Questo nostro sangue marcio

di Yume Kourine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


BΔSTILLE

QUESTO NOSTRO SANGUE MARCIO

 

 

Mi chiamo Allyson Haunt e vivo in Inghilterra; fin qui niente di strano anzi... sono una normalissima donna, con un lavoro che adoro e un fidanzato che amo. Tutto regolare.

Fino a poco tempo fa ero una ragazzina di diciotto anni che stava affrontando l'ultima fase dell'istruzione.

In quegli anni ero particolarmente egocentrica e testarda, volevo diventare una sceneggiatrice e regista: amavo scrivere ed ero piena di idee per storie.

Mi sentivo in grado di fare qualsiasi cosa, forse perché nella mia classe c'erano molti talenti: una ragazza era bravissima nel canto e infatti stava riscuotendo un particolare successo; un altro ancora amava la recitazione ed era presente in tutti gli spettacoli della città, altri invece portati nello studio o in altre attività...

Insomma non passavano inosservati. Così ho pensato, perché non provarci anche io?

Tutti in quella fottutissima classe avevano un talento e io volevo trovare il mio.

Da questa mia intenzione è cominciato tutto, comunque non sono qui per parlare di me... questa non è la mia storia. È la loro... la storia di quattro ragazzi che mi hanno sconvolto l'esistenza e la solita monotona quotidianità.

Non avrei pensato che le cose si sarebbero sviluppate in questo modo.

Cosa mi è successo? Beh, è una storia lunga...

 

 

 

 

 

CAPITOLO I

OBLIVION SEARCHES FOR YOUR NAME


 

Ricordo vagamente quel giorno...

Mi svegliai stravolta, probabilmente perché la sera precedente ero tornata da una festa in cui si aveva bevuto un po' troppo. Inoltre ero in ritardo di ben dieci minuti, cosa che comportò a saltare la colazione.

Bel modo per iniziare la giornata.

Lasciai casa di corsa e inizia a prendere scorciatoie su scorciatoie per accorciare il tragitto; quando mi trovai di fronte la scuola la campanella stava già suonando.

Fortunatamente la professoressa non era ancora arrivata e così raggiunsi il corridoio solo senza problemi, evitando problemi per quei due minuti di ritardo. Entrai in aula, non facendo caso alla confusione creatasi per l'assenza dell'insegnante: non era una stanza particolarmente comoda però non si stava male e con i miei compagni mi trovavo discretamente bene. Non voglio annoiarvi più di tanto riguardo alla classe, però vorrei parlarvi di Anne.

Anna era una delle ragazze più popolari e belle dell'istituto: non erano solo i suoi grandi occhi azzurri e le sue enormi tette ad attirare l'attenzione ma anche la sua voce passionale e sexy: molto spesso si esibiva nei locali di Londra e riusciva a “catturare” gli ascoltatori. Insomma, essere sua amica non ti faceva passare di certo inosservata.

Non ebbi neanche il tempo di sistemarmi nel banco che ritrovai un volto pallido e perfetto davanti al mio. Era quello di Anne.

“Ehi Fence! Questa sera mi esibisco al Pub 'Moonlight', sei con me vero?”

“Uno, non chiamarmi Fence”

Fence era il soprannome che mi aveva dato Anne e in poco tempo mezza città si ritrovò a chiamarmi così, ma non ne ho mai capito il motivo: forse perché sono come chiusa come un recinto. Non avevo un carattere molto socievole e il mio fisico minuto non aiutava di certo, molti mi etichettavano come timida ma, credetemi, sono tutto fuorché quello. Diciamo che preferisco la parola “indifferente”.

“Due” ripresi “Non posso, devo studiare. Ti devo ricordare che domani abbiamo il test di letteratura?”

La bella bionda aveva sorriso un po' ingenuamente.

“Ops, credo di essermene dimenticata!”

La nostra allegra conversazione venne interrotta dall'ingresso della Professoressa del corso “Media”, una sbadata quarantenne single che rovinava i pomeriggi degli studenti con i suoi compiti assurdi ma stranamente divertenti.

Cosa feci in quell'ora? Hum... proprio non ricordo, sarà che Media era la materia che più mi annoiava in quel periodo. Non che andassi male, solo che tra tutte era quella che mi stancava di più; oltre a media scelsi letteratura, arte e italiano. Sono sempre stata una grande amante dell'Italia e volevo approfondire la mia conoscenza culturale studiando le opere d'arte e i grandi dipinti. Il mio era un percorso umanistico.

E a sentire parlare di artisti immortali, di opere mai distrutte dal tempo e di successi che colmavano l'anima... beh, mi ero messa in testa di poter diventare qualcuno, di poter lasciare un segno in quel tempo che temevo mi stesse sfuggendo via.

In quell'ora di scuola fui convinta della mia scelta: mostrare che in quel mondo c'era anche Allyson Haunt.

Probabilmente queste assurde idee mi erano entrate in testa soprattutto per le persone che mi circondavano. Anne non era l'unica a essere popolare e dotata in qualcosa: c'era anche Nathan, il buono e bellissimo ragazzo dalle mille espressioni. Quel diciassettenne era un attore nato, riusciva ad entrare in qualsiasi personaggio che gli veniva affidato; era anche uno studente modello e un ragazzo dal buon cuore. Ammetto che avevo una cotta per lui alle medie, ma ero piccola e ancora non comprendevo il vero significato dell'amore.

Le ragazze del liceo ronzavano attorno a al bel biondo o a Jason, l'esatto opposto di Nathan: era ribelle, affascinante e “pericoloso”. Stranamente frequentava i miei stessi corsi cosa che mi portò a conoscerlo bene: è il classico studente vivace che ruba i compiti dai cassetti dei professori, che sta attaccato al cellulare nonostante sia nel banco attaccato alla cattedra, quello che fuma nei corridoi e amante della birra. Ma a pensarci bene, Jason era anche peggio.

Una sua abitudine che ricordo attentamente era disegnare, poco dopo le lezioni del corso di arte, strani schizzi alla lavagna, ma non ho mai prestato particolare attenzione ai suoi soggetti.

Fortunatamente quella mattinata scolastica si presentò meno faticosa del solito e, senza accorgermene, era arrivata la pausa pranzo. La mensa era sempre affollata così io, Anne e Lucy, una mia amica e compagna dei corsi di letteratura e arte, avevamo preso l'abitudine di mangiare all'esterno, nel cortile dell'istituto.

In quei minuti di pausa nascevano i discorsi più strani e quel giorno non era da meno:

“Ho sentito dire che vogliono costruire delle case fatte con le bottiglie di birra!” aveva detto Anne dopo aver bevuto un sorso della sua fedele lattina di Carling. Lucy rise mentre io sospirai pensando che Anne fosse già ubriaca mentre il pungente odore di birra mi invitava a farsi sfiorare dalle mie labbra screpolate e dalla mia gola secca.

“Ve lo giuro!”

“Una cantante professionista non dovrebbe dire queste scemenze” la schernì Lucy mentre si cacciò in bocca un biscotto.

Anne a quella risposta si alzò e intonò una canzone; in poco tempo ci ritrovammo circondate da molti studenti che ballavano e cantavano assieme alla bionda che abbracciava chiunque le si piombasse davanti.

Cercai di scappare da quella mandria di pazzi ballerini ma fu inutile, ero totalmente immersa in quel mare di persone che si sbracciava e si agitava.

Fu Lucy a salvarmi e a portarmi in un luogo isolato.

“Il mio istinto omicida si sta risvegliando “ dissi mentre fulminavo Anne a distanza.

“Che ci puoi fare, è fatta così” mi rispose Lucy sorridendo e volgendo lo sguardo verso Anne che stava saltando intonando una canzone del momento. Gli occhi erano tutti puntati su di lei e il suo sorriso era così brillante che quasi la invidiai.

“Beata lei che ha un talento” quelle parole mi uscirono all'improvviso dalla bocca senza che me ne accorgessi e, per mia sfortuna, Lucy le notò:

“Ma cosa dici Fence?”

“Niente! Sai...” quando le dissi quella frase avevo rivolto i miei occhi verso il cielo coperto da lievi nuvole grigie “Credo che oggi presenterò la mia sceneggiatura”

La mia amica si sistemò le ciocche color cioccolato e poi sorrise.

“Ma è fantastico! Quindi l'amico di tuo padre ha accettato?”

Annuì felice: mio padre, Michael Haunt, era un semplice gestore di un locale e quando gli dissi che volevo scrivere una sceneggiatura subito ne aveva parlato con un suo amico del liceo che era sceneggiatore e produttore.

Nonostante fossi molto fiduciosa mi sembrava di giocare sporco: insomma, Anne non aveva contattato un produttore ma era stata la sua voce a chiamarlo, mentre Nathan con tutti i suoi spettacoli si era fatto notare; io invece mi ero ridotta a elemosinare un vecchio conoscente di mio padre.

“Andrà tutto bene” Le parole di Lucy mi accarezzarono la mente, alleviando i miei pensieri e le mie preoccupazioni.

Fu in quel momento che Anne ritornò e dal suo colorito si capiva che stava per cadere nell'ubriachezza.

“Ragazze avete visto? Sono una vera cantante! Festeggiamo con altra birra!”

“Riprenditi “cantante”, che tra poco dovrai esibirti davanti al professore di Letteratura!” dissi colpendo la sua fronte con l'indice mentre Lucy rideva divertita.

Ormai eravamo abituate alle continue bevute di Anne prima delle lezioni pomeridiane; Lucy aveva tentato più volte di frenare Anne e il suo vizio del bere ma con scarsi risultati. E per sua fortuna non era mai entrata in classe ubriaca. Mai prima di quel giorno.

Anne rimase stordita per un bel po', dovetti coprirla più volte nelle ore successive per evitare che finisse nei casini. Quel giorno sembrava aver superato il limite.

“Johnson Anne! Le divertono molto i versi della Poesia?” Al vecchio e burbero professore Ratchet non sfuggiva mai nulla, figuratevi una ragazza dalle guance rosse bollenti e dalla risata facile. Mi chiedo ancora perché proprio quel giorno Anne dovette bere troppo.

“Professore, le chiedo il permesso di uscire per accompagnare Johnson ai servizi”

Non riesco a togliermi dalla mente lo sguardo che il vecchio mi fece dopo che gli proposi quella richiesta: di solito non temo le persone ma il professore Ratchet è l'unico uomo che mai abbia incusso timore e agitazione in me, in quel momento avrei tanto voluto tapparmi la bocca ma non potevo lasciare Anne nei guai.

Così mi ritrovai nel puzzolente bagno con Anne che vomitava l'anima e l'effetto della birra la costringeva a dire strane frasi come “Guarda un bagno!” o “Le scuole puzzano di libri!”

In quella confusione non mi accorsi che qualcuno era entrato nel bagno delle ragazze e così sentii una mano fredda cingermi la vita e mi ritrovai a respirare un forte odore di alcol. Anne sorrise e indicò l'individuo:

“J..Ja...”

Mi staccai istintivamente e senza voltarmi mi sciacquai le mani, poi mi rivolsi al nuovo arrivato.

“Jason, cosa ci fai qui?”

Il ragazzo sorrise e aiutò Anne a rialzarsi, poi diresse il suo sguardo color mare verso di me.

“Mi sembri agitata Haunt, hai paura di me?”

Odiavo quel suo comportamento: raramente ci parlavamo e quando accadeva era sempre lui a iniziare una discussione ma era sempre per un'idiozia.

“Paura? Ma per favore. Ti ho fatto quella domanda perché, sai com'è, i ragazzi non dovrebbero entrare nel bagno delle ragazze... O forse sei una donna?”

Lui rise divertito e si appoggiò alla parete mentre Anne si rintanò nel bagno e riprese a rimettere.

“Non credevo fossi così spiritosa...”

Poi estrasse un pacchetto e me lo allungò sicuro che avrei accettato.

“No... non fumo”

“Perché devi essere così perfettina? Tutti fumano...”

“Non è vero”
“Quelli che non fumano sono dei santerellini o dei poveracci”
“Non credo che una stupida sigaretta stabilisca chi sia figo o meno.”

“Fumare è da artisti...”

Rimasi in silenzio e abbassai lo sguardo e nuovamente venni circondata da una sgradevole aria di alcol. Non so perché provai tanto disgusto, amavo l'odore della birra... ma in quel momento quell'aroma era come un pugno nello stomaco.

Sbuffai.

Sul volto del moro si dipinse un sorriso vittorioso e quale miglior modo per festeggiare se non quello di fumarsi una sigaretta nel bagno delle ragazze?

“Me ne ritorno in classe...” Dissi scocciata e Jason non mi volle trattenere. Fu così che abbandonai la mia amica a quel ragazzaccio e non mi pentii. Appena rientrata in classe ripresi la mia lezione sulla Poesia inglese.

Avevo perso già abbastanza tempo.

Le ore passarono lentamente ma alla fine giunse il fatidico suono della campanella che liberò noi poveri studenti stanchi e desiderosi di immergerci nel mondo esterno.

Fu nel giardino davanti alla scuola che Anne ci raggiunse, aveva il volto completamente rosso.

“Si può sapere che è successo in quel bagno?” chiese Lucy curiosa ma anche preoccupata mentre Anne si limitava a nascondere il viso dietro a una ciocca di capelli biondi.

“Niente... niente di speciale” disse divertita.

Per qualche metro rimanemmo a parlare e a scherzare, poi le nostre strade si divisero. Dopo aver salutato le mie due amiche, mi avviai verso quello che sarebbe stato il luogo della mia sicurezza o della mia sconfitta morale.

L'ansia stava salendo e il mio cuore batteva più forte ogni volta che l'edificio diventava più grande: avevo impiegato parecchio tempo per scrivere quella storia, ogni particolare del carattere dei personaggi, ogni singola caratteristica dei luoghi e ogni battuta.

Appena entrata venni cordialmente salutata dalla segretaria che mi invitò a prendere l'ascensore e a raggiungere il piano ventisette e così feci.

Appena varcai le porte del saliscendi rimasi incantata: c'era gente che correva da una parte all'altra e discuteva sui film prossimi a uscire nelle sale cinematografiche.

Sembravo una bambina entrata in un grande negozio di caramelle e confesso che speravo di incontrare qualche celebrità.

Poi raggiunsi la porta che portava al punto di incontro con il famoso produttore.

Mi fermai per qualche istante, chiusi gli occhi e posai le mani sul petto.

Puoi farcela, anche tu meriti di riuscirci.

Dopo un bel respiro, bussai e timidamente aprii la porta. Era una stanza quadrata e le finestre circondavano tutto il lato permettendo così alla luce di bagnare l'intero ufficio e dandogli un colore chiaro e per nulla fastidioso.

“Oh, e così sei tu la famosa Allyson. Piacere, sono Derek” l'uomo, che direi avesse superato i quarantacinque anni, mi strinse con gentilezza la mano.

Dopo mi piegai in un timido inchino, presi il fatidico documento e dopo qualche ripensamento glielo consegnai. Avevo le mani sudate e mi mancava il fiato, cosa che l'occhio solerte di mio padre notò; mi mise una mano sulla spalla e mi sorrise, quel gesto mi tranquillizzò.

Avevo fiducia nelle mie capacità, in quel momento, inoltre, pensai ai “big” della scuola: Anne era una cantante famosa, Nathan era uno degli attori più richiesti della città e Jason... mi doleva ammetterlo ma anche lui aveva un talento che spiccava su tutti gli altri, era un calciatore provetto e giravano voci che avess ricevuto l'offerta di entrar a far parte della squadra regionale.

Derek leggeva attentamente ma non riuscivo a comprendere cosa stessero dicendo i suoi occhi; mai nella mia vita sentii il peso dei minuti e mai le parole mi fecero paura.

Ed ecco che arrivò la decisione, la risposta che avrebbe sciolto i miei dubbi o le mie incertezze.

Derek pronunciò il suo giudizio. E mi ritrovai persa in quelle lettere che non riuscivo a collegare insieme, dovetti ripeterle per ben cinque volte nella mia testa prima che quella frase assumesse un suono concreto e rilevante.

“È banale e prevedibile”

In quel momento non riuscii più a comprendere nulla: poteva dirmi di tutto, che fosse povera, che fosse troppo romantica, che fosse anche scritta con un linguaggio troppo semplice ma non quello... non prevedibile.

“C-come?” chiesi, ancora un po' scossa.

“Sì, insomma... Mi arrivano tutti i giorni sceneggiature come la tua. Non ci trovo niente di speciale. Scusa se te lo dico con questa franchezza ma questo testo è incompleto e non credo che questo sia il mestiere adatto a te.”

Sorrisi. Ma lo feci per trattenere le lacrime.

“Ho capito... Lo sapevo, sono una buona a nulla”

Ingoia a forza quelle parole, poi uscii dalla stanza lentamente e mentre socchiusi la porta le mie orecchie ascoltarono la voce di mio padre che mi difendeva e quella di Derek che mi criticava:

“È ancora giovane e non si è mai specializzata in questo campo! Possibile che questa storia non abbia qualcosa di positivo? Si è sforzata tanto!”
“Harry non lo dico come tuo amico, lo dico come esperto sceneggiatore e produttore. Ne abbiamo viste tante di storie come la sua. E poi ho fatto bene. È una sciocca ragazzina che crede di poter sfondare nel mondo delle celebrità per farsi notare. Ne abbiamo abbastanza di gente come lei.”

Quelle parole accesero un moto nel mio corpo che mi spinse correre, ero furiosa e scioccata. Non aveva capito niente di me, questa era la verità. Se fosse stato un bravo sceneggiatore avrebbe dovuto percepire la mia passione e quanto tenessi a quel lavoro e invece...

Ero talmente presa dai miei pensieri e dalle emozioni che mi accorsi solo dopo di aver le scale, quindi mi toccò percorrere una ventina di piani: tutte le persone che salivano o scendevano mi guardavano storti ma a me non importava, l'unico ripensamento è stato quello di non essermi scusata con un ragazzo con cui mi ero letteralmente scontrata e me ne ero andata senza dirgli niente.

Appena uscita dall'edificio, iniziai a correre più veloce, volevo raggiungere casa mia ma la velocità e il calore della tristezza mi accecarono la ragione facendomi muovere senza rendermi conto di dove stessi andando.

Fu in un istante che mi scontrai contro qualcuno e la mia folle fuga venne temporaneamente fermata.

“Che cazz..”
“Ehi! Mi sembri agitata, angioletto”

Tra tutte le persone che avrei potuto incontrare mi capitò lui, Jason Jenkins.

“Non sono dell'umore adatto per parlare, specialmente con te”

“Sai cosa faccio quando sono incazzato?”

Roteai gli occhi e cercai di superarlo ma lui, prendendomi la mano, sorrise e mi mostrò il suo inseparabile pacchetto di sigarette. Me lo cacciò letteralmente in mano.

Per un attimo rimasi in silenzio poi di scatto strinsi il pacchetto, estrassi una sigaretta e lo invitai ad accendere. Non mi importava più nulla, ero talmente persa in un continuo mescolarsi di emozioni che anche l'idea di fumare mi sembrava ragionevole.

Lui nuovamente sorrise e mi accese la ciospa.

“Aspira intensamente...”

Fece come mi suggerì Jason ma mi sentì mancare il fiato, così iniziai a tossire come una disperata.

“Novellina” borbottò lui pensando che non lo avessi sentito.

Poi aspirai nuovamente e buttai fuori l'aria: questa volta il fumo uscì dalla bocca, ripresi a farlo più volte e lui sorrideva compiaciuto.

“Una novellina che impara in fretta. Dato che hai superato la prova ti regalo l'intero pacchetto”

“Scherzi?” chiesi io, stupita dal suo intento.

“No! Serve più a te che a me, per ringraziarmi mi offrirai la tua compagnia in futuro.”

Lo guardai perplessa e lui si allontanò.

“Ciao diavoletta”

Sbuffai, ero stanca di tutti quei soprannomi. Però mentre vedevo Jason sparire tra la folla pensai al suo comportamento. Sembrava diverso dal ragazzo che vagava per i corridoi della scuola e che urtava le macchinette con violenza.

Ma la sua immagine svanì dal centro dei miei pensieri e cambiai subito argomento.

Non so perché decisi di fumare, forse perché volevo dimostrarmi forte. Inizialmente pensai di buttare il pacchetto ma poi qualcosa mi spinse a conservarlo e così mi ritrovai dieci sigarette nella borsa.

Ripresi il mio cammino verso casa ma poi cambiai idea. All'improvviso mi era venuta una grande voglia di bere, probabilmente avevo ancora in gola l'amaro di quelle parole che avevo ripetuto costantemente.

Mi fermai al bar più vicino, un piccolo locale che si trovava all'incrocio, in una traversa della grande via, non vi ero mai entrata ma il nome prometteva bene: “Faults”.

E per una volta il mio sesto senso aveva ragione: le pareti di legno illuminate dalla lieve luce delle lampade, il bancone circolare pieno di liquori e di alcolici e quell'atmosfera fredda e silenziosa davano un tocco di classe e allo stesso tempo un'aura di mistero. Mi ero innamorata già al primo respiro.

Fortunatamente non era affollato e così decisi di approfittarne e mi sedetti al bancone per ordinare. Un uomo robusto e dallo sguardo glaciale mi servì una limonata con ghiaccio, il mio elisir del tardi pomeriggio. La prendevo sempre, tutti i giorni, era diventato un rito per me.

Lasciai che la mia gola entrasse in contatto con il freddo liquido e per un attimo i miei sensi si persero nel piacere di quel amarognolo sapore.

“Non è possibile... Allyson sei tu?”

Una voce maschile distolse la mia attenzione dalla mia bevanda e in un attimo sentii crescere una forte emozione di gioia.

“Chris?”

Sul mio viso si formò un sorriso a trentadue denti e il ragazzo si avvicinò a me.

“È da tanto che non ci si vede”
“Tanto? Sono passati anni!”

Chris Wood, che si faceva chiamare Woody, era un mio vecchio amico, anzi direi compagno di giochi della mia infanzia. Anche se era più grande di me, mi piaceva stare in sua compagnia: era spiritoso, sempre pieno di idee e diverso dai bambini della mia età, forse era per questo che mi trovavo bene con lui. Giocavamo sempre al parco insieme, era il nostro punto di ritrovo.

