Il sincronizzatore: Il grande viaggio di Fuyu (/viewuser.php?uid=99498)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro oltre il muro ***
Capitolo 2: *** Viaggio lungo Calm ***
Capitolo 3: *** Incontro alla capitale ***
Capitolo 1 *** Incontro oltre il muro ***
Primo capitolo
Incontro oltre il muro
34°
S., anno 1500. Ultimo giorno del II ciclo, regno di Algora, da qualche
parte ad Est dalla capitale. Attraverso una stradina di sabbia, una
ragazza incappucciata stava camminando, seguendo una sfera luminosa
arancione. Il buio imperversava e il vento freddo, della notte, le
gelava le mani. La sfera volava a mezzo metro da terra e la sua luce
era abbastanza per far vedere dove metteva i piedi alla ragazza.
Ormai camminava da quasi un giorno e la stanchezza, la fame e il sonno
si facevano sentire, oltre che il freddo. Sapeva di non poter
tornare in dietro, era consapevole che se fosse tornata sui suoi passi
l'avrebbero uccisa, quindi, l'unica cosa che poteva fare era seguire
quell'inconsueta guida e sperare. Finalmente, dopo altri minuti, un
muro si stagliava davanti a lei. La struttura era alta, venti metri
e, la ragazza, dal punto in cui si trovava, non riusciva a vederne la cima. Era di
solida roccia e, probabilmente, molto spesso, l'unica soluzione era
scalarlo, ma neanche lei sapeva cosa ci fosse al di la.
Algora era un regno chiuso, nel vero significato del termine. A Nord,
vi era solo un isola, denominata "Terre Perse", a Est una catena
montuosa, a Sud un bosco infestato da creature -che spaventavano fin
dall'alba dei tempi- e a Ovest questo muro. La ragazza non sapeva cosa
ci fosse al di la di tutte queste cose, aveva sempre vissuto in pace e
nella beata ignoranza, nella sua casa alla capitale come figlia di un
ex cavaliere reale il quale era anche appartenente alla piccola
nobiltà. Vivendo sempre sotto le cure paterne e del suo rango,
non si era mai preoccupata di cavarsela da sola o di dover pensare agli
altri esseri oltre a lei su quel pianeta. Però, nonostante la
vita da signorina che aveva condotto, il padre non aveva viziato, ne
lei, ne i suoi due fratelli, insegnandogli l'onore e la bontà.
Non a caso il fratello maggiore era, a sua volta, diventato cavaliere
seguendo le orme del padre, mentre lei era ancora all'accademia.
Ad ogni modo, doveva trovare un modo per andarsene dal regno di Algora.
Si girò un attimo, tentando d'intravedere Desdoler, la capitale
e sua città natale, ma tutto quello che intravedeva erano le
luci di Dadesi, una cittadina a Nord-Ovest di Desdoler. Sconsolata e
infreddolita si rigirò verso la possente parete di roccia.
Fissava la sferetta luminosa come a chiederle di darle una mano, ma
quella andò avanti senza prestarle attenzione. La luce arancione
la guidò fino a degli spuntoni di roccia che potevano fungere da
scala. Essendo stata all'accademia per due anni, qualcosa di
sopravvivenza ne sapeva, forse non era una scalatrice esperta, ma
neanche una principiante. Dopo un bel po di scalata, la ragazza era
stremata, non era abituata a scalare rocce come quelle e si sedette un
attimo. Era, più o meno, a metà del muro* e il vento si
era fatto più forte, preannunciando pioggia. Si voltò di
nuovo verso Algora e stavolta riuscì a vedere qualche luce
più distante di Dadesi, probabilmente Desdoler. Non doveva avere
rimpianti, lo sapeva, però il suo pensiero andò alla sua
famiglia e sopratutto al suo maestro, morto quella stessa mattina
accanto a lei. Sempre seduta, portò la mano destra alla tasca
dei pantaloni, ne tirò fuori un ciondolo tondo con inciso un
corno e delle foglie d'acero. Delle gocce lo bagnarono e la ragazza
guardò in alto venendo colpita a sua volta. La pioggia
cominciò a scendere, prima leggera, poi fittissima. Si
rialzò in piedi e si accorse che la
sferetta era scomparsa, si voltò più volte da varie
parti, ma niente. Provò anche a gridare e chiamarla, ma grazie
allo scrosciare della pioggia e la fittezza con la quale cadeva, faceva
fatica a sentire e vedere perfino se stessa. Finì di salire gli
speroni di roccia, non
avendo altra scelta, e trovò la lucina che l'aspettava, in cima,
davanti ad una specie di rientranza nel muro, esattamente a
metà. Lei guardò scettica la sua guida per poi
avvicinarsi, mentre la pioggia aumentava. Si rannicchiò nella
rientranza per ripararsi, ma l'effetto fu quello di cadere
all'indietro, appena appoggiata alla parete di roccia.
Una strada si aprì di fronte a lei, no n'appena il polverone-
dovuto alla caduta- le consentì di guardare. Sembrava un
cunicolo, non scavato naturalmente, probabilmente qualcuno aveva
pensato bene di aprire un breccia, ma poi era stata dimenticata. La
sfera si addentrò nel cunicolo e lei si alzò velocemente,
per non perderla di nuovo.
La strada era abbastanza dritta e, se tanto, dava tanto, il muro doveva
essere molto spesso. Lei aveva contato, almeno, 5 metri e, della fine
neanche l'ombra. La luce arancione illuminava i confini del cunicolo,
il quale non era più ampio di 2 metri, probabilmente chi l'aveva
costruito non aveva pensato ai mezzi di trasporto, però-
ripensandoci- nessun mezzo avrebbe potuto salire fino all'inizio della
via. Ad ogni modo, dopo altri 4 metri, si iniziò a vedere
l'uscita da quel luogo buio. Fuori pioveva ancora, ma la nostra amica
pareva più sollevata, almeno aveva superato i confini di Algora.
Non sapeva dove si trovava, però sembrava un bel posticino.
Algora era un bel regno, pieno di boschetti e fiumi, tuttavia vi erano
più paludi che foreste e neanche una vasta zona aperta che
potesse, neanche lontanamente, essere definita prateria. Il regno, dal
quale lei veniva, era industriale sempre pronto ad espandersi
tecnologicamente.
Invece, sotto di lei, poteva vedere una distesa di erba fresca bagnata
dalla pioggia e illuminata dalla luce blu di uno dei tre
satelliti¹. Non era ancora scesa, ma già si avvertiva un
aria diversa, quasi più pulita, rispetto ad Algora. La sferetta,
al contrario di lei, stava già percorrendo quelli che parevano,
dei veri e propri gradini. La discesa fu più facile della salita
e in meno di mezz'ora si ritrovò a calpestare l'erbetta su
descritta. Il verde riempiva l'aria e l'odore di umido le donava
un'aria frizzantina. Continuò a camminare seguendo la sua guida,
che a dire il vero non sapeva nemmeno da dove era sbucata.
Nella cella, dove era stata messa dopo la morte del suo maestro, si era
ritrovata quella luce tonda che la incitava a seguirla e, sempre la
palla, le aveva aperto la cella aiutandola ad evitare le guardie ed ora
si era ritrovata li. Dalle mappe delle varie biblioteche di Algora, era
venuta a conoscenza di un regno confinante di nome Calm. I due regni,
come le era stato insegnato, erano in guerra da bel 25 anni, anche se
20 anni fa era stato eretto il muro e quindi nessuna disputa era
più stata iniziata. Però -per quanto ne sapeva- poteva
essere pieno di mostri o assassini, ma per il momento pareva più
sicuro del regno di Algora. Continuando a seguire la sfera si
ritrovò davanti ad un lago, dove una figura stava passando.
Pareva un ragazzo, più o meno della sua età, il quale se
ne stava tranquillamente a camminare con uno zaino in spalla. La
sferetta, alla vista del nuovo arrivato, aumentò la
velocità arrivandogli praticamente davanti e facendolo quasi
cadere per la sorpresa.
«Oibho, e tu che ci fai qui?» chiese, quasi divertito. La
luce si fece più intensa appena il ragazzo la prese in mano e
poi un fascio di luce andò verso la ragazza. «Ah, ora
capisco!» disse sorridendo facendo scomparire la sfera. Il
ragazzo si avvicinò alla nostra e la guardò dall'alto in
basso per poi porgerle la mano. «Mi chiamo Arti, piacere!»
esclamò come un bambino. Lei, per cortesia, strinse la mano, ma
si guardò bene da dirgli il nome. Arti rimase in perplessa
attesa, ma il nome non arrivò e quindi decise di continuare a
parlare. «Da dove vieni?» chiese, però ancora
nessuna risposta. «Quanti anni hai?» ancora nulla
«Come mai qui?» continuò. A dire il vero alla
ragazza pareva di avere di fronte un deficiente, mentre gli faceva
tutte quelle domande aveva un espressione da vero ebete in viso.
«Ma sai parlare?» chiese infine sconfitto dalla
cocciuttagine dell'altra. Lei divenne rossa e gli tirò un pugno
in piena testa.
«Certo che so parlare, non sono una bambina!»
