Mors, mortis

di Julia of Elaja
(/viewuser.php?uid=237942)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il segreto della campagna ***
Capitolo 3: *** Una brutta esperienza per Griffith ***
Capitolo 4: *** Greentown Bay ***
Capitolo 5: *** Boom. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo





Image and video hosting by TinyPic

 
La luna splendeva alta nel cielo.
Mezzanotte: tutto taceva e Greentown dormiva sogni tranquilli, ignara del mostro che si muoveva nelle sue viscere.
Una città tranquilla, la classica cittadina americana che sembrava uscita da un film: le aiuole curate, le villette sempre ben tenute con giardini rigogliosi e tanto di bambini che giocavano per strada.
Tutto sembrava essere idilliaco in quella città: ma, forse, bisognerebbe diffidare da ciò che rasenta la perfezione.
"Allora, te la senti?".
Una macchina appostata sulla collina del cimitero e due ombre nell'abitacolo: a circa cinquecento metri dal cancello d'ingresso la Range Rover parcheggiata ondeggiava appena al muoversi delle persone al suo interno.
"Ma certo che sì!".
Matt e Ilva erano due ragazzi sempre pronti al rischio, adrenalina dipendenti quasi: per una scommessa banale su quanto sarebbe durata secondo loro l'idilliaca storia d'amore tra Jack, un loro amico, e Caroline, capo cheerleader del liceo Nickolson, avevano scommesso una notte al cimitero. Sei ore, dalle dodici alle sei del mattino. A dire il vero, la scommessa l'aveva vinta Ilva, quindi il ragazzo avrebbe dovuto passare la notte là dentro completamente solo. Ma lei, amante quanto lui delle cose proibite, aveva insistito per rimanere con lui.
"Allora scendiamo, no?".
"Immediatamente. Non vedo l'ora di iniziare questa nottata!".
Un rumore di portiere sbattute, il "bip-bip" dell'antifurto che si attiva nell'autovettura e poi i passi dei due ragazzi che si avvicinavano al cancello, la ghiaietta sotto i loro piedi.
"Tetro, eh?" Matt fece un cenno verso il cancello.
"Resurrecturis" recitò Ilva, indicando l'enorme scritta all'ingresso, posta sopra le sbarre di ferro "Coloro che stanno per risorgere".
"Brava, vedo che sai tradurre bene dal latino!" Matt la punzecchiò "La solita sgobbona".
"Non è vero!" Ilva si voltò a guardarlo e gli tirò un buffetto, poi  si fermò davanti all'ingresso, naturalmente serrato con le catene.
"Pronta a scavalcare, Stuart?" chiese Matt, iniziando ad aggrapparsi alle sbarre del cancello.
"Io sono nata pronta, McCarty!" rispose lei, ridacchiando, e iniziando a salire di quota tenendosi stretta alle sbarre.
"Sbrighiamoci, il custode passa dal cancello per mezzanotte e dieci" mormorò Matt "Sarà meglio muoversi".
Ilva annuì: adorava quelle scampagnate notturne, le aveva sempre fatte sin da bambina. E anche in quel momento, nonostante ormai avesse ventitrè anni, sentiva ancora quella voce di Matt da bambino, ad appena dieci anni, che la incitava a correre con lui verso il pericolo, che all'epoca poteva essere lo stuzzicare un cane randagio oppure lanciare sassi ad un alveare.
Quando toccarono terra, dall'altra parte del cancello, si voltarono a guardare l'impresa appena compiuta.
"Andiamo, Stuart!" lui le prese la mano, trascinandola nell'ignoto della nebbia che pian piano stava calando.
Fu l'ultima volta in cui Matt McCarty e Ilva Stuart furono più visti insieme.
La mattina dopo, i due ragazzi erano scomparsi.
Di loro nessuna traccia, la polizia pensò ad una fuga d'amore, la macchina era scomparsa e non avevano detto a nessuno dove sarebbero andati quella sera.
Cellulari spenti, messi chissà dove o forse gettati nel primo cestino, ormai quell'ipotesi era accreditata.
Il caso era chiuso, insomma: i due erano amanti segreti ed erano scappati via da lì.
In fondo, tutta Greentown lo sapeva, erano due ribelli, due ragazzi che avevano sempre espresso la volontà di allontanarsi da quella città troppo tranquilla per i loro gusti.
Quando Norma Hutch seppe della fuga dal padre, il pomeriggio seguente, fece spallucce alla notizia.
"Chi l'avrebbe mai detto che quei due stessero insieme?" fece, mentre sistemava i suoi capelli lunghi e crespi davanti ad uno specchio in bagno, raccogliendoli con una pinza.
"Be', in fondo io l'avevo sempre sospettato: insomma, erano sempre assieme, ventiquattro ore su ventiquattro, ogni giorno! E da quando avevano cinque anni!".
Gregor Hutch, il cinquantenne padre della ragazza era fermo sullo stipite della porta e teneva davanti agli occhi il giornale di quella mattina, che in prima pagina esponeva un articolo sul Presidente che quel giorno avrebbe incontrato il Santo Padre.
"Papà, io dico che la cosa è strana, strana davvero. Non so, ma conosco Matt e non è il tipo da fughe romantiche" ribattè Norma, spegnendo la luce in bagno e dirigendosi in camera sua.
"Ah, mai dire mai, Norma! Per amore si fa di tutto, sai? Si è anche disposti a cambiare e fare cose che mai prima avresti fatto!" il padre camminò verso la cucina.
Norma si gettò sul letto, sospirando: suo padre ne raccontava di storie, eh già. Ma quella della fuga d'amore di Matt e Ilva era davvero fantasiosa. L'ipotesi più plausibile era quella che i due ragazzi fossero semplicemente scappati di casa per chissà quale luogo sperduto, tutto qui. Nessun amore, nessuna fuga di una coppia di amanti segreti.
"Norma, c'è Andrew alla porta!".
La voce della madre della ragazza, Judith Kellergan da nubile, raggiunse le orecchie di Norma, che le urlò di malavoglia "Fallo venire in camera".
Pochi istanti dopo un ragazzo alto, con capelli castani e occhi scuri, l'aria divertita e un sorrisetto strafottente sul volto, entrò in camera della ragazza.
"Ciao Baby".
"Ciao Drew" gli rispose lei, senza muoversi dal suo letto, mentre il ragazzo prendeva posto su una sedia.
"Sentita la notizia?" chiese lui, maneggiando un grosso libro che era sulla scrivania della ragazza.
"Matt e Ilva?" rispose pigramente lei "Papà parla di una fuga d'amore".
"Lo dicono tutti" continuò lui "A quanto pare è l'ipotesi avvalidata dalla polizia. Ma quei due non sono capaci di una cosa del genere. Secondo me sono solo scappati da questa città, giusto così, per amore dell'ignoto".
"Lo penso anche io" concordò Norma, mettendosi a sedere sul letto e guardando il suo amico, finalmente, negli occhi.
Andrew le sorrise: "In pigiama sei favolosa. Perché non dici al tuo Nick di venire a trovarti ora?".
Il ragazzo evitò al volo un cuscino che Norma gli aveva lanciato: "Dico sul serio! Sei una bomba senza trucco!".
"Dacci un taglio, Drew. Lo sai che quello lì cerca solo una scusa per lasciarmi. Figurati se mi vedesse così cosa accadrebbe".
Andrew fece spallucce e si stese sulla sedia, posando le mani dietro alla nuca: "Dovresti lasciarlo, quel pallone gonfiato. Insomma, da quando un ragazzo non è geloso del fatto che il migliore amico della propria ragazza sia ogni sera a casa di lei? Eh? E poi, io sono dannatamente sexy. Potrei averti mia anche adesso, se solo ci provassi".
Norma scoppiò a ridere: "Sempre così modesto".
Lui ridacchiò: "Ehi, e soprattutto amante della verità! Non è forse vero che sono sexy?".
"Dannatamente" sottolineò ironicamente lei, trattenendo una risata a stento.
"Stronza" lui le rilanciò appresso il cuscino e la ragazza lo prese al volo.
"Che fai stasera?" chiese, rimettendolo dietro alla sua testa e stendendosi nuovamente, sul fianco destro per poter continuare a guardare Andrew.
Lui sorrise: "Esco con Mary. La porto in pizzeria e poi in campagna. Ci sa fare, sai? Soprattutto quando..."
"Non voglio sapere delle tue avventure serali. Risparmiami questo scempio, grazie" Norma ridacchiò maliziosa e Andrew rise con lei.
"Si è fatta quasi ora, sarà meglio che vada o quella gallina starnazzerà tutto il tempo" il ragazzo si alzò dalla sedia e si tirò su il pantalone che gli era leggermente sceso.
"In bocca al lupo, stallone" Norma gli sorrise e gli fece un occhiolino "E sta' attento a non generare prole".
"Mai sia!" rispose lui con tanto di gesto scaramantico, poi uscì dalla camera della ragazza. Pochi istanti dopo Norma sentì dalla cucina le voci dei genitori che salutavano il ragazzo e la porta d'ingresso chiudersi dopo la risposta di lui.
Prese il cellulare in mano, l'aveva sempre vicino a lei qualora Nick si fosse fatto sentire, ma nulla: nessuna chiamata, nemmeno un messaggio.
"Che grandissimo stronzo" commentò lei a malincuore, posando il cellulare alla sua sinistra sul cuscino e chiudendo gli occhi.
Si stropicciò gli occhi e ripensò alla giornata appena passata: aveva studiato tantissimo, quei dannati esami la stavano assillando.
Ma perché, perché aveva scelto di studiare medicina?
Sospirò e, a tentoni, raggiunse il tasto di spegnimento della luce e lo premette.
Il buio calò nella camera e la ragazza prese a resprirare a pieni polmoni, cercando di rilassarsi.
Aveva sempre amato il buio: le permetteva di rilassarsi, di stare tranquilla.
E quando le immagini iniziavano a farsi più confusionarie, nel dormiveglia, si ritrovò a fantasticare su Andrew, su quel che avrebbe fatto quella sera con quella Mary, quella gallina, come lui la definiva, con cui usciva solo quando gli andava, giusto una schiavetta da sfruttare.
Perché i maschi erano così stronzi?
E poi ecco Andrew che dice che per lui anche Norma è una di quelle gallinelle, che Nick gli ha detto di farla sua e lui ora la vuole per sè. E, ancora, Ilva a terra, vicino ad una lapide, completamente sporca di fango sul volto, che piangeva ranicchiata su se stessa.
"Aiuto... aiuto..." mormorava, quasi senza voce, le braccia strette attorno al suo corpo e la testa appoggiata sulle ginocchia.
E poi il buio. Solo il buio.
Norma sospirò nuovamente: diamine, la facoltà di medicina la stava davvero facendo diventare matta.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il segreto della campagna ***


