Il giorno dell'incertezza

di SoltantoUnaFenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - Bianco ***
Capitolo 2: *** Due - Grigio come il fumo ***
Capitolo 3: *** Tre - Blu oltremare ***
Capitolo 4: *** Quattro - Nero come la pece ***
Capitolo 5: *** Cinque - Rosso ***
Capitolo 6: *** Sei - Azzurro ***
Capitolo 7: *** Sette - Viola ***
Capitolo 8: *** Otto - Rosso Vermiglio ***
Capitolo 9: *** Nove - Arancione ***
Capitolo 10: *** Dieci - Bianco come il ghiaccio ***
Capitolo 11: *** Undici - Verde bottiglia ***
Capitolo 12: *** Dodici - Indaco ***
Capitolo 13: *** Tredici - Verde come il mare ***
Capitolo 14: *** Quattordici - Grigio argento ***
Capitolo 15: *** Quindici – Marrone nastro magnetico ***
Capitolo 16: *** Sedici - Rosso come la ruggine ***
Capitolo 17: *** Diciasette - Grigio metallizzato ***
Capitolo 18: *** Diciotto - Nero come l'asfalto ***
Capitolo 19: *** Diciannove - Blu tempesta ***
Capitolo 20: *** Venti - Nero polvere da sparo ***
Capitolo 21: *** Ventuno - Trasparente come acqua ***
Capitolo 22: *** Ventidue - Bianco come il latte ***
Capitolo 23: *** Ventitre - Rosso come il sangue ***
Capitolo 24: *** Ventiquattro - Giallo luce al neon ***
Capitolo 25: *** Venticinque - Blu cobalto ***
Capitolo 26: *** Ventisei - Arancione come il tramonto ***
Capitolo 27: *** Ventisette - Verde bosco ***
Capitolo 28: *** Ventotto - Rosa come l'alba ***
Capitolo 29: *** Ventinove - Bianco come il passato ***
Capitolo 30: *** Rosso, arancio, verde, azzurro e blu ***



Capitolo 1
*** Uno - Bianco ***


Il telefono era già al terzo squillo, e Shu non riusciva a trovarlo. Eppure l'aveva poggiato da qualche parte quando aveva cominciato a preparare la valigia. Cominciò a sparpagliare qua e là i panni che aveva messo sul letto, senza successo.
Fa' che sia Shin, ti prego.
Finalmente lo trovò, incastrato tra il cuscino e il portafoglio.
Quando sullo schermo vide lampeggiare “Sayoko”, la serie di brutti pensieri che lo perseguitava da tre giorni raggiunse il culmine.
Era iniziato tutto due sere prima, quando si era sentito un po' inquieto, e gli era venuto spontaneo telefonare a Shin. Ma il suo cellulare aveva squillato a vuoto per due interi tentativi, e lui non lo aveva richiamato nemmeno la mattina dopo. Shu aveva provato altre volte, con lo stesso risultato, così aveva telefonato agli altri, per sapere da quanto non lo sentivano. A quel punto il cellulare di Shin doveva aver accumulato almeno dieci chiamate non risposte, e non era davvero da lui non richiamare.
Non li avrebbe mai fatti preoccupare senza motivo, e Shu era talmente in ansia che aveva cominciato a preparare la valigia per andare direttamente ad Hagi.
E adesso lo stava chiamando la sorella di Shin, e questo non era per niente buon segno. Aveva quel numero registrato in memoria da almeno dieci anni, e lo aveva usato forse due volte.
“Pronto?”
“Shu! Scusami, sono Sayoko. Mi dispiace disturbarti, ma purtroppo è successa una cosa...”
Sayoko si dovette interrompere, la voce chiaramente rotta. Shu pensò che se lei non si sbrigava a spiegare, sarebbe svenuto.
“Nostra madre. Stamattina... purtroppo se ne è andata. - tirò su col naso, e Shu si maledisse perché in queste situazioni rimaneva sempre senza parole come un pesce rosso. - Shin si sta occupando di tutto e fa finta di stare bene... lo sai come è fatto. Non vuole disturbarvi, ma io so che starebbe meglio se voi... beh, se almeno qualcuno di voi fosse qui.”
“Io... mi dispiace moltissimo Sayoko. Come è successo?”
“Erano alcuni giorni che non si sentiva bene... E' stato un inverno difficile, era stata ammalata molte volte. Sai con i bambini per casa... a scuola prendono sempre la tosse e il raffreddore. Le avevo detto che non doveva stare tanto con loro, ma non riusciva a rinunciare... - si interruppe di nuovo, la voce sempre più incrinata. - Sembrava che con la primavera cominciasse a stare meglio, e invece... Il dottore ha detto che un cuore come il suo aveva fatto anche troppo...”
Shu la interruppe. Sayoko aveva sicuramente già ripetuto questi discorsi a tante persone, e non voleva costringerla a rimuginarci ancora sopra.
“Mi dispiace. Davvero tanto, Sayoko. Sarò lì appena possibile, stai tranquilla. E vedrai che anche gli altri arriveranno subito.”
“Scusami, scusami ancora... So che vi sto chiedendo molto, ma Shin...”
“Non dire così. Anzi, ti ringrazio di avermi chiamato. Non ce lo saremmo mai perdonati, se non fossimo stati lì con voi...”
“Grazie. Grazie davvero. Ora scusami, devo lasciarti.”
Shu chiuse la telefonata, cercò di ingoiare il magone e avvertì gli altri. Se tutto andava bene, sarebbero stati ad Hagi entro la sera successiva.

 

Shu scese dal treno alle nove della mattina. Era riuscito a partire praticamente subito, visto che aveva persino già prenotato una cuccetta prima ancora che Sayoko lo avvertisse. La casa dei Mori non era molto distante dalla stazione, così decise di fare la strada a piedi. Era una bella giornata di fine marzo, e la vicinanza del mare rendeva tutto più tiepido e limpido. Gli piaceva sempre fare due passi per Hagi, anche se in genere non era solo come stavolta. La zona in cui abitava Shin era molto diversa dal quartiere in cui era cresciuto lui, dove le case erano tutte addossate le une alle altre, ricoperte di insegne e avvolte da rumori di ogni genere e profumo di cibo.
Qui le strade erano ordinate e silenziose, costellate di piccole case con giardino. Shu si era chiesto molte volte se il carattere pacato di Shin fosse frutto anche di quel luogo.
Quando arrivò al cancello fece un respiro profondo. Fu Shizuka ad aprirgli. Era un brav'uomo, e ormai lo conosceva da una vita, ma Shu non era mai riuscito ad entrare davvero in confidenza con il cognato di Shin. Si rispettavano, si incontravano nelle ricorrenze e poco altro.
Shizuka lo guidò dentro casa. In sala c'era Sayoko. Indossava un kimono a lutto, ed era al telefono.
Si liberò in poche parole, poi corse ad abbracciare Shu.
“Grazie di essere venuto. Vieni, ti accompagno alla tua stanza, così puoi poggiare le tue cose.”

Shu la osservò mentre attraversava la casa con passi leggeri.
Era strano essere con lei invece che con la signora Mouri. Non si era mai accorto di quanto le due donne assomigliassero, prima di quel momento.
Fu colpito dal pensiero che tutto ripeteva ciò che già era stato, per poi dissolversi ed essere sostituito a sua volta da qualcosa di simile oppure opposto... tutto tranne loro cinque, condannati all'immobilità ed alla solitudine.
“Ecco, fai come se fossi a casa tua. - Sayoko lasciò che Shu entrasse nella stanza, poi riprese a parlare, un po' a disagio. - Devo confessarti una cosa. Non ho detto a Shin che sareste venuti, si sarebbe arrabbiato perché vi avevo disturbato.”
“Non ti preoccupare. Me la vedrò io con lui...”
Shu lasciò la valigia in camera, si sciacquò le mani e la faccia, poi uscì a cercare Shin.
Lo trovò nel portico, che parlava con l'impresario delle pompe funebri ed il suo assistente, un ragazzetto dall'aria un po' sperduta.
Shin indossava abiti tradizionali, e Shu si trovò ad osservarlo da lontano. Contrariamente a Touma o Seiji, a cui haori e hakama davano un aspetto austero, quasi marziale, addosso a Shin trasmettevano una strana eleganza. Lo facevano sembrare alto e sottile, evidenziando la linea arcuata della schiena ed il collo pallido.
Ugualmente accadeva con le Yoroi: Shu adorava la sensazione di forza ed imponenza data da Kongo, ma si sentiva tozzo e sgraziato quando la confrontava a Suiko, che si muoveva elegante e fluida attorno al corpo del suo nakama.
Si riscosse dai propri pensieri con un attimo di ritardo, quando ormai Shin lo aveva visto e si dirigeva verso di lui. Sembrava incredulo, ma anche sollevato.
“Shu! Cosa ci fai qui?”
Shu lo abbracciò, incontrando dapprima un po' di resistenza, poi un grato abbandono.
“Secondo te? Meno male che tua sorella ha avuto la decenza di avvertirci, altrimenti non saremmo arrivati in tempo!”
“Arrivati? Vengono anche gli altri?”
“Ma certo! Shin, pensavi che ti avremmo lasciato da solo in un giorno come questo?”
Shin posò la testa sulla sua spalla, sospirando.
“No, in effetti no. Mi dispiace di non avervi chiamato. Non è che non vi volessi qui, è solo che... - Si interruppe. Non sapeva nemmeno bene cosa lo avesse spinto a lasciarli fuori. In effetti, non era proprio da lui. - Forse non ero ancora pronto ad ammettere che fosse successo davvero...”
Shu lo strinse po' più forte.
“Credo sia una cosa molto normale, sai?”
Shin si rialzò, sembrava fosse incapace di restare fermo.
“Coraggio, rientriamo in casa. Hai fatto colazione? Scommetto che stai morendo di fame...”

 

Ryo era sul treno da una mezz'ora, e aveva già esaurito la pazienza. La carrozza era piena di pendolari, e cominciava a sentirsi stretto. Stare immobile per tanto tempo in uno spazio così angusto era una vera pena per lui, più passavano gli anni e meno lo sopportava. Mentre era perso ad osservare il paesaggio che correva fuori dal finestrino, sentì telefono trillare. Lo estrasse dalla tasca dei jeans e vide che c'era un nuovo mms, inviato da un numero che non conosceva. Si chiese chi potesse essere: non erano in molti ad avere il suo numero. Lo aprì.
C'era scritto soltanto “Guarda la foto e scendi alla prossima stazione. Se parli con qualcuno ne pagherai le conseguenze.”
Ryo provò un brivido. Chi sapeva che si trovava su un treno? E cosa significava quel messaggio assurdo?
Quando aprì la foto allegata al messaggio credette che il cuore gli sarebbe esploso. Rimase a fissarla per un intero minuto, senza riuscire a riscuotersi. Poi finalmente balzò in piedi. Percorse tutta la carrozza, camminando velocemente e scostando con poca grazia le persone che si trovavano sulla sua strada.
Passò a quella successiva, e finalmente in quella dopo trovò il capotreno.
L'uomo lo guardò un po' perplesso. Il viso arrossato ed il fiato grosso gli davano un aspetto piuttosto strano.
“Buongiorno. Ha bisogno di qualcosa?”
“Qual'è la prossima stazione? Tra quanto ci arriveremo?”
“Tra una ventina di minuti, direi. Ha sbagliato treno?”
Ryo si girò e tronò indietro, senza riuscire a rispondere. Si fermò vicino alla porta, aggrappandosi ad uno dei sostegni in metallo. In venti minuti poteva succedere qualunque cosa. Ma il messaggio diceva “scendi alla prossima stazione”, e quindi era lì che doveva andare. Si passò una mano sugli occhi.
Cosa volevano da lui? E cosa stava succedendo?!

 

Shu si aggirava per casa, un po' irrequieto. Avevano pranzato tutti insieme, poi Sayoko era tornata per un po' a casa, dove aveva lasciato i bambini con sua suocera, e Shin aveva ricevuto alcune visite da parenti e conoscenti. Ora stava parlando con una signora molto anziana dai modi dolci e gentili. Appariva minuscola, seduta sui gradini accanto a lui, e lo ascoltava parlare sottovoce, passandogli ogni tanto una mano sul braccio.
Shu si sentiva di troppo. Shin non lo aveva trascurato, ma non lo aveva nemmeno cercato. Probabilmente aveva bisogno ancora di un po' di tempo per riuscire a lasciarsi andare, così Shu decise di uscire.
Sarebbe andato a piedi fino alla stazione. I treni che portavano i suoi nakama sarebbero arrivati nel giro di poco, e così avrebbero potuto fare insieme la strada.
Mentre camminava, senti il cellulare squillare. Osservò la scritta sullo schermo e rimase perplesso.
Era il numero di casa di Seiji.
“Pronto? Seiji? Ma cosa ci fai ancora a casa, dovevi prendere il treno stamattina!”
“Io... scusami Shu, c'è stato un problema. Temo che non riuscirò ad venire.”
“Un problema?”
“Sì. Un contrattempo. Nulla di grave, davvero. Ma non potrò venire. Scusati con Shin da parte mia, per favore. Digli che lo chiamerò appena mi sarà possibile.”
Shu fece per ribattere, ma Seiji aveva già chiuso la telefonata.
“Ma cosa...?” borbottò, senza riuscire a dare un senso a quello che aveva appena sentito. Fu preso dall'ansia, e telefonò a Ryo. Una voce metallica gli comunicò che il telefono non era raggiungibile.
“Ma che cavolo sta succedendo?!”
Fece un paio di respiri profondi, cercando di calmarsi. Ottenne l'effetto contrario. Sentì salire la rabbia nei confronti di Seiji.
Se non era una cosa grave, perchè mai doveva tirarsi indietro in un'occasione come quella? Ricompose il numero della casa a Sendai. Il telefono squillò a vuoto a lungo, finchè non cadde la linea.
Adesso Shu era ancora più confuso. Compose il numero di Touma, l'unico che non aveva ancora provato.
Rispondimi Touma... Avanti, rispondi!
Dopo tre squilli, finalmente sentì la voce dell'amico, un po' coperta dallo sferragliare del treno.
“Pronto?”
“Touma! Ti prego, dimmi che almeno tu sei in treno e stai venendo qui!”
“Certo che sono in treno, dove altro dovrei essere?! Ti avevo detto che sarei partito stamattina, no?”
“Lo so, lo so... è che stanno succedendo delle cose strane, non ci capisco più nulla!”
“Quali cose?”
“Seiji mi ha chiamato, ha detto che non viene. E il telefono di Ryo è spento.”
“Cosa cavolo significa che non viene?”
“Non lo so... era strano! Ha detto due parole e poi ha buttato giù. E poi Ryo...”
“Ryo potrebbe essere in una zona in cui il telefono non prende, cerca di non agitarti.”
“Non mi piace, Touma, non mi sento tranquillo!”
“D'accordo, ascoltami. Tra una mezz'ora al massimo sarò lì, ne parliamo con calma appena arrivo, d'accordo?”
“D'accordo. Ti aspetto in stazione.”
Shu rimase a fissare la luce dello schermo spegnersi. Se lo infilò in tasca e si diresse verso la stazione.
Sarebbe stata una mezz'ora lunghissima, ne era sicuro...

 

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Capitolo 2
*** Due - Grigio come il fumo ***


Touma scese dal treno e si guardò attorno. Vide subito Shu che gli veniva incontro. Dopo che si erano sentiti, entrambi avevano provato più volte a chiamare Ryo e Seiji, ma non avevano ottenuto niente, se non di preoccuparsi sempre di più.
Shu lo abbracciò, facendogli cadere la borsa.
“Finalmente sei arrivato! Non ce la facevo più, sto diventando matto!”
“Adesso calmati, d'accordo?”
“Come fai a non essere preoccupato?!”
“Lo sono. Troviamo un angolo tranquillo e cerchiamo di ragionare, va bene?”
Uscirono dalla stazione e si sedettero su una panchina, sotto ad un grande albero di Ginko Biloba.
Touma si fece raccontare parola per parola quello che aveva detto Seiji. Poi provarono a telefonare a casa di Ryo, ma anche lì il telefono squillava a vuoto.
“Forse suo padre è in viaggio...”
“Non credo. Ti ricordi cosa ha detto Ryo? Non ha viaggi in programma, ormai. Però potrebbe semplicemente essere a far la spesa, o qualcos'altro... quello che è troppo strano è che a Sendai non risponda nessuno. In quella casa ci vivono in sei, possibile siano tutti fuori? - Touma si fermò un attimo a riflettere. Prima di andare nel panico inutilmente era il caso di fare qualche indagine in più. - Come si chiama il cognato di Seiji?”
“Il marito di Satsuki? O... Ogawa... no, Okada!”
Si misero d'impegno per ricordare il nome della ditta in cui lavorava. Con un paio di ricerche in internet riuscirono a contattarlo, ed ebbero la conferma che era molto strano che a quell'ora in casa non ci fosse nessuno.
Seiji abitava ancora con i genitori, in un piccolo appartamento ricavato nella grande casa tradizionale. Anche sua sorella Satsuki era rimasta a vivere lì insieme al marito ed il figlio, mentre Yaioi viveva in una casa di proprietà della famiglia del marito, dall'altra parte della città.
Una volta Touma aveva fatto notare a Seiji come fosse strano che lei, così inquadrata e ligia ai doveri imposti dalla famiglia, avesse finito con l'allontanarsene, mentre Satsuki, che aveva sempre mal sopportato quelle imposizioni, era rimasta a vivere proprio lì.
Seiji aveva sorriso in modo enigmatico, dicendo solamente che ciò a cui ci si piega diventa prima o poi insopportabile, mentre si riesce ad accettare qualcosa soltanto se si trova il modo di adattarlo a sé...
Il marito di Satsuki sembrava preoccupato quanto loro. Era fuori città per lavoro dalla sera prima, ma assicurò loro che avrebbe fatto qualche telefonata e gli avrebbe fatto sapere prima possibile.
“E adesso cosa facciamo?”
“Per ora non possiamo fare molto. Andiamo da Shin, cerchiamo di renderci utili almeno qui.”
Si incamminarono.
"Hai detto qualcosa a Shin?”
“No. Pensi che dovremmo dirglielo?”
“Non lo so... - Touma si aggiustò meglio la tracolla della borsa sulla spalla. - Finchè non sappiamo qualcosa di più sicuro, sarebbe meglio non farlo preoccupare inutilmente. E' già un brutto momento per lui.”
Shu annuì. Ma non sarebbe stato facile. Shin aveva la capacità di fiutare lontano un miglio se lui gli stava nascondendo qualcosa...

 

Quando arrivarono, la casa era vuota e silenziosa. Tutte le persone che erano venute in visita erano andate via, e Sayoko non era ancora tornata.
Trovarono Shin seduto sui gradini del portico, praticamente nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato Shu. Aveva le mani in grembo e la testa piegata da un lato, abbandonata contro il corrimano. Sembrava esausto.
Touma gli andò incontro. Quando fu a pochi passi, Shin aprì gli occhi e lo vide.
“Touma!”
Si abbracciarono.
“Come stai? Sembri molto stanco.”
“Forse lo sono. E' strano, credevo che mi avrebbe fatto piacere vedere quante persone erano affezionate a mia madre, e invece...”
“Invece continuare a parlarne ti logora...”
Shin si limitò ad annuire. Gli venne in mente di una sera in cui aveva telefonato a Touma, un anno prima, e lo aveva trovato piuttosto cupo e malinconico. Era appena rientrato da una serata organizzata in università per onorare la memoria del padre. Aveva dovuto presenziare, consegnare una borsa di studio ed ascoltare tanti sconosciuti decantare le lodi del defunto professor Hashiba.
Shin ricordava bene che Touma aveva borbottato qualcosa come “Per fortuna per quest'anno è finita...”
Rientrarono in casa tutti insieme. Touma continuava a tenergli un braccio attorno alle spalle, e Shu li seguiva, in silenzio.
Passarono accanto al santuario di famiglia. Era stato chiuso con la carta bianca, e Shin non potè fare a meno di fermarsi.
“Questa notte c'è stata la veglia. - Sussurrò. - Sapete, mia zia ha raccontato tante cose. Cose che non ricordavo, di quando io e Sayoko eravamo molto piccoli...”
Shu gli strinse la mano. Gli occhi di Shin si fecero finalmente lucidi.
“E' strano... negli ultimi anni mia madre era stata male così spesso che ormai vivevamo con la sensazione che potesse andarsene da un momento all'altro. E adesso che è successo davvero, mi sento così strano... sto male, ma è come se mi sentissi anche sollevato...”
Si portò le mani al viso. Borbottò qualcosa con voce rotta, ma riuscirono a distinguere soltanto la parola “egoista”.
“Oh, Shin... Non dire sciocchezze. Non sei sollevato che lei non ci sia più... è solo che ora sai che non dovrà soffrire più. Aspettare qualcosa di inevitabile e non potersi opporre è una cosa terribile...”
Shin scoppiò a piangere, e loro lo circondarono, stringendolo. Si sedettero tutti e tre a terra, più vicini che potevano, e aspettarono in silenzio.
Quando si alzarono da lì, il cielo aveva cominciato a farsi scuro.

 

Erano in camera, seduti sui futon. Avevano cenato, poi si erano preparati per la notte.Touma aveva indossato il piagiama, mentre Shu era in maglietta e calzoncini. Shin si era allontanato per fare una doccia, così stavano rimuginando su quello che stava succedendo. Il telefono di Touma squillò. Era il marito di Satsuki, così Touma mise la chiamata in vivavoce.
“Hashiba?”
“Ti ascoltiamo, Okada.”
“Ho provato a chiamare il cellulare di Satsuki, ma è spento. Ho parlato con Yaioi, ma non li sente da ieri sera. Così ho chiesto a mio fratello di andare a casa a controllare. Non c'è nessuno, e la porta era aperta. Io... - si interruppe, sembrava restio a finire il discorso. - A questo punto sono quasi sicuro che sia successo qualcosa...”
“Seiji ha parlato di un contrattempo. E' possibile che siano in ospedale, per un piccolo incidente?”
“No, Satsuki mi avrebbe sicuramente avvertito.”
Touma annuì, sovrappensiero. Shu continuava a fissare il telefono, immobile.
“Hashiba?”
“Sì?”
“I Date sono una famiglia influente... Credi che possa trattarsi di un rapimento? Per estorsione?”
“Non lo so. Sinceramente non so dirti niente di più. Avvertirai la polizia?”
“Sì. Ho parlato con il mio capo. Rientrerò stasera. Andrò a casa a vedere con i miei occhi, poi credo che farò la denuncia. Anche se ancora mi sembra impossibile...”
“D'accordo. Tienimi informato, se puoi. Vorrei parlare anche con Yaioi. Potresti darmi il suo numero?”
“Certo. Ti manderò un messaggio. A presto, e grazie.”
Rimasero in silenzio per un po'.
“Un rapimento? - chiese Shu. - E allora perchè non si trova nemmeno Ryo?”
“Infatti non credo proprio che si tratti di questo. E' qualcosa di collegato alle Yoroi. O comunque a tutti noi cinque. Shu, hai sentito i tuoi da quando sei qui?”
“No, ero troppo preoccupato per tutta questa storia... Accidenti!”
Scattò in piedi, cercò il telefono e chiamò a casa. Quando mise giù, era piuttosto turbato.
“Allora? Stanno bene?”
“Sì. Ma qualcuno è stato lì, stanotte. Mia madre ha trovato la porta del mio appartamento forzata, e dice che i miei fratelli hanno notato degli strani movimenti attorno al ristorante, ieri e anche oggi. Accidenti!”
“Probabilmente cercavano te.”
“Pensi che vogliano rapire anche loro?”
“Non lo so... se è una cosa che riguarda noi, perchè stanno sparendo le famiglie? L'unica spiegazione che mi viene in mente è che le abbiano usate come ricatto, per costringere Ryo e Seiji a seguirli...”
“Quindi non li hanno ancora presi perchè io non sono lì?”
“Può darsi. E poi i tuoi sono tanti, e sanno difendersi. Ma comunque dobbiamo trovare un modo di proteggerli. Potrebbero tornare... - Touma fece un rapido conto: in Francia in quel momento era mattina presto. - Forse so come possiamo fare. Shu, controlla che Shin non torni mentre sono al telefono, per favore.”
Compose un numero, mentre Shu si metteva di taglio sulla porta.
“Ciao Touma! - La voce squillante di Nasty lo fece sorridere. Da quando abitava all'estero aveva cambiato un po' accento, e lui non mancava mai di prenderla in giro per questo. - Come stai? E' successo qualcosa?”
Touma le raccontò brevemente della madre di Shin, e poi dovette aggiungere preoccupazione al suo dispiacere, spiegandole anche la loro situazione.
“Touma, ma terribile! Cosa farete adesso? Come farai a trovarli?”
“Ancora non lo so. Ma per poter agire con un po' di tranquillità, ho bisogno del tuo aiuto.”
“Ma certo! Dimmi cosa posso fare.”
“La casa di tuo nonno è ancora vuota? Pensi che potremmo nascondere lì per un po' la famiglia di Shu e quella di Shin?”
“Certamente. La chiave è nel solito posto, fate come se fosse casa vostra.”
“Grazie Nasty.”
“E di cosa? Cercate di stare attenti, mi raccomando.”
“Ci proveremo. Dai un bacio da parte mia a Michelle e Hisashi, e ringrazia tuo marito per quel saggio che mi ha spedito a natale.”
“Lo farò. Fammi sapere qualcosa appena potrai, d'accordo?”
“Non ti preoccupare. A presto, Nasty.”
Shu si sedette di nuovo accanto a lui.
“Ora quello che devi fare è convincere i tuoi a lasciare la città e nascondersi per un po' lì. Credi che accetteranno?”
“Sicuramente Yun e Mei Ryu faranno delle storie. Quando io non ci sono si atteggiano sempre ad uomini di casa. Mei è un gran sbruffone.”
“Beh, convincili. Tanto lo so che alla fine fanno sempre come dici tu...”
“Ehi! Mi fai sembrare un tiranno!”
Touma si limitò a fare un gesto noncurante con la mano, come a dire che anche Shu sapeva bene che non pensava nulla del genere.
Tutte le volte che era andato a trovarlo, si era reso conto dell'ascendente che aveva il suo nakama sulla sua famiglia e sulla sua comunità.
I suoi modi amichevoli, la sua forza e il suo grande senso di giustizia gli avevano fatto acquistare un certo rispetto tra tutti, e spesso veniva interpellato quando c'era qualche questione da risolvere o qualche disputa. Anche se la gente di Chinatown si divideva in due, a proposito del suo insolito aspetto da eterno ragazzino. C'era chi lo prendeva a pretesto per non ascoltarlo, e chi vi vedeva qualcosa di soprannaturale, ad ulteriore conferma del suo ruolo.
I suoi nakama pensavano che i suoi due fratelli minori fossero un po' gelosi di lui, anche se si volevano comunque tutti un gran bene.
"Tu cosa farai?”
“Ero tentato di andare a Sendai, ma è troppo lontano, e ho paura che perderemmo troppo tempo. Andrò a casa di Ryo, lì non abbiamo nessuno a cui poter chiedere informazioni.”
“E Shin? Il funerale è domattina, come farai ad essere qua in tempo?”
“Non lo so. Devo anche sistemare la tua famiglia nella casa di Nasty, voglio controllare che sia un posto sicuro, prima di lasciarli lì.”
“Posso andarci io.”
“No, qualcuno deve rimanere qui con Shin. Non possiamo lasciarlo solo. E ricordati che lui non sa nulla di quello che sta succedendo, devi proteggerlo tu.”
“Non mi piace che tu te ne vada in giro a caccia di Youia, mentre io me ne sto qui a far nulla.”
“Shu, io posso sfruttare l'armatura per volare. Sarei comunque molto più veloce di te. Posso partire appena saranno tutti a dormire, e dopo arrivare a Kamakura in qualche ora. E se tutto va bene, ci riuniremo tutti presto...”
“Uhm... Vorrei crederci...”
“A cosa vorresti credere?”
La voce di Shin li colse di sorpresa. Era sulla porta, e li osservava un po' incerto. Aveva lasciato gli abiti formali per indossare un paio di pantaloni della tuta grigio chiaro ed una felpa bianca dal collo un po' slabbrato. Shu notò che aveva un futon arrotolato sottobraccio.
“Ehm... nulla. Dove vai con quel futon?”
“Vengo qui. Sono stanco, vorrei dormire un po'.”
“Vuoi dormire... con noi?”
“Non facciamo così, di solito?”
Touma provò ad intervenire. “Beh, pensavamo avessi bisogno di stare un po' da solo...”
“No, non più. Adesso ho bisogno di un po' di calore, credo... - lo sguardo dei suoi nakama lo lasciò perplesso. - Beh, sempre che vi vada.”
“Ma certo che ci va, che domande fai?” Touma si alzò, spostò il suo futon in modo che Shin potesse stendere il proprio tra loro due. Shin si stese e spense la luce. I suoi nakama lo abbracciarono. Shin sospirò. Sentiva il loro calore, ma si sentiva anche come se qualcosa non tornasse... Non riuscì a rimuginarci a lungo, però. La tensione della giornata lo vinse, e si addormentò poco dopo.

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Capitolo 3
*** Tre - Blu oltremare ***


Touma si mise a sedere. Per fortuna Shin era crollato praticamente subito, altrimenti non sarebbe riuscito a rimanere sveglio abbastanza tempo. Cominciava ad accusare la tensione della giornata, e avrebbe preferito decisamente rimanere lì con loro a dormire, piuttosto che andarsene di nascosto ed attraversare il Giappone nel gelo di una nottata di marzo.
Uscì dal futon e si mise in piedi più silenziosamente che poteva. Shu si mosse appena. Fece per alzarsi, ma Touma lo fermò con un gesto.
“No. - Gli sussurrò. - se ti alzi da lì si sveglierà sicuramente.”
“Cosa gli dirò, quando vedrà che non ci sei?”
“Non lo so. Dì che ho ricevuto una chiamata urgente e son dovuto scappare via. Digli che tornerò prima possibile.”
“Non credo che la prenderà bene.”
“Lo so. E mi sento una merda a sparire così. Ma non possiamo aspettare ancora.”
“No, non possiamo... Ma forse se gli dicessimo la verità...”
“Se gliela dicessimo adesso starebbe ancora peggio. Preferisco che ce l'abbia con me, piuttosto che sapere che si sentirà in colpa tutta la vita per aver scelto tra i suoi nakama e i suoi ultimi doveri di figlio.”
Shu annuì.
“Continua a non piacermi, tutta questa storia.”
“Neanche a me. Ma non abbiamo scelta. - Touma si rivestì in fretta, posò un bacio sulla fronte di Shin, poi strinse la spalla di Shu. - Mi raccomando. Mi fido di te.”
“Pensa a badare a te stesso, piuttosto! E fammi sapere appena puoi, d'accordo?”
“Lo farò. A presto, Shu.”
Shu lo osservò mentre indossava l'undergear e usciva in cortile saltando giù dalla finestra. Lasciarlo andare così, consapevolmente, era anche peggio che scoprire che Ryo e Seiji erano scomparsi.
Ingoiò un nuovo groppo di magone e si strinse di più a Shin, che si lamentò nel sonno. Nascose il viso nei suoi capelli, ricacciando indietro le lacrime. Stava succedendo di nuovo. Li avevano separati un'altra volta, e non poteva fare nient'altro che aspettare.

