Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi.

di SynySterina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Give me your hand. ***
Capitolo 3: *** That part of me. ***
Capitolo 4: *** Revelations. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO.



"Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c'è, tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela, io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio." (Alessandro Baricco)



Solo crescendo ho capito a cosa serve avere un letto a due piazze anche se si dorme da soli: a dimenarsi durante gli incubi e crogiolarsi nella propria solitudine senza fare del male a nessuno.
I miei respiri affannosi, nella notte, riempiono la stanza in cui passo gran parte del mio tempo già di per sé piena zeppa di cose che parlano di me: una chitarra adagiata sul pavimento, poster di band sulle pareti, scaffali che quasi cedono sotto il peso dei numerosi libri di narrativa e scolastici che ho collezionato per tutta la mia vita, una sontuosa bacheca dove sono esposti vari trofei che ho guadagnato durante la mia infanzia praticando vari sport, una grande scrivania dove studio e dove c'è il mio computer ovvero la mia finestra sul mondo, il plasma appeso al muro che occupa quasi un'intera parete e un'enorme cabina armadio che sta per esplodere per l'immensa quantità di scarpe, borse e vestiti che possiedo.
Tutte queste cose servono a riempire il vuoto che ho dentro, o almeno così ho sempre pensato vedendo i miei genitori gonfiare la mia stanza ad ogni mia piccola crisi, come se una cosa potesse sostituire un abbraccio, un sorriso, un litigio... Una qualsiasi emozione. 
L'ennesimo incubo mi ha fatto sussultare anche stanotte e delle goccioline di sudore bagnano la mia fronte e il mio viso sconvolto dai brutti pensieri che affollano la mia mente. Mi alzo dal letto scansando le lenzuola di seta che mi avvolgevano e mi dirigo nel mio bagno privato dove mi aspetta la brutta copia di me allo specchio. 


< Quando pensi di laurearti? Ci stai mettendo una vita! Hai 22 anni e dovresti pensare anche a trovarti qualcuno che ti stia accanto! Cosa credi che la gioventù duri per sempre? Hai già un carattere particolare, non ti vorrà nessuno se continui a comportarti così! Se non ci pensi tu lo sai che lo farò io! C'è quel Thomas che è tanto carino e i suoi genitori hanno quello yacht enorme... Sarebbe bello passarci l'estate tutti insieme!

Queste parole di mia madre risuonano a gran voce da troppo tempo sia durante il giorno che nella notte e i brividi di orrore percorrono inevitabilmente il mio corpo. Quella donna non fa altro che tormentarmi da quando sono nata, mi sta facendo vivere la vita che avrebbe voluto lei senza preoccuparsi di quello che voglio, come se fossi la sua Barbie. Non riesco a biasimarla nemmeno più di tanto, mio padre l'ha risollevata dalle rovine della sua famiglia e per quel poco mi hanno raccontato non ha passato un'infanzia felicissima.
Apro il rubinetto e mi bagno il viso quasi violentemente schiaffeggiandomi con l'acqua, mi riguardo nello specchio e i miei occhioni neri sono cerchiati dalle occhiaie segno delle notti tormentate dall'ansia e i lunghi capelli castani arruffati vengono subito domati in una coda, un ultimo sguardo alla triste e spaventata me e mi dirigo di nuovo verso il letto.



