, anche se non era proprio sicura che il vecchio ristoratore potesse capire la situazione. Notò con stupore, invece, che, una volta finito di raccontare, Akira assunse un’espressione totalmente diversa da quella di prima. Cupa, ma improvvisamente calma, come se avesse capito tutto.
- Non sono proprio sicuro…- disse con tono grave – ma penso che, in una situazione del genere, andrebbe da Shino.-
- Shino ha le prove con la band, oggi. E io torno dalla saletta. Non credo che Rina voglia tornare indietro.-
Akira diede un’occhiata veloce all’orologio : - Se non mi sbaglio, Shino dovrebbe smettere di lavorare tra mezz’ora, probabilmente è ancora al bar.-
- Il bar…-
- Sai l’indirizzo?-
- S..sì..- c’era già stata. Haruna spremette le meningi al massimo, cercando di ricordare la strada – Proverò a cercarla là, allora. Grazie mille per l’aiuto, Akira!-
E corse via di nuovo, senza ascoltare la risposta del padre di Shino.

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Capitolo 14
*** We're looking for our place of life ~ Rina's Story part II ~ ***


CAPITOLO 14, We're looking for our place of life ~ Rina's Story part II ~
"Non voglio stare qui,
non vuoi stare lì.
Stiamo cercando il nostro posto"

 
Maggio 2006, ore 19:30, Osaka (Giappone)
Rina guardò nuovamente la locandina che aveva in mano. Il posto era quello, ne era assolutamente sicura.
Ancora non posso credere che sono venuta davvero… pensò, un po’ titubante. Ancora non conosceva nessuno in città, e non era mai stata il tipo da passare le serate in giro per locali. Era una ragazza molto timida e spesso faceva fatica a relazionarsi con gli altri. A dir la verità, Rina non era consapevole della forza segreta che aveva dentro: lottava per venir fuori, ma il lato dolce e timoroso del suo carattere l’aveva sempre soffocato. Non sapeva che quella forza misteriosa avrebbe avuto il sopravvento su di lei proprio quel giorno, proprio durante quella serata…

 
Agosto 2006, ore 18:01, Osaka (Giappone)
Le luci all’interno del locale erano tutte spente. Com’era possibile? Era sicura che a quell’ora fossero ancora aperti. Persino Akira glielo aveva detto.
Haruna appiccicò la fronte alla vetrina del bar, cercando di sbirciare al suo interno. Non riusciva a vedere niente.
Non è possibile pensava, mentre ancora ansimava per via della corsa Deve esserci ancora qualcuno, per forza!
Come posseduta da una sensazione di panico, iniziò bussare con violenza sul vetro, così forte che avrebbe potuto rompersi sotto il suo pugno.
- Aprite! – urlava – Aprite! Fatemi entrare, per favore! Lo so che c’è qualcuno! Rina, lo so che sei lì dentro! Rina! –
Nessuno rispondeva ai suoi pugni, né alla sue urla. Ma lei non volle arrendersi. Anche perché, se davvero Rina non si trovava lì, allora non avrebbe più avuto la benché minima idea di dove ricominciare a cercarla.
- Rina! Voglio solo parlarti! Per favore!-
Iniziò a bussare ancora più forte sulla vetrina. Finché, finalmente, qualcuno reagì.
- Siamo chiusi!- disse una voce confusa che proveniva dall’interno.
- C’è Rina?-
- No.-
- Invece c’è! Apra, per favore! Devo parlare con lei!-
Seguì un attimo di silenzio.
- Non ha voglia di parlare con nessuno, adesso!-
- È importante! La prego! Ho bisogno di chiarire delle cose!-
Un altro attimo di silenzio, molto più lungo di quello precedente.  Vedendo che nessuno rispondeva più, Haruna sentì bruciarle in corpo un misto tra frustrazione e rabbia. Riprese ad urlare contro la parte, la voce leggermente scossa dal magona che piano piano le stava salendo in gola.
- Sono contenta che suoni la batteria, Rina! Lo sono per davvero!-
Silenzio. Haruna riprese.
- Sei… sei anche brava! Persino Mami l’ha detto! Tu non lo sai, ma Mami suona la chitarra. La suona molto meglio di me! E ho pensato che… allora….- in realtà Haruna, fino a quel momento, non aveva pensato proprio a niente. L’idea che stava per dire l’aveva avuto giusto in quell’istante - … che potresti suonarla tu, la batteria, e Mami la chitarra. Io posso solo cantare, non è un problema! Adesso mi piace molto di più, cantare. So che ti farebbe piacere entrare nella band, Rina, lo so! Non è vero che non ti piace il rock. Ho visto il poster di Keith Moon in camera tua…-
Con sua grande sorpresa, la porta del bar finalmente si aprì, emettendo un cigolio sinistro.

 
Maggio 2006, ore 19:31, Osaka (Giappone)
Al Namba Hatch c’era pochissima gente, ancora. In effetti era piuttosto presto. Il concerto sarebbe iniziato dopo una mezz’oretta, forse anche di più.
Ma perché sono venuta così presto?
Rina si guardò intorno, sentendosi un po’ a disagio. Erano tutti ragazzi di qualche anno più grandi di lei, intenti a bere birra la bancone o a chiacchierare seduti ai tavolini, mentre succhiavano drink colorati da una cannuccia. Da fuori, il locale sembrava molto più piccolo, quando in realtà era incredibilmente vasto. Il palco, poi, era enorme. Le luci erano già accese e gli strumenti erano ognuno ai loro posti. Quella che si notava di più, però, era la batteria, nera e lucente, situata al centro del palco, forse solo un po’ più indietro rispetto agli altri strumenti. Sul davanti, spiccava la scritta “Young Death” a caratteri cubitali.
Non ebbe dubbi: era la band di Shino.
Già, ma Shino dov’è?
Si mise a cercarlo con lo sguardo, ma non lo vide da nessuna parte. Sperava ci fosse stato. Era l’unica persona che conosceva. Bhe, più o meno. A dir la verità non conosceva bene nemmeno lui.
Ma che ci faccio qui? Perché sono venuta?
Perché l’aveva invitata, ecco perché. No, nemmeno quello era vero. Non l’aveva invitata, stava semplicemente distribuendo le locandine. Si stava facendo pubblicità. Figurati se a lui importava qualcosa della sua presenza. Questo pensiero fece venire gli occhi lucidi a Rina. Si sentiva stupida e piccola e in imbarazzo. Decise che sarebbe uscita e se ne sarebbe tornata a casa, tanto a lei quella musica non piaceva neppure. Aveva abbandonato quel genere per darsi alla musica classica e al piano, molto tempo fa…
‹‹ Rina! ›› urlò una voce alle sue spalle, un po’ confusa nel mezzo del chiacchiericcio delle altre persone. Rina infatti credette, in un primo momento, di aver sentito male, ma quando voltò lo sguardo scorse Shino che agitava la mano cercando di farsi notare da lei. Insieme a lui c’erano altri tre ragazzi e una ragazza.
Rina rimase un momento immobile al suo posto, senza sapere cosa fare. Quando notò che Shino le stava facendo segno di avvicinarsi, divenne tutta rossa e si diresse verso di lui, a passo svelto e tuttavia incerto.
‹‹ Sei venuta, alla fine! Mi fa piacere! ›› esclamò il ragazzo, rivolgendole un sorriso smagliante.
‹‹ S… sì… ›› riuscì a balbettare, per tutta risposta, Rina
‹‹ Ragazzi ›› Shino si rivolse a quelli che stavano con lui. Tutti quanti avevano in mano dei bicchieri di plastica colmi di birra ‹‹ Lei è Rina, quella di cui vi parlavo prima. L’ho conosciuta oggi, lavora con me… ››
Stava parlando…. di me? Con loro?
‹‹ Rina, questi sono gli altri membri della mia band: Taro, Kiichi e Yuki… ›› tutti e tre i ragazzi le rivolsero un pigro cenno di saluto ‹‹ … lei invece è una nostra amica, Tom… ››
‹‹ Ciaaaaao! ›› prima che Shino potesse finire di presentarle, la ragazza si lanciò su Rina, abbracciandola, e ferendole quasi un orecchio a causa della sua voce stridula. Rina rimase spiazzata. Nessuno le aveva dato così tanta confidenza, al primo incontro.
La ragazza le mise un braccio attorno alle spalle, appoggiando il suo peso su di lei, come se non riuscisse a reggersi in piedi. Aveva capelli neri e lunghissimi, che le coprivano gran parte del volto.
‹‹ Lo sai… ›› disse lei, e la sua voce acutissima risuonò per tutto il localo, attirando l’attenzione di alcune persone ‹‹ … prima Shino ci stava dicendo che sei davvero carina… e io non volevo crederci… Ma adesso che ti vedo… Hahah, cado.. scusa… dicevo…. Ora che ti vedo, devo dire che ha ragione, sei proprio carina! Molto più carina della sua ex…››
‹‹ Tomo! Ma.. cosa stai dicendo?››  Shino si grattò la nuca, e si mise a ridere, un po’ in imbarazzo.
Rina invece era a dir poco paralizzata. La situazione era così strana e confusa che non sapeva cosa fare, né cosa dire, né cosa pensare.
‹‹ Dimmi un po’… ›› continuò a biascicare quella strana ragazza ‹‹ almeno ti piacciono i ragazzi, a te?››
Uno degli amici di Shino alzò gli occhi al cielo e disse, in tono sconsolato : ‹‹ È ubriaca di nuovo ››
‹‹ Ma cazzo ›› commentò un altro ‹‹ la serata non è neppure iniziata. Tomo… ›› continuò, staccando la ragazza da Rina – la quale lo ringraziò mentalmente – e scuotendola, tenendola per le spalle ‹‹ Tomo, mi senti? Quante birre hai bevuto? Si può sapere? ››
La ragazza scoppiò in una risatina, poi disse, mangiandosi le parole : ‹‹ Nessuna! Te lo giuro! Bhe… solo due gin tonic… ›› e riprese a scoppiare a ridere.
‹‹ Per l’amor di… ›› l’amico di Shino, quello che doveva chiamarsi Yuki, prese sottobraccio la ragazza ‹‹ Kiichi, per favore, aiutami a portarla dietro le quinte. Almeno lì non farà del male a nessuno… ››
‹‹ Arrivo ›› rispose Kiichi, in maniera tranquilla e annoiata, come se si trattasse di una cosa da tutti i giorni ‹‹ E Taro, chiama Soma per favore. Ok che è ancora presto, ma preferirei che veniste in anticipo, sai com’è…››
‹‹ Non agitarti troppo, frontman! ›› lo derise Taro, mentre si portava il telefono all’orecchio e si allontanava.
Al bancone rimasero solo Shino e Rina. Shino era ancora rosso per l’imbarazzo e continuava a grattarsi la nuca. Rina non era da meno, e non aveva idea di cosa dire per poter rompere il ghiaccio.
‹‹ Bhe… ›› grazie a Dio, iniziò lui ‹‹ sinceramente non speravo che andasse così. Non avrai di certo avuto una bella impressione di loro.››
‹‹ Sono simpatici… ›› disse Rina, anche se non ne era del tutto convinta. Shino se ne accorse e rise. Dopo un po’, anche la ragazza non riuscì a trattenere una ristata.
‹‹ Vuoi bere qualcosa? ›› propose lui
‹‹ Di solito non bevo ›› rispose Rina, un po’ titubante
‹‹ Ah già… sei piccola ›› Shino sorseggiò un po’ di cuba libre dal suo bicchiere ‹‹ Spero almeno ti piaccia il concerto.››
‹‹Non sono solita nemmeno a frequentare posti del genere ›› confessò lei
Shino la guardò con curiosità : ‹‹ E allora perché sei venuta? ››
‹‹ Perché mi ha incuriosito. Voglio dire, non sono mai andata ad un concerto che non fosse di musica classica. I miei genitori non sono mai stati d’accordo. ››
‹‹ Ma i tuoi genitori non sono qui, ora. Non hai detto che sei scappata di casa?››
Rina si mordicchiò le labbra, nervosa, ed abbassò lo sguardo : ‹‹ Non è tanto per quello… ››
‹‹ Shino! Vieni dietro le quinte! Riunione di emergenza della band! ›› Taro riapparve improvvisamente, interrompendo la conversione tra i due ragazzi.
Shino si riscosse : ‹‹Che succede?››
Taro, per tutta risposta, gli fece cenno di seguirlo e si avviò verso il retroscena del palco, facendosi spazio tra i clienti del locale, che mano a mano si facevano sempre più numerosi.
Shino, visibilmente confuso e preoccupato, si girò verso Rina e la prese per un braccio.
‹‹ Vieni anche tu.›› disse. Rina si lasciò trascinare, anche lei abbastanza confusa.
 
 
‹‹ No! Cazzo, dimmi che non è vero! ››
‹‹ Siamo nella merda, ragazzi! Nella merda!››
Tomomi giaceva nel divanetto del retroscena, completamente addormentata ed ignara del caos che si stava creando attorno a lei: Kiichi aveva le mani tra i capelli e camminava nervosamente avanti e indietro per la sala; Shino era appoggiato alla parete, con la fronte appoggiata al palmo della mano; tutti quanti erano visibilmente in ansia, preoccupati. Rina rimaneva seduta, senza poter far altro se non stare zitta ed ascoltare i loro discorsi.
‹‹ Hai provato a convincerlo, almeno? ›› disse Kiichi a Taro, esasperato.
‹‹Sì, te l’ho detto !›› rispose quest’ultimo, con ancora il cellulare in mano ‹‹ ma non ha proprio voluto ascoltarmi ››
‹‹Merda! Merda, merda , merda! ›› continuava a imprecare il ragazzo dai capelli lunghi ‹‹Io ve l’avevo detto, cazzo! Più e più volte durante le prove, o no? Questa è una serata importante per i Young Death, ragazzi, cazzo! Vi avevo detto di non mancare assolutamente, e…››
‹‹ Basta Kiichi, è inutile lamentarsi adesso! ›› sbottò improvvisamente Shino ‹‹La madre di Soma sta male, è ovvio che vuole passare del tempo in ospedale con lei! Non possiamo farci niente. Non verrà. Dobbiamo trovare una soluzione in fretta. Altrimenti in questo modo non risolviamo niente.››
Kiichi fulminò l’amico con lo sguardo, poi affondò il viso tra le mani, sempre più esasperato : ‹‹ Fosse stato Taro a non venire, almeno avremmo avuto una soluzione Tomomi che poteva sostituirlo al basso. E se fossi mancato tu, Shino, avrei potuto suonarla io la chitarra, mentre cantavo. E se invece fosse mancato Yuki, bhe, per una volta avremmo fatto a meno della tastiera. Ma Soma…. Cristo, proprio lui doveva mancare oggi! Non possiamo suonare senza una batteria. E non abbiamo un sostituto! ››
Rina continuava ad ascoltare, mordendosi le labbra nervosamente.
‹‹ E se provassimo a fare la batteria col computer? ››
‹‹ Non l’abbiamo mai registrata… E a farla adesso ci vuole troppo tempo. ››
‹‹L’unica soluzione è trovare un batterista e insegnargli velocemente i nostri pezzi, magari in modo semplificato. Se lo troviamo in fretta riusciremo a farlo in tempo. Ci basterebbe una mezz’ora, o tre quarti d’ora… ››
‹‹Ma dove lo troviamo un batterista adesso? ››
Rina intrecciò nervosamente le dita : ‹‹ Io… ›› provò a mormorare ‹‹ Io la so suonare, la batteria.››
‹‹Se provassimo a chiedere a qualcuno del pubblico? ››
‹‹ Cavolo! Mi sembra assurdo dover chiamare un fan quando manca un membro del gruppo!››
‹‹ Abbiamo altra scelta?››
Non l’avevano sentita. Rina respirò a fondo. Non sapeva perché lo stesse facendo, né con quale coraggio ci riuscì, ma si alzò di scatto, strizzò gli occhi e disse a volte alta : ‹‹Io so suonare la batteria! ››
Calò il silenzio. Quando Rina riaprì gli occhi, vide le facce sbigottite dei tre ragazzi, che la guardavano a bocca aperta.

 
Agosto 2006, ore 18:15, Osaka (Giappone)
- Era assurdo. Voglio dire, la situazione in generale. Non sapevo cosa mi fosse preso. Dopo anni e anni passati a studiare il pianoforte, in quel momento fui presa da un coraggio che non avevo mai posseduto. Era come se, qualcosa dentro di me, molto profondamente, volesse salire su quel palco e suonare quello strumento. Nonostante fosse tanto tempo che non vedevo una batteria.-
Haruna stava zitta, e ascoltava il racconto di Rina con orecchie attente. Erano una seduta di fronte all’altra, ad un tavolo del bar vuoto, che in teoria doveva essere chiuso. Rina si era lasciata convincere dall’amica e le aveva aperto la porta. All’inizio, per Haruna fu difficile cercare di far parlare la sua coinquilina, poi improvvisamente quest’ultima aveva iniziato a raccontare, straripando parole come un fiume in piena. Sembrava che volesse sfogarsi su quell’argomento da molto tempo.
- Non andò proprio perfettamente. Mi insegnarono i loro pezzi in poco più di mezz’ora, e molte volte furono costretti a modificarli per renderli più semplici, più adatti a me. Kiichi non era molto entusiasta. Avrebbe preferito ci fosse un batterista più qualificato, più al loro livello. In particolare per quella serata lì, che aspettavano da tanto tempo. Mi sentivo a disagio, all’inizio. Poi… Dio! Suonai sul palco. E fu fantastico. Era la prima volta che suonavo la batteria in pubblico. E mi sono sentita diversa rispetto alle volte in cui suonavo il pianoforte nelle orchestre, o durante i saggi. Era… non so spiegarlo. Quelle luci, quel rumore, quell’energia! E ogni volta che pestavo quel pedale, io… io mi sentivo viva e piena di gioia!-
Fece una pausa. I suoi occhi brillavano di una luce che Haruna non le aveva mai visto indosso. Capiva cosa provava, o almeno, poteva immaginarlo. Haruna non aveva mai suonato la chitarra su un palco. Ma preso, molto presto, avrebbe rimediato. Rabbrividì al solo pensiero.
- Allora… qual è il problema?- provò a dire la chitarrista, dopo quel silenzio di riflessione.  Rina lanciò un’occhiata malinconica all’amica. La luce era completamente svanita. Ora i suoi la supplicavano di non chiedere oltre, di non farle raccontare quella parte della storia. Ma lo fece comunque.
- Prima di trasferirmi a Osaka – iniziò – vivevo a Tokyo. Questo già lo sai. E sai anche che i miei non erano molto d’accordo sul fatto che mi trasferissimo a Osaka da sola. Per loro ero ancora troppo giovane. Ma mi lasciarono fare quando insistetti. E poi, venivo qui per studiare pianoforte, ed era ciò che i miei avevano sempre desiderato. Ma… c’è una cosa che non ti ho detto.-
Fece un’altra pausa. Stavolta Haruna non fiatò. Aspettò pazientemente il momento in cui Rina si sarebbe sentita pronta di continuare.
- Avevo uno zio. Fratello di mio padre. Molto diverso da lui. Era un batterista professionista. Era sempre in giro per il mondo a suonare assieme a persone molto importanti. Mio padre non approvava per niente il suo stile di vita, ma gli voleva bene. Di nascosto, mio zio cercava di farmi conoscere la musica rock. Grazie a lui ho scoperto i The Who. Quando gli dissi che mi piacevano, mi portò un autografo di Keith Moon, con una dedica fatta appositamente per me. Ero contentissima. Anche il poster è un regalo di mio zio. Senza che i miei lo sapessero, mi insegnò a suonare la batteria…- sorrideva mentre raccontava quegli episodio. Poi, però, il suo sorriso scomparve mano a mano – Poi si ammalò gravemente. Mio padre diceva che era a causa degli stupefacenti di cui faceva uso da tempo. Probabilmente durante qualche festino assieme a delle rockstar con cui aveva suonato. Inutile dire che fu tutto inutile, e morì. Mio padre mi vietò di suonare la batteria, mi vietò di interessarmi a qualsiasi cosa che riguardasse il mondo del rock. Il dolore per la perdita di suo fratello l’aveva completamente distrutto. Mi strappò l’autografo di Keith Moon in mille pezzi. Voleva bruciare persino il poster. Non gliel’ho permesso. È l’unico ricordo di mio zio. Lo presi, e me ne andai di casa prima del previsto. –
Rina iniziò ad essere invasa da tremiti, la voce le diventava sempre più debole. Non resistette un secondo di più, e scoppiò in lacrime. Haruna poté vedere in quel momento, per la prima volta, quando fosse piccola e fragile. Eppure, quella giovane ragazza che aveva davanti, così debole a prima vista, aveva una grande forza dentro di sé. Haruna se lo sentiva. La vedeva, quella forza. Tutte le volte che portava da mangiare in casa, ogni volta che usciva per andare a lavorare, ogni volta che sorrideva. No, Rina non era fragile. Era forte. Forte come lei, che era scappata di casa per andare incontro ad un sogno  che già stava iniziando a realizzarsi. Forte come Mami, che nonostante le brutte cose che gli altri dicevano di lei, proseguiva per la strada, fiera e a testa alta. Forte come Tomomi, che, anche se all’esterno appariva infantile e pigra, non aveva rinunciato al suo sogno solo a causa di qualche difficoltà iniziale. Pensando a tutto questo, Haruna si rese conto di quanto tutte loro, sebbene in maniere diverse, fossero forti. E forse era destino che la loro forza dovesse manifestarsi suonando sopra un palco.
- Anche mio zio è morto da poco.-
Rina smise di singhiozzare, guardando Haruna con i suoi grandi occhi lucidi. Non se lo aspettava.
Haruna sorrise tristemente :- Lui mi ha insegnato a suonare la chitarra. E i miei non erano per nulla d’accordo. Volevano che studiassi matematica. Ma sai cosa mi disse, mio zio, prima di andarsene? Mi disse di andare avanti per la mia strada, senza farmi condizionare da nessuno. Mi disse “Haruna, qualsiasi cosa tu voglia fare, assicurati che sia qualcosa che ti appassioni davvero. Ognuno ha il proprio posto da qualche parte, ma la scelta di alzarci per poter andare a cercarlo è solo nostra.” Forse, se non avesse detto quelle cose, non avrei mai avuto il fegato di venire a Osaka.-
Prese le mani di Rina tra le sue. Tremavano.
- Rina, ti prego, pensaci. Non ti voglio costringere a entrare nella mia band. Ma ti consiglio con tutto il cuore di riprendere a suonare la batteria. Se vuoi posso trovarmi un secondo lavoro per pagarti delle lezioni. Lo farò volentieri. Sono sicura che tuo zio sarebbe fiero di te.-
Rina non sapeva cosa dire, ma le parole dell’amica l’avevano calmata. In più, era davvero tanto tempo che non si sfogava.
- Vuoi che me ne vado? Vuoi restare sola?-
- No. No, resta qui ancora un po’-

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Capitolo 15
*** We Are... ***


CAPITOLO 15, We Are...
"Amiamo la musica,
amiamo cantare,
S-C-A-N-D-A-L! "


 
Agosto 2006 , ore 20:30, Osaka (Giappone)
Mancavano pochi minuti alla chiusura della saletta. Il sole stava tramontando, tingendo il cielo scuro con qualche schizzo di rosso e arancione. Le giornate si stavano facendo sempre più corte, segno che l’autunno stava per giungere. Sebbene ci fosse ancora un po’ di luce, i lampioni stavano già iniziando ad accendersi, e la scritta SCANDAL del night-club che s’intravedeva dalla finestra brillava e lampeggiava di un neon colorato di rosa fucsia. All’interno della saletta, ricoprendo ogni cosa, rimbalzando tra le pareti, penetrando nei muri, regnava la musica. Ricca, assordante, piena, gratificante.
Tomomi era intenta a pulire le finestre, e mentre lo faceva ballava scatenata a ritmo, cantando la canzone a memoria con quella sua solita voce potentissima. Mami era sul pavimento a gambe incrociate e guardava gli Young Death mentre provavano, muovendo le labbra, anche lei, seguendo perfettamente le parole cantate da Kiichi. Haruna contava i soldi della giornata, controllando che corrispondessero al numero di clienti, e, non conoscendo la canzone a memoria, si limitava a muovere la testa seguendo il ritmo. Le piaceva molto, quella canzone. A quanto pare doveva essere la hit più conosciuta degli Young Death, almeno, loro puntavano molto su quel pezzo. Lo sapeva perché la suonavano spessissimo, praticamente ogni volta che venivano lì a provare. E vedere Mami e Tomomi cantarla in modo così naturale, loro che erano state più volte ai loro concerti, allora significava che dovevano averla suonata tantissime volte anche ai live.
 