 

Seiji tornò in sé in un posto che non conosceva. La nuca gli faceva male, e qualcuno lo stava toccando. Era un tocco delicato, che conosceva bene. Lentamente aprì gli occhi. Era steso a terra, il capo poggiato sulle gambe di sua madre, che gli stava accarezzando la fronte e lo guardava con occhi colmi di ansia e tristezza.
Seiji conosceva bene quello sguardo. Lo aveva già visto sul viso di sua madre dopo l'incidente in cui aveva rischiato di morire. E molte altre volte da bambino, quando era stato malato così tanto e così a lungo che i dottori non riuscivano ad esprimere un parere certo.
Si chiese se forse era venuto al mondo soltanto per fare soffrire chi lo amava.
“Seiji... tesoro mio, stai bene?”
Si tirò su a sedere.
“Non preoccuparti. - strinse per un attimo la mano della madre. - Non è nulla.”
Cercò di guardarsi attorno. Seduto accanto a loro c'era suo padre. Poco distante, con la schiena poggiata al muro, Satsuki lo guardava con apprensione. Kuniyaki era addormentato sulle sue gambe.
“Dove siamo?”
“Non lo so. - suo padre si mise in piedi, facendo qualche passo nell'oscurità. - E' un capannone, credo. Quando siamo arrivati era ancora giorno, ma abbiamo viaggiato su un furgone chiuso, non ho idea di dove ci troviamo.”
C'era una parete che li separava dall'altra metà del capannone. Fuori dalla porta di metallo c'era qualcuno, le loro voci sguaiate arrivavano a loro attutite.
Seiji ripensò a cosa era successo. Erano entrati in casa mentre lui si preparava per partire. Erano almeno tre, ed erano armati. Aveva capito subito che volevano lui, e avevano usato la sua famiglia per costringerlo ad arrendersi.
Il fatto che fossero ricorsi alle minacce, nonostante le armi, gli faceva pensare che sapessero dell'armatura, o comunque che lui avrebbe potuto batterli in ogni caso. Ma come facevano a saperlo? E perchè, dopo averlo preso, avevano rapito comunque anche i suoi familiari?
“Cosa pensi che vogliano da noi?” Il tono della sorella era allarmato.
“Non lo so... credo che siano venuti per me.”
“Per te? Per quale motivo?”
“Ancora non lo so. Mi dispiace che siate stati coinvolti... - si alzò, e si avvicinò al nipote. - Come sta Kuni-chan?”
“E' spaventato. Ma dice che tu ci difenderai.”
“Di questo puoi starne certa.”
“Credi che riguardi la tua armatura?” Il padre pareva incerto. Seiji non aveva mai voluto svelargli più di tanto, sui suoi continui viaggi e su cosa significasse la Yoroi nella sua vita.
“Può darsi.” Seiji però non sapeva come spiegarselo. Quelli che erano entrati a casa sua non erano certo Youia, ma esseri umani. Brutti ceffi, sicuramente gente abituata alle peggiori porcherie, ma senza dubbio erano persone. E allora cosa c'entrava la Yoroi?
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva. Seiji balzò in piedi, e vide due figure spinte con violenza dentro alla stanza. Poi la porta si richiuse prima che potesse fare qualcosa.
Nonostante la semioscurità, aveva riconosciuto subito Ryo e suo padre.
Si chinò su di loro, in preda alla preoccupazione. Il signor Sanada appariva spaventato ma stava bene. Non riusciva ad allontanarsi da Ryo, che era privo di sensi.
“Cosa è successo?” Chiese Seiji, mentre sfiorava il corpo dell'amico in cerca di ferite evidenti.
“Ma tu... sei Seiji, l'amico di Ryo? Anche tu sei qui? - L'uomo si passò una mano sugli occhi, sembrava piuttosto stanco. - Non so proprio cosa dirti. Stamattina sono venuti a casa nostra, poco dopo che Ryo era partito. Non sono riuscito a scappare... mi hanno costretto a salire su un furgone. Abbiamo viaggiato una mezz'ora. Poi ci siamo fermati, e dopo un po' hanno fatto salire anche Ryo. Quei vigliacchi...” Non riuscì a proseguire, la rabbia gli faceva tremare le mani mentre guardava il viso del figlio.
Seiji gli posò una mano sul braccio.
“Non deve preoccuparsi. Ryo sta bene, vedrà che tra poco si sveglierà.”
L'uomo parve rassicurato dal tono gentile e sicuro di Seiji, e si limitò ad annuire. Si guardò attorno, e si accorse delle altre persone nella stanza. Seiji si alzò in piedi, tendendo una mano al padre di Ryo perchè facesse altrettanto.
“Signor Sanada, non credo di aver mai avuto occasione di presentarle la mia famiglia...”

 

Touma scese giù verso gli alberi. Si infilò tra le fronde, e toccò terra dolcemente. Si passò una mano sul volto umido di rugiada. La primavera stava arrivando, ma di notte era ancora molto freddo.
Non volava spesso quanto si sarebbe potuto pensare.
Aveva sfruttato quella dote della sua armatura molte volte, in battaglia. Nei giorni peggiori della sua vita si era librato in cielo per vincere l'inquietudine, o il dolore.
Ma non lo usava quasi mai come mezzo di trasporto. Era una cosa che lo faceva sentire strano.
Si guardò attorno, ed individuò subito la villetta dei Sanada.
Quando arrivò alla porta di ingresso vide che la serratura era spaccata. Entrò con cautela, anche se era sicuro che non ci fosse più nessuno.
Provò ad accendere qualche luce, e vide ciò che temeva. C'erano diverse cose a terra, rovesciate. Partivano dalla cucina ed arrivavano alla porta a vetri che dava sul retro. Qualcuno aveva cercato di fuggire, ma non doveva esserci riuscito perché era chiusa.
Sentì dei rumori alle sue spalle, e si mise in allarme.
“Signor Sanada? E' tornato?” Era una donna di mezza età, dal volto rubizzo, ed indossava un abito da casa con due grossi fiocchi sui fianchi. Quando lo vide gridò, e fece per scappare.
“Aspetti! Signora!”
La donna si fermò, una gamba già fuori dall'uscio.
“Chi sei? Non avvicinarti o chiamo la polizia!”
Touma si chiese come avrebbe potuto farlo, visto che la casa era piuttosto isolata, e lei non sembrava particolarmente veloce. La guardò meglio: doveva essere la loro vicina, viveva in una villetta poco più in basso di quella di Ryo.
“Signora, non scappi, per favore. Sono Touma, un amico di Ryo. Si ricorda di me? Sono venuto a trovarlo tante volte, ci siamo già visti in diverse occasioni.”
La Donna lo esaminò.
“Sei uno di quei ragazzi che ogni tanto viene qui per qualche giorno?”
“Sì, sono io. Si ricorda? Una volta chiedemmo in prestito a suo marito le cose per andare a pescare sul lago. E' stato molti anni fa.”
Quest'ultimo dettaglio parve convincerla.
“E cosa ci fai qui a quest'ora? E dov'è il signor Sanada?”
Touma cercò qualcosa di sensato da dire. Il fatto che fosse volato lì perché Ryo non si era presentato ad un funerale ad Hagi non gli sembrava un buon argomento.
“Io... io dovevo venire a trovare Ryo oggi. Ma alla stazione non è venuto, al telefono non mi risponde, e così mi sono preoccupato e sono venuto fin qui da solo. Lei sa dove possa essere?”
“In effetti non lo so proprio. Sono venuta qui perché oggi il signor Sanada non è passato a lasciarmi le cose che mi aveva promesso, ed è molto strano... Così, quando ho visto la luce accesa dalle vetrate, sono venuta per controllare se andava tutto bene. Sai, ho il brutto vizio di addormentarmi davanti alla televisione, mi ero appena alzata dal divano...”
“E' successo qualcosa di strano, che lei sappia? Ha visto qualcosa?”
La donna si puntò l'indice contro una delle guance, poggiando il gomito sull'altra mano.
“In effetti sì. In questi giorni ho visto un certo via vai di forestieri. Gentaglia, a dire il vero. E ancora non è stagione di turismo per il lago. C'è stato anche un furgone bianco parcheggiato per due giorni giù, in fondo alla strada che sale qui alle case.”
Touma annuì, cercando di riordinare le idee.
“Dici che doveva venire in stazione a prenderti? Stamattina in effetti ha preso l'autobus per andare in città, però aveva un borsone...”
Dunque era partito. Ma non c'era modo di sapere se era arrivato in stazione, né se era salito sul treno. Touma ringraziò la signora. La rassicurò dicendo che si sarebbe interessato alla faccenda, e la pregò di chiamarla se per caso il padre di Ryo si fosse fatto vivo, anche se era un'opzione che gli appariva piuttosto improbabile.

 

Shu si riscosse all'improvviso. Il cellulare vibrava a terra, vicino al suo orecchio. Gettò uno sguardo allo schermo: erano le da poco passate le due.
Si alzò ed uscì nel corridoio.
“Pronto?” sussurrò.
“Shu, sono io. Sono appena stato a casa di Ryo. Purtroppo è come pensavamo. Ho parlato con una loro vicina, ha detto che aveva notato un viavai insolito di persone qui attorno. E un furgone parcheggiato in fondo alla strada per due o tre giorni di fila.”
“Un furgone? E da quando demoni e spiriti vanno in giro in furgone?”
“Che io sappia, da mai. Questa storia è sempre più strana, sono abbastanza convinto che siano coinvolte delle persone.”
“Sarebbero stati rapiti da esseri umani? E perchè?”
“Questa è un'ottima domanda. Ho telefonato anche a Yaioi. Dice che sua madre si era lamentata di alcune brutte facce che aveva visto attorno a casa.”
“Questa storia è sempre più strana!”
“Hai convinto i tuoi a spostarsi? Andranno a Kamakura?”
“Stanno preparando i bagagli, saranno lì tra poche ore. Solo Rinfi non verrà. Andranno per un po' dalla famiglia di suo marito, a nord. Sai, lei ha sposato un giapponese...”
Dal tono di voce di Shu, Touma riuscì ad immaginare la faccia di finta disapprovazione che faceva ogni volta che questo argomento veniva fuori.
Lui e Rinfi si punzecchiavano in continuazione su qualsiasi cosa fin da piccoli, e questa aveva dato a Shu un ottimo pretesto per prenderla in giro fino allo sfinimento.
Non si faceva scrupolo a tirar fuori la cosa anche davanti al cognato, che per fortuna aveva capito subito che era tutto uno scherzo.
Nonostante la tensione e la stanchezza, Touma sorrise. C'era qualcosa di rassicurante nel fatto che Shu avesse ancora voglia di fare dell'umorismo, nonostante la situazione.
“Bene. Andrò loro incontro. A presto, Shu.”
“A presto. Mi raccomando, stai attento...”
“Anche tu...”

 

Touma arrivò alla casa di Nasty alle prime luci dell'alba.
Quando vide la grande costruzione stagliarsi tra gli alberi provò un misto di nostalgia, tristezza e conforto. Quanti ricordi diversi richiamava alla sua mente quella casa! Ogni volta che andava lì lo aggredivano tutti insieme, lasciandolo pieno di malinconia.
Si avvicinò alla base del portico, e ritrovò il punto in cui una delle pietre si era staccata. Rimosse il muschio che aveva coperto la fessura ed estrasse la chiave.
In quel momento sentì arrivare la famiglia di Shu. Viaggiavano su due auto ed addirittura un furgone, e tra genitori, fratelli, cognati e nipoti erano talmente tanti che Touma si chiese se Chinatown fosse rimasta disabitata. La madre di Shu gli venne incontro, abbracciandolo. Era un po' appesantita dall'età e da qualche disturbo, ma i suoi occhi brillavano ancora come quando l'aveva conosciuta, ed erano uguali a quelli di Shu.
“Touma! Come stai, ragazzo mio?”
“Sto bene, signora. Grazie. Mi dispiace che siate stati costretti a scappare.”
“Non ti devi preoccupare. L'importante è che voi ragazzi stiate bene. Hai sentito Shu, oggi? Mi ha telefonato ieri sera, ma poi mi ha raccomandato di non chiamarlo più.”
“Shu sta bene, l'ho chiamato poco fa. In effetti è meglio che non vi sentiate per un po'. Non sappiamo cosa possano fare le persone che vi cercano, e non possiamo rischiare che vi rintraccino attraverso i cellulari. Li avete disattivati come vi abbiamo detto?”
“Certo. Anche se non mi piace l'idea di restare qua senza poter sapere nulla di voi.”
“Se tutto va bene non sarà una cosa lunga. Cercate di portare pazienza, d'accordo?”
La donna si limitò ad annuire, poi si diressero tutti insieme verso l'entrata.
Touma aprì la casa e diede loro qualche rapida indicazione su come sistemarsi. Mentre li guardava scaricare una gran quantità di masserizie, sentì squillare il cellulare.
Sul display comparve il nome del suo diretto superiore. In realtà il professor Hasegawa era andato in pensione da un paio di mesi, ed era stato sostituito da un altro professore. Il numero era quello dell'ufficio, e Touma si ripromise di rinominare il contatto.
“Pronto?”
“Dottor Hashiba?”
Era lui. Si erano parlati soltanto un paio di volte, ma la sua voce un po' gracchiante era inconfondibile.
“Buongiorno, professore. Di cosa si tratta?”
“Mi è appena stato riferito dalla segreteria che lei ha richiesto di prolungare di qualche giorno la sua licenza per motivi familiari.”
“E' così. Purtroppo sono sorti alcuni problemi, e non credo che riuscirò a rientrare entro la data che avevo comunicato all'inizio.”
“Ho guardato il suo stato di servizio, e mi risulta che lei avesse già preso un altro permesso non più di due settimane fa.”
Era vero. A metà marzo si erano incontrati tutti per il compleanno di Shin, e Touma non era andato in università per tre giorni.
“Questa volta si tratta di un funerale, non è un evento che possa essere previsto, se posso permettermi.”
“Dottor Hashiba, a me risulta che lei si sia assentato diverse volte ultimamente. Ad ottobre, dicembre...”
“Non mi risulta di aver richiesto più giorni di quanti ne siano previsti dal mio contratto.”
“Mi ascolti. In questi giorni ho esaminato alcuni suoi scritti, e devo dire che sono rimasto impressionato dalla loro qualità e dai risultati raggiunti.”
“La ringrazio.”
“Tuttavia non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai una persona della sua età, con una mente brillante come la sua, sia ancora soltanto un semplice ricercatore. - Touma fece per replicare, ma l'altro lo prevenne. - Così mi sono permesso di informarmi su di lei. A quanto pare, ciò che le impedisce di fare carriera è la sua indisponibilità. Si assenta spesso, a volte con pochissimo preavviso, e ha fatto intendere chiaramente più di una volta che non è disposto a lasciare il Giappone per partecipare a convegni o studi internazionali. Noi ci conosciamo ancora poco, ma mi preoccupa questo suo atteggiamento.”
Touma senti l'irritazione crescere.
“Queste sue fonti le hanno anche riferito che i miei progetti vengono sempre consegnati in tempo, spesso in anticipo, e sempre con risultati soddisfacenti?”
“Di questo non ne dubito. Ma io ho bisogno di poter contare su ogni elemento del mio staff. Con una certa continuità, intendo.”
“Le assicuro che può trovarmi al cellulare in qualunque momento, anche quando non sono in università.”
“Dottor Hashiba, mi ascolti. Lei non è sposato, non ha figli. So che il suo unico parente in vita è sua madre, che però vive negli Stati uniti. Dunque non so spiegarmi quali possano essere questi suoi motivi familiari che la trattengono così spesso. Io spero che lei non abbia altri impieghi di cui...”
Touma lo interruppe bruscamente. L'irritazione si stava trasformando in rabbia e dovette trattenersi per non essere sgarbato.
“Assolutamente no. Non si tratta di questo. Come le ho detto, si tratta di questioni personali. Non mi aspetto che lei possa capire, e comunque sarebbe sciocco da parte mia pretenderlo, dato che non conosce la mia situazione. Purtroppo non posso fare diversamente da così. Se non è d'accordo con la mia condotta, faccia ciò che ritiene più opportuno. Arrivederci.”
Chiuse la comunicazione senza aspettare che l'altro rispondesse e sbuffò rumorosamente.
“Coglione. - Borbottò. - Se me ne stessi rintanato in università invece di fare quello che devo fare, credi che potresti goderti il tuo bell'ufficio nuovo?”
Ma si pentì subito di quello che aveva detto. Certe pose da supereroe non gli si addicevano, e di certo non lo facevano sentire meglio.

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Capitolo 4
*** Quattro - Nero come la pece ***


Seiji si chinò su Ryo. Respirava regolarmente, anche se era un po' pallido. In condizioni normali avrebbe lasciato che riprendesse conoscenza da solo, ma stavolta decise di dargli una piccola spinta.
Posò una mano sulla sua fronte, e lasciò penetrare un po' di calore.
Ryo si agitò un po', poi aprì gli occhi sotto lo sguardo attento del padre.
Si tirò su a sedere. “Seiji? Ma dove siamo? Cosa sta succedendo?”
“A quanto pare siamo in un capannone, non so dove. - Alzò lo sguardo verso la porta di metallo. - Credo siano ancora là fuori. Se pensi di riuscire a muoverti, credo che dovremmo andarcene da qui prima che tornino.”
Ryo annuì, mettendosi in piedi.
“Sto bene. - Indicò il muro alle loro spalle. - Proviamo a passare da lì?”
Suo padre stava per obiettare che in quel muro non c'era nessuna porta, quando vide Seiji salire con un paio di balzi fino alle finestre a nastro che correvano ad altezza del soffitto.
“Sì. Controllo che non ci sia nessuno dall'altra parte, poi possiamo buttarlo giù.”
Il muro confinava con un vicolo piuttosto stretto, in fondo al quale erano accatastati scatoloni ed un paio di bidoni di latta. Era ancora notte, ma tra i due edifici cominciava a filtrare un po' della luce rosata dell'alba.
Balzò di nuovo a terra, indossando in volo l'undergear, seguito da Ryo.
Uno di fianco all'altro, si prepararono ad indossare l'armatura. Si guardarono negli occhi, in un attimo di esitazione. Le loro famiglie sapevano delle Yoroi, ma non le avevano mai viste indossate. E soprattutto, non avevano mai visto la forza che erano in grado di liberare.
Ma non c'era tempo per i dubbi.
“Andiamo.” Mormorò Ryo.
Seiji annuì.
Eseguirono la vestizione. Un attimo prima che potessero sfoderare le spade, la grossa porta di metallo si spalancò alle loro spalle, sbattendo con violenza contro al muro.

 

Shin aprì gli occhi. Per un attimo si sentì disorientato, come se non riuscisse a ricordare bene cosa fosse successo. Poi la realtà degli ultimi giorni lo aggredì, facendogli stringere lo stomaco.
Per fortuna c'era qualcosa di solido e caldo contro la sua schiena. Chiuse di nuovo gli occhi ed aprì invece il cuore, per lasciare che l'essenza dei suoi nakama entrasse dentro di lui.
Un'immagine tremolante apparve dietro le sue palpebre. Era un'ampia vallata, ricoperta di erba ed alberi. Al centro di essa zampillava e scorreva un ruscello.
Il rumore era un po' attutito, l'acqua non tintinnava come al solito. Ed il cielo si apriva sulla valle, ma era grigio ed immobile. La luce era poca, come filtrata dalla foschia, e Shin si sentì all'improvviso intirizzito e solo.
Riaprì gli occhi, incerto. Forse il suo cuore era troppo pesante per riuscire ad entrare in contatto con loro?
Si mise seduto, e Shu si girò sulla schiena, continuando a dormire. Shin si guardò attorno nella penombra della stanza. Il futon di Touma era aperto accanto a loro, il pigiama piegato senza troppa cura e buttato in un angolo. Si alzò in piedi, e anche se era stato attento a non fare rumore, Shu si svegliò.
“Buongiorno.” gli sussurrò.
“Shin... Ehm...come stai?”
“Non lo so. Ho dormito, ma non mi sembra di avere riposato molto. Sai dov'è Touma?”
“E'... E' dovuto partire. All'improvviso. - A Shin sembrò che Shu fosse arrossito. - Ha ricevuto una telefonata e ha detto che doveva scappare. Ma tornerà appena possibile.”
“Una...telefonata? E dove è andato?”
“Non lo so...”
“E quando è successo, scusa?”
“Stamattina presto. Credo. Ero mezzo addormentato, non ho guardato l'ora.”
“Shu, mi stai dicendo che Touma è sparito e tu non sai né quando né dove?”
Shu boccheggiò. Sapeva che le sue possibilità di mentire a Shin si sarebbero volatilizzate in pochi istanti. Ma fu salvato dalla voce leggera di Sayoko che chiamava Shin.
La donna si affacciò nella stanza.
“Sei pronto? Ci sono ancora molte cose da fare...” Appariva stanca.
“Arrivo tra un attimo.”
“Ho preparato la colazione, vi aspetto di là.”
Shu approfittò dell'interruzione per sparire in bagno. Fece in modo di arrivare a tavola quando i due fratelli avevano quasi finito, ma non gli sfuggì lo sguardo un po' stranito che Shin gli lanciò.
Temette che tornasse all'attacco con domande per le quali non aveva risposta, ma a quanto pareva l'amico aveva altro per la testa.
Appena rimasto solo, si ingozzò con quello che era avanzato, poi uscì in giardino in cerca di un angolo tranquillo per telefonare a Touma.
Rimase piuttosto deluso quando la voce registrata gli annunciò che il suo cellulare era spento.
Alcune persone in abiti scuri stavano cominciando ad arrivare a casa Mouri, e si stavano raccogliendo attorno al piccolo tempio che era stato allestito in giardino per la cerimonia funebre.
Con il cuore pesante, Shu si diresse in camera per prepararsi.
Indossò velocemente il completo scuro che aveva portato per il funerale, poi si avviò verso il giardino.
Nel corridoio incontrò Shin. Teneva gli occhi bassi, ed era talmente assorto che si accorse di lui soltanto quando ormai erano vicini.
Gli fece soltanto un piccolo cenno con il capo, poi proseguì. Shu si limitò a seguirlo, in silenzio.
Un attimo prima di uscire di casa, Shin si fermò.
“Hai... hai sentito Ryo o Seiji?”
Anche se aveva cercato di parlare con voce neutra, la delusione nei suoi occhi era piuttosto evidente.
Almeno per chi lo conosceva bene, come Shu.
“Ecco... sì, sono in viaggio. - Se c'era una cosa che Shu odiava, era mentire. - Non sono riusciti ad organizzarsi prima, ma vedrai che entro poco saranno qui.”
Shin annuì con un unico movimento secco, ma non sembrava per nulla convinto.
Uscirono in giardino, e Shin si diresse verso Sayoko. Non aveva più alzato lo sguardo verso di lui, e Shu si chiese perchè, nonostante il sole tiepido, dovesse sentire così freddo.

 

Touma si chiuse la porta alle spalle. Si era buttato sul letto per un paio d'ore, mentre la famiglia di Shu finiva di sistemarsi, poi si era costretto ad alzarsi. All'inizio gli era sembrato di sentirsi ancora più stanco di quando si era steso, ma poi l'adrenalina lo aveva messo in piedi.
Per fortuna era una giornata senza nubi, come il giorno precedente: nel giro di poco l'aria sarebbe diventata tiepida. Decise che sarebbe tornato a Yamanashi per cercare di scoprire qualcosa di più.
La via più breve era sicuramente volando, ma ormai era giorno, e avrebbe dovuto fare attenzione per non farsi vedere.
Era quasi tentato di tornare ad Hagi. L'idea di non essere presente al funerale gli sembrava insopportabile, ma sapeva di non potersi permettere il lusso del tempo.
Fu tentato di chiamare Shu e sentire come se la cavavano, ma riattivare il telefono lì a Kamakura era troppo rischioso. Se avevano rapito Ryo e Seiji, allora era probabile che avessero anche il suo numero e quello di Shu e Shin.
Non potevano sapere se erano in grado di tracciarli, e farsi individuare a casa di Nasty avrebbe significato rendere inutile il nascondiglio. Si impose di essere paziente. Si diresse dove gli alberi erano più fitti, e da lì si sollevò in aria.

 

Shu ripose con cura l'abito scuro sull'attaccapanni. Dopo la cerimonia Shin si era fermato a parlare con diverse persone, e lui ne aveva approfittato per cercare ancora di contattare Touma. Aveva trovato il cellulare spento già tre volte, quella mattina, ed era sul punto di mettersi ad urlare per la frustrazione.
Per fortuna quella volta Touma aveva risposto. Si erano aggiornati velocemente, poi avevano deciso che era arrivato il momento di dire a Shin la verità.
Shu si chiese come avrebbe trovato il modo giusto di farlo. E soprattutto il coraggio.
Si affacciò in giardino. Ormai erano andati via tutti. Era stata una bella cerimonia, ma per Shu era stato tutto sbagliato. Avrebbero dovuto esserci tutti loro quattro. Sarebbero stati in prima fila, e avrebbero fatto sentire a Shin il loro calore. Seiji si sarebbe presentato in abiti tradizionali neri, e non gli sarebbe importato nulla di essere l'unico vestito così. Ryo avrebbe avuto il nodo della cravatta storto e gli occhi rossi, e Touma sarebbe stato serio e impacciato, ma poi avrebbe detto qualcosa di saggio che li avrebbe fatti sentire tutti meglio.
E invece c'era soltanto lui, e la sua presenza gli sembrava solo un modo per sottolineare tre assenze, così non era nemmeno riuscito a mettersi davanti. Aveva preferito restare in disparte, a rimuginare su tutto quello che stava succedendo.
Trovò Shin nel giardino sul retro. Era al centro del ponticello di pietra che attraversava il piccolo stagno, e guardava giù, verso le carpe che di tanto in tanto salivano in superficie per poi scomparire con un guizzo.
Aveva tolto la giacca e la cravatta, e nonostante l'aria fredda aveva arrotolato le maniche della camicia fin sopra ai gomiti.
Da lì Shu non riusciva a vedere il suo volto, ma gli bastava vedere le spalle incurvate e la testa china per capire come stava.
Lo raggiunse, ma Shin non si girò nemmeno verso di lui, così si limitò a rimanere lì accanto, i gomiti poggiati sul parapetto rosso un po' scrostato.
“I giorni come questo... come oggi. - Shu si voltò verso di lui, ma Shin parlava guardando fisso davanti a sé. Non sembrava nemmeno che parlasse davvero a lui. - Quando mi sento così, cerco sempre di pensare alle cose belle che ho. Ai ricordi belli. Ma evidentemente devo averli consumati tutti a poco a poco, perché oggi non riesco a farmene venire in mente nemmeno uno.”
Shu sentì un brivido lungo la schiena.
Si avvicinò di più, passò un braccio attorno alle sue spalle, e con la mano destra cercò di prendere quella di Shin, che però rimase immobile nella sua.
“Non devi dire così. I ricordi belli ci sono, è solo che adesso sei troppo triste e non riesci vederli. E poi non devi rifugiarti in quelli, Shin. Io sono qui per questo. Lo sai che non sei solo, no? Ci siamo noi, con te.”
“Davvero? - Shin si era voltato di scatto, guardandolo negli occhi con una sorta di furia. La voce era più alta, sembrava trattenuta a stento. - Davvero, Shu? Perché io non vi vedo.”
Shu battè le palpebre un paio di volte, spiazzato da quella reazione. Shin si era sciolto dal suo abbraccio, ma le loro dita erano ancora intrecciate. Stringeva la mano così forte che gli stava facendo male.
“Dove sono gli altri, eh? Perchè Touma è stato qui giusto il tempo della decenza, e Ryo e Seiji non si sono nemmeno degnati di farsi sentire. - Shu aprì la bocca per replicare, ma Shin non gliene diede il tempo. - E tu... tu sei qui, ma è come se non ci fossi. Si vede lontano un miglio che stai pensando ad altro, e ogni mezz'ora sparisci per rintanarti da qualche parte a telefonare. Se avevi qualcosa di più importante da fare... - la voce si abbassò, e Shin tornò a guardare giù verso l'acqua. - ...potevi rimanere a casa. Non eri obbligato a venire.”
Shu sentiva gli occhi bruciare. Sapeva che sarebbe successo, ma vederlo così era difficile da sopportare. E si sentiva una merda per avergli mentito.
“Non puoi pensare una cosa del genere, Shin. Lo sai che non lo faremmo mai.”
“Non lo pensavo. - la voce adesso era un sussurro roco – Non lo avrei mai pensato, se non lo avessi visto con i miei occhi. Quindi adesso dimmi, Shu, cosa sta succedendo? Perché davvero, io non so cosa pensare.”
Shu cercò di toccargli una spalla, ma Shin si ritrasse con uno scatto così violento che si sentì come se gli avesse dato uno schiaffo. Ingoiò quest'altra dose di amarezza e si poggiò di nuovo al parapetto, cercando di stare così vicino da poterlo almeno sfiorare con la spalla.
“Touma l'aveva detto.” Borbottò fissando l'acqua.
“Cosa aveva detto?” Shin faticava a lasciar uscire ogni singola sillaba. Gli sembrava che la gola si dovesse spaccare da un momento all'altro.
“Aveva detto che avresti sofferto comunque. Mi dispiace. Abbiamo cercato di lasciartene fuori il più possibile, ma non ci siamo riusciti.”
Shin si rizzò di scatto. Se prima aveva creduto di non potersi sentire peggio di così, adesso era sicuro che il cuore gli sarebbe esploso.
“Fuori... fuori da cosa, Shu? Cosa cazzo sta succedendo, me lo vuoi dire?!”
Shu cercò di nuovo di toccarlo, ma Shin fece un passo indietro, tremando. La pendenza del ponte lo colse di sorpresa, e per un attimo barcollò. Si aggrappò al parapetto, e quando Shu fece per avvicinarsi di nuovo, lo fermò con gesto della mano.
“Parla. Adesso.”
Shu aprì la bocca. Poi la richiuse. Sospirò pesantemente, poi si decise a vuotare il sacco, senza riuscire a guardarlo negli occhi.
“Seiji... e Ryo... sono scomparsi. Non sappiamo niente e non riusciamo a sentirli da ieri mattina. Touma è andato a cercarli e io sono rimasto qui, per non lasciarti solo. Sono rimasto qui perché volevo stare qui. Con te. E se sono sempre al telefono, è perché ho il terrore che scompaia anche Touma, e non riesco a fare a meno di telefonargli in continuazione.”
Finalmente trovò il coraggio di alzare lo sguardo, e ciò che vide gli fece perdere un battito. Shin sembrava sul punto di sbriciolarsi. Era pallidissimo, e le labbra erano violacee. Sembravano quasi una cicatrice che attraversasse la pelle del viso. Tremava violentemente e lo fissava, ma era come se in realtà stesse guardando oltre di lui, verso qualcosa di mostruoso che si stava aprendo alle sue spalle.
E Shu si sentiva davvero così. Come se qualcosa stesse per inghiottirli entrambi, senza che potessero opporsi in nessun modo.
“Cosa... cosa vuol dire che sono scomparsi?”
“Stavano venendo qui, ma non sono arrivati. Al telefono non rispondono.”
“Erano insieme?”
Shu fece segno di no con la testa, guardando a terra.
“No, non sono stati coinvolti in qualche incidente, se è quello che stai pensando. Ci avevamo pensato anche noi, ma in realtà Seiji non è nemmeno partito da casa.”
“E come... - Shin si aggrappò più forte al parapetto, cercando di calmarsi. - Come fate a saperlo?”
“Mi ha telefonato da lì. Ha detto che non poteva venire e ha buttato giù. Abbiamo parlato con suo cognato, che ieri è tornato a casa loro, ma non c'è nessuno. Sono tutti scomparsi. Touma pensa che Seiji abbia telefonato per non farci insospettire, perchè non andassimo a cercarlo.”
Shin rimase immobile per qualche istante. Era ancora più pallido, e gli occhi sembravano febbricitanti.
Shu fece un passo verso di lui, e riuscì a malapena ad afferrarlo quando si accasciò a terra come un cencio. Si accovacciò, trascinato giù dal suo peso, e lo strinse a sé. Shin ansimava, e continuava a fissare il vuoto. Si era portato le mani al petto, e stringeva la maglia così forte che si erano formate due file di pieghe, che si aprivano a ventaglio in due direzioni opposte, come crepe di qualcosa che sta per spezzarsi del tutto.
Shu lo chiamò due volte, accarezzandogli il capo. Gli baciò la fronte e lo strinse. All'improvviso fu preso dal terrore che Shin non ce la facesse. Gli venne in mente che il suo cuore potesse essere come quello della madre, che fosse troppo debole per sopportare così tante cose brutte tutte insieme.
Scosse la testa violentemente, cercando di tornare in sé. Stava pensando stronzate, e non era il momento di andare fuori di testa. Shin era forte, era un guerriero. Aveva sopportato cose terribili. Se il suo cuore fosse stato malato, non sarebbe stato lì, adesso.
“Shin... Shin, dimmi qualcosa, per favore.” Avrebbe voluto essere capace di rassicurarlo di più, ma cominciava a sentirsi logorato dall'attesa e dall'ansia. Non aveva molte certezze a cui attingere, in quel momento.
“Perchè sei qui? - La voce di Shin era un sussurro privo di forza. - Come hai potuto lasciare che Touma andasse da solo?”
“Come potevo lasciare da solo te? Almeno Touma sapeva cosa sta succedendo, e sta facendo in modo di non farsi trovare... Tu non sapevi nulla, e dovevi rimanere qui. Avevi bisogno di me più di lui. E comunque non ti avremmo lasciato solo in nessun caso. Se fossi andato io a cercarli, qui sarebbe rimasto lui.”
Shin affondò il viso nel suo petto, contro la sua felpa grigia.
“Non dovrei... Non dovrei, ma sono felice che tu sia qui.”
Shu lo tenne stretto e non disse nulla, ma si sentiva esausto. Si lasciò cadere seduto a terra e guardò in su, verso le poche nuvole bianche che attraversavano il cielo. La cosa che lo terrorizzava di più, era che Shin non aveva versato nemmeno una lacrima.