*IL MATTINO SEGUENTE*



<Signorina si svegli! Sono le 9 e i suoi genitori la stanno aspettando al piano di sotto per la colazione!> esclama a gran voce Esme mentre apre il balcone della mia camera per far entrare la luce del giorno, è la domestica con la quale sono cresciuta ma nonostante tutto continua a darmi del lei e non riesce a mostrarmi un briciolo di affetto.
Non riesco nemmeno a risponderle e ancora assonnata dopo essermi per un po' stiracchiata e strofinata gli occhi mi avvio verso l'uscita della mia camera. Mi aspetta la grande scala per accedere al piano inferiore e scalino dopo scalino sento le gambe tanto pesanti quanto la testa che ciondola da una parte all'altra, nemmeno il tempo di arrivare alla fine che la voce squillante di mia madre e la sua figura attirano la mia attenzione.
<
Ma sei ancora in pigiama??? Non dovevi andare in biblioteca oggi? Possibile che devo mandare sempre qualcuno a chiamarti? E in più ancora devi fare colazione!> punta il dito contro di me.
<
Buongiorno anche a te mamma.> borbotto, passandole accanto e sfiorandole la spalla, non riesco ad aggiungere altro.
Arrivo in sala a pranzo e trovo la figura di mio padre seduta a tavola e completamente coperta dal giornale.
<
Buongiorno papà> quasi sussurro, senza aspettarmi che si scomodi a guardarmi negli occhi.
<
Buongiorno tesoro> mi risponde senza muoversi di un millimetro, prevedibile.
Il lungo tavolo è apparecchiato non per tutta la sua lunghezza ma quel poco che basta per tre persone, un vassoio di pancakes e uno di frutta fresca, una caraffa di latte e una di spremuta d'arancia e del caffè. Nemmeno il tempo di sedermi che mi fiondo sul vassoio di pancakes afferrandone due e addentandoli come se non mangiassi da una vita, per poi versarmi della spremuta e riuscire a bagnarmi la mano e il viso. La scena è osservata da mia madre che mi fissa sulla soglia della sala.
<
Ma ti pare il modo di mangiare? Sei un camionista per caso? Mi sembra di averti insegnato le buone maniere.> il suo tono è duro e il suo sguardo quasi disgustato.
<
Hai ragione mamma, scusami.> il mio tono è stranamente dimesso, ma questo proprio perché stamattina non ho voglia di intavolare una discussione riguardo le buone maniere con mia madre. Non ho voglia di discutere con nessuno oggi. 
La mia colazione dura giusto il tempo di sentire lo stomaco pesante come la testa ed esco dalla sala da pranzo accompagnata dagli sguardi indecifrabili dei miei genitori.
Corro questa volta per le scale consapevole del mio ritardo e in un baleno mi ritrovo in camera mia completamente riordinata da Esme che adesso si troverà a fare pulizie in chissà quale altra stanza. Mi avvicino alla cabina armadio ed entrandovi il mio sguardo comincia a perdersi tra i vari capi e l'indecisione.
<
Oggi non fa particolarmente freddo...> dico tra me e me scorrendo con le mani tra i vestiti appesi, fino a che il mio sguardo si posa su di una camicia a quadri rossa e nera abbastanza lunga da poter essere indossata con dei leggings neri. 
<
Bingo!> esclamo, afferando la camicia, i leggings, la biancheria pulita e un paio di converse all star nere per poi dirigermi verso il mio bagno. Una doccia è proprio quello che mi serve per rigenerarmi e lavare via un po' di pensieri così mi lascio coccolare dal getto tiepido dell'acqua e dalla grande quantità di schiuma che cosparge il mio corpo. Canticchiando una stupida canzoncina di uno spot non ci metto molto a risciacquarmi, uscire dalla doccia e ad asciugarmi nel mio caldo e morbido accappatoio per poi cospargermi di borotalco e sentirmi più leggera. Indosso poi l'outifit che ho scelto e i capelli li asciugo alla meno peggio, tanto essendo ondulati non hanno bisogno di una gran cura, passo una mano sullo specchio appannato così da potermi truccare: eyeliner, matita nera, rimmel e niente più. 
Esco dal bagno come rimessa al mondo, mi guardo un'ultima volta al grande specchio della mia camera per poi afferrare la giacca di pelle con delle borchie sulle spalle e lo zaino nero contenente tutto l'occorrente per la giornata di studio, così lascio la mia camera. Scendendo di fretta le scale scorgo le figura di mio padre che passeggia nell'ingresso impegnato in una telefonata, sicuramente di lavoro.
<
Hey papà, sto andando in biblioteca... Riferisci alla mamma che forse non tornerò per pranzo.> lo guardo per poco aspettandomi un suo cenno e solo quando alza la mano capisco che ha ricevuto il messaggio, così posso finalmente varcare la soglia di questa enorme villa che piano piano mi sta risucchiando la vita.
Percorro in fretta il lungo viale che porta ai capannoni dove ci sono le auto e un sorriso fa capolino sul mio viso appena scorgo la mia Lamborghini nera, regalo fatto dai miei genitori per il diploma. Estraggo le chiavi dallo zaino e apro la macchina per poi metterla in moto e uscire dall'imponente cancello della villa che porta le iniziali di mio padre.
Una volta in strada apro il finestrino e l'aria quasi primaverile e pungente di Huntington Beach invade parte del mio viso e della mia chioma, lasciandomi un senso di libertà che riesco a provare solo quando varco la soglia di casa. Gli occhi li tengo fissi sulla strada e il piede preme forte sull'acceleratore, un po' perché amo la velocità e il senso di potenza che mi dà questa macchina, un po' perché sono davvero in ritardo. Solo quando la biblioteca compare sulla mia destra e scorgo un parcheggio vicino mi sento più tranquilla.
Parcheggiata la macchina ed essendomi controllata un'ultima volta attraverso lo specchietto, ripongo le chiavi in una taschina della camicia e percorro il viale per arrivare all'ingresso della biblioteca. Più avanti però, attirano la mia attenzione delle figure rumorose: operai. A quanto pare proprio oggi dovevano iniziare i lavori per sistemare il viale e l'esterno della biblioteca. Il martello pneumatico mi rimbomba nella testa così il mio passo aumenta di molto quasi stessi scappando e mi volto un'ultima volta verso quel gruppo per lanciare loro un'occhiataccia, infastidita da tutta questa situazione.
Finalmente arrivo alla porta di ingresso a spinta e mentre poso una mano su di essa mi accorgo che una estranea si è posata sulla mia spalla. Mi giro di scatto e sul volto si dipinge un'espressione spaventata.
<
Signorina si calmi, non sono un maniaco... è solo che poco fa le sono cadute queste!> un uomo con un caschetto giallo in testa e dei grandi guanti da lavoro tiene con la destra le chiavi della mia macchina che a quanto pare mi sono cadute dalla tasca senza nemmeno accorgermene. 
Guardo le chiavi per un attimo ma la mia attenzione viene subito catturata dal viso di quest'uomo dai lineamenti perfetti: zigomi marcati, naso dritto, labbra fini e così belle da sembrare disegnate nemmeno la polvere riesce a nascondere tanta bellezza. Il fisico che sembra allenato è nascosto da una tuta blu da lavoro impolverata anche essa, dove campeggia il logo dell'azienda e sulla sinistra quello che sembra essere il suo nome "Brian H."
Non riesco a proferire parola e non so cosa mi stia succedendo, è come se il fascino di quest'uomo mi avesse cementato la bocca e la testa sembra essere volata altrove.
<
Principessa, senza il suo cavallo non può andare da nessuna parte...> fa ciondolare le chiavi davanti ai miei occhi ed essendosi accorto della marca della mia auto un luccichio illumina i suoi occhi scuri, mi rivolge un sorriso che mi brucia... Di una bellezza devastante.
<
Grazie...Io...Io non so come sdebitarmi> riesco a dire balbettando dopo aver trovato queste parole chissà dove. In questo momento mi sento una tale idiota eppure io sono il tipo dalla risposta pronta e brillante, la ragazza che riesce sempre a cavarsela, ma adesso mi sento senza difese.
<
Che ne dice di offrirmi un caffè per iniziare?> chiede l'uomo con savoir faire e il sorriso stampato sul volto, lanciandomi un'ultima stoccata nella mia armatura. 
<
Volentieri.> rispondo, chiedendomi cosa ci sia nel mio stomaco in questo momento. Farfalle? No, sono panzer tedeschi.

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Capitolo 2
*** Give me your hand. ***


GIVE ME YOUR HAND. 

 




"Non esiste momento più bello, all'inizio di una storia, di quando intrecci le dita in quelle dell'altra persona e lei te le stringe. Ti stai affacciando su un mare di possibilità."
(Massimo Gramellini)









