Daemonia Nymphe

di Fantasiiana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***



Capitolo 1
*** 1 ***






Capitolo 1





L'acqua sciabordava luccicante sotto la pallida luce delle stelle.
I flutti si esibivano nella loro consueta danza ipnotica, carezzando la candida sabbia sulla riva.
La ragazza ne afferrò un pugnetto, lasciandolo poi viaggiare in balia del vento fresco che spirava quella notte senza luna.
Si sollevò, mentre il peplo strappato si appiattiva contro il suo fianco sinistro e si gonfiava in prossimità dell'altro. I lunghi capelli castani fluttuarono nella brezza notturna, lo sguardo preoccupato e confuso rincorse le onde, in cerca di un indizio, per quanto minimo esso potesse essere. Non capiva, infatti, la giovane cosa ci facesse lì, nè dove fosse, in realtà. Non ricordava nulla di sè, della sua vita, neppure il suo nome.
Un gelo improvviso la colse impreparata, facendola tremare terribilmente, mentre un piccolo alberello di fiori bianchi poco lontano si piegava sotto il peso della morte e appassiva.
La terra tremò violentemente e lei si ritrovò stesa sulla sabbia, scossa da brividi di paura.
Cosa stava accadendo? Perché quei gelsomini erano appassiti?
Si bloccò per un momento, incredula. Come faceva a sapere che tipo di fiori erano?
Non ricordava nulla, eppure quel piccolo dettaglio insignificante gli era balenato in testa involontariamente. Provò a coglierne la provenienza, ma quello sembrava semplicemente esistere, senza un motivo.
Si sollevò, lottando contro il tremore delle gambe e il continuo sussultare della terra. Si avvicinò a quello che rimaneva di un piccolo germoglio: uno stelo annerito fra la sabbia, staccatosi da uno dei rametti. Lo prese delicatamente, ne sfiorò la punta ed ecco germogliare una piccola gemma bianca, che subito distese i candidi petali, resistenti come roccia.
Lo lasciò cadere, a bocca aperta, e quello di nuovo appassì sotto quel gelido vento d'inverno.
Ecco un altro dubbio sorgerle in mente. Cosa ne sapeva lei dell'inverno? Perché capiva esattamente cosa fosse, senza neanche comprenderne la ragione? Non trovò spiegazione.
Terrorizzata, si voltò per correre lontanto, via da quelle stregonerie spaventose di fiori che rifiorivano sotto il tocco esitante delle sue dita. Ma la sua corsa fu breve. Andò a sbattere contro qualcosa, lo stesso qualcosa che la bloccò per le spalle, impedendole di andare avanti quanto di cadere per la forza del colpo.
-Ci rivediamo, mia signora- esordì una voce melliflua, sprezzante e sarcastica.
-Smettila, fratello- ordinò un'altra, più gentile, proveniente dalle spalle di lei.
-Ah, già. Dimenticavo che hai un debole per la regina. Bè, a te l'onore, allora...
La figura la spinse rudemente, ma delle braccia forti l'afferrarono con delicatezza reverenziale e la sollevarono da terra, stringendola con protezione.
-Non ti riconosco più- commentò la voce gentile.
-Troppo a lungo sono dovuto rimanere nella sua ombra. Ora basta.
-Cosa...- provò a chiedere la giovane, ma la figura dalla voce melliflua le si accostò ad un orecchio, alitandole gelida sulla nuca.
-Coraggio, mia signora. Starete meglio dopo un buon sonno ristoratore.
Lei stava per contrabbattere, ma le palpebre le si chiusero contro la sua volontà e lei scivolò nell'incoscienza.






Angolo Autrice
Dunque? Che ve ne pare? Finalmente mi sono decisa a pubblicarla^^ Sono troppo felice che questa idea sia finalmente arrivata: l'aspettavo da molto, eh sì u.u
Spero la seguirete in molti, comunque^^
Non so quanto spesso pubblicherò... Sapete, non sono troppo coerente, purtroppo... Chi segue l'altra mia long lo sa fin troppo bene ç_ç
Avrei un sacco di cose da dire, davvero, ma ve lo risparmierò per i prossimi capitoli! In ogni caso, grazie di aver letto fin qui!
A presto,
-una Fantasiiana fin troppo esaltata.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Capitolo 2







-Per favore, calmatevi!- implorò Atena, per l'ennesima volta in quella giornata.
-Calmarmi, dici? Mia figlia è scomparsa!- ribattè isterica Demetra. -Ed è tutta colpa di questo qui!
-Mia?!- tuonò Ade, alzandosi dal suo trono. Aveva cercato in tutti i modi di mantenere la pazienza, durante i continui piagnistei della dea delle messi, ma ora l'ultima goccia era stata versata. -In caso non te ne fossi accorta è estate! La colpa è tua! Cosa le hai detto?! L'hai assillata come al solito con le tue stupide moine da madre assillante?
-Ade, ti prego, non abbassarti a tanto- supplicò la dea della saggezza con una nota di delusione nella voce.
-Mia moglie è scomparsa, Atena. Come puoi pretendere che io rimanga impassibile?
-Già troppi mortali sono morti sotto la vostra furia, credo possa bastare! E poi non sono sicura che lei vorrebbe questo- continuò lei, diplomatica. Era l'unica, oltre Persefone, a non vacillare sotto il suo sguardo minaccioso e dietro tutta la rabbia che provava, Ade trovò un frammento di rispetto da indirizzarle.
Si risedette, riluttante, stringendo i braccioli del suo trono di ossa e sentendo un cupo cigolio provenire da esse.
-Ah, certo! Cosa può importare a lui? Troverà conforto in una comune mortale e sostituirà mia figlia in men che non si dica!- sbraitò la dea delle messi.
-Come pensi che potrei sostuire mai moglie, nonche regina degli Inferi, esattamente?- sibilò lui a denti stretti, pericolosamente calmo.
-Non ci avevi già pensato con quella mortale... Maria?- chiese Demetra in tono di accusa.
Ade non potè contrabattere, interrotto da una risata soffocata del re degli dei.
-Zeus- chiamò con il petto fremente. -Taci se non vuoi scatenare una guerra fra Olimpo e Averno. Credimi, non ti piacerebbe.
-Non ho detto niente- protestò quello ridacchiando, troppo divertito per cogliere a pieno il significato di quella minaccia.
Ade socchiuse gli occhi, ormai ridotti a due braci di fuoco nero, la mano serrata a pugno.
-Il punto è- si intromise Atena, cercando di prevenire una delle tante liti che aveva cercato di sopire quel giorno, -che Persefone va trovata. Sia per l'affetto che proviamo per lei, sia per l'importanza del suo ruolo negli Inferi.
Demetra alzò gli occhi al cielo trapuntato di stelle.
-Ma per favore...
-Quello che tu non comprendi, mia cara Demetra, è che, al contrario del tuo insulso ruolo di fioraia, Persefone è essenziale per il mondo ed il suo equilibrio- ribattè Ade, ansimando per la rabbia che stava cercando di contenere.
La dea ingigantì gli occhi, troppo stupita per ribattere.
-Come già detto è la regina degli Inferi, ma sopra ogni cosa è mia moglie. E io non tollererò un altro giorno senza di lei- continuò il dio dei morti.
-Oh, che cosa romantica!- si lasciò sfuggirie Afrodite con un sospiro, gli occhi sognanti a rincorrere una qualche smielata fantasia.
-Orripilante- commentò Demetra, sputando a terra.
-La troveremo, Ade- si intromise Artemide. -Io e le mie Cacciatrici siamo a tua disposizione.
Il dio inarcò un sopracciglio. Stava per ringraziare la dea, ma Apollo lo interruppe, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
-Ci sono anch'io, ovviamente. Non lascerò tutto il divertimento alla mia dolce sorellina!
Ermes scosse la testa, divertito.
-Conta anche su di me. Persefone è adorabile e ogni volta che l'accompagno negli Inferi o in Superficie...
-Ehm, ehm...- si schiarì la voce Efesto.
-Voglio dire... Sì, ti aiuterò- borbottò Ermes.
-Anch'io!- esclamò Afrodite, agitandosi sul suo trono. -L'amore deve vincere su tutto!
-Se lei è con te, ci sono anch'io- si unì Ares.
Efesto tossichiò, e quache fiammella divvampò sulla sua folta barba. Si sporse dal suo trono, avvicinandosi all'orecchio di Ade.
-Ti aiuterò anch'io- gli sussurrò. -So cosa si prova a non avere accanto la propria amata...
Lanciò un'occhiata ad Afrodite, intenta a scambiarsi sguardi languidi con Ares.
-Grazie, Efesto. Lo apprezzo- rispose il dio, avendo cura di non ricordargli che sua moglie non era una puttana di prima categoria come la dea della bellezza, anzi tutto il contrario.
-Se potessi, fratello- disse Poseidone, -ti aiuterei a cercarla, ma ho molto da fare giù negli Abissi, lo sai...
Il suo tono di scuse era sincero.
-Non preoccuparti, fratello- lo tranquillizzò Ade, nel tono più gentile che riuscì ad assumere.
-Non mi hai lasciato finire- lo fermò, però, il dio dei mari, lo sguardo furbo e una mano sollevata. Ad Ade non sfuggì l'occhiata che Atena rivolse alla volta celeste.
-Dicevo- riprese Poseidone, -non potrò aiutarti in prima persona, ma manderò ugualmente dei collaboratori a setacciare gli oceani per ritrovare Persefone.
-Oh, ti prego- soggiunse Atena. -Non saranno dei buoni a nulla, incapaci come il loro signore, vero?- chiese con aria irritata. -Anche se credo sia difficile superare la tua stupidità- ragionò poi. -Ti aiuterò anch'io, Ade, e cercherò di prevenire i guai che potrebbe combinare un certo dio.
-Chi?- chiese Poseidone, confuso.
Atena roteò gli occhi.
-Bè, a questo punto penso di dovermi unire anch'io, no?- sospirò Dioniso. -Immagino che potrò anche sopportare di separarmi da quei moccios... Ehm... Da quei meravigliosi semidei per...
Zeus scosse la testa.
Dioniso sbuffò. -Vorrà dire che assegnerò delle imprese- si corresse con un gesto infastidito della mano.
Demetra stava per scoppiare in lacrime, commossa.
Qualcuno tossì.
Tutti si voltarono verso l'origine del suono: la regina Era si stava alzando lentamente, il mento sollevato in un segno d'orgoglio.
-Il matrimonio è una cosa sacra per me più che per chiunque altro, questo lo sanno tutti.- Si voltò verso Zeus. -O quasi.
Lui ridacchiò.
-Per questo ti aiuterò, impegnandomi io stessa nelle ricerche- annunciò risedendosi e suscitando l'entusiasmo di molti.
A quel punto Zeus si alzò, di nuovo serio e autoritario.
-Ora basta!
La sala calò nel silenzio più assoluto.
-Nessuno di voi abbandonerà il proprio posto.
-Persefone è anche tua figlia!- squittì indignata Demetra, scattanto in piedi. -Come puoi...
-Così ho deciso- la interruppe Zeus alzando una mano. -Non voglio rischiare un'altra guerra per una distrazione.
-Quindi Persefone sarebbe questo per te? UNA DISTRAZIONE?!- chiese ancora Demetra, ma non ricevette risposta. Si voltò, allora, verso Ade.
-E tu? Non dici niente?!
-Non mi aspettavo nulla di più.
-Quindi finisce così? Dovrò cercarla da sola?!
-No.
Ade si alzò. Il fuoco nelle torce appese alle pareti marmoree tremolò, divenendo freddo e opaco, e sulla sala regnò un silenzio spettrale.
-Gli Inferi sono ancora sotto la mia giurisdizione, perciò ordino seduta stante che la Morte smetta di mietere le sue vittime. Tutti saranno impegnati a cercare la loro regina e fin quando non sarà ritrovata, le cose non cambieranno!
I due fratelli rimasero ancora qualche secondo a guardarsi in cagnesco, studiando uno le mosse dell'altro, come se stessero aspettando il via per lanciarsi contro l'avversario e dilaniarlo con i denti. Poi, con un ultimo sguardo agli astanti, Ade scomparve in una nuvola di fumo più nera della notte stessa. E il consiglio d'emergenza degli dei fu sciolto.