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Capitolo 5
*** Cinque - Rosso ***


Ryo e Seiji si scambiarono uno sguardo preoccupato. Qualche ora prima il loro tentativo di fuga era stato stroncato sul nascere. La porta si era spalancata all'improvviso, e prima che potessero fare qualsiasi cosa i loro cari erano stati messi sotto tiro da quella banda di bastardi.
Li avevano portati fuori, nella parte più ampia del capannone, e da quel momento non era successo molto altro. Erano rimasti seduti lì ad aspettare, mentre i loro sequestratori confabulavano tra loro.
In quel momento erano in quattro. C'era un uomo sui trentacinque anni, dagli occhi piccoli e cattivi, che era chiaramente il capo. Gli altri lo chiamavano Omezo.
Poi c'erano due ragazzetti piuttosto alienati. Potevano avere poco più di vent'anni, e dal tremore delle mani e lo sguardo perso non era difficile capire in che stato fossero.
Sembrava che non fossero in grado di stare fermi. Erano già usciti dal capannone un paio di volte, ed entrambe le volte erano tornati decisamente su di giri. Ora erano seduti su due grosse casse di legno, alle spalle dei Date, e continuavano a ridacchiare tra loro mentre gli tenevano la pistola puntata contro.
Seiji li guardò con disprezzo.
Era per gente come quella che aveva sacrificato tutto e aveva combattuto così a lungo?
Il quarto elemento della banda era un occidentale, forse un americano. Portava i capelli lunghi sulle spalle, ma radi sulla testa. Aveva anche dei ridicoli baffi da motociclista, ed era impossibile stabilire quanti anni potesse avere. Forse era il più vecchio del gruppo, o forse aveva soltanto sprecato la propria esistenza nel vizio, fino ad assumere quell'aspetto.
Ryo si chiese attraverso quali strani percorsi fosse arrivato fino in Giappone per poi associarsi agli altri. Nessuno di loro aveva partecipato ai rapimenti, il che faceva pensare che la banda fosse composta da almeno altri cinque o sei elementi. Forse in quel momento erano alla ricerca dei loro nakama?
Il cellulare di Omezo squillò. Si allontanò per parlare, ma era facile capire che era piuttosto seccato dalle notizie che sentiva.
Chiuse la comunicazione.
“A quanto pare la famiglia del vostro amico cinese è sparita. - si fermò davanti a Ryo, studiandolo. - Chissà, magari voi sapete dove siano...”
“No.”
“Non ti credo, ma non importa. Vorrà dire che faremo in un altro modo. E visto che voialtri imbecilli – si rivolse ai due ragazzi seduti poco più in là – non volete andare ad Hagi, per il momento prenderemo il professorino.”
Uno dei due fece spallucce.
“Io non ci vado in una casa in cui c'è un morto. Non voglio essere perseguitato dagli spiriti!”
Omezo lo guardò con disprezzo, ma non rispose. Prese invece di nuovo il telefono.
Confabulò con qualcuno. Prese il cellulare di Ryo dal tavolo su cui lo avevano poggiato, e dettò il numero di Touma alla persona con cui stava parlando.
Ryo e Seiji si guardarono. Sembrava che le cose dovessero peggiorare...
Quando Omezo chiuse la chiamata, Seiji lo apostrofò.
“Cosa volete da noi? Perché ci avete rapito?”
“Non lo sai? Mi risulta che voi cinque abbiate qualcosa di grande valore.”
“Non come lo intendi tu. Non è qualcosa che possa interessare ad uno come te.”
“Ma infatti a me non interessa. A me interessa soltanto una ricompensa...”
“E da chi?”
“Da qualcuno... qualcuno che mi ha promesso forza, e potere... Mi renderà invincibile, e finalmente potrò fare quello che voglio!”
“E scommetto che non è un essere umano, vero?”
“Mi credi pazzo? Eppure è così. Mi è apparso qualche giorno fa, e ho concluso un ottimo accordo!”
“No, non credo tu sia pazzo. Soltanto stupido.”
Omezo lo strattonò.
“Ehi! Stai attento, principessa!”
“Credi che ti darà quello che ti ha promesso? Tutto quello che otterrai sarà di morire. - Seiji si liberò dalla presa dell'uomo con un gesto secco. - Vi spazzerà via nell'esatto istante in cui avrete fatto quello che vuole.”
“Sta' zitto. - Stava per aggiungere qualcos'altro, ma il suo telefono trillò. Sorrise con cattiveria mentre leggeva il messaggio. - Bene. Il professore è a Kofu. Andate a prenderlo.”
I due ragazzi si alzarono, di malavoglia.
“Aspettate. - Li fermò Omezo. - Prima dobbiamo dividerli.”
Ryo e Seiji si irrigidirono.
“E perchè?” chiese l'americano.
“Lo spirito mi ha detto che sono molto forti, possono fare cose che nemmeno vi immaginate... Non voglio rischiare che facciano esplodere questo posto o chissà cos'altro. - Si voltò verso i due samurai. - Porteremo le vostre famiglie in un posto sicuro, così non proverete a scappare o ad attaccarci...”
Ryo scattò in piedi.
“Bastardo!”
Omezo lo ignorò. L'americano si avvicinò e strattonò la signora Date per farla alzare. Seiji lo fulminò con lo sguardo.
“Oh, non preoccuparti, biondino. Ci penso io a loro... - e si avvicinò a Satsuki. Le passò un braccio attorno alle spalle. - Soprattutto alla piccola Geisha...”
Seiji dovette impedirsi di balzare in avanti e strappargli gli occhi.
Omezo sbottò.
“Razza di americano del cazzo! Quanti anni sono che vivi in Giappone, eh? Devi ancora dire 'ste stronzate sulle Geisha e i Samurai?”
“Pensa per te, stronzo! Non sai nemmeno dire il mio nome! Mi chiamo Josh, non Joo-ssa...” Lo scimmiottò, allungando con enfasi la A finale.
Per un attimo sembrò che i due si sarebbero attaccati. Ryo e Seiji si scambiarono uno sguardo, sperando di poterne approfittare, ma purtroppo la cosa finì in niente.
Kuniyaki nascose il viso nel vestito della madre, sforzandosi di non piangere.
Josh prese Satsuki per un braccio, e con l'altro fece cenno ai signori Date di seguirlo.
Seiji gli si mise davanti.
“Lei resta qui.”
“Ah, davvero?”
“Sì. Hai già i miei genitori. Lei e il bambino rimangono qui.”
Omezo si avvicinò. Sembrava piuttosto arrabbiato.
Estrasse la pistola e la puntò contro la madre di Seiji.
“Lo sai? - picchiettò la bocca della pistola contro la sua tempia. - Credo che ucciderò tua madre.”
“Se lo farai, non arriverai a vedere l'istante successivo.”
“Sarebbe una minaccia?”
“No.”
Ryo osservò Seiji. Era sicuro di non averlo mai visto così.
Omezo lo studiò per qualche istante. Alla fine scrollò le spalle, con aria beffarda.
“Portate via i tre vecchi. - poi, rivolto a Ryo e Seiji – Non c'è bisogno che vi dica cosa succederà se non rimanete qui buoni e calmi, vero?”


“Partire? Adesso? Shin, ma tra poco sarà il settimo giorno, non possiamo andarcene! Chi dirà le preghiere per la mamma? Non possiamo lasciare la casa adesso!”
Shin, sospirò. Sapeva che non sarebbe stato facile.
“Sayoko, ti assicuro che non vorrei farlo nemmeno io. Ma siete tutti in pericolo. Ci sono delle persone che vogliono farci del male, e non potete restare qui.”
“Non riesco a capire! Chi sono queste persone? E perchè ce l'hanno con noi?”
“E' una storia complicata, non posso spiegartelo adesso. C'è un posto sicuro in cui potete nascondervi. C'è anche la famiglia di Shu, lì. Vedrai che sarà per poco tempo...”
“No. Io non mi muovo da qui se non mi spieghi per bene cosa sta succedendo.”
Shin si voltò verso Shu, che lo aspettava poco più in là. Era in piedi contro un muretto, lo sguardo basso e le mani cacciate a fondo nelle tasche dei jeans.
“D'accordo. Ma poi preparerai le valigie e tu, Shizuka e i bambini andrete a Kamakura.”
Sayoko annuì, e Shin le fece cenno di sedersi accanto a lui sui gradini.
“Ti ricordi l'estate di quando avevo quattordici anni?”

 

Touma sospirò, scoraggiato. Aveva passato più di un'ora alla stazione di Yamanashi a mostrare una foto di Ryo a tutti quelli che lavoravano lì e nei dintorni, ma sembrava che nessuno l'avesse visto, né alla biglietteria, né al chiosco, o alla rivendita dei giornali...
Tutti avevano osservato con attenzione la foto sullo schermo del suo cellulare, ma tutti avevano risposto nello stesso modo.
Quando ormai si era convinto che Ryo non fosse mai arrivato in stazione, aveva sentito gli altoparlanti annunciare il treno che avrebbe preso Ryo per andare ad Hagi.
Senza sapere bene il perchè, si era avviato al binario, e quando aveva visto il capotreno sul binario, aveva pensato che fare un ultimo tentativo non costava nulla.
Non credeva alle sue orecchie, ma l'uomo gli aveva detto di ricordarsi bene di Ryo. L'aveva notato perchè sembrava piuttosto agitato. Era corso a chiedergli della stazione successiva, ed era sicuro che fosse sceso a Kofu.
Touma si profuse in ringraziamenti, poi si allontanò velocemente, deciso ad arrivare a Kofu il prima possibile: finalmente aveva una traccia da seguire!
Ma una volta arrivato lì era stato nuovamente deluso. Se anche Ryo era sceso a quella stazione, non c'era la minima traccia del suo passaggio... Nessuno lo aveva visto, e Touma non riusciva neanche a farsi venire in mente un qualsiasi motivo per cui sarebbe dovuto essere proprio lì.
Una voce sguaiata alle sue spalle lo prese di sorpresa.
“Hashiba! Hashiba Touma?”
Si voltò: c'erano due ragazzi dai capelli colorati che lo fissavano.
“Chi siete?”
Uno dei due scrollò le spalle, aprendo un po' la giacca di pelle per permettergli di vedere le pistola che portava infilata nei pantaloni.
L'altro cominciò a ridacchiare scompostamente, poi fissò Touma con occhi spiritati.
“Ti sei perso, vero? Non ti preoccupare, ti diamo noi un passaggio...”

 

Sayoko si lasciò cadere con la schiena contro il parapetto delle scale. Appariva piuttosto confusa e stanca.
Shin le prese una mano, stringendola con gentilezza. Se avesse potuto decidere lui quando raccontarle tutta la verità, di certo non avrebbe scelto quel giorno.
“Io... Io non riesco a capire. Se questa armatura ti ha messo in pericolo così tante volte... se adesso ci sta costringendo a scappare da qui... Perché semplicemente non la butti via, Shin? Perché non la riporti in fondo al mare?”
“Non posso. Io... devo rimanere quello che sono.”
“Ma tu odi la violenza! L'hai sempre odiata! - Sayoko guardò verso Shu, in cerca di qualcosa che le permettesse di capire. - Sono loro? Sono i tuoi amici che ti hanno trascinato in questa follia?”
“No, Sayoko. Questo destino pesa a loro quanto a me. Ma non abbiamo scelta...”
Lei si coprì gli occhi con le mani. In pochi giorni il loro mondo si stava rovesciando, sembrava impossibile che le cose potessero tornare normali.
“Ma perché? Perché non ho mai saputo nulla, in tutti questi anni?”
“Avrei voluto dirtelo. Non sai quante volte sono stato ad un passo da raccontarti tutto. - Shin sollevò lo sguardo verso il tempio ormai vuoto. - Ma non volevo che la mamma capisse come stavano davvero le cose. Già si era agitata moltissimo quando avevo trovato l'armatura...”
“Ma avrei tenuto il segreto... Non credi che sarei stata capace?”
“Io non volevo che tu dovessi mentire per me. Che dovessi condividere il peso di un segreto come questo.”
“Ma così lo hai portato tu, da solo... Per tutti questi anni!”
Shin gettò uno sguardo a Shu, che continuava a studiarli da lontano senza farsi troppo notare. Prese entrambe le mani della sorella tra le sue.
“No, Sayoko. - le sorrise con dolcezza. - Io non sono mai stato solo...”

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Capitolo 6
*** Sei - Azzurro ***


Touma fissava i due teppisti che lo avevano fermato, cercando di ricordare se li aveva mai visti. Erano entrambi abbastanza giovani, sui vent'anni o poco più.
Quello che gli aveva mostrato di essere armato aveva capelli cortissimi sulla nuca e le tempie, e un lungo ciuffo tinto di una specie di giallo verdognolo, che gli ricadeva su un occhio. Aveva un accenno di barba incolta, e pesanti occhiaie scure.
L'altro portava i capelli tirati indietro con una specie di cerchietto. Erano lunghi fino a poco sotto le orecchie, e le punte erano rosso fuoco. Il contrasto che creavano con il nero naturale dei capelli, insieme agli occhi piuttosto spiritati, lo rendeva decisamente strano.
Decisamente non li conosceva. Ma lo avevano chiamato per nome in un luogo in cui nessuno avrebbe dovuto teoricamente conoscerlo, quindi erano lì per lui.
E questo confermava una volta per tutte che ci fossero delle persone dietro alle sparizioni di Seiji e Ryo.
Cosa poteva fare? Si chiese se fosse il caso di lasciarsi catturare. C'era una buona probabilità che lo avrebbero portato dagli altri, ma se erano riusciti a rapirli e tenerli prigionieri, dovevano avere qualcosa che li rendeva più forti di loro.
Forse con questa gente c'erano anche spiriti, o demoni?
Non era così scontato che sarebbe stato in grado di liberarli.
In ogni caso, non era tanto semplice nemmeno sfuggire. Non senza rischiare di coinvolgere le persone che a quell'ora stavano affollando la stazione. Si guardò attorno: era appena arrivato un treno carico di pendolari, che si stavano riversando lì attorno.
Decise che la prima cosa da fare era allontanarsi da lì. Camminò dritto contro i due ragazzi, fissandoli negli occhi. Ignorò le minacce che gli stavano urlando contro, e li oltrepassò.
Come immaginava, lo volevano vivo. Con uno scatto improvviso cominciò a correre, abbastanza veloce da non farsi prendere, ma non abbastanza da seminarli.
Riuscì a trascinarli in una zona abbastanza deserta, poi si fermò nel piccolo piazzale di un'officina meccanica, che in quel momento sembrava chiusa.
Rimase in piedi nel mezzo dello spiazzo, in posizione di difesa, ma decise di aspettare ad indossare l'undergear. Anche se stavano cercando tutti loro, non era sicuro che sapessero delle armature.
Era comunque meglio scoprire il meno possibile le proprie carte.

 

Shin guardava fuori dal finestrino. Aveva lasciato che fosse Shu a guidare per tutto il viaggio, anche se l'auto era sua. Si sentiva esausto, ed aveva bisogno di un po' di tempo per calmarsi e riordinare le idee.
Shu aveva cercato di fare conversazione un paio di volte, ma avevano smesso dopo poco.
Non riuscivano a parlare di niente che non riguardasse la sparizione dei loro amici.
L'analisi ossessiva delle poche informazioni che avevano e le mille ipotesi su cosa stesse succedendo non aiutava il morale, così alla fine erano rimasti in silenzio.
Dietro di loro c'era l'auto di Shizuka, che li seguiva con Sayoko e i bambini. Shin si era raccomandato che rimanessero il più possibile vicini per tutto il viaggio, in modo da poterli tenere d'occhio dallo specchietto.
Shin era grato che la guida di Shu fosse calma e regolare, e non aggressiva come quella di Seiji, o un po' nervosa come quella di Touma. Chiuse gli occhi, poggiando la testa all'indietro. Forse poteva rilassarsi per qualche istante. Scivolò nel sonno prima di potersene rendere conto.

 

“Allora, hai finito di correre? Perchè io ho finito la pazienza.”
Il ragazzo aveva estratto la pistola, e ora la puntava svogliatamente contro Touma. Sembrava che tutta quella faccenda fosse più che altro una seccatura per lui.
L'altro invece sembrava su di giri. Decisamente troppo su di giri.
L'idea di Touma era piuttosto semplice. Riuscire a scappare, e poi cercare di seguirli senza farsi vedere, sperando che lo portassero dagli altri.
“Avanti, adesso vieni con noi e sali sul furgone, da bravo.”
“E perché dovrei?”
“Perché io ho questa. - Agitò un po' la pistola, come se dovesse mostrare un bastone ad un cane. - E perché scommetto che non vedi l'ora di rivedere i tuoi amici.”
Touma strinse un po' le labbra. Non gli piaceva che certa gente nominasse i suoi nakama con quel tono.
I due tizi fecero qualche passo verso di lui, che arretrò.
“Adesso basta! - urlò l'altro. - Mi sono rotto il cazzo.” E si allungò verso il compagno per strappargli la pistola. La prese con facilità e lo spinse un po' lontano. Poi la puntò contro Touma.
“Cammina, stronzo.”
Touma decise che aveva aspettato abbastanza. Con un balzo salì sulla tettoia alle sue spalle. Stava per spiccare un altro salto e sparire oltre il tetto dell'officina, quando il ragazzo sparò.
Il samurai rimase per un attimo immobile, come ipnotizzato dall'immagine del proiettile che correva verso di lui.
Era la prima volte che le capacità fornitegli dall'armatura si applicavano ad un oggetto come quello, ed era quasi affascinante riuscire a vederlo con tanta precisione.
Saltò con un attimo di ritardo. Lo schivò con facilità, ma perse l'equilibrio e cadde dietro all'edificio, su un paio di treni di gomme accatastati contro un muro. Sentì uno dei due che urlava all'altro qualcosa sul fatto che non avrebbe dovuto sparare.
Si sollevò e corse via prima che i due ragazzi potessero girare attorno all'officina.
Rimase ad osservarli dall'alto, nascosto tra le fronde di un grande albero, mentre imprecavano tra loro e lo cercavano senza successo.
Dopo una telefonata piuttosto animata si allontanarono da lì. Touma li seguì fino ad un furgone bianco, parcheggiato poco distante, e li vide mettere in moto e dirigersi fuori città.
Li seguì, balzando da un tetto ad un balcone, da un lampione ad un albero, e così via finchè anche gli ultimi edifici che costeggiavano la strada finirono. Allora fu costretto a sollevarsi in aria.
A quel punto c'era il rischio che qualcuno lo vedesse, così cercò di seguirli volando più alto possibile.
La strada non era molto trafficata, e nonostante la distanza riusciva a vedere il furgone abbastanza bene. Sospirò, un po' rasserenato. Forse sarebbe davvero riuscito a trovare il loro covo, e se Shin e Shu riuscivano a raggiungerlo abbastanza in fretta, nel giro di poco tutta quella faccenda sarebbe finita.

 

L'auto sobbalzò per una buca della strada, e Shin si svegliò di scatto.
Si guardò attorno velocemente, cercando di orientarsi e controllando se l'auto del cognato era ancora dietro di loro.
“Tranquillo. - La voce di Shu era gentile ma anche un po' scherzosa. - Ho controllato io che non si perdessero, mentre tu dormivi beatamente...”
“Mi dispiace. - Shin si passò una mano sugli occhi stanchi. - Devo essermi assopito.”
“Crollato sarebbe un termine più adatto. - Shin arrossì. - Ma hai fatto bene. Non so quanto tempo avremo per dormire, nelle prossime ore.”
“Sarai stanco anche tu. Posso guidare un po' io, se vuoi.”
“No, tranquillo. Guidare mi rilassa, e non sono certo stanco come te!”
Si accorse che Shin si era incupito a quelle ultime parole. Sicuramente stava pensando agli ultimi giorni e al motivo della sua stanchezza. Era inutile, non riusciva proprio a pensare prima di parlare? L'unica era buttarla sul ridere, come sempre.
“Questo perchè la mia fibra fisica è nettamente migliore della tua, naturalmente.”
“Naturalmente...” borbottò Shin, sorridendo appena un poco.
“Non devi prendertela, non è colpa tua. Se tu fossi cresciuto con la cucina del mio ristorante, saresti il doppio più forte! Ma possiamo ancora rimediare almeno un po'. Vedrai che appena arrivati a Kamakura mia madre ti ingozzerà come un pollo da allevamento!”
Shin sorrise, poggiando la testa al finestrino. Non aveva per nulla fame, ma si sarebbe lasciato coccolare un po' dalla famiglia di Shu. Ne aveva decisamente bisogno.

 

Touma atterrò sul tetto di un edificio. Aveva seguito il furgone fino a Tokyo. Finché erano stati fuori città era stato abbastanza facile, ma man mano che entravano nel centro abitato era stato sempre più complicato distinguerlo tra la gran quantità di veicoli che riempivano le strade della città.
Alla fine l'aveva perso. Il furgone era entrato in un quartiere molto fitto di edifici: aveva svoltato un paio di volte, poi Touma non l'aveva visto più.
Ora stava osservando con attenzione tutti i portoni e i negozi che si affacciavano su quelle strade, ma non era riuscito a scoprire niente di più.
Sbuffò, frustrato. Se non altro ora sapeva che, con buona probabilità, i suoi nakama erano a Tokyo.
Il che aveva anche un senso: era molto più facile nascondere qualcuno in una grande città, dove c'erano quartieri popolati come quello ed il viavai di persone era continuo.
Fece svanire l'armatura e l'undergear per poter estrarre il telefono dalla tasca dei pantaloni. Non sentiva Shu e Shin da quando aveva lasciato Yamanashi per andare a Kofu, ed era ora di aggiornarli.
Ma quando lo vide ebbe una brutta sorpresa: il telefono era distrutto. Lo schermo era ridotto ad una ragnatela di crepe bianche, la batteria non rimaneva attaccata e il telaio era spezzato in due punti.
Ecco cos'era quel rumore che aveva sentito quando era caduto da quel tetto... lì per lì non ci aveva fatto caso, ed ora era senza telefono.
“Merda... - Borbottò. - E adesso come faccio?!”
Pregò che non si fosse danneggiata anche la scheda, perché non era sicuro di ricordare a memoria i numeri di Shu e Shin...

 

Shin entrò nella grande casa a Kamakura. Nel camino al centro della sala scoppiettava un bel fuoco, e diverse persone si stavano affaccendando attorno al tavolo. Due dei nipoti di Shu lo riconobbero e corsero ad abbracciarlo.
Prese in braccio il più piccolo, che cominciò a raccontargli con grande agitazione della loro fuga in piena notte e di tutte le novità scoperte nella grande casa in cui erano accampati.
Era strano pensare che per lui tutta quella storia non era niente di più che una grande, eccitante avventura...
Salutò la madre di Shu, che era corsa ad abbracciarlo, poi salì al piano di sopra per mostrare alla sorella la stanza che era rimasta libera per loro.
Mentre Sayoko ed il marito si sistemavano meglio possibile, aprì la portafinestra della stanza ed uscì nel grande terrazzo.
L'aria era limpida, e il sole bianco di fine marzo faceva brillare l'acqua del lago con la sua luce radente.
Aveva voglia di stare solo, e l'acqua esercitava su di lui un'attrazione inconfondibile.
Frenò l'impulso di saltare direttamente giù dal terrazzo. Essere in quella casa, dopo tutto quel tempo, lo faceva sentire come quando erano soltanto loro cinque, Nasti e Jun. Quando le cose più folli ed irreali erano diventate realtà, e la loro vecchia vita sembrava lontana anni luce.
Ma adesso le sue due vite si erano in qualche modo intrecciate e mescolate, e saltando giù da lì avrebbe soltanto fatto prendere uno spavento a Sayoko.
Tornò dentro e fece le scale. Sugli ultimi gradini incontrò Shu, che stava salendo a cercarlo.
“Ho provato a chiamare Touma. Il suo telefono è spento.”
Shin sospirò. Non c'era tregua dall'ansia.
“Forse si sta spostando e non c'è campo.”
“Speriamo. In ogni caso, finchè non riusciamo a sentirlo non possiamo muoverci da qui. Non sappiamo nemmeno dove sia.”
Shin annuì.
“Credo che farò due passi qua attorno. Rimarrò vicino al lago.”
“D'accordo. Rilassati un po', verrò a chiamarti appena mi risponde.”


“Che tipo di modello aveva in mente?”
Il commesso del negozio di elettronica aveva una gran voglia di accontentarlo, ma Touma aveva soltanto molta fretta.
“Guardi, il fatto è che il mio si è appena rotto. Mi è...caduto. - Il ragazzo strabuzzò gli occhi quando vide le condizioni del telefono di Touma. - E sono fuori città per lavoro, ho urgenza di prenderne uno nuovo. Un modello semplice, che non costi troppo.”
“Preferenze sulla marca?”
“No, faccia lei. Purchè sia una cosa veloce. Non mi interssano tante funzioni, l'importante è che abbia una buona ricezione un po' ovunque. Non ha un modello in esposizione che abbia la batteria già carica?”
Per quel che ne sapeva, il furgone poteva aver fatto una tappa ed essere pronto a ripartire, e ogni secondo perso in quel negozio era di troppo.
IL commesso armeggiò per un po' attorno ad una vetrinetta. Tornò con un piccolo cellulare rosa decorato con il charm di un gattino. Touma trattenne un'imprecazione.
“Ecco, ci sarebbe questo. È l'unico che soddisfi tutte le richieste che mi ha fatto, però...”
“Andrà benissimo. - Per poco non glielo strappò di mano. - Posso pagare?”
Il ragazzo stava per chiedergli se aveva bisogno della documentazione per metterlo in conto spese alla ditta, ma capì che non era il caso. Mise la confezione del telefono in una sportina di carta, e fece appena in tempo a metterla in mano a Touma prima che si scaraventasse fuori dal negozio.

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Capitolo 7
*** Sette - Viola ***


Shin era seduto sul piccolo pontile di legno che si affacciava sul lago. Osservava il pelo dell'acqua mosso da piccolissime onde, sperando che potesse dare una risposta ai suoi pensieri disordinati.
Ma non era il posto adatto. Erano troppe le volte in cui si era rifugiato lì in cerca di pace, troppi i brutti ricordi che quel luogo gli richiamava alla mente.
Ripensò a quella notte in cui si era tuffato per riprendere la Yoroi. Il lago era come in preda ad una tempesta che nasceva dalle sue viscere invece che dal cielo, ed era come se da allora non fosse più tornato come prima. Non per Shin, almeno. Lo sentiva come inquinato, come se l'armatura e la sua volontà di violenza lo avessero reso muto alle sue orecchie.
Era così immerso in questi pensieri che non si accorse di Sayoko fino a che non vide il suo riflesso affiancarsi al proprio nello specchio dell'acqua.
Lei si sedette accanto a lui, le gambe sospese giù dal pontile.
“Va tutto bene? - Shin si limitò ad annuire, senza sollevare lo sguardo dall'acqua. - E' molto bello, qui.”
“Già... siete riusciti a sistemarvi un po'?”
“Sì, non ti preoccupare. Shizuka sta scaricando le ultime cose, e i bambini giocano con i nipoti di Shu.”
“Non lasciare che si allontanino dalla casa, mi raccomando.”
“Sì, tranquillo. Ora c'è la mamma di Shu che li tiene d'occhio tutti. E' una donna molto gentile... Siamo qui da meno di mezz'ora e si è già fatta in quattro per farci sentire a casa!”
“Già... ne ero sicuro.”
Per un po' rimasero entrambi in silenzio a pensare, uno accanto all'altra, ma ognuno solo con i propri ricordi.
La prima a riscuotersi fu Sayoko.
“Shin, ti ricordi quei due fratelli che abitavano davanti a casa nostra? Erano poco più grandi di te...”
“Certo.”
Due teppisti in miniatura, dispettosi e prepotenti.
“Quando avevi cinque o sei anni, una volta ti trovai in camera che piangevi. Sembravi inconsolabile.”
“Non me lo ricordo...”
“Quei due ti avevano raccontato che che nella casa disabitata in fondo alla strada c'era uno spirito malvagio che si appostava per saltar fuori e mangiare i bambini. Si erano divertiti a spaventarti a morte.”
A Shin sembrò di cominciare a ricordare qualcosa.
“Passavo davanti a quella casa ogni giorno, per andare a scuola...”
“Sì. Eri convinto che ti avrebbe preso. Ci misi un secolo a convincerti che in quella casa non c'era nessuno spirito... Alla fine ti calmasti solo perchè ti promisi solennemente che non lo avresti mai incontrato.”
“Mi fidavo completamente di quello che dicevi...”
“Già. Ti dissi che non avresti mai incontrato nessuna creatura del genere. Ero così sicura di quello che dicevo... - le mani di Sayoko tremarono un po', e Shin le prese tra le sue. - Ero convinta che avrei potuto difenderti da tutto. Non riuscivo ad immaginare che saresti diventato grande...”
Lui la abbracciò. Di nuovo rimasero in silenzio. Pian piano si stava facendo sera. Il cielo si era riempito di nubi, e sul lago stava calando la foschia, che rendeva sbiaditi i colori del tramonto.
“Si sta facendo freddo. - Shin si alzò e porse una mano alla sorella, per aiutarla ad alzarsi. - andiamo a mangiare qualcosa?”
Lei annuì. Si incamminarono lentamente verso la casa.
Quando furono a pochi passi dalla casa, Sayoko si fermò.
“Questi demoni... queste creature contro cui combattete... - Shin sobbalzò. Era strano sentirla parlare di queste cose. - Chi sono? Perché vi attaccano? E da dove vengono?”
“Beh... è difficile da spiegare. Alcuni Youia nascono dagli elementi del mondo. Ci sono spiriti delle fonti, o delle montagne. Molti si limitano ad esistere. Non sono né buoni né cattivi, proprio come noi. Vivono tra noi da sempre, e noi non li incontriamo mai. Ma a volte questi elementi vengono corrotti, o inquinati, o distrutti... e anche lo Youia che ospitano impazzisce. - Sayoko lo ascoltava immobile. Si era fatto completamente buio, e Shin non riusciva a vedere la sua espressione. - Altri demoni nascono dai sentimenti di odio o rabbia degli uomini, e proprio come l'odio e la rabbia, il loro istinto è quello di dominare e pervadere tutta l'umanità.”
“Ma se è così da sempre, se continuano a nascere, perchè dovete continuare a scontrarvi con loro? Sembra quasi che cerchiate di svuotare il mare usando un secchio...”
“Lo so. - A volte Shin aveva esattamente la stessa sensazione. - Ma non possiamo evitarlo. Vedi, c'è una città, un regno immenso, abitato da Youia. Molti di essi sono guerrieri, e sono organizzati in eserciti. Hanno capi e condottieri, come noi. Anche gli spiriti che vivono sulla terra sono legati a quel mondo. Quando io e i miei nakama abbiamo trovato le armature, eravamo alla fine di un lungo periodo in cui nessuno era riuscito ad arginare il potere di queste creature.”
Sayoko si sedette su un muretto di pietra che costeggiava la villa. Si sentiva come se stesse ascoltando una favola. O come se dovesse svegliarsi da un momento all'altro, e scoprire di aver immaginato tutto.
“C'era un monaco, di nome Kaosu. Nonostante i suoi sforzi, uno dei più temibili e forti Youia aveva sconfitto tutti i suoi avversari ed era diventato il capo assoluto di quel mondo. In cerca di un potere maggiore, aveva sconfinato, arrivando ad attaccare il nostro mondo.”
“E cosa è successo?”
Shin le raccontò delle battaglie contro Arago. Sorvolò su molti dettagli, ma la sorella lo conosceva abbastanza bene da intuire anche quello che lui non diceva. Mentre lo osservava parlare con il capo chino e la voce stanca, non riusciva a smettere di pensare che tutto quello era accaduto quando Shin aveva appena quattordici anni.
Quando Shin finì il suo racconto, Sayoko sospirò, rassegnata.
“Quindi non potete sconfiggerli, ma se non combattete sarà comunque peggio?”
“In sostanza...”
Lo abbracciò. Non riusciva a non pensare che avrebbe voluto che quel compito fosse toccato a qualcun altro.

 

Touma trovò un vicolo deserto dal quale salire su un punto abbastanza elevato. Appena fu sul tetto del palazzo, estrasse la scheda dal telefono distrutto e provò ad inserirla in quello nuovo.
Coraggio, funziona, pensò.
Dopo pochi, interminabili istanti il cellulare caricò i dati, e finalmente riuscì ad accedere alla rubrica.
Scorse fino al nuovo numero che Shu si era procurato ad Hagi, mentre la famiglia di Shin si preparava a partire.
“Touma! - la voce di Shu era sollevata. - Finalmente!”
“Scusami, ho avuto un problema. Però forse ho delle belle notizie.”
Raccontò brevemente quello che era successo, e si accordarono per incontrarsi lì a Tokio. Shu gli fece promettere che non sarebbe andato a cercare i loro nakama finché non fossero arrivati anche lui e Shin, poi si salutarono.
Touma si guardò attorno. Non sapeva dire il perchè, ma era praticamente certo che i suoi nakama fossero vicini. Era sicuro che il furgone non fosse uscito dal quartiere.
Nelle strade che aveva esaminato non aveva trovato nulla di utile, così decise di fare ancora qualche ricognizione dall'alto.
Si spostò da un tetto all'altro, e per un paio di volte ci mancò poco che qualcuno lo vedesse da un balcone o da una finestra. Ad un certo punto le case finirono, e si trovò ai margini di una zona piuttosto deserta. C'erano alcuni capannoni, e tra l'uno e l'altro piccoli parcheggi e aree per lo scarico delle merci.
Non si vedeva passare quasi nessuno. Sembrava un posto perfetto per far sparire un furgone. E magari anche delle persone. Aveva promesso che non sarebbe andato a liberarli da solo, ma in fondo nessuno gli vietava una piccola ricognizione preventiva anche lì...
 

 

Shu uscì dalla casa. Gli sembrò subito troppo buio per i suoi gusti, - da quanto tempo erano fuori Shin e Sayoko? - ma per fortuna sentì le loro voci pacate, e li raggiunse.
“Shu! Scusami, abbiamo fatto tardi.”
“Non ti preoccupare. Finalmente sono riuscito a parlare con Touma. Dobbiamo partire il prima possibile. Ma prima venite dentro a mangiare qualcosa...”
Entrarono in casa, mentre Shu raccontava a Shin le ultime notizie. La sala era illuminata, e la tavola era piena di cose buone. Sayoko andò a sedersi accanto al marito ed i figli, e Shin si sedette tra lei e Shu.
Nonostante la situazione, l'atmosfera era comunque calda ed amichevole. Shin si ritrovò a pensare che – in qualunque altro momento – sarebbe stata una tavolata perfetta.