Tengo strette le chiavi più che posso nella mia piccola mano e lo sguardo basso mentre attraverso l'ingresso della biblioteca seguita dall'uomo in "uniforme", risuonano i suoi passi nella mia testa amplificati da quegli scarponi da lavoro malandati che riescono a coprire a malapena il battito accelerato del mio cuore. Questo cuore che si limitava a fare il minimo sindacale fino a stamattina, ma che adesso sembra un animale affamato e in trappola pronto a squarciarmi il petto con i suoi artigli e a prendere il controllo. Mi stringo forte la camicetta all'altezza del petto come per calmare la bestia e mi rendo conto solo adesso che non ne sono capace, non ho mai avuto a che fare con emozioni vere a parte l'ansia e questa sembra una cosa del tutto diversa. Cerco di analizzare battito dopo battito quello che sento: euforia, confusione, paura, eccitazione e altre piccole sfumature che non riesco a cogliere. Sono sempre stata l'attrice di me stessa e adesso senza il mio copione non so proprio che fare. Fortunatamente l'uomo è dietro di me e non si accorge del mio vano tentativo di calmarmi.
Adesso devo solo provare a ragionare. 
Arriviamo davanti all'area ristoro fermandoci entrambi, me lo ritrovo accanto e il fatto che nessuno dei due abbia pronunciato una sillaba non mi rende affatto tranquilla. Nonostante questo prendo coraggio e apro bocca. 
< Vengo spesso qui e il caffè è buonissimo. > il tono non è convincente come lo avevo provato in testa e il mio io interiore mi dà uno schiaffetto "educativo" facendomi rendere conto della banalità della mia affermazione. Strizzo gli occhi come se quel dolore lo avessi avvertito davvero.
< Eppure lei non mi sembra un tipo da biblioteca pubblica. La immagino seduta su di una poltrona in pelle al centro di una di quelle sale lettura in una lussuosa villa... > afferma senza esitazioni e tutto d'un fiato l'uomo, che adesso cerca il mio sguardo in attesa di una conferma da parte mia.
La sua affermazione mi fa quasi male dato che ho sempre cercato di combattere contro la mia vita a cinque stelle, ma il logo della Lamborghini sulle mie chiavi gli è rimasto impresso e a quanto pare mi avrà già inquadrato in chissà quale stupido stereotipo. Per non parlare poi del suo darmi del lei che mi sta dando fastidio, perché mi fa sentire vecchia e a disagio su di un piedistallo. Questa frecciatina, voluta o no, così come il "lei" che sicuramente è una sottile forma di cortesia ma che non riesco ad accettare, mi risvegliano dalla confusione che ho in testa e in petto giusto il tempo di formulare una risposta.
< Piacere, mi chiamo Ishtar e anche se ho una Lamborghini questo non fa di me una piccola snob spocchiosa > allungo la mano e afferro quella dell'uomo che indossa ancora il guanto impolverato, la stringo più che posso scuotendola senza il suo "permesso" e mi rendo conto di quello che ho fatto solo quando lui scoppia in una risata. Se prima non riuscivo a fare nulla, adesso mi sembra di essermi spinta persino oltre. Che la piccola bestia sia riuscita a scappare?
< Il mio nome è Brian, piacere tutto mio Principessa Ishtar. > risponde ridacchiando l'uomo che tiene ancora la mia mano nella sua e improvvisa un baciamano con mezzo inchino incollando i suoi occhi scuri ai miei. Lo guardo a mia volta ma incredula e perplessa e quando mi lascia la mano mi sento ancora più strana, un po' più vuota. Vorrei sorridergli almeno cortesemente, ma so già che se ci provo comparirebbe sul mio viso una smorfia e a rendermi ridicola ai suoi occhi a quanto pare ci sono già riuscita alla grande, così indossando una maschera di sicurezza, gli faccio strada e mi siedo per prima ad un tavolino in ferro battuto non troppo lontano dal bancone così che il cameriere ci possa subito raggiungere e servire. Brian mi segue e si siede di fronte a me, già il fatto che non abbia provato a spostarmi la sedia per farmi accomodare, come fanno tutti, mi consola.
< Spero che lei non se la sia presa, non era mia intenzione offenderla... > afferma Brian con uno sguardo dispiaciuto, molto probabilmente si è accorto della mia reazione e l'ha interpretata nel più negativo dei modi, anche se continua a darmi del lei.
< Non darmi del lei... > gli riesco a donare un sorriso per sciogliere la tensione che si è creata < Ciao, il mio nome è Ishtar > gli porgo la mia mano, ma stavolta attendo che sia lui a porgermi la sua. A volte fare un passo indietro è la scelta più sensata e mi diverte constatare che ora lo sguardo incredulo è il suo.
Lo osservo mentre si leva quei guanti ingombranti dai quali escono delle dita affusolate e tatuate. Che ne abbia altri di tatuaggi? La cosa mi intriga parecchio e quella tuta blu nasconde completamente la sua pelle così da lasciarmi con questo interrogativo in testa che scatena nuovamente in me il caos. Non so ancora se mai rivedrò quest'uomo eppure il mio unico desidero adesso è di scoprirlo. Scoprire ogni cosa di lui: se ama stare da solo o è il tipo che fa sempre festa, se fuma, se beve, cosa beve e cosa ama mangiare, cosa odia e ama di una persona, com'è la sua famiglia, cosa gli piace fare quando non lavora, ecc...
E soprattutto, se c'è un posto anche per me tra le cose che gli piacciono.
< Ciao Ishtar, sono Brian e a quanto puoi vedere sono tutto tranne uno snob spocchioso. > sfoggia quel sorriso letale e avvicina la sua mano alla mia per poi prenderla e stringerla con fermezza. 
Sento come un crack in me. Qualcosa si è rotto eppure non fa male. Una crepa nella mia sfera di cristallo.
Seguo con lo sguardo la sua mano che sia allontana dalla mia e si posiziona sotto il suo mento, riesco poi a leggere a malapena la scritta "Marlboro" divisa sulle due mani e un piccolo interrogativo trova la sua risposta. Inevitabilmente si accorge del mio sguardo curioso.
< Molto da duro non trovi? > mi domanda avvicinando i pugni chiusi verso di me e mostrandomi al meglio quel suo tatuaggio con l'espressione parecchio compiaciuta.
< Insolito direi... > gli rispondo mordicchiandomi il labbro inferiore, sono piuttosto in imbarazzo dato che mi ha colta in flagrante. 
Dovresti vedere gli altri. > aggiunge, abbassando i pugni e poggiandoli sulla superfiecie del tavolino ancora stretti, mentre sorride a mezza bocca.
