Josh Handly

di Wellknower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 5th Avenue ***
Capitolo 2: *** Biglietto da visita ***
Capitolo 3: *** Affascinante povertà ***
Capitolo 4: *** Adesso basta! ***



Capitolo 1
*** 5th Avenue ***


PROLOGO

Quanto segue non è esattamente concernente all'inizio della mia storia, o forse si, insomma, non lo so, lo scopriremo insieme andando avanti nella lettura delle avventure del nostro Josh Handly e delle sue curiose... Capacità! Devo, però, inoltre, ringraziare anticipatamente un persona, Flaminia, una grande amica, senza la quale non avrei avuto l'ispirazione per questa storia e la volontà di metterla su "carta". Un bacio Flax, ti voglio bene, davvero... <3


Chissà cosa fanno le formiche quando fuori piove?
 
Devo essere sincero, è la prima volta che me lo chiedo anche io. Sin da quando ero bambino ero attanagliato da domande ben più comuni e frequenti, niente di che insomma. Da dove vengono i bambini, cosa mangiamo stasera, perché esistono le guerre, andiamo al parco domani, la fame nel mondo, fra quanto arriviamo etc etc... E invece ora, ora che sono "grande", diciamo adulto va', senza troppe presunzioni, mi faccio domande decisamente meno... Importanti. Questa domanda, a dire il vero, non me la sono neanche posta spontaneamente. Ho letto una didascalia di una foto su Facebook, di una persona che tra l'altro non sopporto e che, quindi, forse con pregiudizio, no, anzi, sicuramente con pregiudizio ma diciamo che almeno è totalmente ingiustificato, reputo una persona poco valida, vuota, bieca e... Inutile. Stavolta però devo, ahimè, forzatamente ricredermi, senza lei non avrei potuto trovare un titolo per la mia storia e neanche un sano spunto di riflessione. Cosa fanno le formiche quando piove? Non ne ho idea, questa è la realtà. Come prima risposta mi viene da dire che anche loro se ne stanno a "casa" e pensano lo stesso chiedendosi ciò riguardo gli umani. Chissà quanta malinconia fra tutti quei cunicoli e quelle infinite gallerie dove riecheggiano i rumori della pioggia infinite volte. La scienza mi risponderebbe sicuramente con qualcosa di molto più serio e "palpabile", ma non è questo che credo di star cercando, non penso neanche che la domanda sia propriamente quella che mi sono posto poco prima. Forse tutto è un simbolo, un significato per qualcos'altro che non riusciamo a concepire, o per lo meno a rappresentare a noi stessi in modo usuale. Diciamoci la verità, a nessuno frega realmente, forse a qualche entomologo, cosa davvero facciano le formiche durante gli acquazzoni estivi e soprattutto cosa "pensino". Eppure questa domanda non mi abbandona affatto, incagliata nel mio cerebro, e neanche la palese volontà di trovar una risposta che sia di mio gusto, soddisfacente, quindi, indirettamente, una risposta e basta, senza l'obbligo, la condizione di esistenza che sia, per lo meno, verosimile o apparentemente credibile. Diavolo. Non ho mai desiderato così ardentemente in vita mia che piova che io sia una formichina. Che cosa... Stravagante, ecco la parola giusta, stravagante. Non riesco a non pensare che questo non sia altro che un modo che ha il cosmo per comunicarmi che, per quanto io possa dare importanza a qualcosa e che per farlo io m'impegni a conoscerla in tutti i suoi aspetti, ci sarà sempre qualcosa, anche di infinitamente più piccolo, o meno importante, secondo il mio "metro", e bizzarro che non potrò mai spiegarmi fino in fondo, costretto ad ignorare molto per conoscere poco. Paradossale. Non riesco proprio a trovare niente, non c'è niente attorno a me che possa aiutarmi nella ricerca di una risposta accettabile. Accettabile... In teoria sono io che decido cosa sia accettabile o meno per me, no? Si... No! Decisamente no... E' molto più credibile e probabile, incredibile come le due cose vadano di pari passo, che sia tutto riconducibile all'illusione del libero arbitrio. Per logica mi basterebbe rendermi una qualsiasi risposta sufficiente per me ed esaustiva e invece? Nulla. Non riesco a uscire da questo paradosso logico. Perché per le persone è così facile mentire, sparare delle bugie colossali contro tutto e tutti e, invece, quando servirebbe mentire per stare tranquilli con sé stessi è così difficile? Per carità, forse non è così per tutti, ma, allora, perché lo è così tanto per me? Che sensazione di fastidio. Che tortura.