“Ti sei fatta grande...”disse lui scrutandomi dalla testa ai piedi. “Troppo grande... sei sempre stata così alta?” chiese lui notando che ero leggermente più alta di lui.

Scoppiai a ridere e ordinai una birra per lui.

“Cosa ci fai qui? Credevo ti fossi trasferito” chiesi mentre lo guardavo con attenzione. Accidenti se era cresciuto, non assomigliava per niente al tondo bambino di dieci anni prima.
“Beh, sono tornato per romperti le scatole! Ho concluso gli studi l'anno scorso e adesso dedico il mio tempo e la mia conoscenza qua a Londra”

Mi accorsi che aveva la borsa piena di fogli e curiosa attirai la sua attenzione indicandoli

“Cosa sono?”

“Volantini... ”
“Per cosa?”

“Sono in cerca di studenti! Sono insegnante di percussioni”

Sorrisi: sin da piccolo Woody era un casinista e si ritrovava sempre a colpire qualsiasi cosa trovasse davanti. Una volta aveva fatto un piccolo concerto suonando le catene dell'altalena.

“Me l'aspettavo. Ti è sempre piaciuta la batteria. Hai trovato qualche allievo?”
“No... Ma chi può biasimarli? Sono giovane e ho poca esperienza. Non penso che si fidino”

“La gente è proprio idiota! Pensa che essere giovani sia un difetto per le professioni, non si rendono conto che la passione gioca un ruolo importante! Perché se sei giovane e non hai mai fatto un lavoro non sei in grado di fare nulla!”

Woody si accorse del mio cambiamento di voce e così si preoccupò:

“Va tutto bene?”
“Non proprio...” Lo guardai e per un attimo preferii non dire nulla; ma in quegli occhi chiari rividi quella luce sincera e brillante che mi ricordò la lealtà e la riservatezza di Woody: “Diciamo che avevo scritto una sceneggiatura e l'avevo presentata ad un esperto, ma questo mi ha detto che era banale e che io sono una sciocca ragazzina che cerca fama e ricchezze. Mi sento una merda”.

Non so come, ma in quel momento mi sentii libera di dire ciò che mi passasse per la testa, sentivo che Woody sarebbe riuscito ad aiutarmi.

“Prendila come una sfida: dimostragli che hai talento, fagli vedere la vera Allyson. A volte i giudizi della gente possono abbatterci ma è proprio questo che ci spinge a dare il meglio di noi. Dovresti...

Woody non riuscì a concludere la frase poiché mi ero alzata di scatto: erano già le sei di sera e la mia famiglia mi stava aspettando. È sempre così, quando si sta bene e si parla serenamente il tempo passa troppo in fretta.

“Scusa ma adesso devo andare. Grazie per le parole. E mi ha fatto piacere rivederti!”

“Anche a me. Comunque non sarà l'ultima!”

Gli sorrisi e mi avviai verso la porta. Poi, prima di uscire, mi venne in mente un'idea

“Mi potresti dare un volantino?”

Woody mi guardò curioso e un po' sbigottito.

“So come aiutarti a far circolare la tua richiesta. Fidati di me”

Dopo essermi fatta dare un foglio lo salutai e raggiunsi la porta. Nello stesso istante Woody ricevette una telefonata da parte di qualcuno.

“Pronto? Sì, sono io... Mi vuole incontrare? Va bene, posso sapere il suo nome?”

Dopo aver superato la porta non riuscì più a sentire ma in quel momento mi importava poco: il mio unico pensiero era arrivare a casa per finire quel lavoro.

Dopo una lunga camminata raggiunse la periferia dove si trovava il mio appartamento: era isolato e circondato sempre da un dolce silenzio e da aiuole ricche e colorate, per questo lo adoravo.

Appena entrai in casa venni accolta dal mio gattino Jin e dalla sua buffa chiazza color caffè sulla parte sinistra del muso, in seguito dagli scherni di mio fratello maggiore Leonard.

In quel momento però non avevo voglia di parlare, sia perché ero ancora abbattuta per la sceneggiatura sia perché dovevo completare il mio “progetto”.

Così mi precipitai in camera e ripresi il documento che avevo lasciato incompiuto.

Amavo la sceneggiatura ma non era il solo stile che sapevo trattare, anzi, primeggiavo particolarmente nel testo argomentativo e giornalistico: fu così che trovai un posto da giornalista di una rivista, ma nessuno lo sapeva, né i miei “colleghi”, né le mie amiche e neppure la mia famiglia. Solo il direttore ne era a conoscenza. Aveva indetto un contest il cui premio era un posto nella redazione e uno spazio da usare nel blog e nella rivista e io, per diletto e per curiosità, provai e riuscii a vincerlo. Preferii però evitare di espormi troppo così chiesi al direttore di non rivelare il mio nome e lui stranamente accettò.

Era un segreto che custodivo gelosamente.

Senza che gli altri se ne accorgessero raccoglievo informazioni, silenziosa e attenta: ero sempre presente alle assemblee e agli eventi importanti così da poter trovare una notizia interessante da condividere con i ragazzi.


 

Il mio nome d'arte era Ice, poiché nel giorno del mio compleanno cadde una grande quantità di neve e fu uno dei giorni più freddi della storia. Non so, lo trovavo perfetto.

Mi piaceva tanto scrivere: avevo costruito molti articoli ed erano tutti differenti. Principalmente mi occupavo di gossip, di musica e di consigli dai cosmetici alla cucina.

Insomma mi ero creata un personaggio da condividere con gli altri; a volte ricevevo delle email di ringraziamento e molti consigli su come migliorare e la cosa mi faceva stare bene.

Ice era diventata reale.

Mentre concludevo l'articolo sul Museo della Città e ritoccavo la ricetta di un piatto, creai un piccolo spazio per il volantino di Woody, così che tutti potessero vederlo e, chissà, magari qualcuno si sarebbe interessato.

Mia madre bussò più volte ma ero così concentrata che non la sentii. Quando scrivevo entravo come in trance e per questo chiudevo a chiave la stanza in modo che nessuno mi disturbasse. I miei non si preoccupavano: c'era sempre un rumore di dita che pigiavano con rapidità i tasti e dei borbotti che uscivano dalla mia bocca senza che me ne accorgessi quando lavoravo, perciò sapevano sempre cosa stessi facendo.

“Per questo motivo vi consiglio di fare un salto domani al Museum of London e di osservare con particolare voglia la mostra di foto degli anni '60/'70. Non vi sale l'euforia a pensare di immergervi nel passato e di percepire i volti, i fatti e le strabilianti mode di allora? A me tanto!

Gli orari li troverete di seguito.

Mi raccomando fateci sapere la vostra opinione.

A presto,

la vostra Ice”


 

Bastò un click e in un attimo il mio articolo sarebbe stato aggiunto online sul giornale locale.

Fu in quel momento che abbandonai la mia stanza per prendermi il caffè post-lavoro ma, come una sciocca, mi dimenticai che in quel modo avrei avuto contatti con qualcuno, cosa che avrei preferito evitare.

E invece le cose non andarono come speravo. Incontrai mio padre proprio davanti alla mia stanza. Il suo sguardo severo non prometteva niente di buono.

“Hai idea di che ore sono?”

“Sono solo le dieci, papà. Non puoi farti sempre dei problemi per me, faccio quello che voglio”

“Sono le tre e quaranta di notte...”

Cazzo...

Non era la prima volta che restavo sveglia fino a quell'ora, anzi era diventata ormai un'abitudine, la cosa che mi spaventava era che non me ne rendessi conto.

“Si può sapere cosa fai chiusa in quella stanza?”
“Niente di importante...” disis a bassa voce.
“Allyson!”

“Niente di importante! Ormai quello che faccio non è importante! Perché sono prevedibile e banale! Perché sono un'egoista!” gettai le parole fuori come se fossero delle bombe d'aria, non riuscivo più a trattenere quello che pensavo.
“Smettila di fare la bambina... ha detto così perché è il suo lavoro”
“Poteva almeno risparmiarsi quei termini!”

“Non tutto va sempre per il verso giusto, Allyson. Devi capire che ci sono le volte in cui si esce sconfitti.”
“Io sono sempre sconfitta!”

Non avevo mai urlato così. Eppure volevo sfogarmi, volevo gridare quello che stavo provando e niente mi poteva fermare.

“Secondo te i grandi sono partiti con la strada già asfaltata? No! Tutti la prima volta falliscono! Hanno dovuto percorrere un tratto in salita e pieno di ostacoli, solo dopo aver mostrato il loro vero valore hanno trovato la strada liscia e percorribile! Non puoi abbatterti per uno stupido commento!”

Ancora oggi mi vergogno di quella patetica scena: mi ero comportata come una bambina egoista e viziata. Avevo fatto una figura terribile davanti a un uomo straordinario.

Mio padre usava sempre il paragone della strada, sembrava trovarci gusto a dirmelo.

“Lo so bene, non c'è bisogno di fare i filosofi papà. Tranquillo, adesso la smetto di fare la stolta.”

Mio padre sorrise capendo che il mio orgoglio mi impediva di dirgli 'Grazie' o di mostrare qualsiasi tipo di debolezza come un abbraccio o un bacio.

“Buona notte, Harry” dissi io mentre ritornai in camera.

Non so cosa fece in seguito mio padre, ma lo sentii allontanarsi dal corridoio.

Mi accasciai sul letto e in un attimo venni circondata dal forte calore del piumone mentre all'esterno il vento cavalcava tra i rami degli alberi creando un suono profondo e tetro.

Mi abbandonai al sonno tormentato da strani sogni e anche presentimenti insoliti.

Una strana forza mi spingeva a pensare che sarebbe accaduto qualcosa.

Ancora non sapevo che le mie giornate si sarebbero movimentate...


 


 


 


 


 


 


 

La tana del sogno

Salve Fandom dei Bastille, sono tornata.

So di aver già scritto questo storia però ho voluto postarla nuovamente perché volevo cimentarmi in questo progetto (e anche perché una mia amica l'ha richiesta);

ho modificato alcune parti e anche la storia prenderà una piega diversa, quindi i Bastille arriveranno prima del previsto ;)

Eccomi con il primo capitolo che fa anche da prologo. Ora conosciamo gli amici e la vita di Allyson, studentessa e 'giornalista' di una piccola rivista e del giornale scolastico.

Ed è entrato in scena il nostro amato Woody!

Dato che sono una tipa che fa sempre degli errori, vi sarei grata se me li faceste notare.

Spero che sia stata una piacevole lettura! Grazie a chi passa!

Buona settimana a tutti

Y.K


 

"Con questa mia storia non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo"

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


CAPITOLO II

Can you feel the silence? And can you fill it?

 

Ancora una volta mi svegliai tardi e così ebbi solo il tempo di sistemarmi il viso. Quelle occhiaie mi creavano un certo fastidio così abbondai con ombretti, mascara e fard per nascondere ogni traccia di stanchezza. Per l'abbigliamento invece avevo puntato alla semplice e solita camicia azzurra con tema a pois blu e dei jeans stretti, naturalmente non mancavano le converse bianche con stringhe celesti.

Raggiunsi la cucina e, dopo aver stampato un dolce bacio sulla guancia tiepida di mia madre, uscii di casa e mi incamminai verso scuola.

Ero di nuovo lì, nel silenzio del “quartiere di pietra”, chiamato così per via delle chiese e delle sculture che si affacciavano sulla strada; rallentai per un momento così da poter osservare il sole sfiorare le cortecce degli alberi e qualche uccellino cinguettare debolmente danzando accanto ai rami ormai in fiore. Quella magica atmosfera venne spezzata, poco dopo, dal motore delle macchine e dalle urla della gente che mi risvegliarono dalla trance mistica, tornai alla realtà dei cinque minuti e venti secondi di ritardo.

Mentre correvo come una disperata scorsi con la code dell'occhio la rivista locale “The London Eye” e mi accorsi della didascalia del mio articolo.

Sorrisi soddisfatta mentre ripensavo agli argomenti trattati: adoravo spiegare come cucinare dolci prelibati o piatti stranieri, soprattutto quelli italiani, ma mi divertivo anche nelle rubriche sull'abbigliamento e sull'arredamento; i temi però che mi stavano più a cuore e che trattavo volentieri erano la musica e il cinema.

Avevo sempre pronta una recensione per uno specifico film e suggerivo con entusiasmo una canzone settimanale. Quello era il mio mondo, ma a quanto pare esso mi voleva fuori dalla sua portata.

Ancora una volta avevo perso tempo in futili pensieri e così dovetti accelerare il passo più di quanto non avessi mai fatto; mi viene il fiatone solo al pensiero di quelle maledettissime corse che facevo quasi tutte le mattine.

Quella volta però riuscii ad arrivare prima che la campanella impazzisse con il suo trillo: un evento più unico che raro!

Anne stava seduta sul mio banco con le gambe incrociate e i pugni appoggiati sui fianchi. Quando si trovava in quella posizione significava solo una cosa: era pronta per elencare le sue prediche e le sue critiche.

“Possibile che tu debba arrivare sempre in ritardo?”

“Mi ero addormentata...” risposi io senza vergogna.

“Sempre la solita scusa! E poi perché tieni sempre il telefono spento! Dovevo parlarti!”

Anne teneva sempre il tono della voce alto e quindi ogni volta che apriva bocca tutti ascoltavano attentamente i suoi discorsi.

“Mi dica Altezza, di cosa volevi parlarmi?” le dissi io dopo essermi inchinata ma lei invece di ridere sbuffò.

“Sai che ieri sono rimasta da sola nel bagno con Jason”

Già, Jason.

Quel pomeriggio mi aveva offerto il pacchetto di sigarette e mi era sembrato meno maleducato del solito. Chissà perché si era comportato così... pensai senza distinguere i suoni che uscivano dalla bocca di Anne.

“Mi stai ascoltando?”

“Scusa, mi ero distratta. Continua”

“Beh... diciamo che abbiamo avuto un momento di svago”

A sentire “svago” per poco non mi cascarono le braccia. Quando Anne intendeva “divertimento”, “svago” o simili voleva dire soltanto una cosa:

“Lo avete fatto in bagno?!” le chiesi cercai di mantenere bassa la voce, ma ero talmente stupita che il suono delle mie parole fu abbastanza chiaro e diretto.
“Ma no! Sarebbe stato poco igenico non ti pare? Siamo andati poco oltre ai baci e alle carezze... Però devo dire che mi aspettavo qualcosa di meglio da parte sua. Mi ha annoiata”

disse lei un po' seccata.

Bene... la mia amica si era (quasi) fatta uno dei ragazzi più popolari della scuola, quello su cui girano tanti pettegolezzi sulla sua abilità a letto. E lei replicava che era stato noioso.

“Tu hai qualche problema...” le dissi indifferente mentre mi accomodai e ripassai letteratura.

Poco tempo dopo il Professore Ratchet entrò con uno dei suoi soliti sadici sorrisi stampato sulle sue labbra ruvide e pallide. Teneva stretto sotto il braccio mollo e corto un blocco di fogli.

Chiusi gli occhi: l'ultima cosa che volevo in quel momento era affrontare una verifica di letteratura.

Appena il vecchio mi sbatté il foglio sul banco però la mia mente era volata tra poesie, autori classici e frasi meravigliose.

La letteratura era sempre stata una delle poche materie che mi appassionavano: ogni testo era unico nello stile e raccontava una storia diversa.

Non mi stupisco che fui la prima a consegnare il protocollo e la cosa non sembrò dispiacere neanche il professore.

Gli altri compagni impiegarono più tempo per restituire il foglio all'uomo: c'era chi esitava, chi chiedeva un ultimo e disperato aiuto al vicino e chi correggeva più volte una frase.

Poi però scoccarono le undici e tutta la classe restò ferma e seduta mentre il professore se ne andò tenendo sotto braccio le verifiche, come se fossero un'importante tesoro... o le liste di condannati a morte.

Quando mi voltai per rivolgermi ad Anne, la vidi sdraiata sul banco quasi sull'orlo della disperazione per il compito appena svolto mentre Lucy cercava di tirarla su di morale.

Sarei andata da loro se solo il professore di educazione fisica non avesse irrotto nella stanza pronto per farci sudare. La nostra scuola aveva stabilito poche lezioni di ginnastica durante l'anno ed era necessario frequentare quelle ore per poter concludere l'anno con voti alti. Quindi eravamo costretti a sopportare quei maledetti esercizi e la parlantina dell'insegnante, un uomo maniaco dell'ordine e che si divertiva a vederci soffrire.

“Dato che questa è l'ultima lezione ne approfitto per testare le vostre capacità nella resistenza! Vedremo chi regge di più in cinque minuti di corsa!”

Come al solito tra i maschi si accese una forte rivalità mentre le ragazze si guardarono seccate e senza alcuna voglia di sforzarsi e di infilarsi in quella tuta orribile e scolorita.

Le lezioni di ginnastica coinvolgevano tutte le classi di tutti i corsi, perciò eravamo un grande numero di ragazzi.

Appena raggiunti gli spogliatoi iniziarono gli abituali minuti di pettegolezzi e di chiacchierate insolite.

“Avete saputo?”

“Anne e Jason si sono baciati nel bagno delle ragazze!”

“Baciati? Io ho sentito dire che sono andati oltre!”

Anne si stava tranquillamente allacciando le scarpe da ginnastica come se nulla fosse: non le creavano mai fastidio i pettegolezzi, anzi sembrava apprezzare che fosse sulla bocca di tutti.

Poi Katy, una delle migliori studentesse della scuola, tirò fuori il discorso che volevo sentire:
“Avete letto il nuovo articolo di Ice?”

Lucy prese parola e, in preda alla curiosità, mi avvicinai a lei, senza destare sospetti;

“Sì, secondo me Ice sta perdendo colpi. Nel senso, ormai scrive sempre le stesse cose! Non la digerisco più.”

Mai mi sarei aspettata una simile critica da parte sua.

“In effetti... dovrebbe trovare qualcosa di più interessante! Deve rinnovarsi!”

“Secondo me non è portata per queste cose, intrattiene e basta. Dovrebbe scrivere con più cura e aggiungere dati interessanti.”

Di colpo mi sentii come circondata dal buio: immobile, senza sapere che dire e, soprattutto, spaventata.

Persino le mie compagne mi trovavano prevedibile e banale. Non riuscivo a capire cosa non andasse in Ice, cosa non andasse bene in me.

Il professore entrò di colpo e un urlo invase la stanza dalle pareti color prugna.

“Se metteste nella corsa la stessa passione di quando parlate, sareste dei razzi! Forza signorine! Gli uomini vi stanno aspettando da parecchi minuti!”

E così il numeroso gruppo di ragazze si avviò in cortile dove i ragazzi erano pronti per partire.

Il primo gruppo era composto dalle ragazze più scalmanate e pigre che a malapena raggiunsero la sufficienza; il secondo non ricordo chi ci fosse oltre me e Lucy, però ricordo bene le parole di incoraggiamento che Jason mi aveva rivolto.

“Forza gambe lunghe! Mettici più grinta!”

Il terzo era il gruppo dei “popolari”: oltre ad Anne e a Marylin, la figlia di un celebre avvocato, c'erano Jason e Nathan.

“La cosa si fa interessante” aveva bisbigliato il professore curioso di vedere l'esito.

Nathan era sempre stato veloce ma anche Jason non era da meno.

E così al fischio d'inizio i due partirono come razzi: per un primo momento fu Jason ad avere la meglio ma Nathan a metà corsa accelerò fino a raggiungere il moro. Era un testa a testa.

E mentre alcune compagne urlavano tifando per i due ragazzi, il mio sguardo seguiva i passi di Anne che doveva ancora compiere il quarto giro.

Poi il cronometro fece uno strano suono e il professore costrinse i quattro studenti a fermarsi: Nathan era più avanti di Jason.

I ragazzi si avvicinarono al “campione” che aveva rivolto uno sguardo fiero verso lo sconfitto Jason.

Anne si avvicinò e si buttò, letteralmente, tra le mie braccia, distrutta.

“Un'altra ora di inferno è finita” aveva detto nonostante avesse poco fiato.

Aveva ragione: quella giornata pesante di scuola era finita. Le lezioni pomeridiane vennero annullate a causa di uno sciopero dei professori.

E così Lucy ne aveva approfittato per passare un pomeriggio con il fidanzato Finn. Erano una coppia stupenda a mio parere e per questo la bella brunetta a volte riceveva, ignara, la mia invidia.

Era perfetta: alta, bella, intelligente e buona. Finn si era subito innamorato di lei e Lucy all'inizio aveva paura di intraprendere una relazione ma riuscii a convincerla. Era da due anni che stavano insieme e per questo Anne li aveva definiti “la coppia di roccia” perché non avevano mai litigato o rischiato di rompere la loro relazione. Questa cosa mi suonava strana perché non avevo mai visto due ragazzi amarsi così tanto da far durare per un lungo periodo il loro fidanzamento, probabilmente il motivo era che mi ero circondata di gente che riusciva ad avere una relazione fissa: Anne aveva avuto più o meno sei fidanzati mentre le altre mie coetanee uscivano ogni settimana con un ragazzo diverso e alcune sue amiche, conoscenti di passaggio, non erano da meno.

Io non ero ancora entrata nel “circolo delle ragazze felicemente fidanzate” e non era un problema per me. Ho sempre cercato l'amore in tutte le sue forme: nell'arte, nella musica e nelle parole. Ma non ho mai provato quel tipo di amore che definisce il ritmo del tuo cuore, non avevo ancora trovato nessuno che mi piacesse così tanto da dirgli “ti amo”, da abbracciarlo forte in modo da non farlo andare via, da mandargli in

“Ehi Fence! Che ne dici di andare a mangiarci qualcosa insieme?” Anne si piazzò davanti a me e mi sorrise.

“E dove vorresti andare?”

“Non saprei, qualsiasi posto va bene!”

“Io vi consiglio di andare dal Mc Donald's!”

Jason si era avvicinato ad Anne sorridente come se la sconfitta subita da Nathan non gli avesse fatto alcun effetto.

“Perché no! Mi sembra un'ottima idea!”

“E la tua dieta Anne?” le chiesi, provocandola, ma lei sorrise.

