Mind's Gates

di Bunjee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduction ***
Capitolo 2: *** Beginning ***
Capitolo 3: *** Be prepared ***
Capitolo 4: *** First Floor: Childhood ***



Capitolo 1
*** Introduction ***


Introduction.

La mente di Samantha correva come un treno carico di pensieri.
Era sdraiata sul letto di camera sua, con una gamba sospesa fuori dal materasso che dondolava, mentre cercava di tenere sotto controllo le sue idee che ormai erano confuse e ricche di emozioni indistinte.
La televisione era accesa e sullo schermo passavano immagini in diretta dai Grammy, dove venivano mostrate bellissime cantanti e affascinanti rock star attraversare il red carpet con aria sicura e superiore, quasi come se non si rendessero conto del fatto che anche loro sono persone normali.
La sua mente tornò sulla terra solo quando sentì il nome di Michael Jackson.
Di tutti i personaggi costruiti e finti, lui le sembrò quello che più tentava di avvicinarsi alla sincerità.
La sua pelle era scura e rifletteva la luce dei flash, che facevano sembrare il suo sorriso ancora più luminoso di quello che già era.
Eppure, Samantha, dopo sei anni di carriera da psicologa e altrettanti di studi, riusciva ad avvertire una grande tristezza e inquietudine che, la gente, impegnata nell'ammirare la bellezza e la luce del cantante, non poteva notare.

Un ragazzo sulla trentina, con una vita apparentemente perfetta e un'aura dorata costruita dai media e dalle vendite dei suoi dischi, innalzato dal pubblico verso il cielo e spacciato per un Dio piuttosto che per un semplice essere Umano dotato di un grande talento nel mondo della musica.
Tutto ciò era così perfetto quanto falso e opprimente per lui che, man mano che avanzava con la sua carriera, veniva oppresso dalla solitudine e dal peso della fama.

Dopo una settimana da quell' offerta di lavoro, era ancora indecisa sul da farsi.
Non capiva che interesse poteva avere la popolazione mondiale nel sapere i segreti di un musicista, si sentiva offesa da quella richiesta a dir poco riduttiva per una persona con la sua capacità; eppure, per un lavoretto da niente, settantamila dollari erano tanti.
Aveva ipnotizzato ragazzi traumatizzati, vittime di attentati e testimoni oculari di omicidi, altro che i capricci di un artista a caso; eppure, nessun lavoro serio le aveva mai portato tanti soldi quanto il mediocre incarico che le era stato offerto.
Tutto quello che doveva fare era diventare amica stretta del cantante e riuscire a estrapolargli informazioni private, ricorrendo anche all'ipnosi se necessario.
Si sentiva in colpa: sapeva che un passo sbagliato avrebbe potuto distruggere per sempre la psiche del ragazzo, già debole di suo.
Ma settantamila dollari erano tanti e Samantha aveva bisogno di quei soldi per potersi permettere le cure di cui sua madre necessitava.

Jackson continuava a camminare per il red carpet ignaro, salutando i fan e firmando autografi ogni tanto.
Sorrideva, scambiava quattro parole con colleghi e produttori vari e guardava dentro all'obbiettivo con i suoi occhi lucidi, che inconsciamente incontravano quelli della ragazza dall'altra parte dello schermo.

In quel momento Samantha si chiese se il suo treno di pensieri sarebbe mai riuscito a sfondare il cancello della mente del cantante, proprio come le era stato chiesto.



Angolo della scrittrice

Salve!
Non so se l'introduzione della mia ff vi sia piaciuta, io sono un po' indecisa a dire il vero ç_ç
Cerco di presentarmi in breve c':
Mi chiamo Alex, non starò a dirvi la mia età e cianfrusaglie varie perchè tanto non vi interessano, ma ci tenevo a dirvi che l'ultima ff che ho scritto è stata pubblicata nel 2012 e ho deciso di dedicarmi di nuovo alla '"scrittura" dopo aver letto alcune delle recensioni della mia vecchia fanfiction.
Quindi niente, questo primo capitolo è abbastanza corto, ma, come ho scritto prima, è solo un'introduzione alla storia vera e propria :3
Fatemi sapere che ne pensate, ci vediamo al prossimo capitolo c;

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Capitolo 2
*** Beginning ***