Image and video hosting by TinyPic



Generalmente, a Greentown i nuovi arrivi erano sempre ben accetti: i vicini portavano torte e crostate ai nuovi arrivati, si organizzavano barbecue per la loro accoglienza nelle Domeniche più belle e ognuno aveva un sorriso o una bella parola pronti per essere sfornati.
Ma poi, alla fin dei conti, era tutto fumo e niente arrosto.
Quando Andrew Miles aveva perso suo padre, dieci anni dopo il suo arrivo con la famiglia a Greentown, gli unici ad esser stati loro vicini erano stati solo la famiglia Hutch e qualche altro amico. Su una città di circa centocinquantamila abitanti, appena una ventina erano stati con loro a supportarli ed aiutarli.
Al funerale, invece, era presente l’intera città: il padre di Andrew, beneamato e stimato proprietario del bar più in vista della città,“Le Cafè Central” , era stato pianto da tutti, sconosciuti compresi. Tanto dolore, tante lacrime.
Ma mai quanto quelle della famiglia Miles, che oramai aveva perso la loro colonna portante.
Così Andrew, ad appena quindici anni, aveva preso in mano le redini della casa: ormai da dieci anni gestiva il bar del padre, studiava all’università e aiutava sua madre nelle faccende domestiche, assieme a sua sorella Emily. E poi c’era Amy da gestire: la terza figlia della famiglia Miles, nata quattro mesi dopo la morte del padre.
Amy era una bambina vivace, pimpante, che richiedeva attenzioni costanti, come tutti i bambini della sua età; aveva appena concluso le scuole elementari e si apprestava a frequentare le scuole medie.
Andrew era quasi un padre per lei: quindici anni di differenza e la mancanza del papà avevano creato tra i due un rapporto meraviglioso, che con gli anni si era fatto sempre più stretto e affiatato.
Serena Miles, la madre, era felice e orgogliosa dei propri tre figli: avevano saputo reagire alla morte del padre, dandosi da fare in tutte le maniere possibili per darle una mano. Ogni volta che si sedevano a tavola, la sera, li guardava e li ringraziava per tutto ciò che ogni giorno facevano. E loro, sorridendo, le dicevano che era il minimo.
Andrew aveva sempre avuto, quindi, una vita abbastanza impegnativa: tuttavia non gli mancavano i momenti di svago, che era riuscito ad inserire sapientemente nelle sue giornate colme di impegni. La palestra, le belle ragazze da portare in macchina, una diversa per ogni sera, e l’immancabile appuntamento serale di tutti i giorni con la sua migliore amica Norma.
Norma l’aveva conosciuto quando si erano appena trasferiti a Greentown, durante una grigliata domenicale in compagnia di tanti altri vicini; all’epoca lei aveva sei anni, capelli corti portati a caschetto con la frangia e vestitini abbinati alle scarpette di vernice. Una bambolina.
Andrew, di un anno più grande di lei, aveva giocato con un gruppo di amici per tutto il tempo, Norma compresa.
Le si era avvicinato con una bottiglia di ketchup in mano, brandendola a mo’ di spada, con il beccuccio rivolto pericolosamente verso l’abitino blu di lei.
“In guardia, strega!”.
Norma aveva iniziato a correre, temendo di farsi macchiare, e si erano rincorsi per qualche minuto fino a quando, tutti e due, non rovinarono a terra. Inutile dire che il risultato fu una bella sgridata da parte dei genitori e i vestiti di entrambi macchiati di erba e ketchup.
E così si erano conosciuti, e da quel giorno erano stati inseparabili. La fortuna di abitare a solo cinque case di distanza, poi, permetteva loro di passare intere giornate insieme, al parco, in bici, o anche nel boschetto a raccogliere funghi e fiori. Poi c’era la scuola, e anche se non andavano nella stessa classe, c’era sempre l’occasione di incontrarsi durante l’intervallo per chiacchierare.
Erano stati anni splendidi, passati troppo velocemente. E quell’infanzia così bella, Andrew se la vide portata via quando suo padre li lasciò, così, senza preavviso.
Norma era stata notte e giorno a casa di Andrew, quando accadde.
Lei e i suoi genitori si erano praticamente trasferiti a casa Miles: ma chi aveva più bisogno di aiuto era Andrew e Norma, appena quattordicenne, entrava in camera sua e lo abbracciava. A volte rimanevano abbracciati in silenzio per un intero pomeriggio, quando Andrew era particolarmente giù.
Il giorno del funerale, Norma aveva dormito a casa Miles, su richiesta di Andrew.
“Ho bisogno di te” le aveva detto.
“Io ci sarò” gli aveva risposto Norma.
E lei c’era sempre stata per lui, così come lui per lei.
All’arrivo dei primi amori, Norma e Andrew si erano legati ancor di più: confidenze e segreti condivisi li avevano resi praticamente una cosa sola, lei consigliava lui riguardo il come comportarsi con le donne e lui insegnava a lei come far capitolare un uomo. Era un perfetto mutualismo, dove l’uno aveva bisogno dell’altra e viceversa. Uniti, sempre.
Giunti all'università, avevano deciso di dividere le proprie strade, per modo di dire: lei medicina, lui scienze dell’alimentazione, ma alla stessa sede universitaria, quella di Greentown.
E ogni giorno, dopo aver frequentato ognuno le proprie lezioni, si davano appuntamento all’uscita per tornare assieme a casa. Era il patto di una vita: sempre assieme, mai separati.
Quella sera, come tutte le altre sere, Andrew era appena uscito da casa di Norma e, entrato in macchina, si avviò per raggiungere Mary, una delle tante ragazze che frequentava quando gli andava.
Non era affatto fiero di se stesso, per questo: avrebbe di certo preferito una ragazza con sani principi, bella, sorridente e allegra, semplice, come piacciono a lui; ma, sfortunatamente, l’unica che rispettava tutti questi requisiti era Norma.
Da anni, ormai, si era reso conto di provare qualcosa per lei: ma poi lei era sempre impegnata con qualcun altro, e ormai da due anni era fidanzata con Nick.
Quando glielo aveva detto, felicissima, lui l’aveva abbracciata, dicendole che era davvero contento per lei… balle. Tutte balle. Avrebbe voluto spaccare il mondo per la rabbia. Lui la voleva per sé. Ma lei era di un altro.
E poi erano amici, quindi mai e poi mai Norma avrebbe potuto immaginare di piacere sul serio a lui. Pazienza, un giorno probabilmente sarebbe stato anche invitato al suo matrimonio, l’avrebbe vista felice tra le braccia di un altro mentre lui, sicuramente, non si sarebbe sposato affatto. Single a vita, con una ragazza diversa per ogni sera. Proprio come in quel momento.
“Ciao!”.
La voce di Mary che era appena entrata in macchina lo riscosse dai suoi pensieri: le fece un sorrisetto e le chiese “Hai mangiato?”.
“Oh, sì. Ma se tu vuoi potremmo…”
“No, non ho fame. Andiamo”.
Mise in moto la macchina e si diresse verso il buio delle campagne, dove avrebbe passato qualche ora per poter dimenticare e ingoiare a bocconi amari la triste verità: Norma non era e non sarebbe mai stata sua.
Passando davanti alla casa della ragazza ebbe un fremito: era davvero irritante saperla a casa, con quell’idiota del suo ragazzo che non le degnava un briciolo di attenzione, mentre lui smaniava per lei. Scosse il capo, guardò dritto davanti a sé la strada e accese la radio. Non ci voleva pensare, non in quel momento.
Aveva altri programmi per la serata.
“Cosa stai facendo?” sbottò, vedendo che la ragazza al suo fianco si era chinata e iniziava a baciargli le cosce.
“Voglio farti riprendere un po’!” rispose quella, il capo calato e le mani che armeggiavano con la cerniera dei pantaloni di lui “Stasera ti vedo giù”.
Ma certo, cosa ne voleva capire una sgualdrinella come quella dei suoi problemi, dei suoi pensieri su Norma, dell’amore per lei che cresceva sempre di più mentre lei gli era proibita?
Accostò dopo pochi chilometri dall’uscita della città, e in un tratturo di campagna spense il motore della macchina e i fari.
Si spogliò completamente e la ragazza si avventò su di lui, senza neanche dargli il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Non gli piaceva quella vita, la stava odiando: quella Mary e le altre cinque ragazze che si portava a letto erano solo utili per sfogare tutta la sua frustrazione, e capitava spesso che durante il rapporto immaginava che lì davanti a lui ci fosse Norma, e non Mary o una delle altre.
Prese la ragazza, già completamente spogliata, e le si gettò addosso, mettendoci tutta la forza che poteva nell’entrare in lei. Si sfogava così, dominava quelle cinque cretine che si accontentavano di una bella serata di sesso per poi essere riaccompagnate a casa.
E finiva tutto lì.
“Quanto mi piace” gemeva la ragazza sotto di lui e Andrew pensava che avrebbe dovuto smetterla con quella vita così dissoluta.
Ma il suo sguardo correva oltre, scrutava nel buio della notte che attorniava la macchina.
La nebbia stava calando, come ogni sera, ma c’era qualcosa di diverso…
“Mary!”.
“Che c’è?”.
Si interruppe: “C’è qualcosa là fuori”.
Mary si mise a sedere e spannò il finestrino con una mano: “Io non vedo nulla, Andrew”.
“Ne sono sicuro, fidati” rispose lui con tono duro “Qualcosa si è mosso là fuori. Rivestiti, se dovesse essere la polizia saremmo fottuti”.
La ragazza si infilò subito il vestito e lui mise direttamente il pantalone, senza l’intimo. Messa anche la maglietta, rimasero per qualche istante assorti nell’osservare l’esterno dal finestrino spannato.
“Andrew, avrai avuto un’allucinazione… dai, spostiamoci da qui, andiamo più verso l’interno!”.
Andrew non se lo fece ripetere due volte: accese la macchina e innescò la retromarcia a grande velocità.
“Io non ho avuto allucinazioni” sbottò “Ho visto qualcosa che si muoveva ma il vetro era appannato e non ho potuto capi…”.
La macchina fece un grande balzo e i due sussultarono: avevano urtato qualcosa durante la retromarcia.
“Diamine!” Andrew aprì lo sportello e scese dalla macchina per vedere cosa avesse preso in pieno.
C’era qualcosa sotto la macchina, che spuntava dal lato sinistro, sembrava quasi una scarpa.
Andrew prese il suo cellulare e illuminò quello strano oggetto per capire cose fosse.
“PORCA PUTTANA!”.
Cadde a terra, urlando come mai aveva fatto in vita sua.
“Cosa c’è?” Mary, terrorizzata, uscì dalla macchina e lo raggiunse, chinandosi a terra per aiutarlo ad alzarsi.
Ma Andrew non riusciva a fare altro che urlare e indicare sotto la macchina.
“L’ho ammazzato… oh mio Dio, l’ho preso in pieno!”.
Mary seguì il dito di lui per vedere cosa indicasse: un piede, con tanto di scarpa, spuntava da sotto alla macchina.
“No!” urlò inorridita la ragazza “No, non è possibile, non c’era nessuno, ho visto anche io nello specchietto retrovisore… non è… no…”.
Ma qualcosa non andava: Mary si chinò per osservare meglio il cadavere sotto la macchina. Eppure non c’era davvero nessuno che passava in quel momento, possibile che davvero non lo avessero visto?
“Ma che… o santo cielo!”.
Fu il turno di Mary a urlare. Un urlo agghiacciante che probabilmente avrebbe potuto essere udito sino in città.
“No! NO! NO!” si chinò da un lato e vomitò con un violento conato.
Andrew le si avvicinò, piangendo e tremando: “Cosa c’è?” chiese balbettando “Che hai?”.
“GUARDALO! O MIO DIO!” la ragazza piangeva, sporca di terra e vomito e tremava incontrollatamente.
Andrew abbassò il capo e guardò sotto la macchina, facendosi sempre luce con il suo cellulare.
Quando riuscì a vedere meglio quel che c’era sotto la macchina, si ritrasse come se ci fosse stato un animale pericoloso là sotto.
“MERDA! NO! NO!” urlava, strisciando a terra per allontanarsi da lì.
Con le mani che tremavano come in preda ad una crisi epilettica, digitò il 911.
“911. In cosa posso esserle utile?”.
“C’è un cadavere! Nelle campagne fuori Greentown c’è un cada… McCarty… io…”.
Dovette allontanare il ricevitore per vomitare violentemente, rannicchiato su un fianco.
Poi fu tutto buio.
Si risvegliò in un luogo dalle abbaglianti luci bianche, steso in candide lenzuola, con lo stomaco in subbuglio e la testa che gli doleva. Alcune macchie nere gli danzavano davanti agli occhi.
“Andrew!”.
Sentì qualcuno che faceva pressione sulla sua mano sinistra, qualcuno che gli stava anche carezzando il braccio.
Riconobbe la sua voce: l’unica che in quel momento voleva sentire.
“Norma” sussurrò, voltando il capo verso sinistra e incrociando gli occhi castani di lei, colmi di preoccupazione.
“Tua madre sta parlando con il dottor Smith. Cosa diamine è successo, Andrew? Mary parlava di retromarcia e qui si vocifera che siate passati con la macchina sopra ad un cadavere! Ma chi è?”.
Andrew voleva solo risvegliarsi, perché quello doveva per forza essere un incubo.
La bocca gli si era fatta asciutta, non riusciva a deglutire e aveva ancora il sapore del vomito in bocca.
Scosse il capo: “Io potrei anche non aver visto bene. Era buio e…”.
“Era Matt? Matt McCarty? Ho sentito un medico dirlo un’oretta fa, quando sono arrivata in ospedale, ma non ho capito se parlassero di Matt per altri motivi o…”.
Andrew scosse il capo: “Era lui”.
Norma spalancò la bocca, portandosi le mani davanti.
“Gli mancava un intero lato del corpo. Il sinistro” balbettò mentre sentiva le lacrime tornare a scendere e il vomito salire.
“O mio Dio” mormorò Norma “Matt ammazzato? Ma da chi?”.
“COSA VUOI CHE NE SAPPIA!” urlò Andrew “SO SOLO CHE QUESTA CAZZO DI COSA NON LA POTRÒ MAI LEVARE DALLA MIA TESTA! VOGLIO MORIRE!”.
“Signorina, fuori di qui, adesso!” un corpulento medico irruppe nella stanza e fece allontanare Norma di gran corsa mentre un altro iniettava un liquido nella flebo di Andrew.
Lui si dimenava, urlava, aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino in quel momento, aveva paura.
E poi aveva aggredito Norma, si sentiva un vero idiota.
Era davvero successo tutto quel guaio di quella sera?
E se sì, chi aveva ucciso Matt McCarty?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Una brutta esperienza per Griffith ***