“Al diavolo la dieta! Io ho fame!”

E si incamminò seguita da Jason e da due suoi amici. Nonostante le critiche ricevute poche ore prima decisi di seguirli pensando che pranzare in compagnia sarebbe stata una perfetta distrazione.

Inoltre ero curiosa di sapere come si sarebbe evoluto la questione “Anne-Jason”.


 

Nonostante il fast food fosse poco distante, io ed Anne cominciammo a sentire gli effetti della post ginnastica. Sentivo i muscoli delle gambe rimbombare di un dolore insopportabile mentre la schiena cominciò a diventare un peso più che un sostenimento. Jason sembrò non risentirne e continuava a scherzare con i suoi amici.

Una volta arrivati, sentii lo stomaco tuonare dalla fame.

Il ristorante era particolarmente spazioso e ben illuminato, anche se la terribile puzza di fritto era persistente e un'aria viziata circolava per l'intera sala. Appena entrai stabilii subito che, una volta tornata a casa, mi sarei fatta una doccia calda.

Anne si precipitò su un tavolo centrale da sei posti e Jason inaspettatamente si mise accanto a lei, io, invece, mi ritrovai in mezzo ai due ragazzi, che scoprii essere Universitari. Anne mi aveva lasciata da sola e in quel momento volevo veramente fargliela pagare.

“Allora ragazzi cosa volete? Offre Fence!” Mi voltai verso la bionda e inarcai un sopracciglio

“Come hai detto scusa?”

Jason scoppiò a ridere e accettò:

“Fence mi devi un favore” disse lui facendomi l'occhiolino.

Mi alzai e trascinai Anne dalla cassa carica per rimproverarla.

“Ma che ti salta in mente?”

“Su, non fare la guastafeste! Ci divertiamo un po' con questi fighi!”

Mi voltai per fissare i tre ragazzi che si stavano tirando dei cazzotti. Anne non aveva tutti i torti, erano proprio i tipici ragazzi dai muscoli allenati e dal bel faccino.

“Vai a chiedere cosa vogliono!”

E così venne spinta dalla mia amica a fare da cameriera ai tre... ma con sorpresa vidi che si aggiunti altri due ragazzi.

“Nathan? Che sorpresa!” esclamai sorpresa.

“Ehilà Allyson!”

Non parlavamo da parecchi mesi eppure era rimasta ancora un po' della nostra intimità che avevamo alle medie. Nathan era il mio migliore amico e stavo sempre con lui, poi però quando lui si fidanzò si allontanò da me. La classica storia: il primo amore non prende mai forma, è una legge imperscrutabile.

Accanto al bel biondo stava sua sorella minore, Katerine, che si era già attaccata al braccio di uno dei due universitari.

“Mi fa piacere che ti sia unito a noi! Cosa prendete?”
“Noi due prendiamo il MacMenù, due McChicken e due Coca-cola.” ordinarono i due ragazzi più grandi.

“Idem” disse Katerine. I suoi occhi nocciola mi guardavano dall'alto in basso nonostante io fossi in piedi. Non ho mai sopportato quella ragazzina, credeva di essere migliore degli altri e aveva un atteggiamento che non si addiceva affatto a una ragazzina di tredici anni.

“Io prendo il solito, te lo ricordi Allyson?”

Sorrisi. Capitava spesso che io e Nathan andassimo a mangiare fuori insieme ad altri amici e lui voleva sempre le crocchette di pollo e un abbondante porzione di patatine fritte.

Mentre io e Nathan parlavamo notai che Jason ci guardava seccato e spazientito, come se gli desse fastidio vedere quella scena. Sicuramente pranzare con il ragazzo che ti ha stracciato in una corsa deve essere molto imbarazzante per i ragazzi.

“Ok, Jason tu cosa prendi?”
“Quello che prende Anne. Sbrigati cameriera!”

Senza dire più nulla, mi allontanai dal tavolo e raggiunsi Anne. Dopo una lunga lista riuscimmo a dire tutti gli ordini, per poco la cassiera non ci mandava a quel paese.

Mentre un ragazzo mi serviva due vassoi, Anne richiamò la mia attenzione e indicò Katerine che stava appoggiata sulla spalla della “matricola”.

“Non riesco a credere che lei e Nathan siano fratelli” mi sussurrò Anne mentre io presi un vassoio e la invitai ad aiutarmi.

Dopo vari viavai per il ristorante, alla fine anche io e Anne riuscimmo a sederci e a gustarci il nostro pranzo. Devo dire che fu molto tranquillo rispetto a quello a cui ero abituata a scuola: non c'era confusione e, tranne per Katerine e Nathan, tutti noi eravamo persi in un silenzio quasi imbarazzante.

Fu la risata di Jason a distruggere quella piacevole atmosfera; il moro indicò il bancone dove stavano i commessi e iniziò a prendere in giro un giovane, sicuramente era la sua prima esperienza.
Mi voltai per capire di chi stesse parlando ma all'improvviso Anne mi prese per un braccio e mi costrinse ad accompagnarla in bagno.

“Cosa c'è?" Odiavo discutere in bagno; essere circondata da ragazze sconosciute e da un odore insopportabile di umido e di detersivo per pavimenti mi ha sempre dato parecchio fastidio.

“Hai notato come Jason mi guarda!”

Sbuffai, in quel momento non avevo voglia di parlare di un possibile flirt da parte di Jason.

“No. Ora vorrei tornare dal mio panino”

“Ma come puoi essere così cieca?”
“Credevo non ti interessasse”

“No, infatti. Però è sempre bello ricevere certe attenzioni.”

“Se lo dici tu”
“Come al solito non puoi capire, Allyson” disse quasi con tono altezzoso mentre ripassò la matita viola sugli occhi.

In quel momento avrei voluto urlarle di tutto. Come al solito. Ma che diamine stava dicendo?!

“E poi cosa hai intenzione di fare?”
Non capii e Anne si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio un nome.

“Ma che vai a pensare?!” urlai attirando l'attenzione di tutte le ragazze.

“Non mi piace Nathan” ripresi, abbassando la voce. “È vero che ho avuto una cotta per lui ma è stato tanto tempo fa!”

“Tutti dicono così, ma il primo amore non si scorda mai!”

“Ero alle medie!”

“E allora?”

Il fiato cominciò a mancarmi e così me ne uscii e tornai a sedermi per gustarmi in santa pace il mio pranzo, ormai tiepido. Pochi istanti più tardi Anne ci raggiunse e mi indicò con gli occhi Nathan, intento a bere la sua bibita.

“Mi è venuta un'idea! Vi va di fare uno scherzo a quel tipo?” Jason indicò un ragazzo che stava alla cassa e con lo sguardo cercò la nostra complicità
“Devi sempre comportarti da bambino Jason?” gli feci notare io ma non diede troppo caso alle mie parole.

“Sembra divertente” disse Anne

“Io ci sto” disse il nuovo arrivato, Davis, seguito dall'amico.

“La maggioranza vince! Voi statemi dietro” annunciò Jason.

Il moro si alzò seguito da Anne e dal suo amico mentre l'altro ragazzo e Katerine, che aveva annuito silenziosamente, si erano spostati.

Cercai di fermarli ma Nathan scosse il capo e mi convinse ad uscire.

“Perché non li hai fermati?” gli chiesi ma lui non rispose, anzi, era concentrato a guardare da dietro il vetro come si sarebbero svolte le cose.

Lo scherzo, a quanto avevo capito, consisteva nel far confondere il ragazzo e insultarlo per via della sua “presunta” sbadataggine.

Jason era appoggiato sul bancone e stava parlando con il commesso: mi sembrava abbastanza giovane e la cosa mi irritò particolarmente. Sentii il bisogno di entrare e interromperli ma nuovamente Nathan mi fermò.

“Ma perché?”
“Ormai è inutile, resta ferma se non vuoi peggiorare la situazione”

Sgranai gli occhi, sorpresa dalla sua affermazione, e mi voltai verso il vetro. Dopo un po' vidi il commesso andare dal personale e quando ritornò Jason non c'era poiché si era nascosto e al suo posto c'era Anne.

Il ragazzo sembrò stupito ma porse lo stesso l'ordinazione alla mia amica che, fingendosi furiosa, iniziò ad urlargli di tutto mentre poco più in là gli altri ridevano.

Poi Anne li raggiunse e il gruppo riprese a ridere; ero rimasta stupita, e schifata, dal loro comportamento, a dir la verità quello non mi sembrava neanche uno scherzo ma solo un'azione infantile. Mi voltai e qualcosa mi lasciò spiazzata: il commesso li stava fissando eppure rimaneva in silenzio. Continuavo a domandarmi il perché non stesse facendo nulla. Aveva capito di essere stato preso in giro eppure non disse nulla ma riprese a lavorare, come se nulla fosse accaduto.

Non so perché quel fatto mi toccò così profondamente, ma in quel momento decisi di andarmene così, ancora furiosa, mi allontanai. Nathan cercò di trattenermi ma, a causa della mia testardaggine, non lo ascoltai e accelerai il passo.

In quel momento non mi andava di vedere nessuno. Possibile che dei giovani fossero così immaturi?

In pochi minuti fui di ritorno a casa e mi sdraiai sul letto: erano solo le tre del pomeriggio eppure mi sembrava di essere stata in piedi per ben tre giorni. Volevo solo riposarmi e abbandonare ogni turbamento ma invano, non riuscii proprio ad addormentarmi e, pochi minuti più tardi, la suoneria del mio cellulare disturbò la quiete creatasi nella stanza, riconoscevo perfettamente quel suono fastidioso: era un messaggio di Anne.

“Perché te ne sei andata così? Ascolta, questa sera devo esibirmi in un locale, ti va di venire? E' lo stesso dell'altra volta: Pub Moonlight alle 22:30. Se non vieni dovrai offrire un pranzo a tutta la classe!”

Sospirai e poi lanciai il telefono sulla poltrona. Anche se erano state parole silenziose credevo di essere stata riempita da suoni fastidiosi e da brusii taglienti, era come se la mia anima fosse stata corrotta dal casino.

Ma non potevo lasciare ancora una volta Anne da sola così decisi di accontentare quel suo capriccio. E, per precisare, la mia non era debolezza. Nè tanto meno sottomissione al volere di quella vanitosa e brillante cantante.

Nonostante fosse ancora pomeriggio mi ero già messa a lavoro, Ice doveva fare un'entrata in scena unica. Battei le mani e scrocchiai il collo, posizionai le mani poco sopra i tasti delle tastiera e... non feci nessun movimento. Rimasi per un bel paio di minuti a pensare a cosa poter pubblicare ma nella mia testa non germogliava neanche uno spunto.

Le parole delle mie compagne, di Anne e di Dake rimbalzavano da una parte all'altra della mia testa, erano ancora ancorate ai miei pensieri e li sentivo rimbombare chiari e puri, come se fossero appena usciti dalle loro bocche. Avevo le idee poco chiare e mi sentivo distrutta e confusa.

Ma non potevo non scrivere nulla così rimasi nel classico tema: cucina e amore.

Ma da quella improvvisa concentrazione emerse una pagina scarsa. Lanciai un grido, afflitta, e mi girai di scatto. Poi alzai lo sguardo e mi accorsi dell'ora: erano già le nove e mezza. Mi alzai di corsa maledicendo il tempo e le sue corse sempre inopportune; decisi di farmi una rapida doccia calda, sicura che avrebbe calmato lo stress che continuava a interrompere i miei logici pensieri e le mie riflessioni.

Una volta terminata la “purificazione”, puntai al guardaroba, sicura del mio outfit: per le serate nei locali indossavo sempre un abito lungo fino al ginocchio di uno scuro blu, pari a quello della notte, e ai piedi le decolettè blu lucido decorate sulla punta da un piccolo fiocco a pois neri e bianchi.

Mi voltai verso lo specchio e osservai i capelli cercando una acconciatura sobria ma non troppo elegante: decisi cosi di lasciarli sciolti. Mi sbarazzai degli occhiali, che all'epoca usavo solo quando lavoravo al computer o alle lezioni di Media, e mi truccai con colori pallidi e ramati.

Guardai più volte il mio riflesso e, dopo essermi data un'ultima sistematina, capii che ero pronta per uscire. Per fortuna mio padre non fu troppo severo e così mi lasciò andare.

I miei genitori non sono mai stato troppo rompiscatole, mi lasciavano uscire quasi tutte le sere a patto che tornassi entro l'una di notte. E per me era abbastanza, non mi piaceva restare sveglia tutta la notte per ballare o bere. Sono più una pensatrice notturna che una festaiola che attende l'alba.

Per una volta ringraziai il cielo che il Pub non fosse tanto distante altrimenti avrei sicuramente preso a pugni Anne; credo di aver capito perché in quel periodo fossi tanto “violenta”.

Appena entrai notai che sul palco non c'era ancora nessuno e il locale non era tanto affollato, così tirai un respiro di sollievo.

Anne mi raggiunse di corsa nonostante i suoi trampoli -tacco dodici per la precisione, non so come facesse a ballare su quei cosi- color giallo vomito, come lo chiamavo io.

“Sapevo che non mi avresti abbandonata!” disse, dandomi un abbraccio.

“Mi potresti cortesemente dire perché sono venuta qui?” chiesi io enfatizzando il tono ironico.

“Perché sei mia amica e perché mi vuoi bene” canticchiò lei, sbattendo le palpebre.

Sbuffai e forzai un sorriso, poi Anne mi offrì un bicchiere di birra.

“Oggi ci siamo divertiti tanto! Peccato che te ne sia andata” prese a parlare Anne ma non ricambiai il suo entusiasmo.
“Non mi piacciono questo genere di cose e lo sai bene”

Anne mi diede un pizzicotto sul braccio e rise.

“Tu non sai proprio cosa sia il divertimento. Quel ragazzo era così... scemo!”

“Cambiamo discorso, se trattengo la mia natura aggressiva ancora un po' rischio di fare del male a qualcuno” dissi prima di cacciarmi in gola mezzo bicchiere di birra per evitare di parlare.

Ma Anne venne chiamata dal suo agente amatoriale e così fu costretta a salutarmi e a lasciarmi da sola. Era sempre così: io accompagnavo Anne, le tenevo compagnia per qualche minuto e poi le mi lasciava sola per tutta la notte.

Mi sistemai su una sedia posizionata in mezzo alla sala e vidi la mia amica salire sul palco pronta per esibirsi con molte cover di artisti famosi.

E mentre la gente ballava a ritmo con la musica e cantava assieme alla mia amica i ritornelli, gironzolavo come una povera scema in quel locale piccolo e in un miscuglio di tabacco e di alcol.

“Siete fantastici!” urlò Anne e mi voltai per guardarla. Quel gesto mi costò caro perché mi scontrai contro un uomo. Cercai di scusarmi ma rimasi in silenzio, fissando il volto seccato dell'uomo: aveva una corporatura robusta e una barba folta, sembrava quasi una guardia del corpo.

“Scusi” riuscii infine a dire ma a causa del volume alto la mia voce risultò quasi silenziosa, così dovetti urlare ancora una volta per farmi sentire ma l'uomo rimase in silenzio.

Accanto a lui stava una ragazza dal volto familiare... e fu in pochi secondi che la riconobbi.

“Lizzy, sei tu?”

La ragazza nominata concentrò gli occhi verdi su di me e, dopo aver messo a fuoco, fece un salto da cui capii che mi aveva riconosciuta.

“Ally carissima! Come stai? Caspita, ti sei fatta proprio bella! Beh, la bellezza è di famiglia!”

Scossi il capo e poi sorrisi. Elizabeth, soprannominata da me Lizzy, era stata la mia babysitter per molto tempo, anzi direi che era la mia migliore amica dell'infanzia. Ma all'epoca chiunque poteva diventare facilmente tuo migliore amico, perciò era una di quelle amicizie che sono destinate a dissiparsi con il passare degli anni. Tuttavia Lizzy non perse affatto la sua cortesia e il suo solito modo di fare allegro e ottimista.

“Come sta Leo?”
“Sta meglio di me, su questo non c'è dubbio” risposi.

Restammo a parlare per parecchi minuti e qualche volta la mia attenzione si rivolse a quel ragazzone che teneva gli occhi fissi su di me ma se ne stava zitto zitto.

Cos'era? La giornata del silenzio?

“Lui chi è?” sussurrai a Lizzy indicando l'uomo, convinta che fosse il suo fidanzato.

“È un caro amico...”
“È sempre così... loquace?” chiesi sarcastica e lei sorrise.

“Beh... all'inizio può sembrare serio e distaccato, però è divertente ed esuberante! Mi trovo bene con lui anche se è più giovane di me!”

Quando me lo disse rimasi stordita. Lizzy aveva trentadue anni, ciò significava che quell'omone dalla faccia seria aveva meno di trentanni.

Assurdo.

Riprese a fissarmi: era così concentrato su di me che nei suoi occhi verde oliva mi parve di vedere il mio riflesso, mi sentii parecchio a disagio.

“Mi piacerebbe continuare a chiacchierare con voi ma devo andare, la mia amica mi sta aspettando. Spero di rivederti ancora, Lizzy”

“Salutami tutti!”
“Senz'altro! Ciao!” Superai i due e cercai di non far casa allo sguardo glaciale del ragazzo ma poi la mia educazione ebbe la meglio.

“Arrivederci” gli dissi e poi mi allontanai.


 

Restai mezz'ora seduta davanti al palco ad ascoltare altri artisti mentre Anne parlava allegramente con alcuni ragazzi. Fu allora che cominciai a sentirmi strana: un forte dolore allo stomaco continuava a tormentarmi e la testa non voleva smettere di girare.

Non ricordo cosa accadde in quei momenti... So che ad un certo punto uscii dal locale e quando superai la porta mi accorsi che Anne era dietro di me.

“Tutto ok?” mi chiese e io scossi subito la testa.

“Accidenti... ti accompagno a casa, va bene?” disse tenendomi per il braccio.

Mentre ci allontanammo sentii una melodia particolare. Non so perché ci feci caso però rimasi molto colpita da quella musica, era l'unico suono che riuscivo a distinguere da quella confusione che mi circondava.

Quando finalmente entrai in casa corsi in bagno. I successivi venti minuti li passai a rimettere e ad angosciarmi.

E così finì quella giornata...

Oggi la riassumo con tre parole: rabbia, giallo vomito e silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 






~ La tana del Sogno  ~

Eccomi con il secondo capitolo. È uguale a quello che postai l'anno scorso, da qui però le cose prenderanno una piega diversa da quella che era la storia originale. Perciò attendete con pazienza ll prossimo capitolo, dove finalmente i Bastille appariranno!

Spero vi sia piaciuto, se avete qualche critica/consiglio vi ascolto volentieri!

ringrazio Shiwriter e xtomx95 per aver recensito lo scorso capitolo!
Ringrazio anche color che hanno aggiunto questa storia nelle preferite/seguite/ricordate.
E infine ringrazio chi legge soltanto, non avrei pensato di raggiungere un numero così elevato di visite.
GRAZIE DI CUORE!

Buona settimana a tutti!

Alla prossima!

Yume

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

Under the weight of living

 

 

Erano passati parecchi giorni da quella festa... forse addirittura mesi.

Inutile dire che non appena mio padre mi vide tornare barcollante e pallida si infuriò come una belva; inutile dire che stetti così male che rimasi a letto per due giorni; inutile dire che, quando tornai a scuola, la mia concentrazione si esaurì.

L'AS level si stava avvicinando sempre più eppure non ero preoccupata né mi stavo dando da fare; in fondo era normale, non sapevo ancora cosa volessi diventare, come avrei potuto sostenere l'esame per poter entrare all'Università?

Il mondo della televisione, la lettura, la poesia, l'arte... persino la scrittura, sembravano essere solo un'illusione.

Avete presente i sogni che si hanno quando si è bambini? Voglio fare la principessa, voglio essere un supereroe, voglio sconfiggere le ingiustizie... Quei sogni che ti porti dentro fino a quando non cresci e capisci chi sei realmente e chi vuoi diventare.

Ecco... diventare sceneggiatrice era appena diventato il sogno dell'innocente e sciocca Allyson. Il sogno di una ragazza ancora bambina.

“Terra chiama Allyson!”

Alzai lo sguardo e finalmente gli occhi ripresero a vedere e a mettere a fuoco ciò che mi stava attorno: la prima cosa che trovai davanti fu il viso truccato di Anne:
“È la terza volta che ti trovo distratta, si può sapere che ti succede?”

“Niente...” sospirai per poi afferrare la mia lattina di birra “Assolutamente niente”

“Come niente?! Ti sembra una risposta pertinente? Si nota lontano un chilometro che hai qualche problema!”
Appunto, il problema era che non avevo niente... Ma non potevo certo risponderle così.

Anne non poteva capire; tutto girava attorno a lei, presto infatti l'amica avrebbe stipulato un contratto con una casa discografica e avrebbe intrapreso una vera carriera da solista.

Anche se fosse entrata in una qualsiasi Università, il suo futuro era già stato scritto, ancora prima di cominciare.

“Ho capito cosa ti turba” Anne portò le labbra vicino al mio orecchio e mi disse, sicura delle sue parole “C'è di mezzo un ragazzo!”

Ogni scusa era buona per parlare di ragazzi, Anne non pensava ad altro.

La fulminai con lo sguardo e ripresi a sorseggiare la mia amara birra mentre un lieto soffio di aria calda ci superò portando con sé qualche foglia e petali di fiori. Era rilassante pranzare sul grande prato dell'Istituto.

“Non fare la finta tonta! L'altra sera...” Anne iniziò un lungo discorso e mentre le sue parole procedevano a gonfie vele, mi tornò in mente la festa a casa di un suo amico (e probabile vecchia fiamma).

Come al solito Anne aveva bisogno di una spalla e così dovetti cedere ai ricatti di mio padre per riuscire ad andare a quel dannato party, uguale a tutti quelli a cui ero solita partecipare: noioso.

“... quel ragazzo!”

“Come scusa?” mi ero distratta un'altra volta.

Anne sbuffò, visibilmente stanca di dover sempre ripetere due volte i discorsi. Ma poi sorrise e la cosa mi preoccupò: quello era il sorriso sadico di Anne.