Ed ecco finalmente il reale inizio della storia di Josh, spero vi piaccia... Enjoy your reading, folks!
 
Ho conosciuto Josh Handly, per la prima volta, a New York, sulla 5th Avenue, quando lavoravo come guardia del corpo per un ricco sceicco intento a fare spese folli nei carissimi negozi delle più famose griffe e marche.

-"Oops, mi scusi!".

 
Quel pazzo era entrato correndo dalla strada come se stesse inseguendo uno che gli aveva rubato il portafogli, io già mi ero prefigurato la scena di lui che avrebbe placcato il tagliaborse, del resto era un uomo robusto, non enorme, ma abbastanza da poter sbattere a terra qualcuno con la giusta premura. Buttai un occhio sul mio "protetto" e, assicuratomi del suo benessere e della sicurezza dei suoi acquisti, animato da una innaturale, per me, curiosità, cercai con lo sguardo l'omone per gustarmi a fondo la scena.

-"Permesso, permesso fate largo, è un'emergenza!".

Quel tipo massiccio continuava a strepitare, tutto preoccupato, facendosi largo fra i ricchissimi clienti dell'altrettanto ricco negozio e, senza motivo, ero sicuro che, il ladruncolo, fosse un bimbetto vestito da turista; cappelletto rosso e maglietta fantasia a righe orizzontali blu e bianche "abbinati" a degli orrendi bermuda color senape cui seguivano delle mostruose Crocs blu scuro, quasi violaceo. Il "Pilone", invece, si diresse con un ulteriore scatto e balzo inaspettatamente atletico, per la mole che mostrava, verso una graziosa ragazza, sulla ventina, che vestiva di gusto anche se un po'troppo retrò per quanto mi riguardasse. Era troppo lontano da me e, nonostante l'apparente inseguimento avesse creato una sorta di silenzio artificioso e pieno di tensione, una volta visto che nessun placcaggio sarebbe avvenuto, ritornò il brusio delle compere intervallato e diretto  dai vari "beep" delle casse e dei Bancomat e, perciò, mi fu impossibile sentire. Tutto ciò che seguì fu solo che un mistero. Era di profilo, neanche il labiale venne in mio aiuto perciò, ma dopo una chiacchierata di pochi secondi con l'omone, le guance della ragazza ben vestita si coprirono di lacrime, il suo nasino di muco e i suoi occhi di tristezza mista a immensa gratitudine. Di primo impatto pensai che quel folgorato fosse il suo fidanzato e che le avesse detto chissà che cosa sulla fine della loro relazione ma, un istante dopo, la mia teoria fu vanificata malamente. Lei saltò addosso allo strano individuo e lanciò le sue braccia attorno al collo di lui che, con una certa e fastidiosa, da fuori, disinvoltura rispose, allo spiccato gesto, con un caldo e affettuoso abbraccio. La fanciulla piangeva a dirotto, strepitava sommessamente e non riusciva a formulare frasi di senso compiuto e nonostante ciò, l'uomo, continuava a sussurrarle all'orecchio misteriose parole. Ero il caposquadra delle guardie del corpo del mio ricco datore di lavoro, ordinai ad alcuni sottoposti di seguirlo e ai restanti di aspettare in macchina il mio ritorno, in vent'anni sotto le armi e cinque di questo nuovo lavoro, non provai mai così tanta curiosità, dovevo, anzi, avevo il bisogno di sapere cosa fosse successo. Perché? Ancora oggi, dopo altri dieci anni, io, non so affatto rispondermi.