Io intanto pur di non rimanere fissa e in silenzio a fantasticare su quel viso mi guardo attorno in cerca del cameriere che mi levi da questo imbarazzo almeno per un attimo e ticchetto le dita sul tavolo nervosamente.
< C'è qualcosa che non va? Mi sembri nervosa... E tremi. > afferma quasi sussurando Brian mentre la sua mano diventa una morsa che ferma la mia. 
A fatica riesco a liberarla e la passo tra i lunghi capelli < Nervosa io? Non ho motivo, figurati. > Bugia, bugia, bugia. < Stavo cercando il cameriere o il barista, ma stamattina sembra non esserci nessuno. > mi mordo il labbro ed evito il suo sguardo, quando finalmente riesco a scorgere la figura di qualcuno posizionarsi dietro il bancone. < Aspettami qui, ci metto un attimo. > dico a Brian gesticolando e alzandomi per raggiungere il bancone. Senza accorgermene tiro un sospiro di sollievo quando mi lascio l'uomo alle spalle e mi trovo a distanza "di sicurezza". 
< Due caffè macchiati e... > i miei occhi scorrono sulle brioches in bella mostra < E un muffin al cioccolato. > non so nemmeno i suoi gusti ma azzardo < Me li può portare a quel tavolo lì? > chiedo gentilmente al barista indicando il tavolo dov'è seduto Brian che giocherella con un tovagliolo. < Ma che carino, con quell'aria spensierata. > penso. Ma che penso? Cosa mi prende? 
Scuoto la testa come per allontare il mio ultimo e scomodo pensiero e ritorno al mio posto senza dare troppa attenzione al barista che aveva annuito alla mia richiesta. Mi siedo sotto lo sguardo vigile di Brian che percorre quasi ogni centimetro del mio corpo e sembra essere pronto a dire qualcosa.
< Quanti anni hai? > mi domanda dal nulla e inevitabilmente si riprende la mia attenzione. 
<  22... > Non era poi così difficile rispondere e vorrei che il suo non sia un semplice conversare ma un vero e proprio interesse nei miei confronti. < ...E tu? > gli domando a mia volta inclinando la testa.
<  Pensavo molti di meno... Io 33, portati benissimo. > risponde con l'aria da gradasso. 
11 anni ci dividono e chissà quante altre cose. 
E la Lamborghini è tua o di paparino? Vorrei proprio farci un giro. > aggiunge subito dopo con un sorriso beffardo, facendomi infuriare e ricredere in un istante sulle sue scuse. Avrei voluto tanto alzarmi e tirargli un sonoro ceffone su quel suo bel visino ma il pensiero di rovinarlo e l'arrivo di un cameriere mi trattengono.  
<  Ecco a voi. > il cameriere posa il vassoio con le nostre ordinazioni e il conto sul tavolino e attende che qualcuno lo saldi.
< Grazie. > gli dico sorridendo, frugo nello zaino ed estraggo una banconota da venti dal portafoglio. < Tenga il resto. > lo liquido così per poi dedicare il mio sguardo e le mie parole a Brian.
< La Lamborghini è un regalo, quindi tecnicamente è mia. > gli lancio un'occhiataccia, ma sorvolo sulla questione del giro così come sulle folli idee che ho a riguardo, del tipo assecondare il suo desiderio.
Brian dà molta più importanza al caffè, in questo momento, che alla mia risposta tant'è che non sembra nemmeno ascoltarmi preso com'è dall'usare il cucchiaino. 
< Guarda che anche il muffin è per te. > dico indicando il dolcetto invitante e sperando di riavere la sua attenzione.
Solo dopo aver accompagnato la tazzina alle labbra sottili e sorseggiato un po' di caffè socchiudendo gli occhi, li riapre e punta su di me. 
< Avevi ragione è buonissimo e anche se sono abiutuato a prenderlo amaro, macchiato non mi dispiace. > sembra dire il vero mentre sorseggia nuovamente e per l'ultima volta il caffè che si è ampiamente meritato. < Ah grazie del bonus! Devi proprio tenerci a quella macchina per offrirmi anche un muffin! Chissà cosa avrei potuto ricevere se ti avessi ritrovato il gatto! > una scintilla illumina quello sguardo malizioso, difficile non capire cosa voleva intendere con questa supposizione.
Il mio viso va in fiamme alla sola immagine delle sue mani tatuate che sfiorano il mio corpo. Afferro la tazzina davanti a me e bevo il caffè troppo caldo tutto d'un sorso senza nemmeno zuccherarlo. In questo momento avrei preferito della vodka liscia con ghiaccio ad anestetizzarmi.
A Brian non sfugge la mia reazione e divertito addenta il muffin, ma non commenta. Almeno per ora. In qualche modo devo evitare che lo faccia per non trovarmi intrappolata in questo turbine d'imbarazzo così inizio a parlare di altro.
< Per quanto dureranno i lavori qui? > gli chiedo schiarendomi la voce e aggrottando leggermente la fronte con fare serioso.
< Che c'è, già ti sei stancata di me? > mi chiede inarcando il sopracciglio e masticando un boccone di muffin. La sua aria è piuttosto buffa.
Ma è possibile che io non mi sia accorta che la domanda poteva essere equivoca prima di formularla? Proprio nel momento in cui penso di poterne uscire, mi ci trovo sempre più dentro.
< Non prenderla sul personale, ma il rumore che farete tutto il giorno non mi farà studiare nemmeno una pagina. > dico sinceramente e con l'aria pensierosa. Solo questo incontro non mi farà concentrare per un bel po' a pensarci meglio.
< Tranquilla non mi offendo, ma sai com'è ci pagano un bel po' per fare questa confusione. > risponde Brian grattandosi il mento per poi aggiungere < Ora che ci penso... Conosco il posto che fa per te: silenzioso e isolato... Ma abbiamo bisogno della Lamborghini. >
Abbiamo? Se prima mi preoccupavo delle mie intenzioni ora sono decisamente allarmata dalla sue. Sgrano gli occhi senza rispondere.
< Hey, non ho intenzione di farti a pezzi e buttarti nel primo cassonetto... Dammi la mano e lasciati guidare da me. > conclude in attesa di una mia risposta, alzandosi e posizionandosi di fronte a me porgendomi la sua mano.
E ora che faccio? Le gambe mi tremano e sto tormentando il mio labbro inferiore mordendolo nervosamente.
Quella mano è il mio mare di possibilità adesso, la fuga che cercavo. Sta solo a me decidere se comportarmi come ho sempre fatto seguendo il copione e rimanere intrappolata nella mia sfera di cristallo o gettarmi in queste acque ignote.
Deciso. E forse non troppo coscientemente. 
Afferro quella mano senza dire una parola e mi alzo dalla sedia portando con me il mio zaino e l'ansia di sempre. I nostri sguardi si incrociano e nel suo cerco un po' della sicurezza che mi manca. 
Non dice nulla, ma mi stringe sempre più forte la mano.
Le nostre due figure si allontanano dall'edificio.