 

Omezo camminava avanti e indietro, nervosamente. I due ragazzi che aveva mandato a prendere Touma erano rientrati a mani vuote ed ora erano fuori dal capannone, per controllare la situazione.
Nel frattempo erano tornati anche altri due della banda – un uomo di mezza età dal viso bruciato dal sole e un ragazzo sulla trentina che accendeva una sigaretta dietro l'altra – a riferire della scomparsa della famiglia di Shu.
Ryo li osservava, cercando di tenere a bada la rabbia. Seiji invece era immobile già da parecchio tempo.
Era seduto a terra, le spalle poggiate al muro, gli occhi chiusi.
Kuniyaki sollevò il viso verso quello della madre. Aveva gli occhi rossi.
“Mamma, - sussurrò. - Perchè lo zio ha lasciato che portassero via i nonni?”
Seiji non diede segno di aver sentito, ma non potè impedire al proprio cuore di essere attraversato da una fitta di dolore.
“Oh, Kuni-chan... - Satsuki gli accarezzò il capo. - Lo ha fatto per proteggere noi. Non ha avuto scelta.”
“Cosa succederà adesso?”
“Non ti preoccupare, tesoro. Andrà tutto bene.”
In quel momento entrò uno dei due che erano di guardia, e si diresse a grandi passi verso Omezo.
“E' qui! - gesticolò. - Come cazzo ha fatto a trovarci?!”
“Chi? Spiegati, idiota!”
“Hashiba! L'ho visto poco fa, era sul tetto del capannone qui accanto!”
“Vi siete fatti seguire!”
“E' impossibile! Non c'era nessuna macchina dietro di noi!”
“Lascia perdere. Siete degli imbecilli. Ti ha visto, adesso?”
“No. Era di spalle.”
“Va bene. Ora lo prendiamo e finiamo questa storia. - si fermò a pensare. - E' evidente che non si farà fermare da una pistola. Quindi ci vuole qualcuno con le sue stesse capacità.”
Si avvicinò a Ryo.
“Allora, ora ti spiego una cosa. Ora tu esci e porti qui il tuo amico. Puoi convincerlo, oppure prenderlo con le cattive, vedi tu. - Tirò fuori il telefono e glielo sventolò davanti al naso. - Se non lo fai, telefono a Josh, e gli dico di ammazzare tuo padre. Pensi di aver capito?”
Ryo lo guardò, era difficile dire se dai suoi occhi trasparisse più rabbia o più sconcerto.
“Razza di bastardo, non farò una cosa del genere!”
“D'accordo. Allora farò una telefonata.”
Ryo saltò in piedi, i pugni che tremavano. Strattonò Omezo, facendogli cadere il telefono.
Gli altri estrassero le armi, ed uno la puntò contro Satsuki.
Ryo si fermò. Sembrava che non ci fosse via d'uscita.
“Andrò io. - Tutti si voltarono verso Seiji, che si era alzato in piedi. Fissò Omezo negli occhi ed indicò verso Ryo con un ampio movimento del braccio. - Lui non è in grado di farlo. E' un sentimentale. Lo farò io.”
Ryo lo fissò, senza sapere cosa pensare.
“Seiji, ma cosa...”
“Mi sembrava che foste amici. - lo derise Omezo. - Cosa sarebbe cambiato, adesso?”
“Lo siamo. Ma non è abbastanza. Non sono disposto a sacrificare la mia famiglia per loro.”
Ryo soffocò un sussulto. Aveva visto molte volte la durezza e la rabbia sul viso di Seiji, ma questa era una persona irriconoscibile per lui. La voce di Omezo lo riscosse.
“D'accordo. Diciamo che ti credo. Vai là e portamelo. Ma non pensare di potermi fregare, capito? - fece un cenno al ragazzo che era tornato a riferire di Touma. - Verrà Iwao con te, e mi terrà informato. Se non mi chiama, o se cerchi di scappare con il tuo amico qua fuori, qui dentro succederà qualcosa di brutto. - Si avvicinò e lo fissò negli occhi con scherno. - Hai capito?”
Seiji si limitò ad allontanarlo appena con un braccio. Seguì il ragazzo fuori dal capannone, senza gettare uno sguardo a nessuno.

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Capitolo 8
*** Otto - Rosso Vermiglio ***


Shin lasciò il volante per passarsi una mano sugli occhi stanchi. I fari delle auto che incontravano lasciavano scie sbavate nella sua retina, e gli sembrava di non arrivare mai.
Shu stava dormicchiando con la testa poggiata all'indietro, ma era così teso che ad ogni scossone dell'auto scattava in avanti, per poi richiudere gli occhi dopo un istante.
Shin avrebbe voluto lasciarlo dormire fino a destinazione, ma si rendeva conto di essere davvero troppo stanco. Aveva bisogno di rimanere sveglio, o il danno sarebbe stato decisamente maggiore.
All'ennesimo scatto di Shu, lo chiamò piano.
“Shu... Scusami, ma ho bisogno di parlare un po'. Mi si chiudono gli occhi...”
Shu si strofinò il viso con vigore con entrambe le mani.
“Accosta, guido un po' io. Non ho nessuna voglia di finire schiantato fuori strada.”
“Non ce n'è bisogno, razza di sfiduciato. Mi basta fare due chiacchiere.”
“D'accordo. Ma appena non te la senti più di guidare, dimmelo, ok?”
“Hm. - Alzò gli occhi al celo. - Touma ti ha spiegato dove si trova?”
“Sì. Quando arriviamo a Tokyo ti faccio vedere.”
“Speriamo che non si faccia prendere dall'impazienza. Vorrei essere già lì.”
“Ha promesso, per quel che vale. Siamo d'accordo che tra un'ora riaccenderà il telefono. E' convinto che a Kofu lo abbiano trovato tramite quello.”
“Pensi che le nostre famiglie siano al sicuro?”
“Certo! Non possono sapere che sono lì.”
Shu aveva parlato guardando fuori dal finestrino, cercando di risultare credibile. In realtà Touma gli aveva confessato la sua preoccupazione: quando era andato a Kamakura aveva dimenticato di spegnere il telefono appena arrivato, e subito dopo aveva ricevuto una telefonata dal suo superiore. Aveva paura che in quel lasso di tempo avessero potuto tracciare la sua posizione.
“In ogni caso, la cosa migliore è che li troviamo prima che loro trovino noi.”
“Shu, ti prego. Cerca di non essere avventato come al solito, non posso stare in ansia anche per questo.”
“Farò il bravo. Promesso.”
“Già. Speriamo... Voi quattro passate il tempo a farmi promesse per poi farmi morire di paura.”

 

Touma guardò per l'ennesima volta l'orologio. Mancavano ancora quaranta minuti prima di riaccendere il telefono, ed in ogni caso era probabile che mancasse ancora di più perchè Shu e Shin arrivassero a Tokyo.
Il cielo era nuvoloso. Non riusciva a distinguere le stelle, e anche la luna era uno spicchio a malapena visibile. Quella zona era poco illuminata, qualche lampione sparuto sui parcheggi, e poche luci sui portoni metallici dei capannoni.
Era fermo sul tetto di quel capannone già da un po', e non era passata anima viva.
Decise che poteva saltare giù e dare un'occhiata lì attorno. Giusto per far passare un po' il tempo senza diventare matto.
Camminò tra un capannone e l'altro, cercando di evitare le zone più illuminate.
All'improvviso sentì alle spalle il rumore metallico di una porta chiusa senza troppa cura.
Si immobilizzò, il corpo teso ed i sensi allertati.
Gli sembrò di vedere qualcosa muoversi nell'ombra, e si appiattì il più possibile contro la parete. Quando dall'angolo vide emergere Seiji, per poco non gridò per la sorpresa ed il sollievo.
Avanzava velocemente verso di lui, e aveva indossato l'undergear.
“Seiji! - lo chiamò, senza alzare la voce. - Come stai? Cosa è successo? Ryo è con te?”
Seiji non rispose. Si limitò ad avvicinarsi, senza cambiare espressione. A Touma sembrava quasi che non l'avesse nemmeno riconosciuto.
Mentre gli correva incontro, Touma vide un'altra figura camminare alle spalle del samurai.
Era uno dei ceffi che l'avevano aggredito a Kofu, cosa ci faceva lì?
“Indossa l'armatura, Touma.”
“Cosa? Cosa sta succedendo, Seiji?”
“Indossa l'armatura. Non combatterò contro di te se sei disarmato.”
“Ma cosa stai dicendo?
“Giusto. Che cazzo stai dicendo, biondino? Siamo venuti qui per prenderlo, non per aiutarlo.”
Seiji si voltò verso Iwao. Dai suoi occhi trasparivano un tale disprezzo e odio che il ragazzo si ammutolì all'istante.
“Farò quello che mi avete detto, ma non rinuncerò al mio onore. Io non combatto con chi non si può difendere.”
Touma scrutò Seiji in cerca di un segno. Qualsiasi cosa che potesse fargli capire cosa stava succedendo, e cosa fare. Ad ogni buon conto, indossò l'undergear.
Ma Seiji non aveva l'armatura, così non la richiamò neanche lui.
Per qualche istante nessuno fece nulla, così Touma allungò una mano, cercando di toccare la spalla del suo nakama. In tutta risposta lui lo colpì con una tale violenza che lo scagliò all'indietro di diversi metri. Touma cercò di alzarsi, ma Seiji lo afferrò e lo lanciò contro il muro alle sue spalle.
L'intonaco si sbriciolò, e il cemento della parete si riempì di crepe. Iwao sobbalzò per la sorpresa.
Touma annaspò, il fiato corto per i colpi subiti e per la sorpresa.
Forse avrebbe dovuto difendersi, combattere contro di lui, ma non ci riusciva. Tutta quella storia stava diventando troppo assurda, ed era come se il suo cervello si rifiutasse di reagire.
“Seiji...”
Di nuovo fu afferrato per le spalle, ma stavolta cercò di opporsi. Strinse le mani sui suoi polsi per cercare di fargli mollare la presa, ma in quel momento Seiji alzò lo sguardo su di lui.
Nei suoi occhi c'erano una rabbia ed una disperazione così crude che Touma ne fu sopraffatto.
Sentì le proprie mani allentare la presa, mentre il cuore mancava un battito, facendogli risalire su per la gola una sorta di sfarfallio.
Aprì la bocca per chiamarlo di nuovo, ma non fece in tempo a dire nulla. Fu scagliato a terra e cadde scompostamente. Gridò di dolore quando la ghiaia del cortile gli riempì il viso di tagli e graffi.
Cercò di sollevarsi, ancora stordito, ma l'ultima cosa che riuscì a mettere a fuoco fu l'immagine di Seiji che si chinava su di lui. Nei suoi non occhi non c'era più di un vitreo nulla, e Touma si sentì all'improvviso come se tutte le forze gli fossero state risucchiate via.

 

Ryo era ad un passo dal perdere la pazienza. Omezo continuava a muoversi nervosamente. Gli altri tre aspettavano svogliatamente, seduti qua e là, e l'uomo più anziano si era seduto accanto a Satsuki e Kuniyaki, e li teneva sotto tiro.
Ryo avrebbe voluto rendere inoffensiva quella gentaglia e correre a cercare Seiji e Touma. Sentiva le mani prudere, e la yoroi gli rombava nelle orecchie come non gli era successo più da molto tempo.
Ma sarebbe stato in grado di essere più veloce del proiettile puntato a pochi centimetri dalla sorella di Seiji? E se anche fosse riuscito a salvare lei e il bambino, come avrebbe fatto a trovare in tempo il luogo in cui nascondevano suo padre ed i signori Date? Quei maledetti li tenevano in pugno, e non riusciva ad immaginare nulla di più frustrante.
All'improvviso la porta del capannone si aprì. Entrò Iwao. Dietro c'era Seiji.
Portava Touma, buttato sulla spalla come un sacco, e camminava tenendo gli occhi piantati a terra. Sul viso di Omezo era fiorito un sorriso crudele.
Ryo scattò in piedi. Seiji gli si avvicinò, poi lasciò cadere Touma a terra, senza alcuna grazia.
Ryo si chinò su di lui. Era privo di sensi, ed il viso era una maschera di sangue. Indossava l'undergear, quindi non era possibile capire se fosse ferito anche altrove. Ryo alzò lo sguardo.
“Seiji, ma cosa hai fatto?!”
L'altro si limitò ad allontanarsi. Andò ad inginocchiarsi accanto a Satsuki.
Kuniyaki aveva il volto nascosto nell'abito della madre, e singhiozzava piano. Seiji si allungò per stringergli una spalla con delicatezza. Il bambino si voltò verso di lui per un istante. Gli occhi erano colmi di lacrime, e dietro di esse si agitavano paura e delusione. Con uno scatto nascose di nuovo il viso, mormorando soltanto “No.”
Seiji si ritrasse lentamente. Si chiese cos'altro avrebbe potuto perdere e per quanto avrebbe potuto ancora soffrire prima di impazzire.

 

Shu compose per l'ennesima volta il numero di Touma.
E per l'ennesima volta gli rispose la voce registrata che diceva che il telefono era spento. Fissò lo schermo con rabbia, quasi tentato di scagliare il cellulare a terra.
“Stai calmo...” Mormorò Shin. Ma era preoccupato quanto lui, e non sapevano davvero che fare.
“Fai presto a parlare! E' da quando è iniziata tutta questa storia che passo il tempo a cercarvi al telefono senza trovarvi! Prima tu, poi Ryo e Seiji, e adesso anche Touma! Mi fate diventare matto!”
“Lo so. Lo so, mi dispiace. - Shin si appoggiò al muro alle sue spalle, facendo scorrere lo sguardo sui negozi affiancati uno all'altro lungo la via. - Avrebbe dovuto accendere il telefono ore fa.”
“E' impossibile che lo abbia dimenticato, sono sicuro che sia successo qualcosa... Accidenti!”
La strada era deserta. Pian piano si stava facendo giorno. L'aria era gelida ed umida, ed il cielo pieno di foschia. Shin si lasciò scivolare fino a terra, le mani abbandonate sulle ginocchia.
“A questo punto non so come faremo a trovarli.”
“Razza di testone, aveva detto che ci avrebbe aspettato qui, maledizione!”
“Shu... hai fatto di peggio mille volte, lo sai.”
Shu grugnì tutta la sua irritazione.
In quel momento una delle serrande si alzò. Spuntò fuori una signora anziana con un grembiule azzurro pallido. Cominciò a tirar fuori le insegne e gli espositori del piccolo bar.
Shin si sollevò, prendendo Shu per uun braccio e spingendolo dolcemente verso il locale.
“Coraggio, andiamo a fare colazione. Con la pancia piena sei molto meno irritabile, e forse ci schiariremo anche un po' le idee...”
Shu fece un piccolo sorriso sghembo, passandogli un braccio attorno alle spalle.
“D'accordo. Non è una cattiva idea.”

 

Shu sospirò pesantemente, passando un dito lungo il bordo della tazza di tè. Alzò lo sguardo su Shin, che si era sforzato di mangiare qualcosa più per senso del dovere che per fame, ed ora fissava il muro dietro il bancone con sguardo vuoto. Erano dentro già da una mezz'ora, e tutto quello che gli veniva in mente che potessero fare era perlustrare da capo tutto il quartiere. Come se non l'avessero già fatto due volte appena arrivati.
In quel momento nel bar entrarono due ragazzi. Parlavano animatamente tra loro, e sembravano piuttosto eccitati.
Shu li guardò meglio. Cosa gli ricordavano? All'improvviso gli vennero in mente le parole di Touma, quando gli aveva raccontato di Kofu.
Due ragazzi sui vent'anni, vestiti da teppisti. Uno col ciuffo biondo ed un altro con capelli lunghi dalle punte rosse.
Lo aveva memorizzato perchè voleva chiedere ai suoi fratelli se li avevano notati attorno al ristorante nei giorni precedenti.
“Shin! - esclamò, cercando di non alzare la voce. - Sono loro!”
“Loro chi?” Shin si voltò verso l'entrata del bar.
“I due tipi che hanno cercato di prendere Touma! Sono quei due!”
“Ne sei sicuro? - Shin tornò a guardare verso Shu. - Non farti notare. Se sono davvero loro, possiamo seguirli! Forse ci porteranno dove tengono i ragazzi!”
Shu abbassò di nuovo lo sguardo sul piatto, mentre sentiva il sangue pompare più velocemente nelle vene. Finalmente forse avevano qualcosa da cui partire!
Doveva solo trovare la forza di aspettare che quei due facessero il loro comodi, e poi gli si sarebbero incollati come un cerotto. Non era disposto a farseli scappare.
Si accorsero con un attimo di ritardo che anche gli altri li stavano fissando, confabulando tra loro.
Uno dei due estrasse il cellulare, cominciando a scorrere delle fotografie. Fissarono lo schermo, poi guardarono loro. Uno dei due annuì, mentre l'altro sembrava piuttosto agitato.
“Ci hanno visto! - Mormorò Shin. - Sanno chi siamo, Shu!”
“Maledizione!” Gridò Shu, saltando giù dallo sgabello e correndo fuori dal locale. I due ragazzi erano schizzati fuori in un istante, ed ora stavano correndo lungo la strada.
Shu si lanciò all'inseguimento, seguito da Shin.
Merda, merda, merda! Se se li facevano sfuggire si sarebbe mangiato le mani.
Qualche negozio stava aprendo, e la strada non era più così deserta.
Schivarono un paio di persone. Shu saltò il carrello di un fattorino che stava scaricando un furgone, ma Shin fu costretto ad aggirarlo, e lo perse di vista. Lo ritrovò poco più avanti. Era in una stretta strada cieca e fissava uno dei due ragazzi, che stava appiattito contro una rete di recinzione.
“Avanti, vieni fuori. - Shu ansimava un po' per la corsa, e la sua voce vibrava di rabbia trattenuta a stento. - Se ci porti subito dai nostri amici, potrei anche essere paziente con te.”
“Vaffanculo! - Gli gridò l'altro, senza muoversi di un passo. - Vieni a prendermi!”
Shu non se lo fece ripetere. Balzò in avanti, e in quell'istante spuntò fuori l'altro ragazzo da dietro ad un cassonetto. Shin stava correndo verso di loro, quando gli vide puntare la pistola contro la schiena di Shu.
Successe tutto in un istante.
Shin si lanciò in avanti, Shu si girò di scatto, ma prima che potesse fare qualcosa il proiettile partì e lo passò da parte a parte.
Shin sentì la propria voce gridare.
I due ragazzi gli passarono di fianco e corsero via, ma per lui furono soltanto due scie che per un attimo gli attraversarono lo sguardo.
Cadde in ginocchio accanto a Shu. Lo sollevò tra le braccia, mentre guardava con orrore la ferita nell'addome da cui sgorgava una gran quantità di sangue.
No, no, no... non anche questo... non anche lui...

 

 

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Capitolo 9
*** Nove - Arancione ***


Shu aveva freddo. Un freddo terribile che gli stava impregnando le ossa e lo faceva tremare dalla testa ai piedi. E si sentiva stanco. Così stanco che non sarebbe riuscito a tenere gli occhi aperti ancora per molto...
E forse era meglio così, perché era terribile guardare il viso di Shin mentre lo teneva tra le braccia. E sentire la sua voce roca e disperata mentre telefonava per chiedere un'ambulanza.
Sapeva che ne stava andando, ed era proprio come se l'era immaginato mille volte.
Aveva sempre saputo che la cosa più terribile sarebbe stata proprio la consapevolezza di abbandonare i suoi nakama, e spezzare quell'equilibrio perfetto che li univa. Cercò di muovere una mano, ma si sentiva troppo debole. Lasciò cadere la testa nell'incavo del braccio di Shin, poi tutto sfumò nel grigio.

 

Touma aprì gli occhi. Per fortuna ebbe la prontezza di richiuderli prima che qualcuno si accorgesse che aveva ripreso conoscenza.
Per qualche istante rimase immobile, cercando di riordinarsi le idee su cosa era successo. Poi cominciò ad esplorare quello che aveva attorno, estendendo più possibile i propri sensi.
La prima cosa che aveva sentito, appena sveglio, era stato il calore di un corpo che lo stava sorreggendo. Se era Seiji che lo teneva in quel modo, dopo averlo usato come sacco da allenamento, allora gliene avrebbe cantate quattro.
Ma non era lui.
Touma era abbastanza sicuro che fosse Ryo. Sentiva il suo odore, così riconoscibile nonostante la prigionia lo avesse coperto con quello del sudore e della polvere.
Attraverso le palpebre chiuse era facile capire che erano al buio, o al massimo in penombra. Non sentiva voci attorno a sé, né movimenti, così si arrischiò a sussurrare.
“Ryo...”
“Touma! - La voce del suo nakama era altrettanto bassa, così Touma capì che non erano soli. - Come stai?”
"Sto bene. Cosa è successo?”
Ryo gli spiegò in poche parole del rapimento, delle famiglie usate come ostaggio, dei tizi che li avevano presi, e di ciò che Omezo aveva raccontato dello Youia.
Parlava lentamente, interrompendosi a tratti a metà delle frasi. Touma capiva da queste pause che qualcuno si era avvicinato a loro, per poi allontanarsi di nuovo.
Alla fine rimase in silenzio, ma Touma sentiva la domanda che era rimasta sospesa, e che Ryo non riusciva a fargli.
Anche lui stava ripensando con sconcerto al comportamento di Seiji, ma si impose di non giungere a nessuna conclusione a questo proposito.
Non finchè non avesse saputo qualcosa di più.
Alla fine si decise ad entrare in argomento, visto che l'altro non sembrava intenzionato a farlo.
“Dov'è Seiji?”
“E' qui. E' dall'altra parte del capannone, con sua sorella e Kuni-chan. Da quando... da quando ti ha portato qui non ha nemmeno alzato lo sguardo verso di noi.”
Ryo sospirò pesantemente, sembrava che i muscoli del suo torace si rifiutassero di funzionare, chiusi dalla stretta dell'ansia.
“Io... Touma, pensi che...” Si fermò di nuovo. Non voleva nemmeno pronunciare una parola che potesse mettere in dubbio tutto quanto. Aveva la sensazione che, se l'avesse fatto, quella parola sarebbe rimasta sospesa tra loro per sempre, e nulla sarebbe più stato come prima.
“Raccontami bene cosa è successo. Voglio dire... perchè Seiji è venuto a cercarmi?”
Ryo gli spiegò di come Omezo avesse cercato di costringere lui, e di come Seiji si fosse offerto di andare. Lo sguardo privo di espressione di Seiji lo perseguitava.
Touma riflesse per qualche istante. Cominciava a farsi un'idea di cosa potesse essere successo, e sapeva che, in ogni caso, a Ryo non sarebbe piaciuto tutto quello che stava per dirgli.
“Ryo... Io credo che Seiji lo abbia fatto per proteggerci. Per evitare che le cose peggiorassero”
“Ma ti ha fatto del male!”
“Te l'ho detto, io sto bene.”
“Forse non ti sei visto. Quando ti ha portato qui ho rischiato l'infarto.”
Touma sollevò lentamente una mano, passandosela sul viso. Era ammaccato e pieno di graffi, e poteva sentire il sangue che si era rappreso in più punti. Ma non sentiva nessun dolore nel corpo, nemmeno un livido.
“E' proprio questo il punto.”
“Cosa vuoi dire?”
“Beh, io credo che... vedi, sembro conciato male, ma in realtà sono soltanto graffi. E' come se Seiji si fosse preoccupato di produrre le ferite più scenografiche possibili, e insieme di non farmi davvero male. Credo che voglia fargli credere che siamo nelle loro mani, e che possono fidarsi di lui.”
Ryo rimase in silenzio per un po'.
Voleva credere con tutte le proprie forze a quello che stava dicendo Touma.
Però...
“E' andato al posto mio. Omezo voleva mandare me, e io ho perso il controllo. Seiji si è caricato di questo compito, e l'ha dovuto fare davanti alla sua famiglia, solo perché io...”
“Ryo, ti prego. Perché devi farti una colpa di ogni cosa che succede?”
“E perché voi continuate a farvi carico anche dei miei fardelli?!”
“Perché ti vogliamo bene. Perché succede. Perché forse tu non ci hai fatto caso, ma alla fine i compiti più pesanti capitano sempre a te, e non è giusto.”
Touma si fermò. Si stava scaldando, e non voleva dare nell'occhio. E l'espressione di Ryo, per quel poco che riusciva a vedere, lo fece pentire di essere stato così duro.
Un grido dall'altra parte del capannone li fece girare entrambi di scatto.
Era Seiji.
Si era accasciato a terra, tenendosi la testa con le mani, e sembrava che tremasse. Prima di poter capire cosa stesse succedendo, entrambi furono percorsi da una scarica di dolore, che pulsò nella loro testa, per poi scaricarsi in tutto il corpo, e raccogliersi di nuovo nell'addome.
Touma si sforzò di inspirare a fondo, mentre sentiva Ryo mormorare un nome.
Ma lo sentiva chiaramente anche lui: si trattava di Shu.

 

Shin non era un dottore, ma sapeva che Shu stava perdendo troppo sangue perché la pallottola lo avesse attraversato senza fare danno. Quando si era preparato per gli esami di ammissione all'università aveva studiato un po' di anatomia, e quel poco che si ricordava gli fece pensare che il proiettile avesse perforato lo stomaco, o reciso qualche vena o arteria importante.
Aveva cercato di tamponare la ferita, ma il sangue non smetteva di uscire. Ne era già uscito così tanto...
Ma quanto ci metteva ad arrivare quella maledetta ambulanza?!
Quando Shu chiuse gli occhi, Shin sentì che stava perdendo anche l'ultimo briciolo di sangue freddo che era riuscito a mantenere.
Qualche voce cominciò a risuonare alle sue spalle. Stava cominciando a raccogliersi qualche curioso attirato dalle grida e dallo sparo, ma era come se lui non li sentisse.
Si sentiva come drogato, i pensieri che si accavallavano in mille direzioni diverse e che perdevano pian piano di razionalità.
Voleva che arrivasse qualcuno ad aiutarli.
Voleva che Shu stesse bene.
E voleva che tutto quel sangue smettesse di uscire e tornasse dov'era.
Com'era possibile che fosse in grado di sollevare tonnellate d'acqua con un solo gesto della propria lancia, e non potesse fermare un flusso così piccolo e così importante?!
All'improvviso sentì un formicolio intenso lungo tutto il corpo, come se la Yoroi stesse pulsando attorno a lui, o sottopelle. Sentiva le mani bruciare, anche se erano gelide.
Era come quando da piccolo entrava in casa dopo aver giocato con la neve, e l'aria calda della cucina gli faceva diventare tutte le mani rosse e bollenti dentro, mentre la pelle era ancora fredda.
Il kanji della sua virtù si accese, illuminando con la sua luce azzurrata il volto di Shu.
Giustizia rispose, pulsando caldo sulla fronte del suo nakama.
Shin ebbe la sensazione che qualcosa di forte ed incontrollabile si stesse liberando da sé, ma non sapeva opporvisi. D'istinto allungò la mani sulla ferita di Shu, e lo vide sussultare sotto al proprio tocco.
Poi fu tutto calore, e la sensazione di essere attraversato da qualcosa come un fiume che straripando rompe gli argini e trascina con sé ogni cosa.
Shu si contorse e si lamentò. Shin si sforzò di rimanere dritto sulle ginocchia ed almeno un po' lucido, ma alla fine cedette, e si accasciò sul suo nakama, completamente privo di forze.

 

Seiji cercò di sollevarsi su un braccio, il respiro grosso che non voleva tornare normale.
Satsuki gli teneva una mano sulla spalla, il volto pieno di preoccupazione.
“Come stai, Seiji? Che sta succedendo?”
Lui cercò di risponderle, ma di nuovo gli mancò il fiato.
Cortesia pulsava con forza sulla sua fronte, e la sua luce li avvolgeva entrambi.
Riuscì ad alzare lo sguardo attraverso il capannone, e vide che anche Touma e Ryo erano percorsi dalla stessa scarica, e che anche le loro virtù si erano risvegliate.
Un attimo prima avevano sentito chiaramente il dolore di Shu, ed ora le Yoroi si erano attivate al di fuori del loro controllo, e non sapevano cosa stesse succedendo.
Annaspò, il petto che bruciava, e la sensazione che qualcosa di vitale gli venisse strappata via.
“Che diavolo sta succedendo? - qualcuno della banda si era avvicinato, ma Seiji non riusciva più a mettere a fuoco quello che aveva attorno. - Che stai facendo, biondino?!”
Satsuki si sollevò, piena di rabbia.
“Lascialo stare! Non lo vedi che sta male?!”
“Peggio per lui!” gridò l'uomo, ma si allontanò. Tutte quelle cose incomprensibili lo spaventavano.
Seiji cadde giù, con la faccia sul pavimento. Si contorse ancora, poi perse i sensi.
Satsuki gettò lo sguardo dall'altro lato del capannone, mentre cercava di sollevare il fratello. Vide che anche Ryo e Touma erano a terra, immobili.

 

“Sei uno stronzo, Iwao. Uno stronzo testa di cazzo, dovevi proprio sparargli?!”
“Non mi rompere, Dayu! Che cosa dovevo fare, secondo te?”
“Non dovevi sparare! Lo hai ammazzato, lo capisci? E Omezo aveva detto che dovevamo consegnarli vivi! Adesso che cazzo gli diciamo, me lo spieghi?”
“Non gli diciamo un bel niente. Io me ne vado.”
“Ma che stai dicendo?”
“Senti, questa storia è diventata una gran merda, e non ne vale più la pena. Io non ci posso rimanere qui a Tokyo, capisci? Ho sparato ad uno, e la polizia mi cercherà. E poi non voglio immischiarmi in queste faccende di Demoni. Omezo è pazzo, e io non lo seguirò in questa stronzata!”
“Non la pensavi così, all'inizio!”
“Tu non hai visto quella gente, d'accordo? Io ero lì quando il biondo ha preso su l'altro. Gli ha fatto fare un volo di metri, e gli ha fatto sfondare un muro, capito? E poi che roba sono quelle armature che appaiono a scompaiono da sole?”
“Te la fai sotto.”
“Puoi dire quel che vuoi. Io me ne vado. E se non sei scemo del tutto, faresti meglio ad andartene anche tu.”

 

Shin aprì gli occhi. All'inizio non riuscì a mettere a fuoco quello che aveva attorno. C'erano pareti bianche, e odore di disinfettante. Il bastone della flebo era accanto al suo letto, e aveva addosso un leggero camice verde. Tutto gli sembrava un po' troppo luminoso ed abbagliante, e la testa gli pulsava.
Passò un'infermiera, e si accorse che era cosciente.
“Finalmente si è svegliato, signor Mouri! Come si sente?”
“Io... cosa è successo? Come sta Shu?”
“Ora le chiamo il dottore, così la visita, d'accordo? Cerchi di stare tranquillo, torno subito.”
Shin cercò di sollevarsi a sedere, ma si sentiva molle e pesante, e le braccia gli tremavano nel tentativo di sostenerlo. Cosa gli era successo? E dove diavolo era Shu? Prima che potesse cadere nel panico, un medico fece il suo ingresso nella stanza.
Cominciò a controllare le sue condizioni, mentre l'infermiera gli passava i risultati di qualche esame, e misurava la pressione a Shin.
“Allora, come le sembra di sentirsi?”
“Debole. Stanchissimo. Ma sto bene, davvero. Shu è qui? Come sta?”
“Cerchi di non agitarsi, d'accordo? Prima controlliamo un po' di cose, poi parliamo. C'è anche una persona, qui fuori, che vorrebbe farle delle domande. Se se la sente.”
Cosa volevano da lui? E perchè nessuno gli diceva cosa stava succedendo? Shin sentì il cuore che schizzava alle stelle, e l'infermiera lo sgridò perchè la pressione risultava molto alta.
“Ascoltatemi: farò tutti i controlli che volete, e risponderò a quello che vi pare. Ma voglio sapere come sta il mio amico. Perché non volete dirmi come sta?” Shin sentì gli occhi riempirsi di lacrime, e si odiò per questo. Non voleva apparire debole, quelle persone dovevano ascoltarlo!
“Va bene. Non si agiti, per favore. - Il dottore avvicinò una sedia a letto, e si sedette. - Si ricorda cosa è successo?"
"Hanno... hanno sparato a Shu."
"Sì. Vi abbiamo trovati in un vicolo, privi di sensi. Lei risulta molto debilitato, probabilmente per lo shock. Immagino sia rimasto impressionato dalle condizioni del suo amico. Non aveva mai visto ferite gravi, vero?"
Se non avesse temuto di sembrare pazzo, Shin gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Non disse nulla, così il medico proseguì.
"Il suo amico è stato ferito da un colpo di arma da fuoco. Il proiettile non ha perforato niente di vitale, per fortuna, ma è una situazione un po' strana. Non sappiamo come, ma purtroppo ha perso ugualmente moltissimo sangue, e quindi la sua condizione è un po' delicata. Inoltre non riusciamo a capire esattamente cosa sia successo.”
“In che senso?”
“Beh... faccio questo lavoro da più di venti anni, e le assicuro che qui a Tokyo mi è capitato più di una volta di vedere ferite provocate da una pistola. Ma questo proiettile ha perforato il signor Rei Fan da parte a parte, in una posizione in cui avrebbe dovuto colpire la parte alta dello stomaco. E invece lo stomaco è intatto, come se al momento dello sparo fosse stato spostato dalla propria sede. E' una cosa inspiegabile.”
Shin battè le palpebre un paio di volte, cercando di capire. Non sapeva davvero cosa pensare.
“Ma si riprenderà?”
“In questo momento non posso darle una risposta certa, ma l'organismo del suo amico è risultato sano e piuttosto forte. E l'unico danno preoccupante, come le dicevo, è la forte perdita di sangue. Se non intervengono complicazioni, io credo che potrà tornare come prima. Naturalmente non è una cosa che possa risolversi in pochi giorni.”
Shin annuì, almeno un po' sollevato.
“Grazie dottore.” Aveva creduto di perderlo, e invece erano al sicuro, e Shu stava migliorando. Non sapevano nulla di Ryo, Touma e Seiji, ma avrebbe cercato di rirprendersi il più in fretta possibile, e sarebbe andato a cercarli. Chiuse gli occhi, esausto.
Si aggrappò con tutto sé stesso alla propria virtù, e cercò di pensare che ogni cosa sarebbe tornata a posto.