Image and video hosting by TinyPic



La notizia del ritrovamento del cadavere di Matt McCarty arrivò alle orecchie di tutti, a Greentown, in poche ore di tempo, così che la mattina dopo l’argomento di discussione a tavola di tutti i cittadini, durante la colazione, fu esclusivamente quell’importante novità.
La domanda che ora tutti si ponevano era: se Matt McCarty era stato ritrovato cadavere, che fine aveva fatto allora Ilva Stuart?
Forse era lei l’assassina di McCarty? O forse anche lei era stata uccisa?
La polizia perquisì le campagne in lungo e in largo, ma non c’era alcuna traccia di eventuali aggressioni o segni di ruote di macchine tranne quelle della Bmw X3 di Andrew Miles. Nient’altro.
“Secondo me c’è lo zampino degli alieni” era la tiritera di Margaret McLeod, proprietaria di un negozio di ortofrutticoli non molto distante da casa McCarty “Quel povero ragazzo studiava quelle cose lì: doveva aver scoperto qualcosa di davvero importante e gli alieni devono averlo ucciso. E poi, tranciato in due: un essere umano non potrebbe mai uccidere qualcuno in una maniera così orribile!”.
Ma l’ipotesi degli alieni non fu presa minimamente in considerazione dagli inquirenti, nonostante l’insistenza della signora McLeod e di molte altre persone facilmente suggestionabili.
Tutti i sospetti puntavano su Ilva Stuart. E su Andrew Miles e Mary Avery.
Il fatto che i due si trovassero sul luogo del ritrovamento del cadavere era una cosa decisamente strana e sospetta, non solo per l’ispettore Griffith ma anche per il sergente Stahl e molti altri cittadini.
“Non sono stato io!” continuava a gemere Andrew Miles, ancora ricoverato in ospedale in evidente stato di shock “Come ve lo devo dire che conoscevo solo di vista Matt? A malapena ci saremo salutati qualche volta! Ho fatto retromarcia e me lo sono ritrovato sotto la macchina, ma era già morto! Vi sembro il tipo che va segando le persone a metà?!”.
L’ispettore Griffith tuttavia ogni giorno si presentava in ospedale per interrogare lui e Mary, i quali continuavano a ripetere che non c’entravano nulla con tutta quella storia e si erano semplicemente ritrovati il cadavere di Matt McCarty sotto la macchina.
L’intera città era sotto shock: mai e poi mai, nella storia di Greentown, si era parlato di omicidio. E poi, Andrew Miles, a detta di tutti un bravissimo ragazzo, non poteva di certo aver compiuto una cosa così orribile.
Ma la faccenda si fece sempre più torbida e, una volta fuori dall’ospedale, Andrew e Mary passarono un’intera giornata in commissariato, sotto il torchio dell’ispettore Griffith e del sergente Stahl.
“Dove si trovava la notte del dodici Novembre intorno alle ventiquattro?”.
Andrew sbuffò: “Agente, gliel’ho già detto, ero in giro con Eleonore Bogart, la stavo accompagnando a casa sua”.
L’ispettore Griffith, un uomo alto, con sguardo cupo e un bel paio di baffi a manubrio, continuava a guardare in cagnesco il ragazzo mentre fumava il suo sigaro cubano. Era un uomo che aveva sempre saputo trattarsi bene, intransigente e autoritario a detta di tutti, sposato ma senza figli. Un tipo burbero, difficile da convincere, abbastanza testardo e anche un po’ misogino. Insomma, non l’ideale di persona.
“Senti un po’, ragazzino” borbottò con tono diffidente “Eleonore Bogart non è in città, guarda caso è partita la mattina del tredici. La stiamo provando a chiamare ma non risponde. E i suoi genitori hanno detto di averla vista rincasare la notte tra il dodici e il tredici intorno alla mezzanotte e quaranta. Per quanto ne sappiamo, tu potresti benissimo essere andato ad ammazzare McCarty con lei per poi accompagnarla a casa”.
“IO A MEZZANOTTE ERO SOTTO CASA BOGART”.
“E allora perché diamine la ragazza è salita dopo quaranta minuti a casa sua, eh? Ce l’hai una spiegazione per questo? Cosa inventerai ora?”.
Andrew avvampò: “Ispettore, immagino che lei non abbia mai sentito parlare della parola sesso”.
Griffith dovette interrompere la sua boccata di sigaro e iniziò a tossire violentemente, gli occhi che lacrimavano e il respiro mozzo: “Cosa diamine hai detto, Miles?!” urlò quando riuscì a riprendere fiato.
“Sesso” ripeté il ragazzo, con tranquillità “Sotto casa della Bogart, in  macchina. Se non sa cosa significhi, posso farle un disegnino…”.
“Finiscila Miles” sbottò l’altro digrignando i denti “Chi può testimoniarlo, oltre alla Bogart, eh? Nessuno!”.
“Signore, ci sarebbero le telecamere di sorveglianza della banca affianco a casa Bogart. Se il ragazzo aveva veramente parcheggiato lì sotto come dice, forse potremmo…”.
“Sì, va bene Stahl, grazie” commentò secco l’ispettore guardando in cagnesco il suo sergente.
“In effetti, sì, molto probabilmente le telecamere avranno ripreso tutto. Il che mi scagionerebbe definitivamente”.
L’ispettore e Andrew si scambiarono occhiate colme di astio: “E va bene Miles, puoi andare. Ma se su quei nastri non dovesse esserci traccia della tua X3, ti avverto che non la passerai liscia”.
Andrew, senza proferire alcuna parola, prese la sua giacca, si alzò e uscì dall’ufficio dell’ispettore.
Chiusa la porta del commissariato, tirò un sospiro di sollievo: cosa diamine era successo? Chi aveva ucciso Matt McCarty? Qualche delinquente? O forse davvero Ilva Stuart?
Scosse il capo: la seconda ipotesi era davvero improbabile, Ilva era sempre stata una ragazza strana ma Andrew non la riusciva davvero ad immaginare mentre segava in due il povero Matt. No, decisamente non doveva essere stata lei. Ma chi, allora?
“Andrew!”.
Il ragazzo si voltò, riconoscendo la voce che lo aveva chiamato: “Amy!”.
La bambina gli corse incontro, gettandosi tra le sue braccia “Andrew, mi sei mancato. Cosa ti hanno fatto?”.
Andrew la abbracciò chinandosi verso di lei: “Sto bene, Ame. Non  mi hanno fatto nulla, avevano solo bisogno di farmi alcune domande. Ok?”.
“Ma è vero che Matt McCarty è morto? Il fratello di Lysa?”.
Andrew fece una smorfia: non si poteva nascondere assolutamente nulla a quella bambina; incredibile ma vero, riusciva a scoprire qualsiasi cosa.
“Sì, tesoro. Purtroppo è vero” sospirò nel dirglielo, mentre la prendeva per mano e raggiungeva sua madre e sua sorella sull’altro marciapiede.
“Drew!” Ross gli gettò le braccia al collo “Allora? Ti hanno scagionato?!”.
“Griffith non si fida di me. Mary è ancora dentro, ma io dovrei avere una registrazione di una telecamera che conferma il mio alibi. Secondo il medico legale, Matt è stato ucciso intorno alle dodici e venti, e io a quell’ora ero sotto casa Bogart. Le telecamere della banca dovrebbero aver ripreso tutto”.
Sonia Miles trasse un gran sospiro: “Che brutta storia. Orribile".
“Speriamo si risolva in fretta… notizie di Norma?”.
“Oh, sì, ha chiamato stamattina per sapere di te… le ho detto che appena saresti tornato a casa l’avresti chiamata”.
“Vado direttamente a casa sua. Oh, naturalmente la macchina mi è stata sequestrata in quanto elemento implicato nelle indagini… non so quando potranno ridarmela”.
“Abbiamo sempre l’utilitaria! Useremo quella, che problema c’è?” la madre gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla.
“Coraggio, andiamo a casa!” Andrew prese in braccio Amy e assieme alle altre due donne si avviò verso casa sua, il passo tranquillo e rilassato mentre nella sua testa c’era una guerra in corso.
Cosa era successo la notte del dodici a Greentown?
 