«Ah, meno male! Credevo non capissi il mio linguaggio» fece
Arti massaggiandosi la testa «Perché non vuoi dirmi il
nome?» domandò, mentre la pioggia continuava a cadere. A
differenza di lei, Arti non aveva cappucci, solo un ridicolo mantello
verde, tra l'altro nemmeno era invernale, e quindi era zuppo d'acqua.
«Tu piuttosto, perché ti stai facendo la doccia?» chiese scettica.
«L'acqua non mi da noia, dopotutto è naturale che piova!»
«Si, ma ti prenderai un malanno!» fece presente. L'unica
risposta che ricevette fu un sorriso da beota che le fece venire voglia
di tirargli un altro pugno.
«Sei manesca, te l'hanno mai detto?» e via, un altro
pugno. «Ma che ho fatto?» si chiese, tenendosi la testa con
entrambe le mani. La ragazza era di carattere molto spiccio e non le
piaceva essere presa in giro. Per di più, il ragazzo davanti a
lei, la irritava in maniera venale. La pioggia continuava a cadere,
anche se sembrava che si dovesse fermare, visto che l'intensità
si stava affievolendo. Lei guardò in alto, trovando una specie
di aperture stra le nuvole, sintomo che il tempo andava migliorando.
Era ancora buio e lei non aveva ancora dormito, nonostante le quasi 24
ore di camminata. Probabilmente erano le 11 di sera, se non
più tardi.
«Ora non ho tempo di stare dietro ad un idiota come te! Devo
trovare un posto dove riposare e pensare!» esclamò
tornando a guardare Arti di sottecchi. Il ragazzo, che si era alzato
-dalla posizione china che aveva assunto, per tenersi la testa ed
evitare altri pugni- la fissò con stupore.
«Non hai una casa?» chiese tranquillamente. Lo sguardo che
gli rivolse, lei, gli fece passare un brivido lungo la schiena. I suoi
pugni non erano tanto forti da massacrarlo, ma preferiva evitare.
«Non ci posso tornare! E, in ogni caso, non sono affari
tuoi» proclamò superandolo, cominciando a camminare. Ora
che quell'idiota, come lo definiva lei, gli aveva tolto la sua guida,
aveva solo il suo senso dell'orientamento su cui contare. Però,
dalla sua aveva il fatto che quel nuovo posto pareva confortevole.
«Guarda, che la prima città abitabile è Fenip e si
trova ad almeno 16 miglia² da qui!» spiegò, vedendola
fermarsi. Lei si girò verso il suo interlocutore, quasi
sconsolata e poi, trovando una roccia ci si sedette. Arti le si
avvicinò con circospezione e, infine, le fece una proposta.
«Puoi stare da me! Ho un accampamento qui vicino, solo dieci
minuti»
La ragazza posizionò lo sguardo su di lui con scetticismo scosse
la testa, piuttosto che passare, anche metà notte, con uno come
lui, si sarebbe presa un malanno. «Come vuoi, però sta
attenta! Anche se la pioggia è passata, non è detto che
non ritorni» proclamò Arti andando via.
Lei lo vide allontanarsi, poi si voltò alle sue spalle e vide
solo una distesa d'erba. Dare retta a lui era da sconsiderati, infondo,
poteva anche esserci una cittadina più vicina, ma non vedeva
nemmeno un lume o qualcosa che potesse suggerirlo. Certo quel posto non
era Algora, quindi - forse, neanche avevano l'elettricità-
però era stanca e affamata. Il suo capo ritornò a
guardare dove Arti era sparito, le si crucciò il volto e alla
fine si alzò controvoglia. Corse per l'erba bagnata, schizzando
goccioline qua e la, sia dai piedi che dal mantello. Dopo qualche
minuto lo vide seduto su una radice d'albero, che preannunciava un
boschetto.
«Cambiato idea?» chiese ridendo. Lei gli si
avvicinò, stavolta, camminando e appena arrivata lo
guardò male.
«Infondo è colpa tua, se non ho più quella specie
di palla che mi indicava la strada!» fece presente lei.
I due arrivarono alla tenda di Arti, lei era stravolta, non ne poteva
più di camminare e lo stomaco pareva un pozzo senza fondo. La
tenda non era grande, ma aspettarsi che lo fosse era da pazzi. Davanti
alla tenda, di un grigio smorto, vi si trovava un focolare spento e
zuppo d'acqua. Un laghetto si stagliava, lungo lo spazio dedicato al
camping di Arti.
«Tu viaggi molto?» chiese lei, levandosi -finalmente- il
cappuccio dalla testa, rivelando capelli azzurri lunghi fino alla vita,
raccolti in una coda bassa con due momiage³ dai quali pendevano
gioielli d'oro. Arti la fissò con stupore, mentre si levava lo
zaino.
«Ma non ti pesano?» chiese indicando i gioielli. Lei
guardò i su citati e gli sorrise serafica mente. «Era solo
una domanda!» protestò massaggiandosi, per la -non si
ricordava più- volta.
«Il metallo che produciamo ad Algora è leggerissimo e non
sono l'unica a portarlo come ornamento per i capelli!»
spiegò.
«Vieni da Algora?» domandò «Come hai fatto ad
arrivare qui? Non dirmi che hai scalato il muro?» continuò
a fare domande, indicando la direzione del muro, all'ultima di esse.
Lei seguì il braccio di lui e poi annuì con la testa.
«A dire il vero, la sferetta, che tu hai "spento", mi ha portato
ad un cunicolo a metà del monte!» spiegò,
rimarcando la parola spento. «A proposito, come diavolo hai fatto
a farla sparire, e che diavolo era?»
«Anch'io mi sono stupito, non pensavo che ci fosse ancora!
Sopratutto, dopo tutti questi anni» rise Arti tirando fuori dallo
zaino un tubicino in onice, intarsiato d'argento. «Credevo fosse
finito anni fa»
«Aspetta, aspetta solo un attimo! Cosa stai farfugliando, hai creato tu quell'affare?»
«Si, però è successo almeno 6000 anni fa!»
esclamò creando una palla di fuoco dal cilindro, la quale si
andò a posare vicino ai ceppi bagnati del focolare. Un bel
colore rosso riempì il campo visivo di Arti, colorando gli occhi
arancioni e i capelli marroni di un bel rosso vivo. Mentre il calore
impregnava le membra della ragazza che aveva spalancato gli occhi. Non
ci aveva fatto caso prima, gli occhi di lui erano arancioni. Lei
cominciò a pensare: -Occhi arancioni, 6000 anni fa, diceva cose
assurde-
«Se.....sei...sei! Tu sei il SINCRONIZZATORE!»
esclamò quasi atterrita, cadendo a terra con il terreno fangoso
che le sporcò i pantaloni, gli stivali e la parte inferiore
della maglia e del mantello. Arti divenne serio e le si avvicinò
con calma, lei cominciò ad arretrare. Da quando era bambina le
era stato detto che il sincronizzatore era colui che portava morte, un
mostro dal quale stare alla larga e da uccidere subito. Istintivamente
portò la mano destra al fianco sinistro, ma non aveva nulla e
allora si ricordò di aver lasciato la spada ad Algora, nelle
prigioni. Si sentiva già morta quando Arti avvicinò le
mani, a palmi aperti, verso il suo viso. Chiuse gli occhi e, dopo
minuti -che le parevano ore- sentì le sue guance tirarsi.
Riaprì gli occhi vedendo Arti sorridere a trentadue denti e le
sue mani che le tiravano le guance.
«Proprio così, mi chiamo Cronos I. Artenzi!
Sincronizzatore» esclamò felice lasciandola andare e
tirando fuori dallo zaino una specie di pietra lunga 30 cm e alto 25
cm, spessa 5 cm.
Il fatto di avere davanti il sincronizzatore l'aveva spiazzata, ma non
quanto non essere stata uccisa. Aveva sempre saputo che era un
sanguinario, che ogni 1500 anni scendeva sulla terra per portarla alla
rovina. Il ragazzo che aveva di fronte, però, non figurava di
tali prerogative e poi sembrava troppo bambino. Ma gli occhi arancioni
erano distintivi, solo il sincronizzatore, poteva averli.
«Quindi questo mondo, morirà?» chiese quasi
impaurita, ma anche sconvolta. Arti la guardò con stupore.
Dopodiché, senza neanche risponderle si avviò alla tenda,
mettendo prima il mantello ad asciugare davanti al fuoco. Lei ci rimase
di sasso, l'aveva completamente ignorata. «Se pensa di potermi
trattare così si sbaglia!» esclamò a se stessa
alzandosi e andandogli dietro. Prima che potesse entrare nella tenda,
però, Arti ne uscì con degli abiti. La ragazza
abbassò il capo, muovendo alcune goccioline ribelli del mantello.
«Cambiati o prenderai un malanno!» le fece il verso.