Perché odio vederti sola
Odio vederti senza me, babe
Perciò non rifiutarmi, non andare via da me
Carpe diem, carpe diem baby
 

Mentre ripeteva il ritornello, Kiichi rivolse uno sguardo profondo e nero ad Haruna. Lei arrossì all’istante, ed abbassò gli occhi sui soldi.

Cavolo, lo stavo fissando ancora! Ma quanto sono idiota? pensava.

Cautamente, provò a rialzare nuovamente la sguardo. Kiichi non  la guardava più. Stringeva il microfono e cantava ad occhi chiusi, cercando di trasportare sulla canzone tutta l’energia e l’enfasi che aveva in corpo.

Che bella voce  Haruna non riusciva a smettere di guardarlo con occhi sognanti e che bella canzone! Chissà se l’ha scritta lui…

Tomo le aveva detto che Kiichi aveva un sacco di ammiratrici, tra le fan degli Young Death, e Haruna non poteva stupirsi di ciò: lui era così bello, così affascinante, e quelle canzoni era dolci e romantiche. Chiunque ragazza sarebbe stata rapita da quelle parole. Ma era parole vere? Le pensava davvero, quelle cose?
Di colpo, ad Haruna tornò in mente il giorno in cui aveva provato a baciarla. Arrossì ancora di più a quel pensiero. Kiichi era davvero innamorato di lei?

E io? Sono innamorata di lui? si chiese.

Con un sospiro, richiuse la cassa con dentro i soldi, e si massaggiò la testa. La verità è che non lo sapeva. Lui decisamente l’affascinava, la faceva fantasticare e spesso sorrideva quando pensava alle loro labbra che quasi si stavano per toccare.

Cazzo, mi sa di sì concluse Sono innamorata
 
 


- Uuuuh, bravi Young Death, uuuuuh!-

- Bis! Bis!-

Mami e Tomomi battevano le mani entusiaste.  Il ragazzo che stava alla batteria – che se Haruna non ricordava male si chiamava Soma – si alzò e s’inchinò, facendo un sorrisetto ironico.

- Grazie, grazie! Ci fate sentire troppo onorati!-

- Un applauso anche alle nostre due più grandi fan! – disse Kiichi. Mentre applaudiva, mollò una gomitata a Shino che stava accanto a lui. Il chitarrista fulminò l’amico con uno sguardo. Mami notò quel gesto e abbassò lo sguardo, riacquistando la sua solita espressione fredda ed imbronciata.

- Graaande Taro! – Tomomi diede il cinque al bassista – Sbaglio o hai modificato il giro di basso? È molto più complicato adesso!-

- Già, non mi piace che il basso sia troppo banale così ho deciso di rifarlo.-
Taro aveva i capelli di un castano chiarissimo, molto probabilmente tinti, e in più erano talmente folti che si poteva affondare le mani come in una ciotola di spaghetti di soia. A causa di quel colore particolare era quello che, a colpo d’occhio, si notava per primo nel gruppo.

- E tu, Timo? Come sta andando col basso?-
La ragazza sbuffò :- Lo posso usare solo qui. Finché non ne ho uno mio non posso esercitarmi.-

- Finché non lavori seriamente non riuscirai mai ad averne uno tuo.-

- Che palle, Taro.- la ragazza mollò un pugno amichevole al braccio dell’amico. Taro ridacchiò, facendo finta di farsi male.
Haruna guardò le ragazze mentre chiacchieravano con gli Young Death, un po’ a disagio. Per fare qualcosa, decise di cominciare ad andare a prendere gli strumenti. La saletta ora doveva chiudere, e toccava a loro suonare. Mentre si dirigeva verso lo sgabuzzino, passò vicino a Mami e Soma che stavano chiacchierando, e riuscì a percepire un pezzo della loro conversazione:

- Allora, come sta andando con quella tua nuova fiamma?-

- Bhe, a dire il vero… alla fine non ha funzionato. Non era quella giusta per me. L’ho lasciata prima che cominciasse la scuola.-

- Sei seria? Oh, Mami, ma sei terribile…-  
Una volta nella stanzetta, tirò fuori dalla custodia la sua Fender, si sedette per terra ed iniziò ad accordarla senza collegarla all’amplificatore.

- Haruna?-

La ragazza sussultò. Kiichi era entrato. L’aveva seguita.

- Ehm…- riuscì solo a dire lei. Si sentiva troppo in imbarazzo. Giusto qualche secondo prima stava pensando di essere innamorata di lui, eppure non voleva parlargli, non voleva averlo vicino e si sentiva a disagio ogni volta che lo guardava.

No, allora non sono innamorata pensò nuovamente. Dio, quanto si sentiva confusa!

- Ti disturbo? Vorrei parlarti un momento.-

- Ecco…- balbettò lei – No, no figurati. Vieni pure.-

Kiichi si sedette accanto a lei. Haruna continuò a pizzicare le corde in un arpeggio improvvisato, nonostante non si sentisse granché se non il debole e stridulo suono del nailon. Sentiva lo sguardo di lui su di sé, e questo la rendeva parecchio nervosa.

Fa’ finta di niente, cerca di sembrare calma… si ripeteva nella mente, ma non servì a molto.

- Ti è piaciuta la canzone? – disse, alla fine, il ragazzo.

Oh, dai. Non volevi davvero parlarli di questo.

- Sì. È bella. L’hai scritta tu?-

- Sì, scrivo sempre io i testi delle canzoni. La musica di solito la fa Shino…-

Calò il silenzio per un attimo. Haruna decise di smettere di suonare, altrimenti si sarebbe notato di più il tremolio della sua mano.

- Come sta andando con il gruppo? – riprese lui.

- Ci stiamo esercitando… Anche se stiamo facendo fin troppe modifiche. Almeno sappiamo quali pezzi suonare.-

- E un pezzo vostro non lo suonerete al Namba Hatch?-

- Cosa? Noo! È troppo presto. Non riusciremo mai a comporre una nostra canzone.-

- Hai ragione. Ma dopo?-
Haruna improvvisamente s’irrigidì, poi abbassò gli occhi.

Già. E dopo?

- Dopo niente.- rispose sconsolata. Kiichi la guardò con occhi spalancati.

- Come niente?-

- Niente.  Non siamo un gruppo, e non lo saremo mai. Mariko dopo il concerto concederà ad ognuna di noi di suonare separatamente e finirà lì. Le altre non sono interessate. Mami vuole suonare la chitarra, Tomomi non ha voglia di prendersi un impegno del genere e vuole solo comprarsi il basso, in quanto a Rina…-
Ma si bloccò immediatamente quando si rese conto che Kiichi aveva iniziato a ridacchiare, per poi perdere definitivamente il controllo e scoppiare in una risata fragorosa.
Haruna rimase allibita :- Cosa ci sarebbe da ridere?-
Kiichi si asciugò una lacrima :- Mariko vi ha detto questo? Che vi avrebbe permesso di suonare separatamente nella saletta?-
Haruna esitò una secondo, come se avesse paura a dare la ovvia risposta.

- Sì..-
Infatti. Kiichi scoppiò nuovamente a ridere, forse ancora in modo ancora più isterico e rumoroso di prima.

- Cavolo, quella donna è terribile!- disse, cercando di riprendere fiato.

- In che senso? Cosa avrebbe dovuto intendere?-

- Lo scoprirete da sole. Comunque non era proprio di questo che volevo parlarti.-

Haruna tornò nervosa come prima. Ecco. Ci siamo.

- Forse sono stato un po’… impulsivo, la scorsa volta. Non ti volevo spaventare. Mi sono preoccupato, dato che non parlavi più –

- Nemmeno tu mi hai rivoltò granché la parola, se è per questo. – sbuffò in tono scocciato la chitarrista.
Kiichi sembrò compiaciuto da quella reazione, perché sul suo viso apparve un sorriso soddisfatto. Haruna divenne rossa. Quelle fossette. Quelle dannate, dannatissime fossette.

- Lo so, mi dispiace.-  riprese – Ma proprio per questo volevo chiederti, non so, di provarci di nuovo. Se ti possiamo uscire, un giorno. Potrei aiutarti a scrivere una canzone.-
Haruna esitò. Non sapeva proprio cosa rispondere. Le faceva davvero piacere uscire con Kiichi? Rimpiangeva il bacio che non si erano dati? O semplicemente si stava lasciando solo abbindolare dal fascino di un cantante dannato, dalla bellezza delle parole che diceva?

- Io…- mormorò, insicura – Perché no? Voglio dire, si potrebbe f…-

- Haruna!-

Sia Kiichi che Haruna alzarono di colpo la testa, come colpiti da un fulmine. Shino era appoggiato allo stipite della porta, esattamente di fronte a loro.

Oh, cazzo. Da quanto tempo è qui?

- Shino! – Haruna si alzò in fretta, goffamente – Dimmi! Cosa…-
Shino guardò i due amici con sospetto ancora per qualche istante, poi disse finalmente : - Le altre ti stanno aspettando di là. È ora che proviate.-
 
 


- Ladies and Gentlemen, ragazzi e ragazze, musicisti e non…- urlava Tomomi, saltellando da tutte le parti, stringendo tra le mani un microfono non attaccato all’amplificatore (ma tanto non serviva, considerato il tono della sua voce) - … siamo fierissime di presentare, solo per oggi, in esclusiva, qui al Namba Hatch, una delle più grandi batteriste di Tokyo…. Un bel applauso peeeeeer Suuuuzuki Riiiii Naaaaa!-

- Dai Tomomi, smettila!- Rina si grattò la testa, imbarazzata. Quando arrossiva era ancora più carina.
Haruna e Mami applaudirono, stando al gioco della loro pazza bassista.

- Benvenuta tra noi, Rina!- le sorrise Mami

- Grazie ragazze, troppo gentili. Ma io…-

- Sh!- Tomomi le mise un dito sulle labbra – Basta parlare adesso! Si suona!-

- Sono d’accordo!- Haruna si alzò da terra e prese tra la mani il microfono funzionante – Iniziamo con I Was Made for Lovin’ You?
Mami aveva portato la sua chitarra personale. Era bellissima, una Gibson bianca e personalizzata con alcuni brillantini d’argento. Haruna gliela invidiava tantissimo, anche se sarebbe stata sempre affezionata alla sua Fender nera.

- Haru, non la prendi la tua chitarra? – le chiese l’altra chitarrista.
Haruna la guardò, esitando : - Ne sei sicura? Io… bhe, non credo proprio di riuscire a starti dietro. Tu sei così brava!-

- Haruna, non dire sciocchezze! Anche tu sei bravissima! Solo sei, ehm, un po’ imbranata negli assoli.-

- Un po’ tanto imbranata, aggiungerei.- s’intromise Tomomi, mentre era intenta ad accordare il suo basso.
Rina, seduta alla batteria, non trattenne una risata. Anche Haruna e Mami risero. A breve, tutte e quattro erano scoppiata in un’unica grande e contagiosa risata.

- Comunque…- Mami prese per il manico la chitarra di Haruna, e gliela porse – con i power chords sei fortissima, e con due chitarre le canzone sembreranno molto meno deboli. E poi, si sa, una frontgirl che canta e suona la chitarra insieme è molto più figa di una semplice cantante.-
Haruna prese la sua chitarra tra le mani, e per un attimo non poteva credere alle parole che Mami aveva appena detto.

- Frontgirl?-

- Certo! – Tomomi si portò una mano alla fronte, come fosse un soldato che saluta il proprio comandante – Dicci cosa fare, bossu, e noi eseguiamo!-
Haruna non ci poteva credere. Sì, ok che era sempre stato il suo sogno far parte di una band, ma non si sarebbe mai immaginata di essere addirittura il capo. La cosa non la entusiasmava più di tanto, anzi, la spaventava tantissimo.

- No ragazze, non posso…- balbettò agitata – Insomma… il frontman ha una grande responsabilità! Devo presentare la band al pubblico, parlare alla gente che ci ascolta, saper intrattenere… Io non sono capace! Davvero…- improvvisamente le venne il panico. E la sera del concerto sarebbe stata la settimana dopo – Perché non può essere Tomomi, per esempio? Sei così sfrontata, non ti vergogneresti certo a dire una delle tue solite sciocchezze in pubblico.-

- Il bassista spesso è il membro invisibile del gruppo, ma io non ho bisogno di essere la frontgirl per farmi notare – fu la risposta della più pigra tra le amiche – E comunque tu sei la cantante, ed ha molto più senso.-

-Ce la farai, Haruna! – si girarono tutte verso Rina, quasi sorprese di sentire la sua voce. Da quando le aveva raggiunte alla saletta, aveva aperto bocca sì e no un paio di volte – Non è lo stesso che hai detto a me? Se posso suonare io su quel palco lo puoi fare benissimo anche tu! È il tuo sogno!-
Sorrise. E il suo sorriso contagiò tutte quante. Haruna si sentì improvvisamente meglio, spinta da una grinta tutta nuova. Posò di nuovo lo sguardo sulla sua chitarra.

Il mio sogno…

E, finalmente, la indossò.
- I WAS MADE FOR LOVIN’ YOU! – gridò al microfono, con una tutta la forza che aveva in corpo.

- One… two…- Rina batté le sue bacchette una contro l’altra – One, two, three, FOUR!-
E poi, iniziò. La magia. La magia degli strumenti che si uniscono tra loro, compatti, coordinati, potenti. E crearono la musica.
 
Ore 22:58
- Ragazze! Dio mio, come sono felice di vedervi qui!-

Mariko entrò nella saletta trafelata, con dei fogli in mano dal dubbio contenuto. Le ragazze erano ancora attaccate ognuna al proprio strumento, ed avevano smesso di suonare solamente appena videro la loro insegnante. Era tardissimo. Non si erano rese conto del tempo che passava.

- Sensei! Che ci fa a quest’ora? – chiese Haruna.

Mariko si mise una mano sul petto, cercando di riprendere fiato da una corsa. Nonostante avesse una certa età, era comunque una bella donna e persino per lei sarebbe stato pericoloso girare a quell’ora in una zona come quella.

- Ragazze…- la sua voce era stanca ed affannata. A giudicare dall’espressione dei suoi occhi, doveva essere abbastanza preoccupata per qualcosa – dobbiamo sbrigarci! Mi ha contattato lo staff del Namba Hatch. Hanno detto che tutte le band si sono già registrate alla serata. Tutte tranne voi. E se non date conferma al più presto, potrebbero prendere qualcun altro al vostro posto!-

- Accidenti!- anche Haruna sentì prendersi un attimo dall’ansia – Quindi cosa possiamo fare?-
Mariko, per tutta risposta, gettò i fogli che aveva in mano sul pavimento. Erano fogli da compilare. Schede tecniche, domande, questionari fatti dallo staff del locali ai quali dovevano rispondere.

-Dobbiamo compilarli adesso. –

Le quattro ragazze fissarono la loro insegnante, allibite.

- Adesso?-

- Sì, ragazze, sì. Devo consegnarle domani mattina. Non c’è assolutamente tempo da perdere.-

Si sedettero tutte per terra, in cerchio. Le ragazze erano stanchissime. Capivano quanto la situazione fosse urgente, ma il loro pensiero principale in quel momento era di tornare a casa a dormire.
Mariko prese il primo foglio, la penna pronta alla mano.

- Bene. Prima di tutto, ci dice di scrivere i membri. Ono Haruna, voce e chitarra. Ogawa Tomomi, basso. Sasazaki Mami, batteria…-

- Chitarra.- la corresse immediatamente Mami. Mariko alzò lo sguardo di scatto, stupefatta. La ragazza dalla frangetta bruna sussultò appena capì che l’insegnante era tutt’altro che contenta di quella piccola sorpresa. I suoi occhi sembravano volerla fulminare.

- Abbiamo una batterista nuova.- si affrettò a dire Mami – E poi, sensei, lo sa benissimo quando io sia molto più portata per la chitarra….-

Mariko rivolse uno sguardo minaccioso e pieno di dubbi su Rina. L’aveva notata solo in quel momento. Quella ragazzina giovane e magrolina, che a stento era capace di guardarla negli occhi, era la nuova batterista? Non possedeva nemmeno un quarto della freddezza di marmo di Mami. Quella cosina era veramente in grado di pestare un pedale?

- Come ti chiami?- chiese duramente.-

- Su… Suzuki Rina.- rispose lei, con voce tremante.

- Non farò domande. – scrisse il nome sul foglio – Spero solo che sappiate quello che fate, ragazze.- si rivolse poi alle altre tre, ignorando completamente la nuova arrivata.

- Poi… strumentazione! Batteria, due chitarre e un microfono… Uno o due microfoni?-

- Tomomi non riesce a cantare mentre suono.-

- Facciamo solo uno allora, per stavolta.-

Per stavolta?

Haruna si rese immediatamente conto che qualcosa non andava. Non era normale che Mariko fosse così tanto preoccupata. Non doveva essere un semplice concerto, solo per poter aver libero accesso alla sala?

Kiichi ha ragione. Nasconde qualcosa.

Era palese.

Ma cosa?

- Bene. Poi… il vostro nome…-

Le ragazze si guardarono titubanti. I loro occhi guizzavano da una parte a l’altra, nervosamente. Nessuna di loro osava guardare l’insegnante negli occhi.

- Vi prego, non ditemelo! – commentò Mariko, esasperata – Vi esercitata insieme da quasi un mese e ancora non avete deciso un nome per il gruppo?-

- Ci abbiamo pensato, sensei, davvero!- provò a giustificarsi Haruna – Ma non siamo state d’accordo ancora su nulla.-

- Bhe, cercherò di non fare commenti sul vostro comportamento irresponsabile. La cosa importante adesso è trovare un nome.-

Durante i seguenti quattro quarti d’ora non fecero altro che camminare nervosamente per la saletta, cercando l’ispirazione. Ogni tanto Mami e Tomomi tiravano fuori nomi random, che Mariko bocciava puntualmente ritenendoli poco seri e assolutamente non adatti al loro gruppo. Rina provava a farsi venire delle idee, ma tra tutte era quella più a disagio e non riuscì mai ad aprir bocca. Haruna, stanca e confusa, rimase con la fronte appoggiata alla grande finestra, guardando l’esterno. Fuori ormai era buio pesto. L’unica fonte di luce era il neon della scritta SCANDAL che lampeggiava ritmicamente, rendendo l’ambiente circostante ancora meno rassicurante. La chitarrista cercava in quella luce intermittente una distrazione dal caos che da tempo regnava nella sua vita.

SCANDAL. SCANDAL. SCANDAL.

Le veniva il vomito solo ad immaginarsi cosa stessero facendo dentro quel postaccio. Comunque, le luci di quella scritta riuscivano in qualche modo a rilassarla.

SCANDAL, SCANDAL, SCANDAL.

- Idea! Questa è perfetta! Chiamiamoci “Le Ciambelle”-

- Tomomi, cerca di essere seria PER FAVORE! –

-Ehi, ho fame e voglio andare a casa, va bene? Cosa ce ne importa del nome che avremo? Tanto dureremo una serata sola.-

Mariko si prese la testa tra le mani :- Non capite, ragazze! Non capite proprio.-

- Allora ce lo spieghi lei, sensei. – intervenne Mami, calma, fredda e spigolosa come sempre – Qual è il problema se scegliamo uno di questi nomi che abbiamo appena scelto?-

- Non vanno bene! – ci mancava poco e avrebbe iniziato ad urlare – Un nome è tutto per un gruppo! Deve saper rappresentarvi tutte! Deve star bene con il genere musicale che suonate, con il concept che adottate. Nel vostro caso, deve essere femminile, graffiante, ribelle, qualcosa che dica al mondo “noi siamo così”…-

- Ce l’ho!- Tomomi alzò le braccia, come colpita da una luce divina – “We love Takoyaki”-

Mariko si accasciò a terra. Ormai era senza speranze.

- Siete scandalose! SCANDALOSE!-

Il suo comportamento era esagerato, ed ognuna di loro se n’era accorta. Haruna non era più l’unica a pensare che quella professoressa nascondesse un oscuro segreto.

- Scusate…-

Finalmente, dopo un lungo silenzio, Haruna si decise a parlare. Tutte si voltarono verso di lei. La risposta era lì, davanti a loro. Possibile che non se ne fossero accorte? Ognuna di loro aveva una storia da raccontare, una storia che avrebbe fatto storcere il naso alla maggior parte delle persone che l’avesse udita. Quasi le sembrava di sentire le urla dei suoi genitori, quando decise di andarsene di casa

‹‹ E’ uno scandalo! Uno scandalo!››

pensò Haruna, sorridendo è uno scandalo davvero. Tutte noi siamo uno scandalo.

Lentamente, staccò la fronte dalla finestra e si voltò verso le altre. Erano ancora immobili a fissarla, aspettando che dicesse qualcosa.

- Ho trovato il nome giusto per noi.-

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Capitolo 16
*** ...Oh, shit ***


CAPITOLO 16, ... Oh, shit
"Le regine non raggiungono la vetta
facendo le carine"


 
Marzo 2010, ore 23:00, Fukuoka (Giappone)
 
SCANDAL ~Shunkan Sakura Zensen TOUR~Spring 2010.
 
Quella scritta appariva a caratteri cubitali, in rosa e azzurro, come sfondo al palco del BEAT STATION di Fukuoka. Una semplice scritta, eppure, appena le SCANDAL entrarono nel locale, assieme a tutto lo staff, non poterono non tremare davanti ad essa.
Era il loro terzo tour, e il millesimo dei loro live, eppure c’era qualcosa di strano nell’aria: tutte quelle luci, i fili, gli impianti elettrici, le centinaia di tecnici e scenografi intenti a girare per il locale, chi dava ordini, chi lavorava…
Tutto quanto per loro.
 
Shunkan Sentimental  era uscita all’inizio di quel mese, e subito era stato un successo: posti alti nelle classifiche, tantissime vendite, ed era persino diventata l’opening di un anime. Eppure quella non era una canzone nuova: l’avevano scritta e composta molto tempo prima, quando ancora frequentavano il liceo ed avevano appena iniziato a suonare insieme. A quei tempi non credevano che la canzone fosse idonea, adatta ad essere incisa e fatta uscire: era sporca e sprovveduta, come un’adolescente ribelle. Che fosse proprio quello che, sotto sotto, le emozionava così tanto? Una canzone scritta quando erano ancora alle primissime armi – certo, adesso era stata ri-arrangiata da gente più esperta, ma non poi così tanto – che tanto le rappresentava, che raccontava una storia che avevano vissuto per davvero, insieme… adesso era una canzone famosa, contenuta nell’iPod di chissà quante migliaia di persone. Probabilmente, in quel momento, mentre lo pensavano, centinaia di fan la stavano canticchiando, in una qualsiasi parte del Giappone, del mondo.
 