 

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Capitolo 3
*** That part of me. ***


THAT PART OF ME



 


" Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante. "
Paolo Giordano





 
Ed ecco, qualche momento prima entravamo nella biblioteca da completi estranei e adesso ne usciamo, insieme, mano nella mano.
Non so esattamente cosa sta succedendo ma tra la sensazione di camminare sulle nuvole e l'udito ovattato una cosa è certa: mi sento leggera, è come se avessi preso la sua mano e abbandonato tutto il resto. 
I miei occhi sono fissi sulle nostre dita intrecciate mentre percorriamo il viale esterno dell'edificio, quando una volta arrivati in prossimità degli altri operai una voce ci ferma di colpo.
< Hey Gates! > urla un uomo con il martello pneumatico < Molla la tua ragazza e vieni a darmi una mano!>.
Il mio volto s'infiamma a quelle parole e a Brian non sfugge nulla.
< Fai bene a non truccarti le guance... Sono così naturalmente rosse! > sorride e mi tira sù il mento con l'indice, costringendomi a guardarlo negli occhi < Vado a sistemare le cose dai ragazzi e torno, ci metto un attimo, promesso. > strizza l'occhio e molla la mia mano e il mio viso.
Annuisco come una bambina dopo una bella strigliata dai suoi genitori e osservo l'uomo allontanarsi da me a passi svelti.
< Rimani lì e non scappare! > grida voltandosi verso di me e indicandomi, ormai abbastanza lontano da non riuscire a decifrare la sua espressione.
Questa scena mi strappa un sorriso, così come guardare Brian che scherza con i suoi colleghi e tenta di spiegargli come utilizzare al meglio uno di quei tanti arnesi infernali che non fanno altro che spaccarmi i timpani. 
Ci metto poco a tapparmi le orecchie e nonostante i nuvoli di polvere che si alzano e i rumori assordanti non perdo di vista un attimo Brian che dopo aver parlato all'orecchio di un uomo in giacca e cravatta, sparisce dietro la porta di un container poco più lontano.
Batto il piede a terra mentre i minuti passano e Brian non sembra uscire di lì < Che mi abbia preso in giro? > subito questo pensiero riempie la mia testa, come al solito il mio lato negativo prevale e si prende gioco di quel po' di speranza che tengo stretta. Mi mordicchio le unghie smaltate di rosso, tentando di scalfire non solo il colore ma anche un po' d'ansia, senza riuscirci ovviamente.
Strizzo gli occhi quando finalmente una figura esce da quella porta, riesco ad analizzarla al meglio solo quando è ormai a pochi passi da me.
Capelli neri corvini tenuti dietro dal gel, quei lineamenti perfetti non più coperti dalla polvere, maglietta bianca con collo a V dal quale si intravede un altro tatuaggio e il petto pronunciato frutto sicuramente di duri allenamenti in palestra, giacca nera di pelle, pantaloni neri a sigaretta e anfibi.
Brian ha abbandonato la sua uniforme per lasciare me a bocca aperta. 
Guardarlo senza quell'involucro continua a stupirmi sempre di più, è come se trovassi di volta in volta un pezzo del puzzle che mi serve. L'immagine piano piano sta uscendo. E dire che mi piace quello che vedo è riduttivo.
< Senza parole. > esclama con fare compiaciuto allargando le braccia e guardandomi come se avesse centrato in pieno i miei pensieri. 
< Vero, ma solo in parte. Tutto questo tempo per farti bello?!? > di parole ne ho fin troppe e fingere di essere infastidita dal suo "ritardo" incrociando le braccia al petto è l'unica cosa che mi viene in mente per evitare di gridargli in faccia quanto sia bello ai miei occhi.
< Dal tuo sguardo si direbbe che ne è valsa la pena... > ribatte avvicinandosi a me e cingendomi i fianchi con un braccio per poi aggiungere < Ma non ci perdiamo in chiacchiere Principessa, portami dal tuo cavallo. Abbiamo un po' di strada da fare
Tremo quando la sua mano sfiora il mio fianco ma la parte risoluta di me afferra quella di Brian e l'allontana per poi stringerla e tirare l'uomo < Seguimi > il tutto accompagnato da un gran sorriso.
Corro per qualche metro e trascino Brian che sembra divertito, mi piace il vento tra i capelli e sentirmi infantile ogni tanto. Tante sono le volte in cui penso di essere cresciuta troppo in fretta, di essere passata da zero a cento bruciando tanti di quei momenti che oggi ho deciso di riprendermi e viverli in compagnia di questo sconosciuto.
Arriviamo davanti l'auto con un po' di fiatone e con la mano libera la indico < Ecco il mio cavallo... Veramente sono più di uno. > nel mio tono c'è tanta soddisfazione, infondo è pur sempre il mio gioiellino tutta velocità e potenza.
Brian però non si sofferma sulle mie parole e prendendomi di sorpresa mi incastra contro la macchina con il suo corpo < E ora a me le chiavi > la sua voce non tradisce nessuna particolare emozione, sembra tutto d'un tratto essersi trasformato in un altro.
Questo suo gesto e gli occhi improvvisamente spenti mi spaventano e non poco, il mio tremore adesso è dovuto solo alla paura.
Nel constatare la mia reazione l'uomo non decide di lasciarmi, anzi, afferma i mie polsi portandoli entrambi sopra la testa. Il mio sguardo viaggia da un parte all'altra in cerca di aiuto, vorrei poter gridare ma nonostante la mia bocca sia aperta non ne esce alcun suono e la sua stretta si fa sempre più forte.
< Da brava, dammi le chiavi... > mi sussurra all'orecchio per poi posarvici le labbra fredde.
In che guaio mi sono cacciata? Cosa mi è saltato in mente? E perché non riesco a fare nulla? Dovrei solo assecondarlo? 
Scuoto la testa così forte per scansarlo che lo colpisco in pieno viso, sul naso precisamente. Sento la sua presa mollare e lo vedo allontanarsi di poco da me con una mano sul naso. 
Delle gocce di sangue colorano l'asfalto.
La vista di quel rosso mi inorridisce e allo stesso tempo scatena in me un senso di preoccupazione. Mi avvicino a Brian che poco fa sembrava volesse farmi del male e che adesso è così indifeso, seduto a terra con il viso tra le mani e la maglia non più così bianca.
Piange.
Mi ritrovo in un turbine di eventi e di emozioni, sballottata da una parte e dall'altra ed emotivamente dolorante. Ma non ho più paura come prima. I ruoli si sono invertiti in attimo.
Mi siedo a terra accanto a lui e gli prendo le mani nonostante cerchi di coprirsi, non oppone resistenza per molto e questa nuova immagine di lui che ho davanti mi strazia il cuore.
Quegli occhi neri e così vivi ora sono rossi e affogati dalle lacrime, colmi di sofferenza, sensi di colpa e di un segreto.
Prendo dallo zainetto delle salviette umidificate e pulisco alla meglio quel viso e quelle mani che portano le conseguenze del mio gesto. E del suo. Non una parola per ora, ma solo sguardi che si rincorrono e sospiri, i miei, sovrastati dai suoi singhiozzi.
I suoi pugni si stringono, sembrano pronti a colpire qualcosa ma rimangono immobili a terra come il suo sguardo. 


 






BRIAN'S POV



Le risate, i sorrisi, il suo profumo, la sua voce calda, quel corpo così giovane e sinuoso, la spensieratezza e poi...
Il black out.
Volevo smetterla con quelle pillole, le avevo fissate a lungo nello spogliatoio e lasciate lì. Per un giorno volevo dimenticarmi di quello che succede nella mia testa, di quella parte di me che esce fuori senza il mio permesso e distrugge tutto quello che ho intorno, delle sedute dalla psicoterapeuta, della mia ex moglie, della mia ex vita...
Eppure stamattina non appena il primo sole aveva sfiorato il mio viso avevo addosso la voglia e la forza di ricominciare tutto, come se la depressione e la rabbia fossero scomparse. 
E poi quell'incontro, altra luce
Sembrava davvero per me essere arrivato il momento di riprendere in mano la mia vita e di vivere qualcosa di nuovo, qualcosa di migliore.
Ma è proprio in questi momenti di pura e semplice felicità che LUI bussa alla mia porta, come se fosse geloso di quello che mi sta succedendo, come se non meritassi altro che sofferenza e solitudine. 
Ed eccolo che in un attimo esce fuori di me violentemente e la stringe, troppo forte. La spaventa. E spaventa anche a me, ancora una volta.
Tutto succede sempre così velocemente da lasciarmi stordito ed incredibilmente vuoto, ma non stavolta.
Vedo lo sguardo impaurito di Ishtar che mi supplica di lasciarla andare, sento il suo tremare, il fiato corto, il suo colpo in pieno in viso, il sangue che mi scorre dal naso, le lacrime calde dagli occhi e la testa che gira vorticosamente.
Nonostante abbia appena visto la parte peggiore di me Ishtar è ancora qui che mi ripulisce amorevolmente, la lascio fare mentre cerco un modo per spiegarle cosa diavolo sia appena successo.
Vorrei non guardarla di nuovo negli occhi per vederla soffrire, ma sento che glielo devo, deve sapere subito quello che sono.
< Si chiama disturbo bipolare. > non mi è mai piaciuto girarci intorno alle cose e queste poche parole pesano nel silenzio.
Non le stacco gli occhi di dosso un attimo e mi sorprendo quando vedo le sue mani prendere le mie e stringerle. Sul suo viso compare una smorfia, un po' buffa ma rassicurante.
< Quello che hai visto prima non sono io... Cioè sono io, ma non ero in me. Qualcosa scatta nella mia testa, all'improvviso, e non sono più padrone di me stesso. E quando mi ritrovo a raccogliere i pezzi di quello che ho distrutto senza volerlo è anche peggio. > tutto d'un fiato, anche se la voce mi trema. 
In questo momento vorrei entrare nella testa di Ishtar e sapere cosa sta pensando di me perché non dice una parola, annuisce e il suo sguardo non riesce a sorreggere il mio. 
L'unica cosa che ci tiene uniti adesso sono le nostre mani. 
< Non avrei mai dovuto trascinarti in tutto questo, ma non è troppo tardi. > vorrei non dover continuare questa frase, ma non devo pensare a me adesso < Torna in biblioteca o a casa e dimenticati del nostro incontro, dimenticati di me. Non sarà difficile, sono un nessuno. >
La ragazza lascia le mie mani, si alza e comincia a frugare nello zaino e perplesso seguo le sue mosse. Forse sta davvero andando via, così lascio che il mio sguardo catturi ogni suo dettaglio per non dimenticarlo: la lunga chioma castana, le labbra carnose e rosse, gli occhi scuri e profondi contornati da lunghe e folte ciglia, quel corpo piccolo ma formoso.  
Rimango seduto e la guardo ancora un po' cercando di non lasciar trasparire nulla, ma il paio di chiavi a me ormai familiare mi dondola davanti agli occhi.
< Su Brian, alzati, non dovevi portarmi da qualche parte? Ti ricordo che devo studiare e si è fatto già abbastanza tardi. > il tono squillante di Ishtar mi risveglia dalla mia malinconia e anche se l'incredulità ha preso il sopravvento tra le tante emozioni mi alzo davanti a lei e afferro quello chiavi. 
Mi guarda e si scioglie in un sorriso mentre si avvicina alla portieria dell'auto. Rimango fermo ancora due secondi a pensare a quando poco tempo fa le ho offerto la mia mano chiedendole di seguirmi. 
E nonostante quello che è successo... Ha scelto di fidarsi di nuovo di me.