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Capitolo 10
*** Dieci - Bianco come il ghiaccio ***


Seiji tornò lentamente in sè. La luce era più forte di quando aveva perso conoscenza, e gli feriva le tempie insinuandosi nelle fessure degli occhi strizzati per lo sforzo ed il dolore. Cercò di muoversi e si accorse di essere legato. Era steso a terra, su un fianco, i polsi stretti dietro alla schiena con corde che gli stavano massacrando la pelle.
La testa gli scoppiava, sentiva un rimbombo sordo e costante che copriva le sue percezioni. Era quasi sicuro che venisse dalla yoroi, la sentiva come se fosse un po' sfasata, non del tuo in suo controllo.
Cercò di guardarsi attorno. Dovevano averlo spostato verso il fondo del capannone, dove prima si trovavano Ryo e Touma. Le spalle gli facevano male, segno che lo avevano trascinato malamente dopo averlo legato.
Satsuki e Kuniyaki non erano lì. L'ansia minacciò di confonderlo, ma si impose di ragionare. I suoi nakama erano sicuramente lì vicino. Non riusciva a percepirli attraverso il legame, coperto dall'interferenza della yoroi, ma la logica glielo suggeriva. Qualunque cosa fosse successa poche ore prima, quando le armature si erano attivate, doveva aver terrorizzato i loro carcerieri, che infatti erano arrivati ad immobilizzarlo, e forse avevano portato via sua sorella e suo nipote. C'erano un paio di ombre in movimento dalla parte opposta del capannone, ma non riusciva a distinguerle.
Per liberarsi dalle corde sarebbe bastato richiamare l'undergear e spezzarle con un colpo secco, ma dopo un paio di tentativi Seiji capì di non riuscirci.
La yoroi era dentro di sé, ne era quasi certo, ma il contatto con essa era troppo blando e instabile. Sospirò: per il momento non poteva farci affidamento.
Il dolore alla testa cominciava ad attenuarsi un po', così tentò di nuovo di muoversi. Anche le caviglie erano legate, così provò a strisciare lentamente all'indietro. Dopo poco incontrò qualcosa.
Piegò la schiena in modo da riuscire a toccarlo con le mani.
Trovò una schiena maschile, coperta da una felpa pesante. Scorrendo verso il basso arrivò alle mani, legate come le sue, ed immobili. Afferrò le dita, e il cuore accelerò dolorosamente quando sentì quanto erano gelide. Erano talmente più fredde delle sue da sembrare di ghiaccio.
Di nuovo provò a raggiungere i suoi compagni, e di nuovo il legame rimase muto.
Strinse in denti, ricacciando un'altra volta indietro il panico. Risalì con le dita ai polsi legati di quello che – ormai ne era certo – era uno dei suoi nakama, e ce le premette sopra. Il suo cuore batteva così forte da coprire quello che avrebbe voluto ascoltare. Di nuovo si impose la calma, e con uno sforzo riuscì a frenare il rimbombo del sangue nelle orecchie.
Rilasciò un sospiro di sollievo quando finalmente riuscì a percepire - sotto la pelle che stava sfiorando - un battito lento ma regolare.

 

Shin riemerse dal buio in cui l'aveva gettato la debolezza. C'erano voci sconosciute accanto a lui, e sembravano tese.
“Le avevo detto che l'avrei chiamata io quando si fosse svegliato.”
La stanza era illuminata da una luce azzurrata che riposava gli occhi, ma dava l'impressione di non riuscire a tenere fuori il buio che si intravedeva dalle larghe finestre dell'ospedale.
“Signora, è tutto il giorno che dorme. Io ho una indagine da condurre, e lui è il testimone principale.”
L'infermiera sbuffò, ma si fece da parte e lasciò entrare l'uomo.
“D'accordo. Ma prima controllerò le sue condizioni. - Poi, rivolta a Shin. - Signor Mouri, c'è qui il poliziotto di cui le aveva accennato il dottore. Vorrebbe farle qualche domanda.”
Shin annuì. Osservò il suo interlocutore: poteva avere trentacinque anni, e sembrava una brava persona. Ma lo fissava con un cipiglio severo che lo fece sentire un po' a disagio.
L'infermiera fece i suoi controlli di routine, poi fece un cenno che il poliziotto prese come un via libera.
Si fermò sulla porta. “Tornerò tra un po'.”
L'uomo la ignorò. Tirò fuori diversi fogli un po' stropicciati ed una penna.
“Allora. Mi può dire il suo nome?”
“Mi chiamo Mouri Shin.”
“Nato ad Hagi il 14 marzo 1973?”
“Sì.”
“Ed il suo amico?”
“Rei Fan Shu.”
Il poliziotto sollevò un foglio e gettò un'occhiata.
“Yokohama, 1 Settembre 1973.” Recitò.
“E' esatto.” A Shin sembrava tutto un po' strano. All'ospedale conoscevano già i loro nomi, dovevano avergli trovato i documenti addosso. In compenso il poliziotto era stato così sgarbato da non dirgli il proprio nome.
“E vi trovate a Tokyo per...”
Shin esitò un attimo. Non aveva avuto il tempo di ideare una storia credibile.
“Sono venuto a trovare Shu. E' un mio caro amico, ci siamo incontrati qui a Tokyo.”
L'uomo si limitò a stringere le labbra.
“Parliamo delle persone che vi hanno aggredito. Li conoscevate?”
“No.”
“Li saprebbe descrivere?”
“Io... - Shin esitò. Se la polizia si metteva sulle tracce di quei due, avrebbe finito con l'interferire con tutta quella faccenda? E sarebbe stato meglio o peggio? - Credo di sì.”
“Esattamente cosa è successo?”
“Erano due ragazzi sui vent'anni. Uno dei due ha sparato a Shu, poi sono scappati. Non ho visto dove siano andati, ero troppo preoccupato per lui.”
“E perchè vi hanno aggredito?”
Shin esitò di nuovo.
“Signor Mouri, devo avvertirla. Quello è un quartiere tranquillo, dove non succede molto. Quindi capirà che non ho avuto difficoltà a raccogliere diverse testimonianze di quello che è successo.”
Tradotto: non sparare cazzate, perchè tanto è inutile.
Shin ripensò all'accaduto. Di sicuro più di una persona li aveva notati mentre inseguivano quei due, e la signora del bar sarà stata anche inviperita perchè erano schizzati fuori dal locale senza nemmeno pagare. Chissà cosa era andata a raccontare.
“Ecco... Noi li abbiamo inseguiti. Ieri siamo stati derubati in strada, e a Shu sembrava che quei due ci avessero avvicinato più o meno quando è successo. Quando li abbiamo visti per caso nel bar, ci è venuto spontaneo seguirli.” Cercò di mostrarsi sicuro. Come balla non era neanche tanto male.
L'uomo annuì appena, ma continuava a fissarlo come se non fosse per nulla convinto.
“Mi rendo conto che sia stato un comportamento sciocco, ma ci siamo lasciati prendere dalla rabbia, e...”
Il poliziotto lo interruppe.
“Quando vi abbiamo trovati, lei era completamente bagnato. Sa dirmi perchè?”
“Intende dire sporco di sangue?”
“No, intendo dire fradicio d'acqua. Era completamente inzuppato dalla testa ai piedi, come se le avessero scaricato addosso due o tre secchiate.”
Shin spalancò appena gli occhi. Non aveva idea di cosa potesse significare.
“Non... non lo so, davvero. Io non ricordo nulla del genere.”
“E le stranezze non finiscono qui. Il suo amico pesava come piombo. Ci sono voluti quattro barellieri per sollevarlo, e non senza fatica. Eppure, una volta in ospedale, aveva di nuovo il peso di una persona normale.”
Stavolta Shin non riuscì nemmeno a rispondere. Non ci stava capendo nulla.
“Avevo pensato che potesse avere addosso qualcosa, ma è stato perquisito, e... A quanto pare non c'era nulla.”
L'uomo rimase in silenzio. Continuava a fissare Shin come se fosse un indiziato, più che un testimone, e lui si stava innervosendo. Quel poliziotto stava lì a fargli domande strane, e lui invece doveva uscire da lì, doveva cercare i suoi nakama e liberarli. Doveva far finire quella storia, o sarebbe diventato matto.
Si decise a parlare, perchè l'altro si limitava a proseguire la sua tattica fatta di sguardi intimidatori.
“C'è... C'è qualcosa che non mi dice, signore?”
“Oh, no. Non direi. Anzi, credo proprio che sei lei a non dirmi la verità. Quindi, se abbiamo finito con le cazzate, ora mi racconterà per bene chi siete, e cosa è successo.”
Shin sobbalzò appena. Non gli captava spesso di essere interpellato in quel modo. I suoi modi gentili ed il suo aspetto affabile facevano sì che la maggior parte delle persone lo trattasse con una certa cordialità, e non era abituato ad atteggiamenti tanto ostili. Non da parte di un essere umano, almeno.
E comunque i suoi nervi erano abbastanza logorati da tutto quello che stava succedendo, gli sembrava di non avere più un briciolo di sopportazione.
“Non dice nulla? Bene, allora parlerò io. - L'uomo si alzò dalla sedia da cui l'aveva interrogato fino a quel momento, e si mise a passeggiare per la stanza. - Lei ed il suo amico avevate dei documenti addosso, ed indubbiamente le facce sulle fotografie sono le vostre. Ma quando si usa un documento falso, si dovrebbe fare attenzione all'età che si indica. Non vorrà farmi credere di avere quarant'anni, voi due non arrivate nemmeno ad averne venticinque!”
Shin si animò.
“Ma cosa dice?! Io mi chiamo Mouri Shin, e quel documento non è falso! E lo stesso vale per Shu! E' vero, dimostriamo meno della nostra età, ma può chiedere a chiunque ci conosca. Può chiedere alle nostre famiglie.”
“Ecco un altro punto davvero interessante. Dove si trovano le vostre famiglie? Perchè l'ospedale ha provato più volte a contattarle, dopo che siete stati ricoverati, ma a quanto pare non hanno trovato nessuno. - Shin provò ad aprire bocca, ma di nuovo il poliziotto lo prevenne. - E siccome a me non piacciono le domande senza risposta, ho contattato i miei colleghi di Hagi e di Yokohama. A quanto pare sono scomparsi tutti i vostri familiari. Sono partiti all'improvviso, e nessuno sa dove siano.”
Shin abbassò lo sguardo. Le cose stavano precipitando velocemente.
“Si trovano a poca distanza da Tokyo, ospiti di una nostra amica. Sono partiti insieme a noi.”
“Anche loro in viaggio di piacere? - Il tono dell'uomo era passato dall'aggressivo all'ironico, e non era un gran miglioramento. - Mettiamo che io possa credere che tutti i familiari del signor Rei Fan si siano spostati senza apparente motivo, ma cosa ha spinto lei e sua sorella ad una vacanza a Tokyo a pochi giorni dalla morte di vostra madre?”
Shin sollevò la testa di scatto, sbiancando. Di tutti i brutti pensieri di quei giorni, era quello che aveva cercato costantemente di spingere giù in fondo alla lista, proponendosi di concederselo solo dopo che tutta quella faccenda fosse finita.
Sentirselo sbattere in faccia in quel modo, da uno sconosciuto, fu come essere preso a schiaffi.
Il poliziotto smise di passeggiare. Prese la sedia e la avvicinò di più al letto, poi si sedette in modo da trovarsi molto più vicino di quanto non fosse prima.
Osservò il viso pallido di Shin. Non gli piaceva comportarsi in quel modo, tanto più che l'istinto gli diceva che la persona che aveva di fronte non lo meritava.
Ed in realtà, aveva fatto anche di più che fidarsi dell'istinto. Hagi era una città piccola, e la famiglia Mouri era nota a tutti. Non aveva avuto difficoltà a farsi dire qualcosa su di loro dai suoi colleghi, e non aveva ascoltato nulla di brutto o sospetto.
Tuttavia, quella faccenda era davvero troppo strana, e non mentiva quando aveva detto di non amare le domande senza risposta. Così si decise ad affondare il colpo finale, perché voleva sapere la verità, e non era più in vena di aspettare.
“Allora? Non ha nulla da dirmi? - si alzò di nuovo in piedi, rimanendo però accanto al letto. - D'accordo, allora faremo a modo mio. Appena l'ospedale darà il consenso per la sua dimissione, la farò arrestare per intralcio alla giustizia e falsa identità. E poi scoprirò cosa sia successo davvero questa mattina.”
“Cosa?!”
Shin non credeva alle sue orecchie. Come era passato in pochi minuti da vittima a sospettato? Quell'uomo non poteva arrestarlo, lui doveva uscire di lì, cercare i suoi compagni! E chi avrebbe protetto Shu, se lui era lontano? Si passò le mani sul viso, nervosamente.
Certo, avrebbe potuto saltare fuori dalla finestra, cercare di richiamare l'undergear e lanciarsi giù in strada. Probabilmente sarebbe riuscito a sparire in pochi istanti, ma non avrebbe fatto altro che confermare a quell'uomo i suoi sospetti, e a quel punto si sarebbe trovato sulla testa un ordine di cattura. Sarebbe diventato tutto ancora più complicato, e chissà se poi sarebbe più potuto tornare alla propria vita...
“Signor Mouri, mi ascolti... - La voce del poliziotto si era fatta meno dura, sembrava quasi comprensiva. - Perchè non ricominciamo da capo? Mi dica cosa sta succedendo. Se avete bisogno di aiuto, è da noi che dovete venire.”
Shin rimase qualche minuto con il capo chino, cercando di decidere cosa fare. Quell'uomo stava indubbiamente usando la tecnica del bastone e della carota con lui, però... Forse farsi aiutare, per una volta, poteva essere davvero meglio. In fondo stavolta si trattava di esseri umani, e probabilmente non sarebbe stato possibile agire nell'ombra come avevano sempre fatto. Annuì appena, senza alzare lo sguardo. Il poliziotto si sistemò meglio sulla sedia, intravedendo uno spiraglio in quella che si preannunciava una delle indagini più strane che avesse ancora affrontato.

 

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Capitolo 11
*** Undici - Verde bottiglia ***


Shin prese un lungo respiro. Doveva rimanere concentrato, e riuscire a raccontare le cose in modo che fossero credibili, e che non complicassero la situazione. Naturalmente c'era una serie di informazioni che avrebbe dovuto per forza omettere, ma facevano parte di quella metà della sua vita a proposito della quale era abituato a mentire.
“Va bene, le racconterò tutto. Ma prima, - Sollevò il capo e fissò il poliziotto negli occhi – vorrei che mi dicesse almeno il suo nome.”
“Ha ragione. Sono l'ispettore Nishimura, e le chiedo scusa se sono stato così duro.” Si stava aprendo un contatto tra loro, e doveva stare molto attento a non far richiudere Mouri nel suo mutismo.
Shin si limitò ad annuire.
“Come le dicevo, io e Shu siamo molto amici. Da moltissimo tempo, ci conosciamo da quando ancora andavamo a scuola. - Si fermò un attimo, le mani che giocavano distrattamente con l'orlo del lenzuolo. - In quello stesso periodo, ho conosciuto altre tre persone, a cui sono ugualmente legato. Sono i miei migliori amici.”
“Anche loro sono coinvolti in questa storia?”
“Sì. Vede, quando è... è morta mia madre... tutti loro sono partiti per venire ad Hagi.”
“Per venire al funerale?”
“Le sembrerà strano. Ma come le dicevo, siamo come una famiglia.”
Nishimura fece un gesto che sembrava dire Capisco cosa intende.
“Il fatto è che due di loro non sono arrivati. Sono... scomparsi, e con loro sono sparite anche le famiglie.”
L'ispettore di irrigidì un po' sulla sedia.
“Scomparsi?”
“Sì. Può verificare, se vuole. Credo che sia stata sporta denuncia.”
“Può darmi i nomi dei suoi amici?”
“Sanada Ryo e Date Seiji.”
“Date? Della famiglia Date di Sendai?”
“Sì.”
Nishimura non potè fare a meno di alzarsi e cominciare a passeggiare per la stanza. La sparizione della famiglia Date era un fatto noto. La polizia di Sendai aveva cercato di tener fuori la stampa il più possibile dalla faccenda, ma nell'ambiente investigativo certe notizie correvano veloci, e questa era arrivata fino a Tokyo. Contò mentalmente i nomi fino ad arrivare a quattro.
“Mi ha parlato di altri tre amici. Chi è il terzo?”
“Hashiba Touma, vive ad Hirakata. E' arrivato ad Hagi alcuni giorni fa, come Shu. Quando abbiamo capito che Ryo e Seiji erano scomparsi, lui è ripartito per andare a cercarli, Shu è rimasto con me fino al funerale. Subito dopo siamo partiti per cercare i nostri amici e per nascondere le nostre famiglie. Come le dicevo, si trovano nella villa di una amica, poco distante da qui.”
“Anche il signor Sanada è di Sendai?”
“No. Lui vive con il padre a Yamanashi.”
“E cosa vi fa pensare che le due sparizioni siano collegate, e che anche le vostre famiglie siano in pericolo? Sanada non potrebbe semplicemente essere andato da qualche parte senza avvisarvi?”
Shin scosse con forza il capo.
“No. Ryo stava venendo ad Hagi, ne sono sicuro. E anche la famiglia di Shu è stata infastidita e spiata, ma siamo riusciti a farli partire in tempo.”
Nishimura si sedette di nuovo. Poggiò le labbra sulle mani strette a pugno, cercando di riordinare le idee.
“Quello che non capisco, è quale sia il legame tra voi cinque. A parte l'amicizia, intendo. Cosa potrebbe spingere qualcuno a rapire tre di voi, o forse tutti e cinque? Oltretutto abitate in luoghi distanti tra loro.”
Shin evitò di guardarlo in faccia. Quello che li rendeva un unico obiettivo non era un argomento che potesse essere spiegato. Non a quell'uomo, e non in quella situazione.
“Non saprei proprio dirglielo...” Borbottò, cercando di apparire credibile.
“Va bene, cercheremo di capire qualcosa di più. Vada avanti, come siamo arrivati all'aggressione di stamattina?”
Shin si rilassò appena, poggiando la schiena al cuscino che era sollevato contro la spalliera del letto.
Raccontò del viaggio di Touma fino a casa di Ryo, omettendo ovviamente con quale mezzo si fosse spostato. Riferì quello che sapeva dell'aggressione a Kofu, e di come Touma avesse descritto a Shu i due ragazzi. Nishimura percorse avanti e indietro la camera diverse volte, mentre veniva a sapere che anche Touma era scomparso, e che i due teppisti erano spuntati fuori proprio nel quartiere in cui dovevano ricongiungersi. Anche se la storia nel complesso sembrava credibile, continuava ad apparirgli diversa da ogni altra indagine a cui aveva lavorato. Non si adattava a nessuno degli schemi che aveva pian piano imparato negli anni in cui era stato poliziotto.
“Va bene, mi ascolti. Sorvolerò sul fatto che vi siate messi a fare gli investigatori, invece di venire subito da noi. E' stata una vera cazzata, ma credo che quello che è successo vi sia servito da lezione. Le porterò delle foto segnaletiche, così potrà dirmi se riconosce i due ragazzi che hanno sparato al signor Rei Fan. E metterò un poliziotto davanti ad entrambe le vostre stanze. Ma lei non lascerà l'ospedale senza il mio consenso, siamo intesi?”
Shin annuì, sorridendo appena un po'. Stava facendo una promessa che molto probabilmente avrebbe dovuto infrangere, ma quell'uomo non doveva sospettarlo, o le cose si sarebbero complicate di nuovo.

 

L'Ispettore Nishimura osservò con soddisfazione la propria scrivania. Dopo un'oretta di lavoro, era riuscito a disporre con un certo ordine logico tutti gli elementi a propria disposizione, e adesso poteva cominciare ad osservare e ragionare.
Lui non amava le lavagne e i tabelloni magnetici che molti suoi colleghi utilizzavano e che facevano tanto telefilm americano.
Aveva un'ampia scrivania, ed all'inizio di ogni indagine cominciava a disporre foto, appunti, rapporti e dossier secondo un filo logico che lo aiutasse a pensare.
Sistemato tutto con attenzione – e riempito ogni centimetro - poteva restarsene in piedi accanto al tavolo ad osservare ogni elemento, come se fosse una sorta di visione aerea che gli era congeniale.
Ed alla fine di un'indagine, se aveva avuto la fortuna e la capacità di chiuderla, provava una soddisfazione impagabile nel riporre e catalogare tutto, e nell'osservare la scrivania di nuovo completamente sgombra, e pronta per altri casi.
Ogni indagine richiedeva uno schema diverso. A volte creava una sorta di linea temporale nella parte alta del tavolo, da destra a sinistra, e tutti i documenti correlati nella parte bassa. A volte divideva il tavolo esattamente in due, una metà per tutto ciò che riguardava le vittime, l'altra per i sospettati. Diceva che così gli apparivano immediati eventuali collegamenti tra gli uni e le altre. Altre volte il tavolo era tutto un susseguirsi di tasselli, ognuno con un tema.
La cosa più insolita di tutto questo suo schema, era il modo in cui suddivideva i vari settori del suo ragionamento: nastro isolante colorato, sottile, che applicava in lunghe strisce lungo il tavolo, e che in alcuni punti aveva rovinato irrimediabilmente la laccatura del legno.
Questa stramberia gli era valsa da parte dei colleghi il soprannome di Capitan Scotch, ma non era tipo da preoccuparsene.
Stavolta lo schema aveva una forma piuttosto insolita: quattro linee di nastro adesivo rosso suddividevano il tavolo in cinque settori verticali. In cima ad ognuno di essi c'era un nome:

 

Mouri Shin | Rei Fan Shu | Date Seiji | Sanada Ryo | Hashiba Touma


Nella prima colonna c'era la deposizione firmata da Shin, alcune foto, diversi foglietti di appunti e un fax ricevuto dal commissariato di Hagi.
Nella seconda aveva messo il referto dell'ospedale, fotografie della scena dell'aggressione, le testimonianze dei passanti e dei barellieri.
La terza era quella che gli aveva dato più grattacapi: i suoi colleghi di Sendai non erano stati affatto disponibili come quelli di Hagi. La sparizione della famiglia Date era un affare delicato, di quelli che scatenano le idiozie dei giornalisti e che possono essere il trampolino o la rovina della carriera di un poliziotto. E chi se ne stava occupando sembrava troppo preoccupato di farsi soffiare la gloria – o farsi incasinare le carte – da un poliziotto di Tokyo, per essere disposto a condividere quello che aveva.
Non era servito a niente fare la voce grossa dicendo che stava indagando su un caso di tentato omicidio: alla fine era stato costretto a chiedere aiuto al suo superiore.
Nel rapporto che finalmente gli avevano inviato aveva sottolineato un nome “Hashiba Touma”, citato dal genero dei Date come la persona che per primo aveva dato l'allarme. Era segnato in azzurro, perchè confermava quello che aveva detto Shin.
Lo stesso nome tornava anche nella colonna successiva. Una dei vicini dei Sanada, che Nishimura era riuscito a rintracciare al telefono, gli aveva raccontato dell'incontro notturno con un ragazzo di nome Touma. La signora non era sicura, ma il cognome poteva essere proprio Hashiba.
In quella colonna non c'era molto altro. Ryo e suo padre vivevano in maniera piuttosto riservata, e tutti, lì attorno, erano abituati a non vederli per lunghi periodi.
Le parti sottolineate in azzurro erano diverse. C'era la testimonianza di Rinfi Rei Fan, la sorella minore di Shu, che aveva confermato di conoscere bene tutti i quattro amici del fratello. Ed era riuscito a parlare anche con Yayoi Date, ottenendo le stesse risposte.
Nell'ultima colonna avrebbe voluto poter mettere qualcosa sull'aggressione avvenuta a Kofu, ma non era riuscito a trovare nulla. Nè un testimone, né una denuncia, nemmeno la più pallida prova che Hashiba fosse passato davvero da lì.
E questa era la parte che invece avrebbe voluto sottolineare in rosso, se fosse stata su carta invece che nella sua mente: come diavolo faceva Hashiba a comparire in quattro luoghi così lontani tra loro a così poche ore di distanza? Il racconto di Mouri era abbastanza coerente e confermato, ma la linea temporale faceva acqua.
Fu distratto dal trillo del cellulare.
“Pronto?”
“Ispettore? Sono Mouri Shin. Ho guardato quelle foto che mi ha fatto portare. Volevo dire che credo di aver riconosciuto quei due.”
Nishimura sorrise con soddisfazione: finalmente un punto di partenza.
“Bene. Molto bene. Tra poco sarò da lei, ma nel frattempo mi legga i codici che sono di fianco alle due foto.”


L'infermiera gli sorrise con gentilezza, mentre annotava alcuni appunti sulla sua cartella clinica.
“Bene, a quanto pare si sta ristabilendo del tutto, signor Mouri.”
“Gliel'ho detto, sto bene.”
“Oh, certo... se dovessi dar retta a tutti quelli che arrivano qua in pessime condizioni e sostengono di star bene, l'ospedale avrebbe ben altre statistiche di guarigione! - Shin sorrise pacatamente al tono allegro della donna. - E visto che si parla di guarigione, sono venuta a dirle anche che il suo amico, il signor Rei Fan, sta meglio, e ha ripreso conoscenza un paio di volte, anche se per pochi minuti.”
Il sorriso di Shin si allargò.
“Davvero? Posso andare da lui?”
“Uhm... parlerò con il poliziotto qui fuori. In fondo quell'ispettore ha detto solo che lei non può lasciare l'ospedale. Ma prima controlliamo che la sua temperatura sia tornata normale. Era l'unico parametro ancora sballato.”
Shin si lasciò poggiare il beccuccio del termometro all'interno dell'orecchio, cercando di pazientare. Aveva un gran bisogno di vedere con i propri occhi che Shu stava meglio.
“Oh no, ancora! - L'infermiera aveva un tono meno allegro. - Ma come è possibile?! Questo termometro non va bene.”
“Ho la febbre?”
“Al contrario! E' da quando è qui che la sua temperatura è bassissima. Pensavo fosse per via della debolezza, ma anche oggi il termometro segna 32.7 gradi, non è normale!”
Si avvicinò e gli tastò le mani. In effetti erano davvero gelide, non sembravano nemmeno quelle di una persona viva.
“Temperature del genere si trovano nei referti delle autopsie, non nei certificati di dimissione! - La donna appariva piuttosto scontenta. Shin sorrise pensando che sembrava il tipo di infermiera che prendeva a cuore tutti i suoi pazienti. - Vado a cercare il medico e ne parlo con lui.”
“Aspetti. Posso andare da Shu, nel frattempo? Per favore...”
“Uhm... D'accordo. Anche se ha temperature da ipotermia, forse muoversi un po' la aiuterà. In ogni caso la rivoglio qui tra poco: è quasi ora di dormire, e voglio ricontrollare le sue condizioni prima della fine del mio turno.”
“Grazie.”
Uscirono insieme dalla camera, e la donna gli diede qualche indicazione su come trovare la stanza di Shu.
Quando Shin entrò, trovò un'altra infermiera, più giovane e graziosa della signora gentile che si era occupata di lui. Lo salutò come se sapesse chi era, e gli sorrise, arrossendo un po'.
“Venga pure. Il suo amico sta molto meglio, sa? - Shin si avvicinò al letto, e Shu aprì gli occhi. - I medici hanno detto che ha avuto una ripresa incredibile. Si sta ristabilendo con grande velocità.”
“Sì, è proprio da lui.” Sorrise Shin. Ma non era un sorriso sereno. Per loro era così: sempre un po' meglio degli altri, sempre un po' peggio.
“Ehi.” Mormorò Shu.
L'infermiera si congedò con un leggero inchino.
Shin osservò il suo nakama con occhio critico. Il viso era un pallido, ma non segnato. La ferita era nascosta da strati di bende, camice, lenzuola. Gli occhi erano diversi dal solito, e Shin sentì il cuore stringersi un po'. Shu aveva occhi grandi, stranamente rotondi per un orientale. Ed erano sempre spalancati sul mondo, vivaci. Ora apparivano un po' socchiusi e stanchi, quasi appannati.
“Come ti senti?”
“Hai sentito l'infermiera, no? Sono una roccia...”
Shin gli diede un buffetto sul braccio.
“Certo. Una roccia che non può smettere di farmi preoccupare.”
Shu arrossì un po', portandosi lentamente una mano alla nuca.
“Hai ragione. Scusami. - Sembrò un po' indeciso se continuare o meno. Sembrava aver perso un po' del suo solito coraggio. - Hai saputo niente dei ragazzi?”
Shin non voleva dire semplicemente “No”, perchè lui per primo non voleva sentirlo. Così raccontò a Shu dell'ispettore Nushimura. Evitò però di dirgli che aveva riconosciuto i due ragazzi che li avevano aggrediti. Nonostante le sue condizioni, Shu si sarebbe sicuramente agitato, pretendendo di andare a cercarli.
Aveva appena finito di raccontare, quando sentirono riecheggiare una voce che conoscevano entrambi molto bene. Shin si avvicinò alla finestra, e vide subito la candida figura di Byakuen stagliarsi contro il cielo notturno. Era sul tetto del palazzo di fronte a loro, e i suoi ruggiti sembrava dovessero far tremare il vetro.

 

Eccomi qua, sono in iperattività!! ^__^
Speriam di portarci dietro questa spinta fino alla fine della storia! Questa piccola nota è solo per dirvi che, man mano che scrivo questa fic, sto accumulando un sacco di credits, riferimenti e ringraziamenti che dovrei proprio fare, ma son troppo pigra...
Mi perdonate se li faccio tutti alla fine, a storia conclusa?

 

 

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Capitolo 12
*** Dodici - Indaco ***


“Byakuen! - Chiamò Shin. - Ci ha trovato! Forse sa dove sono gli altri!”
Doveva assolutamente uscire e raggiungere lo Spirito Tigre. Si avvicinò alla finestra, e cercò di richiamare l'undergear. Per un attimo apparve attorno al suo corpo, crepitando appena. Poi si dissolse, e Shin non riuscì più a farla riformare.
“Ma cosa succede?!” Il tentativo gli era costato molta fatica, e non aveva portato a nulla.
I ruggiti cessarono, e la figura di Byakuen scomparve alla loro vista.
Shin si voltò verso il letto, appena in tempo per vedere l'undergear formarsi per un istante e poi scomparire dal corpo del suo nakama.
“Shu! Ma che cazzo fai, me lo spieghi?? Come ti è venuto in mente di richiamarla?”
Shu cercò di rispondere, ma era completamente senza fiato. Non pensava di potersi sforzare così tanto solo cercando di indossarla. Era impallidito, e respirava con affanno.
Shin si avvicinò, sembrava furioso. Shu cercò di giustificarsi.
“Io... ho visto che non riuscivi a metterla, e ho voluto provare anch'io. Devo essere in grado di aiutarti, no?”
“No!” Shin aveva urlato. Stringeva i pugni, e lo fissava con una rabbia che riusciva a stento a controllare.
“Tu non devi aiutarmi! Non devi mettere l'armatura! Non devi venire con me! - Shin sapeva che urlando in quel modo avrebbe attirato l'attenzione delle infermiere o dei poliziotti di guardia alle camere, ma non riusciva a fermarsi. - Tu non devi fare proprio un bel niente! Devi restare qui e guarire, hai capito?!”
“Ma io voglio...”
“Non mi importa niente di cosa vuoi tu! Se tu non fossi sempre così imprudente, non saremmo in questa situazione! Se Touma ci avesse aspettato, ora saremmo insieme. E io non ne posso più di correre dietro ai vostri colpi di testa. Non ne posso più di non sapere dove siano gli altri, di dover mentire, di non poter controllare come sta la mia famiglia, di non... - Pian piano la voce si era abbassata, insieme al suo sguardo, che ora era fisso su un lembo del lenzuolo bianco. - Io... non ce la faccio più, Shu. Non ce la faccio...” Gli occhi gli si riempirono di lacrime, mentre abbandonava le braccia lungo i fianchi. Rimase immobile accanto al letto.
Shu allungò un braccio e lo posò sul suo fianco. Fece avvicinare Shin ancora un po' e lo fece sedere sul bordo del letto. Sapeva che se Shin si fosse opposto non avrebbe avuto abbastanza forza per costringerlo a muoversi, ma il suo nakama si lasciava guidare senza nemmeno alzare lo sguardo.
Fece risalire la mano dal fianco fino alla schiena, e così facendo riuscì a fargli appoggiare la testa sulla propria spalla. Shin non riuscì più a trattenersi. Scoppiò, e finalmente pianse tutto quello che non aveva pianto fino a quel momento. Lasciò uscire le lacrime che non era riuscito a versare quando era morta la madre, né al funerale. Quelle che aveva trattenuto quando aveva saputo che i suoi nakama erano scomparsi, e quelle che aveva ricacciato indietro quando aveva creduto che Shu sarebbe morto.
Shu gli accarezzava la schiena, lentamente. Non si sorprese di trovarla testa ed arcuata in una posa innaturale. Shin stava crollando, eppure non dimenticava di fare attenzione a non poggiarsi a lui, per non pesare sulla ferita.
“Hai ragione... - Mormorò Shu. - Sono stato uno stupido, ti ho spaventato e ti ho lasciato da solo, soltanto perchè non riesco ad aspettare. Mi dispiace.”
Shin tirò un paio di respiri pesanti. “Smettila di scusarti... L'hai già fatto...”
“E allora ti dirò una cosa diversa. Ti prometto che rimarrò qui e non farò colpi di testa. Prenderò tutte quelle schifose medicine e guarirò. So già che diventerò pazzo e mi mangerò le lenzuola per la rabbia, ma non mi muoverò da qui finché tu o quelle benedette infermiere non direte che posso alzarmi. Ti prometto che non dovrai più preoccuparti per me, d'accordo?”
Shin sollevò appena un po' la testa, e lo guardò di sbieco.
“Davvero?”
Shu annuì. Sarebbe stata una tortura, ma stavolta l'avrebbe fatto, perché glielo doveva. Sospirò, e lo spinse con la mano perché si appoggiasse anche al suo petto.
“Ma...”
“Non mi fai male, la ferita è più giù. Resta ancora un po'.”
Stavolta fu Shin ad annuire, asciugandosi un po' le lacrime con la mano. Chiuse gli occhi, e lasciò che il tepore rassicurante di Shu scaldasse un po' del suo sangue gelido.