“Quel ragazzo che ti ha fatto i complimenti!”
“Veramente si è interessato al mio portachiavi” la corressi ma lei scosse il capo, confermando la sua teoria che si fosse avvicinato per provarci con me.

“Era proprio carino! Alto, magro, dallo sguardo magnetico e...”
La fermai e indicai l'orologio ricordandole che le lezioni sarebbero ricominciate: terminammo il nostro pranzo e raggiungemmo in poco tempo la nostra aula.

Ancora una volta la mia concentrazione si frantumò in mille pensieri che si allontanavano liberi verso quel cielo bianco, uno dei motivi per cui si odia l'Inghilterra. Eppure io lo adoravo, era una caratteristica basilare per Londra e poi avevo l'impressione che mi rappresentasse perfettamente: freddo, chiaro e amato da pochi.

La lezione si concluse con le solite raccomandazioni e consigli su come prepararsi per gli esami che si stavano avvicinando pericolosamente. Erano molti i compagni che sembravano non preoccuparsi affatto per quel test che ci avrebbe permesso di accedere all'Università, tra cui Anne e Lucy, che aveva scelto la sua strada sin da quando era la medie essendo suo padre il proprietario di un museo.

Non potevano capirmi, perciò non mi confidavo più di tanto con loro due.

Ero sola.

 

 

Non ricordo molto di quel pomeriggio, la mia testa sembrava aver preso il volo verso i miei pensieri più intimi e profondi.

Preferii tornare a casa e passare il pomeriggio a consultare siti dei Campus e a scrivere i miei articoli per il sito.

Afferrai il mio tè freddo e iniziai a impostare quello che presto sarebbe diventato una rubrica sui film in uscita ed eventuali recensioni finché un suono improvviso mi costrinse a bloccarmi e a visualizzare un messaggio sulla posta elettronica.

Avevo un'email personale e una per Ice, con quest'ultima mi ero iscritta nei social network e in eventuali siti di scrittura e di blog; per molti Ice era una ragazza fantasiosa, dolce, con tanti talenti e molto popolare tra i giovani. Ma quella era Ice, non Allyson Haunt.

A differenza sua, io ero una ragazza indifferente e riservata ma non per questo timida e debole, anzi ero solita intervenire spesso e dicevo sempre quello che pensavo senza farmi problemi, in quei casi parlavo sempre mentre per molte altre cose, che io ritenevo futili, restavo in silenzio; forse è per questo motivo che sono sempre stata allontanata e in molti mi evitano tuttora, forse era anche a causa del mio carattere se non avevo mai avuto una relazione seria o un'amicizia profonda.

Anne si era avvicinata per pura casualità, diventammo amiche due anni prima di cominciare il liceo ma, nonostante il tempo, non così intime da rivelare i nostri segreti o i nostri progetti, infatti lei non mi disse nulla della sua attività di cantante, ne venni a conoscenza una sera quando la incrociai in un locale e la cosa mi colpì.

Fu in quel momento che mi accorsi di non avere nulla di speciale, di essere una semplice ragazza di sedici anni. Odiavo quella sensazione, mi sentivo invisibile.

E così decisi di cercare una strada da seguire: ne provai tante ma alla fine mi mi sembrava di tornare sempre al punto di partenza.

Accadde una sera, quando vidi un film insieme a mio fratello, che decisi cosa fare del mio futuro: rimasi così colpita dallo stile di quel regista che decisi di provare il mondo del cinema, di cui ero molto informata. Sentii che era la strada giusta per me, ma dopo il rifiuto del produttore mi trovai persa nella confusione e nell'incertezza e l'arrivo di quel messaggio servì solo a rendermi ancora più disorientata: era del direttore del giornale online per cui lavoravo. Un'email da parte sua poteva avere un solo significato: problemi.

Tratteni il respiro e cliccai sul messaggio che si aprì mostrando un papiro lungo almeno due pagine: i miei occhi seguirono ogni singola lettera di quelle parole che tormentavano il mio cuore e il mio animo. Quando raggiunsi l'ultima riga il tempo si era come fermato, come se volesse farmi accentuare ancora di più l'agitazione e il significato di quella fottutissima frase:

Prenditi un po' di tempo...”

Prendermi del tempo? E per cosa? Non sapevo nemmeno quello che volevo, a che serviva stare fermi ad attendere chissà cosa?

Chiusi di colpo il computer e presi a pugni la scrivania; ero in uno stato confusionale, non riuscivo più a produrre un pensiero logico e il mio corpo prese a tremare. Ormai “vuoto” era diventato la parola scritta sulla mia fronte: non mi era rimasto più nulla, né il lavoro, né le amiche, né i sogni. Non avevo più nulla per cui lottare.

In quegli istanti i minuti si trasformarono in lunghe ore mentre le scarse e fragili lacrime che non riuscii a frenare racchiudevano un'immensa delusione e -lo ammetto- la mia più profonda tristezza.

Scrivere per quel giornale era diventato indispensabile, rinunciare a esso era come perdere una parte, la migliore, di me, quella Allyson conosciuta come Ice.

Quell'eternità si spezzò quando capii che non avrei potuto cambiare nulla, l'unica cosa che restava da fare era combattere: dovevo assolutamente pensare al mio futuro, a superare l'AS-level, solo così avrei dimostrato il mio valore.

Piangere non serviva a nulla né tanto meno rimanere immobile e attendere una buona notizia o un miracolo; questa è la realtà della vita.

Mi alzai con fatica a causa di un forte dolore alla testa mentre la pelle del mio viso era diventata secca a causa delle lacrime, una sensazione a mio parere fastidiosa.

Mi cambiai, vestendomi leggera e comoda: canottiera bianca, giacca di jeans, gonna nera lunga, sandali marroni. Dopo essermi raccolta i capelli rossi nell'elegante coda di cavallo, mi avviai verso l'uscita. Non diedi particolare attenzione alle parole o ai borbottii dei miei famigliari, cosa che capitava spesso. Dissi solo che uscivo per una passeggiata ma in realtà nemmeno io sapevo dove mi stesse guidando l'istinto: mi affidai al destino. Voi non lo fate mai?

 

Una brezza tiepida si fece strada tra i ciottoli marmorei e i cespugli ricchi di tutte le tonalità di verde e di ocra: presto l'estate sarebbe arrivata.

Avanzai lentamente, lasciando che la mia distrazione si divertisse con ogni misero particolare. Le case tipicamente inglesi affiancate e costruite su mattoni rossastri e ruvidi, il parco che attraversava mezzo quartiere e sul cui prato stavano giovani, cani o artisti di strada intenti a intrattenere i passanti, piccoli insetti che marciavano sul bordo della strada,... in quel momento ogni cosa era diventata incredibile e interessante. Persino quella sigaretta consumata e piegata in una forma geometrica perfetta appariva bella.

Sospirai.

Avevo accettato la realtà, le cose erano andate in quel modo e io non potevo fare nulla... l'unica cosa rimasta era alzare la testa e guardare avanti, senza nessuno da imitare o che influenzasse le mie decisioni.

Sentii che avrei trovato la mia strada, mi bastava soltanto una piccola indicazione.

E senza rendermene conto la trovai, lì, davanti ai miei occhi.

Il suo nome era Faults.

Ancora non sapevo cosa sarebbe accaduto, eppure a ricordarlo mi viene da ridere e da piangere allo stesso tempo...

 

Rispetto alle altre visite questa volta il locale era colmo di gente e un forte odore di caffè si stava diffondendo per il grande atrio.

Mi avvicinai al bancone e in pochi secondi si avvicinò Billy, il proprietario e ottimo consigliere di caffeina e cocktail, non che ne prendessi più di tanto però ogni volta me ne proponeva uno più buono dell'altro. Anche se ero andata poche volte, Billy conosceva perfettamente i miei gusti: infatti mi ritrovai sotto il naso l'aroma feroce della birra accompagnato dal fresco profumo della limonata.

Sorseggiai un po' della mia bevanda e in un attimo sentii la freschezza contagiarmi il corpo e la mente. Dire che mi ero ripresa sarebbe una sciocchezza, ero praticamente rinata.

“Come mai oggi c'è tutta questa gente?” chiesi a Billy, che si stava specchiando nel vasto scaffale di vini; ne aveva un'esagerazione, ogni volta mi domandavo cosa ne facesse di tutte quelle bottiglie, dato che raramente qualcuno nel locale beveva vino.

“Niente di che... Ho semplicemente approvato una richiesta” mi rispose con il solito tono burbero. Billy era un quarantottenne dalla testa liscia e dalla corporatura robusta, la mia prima impressione fu negativa ma con il tempo mi abituai al suo carattere distaccato ma preciso.

Restai in silenzio e ripresi a bere la birra al limone finché alcune risate e rumori insoliti non disturbarono la mia quiete; quando mi voltai subii come una scossa che paralizzò il mio corpo.

Non volevo crederci: a pochi passi da me stava il ragazzo che avevo incontrato alla festa dell'amico di Anne. In quel momento ripensai alle parole della mia amica: non aveva tutti i torti, era proprio bello. Pur essendo giovane aveva un'altezza molto elevata e i suoi occhi grandi brillavano ad ogni sguardo, aveva un certo fascino da “uomo serio”.

I miei occhi erano praticamente fissi su di lui e ad un tratto anche i suoi mi incontrarono e sembrarono accendersi e con loro anche le sue labbra, che si allungarono in un brillante sorriso. Era un concentrato di luce pura.

Per un momento rimasi immobile poi, rendendomi conto di avere lo sguardo fisso, arrossii e mi girai di scatto, facendo finta di non essermi accorta di nulla.

Era la prima volta che provai un imbarazzo così concreto.

“Non ci credo...”

Non ebbi il tempo di collegare la voce alla persona che quella si piazzò davanti a me

e agitò la mano in segno di saluto.

“Che sorpresa vederti qui, Chris” lo canzonai; mi ero ricordata all'ultimo di averlo incontrato la prima volta proprio al bar Faults.

“Questo dovrei dirlo io... Non ti ho più vista in questo locale”

“Cosa credi? Ho da studiare! Non come te che gironzoli in giro per le strade a spacciare volantini”

Scoppiamo a ridere.

“Come stai? Anzi, no” prima devo dirti una cosa...”
“Non ci credo”

Una voce sconosciuta, e parecchio acuta, si sovrappose a noi e quando capii da dove provenisse sgranai gli occhi: proprio davanti a me stava “l'omone” del party in cui stetti così male che al solo pensiero tremo.

“William, non dirmi che conosci Allyson!” gli chiese stupito.

“Conoscere è una parola grossa... è rimasto in silenzio e con lo sguardo da 'sono il figo della situazione' per tutto il tempo!” risposi al biondo mentre il ragazzo che Chris chiamò William incrociò le braccia e sorrise compiaciuto.

“Ti ringrazio del complimento, ragazzina”

“Vedo che adesso parli un po' troppo” sottolineai per poi notare come la sua voce fosse diversa da come mi ero immaginata; era troppo alta e stridula per appartenere a un ragazzo grosso e altezzoso come lui.

“Comunque... perché voi due vi conoscete?” chiesi curiosa.

I due non ebbero il tempo di rispondermi poiché due mani si fecero spazio tra le loro spalle e un viso tondo apparve tra di loro.

“Che succede qui?”

Non riuscivo a crederci.

Il ragazzo della festa aveva a che fare con Chris e William? (che per qualche strana ragione avevo difficoltà a ricordarmi il suo nome).

“Com'è che adesso sei così esaltato?” gli chiese Woody con tono autoritario, come se avesse sempre avuto ragione.
“E come non potrei esserlo? Guarda quanta gente!” rispose lui allargando le braccia per indicare le persone sedute ai tavoli. Direi che furono più o meno una quindicina, non capivo cosa ci fosse di così straordinario.

“E poi mi diverto a osservare tutto quel disordine” sussurrò indicando un lato del locale in cui si trovavano tantissimi strumenti e cumuli di fili e cavi intrecciati tra loro.

Sgranai gli occhi e guardai Woody che intuendo i miei pensieri e la domanda che stavo per porgli annuì:
“Già... Posso dire di aver trovato qualcuno con cui condividere le mie “lezioni” in un modo molto più originale. ”

Non riuscivo a crederci...

“Aspetta! Se non sbaglio tu sei la ragazza del portachiavi!”

Quale onore sapere di essere stata riconosciuta per quel particolare banale: alla festa avevo portato un borsa sulla quale era attaccato un portachiavi a forma di gattino, regalatomi da mia madre molti anni prima, e il ragazzo si era avvicinato colpito dall'oggetto. Una breve conversazione su un misero portachiavi comprato ai mercatini estivi.

“Mi fa piacere rivederti!” concluse lui sorridendo.

“Che cosa folle...” Di colpo la voce di William distolse il mio sguardo fisso sul ragazzo e attirò l'attenzione di tutti. “Incredibile come questa ragazza...”
“Ho un nome sai?” ribattei io e lui, come risposta, sorrise.

“...abbia incontrato tutti i membri della band prima che si formasse.”
Spalancai bocca e occhi come stupita:
“Anche voi due siete nella band?”
William, dopo essersi passato una mano nei folti capelli, mostrò un sorriso fiero mentre l'altro ragazzo si limitava ad annuire.

“Che trio strampalato” non riuscii a trattenere una risata altezzosa puntata dagli sguardi curiosi dei tre.

“Veramente siamo in quattro” mi affermò Woody indicando il luogo che presto sarebbe diventato il loro palco. Socchiusi gli occhi per vedere meglio e mi accorsi della presenza di un altro ragazzo che era intento a trafficare tra pianole e percussioni.

“Ehi Capo!” lo chiamò il ragazzo della festa sbracciandosi e cercando di attirare l'attenzione mentre io rimasi colpita quando sentii la parola “capo”.

Quello si voltò di colpo e fece segno di abbassare il volume, come se la loro presenza fosse indesiderata.

“Wow... proprio autoritario” dissi a Woody che non riuscì a trattenere una risata.

“Fidati” mi disse quello che per me era “il ragazzo del party”, stranamente non ci eravamo ancora presentati. “Sa essere un buon oratore.” Si fermò di colpo colpendosi la fronte con uno schiaffo sonoro.

“Che sciocco non mi sono ancora presentato, ciao io sono Kyle!”

Era come se mi avesse letto nel pensiero! E quel particolare aumentò la mia simpatia nei suoi confronti.

“Piacere, sono la ragazza dal portachiavi carino, ma solitamente mi chiamano Allyson.”

Lui sorrise per poi fare un lieve e buffo inchino mentre Will e Chris scossero il capo come imbarazzati.

Scoppiai a ridere finché non mi accorsi della presenza di un ragazzo a pochi centimetri da me: mi voltai ritrovandolo di fronte e riconobbi quello nominato da Kyle come il loro “capo”. Lo fissai per qualche istante: perdersi nei suoi occhi cerulei, rimanere incantata dal suo fisico non troppo asciutto ma neanche troppo robusto, notare un sorriso timido e dolce... sarebbero saltate all'occhio queste cose se fossi stata una ragazza come Anne o Lucy. Invece la mia prima impressione fu...

“Che diavolo hai sulla testa?”

Le sue pupille si allargarono prese dallo stupore e poi il ragazzo si passò una mano in quelli che dovevano essere dei capelli: erano tutti scompigliati e puntavano verso il soffitto come se fossero stati colpiti da una scarica elettrica.

Kyle scoppiò a ridere mentre Woody e Will fecero delle buffe smorfie per trattenere i sorrisi e borbottii strani. In quel momento mi accorsi che i ragazzi si erano fatti meno seri e tesi.

“Cavolo... questa è la prima volta che una ragazza ti dice in faccia un parare sul tuo look!”

Ero intenta a rispondere finché non mi accorsi della presenza di Billy che invitò i quattro a raggiungere la zona dove ad attendere i ragazzi stavano strumenti musicali e vari microfoni.

Woody mi invitò a sedermi mentre Will si allontanò senza dire nulla a me e agli altri, Kyle invece mi fece l'occhiolino; per ultimo li raggiunse il ragazzo dai ciuffi ribelli che arrossì imbarazzato.

 

Mi sedetti in fondo e osservai attentamente il gruppo posizionarsi: non era la prima volta che assistevo a un'esibizione di una neo-band quindi non ero particolarmente sorpresa o esaltata.

Il ragazzo nuovo avvicinò timidamente il microfono all'altezza del viso e poi prese a soffiare impaziente e agitato.

“Ehm... Salve, noi siamo i...”

Si fermò un attimo e guardò gli altri come in cerca di aiuto ma loro non lo rassicurarono perché scossero il capo insicuri e titubanti; poi il leader riprese a parlare senza perdere la tremarella.

“Beh non abbiamo ancora un nome, però spero che questa esibizione vi piaccia e... Ok, forse è meglio cominciare senza troppi giri di parole”

Sentii qualche persona ridere, altri invece seguivano ogni movimento dell'aspirante artista e la cosa sembrò turbarlo; lo ammetto, in quel momento dubitai di loro.

Erano completamente diversi da Anne; lei discuteva senza problemi con il pubblico, se sbagliava ci scherzava su e si dimostrava sempre sicura e carica.

Forse era l'agitazione della prima esibizione, o forse non erano ancora pronti per cantare davanti a un pubblico così “numeroso”.

Il leader si spostò vicino a una tastiera sulla quale spiccava un nome: Dan Smith, proprio il tipico nome inglese. Quella era un'altra conferma che dimostrava quanto fosse un ragazzo normale.

Dan iniziò a pigiare con grazia i tasti della sua pianola mentre Will si esibiva con il basso e Woody prendeva il ritmo sui tamburi, in pochi secondi riconobbi subito “What is Love” di Haddaway. Kyle era posizionato altra piccola tastiera e rendeva la canzone più elettronica con i suoi “effetti speciali”. Era un sintetizzatore.

Rimasi come rapita, la voce di Dan era diventata improvvisamente profonda e pura.

Il gruppo propose numerose cover di canzoni recenti ma anche alcune abbastanza “anziane”.

Nonostante l'agitazione e il timore, i quattro suonarono in modo impeccabile e riuscirono ad intrattenere il pubblico. Woody si agitava come un matto e suonava all'impazzata, sembrava fiero della sua bravura e non aveva torti, era davvero bravo.

Will invece oscillava leggermente mentre suonava la chitarra mentre Kyle agitava le braccia a destra e a manca senza però perdere la concentrazione.

Dan invece mi aveva rapita con la sua voce: riusciva a raggiungere note alte e poi dava melodia e una forte caricatura al testo.

Alla fine non riuscii a non battere il piede e a muovermi a ritmo della loro musica.

 

 

 

 

Alla fine dell'esibizione mi avvicinai al gruppo e, dopo alcuni minuti di osservazione, mi feci notare e alzai in su il pollice come segno di apprezzamento poi d'istinto mi avvicinai a Dan.

“Sei proprio un vecchietto se proponi delle canzoni del genere”

Non dimenticherò mai la sua risposta:
“Sono un ragazzo dai gusti particolari”

Ora che ci penso fu la nostra vera prima e ufficiale conversazione; e già come inizio prometteva qualcosa di insolito.

“Non mi sembra una giustificazione... Comunque non è stato male, solo che dovresti essere meno teso, ti rovina la voce”

Gli dissi mentre sfiorai la mia gola per farlo intendere meglio. Lui mi guardò divertito per poi riassumere quell'espressione da cerbiatto perso e confuso...

Aspetta...

In quel momento un'immagine venne come proiettata nella mia mente, come quando al cinema riconosci una scena del trailer.

“Tu...” borbottai ma lui riuscì a sentirmi e mi guardò cercando di capire.

“Tu sei il ragazzo del Mc Donald's!” gli urlai puntandogli contro il dito che per poco non sfiorò il suo naso.

Will si voltò verso di noi e sorrise, compiaciuto della sua teoria del destino.

“Quindi ci ha incontrati tutti prima che diventassimo una band!” esclamò Woody con incredulità per poi sorridere “Forte!”

“Non è forte per niente” ribattei io e mi rivolsi nuovamente a Dan che aveva appena sistemato i cavi. “Sei rimasto in silenzio dopo che ti hanno fatto un brutto scherzo!”
“Di che stai parlando?” chiese lui, palesemente confuso.

“Qualche mese fa un gruppo di ragazzi ti ha preso in giro e tu invece di rimproverarli o di ribellarti sei rimasto fermo e muto!”
Dan passò una mano tra i capelli e iniziò a riflettere, poi ricordò, dapprima mi guardò stupito ma poi prese a parlare senza mostrare interesse né furia.

“Che senso aveva discutere con gente infantile ed egocentrica?” concluse, ma fece aumentare la mia rabbia.

“Come? La tua è stata solo codardia!”

Woody scosse il capo cosa che attirò l'attenzione di Will, che a quanto pare aveva appena cambiato opinione su di me dato che sembrava interessato alla mia parlantina, e di Kyle, che in quel momento non sapeva come agire.

“Perché te la prendi tanto?”
“Perché?” ripetei io a tono alto per poi calare in un silenzio imbarazzante “Perché... perché mi dà fastidio!”

“È nobile il tuo pensiero, ma sul serio non devi preoccuparti.”

“Ok ragazzi calmatevi, vi conoscete da poco e già discutete?” intervenne Will.

“Io sono tranquillissimo Will, è lei quella che ha iniziato a delirare” rispose Dan affilando quelle parole con la sua voce.

“Come prego? Delirare?!”

Ma aveva ragione, anche se non volevo ammetterlo; mi ero lasciata trasportare dalle emozioni e me l'ero presa ingiustamente con Dan, che però continuò a parlare.

“E comunque perché una cosa del genere dovrebbe crearti problemi? Dopo tutto ero io la vittima, non tu.”

“Non è affatto giusto prendersela con un ragazzo che sta facendo il suo lavoro!”
“Ti ho detto che a me non frega niente! Perché insisti?” quel momento Dan riacquistò la sua pacatezza e mi guardò con i suoi grandi occhi blu.
Fu allora che esplosi.

“Perché non è possibile che nessuno dica loro che possono da un momento all'altra essere frenati! Perché quello che fanno va sempre bene!”

Cavolo... è stato imbarazzante.

Ero appena caduta nella mia stessa trappola e mi guardai intorno confusa e spaventata. Mi sentii esposta e la cosa mi fece impazzire.