 

NOTE DELL'AUTRICE

Salve lettori, se ci siete! 
Sono una novellina per quanto riguarda le ff e avrei proprio bisogno di una mano... Vorrei che esprimeste il vostro parere riguardo la storia, lo stile, la lunghezza dei capitoli, insomma tutto! Fatelo come meglio credete (contattatemi in privato, lasciate una recensione, ecc...) ma fatelo xD Ho bisogno di crescere e confrontarmi sotto questo punto di vista e vorrei avere altri critici oltre me stessa :) Dal contatore ho visto che in tanti avete letto il prologo e il primo capitolo e di questo ne sono più che contenta, grazie! Detto questo aspetto i vostri consigli e spero di postare il nuovo capitolo il prima possibile, è già tutto nella mia testa! 
Alla prossima!
Ester



 

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Capitolo 4
*** Revelations. ***


REVELATIONS.


"E tu, adesso che mi hai visto come sono veramente, riesci ancora a guardarmi?"
George Orwell





Complicata.
Complicata è la parola giusta per descrivere tutta questa situazione, una parola che difficilmente si affiancava, prima di questa mattina, alla mia vita fatta di situazioni ed eventi fin troppo alla mia portata, gestibili. Forse avrei dovuto prevedere l'imprevedibile ed allenarmi ad affrontarlo, perché da un momento all'altro mi sono ritrovata a chiedermi troppo spesso se stessi andando nella direzione giusta.
Ma in tutto questo vagare mi sono persa. 
Ho finto sicurezza quando ho ripulito quel sangue, quando ho porto le chiavi a Brian, quando mi sono avvicinata alla portiera della mia macchina. 
Vedo la mia immagine nel vetro scuro e persino quel riflesso sembra tremare ma non ho più paura di lui, paura che mi faccia male, io ho paura di me. 
Paura di non riuscire a stare accanto a Brian, paura di farlo stare peggio. Sarei dovuta scappare come mi aveva consigliato eppure quella mano che mi aveva porto stamattina non riesco a togliermela dalla testa e dal cuore, non riesco a lasciarla perché è lo slancio di cui ho bisogno per vivere veramente.
< Ishtar la macchina è aperta, che fai non entri? Finiscila di specchiarti, stai benissimo così. > la sua voce scuote i miei pensieri, li disordina ancora un po'. 
Incredibile vedere come sia calmo e rilassato adesso e un attimo prima irascibile, violento e poi depresso.
Le montagne russe, ecco cosa mi ricorda. 
Senza rispondere apro la portiera e mi siedo sul sedile in pelle abbandonandomi completamente come distrutta e lasciando lo zaino ai miei piedi, Brian si è già accomodato e sembra essere a suo agio come se avesse già guidato un'auto sportiva prima d'ora.
Il motore romba forte sotto di noi e si parte verso non so dove.
Vedo scorrere viali familiari, la mano di Brian è appoggiata sul cambio e il suo sguardo sulla strada. 
< Te la cavi bene sai? > decido di aprire bocca e rompere il silenzio ancora una volta.
< Ne avevo una simile una vita fa, le macchine e le moto sportive mi sono sempre piaciute. > mi risponde l'uomo senza voltarsi verso di me ma abbozzando un sorriso che sa di malinconia e che non riesco a non notare.
Una vita fa
Queste tre parole in me risvegliano quella curiosità che si è accesa dal primo momento in cui l'ho visto. Ma voglio davvero scavare così a fondo e magari sporcarmi le mani? 
Rischiare Ishtar, esci dai tuoi dannati schemi.
< E un operaio può permettersela una macchina così? > gli domando forse esagerando e sperando di attirare il suo sguardo su di me.
Ride. E di gusto.
Non mi aspettavo questa reazione, credevo che s'incazzasse e sinceramente dopo questa non so se devo cominciare davvero a non aspettarmi nulla.
< Un operaio no, ma il capo di una ditta di costruzioni si. > mi risponde senza fare una piega.
< Si può sapere chi sei? > continuo a non capire e lui mi confonde, il mio tono è leggermente infastidito. 
< Vorrei saperlo anche io, ma se vuoi ti posso dire chi ero. > finalmente i suoi occhi così enigmatici si incastrano ai miei e sembra essere intento a sciogliere qualche nodo, a rivelarsi ancora un po'.
< Lo voglio. > stavolta non invento la sicurezza che non ho, la trovo posando e stringendo la mano di Brian sul cambio.
Quasi sussulta come se la mia mano fosse congelata, ma sto provando a capire se avvicinarmi a lui sia davvero la mossa giusta.
< Non so ancora se quando mi tocchi mi fai del bene o del male. Forse dovresti farlo più spesso, almeno mi schiarisco le idee! > ride ancora e stavolta coinvolge anche me, il suo dire suona come un invito così sposto la mia mano dalla sua sfiorando poi delicatamente il suo viso con il dorso della mia.
< E questo ha fatto male? > gli sussurro mentre osservo che i suoi occhi si socchiudono leggermente al mio tocco e un sospiro esce dalle labbra sottili e perfette.
< Decisamente no. > la sua voce si fa calda e la sua mano passa dal cambio al mio ginocchio, con le dita effettua dei movimenti circolari.
E a me fa bene o fa male? Che domande, non desideravo altro da quando ho visto in lui la speranza di cambiare, di sentirmi viva come non mai, di sconvolgermi.
< Siamo quasi arrivati e una volta lì ti racconterò la mia storia, sai certe cose hanno bisogno dell'atmosfera giusta. > strizza l'occhio e affonda il piede nell'acceleratore, sfrecciando sotto gli occhi curiosi dei passanti e degli altri conducenti. Solo adesso mi viene in mente che scegliere i vetri oscurati è stata una delle cose più sensate che abbia fatto mio padre. Nessuno vedrà che alla guida c'è uno sconosciuto e se la "scappatella" arriverà alle orecchie dei miei (e sicuramente sarà così) saprò come giustificarmi.
La zona seppur periferica è molto abitata, tante villette a schiera sui due lati della via, ragazzi che fanno jogging, padroni che portano a spasso i cani, mamme mano nella mano con i figli...
Proprio questa scena apparentemente ordinaria a miei occhi si rivela straordinaria. Le uniche passeggiate che ricordo sono quelle con Esme, la domestica, il suo non era uno "stare con me" ma un "fare la guardia", quanto avrei voluto che ci fosse stata mia madre al suo posto ad accarezzarmi la testa e a chiamarmi piccola mia.
Due dita che schioccano davanti al mio viso e la nuvola dei miei pensieri sparisce in un istante.