Le dita agili della dea scorrevano veloci sul telaio, tessendo un'intricata rete di fili d'oro e d'argento, scattanti come lepri dal pelo nero.
Una litania era incastrata sulla sua gola candida e vibrante e il re degli dei rimase a lungo fermo sulla porta a bearsi di quel suono melodico.
-Non riuscivi proprio a resistere alla voglia di sfidare Ade, non è vero?- chiese Era, senza smettere di tessere.
-Zeus ridacchiò, avvicinandosi.
-Come tu ami tessere, mia signora, così io amo stuzzicare i miei fratelli.
Lei sorrise amara.
-Se pensi che dar loro noia sia produttivo...
-Oh, non immagini quanto!- esclamò lui baciandole il collo.
-E per chi dovrebbe essere produttivo, di grazia?- chiese lei, trattenendosi a stento dal mugolare di piacere.
-Per me, ovviamente. E per te, mia regina...- rispose malizioso il dio, calando una spallina del peplo e chinandosi a baciare la spalla di lei.
-E' un modo disonesto con cui trarre piacere- replicò Era voltandosi a fronteggiarlo. -Tanto disonesto quanto eccitante- mormorò gettandogli le braccia al collo.
-Scopriamo fino a che punto, allora, mia signora- propose Zeus, sollevandola per i fianchi.
E quella notte, mentre il talamo nuziale dei sovrani dell'Olimpo ardeva di passione, quello dei regnanti dell'Averno rimase freddo e immobile, mentre il suo proprietario si struggeva nel giardino della sua amata, consumandosi di dolore sotto il melograno che era stato l'inizio di molte cose.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Prima di lasciarvi a questo terzo capitolo vorrei condividere con voi un video (assolutamente meraviglioso) trovato su internet che, oltre a rappresentare la fine della mia vita sociale... o, se preferite, della mia vita e basta u.u, credo rappresenti alla perfezione (o quasi) il mito di Ade e Persefone. Grazie a tutti voi che continuate a leggere^^
https://www.youtube.com/watch?v=_CZb8Lpy068&hd=1

(Dico solo che nei prossimi capitoli, come in questo, vi saranno molti flash back)



Capitolo 3





 

Il palazzo nero era completamente immerso nel silenzio.
Ade aveva cacciato tutti quella mattina stessa, quando il dolore stampato sui volti stravolti dei servitori per la scomparsa della loro amata e dolce regina era diventato troppo opprimente da sopportare.
Il re degli Inferi aveva passato giorni sul suo cocchio nero, spronando i cavalli a macinare chilometri, a controllare ogni angolo di pianeta, ogni anfratto, ogni luogo, a interrogare ogni creatura vivente in cerca di colei senza la quale non riusciva a vivere, a respirare.
Ma niente: Persefone sembrava sparita nel nulla. Nessuno sapeva assolutamente niente.
Stava quasi terminando i luoghi dove cercarla e ogni minuto che passava sentiva la rabbia crescere dentro il suo cuore ferito.
Non era come quando lei tornava da sua madre. Lui sapeva che c'era, che ci sarebbe sempre stata ad aspettarlo, come lui aspettava lei, sempre.
Ora, invece, era totalmente scomparsa e Ade temeva il peggio. Era fragile, in fondo, la sua Persefone, e di tutto può subire un cuore fragile, non corrotto dal male. Al solo pernsiero i polmoni gli si serravano come a voler smettere di vivere. Ma non poteva farle questo. Se lei era in pericolo doveva trovarla, vendicarla. Sì, l'avrebbe vendicata, lei e tutto il male che avevano fatto loro. Avrebbe sfogato tutta la sua ira, la sua frustazione sui rapitori di sua moglie.
Ade sospirò stancamente, lasciandosi cadere su una poltrona nera davanti al camino. Le fiamme si stavano ormai del tutto consumando, soffocate dal freddo di quel luogo.

Si prese la testa fra le mani. Sarebbe impazzito, poco ma sicuro. Il dolore si sostituiva alla rabbia e viceversa in continuazione, dominandolo completamente e impedendogli di controllarsi. Avrebbe voluto urlare, correre, distruggere tutto quello che gli capitava a tiro, lasciarsi andare all'odio folle che covava nel cuore, ai suoi istinti di Cronide che difficilmente riusciva a domare in assenza di lei, ma le parole di Atena gli risuonavano continuamente in mente, fermandolo sul momento.

"E poi non sono sicura che lei vorrebbe questo..."

La mano diafana si serrò sul bracciolo nero, le dita scavarono nell'imbottitura.
Saggia, ingenua Atena... Già, lei non l'avrebbe voluto, ma non glielo avrebbe neppure fatto pesare. Avrebbe preso le sue mani fra le proprie e le avrebbe baciate, sorridendogli e trasmettendogli tutto il suo appoggio, il suo amore, il suo conforto. E lui avrebbe sentito di amarla, sempre di più, perchè l'infinito non ha limiti, si sarebbe chiesto perchè proprio a lui toccava di essere l'uomo più fortunato dell'intero Cosmo, si sarebbe domandato se non fosse tutto un sogno, una lenta tortura, meravigliosa illusione della sua mente rassegnata... E lei avrebbe diradato tutte le nubi oscure del suo animo con le sue labbra di pesca, vere e tangibili, dannatamente tangibili, con i suoi occhi nei quali Ade amava perdersi e affogare tutto il suo dolore, perchè Persefone non se ne sarebbe mai andata, non si sarebbe mai arresa, mai spenta, limpida luce fra le tenebre, e l'avrebbe sostenuto per sempre. Persino ora gli sembrava di sentire la sua risata, il profumo inebriante dei suoi capelli morbidi dove il dio affondava le dita e il viso, beandosi e saggiandone la consistenza delicata. Era preziosa, Persefone, così fragile e delicata come può esserlo un bocciolo in balia di una tempesta, ma avrebbe sempre trovato la forza di andare avanti, di sostenere entambi, per lui. E di questo Ade gliene sarebbe sempre, immensamente stato grato. A differenza di come si potrebbe pensare era lei la più forte dei due, quanto la più debole, e Ade l'avrebbe protetta. Sì, l'avrebbe fatto, ad ogni costo, come aveva promesso di fare secoli prima, perchè l'amava, perchè ne aveva bisogno, e perchè lei era la sua unica ragione di vita. E su questo non aveva bisogno di giurare sullo Stige.
Una lacrima nera rugò le gote pallide del dio, ma nessun dito infastidito corse a spingerla via e lei potè continuare a scendere indisturbata, seguita da molte altre sue sorelle.
Il fuoco ebbe uno spasmo.
Ade si voltò a guardarlo, incontrando gli occhi tristi di una bambina vestita di cremisi, che lo guardava seria.
Il dio chinò il capo.
-Divina Estia- salutò.
Non l'aveva mai chiamata sorella. Forse perchè fin dalla primo momento che l'aveva vista gli era sembrata troppo eterea per essere vera, come un essere primordiale cui si doveva del rispetto.
-Ade- ricambiò lei.
Il suo tono era malinconico.
-Ade, il fuoco è debole.
Lui rimase lì, ad osservarla immobile.
-La casa è fredda- continuò Estia, guardandolo con quegli occhi da cerbiatto, così penetranti da sembrar volergli carpire l'anima. Si guardò intorno e andò a carezzare dei fiori appassiti in un bellissimo vaso argentato.