 
*
 
 
China sui libri da circa due ore, Norma Hutch cercava di ripetere l’immenso programma del suo imminente esame di anatomia patologica, con scarso successo: la sua testa era altrove, troppo presa dal pensiero dell’omicidio McCarty per poter ripetere le patologie infartuali epatiche.
Il campanello suonò nel preciso istante in cui chiuse il libro con un colpo secco:  udì alcune voci provenire dalla cucina, ma non riuscì a riconoscerle.
Le ronzava la testa e le tempie le pulsavano sgradevolmente. Tutto quello di cui necessitava al momento era una tazza di camomilla.
Alzandosi pigramente dalla sua sedia, infilò le ciabatte e si diresse con passo strascicato in cucina.
Ma già uscendo dalla camera riconobbe le voci che interlocuivano in cucina.
“Sono pazzi, questo è il punto! Non possono tenere per giorni un ragazzo sotto il torchio, è assurdo! E poi, che peccato avresti fatto tu, eh? Hai investito il cadavere, se fossi stato tu l’assassino saresti stato così idiota da chiamare loro? Avanti, Andrew, sono tutti una massa di idioti là dentro!”.
“Sono d’accordo con te, Greg”.
Andrew. Era la sua voce!
Norma sentì le gambe tremarle incontrollatamente: cosa avrebbe dovuto fare? Abbracciarlo? Ignorarlo? Saltargli al collo e piangere tutte le lacrime represse in quei giorni? L’ultima volta che si erano incontrati lui le aveva urlato contro di lasciarlo in pace. Ma, d’altronde, era la sera del ritrovamento e lui era decisamente fuori di sé…
Senza nemmeno rendersene conto, Norma si ritrovò in cucina pochi istanti dopo.
“Andrew” mormorò, fermandosi sull’uscio della porta e fissandolo con le braccia incrociate.
Il ragazzo era seduto su una sedia, i gomiti appoggiati sul tavolo e il capo chino, le mani che carezzavano il capo. Nello stesso istante, il ragazzo sollevò la testa di scatto e fissò Norma a bocca aperta.
“Norma” boccheggiò.
La ragazza gli si avvicinò e gli fece un sorrisetto incerto: “Ti hanno rilasciato, finalmente”.
“Proprio ora!” esclamò Andrew, forse a voce un po’ troppo alta “Quel Griffith mi ha tenuto per ore dentro!”.
Fissò la sua interlocutrice che gli era ormai davanti e lo fissava  a metà tra l’arrabbiato e il sollevato.
“L’importante è che tu sia qui”.
I due si abbracciarono all’istante, mentre Greg e Giudith commentavano dicendo “Povero ragazzo” e “Giudith, offri qualcosa di caldo a Andrew, prepara una cioccolata calda!”.
“No, grazie!” intervenne il ragazzo sciogliendosi dall’abbraccio dell’amica “Preferirei una camomilla. Mi ci vuole qualcosa che mi aiuti a rilassarmi, ho i nervi a fior di pelle”.
“Ci credo, povero caro!” commentava la signora Hutch mentre riempiva di acqua bollente una tazza abbastanza capiente. Norma faceva lo stesso al suo fianco.
“E allora, cosa si dice in commissariato?” chiese la ragazza, aprendo un pensile e tirandone fuori due bustine di filtrato per la bevanda “Hanno qualche sospetto che sia fondato, oltre a quello idiota riguardo te e Mary?”.
Andrew scosse il capo: “Parlavano di Ilva, ma solo perché non è stata ancora ritrovata ed è l’ultima persona che è stata vista con Matt.  Ma per ora non ci sono altri sospetti”.
Norma sospirò: “Questa faccenda mette veramente i brividi. Segato in due, sembra quasi un film dell’orrore!”.
“Puoi dirlo forte!” intervenne suo padre “La gente è matta, ve lo dico io! Io ogni giorno ho a che fare con certi idioti all’ospedale, l’altro giorno ad esempio una signora si è precipitata in Anestesia e Rianimazione per far anestetizzare il suo cane. Voleva dieci fiale di valium!”.
“Dieci fiale di valium?” Giudith sbatté le palpebre perplessa “Ma quanti anni aveva?”.
“Mah, secondo me aveva abbondantemente superato i settanta. Doveva essere alquanto suonata”.
Scuotendo il capo, la signora Hutch porse la tazza colma di camomilla a Andrew mentre commentava: “La gente sta impazzendo sempre più! Non ci sono più persone normali su questo pianeta! Stanno impazzendo tutti, uno ad uno! Dev’essere qualche sostanza nell’aria, o forse in quello che mangiamo! Pensaci, Greg, la percentuale di tumori è incrementata del dieci per cento rispetto all’anno scorso e in più la gente diventa sempre più matta!”.
“Vieni, andiamo di là” sussurrò Norma prendendo Andrew per mano e dirigendosi in camera sua mentre suo padre replicava all’osservazione della madre.
“Tua madre ha ragione, comunque: qui tutti impazziscono a vista d’occhio! Prendi Griffith: si è accanito su di me in maniera insana!” sbottò Andrew dopo aver posato la tazza colma di camomilla sulla scrivania e gettandosi a peso morto sul letto della ragazza.
“Già. E io sto impazzendo appresso a questo dannato esame” Norma fece un cenno all’enorme volume di anatomia patologica, ben chiuso, sul quale Andrew aveva posato la sua tazza.
“Allora, baby, cos’è accaduto qui tra la gente normale? Qualche novità?” chiese Andrew, virgolettando le parole “gente” e “normale”.
“Le solite stupidaggini” rispose Norma con tono spiccio “La notizia del cadavere di McCarty ormai è l’unico argomento di discussione in giro, ne parlano persino i professori in università. In quanto a Ilva Stuart, la maggior parte della gente pensa che lei sia l’assassina e che il caso verrà chiuso una volta riacciuffata dalla polizia. Ma io non penso che Ilva sia un’assassina”.
“Proprio quello che ho pensato io questa mattina” mormorò Andrew mettendosi a sedere “Non è il tipo di persona che compie omicidi. Ma, d’altronde, la gente è matta. Potrebbe aver avuto un momento di follia e ha ammazzato il povero Matt. No?”.
“Papabile come opportunità. Eppure non mi convince” Norma sorseggiò della camomilla dalla sua tazza, poi la posò anche lei sulla scrivania, andandosi a sedere accanto a Andrew.
“Qualcosa mi dice che anche Ilva ha fatto una brutta fine” commentò, guardando il suo amico con un misto di preoccupazione e ansia.
Lui fece spallucce: “E chi lo sa, baby. Ma per quanto mi riguarda, ho chiuso con i ritrovamenti di cadaveri!”.
Norma annuì: quella situazione era preoccupante e l’aveva profondamente scossa.
Un omicidio, a Greentown! Cos’altro sarebbe accaduto?
C’era da aspettarsi di tutto, dopo quel macabro ritrovamento.
La gente iniziò a rincasare prima la sera e i bambini non si vedevano più in strada dopo le sei del pomeriggio. Greentown aveva paura. C’era qualcuno malintenzionato là fuori e bisognava stare con gli occhi aperti, costantemente.
La polizia si ritrovò in quei giorni ad affrontare un’ondata di telefonate, che puntualmente arrivavano dal crepuscolo in poi, di persone che dicevano di aver visto un uomo aggirarsi nei dintorni munito di sega elettrica; una coppia di anziani fu così insistente al riguardo che, mandata una pattuglia a controllare la situazione, si scoprì che il tanto temuto personaggio altri non era che il falegname Arnold McKenzie, che aveva appena finito di riparare un’anta di un armadio in una casa lì vicino.
“Signora, la prego di non disturbarci la prossima volta!” aveva detto con tono sgarbato l’ispettore Griffith, il solito sigaro in bocca e il fido sergente Stahl alle calcagna.
“Signore, sono le otto di sera”.
“E allora, Stahl?”.
L’uomo, basso e con un'incipiente calvizie, abbassò il capo: “Vede, signore, oggi è il compleanno di mio figlio e vorrei poter arrivare in tempo a casa per poterlo festeggiare”.
“Sì, d’accordo, puoi andare. E visto che ci sei, accompagnami al commissariato”.
“Certo, signore!”.
L’autopattuglia che li aveva accompagnati era andata via da pochi minuti e i coniugi Swanson che li avevano fatti trafelatamente arrivare lì erano tornati in casa, con tanto di doppia mandata di chiavi.
“Questo posto è veramente da brividi” commentò Griffith entrando in macchina, mentre osservava attento le ombre dei faggi sulla strada e la fioca illuminazione sul viottolo.
“Oh, sì signore, ho pensato la stessa cosa quando siamo arrivati qui poco fa” rispose prontamente Stahl mettendo in moto la macchina.
Accesi i fari, con un colpo dell’acceleratore per dare man forte alla frizione difettosa, la macchina partì sbottando di tanto in tanto.
“Questa storia è da matti, Stahl” cominciò Griffith “Un ragazzo segato in due perfette metà e la sua amica scomparsa. Miles è innocente, Avery ha anche un alibi di ferro dato che quella sera era a casa dei suoi zii e ci sono ben tredici testimoni a confermarlo… allora chi diamine ha ucciso McCarty?”.
“La Stuart, signore?” suggerì timidamente Stahl.
“Sì, la Stuart” commentò l’altro aspirando una boccata di sigaro “Potrebbe essere lei. Ma quella ragazza non mi convince, Stahl, non credo sia il carnefice ma forse potrebbe essere un’altra vittima anche lei”.
“Lei crede, signore?”.
Griffith annuì, lo sguardo perso per le lunghe fila di faggi: gli sembrava di essere in un romanzo, uno di quelli di Agatha Christie, dove il brillante Hercule Poirot riesce sempre a trovare l’assassino e a sciogliere ogni dubbio. Ma, purtroppo, lui non era Hercule Poirot e quella era la realtà, non un romanzo di successo.
“Si direbbe, Stahl, che questa situazione sia molto simile a… FRENA STAHL! FRENA!”.
La macchina si fermò di botto a centro strada: il sigaro cadde di bocca a Ivan Griffith che, tremante, scese dalla macchina mentre uno spaventato Stahl chiedeva balbettando “Signore? Cosa s-s-suc-c-ede?”.
L’ispettore camminò ancora verso un faggio alla sua destra, il buio non gli consentiva di distinguere chiaramente la sagoma accasciata lì poco dinanzi a lui.
Quando fu abbastanza vicino, si chinò a fissare il giovane volto di Ilva Stuart che, esanime, esibiva un’espressione raccapricciante, la bocca ancora aperta in un silenzioso e disperato richiamo d’aiuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Greentown Bay ***




Image and video hosting by TinyPic

 