 

Touma aprì gli occhi. Era steso su un fianco, e si accorse subito di avere le mani legate dietro alla schiena. Nel capannone era quasi buio, ma riusciva a distinguere di fronte a sé il corpo disteso di Ryo.
Era in una posizione speculare alla sua, anche lui aveva le braccia piegate dietro alla schiena, e leggere nuvole di vapore uscivano dalla sua bocca socchiusa. Touma cercò di capire se anche il proprio fiato si condensasse in quel modo, ma non era così. Nel capannone non era così freddo da far addensare il respiro, e Touma capì che Ryo doveva essere molto caldo. Le guance arrossate e la fronte resa umida da piccolissime gocce di sudore glielo confermarono.
Lui, invece, sentiva di essere gelido. Lo riconosceva dallo strana sensazione di intorpidimento che sentiva alle dita delle mani, ed al fatto che il nudo pavimento di cemento su cui l'avevano gettato non gli sembrasse così freddo come avrebbe dovuto. Non era la prima volta che le loro temperature si alteravano in quel modo, indipendentemente dall'ambiente esterno. Era successo due o tre volte in tutti quegli anni, e ogni volta era stato provocato dalle Yoroi.
In genere stava a significare che il legame tra loro e l'armatura si era in qualche modo sfasato, ed una volta tornato l'equilibrio, anche i loro corpi erano tornati a temperature quasi normali: i loro metabolismi erano costantemente alterati dalla presenza della Yoroi e dalla comunione con il proprio elemento, ma solo in quelle occasioni era divenuto così evidente.
Touma inarcò appena un po' la schiena, preparandosi a richiamare l'undergear. Si sentiva indolenzito e debole, e sapeva già in partenza che sarebbe stato più faticoso del solito, ma doveva liberarsi di quei legacci ed a mani nude non era possibile.
“Non farlo.”
Una voce ferma ed un po' dura alle sue spalle lo fermò.
“Seiji!”
“Non richiamarla.”
Touma si stupì di come il suo nakama fosse riuscito ad intuire le sue intenzioni solo da un movimento. Oltretutto il modo in cui gli arrivava la sua voce gli aveva fatto capire che erano uno di schiena all'altro.
“Perchè?”
“Il legame è indebolito. Ti sforzerai inutilmente.” Seiji avrebbe voluto aggiungere altro, ma l'unica domanda che gli saliva alle labbra era come stai? E non si sentiva in diritto di fargliela. Non dopo quello che gli aveva fatto.
Touma sospirò. Possibile che le cose continuassero ad andare così male? Sperò che le yoroi trovassero velocemente un equilibrio, mentre pian piano gli tornava alla mente il momento in cui si erano attivate da sole. Sussultò violentemente quando finalmente ricordò del contatto avvenuto con Shu e del dolore provato in quel momento.
“Shu...” Mormorò.
“E' vivo. Riesco a percepirlo, anche se debolmente.” Seiji cercò di usare il tono rassicurante che i suoi nakama conoscevano bene, ma gli uscì come incrinato.
Non dal dubbio: era convinto di quello che aveva detto, anche se la sua era poco più di una sensazione lontana. Ma nel momento stesso in cui aveva parlato, la sua voce gli era suonata falsa. Come quella di una belva che cerca di attirare la preda fuori dalla tana con la lusinga, per poi sbranarla. Si chiese se anche alle orecchie di Touma avesse avuto quel suono, ma l'attenzione di entrambi fu attirata dal basso lamento proveniente da Ryo. Si stava svegliando anche lui.

 

Shin si passò per l'ennesima volta una mano sugli occhi. Si sollevò un po' dal petto di Shu, e sentì la sua mano scivolare giù dalla sua schiena e cadere sulle lenzuola. Si era assopito di nuovo.
Shin osservò il suo viso pallido. Erano comparse ombre scure sotto gli occhi, segni che prima non c'erano e che sicuramente si era procurato cercando si indossare l'undergear. Abbassò gli occhi, scuotendo il capo, poi lo sollevò di nuovo.
“Se non manterrai la tua promessa... - Posò la mano sul petto del compagno, che si alzava e abbassava lentamente. - Se non lo farai, questa volta non ti perdonerò, Shu.”
Lo guardò ancora un momento, poi lasciò la stanza. Si incamminò lungo il corridoio, gli occhi abbassati a terra e la bocca piegata in una smorfia amareggiata.
Il poliziotto che era di guardia alla sua stanza e che lo aveva accompagnato fin lì si congedò dal collega con cui stava chiacchierando, e lo raggiunse a passo veloce.
“Come sta il suo amico?”
Shin si riscosse. Non si ricordava nemmeno che l'uomo fosse lì fuori.
“Meglio, grazie.”
“Se l'è vista brutta, vero? - Shin annuì appena. - Anche lei non ha una bella cera.”
“E' soltanto... solo un brutto momento.”
Accelerò il passo, guardando dritto davanti a sé e lasciando intendere all'altro che non era in vena di far conversazione. Forse quell'agente voleva approfittarne per sapere qualcosa di più sull'indagine, o forse voleva solamente essere gentile. Ma Shin si sentiva come se quello strato di cordialità e buone maniere che lo rivestiva sempre gli fosse stato strappato via dagli eventi, e per la prima volta in vita sua si rese conto che non gli importava nulla se l'altro l'avrebbe trovato scortese. Voleva soltanto stare da solo e avere un attimo per calmarsi e riordinare le idee. Si sentiva esausto, le spalle gli facevano male per la tensione accumulata, e lo sfogo di poco prima gli aveva consumato le ultime energie senza lasciargli sollievo. L'acqua aveva perso fluidità dentro di lui. Non scorreva vivace, non portava vita. Ristagnava negli angoli, ed era cristallizzata al centro. Era come un blocco di ghiaccio che pian piano lo stava congelando da dentro, fino a renderlo una statua pronta a sgretolarsi al prossimo urto.
Rientrò in camera e si buttò sul letto. Chiuse gli occhi e rimase immobile. Finse perfino di dormire quando l'infermiera tornò per misurargli ancora la febbre, e non gli riuscì nemmeno difficile. Era talmente sprofondato nei propri pensieri da sentire tutto ciò che avveniva fuori come se fosse lontano e filtrato. Si sforzò di ragionare con lucidità.
Pensò a Byakuen, e si rese conto che era molto strano che li avesse raggiunti solamente ora, dopo giorni e giorni che Ryo era scomparso. Pensò a Nishimura, e a cosa avrebbe detto e fatto quando sarebbe arrivato all'ospedale. Pensò alla yoroi che non riusciva a richiamare, e al fatto che era davvero strano che le armatura non si fossero chiamate le une con le altre fin dall'inizio, come era accaduto mille altre volte. Più pensava, e più si rendeva conto che c'erano tante cose strane in quella storia, a cui non sapeva dare spiegazione e sulle quali nessuno di loro aveva avuto il tempo e la calma di fermarsi a riflettere, travolti com'erano da tutto quello che era successo. Poi i pensieri cominciarono a mischiarsi e confondersi, perdendo il proprio filo logico, e senza accorgersene Shin scivolò nel sonno.

 

Nishimura fissava i grattacieli illuminati che si stagliavano lungo il cielo, mentre l'auto sfrecciava veloce lungo la strada. Aveva lasciato che a guidare fosse un agente, per avere il tempo di rileggere con calma i fascicoli dei due sospettati, e decidere cosa fare.
Aprì la prima cartellina azzurro chiaro, sul cui fronte campeggiava la scritta “Iwao Yamada”. La foto, uguale a quella che aveva riconosciuto Shin, mostrava un ragazzetto dagli occhi spiritati. E non era strano, viste le imputazioni riportate: possesso di droga, spaccio, guida sotto effetto di stupefacenti... la tiritera andava avanti per diverse colonne, sempre con lo stesso tenore.
L'altro, Dayu Sato, era più o meno della stessa risma. Due delinquentelli impasticcati, niente di più.
Nishimura pensò che quel riconoscimento non gli aveva fatto fare un gran passo avanti: aveva già provato a farli cercare, senza successo. Quando stava per chiudere i fascicoli, notò che almeno due arresti coincidevano, ed a fermarli insieme era stato Ken Izawa, un ex collega col quale era ancora in ottimi rapporti. Pensò che una chiacchierata potesse essere utile, e velocemente richiamò il suo numero dal cellulare.
“Nishimura! Allora sei ancora vivo!”
“Se fossi morto l'avresti saputo, non credi?”
“Spiritoso... Lo sai cosa intendo. Non ti fai sentire da una vita.”
“Lo so, lo so... Sai, il lavoro, la famiglia, il BLABLABLA...”
“Ma quale famiglia?! Al massimo il BLABLABLA, in quello sei un asso!”
Nishimura si scompose per un attimo, concedendosi di ridacchiare.
“A proposito di famiglia, come va? E tuo figlio? Ormai deve essere grande... Cosa fa? Sarà un poliziotto come te?”
“Macchè. Figurati: vuol fare il calciatore.”
“Il calciatore?!”
“Non me ne parlare, va'... Allora, torniamo a noi: di cosa si tratta?”
“E' per un caso. Tentato omicidio e rapimento. Ho un'identificazione di due bravi ragazzi, ma non mi convince. Sai dirmi qualcosa su Iwao Yamada e Dayu Sato?”
Izawa non rispose subito, cercando di ricordare.
“Ah, sì. Due fosforescenti...”
Nishimura si chiese se si riferisse ai capelli colorati o alle cose che ingurgitavano.
Izawa gli raccontò quel che sapeva, ma non era molto di più di quello che era già nel fascicolo, e rimase piuttosto sorpreso all'idea che fossero coinvolti nel rapimenti di due intere famiglie, oltretutto in città differenti.
“Possibile? Non mi sembra gente in grado di una cosa simile.”
“Neanche a me. Credi che potrebbero aver alzato il tiro?”
“Non so. Non mi pareva che avessero abbastanza cervello per una cosa del genere. Però... - Si fermò di nuovo a riflettere. - Mi pare che fosse girata la voce che si erano messi con altra gente. Sì, mi sa che ora sono con Omezo Kimura. Questo spiegherebbe un po' di cose.”
“Grazie, Izawa. Sei stato prezioso.”
“Come sempre! Fatti sentire prima del prossimo Natale, Nishimura!”
“A presto.”
Omezo Kimura... Appuntò il nome, poi guardò di nuovo fuori dal finestrino. Forse aveva fatto un altro piccolo passo avanti.

 

Nota: Sì, è un piccolo Cameo. E sì, è dedicato a qualcuno che mi sta facendo amare questo personaggio... ^___^

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Capitolo 13
*** Tredici - Verde come il mare ***


“Perfetto. Tornerò in centrale quando esco dall'ospedale, sarò lì tra un'ora o due al massimo.”
“Troverai tutto sulla scrivania, promesso.”
“Grazie. Lo so che è molto tardi, se non si trattasse di un rapimento...”
“Tranquillo. Troverò tutto quello che c'è su questo Kimura.”
“Solo un'ultima cosa. Puoi spedirmi sul cellulare una sua foto? Vorrei mostrarla ai miei testimoni.”
“Sarà fatto, Capitan Scotch.”
“E piantala...”
Nishimura rimase un attimo a fissare lo schermo del cellulare che si spegneva, mentre l'auto correva a velocità sostenuta lungo il tratto di sopraelevata, quasi completamente sgombro da altri viaggiatori. Il vice ispettore Fujita era un'ottima collega. Affidabile, veloce, intuitiva. Forse si prendeva con lui qualche confidenza in più di quello che avrebbe dovuto, ma non passava mai il segno.
All'improvviso qualcosa di grosso e chiaro attraversò la coda del suo occhio, giusto un attimo prima che i freni dell'auto cominciassero a stridere violentemente. Si aggrappò allo sportello mentre la macchina scodava senza controllo, per poi cominciare a sbandare sul fianco e compiere un mezzo testa coda.
Si fermò nel mezzo della carreggiata opposta, il fanale posteriore pericolosamente vicino al guardrail.
Solo in quel momento il motore si spense, facendo compiere un ultimo piccolo balzo alla vettura.
“Agente Sasaki, ma che cavolo...” Sbottò Nishimura, il cuore che pompava piuttosto irregolare.
Il ragazzo non riuscì ad articolare una parola. Si limitò ad alzare una mano tremante ed indicare la grossa figura bianca che era ferma di fronte a loro, proprio nel mezzo della strada.
“E quella che cazzo è?” Farfugliò Nishimura, mentre fissava la tigre bianca – l'enorme tigre bianca – che si stagliava immobile nel blu scuro della notte. Nonostante dentro l'auto fosse buio e ci fosse il riflesso del vetro a separarli, sembrava proprio che lo stesse fissando negli occhi.

 

Omezo era nervoso. Decisamente nervoso. E faticava ad ammetterlo anche solo con sé stesso, ma stavolta aveva la forte sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba. No, non era l'espressione adatta: stavolta era abbastanza sicuro di aver fatto un'immane cazzata.
Gettò uno sguardo verso il fondo del capannone, dove tre figure rimanevano immobili a terra. Per l'ennesima volta tornò con la mente alla notte in cui tutta quella storia era cominciata. Si trovava proprio lì, in quell'edificio. C'era andato per smerciare ad un ricettatore un po' di cose rubate. Era fuori dal suo solito territorio ma la sua posizione era talmente in svantaggio, rispetto a quella del compratore, che era stato costretto a spostarsi e attraversare mezza Tokyo col furgone pieno di roba pericolosa: l'altro aveva messo subito in chiaro che non si sarebbe mosso.
Il ricettatore e i suoi uomini se ne erano appena andati e lui guardava e riguardava i quattro soldi che era riuscito a fare anche quella volta, maledicendo la sua solita sfortuna.
Era frustrato. Sapeva di essere un poveraccio fin da prima di nascere. Un povero nessuno figlio di due nessuno, che il crimine l'aveva nel destino, prima ancora che nel sangue. E all'età di quasi quarant'anni, continuava ad arrancare come un poveraccio.
Il problema era che nella sua zona era molto forte la presenza della Yakuza. E lo era in qualsiasi altra zona in cui avrebbe potuto rintanarsi uno come lui. E siccome era troppo ambizioso e orgoglioso per mettersi al loro servizio, ma troppo poco forte per riuscire a ritagliarsi un posto al sole, aveva finito col diventare uno che raccoglieva le briciole da sotto al tavolo degli altri, senza riuscire mai a farsele bastare.
Aveva quattro o cinque randagi che facevano capo a lui. Andavano e venivano, sempre pronti a passare sotto a qualcuno un po' meno sfigato. Nel suo magro giro d'affari aveva tentato la vie delle droghe, ma la roba seria era appannaggio della Yakuza. Si era dovuto limitare a poche quantità di metanfetamine e altre pasticche, spacciate fuori dei locali da quei due imbecilli di Iwao e Dayu. E doveva anche sopportare che ogni volta facessero uso personale di una fetta di quello che avrebbero dovuto vendere, il tutto a sue spese.
Poi c'era Shino, che lavorava all'interporto, e ogni tanto riusciva a far sparire un po' della merce che veniva scaricata dai camion. Omezo si occupava di rivenderla, e poi facevano a metà. A volte arrivava con roba invendibile, e ogni volta questionava sul prezzo. Che trovasse da solo qualcuno a cui darla via, razza di ingrato!
Per non parlare di quel Gaijin di merda di Josh. Ogni volta tornava fuori con quell'idea di taglieggiare i negozianti della zona, come se non riuscisse a capire che, se ci avessero provato, sarebbe stato uguale ad entrare in un campo minato e mettersi a ballare con gli zoccoli di legno.
Stava passando in rassegna uno per uno gli inutili elementi della sua presunta banda, quando era successo qualcosa che per poco non gliela aveva fatta fare direttamente nelle mutande.
Era comparsa una creatura enorme, decisamente mostruosa. Era spuntata fuori da sottoterra, e Omezo aveva pensato che sarebbe morto stecchito, per quello che gli avrebbe fatto o anche solo per lo spavento.
E invece il mostro aveva parlato, e gli aveva fatto una proposta. Doveva trovare delle persone, rapirle per lui. Gli avrebbe mostrato i loro volti, e lo avrebbe messo sulle loro tracce. In cambio gli avrebbe dato la forza che gli era sempre mancata per riuscire finalmente ad emergere dalla mediocrità della sua vita inutile. Gli avrebbe dato potere. Ed era stato chiaro: doveva portarglieli lì, esattamente in quel capannone.
E Omezo era talmente frustrato, talmente assetato di rivalsa che aveva accettato senza fermarsi a pensare a rischi e conseguenze.
E invece stava andando tutto storto. La madre di uno di quei tizi era morta, e gli altri si erano mossi proprio il giorno in cui avevano deciso di rapirli. Due erano riusciti lo stesso a prenderli, anche se avevano dovuto rincorrere quel dannato Sanada fino a Kofu.
Il cinese era sparito addirittura la sera prima, e nessuno dei suoi uomini aveva avuto il coraggio di andare ad Hagi ed irrompere in una casa in cui c'era un morto. Inutili superstiziosi!
Per fortuna erano riusciti a catturare Hashiba, ma gli altri due erano letteralmente spariti, e con loro anche le famiglie.
E adesso erano iniziate anche le cose inspiegabili, come quelle luci che sembrava nascessero dal cranio dei suoi prigionieri per lampeggiare sulle loro fronti come lampadine dentro ad un giocattolo. E gli spasmi in cui si erano contorti, senza che nessuno gli avesse fatto nulla.
Per cercare di recuperare un po' di vantaggio, Omezo aveva fatto portar via la donna e il bambino: li aveva fatti spostare da Shino e dal suo amico macina-sigarette, ed ora li tenevano insieme ai vecchi.
Ma comunque non andava bene, perchè Iwao e Dayu erano spariti da diverso tempo, e nel quartiere aveva sentito suonare diverse volte le sirene della polizia e dell'ambulanza. Decisamente troppe volte, per i suoi gusti. Se non altro, se adesso fosse spuntato fuori il demone per esigere il suo bottino, lo avrebbe trovato solo, e quei due ragazzini idioti non avrebbero dovuto vederlo mentre se la faceva sotto, cercando di spiegare perché avesse soltanto tre prigionieri e non cinque.

 

L'auto svoltò all'interno del parcheggio dell'ospedale, e si fermò nei posti riservati alle forze dell'ordine, proprio vicino all'entrata. L'agente Sasaki spense il motore, e solo in quel momento sembrò riprendere un po' di colore.
“Rimani qui e cerca di riprenderti, d'accordo? Sarò di ritorno tra poco.”
Il ragazzo annuì, visibilmente imbarazzato, e Nishimura attraversò la grande porta a vetri e cominciò a camminare a passo svelto lungo i corridoi. Aveva una serie di domande che si era appuntato su un foglietto, da fare a Mouri e magari anche al suo amico, se finalmente avesse ripreso conoscenza.
Eppure non riusciva a rimanere concentrato su quello di cui avrebbe voluto parlare. Continuava a ripensare a quella strana tigre bianca che era spuntata fuori all'improvviso, e che per poco non li aveva fatti schiantare giù dalla sopraelevata. Che cos'era, esattamente? Una specie di tigre albina?
Lui non era proprio un tipo da documentari naturalistici, eppure aveva l'impressione di aver già visto un animale come quello.
Era una strana sensazione di Deja-vù. Nonostante i suoi propositi di far presto, non potè fare a meno di fermarsi nel mezzo di un corridoio. Aveva questa immagine che non riusciva afferrare, qualcosa che aveva visto tantissimo tempo prima, probabilmente in televisione. Chiuse gli occhi e si strinse la radice del naso, cercando di concentrarsi.
“Ma certo!” Esclamò, estraendo subito dopo il cellulare.
La voce del vice ispettore Fujita era sorpresa, ma non seccata.
“Nishimura, mi hai chiamato venti minuti fa, abbi un po' di pazienza!”
“Non si tratta di Kimura. Potresti interrompere un attimo e fare un'altra ricerca per me?”
“Certo, dimmi. E' successo qualcosa?”
“Ti racconterò per bene più tardi. Ora dovresti accedere agli archivi video.”
“Ok, dimmi cosa cerchiamo.”
“Si tratta del disastro di Shinjuku. Vorrei vedere le riprese trasmesse dai telegiornali il primo giorno.”
“Shinjuku? Ma è roba di venticinque anni fa! Sicuro che abbia a che fare con la nostra indagine?”
“Sì e no. Diciamo che è un dubbio che mi devo togliere.”
“Ok, sarà fatto. Però adesso posso accedere solo ai titoli del materiale. E' tutta roba su VHS, e fino a domattina quel tipo di archivi è chiuso.”
“Aspetterò. Grazie ancora, Fujita.”
Nishimura rimase ancora fermo a pensare. In realtà non c'era nulla, a rigor di logica, che collegasse quella tigre al caso del rapimento. Eppure aveva questa sorta di istinto che gli diceva che doveva rivedere quel video.
Lo ricordava piuttosto bene, adesso. All'epoca lui aveva una decina d'anni. Stava guardando i cartoni animati, quando le trasmissioni erano state interrotte per una edizione straordinaria dei notiziari.
Sua madre era corsa a vedere, poi l'aveva mandato in camera a giocare, perchè non si spaventasse.
Ma lui aveva fatto in tempo a vedere, subito prima delle varie immagini di elicotteri che volavano in un cielo inspiegabilmente nero, la ripresa di una tigre bianca che si aggirava per le strade di Shinjuku, insieme ad un ragazzo.

 

Ryo strinse gli occhi un paio di volte, poi finalmente riuscì a mettere a fuoco quello che aveva attorno. Di fronte a lui, Touma gli sorrise, rassicurante.
“Come stai?”
“Bene. - Cercò di muoversi, e la sua impressione si incupì quando si accorse dei lacci. - Starò meglio quando mi sarò liberato.”
“Per quello dovremo aspettare, temo. Le yoroi non rispondono.”
“Che cosa...”
Ryo rimase con la frase a metà, perché in quell'istante la porta metallica del capannone si aprì, andando a sbattere violentemente contro il muro. Si voltarono in quella direzione, e videro il ragazzo dal ciuffo giallo-verde che entrava, gesticolando e parlando ad alta voce.

 

“Adesso fermati e comincia a farti capire, imbecille! - Ringhiò Omezo. - Cosa cavolo ti sei calato stavolta, Dayu?! Chi è che ha sparato?”
“Iwao! Ci avevano visti, ci inseguivano... E Iwao ha sparato al cinese! Gli ha bucato la pancia, l'ha ammazzato!”
“Al... cinese? Avete sparato a Rei Fan?! Ma quanto riuscite ad essere... - Si passò una mano sul volto, con rabbia. - Dov'è Iwao?”
“Non lo so. - Dayu era passato dall'urlare al piagnucolare, totalmente in preda alle pasticche. - Ha detto che se ne andava. C'è tanta polizia, Omezo. E' un casino.”
Omezo strinse i pugni. Era arrabbiato con sé stesso per essersi fidato di due decerebrati come Dayu e Iwao. Era arrabbiato con la sua solita sfortuna, che lo costringeva a circondarsi di gente inutile come quella. Ed era arrabbiato con tutto l'universo, ma soprattutto se la faceva sotto all'idea di come avrebbe potuto fare a dire al demone che – non solo non aveva trovato gli altri due che doveva catturare – ma addirittura ne aveva fatto fuori uno per sbaglio.
“Sparisci. Vattene da qui, e non tornarci, hai capito?”
“Ma... Ma Omezo, dove vado? Non ho... non ho nemmeno i soldi per...”
“Sparisci! - Omezo aveva estratto la pistola e gliela puntava contro. - Se tra cinque secondi non sei fuori di qui, ti faccio un buco in fronte, hai capito?!”
Dayu fece per aprire bocca di nuovo, poi si pentì. Fece un passo indietro, e alla cieca cercò la maniglia della porta di metallo, ma non riuscì più a muoversi. Nessuno ci riuscì, perché all'improvviso il pavimento del capannone cominciò a tremare. I vetri delle altre finestre a nastro tintinnavano come campanelli, e da terra emerse una figura enorme, che saliva lungo le parti e si incurvava attorno al soffitto, gorgogliando come acqua intrappolata in un condotto troppo stretto.
Gettò uno sguardo a loro due, poi lentamente si volse avvitandosi su sé stessa, e posò lo sguardo sulle tre figure che erano stese a terra dall'altra parte del capannone.

 

NOTA: Non ho la più pallida idea se a Tokyo ci siano tratti di strada sopraelevata, né se ci sia un Interporto Scambiatore. Men che meno se negli ospedali abbiano parcheggi riservati alla polizia.
Abbiate pazienza, ho piegato la realtà alle mie esigenze narrative. Se ho tirato fuori qualcosa di troppo fasullo, sono in ascolto per eventuali rettifiche...^__^
Nel frattempo, dopo diversi capitoli di passaggio, finalmente rientriamo nell'azione e cominciano a venir fuori un po' di spiegazioni. Stavolta avevo il capitolo già pronto in mente da subito, e visto l'aggiornamento prima aveva tardato un po', stavolta non ho voluto farvi aspettare.
E adesso che ho messo giù questa parte di storia che mi frullava in testa da un po', finalmente posso dedicarmi alla marea di commenti che devo lasciare in giro, e sui quali sono mestamente in ritardo...-___-
A presto! ^___^

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Capitolo 14
*** Quattordici - Grigio argento ***


Nishimura percorreva veloce gli ampi corridoi dell'ospedale. Arrivò all'ascensore e schiacciò in automatico il pulsante per il quinto piano. Mentre saliva, valutò se chiedere a Mouri della grossa tigre bianca. Decise che non aveva senso: non c'era nessun motivo per cui avrebbe dovuto conoscerla. Avrebbe aspettato di rivedere quel video e, con un po' di fortuna, avrebbe avuto delle risposte.
La tigre era rimasta a fissarli per qualche istante, poi se ne era andata, balzando giù dalla strada e scomparendo alla vista in un attimo. Quando si erano ripresi dallo spavento e dalla sorpresa, l'ispettore aveva fatto diramare una segnalazione.
Dalla centrale avrebbero anche verificato se l'animale poteva essere fuggito da qualche struttura, o circo, o se c'era la denuncia di scomparsa da parte di qualche privato, eppure l'ispettore era convinto che non avrebbero trovato nulla.
Mentre era immerso in questi ragionamenti, si accorse di essere arrivato davanti alla camera di Shin. Salutò con un cenno l'agente di guardia che sostava sempre davanti alla porta, ed entrò.
Nella penombra della stanza, vide che Shin stava dormendo. Buttò un occhio all'orologio: erano da poco passate le undici di sera. Non era strano che si fosse addormentato, soprattutto considerando che probabilmente non si era ancora del tutto ripreso.
Per fortuna, nel corridoio Nishimura non aveva incontrato infermiere, o si sarebbe preso una strigliata per essere andato a disturbare un paziente a quell'ora.
In ogni caso, ormai era lì e non era disposto ad andarsene senza aver parlato con lui. Dopo, Mouri avrebbe potuto dormire quanto voleva, ma adesso c'era una indagine da portare avanti, e delle persone rapite... Ed era un fatto tristemente noto che le possibilità di liberazione di un ostaggio scemassero a gran velocità col passare delle ore e dei giorni.
Accese la luce sopra all'altro letto presente nella stanza – lasciato vuoto su precisa richiesta della polizia – e si avvicinò a Shin.
Si portò una mano alle labbra, mentre improvviso tornava a farsi sentire quello strano senso di irrealtà che lo aveva già colto diverse volte da quando era iniziata quella indagine.
Quello era sicuramente Shin Mouri: i lineamenti erano quelli, i capelli anche... Eppure la persona che aveva davanti e che dormiva in quel letto non era la stessa persona con cui aveva parlato poche ore prima...

 

Credi che ti darà quello che ti ha promesso? Nell'istante in cui il demone era emerso da terra e lo aveva sfiorato, Omezo aveva pensato che sarebbe morto. Probabilmente in quel preciso istante. E le parole di Seiji, che pensava di aver dimenticato, erano tornate a galle nella sua mente all'improvviso. Tutto quello che otterrai sarà di morire. Vi spazzerà via nell'esatto istante in cui avrete fatto quello che vuole.
E anche ora, che vedeva quel mostro chino sui tre samurai, enorme ed immobile, quelle poche parole continuavano a risuonargli nella mente.
Dayu sembrava catatonico. Continuava a fissare il demone e la sua mano tremava, sospesa a pochi millimetri dalla maniglia della porta. Quando Omezo si voltò verso di lui, con uno sforzo riuscì a riscuotersi, aprì la porta e cercò di lanciarsi fuori dal capannone.
L'altro fu più veloce di lui. Lo spinse contro la porta, che si richiuse risuonando di un forte clangore metallico, e gli si premette contro.
“No, stronzetto. - Gli sibilò mentre gli puntava la pistola ad un lato della gola. - Tu non ti muovi da qui, hai capito?”

 

Touma fece forza con le gambe per potersi girare sulla schiena. Le mani legate in quel modo gli impedivano sia di sollevarsi che di rimanere completamente disteso, ma almeno riusciva a vedere pienamente – e non solo con la coda dell'occhio, come prima - il Demone che si era avvicinato a loro. Sentì che anche Seiji e Ryo cercavano di muoversi, anche se il massimo che potevano ottenere era una posizione appena un po' meno umiliante. Nella realtà dei fatti non erano meno inermi di prima, anche se potevano guardarlo nelle cavità rotonde e traslucide che erano i suoi occhi.
“Chi sei? - chiese Touma – Qual'è il tuo nome?”
“Oh. Un essere umano che si interessa a me? - Il tono poteva essere stupito, o anche ironico. Non era facile capirlo, perché la sua non era una vera voce. Era più un gorgogliare d'acqua, nelle cui note la mente afferrava il significato, più che il suono delle sillabe. - Sarebbe davvero la prima volta.”
“Non vedo come potrei evitare di farlo.” Stava per aggiungere qualcos'altro, ma un'occhiataccia di Seiji gli fece capire che non erano nella posizione di esagerare. Si zittì.
“Questi uomini sono ai tuoi ordini? - Chiese Seiji. - Perché siamo stati condotti qui?”
“Avete molte domande, ma io non ho nessun motivo per darvi risposte.”
Seiji fece nuovamente uno sforzo, e con uno scatto riuscì a mettersi seduto. La rabbia vinceva sulla debolezza.
“Ci hai fatto rapire, hai messo in pericolo le nostre famiglie. Se possiedi almeno un po' di onore, devi dirci cosa vuoi da noi.”
Il demone si sollevò, ergendosi fino al tetto. Il rumore passò da gorgoglio a cascata, riempiendo il capannone e rimbombando contro le pareti e facendo desiderare loro di potersi portare le mani alle orecchie. L'aria sembrava intrisa di minuscole gocce d'acqua. Quando finalmente la voce calò, le parole tornarono comprensibili.
“Il mio nome è Izumi. - Sorgente. Touma si chiese cosa ne avrebbe pensato Shin, se fosse stato lì con loro. - Io sono lo spirito della sorgente che nasceva qui. Prima che tutte voi formichine cominciaste a costruire, che copriste i miei prati con la pietra e col cemento, che mi soffocaste sotto le vostre case e mi prosciugaste con le vostre pompe e le vostre fabbriche. Prima di allora ogni cosa nasceva da me, e ogni granello di sabbia di questa vallata mi era riconoscente. Anche i vostri padri lo erano, ma ora non più. Non avete più bisogno di prendere l'acqua lì dove nasce. Non avete più memoria di cosa ho fatto per voi.”
“E' la vendetta che cerchi?” La voce di Ryo era amara. Aveva lo stesso sapore di quella parola – Vendetta – che tante volte aveva cercato di avvelenare le loro esistenze.
“No. Voi mi avete quasi ucciso, ma io voglio solo tornare libero. E tra poco lo sarò.”
“E noi? - Chiese Touma. Il suo cervello non aveva smesso un istante di farsi domande. - Perchè siamo qui? Cosa cerchi da noi?”
Lo spirito si girò di nuovo su sé stesso, volgendo loro l'enorme schiena arcuata e lucida verso di loro.
“Non c'è bisogno che io vi parli ancora.”
Poi si avvicinò ad Omezo.
“Dunque, cosa ne è degli altri due? - l'uomo tentò di aprir bocca, ma il demone si avvicinò a lui così tanto, che poteva sentirne l'alito gelido sulla pelle. - Ho sentito che ne avete ucciso uno.”
Se prima non erano riusciti a distinguere nulla del discorso sconclusionato di Dayu, stavolta la voce del demone era arrivata chiara ai tre samurai.
“Ucciso...” Ripetè Ryo.
“Shu...” Mormorò Touma.
Impossibile.
Erano sempre stati convinti di poter sapere con certezza, anche a distanza, se i propri nakama erano vivi, stavano bene. Eppure tutto stava cambiando, le yoroi sembravano scomparse, e nessuna convinzione appariva più così inattaccabile.
La voce di Izumi tornò a risuonare.
“Trovateli, e portateli qui. Non mi interessa se uno dei due è morto. Voglio qui il suo corpo.”
Un attimo dopo era scomparso, e Omezo si passò le mani sulle braccia. Era intirizzito come se avesse passato una notte nel freddo e nella rugiada.
Dovevano trovare gli altri due? Cercare in un ospedale, o forse trafugare un cadavere? Maledisse sé stesso e il giorno in cui aveva accettato quel patto, chiedendosi se ci fosse ancora modo di venir meno alla parola data e scomparire il più possibile lontano da lì.