- SCANDAL! –
 
Un ragazzo con gli occhiali, grandi cuffie alle orecchie e un cartellina in mano, si avvicinò a loro. Le ragazze si voltarono verso di lui, abbandonando i loro pensieri. Non si erano rese conto di essere particolarmente silenziose e forse ciò aveva preoccupato lo staff.
 
- Abbiamo chiamato un taxi a prendervi. – continuò lui, un po’ titubante. Anche questo era strano: là dentro erano loro le star, loro le persone importanti – Vi porterà all’albergo. Immagino siate stanche per il viaggio. Il vostro manager mi ha detto di dirvi che domani pomeriggio vi passa a prendere e vi porta lui qui. Per fare le prove.-
 
Le ragazze, silenziosamente, voltarono la testa e guardarono Haruna come se fosse lei l’unica in grado di parlare tra loro. La cantante indossava una giacca di pelle e dei jeans strappati. Il viso era completamente struccato, i capelli spettinati e le borse sotto gli occhi tradivano la sua stanchezza. Era molto, molto diversa rispetto alle foto che si trovavano di lei su Internet.
 
- Va bene.- riuscì finalmente a rispondere, soffocando uno sbadiglio.
Il ragazzo s’inchinò e tornò al lavoro.
 
 
 
 
Avrebbero condiviso un’unica suite. La camera era grande e accogliente: due letti matrimoniali, un divanetto con un tavolino con del tè e dei biscotti, una grande finestra e portava a un terrazzo. Fuori, le luci intermittenti  della moderna Fukuoka rendevano scintillante la tarda notte.
 
- Uuufff…- Tomomi si sdraiò a sacco di patate sul letto più vicino alla porta. – Sono così stanca… Qualcuna di voi sa che ore sono?-
 
- Quasi mezzanotte.- rispose Mami, mentre si toglieva le scarpe e si sedeva a gambe incrociate sul divanetto. Rina si sedette accanto a lei e allungò la mano verso un biscotto. Haruna, invece, si diresse subito alla finestra, a guardare fuori.
 
- Il tuo è un vizio.- le disse Rina, ridendo e con la bocca piena – Siamo state in pullman per chissà quante ore e tu nemmeno ti siedi, no, devi per forza guardare fuori da una finestra.-
 
- Parla quella che vede gli alieni ovunque.- rispose la leader, senza voltarsi.
 
- Per me lei stessa è un alieno.- disse Tomomi, la voce soffocata dal cuscino che stava schiacciando con la faccia.
Mami, come al solito, era di poche parole, e si limitò a sbuffare una risata a labbra serrate.
 
- E comunque – continuò Haruna – se non fosse per questo mio vizio, non avremmo nemmeno trovato un nome per la band. O sbaglio?-
 
Tomomi alzò la testa dal cuscino.
- Ovvio.- affermò – Ci saremmo chiamate We love Takoyaki e saremmo state molto più famose. Altro che tour nelle città giapponesi, adesso voleremmo in Europa in un jet privato…-
 
- Hai visto che una delle tappe sarà a Niigata?-
 
Non servì enunciare un nome in particolare, per capire a chi Mami stava rivolgendo quella domanda.
Ad Haruna s’irrigidirono le spalle.
 
- Sì.- rispose dopo un po’ – Ho visto.-
 
- E non hai intenzione di… Immagino che…-
 
- Non lo so.- tagliò corto.
 
Quattro anni. Quattro anni interni che non sentiva i suoi genitori. Non sapeva come stavano, cosa facevano, se gli era mancata…
 
Se gli importasse davvero qualcosa di me, mi avrebbero telefonato concluse Haruna scuotendo la testa.
 
Ma nemmeno lei si era fatta sentire, per tutti quegli anni.
 
- Immagino la loro faccia quanto hanno scoperto che sei diventata famosa – s’intromise nuovamente Tomomi – Secondo me dovresti presentarti in casa loro in occhiali da sole e pelliccia, con le guardie del corpo al seguito. Magari lanciando banconote sull’uscio di casa.-
 
Haruna fu grata all’amica di aver sdrammatizzato. Si stava creando una certa tensione. In un certo senso ognuna di loro aveva un ruolo principale nel gruppo e quello di Tomomi era di far dimenticare i momenti difficili. Haruna non sapeva cosa avrebbe fatto durante la loro tappa a Niigata e in quel momento nemmeno le interessava.
 
- Avete sonno?-
 
- Sì. Ma io non ho voglia di dormire.-
 
- Nemmeno io.-
 
- ‘Sti cazzi. Io dormo.-
Tomomi tornò ad affondare la faccia nel cuscino. La situazione causò un’ennesima risata generale.
 
Haruna si sedette al tavolo con Rina e Mami e si versò una tazza di tè.
 
- Non vi sembra incredibile il successo di Shunkan Sentimental?- disse Rina
 
- Incredibile davvero.- sospirò Mami – Sono passati tre anni da quando l’abbiamo composta per il concorso della Kitty Records. Mi sembra sia passato solo un giorno.-
 
- Vi ricordate quando l’abbiamo scritta?- disse Haruna, sorseggiando il tè dalla tazza.
 
Le tre musiciste si scambiarono un’occhiata, poi  scoppiarono in una risata non troppo fragorosa ma tenera.
 
- Eravamo proprio incazzate nere.-
 
- Già.-
 
- Avete sentito che dovremmo fare una cover durante il concerto?- cambiò argomento Rina.
 
- No.- Mami la guardò dubbiosa – Quale cover?-
 
- Non si sa.-
 
- Saranno i fans a votarla.- precisò Haruna – Su twitter. In teoria, il voto dovrebbe essere già chiuso…-
 
- Non ci posso credere!-
 
L’urlo di Tomomi le fece sobbalzare. La bassista non si era messa a dormire: aveva acceso il cellulare e probabilmente era andata a controllare i voti in quel preciso istante. Rivolse alle amiche uno dei suoi sorrisi enormi e da bambina, gli occhi a mandorla ridotte a due fessure.
 
- Che succede Timo?-
 
La più spumeggiante del gruppo si alzò da letto con un balzo e allungò il braccio, in modo che le sue amiche potessero vedere il telefono.
 
- Guardate quale canzone hanno scelto, i fan!-
 
Haruna, Mami e Rina allungarono il collo cercando di guardare lo schermo illuminato del cellulare. Tutte e tre, contemporaneamente, allargarono gli angoli della bocca in splendidi sorrisi.
 
 
 
 
Agosto 2006, ore 22:37, Osaka (Giappone)
 
Avevano perso il conto di quante volte aveva provato e riprovato tutto i pezzi. Ogni volta che finivano spuntava fuori un altro motivo per riprendere da capo.
 
- Ragazze, l’assolo non mi è venuto molto fluido. Ci riprovo.-
 
- Non mi piace questo giro… Haruna, dammi un La Minore, provo a crearlo io.-
 
- Ferme, ho stonato. Ripartiamo.-
 
- Ahh, ho perso il ritmo. Riproviamo da ritornello… No, anzi, vi dispiace se la rifacciamo da capo?-
 
E più suonavano, più miglioravano, eppure mai una volta si sentivano pienamente soddisfatte. La grande serata sarebbe stata l’indomani e tutte quante provavano una grande eccitazione. Volevano essere perfette.
 
- Ragazze, secondo voi dovremmo iniziare in un modo particolare? – chiese Haruna, appena terminarono per l’ottava volta il medley.
 
- In che senso?- le chiese Mami
 
- Non lo so… Tipo, dovrei presentarvi? Oppure presentare il gruppo? Dire cose come “buonasera”… non lo so!-
 
La chitarrista era forse la più agitata delle quattro. Ancora non si era abituata all’idea della frontgirl e non aveva idea di come comportarsi.
 
- Di solito le presentazioni si fanno a metà concerto, o alla fine.- precisò l’altra chitarrista.
Anche se non lo dava a vedere, anche lei era molto emozionata. Aveva già suonato in pubblico, ma si trattava o di saggi o di piccole esibizioni e suonare al Namba Hatch, con un gruppo tutto suo, era decisamente un’altra cosa. E poi, sarebbe stata la chitarrista principale! Era il suo sogno da una vita. Ma se qualcosa fosse andato storto? Se si dimenticava gli accordi? Se le fosse venuto male un assolo?
 
- Potrei iniziare io – propose Rina. In quel periodo aveva preso più confidenza con le sue nuove amiche ed aveva acquistato anche maggior sicurezza – Parto con batteria, poi Tomomi si aggiunge con basso, poi Mami. E quando ti do l’attacco, tu dici un “buonasera, noi siamo le SCANDAL”  e poi inizi a cantare.-
 
Mami e Tomomi annuirono in segno d’approvazione. Haruna, invece, si morse il labbro preoccupata.
 
- Ma non è un po’ troppo debole? Non so, forse dovrei cercare qualcosa di più convincente.-
 
- E’ la nostra prima volta, Haru! Prima il pubblico deve conoscerci. Non possiamo essere coinvolgenti già alla prima esibizione.-
 
- Possiamo invece.-
 
- Secondo me ti preoccupi troppo. Adesso dovremmo cercare di essere brave e basta. Rifacciamo In Too Deep?  Per me è quella che ci riesce peggio.-
 
- Concordo con Mami – disse Tomomi – Riproviamola. Non so ancora come modificare quel giro.-
 
Haruna sospirò. Doveva rassegnarsi e andare avanti. Far parte di un gruppo aveva anche i suoi momenti di stress. Non era facile essere sempre d’accordo.
 
- IN TOO DEEP!-
 
- One two three four! –
 
 
 
Ore 23:11
 
La stanchezza ormai aveva modificato completamente il loro modo di suonare: lo loro dita erano stanche, le corde scivolose e bagnate di sudore, i polpastrelli spellati, le gambe molli. A Rina caddero le bacchette dalle mani e per poco non si addormentava sbattendo la testa contro i piatti.
 
- Ragazze… io non ce la faccio più.-
 
- Ma da quanto tempo stiamo suonando?-
 
- Troppo
 
- E non abbiamo neppure cenato.-
 
Mami andò a spegnere gli amplificatori, segno definitivo che le prove erano finite. Haruna si lasciò cadere a terra, sbattendo il sedere al suolo, e si sdraiò sul parquet completamente sfinita. Tomomi la imitò: i suoi lunghissimi capelli neri si sparpagliarono per il pavimento.
 
- Sembri il mostro di The Grudge. -  le fece notare Rina . Tomomi scoppiò a ridere.
 
- Ragazze, ma almeno passano gli autobus a quest’ora? – chiese Mami sbadigliando.
 
- Anche se passassero, dubito che ne prenderei uno .- rispose Haruna – Una volta ho beccato un autista pervertito. Ero terrorizzata.-
 
- Basta che li ignori, quelli lì, e sei a posto.- disse noncurante Tomomi, la voce resa roca dal sonno.
 
- Tu la fai facile. Gli stupratori li annoi con il tuo solito blabla.
 
Tomomi fece una pernacchia a Mami : - E tu cosa fai con gli stupratori, invece? Se ne vanno appena dici di essere lesbica?-
 
Rina aspirò l’aria con la bocca, emettendo un suono tra lo sorpreso e l’indignato. Mami fissò Tomomi con occhi di ghiaccio. L’espressione di Tomomi, di solito menefreghista e sbarazzina, s’incupì improvvisamente, come se per una volta si fosse pentita di aver detto una sciocchezza.
 
- Ho detto una cazzata.- ammise – Ho detto una cazzata. Mami, scusami davvero. Ho esagerato questa volta…-
 
Mami alzò il palmo della mano, facendo intendere a Tomomi di non dire più nulla. Haruna si mise a sedere di scatto. Guardò prima Mami, poi Tomomi, poi Rina… possibile che sembrasse l’unica là dentro a non capirci niente?
 
- Che succede ragazze? – provò a chiedere, con non poco timore.
 
Mami teneva lo sguardo basso e Tomomi pure. Rina evitò lo sguardo di Haruna e i portò una mano alla bocca, iniziando a mangiucchiarsi u’unghia nervosamente.
 
- Ragazze! – sebbene sembrasse una situazione delicata, Haruna non sopportava di essere l’unica esclusa da quell’argomento – Cosa succede? Perché non volete parlarmi? Siamo amiche, no? C’è forse qualcosa che non posso sapere? Mami…- guardò Mami con occhi supplichevoli – Mami, sono tua amica no? Tu mi consideri un’amica, vero?-
 
Mami la guardò. Aveva gli occhi lucidi. Questo per un attimo spaventò Haruna. Non l’aveva mai vista piangere. Si vergognò immediatamente per essere stata così ficcanaso.
Stava per scusarsi, dire che non le interessava più, ma Mami fece improvvisamente un sorriso dolce e si asciugò frettolosamente gli occhi con la manica.
 
- Tranquilla Haru, non è nulla di grave. E in effetti non ho motivo di nasconderlo. Lo sanno tutti a scuola, lo sanno gli Young Death…-
 
- Cosa c’entrano gli Young Death adesso? -
 
Mami aveva ancora il magona in gola. Prese un respiro, poi, finalmente, riuscì a parlare.
 
- Ero fidanzata con Shino.- disse, facendo un mezzo sorriso – Ma poi l’ho mollato… per mettermi con una ragazza.-
 
 
 
Toc. Toc. Toc.
 
- Ma… chi è a quest’ora?-
 
- Ecco. Lo sapevo. È sicuramente un maniaco. Ma perché abbiamo provato fino a così tardi? Accidenti.-
 
Haruna sbirciò, timorosa, dal pomello della porta. Poi sorrise e si voltò verso le altre.
 
- Non è un maniaco. Sono ben cinque maniaci tutti assieme. –
 
- Cinque? – Tomomi sbuffò – Bhe, mandali via. Di’ loro che noi siamo in quattro e non siamo in grado di soddisfarli tutti.-
 
Cercando di reprimere la risata, Haruna spalancò la porta.
 
- SORPREEEEEEESAA!- si udì un coro basso e profondo di voci maschili.
 
Gli Young Death al completo, con in mano grosse scatole di cartone e sporte di plastica contenenti tante bottiglie di vetro.
 
- Qualcuno ha ordinato una pizza ad asporto? – chiese Taro, intrufolandosi per primo all’interno della saletta.
 
- Veramente no.- rispose Tomomi – Ma se offre la casa non mi tiro indietro-
 
Tutti gli altri le raggiunsero.
 
- Tranquille, paghiamo noi.- le rassicurò Kiichi – Sia le pizze che le birre. Spero non abbiate già mangiato.-
 
- No. Anzi, stiamo morendo di fame. – gli disse Haruna, sorridendo radiosa. Anche Kiichi le sorrise.
 
Tomomi guardò sospettosa i ragazzi : - Pagate voi? Tutto quanto? –
 
- Tutto quanto! –
 
- Giurate?-
 
- Giuriamo!-
 
- Ah bhe… in questo caso…- Tomomi si rizzò subito a sedere. Mami alzò gli occhi al cielo, ma sul suo volto era tornato a sorgere un luminoso sorriso.
 
Le pizze avevano ognuna un gusto diverso ed era talmente enormi che Haruna si chiese se, anche se erano in nove persone, sarebbero riusciti a mangiare tutto. Forse sì, dato che Tomomi mangiava per venti.
 
- Non fate complimenti! – disse Soma.
 
- Non era mia intenzione! – Tomomi si era già tagliata un pezzo di pizza per sé.
 
Si misero tutti seduti per terra, in cerchio, le pizze al centro. Soma si sedette accanto a Mami e le porse una fetta. La ragazza lo ringraziò, sorridendo dolcemente. Quel tenero scambio di gesti non sfuggì agli occhi di Shino, che distolse immediatamente lo sguardo e andò di filata a sedersi accanto a Rina.
 
- Allora? Come sta andando?- le chiese gentilmente.
 
- Eh?- si riscosse Rina – Oh… bene! Almeno spero. Non sono tanto brava.-
 
- Non ti scoraggiare. So bene come ti trasformi, quanto Sali sul palco!-
 
Rina sorrise.
 
- Birra?- Shino le porse una bottiglia.
 
Rina la guardò con sospetto, poi sorrise all’amico : - Mi ricorda qualcosa.-
 
- Già.- Shino si mise a ridere – La prima sera al Namba Hatch. Lo ricordo come se fosse ieri.-
 
- Allora ti ricorderai sicuramente che non bevo.-
 
- Non bevevi.  Guarda che Haruna me l’ha detto come ti sei sbronzata di vino quando lei si è trasferita.-
 
- Quella spiona…-
 
Scoppiarono a ridere entrambi.
 
- La ragazza che ride assieme a Shino…- disse Kiichi ad Haruna – si chiama Rina, vero?-
 
Loro due erano gli unici ad essere rimasti ancora in piedi, un po’ più in là rispetto agli altri.
 
- Sì! – rispose Haruna radiosa – Te la ricordi, no? Me l’ha raccontata la storia. Aveva suonato al posto di Soma…-
 
Ma si bloccò subito non appena si rese conto che Kiichi non stava affatto sorridendo. Anzi, fissava Rina con sguardo freddo e pieno di disprezzo.
 
- Dovreste cacciarla dalla band. – disse con tono severo – E’ un’incapace.-
 
Haruna sbottò. Non poteva credere che Kiichi pensasse una cosa del genere.
 
- Non è affatto vero! – gli disse, senza nemmeno provare a nascondere il fastidio e la rabbia della sua voce – Noi ci troviamo benissimo con lei.-
 
- Fidati. Ti ho detto che ho studiato batteria per tanti anni. Forse a voi che siete delle dilettanti può sembrare sufficiente, ma la verità è che non sa fare proprio nulla.-
 
Haruna diventava sempre più rossa dalla rabbia. Si sentiva ferita, come se Kiichi stesse offendendo lei invece della sua amica.
 
- Rina vi ha salvato il culo quella sera. O sbaglio? – disse piena di astio – Se dici di essere così bravo, perché non hai suonato tu al posto di Soma? –
 
-Cantare e suonare la batteria insieme? – Kiichi fece una risatina di scherno – È impossibile.-
 
- No che non lo è. – Haruna abbassò gli occhi, la faccia indurita dalla collera.
 
Kiichi si accorse improvvisamente del suo cambio d’umore.
 
- Ehi, ti sarai mica offesa?-
 
- Oh, tu credi? – disse lei sarcasticamente.
 
Kiichi si rivolse a lei con il tono gentile di sempre: - Scusa. Non me ne sono reso conto. Non volevo offenderti. -
 
- Bhe, l’hai fatto!-
 
Stavolta il suo tono seducente non riuscì ad offuscare la sua mente come faceva di solito. Nessuno poteva permettersi di offendere Rina in sua presenza. Rina era più che un’amica, per lei: era la sua coinquilina, colei con la quale condivideva tantissime cose, il tetto, il cibo, a volte persino lo spazzolino; colei che lavorava duramente tutti i giorni per poter portare il pane a casa e che aveva pagato le bollette da sola quando Haruna non aveva ancora trovato lavoro; colei che le preparava la colazione tutti i giorni; colei che con la sua tenera timidezza e con il suo radiosissimo sorriso riusciva a migliorare le giornate a chiunque.
 
No. Nessuno poteva permettersi di toccare Rina. Nemmeno lui.
 
- Haruna…-
 
- Ho fame.- rispose secca. Poi, senza guardarlo negli occhi, si diresse verso il cerchio sedendosi accanto a Tomomi. Pochi secondi dopo, anche Kiichi raggiunse il gruppo. Ma si sedette lontano da lei.
 
 
 
Mezzanotte
 
- Ultimo pezzo di pizza coi peperoni!-
 
- Mia!-
 
- Taro non fare il furbo. Sei quello che ha mangiato più di tutti!-
 
- Non è vero!-
 
- Invece sì, ti ho visto!-
 
- Tomomi, no! –  Yuki cercava in tutti i modi di strappare una bottiglia di vetro dalle mani della bassista, ma quest’ultima allungava in alto le braccia impedendo al tastierista anche solo di sfiorarla – Basta! È la quarta birra che bevi. Dammela! –
 
- No! Sennò te la bevi tu. –
 
- Sono astemio e lo sai benissimo ! –
 
- Non mi fido!-
 
Con uno scatto agile e veloce, Tomomi si portò velocemente l’imboccatura della bottiglia alla bocca e mandò giù tutto il suo interno in un colpo solo. Yuki si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, riconoscendo la sua sconfitta.  Tutta la scena provocò una risata generale.
 
- Ragazzi, e se dormissimo tutti qui stanotte?- propose Soma.
 
- Sì, mi piace l’idea! – concordò Taro – Poi dobbiamo festeggiare, no? Domani è il grande giorno.-
 
Le ragazze, a quelle parole, sentirono tornare in loro lo stesso nervosismo che avevano provato poco fa, prima che gli Young Death facessero quella bellissima sorpresa.
 
- Come vi sentite? – chiese Shino
 
- Nervose…- rispose Rina per tutte. Lei e il chitarrista erano ancora seduti uno accanto all’altra.
 
- Ci siamo passati anche noi. – le rassicurò – Sapete già quando suonerete? Rispetto agli altri gruppi, intendo.-
 
- Mariko ha detto che probabilmente saremo le ultime, dato che siamo state le ultime a consegnare i moduli.- stavolta fu Haruna a rispondere. Per tutta la sera, lei e Kiichi erano rimasti distanti – A meno che non facciano delle modifiche all’ultimo minuto.-
 
- Mmh,potrebbe essere un vantaggio, per voi. Il pubblico sarà già stato scaldato dalla altre band. Il vostro ruolo sarà solo quello di concludere la serata.-
 
Ah, facile… pensò Haruna, deglutendo nervosamente. Ancora non si era abituata all’idea di essere lei quella al centro del palco.
 
- Mariko una volta mi aveva detto di tenere dei sacchi a pelo, quella nella saletta.-
 
- Sì! So io dove li tiene! Shino, vieni a darmi una mano per favore…-
 
Prima che chiunque riuscisse a fare qualcosa, il campanello suonò. Tutti si ghiacciarono, smettendo di parlare.
 
- Ma chi può essere a mezzanotte? – mormorò Mami sospettosa.
 
- Di certo non una band – aggiunse Kiichi.
 
- Potrebbe essere un drogato o un maniaco –
 
Dopo una breve attesa, fu Kiichi il primo ad alzarsi e a dirigersi verso la porta. Cautamente, controllò dal buco della serratura chi ci fosse dall’altra parte. Gli altri aspettavano una sua reazione in silenzio, col fiato sospeso.
Il ragazzo guardò i suoi amici con sguardo freddo.
 
- Non ci posso credere…- disse semplicemente.
 
- Cosa?- domandò Haruna, senza riuscire a nascondere una certa angoscia nella sua voce.
 
Per tutta risposta, Kiichi afferrò la maniglia della porta, e l’aprì scricchiolando. Haruna si alzò di scatto, e così fecero tutti gli altri, aspettandosi di vedere chissà chi. Ciò che videro, fu probabilmente la cosa che meno si aspettavano di vedere in assoluto.
 