“Cioè... non lo meritavi! Stavi lavorando sodo e...” cercai di giustificarmi e di nascondere il mio palese imbarazzo.

Rimasi in silenzio mentre gli altri mi guardarono preoccupati. A interrompere quel attimo fu Billy che ci invitò a lasciare il locale essendo l'ora di chiusura; nessuno dei quattro mi disse neanche una parola da quel momento.

 

Mi allontanai dal gruppo e uscii dal bar e poco dopo vidi William allontanarsi dopo avermi mandato un cenno di saluto e Woody, che mi salutò da lontano, mettere i pezzi della batteria in macchina e partire dalla strada opposta alla mia.

Poco dopo mi raggiunse Kyle che si offrì di accompagnarmi a casa ma rifiutai cortesemente. Lui sorrise:
“Sono sicuro che andrò tutto bene... e che ci rincontreremo presto. Ciao Allyson, stammi bene e non preoccuparti.” mi diede un leggero colpetto sulla spalla e si allontanò nel mentre Dan era appena uscito.

Mi appoggiai al muro afflitta ed estrassi una sigaretta dal pacchetto che avevo in tasca; ormai fumavo da quella volta in cui Jason me le offrì, mi aiutava parecchio e ultimamente lo stress era così presente che quattro sigarette al giorno erano diventate abituali.

Dan mise le due tastiere nella sua macchina e mi guardò per qualche istante, poi si avvicinò. Non era timoroso né tanto meno impacciato e la cosa mi sorprese, in negativo.

“Allyson...”

Non mi ero mai accorta che il mio nome fosse così melodico, la voce di Dan rendeva tutto stranamente piacevole.

“Quella del Mc Donald's non è stata la prima volta che ci siamo visti”

Sgranai gli occhi stupita e, colta impreparata da quella frase, tossii via il fumo. Dan aprì la portiera e mi fissò per qualche secondo mentre una strana ansia ribolliva nelle mie vene: la mia testa cercò nei ricordi più vividi la figura di Dan ma non ebbi il tempo di riprodurre i pensieri che l'interessato concluse il discorso lasciandomi inquieta e in preda all'agitazione.

“È stato tempo prima. Piccolo indizio: avevi gli occhi lucidi”

Poi salì in macchina e partì, lasciandomi da sola in una via affollata, in uno stato di confusione e con una rabbia rovente che avrebbe incendiato un'intera città.

Non solo era codardo, ma anche l'unica persona ad avermi vista piangere, ad aver assistito al mio stato di debolezza.

La domanda che percosse la mia mente era soltanto una: quando era successo?

 

 

 

 

 

 

 

La Tana del Sogno
Salve!

Dopo varie disavventure sono riuscita ad aggiornare! Dato che sono fuori città mi sarà difficile pubblicare il prossimo capitolo presto, ma conto di pubblicarlo entro il fine settimana.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Gli ultimi paragrafi mi convincono poco, li ho riscritti tante volte ma alla fine ho deciso di “lasciarli così” (temporaneamente). Se qualcosa vi suona strano non siate timorosi! Ho bisogno di consigli e critiche per migliorare!

E così sono apparsi (finalmente) tutti i Bastille, anche se in verità loro ci sono sempre stati ^.^''

Spero di averli caratterizzati al meglio, anche se in realtà ho cercato di renderli più OOC dato che sono i primi incontri/prove e quindi me li sono immaginati più “tranquilli” rispetto a ora.

Il prossimo capitolo sarò molto particolare e risolverà alcuni dubbi (almeno, spero).

Ringrazio shiwriter e xtomx95 per aver recensito e dato consigli.

Ringrazio di cuore le persone che seguono questa storia, non pensavo fosse così seguita, grazie mille!

Cercherò di migliorarla ancora, perciò vi chiedo di commentare sinceramente e di esprimere i vostri pareri (positivi o negativi che siano)

Un fresco abbraccio, alla prossima

Yume

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


D A IV I E L 
 

 

 

Non balbettare, non balbettare, non balbettare...

Salve... ehm, sono Dan Smith”

Ecco, l'ho fatto.

2002

 

Si dice che l'adolescenza sia il periodo più intenso e meraviglioso dell'intera vita: un immenso oceano di emozioni in cui immergersi, un cielo pieno di idee su cui planare, una terra sconosciuta da scoprire.

Scoperte... direi che questa sia la parola giusta per indicare quegli anni in cui ero solo un ragazzino di a malapena sedici anni, robusto e goffo.

Le persone a questa età pensano a divertirsi, a godersi la vita e a trovare l'amore senza conoscerlo in profondo... eppure io non mi sono mai sentito come gli altri; la mia era una ricerca diversa, più intima e personale.

Naturalmente anche io avevo i miei svaghi e amici stretti con cui condividevo giornate incredibili ed eventi memorabili. E, come tutti i miei coetanei, avevo un segreto... Un segreto che mai avrei rivelato.

O almeno così credevo.

“Daniel!”

Mia madre entrò in camera all'improvviso, costringendomi a bloccare di scatto lo schermo del computer, gesto che non avrei dovuto fare poiché colpii con il gomito la pila di fogli accanto a me, spargendo i suoi mattoni di carta per tutta la stanza.

“Di nuovo al computer? Ti fa male alla salute!” mi rimproverò lei chinandosi per raccogliere alcune bozze ma io mi alzai di scatto - o meglio dire, mi scaraventai dalla sedia - per sottrarglieli ed evitare che leggesse il loro contenuto: conoscendo la curiosità e la preoccupazione di mia madre non avrebbe esitato a dare un'occhiata a quei fogli stropicciati e riempiti da innumerevoli scritte e disegni.

“Potresti uscire con gli amici o studiare un po'! Non è normale che un ragazzo della tua età si isoli in casa a non fare nulla”

Nulla... Era questo che pensavano delle mie attività. Mi dava parecchio fastidio ma dentro di me sapevo che non avrei potuto fare altro che sopportare e tenere segreto il mio progetto.
“Veramente tengo calda la sedia, può andare bene come attività?” risposi, sperando che non chiedesse nulla riguardo ai fogli.
“Il tuo pessimo sarcasmo non mi tocca Daniel! Vedi di fare qualcosa di utile entro pochi minuti o non rivedrai il tuo computer per molto tempo!” concluse lei lasciando la stanza.

Appesantito dalle minacce di mia madre, abbandonai le forze e lasciai che la forza di gravità mi portasse a contatto con la morbida coperta rossa del letto, il migliore amico degli studenti adolescenti; immersi il mio volto nel cuscino e borbottai frasi assurde ma che non raggiunsero un suono comprensibile poiché l'oggetto morbido le bloccava non appena prendevano il volo dalla mia bocca.

Pochi minuti più tardi, mi ritrovai con lo sguardo rivolto verso il soffitto, in particolare mi concentrai su quelle ragnatele che, da qualche settimana, decoravano la mia stanza e mi facevano compagnia: erano particolarmente grandi, composte da numerosi intrecci che ricordavano sia forme geometriche che astratte.

Ho sempre avuto paura dei ragni, ma non posso non apprezzare la loro capacità artistica: scelgono con cura il posto adatto per costruire la loro casa, un insieme di fili argentati e di impegno, per poi poter vivere serenamente, fieri della loro opera che ogni creatura può ammirare.

Mi ero perso in questa riflessione in quel freddo pomeriggio, concentrandomi sul progetto che stavo portando avanti da molto, molto tempo.

In quei fogli non vi erano semplici appunti né parole messe a caso: era un gruppo di frasi che formavano un testo e ad accompagnarlo v'erano alcune note e suoni “silenziosi” non ancora definiti.

Stavo scrivendo una canzone, o meglio, stavo improvvisando alcune note sfruttando i miei pensieri e le mie considerazioni di quel periodo. Ero molto motivato, volevo impegnarmi con tutto me stesso per realizzare quella “canzone”.

Perché? Non so dare una risposta.

Ho sentito nella testa una melodia, ho approfondito una tematica maturata nella mia mente e da questa sono nate parole e significati che impulsivamente avevo trascritto su carta.

In quei mesi restavo chiuso in camera a scrivere e a comporre, anche se a dir la verità il risultato era abbastanza scadente, dato che sapevo suonare soltanto il pianoforte.

Molti si chiedevano cosa facessi in quella stanza, accusandomi di essermi isolato, lontano dal mondo e dalle sue distrazioni. Ma non ero un eremita, avevo anche io le mie debolezze, e i miei amici sapevano farle emergere al meglio, infatti in quel pomeriggio mi contattarono per darmi una notizia interessante.

“Mi stai prendendo in giro?”.

“E perché dovrei? So del tuo folle amore per Lynch e, dato che non ci vediamo da molto tempo e che avevo voglia di vedere film alternativi, ho pensato di coinvolgerti. Ci stai?”.

Volsi lo sguardo verso la locandina di Mulholland Drive, il film che aveva dato inizio a quella folle ossessione per il cinema e per l'horror, il primo film significativo che non si può scordare.
“Dieci minuti e sono da te!”

Sì. Stavo sorridendo come un bambino idiota: ma, cavolo, parlavamo di una maratona dei film Lynch, cos'altro avrei potuto desiderare?

E poi mia madre mi avrebbe lasciato andare di sicuro, data la mia scarsa voglia di uscire nell'ultimo periodo.

E così, in circa una mezz'oretta, raggiunsi la casa che presto sarebbe diventata il nostro cinema personale, con tanto di popcorn e poltrone scomode.

 

 

 

Spero che queste canzoni vi piacciono,

non so che altro dire, sono un tipo noioso...

ok, sto zitto”

Ma quanto sono cretino...



2007

 

“Signore e signori, ecco a voi il signor Daniel Campbell Smith pronto per una delle sue epiche figure di merda!”

Mi voltai verso i miei compagni e cercai di socchiudere gli occhi nel modo più malvagio possibile ma il risultato fu solo una buffa smorfia che aumentò il volume delle loro risate, credo che sia stato centro di attenzione dell'intero campus.

Cercai di non pensare a eventuali distrazioni, presi fiato e mi avvicinai a un gruppo di ragazze impegnate a ripassare vari argomenti, probabilmente per l'esame imminente; in pochi secondi divenni il soggetto di quegli occhi luminosi e curiosi, mi sentivo come un tordo che cercava di sfuggire ai cacciatori.

“Ciao” dissi con voce piatta. Nuovamente gli occhi delle giovani mi scrutarono da cima a fondo, la cosa mi dava parecchio fastidio e l'imbarazzo era riuscito a tingermi le guance di una lieve sfumatura rosa risaltata dalla mia carnagione pallida; e pensare che avevo origini sudafricane, la cosa era alquanto comica ed era solita essere soggetto delle battute dei miei compagni.
“Se inizi così non riuscirai a rimorchiare nessuna di noi, carino” disse quella appoggiata all'albero, aveva un forte accento irlandese.

“Veramente ho altre intenzioni, sono venuto per restituire un libro a Rachel” risposi pacatamente avvicinandomi timidamente a una giovane bionda, sdraiata su una coperta, che appena sentì pronunciare il suo nome alzò lo sguardo, dello stesso colore del filo d'erba che stava intrecciando, verso di me. Rachel era la mia compagna di corso, una ragazza sicura di sé, vivace... e bella. Dannatamente bella.

I miei tentativi goffi di flirtare con lei erano stati vani ma, per un buffo scherzo del destino, quel pomeriggio mi ero ritrovato il suo libro nello zaino. E ovviamente i miei amici mi spronarono a cogliere l'occasione, soprattutto Ralph, la mia “spalla” personale.

Porsi il prezioso libro pieno di appunti e foglietti di carta all'interessata che si alzò:
“Grazie Daniel” disse facendo un cenno con il capo. Poi, per mostrarsi gentile, iniziò a conversare con me “A che punto sei con il programma?”

“Direi piuttosto bene, dato che adoro questi autori” risposi sorridendo.

“Davvero? Per esempio?”.

“Blake e Wordsworth li ho studiati con piacere”.

“Sono autori che non ricevono abbastanza meriti a mio parere, non credevo fossero il tuo genere!” mi disse lei sincera.

“Perché? Che genere mi associ?” le chiesi, curioso di scoprire cosa pensasse di me.

Lei abbassò lo sguardo, per la prima volta la vidi in imbarazzo eppure, maledizione, era carina anche con quell'espressione impacciata.

“Gotico... qualcosa di più sovrannaturale” rispose infine lei.

“Beh, credo che potrei stupirti” le sussurrai.

Scoppiò a ridere e strinse forte il libro. Eccola lì, la meravigliosa bellezza di Rachel.

“Potresti farlo domani pomeriggio. Che ne dici di un ripasso e di un caffè?” mi propose mentre si portò dietro all'orecchio una ciocca bionda.

“Certo, mi farebbe molto piacere” Non riuscivo ancora a credere alle mie parole, anzi, alle sue parole!

Mi allontanai ancora sconvolto mentre udii la risatina acuta da parte del gruppo di ragazze, mi voltai per un istante e Rachel mi salutò con un delicato movimento della mano.

Sorrisi e raggiunsi il mio gruppo di amici e, non appena seppero del mio “appuntamento”, per un istante rimasero in silenzio, poi si alzarono e si congratularono con me.

Ralph appoggiò una mano sulla mia spalla e mi arruffò i capelli con l'altra.

“Te lo avevo detto... Wordsworth e Blake non deludono mai se si tratta di donne! Potresti recitarle un sonetto di Shakespeare, cadrebbe subito ai tuoi piedi!”.

“Morire, dormire. Dormire, forse sognare.

Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire

dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere”.

“Bravo, così la fai scappare!” mi diede un leggero pugno sul petto e poi sorrise. “Anzi, perché non le fai leggere direttamente quello che scrivi?”.

“Cosa?!” sgranai gli occhi spaventato. “Come fai a sapere...”.
“Mi prendi per stupido? Sono un compositore anche io Dan, riconosco perfettamente chi scrive canzoni” alzò lievemente il capo, come se volesse dimostrare la sua superiorità. Dopo una lunga pausa però mi sussurrò “E poi dal bagno si sente quando suoni il pianoforte, sai?”
.

I miei pensieri rimasero immobili così come le mie labbra, in quel momento non sapevo cosa dire. Certo, non avrei potuto nasconderlo per sempre ma mai avrei pensato che qualcuno si interessasse a quello che facevo.

Solitamente, quando componevo canzoni, le persone non facevano caso ai miei suoni né mi domandavano se fosse una mia creazione. Vi era un sorta di menefreghismo, o almeno così credevo.

“A proposito delle tue canzoni” Mi voltai verso il mio coinquilino, Stephen se non ricordo male, e per la prima volta vidi nel suo volto una serietà spaventosa.

“Ecco, ho trovato le tue canzoni interessanti e quindi... Ti ho iscritto al Bright Young Things”.

Tre parole.

Furono quelle tre parole a fermare il tempo, soffocare i suoni, oscurare le immagini attorno a me.

Per pochi secondi restai come immerso in acqua: senza pensieri, parole né respiri.

Lo stupore modellò il mio volto mentre il mio cuore si esibì in un “assolo” di battiti e pulsazioni così intensi da raggiungere le mani e i piedi.

“Dan?” chiese Stephen e dal suo sguardo capii che non si aspettava questa mia reazione. Riacquistai il controllo del mio corpo e del mondo circostante.

“Quando mi hai iscritto? E quando si sapranno i risultati?” chiesi calmo, senza mostrare alcuna agitazione.

“Il vincitore è stato annunciato ieri. Non so come dirtelo...” abbassò il tono della voce.

Sospirai e scoppiai a ridere. Credo di non aver mai sperato di poterlo vincere, quel concorso; le mie canzoni non erano niente di speciale né tanto meno potevano essere considerate una novità, non sarebbero mai piaciute ad una giuria o ad un pubblico.

“A questo punto posso tranquillizzarmi! Potevate tenerlo segreto, non sarebbe cambiato nulla! Mi avete fatto prendere un colpo! Non provate mai più a fare una cosa del genere altrimenti io potrei...”

“No Dan, sto cercando di dirti che... hai vinto”.

“Eh?!”.

Ralph sgranò gli occhi e pochi secondi dopo si buttò sulle mie spalle: “Congratulazioni Smith! Ma guarda te, il ragazzo più pessimista che io conosca ha vinto il Bright Young Things!”.

Il mondo sembrò diventare meraviglioso, lo stesso mondo che pochi istanti prima mi parve rallentare; mentirei se dicessi che non provai gioia, anzi, per la prima volta nella mia tranquilla e breve vita capii l'importanza della parola “orgoglio” e che il mio non era un semplice passatempo.

Io avevo vinto.

Le mie canzoni e la mia passione avevano vinto.

“Assurdo... Assurdo”.

 


 

 

 

Mi stanno guardando tutti... forse sono troppo rigido?

O forse ho stonato?

Gli altri sono così tranquilli... Come fanno? No, devo restare concentrato.

Dan, fallo per loro.

 

 

2010

Era stato un pomeriggio molto interessante: mi ero letteralmente immerso tra i libri sparsi sul mio letto, il mio santuario che non vedevo -e su cui non restavo comodamente sdraiato- da parecchio tempo, e appunti di film che avevo visto negli ultimi tempi... e ovviamente era scattata l'ispirazione.

Volevo scrivere qualcosa che si distaccasse dallo stereotipo di cantante e durante questo pensiero un suono prese forma nella mia mente e mi spinse a battere le mani e a scuotere il capo, come per seguirlo, lasciarmi trasportare da quello che era partito come una nota e si era trasformata in melodia.

In quel momento avevo solo un obiettivo: dar vita a quella melodia.

Accesi la tastiera e presi un foglio pentagrammato, ero pronto per comporre. Era da molto tempo che non mi concentravo in quel modo: da quando avevo vinto il Leeds' Bright Young Things la mia vita era cambiata, in pochi mesi mi ritrovai su vari palchi, davanti a una folla di persone e la cosa mi aveva particolarmente traumatizzato.

Avevo scritto tante altre canzoni, “Alchemy” e “Words are words” erano quelle che mi erano riuscite meglio, ne andavo molto orgoglioso ma non era bastato l'amore per i miei testi a farmi restare calmo durante le esibizioni.

Eppure sentivo l'impulso di andare avanti, di scrivere. Ma alle mie parole e alla mia semplice melodia mancava qualcosa. C'era un vuoto dentro me e non riuscivo a colmarlo.

“Mi piace questa frase, meglio segnarla...”.

“Dan!” la voce di mia sorella irruppe nei miei timpani, lasciandomi paralizzato per qualche secondo. “È da un po' che ti chiamo! Sono stufa dei tuoi decolli verso il tuo mondo mentale!” continuò e agitò le mani come se stesse per spiccare il volo.

“Signori passeggeri, è il capitano Dan che vi parla, il volo verso il mondo mentale è stato interrotto a causa di una perturbazione brutta, criticona, rompiscatole,...”

Io e mia sorella eravamo molto uniti, persino negli insulti si percepiva il nostro affetto reciproco.

“Smettila di fare lo stupido. C'è Ralph di sotto che ti sta aspettando, sbrigati e raggiungilo!”

“Digli che tra due minuti l'aereo atterra!”
“Come faccia quel povero ragazzo a sopportarti è proprio un mistero!” concluse prima di allontanarsi verso camera sua.

Avevo un appuntamento importante con Ralph quel pomeriggio: mi aveva proposto di incontrare un suo conoscente, esperto nel campo musicale. Dato che era da parecchio che non vedevo Ralph e in quei giorni non avevo programmi in mente, accettai il suo invito convinto che avrebbe portato qualcosa di utile nel mio obiettivo.

Uscimmo di casa senza fretta, era una bella giornata e volevamo godercela al meglio: vi era una fresca brezza, piacevole da respirare, che aveva disposto le nuvole in modo ordinato per rendere più regale l'ingresso del sole, protagonista di un gioco di raggi luminosi che si concentravano principalmente sulla London Eye, l'occhio che riusciva a vedere ogni cosa, bella o brutta che fosse, di Londra.

“A proposito, hai trovato lavoro alla fine?” mi chiese Ralph ad un tratto. Giorni prima lo avevo avvisato che avrei cercato un lavoro part-time per guadagnare abbastanza soldi da permettermi una tastiera nuova.

“Sì, dal McDonald's in pieno centro. La paga è buona ma il berretto è veramente scomodo, mi sento ridicolo”
Ralph provò a immaginarmi con il grembiule e il cappello con il logo del fast food (e quindi ai miei folti capelli nascosti dentro a un cappello) risultato? Una rumorosa e lunga risata che attirò l'attenzione dei passanti.

Chiacchierammo parecchio durante la nostra passeggiata, il tempo passò in fretta; raggiungemmo un grande palazzo, sede di numerose aziende e uffici. La cosa che mi colpì di più furono le finestre decorate con cornici e il colore pietra che rendeva l'edificio maestoso, ovviamente anche la sua elevata altezza faceva bella figura.

“Ralph, sei sicuro che non disturbiamo?” Avevo una certa abitudine ad agitarmi poco prima di un incontro o di iniziare qualcosa di importante, ma ormai Ralph sapeva bene come tranquillizzarmi.
“Non essere nervoso, Mark è un amico e sono sicuro che lo troverai interessante"
.

“Se lo dici tu”.

Entrammo nell'imponente edificio e fummo accolti da una segretaria che cortesemente ci indicò la via per raggiungere il piano interessato, che per nostra fortuna non era uno degli ultimi, non credo che sarei riuscito a fare tutte quelle scale. Non ero mai stato in un edificio così spazioso e alto, ammetto che ero molto emozionato.
“Quindi... hai deciso di continuare?”.

“Che intendi dire?” Quella domanda improvvisa mi turbò non poco. Non capivo a cosa si stesse riferendo Ralph.
“Quando sono entrato in camera tua...” si fermò sul pianerottolo e si voltò per farsi capire meglio.
“Sei entrato in camera mia?!” lo interruppi, stupito di non essermi accorto della sua presenza.

“Non te ne sei accorto, eri entrato in trance e stavi borbottando qualche frase, deduco quindi che tu voglia continuare a suonare”.