3 Marzo 1988, Giovedì

 "Hollywood Place, come posso aiutarla?"
Mi bloccai un attimo a pensare; ero sicura di quello che stavo facendo?
In tutta la mia vita ho odiato le persone che sfruttavano gli altri per soldi, eppure ero a un passo dal diventare come loro.
"Pronto?" richiamò la voce dietro la cornetta.
"Ehm, si, sono Samantha Richel, una settimana fa ho ricevuto una proposta di lavoro per.."
"La metto in contatto con il Direttore, resti in linea."
"Oh, ehm, ok" balbettai sorpresa e spiazzata dall'improvvisa interruzione da parte di quella voce robotica.
Rimasi al telefono in attesa per circa un minuto e quando il Direttore mi rispose la sua voce non apparve robotica e meccanica come quella della segretaria; tuttavia, c'era qualcosa di sinistro nel suo timbro vocale, mi sentii come se stessi parlando al telefono con un cattivo uscito da qualche cartone animato Disney.
"Si, salve, sono Samantha Richel, ho chiamato per farle sapere la mia posizione riguardo all'offerta di lavoro che mi è stata proposta una settimana fa circa.' parlai tutto d'un fiato con una voce talmente meccanica e priva di emozione che sarei riuscita a far invidia a tutte le segretarie del mondo.
"Si, mi ricordo di lei Signorina Richel. Dunque, passiamo al sodo: accetta il lavoro? Se così fosse, un quarto del denaro verrà immediatamente versato sul suo conto e la metteremo in contatto con il manager di Jackson in modo che voi due possiate incontrarvi."
"Un attimo.. il Manager di Michael Jackson sa tutto questo? Sa che io dovrò fingermi amica del cantante per poi..."
"Si, lo sa, ovviamente anche lui verrà pagato; è tutto in regola, stia tranquilla." venni interrotta nuovamente.

Schifo, ecco cosa provavo.
Michael Jackson era circondato da iene e neanche lo sapeva.
Mi sentii in colpa per quello che stavo facendo, ma pensai a mia madre per trovare il coraggio di andare avanti.
Dovevo farlo per lei.
Dovevo diventare anche io una iena.


"Molto bene, quindi.. siamo d'accordo, quando potrò parlare con il suo Manager?"
"Riceverà una telefonata fra circa un' ora, si assicuri di rispondere. Arrivederci Signorina Richel."
"...Arrivederci."

La telefonata si chiuse e io andai in salotto, dove sorseggiai un caffè in compagnia di Spettro, il mio gatto.
La mia mente vagava da un binario all'altro dei ricordi degli ultimi giorni, da quando avevo ricevuto l'offerta di lavoro a poco fa.
Mi immaginai in compagnia di Michael, lui che mi confidava i suoi segreti più intimi mentre io raccoglievo ogni dettaglio per poterlo riferire al meglio.
Ero davvero capace di fare una cosa simile?