 

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Capitolo 2
*** Biglietto da visita ***


Con l'intento e con una determinazione fuori dal comune mi avvicinai a quella coppia, strano quanto, questa scena, mi ricordi "L'Abbraccio", quel quadro di Klimt, il pittore austriaco, sarà stato quel giallo oro del vestito della signorina. Con un finto quanto cinematografico colpo di tosse, a schiarirmi la voce, mi avvicinai e chiesi: "Ehm-ehm, signorina? Mi scusi se la disturbo, ma l'ho vista piangere, questo signore vi ha per caso... Infastidito?". Sebbene ora io conosca Josh e sappia perfettamente quale sia il suo modo di fare e lo abbia visto all'opera tutti questi anni, ancora oggi, se ripenso a quel giorno, rimango basito. Non mi rispose lui, per "difendersi", bensì mi apostrofò la signorina: "Come si permette? Scambiare questo nobile signore per qualcuno che possa... Importunare!". La mia bocca aperta gareggiava soltanto con il sorrisino soddisfatto di quel personaggio che però sommise subito la sua espressione divertita, si staccò dall'abbraccio in maniera del tutto cortese e amorevole e si presentò. "Perdonatemi, Mr., ma credo che la responsabilità di tutto questo incomodo e inconveniente sia mia... Piacere, il mio nome è Josh Handly, spero di non averla fatta preoccupare più del necessario.". La signorina, annuendo complice, mi guardava con un'espressione del tipo "guarda quest'idiota, ma che vuole?" . Non nascondo che rimasi perplesso un altro poco prima di riuscire a riaprir bocca e alzare la mia mano per afferrare quella di Mr. Handly che già da una decina si secondi buona era sospesa a mezz'aria verso di me. "Il piacere è tutto mio, anzi, vi porgo le mie più sentite scuse, a entrambi! Mi era parso che stesse soffrendo per colpa del signore che, invece si è rivelato esser addirittura un cavaliere, chiedo venia, scusatemi ancora...". Feci per dare le spalle alle coppia e cominciai a camminare, ancora perplesso, verso la macchina e i miei colleghi che ancora mi aspettavano. "Com'è possibile che quel burbero di un gorilla non vi conosca e vi abbia addirittura scambiato per un molestatore? Voi siete il mio salvatore! Quindi è così che vi chiamate eh? Mr Josh Handly... Non scorderò con facilità il suo nome, sir!". Non ce la feci. Udendo quest'ultima uscita della donna, tornai sui miei passi e sbottai: "Scusatemi ancora, signori, ma proprio non ce la faccio, la curiosità mi assale!". "Ancora lei?!? Di questo passo sarà lei a diventare inopportuno!". "Lei ha ragione, signorina, ma non capisco! A quanto mi pare, voi, non vi conoscete affatto, eppure vi ha portato immensa gioia veder quest'uomo!". "Questi non sono affari suoi, maleducato, se ne vada!". Dovetti arrendermi ma, mentre mi giravo notai che Mr. Handly mi fece l'occhiolino e mi fece gesto di controllare nel mio taschino. Uscii e, fra i rumori del traffico, i clacson e i semafori, infilai la mia mano destra nel taschino e vi sentii un cartoncino ruvido al tatto ma sottite. Recitava così: "Dr. Josh Handly, se riesco ad aiutarvi, vi sarò debitore...". Sotto seguiva un cellulare e un'email, girai il cartoncino ocra stampato con caratteri pomposi, quelli da invito per matrimoni, e verdi e lessi scritto a penna in una calligrafia molto piccola, certamente la sua, nonostante sembrasse molto femminile, queste parole: "Se davvero le interessa sapere cosa è successo, mi chiami e vediamoci di persona, sarò felicissimo di spiegarle tutto, cordiali saluti... Josh.". Ma come diavolo ha fatto a scrivere su questo biglietto da visita, e quando? E come lo avrebbe messo nel mio taschino?