Non ho mai capito come diavolo facesse Ralph a leggere nella mia mente... sembrava che i miei pensieri sporgessero dalla mia fronte, come in un altorilievo, da quanto erano facilmente percettibili.
“A dir la verità, sento un forte desiderio di comporre musica però non voglio farlo da solista. Voglio... formare una band”
.

“Sul serio? Come mai questa decisione?”.

“Ho in mente qualcosa di grande, Ralph. E per riuscire al meglio nell'intento ho bisogno di un gruppo”.

A Ralph potevo raccontare tutto, dalle cose più banali ai discorsi più intimi e profondi, era e rimane tuttora una persona fantastica su cui contare sempre. Credo di essergli davvero grato per l'appoggio che mi ha dato in quei giorni.

Nuovamente sembrò riuscire a tradurre le mie espressioni perché sorrise dolcemente, come un fratello maggiore fa con il fratellino che ha appena imparato una nuova parola.

“Ti vedo determinato, mi fa molto piacer...” Ralph venne interrotto bruscamente poiché venne travolto da una ragazza che stava correndo per le scale: mai vista tanta velocità nel percorrere gradini così alti.

Quando mi passò accanto mi accorsi che aveva una scia lucente che le ricalcava la guancia mentre il capo era inclinato verso il basso, chiaro segno di pianto. Ma per quale motivo?

In pochi istanti mi accorsi che era una ragazza molto giovane, forse troppo giovane per far parte di una compagnia del genere. Allora perché era lì? Non so perché mi concentrai tanto su quella sconosciuta, ma tutte quelle domande che la circondavano suscitarono in me il desiderio di volerla conoscere.

“L'educazione è diventato un'opinione a quanto pare. Che tipo” sbuffò Ralph tenendo lo sguardo fisso sulla ragazza che raggiunse la rampa successiva. Poi si accorse della mia messa a fuoco sulla ragazza in fuga e cercò di capire la situazione: “Dan? Che ti prende?”.

Scossi il capo, come se mi fossi svegliato da un sogno, anzi, come se avessi distolto lo sguardo durante la visione di un film interessante.

“Niente”.

 

Dopo un'ultima rampa di scale riuscimmo a raggiungere il fatidico piano: era pieno di gente che correva da una stanza all'altra, mi sembrava di essere finito in un alveare.

Ralph si guardò intorno e riconobbe una persona, probabilmente il famoso Mark Crew di cui mi parlava in continuazione.

La barba folta gli dava un'espressione da duro ma i suoi occhi sembravano dire tutt'altro, pensate che mi ero addirittura calmato quando le sue iridi si concentrarono su di me.
“Sei Dan Smith, l'autore di Alchemy?”
.

Arrossii, incredulo che qualcuno si ricordasse di quella canzone, anzi, che qualcuno sapesse chi fossi grazie ad una mia creazione.

“Vorrei farti i miei complimenti. Mi è piaciuta molto sin dal primo ascolto, sei riuscito a creare una perfetta “alchimia” di temi e di suoni. E il testo è proprio originale”.
“T-ti ringrazio” borbottai. Non ero abituato a sentire commenti sulle mie canzoni e la cosa era molto piacevole e allo stesso tempo terribilmente assurda.

Iniziammo una lunga conversazione, almeno a me parve non finire mai; Mark si era dimostrata una persona attenta e precisa, ma anche molto ironica e aveva gusti musicali molto simili ai miei.

“Se hai intenzione di continuare questa strada sarei felicissimo di aiutarti. Sono un produttore alle prime armi certo, però porto sempre a termine i miei progetti e i miei obiettivi e me la cavo con la tastiera.”

“Senz'altro. Sarà un piacere lavorare con te Mark!”
Ero rimasto colpito ed ero entusiasta di aver trovato un collaboratore. Il desiderio di formare una band era diventato qualcosa di raggiungibile... e presto sarebbe diventato inevitabile.

Ritornai a casa distrutto ma con una meravigliosa sensazione nel cuore. L'ingresso di mia madre però mi costrinse a rimandare i bei pensieri ad un altro momento.

Si avvicinò agitando un foglio e me lo porse:
“Guarda un po' cosa ho trovato nella cassetta della posta! Potrebbe servirti.”
“Grazie, mi mancava giusto un volantino alla mia collezione di fogli che tu ritieni inutili, cos'è? Sei passata al lato oscuro?” la schernii ma mia madre rimase impassibile: il mio senso dell'humour aveva toccato livelli bassi.

Lessi attentamente il contenuto e rimasi stupito, poi guardai mia madre che iniziò a parlare:

“Potresti imparare a suonare la batteria, così potrai sperimentare nuovi suoni per le tue canzoni”.

Per qualche arcano motivo, quando la mia famiglia “scoprì” della mia attività di cantante amatoriale non si stupì né si oppose, anzi furono molto entusiasti, soprattutto mia sorella.

“Mamma non credo di essere portato per la batteria e poi non posso chiamare uno sconosciuto così all'improvviso e...” non ebbi il tempo di finire la frase che lei aveva già digitato il numero e aveva portato il telefono all'orecchio:

“Salve, lei è il signor Wood? Vorrei prendere appuntamento...”.

“O mio... Che stai facendo?” Le urlai prendendole il telefono e lei, dopo essersi abbassata gli occhiali, mi dedicò uno dei suoi sguardi vittoriosi che facevano gelare il sangue. Sbuffai sconfitto e avvicinai il telefono all'orecchio.

“Pronto?”.
“Perdona l'impulsività di mia madre.” presi fiato, la conversazione era partita nei peggiori dei modi, perciò continuai con una semplice presentazione “Comunque piacere, sono Daniel”.
“Ciao, sono Chris. Vuoi prenotare una lezione? Dimmi dove e quando così ci possiamo mettere d'accordo” sembrava molto esaltato, come se fossi il suo primo cliente.

“Da quanto tempo suoni la batteria, se posso chiedere?”.

“Da tanti anni, non sono all'altezza di John Bonham ma posso confermare che me la cavo piuttosto bene e conto di migliorare sempre più...” Bastarono quelle parole a far scattare qualcosa; quell'ambizione, quella fiducia nelle proprie capacità erano quello che stavo cercando.

Senza rendermene conto e senza lasciarlo finire di parlare gli chiesi, quasi sfacciatamente:

“Vuoi entrare nella mia band?”.

Il resto della conversazione fu totalmente assurdo, quando mia madre mi chiese com'era andata con lo “sconosciuto” le risposi sorridendo: “Non è più uno sconosciuto. È il mio batterista”.

 

 

 

Di solito prendevo le cose con calma e riflettevo bene prima di buttarmi in qualcosa, ma non quella volta.

Io e Chris, che preferì farsi chiamare Woody, ci esibimmo poco tempo dopo esserci incontrati, in uno dei bar che organizzava volentieri le esibizioni delle band locali, anche se la serata mi è costata ben la paga di due giorni di lavoro è stata molto gratificante e produttiva. Come supponevo (e speravo) era nata una perfetta sintonia tra noi due, non mi ero mai trovato così bene a suonare con qualcuno.

E anche il pubblico se ne rese conto: Woody era fenomenale ad ogni brano che suonammo, per una volta mi sentii in grado di affrontare qualsiasi evento o situazione.

Dopo la nostra esibizione ci prendemmo da bere e ci lasciammo trasportare dall'atmosfera del locale. Ad un tratto mi accorsi di una ragazza, una mia vecchia conoscenza e cara amica:

“Lucy” L'interessata si voltò e appena mi riconobbe mi venne incontro e mi abbracciò.

“Dan come stai? È da tanto che non ci vediamo!”.

“Troppo tempo”.

“Avevo ragione allora, il cantante eri tu! Ti ho riconosciuto subito”.
“Davvero? Perché sono alto e irresistibile?” Alzai il mento come per vantarmi e lei scoppiò a ridere.
“Che scemo! Soltanto Dan Smith poteva restare rigido come una corteccia! Comunque siete stati proprio bravi!”
.

“Non prendermi in giro!”.

In quel momento si avvicinarono a Lucy due persone e lei, da brava amica qual era, li presentò:

“Loro sono Elizabeth, una mia compagna di liceo, e William, un suo amico. Ragazzi questo è Daniel Smith, il ragazzo di cui vi ho parlato poco fa.”.
“Siete stati bravissimi!” mi disse Elizabeth.

“Sì, non siete niente male, lo confesso” borbottò il ragazzo, non capii se fosse serio o rimasto veramente colpito dalla nostra musica. Aveva un'aria misteriosa, all'apparenza parve una persona seria e dall'aspetto fisico sembrava il classico burlone che faceva a botte per divertimento.
“Ti ringrazio, anche se abbiamo ancora tanta strada sono sicuro che faremo progressi!”
.

Lucy ed Elizabeth, vedendoci attenti nelle nostre conversazioni, si allontanarono per prendersi da bere.
“Le hai scelte tu le cover da eseguire?” mi chiese William curioso e rimasi sorpreso da quella domanda.
“Sia io che il mio compagno” dissi indicando Woody che si avvicinò sentendosi tirato in causa.

“Abbiamo cercato di comprendere tutti i generi” continuai e Woody annuii.

“Beh, non ho sentito nulla di jazz” mi confessò per poi esplodere in un sorriso.
“Personalmente il jazz non mi piace” gli disse Woody scatenando una strana reazione da parte del ragazzo.

“Nemmeno a me per questo non abbiamo suonato nulla di simile... perché a te piace?” gli chiesi.
“No... certo che no!” disse abbassando lo sguardo per poi proseguire “Comunque se aveste degli archi e qualche chitarra secondo me otterreste un grande successo”.
“Sembri molto preparato... Per caso sai suonare qualcosa?”
.

Woody mi guardò perplesso, temendo che fossi pronto per una nuova azione impulsiva. E William mi provocò per bene:
“Beh, me la cavo al basso e alla chitarra ma...”

Mi bastò sentire il nome dei due strumenti per farmi avvicinare a William con occhi lucenti:
“Vorresti entrare nella mia band?”
.

William sgranò gli occhi, borbottò qualcosa tra sé e sé e poi mi fissò:
“Ma sì. Contate su di me”
.

Quello è stato il reclutamento più rapido di tutta la storia, credo. A ripensarlo, non riesco a non trattenere una risata.

 

 

 


Eravamo molto esaltati: Will si era adattato in pochissimo tempo, anzi, notavo che suonava il basso con una naturalezza che mi resero ancora più orgoglioso di averlo preso nel gruppo.

Il tempo volava ma i progressi non si vedevano per il semplice fatto che in tre era difficile lavorare al meglio, avevo bisogno di altri membri. Ma ogni volta che provavo a chiedere ad amici e ad amici di amici di conoscenti l'unica risposta che ricevevo era un durissimo “no”, per il semplice fatto che ci scambiavano per dei ragazzini che si divertivano a giocare ai musicisti.

Non si rendevano conto che per noi non era un gioco, e con il tempo mi resi conto che anche per Will e per Woody era la stessa cosa: la formazione della band divenne un obiettivo di importanza vitale.

E così mi ritrovai all'ennesima festa di amici sperando di reclutare qualcuno, mi sentivo come un lupo che scrutava attentamente tra le prede per scegliere quella più tenera e gustosa.

“Dan smettila di fissare la gente! Metti paura” ansimò Ralph dandomi uno strattone.

“Ralph non hai capito che sono qui per cacciare! Devo essere inflessibile e attento”.

Avevo bevuto un bicchiere di troppo quella sera... No, sarò sincero con voi. Avevo bevuto qualche bottiglia di troppo, ma non ero ubriaco... non tanto almeno.

“Devo reclutare gente per la mia band!” urlai ad un certo punto.
“Non mi sembra il luogo né la situazione adatta, sai? Non puoi chiedere a gente estranea di...”
“Ti piacerebbe entrare nella mia band?” chiesi a due ragazzi, i loro volti mi avevano ispirato peccato che la cosa non fu reciproca perché mi mandarono a farmi fottere per poi riprendere le loro attività stupide, ovvero picchiarsi davanti alle ragazze e versare i bicchieri per terra per fare un po' di scena.

“Senti Dan, facciamo così. Ti siedi qui e mi aspetti.” Ralph mi fece accomodare vicino a un tavolo pieno di patatine, bicchieri mezzi vuoti e pieni di fazzoletti sporchi. Istintivamente gli chiesi molto esaltato:

“Stai andando a cercarmi i membri per la band?”.
“Sì, Dan. Quando tornerò avrò un sacco di numeri di gente che vorrà entrare nella tua band. Vado a prendere le chiavi della macchina”
.

E vidi Ralph sparire tra la folla che si era messa a ballare sulle note di una canzone molto pop, non ricordo quale fosse, forse Lady Gaga o Madonna.

Mi appoggiai sullo schienale del divano e mi guardai intorno fino a quando non vidi una ragazza simile a quella che si scontrò con Ralph.

Strizzai gli occhi cercando di capire se fosse lei finché sentii una mano cingermi la spalla, quando mi voltai vidi il volto di un giovane ragazzo dai folti baffi e dalla barba vaporosa.

“Quella ragazza è troppo simpatica! Sai, ha un portachiavi troppo carino, a forma di gatto”

“Ti piace quella ragazza per via del suo portachiavi? Sei strano, amico”.
“No, tu sei quello strano perché ti ho visto guardare le persone con una faccia assurda!”
.

Scoppiammo a ridere e in quel preciso istante misero sul tavolo una decina di bottiglie di birre e noi, da bravi uomini qual eravamo, ne approfittammo. Dopo il brindisi iniziammo a “sorseggiare” un'abbondante quantità di birra per poi discutere e conoscerci meglio.

Ricordo poche cose di quella conversazione: avevamo studiato entrambi all'Università di Leeds eppure non ci eravamo mai incontrati, era un fanatico di gatti ed entrambi eravamo talmente esaltati che ci mettemmo a intonare canzoni senza senso.

C'è una parte che però ricordo con certezza. Beh, un dialogo così non si può scordare...

“Aspetta... Ricominciamo: io sono Dan Smith. Vuoi entrare nella mia band?”.

“Ciao, sono Kyle Simmons. Sì, voglio entrare nella tua band”.
Inizialmente rimasi con la bocca spalancata poi scoppiai a ridere e lo riempii di abbracci e di inchini.

“Aspetta, aspetta! Dammi il tuo numero così ci sentiamo! Riesci a dettare il tuo numero?”
“Senti, sarò brillo ma non sono ubriaco! Allora...” Rimase in silenzio e poco dopo mi disse che non si ricordava il numero così dovette prendere il telefono; dopo varie peripezie riuscimmo a scambiarci i numeri.

Poi ci furono le risate, le danze... e il buio più totale, almeno fino al giorno dopo.

Mi svegliai con un tremendo dolore alla testa e mi ricordai che Ralph mi aveva riportato a casa e buttato, letteralmente, sul letto.

“Ieri ho alzato troppo il gomito... anzi entrambi i gomiti” borbottai prima di lasciarmi cadere nuovamente sul materasso.

Presi il telefono per controllare l'ora: erano le due del pomeriggio. Mi massaggiai la testa cercando di ricordare qualcosa di quella serata; sentivo che era successa una cosa importante. Quando guardai fuori dalla finestra mi accorsi di un gatto che attraversava la strada, in un istante mi ricordai di Kyle e della nostra conversazione.

Cercai il suo numero in rubrica e quando vidi tra i contatti “Kyle dal baffo lungo” scoppiai a ridere, ripensando a quanto fossimo ubriachi.

Digitai il suo numero e restai in attesa, con la speranza che si fosse ricordato di me.

“Okay -Dan dal gomito facile- ” quel soprannome mi aveva infastidito parecchio “mi ricordo poco e niente, perciò rinfrescami la memoria.”
“Ti ricordi per caso la storia della band?” gli chiesi fiducioso.
“Sì! Quella me la ricordo” Sorrisi e feci per rispondergli ma lui mi anticipò “molto divertente come battuta”

Rimasi in silenzio e in preda alla confusione:
“Guarda che io ero serio. Voglio che tu sia il quarto membro”
.

“Come?! Scherzi?!”.
“No, Kyle entra nella mia band ti prego!”.

“NO! Non sai nemmeno cosa suono né se suono bene”.
“Scommetto su di te!”
.

Non vi sto a raccontare tutti i tentativi per convincere Kyle ad entrare nel gruppo, sono troppi e superflui, impiegherei dei giorni. Volevo solo citarvi questo episodio perché... mi fa sorridere sempre.

E ammettiamolo, è la cosa più assurda che possa capitare!


"Grazie a tutti per essere venuti,
spero abbiate passato una splendida serata!"
È andata

 

 

Quella sera le strade erano deserte, persino le zone vicino ai locali erano state accolte da un'insolita pace, quasi mistica. Eravamo soltanto io e la notte.

Ho sempre adorato viaggiare in tarda serata, sia a piedi che in macchina, non capisco perché l'essere umano tende ad averne paura... No, mi correggo: credo che si temano le persone che manipolano la notte più della notte stessa.

Raggiunsi il mio appartamento verso le undici e la prima cosa che feci fu sedermi sul divano e togliermi le scarpe. Ralph non era ancora tornato per via dei suoi impegni come membro dei “To Kill A King”, in quel periodo lo vedevo raramente, tra il lavoro e le esibizioni.

Lasciai alle spalle ogni pensiero, in quel momento volevo soltanto sdraiarmi sul mio adorato letto e recuperare le forze, non mi ero neanche tolto i vestiti infatti pochi istanti più tardi la coperta assorbì il forte odore di alcol e fumo mescolati insieme, ma in quel momento non mi crearono fastidio. Inizialmente pensai ad Allyson, a come fossi stato duro nei suoi confronti, poi però mi concentrai sull'esibizione: era un momento delicato e non potevo permettermi distrazioni. Inizia a riflettere su ogni particolare di quella serata: come prima volta ero piuttosto soddisfatto, ma sapevo bene che non era abbastanza; dovevamo impegnarci di più, perfezionare la nostra tecnica così da poter passare a generi diversi e nuovi e proporre qualcosa di originale.

Posai lo sguardo sulla scrivania vicino alla finestra, nel punto in cui si innalzava una serie di fogli e poi scoppiai a ridere: ripensando agli otto anni precedenti, quella pila era soltanto un gioco, un modo per poter evadere dalla realtà, invece con il passare del tempo si era evoluta in qualcosa di più prezioso, era l'esito di quella che è diventata una passione, un ideale da realizzare. In quei fogli vi erano le bozze di quelle che sarebbero diventate le canzoni della band.

All'epoca eravamo solo quattro sconosciuti riuniti per suonare canzoni, chiacchierare davanti a un bicchiere di birra e inseguire un sogno che sembrava non doversi trasformare in realtà.

Mai avrei detto né immaginato che saremmo diventati inseparabili, che le nostre canzoni sarebbero diventate la colonna sonora delle giornate delle persone di tutto il mondo o che... Forse sto correndo troppo, vi sto raccontando di una band che, dopo mesi di lavoro, non aveva nome.

La storia inizia adesso...

 

 

 

 

 

 

 

 

~La Tana dell'Autrice~

Ciao a tutti! Prima di tutto un avviso: tutto questo è frutto della mia fantasia, mi sono ispirata solo in parte alla realtà.

Secondo, mi dispiace non essere più riuscita a continuare questa storia, cercherò, dopo la maturità, di riprenderla con ritmi più rapidi e regolari.

Spero vi piaccia! Vi sarei grata se lasciaste un commentino o una critica.

A questo proposito ringrazio tutti coloro che hanno recensito questa storia e coloro che sono passati a leggerla! GRAZIE MILLE!

Vi auguro una buona Pasqua!

Alla prossima

Yume

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

A Storm and a Teacup

 

Ti ricordi quel giorno, Dan?

Ormai hai troppi pensieri nella tua testa, sempre intenta cercare nuove idee e nuove storie.

Non hai tempo per ricordarti futili particolari, soprattutto se questi coinvolgono la mia presenza... Io invece sono certa che non lo scorderò mai, quel giorno, sai?

Era il 27 Maggio.

 

“27 Maggio! Ragazzi manca davvero poco ai test universitari, immagino che abbiate scelto le materie da portare. Se non lo avete fatto, beh, muovete il culo”

Lauren Ross, la nostra tutrice di storia dell'arte, aveva sempre avuto l'abitudine di usare un linguaggio volgare e rude, però era l'unica interessata alla nostra educazione e al nostro futuro.

Erano gli ultimi giorni dei corsi, mancava veramente poco all'esame finale; anche se “finale” non è la parola giusta, anzi, quella prova sarebbe diventata l'inizio delle nostre carriere, era la rampa di lancio verso il futuro.

Eppure io non riuscivo a scorgere nulla, al contrario dei miei compagni: il mio sarebbe stato un salto verso l'ignoto e la cosa mi stava spaventando.

“Allora Fence, alla fine cosa hai deciso di preparare?” Anne appoggiò la testa sulla mia spalla mentre la professoressa Ross faceva un giro tra i banchi per risolvere i dubbi di alcuni miei compagni.

Fui molto diretta nella risposta.

“Letteratura, Media e Italiano”

“Come mai ha scartato arte? Credevo ti piacesse come disciplina.”

“Ho cambiato idea”

“Anche se entrassi in un College avrai pur sempre il tuo percorso di sceneggiatrice da preparare. Seguirai qualche corso oppure parteciperai a qualche concorso?”

“Non farò niente. Non voglio più diventare regista né sceneggiatrice. Ho chiuso con quel mondo”

Anne sgranò gli occhi e si alzò di colpo fulminandomi con il suo sguardo ceruleo:

“Ma come?! Era il tuo sogno e adesso mandi all'aria tutto? Devi provarci!”

“Anne non...”

“Smettila di tirarti indietro! So bene quello che stai provando ed è normale avere dubbi ma devi anche pensare positivo! Devi fare come me! Impegnati a seguire il tuo sogno e tutto andrà bene, dai retta a me”

“Ma chi ti credi di essere?!” la interruppi alzando il tono della voce. “Chi sei tu per dire cosa devo fare?! Non sai come mi sento né tanto meno puoi capirmi quindi per favore puoi anche evitare queste scenate di compassione forzata perché sei ridicola! Non ho bisogno del consiglio della grande cantante Anne che ha già la strada spianata davanti a sé! ” urlai attirando l'attenzione di tutti.