“Come pensi andrà a finire questa storia, Andrew?”.
Sulla spiaggia di Greentown Bay, centro balneare della città, Norma Hutch contemplava il profilo dell'oceano all'orizzonte, mentre il sole calava rapidamente.
Era passato un mese dal ritrovamento del cadavere di Ilva Stuart da parte dell'ispettore Griffith; da quel giorno uno strano silenzio era calato sulla cittadina.
Una storia che avrebbe dovuto suscitare un'esplosione di commenti, mass media e una funesta pubblicità per Greentown era invece stata messa a tacere immediatamente; troppe implicazioni negative ci sarebbero state per il turismo e l'economia della città. Così tutti tacevano e del “fattaccio” se ne parlava solo nei circoli per anziani, nei bar di periferia e nelle case.
E in spiaggia, in quel momento, ne stavano parlando Norma Hutch e Andrew Miles.
Norma era riuscita, in quel mese, a superare con ottima votazione il suo tanto temuto esame di anatomia patologica, con tanto di complimenti del professore che aveva lodato l'accuratezza del lavoro svolto, il lavoro certosino che la ragazza in quei mesi di studio aveva effettuato sempre con la massima attenzione.
Naturalmente sentire che Norma Hutch era più vicina alla laurea, con un esame in meno, aveva risollevato il morale della sua famiglia e del suo migliore amico, Andrew Miles; ma il suo fidanzato aveva avuto da ridire su questa cosa...
Norma sospirò sommessamente al ricordo di quel che era successo il 3 Dicembre: era passato ancora troppo poco tempo, eppure era certa che ora le cose sarebbero andate meglio... almeno per lei.
Nick Hopeless, invidioso del successo della sua fidanzata, l'aveva messa in ridicolo pubblicamente davanti a tutti in un locale, dopo aver bevuto apposta tre birre, un wisky invecchiato e due calici di vino rosso.
Mai Norma si era vergognata di più in vita sua, nemmeno quando era caduta giù dal palco durante la recita della Festa del Ringraziamento, a sette anni.
Nel caos generale del locale, quella sera, Nick si era alzato dal suo tavolo, dicendo a Norma di dover chiedere una cosa al barista. Altro alcool, naturalmente.
Tutti conoscevano Nick Hopeless e le sue manie di onnipotenza: i bambini più piccoli sghignazzavano alle sue spalle quando passava per le strade, ridacchiando e donandogli il simpatico appellativo di “Io Io”.
Qualsiasi cosa ci fosse in città, lui interveniva dicendo di essere il migliore nel saper organizzare cene di quartiere, o gare artistiche, o ancora era persino più bravo del pescatore anziano della città nel saper riconoscere le zone più pescose dell'oceano.
Naturalmente, il fatto che studiasse anche lui medicina come la sua fidanzata lo spronava a sfidare persino lei nello studio e nei risultati degli esami. E quando il professore di anatomia patologica lo aveva rimandato dicendogli che la sua preparazione era scarsa e imprecisa, lui davvero non aveva potuto accettare che invece Norma Hutch avesse avuto il massimo dei voti.
E come poter dimenticare quella orribile giornata, in cui era stato battuto dal suo nemico, da Norma? Con l'alcool, naturalmente.
Le conseguenze, dunque, furono a discapito della ragazza; quella sera, al Bounty Showing, tutte le persone si voltarono a guardare lei mentre il suo ragazzo importunava i presenti, totalmente ubriaco, vomitando sulle scarpe da mille dollari di Jeremy Perkins, figlio del grande imprenditore, o avvicinandosi a tre ragazzine adolescenti per commentare il loro abbigliamento provocante che consisteva in realtà in semplici maglie e jeans, o ancora brandendo il microfono per il karaoke come lazo e improvvisando un balletto che per lui doveva essere molto sensuale.
Norma, irritata e infastidita, si era alzata per scappare via dal locale, sotto gli sguardi di tutti; alcuni maligni già commentavano che di quella serata se ne sarebbe parlato per molti anni a venire, perché oltre a tutto quello che già Nick Hopeless aveva fatto, appena Norma era uscita dal locale aveva iniziato a parlare di lei.
Di tutto ciò che riguardava lei.
Le sue paure, le sue ossessioni, il suo disordine cronico, il fatto che fosse arrivata vergine a diciotto anni per poi essere “aperta” da lui, Nick Hopeless, il grande e potente uomo.
I buttafuori erano intervenuti quando aveva iniziato a parlare dei loro rapporti sessuali, scendendo nei minimi dettagli possibili; ma Norma era ormai lontana, ignara del fatto che di lì alla mattina seguente tutta Greentown avrebbe saputo che a letto era completamente disinibita, senza freni. E che la sua sesta di seno era uno spettacolo ineguagliabile vista da sotto.
Fu così che in meno di ventiquattro ore Norma Hutch si ritrovò a passare dalle stelle alle stalle: dalla gioia per il superamento dell'esame alla vergogna ad uscire da casa sua per ciò che la gente ormai sapeva su di lei.
L'unico ad esserle rimasto vicino, oltre alla sua famiglia naturalmente, era proprio Andrew Miles. Come sempre, d'altronde.
Era stato difficile persino per lui entrare in camera di Norma: per cinque giorni era rimasta chiusa, gettata su un letto a piangere, mentre i suoi genitori, disperati, le raccomandavano che quel buffone di Hopeless aveva già ricevuto una denuncia per diffamazione e danno all'immagine e alla persona.
Ma a Norma non interessava delle denunce: stava male, troppo male perché qualcuno potesse farla calmare.
A questo ci aveva pensato Andrew.
Quando Griffith si era precipitato con la volante a casa Hopeless, dopo una segnalazione ricevuta in caserma di urla e schiamazzi e rumori di mobili gettati a terra, non era rimasto poi tanto stupito di averci trovato Andrew Miles che urlava come un ossesso e Nick Hopeless tremante a terra, che gemeva e si lamentava, parecchi graffi sul viso, la camicia strappata e un livido nero sotto l'occhio sinistro, oltre a due incisivi rotti.
Griffith, senza fare alcun commento, aveva portato entrambi in centrale, ben ammanettati e tenuti d'occhio, seduti sui sedili posteriori della volante.
“Miles, una sola parola: perché?”.
Questa fu l'unica domanda che l'ispettore pose ad Andrew: e lui, strafottente come al suo solito, gli rispose: “Perché esiste, ecco perché”.
“Forse lei è un po' agitato per quello che Hopeless ha detto e fatto al Bounty Showing?” era intervenuto Stahl.
Andrew rise amaramente: “Forse. Ma non c'entra. Lui è solo un pallone gonfiato e meritava una bella lezione. Potremmo benissimo dire che è un assassino, visto che Norma sta morendo, chiusa in camera sua, dove piange solo e non beve né mangia”.
“Assassino, Miles?” ancora Stahl.
“Oh, sergente, so già dove vuole arrivare” lo anticipò l'ispettore “Ma non c'entra nulla con gli omidi Stuart e McLeod”.
“Come fa ad esserne certo?” Andrew si mise a sedere con il busto eretto “Le assicuro che la sera in cui ho ritrovato il cadavere di Matt McLeod, quell'idiota di Hopeless ha rifiutato di uscire con Norma! Me lo disse lei, quella sera, lo ricordo alla perfezione! Perché non gli fa qualche domanda, visto che è un idiota totale e potrebbe anche indossare questa maschera da imbecille per celare altre intenzioni?”.
“Andiamo, Miles! Hopeless un assassino!” ridacchiò Stahl “Lei è solo offuscato dalla rabbia e dalla gelosia”.
“Gelosia? E per cosa, sergente?”.
“Perché lui è il ragazzo di Norma Hutch, e non lei, signor Miles!” sbottò il sergente “Mi sembra evidente che questo è il motivo del suo accanimento contro di lui”.
“Sergente, stia zitto un attimo”.
Griffith guardò dritto negli occhi Andrew, il solito sigaro in un angolo della bocca e lo sguardo assottigliato: “Tu, Miles, dici che potrebbe essere implicato nella vicenda?”.
“Sì”.
Sospirò, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo: “Allora forniscimi delle prove. Almeno tre. Poi potrò interrogarlo come sospetto”.
Andrew boccheggiò per qualche istante: “Dice sul serio, ispettore? Mi sta chiedendo di aiutarla?”.
Griffith annuì, l'aria più seria che mai: “Fa' il tuo dovere, Miles, e cercherò di tirarti fuori da questa brutta storia dell'aggressione in casa di Hopeless. Ti sei cacciato nei guai, ma potresti anche uscirne pulito”.