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Capitolo 3
*** Affascinante povertà ***


Da un iniziale stupore per la questione del biglietto da visita, a causa del mio stressante dovere di guardia del corpo, dimenticai di chiamare quel tal "Josh Handly" e proseguii con la mia solita routine lavorativa... "Qua i poveri non è come mio Paese, qua affascinanti, pieni di... qualcosa, semplicemente interessante!". È con queste parole che quel fanatico ricco del mio datore di lavoro volle intraprendere un'escursione nei quartieri più poveri e malfamati della Grande Mela. Non so se per voi è lo stesso ma, per me, il fatto che i poveri americani, spesso di colore, risultino affascinanti solo perché si fanno di crack, ascoltano e producono rap, girano vestiti con agghiaccianti tute sgargianti, non li rende "affascinanti", ne tanto meno interessanti, rispetto ai morti di fame dei paesi arabi da cui proveniva quel viscido bastardo fortunato. Mentre lo sceicco strabuzzava gli occhi a ogni gruppetto di scapestrati con uno spinello in mano, accadde di nuovo... "Oooops!". Una spallata violenta mi colpì da dietro, abbastanza veemente da farmi scattare la mano all'interno della mia giacca, facendo scivolare la mia stupida cravatta giallo ocra, si quel pazzo ci voleva in giacca nera e cravatta gialla, nell'incavo fra pollice e indice, saggiando il grip del calcio della mia pistola pronto ad estrarla. Invece del solito tagliaborse entrò nel mio cono visivo quella stessa enorme sagoma che subito emerse nella mia memoria. "Non posso crederci -sussurai- ancora quel Josh!". La scena si manifestò nuovamente palesandomisi davanti: lui, con una fretta senza pari, si fiondava di fronte a uno di quei ragazzi emuli di 50 Cent in tutto e per tutto. Quattro parole messe in croce e, quello che sembrava essere il più duro gangster di una di quelle violente bande criminali di New York, si alza dal suo muretto, circondato e osservato da tutti i suoi compari, inumidisce gli occhi e stritola il nostro caro Josh in uno dei più virili abbracci che un uomo possa dare ad un altro, con tanto di "cazzottini" fra le scapole. Non credevo ai miei occhi. Tornai con la mente al mio dovere e buttai un occhio sul mio protetto, tutto risultava andar bene, e proprio mentre mi giravo per vedere se Josh fosse ancora fra le braccia di quel ragazzo sentì una pacca sulla spalla sinistra seguita da una frase pronunciata da una voce familiare: "Ehilà, Mr, come va? Si ricorda di me? Il Signor Handly, Josh Handly!". "Mr. Handly che piacere vederla" risposi che ancora non avevo rivolto lui lo sguardo. "Lei mi perdonerà ma purtroppo sono soltanto un ottimo fisionomista ma, per quanto riguarda i nomi, una frana, mi creda...". "Non si preoccupi, più che altro c'è stato un errore da parte mia, l'ultima volta lei fu così abile con quel biglietto da visita che, preso dallo stupore, fui io a non presentarmi... Mi chiamo Gabriele Mantova...". Emise un leggero risolino, e la cosa m'infastidì, non poco. "Non le credo signore, lei non può essere italiano, la sua cravatta è un'offesa alla cultura secolare della moda del Bel Paese, da cui, grazie al suo pomposo nome, capisco lei venga!". Con stizza risposi ringhiando: "Se è per questo sono anche ebreo e lavoro per un musulmano!". Josh non dimostrò minimamente quel giusto imbarazzo, inadeguatezza o sensazione di disagio che mi sarei invece aspettato di veder dipingersi su quel suo enorme faccione, anzi... "Paradossale, la vita dico, eh? -fece l'occhiolino- Ma non importa, non mi è mai fregato nulla della religione delle persone, a me sta a cuore solo la loro anima... Beh, Gabriele Mantova, posso darti del "tu"? Mah si che posso, su! Spero che mi chiamerai presto, sento che sei sempre più interessato a quel che faccio, non credo nel caso, ed è già la seconda volta che mi vede "all'opera", ahahaha, beh, a presto!". Girò i tacchi e scivolo fra i marciapiedi pieni dei rilfessi dei tombini dei quartieri degradati, senza mai voltarsi, e per quanto fastidio provassi, soprattutto dopo quella battuta idiota sul buon gusto riguardo la moda dei miei compatrioti, adesso davvero non riuscivo a tenere a freno l'idea che lo avrei chiamato quella sera stessa...