4 Marzo 1988, Venerdì

"Dunque, Signorina Richel, è molto semplice; il mio cliente un mese fa ha richiesto delle consulenze con qualcuno che possa seguirlo e aiutarlo offrendo sostegno psicologico. 
Ovviamente, ha bisogno di qualcuno che abbia delle competenze; e qui entra in gioco lei. 
Ora, non penso che io abbia bisogno di ripeterle cosa deve fare, penso che abbia avuto dei motivi per accettare il lavoro e sappiamo bene quali sono questi motivi.
Anche io sono qua per raggiungere i miei scopi e un bel po' di verdoni in più non hanno mai ucciso nessuno.'
Stavo seduta dall'altra parte del tavolo mentre fissavo quell'omaccione parlare a raffica, fermandosi ogni tanto solo per sorseggiare il vino che ha ordinato.
"Quindi, se ho capito bene, lei vuole che io diventi lo psicologo di Michael Jackson, giusto?"
"Si, esatto." ribatté lui, con il viso rosso e il bicchiere di vino in mano.
"Beh, qui sorgono due problemi.." 
L'uomo spalancò gli occhi come se gli avessi appena lanciato un secchio di acqua gelata in testa.
"Che tipo di problemi?" balbettò stupefatto.
"Beh.. io vengo pagata per fornire informazioni, non per fare da babysitter a Michael Jackson. Ho diverse lauree in psicologia e il mio servizio è considerato uno dei migliori qui a Los Angeles.. se il signor Jackson vuole una spalla su cui piangere dovrà comprarsela, non pensa? Di questi tempi è difficile trovare qualcuno che svolge il suo lavoro gratuitamente." dissi, con un carisma che non mi appartiene.
Che mi succede?
"Oh, beh, certo.. dunque, che ne pensa di quaranta mila mensili?" boffonchiò quell'ometto, che ora mi sembra innocuo e sbadato più che mai.
Arricciai le labbra e presi una ciocca di capelli tra le mie dita osservandola, facendo finta di interessarmi alle mie punte castane più che al lavoro.
"Quaranta mila sono tanti, ma.. insomma, non lo so. Il giuramento della mia professione prevede che i segreti svelati dai clienti non escano dalla stanza in cui si svolge l'incontro." dissi, continuando a fissare i miei capelli con espressione assorta.
"Oh, già, puo' essere davvero difficile uscire dagli schemi di un giuramento. Quarantacinque mila potrebbero aiutarla?"
Lasciai cadere la ciocca sulle spalle e mi mordicchiai l'unghia dell'indice fissando il manager negli occhi e alzando le sopracciglia.
"...cinquantamila?" aggiunse lui avvicinando impercettibilmente il viso al mio e abbassando il tono di voce.
"Affare fatto." mormorai, alzandomi e stringendo la mano all'uomo. "Quando incontrerò Jackson?" aggiunsi, rimettendomi la giacca e afferrando la borsetta.
"Domani vada all'hotel qua vicino verso le dieci di mattina, mostri questo biglietto alla hall e si rechi nella stanza numero 65. Arrivederci, signorina Richel."
"Arrivederci." dissi, afferrando il biglietto che mi stava porgendo e uscendo dal locale.

E così, iniziò tutto.


Angolo della Scrittrice

Salve! Capitolo brevino ma efficace (spero..lol).
Comunque, non cercate di capire Samantha, è un personaggio complicato e misterioso, al punto che neanche io che l'ho creata la capisco.
Grazie di essere arrivati fino alla fine senza chiudere la pagina, vi ringrazio da morire.
Fatemi sapere che ne pensate, al prossimo capitolo. *3*

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Capitolo 3
*** Be prepared ***


5 Marzo 1988, Sabato

Non ricordo una mattina più spenta di quella: il sole era lieve e nascosto da nuvoloni grigi, azzurro spento il cielo e l'aria fredda e pungente, priva di quella classica brezzolina che animava Los Angeles, scuotendo le foglie degli alberi e facendo svolazzare le gonne delle ragazze.
In quella giornata decisamente troppo morta per un Sabato, la mia anima si era adattata alla situazione spenta e aveva cominciato il suo triste cammino verso il Girone Infernale dei traditori. 
Strana situazione, la mia.
Strane sensazioni quelle che stavo provando, le stesse che mi spingevano a tenere la testa appoggiata al finestrino del taxi che, molto lentamente a causa del traffico, mi stava portando all' Hotel dove avrei incontrato Jackson.
Chissà come si sentiva lui.
Me lo immaginai chiuso in camera sua, preparandosi e specchiandosi ripetutamente per controllare di essere presentabile.
Mi immagino il suo volto, gli occhi aperti in un'espressione severa che scrutano la sua figura riflessa alla ricerca di qualche difetto; la sua bocca, invece, piegata in un leggero sorriso lieto di aver finalmente trovato qualcuno con cui sfogarsi.
Poveraccio, chissà se sospetterà di me o si fiderà da subito.
Chiusi gli occhi e feci ripartire il mio treno di pensieri.
"A bordo" sospirai "Prossima fermata: inferno" aggiunsi sotto lo sguardo tosco del tassista riflesso sullo specchietto anteriore.



POV Michael

"Dannazione." sussurrai, mentre camminavo da una parte all'altra della mia stanza in ricerca della mia cravatta.
-Dove è finita?- pensai, in preda all'agitazione: mancava mezz'ora all'incontro e ancora dovevo finire di vestirmi e prepararmi.
"C'è un Girone all'Inferno creato apposta per te, maledetta." dissi guardando con sguardo torvo la sveglia che, proprio quella mattina, aveva deciso di non suonare.
Avevo bisogno di una tazza di caffè, solo dopo sarei riuscito ad andare avanti; così, scesi a fare colazione.