Entrarono cinque ragazze, che in media dovevano avere più o meno la loro età. Tutte quante erano vestite in maniera pomposa, quasi ridicola: corti vestiti con larghe gonne, colorati di nero, blu e rosa, nastri colorati che svolazzavano ad ogni loro movimento, ridicole calze a righe lunghe fino al ginocchio, stivaletti con un tacco decisamente esagerato probabilmente aventi l’ardua impresa di raggiungere l’altezza degli occidentali. Anche i capelli erano stravaganti: treccine, codini intrecciati tra loro, inutili fiocchetti e nastrini e, per di più, ognuna di loro li aveva tinti di un colore diverso: quella al centro li aveva rosa, seguita da quella che li aveva verdi, poi gialli, poi azzurri e rossi. Il loro aspetto era perfettamente collegabile a quello delle idol del J-pop.
 
La ragazza dai capelli rosa avanzò, guardandosi intorno, ignorando completamente le parsone all’interno della sala.
 
- Dentro è addirittura peggio che all’esterno.- commentò ad alta voce, in un modo talmente snob e da ragazzina smorfiosa che fece venire ad Haruna i nervi a fior di pelle. Poi, abbassò lo sguardo ed fece una smorfia di patetico stupore, facendo finta di essersi appena accorta delle persone di fronte a lei – Gli Young Death! Accidenti quanto tempo!- Quando poi i suoi occhi incontrarono quelli di Haruna, quest’ultima quasi sussultò: c’era qualcosa di malefico, minaccioso ma allo stesso tempo ironico, nel suo sguardo.
 
- Tu devi essere… la frontgirl delle SCANDAL, giusto? – disse, abbozzando un sorriso tutt’altro che amichevole – E sei..?-
 
- Haruna…- rispose la chitarrista, titubante.
 
- Che ci fate qui? – s’intromise seccamente Kiichi, con un tono talmente freddo e minaccioso da far venire la pelle d’oca. Ad Haruna bastò un’occhiata veloce ai suoi amici per capire che nessuno dei ragazzi era felice di vedere quella ridicola e pomposa ragazza.
 
Lei però parve non essere minimamente turbata dal tono di Kiichi, anzi, rispose normalmente: - Che c’è? Non si può nemmeno passare a salutare dei vecchi amici?-
 
- A quest’ora di notte? In un luogo come questo?-
 
- Eravamo in zona, e così…-
 
- Eravate in zona? – s’intromise  Tomomi. Haruna si voltò verso di lei, stupita da quell’intervento. Anche lei le conosceva? – Cosa ci facevate qui a quest’ora? Prestavate dei servizietti a qualche ubriacone?-
 
La ragazze in rosa barcollò un po’ a quella battuta, ma cercò di mantenere il sangue freddo.
 
- La squallida amichetta degli Young Death. Com’è che ti chiami? Tomomi? Non sai che piacere vederti…-
 
- Ehi! Bada a come parli! – le ringhiò contro Taro.
 
- Stai calmino, non sono qui per litigare. Volevo solo avere il piacere di conoscere queste nuove stelle con le quali dovremo suonare, domani sera.-
 
Haruna tremò. Quelle ragazze, che sembravano essere appena uscite dalla peggior grande casa discografica jpop di Tokyo, avrebbero suonato insieme a loro? In un locale come il Namba Hatch?
Anche tutti gli altri sembravano sorpresi quanto lei. Kiichi spalancò occhi e bocca, sorpreso ed inorridito insieme.
 
- Non vorrai dire?-
 
- Esatto, mio caro Kiichi. Suoneremo anche noi, domani sera.-
 
- Ma… ma credevo vi foste sciolte quando la vostra chitarrista aveva lasciato il gruppo. Sarà quasi un anno che non suonate.-
 
- Sono sicura che i nostri fan ci siano rimasti fedeli anche se è passato tutto questo tempo.- poi, maleficamente, abbozzò un sorriso – E poi abbiamo una nuova chitarrista adesso. Molto, molto meglio di quella di prima.-
 
Ci fu un sospiro di stupore generale.
 
- La loro ex chitarrista era ottima – sussurrò Yuki ad Haruna, che a quanto pare era l’unica lì dentro a non sapere di cosa stessero parlando né chi fossero quelle – Com’è possibile che ne abbiano trovata una ancora meglio?-
 
La ragazza in rosa si girò verso le sue compagne : - Avanti! – disse – Presentati ai nostri amici. Non essere timida.-
 
Fu la ragazza dai capelli verdi ad avanzare. Tutto ciò non provocò eventuale stupore, almeno finché non fu sotto una luce più chiara. E tutti la riconobbero.
 
- Misa? – mormorò Mami, la voce strozzata per lo stupore.
 
La sua comparsa ebbe un certo impatto anche in tutti gli altri: Shino si alzò di scatto, lo sguardo pieno di rabbia, Tomomi si coprì la bocca con una mano. Haruna era sempre più confusa.
 
Dio mio. Cosa sta succedendo?
 
La ragazza in verde era più bassa di quella rosa, e a primo impatto sembrava anche più giovane e meno altezzosa, ma il suo sguardo era decisamente più perfido, severo, cupo, senza la minima ombra di sorriso.
 
- Ce ne avete messo di tempo per riconoscermi.- anche la sua voce era tenebrosa, da far venire i brividi. – Mami. Quanto tempo.-
 
Mami non rispose. Deglutì e spalancò ancora di più gli occhi.
 
Quella reazione fece scoppiare dalle risate la ragazza in rosa.
 
- Pensa te che strano! Appena ha saputo che tu avresti suonato al Namba Hatch, ha subito voluto esibirsi assieme a noi. E chissà che non diventi un membro ufficiale del nostro gruppo…-
 
Mami e Misa non smettevano di guardasi; la prima con occhi tristi, lucidi, delusi, e l’altra che non trasudava la minima emozione.
 
- Perché con… loro? – mormorò Mami.
 
- Non ti ho ancora perdonata, Mami.- disse Misa, indurendo ancora di più lo sguardo. – Mi hai lasciata, e io non ti perdonerò mai. Questa sarà la mia vendetta.-
 
A quel punto Haruna capì. Capì perché Mami aveva reagito in quel modo, e capì anche perché Shino fissava Misa con uno sguardo di puro disprezzo e ribrezzo. Le tornarono alla mente le parole che la sua chitarrista le aveva detto giusto poche ore prima:
 
Ero fidanzata con Shino. Ma poi l’ho mollato… per mettermi con una ragazza.
 
Per la prima volta, Mami le parve debole. I suoi occhi diventavano sempre più lucidi, le sue membra iniziavano a tremare. Per un attimo temette che sarebbe caduta a terra. Era chiaro, non riusciva più a reggere quella situazione.
 
- Misa, io…-
 
- Chi è? Chi la troia per cui mi hai mollata? È una di queste qui?-
 
- Non con loro. Con loro no, Misa, ti prego.-
 
- Non mi hai risposto! Parla, lurida zoccola!-
 
- Ehi! – Shino, gridando, si fece avanti e si mise in mezzo alle due ragazze. Fumava di rabbia. Haruna non l’aveva mai visto così furioso. – Rivolgiti a lei ancora in quel modo e te la faccio pagare, hai capito?-
 
Mina alzò un sopracciglio : - Mi stupisce sentirlo dire proprio da te, Shino. Non sei tu quello che è andato a dire così orribili sul suo conto?-
 
Shino digrignò i denti :- Dici che non di non averla perdonata per averti mollato. Bene. Allora io non ho perdonato te per quello che hai fatto a me.-
 
Misa rise : - Shino, Shino caro, io non ti ho fatto nessun torto…-
 
- Mi hai rubato la ragazza. –
 
- Non ho rubato nessuno. Lei ha lasciato te perché preferiva me. Non sai soddisfare le ragazze, Shino? Vuoi che t’insegni io come fare?-
 
- Lurida…-
 
- Adesso basta! – Mami si fece avanti, separando Shino da Misa mettendo un braccio tra loro due.
 
- Lascia perdere, Misa – disse la ragazza in rosa – Risolveremo questa faccenda domani. Sul palco.-
 
Come un docile agnellino, Misa fece dietro-front e tornò al posto dal quale era venuta.
 
- Ormai si è fatto tardi. Dobbiamo scappare. È stato un piacere conoscervi, SCANDAL. –
 
Le ragazze si diressero tutte quante verso l’uscita. Solo la ragazza in rosa esitò qualche secondo
 
- Ah quasi dimenticavo – rivolse uno sguardo ad Haruna – Il mio nome è Sakura. È stato un piacere, Haruna chan! –
 
Prima che le ragazze sparissero completamente dalla loro vista, Haruna riuscì finalmente a dire, in un tono così deciso da farla spaventare da sola : - Piacere mio.-
 
 
 
- Se scopro che le avete invitate voi per farci uno scherzo – sbottò Tomomi, alzandosi in piedi – giuro che vi spacco la faccia uno a uno.-
 
- Timo, non ha senso! – si difese Taro – Perché avremmo dovuto chiamarle? Lo sai benissimo che nemmeno noi le sopportiamo.-
 
- Già – aggiunse Kiichi, con ancora in volto lo sguardo cupo che aveva mantenuto tutto il tempo – In fondo sono state nostri nemiche per tanti anni, sul palco. Chissà come reagirà Mariko quando verrà a saperlo.-
 
- Ragazzi, io non ci ho capito nulla! – finalmente Haruna si fece notare all’interno di quei dialoghi incomprensibili – Qualcuno potrebbe spiegarmi cosa sta succedendo?-
 
- Già, anche io vorrei saperlo.- s’intromise, anche se un po’ titubante, Rina.
 
- Ma Rina, te ne ho parlato un sacco di volte! – disse Shino.
 
All’improvviso, lo sguardo della batterista s’illuminò e oscurò allo stesso tempo : - Vuoi dire…. Le Go!Go!Gurls! ?-
 
- Go!Go!Gurls!?  È questo il loro nome? – commentò Haruna con voce disgustata.
 
Persino il nome trasudava commercialità da tutti i pori. In fondo, se si vuol essere ridicoli è bene esserlo come si deve.
 
- Quando ci eravamo appena formati – iniziò a spiegare Shino – partecipammo a molti contest di band emergenti. Le Go!Go!Gurls! erano tra i nostri, ecco, diciamo avversari. Anche se sarebbe meglio considerarle vere e proprie nemiche.  –
 
- E perché? –
 
- Loro sono uno di quei gruppi che vanno a provare alla Koneko Music
 
Haruna alzò le spalle, confusa :- E… cos’è?-
 
- Dio…- sbuffò Shino, esasperato – Sei qui da due mesi e non ne hai mai sentito parlare? La Koneko Music è una saletta, come questa, e si trova nel centro di Osaka. Diciamo solo che è un po’ diversa da questa sala: molto più moderna, più grande, più lussuosa. Chi va là a provare, di solito è qualcuno con molti, moltissimi soldi. E se hai molti soldi, allora hai anche molti fan. Sai com’è, basta pagare.-
 
- Non ci credo…- Haruna era inorridita.
 
- Credici. Sono le molte le voci che dicono che le Go!Go!Gurls! pagano i loro fan, e che il padre di Sakura costringe in modo vero e proprio i proprietari di grandi locali e bar per lasciarle suonare. Inutile dire che la loro musica va contro tutto quello che è giusto in questo mondo: visual-kei misto al jpop, insomma, uno stile commerciale che tenta di travestirsi da rock. Quelle lì non suonano per divertimento. Vogliono diventare delle idol e basta.-
 
Mentre Shino raccontava, tutti gli altri annuivano con energia e mantenevano sul volto espressioni di fastidio, rabbia e disgusto.
 
- Avevano però un punto forte fondamentale – volle precisare Soma – La chitarrista. Era davvero forte. Quando lei lasciò il gruppo, le Go!Go!Gurls! erano finite. Credevamo di essercene liberati per sempre, ma…-
 
Si fermò. L’attenzione di tutti si spostò su Mami. Aveva ancora lo sguardo basso e incredulo, gli occhi continuavano ad essere lucidi ma ancora non era scoppiata a piangere. Molto probabilmente non era il tipo da piangere in pubblico.
 
- Mami…- Haruna poteva capire benissimo quanto la sua amica si sentisse male. Le dispiaceva moltissimo. Avrebbe voluto tanto abbracciarla e consolarla, ma non era sicura che una come lei avrebbe gradito.
 
Anche Shino la guardava pieno di dispiacere. La sua bocca si muoveva titubante, come se volesse dire qualcosa senza riuscirci. Alla fine, finalmente, parlò : - Come mai hai lasciato Misa? –
 
Mami lo guardò stupita. Non le rivolgeva la parola da un sacco di tempo.
 
- Io…- rispose dubbiosa – Non lo so. Credo che quella per lei sia stata una cotta passeggera, e basta. Dopo un po’ mi sono resa conto di non stare più tanto bene assieme a lei. – sospirò, continuando poi con la foce soffocata dal magone – Non credevo l’avesse presa così male. E poi… addirittura con le Go!Go!Gurls… io…. Non posso crederci, proprio con loro…-
 
Shino abbassò lo sguardo. Poi, goffamente e con gesti tremanti, le appoggiò una mano sulla spalla. Mami sussultò a quel tocco inaspettato.
 
- Posso capire come ti senti – le disse lui, con voce dolce – ma cerca di non pensarci. Ormai con lei è finita, non ti merita.-
 
Mami gli sorrise, poi rispose ridacchiando : - Nemmeno tu mi meritavi.-
 
Anche Shino si lasciò sfuggire una risata : - Sì, sì hai proprio ragione.-
 
- Ehm, ehm – Taro simulò un colpo di tosse – ci siamo anche noi, qui dentro. Ve ne siete dimenticati?-
 
Tutti risero, e Mami e Shino non riuscirono a non arrossire. Il ragazzo tolse immediatamente la mano dalla spalla della chitarrista.
 
- Ragazzi – Tomomi si mise in mezzo a loro, appoggiando un braccio sulle spalle di uno e l’altro sulle spalle dell’altra – credo proprio che voi due dobbiate fare la pace. Non ha più senso fare gli offesi vero?-
 
Mami e Shino si guardarono dolcemente. Annuirono. Sì, quella stupida guerra tra ex, quel fastidio reciproco, doveva finire. L’intervento della spumeggiante bassista causò un applauso generale. Solo Rina non applaudì, ma nessuno se ne accorse.
 
- Bhe – Haruna si stiracchiò – a questo punto, mi pare di capire che ci sia una sola cosa da fare.-
 
- Cioè? – le chiese Taro. Tutti la seguirono con la sguardo mentre spariva all’interno dello sgabuzzino. Quando ritornò, aveva in mano un groviglio di fili di amplificatori.
 
- Mi sembra chiaro. – disse, ammiccando – Suonare.-
 
- Yaaaaay! – Tomomi fece un balzo e si diresse verso il suo basso, per poi metterlo indosso, agile e veloce. Mami fece la stessa cosa con la sua chitarra, forse in modo un po’ meno esuberante.
 
- A quest’ora? – gli Young Death le fissarono a bocca aperta – Ma non avete provato fino adesso?-
 
- Mi pare di capire che anche quei confettini suoneranno domani sera, no? – disse Haruna sistemando il microfono, mentre dietro di lei Rina metteva a posto i piatti alla batteria – Allora diventa una questione personale. Ho davvero intenzione di spaccate i culi, domani.-
 
- Parole sante frontgirl! – Tomomi e Haruna si batterono un pugno. Le ragazze si sentivano piene di entusiasmo ed energia più che mai. Probabilmente, Sakura aveva intenzione di intimorirle e scoraggiarle presentandosi a quell’ora nella loro saletta, ma l’effetto che aveva ottenuto era tutto il contrario. Erano pronte, energiche, con tanta voglia di suonare come non lo erano mai state prima di allora.
 
Haruna avvicinò la bocca al microfono, soffiando per vedere se era acceso. Un fischio fastidioso fuoriuscì dalla cassa.
 
- Buonasera, noi siamo le SCANDAL – disse con voce profonda – I Was Made For Lovin’ You!
 
- One, two , three,  four! -  fece Rina, alzando in aria le bacchette.
 
E di nuovo, fu musica.

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Capitolo 17
*** ~SPECIALE~ Tributo alle vittime dell'attentato di Parigi ***


CAPITOLO 17, ~SPECIALE~ Tributo alle vittime dell'attentato di Parigi

Aprile 2015, ore 00:30, Le Bataclan, Parigi (Francia)

Haruna stringeva la bandiera della Francia. Niente di particolarmente speciale, no? Un solo gesto. Appoggiò la chitarra, afferrò la bandiera e la mostrò al pubblico , alzando le braccia più che poté.
Semplice.
Come poteva, allora, un gesto così, alla fine, privo di chissà quale significato, causare così tanto entusiasmo?
Infatti, dopo aver compiuto quella semplice azione, l'unica cosa che udì fu un grande boato, applausi, urla. La gente emozionata del fatto che lei, Haruna Ono, fosse davanti a loro, e stesse stringendo la bandiera della loro nazione.
Davvero? Sta succedendo davvero? Io, noi, siamo così importanti per loro?
Haruna si avvicinò al microfono, gridando con voce tremante e nervosa un Merci pronunciato sicuramente male, talmente male da far scoppiare Le Bataclan in una risata generale ed un altro boato. Gente che piangeva, che urlava istericamente "SCANDAL!! SCANDAL!!!" o "Haruna, we love you!" o "Mamiii aishteru!"
Anche Mami appoggiò la chitarra. Aveva gli occhi lucidi, e sorrideva radiosa. Rina si alzò dalla batteria ed alzò le braccia. Anche Tomomi mollò il suo strumento per dirigersi verso il centro del palco. Le quattro ragazze si abbracciarono, e s'inchinarono verso il pubblico. Il pubblico francese esplose in un frastuono più caloroso di tutti gli altri.
"SCANDAL! SCANDAL! SCANDAL! SCANDAL! SCANDAL!"
Tutte e quattro non riuscivano a trattenere le lacrime. Mami, abbracciata ad Haruna, si protese leggermente in avanti, cercando di trattenere i singhiozzi. Rina, invece, era scoppiata in lacrime, senza nemmeno provare a ricacciarle indietro.
Era tutto... magico. Aveva suonato in Europa, a Parigi. E tutta quella gente era lì per loro, solo per loro. Ma perché? Come potevano, se non capivano la loro lingua, se loro erano sempre state così lontante da tutta quella gente? Come avevano fatto a conoscerle? Cosa provavano per davvero, quanto ascoltavano le loro canzoni?
Haruna strizzò gli occhi ed alzò ancora di più in aria la bandiera. Voleva sentirli di nuovo gridare. Voleva riempire quel luogo di felicità, di energia.

La musica è tutto questo. E' felicità, energia, passione. E' in grado di unire più persone. Persone che parlano lingue diverse, mangiano cibo diverso, pregano divinità diverse, possiedono culture e mentalità diverse... eppure, eccoli lì, davanti a loro. Centinaia e centinaia di europei. Insieme. Venuti ad ascoltare un gruppo giapponese.
La musica faceva dimenticare l'odio, e generava l'amore.
Ed Haruna, in quell'istante, proprio in quel preciso istante, fece un patto con sé stessa: mai avrebbe smesso di cantare, di suonare, di scrivere canzoni; mai avrebbe lasciato il mondo della musica; mai si sarebbe separata dalle sue tre sorelle; mai avrebbe smesso di essere una leader forte, in grado di guidarle; non avrebbe mai smesso, nemmeno nei momenti di paura, nei momenti più tristi, nei momenti più difficili.

Il pubblico chiedeva il bis a gran voce. Le quattro ragazze di guardarono tra loro. Lo staff del Bataclan aveva dato loro un tempo minimo, e quel tempo era finito. Sorrisero.
Ognuna di loro tornò al suo strumento. Il pubblico non la smettere di gridare. Haruna indossò la sua chitarra e avvicinò le labbra al microfono.
Con voce profonda, ormai debole e roca dopo aver cantato tutta la sera, disse semplicemente: - Doll.-
Le urla del pubblico si confusero con l'incredibile magia della musica che usciva dagli amplificatori, causata dai loro strumenti, dalle loro mani, dalle loro voci. Dai loro cuori.

Molte persone si stavano nascondendo nei nostri camerini. I killer sono entrati e li hanno uccisi tutti, a parte un ragazzo che si stava nascondendo sotto la mia giacca di pelle. La gente fingeva di essere morta. Tante persone sono state uccise perché si sono rifiutate di lasciare i loro amici. Tante persone sono morte mettendosi davanti ad altre persone. - Jesse Hughes, chitarrista e cantante degli Eagles of Death Meatl

L'ho abbracciata per due ore mentre mi fingevo morto - Fidanzato di Valeria Solesin

Non smetteremo di uscire di casa, non permetteremo che ci cambino lo stile di vita. Non abbiamo paura. - Abitanti di Parigi dopo l'attentato

Mi dispiace per quello che è successo a Pairgi. Ma questo succede ogni giorno in Siria e in Palestina. E nessuno dice niente. - utente di twitter

L'ISIS ha violentato la nostra cultura, la nostra religione - comunità islamica

DON'T PRAY. THINK.
DON'T THINK FOR PARIS. THINK FOR HUMANITY.

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Capitolo 18
*** Sayonara Virgin ~ Mami's Story ~ ***


CAPITOLO 18, Sayonara Virgin ~ Mami's Story~
 
"Sei vergine? Uccidi la vergine!
Sei vergine? Uccidi la vergine!"