-Aggiungerò dei fiori! E delle piante rampicanti circonderanno le colonne! Vedrai, sarà meraviglioso!
Il dio rise.
-Anzi, sai cosa? Un giardino! Un immenso giardino all'ingrsso del palazzo! Con pietre preziose e ogni genere di fiore esistente al mondo!
-E non appassiranno?
-Sottovaluti le mie speciali doti di dea della primavera, amore mio.
-Affatto, Persefone, ma...
Lo baciò e le parole gli morirono in bocca, soffocate dalle labbra di lei.
-Sarà tutto perfetto, Ade. Promesso...

-Sono consapevole delle mie mancanze- rispose Ade, distogliendo lo sguardo dai fiori che gli ricordavano in modo troppo doloroso sua moglie e il modo in cui l'avrebbe guardato se avesse saputo in che stato versava il palazzo.
-La famiglia si sta spezzando- mormorò Estia. -Come il tuo cuore, dio degli Inferi.
Ade strinse gli occhi fino a farsi male.
La bambina gli prese delicatamente una mano, rinchiudendola fra le sue, piccine e calde.
-Non puoi andare avanti così.
Un singhiozzo.
-Ho cercato... d'ovunque... Ma è... E' scomparsa...
Estia non rispose, continuandolo a fissare seria.
-Il dolore che stai provando non è debolezza, Ade. Fortificati con esso, sfruttalo per ritrovarla.
-Ho sgretolato montagne, inaridito fiumi, setacciato mari e selve...
-Quello che ci fa gioire può anche essere quello per cui soffriamo- recitò la dea, cupa.
Il dio si riscosse. -Cosa...
-Cerca, Ade...
La sua voce echeggiò per la stanza, mentre la sua figura si faceva tremolante.
-Non permettere al fuoco di spegnersi...
La mano gli ricadde sul ginocchio, mentre l'altra cercava di afferrare disperata la scia di fumo profumante di biscotti caldi e pane appena sfornato lasciato dalla dea.
E con quell'odore a riempirgli le narici, Ade chiuse gli occhi e ricordò.

Le morbidi coltri del talamo nuziale lo avvolgevano fresche, mentre un dolce profumo invadeva l'aria. Persefone era seduta al suo fianco sorridente e bellissima come sempre.
-Buon giorno, mio signore- lo salutò chinandosi a baciarlo.
-Dunque l'estate può dirsi conclusa- ragionò il dio.
-Definitivamente- confermò lei.
-Non vedevo l'ora.
Ade fece leva con le braccia e, facendola ricadere fra i cuscini morbidi, si sistemò sopra di lei, carponi, mentre la risata della dea, colta alla sprovvista, gli riempiva melodica le orecchie e lo faceva diventare pazzo d'amore.
Si chinò a baciarla, facendo attenzione a non ferirla, delicata com'era.
-Aspetta, mio signore- lo fermò lei posandogli una mano sul petto nudo. -Ho una sorpresa!
Ade inarcò un sopracciglio, squadrando indagatore il suo sorriso emozionato.
-Che tipo di sorpresa?
Lei lo scostò con gentilezza, o meglio lui le permise di alzarsi, prese un vassoio argentato da un tavolo d'ebano in fondo alla stanza e si voltò a mostrarlo ad Ade. Sopra di esso, un semplice oggetto di forma circolare, dorato e profumante di miele, con delle fette di melograno disposte a formarme un cuore.
-Cos'è?- chiese sospettoso.
-Si chiama "torta". I mortali la offrono agli dei. Mamma ne ha trovata una in un tempio in Grecia- spiegò. -Mi ha detto come prepararla. E' molto povera in realtà: bastano farina e miele. Mi sembra vuota e monotona, così ho aggiunto i melograni.
Ade coninuò a squadrarla con sospetto.
-Coraggio, assaggia!- lo incalzò Persefone, staccandone un frammento e avvicinandoglielo alla bocca.
Il dio socchiuse le labbra e fece come ordinato.
Era dolce, per via del miele, ma il succo aspro dei melograni creava un'ottimo contrasto.
Sorrise, ingollando il pezzo di torta.
-Allora? Ti piace?- chiese ansiosa la dea bambina.
-Deliziosa- rispose lui.
Lei parve illuminarsi.
-Te ne preparerò altre! Vedrai, mio signore, non...

-Non devi chiamarmi "signore"- l'interruppe lui, sorridendo e avvicinandosi flessuoso.
Le guance chiare di lei si tinsero velocemente di rosso.
-Oh... Come vuoi tu, A...- balbettò, ma lui le arrivò pericolosamente vicino, il fiato caldo di miele a soffiargli sulle labbra e facendole tremare le ciglia.

-Non riesco a sentirti, Persefone- mormorò mellifluo.
Lei deglutì, accennando ad un sorriso.
-Come desideri... Ade.

-Mio signore?
Ade si riscosse, riportato bruscamente alla realtà da quella voce profonda. Serrò la mascella, cercando di trattenere la rabbia, i pugni già circondati da fuoco nero.
-Thanatos- disse. -Credevo di aver detto di non voler essere disturbato.
Thanatos deglutì.
-Lo so, mio signore, ma... Credo sia importante...
Il dio scattò in piedi.
-Persefone?
-No, mio signore...
Thanatos si fece da parte, sotto l'occhio indagatore del suo re, rivelando colei che fino a quel momento era rimasta celata agli occhi di entrambi.
La pelle diafana, i capelli lunghi e inanellati fino ai fianchi, neri come la pece, le vesti attillate al corpo sinuoso, le orecchie lievemente appuntite, due profondi pozzi bui al posto degli occhi e un sorriso malizioso stampato in volto.
Il dio non si scompose, ma la ninfa lo conosceva abbastanza bene da sapere che era rimasto stupito della sua improvvisa comparsa.
-Salve, mio signore- lo salutò beffarda con una riverenza. -Vi sono mancata?
-Menta- ricambiò lui, atono. -Bella come sempre.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Capitolo 4







Il dio passeggiava tranquillamente fuori dalle mura del suo palazzo.
Amava camminare appena sveglio: lo aiutava a pensare.
L'odore di zolfo gli penetrava acre nelle narici, solleticandogli i sensi quanto avrebbe fatto il profumo di un mazzo di fiori qualunque.
Alla fine si era abituato a quell'odore pungente, dopotutto. All'inizio non lo aveva creduto possibile, ma presto la repulsione per il ruolo che i suoi fratelli gli avevano rifilato, dopo la spartizione del regno di Crono, era scomparsa, sostituita da un piacevole interesse.
Ad un tratto, intravide una figura vicino le rive del Cocito, il fiume del pianto, freddo come il ghiaccio, affluente dello Stige e perciò inquinato quasi come quello.
Si avvicinò, curioso, e capì che quella che aveva davanti era una ninfa infernale. Diversa dalle sue cugine di Superficie, dalla pelle pallida e le vesti scure, piangeva lacrime nere china sulle sponde del fiume.
Il dio si schiarì la voce, attirando la sua attenzione.
-Oh, mio signore!- esclamò lei affrettandosi ad alzarsi e ad inchinarsi.

Ade fece un cenno con la mano e lei si risollevò.
-Perchè piangevi?
Lei parve colta alla sprovvista.
-Emh... Ecco io...
Si voltò verso le acque bianche e inquinate, e il suo volto si rattristò.
-E' che è così...- Ci pensò su.
-Lo so- concordò Ade, vedendola in difficoltà.
-E' la mia casa, mio signore! I mortali non dovrebbero sporcarla così!

Le guancie le si imporporarono per la rabbia.
Il dio rise.
-Qual è il tuo nome, ninfa temeraria?
Lei parve di nuovo sorpresa, ma si affrettò a rispondere, stavolta con prontezza.
-Menta, mio signore.- Si inchinò. -Per servirvi.