L'auto si ferma di colpo alla fine del lungo viale davanti ad una villa così grande da sembrare un castello, mi ricorda tanto casa mia se non fosse per lo stile antico della costruzione.
< Hey sveglia Principessa! Siamo arrivati al castello. > Brian sorride come un bambino e la sua voce è particolarmente squillante.
< E questa villa da dove salta fuori? > mi devo davvero essere distratta per non accorgermi della sua imponenza, chiunque se ne sarebbe accorto da almeno un miglio.
Rimango ancora a bocca aperta e Brian non perde l'occasione di umiliarmi alzandomi il mento in modo da chiuderla.
Le cose che mi incantano di più sono l'edera che percorre la facciata in tutta la sua ampiezza e l'immensa scalinata davanti l'ingresso.
< Mi spieghi cosa ci facciamo qui? Non è un'abitazione privata? > mi allarmo in un secondo al solo pensiero di potermi trovare in guai ben più grossi di una semplice scappatella.
< Ishtar, devi stare calma, almeno in questo momento so quello che sto facendo. Tieni tutte queste domande per quando saremo dentro. > cerca di rassicurarmi l'uomo prendendomi le mani e stringendole, mi fissa per un po' e dopo aver estratto le chiavi esce dall'auto.
Faccio lo stesso e mi accorgo che è la prima volta da passeggero che qualcuno non mi apre la portiera per farmi scendere. Sorrido.
Un'altra prima volta.
Vedo Brian che mi aspetta impaziente davanti alla grande scalinata e comincio ad esserlo anche io, pervasa da un po' di sana adrenalina che mi spinge a camminare veloce verso di lui.
< Guai a te se mi succede qualcosa! > quasi gli grido puntando il dito e fallendo nel mio tentativo di rimanere seria. 
< Sono qui per proteggerla Principessa! > s'inchina davanti a me ridacchiando.
Vorrei poterlo immaginare nelle vesti di un cavaliere medievale senza macchia pronto a proteggere ad ogni costo la sua amata, ma l'immagine del sangue sull'asfalto e le lacrime sul suo viso ritornano prepotenti nella mia mente.
Non è un cavaliere, è un uomo distrutto che tiene a fatica insieme i suoi stessi pezzi sotto quel sorriso che mi fa vibrare il cuore ogni volta che lo vedo.
< Facciamo a chi arriva prima? > sfoggio la parte più infantile di me e senza aspettare che mi dia una risposta comincio a salire le scale come una forsennata.
Le gambe si muovono veloci e il cuore comincia a battere sempre più forte, scalino dopo scalino mi sento sempre più libera con l'aria pungente che mi pizzica il viso e mi ritorna in mente la corsetta di stamattina verso la macchina prima "dell'incidente".
Non arrivo nemmeno a metà della scalinata che Brian dietro di me mi afferra e mi tiene con un braccio sulla sua spalla. Mi ritrovo a testa in giù a ridere e gridare battendo gambe e pugni.
< Ma sei impazzito!?! Potevo cadere e farmi male!!! Lasciamiiiii!!! > non mi ero accorta di quanto si fosse avvicinato non essendomi girata e persa come sempre nei miei pensieri. 
< Smettila di dimenarti come pazza, tanto ho vinto io! > dice Brian con aria spavalda e seppur non lo vedo, lo sento sorridere.
Mi dimeno ancora per qualche minuto per poi lasciarmi andare con le braccia a penzoloni e tenendo la testa sollevata per evitare i capelli tocchino terra, vedo la macchina diventare un puntino nero e la scalinata esaurirsi sotto i piedi di Brian.
Eccoci finalmente arrivati, mi rimette in piedi e posandomi le mani sulle spalle mi gira verso l'enorme portone della villa.
I nastri gialli della polizia coprono le grandi maniglie e Brian intimandomi con un gesto della mano a non fare un passo, si avvicina al portone e straccia con rabbia quei nastri, ne fa una palla e la butta dietro una siepe. 
< Violazione di domicilio ti dice qualcosa? > incrocio la braccia al petto e aspetto qualche spiegazione.
< Cosa ti avevo detto riguardo alle domande? > non mi rivolge lo sguardo perchè è impegnato a scassinare la serratura. 
< Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. > sbuffo e mi avvicino a lui per curiosare un po'.
Dopo aver armeggiato si sente la rumorosa serratura scattare e il portone si apre cigolando davanti a noi.
Non faccio in tempo a mettere piede dentro l'abitazione che Brian mi tira per un braccio a sé fermandomi, posizionandosi poi dietro di me mi copre gli occhi con le sue grandi mani e avvicina le labbra al mio orecchio destro.
< Ti guiderò io, una volta entrata gira subito a destra... > sussurra per poi lasciarmi un caldo bacio sul lobo come per cancellare quello che la parte peggiore di lui mi aveva lasciato congelandomi il sangue nelle vene.
Comincio a muovermi molto lentamente e insicura mi lascio guidare dal corpo e dalla voce di Brian, fino adesso vedo solo nero ma riesco a percepire l'odore di polvere che pervade nella stanza in cui siamo appena entrati una volta superato quello che doveva essere l'ingresso.
< Mi allontano un attimo ma tu non aprire gli occhi per nessuno motivo > il tono di voce dell'uomo nonostante siamo soli continua ad essere basso, a malapena percepibile.
< Okay > mi limito a rispondere e non appena sento le sue mani lasciare il mio viso, strizzo gli occhi più che posso per non lasciare entrare la luce e l'immagine della stanza.
Sento i suoi passi risuonare nell'ambiente e un mobile che viene spinto rumorosamente nella mia direzione e poi un lenzuolo (?) sbattuto. Tossisco quando la polvere raggiunge il mio naso e sento poi Brian avvicinarsi a me e accarezzarmi la schiena.
< Scusami per la polvere... > dal tono sembra quasi impacciato < Ora fai un passo indietro e siediti >. 
< Ma sedermi dove? Vuoi per caso farmi un brutto scherzo? Non ci tengo a finire con il sedere a terra! > continuo con le mie solite prese di posizione, alle volte, da bambina viziata.
< Certo che sei proprio impossibile! > mi riprende Brian che con una piccola spinta e nemmeno forte a dire il vero mi fa sedere su di una grande e comoda poltrona in pelle. Stringo d'impulso le mani sui braccioli e sbarro gli occhi rimanendo per l'ennesima volta a bocca aperta.
Mi trovo in quella che potrebbe essere benissimo una biblioteca pubblica per la sua grandezza e le innumerevoli librerie stracolme e i libri sapientemente ordinati per genere e autore da quello che leggo su delle placche d'oro incise posizionate su ognuna di esse.