POV Samantha

Pagai il tassista e entrai nell'hotel.
Ci ero già stata, quindi nulla fu nuovo ai miei occhi.
Andai alla reception, consegnai il foglietto che il manager di Jackson mi aveva dato e ottenni le chiavi per la stanza numero 37.
Quando entrai notai con sorpresa che tutto in quella stanza mi ricordava il mio vecchio studio a New York.
Mi sedetti con nostalgia su una poltroncina rosso borgogna e osservai la stanza più attentamente: vicino alla poltrona su cui mi ero seduta era stato messo un lettino dello stesso colore, che ispirava comodità e lusso.
Alle pareti erano stati appesi dei quadri dell'epoca impressionista e nelle grandi librerie vicino ai muri erano stati ordinati libri classici della psicologia.
Il parquet era abbastanza scuro e il tappeti porpora creavano un piacevole contrasto.
Dopo una decina di minuti la porta si aprì, mostrandomi Michael Jackson che, per l'occasione, indossava una camicia rossa, dei pantaloni neri, una cravatta scura e i classici mocassini.
Mi alzai per avvicinarmi e gli strinsi la mano guardandolo negli occhi.
Insicurezza, curiosità e sorpresa; ecco cosa vidi.
Era evidente che non sospettava nulla, mi fece quasi pena.
Mi presentai e lo feci accomodare sulla poltrona, mentre io, in piedi, cominciai a parlare.
"Signor Jackson, volevo ringraziarla per avermi concesso di potermi occupare di lei. Prima di andare avanti, però, ho bisogno di sapere per quale motivo necessita del mio aiuto." dissi con voce autoritaria.
Lui fece un mezzo sorriso, e mi fissò per qualche secondo.
"Perdonami, mi sento costretto a chiederti di non darmi del lei." disse, abbassando lo sguardo.
Io sorrisi, sollevata dal peso di dover trattare una persona palesemente giovane come se fosse un vecchio.
"Come vuoi, Michael." dissi, sedendomi sul lettino davanti a lui.
"Mi sento molto tormentato, man mano che la mia carriera va avanti sento i fantasmi del passato che riaffiorano." riprese lui, guardando per terra mordicchiandosi le labbra a ogni pausa.
"Che tipo di fantasmi?" chiesi.
"Non so, non ricordo nulla del mio passato." mormorò lui.
"Nulla?" domandai, sorpresa.
"Nulla." confermò lui.
"Sai, quando la mente subisce traumi molto forti tende a rimuovere quella parte. La parte eliminata scompare dalle esperienze che riusciamo a ricordare, ma rimane nel subconscio, dove non possiamo trovarla. Ora, se vuoi recuperare le parti eliminate, c'è solo un modo: l'ipnosi. E' un' operazione delicata e potrei svolgerla se ti interessa, ma devi esserne sicuro. Potresti venire a sapere cose che non vorresti sapere. Tieni a mente che, se il tuo cervello l'ha eliminata, evidentemente non era niente che ti facesse stare bene. Riscoprire questo genere di cose potrebbe farti del male se non sei preparato. Per questo motivo, ti chiedo di rifletterci un po'. Va bene?"
Lui mi osservò a lungo; "Molto bene, ci penserò. Come farò a farti sapere che decisione ho preso?"
"Ti lascio il mio numero. Sentiti libero di chiamarmi quando vuoi." dissi, poggiando il mio biglietto da visita sul bracciolo della poltrona su cui era seduto. "Anche alle tre del mattino, se hai una notte insonne e hai bisogno di qualcuno con cui parlare. D'ora in poi io sarò qui a seguirti; ipnosi o no." aggiunsi.
Lui annuì, piacevolmente sorpreso. "Grazie mille Samantha." disse, alzandosi e stringendomi la mano.
"Buona giornata Michael. Spero che tu faccia la scelta giusta," dissi prima di andarmene.



POV Michael

Osservai la ragazza che se ne andava e sospirai rumorosamente quando si chiuse la porta alle spalle.
Era evidentemente una persona sicura di se, sapeva quel che faceva e si aspettava lo stesso comportamento da parte mia.
Ero pronto?