“Farò del mio meglio, glielo giuro” Andrew si alzò con aria agguerrita, e uscì dalla saletta dell'interrogatorio lasciando il sergente in stato confusionario e l'ispettore intento a godersi il suo sigaro, lo sguardo che correva lungo le pareti e l'aria pensierosa.
Dopo essere uscito dal commissariato, Andrew si era precipitato a casa Miles.
“Norma, apri la porta” aveva gridato “Devo parlarti”.
Nessuna risposta.
“Norma, apri la porta, ho detto” continuò.
La sentiva sospirare dentro quella stanza, avrebbe voluto sfondare quella porta e andare da lei, abbracciarla... forse era arrivato il momento di dirle ciò che provava per lei?
“Norma” sospirò “Devo parlarti. Riguarda Nick e gli omicidi di Matt e Ilva. Io e Griffith pensiamo possa essere implicato”.
Rumore di passi. Il cuore di Andrew batteva a mille, in quel momento.
Passi leggeri, ovattati. Era a piedi nudi, lo si sentiva chiaramente, e si muoveva lentamente. Chissà in che condizioni l'avrebbe trovata...
“Vuoi aprirmi, Norma?”.
“Aspetta un attimo”.
Un brivido lo percorse da parte a parte: la sua voce si era ridotta ad un sibilo, da quanto tempo non parlava più? Davvero da cinque giorni non aveva emesso altri suoni se non singhiozzi?
Un istante dopo Andrew si ritrovò a fronteggiare una ragazza con capelli corti, grandi occhi nocciola arrossati e labbra screpolate.
“Norma! Cosa hai fatto ai capelli?”.
Lei gli sorrise: scure occhiaie le rovinavano il volto sempre luminoso, e alcuni segni rossi attorno agli occhi suggerivano il fatto che avessero pianto molte lacrime.
“Li ho tagliati” rispose la ragazza, la voce flebile “E ho fatto tutto da sola! Avevo voglia di tagliare i ponti con il passato, Andrew”.
Voltandosi, si fece largo tra scatole di scarpe e vestiti gettati a terra: gli armadi erano praticamente vuoti e un cumulo di giubbotti era gettato sul letto.
Norma indossava un jeans e una maglia a manica lunga, ma era scalza; Andrew sapeva che spesso le piaceva stare senza ciabatte, in camera, per poter camminare sul morbido tappeto che lui le aveva regalato cinque natali precedenti. Un tappeto rosso, circolare, che la ragazza aveva posto a centro stanza, tra il letto e la scrivania. E su cui si era gettata in quel momento, continuando ad avvicinare scatole di scarpe a sé e studiandone il contenuto.
Andrew si sedette affianco a lei, togliendo le scarpe anche lui e affondando i piedi nel tappeto: “Cosa stai facendo?”.
“Un cambio di stagione” fece lei gettando un paio di scarpe vicino al cestino “Era anche ora! Anatomia patologica non mi dava tempo di far nulla, neanche mettere via le robe estive e iniziare ad usare i maglioni più pesanti!”.
Andrew ridacchiò: “Che disordine in questa stanza. Si vede che è la tua”.
Norma lo guardò e gli ricambiò il sorriso: “Io lo so perché sei qui”.
Andrew la fissò intensamente: possibile che la ragazza avesse capito che lui provava qualcos'altro, oltre al volerle bene come un amico? E se sì, come aveva mai potuto scoprirlo?
“Ah sì?” cercò di temporeggiare, cercando di capire effettivamente di cosa parlasse la ragazza “Allora, sentiamo cosa hai da dire al riguardo”.
Fu un attimo di tempo, ma per Andrew sembrò durare una vita: Norma lo abbracciò, quasi avvinghiandosi alle sue possenti spalle, affondando il capo nell'incavo del suo collo e respirando a pieni polmoni: “Grazie, Andrew. Sei davvero il mio migliore amico”.
Ancora confuso, il ragazzo balbettò incerto “Be', baby, era il minimo che pote...”.
“Grazie per avergli spaccato la faccia. E per essere stato dietro la porta di camera mia tutti i santi giorni, a chiedermi di uscire. Sei speciale, Andrew Miles”.
Il suo cuore ora batteva all'impazzata: in quel momento sarebbe sembrato davvero stupido non baciarla, non dirle che era innamorato perso di lei, di quello che faceva, della sua voce, di tutto ciò che lei era...
“Non l'ho ancora lasciato, però”.
Il mondo gli crollò addosso, così come in un istante prima gli era sembrato di volare in alto: lo sguardo truce, si staccò dall'abbraccio e la guardò furente: “Tu cosa?!”.
Norma, spaventata, si morse un labbro: “Sta' calmo. Intendevo dire che lasciarlo via messaggi o con una telefonata non mi avrebbe dato modo di dirgli in faccia quanto mi faccia pena. Quindi stasera ci incontreremo e poi potrà anche andare a quel paese per me”.
Andrew annuì: “Sarà meglio per te, baby”.
La ragazza finalmente gli sorrise con fare divertito: “Sei il solito, Drew!”.
Risero assieme, sfiorandosi appena i nasi, senza distogliere i reciproci sguardi: dentro la testa di Andrew era in corso una battaglia, voleva baciarla, ma in quel momento lei era troppo fragile... e ancora fidanzata, agli atti.
“Cosa dicevi riguardo Griffith?” Norma si distaccò dopo qualche istante e riprese a esaminare le varie scarpe che la attorniavano; Andrew sbuffò per cercare di allentare la pressione e si sedette in maniera tale che la ragazza non notasse l'evidente gonfiore tra le gambe di lui.
“Ah, ecco, di questo volevo parlarti!” finse indifferenza mentre lei si chinava a raggiungere una scatola più lontana, lasciandogli in primo piano la visione del suo fondoschiena “Prima ho parlato con l'ispettore e abbiamo deciso di collaborare. Lavorerò per lui”.
“E in tutto questo cosa c'entra Nick?”.
“Sospetto assassino”.
Norma sbarrò gli occhi: “Cosa?”.
Andrew sospirò guardandola: era bella, con quei capelli tagliati alla “fai-da-te” e senza un senso, gli occhi che pian piano stavano tornando normali e le labbra tutte screpolate, le scarpe in mano e l'aria confusa.
“Senti, perché non ne parliamo da un'altra parte?”.
La ragazza inclinò la testa: “E dove? Io non ho voglia di uscire, c'è gente in giro e...”.
“Andiamo a Greentown Bay” propose lui, entusiasta, prendendole le mani “L'oceano d'inverno, a quest'ora, è deserto! Saremo solo io e te, Norma... che ne dici?”.
E così, trenta minuti dopo erano lì, sulla spiaggia, a guardare il tramonto: Andrew le aveva raccontato del suo sospetto riguardo Nick; e Norma gli aveva rivelato una preziosa informazione... forse la prima delle tre prove che Griffith chiedeva.
“La mia amica Cecily, il giorno dopo, mi ha detto di averlo visto girare da solo in macchina alle undici” gli aveva rivelato “E quando gli ho chiesto spiegazioni, lui mi ha risposto sgarbatamente che era a letto alle undici, già nel mondo dei sogni. E, soprattutto, che non dovevo fidarmi delle voci della gente o mi avrebbe lasciato”.
“I conti tornano” Andrew sfoggiò un sorrisetto compiaciuto “Ha mentito a te. Era in giro, è stato visto. Chi non riconoscerebbe la sua macchina?”.
“Già... con quel caratteristico sportello sfondato dal lato del guidatore, dopo quell'incidente che avemmo...”.
“Norma, io penso che lui possa aver ucciso Matt e Ilva”.
La ragazza scosse vigorosamente il capo: “No, Andrew. Può essere un bastardo, schifoso, razzista, masochista, egocentrico, pallone gonfiato e irrispettoso, testardo, idiota... ma un assassino no. Non ne sarebbe capace! Lui è un totale imbranato!!”.
“Mai dire mai, Norma” Andrew sospirò “Comunque continuerò a cercare informazioni su di lui. La cosa mi puzza”.
“Nick un omicida... ma dai! Già è assurdo sentir parlare di omicidi a Greentown... ma che quel demente sia un omicida davvero è impossibile, secondo me!”.
“Vedremo, Norma. Vedremo”.
Rimasero in silenzio, seduti l'uno affianco all'altra, a guardare il sole che ormai era andato via, a fissare i suoi raggi che ancora illuminavano la spiaggia.
“Come pensi andrà a finire questa storia, Andrew?”.
Il ragazzo sospirò, mentre due gabbiani calavano sull'acqua per posarvici sopra: “Secondo me non finirà, Norma. Ho la vaga impressione che andrà avanti per le lunghe. Ma ti giuro che prima o poi scopriremo chi c'è dietro a tutto questo. E se è davvero quell'idiota di Hopeless, è la volta buona che divento io un assassino. Lo uccido, davvero. E se la sarebbe meritata tutta”.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Boom. ***