Entrò nella tenda titubante, trovandola abbastanza comoda. Non
sapeva se poteva fidarsi, ma fin'ora, tutto quello che le avevano
insegnato ed inculcato nella testa, si era rivelato sbagliato. Mentre
si cambiava, il ciondolo del maestro le cadde dalla tasca dei pantaloni
-in tutto quel trambusto si era dimenticata dove lo aveva messo-. Lo
raccolse da terra e se lo strinse al petto, ricordando le tipiche parole
del maestro "Non tutto quello che senti è vero". L'uomo che
l'aveva iniziata alla spada era il padre, gentile e pacato. Il
contrario esatto di colui che la stava allenando per farla diventare
cavaliere.
Il suo maestro era un uomo pieno d'orgoglio e passione, ormai aveva 50
anni, ma non si dava certo perso. I suoi ideali erano decisi e
onorabili, a differenza di altri le aveva sempre insegnato a cercare la
verità con la propria testa, senza credere a tutto quello che
sentiva. Doveva vedere con i suoi occhi e poi decidere. Ad un tratto
Arti la distolse dai suoi pensieri. «Ci sei?» chiese. Lei,
ancora in mutande gli urlò, rossa in viso, di non entrare. Arti
tornò al focolare, davanti alla sfera rossa, uscita dal
cilindro, lei si accostò all'entrata della tenda. Non era ancora
del tutto sicura che quel ragazzo fosse il sincronizzatore, ne era
sicura che potesse far del male, tutto quello che sapeva riguardo a
quell'essere era scritto sui libri di storia o le era stato detto.
Però adesso che lo vedeva sorridere e giocare con la sferetta
-fatta ricomparire, da chissà dove- le sembrava semplicemente un
ragazzo un po' fuori dal comune. Richiuse la tenda e si cambiò
in fretta, intanto un buon profumino si alzò nell'aria.
«Non sapevo, sapessi cucinare!» esclamò lei uscendo
con una maglia e dei pantaloni da lavoro. I suoi vestiti li teneva in
mano, dopodiché li sciacquò dal fango, nel lago e poi li
adagiò sul filo, dal quale pendeva anche il mantello di Arti,
per farli asciugare.
«Ho sempre vissuto da solo, non avendo una madre mi sono dovuto
abituare!» proclamò passandole un piatto e un mestolo di
terracotta. «Non so quanto possa essere commestibile! Tieni conto
che le mie papille gustative cambiano ogni 1500 anni, quindi
probabilmen...»
«AHHH, CHE SCHIFO! Ma quanto sale ci hai messo?» domandò bevendo l'acqua accanto a se.
«Ti avevo avvisato! So cucinare, ma 1500 anni fa ero un Ursar, e
loro mangiano solo roba a base di alghe e frutti di mare»
precisò.
«Lascia, cucino io, tu vatti a cambiare. Oppure il
sincronizzatore non ha problemi con il raffreddore?» chiese
ironica. Mentre Arti si cambiava, con dei vestiti che teneva sempre di
scorta -come quelli dati alla ragazza- lei fece bollire dell'acqua e si
mise dentro delle verdure datele da Arti in persona. Non era certo una
cuoca, però -almeno uno stufato- lo sapeva cucinare.
«Mmh, buono, sei brava!» fece i complimenti lui gustandosi
il cibo. «Erano settimane, che cercavo di capire dove
sbagliassi!»
«Se non capisci nemmeno dove sbagli non imparerai mai»
«Giusta osservazione» sorrise lui.
«Me lo ha insegnato il mio maestro!» gli rispose, poi
divenne malinconica e osservò il piatto. «Anche lo
stufato, è stato mio fratello maggiore a insegnarmelo!» si
stupì lei stessa delle sue parole. Non erano cose che aveva
imparato da sola, erano tutte cose imparate da altri «In
realtà non so fare nulla!» sibilò «Non sono
riuscita nemmeno a......» si fermò quasi sull'orlo del
pianto.
«Che importa!» esclamò Arti, risvegliandola.
«Quello che conta e che tu adesso lo sappia fare, e poi nessuno
nasce imparato!» sorrise, sbuffando ilare e poi gli
arrivò un pugno.
«Mangia, signor sincronizzatore!» Guardandolo mangiare,
prese una decisione. Se non poteva più tornare ad Algora avrebbe
trovato un modo per cambiare e crescere, capire e decidere di testa
sua. Alla fine guardando la zuppa che le aveva insegnato suo fratello,
tese la mano verso Arti. Lui allargò gli occhi e la fissò
stupito. «Mi chiamo Avlynn!» esclamò. Lui sorrise e
le strinse la mano a sua volta.
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Come avrete potuto notare, ho cancellato la storia precedente, mi sono
accorta che andava troppo veloce e non c'erano neanche delle
descrizioni decenti. Ho cambiato varie cose, rispetto alla prima
stesura, quindi potete leggerlo tranquillamente, anche se avete
già letto l'altra. Ho cambiato anche il titolo principale,
decidendo di dividere la storia in più di due fasi e anche i
titoli dei vari capitoli saranno più lunghi. Cercherò di
fare più descrizioni, come in questo primo capitolo, e avendo
già rifatto anche il secondo capitolo, credo di riuscire a
presentarvelo la prossima settimana. Poi dal 10 di luglio in poi non
avrò nemmeno gli esami e sarò completamente libera.
Ho definitivamente deciso di togliere il rating rosso, dopotutto
è una storia fantasy non macabra e quindi tutte le scene, di
sesso, martoriamenti e torture, saranno solo velate, quindi sarà
arancione per ogni evenienza. Mentre le scene di combattimento,
farò del mio meglio per descriverle a modo.
Spero che vada meglio, fatemi sapere.
Da qui in po le note:
*lo so che scalare 10 m non una bazzecola, sopratutto dopo 24 ore di
cammino e in piena pioggia torrenziale, ma tant'è che io e la
fisica non andiamo d accordo.
¹ Sarebbe l'equivalente della nostra luna. Nella storia, come
detto più avanti sono tre: Vaati, quello descritto con la luce
blu, Nul con la luce rossa, secondo in distanza e Cais con la luce
viola, il più lontano.
² 16 miglia sarebbero: 25,749504 Km, ho fatto i calcoli a
computer. Più o meno la distanza tra Viareggio (LU) e Lucca.
³ Sono delle ciocche di capelli che pendono davanti alle orecchie,
di solito sono più lunghe dei capelli dietro ed è una capigliatura
tipicamente maschile.
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Capitolo 2 *** Viaggio lungo Calm ***
secondo capitolo
Viaggio lungo Calm
La mattina seguente, dopo un sonno ristoratore, i due si alzarono alle
prime luci dell'alba. Arti aveva lasciato la tenda ad Avlynn, da buone
maniere come era solito fare e lui si era coricato sul suo mantello,
ormai asciutto vicino alla palla rossa, che durante la notte aveva
finito il suo compito. Avlynn era già sveglia e vestita, quando
Arti aprì gli occhi.
«Buon giorno!» fece lei, porgendogli un bicchiere d'acqua.
«Buon giorno!» rispose stupito. Avlynn si era rimessa i
suoi vestiti, ormai asciutti e aveva piegato quelli di Arti, mettendoli
nella tenda, dove lui li trovò andandosi a cambiare. Avlynn
aveva, intanto preparato la colazione. Arti era pieno di provviste e di
varie materie prime, come anche del latte.
«Si vede che sei da solo!» proclamò lei passandogli la tazza e un pezzo di pane.
«A si!» esclamò lui innocente.
«Allora, qual'è precisamente il compito del
sincronizzatore!?» chiese. Lei sapeva solo che portava morte, ma
non come.
«Beh, io devo purificare il mondo, tramite alcune pietre, le
quali sono sparse per il mondo e la mappa, mi aiuterà!»
disse fiero indicando il pezzo di roccia, accanto a lui. Avlynn lo
prese in mano. Sembrava una piantina, però non rappresentava il
loro mondo, o almeno come lei lo conosceva. «Quella è una
vecchia mappa! In realtà quello che serve davvero e
questo!» disse tirando fuori una specie di freccia -in
realtà ricordava solo la punta di una freccia- bronzea con al
centro un cerchio di vetro, convesso su un lato e piatto nell'altro.
«Questo è una mappa in tempo reale! Indica dove sono le
pietre nel raggio di 20 Km. mentre per le distanze più lunghe
comincia a brillare no n'appena mi avvicino ad una di esse»
spiegò.
«Bene. Quindi, devi cercare queste pietre! Allora vengo con te»
«Si.......COSA?» chiese riprendendosi all'ultimo «No,
no e no! Ho sempre viaggiato da solo e sempre lo farò!»
esclamò lui.
«Non resisteresti un giorno, continuando a mangiare quello che ti prepari!»
«Ho vissuto più di 40.000 anni, senza che nessuno mi
facesse da balia, cambiando forma ogni 1500 anni! Non credo di avere
problemi!»
«Va bene, anche se tu non volessi, io ti seguirei
comunque!» proclamò Avlynn lavando la tazza dal latte
residuo. Arti la guardò con sguardo quasi rassegnato.
«Perché vorresti seguirmi! Tu credi che io porti morte, no?» chiese.
«Ho deciso che lo verificherò con i miei occhi! Non vengo
per darti una mano, ti seguo solo per tenerti d'occhio!»
specificò. «Il problema è che mi serve una
spada!» esclamò, mettendosi al collo il ciondolo del
maestro. Arti scosse la testa, però sapeva che non l'avrebbe
convinta neanche minacciandola, quindi sopperì alla faccenda. I
due chiusero la tenda e la misero, nello zaino del sincronizzatore,
insieme agli utensili.