“Haunt?” la Ross si avvicinò al mio banco, sembrava spaventata “Se hai qualche problema puoi condividerlo con i tuoi compagni e soprattutto con me, siamo qui per aiutarti” cercò di tranquillizzarmi con uno dei suoi sorrisi malinconici ma ottenne l'effetto contrario.
“Non ho bisogno del vostro aiuto! Anche io posso farcela da sola!” affermai mentre strinsi i pugni. Iniziai ad ansimare e ogni cosa si fece sfocata e sbiadita.

“Posso andare ai servizi?” riuscii a formulare alla fine e la Ross acconsentì anche se mostrò chiara preoccupazione.

Senza considerare le occhiate e i bisbigli dei miei compagni, camminai con passo lesto e raggiunsi il bagno poco dopo: sentii la vena del collo pompare vigorosamente mentre il fiato iniziò a mancarmi.

Mi sciacquai il volto e mi diedi tre sberle per riprendermi: nello specchio vedevo il riflesso di una ragazza fragile e frignona, era una cosa che detestavo. Dentro di me avvertii una sensazione insolita, quasi di vergogna. La stessa che provai quel giorno di fronte a Woody e ai suoi compagni.

Fu in quel momento che tornarono alla memoria le parole di Dan e quel suo atteggiamento presuntuoso, come se sapesse tutto di me.

“Maledizione...” borbottai mentre mi diedi un'ultima occhiata allo specchio.

Avevi gli occhi lucidi...

Quelle maledette sillabe continuavano a rimbombare nei miei pensieri e a scatenare la più sfrenata ricerca nella mia memoria. Non riuscivo a scorgere da nessuna parte il volto di quel ragazzo insopportabile e odioso.

Avevi gli occhi lucidi.

A parte quando ero una bambina, non avevo mai pianto. Almeno, nessun ragazzo mi aveva mai vista piangere, è per questo motivo che molti mi scambiavano per un'insensibile stronza.

A essere sincera credo di esserlo sempre stata, ma all'epoca un pensiero del genere non mi passava minimamente per la mente.

Dopo tre minuti abbondanti spesi per recuperare le forze e la stabilità della mente, ritornai in classe: non guardai nessuno, avanzai senza fretta verso il mio banco e mi sedetti senza far caso a ciò che mi circondava.

Quei sessanta minuti trascorsero lentamente, come se il tempo volesse farmi pesare quelle emozioni e timori che lentamente mi stavano divorando l'anima.

 

 

“Quindi che materie pensi di portare all'AS-level?” chiese Lucy ad Anne. Cercava di evitare il mio sguardo per timore di svegliare la mia collera: Lucy è una di quelle ragazze che non vogliono immischiarsi nelle litigate degli altri, non ha mai espresso una sua opinione durante i momenti di dibattito, nemmeno per gli argomenti importanti e interessanti. Preferiva restare in silenzio e tenere le sue riflessioni per sé.

“A me non serve a niente questo esame del cavolo! Ho la mia carriera da stabilire!” affermò Anne“Ma ormai non posso tirarmi indietro, perciò ho scelto Musica, Letteratura e Drammaturgia!”

“Letteratura?” chiesi stupita. Fu la mia prima frase dopo la mia fuga dalla classe e per questo Anne e Lucy si sentirono sollevate di sentirmi parlare di nuovo.

“Di certo Arte non la porto, l'avevo scelta solo perché i miei genitori mi hanno costretta. In letteratura me la cavo abbastanza ma conto di fare bene Musica!” sorrise, come se non fosse successo niente. E questa sua caratteristica mi dava sui nervi, Anne sorvolava sempre ogni fatto e lo ignorava. A mio parere non bisogna comportarsi così, non potrai scappare per sempre. A quel punto conviene affrontare il problema subito.

“E te Lucy?” rigirò la domanda Anne mentre scendeva le scale danzando e scuotendo la testa.

“Ho scelto Letteratura, Storia e Biologia” rispose lei, ma nelle sue parole percepii un'insolita malinconia.

Anne sgranò gli occhi, notando che tra le scelte di Lucy non era elencata Storia dell'Arte.

“Perché hai scartato Arte? Scusa, tuo padre lavora al Museo di Londra, potresti lavorare una volta ottenuto il diploma! Perché non cogliere l'occasione?”

“Mio padre vuole essere sicuro che abbia una seconda strada. E poi ho capito che non potrò contare sempre sui miei genitori, perciò voglio impegnarmi in questo esame per poter specializzarmi in qualcosa di nuovo. Voglio creare da sola la mia strada, senza l'aiuto di nessuno.”

“E brava la nostra saputella!” canticchiò Anne abbracciando l'amica. “Ora però smettiamola di parlare di questo fottuto esame e pensiamo a distrarci un attimo. Che ne dite di andare a prenderci qualcosa?”
“Dobbiamo studiare Anne, non possiamo perdere tempo” puntualizzò Lucy mentre si sistemò la giacca.

“Riformulo... che ne dite di studiare insieme davanti a un bel bicchiere di birra? Anche se abbiamo materie diverse possiamo aiutarci e ripetere gli argomenti tra di noi”.

“Io passo” mi allontanai senza dire più nulla. “Ci vediamo domani”
“Avanti Fence, non fare l'offesa! Guarda che se continui a comportarti così poi resterai da sola e vedrai...” scherzò Anne anche se percepii nel suo tono un lieve accento di cattiveria. Non feci più caso alle sue parole, me ne andai prima che potesse continuare.

Lasciai l'edificio con un unico pensiero: alla fine anche le mie amiche avevano deciso di affrontare l'A-level con il massimo impegno. In quel momento mi sentii stupida e provai un forte senso di colpa. Ero stata egoista, non mi ero accorta della preoccupazione delle mie amiche per il loro futuro, il mio stupido ideale mi aveva spinto a ignorarle, a dimenticarmi di loro. Ripensai a tutte le occasioni in cui avremmo potuto aiutarci, consolarci e motivarci a vicenda; eppure non era mai accaduto.

Evidentemente la nostra era un'amicizia con dei limiti che non si potevano superare.

Non appena raggiunsi la fermata dell'autobus inciampai nella voce della persona che mai avrei pensato di vedere in quel momento. E, sinceramente, era l'ultima con cui volevo parlare.

“Dove te ne scappi Haunt?”

Jason si piazzò nel mio campo visivo e mi mostrò un sorriso sadico, quasi altezzoso.

“Non sono affari tuoi” risposi fredda cercando di distogliere lo sguardo verso un'altra parte, tuttavia lui si spostò e finii ritrovarmi ancora una volta il suo volto di fronte al mio, era così vicino che riuscii a distinguere il colore dei suoi occhi: non avevo mai notato che fossero di un castano chiaro, quasi simile all'ambra. Di solito evito sempre di incrociare lo sguardo di altre persone, è difficile per me stabilire un contatto visivo con una persona, tendo sempre a guardarmi attorno o a concentrarmi su punti del volto che non siano gli occhi. È una cosa che mi viene naturale.

“Adesso voglio sapere perché hai fatto quella scenata” iniziò lui prima di estrarre un sigaretta dal suo pacchetto. La accese e mi buttò addosso una folata di fumo: aveva puntato a una semplice sigaretta alla menta.

Alla fine ero diventata un'esperta dei vari tipi di sigarette, ne fumavo sempre di diversi gusti.

“Non sono affari tuoi” dissi nuovamente e lui tossì.

“Possibile che nel tuo copione ci siano sempre le stesse battute? Avrai pur qualcosa da raccontarmi”

“Niente che ti possa interessare” risposi. Aspirai un po' del suo fumo cosa che non passò inosservata dato che un istante dopo mi offrì di fare un tiro. Rifiutai scuotendo il capo, senza dire nulla.

“Io non credo..” sorrise e mordicchiò la canna. “Secondo me nascondi segreti interessanti e a me piacciono i segreti”.

“Perché non te ne torni da Anne? Sono sicura che ti divertiresti molto di più a discutere con lei, potreste andare a fare qualche scherzo” c'era acidità nelle mie parole ma non se ne accorse, anzi sembrò piacevolmente sorpreso della mia proposta.

“Sei gelosa Fence?”

“Di Anne?” Feci una breve pausa di riflessione. “Forse sì.”

Rimase colpito dalla mia risposta, probabilmente non se lo aspettava. Non disse nulla, così ripresi il discorso ignorando la sua reazione.

“Sa quello che vuole e lo ottiene senza problemi. E anche Lucy. Persino uno come te...”

“Uno come me?” ripeté lui, con un tono seccato.

“Lo sanno tutti che sei un calciatore provetto e che entrerai nella squadra regionale. Non capisco perché tu abbia sprecato il tuo tempo a fare questi anni di scuola quando potevi già...” non riuscii a concludere che lui sbuffò di colpo, gettò la sigaretta a terra e la schiacciò con violenza. Poi mi guardò, aveva un'aria piuttosto abbattuta.
“Credevo che tu fossi diversa... invece sei come tutti gli altri”.

Alzai lo sguardo verso di lui e notai un cambio di espressione: aveva uno sguardo atroce, quasi provasse disgusto nei miei confronti:

“Ti lamenti se non vieni capita degli altri, ma sei tu la prima a non capire...”

Quell'ultima frase fece scattare la rabbia in me repressa e contrattaccai subito:
“Cosa dovrei capire? Spiegamelo dato che sembri sapere tutto!” gli urlai furiosa.

Mi guardò e restò in silenzio mentre cercai di mantenere l'aria da dura per riuscire a intimidirlo.

Era uno scontro di sguardi mentre i nostri respiri tesi e svelti erano le nostre armi.

“Niente... lascia perdere” pronunciò mentre si allontanò “È inutile perdere tempo con te”.

Non lo seguii con lo sguardo, avrebbe solo aumentato la mia collera.

In una sola giornata provai così tante emozione di rabbia, confusione e disprezzo che smisi di ragionare e mi lasciai guidare dai muscoli delle gambe: senza rendermene conto stavo camminando per le vie di Londra così mi toccò tornare a casa a piedi. Questo però significò più di cinquanta minuti di percorso.

Maledizione...

 

Dopo aver raggiunto il centro cambiai idea all'improvviso: persino casa mia era diventata un luogo da cui fuggire. Inoltre era una giornata così bella che starsene chiusi in camera sarebbe stato un insulto a quel cielo vaporoso e a quel piacevole venticello estivo.

Tuttavia preferii evitare di entrare in un bar, come ero solita fare, ma scelsi di restare all'aperto: raggiunsi così il parco più vicino. Vi erano tantissimi bambini che si rincorrevano sull'erba, a vederli mi salì una certa malinconia: mi mancava provare quella spensieratezza, ignorare i problemi e godermi soltanto il meglio della vita. Notai inoltre che quel giorno vi erano molti artisti di strada perciò era difficile trovare un angolo silenzioso del parco. Musicisti, artisti, cantanti e persino maghi intrattenevano i passanti con esibizioni mozzafiato e originali.

Dopo varie ricerche individuai una panchina libera e isolata dalle altre: non vi era tanta gente attorno a quella zona perciò era il posto perfetto per starsene per conto proprio. Doveva essere mia.

Feci uno scatto verso la mia futura zona ristoro e, una volta raggiunta, appoggiai lo zaino e mi sdraiai sulla panca con lo sguardo rivolto verso il cielo.

Nonostante l'atmosfera fosse calma e colma di pace, non riuscii a concentrarmi e nuovamente mi persi nelle mie riflessioni: da quando avevo smesso di scrivere come Ice la mia vita sembrava aver preso una brutta piega.

Non riuscivo più a vedere il mondo come un meraviglioso dipinto da contemplare per ore e ore e analizzarne con dedizione ogni tocco di colore, ogni ombra e ogni soggetto rappresentato.

Vedevo solo una tela bianca, un vuoto maledettamente irritante che non riuscivo a colmare con i colori o anche solo una delicata traccia di inchiostro. Ogni cosa era diventata noiosa, lontana dalla mia portata.

Con Ice era sparita anche la mia curiosità e la mia voglia di scrivere.

Era una sensazione schifosa.

E di certo quell'umore non aiutava a placare le mie incertezze. Da parecchio tempo davo spazio a considerazioni sul mio carattere: ero diventata insopportabile ed egoista. Credo di essere l'unica in famiglia con queste tratti caratteriali: mio padre è sempre stato un uomo socievole e dalle idee brillanti, anche se a volte testardo, mentre mia madre è timida ma altruista e rispettosa con tutte le persone, avrei tanto voluto possedere almeno una delle sue qualità; mio fratello invece è il classico ragazzo che preferisce mangiare una pizza con gli amici e andare in discoteca piuttosto che tormentarsi sui problemi e sulle incertezze della vita.

Sono sempre stata una ragazza orgogliosa e con in testa un solo obiettivo: essere brava in qualcosa per poter essere migliore di altri. Tuttavia è un ideale estenuante, soprattutto quando ti rendi conto che non hai alcuna qualità, che sei esattamente come tutti gli altri..

Alzai gli occhi verso il cielo, rincorrevo con lo sguardo qualche nuvola ribelle che metteva in risalto il Big Ben, che si innalzava poco distante dal parco.

Mi alzai di scatto e mi posizionai a gambe incrociate mentre cercai nella borsa il mio pacchetto di sigarette.

Chinai il capo per accenderla poi alzai lo sguardo per poter perdermi nel cielo ma mi accorsi di una presenza familiare che cambiò i miei piani. Sgranai gli occhi, quasi furiosa.

“Ehi”

Era apparso nel momento meno opportuno e il mio sesto senso mi stava indicando che la sua presenza avrebbe creato non pochi problemi. In quel preciso istante paragonai Daniel Smith a una tempesta: indesiderato e vorticoso.

Quegli occhi chiari puntati su di me... diamine quanto erano fastidiosi. Possibile che tanto splendore potesse innescare le mie emozioni più distruttive? Assolutamente sì.

“Se sei venuto per litigare sappi che sono dell'umore adatto” ringhiai per poi sbuffargli addosso un po' di fumo.
“Perché pensi questo? Potrei essere solo di passaggio... “ si difese lui, alzando le mani verso l'alto. Evidentemente si sentì minacciato dalle mie parole, quasi fossero state armi da fuoco. “Oppure potrei averti cercata in questi piatti giorni per tutta Londra nella speranza di incontrarti e parlare con te” continuò mentre le sue labbra si aprirono in un sorriso ironico.

Inarcai il sopracciglio e dischiusi leggermente le labbra cercando di mimare un'espressione scettica: mi stava provocando?

“Posso sedermi accanto a te oppure rischio di risvegliare la folle Miss Hyde?”

Non dissi nulla né tanto meno lo guardai. Lui si prese la libertà di sedersi accanto a me, o forse dovrei dire dietro di me dato che eravamo schiena a schiena.

Quello è stato il nostro primo contatto fisico.

Non so perché do tanto caso a quel particolare, forse perché dopo tutto quello che ci è successo lo considero un punto importante, potrei definirlo come “l'inizio” di tutto.

“Ammettilo” dopo qualche minuto di silenzio fui io la prima a parlare, senza però voltarmi “Stai ricavando un sadico divertimento a tormentarmi non è vero?”

“Non potrei mai” rispose basito “Se devo essere sincero non so nemmeno io perché sia seduto qui vicino a te a indagare le persone”

Volsi il capo verso di lui: quella sua risposta mi aveva lasciata stupita e anche curiosa, non tanto per il fatto che fosse ignaro del motivo per cui mi avesse cercata ma più per il suo interesse nel voler “indagare le persone”.

“Sei proprio strano. Mi spieghi cosa trovi di interessante nelle persone sconosciute?”
Scoppiò a ridere: aveva una risata, come potrei dire... viva. Sì, viva. Perché era fresca, melodica e sincera.

Poco dopo allungò il braccio e indicò un punto non tanto distante da noi.

“Lo vedi quell'anziano signore? Ogni giovedì, verso le quattro del pomeriggio, viene qua al parco a suonare la fisarmonica, proprio vicino a quell'albero. Sai perché?”

Non risposi ma dentro di me mi chiesi come facesse a sapere tutti quei dettagli su un comune vecchio.

“Perché proprio in quel punto ha confessato di essere innamorato di sua moglie, che è morta tre anni fa. Per onorare la sua memoria ogni giovedì si reca al parco e suona un brano diverso, lei amava sentirlo suonare la fisarmonica” sorrise. “È una cosa bellissima”

“Ma...”

Non riuscii a concludere la frase che Daniel riprese a parlare, come se si fosse ricordato all'improvviso di un altro particolare.

“Oppure quel bambino! Ogni volta lo vedo con un giocattolo diverso e tutte le volte lo regala ad altri suoi coetanei, può capitare di vederlo dividere la sua merenda con i mendicanti che si esibiscono nella via adiacente al parco. Mai vista tanta generosità. È proprio vero che i bambini vedono il mondo con altri occhi...”

Una strana sensazione riempì il mio cuore: Daniel riusciva a trovare interessanti le persone e la loro natura, pensiero che non mi era mai passato minimamente per la mente. Mi concentravo sempre sui fatti, sui significati e sulle scenografie, non mi ero mai preoccupata più di tanto dei personaggi di quella grande rappresentazione chiamata vita.

“È per questo che guardo le persone: storie” rispose infine suscitandomi stupore “Ogni persona ha in sé una storia che è orgoglioso di chiamarla sua. È spaventoso il fatto che molte di queste vengano celate o addirittura dimenticate...”

Diedi due colpetti alla sigaretta facendo scendere la cenere:

““Quindi... sei una sorta di stalker?” gli chiesi nascondendo la mia invidia dietro a uno sospiro.

Si voltò e mi guardò divertito.

“Può darsi... dici che mi dovrebbero arrestare?”
Annuii e poi soffiai il fumo in alto: seguendo quelle spirali di aria aromatica levarsi verso il cielo mi persi nuovamente in quelle nuvole tinte di un grigio pallido impastato al rosa della sera.

“Invece tu?” mi chiese abbassando il tono della voce. La mia fu una risposta rapida e precisa.

“Io non ho mai guardato le persone in quel modo. Anzi, ho sempre evitato contatti con la gente...” Quella sua conversazione mi aveva talmente presa che mi ritrovai costretta a rispondere senza restrizioni né menzogne.

“Non intendevo questo. Perché guardi sempre il cielo?”

Rimasi completamente spiazzata da quella nuova domanda.

Perché?

Strinsi la sigaretta tra i denti, aspirai e trattenni per un attimo il respiro, lasciando che l'aroma della sigaretta si gonfiasse nel mio petto.

“Perché in quello che fai deve esserci sempre un motivo? Una persona non può contemplare il cielo senza una ragione particolare o logica?”

“Ogni cosa, anche quella che appare superficiale, si fa per un motivo, Allyson. Anche se a volte ci sfugge quale esso sia...” sibilò. Aveva assunto un tono così serio che quasi non lo riconobbi. Si appoggiò sulla mia schiena facendo ancora più pressione.

Feci una breve pausa per riflettere: “In questo caso... io guardo il cielo per dimenticarmi ogni motivo che mi spinge a fare le cose.” risposi infine gettando lo sguardo verso terra.

Restammo in silenzio mentre il sole iniziò a nascondersi dietro alle nuvole da me tanto ammirate in precedenza. Rimbombava il suono delle campane: cinque tocchi di bronzo simili alle grida degli angeli annunciavano l'addio alla vecchia ora e accoglievano con pacata tristezza la diciassettesima ora.

“Già così tardi?” Daniel si alzò di scatto dalla panchina e si avviò verso una meta sconosciuta. Poi si voltò verso di me e inarcò un sopracciglio “Che fai? Non vieni?”

“Dove?”

“Tu dove vorresti andare?” domandò nuovamente, sorridendo.

Mimai con il volto l'espressione più interrogativa che riuscissi a presentare. Ammetto che in quel momento avrei voluto prenderlo a sberle.

Daniel scosse il capo divertito e poi riprese il discorso.

“Ti va di prendere un tè con me?”

“Divertente” scoppiai a ridere altezzosamente ma lui sgranò gli occhi, quasi colpito dalla mia reazione. “Spero che tu stia scherzando...”

“Spero che tu stia scherzando! Il tè delle cinque è un rito per noi inglesi. Bisogna rispettare certe tradizioni!”

“Ti rendi conto che siamo quasi in estate?! E perché vuoi invitare proprio me a seguire questa tradizione?” chiesi curiosa mentre buttai la sigaretta per terra e la schiacciai con il piede.

“Perché vorrei scusarmi per essermi comportato da perfetto cretino...” Si avvicinò e infine mi dedicò parole sussurrate “...e perché vorrei chiacchierare ancora un po' con te”

Non so come né perché... ma mi ritrovai ad accettare quella sua richiesta alquanto improvvisa. Forse perché vederlo in colpa mi faceva sentire superiore, come se avessi vinto una battaglia. E poi era soltanto un tè, pensai.

Ma non sapevo che in poco tempo sarei stata testimone di una importante decisione di quel matto frontman...

 

 

 

 

 

Entrammo in un bar molto suggestivo: le pareti erano state dipinte con un brillante oro e decorate da molte fotografie d'epoca e da specchi circolari ed eleganti. Guardando il mio riflesso mi accorsi che ero veramente impresentabile: l'elastico aveva ceduto alla forza dei miei capelli mossi e crespi permettendo così ad alcune ciocche di alzarsi disordinati per varie direzione mentre il trucco si era sbiadito e avevo un piccolo graffio sulla guancia sinistra, probabilmente causato dagli schiaffi che mi ero inflitta la mattina.

Inizia così a sistemarmi i capelli e il volto quando l'accensione delle luci mi distrasse e mi obbligò a guardarmi intorno: la luce rendeva quel locale ancora più luminoso e caldo, sembrava di essere in un palazzo dorato e scintillante.

Mentre continuavo la mia visita notai che Daniel si era seduto ad un tavolo vicino a una grande dispensa di legno piena di leccornie e oggetti d'epoca. Quando mi accomodai lui mi sorrise e prese i vari menù lasciati dalla cameriera.

“Vediamo un po'... cosa vuoi prendere?” mi chiese mentre adocchiava la lista.