Angolo della scrittrice

Chiedo perdono per la cortezza di questo capitolo, ma di punto in bianco ho deciso di cambiare la struttura di questa storia e quindi questi primi capitoli sono tutti 'introduzioni' alla storia vera e propria.
Comunque, vi ringrazio della pazienza che portate e vi prometto che d'ora in poi sarò più divertente uhuhuhuuh.
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** First Floor: Childhood ***


..........hey! Prima di cominciare questo capitolo ci tenevo a chiarire che qui prende inizio la storia vera e propria, gli altri capitoli erano tipo delle introduzioni per questo momento.
Non voglio spoilerarvi niente, ma ci tengo a chiarire che le parti riguardanti l'ipnosi sono state scritte da me, una semplice ragazzina che ama questo genere di cose ma che, oltre alle pochissime informazioni ricevute da internet e tv, non sa niente a riguardo e scrive con l'obbiettivo di intrattenere e non di fare lezioni di psicologia e ipnosi.
Quindi niente, vi auguro buona lettura e spero di intrattenervi nel migliore dei modi c':






10 Marzo 1988, Giovedì


POV Michael.

Avevo riflettuto per sei giorni su quello che la dottoressa mi aveva detto.
Sapevo di correre un rischio, ma ero arrivato alla conclusione che avevo bisogno di sapere cosa c'era nella mia testa.
Presi il telefono, composi il suo numero stando attento ad averlo copiato bene dal biglietto e chiamai.
"Pronto?" rispose lei, con voce squillante; sentivo un leggero brusio in sottofondo ma non ci pensai.
"Ho bisogno di sapere." dissi d'impulso, estenuato da quel pensiero che mi tormentava da ormai sei giorni.
"Come scusi?" Rimasi un attimo in silenzio. Ero sicuro di quello che stavo facendo?
"Se è uno scherzo non siete divertenti, ragazzini." esclamò lei scocciata.
"No! Non è uno scherzo.. sono Michael Jackson, io volevo parlarti."
Lei tirò un sospiro di sollievo e fece una risatina dall'altra parte della cornetta.
"Ah, scusa, è che spesso mi fanno scherzi idioti. Dimmi, che succede?" disse.
"Io.. ho deciso di farmi ipnotizzare." risposi tutto d'un fiato.
"Ne sei sicuro?" chiese lei, con tono grave.
"Ci ho pensato per sei giorni. Ho bisogno di sapere."
"... Come vuoi, quando vuoi farlo?" sospirò lei, rassegnata.
Come mai tutto questo dispiacere?"
"Domani mattina sei libera?" dissi, rivisitando mentalmente tutti i miei impegni.
"Ehm, si, sono libera tutto il giorno. Riposati stanotte, vai a dormire presto, aiuta. Domani alle dieci nello stesso posto dell'ultima volta. Apposto?"
"Benissimo. Buona giornata Sam." 
"Buona giornata Mike." disse lei ridacchiando prima di riattaccare il telefono.
Arrossii un po' ripensando al modo in cui l'avevo chiamata, non lo avevo fatto apposta e non intendevo mancare di rispetto, ma fortunatamente l'aveva presa sul ridere.
Mi piacerebbe conoscerla personalmente oltre al muro professionale che ci separa.


11 Marzo 1988, Venerdì

"Bella giornata per un' ipnosi, eh?" disse lei ridacchiando mentre entrava nella stanza.
Io sorrisi, guardando fuori dalla finestra: pioveva a dirotto e il cielo era grigio.
"Mia madre è una testimone di Geova ed è molto attaccata alle credenze della religione e alle varie superstizioni di paese. Quando ero piccolo mi diceva sempre che la pioggia sono le lacrime di Dio che piange perchè un suo figlio lo ha tradito. Non ho mai saputo se crederci o no. Tu che ne pensi?" le chiesi, mentre la pioggia ticchettava sul vetro ritmicamente.
Lei rimase un' attimo sconvolta, con gli occhi aperti e il viso pallido.
In quell'attimo mi presi il lusso di guardarla meglio: aveva gli occhi nocciola chiaro, circondati da una sottile linea di trucco nero sulla palpebra. Gli zigomi erano abbastanza alti, il naso nella norma e le labbra carnose e leggermente rosee. Il suo fisico era in carne ma tonico, accentuato dai capelli biondo cenere che, legati in una treccia laterale, si fermava poco sotto il seno.
Era molto bella, anche se non era quel tipo di ragazza che si vedrebbe in una rivista.