Menta avanzò flessuosa, inarcando un sopracciglio.
-Sembrate sorpreso, mio signore.
-Non dovrei?
Lei scrollò le spalle, sospirando teatralmente.
-La vita è sorprendente. Dopo centinaia di secoli rieccomi reincarnata nel mio corpo. Buffo, non trovate?
Ade rimase in silenzio, ad osservarla.
-Thanatos, lasciaci soli.
Lui parve esitare.
-Lasciaci soli, ho detto- ripetè il dio duramente, e l'altro obbedì, ritirandosi in fretta nel corridoio.
-Prego, accomodati pure- disse poi, Ade, rivolto alla ninfa.
-Posso fare come se fossi in casa mia? Oh, già, questa è casa mia- commentò lei acida, e si sistemò in una poltrona di pelle nera davanti al dio, mentre il peplo nero le scivolava casualmente da una delle gambe diafane che ora era in bella mostra, provocante.
Ma il dio non si scompose.
-E' bello rivedervi, mio signore- esordì la ninfa. -Non siete cambiato affatto.
-Tu, al contrario, molto.
Lei si rabbuiò.
-La morte cambia le persone.
Poi tornò alla sua aria beffarda.
-Mi siete mancato- disse più dolcemente.
Silenzio.
-E io? Non vi sono mancata?- chiese ancora Menta, sporgendosi audace a mostrare la scollatura del seno prosperoso.
Ade assottigliò le palpebre.
-Ovviamente- sibilò.
Lei sorrise compiaciuta.
-Ho sentito che la regina è come dire... scomparsa- proseguì accavallando le gambe.
Un pugno si serrò attorno al bracciolo già sventrato della poltrona su cui era seduto il dio.
-Hai sentito bene.
-Che spiacevole circostanza- sospirò Menta, alzandosi.
-Vado a vedere se le mie stanze sono ancora mie.
Si avvicinò al dio, prendendo delicatamente la mano avvinghiata nel bracciolo e baciandola con malcelata malizia.
-A presto, mio signore.
E si allontanò ondeggiando i fianchi, sensuale.

E così quel satiro mi ha afferrata! Ma, ovviamente, l'ho fermato subito. E' misteriosamente ed inspiegabilmente morto all'improvviso, senza poter appurare che noi ninfe demoniache non siamo così sciocche come le nostre parenti in Superficie, che gli dei le benedicano.
Il dio si lasciò sfuggire una risatina, che si affrettò a coprire con una mano.
-Cosa avete, mio signore? Siete più freddo e sfuggente del solito quest'oggi...
Ade non rispose, spostando altrove il suo sguardo.
-E' per quello che vi ha detto la regina?- continuò ad incalzarlo lei.

Lui si voltò a guardarla, torvo.
-Come fai a saperlo?
Lei arrossì.
-Ecco...Voci...- si schermì imbarazzata. -Ma comunque non le avete dato ascolto!- continuò speranzosa.
Ade inarcò un sopracciglio.
-Menta, credo tu abbia frainteso...
Lei si sporse, aggrappandosi al suo petto.
-Mio signore, per favore!- esclamò supplicante. -Io so che voi provate qualcosa per me!

Lui la scostò, gentilmente.
-Sei confusa, Menta. Io amo solo Persef...
-No! Ve lo proverò!- lo interruppe lei, e si slanciò a baciarlo.
Le sue labbra erano fredde, constatò il dio, non calde come quelle della sua consorte, ne tanto morbide e piacevoli.
Si allontanò, questa volta con più decisione, incontrando lo sguardo supplicante e già circondato da stille nere della ninfa.
-Mi dispiace, Menta. Lei è l'unica.
-Ma...
La protesta di lei cessò prima di essere conclusa, sostituita da un suono strozzato.
Menta si guardò disperata le gambe, scoprendo con orrore che esse si stavano sempre di più ancorando al suolo roccioso, seguite in pochi istanti dal resto del corpo. La ninfa guardò terrorizzata il dio, mentre anche il viso veniva circondato dalla terra. E lì dove una mano fino a qualche attimo prima si protendeva in cerca d'aiuto, una piantina semplice di un verde brillante emergeva dal suolo, fredda e sterile.
Ade si guardò intorno, scoprendo sua moglie a guardare con incredulità il germoglio verde.
Si avvicinò alla sua figura esile e tremante, le cinse i fianchi con le braccia forti e la strinse a sè con protezione.
-Non... Io non...
-Shh...
Ade le baciò il capo.
-E' tutto finito. Non preoccuparti.
-Ma io... Io l'ho...
-Persefone- la chiamò lui, catturando i suoi occhi chiari già prossimi alle lacrime. -E' tutto finito- ripetè, sorridendole e abbracciandola con calore.


Thanatos vagava per i corridoi bui del palazzo del suo signore, senza meta, cercando solo di sbollire la rabbia, i pugni chiusi e la mascella serrata.
-Ehm, ehm- esordì qualcuno schiarendosi la voce.
Si voltò, il dio, sulla difensiva, incontrando il penetrante sguardo di Menta che ghignava divertita, comodamente poggiata allo stipite di una porta d'ebano.
-In giro a quest'ora, Thanatos?
Il dio la prese per le spalle e la spinse dentro la stanza, richiudendo la porta in fretta.
-Se non ti conoscessi bene penserei che tu voglia soddisfare le tue voglie carnali con me.
Thanatos le lanciò un'occhiataccia.
-Ma ti conosco bene e so che non sono... come dicono oggi i mortali? Oh, sì! So che non sono il tuo tipo.
Thanatos respirò pesantemente, mentre la ninfa prendeva a ridere argentinamente.
Le cinse il collo con una mano e la spinse contro le mura di ossidiana.
-Oh, ti prego...- disse lei roteando gli occhi.
Una spirale di fuoco nero lo spinse via, facendolo cadere non tanto per la potenza del colpo quando per la sorpresa.
Tossì, rialzandosi.
-Maledetta...
-Risparmiamelo- lo fermò lei alzando una mano. -Piuttosto, hai notizie riguardo... lei?
Lui si sedette sul bordo del letto accavallando le gambe.
-Ovviamente.
-E allora avanti!- lo incalzò lei impaziente.
-Anche le pareti hanno le orecchie- la mise in guardia il dio.
Menta lanciò un ringhio di frustazione.
-Vorrei proprio capire cosa ci trova in quella deuccia da quattro soldi!
-La tua gelosia e invidia ti tradiscono, mia cara. Mi stupisco che ancora lui non abbia sospettato di te.
Menta rise isterica.
-Oh, ma lui sospetta di me. Ma non si esporrà, non ancora. Vedrai, lo conosco.
Thanatos arricciò le labbra.
-Ti atteggi già a nuova regina, ma dimentichi il patto.
-Certo che no. Avrai la tua occasione, non preoccuparti- ribattè lei ghignando. -Ovviamente solo se ne avrai il fegato.
Thanatos scattò in piedi, indignato.
-Cosa vorresti insinuare?!
-Niente, niente... Solo...
Lei gli si avvicinò lentamente, carezzando il petto poderoso del dio che stonava con la sua figura slanciata e magra.
-Pensavo che anche se non ti piaccio per... Bè, ovvi motivi, in realtà!- lo schernì.
Thanatos la spinse contro il muro, ringhiando, afferrandola per le spalle.
-Potremo comunque divertirci- continuò la ninfa, cingendo con una gamba il fianco di lui e chinandogli le spalline del chitone grigio cenere.
Thanatos la sollevò per le gambe, allacciandosela al corpo.
-Vediamo se dopo millenni sei ancora in forma come una volta, Menta.
-Non sono più la sciocca di prima!- esclamò lei furiosa, baciandolo rudemente, un gioco di lingue privo di affetto, che parevano volersi azzannare l'un l'altra.
-Non lo metto in dubbio, mia cara. Ma è ovvio che questo non è bastato ad Ade come Persefone- rise maligno lui, stringendole malamente le coscie diafane.
-Io sono mille volte meglio di Persefone!- urlò Menta, tirandogli uno schiaffo carico d'odio.
Così cominciò una notte folle di passione fra due rivali che miravano più a sfogare l'odio e la rabbia soppressi con gli anni che altro. Nessuno dei due riservò delicatezza e riguardo per l'altro, trovando anzi molto più eccitante odiarsi che amarsi in quel talamo freddo, sul pavimento di marmo nero, sul muro inviolato fino ad allora o su qualsiasi piano capitasse loro a tiro, per poi, infine, soddisfatti, sfogare la loro eccitazione pensando alla stessa persona che, intanto, soffriva nel suo di talamo, a ripensare all'avvertimento della dea sua sorella che, intanto, scuoteva il capo affranta alla vista del focolare ormai quasi spentosi del tutto.