Marzo 2006, ore 15:30, Osaka (Giappone)
Faceva freddo. Ma non troppo. Si sa, no? Quella brezza leggera e fresca, una debole scia di un inverno che sta per andarsene e una primavera che è finalmente alle porte. Mami adorava la primavera. Adorava le stagioni calde, adorava passeggiare nei viali degli alberi di pesco, lasciarsi coprire i capelli di petali rosa. Anche se, in quel momento, nemmeno l’arrivo della primavera sarebbe riuscita a tirarla su di morale. Era un periodo movimentato… Fin troppo movimentato.
Si sistemò le cuffie e scelse un’altra canzone dall’iPod. Almeno la musica riusciva a soffocare i suoi pensieri per un po’. Certo, ascoltarla la aiutava, ma niente la faceva stare meglio come quando suonava. Sospirò. Era nervosa. Molto. Non si era mai ritrovata in una situazione come quella. Giurò a sé stessa che dopo essersi levata quella cosa sarebbe corsa alla saletta di Mariko e avrebbe scaricato la tensione suonando la sua chitarra. Anzi, no. La batteria. La batteria era meglio, in queste situazioni. Riusciva veramente a sciogliere i nervi.
‹‹ Mamiii!  ››
Mami non si girò subito. Tremava. Non voleva affrontarlo. Ma doveva. Doveva farlo, per il bene di tutte e due.
Coraggio. Coraggio, Mami. Puoi farcela. Glielo dici, e basta.
Finalmente, si girò verso di lui. Non gli sorrise. Meglio non dargli illusioni strane.
‹‹ Ciao. ›› mormorò insicura ‹‹ Scusa se ti ho chiamato con così poco preavviso, ma devo dirti una cosa… molto urgente… ››
‹‹ Aspetta! Aspetta! Prima devo dirti io una cosa! ››
Il viso di Shino era raggiante. Mami deglutì. Le metteva una grande, enorme tristezza vederlo così felice.
‹‹ Mariko! ›› continuò il ragazzo ‹‹Mariko… hai presente che… oddio, non riesco a parlare… ›› respirò, poi riprese ‹‹ hai presente che Mariko ci aveva chiamato a suonare al Namba, quella sera? Beh, non ce l’aveva detto, ma ci ha iscritti in segreto ad un concorso di band emergenti. Oddio, ma ti rendi conto? Abbiamo già la prossima data. E il premio è un contratto di due anni con la Kitty Records. La Kitty Records, capito? E…››
Mami non ascoltava. Non ascoltava per davvero. Non si era tolta le cuffie, e non aveva spento la musica. Vedeva le labbra di Shino che si muovevano, veloci ed eccitate, ma l’unico suono che le arrivava alle orecchie era l’assolo di chitarra di Slash. Non ascoltava, perché non voleva ascoltare. Non voleva sapere cosa rendesse Shino così felice. Non aveva importanza, perché quella spensieratezza, quella felicità, sarebbe svanita da lì a pochi secondi. Sussultò quando Shino l’abbracciò, stringendola forte a sé, e la baciò sulla bocca. Un bacio veloce ma sentito. E sarebbe stato l’ultimo.
‹‹ Beh? Amore, non mi dici niente? ››
Mami guardò il ragazzo negli occhi. Doveva trattenersi dallo scoppiare in lacrime. Non sarebbe servito a niente piangere davanti a lui.
‹‹ Shino… ›› la voce iniziava già a rompersi per il magone ‹‹ Io ti lascio. ››
 
Agosto 2006, ore 14:54 , Osaka (Giappone)
- Ancora una volta!-
- Mami, è la decima volta che la proviamo, oggi. Va benissimo, la sai fare…-
- No. Voglio provarla di nuovo!-
Rina era madida di sudore a causa di quel continuo battere e pestare, Tomomi aveva male alle dita e Haruna sentiva che stava perdendo la voce.
- Se canto un’altra volta, giuro, domani sera non avrò più fiato per cantare.- si lamentò.
Mami, con un’espressione serissima in volto, tentò di accordare la sua chitarra, che dopo ore di prove aveva le corde tutte consumate.
- Stanotte dovrò cambiarle…- rimuginò tra sé e sé.
- Idem . – replicò Tomomi – Queste corde ormai sono tutte arrugginite. Povero basso, chissà per quanto tempo Mariko l’ha lasciato marcire dentro quello sgabuzzino.-
- Ragazze…- Rina aveva il fiatone – Ormai saranno dieci ore che proviamo. Mami, quell’assolo era perfetto, non c’è bisogno che lo riprovi. E se vuoi…. puoi provarlo…. senza di noi, no?-
- Fa bene anche a voi provarle un po’ di nuovo. Coraggio!-
Haruna fissò l’amica con sguardo indagatore, preoccupato: sapeva che ci teneva al live del Namba Hatch, ma non l’aveva mai vista prendere così sul serio la situazione. Aveva decisamente cambiato atteggiamento da quando le Go!Go!Gurls! era irrotte nella loro saletta e Misa aveva fatto la sua apparizione. Chissà cosa c’era stato tra loro, cos’era successo. Perché Mami l’aveva mollata? L’aveva fatta soffrire, forse? Era stata davvero innamorata di lei? Solo di una cosa era certa: non doveva per niente essere stato qualcosa d’indifferente per Mami, se la faceva reagire così.
 
Marzo 2006, ore 22:00, Osaka (Giappone)
La musica era terribilmente forte. Sentiva la batteria farle vibrare le orecchie, il basso che le pulsava nel petto, e l’assolo di chitarra, quell’incredibile assolo di chitarra, che le penetrava nella testa facendogliela dolere in modo insopportabile.
‹‹ Che chiasso insopportabile. ››
‹‹ Già. ›› concordò Mami ‹‹ Però la chitarrista è formidabile, questo lo devo ammettere. ››
‹‹ Nah, tu sei più brava. ››
Rise : ‹‹ No. Non credo proprio. ››
‹‹ Invece sì.›› Misa abbracciò teneramente Mami ‹‹ Sei la più brava di tutti. La migliore. ››
‹‹ Smettila… ››
Mami rispose al suo abbraccio. Misa appoggiò la testa sulla sua spalla. Era molto più bassa di lei, e anche più giovane. Quattro anni di differenza. Mami si sentiva abbastanza a disagio ad uscire con lei. La loro era una relazione, come dire … sbagliata. In tutti i sensi. Misa era troppo piccola, e loro erano due ragazze. A quel pensiero, Mami mandò giù ancora un po’ di birra e solo in quel momento si accorse che la bottiglia che aveva in mano si stava svuotando completamente. Questo la fece sentire ancora peggio. Doveva bere qualcos’altro.
Finalmente, le Go!Go!Gurls! smisero di suonare e il presentatore della serata presentò il gruppo successivo, ovvero gli Young Death. Mami deglutì. Sì, doveva assolutamente bere qualcos’altro.
Misa alzò lo sguardo verso di lei : ‹‹ E’ questa la band del tuo ex?  ››
Mami mandò giù le ultime gocce rimaste sul fondo della bottiglia : ‹‹ Sì. ››
‹‹ Come ha reagito quando gli hai detto… di noi? ››
Mami ringraziò che ci fosse buio all’interno del locale, cosicché non sarebbe riuscita a vedere il nervosismo nei suoi occhi.
‹‹ Non bene. ›› disse semplicemente ‹‹ Ma tranquilla, gli passerà prima o poi. Vado a prendere un’altra birra, aspettami qui. ››
Mami si alzò dal suo posto e raggiunse il bancone del bar a passo svelto. Non aveva detto niente a Shino. Come avrebbe potuto? Era già stata abbastanza dura averlo lasciato, così su due piedi, dopo quasi un anno che stavano insieme. Se poi gli avesse detto pure che lo tradiva da mesi con una ragazzina di dodici anni, sarebbe decisamente impazzito. Però il problema non era solo quello: per quanto odiasse ammetterlo, Mami si vergognava. Sì, si vergognava di sé stessa, della sua bisessualità. Non l’aveva detto a nessuno, e l’intenzione era proprio quella di tacerla ancora e ancora, per un bel po’ di tempo… E Misa?
Mami ordinò la birra, in modo forse un po’ troppo aggressivo. Più pensava, più aveva fretta di bere.
Misa? Misa era… perfetta. Occhi neri dentro ai quali ci si poteva perdere fin troppo facilmente, capelli neri e sottili, un viso dolce e senza zigomi che era in grado di far innamorare chiunque ogni volta che sorrideva. Ed era, cavolo, innamorata persa di Mami. Bastava guardarla per rendersene conto. Mami l’aveva conquistata grazie al suo carattere gelido, maturo,da maschiaccio, egocentrico eppure nascosto. Lei stessa, in più, non poteva non rimanere affascinata dalla purezza di Misa, dalla sua ingenuità, giovinezza e dolcezza.
 
Era una serata come quella quando successe. Ed era, esattamente come in quel momento, ubriaca e confusa. Lei e Shino avevano litigato. Misa frequentava la sua stessa scuola di chitarra, e loro due erano uscite assieme più volte, ma solo in amicizia. Mami si domandava ancora perché l’avesse baciata, quella sera. La rabbia, l’alcool che le annebbiava la mente, forse. Sta di fatto che le piacque, e piacque anche a Misa. Il bacio durò a lungo, molto a lungo, fino a diventare qualcosa di più. Non ricordava nulla, assolutamente nulla di come fosse successo. Sta di fatto che, la mattina seguente, Misa non era più vergine, ed era sempre più innamorata. Lei non si vergognò affatto di definirsi “lesbica”. Anche se, sotto sotto, Misa non era per nulla lesbica. A lei non piacevano le ragazze. A lei piaceva solo Mami.
 
Gli Young Death avevano già iniziato a suonare, e la loro musica portò un po’ di sollievo all’interno del Namba Hatch dopo il gran fracasso che avevano fatto le Go!Go!Gurls!. La canzone che in quel momento aleggiava per il locale era Carpe Diem. Mami la conosceva a memoria, era una delle sue preferite. Non aveva voglia, però, di andare sotto il palco a ballarla e a cantarla a squarciagola. Probabilmente Shino non sapeva neppure che era venuta, e lei non aveva per niente intenzione di farsi vedere. In più, si stava facendo tardi e Misa doveva essere riaccompagnata a casa.
Quando tornò al tavolo, trovò Misa circondata da un gruppetto di ragazzi che, a occhio, dovevano essere addirittura più grandi di Mami. Quella vista le diede non poco fastidio. L’alcool le aveva cancellato ogni tipo di paura e incertezza, e senza paura si avvicinò a quei tipi, toccando la spalla a quello che sembrava il “capetto”. Quando lui si girò, Mami lo fissò dritto negli occhi in segno di sfida.
‹‹ Sì?  ›› fece quello, senza nascondere il divertimento che effettivamente provava.
‹‹ E’ il nostro tavolo questo. ›› rispose lei, freddamente ‹‹ Ci state disturbando. Andatevene. ››
Questo causò una risatina generale. Intanto, la voce di Kiichi continuava ad echeggiare nell’aria.
 
Stai con me,
odio vederti senza di me
 
‹‹ Stai tranquilla, volevamo solo farle un po’ di compagnia ›› sghignazzò un altro di quei ragazzi ‹‹ Non vuoi unirti a noi? Dai, che ci divertiamo. ››
Uno di loro provò a cingerle le spalle. Mami prontamente gli mollò una gomitata nello stomaco. Il ragazzo emise un gemito soffocato e si piegò in due.
‹‹ Guai a te se mi tocchi ancora! ››
Un altro ragazzo, che si era seduto vicino a Misa, si alzò di scatto con l’intenzione di aiutare l’amico. Mami spaccò la bottiglia sul tavolo: frammenti di vetro e fiumi di birra piovvero sul pavimento come pioggia e grandine. I ragazzi indietreggiarono.
‹‹ Sei pazza! ›› urlò uno di loro
‹‹ Sono ubriaca. ››  lo corresse lei ‹‹ Misa, vieni. Andiamocene. ››
Misa aveva due occhi grossi come palle da tennis, e l’espressione che aveva in volto era confusa e terrorizzata. Veloce come un’anguilla, si alzò e corse verso Mami, la quale la prese sotto braccio e la trascinò fuori dal locale. All’esterno, l’aria della notte era fresca e piacevole, tipica di una primavera che sarebbe stata sicuramente portatrice di una calda estate. Dalle finestre del Namba, si poteva ancora sentire, distante ed ovattata, la voce di Kiichi.
 
Carpe Diem, baby,
Seize the day and Carpe Diem
 
‹‹ Mami, tutto bene?››  Misa era visibilmente preoccupata per lei. La chitarrista non doveva avere un bell’aspetto: le gote le si erano arrossate a causa dell’alcool, i capelli lunghi e neri erano arruffati e il suo passo era barcollante.
‹‹ Tutto bene. ›› rispose.
All’interno del locale, il pubblicò esultò. Gli Young Death avevano appena finito di suonare.
‹‹ Mi dispiace. ››
‹‹ Ma di cosa, Mami! Sei stata eroica! Solo… ›› Misa abbassò lo sguardo ‹‹ Dispiace a me. Non ho fatto nulla per aiutarti. Avrei potuto fare qualcosa ma… ho avuto paura. Paura che ti facessero del male, e… ››
Non riuscì più a parlare. Mami l’aveva spinta contro il muro e l’aveva baciata sulla bocca. Senza preavviso. Esattamente come la prima sera. E Misa la lasciò fare senza protestare più di tanto. Chiuse gli occhi, mentre le loro lingue iniziavano ad avvinghiarsi tra loro. Mami le accarezzava i capelli con dolcezza e intanto pensava che, no, forse non era proprio innamorata di Misa, ma in quel momento lei era l’unica in grado di capirla, di darle un qualche sollievo. E stava bene. Quando stava con lei, si sentiva davvero bene, molto di più di quanto sia mai stata con Shino. E…
‹‹ Ma guarda! Questa sì che è una sorpresa!››
Mami si staccò immediatamente da Misa e voltò la testa di scatto. Conosceva fin troppo bene quella voce.
Kiichi. Insieme a tutti gli Young Death. Avevano finito di suonare, ed erano usciti dal locale. Non erano soli. Con loro c’era anche quella tipa, l’amica del cuore di Shino, che non mancava mai a nessun loro concerto. Come si chiamava? Tomomi?
‹‹ Shino! Non è la tua ex quella? ››
Era stata proprio quella Tomomi a parlare. Mami strinse i denti dalla rabbia. Non la sopportava, quella ragazza. Anche quando stava con Shino, lei stava sempre appiccicata al suo ragazzo. Lui diceva che era soltanto un’amica, ma lei non ci credeva. Ecco perché avevano litigato. In fondo, adesso che ci pensava, era stata proprio lei la causa di tutto.
Tutti quanti erano abbastanza divertiti da quella scena, ma non Shino. Shino era l’unico ad avere in volto un’espressione furiosa. Mami lo guardò negli occhi, implorando silenziosamente un qualche tipo di perdono… ma perdono di cosa, in fondo? Lei lo aveva lasciato, proprio per stare con Misa…
‹‹ Lascia perdere, Shino. ›› disse Taro ‹‹ Andiamo tutti a casa mia. Ordiniamo del sushi, ce lo meritiamo! ››
Tutti quanti fecero dietro-front, e si allontanarono. Shino, prima di raggiungerli, si avvicinò a Mami minaccioso e le sussurrò a denti stretti:
‹‹ Io ti rovinerò. Mi hai sentito? Ti rovinerò. ››

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Capitolo 19
*** Runners High ***


CAPITOLO 19, Runners High
' "Continua ad andare avanti"
è tutto?
"Non devi scappare"
continuerò a correre'


 





Agosto 2006, ore 21:30, Osaka (Giappone)
- Dov’è Mami? –

- Le ho mandato un messaggio, ma ancora non mi risponde.-

- Cazzo!-

Mariko camminava avanti e indietro all’interno del piccolo retroscena del Namba Hatch, tenendo tra due dita tremanti e nervose una sigaretta già mezza fumata, nonostante il locale fosse pieno di cartelli No Smoking.

- Mariko, prova a rilassarti. - cercava di dirle Haruna – Aveva da fare questa sera, ma vedrai che arriverà puntuale. Poi, noi suoniamo per ultime. La prima band deve ancora iniziare…-

- Voi… non… capite… - Mariko era sull’orlo dei nervi, e questo faceva aumentare la già presente angoscia delle ragazze: Haruna abbracciava la sua chitarra, seduta a gambe incrociate sul divanetto; Rina giocherellava nervosamente con le bacchette; persino Tomomi, di solito così leggera di carattere, fissava il vuoto senza dire una parola.
Mariko, forse un po’ in ritardo, si accorse che l’aria stava iniziando a diventare forse un po’ troppo pesante, troppo enigmatica, ed era ben consapevole che questo non faceva bene ad una band che stava per suonare per la prima volta su un palco. Si sforzò di sorridere, cercando di trasmettere loro una calma che in realtà non sentiva per nulla sua.

- Coraggio ragazze. Non fate quelle facce. In fondo non è grave, è ancora presto.- fece una pausa, poi si avvicinò ad Haruna, sussurrando – Solo… mandale un altro messaggio magari, ok?-
 
Ore 19:30
- La proviamo un’altra volta?-

- E’ tutto il pomeriggio che la proviamo! Non possiamo riposarci un attimo? Magari andare a cena…-

- Come fai ad avere fame?-

- Perché è ora di cena, cazzo!-

- Ho lo stomaco chiusissimo, in questo momento…-

Haruna tremava come una foglia, sentiva le farfalle nelle viscere, la mente piena di pensieri e uno strano stimolo nel ventre, la sensazione di dover andare a pisciare in continuazione. Quella sera avrebbero finalmente suonato al Namba Hatch. Ma invece che sentirsi eccitata, emozionata di felicità, impaziente, si sentiva preoccupata, piena di angoscia e ansia. Erano successe troppe cose: prima la ricerca di un bassista, poi il cambio improvviso di Mami alla chitarra, l’arrivo di Rina alla batteria, poi le Go!Go!Gurls che irrompono nella sala… così tanti ostacoli, cambiamenti, e così poca pratica. Sì, perché quello era il problema principale: si erano esercitate pochissimo, tra una cosa e l’altra. Le canzoni le sapevano, ma erano grezze, suonate male, da migliorare. La serata era arrivata decisamente troppo in fretta. A stento avevano deciso un nome, lasciando perdere tantissime altre cose essenziali. Ad esempio, come vestirsi? L’idea di andare vestite normali, magari in jeans strappati e con una t-shirt di qualche gruppo famoso, faceva troppo classico, noioso, prevedibile. In confronto alla brillante stravaganza delle Go!Go!Gurls! avrebbero fatto la figura delle mediocri, anzi, sarebbero state completamente invisibili.  Ma forse si stava preoccupando troppo, per piccoli dettagli. Piccoli, inutili, essenziali dettagli…

- Proviamo solo un’altra volta – insistette – Poi andiamo a mangiare tutte assieme, ok?-

Rina si asciugò il sudore dalla fronte, respirando col fiatone. Anche le altre erano abbastanza stanche. Dopo la scuola erano andate dirette alla saletta e aveva provato per ore e ore, senza mai fermarsi. Eppure, non protestarono più di tanto: si limitarono a guardarsi tra loro, annuire, e ricominciare a suonare.
Rifecero la scaletta per una, due, cinque, dieci volte, e la stanchezza sembrava non raggiungerle mai. Anzi, più suonavano, più si sentivano piene di energia, più si sentivano impazienti all’idea di suonare in quel locale in cui tutte loro (tranne Haruna) erano già state come pubblico delle band emergenti di Osaka.
 

Era quasi ora di suonare, quando Mami ricevette il messaggio.

- Ragazze, devo andare.-

- Andare dove? Non puoi! – ribatté nervosa Haruna, senza nemmeno chiedere qualche spiegazione in più – Tra poche ore dobbiamo andare, lo sai. –

- E dobbiamo ancora cenare. – aggiunse Tomomi.

- Voi andate pure. Io vi raggiungo al locale. Mi dispiace, ma è urgente.-

- Non possiamo sapere che succede? – Haruna sudata freddo. Era nervosa come non lo era mai stata in vita sua. Quella serata le era sempre parsa tanto lontana ed irraggiungibile, e solo in quel momento sembrava rendersi conto di quanto fosse vicina, imminente, dietro l’angolo. Non erano pronte. Sarebbero andate malissimo. Avrebbero fatto una pessima figura. Haruna non temeva tutto ciò, anzi, ne era profondamente certa. Sapere che Mami si sarebbe momentaneamente separata da loro, accentuava maggiormente la sua angoscia.

- Ragazze, non preoccupatevi. Farò in tempo, ve lo prometto. Solo… - abbassò lo sguardo, rimanendo però decisa – questa è una cosa che mi riguarda in prima persona. –

Detto questo, si mise la chitarra in spalla ed uscì dalla sala prove, senza aggiungere altro, senza aspettare altri commenti dalle sue amiche.
 

Ore 22:00
- Le prossime sono le Go!Go!Gurls!-

Rina pronunciò a fatica quella semplice frase. La saliva aveva abbandonando la sua bocca, le corde vocali le tremavano come esili giunchi in una giornata ventosa.
Mariko s’irrigidì come ghiaccio.

- Dopo di loro ci siete voi.-

Le ragazze annuirono, silenziosamente.

- E Mami ancora non si fa sentire.-

Annuirono di nuovo. Mariko ebbe uno scatto furibondo, mollando un calcio alla parete. Haruna, Tomomi e Rina la fissarono con occhi spalancati. Era la prima volta che vedevano la loro professoressa in quello stato.

- Mariko – disse Haruna con voce decisa, dimenticando per un secondo la loro situazione – ci vuoi spiegare una volta per tutte, per favore, cosa deve succedere esattamente stasera?-

Mariko fissò la ragazza. Il suo volto era contratto, il che tradiva una certa difficoltà nel rispondere a quella domanda. La bocca si muoveva goffamente, incerta se rispondere o stare semplicemente zitta. Vennero interrotte bruscamente dal rumore fastidioso di una porta che si apre improvvisamente.  Sakura comparve in tutta la sua esagerazione: si era cotonata i capelli, tanto che ero la sua testa sembrava un confuso aggrovigliarsi di pagliuzze rosa; indossava scarponi con un tacco incredibilmente esagerato, un corpetto nero con un numero elevatissimo di lacci, con tanto di gonna pomposa e calze a pois. Non disse una parola, non un “permesso”, nemmeno una battutina di scherno. Solo un : - Misa è scomparsa. –
Fu talmente improvviso, che inizialmente le SCANDAL non seppero come reagire. Ci misero un po’ prima di realizzare veramente la situazione.

- Misa? – riuscì a balbettare incerta Rina.

- Sì, Misa! La nostra chitarrista. Capelli verdi, piccola, che se la faceva con la vostra. Ci arrivate adesso?-

Ecco. Era tornata la vera Sakura. Ma nonostante il suo solito tono strafottente, i suoi tradivano il panico e la preoccupazione che stava provando. – Siamo le prossime a salire sul palco, e lei non ha ancora dato sua notizie.-

- E scusa, noi cosa ci possiamo fare? – rispose Tomomi, con una tale noncuranza che fece innervosire ancora di più Sakura.

- Non lo so, ma non mi piace la faccenda. Chiedete alla vostra chitarrista, forse lei può fare qualcosa per convincerla.-

- Nemmeno Mami è qui, e non risponde neppure alle chiamate. – commentò Haruna con tranquillità, quasi fosse sollevata nel vedere le rivali nella loro stessa tragica situazione.

Adesso Sakura era talmente rossa di rabbia e nervosismo da farla sembrare un pomodoro maturo ben vestito : - Allora avevo ragione, c’è il vostro zampino. State sabotando il nostro concerto! Chiamate subito Mami e ditele di portare qui la mia Misa, subito! Altrimenti sarà peggio per voi! Chiamatela! Chiamate Mami e ditele…-

- Dirmi cosa?-

Sakura si voltò di scatto, tirando un sospiro di terrore. Haruna, Rina e Tomomi alzarono lo sguardo, stupite e sollevate allo stesso tempo.

- Mami! –

Mami era apparsa sulla porta, la chitarra in spalle e un lungo cavo arrotolato nella mano destra. Sakura deglutì nel vederla, incerta, poi riprese a parlare balbettando leggermente : - Dov’è Misa? Cosa le hai fatto?-

Mami la guardò con quell’espressione gelida e un po’ apatica che tanto la caratterizzava.

- Misa? – fece, con indifferenza, alzando un sopracciglio – Non la vedo da quando siete venute a farci visita alla sala.-

Sakura rimase spiazzata da quella risposta. La sua espressione confusa, il panico che aveva negli occhi, in contrasto con la fredda tranquillità nel viso di Mami fece sbocciare un enorme sorriso sul volto di Haruna. Non era mai stata così felice in vita sua di vedere una persona.

- Non… - balbettò confetto nero e rosa - … non era con te?-

- No. Assolutamente.-

Sakura provò a dire qualcos’altro, ma venne interrotta da Mariko che, avvicinatasi a lei, le aveva appoggiato una mano sulla spalle, rivolgendole un sorriso dolce e amichevole. Tutta la preoccupazione che aveva prima si era completamente dissolta nel nulla. Era tornata ad essere la loro tenera professoressa.

- Vado ad avvisare i proprietari del vostro ritiro per mancanza di un membro.- disse tranquillamente – Le SCANDAL suoneranno al posto vostro.-
 

Ore 20:15
Quando Mami si presentò nel luogo dell’appuntamento, Misa era già arrivata.

- Sei in ritardo. – disse con voce offesa.