"Non so, non credo in Dio." rispose lei, sedendosi davanti a me.
"Come mai no?" chiesi incuriosito.
Lei sorrise, piagando leggermente la testa di lato:"E' una lunga storia, forse un giorno te la racconterò, ma oggi ho bisogno che tu ti concentri su di te, non sui miei problemi."
Scossi la testa annuendo.
"Come funziona l'ipnosi?" chiesi, cominciando ad avvertire un po' di fifa a riguardo.
"Non ti spiegherò tutto nel dettaglio perchè non voglio influenzare il tuo subconscio, ma in base, tutto quello che farò sarà costruire un posto e proiettarlo nella tua testa con le parole, lasciando alla tua mente la possibilità di popolarlo con delle persone." 
"E queste persone ci aiuteranno a risalire al mio trauma?" domandai.
"Si, se il trauma è stato forte il tuo subconscio ricreerà direttamente la scena."
"Bene." sospirai.
"Pronto?" disse lei, alzandosi in piedi e poggiando la sua borsa su una sedia all'angolo della stanza.
Annuii con la testa e mi spostai sul lettino su cui era seduta lei, cercando di mettermi in una posizione abbastanza comoda.


POV Samantha

Ero consapevole della carognata che stavo per compiere, ma dovevo farlo, dovevo andare fino in fondo con l'ipnosi.
"Ascoltami, Michael" dissi, sedendomi vicino al letto dove era steso.
Il suo viso era piegato in un' espressione tesa e i suoi occhi mi scrutavano con ansia.
"Ho bisogno che ti rilassi, altrimenti non posso andare avanti, capisci?" Lui annuì.
"Ti piace il mare, Michael?" 
"Si."
"Bene. Ora ti descriverò una situazione molto piacevole, ok? Voglio che tu figuri le sensazioni che ti descriverò nella tua testa e provi a sentirle sulla tua pelle. Ho bisogno del tuo impegno e della tua più totale concentrazione e calma. Ti consiglio di chiudere gli occhi, ti aiuterà a rilassarti del tutto e a vedere meglio quello che accadrà nella tua mente." dissi, scandendo le parole con voce calma e rassicurante.
Obbediente, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle mie parole.
"Hai gli occhi chiusi ma senti chiaramente il rumore dell'acqua intorno a te. Quando apri gli occhi ti accorgi di stare galleggiando a morto in mare aperto. La spiaggia in lontananza è vuota, l'unico rumore è quello delle piccole onde del mare che ti cullano e il sole riscalda piacevolmente la tua pelle. I tuoi capelli galleggiano nell'acqua fresca, le tue mani sfiorano con i palmi il pelo dell'acqua e ogni tuo piccolo movimento crea un' ondina. Respiri profondamente, l'acqua nelle orecchie ti permette di sentire i tuoi rumori interni e senti chiaramente il tuo respiro cullarti, è tutto perfetto e non esistono problemi per te in quel momento. " 
Vidi la serenità invadere il suo viso, il suo corpo si rilassò e cominciò a prendere dei respiri profondi.
D'ora in poi i suoi pensieri sarebbero stati nelle mie mani, dovevo solo sapere dove indirizzarli.
"Con gli occhi chiusi, cominci a nuotare. Non sai dove stai andando, ma non ti interessa: è tutto perfetto e niente puo' andare storto. Nell'assoluto silenzio, l'unico rumore che senti è quello causato dai tuoi movimenti. Ci sono dei pesci in acqua, non puoi vederli ma sai che ti stanno seguendo visto che ogni tanto uno di loro ti sfiora le caviglie con delicatezza. Dopo qualche minuto di nuotata, senti la sabbia sulla schiena e capisci di essere arrivato sulla riva. Non c'è nessuno, sei solo. Puoi descrivermi cosa vedi, Michael?"
"La spiaggia." rispose lui, con la bocca impastata da quel semi - sonno che conoscevo bene.
"E' lunga e la sabbia è bianca. C'è un palazzo poco lontano da me, è alto e bianco come la sabbia. C'è un ascensore all'entrata."