Image and video hosting by TinyPic




 

 

I giorni passavano e lo strano clima di silenzio imperturbabile e turbato al tempo stesso si era ormai impossessato di tutti i cittadini della bella Greentown; i più anziani iniziavano a chiamarla, scherzando tra loro, "Darktown" per la serie di eventi funesti oltre che per il costante clima di terrore che si era insediato a pianta stabile lì da loro.

Eppure non vi era stata più alcuna misteriosa sparizione, né alcun ritrovamento di cadavere dopo quello di Ilva Stuart; due mesi dopo l'atmosfera, tuttavia, continuava ad essere pesante come una densa coltre di nebbia che sembrava offuscare l'allegra vita della città, ormai ridotta a porte blindate e rinforzate al coprifuoco alle otto di sera.

La gente non usciva nemmeno più per una passeggiata il pomeriggio; ci si riduceva ad uscir di casa solo quando era davvero necessario fare la spesa o bisognava andare a lavoro.

Le café Central era stato chiuso; Andrew non vedeva più nessuno passare dal suo bar né per un caffè veloce e neanche per una chiacchiera accompagnata da un buon croissant. Aveva chiuso i battenti con il cuore a pezzi. Chiudere quel bar significava chiudere tutti i rapporti con la figura del padre ancora in vita. Si era chiuso quindi in un insolito silenzio, forse anche peggiore di quello che aveva esibito alla morte del padre, perché quasi ingiustificato questa volta.

"Andrew, vedrai che in tempi più floridi e più tranquilli potremo riaprire il bar. Vedrai, tesoro, ce la faremo" cercava di rincuorarlo sua madre, ma il ragazzo si limitava a sorridere mestamente continuando a fissare il pavimento, come ormai era solito fare, per poi uscire di casa e passeggiare nel giardino sul retro.

Neanche Norma era riuscita a scucirgli una parola di bocca; "Che diamine ti è preso, eh?" gli urlò un giorno, esasperata, la luce del sole al tramonto negli occhi e la disperazione nel suo sguardo "Sono tre settimane che non parli, non rispondi alle chiamate, ti limiti solo a sorridere da grande idiota e fare spallucce, per poi voltare le spalle a chiunque ti parli e andare via. Hai subìto qualche lesione cerebrale?".

Ma a Andrew non andava di parlare, semplicemente perché c'erano troppe cose che avrebbe voluto dire; e poi era troppo arrabbiato con Norma per poterle rivolgere la parola senza urlare come un ossesso.

Pochi giorni prima della chiusura del bar, lei lo aveva raggiunto a casa sua con un grande sorriso sulle labbra; "Nick mi ha chiesto scusa. Anzi, mi ha addirittura chiesto di tornare con lui!".

Andrew aveva sgranato gli occhi in risposta; "Ma certo, così se tu gli avessi detto di sì avresti dovuto ritirare la denuncia per diffamazione! Cosa gli hai detto?".

"Oh, gli ho tirato un bel calcio dove puoi immaginare" aveva ridacchiato lei in risposta "E gli ho detto che era un verme schifoso. Ma poi... lui ha risposto... e mi ha detto qualcosa che mi ha fatto pensare parecchio a quel che tu avevi detto di lui".

"Cioè? Che è un imbecille patentato?".

"No. Mi riferisco al fatto che potrebbe essere implicato negli omicidi di Matt e Ilva. E sai perché?".

Fece una piccola pausa, per tenerlo ancora più sulle spine; "Mi ha detto, testuali parole: Se non ritiri la denuncia giuro che ti ammazzo, Norma. Ti uccido con le mie proprie mani".

Andrew era balzato in piedi; eccola, la seconda prova da fornire a Griffith! Nick era un violento e aveva forti impulsi omicidi. Era mentalmente instabile, quindi, anche se poi Andrew lo aveva sempre pensato.

Così aveva pazientemente aspettato la terza prova, quella definitiva per cui Griffith poteva considerarlo l'indiziato numero uno; ma una settimana dopo era accaduto qualcosa, che aveva completamente eliminato dalla sua testa ogni minimo pensiero riguardo Nick Hopeless.

Il giorno della chiusura del bar, dopo aver sistemato ogni cosa, aveva pranzato con Norma, a casa sua.

I genitori di lei erano fuori da parenti, ma la ragazza aveva preferito rimanere a casa sua; aveva cucinato per l'occasione un ottimo pasticcio di rognone accompagnato da patate al forno e un buon dolce fatto in casa. E aveva scelto del vino rosso d'annata per accompagnare il lauto pasto.

Norma non beveva molto; la sua ernia iatale la costringeva ad assumere alcool in quantità davvero irrisorie, così a volte preferiva non bere direttamente nulla se non acqua. Naturale, ovviamente.

Andrew, dal canto suo, aveva praticamente bevuto l'intera bottiglia di novello, così da non sentire più le gambe a fine pranzo.

"Sei completamente ubriaco" aveva riso lei sbeffeggiandolo mentre cercava di alzarsi dal tavolo mantenendosi con forza ad un mobile lì affianco.

"Aiutami invece di stare lì!" aveva sbraitato lui, i freni inibitori scomparsi a causa del vino; e quando lei gli si era avvicinata porgendogli il suo braccio, lui aveva approfittato dell'occasione e le si era gettato addosso con malagrazia, rovinando a terra con lei.

Proprio come quando si erano conosciuti; solo che in quel momento erano stesi sul pavimento del salone di casa Hutch, e non sul prato del barbecue come anni addietro.

"Dio, quanto sei bella" aveva detto lui, sorridendole con un'aria più idiota che mai.

Norma dapprima rise; "Sei ubriaco fradicio, Drew".

Ma lui non le aveva risposto; l'aveva avvicinata ancor di più a sé e l'aveva baciata.