 

Shin aprì gli occhi con fatica. Impiegò un po' per mettere a fuoco la figura china su di lui, e che lo stava scuotendo delicatamente per una spalla.
“Signor Mouri? Mi sente? Cerchi di svegliarsi, per favore.”
“Ispettore? - Shin si passò una mano sugli occhi. - Mi scusi. Volevo aspettarla, ma credo di essermi addormentato.”
Si tirò su a sedere, aspettando che l'altro gli parlasse, ma il poliziotto continuava a tacere e a fissarlo come se fosse un alieno.
“Va... tutto bene?” Chiese.
“Ecco... - Nishimura tentennò. - Credo che... Beh, credo che dovrebbe vedersi allo specchio.”
Shin aggrottò le sopracciglia. Uno specchio? D'istinto controllò di non aver indossato l'undergear nel sonno, senza rendersene conto, ma addosso aveva solo il leggero pigiama con cui si era addormentato.
Dato che l'altro non diceva nulla, si decise ad alzarsi e si diresse in bagno. Accese la luce, e guardò la propria immagine riflessa nello specchio posto sopra al lavandino.
Per un attimo gli sembrò di non riconoscersi nemmeno. Il viso era il suo, però era diverso: la mascella ed il mento erano più marcati, e la pelle appariva più spessa. La barba era più fitta, e attorno agli occhi erano comparse tante piccole rughe d'espressione. Anche la fronte era solcata da tre lunghe linee parallele.
Dalla porta, Nishimura lo osservava mentre si portava una mano alla guancia, sfiorandola appena. La bocca socchiusa e gli occhi spalancati dicevano a chiare lettere che nemmeno lui aveva idea di cosa stesse succedendo.
All'improvviso lo stesso pensiero attraversò entrambi: in quel momento, Shin dimostrava esattamente la sua vera età.
E se questo – per l'ispettore – era semplicemente un mistero inspiegabile, Shin non poté fare a meno di collegare immediatamente alla yoroi questa ennesima stranezza.
Se erano le armature ad aver imposto al loro corpo quella innaturale giovinezza eterna, questo significava che ora non c'erano più? Shin si concentrò su Suiko, ma non riuscì a capire se era ancora dentro di sé. Gli sembrò impossibile che gli fosse stata strappata senza che se accorgesse. Dunque si era dissolta, o era semplicemente diventata muta, incapace di rispondere al suo richiamo?
Sapeva bene che l'armatura, col tempo, era diventata una condanna per ognuno di loro. Eppure, trovarsene privo proprio in un momento come quello non gli diede alcun sollievo. Al contrario, si sentì del tutto inerme, quasi nudo. D'un tratto sobbalzò.
“Shu...” mormorò appena, per poi lanciarsi fuori dalla stanza e cominciare a correre, seguito da Nishimura e dal poliziotto di guardia.
Arrivò davanti alla porta del suo nakama in pochi istanti: gli altri due lo raggiunsero dopo un po', perché aveva corso come un pazzo. Eppure non trovò subito il coraggio di entrare, si riscosse solo quando li ebbe entrambi di nuovo accanto.
Aprì la porta, e lentamente si avvicinò al letto. Come aveva fatto nell'altra stanza, Nishimura andò ad accendere la luce dell'altro letto, e subito il viso di Shu fu visibile ad entrambi. Dormiva, non diede segno di averli sentiti.
Shin lo osservò con attenzione: la forma del viso, che era abituato a vedere così rotonda ed un po' infantile, era più squadrata e adulta. I capelli – di solito scurissimi – sulle tempie avevano cominciato ad ingrigire, e l'intera struttura delle spalle e del torace sembrava più massiccia.
Shin sentì gli occhi riempirsi di lacrime, mentre per la prima volta vedeva Shu con l'aspetto che avrebbe dovuto avere. Era come gettare uno sguardo verso la vita che sapevano di non poter vivere, e dovette sedersi sul bordo del letto ed afferrare la mano del suo nakama, per riuscire a non sentirsi come se fosse caduto in un gorgo che lo stava trascinando giù in un abisso.

 

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Capitolo 15
*** Quindici – Marrone nastro magnetico ***


“Ti dico che dobbiamo andarcene! Io mene vado! - Dayu gesticolava come un pazzo, mentre seguiva Omezo attraverso il capannone. - Aveva ragione Iwao, non dovevo tornare! Cazzo! Cazzo, Omezo, è un casino! E' tutto un casino, non dovevo venire. Non dovevo...”
“Sta' zitto! - Omezo aveva urlato, e Dayu si ammutolì all'istante. - Sta' zitto, imbecille. Credi che possiamo tirarci indietro? Adesso? E cosa facciamo degli altri, li liberiamo con tanti saluti? Magari li accompagniamo direttamente alla stazione di polizia più vicina, eh? Anzi, gli forniamo direttamente una bella foto di gruppo nostra, così non devono nemmeno faticare a fare un identikit, che ne dici?”
Dayu battè gli occhi un paio di volte. Sembrava un bambino.
“E allora... Cosa vuoi fare, Omezo?”
“Non lo so. Ma lo saprò tra poco. Ormai siamo andati troppo avanti con questa storia, e non si torna più indietro. In qualche modo faremo.”
Non c'era modo di fermarsi: sparire non era possibile. Non aveva né i mezzi né le conoscenze per nascondersi o per lasciare il paese. E uccidere tutti gli ostaggi era un'eventualità che non voleva considerare. Non ancora.
In fondo, non era un assassino a sangue freddo.
L'unica era arrivare in fondo. Forse sarebbe stato il demone a sporcarsi le mani. Forse gli avrebbe dato quello che gli aveva promesso, forse no. In ogni caso gli sembrava meglio di una misera fuga senza speranza.
Smise di rimuginare, e si dedicò alle tre persone a cui si erano avvicinati.
Nel capannone c'era poca luce, eppure ebbe l'impressione che quei tre avessero qualcosa di strano, come se improvvisamente avessero cambiato aspetto. Ma non ci si soffermò a lungo, perché la sua attenzione fu attirata dallo sguardo che sentì su di sé. Il biondino lo stava fissando con una freddezza ed una supponenza che sembravano gridare a chiare lettere “Io te l'avevo detto.”
Omezo sentì il sangue salirgli al cervello. L'adrenalina che lo aveva percorso poco prima, quando era comparso il demone, tornò su con violenza.
Lo afferrò per la mascella, stringendola con cattiveria.
“Che cazzo hai da guardare, eh?”
Seiji non abbassò lo sguardo, ma lo spostò di lato, come se Omezo non fosse nemmeno lì di fronte a lui.
“Te la cavo io la voglia di fissare, hai capito? Mi sono stufato di voialtri. E visto che a quel mostro andate bene sia morti che vivi, sai cosa ti dico? Che adesso ti strappo dalla faccia quell'espressione da stronzo una volta per tutte!” Estrasse la pistola e gliela puntò proprio al centro del viso, appena sopra la radice del naso.
Seiji non si mosse, non riportò nemmeno lo sguardo su di lui. Omezo sentì la rabbia ribollire ancora di più.
“Non dici niente? Va bene, allora se non ti interessa che ti faccia esplodere la testa, ho un'idea ancora migliore. - Afferrò Touma e lo strattonò fino a portare il suo viso a pochi centimetri da quello di Seiji, poi gli puntò la pistola alla tempia. - Magari di questo ti importerà.”
Touma non si mosse, si limitò a chiudere gli occhi. Seiji invece si girò verso Omezo.
“Dove sono mia sorella e mio nipote? Dove li hai portati?”
Omezo rimase un attimo immobile. Lo guardò senza sapere cosa fare, poi spinse via Touma con un rabbia. Guardò ancora Seiji per un attimo, poi caricò il braccio con quanta più forza aveva, e gli sferrò un violento colpo al viso con il calcio della pistola.
Si girò ed attraversò il capannone a lunghi passi rabbiosi, seguito da Dayu. Uscì facendo sbattere con violenza la porta di metallo.
“Seiji!” Chiamò Ryo. Cercò di nuovo di liberarsi dalle corde, ma sembrava impossibile.
Dopo qualche secondo lo vide muoversi con fatica, e girarsi di nuovo verso di loro. Lo zigomo era tumefatto e si stava già gonfiando.
“Sto bene. Non è niente.”
Ryo sospirò, lasciandosi cadere di nuovo steso, gli occhi al soffitto del capannone.
Touma invece rimase a fissare Seiji, lo sguardo duro e le labbra strette.
“Cosa stavi cercando di fare?”
Seiji abbassò lo sguardo.
“Scusami. Non volevo che ti minacciasse.”
“Non sto parlando di quello. Cosa cavolo ti succede, eh? Stavi cercando di farti ammazzare?”
“Non capisco che...”
“No, tu capisci benissimo, come sempre. E come sempre fai finta di non capire. Voglio sapere perché lo provochi. Stavi per farti sparare, cazzo! Mi spieghi cosa hai nella testa?!”
Seiji strinse le labbra con rabbia, ma non rispose. Si buttò giù steso, ma si girò su un fianco, dandogli la schiena. La loro conversazione era finita.

 

Erano le nove di mattina, E Nishimura si sentiva come se fosse l'alba. La sera prima aveva lasciato l'ospedale che era da poco passata la mezzanotte; era andato direttamente a casa, ma anche se si era messo a letto praticamente subito non era riuscito a prendere sonno fino alle cinque della mattina.
Alla fine era crollato semplicemente perché il suo cervello, a forza di arrovellarsi su tutto quello che stava succedendo, era come collassato per sfinimento.
E adesso percorreva lentamente i corridoi della stazione di polizia – una tazza di caffè in una mano e diversi fogli di appunti nell'altra – con l'aria di uno zombie. Non era tanto la stanchezza, aveva fatto sicuramente di peggio.
Era che non riusciva a smettere di pensare.
Era che aveva accumulato tante di quelle domande senza risposta da farsi venire un'ulcera.
Era che quella storia stava diventando talmente assurda che a volte gli veniva da chiedersi se non stesse semplicemente sognando tutto.
Ripensò alla sera prima e a quello che aveva visto. Aveva fatto un paio di tentativi di farsi dare delle spiegazioni, ma Mouri si era richiuso completamente, e non aveva cavato un ragno da un buco.
Ad un certo punto Rei fan si era svegliato, ma gli era bastato scambiare uno sguardo con l'amico per ammutolirsi come lui. Si erano fissati per un istante – e Nishimura avrebbe giurato che Mouri si fosse limitato a scuotere appena il capo – e le sue possibilità di sapere qualcosa di più erano evaporate all'istante.
Fosse stata un'altra indagine, e fossero state altre persone, avrebbe insistito molto di più. Avrebbe fatto la voce grossa, probabilmente avrebbe trovato un modo per minacciarli.
E invece dopo poco aveva rinunciato e se ne era andato, e non era in grado di spiegare il perché. Non a parole, almeno.
Aveva provato una sorta di pena per quei due, e poi forse lui stesso non si sentiva in grado di affrontare altre assurdità. Non per quella sera, almeno.
Si accorse di essere arrivato alla propria scrivania solo quando vide il vice ispettore Fujita che gli faceva un cenno di saluto.
“Buongiorno! Mattinieri, oggi...”
“Lascia perdere, Fujita. Non è proprio giornata.”
“Ok, ok... mattinieri e suscettibili... - Un'occhiata dell'ispettore le fece capire che era già arrivata al capolinea di quanto si potesse permettere, e la donna cambiò tono in favore di uno più professionale, ma senza smettere di sorridergli. - Allora, passiamo alle cose serie. Questo è il fascicolo di Omezo Kimura. Per nostra fortuna è abbastanza corposo. Niente di eclatante, diciamo che si esprime in diversi campi, ma tutte cose di basso livello.”
“Qualcosa di utile per noi?”
“Mah. La buona notizia è che conosciamo diversi posti a cui fa riferimento. La cattiva è che sono tutti dalla parte opposta della città rispetto a dove sono stati aggrediti i tuoi due testimoni. Non è proprio la sua zona, e dal fascicolo mi sembra che Kimura sia piuttosto...“stanziale”. - Gli porse un foglio con due o tre indirizzi. - Mi spiace, ma temo che sia una pista morta. Forse Kimura non c'entra con questi rapimenti. I due ragazzi che hanno sparato potrebbero essere agli ordini di qualcun altro.”
Nishimura scorse velocemente il dossier.
“Può darsi.” Accidenti. Questa era davvero una brutta notizia, ora avrebbe dovuto ricominciare praticamente da capo.
“Magari c'è qualcosa di utile qui. - Fujita estrasse dalla borsa una chiavetta USB. - Ho quei filmati che mi avevi chiesto.”
“Su file? Come han fatto a copiarteli tutti? L'archivio video sarà aperto da un'ora appena!”
“Non li ha dovuti convertire per me. Cinque anni fa una TV nazionale ha fatto uno speciale per il ventennale del disastro. Sai, quei programmi-inchiesta pseudo scientifici che vanno di moda adesso. Invece di richiedere materiale a destra e manca, sono venuti direttamente all'archivio della polizia, e le VHS sono state riversate. Stamattina mi hanno solo copiato quei file.”
“Meglio così.” Nishimura approvò con un cenno del capo. Se non altro avrebbe potuto riguardarli con calma, invece di perdere tempo nelle stanzette polverose dell'archivio.
“Ok, vediamo un po' cosa c'è.” la donna inserì la chiavetta nel pc, poi cominciò ad aprire i files video.
Ne visionarono diversi senza che venisse fuori niente di utile.
Nuvole nere addensate sui palazzi. Elicotteri e mezzi militari. Un pilota abbattuto da una strana creatura, lampi innaturali che squarciavano il cielo...
“Avevi mai visto queste immagini?” Chiese Nishimura.
“Solo qualche scena qua è là, quando le hanno trasmesse negli anni. Quando successe io avevo tre anni, non mi ricordo nulla. Ma cosa stiamo cercando, di preciso?”
“Quando lo troverò, te lo saprò dire.”
Ancora nuvole scure, altri lampi, e l'incombente immagine di un palazzo gigantesco che sovrastava il quartiere. Questa era l'immagine che aveva visto più volte, negli anni, quando il disastro di Shinjuku era stato citato.
Poi, finalmente, qualcosa. Nishimura drizzò la schiena e si sporse verso lo schermo.
Una ripresa dall'alto: poliziotti in assetto anti-sommossa, disposti a cerchio attorno a due figure. Una ripresa più ravvicinata, alle spalle dei due: la tigre bianca! Era sicuramente la stessa della sera prima.
Con lei c'era un ragazzo: felpa azzurro chiaro ed una lunga zazzera scura. Teneva una mano sulla schiena della tigre ed era leggermente chinato su di lei, come se volesse proteggerla.
“Avanti... - Mormorò l'ispettore. - Fatti vedere in faccia.”
Finalmente l'inquadratura cambiò, e – come se avesse sentito la richiesta di Nishimura – arrivò un primo piano del ragazzo.
“Ma che cavolo...” L'uomo rimase immobile, l'espressione di chi ha visto un fantasma.
“Ma quello... - Fujita saltò giù dalla scrivania ed andò al tavolo dello scotch. Cominciò a scartabellare i vari fascicoli, finchè non trovò quello su cui era scritto Ryo Sanada. Estrasse una foto e la mostrò al collega. - Ma quello è uno dei due ragazzi scomparsi! Cosa ci faceva lì, e con una tigre? - Abbassò di nuovo lo sguardo sulla fotografia e la guardò con più attenzione. - Ma... Scusa, questa foto quando è stata scattata??”


 

Solo una piccola nota: Forse qualcuno si sarà accorto che nel capitolo scorso ho cambiato in corsa il nome del demone. Io avevo cercato in rete come si dicesse “Sorgente” ed avevo trovato Onsen. Ma a quanto pare Onsen significa “Sorgente calda”... XD
Per fortuna Kourin è corsa in mio soccorso, correggendomi e dandomi la giusta traduzione. Che dire, avevo creato il terribile Demone delle Terme!!! XDDDDDDDDDD
Grazie mille a Kourin, e scusate per il disguido... ^___^

 

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Capitolo 16
*** Sedici - Rosso come la ruggine ***


Kuniyaki si asciugò con la mano l'ennesima lacrima traditrice che gli era sfuggita quel giorno. Aveva cercato di non piangere, ci si era impegnato davvero. Non voleva far preoccupare sua madre, che continuava a tenergli un braccio attorno alle spalle, né mostrarsi debole davanti ai nonni, che per fortuna stavano bene ed erano lì con loro.
Aveva otto anni, ormai, ed era troppo grande per essere spaventato.
Ma il suo piccolo segreto per essere coraggioso, l'immagine a cui si era sempre aggrappato quando aveva paura, ormai non funzionava più. Pensare allo zio Seiji, ai suoi modi sempre calmi ed imperturbabili, alle sue parole sagge che lo avevano sempre indirizzato e spronato... fino a quei giorni era stato sufficiente per fargli alzare la testa e farlo sentire sicuro.
Ma adesso era cambiata ogni cosa. Era stato convinto che li avrebbe protetti e liberati, che fosse così forte e coraggioso da poter fare ogni cosa. E invece aveva lasciato che portassero via i nonni.
Non aveva combattuto contro quegli uomini, e anzi... li aveva aiutati a catturare Touma, che era un amico di famiglia da prima che lui nascesse. Che andava a trovarli a Sendai e gli raccontava tutte quelle storie interessanti. Aveva sempre pensato che Seiji tenesse molto a lui, e invece aveva detto davanti a tutti che non gli importava, e poi gli aveva fatto del male.
Dunque lo zio non era quello che sembrava. Gli aveva sempre insegnato ad essere forte e leale, ma era stata tutta una menzogna. Kuniyaki ripensò con un brivido al momento in cui lo aveva visto contorcersi e svenire, quella strana luce verde che splendeva sulla sua fronte e che lo faceva sembrare un demone.
Aveva provato a parlarne con sua madre, ma Satsuki aveva continuato a difenderlo. Aveva detto che lo zio non aveva avuto scelta, che aveva sempre continuato a proteggerli... ma lui non riusciva più a crederci. Sua madre era cieca, forse. Ma lui ormai sapeva che non avrebbe potuto più fidarsi di suo zio come faceva prima.

 

Ryo si mosse appena, strizzò gli occhi e si girò su un fianco per cercare di sfuggire ad una lama di luce che penetrava dalle finestre a nastro e puntava dritta sul suo viso. Lentamente si svegliò, mettendo a fuoco quello che aveva attorno.
Dentro al capannone la luce era poca: la maggior parte delle finestre era stata schermata con pezzi di scatoloni di cartone e buste di plastica fissate alla buona con larghi pezzi di nastro da pacchi, ma l'inclinazione dei pochi raggi che riuscivano ad entrare gli fece pensare che fossero almeno lo nove della mattina.
La sera prima, dopo che Omezo e il suo scagnozzo se ne erano andati, lui, Touma e Seiji avevano cercato di riordinare li idee su cosa stesse succedendo, ma non erano riusciti a scambiarsi più di poche parole prima di sprofondare nel sonno.
Ryo era sicuro che non fosse stata solo stanchezza: aveva la sensazione di essere stato come trascinato sott'acqua e di aver dormito sul fondo silenzioso di un lago.
Di fronte a lui c'era Touma, ancora addormentato. Seiji era poco più in là, e dava loro la schiena.
Ryo osservò con attenzione il viso del suo nakama, perché – nonostante la poca luce – era certo che ci fosse qualcosa di diverso.
Sobbalzò, quando si rese conto di cosa fosse cambiato.
“Touma! Touma, svegliati!”
Lo vide stringere gli occhi, poi riemergere pian piano dal sonno e guardarlo.
Al contrario del suo, il viso di Ryo era in piena luce, così Touma non impiegò molto a rendersi conto di come fosse cambiato. E lo sguardo gli disse a chiare lettere come il suo nakama stesse oservando, di riflesso, lo stesso cambiamento su di lui.
Si girò sulla schiena, e chiamò Seiji. Lo vide girarsi con fatica verso di loro: metà del viso era coperta da un livido scuro e gonfio, ma l'altra metà era esattamente come gli altri due si aspettavano che fosse: era quella di un uomo di quarant'anni.

 

Nishimura osservò la foto di Sanada che gli stava porgendo il vice ispettore Fujita. Si vedeva che era di qualche anno più grande del ragazzino che aveva appena osservato nello schermo del pc, ma non dimostrava certo l'età riportata nella sua scheda.
Questo lui lo sapeva già, l'aveva notato subito, e l'aveva collegato immediatamente all'aspetto innaturalmente giovane di Mouri e Rei fan. E dato che il loro viso l'aveva potuto osservare di persona, aveva scartato subito l'eventualità che quella fosse una foto vecchia. Era praticamente sicuro che Ryo Sanada, e anche gli altri due ragazzi scomparsi, avessero tuttora quell'aspetto.
Si chiese se parlare a Fujita di questa storia assurda dell'età apparente, ma era una cosa troppo strana e troppo poco quantificabile. E come avrebbe fatto a spiegarle che nel frattempo li aveva visti invecchiare nel giro di poche ore? Non aveva voglia di passare per pazzo nel bel mezzo di un indagine, così decise di sorvolare.
Nel frattempo la donna aveva cominciato a fare ricerche in rete.
“Certo che questi cinque sono le persone più riservate o meno tecnologiche dell'universo, eh? Non li trovo su nessun social network, non sono iscritti in nessuna associazione, non c'è nulla di nulla on line! Hashiba è nominato nel sito del dipartimento universitario in cui lavora, degli altri non c'è traccia!”
“Già, l'avevo notato. Questa foto me l'hanno mandata i colleghi di Yamanashi: ne hanno trovate diverse quando sono andati a casa di Sanada per verificare la storia di Mouri.”
Omise di riferire come tutte le foto – a detta del poliziotto con cui aveva parlato – ritraessero Ryo con il medesimo aspetto, come se fossero state scattate nello stesso periodo. Nessuna successiva ai vent'anni, aveva detto l'agente.

 

Per qualche istante erano rimasti tutti e tre in silenzio, senza riuscire a tradurre a parole quello che vedevano. Poi Seiji aveva sospirato, girandosi sulla schiena.
“Immagino di aver cambiato aspetto come voi, giusto?”
“Per la metà di faccia visibile, sì.” Polemizzò Touma, che ancora non riusciva a digerire quello che era successo. Seiji lo ignorò.
“Sembrerebbe che le yoroi abbiano smesso di modificare il nostro aspetto. - Ryo era corrucciato. - E non riusciamo a richiamarle. Touma, credi che siano scomparse?”
“No, non penso. Ieri ho notato che le nostre temperature erano alterate. Tu eri chiaramente molto caldo, mentre io credo di essere stato piuttosto freddo.”
Seiji annuì a conferma.
“Ti ho sfiorato le mani: erano gelide.”
“E questo era sicuramente effetto delle yoroi, non è la prima volta che reagiscono così.”
Ryo mosse appena il capo, ripensando a cosa era successo più di dieci anni prima.*
Touma continuò. “Credo che ci sia qualcosa che si interpone tra noi e le armature. Sicuramente è collegato al demone che è apparso ieri sera.”
“Abbiamo affrontato molti tipi di Youia, e le armature non si sono mai comportate così. Nemmeno Arago era riuscito a scindere il legame che ci unisce a loro.”
“Lo so. Ma Arago era collegato alle nostre yoroi in maniera diretta, inoltre non nasceva da un elemento naturale come Izumi, per quel che ne sappiamo. C'è qualcosa di diverso, anche se non so ancora cosa sia. Inoltre devi considerare che tutto questo è iniziato quando si sono attivate senza che noi facessimo nulla, ieri mattina. Io credo che lo abbiano fatto per salvare Shu, anche se non so come.”
Si voltò verso Seiji per chiedere il suo parere, e lo vide riflettere.
“Sì, la sensazione non è stata molto diversa da quando cerco di canalizzare kourin per guarire le ferite. Anche se ieri è stato molto più violento, e non ero in grado di controllarlo.”
Ryo sospirò, guardando a terra. “Vorrei poter sapere come sta Shu.”
“Sono convinto che stia bene.” Seiji sembrava sicuro, ma Ryo cercò anche lo sguardo di Touma.
“Sì. Anche se questi bastardi sono convinti di averlo ucciso, io credo che non sia così. Lo avremmo sentito. Non siamo legati solamente dalle armature.”
“Lo spero proprio. Non riesco ad entrare in contatto né con lui né con Shin.”
“Se ci pensi, però, questa cosa dura da quando siete stati rapiti.”
“In che senso?”
“In genere riusciamo sempre ad individuare la posizione gli uni degli altri. Ci siamo ritrovati persino da un continente all'altro**! Eppure stavolta ho dovuto seguire quei due ragazzetti per arrivare fino a qui. E quando è successo, le yoroi erano attive.”
“Forse... - Seiji si guardava attorno, come a cercare conferma di quello a cui aveva pensato. - Forse c'è qualcosa, in questo luogo, che indebolisce il potere delle nostre armature.”
“Può darsi. E quello che è successo ieri deve aver dato loro il colpo di grazia.”

 

Omezo aprì gli occhi: era steso a pancia in sotto sulle coperte aggrovigliate di un letto che non era il suo. La testa gli faceva un male cane, e gli occhi gli bruciavano. Cercò di riordinare le idee, perché in quel momento non riusciva nemmeno a ricordare dove fosse.
Poi vide spuntare dalle lenzuola la testa tinta di rosa acceso della puttana che aveva rimorchiato la sera prima, e si ricordò. Era uscito dal capannone in preda alla rabbia. Aveva liquidato Dayu, intimandogli di ripresentarsi il giorno dopo.
Poi aveva girato tre o quattro bar, finchè la sbronza non gli aveva fatto sbollire la rabbia, lasciando che venisse fuori lo strato successivo, ovvero la paura. E allora si era arrovellato – per quanto potessero permettergli le sue sinapsi annegate nell'alcool – per decidere cosa doveva fare. E così facendo gli era venuta la sbornia triste, ed era finito nella zona a luci rosse, dove si era fatto accalappiare dalla tipa in rosa.
E adesso era mattina inoltrata, gli scoppiava il cervello ed era ora di finirla con questa crisi di panico e cercare di salvarsi in qualche modo il culo, se ancora era possibile.
Si alzò, recuperò i vestiti ed uscì.
Aveva bisogno di un'aspirina, ma prima doveva fare una cosa: estrasse il cellulare e compose un numero.
“Kimura! Ti avevo detto che ti avrei avvertito, se quei due riaccendevano i telefoni. Non mi hai sentito, quindi significa che non l'hanno fatto.”
“Cerca di non fare troppo lo stronzo, ok? Non si tratta di questo, devi entrare in un computer e cercare un nome.”
“Questo è un extra rispetto ai soldi che mi hai dato, sappilo.”
“Comincia col renderti utile. Quel coglione di Iwao ha sparato ad uno dei due tipi che devi rintracciare, e voglio sapere se è morto. Devi guardare nel computer dell'obitorio se c'è il suo nome.”
“Sei scemo, per caso? Quel tipo di cadaveri va al laboratorio del medico legale! E il loro database è una sezione di quello della polizia, tu sei matto se pensi che cercherò di entrare lì dentro. C'è un motivo se non mi hanno ancora mai preso!”
“Il motivo è che sei un cagasotto. - Omezo si fermò a riflettere un attimo. - D'accordo, non ho tempo per discutere con te. Sei in grado di entrare in quello degli ospedali? Magari è ancora vivo.”
“Questo si può fare. Ci metto le mani e ti faccio sapere.”
E buttò giù senza aspettare che Omezo rispondesse.


Shu spostò sul comodino il vassoio che aveva contenuto il suo pranzo. Aveva ritrovato il suo solito appetito, ed era un ottimo segno. Osservò Shin, che si era addormentato nel letto di fianco al suo, subito dopo aver mangiato qualcosa. Anche se cercava di non farlo notare, era ancora debilitato e Shu se n'era accorto subito. Lui, in compenso, cominciava a sentirsi molto meglio. Ancora poco, e avrebbero potuto andarsene da lì, e cercare finalmente gli altri. Sperando che, al prossimo tentativo di richiamarle, le armature sarebbero riapparse.
Era immerso in queste riflessioni, quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle, e pensò che fosse arrivata l'ora delle medicine.
Stava per lamentarsi di come non gli dessero tregua, quando vide che non si trattava di un'infermiera: erano entrati tre uomini dall'aspetto decisamente poco rassicurante. Due non li aveva mai visti, ma il terzo era senza dubbio uno dei due ragazzi che aveva inseguito fuori dal bar e che gli avevano sparato.
Istintivamente si voltò verso Shin, che dormiva ancora.
“Non ti preoccupare del tuo amico. - L'uomo che era al centro era in vena di fare dell'ironia, anche se appariva nervoso. - Penseremo anche a lui.”

 

*Ryo sta ripensando all'episodio narrato nella mia fic “Rekka ardente”.
**Touma si riferisce alla scena dell'OAV “Kikotei Densetsu”, in cui l'armatura trasporta Shin direttamente in Africa, dove sono prigionieri i suoi nakama.

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Capitolo 17
*** Diciasette - Grigio metallizzato ***


Shu spostò di nuovo lo sguardo su Shin. I tre uomini parlavano piano, probabilmente per non attirare l'attenzione di qualcuno fuori, e lui non si era svegliato. Si chiese come avessero fatto ad eludere la sorveglianza dei due poliziotti che erano di guardia davanti alla porta, e pensò che in qualche modo li avessero resi inoffensivi.
Gli avevano lasciato vedere di essere armati, anche se non avevano estratto le pistole, e Shu era praticamente certo di non avere ancora il controllo della yoroi. Se avesse provato a combatterli avrebbe finito sicuramente col far riaprire la ferita. Poteva mettersi a gridare e chiedere aiuto, ma uno dei tre si era messo esattamente alle spalle di Shin, e non voleva rischiare che gli facesse del male.
In fondo avevano già dimostrato di essere disposti a sparare, poteva ancora sentirlo chiaramente sulla propria pelle.
“Avanti, - quello che sembrava il capo fece un cenno all'altro uomo. - Sveglia l'altro e andiamocene.”
Shu aveva promesso che non se ne sarebbe andato, ma aveva anche promesso che non avrebbe più rischiato inutilmente, e forse arrendersi e lasciarsi catturare era la scelta meno rischiosa per entrambi.
Decise di giocarsi l'unica carta che aveva per evitare che prendessero anche Shin.
“Non riuscirete a svegliarlo: gli hanno dato dei sedativi.” Non era vero, ma Shin dormiva profondamente, e forse ci sarebbero cascati.
“Maledizione!”
“Possiamo portarlo a braccia, Omezo.”
“Non dire idiozie! Siamo in un ospedale, credi che non ci noterebbe nessuno, se ce ne andassimo in giro in quel modo?!”
Alcune voci risuonarono fuori dalla porta, forse un'infermiera che parlava con un medico.
“Devono essere le mie medicine. - Era questione di attimi, e Shu poteva contare solo su quello. Se le cose si fossero incastrate alla perfezione, sarebbe riuscito a farli andar via senza il suo nakama. - Me le portano sempre dopo pranzo.”
“Che facciamo, Omezo?” Il ragazzo biondo-verde sembrava parecchio agitato.
“Andiamocene. Per ora ci accontentiamo di te. - Gli fece cenno di alzarsi e seguirli. - Il tuo amico lo prenderemo quando uscirà di qui. Avanti, vestiti. E non fare stronzate, perchè Shino ha il tuo amico sotto tiro, e a me andate bene sia vivi che morti.”
Shu obbedì. Si sfilò l'ago della flebo e si vestì in fretta. Gli girava ancora un po' la testa, e se si muoveva troppo in fretta sentiva la ferita tirare, ma le sue preghiere furono ascoltate, perché quando uscirono dalla stanza Shin era ancora immobile nel letto.