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Capitolo 4
*** Adesso basta! ***


Soffro d'insonnia ed eccedo nel bere e nel fumare. Ecco perché sono finito dalla fiera divisa da militare a uno stupido completo con cravatta gialla... Provo disgusto per me stesso. Dove diavolo è quello stupido telefono? Ce l'ho in mano, idiota che sono, è tutta la notte che lo guardo, fissando il widget dell'ora, stampato sopra una stupida virtuale situazione atmosferica... Mi accorgo che il mio telefono non ha nessuna foto, nessun ricordo conservato per me, nessun contatto di alcun amico. È il telefono del lavoro, solo il calendario pieno di orari e sveglie e memo che mi ricordano quanto sia noiosamente programmata la mia vita... -Driiiiin driiiim-. "Unknown, incoming call...". Chi diavolo potrà mai essere a quest'ora del mattino? "Pronto?" "Gabriele! Buongiorno, spero di non disturbarti!". "Chi sei? Come hai avuto questo numero?". "Ehi che vociaccia! Sapevo che non te la passavi alla grande, ma tutta quest'aggressività è assolutamente inutile e controproducente!". "Ho detto chi sei?". "Josh, Gabriele, Josh Handly, ricordi?". Ora, non sono solito rimanere sbalordito, anzi, ma stavolta ero letteralmente esterrefatto. "Mr Handly?!? Come fa ad avere il mio numero? Perché chiama a quest'ora? Perché continua a cercare di creare un qualsiasi contatto con me? Che cosa fa e soprattutto, chi diamine è lei?!?". "Amico mio, lei è visibilmente scosso ed è per questo che continuo a contattarla...". Quest'uomo cominciava ad alterarmi, il suo costante tono allegro e saccente mi dava sui nervi. "Come ha fatto ad avere il numero di questo cellulare? È il mio telefono... Aziendale, diciamo, nessuno apparte i miei clienti lo possiedono o possono conoscerlo!". "Lei ha una specie di porta-documenti nella tasca segreta della sua divisa di servizio, sulla destra, molto in profondità, vicino all'inizio della manica. Ci tiene i suoi biglietti da visita in uno scompartimento dell'articolo di buffetteria, lì ce ne entrano esattamente diciassette, se controlla, noterà che gliene manca uno... Mi sono preso la libertà di prendergliene uno, in cambio del mio, durante il nostro ultimo incontro...". L'esistenza di quella tasca è nota solo a me e al mio sarto che ha la bottega a Roma, vicino casa mia... Quest'uomo come fa a saperlo? "...hai bisogno di me, Gabriele, ed io di te!". "Signor Handly, se dapprima le sue bizzarre azioni suscitavano in me sorpresa e cuoriosità, adesso, lei ha oltrepassato il limite. Cosa vuole da me?". Ero infinitamente infastidito e non mi ero accorto delle tre sigarette che avevo fumato una dopo l'altra durante tutta la telefonata, senza mai prender fiato.". "La soluzione non è nelle sigarette, Gab, ne tanto meno nella bottiglia di Martini che la fa compagnia nel suo triste monolocale...". Chi cazzo si credeva di essere? Il mio analista, il mio angelo custode, mia madre? Ora inziavo ad arrabbiarmi sul serio. "Handly? Non so come fa quello che fa e neanche come sa quello che sa, ma io l'avverto! Rimetta il naso nella mia vita, disturbando la mia privacy, e se ne pentirà, amaramente...". "Non minacciarmi Gab...". "Non mi chiami Gab, è assolutamente irrispettoso...". "Non sei credibile Gab...riele!". "Le auguro una buonanotte, Mr. Handly...". Riattaccai. Stronzo. Il telefono fece vibrare tutto il tavolino dove ero seduto, un messaggio: "Aiutami ad aiutarci Gab, ti prego...".

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