< Eppure lei non mi sembra un tipo da biblioteca pubblica. La immagino seduta su di una poltrona in pelle al centro di una di quelle sale lettura in una lussuosa villa... >







Deglutisco quando quella che era la prima impressione di Brian adesso, guardandomi intorno, è diventata una realtà.
< Dalla tua espressione deduco che ti ho stupito... Ancora. > sorride soddisfatto in piedi davanti a me, per poi prendere uno sgabello che sicuramente è un pezzo pregiato di antiquariato e posizionarlo proprio davanti a me < So che ricordi quello che ti ho detto questa mattina... Ed è proprio qui che ti ho immaginato dalla prima volta che ti ho visto, è qui che ti vedo... In casa mia, nella mia sala lettura. > aggiunge sedendosi e rivolgendomi uno sguardo che esprime impazienza per la mia reazione.
< Bella storia Brian, davvero. Certo che sei proprio simpatico > elaboro piano piano quello che mi ha appena detto ma il mio sarcasmo arriva prima di ogni sensata e ragionata reazione.
< Ishtar, io non sto scherzando. E adesso sono in me. Questa è casa mia, o meglio lo era. > si avvicina con lo sgabello e le sue ginocchia sfiorano le mie < Avevi delle domande e io una storia da raccontarti. Sono pronto a dirti tutto di me, chi ero prima... Vorrei che tu ascoltassi ogni singola parola e poi decidessi... > .
< Decidere cosa? > sento la testa girare per la confusione e anche so se benissimo che l'aria da finta tonta non mi si addice per nulla mi lascio scappare questa domanda.
< Decidere se starmi accanto o no... Ma non necessariamente nel senso che pensi tu... O nel senso che penso io... Cioè si, insomma, ci siamo capiti. Sai della mia instabilità e ho bisogno di un punto fermo. > incrocia le dita e le avvicina alla bocca per poi sporgersi verso di me.
Vorrei sapere se il mio senso e il suo coincidono, se ci siamo capiti davvero o no ma non mi sembra proprio il momento di complicare ancora di più le cose.
< Parlami, ti ascolterò. > gli dico poggiando le mani sulle sue ginocchia e avvicinandomi al suo viso. Lo guardo negli occhi fisso e vorrei leggerci qualcosa che mi renda tutto più chiaro.








 

BRIAN'S POV


Quel viso di porcellana è troppo vicino al mio, i miei occhi corrono sui suoi lineamenti e si fermano sulle labbra rosse e carnose che vorrei mordere e baciare dolcemente. 
Ma non posso tradire le mie parole di poco fa.
Mi allontano a malincuore da quel viso e comincio il mio racconto.
< Mi chiamo Brian Elwin Haner Jr. ed ero a capo di una delle più grandi ditte di costruzioni degli Stati Uniti, la stessa ditta per cui ora lavoro... Ma come operaio. Avevo tutto quello che si poteva possedere in una vita sola: una villa che sembra un castello, macchine costose, persino un elicottero personale, ogni tipo di lusso che tu possa immaginare... Una moglie e il disturbo bipolare. >
< Tu sei spo-sa-to? > mi domanda la ragazza che ha uno sguardo colmo di incredulità e delusione.
< Ishtar... Avevo. L'unica cosa che mi è rimasta è la mia malattia. > accarezzo il suo ginocchio come per rassicurarla, ma vedo come una vena di gelosia dipingersi sul suo volto. 
< Lasciami continuare, ti prometto che tra poco tutto ti sarà più chiaro. > le sorrido e per quel poco che la conosco so che non le basterà a calmarsi. Nonostante tutto però, annuisce.
< Dicevo... I profitti dell'azienda aumentavano di giorno in giorno così come il mio delirio di onnipotenza, volevo avere sempre di più e come lo ottenevo non mi bastava. Così come non bastava l'amore di mia moglie, anche se il suo era più un amore verso i miei soldi che verso me. Era così cieca da non vedere ogni giorno una donna diversa che usciva dal mio ufficio, dalla mia auto o dalla nostra stessa casa. Finchè usavo i guadagni per acquisti, come dire, "legali" ero al sicuro, erano tutti contenti e nessuno si accorgeva di come quel LUI ,che purtroppo hai già conosciuto, si prendeva in mano la mia vita e la plasmava a suo piacimento. Il passo più lungo della gamba l'ha fatto quando ha deciso che quello che c'era di legale non faceva più al caso suo, così ha cominciato ad esplorare l'illegalità. Quello che non sapeva però è che quando sei così ricco, vieni controllato dallo Stato e dalle forze dell'ordine. Così anni e anni di droga, investimenti non sicuri e corruzione sono venuti a galla e si sono tradotti per me in una banca rotta, un arresto, 5 anni di carcere, un divorzio con annesso ordine restrittivo a causa di violenza domestica, il sequestro di tutti i beni, la terapia forzata e il lavoro da operaio per ripagare l'azienda. > riprendo fiato, mentre osservo le espressioni di Ishtar che si alternano ad ogni passaggio, mi rendo conto di averle letteralmente vomitato tutta la verità addosso e mi aspetto che scappi stavolta, perché questo passato riesco a malapena a sorreggerlo io.
< Io... Non so che dire... Non so da dove cominciare. > i suoi occhi si abbassano e e le dita si intrecciano nervosamente.
< Ishtar davvero, se vuoi, non dire nulla. Tutto questo a volte è assurdo persino per me, mi ritrovo a lottare con una persona che non sono altro che io ma non fino infondo. E la mia vita non è altro che un mucchio di cenere. > mi passo le mani sul viso e poi tra i capelli. Potrei continuare a giustificarmi all'infinito ma non posso cancellare tutto quello che è stato.
< No Brian, io voglio parlarne perché so che tu ne hai bisogno... Ma voglio anche avere del tempo per capire se posso aiutarti, se sono davvero quello di cui hai bisogno adesso. Ed è da stamattina che mi chiedo, perché proprio io? Cosa ci trovi in me? > peso le sue parole e accarezzo le sue mani che stringono le mie ginocchia mentre i suoi occhi chiedono a gran voce delle risposte.



 


 

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