Angolo Autrice
Ma saaaalve! State crescendo e questo davvero non può che farmi piacere^^
Dunque, abbiamo scoperto chi è questa fantomatica Menta di cui abbiamo tanto parlato, ma soprattutto i sospetti di Fan of The Doors su Thanatos si sono rivelati autentici.
Ah, un piccolo appunto su di lui, a proposito: non seguirò la versione degli Eroi dell'Olimpo -purtroppo non ho ancora avuto il piacere di leggere il secondo- essendo anche per necessità. Ma spero che il Thanatos gay vi soddisfi comunque^^
Grazie delle magnifiche recensioni che mi lasciate e un bacio a tutti!
Soon: Persefone *^*

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Capitolo 5
*** 5 ***


Capitolo 5







La giovane socchiuse gli occhi, incontrando un terribile buio pesto.
Provò a sollevarsi, ma non riusciva a vedere assolutamente niente. Tentò, allora, di chiamare aiuto, ma le rispose solamente il nulla silente.
La mente rimaneva muta e sorda ai suoi continui tentativi di richiamare i ricordi del passato.
Non aveva avuto una vita? Qualcuno che soffrisse per lei? Nessuno che l'avesse amata? Una madre? Dei fratelli o delle sorelle? Un marito?
Provava uno strano effetto al pensiero di quella parola. Marito... No, consorte. Le veniva da sorridere e piangere allo stesso tempo, senza sapere perché. Uno strano colore si espandeva dal cuore al resto del corpo. Doveva pur significare qualcosa, maledizione!
Provò a saggiare la parola fra le labbra, a gustarne il sapore, a pronunciarla, ma le uscì un suono del tutto diverso.
Ade.
Cosa significava?
Avvertì degli strani brividi scorrerle lungo la spina dorsale. Provò a dirlo ancora, e ancora, e ancora. Prima un sussurro, poi un suono sempre più deciso, fino a divenire un urlo, forte, chiaro, supplichevole.
Ade.
Come un'ancora. Non una luce di speranza, ma un'oscurità ancora più potente di quella che la circondeva, di quella che le albergava in testa. Un luogo dove poteva sentirsi protetta, al sicuro. Una parola rimastale incastrata troppo a lungo fra i denti.
Ade.
Un aiuto che tardava ad arrivare. Ma perchè tardava ad arrivare? C'era sempre stato, pronto a sostenerla. Perchè non ora?
Ade.
Un dolore acuto, come di chiodi ardenti a penetrarle nel petto.
Ade.
Una consapevolezza.
Ade.
La certezza che, questa volta, non sarebbe giunto l'aiuto che cercava disperatamente di invocare.
Pianse, urlò fino a farsi male, cercando di farsi forza, ma quell'oscurità ostile non cessò di opprimerla.
Ad un tratto, una piccola luce brillò fioca fra tutto quel nero.
-Mia signora!- esclamò una voce.
-Ade?
Silenzio.
-Ade?- chiese ancora lei, speranzosa.
-No.
Sentì un macigno, all'altezza del petto, premerle contro il cuore.
Pianse più sommessamente.
-Per favore, mia signora, non piangete- la supplicò una voce gentile, la stessa di un tempo che non avrebbe saputo dire se lontano o vicino.
Una mano calda le carezzò il viso, asciugandole le stille che gli rigavano il volto.
-Ade...- mormorò ancora lei.
La mano si bloccò.
-Voi... voi ricordate?
Lei scosse la testa affranta.
Un sospiro.
-Non temete, Persefone, siete al sicuro qui.
Si riscosse.
-Persefone?
-E' il vostro nome. E' così che vi chiamate.
Lei sgranò gli occhi.
-Persefone?- chiese.
Era così strano avere finalmente un nome con cui riferirsi a quello che era, una parola per riassumere tutto quello che sentiva.
Un sospiro le sfuggì dalle labbra.
Un nome, un'identità, una se stessa a cui il mondo non poteva dire di no, perchè lei era viva! Sentiva di aver ritrovato la vera sé, o almeno le basi. Ora si sentiva più decisa che mai a recuperare anche il resto.
-Mia signora.
-Si voltò riconoscendosi inconsapevolmente in quell'appellativo.
-Sì?
-Mi dispiace, ma...
Qualcosa le sfiorò la fronte, e dei brividi le si espansero per tutto il corpo.
-Cosa...- provò a chiedere, ma si sentì mancare e cadere all'indietro. Delle braccia forti la trattennero.
-Presto sarà tutto finito, mia signora... Vedrete.
Le braccia l'adagiarono su una superficie morbida, delicatamente.
Persefone cercò di resistere alla voglia di addormentarsi.
-No... Per favore, no... Io sono qui... Io... Io esisto...
Ma il sonno ebbe la meglio su di lei e un sospiro stanco le sfuggì dalle labbra, così come il pensiero di quei due nomi recuperati e nuovamente perduti con troppa velocità.

Ade si sollevò a sedere di scatto.
L'aveva sentita. Aveva percepito Persefone.
Un'istante, niente di più. Non poteva essere stato solo un sogno, no. Aveva sentito la sua voce stanca, un sussurro quasi inesistente che lui avrebbe sentito anche se fosse stato pronunciato da un muto, perché Persefone era dentro di lui, oltre che fuori. Se non l'aveva sentita fino a quel momento era perché qualcosa bloccava l'aura che emanava, quella soave e profumata aura che lo aveva rapito ancora prima che lui facesse lo stesso con la sua proprietaria. Ma ora l'aveva percepita. Certo, troppo brevemente per poterne scoprire la provenienza, ma almeno sapeva che c'era ancora, che non le avevano fatto del male. La sua dolce Persefone... Gli si stringeva il cuore solo al pensiero. L'aveva sentita così debole e fioca...Come fumo che fugge nell'atmosfera in volute grandi, sempre più invisibile, più sfuggente...
Strinse i pugni sulle lenzuola chiare.
Era tornato a dormire nel suo letto, quella notte, ripetendosi che l'essere in forza sarebbe stato più utile per ritrovarla.
Il vuoto al suo fianco gli fece tremare il cuore. Allungò una mano fino a sfiorare il cuscino della sua consorte, dove un narciso giaceva ripiegato su se stesso, ingrigitosi quasi del tutto. E come quel fiore sembrava voler trattenere in un disperato abbraccio quell'unico frammento di vita rimastogli, un giallo di una luce fioca che lo avrebbe ucciso se si fosse spento del tutto, così si sentiva il dio dei morti: spezzato ma deciso a non smettere di lottare. Non avrebbe perso la speranza. Il vaso di Pandora sarebbe rimasto sigillato.
Sfiorò con dita esitanti e delicate i petali marci, risvegliando dolci ricordi amare che gli bucarono il petto, come una puntura dolorosa che però avrebbe portato la cura ad una malettia fatale.

Ade socchiuse gli occhi, mentre il freddo del vuoto contro la schiena gli rammentava che Persefone se n'era andata, tornata da sua madre per la primavera.
Ade scosse la testa, ancora amareggiato all'idea di "condividere" sua moglie con quella donna che, ancora faticava a crederlo, era anche sua sorella. Come avesse fatto Persefone a crescere così diversa dalla madre, il dio, ancora, se lo chiedeva. Un miracolo di certo. Fino a qualche mese prima si sarebbe giocato il trono dell'Averno in una scommessa, tanto era sicuro che da un'essere così ossessivo e paranoico, quale era la dea delle messi, potesse nascere soltanto una creatura altrettanto simile. E invece...
Sorrise al pensiero della dolcezza della sua neo sposa, della sua gentilezza, della sua audacia...
Si mise a sedere, pronto a rivestire i panni di re solitario, quando qualcosa di brillante e dai colori vivaci catturò la sua attenzione, stonante con il resto della stanza fredda e buia. Un narciso, nel cuscino accanto al suo.
Lo prese con reverenza, osservandolo con la fronte aggrottata. Non c'erano dubbi, era lo stesso tipo di fiore di cui si era servito per distrarre Persefone e catturarla...
-Ah...- si lasciò sfuggire, sorridendo. -Ora è tutto chiaro.
Lo riadagiò nella sua precedente posizione, pensando all'ironia di quel presente donatogli dalla sua amata regina.