«Va bene, non credo che riuscirei a farti cambiare idea! Per
prima cosa, andiamo ad Asiuf, la capitale!» proclamò Arti
«Li troveremo altre provviste e delle armi! Non saranno
all'altezza di Algora, ma non c'è male! Dopodiché
cominceremo il viaggio!» esclamò incominciando a
camminare. Dopo qualche minuto, però si voltò verso di
lei. «Ti avverto, sarà un viaggio molto lungo, dovremo
girare tutto il mondo e non sempre useremo dei mezzi di trasporto! Per
esempio, la capitale è molto più a Ovest di qui, ci
vorranno almeno quattro giorni di cammino, prima di arrivare!»
spiegò. Avlynn lo guardò scettica e si avvicinò,
per poi superarlo e salire su una piccola collinetta, così da
superarlo in altezza.
«Ho camminato attraverso una palude, lunga qualche centinaio di
km, per almeno un giorno. Ho scalato una montagna fino all'altezza di
10 m, durante una pioggia torrenziale. Tutto questo con la paura
imminente di essere uccisa! Credi che una camminata mi scoraggi?»
chiese fiera di se. Arti rise e poi, insieme, si avviarono a quel
viaggio lungo quattro giorni fino alla capitale.
Molto più a Ovest, oltre il regno di Calm, dove Avlynn e Arti
stavano camminando. Su un isola, circondata da pilasti neri, i quali
tenevano eretta una barriera d'ambra, si sentirono dei rumori come di
sirena, venire da una delle strutture. Alta almeno 3 m, si ergeva a sud
dell'isola, totalmente bianca con qualche venatura di giallo panna, due
torri la costeggiavano da ambi i lati e un rosone al centro della
facciata ne simboleggiava l'importanza.
Capelli rossi e vesti ricamate seguivano i movimenti di Un uomo che
correva per i corridoi di alabastro della struttura. Dietro di lui
delle guardie con armature rilucenti lo seguivano con le lance rivolte
alla sua schiena. In mano, l'uomo, teneva un libro verde, con scritte
in oro e una cornice d'acqua, le cui pagine sembravano rilucere nel
buio delle vie percorse. L'uomo arrivò in una sala piena di
libri, sbarrò la porta e i suoi occhi verdi si guardarono
intorno.
«Dovrebbe essere qui!» esclamò senza fiato, mentre
le guardie tentavano di buttare giù la grande porta con intarsi
marmorei. Dopo molto cercare, alla fine, trovò una via dietro a
una, delle tante colonne, che adornavano la sala, in marmo nero. La
piccola porticina lo condusse ad una stanza piena di polvere e
ragnatele, dove al centro ci era posto un altare con un epitaffio
inciso. Tenendo il libro con la mano destra, la sinistra andò a
toccare le scritte incise e queste si illuminarono alzandosi, aprendo
una parete davanti all'uomo. Le guardie, stavano ancora cercando di
sfondare la porta, quando arrivò un altro uomo che, vestito
simile al primo, le fece scostare. Dalle sue mani partì un
raggio che fece esplodere i cardini della porta, la quale
collassò su se stessa. L'uomo nella stanza, davanti al
piedistallo, sentì il tonfo nella stanza accanto e si affretto a
distruggere le scritte. Dopodiché, passò oltre la parete
aperta. Appena si trovò al di la, la parete si richiuse dietro
di lui e le guardie, entrate dalla porticina, assieme all'altro uomo,
videro solo un muro con delle macerie. Si guardarono intorno, non
riuscendo a capire come avesse potuto fare.
Intanto, al di la della parete, l'uomo aveva cominciato a camminare per
un corridoio -con quello che doveva ricordare un tappeto rosso a bordi
gialli- ai piedi. Lo percorse fino ad un portone di ferro, aprendolo
con un suono sinistro -per via dei cardini pieni di ruggine-
arrivò ad una rampa di scale, le quali lo portarono in una
cittadella, precisamente davanti ad un canale di scolo. Risalito sul
muretto del canale, si ritrovò su una stradina di una
città.
«Mi scusi, sa dirmi che città è questa?»
chiese l'uomo ad un passante, vestito con abiti alquanto miseri in
confronto all'interlocutore.
«Questa è Marbh! Si trova esattamente a Sud della penisola
Plima» spiegò l'uomo guardandolo di sottecchi. In effetti,
l'uomo pareva uscito da una reggia. La maglia nera a collo alto, che
portava, era in puro lino, sopra la quale portava una toga marrone con
ricami a mano e i pantaloni, anch'essi neri, parevano fatti su misura.
Aggiungendoci anche tutto l'oro che aveva addosso pareva un principe.
L'uomo, ringraziò il passante, poi riprese il cammino.
Tirò fuori una bussola, totalmente in avorio e seguì il
Nord fino ad uscire dalla città. Il suo obbiettivo era la
capitale Asiuf, nel regno di Calm e -grazie agli atlanti della
biblioteca dell'isola Algia- sapeva esattamente dove andare, oltre i
confini della penisola. Intanto la sirena si levava ancora dall'isola
Algia, dalla quale lui era scappato. Non facendoci caso
s'incamminò verso il regno Calm, dove sperava che la divinazione
avesse azzeccato. Lo aspettava un viaggio di tre giorni.
Intanto i due viaggiatori, si erano ritrovati su una stradina di
campagna, che come un serpente si estendeva fino a dove poteva vedere
l'occhio. Avlynn era stupita, a parte qualche sporadico albero -e la
radura, dove Arti si era accampato- non aveva visto boschi o pinete.
Era tutta prateria aperta, piena di sole e aria, oltre le varie
montagne e salitine varie. Le sembrava di rinascere, di essere
totalmente fuori dal suo mondo, eppure erano ancora sullo stesso
continente.
Era da ormai parecchie ore che camminavano e, sebbene sapessero che era
dura, la stanchezza cominciava a dare le prime avvisaglie, quando Arti
-per uno strano motivo- si scostò dalla stradina andando verso
nord.
«Dove vai?» chiese quasi urlando lei. Alla fine, non
ricevendo risposta, gli andò dietro. Continuarono in quella
direzione, nel silenzio più assoluto, per qualche minuto, fino a
che non videro una cittadina davanti a loro.
«Questa è Fenip! La cittadina di cui ti parlavo ieri
sera» spiegò dirigendosi dentro la città. «E'
molto isolata, ma ti assicuro che ha tutti i comfort!»
proclamò
«Ma non dovevamo andare alla capitale?» domandò Avlynn
«Si certo, ma una piccola pausa non ci farà male! E poi
voglio avere informazioni» spiegò. La ragazza seguì
il compagno di viaggio e si addentrarono nella cittadella. Era piccola
-quattro o cinque case, non di più- ma si respirava la tipica
aria di famiglia delle piccole città. Era il tipico posto dove
tutti, sanno tutto di tutti. «Puoi andare anche a girartela, mi
troverai alla locanda!» precisò Arti dirigendosi nella
suddetta casa. Avlynn, non sapeva se fidarsi, Arti avrebbe anche potuto
andarsene senza di lei, quindi lo seguì.
La locanda era interamente di legno, totalmente differente da quella
alla capitale di Algora -in mattoni e cemento-. Il focolare davanti
alle poltrone e i divani, dava un senso di quiete e calore. Arti si
avvicinò al bancone, esattamente davanti alla porta d'ingresso.
Il bancone era al centro della stanza e le scale che portavano ai piani
superiori e alle camere, era situata accanto al bar, oltre il bancone.
Avlynn, invece si sedette su una delle poltrone davanti al camino,
levandosi il mantello che portava sopra la maglia gialla e il
gilè rosso. Il sincronizzatore parlava con la locandiera e lei
ne approfittò per chiudere gli occhi, la stanchezza e la
camminata del giorno prima stavano avendo il loro effetto.
La locandiera non sapeva chi aveva davanti, non tutti sapevano della
peculiarità degli occhi arancioni. A differenza di Algora, nel
regno di Calm, il sincronizzatore non era portatore di sventure e
quindi non era necessario stare a lerta.
Dopo la chiacchierata con la donna, Arti andò da Avlynn,
trovandola addormentata sulla poltrona. Quello era il momento perfetto
per lasciarla li e andarsene, ma appena girò le spalle un
piccolo ricordo -di quando lei aveva espresso il desiderio di andare
con lui- gli riaffiorò in testa. Aveva visto la determinazione e
la cocciutaggine nei suoi occhi. Allorché sospirò e si
mise seduto sul divano accanto alla poltrona, aspettando che Avlynn
riaprisse gli occhi.
Dopo un'ora la ragazza riaprì gli occhi osservando Arti che
esaminava la mappa di pietra. Si alzò di scatto, accortasi che
doveva essersi addormentata.
«Che ore sono?» chiese. Arti guardò l'enorme meridiana sopra al camino.