- Ho ricevuto poco fa il messaggio. Ho fatto prima che ho potuto.-

Mami la guardava con dolcezza, cercava i suoi occhi, ma Misa li teneva bassi. Sotto quel trucco esagerato, i capelli blu e i vestiti esuberanti, era rimasta la ragazzina dolce con era stata, con la quale aveva condiviso momenti bellissimi. Mami lo sapeva, ne era sicura, ed ancora non si capacitava del fatto che fosse cambiata così tanto.
Non le chiese il motivo per cui l’avesse chiamata lì, non le chiese se voleva parlarle di qualcosa di urgente. Si avvicinò e le domandò, molto semplicemente
: - Perché? –

Misa continuava a non guardarla. I suoi occhi si stavano lentamente riempiendo di lacrime. Era stata lei a chiamarla lì, sicuramente doveva dirle qualcosa di molto importante, ma doveva trovare il coraggio per farlo. Mami provò a toccarla una spalla per rassicurarla, ma la ragazza si scansò. Si asciugò frettolosamente le lacrime, respirò a fondo e finalmente riuscì a guardarla negli occhi, quegli occhi bellissimi che a Mami piacevano tanto.

- Non suonerò stasera.-

Mami la fissò spalancando gli occhi.

- Come?-

- Non suonerò con le Go!Go!Gurls.-

- Ma… - Mami era senza parole, poi rifletté e disse: - E’ per quello che ho detto? Non rinunciare a suonare a causa mia. Se lo vuoi fare, è una scelta. Non importa se suoni con Sakura o…-

- Non è per quello.- a Misa iniziava a tremare la voce – Lo faccio per farvi vincere.-

Mami era sempre più confusa.

- Vincere? Vincere cosa?-

- Mariko non vi ha detto nulla. Ma… - prese fiato prima di continuare, come se parlare le costasse una grande fatica – quella di stasera non è altro che la prima di tante altre serate. Una battaglia tra band emergenti di Osaka. Il vincitore avrà un contratto di un anno con la Kitty Records.-

Mami iniziava a capire.

- Gli Young Death parteciparono a qualcosa del genere, l’anno scorso.-

- Esatto. –

- Ma perché Mariko non ci ha detto nulla?-

- Per non farvi pressioni, immagino. Non aveva una band da presentare quest’anno. Ecco perché decise di crearne una in fretta e furia, iniziando da Haruna. Lo so perché il proprietario della nostra saletta, Charles, è un suo rivale. L’anno scorso le Go!Go!Gurls batterono gli Young Death in finale.-

- Non lo sapevo.-

- Non amano dirlo in giro. Sta di fatto che, da allora, Mariko è furibonda e ce la metterà tutta per farla pagare a Charles. Ma non dovrà preoccuparsi. Stasera io non suonerò, le Go!Go!Gurls perderanno.-

Ecco perché Mariko era così nervosa.

Mami non sapeva cosa dire. Guardava Misa, e si accorse che il suo corpicino tremava. Chissà per quando tempo si stava preparando quel discorso, da quanto fremeva per poter buttar fuori tutto quello che le passava per la testa.

- Perché fai tutto questo, Misa?-

- Perché… - prese fiato – le GGG sono delle disoneste. Avevano già truccato tutti i giudici. Esattamente come l’anno scorso. Avrebbero vinto senza nessuna difficoltà. Ma se io non mi presenterò, perderanno a tavolino. E finirà lì. E…-

Ci fu una lunga pausa. Misa iniziò a tremare ancora più forte di prima. Mami la guardava preoccupata. Poi, finalmente, Misa parlò di nuovo, con gli occhi lucidi di pianto.

- … e perché io ti amo, Mami.-

Si issò sulle punte e le diede un rapido bacio sulla labbra. Poi la fissò con occhi severi. Le lacrime erano completamente scomparse.

- Vincete quel cazzo di concorso.-

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Capitolo 20
*** Heaven na Kibun ***


Capitolo 20, Heaven na Kibun
"Paradiso, sensazione paradisiaca
metti quella musica peccaminosa
give me love"

 


Namba Hatch, ore 22:10
- Buonasera, noi siamo le SCANDAL. –
- I Was Made for Lovin’ You!
- One two three..-
Mariko le osservava da lontano, appoggiata al bancone del bar. Era sola. Tutti gli altri clienti del locale erano in piedi, ammassati davanti al palco, battendo le mani, ballando e cantando a memoria quella famosa canzone. La donna sorseggiò un po’ del vino bianco dal calice che teneva in mano. Beveva gratis, come sempre. Lo staff del Namba Hatch le offriva sempre le consumazioni, poiché era cliente abituale nonché organizzatrice di eventi. Era abbastanza popolare, tra i locali di Osaka. I gruppi della sua sala prove erano sempre validi e ben accetti. Eppure, quella sera Mariko era diversa. Seria, sconsolata, critica. Osservava quelle ragazze, le sue nuove ragazze,  esibirsi per la prima volta su un palco, osservava il pubblico scatenarsi e reagire positivamente alla loro performance.  Probabilmente erano troppo  distratti dalla canzone dei KISS, un bellissimo pezzo di un notissimo gruppo che ogni amante del rock non poteva non conoscere, per potersi rendere conto di come stava suonando quel nuovo gruppo.
Non erano brave. Mariko dovette ammetterlo a sé stessa. Haruna stonava più volte, e con la chitarra vacillava, spesso si perdeva, non andava a tempo, suonare e cantare insieme la metteva in difficoltà e questo era ben visibile. Mami non era male, era migliorata abbastanza con la chitarra, ma era ancora grezza, poco allenata, sporca. Tomomi ancora non padroneggiava il suo strumento, però la sua presenza scenica era fantastica: si muoveva spesso, interagiva col pubblico, cercava di sollevare il basso cimentandosi in qualche acrobazia che una musicista inesperta come lei ancora non poteva permettersi. Ma ciò che la preoccupava di più era quella piccoletta, la nuova, non ricordava neppure il suo nome, alla batteria. Un disastro totale, e non c’era bisogno di aggiungere molto altro. La batteria, in quel gruppo, non funzionava. Non funzionava proprio.
Sono scandalose pensò, e quel pensiero la fece sorridere per una frazione di secondo.
Aveva appena appoggiato nuovamente le labbra contro il vetro del bicchiere, quando una voce famigliare alle sue spalle per poco non le fece andare di traverso il vino.
- Konnichiwa, Mariko.-
Avrebbe riconosciuto quella pronuncia straniera tra altre mille: presuntuosa ed orgogliosa, talmente marcata da sembrare innaturale, forzata, come volesse urlare a chi l’ascoltava “sì, parlo giapponese, ma tranquilli, non lo sono.”
- Ciao, Charles.- rispose freddamente la donna, senza nemmeno voltarsi. Infatti su l’uomo ad aggirarla per potersi piazzare esattamente davanti a lei.
- Mi aspettavo un’accoglienza un po’ più calorosa.-
- Perché dovrei far finta di esser felice di vederti? Nemmeno tu lo sei.-
- Oh, ma lo sono invece! Lo sappiamo entrambi che, tra noi due, sei sempre stata tu quella cattiva.-
Lo odiava. Odiava quei tratti americani nel suo volto, i suoi occhi grandi e azzurri da occidentale, i suoi capelli biondi e la barba ispida, il suo corpo alto e massiccio, il suo sorriso accattivante. Probabilmente era convinto che ogni donna orientale sarebbe caduta ai suoi piedi, che tutte quante non potessero resistere al suo fascino di uomo dell’ovest. Non Mariko. Più lo guardava, più aveva voglia di vomitare.
- Hai ragione. – disse, senza cambiare né di espressione, né di tono  - Quindi spero tu abbia imparato la lezione, oggi.-
Charles sorrise ancora di più : - Cioè? –
- Che non sempre vincono i buoni.-
Il giovane uomo scoppiò in una fragorosa risata. Ciò diede non poco fastidio a Mariko, e si sforzò più che poté per mantenere sul volto la sua espressione apatica e fredda.
- Vincere? Vincere cosa? Il concorso della Kitty Records? Solo un’etichetta indipendente e di poco valore come quella può permettersi di fare certi contest. Pensi che le Go!Go!Gurls! si facciano scoraggiare da questo piccolo ostacolo? Ah, per loro ho in mente progetti ben più grandi. Negli USA  – lo pronunciò con un accento americano talmente perfetto che a Mariko vennero i nervi a fior di pelle – o comunque fuori dal Giappone. Che cosa vuoi che me ne importi… -
- Oh, ma è proprio per questo che la considero una vittoria  – lo interruppe la donna, appoggiando con delicatezza il bicchiere mezzo pieno sul bancone – Torna pure in America, fa’ quello che vuoi con quelle ragazze, promuovile, falle diventare famose, ricche, fa’ che riempiano gli stadi più grandi del mondo, non me ne frega nulla. L’importante è tu vada via, il più lontano possibile da me, e lasci che la buona musica respiri.-
Charles si colpì il cuore con la mano con un gesto teatrale, simulando del dolore sibilando tra i denti.
- Questa ha fatto male.-
- Baravi. L’hai sempre fatto. Solo per quello sei sempre andato avanti. Con i soldi hai sempre potuto fare quello che volevi. Continua pure a farlo, ma lontano da qui. In America forse sarà normale, ma non in Giappone.-
- Anche in Giappone è normale, Mariko. Tu sei una colomba bianca e credi di vivere in un mondo perfetto, ma il mondo in cui credi di vivere è molto diverso.-
- Vattene.-
Non lo fece. Si appoggiò anche lui al bancone, esattamente accanto a lei, e si mise a guardare le SCANDAL. Mariko si sentì improvvisamente a disagio. Si vergognava di loro? Temeva il giudizio di Charles, nonostante lo disprezzasse? Si fece schifo da sola solo per averlo pensato.
- E così, queste sono le tue nuove ragazze.-
Mariko deglutì, cercando di nascondere il suo nervosismo  : - Già.-
- Interessanti. E quella di vestirsi tutte uguali è una scelta scenica? –
- Sono le loro divise scolastiche.-
- Ah. – calò per un attimo il silenzio – Non è un po’, come dire… banale?-
- Niente inganni, niente ghingheri, niente complessità. Semplice, pulita, buona musica.-
- Io vedo solo delle studentesse con degli strumenti in mano.-
- Anche le tue ragazze sono studentesse. Solo che lo nascondono. Loro no. Quello che vedono sono esattamente quello che sono. È per questo che ho fiducia in loro.-
Più lo diceva, più si convinceva di ciò. Si vergognò di aver dubitato delle SCANDAL pochi minuti prima.
- Non è che se la stiano cavando poi così bene…-
- C’è ancora da lavorare. Ma hanno fatto enormi progressi in tempi strettissimi.-
- Se lo dici tu.- si staccò dal bancone – Vedremo come andrà a finire questo concorso, allora. Vediamo se queste SCANDAL – anche stavolta lo pronunciò all’americana – riusciranno davvero a farsi valere. Soprattutto quando dovranno suonare pezzi loro.-
Mariko deglutì di nuovo. Perché si lasciava mettere ansia da un uomo del genere? Charles le fece l’occhiolino.
- Sayonara my friend, ci vede! –
Si allontanò, scomparendo tra la folla. In quel preciso istante il pubblico esplose in un boato di applausi. Le SCANDAL avevano finito.  
 
Era nervosa mentre si dirigeva dietro i retroscena. Cos’avrebbe dovuto dire? “Avete fatto schifo”? “Mi avete fatto fare brutta figura con il mio rivale”? “Per vincere questa sfida dovete impegnarvi, lavorare, e cercate di non farmi più sentire in imbarazzo come stasera.”? Terribile, le avrebbe distrutte. Magari pure loro si erano accorte di aver suonato male, magari erano già giù di morale. Perché avrebbe dovuto abbassare ancora di più la loro autostima? E se decidevano di sciogliersi? Il solo pensiero le fece tremare il braccio mentre lo allungava verso la porta della stessa stanzetta in cui, giusto una mezz’oretta prima, le ragazze avevamo aspettato trepidanti che il loro primo concerto iniziasse. Impugnò la maniglia, l’abbassò. Spinse la porta, lentamente, titubante, come in una scena di un film horror. E quando la spalancò…
 
… - E’ stato… è stato… -
- Uao!-
- I waaas made to lovin youu babeee… -
- Avete visto come applaudivano? E come ballavano? Avete visto? –
- Io non vedevo niente… -
- you waaas made to loovin meeee … -
- Ma tu non vedevi perché eri in fondo.-
- Già, l’unica cosa che vedevo erano i vostri culi!-
- Rina! –
- Avrei voluto vedere la faccia di Sakura, davvero…-
- Per me se n’è andata dalla rabbia.-
- Goodbye, Sakura! -
- Tomomi ma quanto ti muovevi? Sembravi morsa da una tarantola.-
- Bhe, sempre meglio di te che stavi ferma come uno stoccafisso.-
- Mariko! Ragazze guardate chi c’è!-
- Prof! Non stia lì ferma sulla porta! Festeggi con noi!-
- Mariko, perché non ci aveva parlato prima di questa cosa del concorso? È fantastico!-
- Come funziona? Quando suoniamo la prossima volta? E dove?-
- Ma l’assolo? Vogliamo parlare dell’assolo di Mami? –
Mariko non si era mossa di un centimetro. Era talmente stupefatta da quell’entusiasmo che non sapeva come reagire. Aprì la bocca, cercando di dire qualcosa, ma venne bruscamente interrotta da qualcuno dietro di lei, che la spintonò, la sorpassò ed irruppe nella stanzetta.
- Dove sono le superstar?-
Erano gli Young Death. Al completo. Mariko non si era neppure accorta fossero tra il pubblico.
- Ragazzi! Vi ho visti in prima fila!-
- Siete state grandissime!-
- Grazie grazie ma lo sappiamo già.-
- Tomomi chaaan – Taro imitava la voce di una ragazzina urlante, si avvicinò alla bassista e si sollevò leggermente la maglietta – mi fai l’autografo sulle tette? –
- Scemo.- Tomomi lo spinse via, mentre tutti quanti esplodevano in una risata generale.
- Ragazzi, ascoltatemi! – Shino batté le mani ed alzò la voce, cercando di sovrastare la confusione – Dobbiamo festeggiare! Stasera si sta svegli tutti la notte! Andiamo a bere! Offrono gli Young Death!-
- Yu-huuu!-
- Grandi!-
- Facciamo ubriacare Rina!-
- Tomomi, ti prego…-
- Mariko! – Haruna appoggiò una mano sulla spalla della professoressa. La donna si riscosse. Alla fine non aveva detto una parola. Era semplicemente rimasta immobile, fissando il vuoto. A quel tocco, si riscosse.
- Sì?-
- Fai serata con noi?-
Ci fu un attimo di silenzio.
- No.- rispose alla fine, con un sorriso – No, io torno a casa adesso. Voi divertitevi.-
 
 
Ore 00:57
- Un altro giro? Offrono gli uomini!-
- Quanta gentilezza stasera! Possiamo fidarci?-
- Ma come? Questa ti sembra la faccia di uno di cui non ti puoi fidare?-
Si erano spostati in un altro bar, molto più verso il centro di Osaka. Haruna ci passava sempre davanti quando andava a scuola, ma dentro non c’era mai stata. Dentro era accogliente, anche se un po’ buio. Non c’era tanta gente, solo qualche studente universitario che aveva voglia di fare nottata. Comunque, erano tutti più grandi di loro. SCANDAL e Young Death occupavano il tavolo più grande di tutto il locale, ormai stracolmo di bicchieri di vetro vuoti, e le loro chiacchiere facevano tanto di quel chiasso da sovrastare quasi completamente la tranquilla musica jazz di sottofondo.
Haruna ormai aveva fatto amicizia con tutti loro. Al suo fianco era seduto Yuki, il timido tastierista dai buffi occhiali tondi e i capelli arruffati, ma una volta sciolto il ghiaccio sapeva essere molto simpatico. Anche Soma era gentile con lei. Taro, poi, era la versione maschile di Tomomi: parlava con tutti, scherzava con tutti, dava confidenza a tutti. La riempì di complimenti per come aveva cantato quella sera, ed Haruna arrossiva e rideva, senza sapere cosa rispondere. L’adrenalina che le aveva lasciato quella serata ancora non voleva saperne di andarsene. Era stato tutto fantastico. Essere sopra quel palco, ad un livello diverso del pubblico, trovarsi finalmente in quella posizione che sognava da quando suo zio le aveva messo quella chitarra in mano. Avrebbe voluto rimanere sveglia tutta la notte, anzi, per sempre, in attesa solo di una prossima volta in cui avrebbe suonato in un palco. Ma non solo lei, non da sola con la sua chitarra. In quel momento, Haruna, proprio lei, Haruna Ono, sentiva di essere etichettata, di far parte di qualcosa di incredibile: Haruna Ono, chitarrista e cantante delle SCANDAL. Suonava bene. Dio, quando suonava bene!
- Un’altra birra per la grande batterista! – gridò Taro al bancone.
- No ragazzi! Sono a posto, davvero! – protestava timidamente Rina.
- Taro, non esagerare… - commentò serio Shino. Rina arrossì a quell’atteggiamento così protettivo che l’amico aveva sempre nei suoi confronti.
- Coraggio, solo una birra! – insistette il bassista dai capelli tinti – Poi te lo dobbiamo! In fondo non ti abbiamo ancora ringraziato come si deve per quando ci hai salvato, la volta scorsa!-
- Non è stato niente di che…-
L’unico che non aveva detto una parola in tutta la serata, era Kiichi. Era seduto di fianco a Shino, e beveva il suo drink tenendo lo sguardo basso, il lungo ciuffo di capelli che gli copriva buona parte del viso. Non aveva minimamente rivolto la parola Haruna. Né un complimento, né una critica, né un “fai schifo”. Nulla. Ed andava bene così, almeno per lei. Non l’aveva ancora perdonato per quello che aveva detto riguardo a Rina. Era solo un presuntuoso, narcisista, un cantante che pretendeva di essere tale anche nella vita reale, oltre che sul palco: sempre al centro della scena, sempre colui a cui è rivolta tutta l’attenzione, tutto il merito, tutta l’ammirazione. Bene, che continuasse pure a pensarla così. Haruna non aveva nulla in contrario a continuare ad ignorarlo.
Anche se…
Era solo un egocentrico
Però…
 - Haruna, dove stai andando?-
Haruna non si era nemmeno accorta di essersi alzata dalla sedia. Era come se il suo corpo stesse decidendo per lei, come se il suo cervello non fosse più in grado di prendere delle decisioni. Sapeva solo, di per certo, che non avrebbe potuto più restare seduta. Aveva bisogno di muoversi, e aveva bisogno di pace.
- Vado solo a prendere una boccata d’aria. – rispose, sorridendo.
Quando fu fuori, l’aria notturna le fece rilassare ogni fibra del corpo. Nonostante fosse quasi mattina, la città di Osaka continuava a vivere: le insegne lampeggiavano di neon, il rumore delle automobili era incessante, il vociare delle persone intenso. Osaka non dorme mai, pensò. Osaka trema di eccitazione in ogni momento del giorno. Si sentiva proiettata in quella città. E per una frazione di secondo le tornò in mente Niigata, i suoi genitori, cosa sarebbe stata in quel momento se non avesse mai avuto il coraggio di andarsene di casa…
- Tutto bene? –
Sussultò, si girò di scatto. Kiichi l’aveva seguita fuori dal bar. Haruna gli rivolse uno sguardo truce.
Sì, andava tutto bene prima che arrivassi tu sembrava volesse dire, ma adesso mi stai dando fastidio.
Ma non era vero. Nel profondo, Haruna non ne era affatto infastidita. Al contrario, era piacevolmente sorpresa. Sperava che Kiichi la seguisse. Ma non volle ammetterlo a sé stessa.
- Bene. – rispose con tono seccato. E Kiichi ci cascò. Lo guardò con occhi pieni di dispiacere, da cane bastonato. Ed Haruna fu abbastanza felice di vederlo in quello stato.
- Sei ancora arrabbiata con me?-
- Tu che dici?-
- Non volevo offenderti. Ti chiedo scusa.-
- Ah, tranquillo. Non è a me che devi chiedere scusa.-
Kiichi sospirò, come se volesse reprimere dentro di sé uno sfogo di rabbia :- Era una critica professionale.-
- Hai offeso una mia amica.-
- Lei non lo sa che penso queste cose.-
- Ancora peggio.-
- E’ una mia opinione, va bene? E se può farti star meglio, sappi che non sono l’unico della band a pensarlo.-
Haruna lo guardò piena di disprezzo :- Non mi interessa niente di quello che pensi. Né gli altri. Mi hai consigliato di mandarla via dalla band, solo perché non è tanto brava. Bhe, vuoi sapere cosa penso davvero? Anche io penso che non sia brava. –
L’aveva stupito, e non poco. Poteva leggerglielo in faccia. Non si aspettava un commento del genere. E questo fece sorridere Haruna.
- Sorpreso? Sì, lo penso. E sa cos’altro penso? Penso che nemmeno Mami sia brava, e neppure Tomomi, e neppure io. E allora? –
Kiichi ancora non proferiva parola. Haruna si sentì invadere tutto il corpo da una calda, piacevolissima soddisfazione.
- Di’ la verità: abbiamo fatto schifo stasera, vero? –
Kiichi non la guardò negli occhi quando disse : - Sì.-
Haruna gli rise in faccia : - Grazie per aver scoperto l’acqua calda.-
Kiichi risollevò lo sguardo. Finalmente, forse, aveva capito che tipo di persona aveva davanti. Una persona che non si accontentava, che non sarebbe mai stata soddisfatta di sé stessa, che avrebbe voluto migliorarsi sempre di più.
- Sapete cosa dovrete fare, adesso? –
- In che senso?-
- Per vincere il concorso.-
- Suonare in altri posti?-
- Non solo. Dovrete scrivere dei pezzi vostri. E sarà il pubblico a votarli.-
- Nessun problema, ce la faremo.-
Haruna si stiracchiò e si avviò verso l’entrata del locale. Non aveva voglia di pensare al futuro. Voleva solo godersi il presente, un presente felice e spensierato che non aveva mai avuto fino a quel momento. Ma prima che le sue orecchie fossero tappate dalla piacevole confusione del bar, sentì la voce di Kiichi alle sue spalle sussurrare:
- L’invito che ti feci tempo fa è ancora valido. Se hai bisogno d’aiuto per delle canzoni... basta chiedere.-

 

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Capitolo 21
*** Space Ranger ***


CAPITOLO 21, Space Ranger
" Saturniani
che fingono di essere Venusiani"

 
 