Ero compiaciuta dalla sua collaborazione: anche sotto ipnosi, aveva preso la cosa sul serio e mi stava descrivendo ogni dettaglio alla perfezione.
"Non c'è nient'altro?" chiesi.
"No, penso di dover andare in quel palazzo."
"Fallo allora."
Rimase un minuto in silenzio.
"Ok, ci sono." riprese all'improvviso.
"Sei nel palazzo?"
"Sono nell'ascensore."
"Cosa vedi?"
"E' uno di quegli ascensori trasparenti. Vedo il mare da una parte e l'interno di un piano del palazzo dall'altra."
"C'è qualcuno nel palazzo?"
"No, è vuoto."
"Ci sono dei pulsanti sulle pareti dell'ascensore?"
Ancora una volta rimase in silenzio e riprese e parlare dopo una manciata di secondi.
"Si, ho premuto il pulsante con il numero uno, sta salendo."
Dopo altri secondi, mi avvisò che era arrivato.
"Vedi l'interno del palazzo? Come è fatto?"
"E' il salotto della mia vecchia casa in Indiana."
"C'è qualcuno?"
"Dei bambini." rispose lui.
"Li conosci?"
"Siamo io e quattro dei miei fratelli. Stiamo cantando e ballando una canzone."
"Ok, Michael. C'è qualcun altro con voi o state giocando da soli?"
"C'è mio padre vicino a noi, ci sta guardando attentamente."
"Vi osserva mentre giocate?"
Cominciai a prendere in considerazione uno dei traumi più comuni: abusi in tenera età da un familiare o amico di famiglia.
Nel frattempo, la faccia del mio paziente era inorridita, mostrando paranoia; il suo respiro era diventato spezzato e irregolare in un attimo.
"Michael, è un sogno, non ti possono fare del male. E' solo un ricordo, tu sei felice, rilassato, ti trovi in una spiaggia e stai guardando una scena che non ti appartiene da molto tempo."
Aspettai che il suo respiro tornasse profondo e regolare prima di continuare a parlare.
"Cosa è successo, Michael?"
"Io.. sono caduto. Cioè, il bambino che vedevo e che era me.. è inciampato mentre provava una parte di ballo. Joseph si è arrabbiato, ha preso la cinghia e ha cominciato a inseguirlo. Ha tentato di scappare, ma lo ha preso e ora lo sta picchiando."
"Perchè lo ha picchiato? Stavano solo giocando." chiesi, un po' confusa.
"No.. loro stavano provando lo spettacolo, lui voleva che fosse tutto perfetto.. io non sono caduto apposta, non volevo essere la causa di tutto."
"Tutto?"
"I miei fratelli hanno cercato di proteggermi.. ero il più piccolo.. ha picchiato anche loro."
"Mio Dio." mormorai. "Michael, stai ancora guardando dentro il palazzo?" domandai poco dopo.
"Si."
"Girati verso il mare e rilassati." ordinai, notando la sua ansia crescere.
"Ok."
"Hai mai parlato con tuo padre di quello che mi hai appena raccontato?"
"No, non parlo molto con mio padre."
"Capito, rilassati e girati verso il palazzo appena ti senti pronto." dissi non appena il suo respiro tornò rilassato come prima.
"Sono sceso di un livello. Ci sono io, adesso. Sono in una stanza grigia, piango. Ci sono dei giornali a terra e dalle finestrelle intravedo delle persone." disse dopo circa un minuto.
"Sono tuoi amici?" chiesi, riferendomi alle persone fuori dalle finestrelle.
"Sono sconosciuti, stanno parlando di me, ma non li sento perchè sto piangendo forte."
"Scendi al prossimo piano." dissi: cominciavo a capire.
"Stanza vuota." disse lui dopo pochi secondi.
"Va bene, ne abbiamo avuto abbastanza per ora. Esci da li e tuffati in mare correndo."
Passò un minuto prima che i suoi occhi si riaprirono.
"Riprenditi un attimo ora, dopo ti parlerò di quello che hai visto." dissi, porgendogli un bicchiere di acqua fresca.




 

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