«Sono le 2 del pomeriggio!» esclamò. «Hai
dormito un ora! Che ne dici di mangiare, io ho fame!» disse, poi,
alzandosi a sua volta. La ragazza lo guardò camminare e, infine,
lo seguì.
Dopo pranzo ripresero il cammino, tornando sulla stradina tracciata, di prima.
«Perché non mi ha lasciata li!?» domandò
«Chi lo sa!» sorrise Arti davanti a lei.
«Cos'è ti senti solo?» chiese lei acida.
«Niente affatto, probabilmente l'ho fatto per compassione! Non
sei a casa tua e potresti anche perderti!» esclamò. Avlynn
rise sotto i baffi per dargli uno scappellotto e superarlo, correndo.
Arti si massaggiò la testa per poi raggiungerla. Non era male
viaggiare con qualcuno, almeno, non si sarebbe annoiato. Il resto della
giornata lo trascorsero a parlare del più e del meno, sopratutto
sul compito di Arti. In una qualche maniera, Avlynn non voleva parlare
di se.
Giunta la notte rimontarono la tenda e riaccesero il fuoco.
«Come funziona quel coso?» chiese Avlynn rivedendo il cilindro.
«Questo è un oggetto magico, creato dai maghi! Serve per
accendere fuochi. Teoricamente, non so come funzioni, ma crea un sfera
magica, grazie alle proprietà del fuoco -che i maghi anno
manipolato- e poi la diffonde» spiegò
«Quindi è molto vecchio!»
«Beh, ha più di 2000 anni, se vuoi saperlo!»
esclamò «Ad ogni modo i maghi, sono persone eccezionali!
Con la loro abilità sono in grado di comandare i 4 elementi
principali e quelli secondari, creando oggetti come questo»
«Erano, vuoi dire? I maghi non ci sono più da migliaia
d'anni!» sorrise lei. Avrebbe sempre voluto vedere un mago, le
piacevano le storie che leggeva alla biblioteca di Mek -cittadina a
Nor/Est di Desdoler- dove si potevano trovare draghi, maghi e cavalieri
impegnati in dispute e combattimenti spettacolari. Il solo problema era
che erano racconti vecchi di anni, secoli addirittura.
«Cosa? Non è affatto vero! I maghi ci sono ancora. Vivono
sull'isola Algia, sono attorniati da una barriera che vieta loro di
uscire, ma non sono ancora estinti» spiegò. Avlynn
spalancò gli occhi alla rivelazione e ne rimase estasiata, era
proprio vero che fino ad ora era vissuta in una campana di bugie. Anche
se non poteva fidarsi completamente di Arti, voleva che fosse vero.
Il giorno seguente il loro cammino li portò ad un villaggio, ma
stavolta non c'era nessuno. Era abbandonata, una città fantasma.
«Stanotte, ci fermeremo qui! Questo una volta era un villaggio di
pescatori, ma da quando hanno deviato il fiume, e il lago Habi si
è prosciugato, non ci abita più nessuno!»
parlò Arti ad Avlynn. La serata trascorse tranquilla, come
quelle precedenti. Avevano fatto una sosta, quel pomeriggio, lungo la
strada, per riposarsi e rifocillarsi, quindi non erano propriamente
stanchi. Anche se erano le 11 passate non avevano molto sonno. La palla
di fuoco riscaldava l'aria autunnale e di pioggia nemmeno l'odore. In
cielo brillavano le stelle e i tre satelliti si vedevano nitidamente,
sopratutto Vaati, il satellite più vicino di colore blu.
«Ad Algora le stelle non sono così! Ne vedi una
sporadicamente, c'è una specie di tetto di fumo che non te le fa
vedere!» spiegò Avlynn.
«Dev'essere orribile, le stelle sono una delle più belle cose al mondo»
«Perché quante ce ne sono?» domandò Avlynn curiosa.
«Mmh, vediamo! Gli alberi, l'acqua, gli animali, il vento e tante altre!» rise lui
«Praticamente tutto!» ironizzò Avlynn
«Tutto ciò che è creato dalla natura!»
specificò Arti chiudendo gli occhi. Avlynn lo sentì
addormentarsi e guardando le stelle pensò a casa. La sua
famiglia non sapeva niente di quello che era successo, non era a
conoscenza del fatto che lei ormai non era più ad Algora. Avlynn
non poteva nemmeno immaginare quello che avrebbero fatto alla sua
famiglia, lei era ricercata e probabilmente la sua famiglia era stata
arrestata. Alla fine, stanca, si addormentò anche lei pregando
per suoi famigliari.
Intanto l'uomo che era uscito dall'isola Algia era entrato nei confini
di Calm, fermandosi alla città di Nekry per la notte. Si era
cambiato, preferendo degli abiti più consoni all'ambiente. Aveva
tenuto solo la maglia nera di lino e i pantaloni, la tunica e gli
ornamenti d'oro gli aveva venduti o barattati con denaro, grazie al
quale poteva pagare vitto, alloggio e provviste. Al momento era all'inn
della città dove si preparava per dormire. Le sirene dell'isola
riecheggiavano ancora, anche se le sentiva più lievi, rispetto a
prima, sintomo che si era allontanato. Fin tanto che le sirene
avrebbero riecheggiato nessuno sarebbe venuto a cercarlo. Quelle sirene
le potevano udire solo i maghi erano ultrasuoni speciali, adatti a
farsi sentire, solo a coloro che avevano magia nelle vene, come i
maghi. Il nostro mago in questione, era consapevole che l'isola -per
quanto piccola- aveva posti e strutture immense, e ci avrebbero
impiegato in bel po' prima di accorgersi che era scappato. Dopotutto
nessuno conosceva quel passaggio, lui lo aveva trovato per caso
leggendo un vecchio atlante, quindi avrebbero pensato che si fosse
rifugiato da qualche parte nella stanza per poi scappare di nuovo.
Nella stanza della locanda si sedette sul letto aprendo il libro che
aveva portato con se. Qualche settimana prima era riuscito a fare una
divinazione, secondo la quale, il sincronizzatore sarebbe arrivato alla
capitale Asiuf. Mancavano ancora due giorni al termine prestabilito e
lui doveva assolutamente parlare con il sincronizzatore.
Guardava il libro con uno sguardo perso e distante, le pagine erano
bianche, segnate dal tempo e dall'usura, il tomo pareva animato, ma era
solo un'illusione della magia. Più di una volta aveva sentito su
di se gli sguardi, dei passanti che lo fissavano in malo modo.
All'inizio credeva per via dei vestiti, ma poi aveva capito che era per
il libro. Ovviamente aveva attirato l'attenzione, quindi non poteva
portarlo ancora per molto in quella forma. La mano sinistra si
posò sul libro e una luce bianca/azzurra uscì dal palmo
della mano. Il libro cambiò misura, da spesso ed enorme come un
tomo antico e pesante, arrivò alle misure di un dito e spesso
quanto la lama più sottile. Lo richiuse in un ciondolo comprato
al mercato che si apriva e poi si stese chiudendo gli occhi.
Il sole entrò nelle tende, quasi con timidezza, svegliando il
mago che si alzò con calma. Aveva tutto il tempo, sarebbe
arrivato ad Asiuf in giornata e avrebbe dovuto aspettare un giorno,
quindi, tanto valeva prendersela comoda, visto che le sue divinazioni
raramente sbagliavano, però c'era sempre il dubbio. Dopotutto la
divinazione non era una scienza esatta al 100%. Sceso per le scale,
dopo aver controllato il libro, fece colazione per poi incamminarsi.
Seguì una stradina, piastrellata di rocce, venendo raggiunto nel
pomeriggio -dalla parte opposta della strada- da un gregge di pecore in
pascolo. Il mago salutò il pastore con garbo il quale
ricambiò e si riposò con il mago all'ombra mentre il
gregge pascolava.
«Cosa la porta qui, straniero?» chiese il vecchio pastore.
«Cosa le fa credere che sia straniero?»
«Sarò anche vecchio ma riconosco un mago quando lo
vedo!» rise il vecchio. L'uomo rise e si sdraiò
sull'erbetta.
«Siete il primo e l'unico che mi abbia riconosciuto per quel che sono! Gli altri mi guardavano male!»
«La vecchiaia, porta conoscenza e saggezza! Soltanto
perchè siete rinchiusi in quell'isola non vuol dire che non
possiate uscire in qualche modo. Siete maghi no» Il mago rise di
cuore e dopo si incamminò. Arrivò alla capitale Asiuf nel
pomeriggio, avendo ancora tempo, si diresse alla locanda e
prenotò una stanza, poi si fece dare le indicazioni per la
biblioteca della città e vi si diresse a passo spedito. La sera,
fece riacquisire al libro le forme originarie e cominciò a
leggerlo. Gli occhi gli si illuminarono e le pagine cominciarono a
mostrare le scritte.
Quella stessa sera, intanto Avlynn e Arti, avrebbero dormito in un vero
letto. Erano arrivati alla città Gaya, molto vicini ad Asiuf,
che avrebbero raggiunto l'indomani. In camere diverse, stavano pensando
ai loro problemi. Avlynn continuava a pensare alla sua famiglia, e Arti
studiava la mappa, per capire dove potessero essere le pietre. Il
problema era che, le pietre in questione, cambiavano ubicazione ogni
volta che lui finiva il suo compito -ogni 1500 anni- quindi. La mappa
gli serviva per raccapezzolarsi per la separazione dei continenti, che
durante quegli anni si spostavano e insieme alla freccia con il cerchio
di vetro lo aiutavano.