Con il passare dei mesi si accorse con piacere che il fiore non appassiva e che nei momenti di tristezza emanava un profumo più deciso, che aveva il potere di tranquillizzarlo come se la sua regina fosse lì con lui. E così per tutte le volte in cui la sua amata sposa veniva a mancare, quei fiori lasciati lì in sua vece non lo facevano sentire solo e abbandonato, perché quello era il suo modo di dirgli che lei c'era, comunque, anche senza essere lì.
Un bussare frenetico lo fece tornare bruscamente alla realtà.
La figura oltre la porta non aspettò una sua risposta, ed entrò con un vassoio di frutta fresca, nettare e ambrosia.
-Menta- chiamò il dio.
-Mio signore- lo salutò lei sorridendo e riponendo il vassoio su una cassapanca in ebano poco distante dal letto su cui bordo poi si sedette senza permesso, sfacciata e senza remore.
Un brivido scivolò lungo la spina dorsale del dio, come se con quel semplice gesto la ninfa stesse profanando un luogo sacro al matrimonio.
Con curiosità si scoprì a immaginare l'espressione contrariata di Era, sua sorella.
La ninfa si allungò per prendere un melograno.
-Ho sentito dire che avete congedato i vostri servitori temporaneamente- esordì.
-E' così- si limitò a rispondere Ade, cupo.
Menta divise il frutto in due, cogliendone poi un chicco rosso sangue e portandoselo alla bocca.
Ade si trattenne a stento dal rispondere alla tacita provocazione.
-Credete sia stata una mossa saggia?- chiese lei. -Voglio dire, i vostri nemici potrebbero approfittare del vostro evidente momento di devolezza.
Ade inarcò un sopracciglio.
-Perché credi dovrei avere dei nemici?
Lei scrollò le spalle.
-Tutti i grandi e giusti re ne hanno, mio signore. E' ovvio che agire come avete fatto voi, chiudendo le porte del palazzo e fermando la Morte, potrebbe destare sospetti sull'attuale stato delle cose.
Il dio rimase in silenzio, mentre lei ingollava il sesto chicco.
-E poi- continuò Menta, stavolta protendendo una mano verso di lui. -Chi si prenderà cura di voi?
Ade non staccò gli occhi dal suo volto pallido, neppure per lanciare un'occhiata al chiccho a un soffio dalle sue labbra.
Poi, con riluttanza, accettò il dono, rinchiudendolo nella morsa della sua bocca calda, e con esso la punta delle dita della ninfa.
-Non ho bisogno delle cure di nessuno- disse poi, lapidario, afferrando rude il mantello nero appeso alla tastiera del letto per legarselo ai fianchi ed alzandosi.
-Mio signore...
Menta lo seguì attraverso la stanza e non appena lui si fermò per aprire la porta, gli cinse le spalle con le mani, carezzandogli poi la schiena possente.
-Mio signore, per favore- lo supplicò abbandonando l'aria sicura acquisita dopo la morte. -Non potete abbattervi così! Voi siete il re dell'Averno, signore di un mondo più forte persino di quello di Zeus!
Ade si voltò a guardarla, un sopracciglio inarcato.
-Dove vuoi arrivare?
-Voi siete superiore!- continuò la ninfa. -Meritate...
-Sì?- la incalzò il dio, vedendola esitare.
-Meritate di meglio- completò lei, decisa.
Il dio le cinse la gola con una mano e la sbattè con violenza ontro una parete vicina, schiacciandola con il suo peso.
-Se c'entri qualcosa con la sparizione di Persefone, io ti...
-Mi credete davvero capace di fronteggiare una dea? Me, misera ninfa impotente?- boccheggiò lei.
-Sei sempre stata molto brava a parole, Menta.
-La parola non può battere i poteri della regina dell'Averno- protestò lei annaspando in cerca d'aria. -Mio signore... Vi prego...
Lui serrò ancora di più la presa sul suo collo.
Lei strinse gli occhi, piangendo.
-Siete migliore di così...
-Ah, sì? E cosa te lo fa credere?
-Non è lei ad avervi cambiato. Vi ha semplicemente dato una spinta! Non ne avete bisogno per essere quello che siete... Io...
Tossì.
-Vi prego, voi non volete uccidermi davvero...
Lui assottigliò gli occhi, ghignando crudele, quasi esaltato nell'avere quella fragile vita mortale fra le mani. Sarebbe bastato premere appena un po' di più. Ne aveva il potere, ne aveva la forza, ne aveva la volontà... Eppure...
Un lampo di lucidità gli attraversò la mente.
Si allontanò veloce, facendola cadere al suolo, ansimante.
Menta si stringeva la gola, ancora piangente, ma quando alzò la testa su di lui, sorrideva trionfante.
-Ve lo avevo detto...
Ade digrignò i denti e con un guizzo di mantello fu fuori dalla stanza.

Thanatos tamponava piano i segni rossi sulla gola della ninfa, che non smetteva di sorridere maligna. Arricciando le labbra, pressò appena più del dovuto sopra la giugulare.
-Ahi! Vuoi fare attenzione?- si lamentò Menta.
-Certo che te la sei proprio vista brutta.
-Non ti sarebbe dispiaciuto se fossi morta.
-A dire la verità no.
Lei roteò gli occhi.
-L'invidia è una brutta bestia, Thanatos.
Lui gettò la pezza nella ciotola d'acqua.
-Cosa intendi fare, adesso?
-E' ovvio che la versione verginella timida e debole gli piace di più. Dopotutto ha sposato Persefone e non Afrodite!
-Se avesse sposato Afrodite a quest'ora non saresti qui.
Lei lo guardò ghignando.
-E tu non avresti una possibilità, mio caro. Ho detto verginella, non verginello.
Lui ringhiò.
-Comunque ora più che mai sono decisa a continuare con il piano. Piuttosto, Hypnos?
Thanatos assunse un'espressione schifata.
-Non avrà dei ripensamenti!- si allarmò la ninfa.
-No, ma... Sai che ha un animo debole.
Sputò a terra.
-Persefone ha stregato anche lui.
-Che se la tenga pure, a me non importa. La nostra priorità è tenerla lontana da Ade e se questo significa che dovremo farla innamorare di un altro ben venga! Consolerò il suo curoe infranto.
Thanatos le lanciò un'occhiataccia.
-Consoleremo- si corresse lei con un gesto spazientito della mano.
-Meglio.
-Ma tu bada bene di controllare tuo fratello! Non mi piace lì da solo con lei.
-Lo farò, non temere.
-E' tempo di passare all'azione.Lui la guardò confuso.
-Che intendi fare?
-Tutto quello che sarà necessario per riprendermi ciò che è mio di diritto.
-Ade non è una tua proprietà- ribattè Thanatos indignato.
Lei ghignò.
-Oh, ma io non voglio solamente Ade.
L'altro inarcò un sopracciglio.
-Io voglio il trono.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Sono terribilmente in ritardo, lo so! Non sto, però, a dilungarmi molto con vane scuse e vi lascio a questo sesto capitolo che vi introdurrà un personaggio a cui sono molto affezionata e che si presenterà più avanti nella storia. Spero vi piaccia e grazie a tutti per le splendide recensioni che mi lasciate^^




Capitolo 6






L'inverno era piombato sulla terra tre mesi prima del previsto, freddo come mai.
I mortali se ne stavano rintanati nelle loro case, al sicuro e al calduccio, stretti alle loro famiglie felici.
La dea sorrise crudele, fuori dalla casa della sua ennesima vittima. Avanzò lenta sulla neve, mentre anche l'ultima luce sicura veniva spenta e la notte prendeva definitivamente il sopravvento nell'abitazione solitaria.
I respiri tranquilli dei mortali le suggerivano che era ora di divertirsi. Negli ultimi tempi non ne aveva avuta molta occasione, per via di quanto successo alla sua regina, ma finalmente il momento era giunto.
La nebbia si addensò, scivolando lenta sul suolo innevato, e con il fruscio lugubre della sua veste dorata si avviò verso la finestra della camera da letto dei due sfortunati coniugi che avrebbero soddisfatto i suoi capricci.
Il vetro riflettè la sua figura spettrale e lei si ritrovò a ricambiare il sorriso fiero che il suo riflesso le indirizzava.
Non era mai stata molto vanitosa -e come avrebbe potuto?- ma presto si era abituata al suo aspetto, trovandolo perfettamente allusivo ai suoi strani interessi, quasi ironico.
Con un sospiro attraversò la parete e si posizionò al lato della donna che dormiva beata.
Non per molto si disse ghignando e cambiando forma.
La donna si agitò nel sonno, svegliandosi e icontrando il volto spaventosamente familiare della sua defunta suocera. Il respiro le si mossò in gola.
-Ebbene, Mary? Credevi sorvolassi sul mio patrimonio di cui ti sei impadronita ingiustamente? Ti tormenterò fino alla morte. Non è questo che volevi? Che mi togliessi dai piedi? Oh, ma non sai che liberazione! Non devo neanche soffocarmi nel mio stesso sangue! Oh, a proposito...
Le carezzò una guancia, sporcandola di un liquido denso e rosso.
La donna urlò. Lei rise di cuore.
"Melinoe."
La dea si sentì trascinare lontano da lì, fino ad arrivare nella sala del trono del palazzo reale degli Inferi.
-Proprio adesso?!- chiese pestando un piede per terra.
-Melinoe.
Si voltò sbuffando verso i troni.
-Padre- salutò inchinandosi.
-Credevo di aver ordinato espressamente di impegnarsi nella ricerca di Persefone giorno e notte- continuò lui.
-Sì, è così.
-Ebbene?
Lei sospirò.
-Niente.
Ade arricciò le labbra.
-Come pensavo.
-Perché non lo chiedi a Macaria? Sono sicura che la tua figlia prediletta sarebbe felice di ricevere le tue attenzioni! O forse quel Nico di Angelo! Il piccolo moccioso ti ha spianato la strada verso l'Olimpo, no?
-Melinoe- la richiamò spazientito il dio dei morti.
Un improvviso e lento vorticare di fumo grigio li fece voltare entrambi.
Una donna abbigliata di bianco, dalla lunga chioma candida come la neve e una nera bandana a coprirle gli occhi si materializzò al fianco della dea dei fantasmi.
-Macaria- salutò il dio chinando il capo, mentre Melinoe roteava la testa, a sostituzione delle orbite mancanti.
-Padre- ricambiò la dea della buona morte con una riverenza. -Ancora nessuna notizia della regina Persefone, ma io e le Furie lavoriamo costantemente e senza sosta.
-E come non potreste?- chiese sarcastica Melinoe.
La minore sospirò e si rivolse alla sorella.
-Melinoe- la salutò chinando il capo. -Acida come sempre.
-Macaria- le fece il verso l'altra. -Debole come sempre.
-Te l'ho già spiegato, sorella. La morte, talvolta, può essere un premio e una consolazione, e non necessariamente cruenta e dolorosa.
Melinoe fece un gesto infastidito con la mano.
-Oh, ma io ti credo, sorella. Ma vallo a dire ai miei fantasmi senza pace.
-Ora basta voi due- si intromise il signore dei morti. -Tornate ai vostri compiti. E tu, Melinoe, non dare noia a tua sorella.
-Oh, questa sì che è bella! Ti ricordi di essere nostro padre solo per cercare la nostra presunta madre?
-Melinoe...
-Non le devo niente, a parte questo corpo mezzo marcio, perciò non sprecherò un solo giorno in più nelle ricerche!
Ade si alzò, i pugni già ricoperti di fuoco nero e scalpitante.
-Osi parlare così a tuo padre, nonché tuo re?! Non è il momento di fare la bambina viziata, dea dei fantasmi.
-Che c'è? Per te portare rancore va bene ma per noi no?
-Melinoe...- la chiamò implorante la sorella.
-No, Macaria, non ci provare!- la fermò quella, furiosa, il dito marcio ricoperto da un guanto dorato puntato sul volto pallido e bendato dell'altra.
-Credi che mi importi essere figlia tu e di quella lì?- chiese poi rivolta ad Ade. -Non mi fa alcuna differenza! Cacciami, distruggimi, non cambierà le cose!
Il dio continuò a fissarla per un po', poi, proprio quando l'ira sembrò raggiungere il punto di non ritorno, eccola scemare tutta insieme, celata poi da palpebre che si chiudevano stanche.
Il dio dei morti ricadde sul trono, coprendosi il viso con una mano.
-Andate- ordinò con voce rotta dal pianto.
-Ma...- mormorò Melinoe, esterefatta.
-Andate!- urlò lui, ed entrambe scomparvero.