“Non sono molto esperta nel campo dei “té”, di solito a quest'ora bevo un bel bicchiere di limonata ghiacciata. Perciò dovrai consigliarmi tu, mister patriottico” gli risposi sinceramente. Non bevevo tè da molto tempo; da piccola ero solita prendere un semplice Earl Grey ma parliamo di quando avevo sei anni.

“Ecco...” Daniel trattenne per qualche secondo il respiro e serrò i denti, non riuscivo a capire come mai quell'espressione stesse consumando il suo volto “Diciamo che non ho mai preso un té particolare, prendo sempre l'Earl Grey o al massimo un tè verde. Quindi siamo sulla stessa barca” scoppiò a ridere e io lo guardai senza trovare le parole adatte per insultarlo e maledirlo allo stesso tempo.

“Ho appena fatto una figura di merda?” mi chiese senza però togliersi quel sorriso imbarazzato dalla bocca.

“Direi proprio di sì” gli dissi io, non nascondendo divertimento.

La cameriera si avvicinò pronta per ordinare, io e Daniel ci guardammo spaventati e ancora indecisi.

La ragazza scoppiò a ridere e ci rassicurò affermando che sarebbe passata più tardi.

Restammo per tre minuti a leggere tutti i tipi di bevande e a litigare su quale fosse la pronuncia corretta per quelli orientali o indiani. Alla fine prendemmo due tazze di Earl Grey e un piatto di biscotti al limone.

Risultato: eravamo in un bar molto raffinato e avevamo preso il tè più semplice.

 

 

Avvolsi il bordo della tazza con le mani lasciando che il suo tepore mi scaldasse i palmi, mentre il vapore della bevanda raggiunse le mie narici viziandole con il suo aroma raffinato.

“Allora hai capito?” chiese Daniel all'improvviso mentre mescolava la bevanda.

“Cosa?”

“Quando ci siamo incontrati”

Se fino a quel momento pensai che quel ragazzo fosse semplicemente un tipo particolare, non appena concluse quella frase cambiai opinione e affermai ancora una volta che fosse un perfetto cretino.

Di nuovo quella sensazione, quella maledettissima sensazione di debolezza.

“No. Non ne ho idea e non voglio saperlo”

“Perché?” chiese lui sorpreso, poi bevve un sorso del tè.

“Sinceramente? Non piango spesso e, se capita, non lo faccio mai in pubblico. Quindi dubito che...”

Accade all'improvviso, in un istante ogni cosa divenne chiara: non avevo mai pianto, questo era vero. Ma c'è stata quella volta, quando dovevo presentare la mia sceneggiatura. Quella fottuta volta in cui cedetti alle mie emozioni, al mio lato fragile.

Daniel mi guardò e a giudicare dalla sua espressione capì che mi ricordai.

“Tu eri là?” chiesi quasi sconvolta.

“Sì, ti sei scontrata contro un mio amico mentre scendevi le scale... E non ho potuto evitare di guardarti, di notare le tue lacrime invisibili”

Abbassai lo sguardo, mi concentrai sulla mia immagine riflessa nel miscuglio scuro. Mai avrei pensato che in un posto di gente indaffarata ci potesse essere qualcuno preoccupato per una persona qualunque come me, in quel casino era riuscito a trovare interesse nei confronti di una ragazzina. Non riuscivo a crederci.

“Ho avuto un'allergia che mi ha fatto lacrimare gli occhi, per questo ho lasciato l'edificio.” mi giustificai. Ero troppo orgogliosa per ammettere che le mie erano lacrime di tristezza e di mancanza di fiducia.

“Come vuoi” sorrise.

“Daniel...” balbettai io.

“Ti prego, chiamami Dan” disse lui sorridendo.

“Dan... ti chiedo scusa.”

Non capì e si passò una mano in quei capelli così voluminosi da sembrare una creatura vivente.

“Ti ho accusato e rimproverato per una cosa di cui non avevo il diritto di parlare. Ho pensato a ciò che mi stava accadendo e ho approfittato della tua situazione per rimproverare me stessa. Ti chiedo scusa”

Mi sentii una stupida... anzi, la mia debolezza si era fatta più evidente. Ero come esposta.

“Sai, anche io devo chiederti scusa” chiuse per un attimo gli occhi e prese fiato. “Non so perché abbia insistito in quel modo, però volevo capire che tipo di ragazza sei. Volevo leggere la tua storia perché dal primo istante ho capito che tu hai qualcosa che mi affascina”

Arrossii di colpo. La sua era una frase totalmente imbarazzante.

“N-Non pensiamoci più, okay?” balbettai e poi ripresi a bere il tè cercando di non pensare alle sue parole.

Il calore della bevanda mi stava troppo addosso, come se mi stesse soffocando, e provai un certo disagio a incrociare il suo sguardo, così inizia a guardami intorno e la mia attenzione ricadde su una locandina in bella vista da una dispensa poco distante da noi.

Rappresentava “La Libertà che guida il popolo” di Eugene Delacroix, un famoso pittore francese del Romanticismo, e vi erano segnate alcune date per la Festa della Bastiglia.

Scoppiai a ridere, attirando l'attenzione di Dan.

“Che c'è?” chiese lui divertito.

Indicai la locandina e dopo aver finito il té gli dissi:
“Una festa francese che viene ricordata in Inghilterra e una locandina del genere esposta in un locale dove servono tutti i tipi di tè. È proprio comico non credi?”

Mi voltai verso Dan e notai una certa luce nei suoi occhi. Stava sorridendo.

Si alzò di scatto e si avvicinò a quella dispensa, accarezzandone il vetro.

“La presa della Bastiglia...” sussurrò.

Non capii perché fosse così tanto preso da quella festa.

“Il 14 luglio...” scoppiò a ridere. “Come ho fatto a non pensarci?”

Nuovamente credetti che fosse un perfetto cretino.

“Dobbiamo andare” riuscì finalmente a degnarmi di una frase, anche se mi lasciò spiazzata.

“Andare? Dove?”

Ma lui non mi sentì, si avvicinò alla cassa e dopo aver pagato il conto fece cenno con la testa di seguirlo.

Incredula, e leggermente nervosa, lo raggiunsi. Quando uscimmo dal bar erano già le sei passate, eppure ci riservammo una passeggiata per il centro di Londra.

“Dove stiamo andando?” chiesi dopo che Dan mi ignorò per parecchi minuti.

“Bisogna raggiungere gli altri” mi disse continuando a camminare; aveva un'andatura molto veloce, non riuscivo a stargli dietro.

“Per altri intendi i membri della band?”

Lui annuì e non capii come c'entrassi in quella storia.

“Ci aspettano davanti a...”

“Come “ci”? Perché comprendi anche me?”
“Perché sei ben voluta nel nostro gruppo.” mi confessò senza farsi troppo problemi.

“Quattro ragazzi che hanno più di vent'anni che accettano nella loro compagnia una ragazzina di diciotto... per caso sono finita in una sit-com?”

“Chissà... Guarda il lato positivo. È divertente!”.

 

 

 

“Eccoti finalmente! Oh, ciao Allyson! Che bello vederti!”

Chris mosse le braccia per salutarci mentre Will si limitò a un cenno del capo.

Kyle invece si avvicinò a me e mostrò un raggiante sorriso:
“Sono contento di vederti in forma! L'ultima volta mi sembravi giù di morale e dopo tutta quella faccenda credevo non volessi più vederci”

“Fidati, vi avrei già evitati la sera stessa se proprio vi avessi odiati. A volte mi basta solo guardare le persone per capire che non voglio avere a che fare con loro” Credo di essere stata troppa diretta e sincera con quella risposta, ma Kyle le diede poca importanza e non smise di sorridere. Era sempre un piacere parlare con lui.

“Allora dobbiamo ritenerci fortunati! Tranne te Will, secondo me tra te e Allyson potrebbero nascere delle liti”

L'interessato si voltò e fulminò Kyle con lo sguardo.

“Però non capisco perché debba restare, non c'entro niente con la band” confessai.

Kyle mi abbracciò, gesto che mi lasciò completamente spiazzata. Non ero una ragazza che amava i contatti fisici, non ero abituata ai baci sulla guancia da parte di Anne figuriamoci a un abbraccio dato da un ragazzo che conoscevo da poco tempo.

“E invece sei importante!” esclamò, senza smettere di stringermi “Possiamo considerarti come un portafortuna dato che ci hai incontrati tutti poco prima che diventassimo una band. Deve essere un segno del destino!” concluse mentre mi scompigliò i capelli.
“Ancora con questa storia? Non sono un oggetto!” gonfiai le guance e incrociai le braccia, fingendomi offesa.

Scoppiammo a ridere.

Poi, come colpita da una scossa, mi bloccai: non mi ero mai comportata così. Restai sorpresa e anche spaventata da me stessa.

“Ascoltatemi” Dan prese parola e attirò l'attenzione di tutti.

In quel momento mi sentii un pesce fuor d'acqua. Che diavolo c'entravo io in quella compagnia? Continuavo a ripetermi. Non riuscivo proprio a spiegarmelo.

“Dicci capo!” esclamò Kyle alzando la mano.

“Posso annunciare con grande orgoglio che ho scelto il nome della nostra band” annunciò Dan alzando il mento verso l'alto, con aria quasi strafottente.

“Era ora! Cominciavo a pensare che saremmo rimasti per tutta la vita i “Dan Smith” o “La Band senza nome!” lo schernì Will.

“Ma credevo che il nome lo avreste scelto tutti insieme. Di solito si fa così.” chiesi a Woody.

“Diciamo che abbiamo voluto lasciare questo compito a Dan essendo il nostro leader e colui che ci ha formati”
“Primo, non sono il vostro leader” si difese Dan “Siamo una squadra!”
“E per questo abbiamo bisogno di un capitano” precisò Will annuendo.

Dan sbuffò, arrendendosi all'idea di essere il pilastro portante di quel gruppo.

“Secondo... Promettete di non ridere” supplicò il leader ai suoi compagni che sgranarono gli occhi, preoccupati.

“Fantastico... ci è toccato un nome imbarazzante” bisbigliò Woody a Will.

Dan prese un bel respiro poi sorrise.

“Ci chiameremo Bastiglia*!”

Per un attimo vi furono solo silenzio, bocche spalancate e risate trattenute.

“Bastiglia?” chiesi. Capii il motivo del suo interesse verso quella locandina. Ma non mi era chiaro come mai si fosse ispirato a quello.

“Posso dire una cosa?” chiese Will alzando la mano come se fossimo a scuola. “Sei proprio un egocentrico di merda” concluse il più anziano del gruppo facendo ridere tutti gli altri.

“Perché?” chiesi, non capendo la sua allusione.

“Non lo sai? Dan è nato il 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia” mi disse Woody.

Sgranai gli occhi e guardai Dan che mi sorrise imbarazzato.

“Dici di non voler essere al centro dell'attenzione e chiami la tua band con la festività che ricade il giorno del tuo compleanno?!” esclamai.

Non potevo crederci.

“Non ho altre idee” confessò lui grattandosi i capelli “E poi suona bene!”

“Sempre meglio di Dan Smith” borbottò Will, poi sorrise “E Bastiglia sia” concluse mostrando un sorriso quasi compiaciuto.

“Ora che abbiamo un nome possiamo cominciare a lavorare seriamente!” affermò Woody. Non appena vidi i suoi occhi brillare sorrisi, in fondo non era cambiato più di tanto. Era sempre il solito ambizioso e appassionato Chris.

Dan annuì, poi si voltò verso di me e sorrise.

Era un sorriso diverso rispetto a quelli mostrati in precedenza: se fossi stata una persona più matura avrei tradotto quell'espressione in tutt'altro modo e gli avvenimenti successivi mi sarebbero apparsi più chiari.

Ma in quel momento il sorriso Dan mi sembrò solo la dimostrazione del suo sollievo per aver trovato il nome della band.

“Ci impegneremo per accontentare la nostra fan preferita”

Kyle aveva interrotto il corso dei miei pensieri e si era letteralmente buttato su di me e mi aveva accarezzato la testa sempre sorridendo.

“Fan?” balbettai io, imbarazzata da quel suo gesto.

“Certo! Tu sei la nostra fan oltre che il nostro portafortuna!”

“Per giudicare la vostra musica e diventare una vostra seguace dovrei prima sentirvi suonare qualcosa di vostro invece che delle cover, non credi?”

Non appena conclusi la frase mi bloccai, presa da un attacco di ansia: avevo detto una grande cazzata, per un attimo credetti di aver ferito i sentimenti di Kyle e di aver rovinato quell'atmosfera così intima e calorosa creatasi.

Tuttavia la reazione fu del tutto diversa dalle mie supposizioni.

“Hai ragione. Aspetta e vedrai, ti stupiremo.” Kyle mi fece l'occhiolino “Magari diventi la nostra groupie!”

“Ci manca solo questa...” esclamò Will incrociando le braccia.

“Non ti piacciono le ragazze che mostrano le tette durante i concerti Will?” gli chiesi sarcastica.

“Non ho detto questo... Solo che non vorrei averti come nostra grupie, anche perché credo che nelle tue condizioni non riusciresti ad attirare la nostra attenzione” sorrise maliziosamente indicando le mie “gemelle”.

Spalancai la bocca indignata e offesa.

“Ma... ma come ti permetti?!” gli urlai e di istinto mi coprii il petto con le braccia. Woody cercò di trattenere le risate mentre Kyle sgranò gli occhi cercando di evitare il peggio.

“Ecco... Allyson non fare caso a lui. Sono sicuro che saresti una groupie meravigliosa anche nelle tue curve limitate”

Stavo per esplodere.

“Limitate?!” ruggii, fulminandolo con lo sguardo.

“No! Non intendevo...”

“Aiuto... avete risvegliato la bestia” sussurrò Woody ai suoi due compagni che si spaventarono non appena videro il mio volto.

Quando mi arrabbio tendo a sgranare gli occhi e arrossisco velocemente, inoltre le narici si dilatano perché tendo a fare respiri brevi ma densi; è un tic che ho sin da quando ero bambina, perciò chi mi conosce bene sa quando sto per perdere la testa.

“Altro che fan, portafortuna... Vi siete appena guadagnati la prima antifan. Mostrerò al mondo la vostra vera faccia: ragazzi pervertiti, maleducati e barbosi, nel vero senso del termine! Sarò la vostra gatta nera, la sfortuna si abbatterà sulla band Bastiglia!”

Pronunciai io agitando le mani come se fossi stata una strega mentre Kyle si buttò, letteralmente, tra le braccia di Will che prontamente lo prese al volo; non so come ci sia riuscito, deve aver avuto dei riflessi incredibili... o probabilmente era abituato a simile azioni da parte di Kyle.

Tentai di restare seria ma una risata mi sfuggi così cercai di mantenere il controllo della situazione continuando a far danzare le mani in movimenti circolari improvvisati.

“Allyson”

Daniel, che era rimasto in silenzio per tutta la discussione, prese parola e, prendendomi per il braccio, mi costrinse a voltarmi verso di lui, a incrociare quello sguardo che tanto mi turbava.

“Anche sei vieni frenata da certe circostanze non vuol dire che tu non sia una persona meravigliosa...” mi sussurrò. Mai mi sarei aspettata una simile affermazione, non ero pronta ad un simile complimento. E non finì lì. “E poi sei bella quando sorridi. Vorrei vederti così più spesso”

Ero rossa quanto il colore dei miei capelli. Mai avrei pensato di cedere al piacere di un complimento così particolare.

Will lanciò una fischiatina mentre Woody sorrise nel vedermi arrossire. Kyle si avvicinò e nuovamente passò una mano tra i miei capelli.

“Dan ha ragione. Cerca di non abbatterti per delle stupide cadute o per l'esame! Ricordati, il sorriso è la parte più bella di una persona... insieme ai capelli ovviamente”

“I capelli?” chiese Will divertito.

“Certo! I capelli rendono una persona affascinante! Guarda quelli di Allyson per esempio!” esclamò prendendo una ciocca tra le dita e esaminandola con cura “Così setosi, profumati e di un brillante rosso tiziano... sono bellissimi!”

In quel momento credetti di morire di imbarazzo. Il mio cuore prese a battere ancora più veloce e per poco non balbettai frasi insensate per fortuna Will riprese parola e mi salvò da un'epocale figura di merda.
“Io credo che la bellezza stia in tutt'altro”

“Per forza, tu hai pochissimi capelli” affermai indicando la sua testa e lui sobbalzò e si passò una mano tra i corti ciuffi castani.

“Non è affatto vero! Li ho solo tagliati più del solito!” borbottò.

“Wow, Will che fa il permaloso!” lo schernì Dan ma si pentì un istante dopo, quando Will minacciò di colpirlo.

“Ora siamo pari, William” lo provocai alzando il mento vittoriosa.

“Ti preferivo silenziosa e depressa... adesso ti stai montando troppo la testa, ragazzina” disse Will puntandomi contro il dito.

Restammo a chiacchierare del più e del meno per altri venti minuti, il tempo non mi era mai sembrato così egoista nel suo andare. Per la prima volta trascorsi momenti piacevoli senza provare pena né invidia per le persone che mi circondavano. Dimenticai ogni cosa, mi sentii così leggera e naturale che per un attimo credetti di stare per spiccare il volo verso il cielo.

E tutto era nato da una discussione su una festività francese... Chi lo avrebbe mai detto?

 

 

 

Tornai a casa per le sette, giusto in tempo per la cena.

Mi beccai una bella ramanzina da parte di mia madre dato che avevo perso un pomeriggio di studio: era preoccupata che stessi per prendere una brutta abitudine. Se solo avesse saputo che quel pomeriggio perso a procrastinare era stato catartico e più istruttivo di un libro credo si sarebbe congratulata con me e mi avrebbe adulata.

Dopo un bel piatto di pasta e un'abbondante insalata la tensione creatasi tra me e i miei genitori svanì del tutto e ci godemmo una normale cena in famiglia.

Mentre mangiavo non riuscivo a togliermi dalla testa lo scorrere delle immagini che avevo visto e vissuto in quella giornata particolare, pensate che sentivo ancora, stampato sulle labbra, il gusto dell'Earl Grey del pomeriggio.

Dopo cena andai direttamente in camera: mi tolsi i vestiti e mi sdrai sul letto, ero così esausta che non ebbi la forza di mettermi il pigiama così restai in biancheria intima.

Mille pensieri affiorarono nella mia mente eppure non erano per niente fastidiosi. Avevo provato così tante emozioni che il mio cuore sembrava esplodere.

La vita è imprevedibile, puoi aspettarti di tutto, anche se si tratta di una sola giornata. Il tuo punto di vista può variare anche solo per una stupidaggine, puoi maturare anche per una cosa semplice come prendere il tè.

Queste erano le frasi che continuavo a ripetere, come se fossero state la morale di una favoletta durata un giorno.

Successivamente mi resi conto di non aver dato il mio numero ai ragazzi così presi il cellulare, quasi d'istinto, e mi accorsi di tre messaggi da parte di Anne. Non ricordo tutto il messaggio, però il senso dei tre messaggi era lo stesso: “ti stai allontanando da noi, Allyson. Dovresti essere meno distaccata con le tue amiche”.

Fu in quel preciso istante che avvenne il cambiamento...

Mi alzai di scatto e in un attimo le mie difficoltà, i miei dubbi e il mio dolore riemersero...

Se continui a comportarti così poi resterai da sola”

Ricordai le parole di Anne, sentivo perfettamente la sua voce, era come se fosse piombata nella mia stanza e mi stesse punzecchiano con quelle parole affilate e quel tono cattivo.

Poi pensai ai ragazzi: per un attimo credetti davvero di contare qualcosa per loro...

Per un misero secondo nel mio cuore si accese la speranza di aver trovato degli amici veri, come quelli dei libri o delle fiction.

Invece no... In quel momento paragonai quel pomeriggio come un sogno: era stato tutto un intermezzo dove provai allegria e distrazione, ma poi mi ero svegliata e tutto era rimasto come prima.

L'indecisione, la mancanza di fiducia, l'assenza di Ice... non era cambiato nulla.

Era stato un sogno, meraviglioso... ma pur sempre un sogno.

Mi sentii se avessi avuto una scheggia conficcata nel mio spirito: ebbi l'impressione che presto essa sarebbe penetrata in profondità portando a sgretolarmi in mille e insignificanti frantumi.

Poi la vibrazione del mio cellulare attirò la mia attenzione. Convinta che fosse Anne, aveva la tendenza di mandarmi messaggi verso tarda sera, lo afferrai e aprii il messaggio.

Ma nuovamente venni travolta dalla sorpresa.

“Pronta per assaltare la Bastiglia?”

 

 

 






* Ho voluto mettere il nome tradotto, perché per gli inglesi il nome risulterebbe “Bastiglia”.

Dai prossimi capitoli tuttavia lascerò Bastille




La Tana del Sogno
Ciao a tutti!

Eccomi con il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto! Sono stata più attenta nella revisione perciò spero non ci siano errori!

Forse sto andando un po' lenta con la trama (… anche con la pubblicazione, ora che ci faccio caso) perciò dai prossimi capitoli cercherò di “accelerare le cose” e andare subito alle questioni interessanti (o almeno, spero siano interessanti).

Anche perché ormai vi sarete stufati di sentirvi tutte le paturnie mentali che si fa Allyson ^^''.

Ringrazio i lettori, silenziosi e non, e gli amici che recensiscono.

Grazie per il supporto che mi date e per la pazienza che portate, vi adoro.

Avrei voluto pubblicare un mese fa ma la scuola si sta rivelando molto impegnativa e gli esercizi che mi danno occupano tanto tempo. Perciò fino a maggio l'aggiornamento non sarà frequente (salvo casi eccezionali). Mi sento uno schifo, vorrei tanto essere più ordinata e concentrata.

Però ammetto che, tra tutte le storie che ho in cantiere, questa è quella a cui tengo di più perciò avrà la precedenza ^_^

Curiosità: il titolo, a chi interessa, è un gioco di parole nato dal detto “a storm in a teacup” che significa “un litigio di poco conto, che si risolve subito”.

Auguri a tutti di un felice anno nuovo! Dai che il 2016 è l'anno del secondo album!

Io sono già in estasi per le nuove canzoni (sono in fissa con Send Them Off, la adoro)

Grazie ancora, un bacio e buona fortuna per tutto!
Yume

 

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