Fin'ora nessuna avvisaglia di luce dalla freccia quindi, probabilmente,
a Calm non ce ne erano, ma lui non si dava per vinto. Avlynn, intanto
era stesa sul letto. Avevano pagato quelle camere con i soldi che Arti
aveva con se, ma prima o poi avrebbero dovuto fare dei lavori,
altrimenti non avrebbero potuto avere guadagno. Però i suoi
pensieri erano rivolti anche alla sua famiglia, sopratutto al
fratellino minore, il più piccolo e ingenuo.
Il giorno dopo, appena finita la colazione, si diressero verso l'uscita
dalla città di Gaya, da li partiva una stradina sterrata che
portava direttamente alla capitale.
«Finalmente ci siamo. La capitale è vicina, ancora mezza giornata, forse!» decretò Arti
«Come "forse"?» riecheggiò Avlynn.
«Vedi, è la prima volta che mi spingo così ad
Ovest, prima ero arrivato solo fino alla chiusa di Habi!»
«Sei proprio un idiota!» proclamò Avlynn tirandogli l'ennesimo pugno.
«Ma sarà sempre così!?»
«Anche peggio se non ti muovi!» esclamò superandolo.
Arti seguì Avlynn e, finalmente -nel pomeriggio inoltrato-
raggiunsero la capitale.
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Capitolo 3 *** Incontro alla capitale ***
terzo capitolo
Incontro alla capitale
La capitale pervasa da una aria festosa e piena di gioia. Ad Avlynn
sembrava di vivere in un altro mondo. Le varie bancarelle erano piene
di gente e i venditori urlavano ad alta voce ciò che vendevano e
a quale prezzo.
La taverna, perché tale sembrava, con gli archi a trionfo
che ne abbellivano la struttura lignea e il soffitto a cassettoni,
donava la sensazione del tempo sospeso. Per giunta, tutti i
mobili, nella penombra delle lanterne, sembravano caldi e pieni di
ricordi. Il locandiere, un simpatico vecchietto, se ne stava
immobile al di la del bancone, aspettando -con pazienza- i
clienti.
Mentre i nostri entravano, un uomo con i capelli rossi stava
scendendo le scale lignee, che erano poste al centro del grande
salone principale. Con la forma a chiocciola, salivano fino al
piano più alto dell'edificio. Il corrimano, che ne seguiva
l'andatura, era intagliato a mano con qualche fiore colorato ad olio
per abbellirlo. L'uomo non si curò dei nuovi arrivati,
uscendo dalla porta principale, mentre Avlynn ed Arti raggiungevano
il locandiere per avere le camere. Erano ancora le 6 del
pomeriggio, quindi, Avlynn decise di andare a fare un giro in
città.
Il mercato si estendeva per tutte le vie principali, con contorno di
stendardi e fiocchi colorati. Le lanterne, che piano, piano si
accendevano davano calore ai vari oggetti in vendita e il cielo
sull'imbrunire, si stava sempre più scurendo, per costruire
un velo di magia a quella capitale così lontana da casa.
«Ah, quanta roba! Vediamo se trovo un armaiolo»
parlò alla sferetta che le andava sempre dietro, questa fece una
specie di capriola dalla felicità. Probabilmente, oltre al
mercato, vi erano anche negozi e quindi Avlynn cominciò la sua
ricerca, intanto Arti si era sistemato nella sua camera alla
locanda, poggiando la chiave di Avlynn sul comodino vicino al letto.
Dopo molto girare, Avlynn, aveva trovato un armeria -anche grazie
alla sua compagna di avventure- sulla strada ad Ovest della via
principale. Entrando, si sentì subito a casa. Tutte le
armi dei vari lavori, dal ladro al cacciatore, per passare ai
grandi spadaccini o gli arcieri. Tutte queste armi erano in
esposizione, poste su chiodi -sulla parete- o tenute in ceste di
vimini intrecciati. Separate per misura, tipo di arma e prezzo,
erano davvero ben fatte e rifinite. Alcune di esse erano cesellate
sulle lame, altre impreziosite da gemme, molte erano semplici con
solo qualche intaglio sul manico ma non meno resistenti. I mastri
artigiani ci mettevano amore e tempo per fabbricare quei gioielli,
che -nelle mani di esperti- si sarebbero trasformate in vere e
proprie armi da combattimento.
Il proprietario era un uomo robusto, con la barba e delle braccia da
cacciatore, probabilmente ne aveva forgiata qualcuna da solo.
Guardava la ragazza da buon padrone, chiedendosi che diavolo fosse
quella cosa luccicante che le volava attorno.
Avlynn si guardava attorno, scrutando le varie spade, molte non
avevano la guaina. La sua bravura raggiungeva il massimo con le spade
ad una mano, però anche le spade bastarde¹, le andavano
bene. Mentre lei guardava le armi, fuori dall'armeria si sentiva il
vociare e il sussurrare delle persone, ma anche i vari litigi e
risse, che non potevano mancare in una stradina secondaria. I due,
all'interno, non ci facevano caso, finché, la porta del
negozio, si aprì bruscamente rivelando un uomo con degli
stracci e dei pugnali alla vita. Il proprietario lo fissò con
diffidenza, mentre l'altro si muoveva in direzione delle spadone a
due mani. La nostra lo guardò dal basso verso l'alto, non
era abituata a certe maniere, ma era anche vero che lei conosceva
solo la nobiltà di Algora, non era mai scesa nei piani bassi
del regno. Anche quando viaggiava per le varie città, non
andava oltre le case dei nobili.
Ad ogni modo, le sembrava, quanto meno scortese non salutare.
Però, visto che il proprietario non aveva detto nulla, si
rimise a guardare le spade, lasciando perdere.
Nelle strade, intanto, il mago stava correndo, lo seguivano degli
uomini, non proprio raccomandabili. L'uomo dai capelli rossi
entrò ansimando nell'armeria, dove Avlynn e il proprietario
stavano tranquilli a decidere sul prezzo della spada, che la ragazza
aveva scelto. All'entrata del mago i tre presenti si girarono con
facce stupite. La palla, invece lampeggiò, ma nessuno su ne
accorse, nemmeno il mago, visto che lei era dal lato opposto della
ragazza, rispetto al nuovo arrivato. Il rosso si guardava in giro con
un libro tra le braccia. La nostra protagonista lo guardava con
circospezione, mai aveva visto una persona, di qualunque mestiere,
vestito a quel modo. L'altro cliente, invece, faceva finta di
nulla e continuava a guardare le armi. Il mago camminava continuando
a guardare la porta, dalla quale era entrato. Poi, ad un certo,
mentre Avlynn e il proprietario erano tornati a discutere sul prezzo,
si riaprì la porta. I tre che stavano seguendo il mago lo
avevano seguito fino a li.
Di li a poco si consumò una vera a propria battaglia. I tre
uomini si avvicinavano minacciosi al mago, mentre il proprietario si
apprestava a prendere una spada da dietro al bancone. la ragazza,
con la spada, non ancora pagata, in mano, diede man forte
all'uomo -lasciando l'amica oltre il bancone- e anche il cliente
scortese si unì alla rissa. L'unico che non faceva nulla era il
povero malcapitato dai capelli rossi, il quale preferiva rimanersene
a distanza da quegli oggetti acuminati. Non era il tipo da armi
affilate e armature d'acciaio.
«Ma dove sono finito?" si chiedeva, restando dietro ad una
delle ceste di vimini, con il libro stretto al petto. Nel mentre
guardava il combattimento, tre contro tre, che si stava consumando
davanti a lui, per l'intera armeria. I sei contendenti si
scambiavano le lame tra loro o ne prendevano di nuove, ma a lui
sembravano solo dei barbari e nient'altro.
Il mago se ne voleva solo stare per i fatti suoi, quando i tre che,
lo avevano inseguito, vedendolo con in mano il libro magico.
Mentre stava immerso nei suoi pensieri quasi non veniva trafitto dalla
punta di una lancia, fermata prontamente da Avlynn.
«Non si mettono di mezzo gli indifesi!» urlò
all'uomo che aveva di fronte. Grazie al colpo parato, l'uomo si
scaraventò al di la del mago, facendo cadere delle lame
ancorate alla parete. «Tutto bene?» chiese infine
la ragazza al mago. Lui la guardò con gli occhi spalancati e
annuì con la testa.
«Aattenta!» la avverti il mago, indicandole le
spalle. Si girò in tempo per evitare la lama,
pericolosamente vicina alla sua gola. Ancora accovacciata sul
pavimento fece lo sgambetto al suo avversario, gli prese la lama e
poi prese il mago per il braccio facendolo andare dietro al bancone,
dove incontrò la sferetta di Avlynn.
«Ma tu..."