Persefone non era mai stata degna di essere chiamata "madre".
Forse perché non ci si era mai comportata, ma di questo Melinoe non aveva mai sofferto o, più probabilmente, si era imposta di non soffrirne. C'è da dire anche che non era mai stata intenzione della regina ferire qualcuno, no. Era involontario, quasi come non ricordasse dei mesi passati col ventre gonfio e il giorno in cui l'aveva data alla luce.
Non si trattava di non riconoscere lei come figlia, ma di non riconoscere se stessa come madre. E come avrebbe potutto? Lei era la Kore, l'eterna bambina, a dispetto di quello che potevano dire gli altri. Ade non l'aveva affatto corrotta. Pochi sapevano che lei aveva mangiato volontariamente quei sei chicchi, spinta dall'innata impulsività dei fanciulli, e che il dio si era stupidamente preso la colpa. Stupidamente, sì, perché era stato allontanato ancora di più, solo per amore, una cosa che Melinoe non avrebbe mai capito, con il cuore posto nella parte marcia del corpo.
E Persefone non l'aveva mai trattata da figlia, anzi, ogni qual volta la incontrava si rivolgeva a lei con rispetto, come ad una sua superiore, inchinandosi e parlanole in modo formale come se stesse discutendo con la stessa Atena.
E Melinoe era cresciuta da sola, affrontando le situazioni con istinto e crudeltà, perché nessuno le aveva insegnato il contrario, ricevendo molto di rado le visite del padre per incarichi da svolgere come dea dei fantasmi e non come sua emissaria fidata.
Per Macaria era stato diverso, almeno in parte.
Era stata lei a crescerla, a suo modo, e con le continue provocazioni da parte della sorella maggiore, la dea della buona morte potè sviluppare la sua natura caritatevole, calma e, talvolta, disinteressata. Perché Macaria faceva del bene, ma lo faceva quasi senza rendersene conto. Per il resto era fredda come il ghiaccio e indifferente a quello che le succedeva intorno.
Melinoe non era sicura che quella che aveva potesse definirsi "famiglia", come non era sicura di volerne una. Le piaceva quello che aveva: le schiere di fantasmi con cui si divertiva a tormentare i mortali, la crudeltà che la dominava senza contegno, nessuna debolezza.
Sospirò.
Per l'esattezza era quello che aveva avuto. Gli Inferi erano cambiati in assenza della loro regina. Persino Macaria, persino lei. Lei a cui non era mai importato niente di nessuno. Lei, la spietata dea che si dilettava a far impazzire i mortali. Lei, dal corpo mezzo marcio e mezzo relativamente sano.
Già, era cambiata. Avvertiva un peso sul cuore putrefatto, lì, dove non avrebbe dovuto sentire nulla, perché la carne morta non prova dolore. E alla notizia della scomparsa della regina, quello stesso cuore mangiato dai vermi si era mosso, come scosso da un brivido, una scarica di vita che l'aveva attraversata e turbata come niente aveva mai fatto. E Melinoe, nonostante quello detto ad Ade, non avrebbe potuto cessare la ricerca. Ne valeva della sua sanità mentale. Non poteva capirne il perché, la dea, poichè quella parte del cervello che gestiva i sentimenti era morta con il resto, ma sapeva che doveva. Per tornare com'era, per non porsi domande, per non impazzire, per non soffrire.
Per questo, ora, vagava sulla Terra, fredda e morta come la metà di lei, alla ricerca di colei che avrebbe riportato la vita nel regno della morte.

-Melinoe, Melinoe!
La dea si voltò spazientita verso il fantasma che le fluttuava incontro.
Scacciò malamente quell'altro che cercava di allacciarle invano la veste color zafferano, quella che arrivava a coprirle persino metà del viso.
-Mia signora!- urlò il fantasma.
-Cosa c'è? Non ho tempo da perdere con sciocche...
-La regina è scomparsa!
Lei aggrottò le sopracciglia, carezzandosi nervosa i capelli castani che le crescevano solo nella parte buona del corpo, in quel momento acconciati a formare una treccia.
-Persefone?- chiese confusa.

Il fantasma annuì.
-Ma non è possibile... Lei...
-L'Olimpo si è riunito! Proprio adesso gli dei...
Una voce riecheggiò nella mente degli abitanti degli Inferi. L'udirono i fantasmi, l'udirono gli eroi nei Campi Elisi, i dannati nel Tartaro, i carcerieri che cessarono le loro torture, le Furie che perseguitavano un'anima macchiata di fratricidiom l'udirono Minosse, Eaco e Radamanto, sui loro scranni di marmo, l'udirono le anime in attesa di giudizio e Cerbero, loro custode. E mentre le tre teste dell'enorme mastino abbasavano le orecchie e nascondevano l'unica lunga coda fra le zampe posteriori, l'udì Melinoe, e le orbite vuote si sgranarono per la sorpresa, come un buco nero che inghiotte la pura luce delle stelle, inesorabile e senza pietà.
Ade aveva espresso il suo volere.
Non appena l'ordine cessò, la dea dei fantasmi guardò il suo sottoposto.
-Sai questo cosa significa?- chiese con una nota di eccitamento nella voce.

-Mia signora?
Lei sorrise crudele.
-E' ora che gli Inferi riversino la loro furia sulla Terra.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Capitolo 7