Agosto 2006, ore 18:30, Osaka (Giappone)
- Okay – Haruna respirò profondamente – Iniziamo! –
Mami, Tomomi e Rina, sedute per terra insieme a lei, in cerchio, annuirono. Haruna lanciò a terra, al centro, tutti i suoi fogli con i testi delle canzoni che aveva scritto durante gli anni. Alcuni erano pieni di testo, altri ancora avevano solo qualche riga buttata lì. In ogni caso, erano tutti confusionali e pieni di cancellature. Haruna non aveva mai terminato una canzone. Tutte e quattro si misero a sfogliarli, ognuna per conto loro, in silenzio. L’obiettivo era trovarne uno valido da cui partire per poter comporre il loro primo singolo. Presto Mariko avrebbe detto loro la prossima data del concorso della Kitty Records, e questa volta era obbligatorio portare un pezzo inedito. 
- Di nessuna di queste hai iniziato a comporre la musica, vero? – domandò Tomomi, dopo qualche attimo di silenzio. Haruna annuì, continuando a leggere quelle righe che lei stessa aveva scritto.
- Accidenti, è un problema.-
Haruna si riscosse : - Un problema? E perché?-
Tomomi fece spallucce : - Sono tutti buoni, per cominciare. Ma vanno riscritti.-
- In che senso scusa? –
- Penso che Timo intenda dire – s’intromise Mami – che non hanno una metrica. Cioè, sono belli, ma presi così come sono non potranno mai essere cantati. Bisogna prima avere in mente la musica, e poi scriverci sopra. –
- Ma senza un testo in mente – chiese timidamente Rina – come facciamo a comporre la musica così dal nulla? –
Tutte rimasero in silenzio. Nessuna sapeva come rispondere.
- Non ho mai scritto una canzone. – si giustificò Tomomi
- Nemmeno io, non so da dove cominciare. – si lamentò Mami.
- Dai ragazze, ce la possiamo fare. Scegliete tra i miei testi quello che vi piace di più, poi da una base cerchiamo di partire da zero. –
Era la leader. Nonostante anche Haruna si sentisse abbattuta e senza speranze, era consapevole del suo ruolo e sentiva di dover essere la colla che teneva insieme il gruppo, la roccia durante la tempesta, quella che più di tutte le altre non doveva mollare alla prima difficoltà. Quelle che aveva lì davanti erano le sue ragazze, e lei aveva il compito di spronarle.
- E pensare – si lasciò sfuggire – che Kiichi si era pure proposto di aiutarmi a scrivere la canzone.-
Ridacchiò. Alzò lo sguardo. Tre paia di occhi la fissavano allucinati.
- Ragazze, tranquille. Mi sono rifiutata. –
Le altre si guardarono tra loro, dubbiose. Haruna non capì quella reazione generale.
- Ragazze, che avete? Era così per chiacchierare… -
Mami si morse il labbro.
- Haru…- disse incerta – Forse è il caso che accetti la proposta. –
Haruna si indignò :- Ma stai scherzando? Questa è la nostra canzone, nostra e di nessun altro.-
- Sì, certo. Però… Kiichi ha già scritto tante canzoni. E gli Young Death hanno più esperienza. –
- Non voglio essere aiutata. –
- Non verrà mai una bella canzone, se facciamo tutto da sole. – disse Tomomi – Siamo ancora inesperte. Ancora non sappiamo suonare bene, figurati scrivere una canzone da sole. Gli Young Death sono amici nostri, non ci diranno mai di no.-
- Se gli dico di sì – commentò la cantante – verrà fuori una canzone degli Young Death, non delle SCANDAL .-
- No, questo mai. – Tomomi sorrise. Haruna la fissò interrogativa.
- Tranquilla. La canzone darà delle SCANDAL. Sarà sempre delle SCANDAL. – la rassicurò.
Haruna sorrise incerta. C’era qualcosa di strano nel tono de nell’espressione furbetto della bassista, ma forse era solo una sua impressione ed aveva detto quella frase solo per incoraggiarla. La leader stava mano a mano convincendosi.
- E poi – aggiunse Mami, sorridendo sotto i baffi – magari è la volta buona che concludete qualcosa, voi due.-
Questo commento fu la causa di una risata generale e dell’improvviso colorito rosato che s’impossessò delle pallide guance di Haruna.
- Ma cosa state dicendo? E’ ridicolo!-
- Lui ti piace.-
- No!-
- Ma tu piaci a lui.-
- Non è assolutamente vero!-
- Dai, si vede lontano un miglio! – cinguettò Tomomi – Anzi, ti dirò di più! Taro mi ha detto che da un po’ di tempo Kiichi era poco concentrato durante le prove, e che quando gli hanno chiesto cos’avesse lui ha risposto che era triste perché tu non gli rivolgevi più la parola.-
A questo punto l’intero viso di Haruna era diventato rosso come un pomodoro.
- Come mai avevi smesso di parlargli?- chiese ingenuamente Rina.
Haruna la guardò con malinconia.
- Nulla, Rina. Avevamo litigato… niente di importante.-
Rina fece spallucce.
- Sta di fatto – s’intromise nuovamente Tomomi – che il nostro Kiichi va nuovamente sedotto per benino, se vuoi che ti aiuti a scrivere una bella canzoncina.-
Haruna sbuffò. Non la convinceva tutto ciò. Scrivere una canzone sua, ma sua veramente, era un passo importante nel percorso che l’avrebbe portata al traguardo, alla realizzazione del suo sogno, e il pensiero che fosse qualcun altro a farlo le dava non poco fastidio. D’altra parte, se si faceva dare un aiuto, solo un piccolo ed innocente aiuto, non era poi così malvagio come inizio. Tanti artisti cantano testi non scritti da loro, si consolò.
- Bene! Domani parliamo con Shino, e vediamo di fissarti un appuntamento! Ora… – Tomomi si alzò e si stiracchiò – a chi va una pizza? –
 
Agosto 2006, ore 21:38, Osaka (Giappone)
- Sono a casa! –
Mami abbandonò lo zaino e la chitarra, riparata dalla custodia, in un angolino vicino all’uscio di casa.
- Ti abbiamo lasciato la cena in frigo! – rispose la voce lontano ed assonnata di sua madre, leggera e distante come fosse quella di uno spirito. Lavorava tutto il giorno ed andava sempre a dormire prestissimo. Per questo motivo Mami poteva permettersi di tornare tardi la sera, tanto i suoi non se ne sarebbero mai accorti. La famiglia non era molto presente nella sua vita, ma alla ragazza non importava. Non ne sentiva il bisogno. E poi, anche se da poco, se n’era creata una nuova, di famiglia.
Senza fiatare, andò in cucina s’impossessò della sua ciotola di riso assieme alla sua porzione di cotoletta di maiale, recuperò una bottiglia di salsa di soia da uno scaffale e appoggiò tutto sul tavolo. Si era appena messa comoda quando si accorse del cambiamento. Il tavolo sopra il quale mangiava sempre da sola, e che di solito a quell’ora era già sgombro e pulito, non era vuoto. A pochi centimetri dalla sua ciotola c’era un mazzo di fiori rossi, sicuramente proveniente dal negozio che aveva a pochi chilometri da casa (Mami riconobbe la carta da cui erano avvolti), un grazioso cofanetto dal dubbio contenuto e un piccolo biglietto con scritto x Mami. Alla ragazza per poco non caddero le bacchette dalle mani dalla sorpresa. Da dove veniva quella roba? Che fosse un regalo per lei da parte dei suoi genitori? Impossibile. Non avevano mai tempo per lei eccetto occasione speciali, e non era il suo compleanno. Con mano tremante prese il cofanetto e l’aprì con cautela, come se contenesse del materiale esplosivo. Fortunatamente, l’unica cosa che vi trovò all’interno fu una collana con un grazioso ciondolo argento a forma di fiore. Le ci volle solo qualche secondo per capire. La collana, i fiori… erano tutti e due i primi regali che aveva fatto a Misa per corteggiarla, quando ancora nemmeno lei sapeva di essere bisessuale. Il negozio in cui aveva preso i fiori era lo stesso, la gioielleria pure. Il messaggio era chiaro: Misa era stata lì e le aveva lasciato quei piccoli pensierini. Nelle mente di Mami tornò come un fulmine a ciel sereno l’immagine di quella graziosa ragazzina e dell’ultima volta che l’aveva incontrata, prima del concerto al Namba.
Ti amo, Mami.
Quella frase riecheggiò nella sua testa come un eco. Erano parole forti. Una bambina di tredici anni non poteva davvero conoscere il significato di “amare”, non ancora. Neppure Mami, che ne aveva ormai diciassette, poteva essere sicura di aver mai amato qualcuno, in quel senso. Né Misa, e neppure Shino. Eppure Misa sembrava così convinta mentre pronunciava quelle parole. Mami sentiva le lacrime agli occhi; era convita di essersi fatta odiare da lei, invece non aveva mai smesso di amarla. Ma lei… lei non ce la faceva. Grazie a Misa aveva scoperto di essere diversa, ma non era lei la donna della sua vita. Soprattutto in quel periodo, in cui – ora lo sapeva – si era presa una cotta per qualcun altro…
 
Agosto 2006, ore 16:57, Osaka (Giappone)
Haruna non aveva mai avuto problemi a suonare un campanello, fino a quel giorno. Eppure, in quel momento, le sembrò incredibilmente difficile. Quel bottone argentato era lì, di fronte a lei, e andava solo schiacciato con una leggera pressione del dito. Facile, veloce. Ma la ragazza era solo capace di rimanere immobile lì davanti, a guardarlo. Nemmeno lei si spiegava tutta questa agitazione. Aveva solo accettato un aiuto, tutto lì. Non era un appuntamento, non significava nulla. Per di più, aveva appena finito scuola e non aveva neppure avuto il tempo di passare da casa a darsi una sistemata. Era in divisa scolastica, i lunghi capelli neri arruffati, il viso stanco…
Sciocchezze, solo sciocchezze
Finalmente si decise e suonò il campanello.
 
Kiichi le aprì la porta abbastanza frettolosamente, come fosse di fretta o particolarmente occupato.
- Ciao Haruna! Entra, entra! –
- Sono in anticipo? È un brutto momento? –
- No, no, figurati! Solo… scusa il disordine! Stavo mettendo a posto proprio in questo istante.-
Appena entrati, Kiichi la condusse in una specie di studio, una stanza molto illuminata, piena di scaffali e di libri. La scrivania era nel caos, piena di libri aperti, penne e fogli anneriti dagli appunti.
- Stavi studiando?-
- Già.-
- Non ti voglio disturbare, magari torno un’altra volta.-
- Ti pare! Non preoccuparti! Tanto ho l’esame domani mattina, anche se iniziassi a ripassare adesso non cambierebbe più di tanto. Tranquilla, sono già preparato.-
Kiichi studiava all’università, alla facoltà di lettere e letterature. I suoi voti, almeno così diceva Shino, erano parecchio alti tanto da renderlo uno dei migliori del suo corso. Haruna non poteva stupirsi, quindi, se riusciva a scrivere canzoni così belle e fosse così abile con la metrica.
- Appoggia pure la tua roba dove vuoi.- disse il ragazzo, intento a spostare qualche foglio dalla scrivanie per fare spazio – Quando sei pronta iniziamo.-
Haruna appoggiò alla parete il suo zaino e la sua chitarra. Tirò fuori il foglio con la canzone che il pomeriggio prima aveva scelto assieme alle altre. Quando lo appoggiò sulla scrivania, Kiichi lo guardò con aria dubbiosa.
- Solo un foglio? Credevo avessi scritto più di una canzone.-
- In effetti è così. Questa è quella che hanno scelto le altre.-
- Potevi portarmi anche altre cose scritte da te. Mi piacerebbe molto leggerle!-
Oh, non se ne parla neanche.
- Oggi lavoriamo su questa – insistette Haruna, sorridendo imbarazzata – Poi chissà. Magari la prossima volta.-
Kiichi sorrise : - Mi fa piacere sapere che ci sarà una prossima volta.-
Haruna arrossì. Meno male che il ragazzo aveva abbassato lo sguardo per leggere il contenuto del foglio. Magari non se n’era accorto.
- Una canzone sullo spazio, eh? – commentò divertito il ragazzo, dopo aver letto.
- Rina l’ha scelto.- anche Haruna rise – Questa l’ho scritta quando ero più piccola. Mi piaceva guardare le stelle e inventarmi storie su alieni e pianeti. A Rina poi piacciono molto queste cose, e le altre hanno approvato.-
Sorrise pensando al suo primo giorno ad Osaka, quando Rina si era fermata di colpo per strada ed aveva iniziato ad argomentare la sua fervida convinzione dell’esistenza degli UFO.
Kiichi aveva smesso di ridere. Trovava quell’idea un po’ bambinesca, ma non fece alcun commento. Non voleva litigare un’altra volta con Haruna.
- Dunque…- iniziò a colpirsi leggermente la tempia con una matita, corrugando la fronte in un’espressione concentrata. Haruna non poté fare a meno di trovarlo terribilmente affascinante, immerso nel lavoro. – Intanto, le strofe, per avere una musica, devono avere tutte la stessa metrica, o almeno metriche che si sposino bene tra loro. Dobbiamo sceglierne una e basarci su quella per tutte le altre. Non so te… a me piace molto questa.- e indicò col dito una riga scritta da Haruna. La ragazza lesse:
“ Sì, sono sul palco dell’universo”
Haruna annuì. Andava bene.
- Bene.- Kiichi era molto serio in quello che stava facendo, studiava le scritte di Haruna con interesse. La ragazza non poteva dire di esserlo aspettato. Magari, nel profondo, sospettava che Kiichi avesse avuto secondi fini. Invece voleva veramente aiutarla! Haruna non sapeva se esserne sollevata o delusa.
- Per esempio, vedi, questa frase non va bene. Cioè, va bene, ma non scritta in questo modo. Dobbiamo riscriverla con altre parole, magari con una rima. Le rime rendono tutto più musicale.-
Il lavoro che li aspettava non era per niente facile. Anzi, solo per scrivere una strofa ci misero quasi un’ora e mezza. Ma il risultato fu più che soddisfacente. Haruna lesse estasiata il nuovo testo di quella canzone, più incalzante, ritmica, musicale… Finalmente aveva un senso! Quasi riusciva già ad immaginarne la melodia. Quella canzone – se lo sentiva – sarebbe nata molto presto.
- Kiichi – esclamò entusiasta – io davvero non come ringraziarti. È bellissima!-
- Ma di che. Per me è un piacere. E mi raccomando, appena sapete la data dell’esibizione ditemelo! Devo assolutamente esserci.-
- Certo! –
Il ragazzo la accompagnò alla porta. Il cielo si era oscurato, la sera stava ormai calando. Era il momento di andare alla sala prove ed iniziare a buttar giù qualche accordo.
- Bene. Allora io vado! Grazie ancora…-
Non le permise nemmeno di finire la frase. Prima che la ragazza si girasse per andarsene, Kiichi si sporse verso di lei e le diede un bacio sulle labbra. Semplice, veloce, ma sentito.
- Grazie a te.- commentò. Poi chiuse la porta di casa.
 
 
Ore 20:56
-Bella! –
- Sì, piace un sacco anche a me!-
- Possiamo iniziare a comporre sul serio?-
- Non mi sembra vero! Il nostro primo testo pronto! –
Rina e Mami erano esaltate appena avevano letto l’opera di Kiichi. Rina in modo particolare. Quel testo le piaceva davvero tanto, e si vedeva. Haruna era talmente contenta di vederle così al settimo cielo che si dimenticò di raccontare loro quello che era successo. Anzi, in quel momento non riusciva nemmeno a pensarci, tanto grande era l’eccitazione di quel momento. Un momento che aspettava da tutta la vita. L’unica che non aveva ancora parlato era Tomomi. Teneva il foglio in mano, lo leggeva e rileggeva in silenzio, il volto cupo.
- Timo, tutto bene? – chiese la leader, un po’ preoccupata. Non le piaceva, forse?
Tomomi alzò lo sguardo: - Sì, tutto bene. Il testo è fantastico.- il suo tono di voce non era per nulla convinto.
- Però? – insistette Haruna.
- Però…-
Tomomi prese una penna e si sedette per terra. Iniziò a scrivere sopra al foglio. Le sue tre amiche la fissarono stupefatto per qualche secondo, poi anche loro si stesero sul pavimento per vedere cosa stesse facendo.
- Ecco, vedete – commentava la bassista, mentre applicava le sue correzioni – questa frase è troppo romantica. Troppo… Kiichi. Troppo Young Death. No, no, si vede proprio che l’ha scritta lui. Io scriverei così… - - Ma questa? No, non ci sta proprio. Cancelliamo. - - Ecco, qui ci vedo di più questa frase…-
Tomomi cancellava alcune frasi e le sostituiva con altre nuove. Ma non lo fece a caso. Ogni suo cambiamento rispettava la metrica e le rime scelte da Kiichi.
- Tomomi…- Haruna era rimasta a bocca aperta – io non avevo idea… non avevo idea che sapessi scrivere così…-
- Non lo sapevo, infatti.- rispose Tomomi con un sorriso – Hai fatto bene ad accettare l’aiuto di Kiichi. Ma adesso che abbiamo capito come si fa, non avremo più bisogno di lui. Questa prima canzone serviva solo da esempio.-
Finì le sue modifiche, e finalmente le quattro ragazze furono pronte per iniziare a suonare. Mentre la canzone, col passare delle ore, prendeva forma, Haruna si rese conto di quanto fosse più bella la versione di Tomomi. E si rese conto anche di quello che intendeva precedentemente: quella non era una canzone degli Young Death. Era una canzone delle SCANDAL. A tutti gli effetti.

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Capitolo 22
*** Chiisana Honoo ***


CAPITOLO 22, Chiisana Honoo
"Respireremo, e continueremo a vivere,
fino al giorno in cui diventeremo stelle.
Anche se non stai avanzando facilmente
non verrai incolpato da nessuno."
Agosto 2006, ore 10:00, Osaka (Giappone)
 
- Chiunque mi costringa ad alzarmi alle nove e mezza per andare a scuola di domenica, deve morire! –
- Timo, non lamentarti, tanto avresti comunque dovuto studiare per la verifica di domani.-
- Chi? Lei?-
- Tanto è già sicuro che avrò tutte insufficienze alla fine del semestre, che senso ha studiare adesso? –
- Ragazze, l’unica cosa che so è che Mariko mi ha chiamato ieri sera dicendomi che doveva fare una riunione importante insieme a noi. E non penso voglia parlarci di scuola.-
Haruna, Rina, Tomomi e Mami si guardarono sorridendo, tutte e quattro accasciate sui sedili dell’autobus.  C’erano solo loro, lì dentro. In quella domenica di festa Osaka era popolata solo da poche persone, un contrasto incredibile rispetto al caos presente durante tutta la settimana. Gli studenti e gli instancabili lavoratori giapponesi, per una volta, si erano presi una pausa concedendosi una lunga dormita mattutina. I capelli scompigliati e le facce stanche delle SCANDAL tradivano un certo disagio, addirittura fastidio, nel non essere ognuna in compagnia con il proprio letto. Tuttavia, la curiosità di parlare con la loro professoressa era molto più forte della voglia di dormire. Nonostante fosse passata più di una settimana, l’eccitazione del concerto al Namba Hatch non ne voleva sapere di andarsene ed erano in trepida attesa di scoprire la data successiva del concorso. E di suonare la loro nuova canzone, ovviamente.
 
La scuola di domenica era completamente deserta. Quei lunghi e vuoti corridoi, di solito ghermiti di studenti, facevano quasi rabbrividire. Alle ragazze parve quasi di essere entrate in una nuova dimensione, come in una scuola fantasma.
- Mariko dov’è?- la domanda di Rina si disperse in una tremolante eco lungo tutto l’edificio.
- Penso ci aspetti nell’aula insegnanti. – disse Haruna. E fu proprio lì che la trovarono, intenta a correggere alcuni compiti.
- Salve ragazze, vi aspettavo. –
- Buongiorno sensei.- risposero le SCANDAL in coro.
La professoressa posò la penna e si tolse gli occhiali. Sembrava felice, serena. Il suo atteggiamento era completamente cambiato, dopo il concerto. Le ragazze sorrisero sollevate ancor prima che iniziasse a parlare. Sicuramente c’erano delle buone notizie in arrivo.
- Prima di tutto, complimenti per il vostro primo concerto, al Namba.- iniziò Mariko, con gli occhi che brillavano di una strana luce – Vi comunico che avete vinto la prima manche.-
- Evvai! – le ragazze si strinsero in un veloce, ma intenso, abbraccio di gruppo.
- E seconda cosa – riprese Mariko, frenando la loro eccitazione – la prossima data del concorso sarà allo Shiroten, tra una settimana.-
- All’Osaka Castel Park? – esclamò Mami, sgranando gli occhi – Se non sbaglio è dove l’anno scorso gli Young Death persero contro le GoGoGurls.-
- Esatto Mami. Infatti, se vincerete tutte le date, il concerto finale si terrà proprio lì. Però è ancora presto per parlarne. –
Mariko prese fuori un paio di fogli e si mise a leggerli : - Stavolta, però, dovrete suonare una cover e un pezzo vostro. Quindi vi conviene sbrigarvi, non avete molto tempo.-
- L’abbiamo già pronto, il nostro pezzo.- la interruppe frettolosamente Haruna.
- Sì! Ed bello, bellissimo! – esclamò Tomomi.
- Grazie Tomomi, sono contenta della notizia. I miei timpani un po’ meno.- disse Mariko, e le ragazze ridacchiarono – Comunque, vi consiglio di sfruttare questo tempo per riguardarvelo e magari aggiustare qualcosa. Una canzone non è mai perfetta, può esserci sempre qualcosa da cambiare. Ah, e ovviamente dovrete scegliere che cover fare. E stavolta consiglio che ne scegliate una giapponese. Le canzoni americane piacciono ai giovani, ma questo concorso è qualcosa di nostro. Capite cosa intendo? –
- Capito.-  annuì Haruna – Non si preoccupi, troveremo la canzone adatta.-
- Usate la saletta quando volete. Il giorno prima dell’esibizione verrò ad assistere alle prove, giusto per vedere come va. Ah, a proposito. – La sensei prese tre buste dalla sua borsa. – Mami, Haruna, Tomomi. Queste sono per voi. Lo stipendio di questo mese.-
Le ragazze presero le buste. Mami era tranquilla, era l’unica ad aver eseguito quel rito più e più volte. Haruna e Tomomi, invece, strinsero quelle buste come se stessere tenendo in mano il più prezioso dei tesori.  Haruna in particolare si sentì pervadere da una sensazione mai provata prima di allora. Quelli erano i suoi soldi. Non di Rina, non dei suoi genitori. Era suoi, li aveva guadagnati lei. E faceva un lavoro bellissimo, a contatto con gli strumenti, con ragazzi della sua età, con le sue amiche, con la musica. Avrebbe voluto mettersi a piangere dalla gioia, sfogare tutta la sua felicità. La sua nuova vita era appena iniziata e tante sorprese erano ancora in agguato, nell’ombra, vogliose di saltar fuori dal loro nascondiglio.
- Grazie Mariko!-
- Rina! –
Appena Mariko la chiamò, Rina alzò di scatto la testa, preoccupata. Aveva tenuto lo sguardo basso fino a quel momento, senza sapere cosa dire. La ragazza sapeva di non stare molto simpatica a quell’insegnante ed n più si sentiva pervadere da un enorme senso di colpa e angoscia. In quei giorni ci aveva pensato spesso: se non fosse stato per la ritirata di Misa, sarebbero veramente riuscite a vincere? E se avessero perso, sarebbe stata per colpa sua?
- Non ti andrebbe di lavorare con me? –  Mariko non era veramente sicura di quella scelta, eppure voleva dare una possibilità a quella ragazzina. Nonostante la tenera età rispetto alle altre, aveva dimostrato di avere un certo valore.
Rina rimase spiazzata da quella domande. Ci mise qualche istante a realizzare.
- Ah… ecco, non serve…- rispose insicura – Io un lavoro ce l’ho già.-
- Conosco il locale in cui lavori. E conosco il proprietario. È un uomo di cui non mi fido per niente, non credo che lavorare in quel postaccio sia la cosa giusta per te.-
- Non si preoccupi, è già tanto che ci lavoro.-
- Tu abiti da sola insieme ad Haruna, giusto? Ecco perché hai scelto quel lavoro. Senza gli adulti, voi giovani rischiate sempre di ficcarvi nei pasticci da soli. Rina, pensa alla mia offerta e pensaci su. Ti pagherò bene, e sarai in grado di esercitarti ogni volta che vorrai. So che hai tante cose da fare e non hai mai tempo, se continui così le altre miglioreranno mentre tu rimarrai indietro e…-
Allora era quello il problema! Rina, fremente dalla rabbia, non lasciò che la professoressa finisse il discorso e la interruppe bruscamente:- Sono sicura che riuscirò a fare tutto quello che dovrò fare. Non c’è bisogno che io cambi le mie abitudini. Grazie per l’offerta ma la risposta è no. E ora scusate se vi lascio, ma domani ho l’ultima prova di pianoforte e devo studiare se non voglio essere bocciata. Sayonara.
La ragazzina dal caschetto bruno si diresse a passo svelto e nervoso verso l’uscita. Haruna non poté fare a meno di lanciare a Mariko uno sguardo pieno di rimprovero.
- Che cosa ho detto?- rispose la prof con aria da ingenua
- Non è stata per nulla delicata. – anche la voce della cantante fremeva di rabbia – Ha idea di quanto si senta inferiore Rina, con tutta questa pressione che le state esercitando addosso? –
Mariko sentì nascerle nel petto una punta di senso di colpa. Ma svanì in fretta.
- Ragazze, siete amiche ed un bene che vi supportiate a vicenda, non solo per voi, bensì per il gruppo stesso. Però far parte di un gruppo richiede impegno da ciascun membro, e al momento Rina è la più debole di voi con il suo strumento. Se ci tenete a tutto questo, se è davvero il vostro il sogno, e se davvero, davvero volete quel contratto con la Kitty Records, allora è il momento che impariate ad essere più obiettive. –
Calò un silenzio eterno, che nessuno osò più rompere. Nemmeno Tomomi con le sue solite battutine.
 