La disputa si spostò fuori dall'armeria, quando uno dei tre
malviventi venne scaraventato fuori dal proprietario. I due,
rimasti dentro seguirono il compagno e Avlynn con gli altri due gli
andarono dietro. I fendenti continuavano a riecheggiare per le vie e
molte persone urlavano o chiamavano aiuto, alcuni aiutavano i nostri
lanciando verdure sui volti dei tre ladri.
Avlynn, scaraventò il suo avversario, di nuovo nell'armeria.
L'uomo si si ritrovò contro il bancone sbattendo la schiena su
di esso. Lei seguì il malvivente, il quale -ripresosi per la
botta- la prese per la vita e la lanciò dall'altra parte del
bancone, dove il mago se ne stava al riparo. Il rosso si
scostò appena in tempo per evitare la colluttazione.
«Quello è troppo grosso per voi, lasciate perdere"
«Vuoi essere salvato?» chiese l'azzurra, tentando di rimettersi in piedi.
«Certo»
«Allora taci!» gli urlò l'azzurra, mettendosi
finalmente in ginocchio, senza notare l'uomo che - da oltre il bancone-
li stava per affettare con un ascia. Il primo colpo colpì il
legno, poi, prima che potesse sferrare un altro colpo e rompere del
tutto il bancone, i tre sentivano i rumori delle spade e lance, che
cozzavano tra loro, dei quattro contendenti ancora fuori. Poi a
quel rumore si aggiunse quello delle grida dei passanti. Il
proprietario e l'altro uomo si davano da fare per fermare i fendenti ed
evitare che le persone si facessero male, ma gli altri due parevano
dei veri assassini. All'improvviso un suono echeggiava per le vie.
Erano le guardie della capitale accorse per il casino, Le armature
viventi, perché ciò sembravano, fermarono i quattro
duellanti, ma prima che potessero entrare il mago tirò vicino
a se Avlynn. «Che fai?»
«Ricambio il favore!» proclamò, alzando la voce,
poggiando la mano sinistra sul pavimento. Apparve una luce ai loro
piedi e poi i due sparirono lasciando solo una nuvola di polvere e il
terzo uomo accecato.
Alla locanda Arti stava cominciando a preoccuparsi. Avlynn non era
ancora tornata ed ora ormai ora di cena. Stava per uscire dalla
porta, quando una luce si formò nella sua stanza,
rivelando, poi, Avlynn e il mago caduti dalla parte opposta del
letto, rispetto al ragazzo. Il sincronizzatore ci rimase di stucco,
nel vedere le due figure sul pavimento tentare di alzarsi.
«Avlynn. Ma che diavolo?» chiese tornando indietro, aggirando il letto per aiutare l'amica.
«Chiedilo a lui» protestò la ragazza.
«Dove diavolo siamo?» domandò poi pulendosi dalla
polvere
«Alla locanda»
«Alla locanda? Come diavolo hai fatto... Un momento...»
«Dov'è la palla volante?» chiese in preda al panico
nel piccolo spazio angusto, tra il letto e il muro.
«Intende questa cosina?» chiese Atlas, facendo spuntare
dalla maglia la guida della ragazza. Avlynn ne fu contentissima e la
prese in mano. Da quando Arti l'aveva fatta riapparire al campo la
creatura si era affezionata a lei. Il mago fu contento di vedere la
scena e sopratutto di aver ricambiato il favore
«Ad ogni modo, ho usato il teletrasporto per arrivare
qui» spiegò il mago, uscendo dal piccolo spazio tra il
letto e il muro, posizionandosi proprio a metà strada trai piedi
del letto e la finestra «Viene meglio all'aperto, ma in quel
momento non avevo scelta»
«E voi siete?» chiese Arti, camminando oltre l'uomo,
mentre Avlynn puliva l'esserino dalla polvere residua, rimanendo tra il
letto e il muro. Il mago, si girò verso la voce e si
ritrovò gli occhi di Arti proprio davanti. Appena li vide
strinse le mani del sincronizzatore, contento
«Oh, sincronizzatore, finalmente non ci speravo
più! E' un vero onore, poterla conoscere, sono davvero
onorato...»
«Ok, ora basta!» esclamò Avlynn, fermando il
mago, dopo aver camminato verso di loro, ed essere arrivata alle spalle
di Atlas «Chi sei? Che diavolo era quello?»
interrogò lei
«Oh, giusto. Mi chiamo Atlas e sono un mago dell'isola.
Quello di prima, come già detto, era il teletrasporto, una
della magie base » spiegò con ancora le mani sopra quella
di Arti, ma rivolto alla sua salvatrice che stava, a sua volta
superando Arti verso la porta.
«Magia!» esclamò Avlynn, girandosi con occhi
luccicanti, poi, afferrò Arti per il mantello e lo scostò
da davanti ad Atlas, infine, si mise a fare domande al mago. Atlas,
sentendosi in colpa per Arti -il quale era finito accanto alla
testata del letto, sulla parete opposta della finestra, per colpa di
Avlynn- rise nervoso verso di lei «Mi chiamo Avlynn e ho sempre
voluto vedere una magia» sorrise lei. Il mago sempre
sorridendo -con una gocciolina sulla testa- le indicò il
sincronizzatore. Lei seguì lo sguardo, notando il ragazzo
totalmente spalmato sul muro, mentre la sa creazione tentava di capire
se stava bene. Una gocciolina cadde dalla fronte di Avlynn nel vedere
la scena e tutto quello che riuscì a dire fu «Ops»
Quella sera cenarono insieme, intanto la sferetta si era coricata nella
camera di Avlynn, la quale aveva ricevuto la chiave dal sincronizzatore
prima della cena. Il mago spiegò loro che doveva parlare a tutti
i costi con Arti, e grazie alla divinazione aveva scoperto che lo
avrebbe incontrato proprio li alla capitale.
«Come hai fatto a scappare dall'isola?» chiese Arti,
addentando un pezzo di carne. Ad Avlynn pareva che non mangiasse da
mesi.
«Ho usato un vecchio passaggio magico fino alla penisola
Plima!» spiegò «Ad ogni modo, ora è
inutilizzabile, si può usare solo per entrare! Ho distrutto
il pannello dall'altra parte» precisò. «Volevo
tanto conoscervi! Vi devo dire una cosa molto importante!»
disse in modo serio.
«Chiamami Arti e dammi del tu! Non servono formalità»
«Scusate, ma è una mia pecca. Do del "Lei" a chiunque non conosca da anni!»
«Capisco!» si stupì il più giovane. In
realtà tra i due, Atlas era quello più giovane, visto
tutte le volte che Arti era rinato, ma al momento il mago aveva 29
anni, mentre l'altro solo 21. Avlynn se ne stava seduta a
mangiare, sentendo i discorsi dei due uomini accanto a lei. Sulle
prime parevano due amici che non si vedevano da anni, ma poi
passarono alle cose serie. Atlas era partito dall'isola
perché, ultimamente, stavano succedendo troppe cose strane.
Il suo maestro sembrava impazzito, e tutti i libri sparivano.
«Il mio maestro è il capo di noi maghi, fino a 5
anni fa era l'uomo che ho sempre conosciuto e che mi ha fatto da
mentore, ma ultimamente è impossibile anche solo ragionarci
con lui!» spiegò. Dopo di che, finita la cena,
vennero invitati dal mago in camera sua. Atlas tirò fuori dal
cassetto -di una scrivania in dotazione ad alcune camere- la
collana. Prese il libro al suo interno, facendolo tornare alle
dimensioni originali ad Arti «I libri, della grande
biblioteca magica stanno sparendo, uno dopo l'altro. Sono
riuscito a salvare uno dei più importanti tomi, ma molti altri
sono a rischio!»
«Il fatto che i libri spariscano, non è legato al mio
compito! Essendo oggetti inanimati, non risentono dei sentimenti
delle persone» spiegò Arti. Atlas scosse la testa.
«Forse voi non lo sapete, ma ultimamente abbiamo trovato una
tecnica che ci permette di fondere l'animato con l'inanimato. Molti
dei libri magici, sono stati creati tramite gli elementi e il loro
comandamento! Alcuni di essi possono essere letti solo tramite
l'elemento con il quale è stato fuso"
«Quindi possono essere letti solo dove ci sono gli elementi in
questione?» chiese scettica Avlynn. Le piaceva la magia, ma
non credeva che fosse così assurda.
«Potrà sembrarvi assurdo signorina, ma è proprio così!»
Arti si sedette sul letto, accanto ad Avlynn, aprendo il libro pote
vedere le pagine bianche. Il sincronizzatore guardò il mago.
«Anche questo?» domandò. Atlas scosse il
capo, inginocchiandosi davanti ai due compagni di viaggio. Premette
il palmo destro sugli occhi di Arti e appena le mani furono tolte i
suoi occhi cominciarono ad illuminarsi e le scritte apparvero a lui.
«E' un incantesimo d'illusione, solo una magia agli occhi
può rivelare le scritte!» precisò Atlas
«Almeno su questo libro!» Arti si mise a leggerlo.
Intanto Avlynn continuava a non vedere.
Mentre il ragazzo dagli occhi arancioni leggeva, gli altri due si misero a parlare.
«Credi che riesca a leggerlo, dopotutto è un libro di magia!»