Senza alcuna paura, né vergogna; la voleva per sé, soltanto per sé.

Se non in quel momento, quando avrebbe dovuto dichiararle quel che provava?

Quel bacio era tutto ciò che desiderava in quel momento; anzi, lo desiderava da anni! Sentì le labbra di Norma toccare le sue e improvvisamente si sentì il più forte del mondo. Con lei al suo fianco le cose sarebbero andate sempre bene...

"ANDREW!".

Uno schiaffo in pieno viso lo riscosse dai suoi pensieri poco puliti su Norma e sulla sua camera, a pochi passi da loro; e quando le rivolse uno sguardo abbacinato capì di aver commesso un grande, grave errore.

Lei sembrava fuori di sé; era in ginocchio, aveva la mano destra stretta in un pugno e con la sinistra si tastava le labbra.

"COSA HAI FATTO IDIOTA!?" aveva urlato, arrabbiata come mai Andrew l'aveva vista.

Alla sensazione estasiante di euforia era seguita la bruciante delusione; Norma non ricambiava quel bacio e ciò che Andrew provava.

Cosa avrebbe dovuto dirle? Aveva sbagliato, e di grosso... come aveva potuto pensare che il suo potesse essere corrisposto? Che stupido era stato; l'alcool l'aveva reso così sicuro di sé... troppo sicuro.

"Io" tentennò, mettendosi in piedi cercando di non piegarsi su un lato e vomitare, un po' per l'alcool un po' per la vergogna di quel che era accaduto "Colpa del vino" sospirò "Credo".

"Ah credi?" aveva urlato Norma, mettendosi in piedi e guardandolo come se fosse un insetto "Se pensi che io sia una delle tante puttane che ti porti a letto, allora hai sbagliato di grosso, pezzo di me...".

"COSA!?" Andrew era balzato in piedi e soffocando un conato l'aveva poi scrollata per le spalle "Norma, io ti amo! Da anni! Non sei assolutamente paragonabile a quelle troie che mi sono sbattuto".

Ma lei scosse la testa, sgusciando via dalla sua stretta come un'anguilla; "Fuori da casa mia. Adesso".

"Finiscila. Non fai sul serio".

"VA' FUORI!".

Seguì un pesante e infinito silenzio, in cui lei fissava insistentemente il pavimento e lui guardava la sua amica come se gli avesse appena detto di essere un alieno; Andrew prese le chiavi della sua macchina e uscì da casa Hutch sbattendo la porta d'ingresso. Norma lo sentì ripartire con un rumore di gomme che accelleravano d'improvviso e un cattivo odore di uova marce.

Ma le sorprese per lei non erano ancora finite, quella giornata; dopo aver rassettato la cucina, imponendosi di non pensare a quel che era accaduto anche se inutilmente, si era accasciata sul divano della cucina e aveva acceso la televisione. Chissà, forse guardare il notiziario l'avrebbe distratta da quegli assurdi brividi che la pervadevano al pensiero di quel bacio con Andrew...

"Idiota, idiota, mille volte idiota!" aveva urlato rivolta alla televisione, sul cui schermo un'avvenente donna annunciava le previsioni metereologiche per le giornate a venire.

Naturalmente, si riferiva a Andrew, e non a Kyle Donovan che con i suoi lunghi capelli biondi e il suo impeccabile sorriso evidenziava un fronte artico in arrivo di lì a poche ore; perché lui l'aveva baciata? Perché aveva rovinato tutto in quella maniera balorda?

Non che il bacio le fosse dispiaciuto, anzi; era stato inaspettato ma gradito. Eppure qualcosa dentro di sé aveva scalpitato così tanto da reagire in quella maniera, forse esagerata.

"Non possiamo stare assieme" continuava a ripetere lei "Ma non so neanche io il perché!".

Si stese sul divano, gli occhi che correvano per il soffitto e le braccia abbandonate lungo il corpo; forse sarebbe stato meglio chiamare Andrew per chiedergli scusa... o forse no, era lui che doveva chiederle scusa! Ma certo, sicuramente lui era in torto marcio! Come minimo sarebbe tornato piangendo e implorando perdono, magari con un bel mazzo di fiori...

Il campanello suonò inaspettatamente, interrompendo il flusso di pensieri che aveva invaso la testa della ragazza; "Arrivo!" esclamò. Possibile che Andrew fosse già tornato con la coda fra le gambe?

Aperta la porta, però, Norma non trovò nessuno ad attenderla; la strada era deserta, a parte un cane randagio qualche metro più in là.

Osservò attentamente tutto attorno a sé; forse era uno scherzo stupido di qualche ragazzino?
Eppure non c'era davvero nessuno lì; prima di voltarsi per rientrare in casa, però, diede un'ultima occhiata alle sue spalle.

La cassetta della posta era aperta.

E qualcosa sporgeva da lì; un foglio bianco, constatò Norma appena fu abbastanza vicina, prendendolo in mano ed esaminandolo.

Era piegato in due; lo aprì e scoprì una fitta calligrafia longiforme che aveva riempito quella singola pagina con dell'inchiosto nero di penna stilografica, per quel che lei intuì di primo acchitto.

E lesse, avidamente, curiosa di capire chi le avesse scritto e, soprattutto, cosa.

 

 

Mossa sbagliata, Norma.

Hai salutato per bene il tuo amichetto, prima che andasse via?

 

 

La scrittura sembrava infantile; larga, sbavata, piena di macchie d'inchiostro ovunque.

Eppure Norma non poté non avvertire un orribile sensazione di vuoto allo stomaco invaderla all'improvviso; si precipitò in casa, prese le chiavi e dopo aver sbattuto la porta alle sue spalle corse a perdifiato verso casa Miles, molto vicina da lì.

"ANDREW!" urlava a perdifiato, correndo verso l'abitazione del ragazzo; urlò altre quattro, cinque volte, finché non si ritrovò davanti alla porta di ingresso della casa della famiglia Miles.

Suonò ripetutamente più volte, quasi sfiorando l'isteria; doveva accertarsi che stesse bene, magari era solo uno stupido scherzo...

"Norma?".

Si voltò; dalla sua BMW X5 stava scendendo in quel momento proprio Andrew.

"IDIOTA PATENTATO!" urlò lei precipitandosi verso di lui "MI HAI FATTA PREOCCUPARE!".

"Ma che stai..." Andrew non fece in tempo a completare la frase che un pugno della ragazza lo centrò in pieno volto. Precisamente sul naso.

 

 





"Sei stato fortunato, Andrew; il setto nasale non è stato deviato. A quanto pare il colpo che hai preso non è stato molto forte".

Il dottor Belmont sorrise benevolo al ragazzo, seduto su un letto di ospedale sotto lo sguardo colpevole e adirato al tempo stesso della sua amica Norma.

"La prossima volta però cerca di evitare di correre per le scale; avresti potuto fratturarti un femore, il che sarebbe stata una cosa alquanto sgradevole, sai?".

"Certo dottore. Ho imparato la lezione: non devo più correre per le scale"; Andrew aveva scandito ogni singola parola fissando furibondo Norma, che in risposta aveva abbassato lo sguardo, quasi mortificata. Il ragazzo non aveva raccontato a nessuno che era stata lei a tirargli quel pugno che poi gli era valso il naso gonfio e dolorante ma, per fortuna, non rotto.

Così quando il medico fu fuori le si rivolse con tono minaccioso: "Chiudiamola qui, Norma. Facciamo finta che non sia successo nulla e torniamo a casa".

La ragazza annuì, sempre continuando a fissare il pavimento; "Se avessi saputo che quel bacio mi sarebbe valso tutto questo macello allora sarei stato fermo al mio posto".

"Guarda che quel pugno te l'ho tirato per un altro motivo, imbecille" Norma sbuffò.

"Ah sì?" commentò sarcastico Andrew "Illuminami, allora".

La ragazza gli gettò il foglio che aveva trovato nella cassetta postale, ormai stropicciato e raggrinzito poiché lo aveva tenuto in mano tutto il tempo e distrutto per il nervosismo e la paura.

"Ma che razza di scherzo è questo?!" sbottò Andrew dopo aver letto.

"Io mi sono preoccupata" rispose allora la ragazza, mettendosi in piedi e facendoglisi più vicino "Visto quel che è successo a Matt e Ilva, quando ho letto questo foglio ho pensato che ti avessero fatto del male... così mi sono precipitata a casa tua e...".

"E in quel momento io ero appena tornato dal mio giretto in macchina per distrarmi un po', visto quel che era accaduto" aveva completato la frase lui.

Scese il silenzio; i due amici si guardarono per qualche istante, poi Norma si gettò su di lui mentre il ragazzo la teneva stretta a sé con le sue braccia possenti e palestrate.

"Scusami" aveva sussurrato lei "E non solo per il pugno".

"Va tutto bene. Scusami anche tu per quel bacio".

Rimasero così per qualche istante; poi il cellulare di Andrew squillò, facendo sciogliere i due ragazzi dal loro dolce abbraccio.

"Pronto?" rispose il ragazzo.

Una voce bassa e cupa rantolò qualcosa al telefono; poi si udì un tremendo boato, che proveniva dal parcheggio esterno dell'ospedale.

Norma si precipitò alla finestra; boccheggiando, si voltò a guardare Andrew.

"La macchina" urlò, tremando  da capo a piedi e indicando il parcheggio "La macchina è...".

"Lo so" le urlò Andrew in risposta tremando incontrollatamente; indicò il cellulare nella sua mano, che teneva lontano come se anche quello potesse esplodere da un momento all'altro.

Qualcuno stava giocando sporco; era forse l'assassino di Matt e Ilva che stava tornando a colpire?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2132639