 
Rina l’aveva già fatto, quell’esame di pianoforte, e l’aveva superato a pieni voti. Ricevette così tante lodi dai suoi professori, le dissero che aveva fato così tanti progressi in poco tempo. Perché con la batteria non poteva essere facile come con il piano? Perché a muovere le dita sui tasti non le dava alcun problema, mentre pestare un paio di pedali la metteva così in difficoltà?
Una volta fuori dalla scuola si mise a correre, e si fermò solamente quando fu sicura di essere abbastanza lontana da non essere raggiunta. Si diresse poi, con più calma, verso una zona abbastanza isolata di Osaka, dove era sicura non passasse molta gente. Soprattutto a quell’ora di domenica. Poi, finalmente, si fermò a riprendere fiato. Si sedette sopra ad un muretto e scoppiò a piangere, lasciando sfogare tutta la rabbia e la malinconia che aveva dentro. Mariko aveva ragione: le altre erano nettamente superiori a lei, e sarebbero migliorate ogni giorno di più. Non erano impegnate con nessun altro lavoro, non tenevano così tanto ai risultati scolastici quanto ci teneva lei. Forse aveva sbagliato a rifiutare l’offerta della professoressa, tuttavia il suo orgoglio era stato offeso, e lo sentiva bruciare di rabbia dentro le sue viscere. Forse voleva dimostrare che ce l’avrebbe fatta comunque, anche senza lasciare il lavoro o apporre ulteriori modifiche alla sua vita. In effetti era proprio questo che le aveva dato più fastidio: il fatto che Mariko volesse decidere cosa era giusto e cosa non lo era per lei. Ma cosa ne sapeva? Poteva permettersi di dire certe cose? Cosa credeva, che tutto il mondo ruotasse attorno a lei, alle SCANDAL e al suo concorso del cavolo? Era solo un’egoista, ecco cos’era, e la odiava senza neanche conoscerla, solo perché non sapeva suonare la batteria quando sapeva fare benissimo mille altre cose. Ecco, avrebbe lasciato la band, così sì che Mariko, senza una batterista per il suo bel gruppo, nel bel mezzo del concorso, si sarebbe trovata veramente nella merda. Se davvero pensava che fosse inutile, allora avrebbe mollato tutto. Si arrangiassero pure loro! Era stata stupida a cercare di inseguire quello schifoso sogno che suo zio le aveva impiantato nel cervello. Avrebbe dovuto dare retta ad Haruna fin dall’inizio, avrebbe dovuto unirsi alle SCANDAL come tastierista, sarebbe stato mille volte meglio per loro.
Già. Per loro. Ma non per lei.
- Rina! –
Rina alzò gli occhi colmi di lacrime. In piedi, davanti a lei, scorse una figura appannata, poco definita oltre il velo del pianto.  Riconobbe comunque la sua voce.
- Shino! – esclamò, tra i singhiozzi.
Avrebbe voluto alzarsi dal muretto e correre verso di lui. Avrebbe voluto abbracciarlo e piangere addosso a lui ancora più forte. Aveva, in quel momento più che mai, bisogno di un vero amico. E proprio perché Shino era un buon amico, tutto ciò non fu necessario: fu lui a sedersi accanto a lei e a stringerla forte a sé. Senza chiedere cosa avesse, senza chiederle assolutamente nulla. Rina si abbandonò a quella stretta, scoppiando in un pianto fortissimo, ricco di singhiozzi e respiri strozzati. Finché non depurò tutta la sua collera e tristezza fino all’ultima goccia.
- Rina, Mariko è fatta così. – cercò di consolarla Shino, dopo che lei gli raccontò tutto – Vuole la perfezione in questi concorsi. Non sai che ramanzine ha fatto a noi, l’anno scorso. Ed era sempre in competizione con quel produttore americano, quel Charles… e abbiamo pure perso contro le Go!Go!Gurls! ! Era talmente arrabbiata che non siamo andati a provare alla sala per due settimane intere.-
- Lo so che è fatta così.- commentò Rina, asciugandosi le lacrime, la voce ancora rotta dai singhiozzi – Il punto è che sempre essere così severa solo con me! Con le altre non dice mai nulla. E’ da quando l’ho conosciuta che mi rivolge solo delle occhiatacce, e le poche volte che mi parla lo fa solo per ricordarmi quanto faccio schifo.-
- Questo non è vero! Avrà tempo per insultare anche le altre, mentre andrete avanti. Fidati di me. – Shino sorrise mentre lo disse. Rina fece una risata forzata, solo per accontentarlo. Voleva sdrammatizzare, ma non gli stava riuscendo molto bene.
- Rina, alla fine c’è solo una cosa veramente importante, in questa faccenda.- Shino tornò serio – Tu, ci vuoi rimanere con le SCANDAL? –
Rina rimase in silenzio, titubante. Sembrava che nemmeno lei volesse sentirsi pronunciare la risposta.
- Lo vuoi, sì o no? – insistette l’amico.
- Sì. Sì, lo voglio.-
- Bhe, ma allora chettefrega? Vi frega veramente di vincere quel concorso? Noi lo abbiamo perso, abbiamo forse smesso di suonare le nostre canzoni? Sono quelli che pensano solo al successo, quelli come le GGG, i veri falliti. Finché tu suonerai per divertirti, allora sarai felice. Fallo male, fallo bene, chettefrega di quello che pensano gli altri? Non piacerai mai ad un pubblico, se prima non impari a suonare per te stessa. È la prima cosa da imparare, quando si sta sul palco.-
Rina rimase in silenzio a fissare il marciapiede sporco. Ripensò alla prima volta che aveva suonato, assieme agli Young Death, e poi pensò al concerto delle SCANDAL al Namba Hatch. Pensò alla paura dietro le quinte, alla gioia del palco, e alla liberazione ed eccitazione del post-concerto. Pensò poi al futuro, a quando avrebbero suonato Space Ranger davanti ad un pubblico. Il loro primo pezzo, per la prima volta, davanti ad un pubblico. Non vedeva l’ora di riprovare quell’ansia, poi quella gioia, poi quella liberazione ancora una volta. Ma chi prendeva in giro, non avrebbe mai lasciato le SCANDAL, nemmeno per orgoglio personale. Sorrise. Si sentiva meglio.
- Grazie Shino. Mi hai aiutato molto, davvero.-
Shino le sorrise dolcemente: - Lo sai che ci sarò sempre.-
Le diede un veloce bacio sulla fronte.
- Vieni, ti accompagno a casa.-
 
Ore 12:30
L’aveva chiamata almeno quindici volte, ma niente. Rina non si era fatta sentire per tutta la mattinata. Haruna camminava agitata per il salotto di casa, pensando ad una soluzione. Chiamare la polizia? Ma no, che idiozia! Rina sapeva benissimo cavarsela da sola, probabilmente era da qualche parte dove poteva riflettere in tranquillità. E se fosse uscita a cercarla? Chiamò Mami e Tomomi per chiedere se avessero notizie. Niente. Ormai si stava facendo prendere dal panico. Sussultò quando il rumore di una chiave nella toppa, poi lo schiocco della porta d’ingresso che si apriva. La vista di Rina fu come l’apparizione di un angelo.
- Haruna, scusami! – le disse Rina, con un’espressione dispiaciuto – Non sono tornata in tempo per preparare il pranzo…-
Non finì di parlare. Haruna le saltò addosso, abbranciandola forte.
- Checazzovuoichemenefreghidelpranzo!-
Rina sorrise e ricambiò all’abbraccio dell’amica. Haruna era sull’orlo delle lacrime dal sollievo.
- Sei pazza! Ti abbiamo cercata ovunque, eravamo preoccupatissime!-
- Haruna… - il viso di Rina era radioso – Sto benone, davvero! Non c’è motivo di prendersela. In fondo Mariko è fatta così.-
- Quindi è tutto a posto? –
- Certo! Valuterò la sua offerta di lavoro, anche se non sono ancora molto sicura. –
- Sono così contenta che sei qui! Dobbiamo festeggiare. Siediti, non fare nulla! Oggi il pranzo lo preparo io!-
- Ho un’idea migliore… e se andassimo a pranzo fuori?-

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Capitolo 23
*** DAYDREAM ***


Capitolo 23, DAYDREAM
" In questa città che riesce a stare pulita
come un sogno, io grido
ma tu non riesci a sentirmi"
.Agosto 2006, ore 10:00, Osaka (Giappone)
  • Ehi Shino! Guarda qui! –
Uno dei suoi compagni di corso gli aveva indicato un foglio attaccato a una delle tante bacheche poste nei corridoi della scuola. Nel foglio era ritratto un disegno, con scritte colorate fatte a mano, con quattro ragazze rappresentate in stile manga con degli strumenti in mano.
  • Non sono le tue amiche che hanno suonato al Namba? –
Shino rispose affermativamente. A quanto diceva il volantino, avrebbero suonato al Castel Park. Sorrise: lui ci aveva suonato un sacco di volte con gli Young Death, e sapeva quanto potesse essere emozionante esibirsi in un luogo del genere, dove era possibile attirare l’attenzione di tanti passanti oltre che ospitare un sacco di pubblico. Vide nelle SCANDAL un po’ di sé stesso, quando gli Young Death si erano appena formati e s’impegnavano per il loro primo concorso per la Kitty Records. Sì, bhe, che poi avevano perso…
  • Ti piace? – Mami era spuntata dietro di loro a sorpresa. Sia Shino che il suo amico sussultarono.
  • Sì, bello! – esclamò Shino
  • Grazie. I disegni li ho fatti io. Le scritte sono delle altre. Non sono un granché, ma desideravano tanto partecipare. –
Shino ridacchiò. L’amico gli diede una gomitata e si allontanò, dicendo qualcosa come che aveva da fare o che era in ritardo per il corso di disegno, nonostante mancassero dieci minuti al cambio dell’ora.
  • Quindi – Shino si grattò la nuca, un po’ imbarazzato – vedo che tu e le SCANDAL state andando bene! Suonate questo weekend eh? –
  • Sì, siamo molto emozionate. – Mami sorrise radiosa, come non sorrideva ormai da molto tempo – Dobbiamo ringraziare Kiichi di averci aiutate con la canzone! È venuta davvero bene. –
  • Non vedo l’ora di sentirla! E che cover avete deciso di suonare? –
  • DAYDREAM, di Judy and Mary. Ci sembrava adatta all’occasione. –
  • Sì, non male come pezzo. –
Rimasero qualche secondo in silenzio, senza sapere cosa dire. Avevano fatto pace, questo era vero, ma la tensione tra di loro doveva ancora svanire del tutto. In fondo si erano lasciati molto male, ed era difficile dimenticare una crisi del genere, soprattutto dopo un fidanzamento così duraturo e piacevole.
  • Dobbiamo ringraziare anche te, Shino. –
Il ragazzo rimase un attimo in silenzio senza capire.
  • Se non fosse stato per te, Rina avrebbe sicuramente lasciato il gruppo. – precisò poi la chitarrista – CI ha raccontato quello che ci ha detto. Avremmo perso la batterista e perso il concorso se non fosse stato per te. Siamo davvero in debito con te. –
Shino sorrise imbarazzato. Si era dimenticato della conversazione che aveva avuto con Rina.
  • Ho fatto solo quello che farebbe un buon amico. –
  • Lo so. Sei un grandissimo amico Shino! – Mami sorrise ancora. Poi continuò: - Non sai cosa mi è successo qualche tempo fa! Misa mi ha mandato dei fiori a casa. –
Shino la guardò perplesso
  • Come? –
  • E’ così! Mi sono arrivati dei fiori da lei! Cioè, erano anonimi, ma penso siano da parte sua. Pochi giorni prima mi aveva detto che mi amava ancora. In realtà, lei si è ritirata apposta dal concorso solo per me. –
Mami abbassò lo sguardo, mentre Shino continuava a guardarla allibito.
  • Quindi… - provò a dire il ragazzo, bloccandosi subito.
  • Cosa? –
Shino si riscosse: - Quindi tu pensi di amarla ancora? –
Mami alzò gli occhi al cielo, riflettendo. Poi sospirò: - Non lo so. Non credo. Con lei stavo bene, ma è così piccola. Non credo sappia veramente cosa vuole. –
Shino annuiva, ma con la mente era da tutt’altra parte. Ciò che Mami gli aveva appena confidato lo aveva lasciato senza parole.
  • Sono in ritardo per la lezione. – esclamò la ragazza, riportando Shino alla realtà – Grazie per la chiacchierata! Ci vediamo presto, okay? –
Mami si allontanò agitando la mano. Shino rimase bloccato dov’era, incapace di muoversi.
 
Agosto 2006, ore 16:45, Osaka (Giappone)
  • C’è un sacco di gente, eh? –
Si guardavano timidamente intorno, mentre montavano gli strumenti nello spazietto in cui avrebbero suonato. Era un bellissimo pomeriggio, il sole splendeva e il Castel Park ghermiva di persone. Molti erano intorno a loro, in trepidante attesa che il concerto iniziasse, ma la maggior parte erano dei semplici passanti. Haruna era particolarmente tesa.
  • Forse i volantini hanno avuto più successo di quello che ci aspettavamo. – azzardò Rina, cercando di alleggerire l’aria che tirava, sempre più carica di tensione.
  • Non credo. Mica suoniamo solo noi, in fondo. – commentò la cantante, con tono negativo.
  • Suoniamo noi e un’altra gruppo di Kyoto. Questi non possono essere tutti fans loro! –
  • Nemmeno nostri, dato che abbiamo suonato una volta sola. –
L’attenzione delle quattro ragazze venne catturata da uno degli organizzatori dell’evento, che faceva loro cenno che era quasi ora di iniziare. Le ragazze deglutirono.
  • C’è addirittura più pubblico del Namba. – aggiunse Tomomi mentre iniziava ad accordare lo strumento – Ehi bossu! Riuscirai a coinvolgere una folla tale? –
Haruna fulminò la bassista con lo sguardo. Come se non fosse già abbastanza nervosa! Non solo avrebbe dovuto cantare davanti a tutta quella gente, ma avrebbe dovuto cercare di rendere coinvolgente il concerto. Il ruolo di frontgirl era un peso che si faceva via via sempre più pesante.
Si mise in posizione davanti al microfono, con la chitarra già addosso.
  • Ciao a tutti, noi siamo le SCANDAL! –
La sua voce tremava, ma il pubblico applaudì lo stesso con entusiasmo. Rimase spiazzata da una risposta simile dalla platea. Guardò meglio, e notò che in mezzo alla folla alcuni visi famigliari: compagni di classe, amici conosciuti in giro e, ovviamente, gli immancabili Young Death. Kiichi le fece un segno d’incoraggiamento da lontano.
  • Vai Tomomi! – urlò Taro. La bassista rispose alzando il pugno.
  • DAYDREAM! – gridò Haruna, più tranquilla.
Rina diede il tempo, e iniziarono a suonare. Ogni preoccupazione, ogni ansia, ogni piccolo segno d’agitazione svanì come in una nuvola di vapore. Ancora una volta il divertimento e l’entusiasmo di suonare sopra ad un palco sovrastò tutto il resto. Haruna contò e suonò con disinvoltura, Mami e Tomomi comunicavano con il pubblico e persino Rina sembrava incredibilmente migliorata. La cantante notò Mariko che parlava con i membri della giuria, sorridente e radiosa. Haruna sentì crescerle dentro una soddisfazione mai provata prima.
  • Il prossimo pezzo è il nostro primo brano inedito: Space Ranger. Enjoy! –
Prima di dare l’attacco, le SCANDAL si guardarono tra di loro. Era il momento che avevano atteso da tanto.
 
La canzone era piaciuta. Già mentre suonavano avevano percepito una certa chimica con il pubblico: passanti che agitavano la testa a ritmo, qualche ragazzina che ballava, persone che già provavano a cantare il ritornello assieme a loro. Ebbero la conferma alla fine, quando ricevettero l’applauso più caloroso che avessero mai ricevuto.
  • Brave! Brave! –
  • Grandissime SCANDAL! –
  • Bis! Bis! –
Haruna era esaltata. Il loro turno era finito, eppure non aveva per niente voglia di lasciare quel piccolo palco. Avrebbe voluto vedere quelle facce sorridenti che la guardavano tutto il giorno, per tutti i giorni della sua vita. Eppure, mentre si guardava intorno, vide un’immagine che la lasciò spiazzata: Kiichi, in mezzo alla folla, la guardava con sguardo severo e a braccia conserte, senza applaudire.
 
Ore 21:20
  • Avete visto che successo? –
  • Abbiamo spaccato, ragazze, spaccato! –
  • Anche a voi hanno fatto i complimenti appena siete scese dal palco? –
  • Cavolo sì! Non ho mai visto così tante persone sconosciute rivolgersi a me! –
  • Haruna, tutto bene? –
Haruna si riscosse. Non stava ascoltando quel discorso da circa dieci minuti. Si era nuovamente incantata a fissare quella luce incandescente fuori dalla finestra: SCANDAL. SCANDAL. SCANDAL.
Non capiva come mai quell’insegna luminosa avesse un effetto così ipnotico di lei. Sapeva solo che ogni volta che la guardava cadeva in una specie di trans dalla quale era sempre più difficile uscire.
  • Scusate. – mormorò – Controllavo solo che le pareti fossero pulite. Sennò poi la sentivamo Mariko, domani. –
  • La tua pizza si fredda! –
  • Non ho fame. –
  • Okay ragazze, ho un annuncio importante! Rimanete lì, non vi muovete. –
Tomomi sparì saltellando dentro lo sgabuzzino degli strumenti. Haruna, Rina e Mami si guardarono confuse per qualche secondo, chiedendosi cosa la loro pazza amica dovesse dire di così importante. Pochi secondi dopo, Tomomi ricomparve con in mano un basso nuovo di zecca, di uno scarlatto brillante. Le ragazze inalarono un pesante respiro di sorpresa.
  • Ma quello è…- balbettò Haruna, indicando lo strumento.
  • Sì! È proprio lui! – la interruppe Tomomi, radiosa – L’ho comprato pochi giorni fa! Avreste dovuto vedere la faccia del mio ex capo quando mi sono presentata in negozio con in mano i soldi di Mariko. È stato il momento più bello della mia vita. –
  • Perché non ce lo hai detto prima? –
  • Non lo so, volevo aspettare. Volevo prima vincere al Castel Park prima di cominciare a suonarlo ufficialmente. E adesso che ce l’abbiamo fatta… -
  • Proviamolo! – esclamò Rina, precipitandosi alla batteria. Tomomi la guardò stupita, poi sorrise.
  • Dammi un ritmo, Rina! –
Rina attaccò, e Tomomi improvvisò un giro. Mami e Haruna le guardavano a bocca aperta. Entrambe avevano fatto enormi progressi, cosa che pochi giorni prima avrebbero pensato impossibile.
  • Quando hai imparato a slappare? –
  • Ehm, ieri! O la settimana scorsa, non ricordo. –
Haruna sentì una mano toccarle la spalla. Mami cercava di attirare la sua attenzione – troppo assorta nella jam delle due amiche – indicandole un punto fuori dalla saletta. Nel buio della sera, davanti alla vetrata, una figura le stava osservando.
  • Ci penso io, aspetta. – fece Haruna, mentre Mami era già pronta ad uscire per capire cosa stesse succedendo. L’amica la guardò dubbiosa, poi annuì a rimase ferma ad ascoltare il concertino delle amiche ritmiche.
Appena uscì all’esterno, l’aria fresca serale le pizzicò le cosce nude che uscivano dalla gonna dell’uniforme. D’istinto incrociò le braccia per proteggersi da quell’improvvisa folata di freddo.
  • Cosa ci fai qui? – chiese la ragazza, cercando di sembrare il più tranquilla possibile.
  • Cosa ci faccio qui? – sbottò Kiichi, con una rabbia che Haruna non gli aveva mai sentito in gola – Penso che tu lo sappia meglio di me. –
  • Volevo parlarti prima! – anche Haruna aveva alzato la voce, stavolta – Subito dopo il concerto. Ma sei scappato. Parlarne qui e adesso non mi sembra il momento adatto. –
  • Non volevo parlarti prima, ma ho cambiato idea. –
  • E quindi? Cosa vuoi dirmi, eh? Ti sei forse offeso perché abbiamo cambiato il testo della canzone? –
  • Mi avevi chiesto aiuto! Quella era la mia canzone e…-
  • No, Kiichi. La canzone era nostra, mia e del mio gruppo. Avevamo letto insieme la tua versione e l’abbiamo cambiata ulteriormente. –
  • Chi? –
Haruna esitò un attimo prima di rispondere.
  • Tomomi. –
Kiichi rivolse uno sguardo pieno di rabbia all’interno della saletta, dove Tomomi stava ancora suonando il suo nuovissimo basso, ridendo e scherzando con le altre.
  • Avete fatto male. Era un testo stupido. –
  • Bhe, la canzone è piaciuta! –
  • Perché la gente è stupida. Il mio testo aveva un senso ma quello… quello non era un testo! –
  • Era troppo romantico. –
  • Troppo… cosa?! – Kiichi la guardò allibito.
Haruna sostenne il suo sguardo. Ora non temeva più una discussione con lui e non aveva intenzione di perdere quella lotta. Nel litigio aveva lei la meglio, e non si sarebbe fatta abbindolare solo perché aveva avuto una cotta per il ragazzo che aveva di fronte.
  • Grazie per l’aiuto, Kiichi, ma da oggi in poi non avremo più bisogno di te per i testi. Sayonara. –
Prima che il ragazzo potesse ribattere qualcosa, Haruna era già dentro alla saletta, a battere le mani e ridere allegramente assieme alle SCANDAL.

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