«La nostra magia si tramanda da persona a persona, non
attraverso i libri! Nei nostri tomi ci sono solo informazioni sugli
elementi, il mondo, l'universo e, nel nostro caso, sul
sincronizzatore» spiegò il mago sedendosi sul suo
letto, accanto ad Avlynn. Le camere della locanda erano,
più o meno, tutte uguali, ma a volte cambiavano
disposizioni dei mobili e i colori delle stoffe. La ragazza si stese
con schiena sul letto, mentre Arti continuava a leggere. Intanto la
notte andava avanti.
Il libro conteneva preziose informazioni sulle varie pietre, la loro
possibile ubicazione. Contenevano anche i vari esperimenti apportati
dai maghi, lungo i secoli, dei sedimenti del mondo. Quando Arti
smise di leggere, si sentì il pesante rumore del libro
chiuso. Il sincronizzatore si sedette sulla poltroncina, davanti
alla scrivania, con un cuscino da supporto.
«Qualche problema?» chiese Avlynn, rialzandosi.
Arti alzò la testa al richiamo per guardare l'altra, sorrise
e, infine, si alzò in piedi.
«Bene! Abbiamo una meta» proferì uscendo dalla
camera, lasciando, prima, il libro al mago e ringraziandolo. I
due, rimasero sul letto si guardarono con sguardi interrogativi,
poi seguirono la figura dell'altro, il quale, saltellando, se ne
andava in camera sua.
«Se non la smette di prendere decisioni senza avvisare, gli
arriva un altro pugno!» esclamò l'azzurra. Il mago si
mise a ridere sotto i baffi, poi si diedero la buona notte e anche
Avlynn tornò nella sua stanza.
La mattina seguente, la fanciulla scese le scale, già pronta
e accompagnata dalla fida pallina, quando vide Arti ed Atlas che
mangiavano la colazione in uno dei tavoli della seconda sala, la
quale si apriva oltre la porta accanto al bancone. Si sedette con
cura, notando una spada al fianco del sincronizzatore.
«Da quando sai usare le armi?» chiese, prendendo un
tozzo di pane. Lui guardò la spada e poi le sorrise,
porgendogliela.
«Veramente, l'ho trovata in camera. Forse l'hai persa a
causa del teletrasporto?» propose. Lei la prese in mano,
era senza guaina, ma la lama era molto ben lavorata, con una gemma
blu in cima all'elsa e tre piccole gemme azzurre sul proteggi mani in
oro. La lama, anche se non di prima scelta, era ben limata e
temprata.
«Non è la stessa spada con la quale mi avete salvato da qquell'uomo?» chiese Atlas osservandola meglio.
«Si, probabilmente, non avendola lasciata, mi ha
seguito! Anche se non l'ho pagata è comunque in mano mia. E
poi l'armaiolo non ha notato nulla» fece spallucce lei
appoggiandola al tavolo. Quella spada era di buona fattura, certo
non come la sua, ma per il momento andava più che bene.
«Ma l'hai rubata» protestò Arti verso la compagna di viaggio.
«Si può definire un incidente, visto che "qualcuno", mi
ha teletrasportata alla locanda, prima che io potessi pagarla»
precisò inchiodando il mago con sguardo ironico, lo stesso che
-di solito- era riservato ad Arti. Atlas sorrise di rimando mentre Arti
scuoteva la testa
«Allora, per ricambiare che ne direste di prendermi con voi?» domandò ai due.
«Mi dispiace m...»
«Ma certo, sarà un vero piacere avere un mago in
squadra» professò Avlynn tirando un calcio da sotto il
tavolo alla gamba di Arti per zittirlo. Il sincronizzatore si
ritrovò con la propria mano alla bocca per evitare di urlare dal
dolore.
I tre cominciarono il viaggio, quella stessa mattina, presero dei
cavalli -con i soldi ricavati dalla vendita degli oggetti di Atlas-
poi si diressero verso Algora.
«Fammi capire, vuoi andare ad Algora?!» chiese il, quasi, cavaliere.
«Si!»
«Ti sei forse dimenticato che io non posso metterci piede?» fece presente.
«Come mai?» domandò Atlas sul cavallo accanto ad Avlynn.
«Problemi personali!» declassò lei, tornando a
guardare Arti, che cavalcava davanti a loro due. I tre non
cavalcavano in fila indiana, anzi Atlas era accanto ad Avlynn, mentre
Arti apriva la via, la sferetta invece svolazzava, in mezzo ai tre
cavalli.
Oltre alle provviste e agli utensili, sui cavalli, vi erano anche
tutte le stoviglie di Arti e anche la tenda. La spada, invece,
era incastrata nella cintura d'oro, doppia, che Avlynn portava
alla vita.
«Non lo hai spiegato nemmeno a me» ci pensò
Arti. «Ad ogni modo, non hai di che preoccuparti, siamo
diretti in un luogo nel quale non ti riconoscerebbero mai»
spiegò lui. «E poi, ad Algora, c'è l'unico
porto volante del continente!»
«Porto volante?... Ad Algora non c'è nessun porto volante» disse lei.
«Oh si che c'è. E' sulla punta, oltre il bosco
Infinito» precisò il sincronizzatore. Avlynn prese un
mestolo, e glielo tirò in testa. «Aia. E adesso che
c'è?»
«Quel bosco è considerato maledetto e tu vuoi passarci in mezzo?»
«Senza contare che dovremo passare il muro e poi cavalcare fino
al bosco» s'intromise il mago «Non credo, nemmeno
io, che sia una buona idea» continuò Atlas.
«State tranquilli, non passeremo il muro! Ci dovrebbe
essere un passaggio magico, che porta direttamente dall'altra parte
del bosco» spiegò Arti.
«E come mai io non lo conosco?» chiese delucidazioni il mago, stupito che Arti sapesse certe cose.
«Probabilmente, perché è molto vecchio,
scommetto che nemmeno il tuo maestro, sà della sua
esistenza»
«Se ci fosse stato un passaggio del genere, i due regni
l'avrebbero chiuso, come hanno fatto con il muro!»
proclamò Avlynn.
«Il muro è stato costruito, dopo la guerra tra i due
regni, di 20 anni fa! Il passaggio magico non veniva più
usato, già all'epoca, da almeno 3000 anni.
Probabilmente se lo sono dimenticati» spiegò
«Oh, almeno, lo spero» sospirò il ragazzo.
Avlynn lo fulminò da dietro e il mago rise. Al mago,
sembravano due ragazzini.
La cavalcata, si protrasse per un giorno intero, dopo di che si
fermarono nel villaggio abbandonato, montarono la tenda e accesero il
fuoco.
«Entro domani, dovremo riuscire ad arrivare all'entrata, si
trova a Nord del muro» disse Arti dando una ciotola ad Atlas.
«Quindi, dovremo cambiare la direzione verso Nord,
domani!» esclamò il mago prendendo la ciotola e
ringraziando. Arti annuì e cominciò a mangiare.
Avlynn, intanto -dopo aver servito i due- cominciò a
mangiare per ultima. La palla di fuoco risplendeva nella notte,
illuminando quel villaggio abbandonato, con tutti letti, ormai
mangiati dalle termiti e i tetti dei quali ne rimaneva solo lo
scheletro. I tre mangiavano e parlavano in armonia, con la sferetta
che svolazzava da uno all'altro felice di trovarsi in compagnia.
«Da dove spunta? Non pensavo che lei fosse una maga, signorina?» proclamò Atlas
«Infatti non lo è. Quella pallina è una mia
creazione» spiegò Arti, aprendo la mano in modo che
l'oggetto della conversazione vi si posasse, mentre con l'altra teneva
ferma la ciotola.
«Certo che però è offensivo chiamarla palla, sfera
o o esservino. Dovremmo darle un nome» proferì Avlynn
«Che ne dite di Lamia?» chiese la ragazza
«Anche Uma, non starebbe male» propose Atlas. I due
tirarono fuori nomi femminili a raffica, quasi divertendosi, Arti
invece chiuse gli occhi con l'esserino in mano e scosse la testa.
«Guardate che è un maschio» proclamò alla
fine. I due compagni guardarono il sincronizzatore come se avessero
visto un fantasma, infine, Avlynn si alzò e prese la palla tra
le mani, questa si fece prendere tranquillamente da lei.
«Sei un maschio?» domandò cominciando a ricordare
le notti, durante le quali ci aveva dormito insieme. La cosa circolare
incrementò il suo colora, da arancione arrivò vicino al
rosso, come se si fosse imbarazzata. «Ok! Allora che ne dici di
Eles, si può usare per tutti i generi» sorrise lei. La
sferetta prese a fluttuare felice, per poi dirigersi da Atlas, mentre
Avlynn lo seguiva². Arti, invece, era sbiancato solo a sentire quel nome.
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Scusate il ritardo, ma per una settimana non è andato internett,
quindi non è colpa mia, adesso sono tornata attiva, quindi
godetevelo. Sotto le sole due note
¹ Le spade bastarde, sono le spade che possono essere impugnate con una o due mani
² Da ora in poi mi rivolgerò alla sfera "Eles" al maschile, invece che al femminile.
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