Ade sedeva sul suo trono di ossa, la testa placidamente adagiata sulla mano aperta e a sua volta posta sul bracciolo. Anche nel sonno, come nella vita reale, il dio non lasciava trapelare le proprie emozioni. Che stesse impazzendo di gioia o morendo dentro non un respiro mozzato, un geito appena emesso o l'ombra sfuggente di un sorriso si sarebbe materializzato a rivelare ciò che provava, mai, eccetto che con la sua compagna. Ma volendo, non ce ne sarebbe comunque stato bisogno, visto che quelle due anime divise da altrettanti corpi si capivano alla perfezione, come fossero una sola.
Menta, nascosta all'ombra di una colonna, arricciò le labbra.
Persefone.
Si era presa tutto.
Ade, il regno, la sua vita. E lei glielo avrebbe sottratto. Tutto ciò che le spettava, tutto ciò che non aveva potuto avere.
Ghignò, crudele.
Gli Inferi sarebbero tornati Inferi, non più governati da una sciocca dea supera, troppo debole per guidare la giusta era di terrore che stava per nascere.
L'Averno avrebbe avuto la sua vendetta, con lei, non più costretto a celarsi all'ombra dell'Olimpo e degli Abissi. Basta ombra. Era tempo di uscire allo scoperto. Era tempo della luce.
Si avvicinò lesta al dio dei morti.
Sì, si sarebbe preso anche lui. Non importava ciò che pensava Thanatos.
Povero idiota. Illuso di poter avere un dio di quella portata.
Menta sorvolò con gli occhi quel corpo perfetto, piegato sotto il giogo implacabile della stanchezza, che per un dio veniva accentuata dal dolore. Perché si sa, un cuore triste è anche più debole.
Una ciocca nera come il petrolio gli ricadeva sulla fronte, il petto si alzava e si abbassava, calmo, coperto solo in parte dal chitone nero, con una spallina sola, allenato e possente.
Si sentì fremere nella sua intimità, ma si impose di rimanere lì, a bearsi di quella bellezza sprecata per una ragazzina che mai, neanche dopo milioni di anni, sarebbe divenuta donna.
E' finita l'ora della vita, mia cara Persefone. E' ora che la morte cominci a regnare sovrana.
Si avvicinò al dio, le ciglia frementi e il corpo desideroso di gustare quella pelle marmorea e le labbra chiare atteggiate in quel loro consueto broncio.
Non ti perdonerò mai per quello che gli hai fatto: un dio così forte ridotto a questo per un sentimento altrettanto debole pensò con disprezzo. Poi si bloccò, inorridita. No. Lui non ama lei. Ama me. Me e me soltanto.
Si liberò di quella fantasia e tornò ad osservarlo. Si inginocchiò, per riuscire meglio a vederlo, mentre una mano si allungava audace, per sfiorare incantata quei pettorali afrodisiaci.
Un'ombra lesta si mosse e la ninfa si ritrovò con il polso sollevato sopra la testa del dio, i due volti vicinissimi, le labbra che quasi si toccavano e i suoi due occhi di pece a tuffarsi smarriti in quelli carichi d'ira di lui.
-Sei sempre stata una ninfa audace, Menta, fin troppo. Questo atteggiamento comincia a stancarmi.
Lei fece tremare le labbra, la voce corrotta da un pianto troppo ben programamto.
-Io... Vi assicuro, mio signore, che non volevo...
-Che cosa, ninfa?- chiese lui con disprezzo.
Lei si divincolò, gemendo e strizzando gli occhi.
-Per favore, mi fate male!- piagnucolò.
Lui arricciò le labbra e la spinse a terra.
-Sparisci dalla mia vista.
Menta si trattenne a stento dal serrare la mascella. Si limitò, invece, a stringersi il polso al petto, alzandosi lentamente.
-Il mio signore è turbato per la scomparsa della sua regina, ma io mi chidevo...
Si fermò.
Lui si alzò, sovrastandola minaccioso.
-Sì?- la incalzò.
-Ecco... I-io mi chiedevo se... Se questa sparizione non sia tutto un inganno...
Una fiamma si accese negli occhi del dio.
-Ecco... Nessuno trova la regina, ma... Se non fosse solamente perché la regina "non vuole" essere trovata?
Ade sollevò una mano, pronto a colpirla, ma lei si gettò in ginocchio a terra, le braccia protese a coprirle il capo, il corpo scosso dai singhiozzi.
Ade respirò profondamente, poi si voltò furoso ed uscì dalla sala del trono, mentre un ghigno trionfante si allungava nel volto della ninfa.
Oh, sì, si sarebbe presa tutto. E sapeva bene chi avrebbe potuto spianargli la strada del re dell'Averno.

I ciuffi d'erba ondeggiavano placidamente, sospinti da soffio tiepido di Zefiro, orlati da tonde gocce di rugiada che spezzaca i raggi caldi di Apollo in tanti colori diversi, sacri ad Iride.
Persefone sbattè più volte le palpebre, confusa.
Si guardò intorno, cercando una traccia di vita intorno a sé che non fosse data ai cinguettanti stormi di volatili nascosti fra le fronde verdi.
-Mia signora- la chiamò qualcuno, facendola voltare allarmata.
Un uomo dai lunghi capelli neri la guardava tristemente da dietro un albero, gli occh di un bianco purissimo.
-Chi... Chi siete voi?- chiese spaventata lei.
L'uomo le si inginocchiò accanto.
Persefone fece per allontanarsi ma una mano dell'altro le afferrò il polso, decisa seppur delicata.
-Per favore. Scappare non vi servirebbe a nulla- l'avvertì lui, addolorato.
-Io... Io...
-Io sono Hypnos.
Le baciò una mano, reverenziale.
-Siete al sicuro qui.
Persefone si morse un labbro, ancora preoccupata, seppur consapevole di averlo già incontrata altre volte.
-Perché mi avete portata qui?
Hypnos sorrise amaro.
-A dire il vero questo posto è una vostra creazione.
Lei si guardò stupita le mani.
-Io...
Ma Hypnos la interruppe, allungando un dito fino a carezzarle una tempia.
-Qui dentro, mia regina: è tutto un sogno.
-Un sogno, dite?- chiese lei sbalordita. -Ma è così reale!
Lui scrollò le spalle. -Un piccolo dono da parte mia.
Persefone raddrizzò la schiena, allungandosi verso di lui. -Davvero? E che altro siete in grado di fare?
Le guance del dio si tinsero di rosso, sostituendo il candido pallore delle gote marmoree.
-Bé...
Distolse lo sguardo dagli occhi verdi di lei e lo puntò sulla radura.
Un nitrito sovrastò lo stormire intorno e un maestoso cavallo nero e alato atterrò a pochi metri da loro.
Persefone si portò le mani alla bocca, trattenendo il fiato in un gesto infantile.
-E'... E' bellissimo!
-Vi va di avvicinarvi?- le chiese Hypnos porgendole una mano esitante.
Lei la guardò per un po', poi sorrise dolce e vi posò la sua, facendosi guidare verso il pegaso che brucava l'erba con la coda che scattava di tanto in tanto.
Hypos carezzò il collo del purosangue con sicurezza, poi si voltò verso la fanciulla che guardava l'animale con un misto di timore e desiderio. Strinse appena di più la sua mano e l'allungò verso il manto nero, sorridendo incoraggiante.
-Non vi farà del male- promise.
Le sfuggì una risata, mentre protedeva anche l'altra mano a carezzare il pegaso, le dita che si facevano strada verso il capo lucido.
-Come volete chiamarlo?- chiese Hypnos sorridendo intenerito.
-Cosa?- domandò lei di rimando.
-Bè, è il vostro cavallo adesso.
-Oh, no! Che sciocchezza! Lui è parone di se stesso: è libero!- ribattè lei sorridendogli, e il dio si sentì morire.
-Ti piacerebbe un nome, danzatore fra i venti?- chiese Persefone carezzano la criniera scura del pegaso. Quello nitrì in risposta.
-Che ne dici di Narciso?
Il dio si rabbuiò, chinando il capo e sentendo gli occhi pizzigargli.
-E sia! Ti chiamerai Narciso!- esclamò allegra Persefone, voltandosi poi per cercare l'approvazione del suo compagno.
-Qualcosa non va?- gli chiese preoccupata.
-No... No, è tutto... Tutto perfetto- rispose l'altro voltandosi di spalle.
Un calore gentile gli avvolse la mano.
Si chinò a guardare e vide una mano timida e chiara cercare di allacciarsi alla sua, fredda come il ghiaccio.
Sollevò lo sguardo e incontrò il volto della dea bambina, che lo guardava triste.
Le sorrise, scostandole una ciocca dietro l'orecchio.
-Siamo amici, Hypnos... Non è vero?
-Ma certo, mia signora.
Le sue labbra di pesca si sporsero in modo curioso a formae un broncio, ma a lui sembrò guardare un bociolo a primavera prossimo alla fioritura. Fu tentato di chinarsi e circondarlo con le sue, di labbra, e proteggerlo dal freddo della morte.
Ma quella visione idilliaca fu interrotta dallo schiudersi dei petali.
-Perché continui a chiamarmi così? Non sono la tua signora chiese lei rivolgendosi al dio dandogli del "tu". Le sopracciglia chiare, aggrottate, quasi si toccavano, tremanti nel loro cruccio. Gli occhi lo squadravano determinati e impertinenti.
Il dio sorrise, carezzandogli con il pollice una gota chiara.
-Hai ragione...
Lei lo incitò con lo sguardo.
-Persefone- concluse lui, e la fanciulla sorrise trionfante.
-Facciamo una passeggiata, adesso?- propose l'altra instancabile, con la curiosità e il senso di esplorazione degli infanti, stringendogli la mano con le sue e cercando di smuoverlo dalla sua posizione.
Lui non potè impedirsi di sorridere.
Con uno scatto fulmineo la sollevò per i fianchi e la posò sulla groppa del pegaso dietro di loro, notando solo dopo che lei si era pietrificata a quel gesto, gli occhi sgranati.
-Persefone?- le chiese, preoccupato.
Lei non rispose, immobile.
-Persefone?
Lei scosse la testa e si voltò a guardarlò, spaesata.
-Sì?- chiese.
-A cosa pensavi?- domandò il dio montando dietro di lei.
-Oh... Nulla... Una sensazione...
Lui si morse il labbro, poi allungò le braccia a cingerle i fianchi.
Lei si voltò a guardarlò allarmata.
-Così non cadrai- spiegò lui, imbarazzato, ritirando gli arti.
Lei sorrise cortese e annuì impercettibilmente, rossa in volto.
Hypnos trattenne un piccolo sorriso nervoso e si allungò a tenerla stretta.
-Tieniti forte- disse, stringendo due ciocche della criniera del pegaso e spronandolo a spiccare il volo.
E insieme sorvolarono gli idilliaci cieli azzurri di quel mondo irreale, mentre la regina degli Inferi si ritrovava a sorridere nel sonno, chiusa in quella stanza buia che era la sua cella.

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