 

Shin riuscì a svegliarsi con uno sforzo. Si sentiva ancora stanco, ma gli sembrava di aver sentito delle voci e aveva cercato con tutto sé stesso di emergere dal sonno.
La prima cosa che vide fu il letto di Shu, vuoto.
Pensò che potesse essere in bagno, ma gli bastò vedere l'ago della flebo buttato sulle lenzuola e l'armadietto aperto e svuotato dagli abiti, per capire che Shu se ne era andato.
Si tirò su a sedere di scatto, e la testa gli girò. Ma la rabbia era superiore alla stanchezza, e lo mise direttamente in piedi.
“Non è possibile... - Mormorò. - Shu, maledizione!”
Dove diavolo poteva essere? Si chiese cosa fosse successo per spingerlo a lasciarlo lì da solo: forse era riuscito a sentire finalmente gli altri? Oppure di nuovo era tornata Byakuen? Ma perché non l'aveva svegliato, accidenti!
Si chiese se fosse stato rapito anche lui. Forse quagli uomini erano entrati nell'ospedale, e lo avevano portato via? Ma allora avrebbero preso anche lui, non aveva senso che lo avessero lasciato dormire tranquillo. No, l'unica spiegazione sensata era che Shu avesse fatto uno dei soliti colpi di testa.
Aveva giurato che non si sarebbe mosso da lì, e lui gli aveva creduto. Aveva ceduto al sonno per poco, e Shu aveva avuto il coraggio di sparire sotto al suo naso. Ma come aveva fatto a sfuggire alle guardie messe fuori dalla porta? Barcollando arrivò alla finestra, e guardò giù. Erano così in alto che avrebbe potuto uscire da lì solo se fosse riuscito a richiamare l'armatura.
Shin provò a farlo, ed ottenne solo di peggiorare il mal di testa e farsi venire la nausea. E se non ci riusciva lui, era quasi sicuro che non potesse farlo nemmeno Shu.
Si affacciò nel corridoio e vide che non c'era traccia dei due poliziotti. Non voleva nemmeno pensare che il suo nakama fosse arrivato a metterli fuori combattimento. Richiuse la porta e ci si appoggiò contro, mentre cercava di decidere cosa fare. Si passò una mano sugli occhi: forse avrebbe dovuto essere furioso, ma si sentiva solamente esausto.
“Avevi promesso, Shu. Avevi promesso...”

 

Nishimura stava rileggendo per la seconda volta il fascicolo di Omezo Kimura. Come già gli aveva anticipato Fujita, sembrava che le sue attività si concentrassero tutte in una zona molto lontana da quella in cui Shu e Shin avevano incrociato i due fosforescenti, come li chiamava Izawa.
E questo faceva pensare che Kimura non fosse coinvolto nel rapimento su cui stava indagando. Ma l'ispettore aveva imparato che una pista non è davvero morta finché non la si è percorsa fino alla scritta “capolinea”, e decise che avrebbe comunque fatto sorvegliare i posti che erano segnalati nel dossier come possibili covi di Omezo e della sua gang.
Alzò lo sguardo quando vide l'ombra di qualcuno stagliarsi sul piano della scrivania.
“Dimmi, Fujita. C'è qualche novità?”
“Uh, niente. Ho incontrato l'agente Sasaki, poco fa. Mi è sembrato un po' scosso.”
Nishimura tornò a guardare verso i suoi fogli.
“E...?”
“E mi ha raccontato di ieri notte. Vi ha tagliato la strada una tigre bianca?! Quando ti ho chiesto come eri arrivato al video di Shinjuku e mi hai detto di aver riconosciuto la tigre, credevo mi prendessi in giro! Perchè non mi hai detto di stanotte?”
“Beh, aspettavo di capire un po' meglio cosa stia succedendo. E' una strana indagine, devo chiarirmi un po' le idee...”
“Strana? Mi sembra riduttivo...”
E nemmeno sai tutto, pensò Nishimura.
Prima che il vice ispettore tornasse a fare domande, il telefono squillò.
“Pronto?”
“Ispettore, deve venire prima possibile in ospedale!”
“Cosa è successo?”
“Io... sono mortificato, ma Rei Fan e Mouri sono scomparsi.”

 

Shin era riuscito ad arrivare al piano terra dell'ospedale senza che nessuno lo notasse. Forse stava facendo un errore, ma aveva avuto pochi minuti per decidere, e non poteva restar lì senza far nulla. Aveva vinto l'istinto di verificare che i poliziotti di guardia stessero bene, – Se Shu era scomparso, gli venivano in mente solamente ipotesi negative - e si era diretto all'uscita senza passare dalla propria stanza.
E infatti non aveva con sé nemmeno portafoglio e cellulare. Fortuna che almeno non era in pigiama, o sarebbe stato impossibile svignarsela senza che qualcuno se ne accorgesse.
Sapeva che non avrebbe potuto mantenere a lungo la promessa fatta a Nishimura, ma gli dispiaceva ugualmente andarsene in quel modo. In fondo quell'uomo stava cercando di aiutarli, anche se probabilmente poteva fare ben poco.
Si accorse di aver trattenuto il fiato solo quando finalmente varcò la porta del grande atrio ed uscì nel giardino. Svoltò velocemente verso il parcheggio, mentre si calava il cappuccio della felpa per schermare gli occhi dalla luce bianca di marzo. Lo attraversò a larghi passi, la testa che non smetteva di girare e l'aria fredda che si insinuava sotto la maglia: la giacca era rimasta in camera insieme a tutto il resto, e non aveva nemmeno i soldi per comprarne un'altra.
“Accidenti... - Si strinse nelle braccia, mentre rabbrividiva. - Mi chiedo se sarò d'aiuto a qualcuno, in queste condizioni.”
Si fermò all'improvviso: era quasi sicuro di aver sentito dei passi alle proprie spalle. Si guardò attorno, ma non c'era nessuno.
Proseguì tra le auto parcheggiate cercando di tenere una traiettoria irregolare, e dopo poco sentì di nuovo i passi di qualcuno che lo seguiva. Anche senza il supporto della yoroi, i suoi sensi erano stati sviluppati da anni passati ad aspettare una nuova insidia ad ogni angolo.
Si Accucciò dietro ad un grosso SUV ed aspettò: dopo pochi istanti vide un'ombra allungarsi tra le auto e fermarsi proprio accanto a lui.

 

Nishimura non credeva ai propri occhi: Rei fan e Mouri erano spariti sotto il suo naso, nonostante i due agenti che gli aveva messo accanto. Si decise ad uscire dalla stanza di Shu dopo averle dato una veloce occhiata e fece segno all'agente di riferirgli cosa fosse successo.
Quel pover'uomo era davvero mortificato, aveva continuato a tormentarsi le mani per tutto il tempo che lo aveva aspettato ed ora sembrava non sapesse da dove cominciare.
“Quindi?” Cercò di non essere troppo brusco, ma la sua pazienza si stava esaurendo.
“Ecco... Il signor Mouri ha lasciato la sua camera sulle undici. Ha chiesto all'infermiera se poteva pranzare qui nella stanza di Rei Fan, così io ho aspettato fuori insieme all'agente Harada. Visto che erano entrambi nella stessa camera, beh... Ho pensato di potermi assentare per un attimo e sono andato a prendere due caffè al distributore che c'è nella sala d'aspetto.”
Si interruppe e guardò l'ispettore da sotto in su per capire se l'aveva fatta troppo grossa, ma Nishimura gli fece solo segno di proseguire.
“Sono tornato dopo dieci minuti, e Harada non c'era più. Ho guardato subito nella camera, ma erano spariti tutti. - Sospirò, affranto. - Sono corso a cercare il collega, e l'ho trovato in quello sgabuzzino. L'avevano colpito alla testa e chiuso lì dentro.”
“Ora dov'è?”
“L'ho affidato ad una infermiera e sono corso a cercare Mouri e Rei fan, ma...”
“Ho capito. Parlerò con il suo collega.”
Nishimura era piuttosto arrabbiato. E non con i due agenti di guardia, quanto piuttosto con sé stesso.
Tutta l'assurdità di quella storia aveva finito col distrarlo, e forse aveva peccato di leggerezza nel valutare la situazione.
Entrò nel piccolo ambulatorio che c'era in fondo al corridoio, e vi trovò l'agente Harada insieme ad una infermiera. La donna stava finendo si applicargli la medicazione, ma in generale sembrava star bene.
“Signor commissario!”
“Agente. Come sta?”
“Non è nulla signore. Mi hanno colpito alla testa, ma non è grave. Mi dispiace, ispettore, io...”
“Lasci stare. Mi racconti invece cosa è successo: ha visto chi l' ha colpita?”
“Sì, signore. Erano in tre: ero fuori dalla camera, quando si sono avvicinati: due mi hanno superato come se andassero agli ambulatori, ma il terzo mi ha chiesto un'informazione. Mi sono girato solo un istante per parlargli, e gli altri due mi hanno steso.”
Nishimura si sentì appena un po' sollevato. Mentre si dirigeva all'ospedale aveva vagliato l'ipotesi che fossero stati proprio Mouri e Rei fan ad aggredire la guardia e scappare, e questo avrebbe significato che aveva compiuto un grossolano errore di valutazione nei loro confronti. Si sentiva uno stupido per aver creduto alla loro buona fede.
In genere – anche se l'istinto gli diceva che una persona era sincera – preferiva non abbassare la guardia finchè ogni cosa non era sicura. E invece aveva finito col fidarsi “a pelle” di quei due, e non riusciva ad accettare l'idea di aver sbagliato.
Ma, a quanto pareva, non se ne erano andati di loro volontà.
In realtà questo non era un gran miglioramento: se quella gente era riuscita nel proprio intento – ovvero rapirli tutti cinque – cosa avrebbe fatto a quei ragazzi, ora? Doveva sbrigarsi a fare qualche passo avanti in questa maledetta indagine.
Tirò fuori il cellulare e richiamò le foto di Iwao Harada e Dayu Sato.
“C'erano anche questi due?”
“Quello con i capelli rossi no, ma l'altro era qui.”
“E questo? - gli mostrò la foto di Omezo Kimura. - Era uno dei tre?”
“Sì, è lui! E' lui che mi ha parlato. Il terzo era un uomo adulto, con la barba incolta e il fisico massiccio. Forse potrei fare un identikit.”
Nishimura sentì un piccolo brivido di soddisfazione: finalmente la prova che Kimura fosse coinvolto in quella storia. Ringraziò l'agente e telefonò in centrale. Aveva poco tempo per organizzare una squadra di sorveglianza nella zona d'azione di quella banda, e se la fortuna non lo abbandonava, poteva ritrovare quei cinque e le famiglie nel giro di poco.

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Capitolo 18
*** Diciotto - Nero come l'asfalto ***


Shin rimase immobile, anche se ormai era sicuro che lo avessero trovato. L'ombra si avvicinò ancora un po', e da dietro l'auto comparve un uomo. Poteva avere una cinquantina d'anni: il viso era scuro e sciupato dal sole, portava la barba incolta ed aveva le spalle larghe e le mani rovinate di chi faceva un lavoro di fatica.
“Ci hai messo poco a svegliarti, bell'addormentato! A quanto pare Omezo aveva ragione a pensare che ti saresti precipitato fuori dall'ospedale.”
“Che cosa? - Shin si mise in piedi, lentamente. Per fortuna l'aria fredda gli aveva calmato lo stomaco ed alzato almeno un po' la pressione. - Chi sei? E come fai a sapere che dormivo?”
L'uomo scrollò le spalle, con finta indifferenza.
“Poco fa non abbiamo voluto disturbarti... Ma adesso sei sveglio, e verrai a fare un giro con me. Coraggio, non sei ansioso di rivedere i tuoi amici? Ormai manchi solamente tu.”
Shin strinse i pugni, anche se il suo viso era rimasto immobile. Significava che erano stati nella stanza? Che avevano preso anche Shu?
“Dov'è Shu, che gli avete fatto? Cosa volete da noi?”
“Non ti riguarda. Avanti, muoviti: il tuo amico è stato abbastanza ubbidiente, tu vedi di non farmi perdere la pazienza.”
“Ubbidiente?”
Ma come si permetteva?!
“Sì, ubbidiente. Non ti sta bene? - Shino aveva portato le mani ai fianchi, e sembrava cominciasse ad aver fretta. - Non siete altro che cinque ragazzini, non riesco proprio a capire perché Omezo si preoccupi tanto. E tu... tu sei il più stropicciato di tutti: sembri un pulcino bagnato!”
Shin era immobile. Lo guardava ma non poteva sentire il suono della risata sguaiata con cui aveva concluso il discorso. Sentiva solo il rombo della rabbia che ribolliva e risaliva lungo il collo. Batteva nelle orecchie e pulsava nella testa.
Come si permetteva questa gente di entrare nella loro vita? Avevano rapito i suoi amici, fatto del male alle loro famiglie, gli avevano impedito di piangere sua madre.
Avevano sparato a Shu.
Shino non riuscì nemmeno a vederlo quando si mosse. Un attimo prima era in piedi a ridere di lui, e quello successivo era faccia terra, un ginocchio di Shin ben premuto contro la schiena e la ghiaia superficiale dell'asfalto a graffiargli una guancia. Come era possibile che l'avesse atterrato in quel modo? Quel ragazzino era la metà di lui, non sembrava capace di far male ad una mosca.
Ma tutta la sua spavalderia nasceva da spalle e braccia rese forti dallo scaricare casse e scatoloni dai camion, e dall'essersela cavata bene in qualche rissa tra ubriachi il sabato sera, mentre Shin era ciò che era. E un samurai non smette di essere un samurai, anche se viene privato delle proprie armi.
Shino cercò di divincolarsi e toglierselo di dosso, e tutto ciò che ottenne fu di farsi torcere un braccio dietro alla schiena.
“Sta' fermo, stronzo. - Gli tastò la giacca, mentre lo teneva giù con tutto il proprio peso. Trovò cellulare, portafoglio e le chiavi di un'auto. Dalla tasca posteriore dei pantaloni, invece, estrasse una pistola di piccolo calibro. - Adesso mi dirai dove sono i miei amici.”
“Altrimenti che mi fai, eh? Fottiti, bamboccio!”
Shin gli sollevò la testa, strattonandolo per i capelli, poi gliela fece sbattere di nuovo a terra. L'ansia e la tristezza accumulate in quei giorni si erano tramutate in una rabbia cieca che forse non aveva mai provato.
Prese la pistola, e represse la sensazione spiacevole che gli dava maneggiare un oggetto come quello. La puntò alla tempia dell'uomo.
“Te lo chiederò solo un'altra volta: dove sono i miei amici?”
“Vaffanculo! - Masticò l'altro. - Tanto lo so che non fai sul serio. Uno come te non avrà mai le palle di spararmi!”
“Uno come me?! - Shin si chinò su di lui. Avvicinò le labbra alle sue orecchie. - Tu non sai niente di me. Non sai niente di cosa fanno quelli come me, hai capito?!”
Si sollevò di nuovo, senza smettere di tenerlo premuto a terra, e cominciò a torcergli il braccio con più forza. Shino gridò, cercò di nuovo di liberarsi, ma la presa sul suo braccio era ferrea e di quel passo gli avrebbe slogato una spalla. Quello che in quel momento non poteva dargli l'armatura, Shin lo prendeva dall'odio e dall'ira.
“Avanti, alzati! - Con uno scatto fu in piedi, e trascinò l'altro con sé. - Dov'è la tua auto?”
Si guardò attorno, tenendo l'altro stretto davanti a sé e puntandogli la pistola alla schiena. Il parcheggio era abbastanza piccolo, ed in quel momento c'erano solo una ventina di auto, così Shin tentò la fortuna.
Sollevò la chiave dell'auto e spinse il pulsante di apertura. Una utilitaria blu scuro emise un bip ben udibile un paio di file più in là, lampeggiando con i fari per qualche secondo.
Finalmente qualcosa che andava per il verso giusto! Spinse l'uomo fino all'auto, ce lo premette contro e si fermò un attimo a pensare.
Shino aveva smesso di fare resistenza: quel ragazzo sembrava fuori di testa, e comunque non aveva nessuna intenzione di farsi attraversare la schiena da un proiettile partito per caso mentre cercava di liberarsi.
Alcune voci cominciarono a risuonare nel giardino. Sembrava che qualcuno si dirigesse proprio verso quel parcheggio, e Shin capì di avere i minuti contati. Cosa poteva fare con quell'uomo? La sua tentazione era di farsi dire dove fossero i suoi nakama e poi lasciarlo andare, ma era probabile che corresse ad avvertire i suoi complici, col rischio che spostassero i ragazzi da dove erano tenuti prigionieri e a quel punto sarebbe stato impossibile trovarli.
Avrebbe voluto telefonare a Nishimura e lasciarglielo da qualche parte perché andasse a prenderselo, ma il biglietto da visita dell'ispettore era rimasto nella camera d'ospedale insieme al telefono, e non ricordava il numero.
L'unica era renderlo inoffensivo e portarlo con sé.
Si spostò verso il retro dell'auto. Aprì il bagagliaio e ci spinse dentro il suo prigioniero. Abbassò il portellone quanto bastava perché nessuno vedesse cosa stava succedendo, poi gli puntò di nuovo la pistola al centro della fronte.
“Hai ragione, forse non ti sparerò. Non voglio sporcarmi col sangue di un essere umano, anche se è feccia come te. - Shino stava per ribattere, ma il sorriso amaro che fiorì sulle labbra di Shin lo fece fermare. - Però potrei fare un'altra cosa: potrei lasciarti qui. In fondo è solamente marzo, e potresti sopravvivere per qualche giorno. Se c'è abbastanza ossigeno, ovviamente... Sinceramente non ho idea se questi bagagliai siano a tenuta stagna.”
“Tu sei pazzo!”
“Può darsi. Ma voglio una cosa da te, e non ho più tempo. Ti do un'ultima possibilità: dove li tenete?”
“D'accordo, d'accordo! - L'uomo strinse i pugni. Fino a quel momento si era opposto più che altro per orgoglio, per non farsi piegare da quel ragazzo. Ma Omezo non aveva la sua lealtà, e ciò che gli aveva promesso non valeva abbastanza da fargli rischiare di morire dentro al portabagagli di un'auto. - Sono in un capannone, vicino a dove hanno sparato al tuo amico!”

 

Shu sentì il furgone rallentare fino a svoltare. Ora procedeva più lentamente di prima, forse era una strada più stretta.
Era nel retro del veicolo, steso sul fondo. Erano usciti dall'ospedale e avevano raggiunto un furgone bianco parcheggiato poco distante. Quando avevano aperto il portellone per farlo salire dietro, per un attimo Shu aveva esitato: non era facile accettare di mettersi nelle mani di quelle persone senza opporre resistenza. Ma uno dei due lo aveva spinto in malo modo, colpendolo proprio sulla ferita non ancora rimarginata, ed il dolore era stato così forte da farlo piegare a terra. Per qualche istante aveva perso conoscenza, colpa anche di quella dannata debolezza che andava e veniva, e quando si era ripreso era steso nel furgone e accanto a lui c'era il ragazzino dai capelli gialli. L'altro doveva essere alla guida, perchè avevano cominciato a muoversi e si stavano immettendo in strada.
Il bastardello lì accanto era troppo agitato per accorgersi che Shu si era svegliato, e così aveva finto di essere ancora svenuto, per recuperare almeno un po' di vantaggio nei loro confronti. Anche se il suo istinto sarebbe stato quello di tirargli il collo, visto tutto quello che stavano passando per colpa di quella gente.
Il furgone svoltò ancora un paio di volte, poi si fermò. Omezò aprì il portello, e Dayu scese giù.
“Che cazzo combini, idiota! Ti avevo detto di legarlo!”
“Ma è svenuto, Omezo! Non ce n'è bisogno!”
“Lo so io quello che devi fare, hai capito?! Voi non avete ancora capito che questi sono molto più pericolosi di quello che sembra!”
Si passò una mano sugli occhi, al colmo dell'esasperazione. Avevano già fatto un errore, quando li avevano catturati. Si era distratto un attimo, e quegli idioti dei suoi uomini li avevano chiusi nel capannone tutti insieme. Era arrivato appena in tempo, altrimenti quelli sarebbero stati capaci di prendersi su le loro famiglie e sparire in un attimo! Solo quando era riuscito a separarli aveva avuto qualcosa con cui tenerli buoni, ma comunque continuava a non fidarsi.
“Va bene, va bene... Non ti agitare... Ora lo porto dentro e poi lo lego, ok?”
Omezo si chiese se lo odiava di più quando era schizzato o quando si faceva prendere dalla flemma: non sopportava i continui sbalzi d'umore di quei due inutili impasticcati. Probabilmente l'unica condizione in cui avrebbe potuto apprezzare Dayu sarebbe stato con un bel buco in fronte, ovvero quello che era tentato di fargli già dal giorno precedente.
“Sbrigati! Intanto io do un'occhiata qua attorno.”
Dayu afferrò Shu sotto le braccia, e lo scaricò a terra. Omezo gli aprì la porta del capannone, poi si allontanò.
Ryo schizzò a sedere quando vide il ragazzo entrare, trascinando qualcosa di pesante.
“Ma quello... è Shu!”
Anche gli altri si sollevarono.
“Lo hanno preso...” Mormorò Touma, mentre cercava di capire come stesse.
Shu stava facendo uno sforzo atroce per rimanere immobile e non gridare. Il modo in cui Dayu lo stava trascinando gli stava facendo stiraree il bacino più di quanto avrebbe dovuto, per non parlare di tutti gli scossoni che gli stava facendo prendere. Sentiva i punti tirare, la ferita bruciare e gli addominali contrarsi nel tentativo di contenere i danni, ma doveva resistere. Doveva fargli credere di essere ancora svenuto, o avrebbe perso l'effetto sorpresa ed era tutto quello che aveva: non sapeva nemmeno se Dayu fosse armato, né se dentro al capannone ci fossero altri sgherri come lui.
Fu gettato a terra, proprio di fianco a Ryo, e potè sentire chiaramente uno dei punti saltare e la pelle attorno lacerarsi.
Dayu si allontanò per cercare una corda, borbottando di quanto fosse pesante quel dannato cinese, e Ryo si sporse in avanti, verso di lui.
“Shu! Shu, mi senti?” Attraverso la giacca aperta vide una piccola macchia di sangue allargarsi sulla maglietta bianca, mentre Shu respirava con affanno. Stava per chiamarlo ancora, quando gli vide aprire un occhio, uno soltanto. Lo fissò per un istante, poi mimò con le labbra Dimmi quando.
Ryo annuì appena, un movimento quasi invisibile, poi si voltò verso il ragazzo, che stava tornando con una corda e continuava a blaterare tra sé e sé di cose senza senso.
Se fosse stato un po' più lucido, o soltanto meno stupido, forse Dayu avrebbe notato come tutti i suoi prigionieri fossero immobili e lo fissassero con attenzione, o forse avrebbe visto come il corpo di Shu non fosse più abbandonato a terra come prima, ma rigido e teso.
Invece sentì solo la voce di uno di loro – forse quello con la lunga zazzera nera – che gridava “Adesso!” per poi riuscire a malapena a vedere qualcosa che gli si lanciava contro come una furia e lo scaraventava a terra.

 

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Capitolo 19
*** Diciannove - Blu tempesta ***


“Fammi uscire da qui, piccolo bastardo! Fammi uscire, hai capito??!! - Shino urlava con tutto il fiato che aveva, e la voce arrivava dentro all'abitacolo. - Ti ammazzo, bamboccio! Aspetta che esca da questo fottuto bagagliaio e ti ammazzo con le mie mani!!”
Shin accese l'autoradio e cercò una stazione abbastanza rumorosa da poter coprire la voce del suo prigioniero. Le sue minacce non lo spaventavano, ma si sentiva ugualmente a disagio ad andarsene in giro in auto con una persona chiusa lì dietro. Lo faceva sentire parecchio “sicario della Yakuza”, e non era proprio da lui.
Ma non aveva avuto molta scelta: una volta avuto l'indirizzo esatto del capannone in cui tenevano i suoi nakama aveva chiuso il portello prima che l'altro potesse scappargli e si era diretto verso quella zona. Naturalmente – una volta finita tutta quella storia – lo avrebbe liberato, possibilmente consegnandolo direttamente nelle mani della polizia. Ma per il momento non poteva permettersi che se andasse libero a fare altri danni.
Fino a quel momento era riuscito ad imboccare solo strade ad alta percorrenza, ma entro poco sarebbe dovuto entrare nel quartiere residenziale, e a quel punto avrebbe sicuramente incrociato dei semafori.
E se qualcuno avesse sentito le grida di Shino mentre erano fermi al rosso? Se avessero cercato di fermarlo o di chiamare la polizia?
Anche se ai tempi dell'università aveva abitato a Tokyo, purtroppo non conosceva abbastanza quella zona da sapere quali scorciatoie prendere per evitare di fermarsi.
Nonostante la musica sparata a volume alto, riusciva a carpire qualcuno degli insulti che Shino non si stancava di lanciargli. La cosa che lo imbestialiva di più era proprio che continuasse a chiamarlo ragazzino. Oltretutto ormai non lo sembrava nemmeno più, un ragazzino.
Istintivamente abbassò lo sportellino parasole e diede una sbirciata allo specchietto: la sorpresa di vedersi nuovamente cambiato fu tale che il piede si sollevò dal pedale del gas, e l'auto cominciò a rallentare.
Aveva cambiato di nuovo aspetto.
Ma che diamine stava succedendo?!
I lineamenti sembravano di nuovo più freschi e sottili, le rughe quasi scomparse... Non era l'aspetto che aveva da ormai quindici anni, ma neanche quello della sera prima. Sembrava una via di mezzo, come se lentamente stesse tornando alla normalità. O meglio, alla normalità cui era abituato.
Considerando che il suo viso era sempre stato il più infantile, tra i loro, non c'era da stupirsi che Shino lo avesse scambiato per un ragazzo.
Si chiese cosa potesse significare questa ennesima novità. Le yoroi stavano tornando? Quello che era intervenuto a bloccare il loro legame con l'armatura era sparito?
Fu tentato di richiamare l'undergear, ma c'era il rischio che lo sforzo gli provocasse un nuovo giramento di testa, e non sarebbe stata una buona cosa mentre guidava a quella velocità.
Avrebbe aspettato di arrivare a destinazione, poi - se la fortuna finalmente cominciava a volgersi a suo favore - avrebbe avuto molte risposte.
Sospirò, mentre si rendeva conto per la prima volta che si stava lanciando alla cieca incontro a ad un nemico che non conosceva, senza nemmeno sapere se l'armatura sarebbe stata con lui.

 

Omezo svoltò l'angolo e ciò che vide non gli piacque per nulla. L'amico di Shino era lì fuori, stravaccato contro il muro, a fumarsi l'ennesima sigaretta.
“Cosa cazzo ci fai, qui?! Devi stare dentro a badare quei tre, perché cazzo credi che ti abbia chiamato, stamattina!”
Con Iwao che era sparito chissà dove dopo aver sparato al cinese, Josh che teneva d'occhio i vecchi alla lavanderia e Dayu che da solo non era in grado nemmeno di allacciarsi le scarpe, era stato costretto a chiamare Shino ed il suo amico. Ma evidentemente non poteva fidarsi nemmeno di loro.
“Stai calmo, Kimura! Quei tre sono legati, e comunque sono qui fuori da dieci minuti al massimo.”
“Non mi importa da quanto, tu non li devi lasciare soli! Non lo sai cosa possono fare!”
“Va bene, va bene... Il tempo di una sigaretta, non fare una tragedia!”
"Ma se fumi in continuazione dappertutto, che cazzo di bisogno avevi di venire qui fuori?!”
Era persino andato a piazzarsi dalla parte opposta a quella da cui si entrava!
“C'è un'umidità che mangia le ossa, dentro quel cavolo di capannone. Sono venuto a cercare dieci minuti di sole...”
Omezo si sforzò di non insultarlo ancora. Si limitò a fargli cenno di tornare dentro velocemente, poi si diresse di nuovo verso il furgone. Non aveva voglia di stare con quei due idioti e comunque, visto l'alto tasso di demenza dei componenti della sua banda, pensò che fosse meglio andare a controllare come se la cavava Josh con gli altri.

 

Shu era balzato in avanti così velocemente che Dayu non aveva capito cosa stesse succedendo fino a che non si era ritrovato steso a terra, con il samurai addosso e la testa che gli faceva male per averla sbattuta violentemente sul cemento.
Cercò di divincolarsi, ma non ci riuscì. Cominciò a colpire alla cieca, dimenando braccia e gambe nel tentativo di fare più danno possibile, e non gli sfuggì la smorfia di dolore che contrasse il viso di Shu quando gli colpì la pancia.
Si dimenò di nuovo finché non riuscì a liberare un braccio e gli premette una mano sulla ferita, con cattiveria.
A Shu sfuggì un grugnito di dolore. Quel piccolo bastardo gli stava facendo un male cane, e se non toglieva quella mano da lì avrebbe finito col fargli riaprire del tutto la ferita. Ma il dolore era troppo forte e le forze troppo poche per riuscire a metterlo fuori combattimento, e non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora. Sollevò il braccio con cui gli teneva ferma una spalla e lo usò per spostargli quella maledetta mano, ma questo bastò a Dayu per riuscire a sollevarsi con uno scatto di reni e ribaltare le loro posizioni.
Shu si trovò schiacciato a terra, e non poteva fare affidamento sugli addominali per sollevarsi. Riusciva a malapena a tenergli ferme le braccia, ma non avrebbe resistito ancora molto.
Con la coda dell'occhio vide una figura rotolare verso di loro: Ryo fece perno su una spalla per avvicinare le gambe a Dayu, e le caviglie legate non gli impedirono di sferrargli un violento calcio al viso che gli fece perdere i sensi all'istante.
Shu lo vide cadere sul fianco. Lentamente si rialzò a sedere, il fiato grosso e la mano premuta sull'addome.
Touma si drizzò sulle ginocchia.
“Shu! Come stai?”
“Io... - Alzò la maglia e controllò le condizioni della medicazione. I punti bruciavano, ma non era uscito molto altro sangue. - Io sto bene.”
“Ce la fai a metterti in piedi? Dobbiamo trovare subito qualcosa per tagliare queste corde.”
Shu annuì, mentre cercava di contrastare la debolezza che gli stava risalendo dalle gambe. Si guardò attorno, ma nel capannone non c'era molto. Scansie metalliche vuote, qualche scatolone accatastato, casse di legno che contenevano qualche fiocco di polistirolo e poco altro. Seiji non perdeva d'occhio la sua andatura un po' barcollante.
Shu vide la porta di metallo che dava sulla piccola stanza ricavata sul fondo del capannone, dove forse un tempo erano stati gli uffici e dove Seiji e Ryo erano stati portati inizialmente.
“Provo a guardare lì. - Borbottò. - Se non c'è nulla di utile, vi porto fuori a braccia.” Ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. Non in quelle condizioni.
Entrò nella stanza, e la molla della porta la fece richiudere alle sue spalle con un tonfo. La luce era poca, ma i suoi occhi si abituarono in fretta. Aveva appena cominciato a cercare nei cassetti di una vecchia scrivania metallica, quando sentì dei rumori al di là della porta.

 

Nishimura aveva appena raggiunto l'auto parcheggiata vicino all'ospedale, quando sentì il telefono squillare. Sperò che le brutte notizie fossero finite, per quella giornata. Ma non era nemmeno metà del pomeriggio, e di tempo per nuovi guai ce n'era in abbondanza.
“Pronto? Ci sono novità, Fujita?”
“Sì, e grosse! A quanto pare avevi ragione, su Kimura. Abbiamo spulciato i posti indicati nel fascicolo come avevi detto, ed è saltata fuori una lavanderia gestita dalla sorellastra. Ha chiuso da diversi mesi, ma i locali sono i suoi, e dietro ha un bel deposito con le finestre schermate. Gli agenti che sono andati per controllare hanno visto entrare poco fa quell'americano che probabilmente fa parte della banda. Aveva la busta di un Take away thailandese che è lì vicino, piena di cibo. Troppo per una persona sola.”
“Andate a parlare col gestore, fatevi dire cosa prende e da quanto.”
“Già fatto, ho mandato un agente poco fa. Prendono diverse porzioni tutti i giorni, a volte ci va l'americano, a volte un altro. E indovina un po'? Hanno iniziato proprio il giorno delle prime sparizioni!”
“Ottimo lavoro, Fujita.”
“Grazie, merito del maestro. Dalla centrale si sta muovendo una squadra per fare irruzione, io sono in strada e tra poco sarò alla lavanderia. Ti mando un messaggio con l'indirizzo esatto. Se non ci sono novità, ti aspettiamo?”
“Sì. Parto adesso. Fate attenzione a non farvi notare, o mangeranno la foglia.”
“Ricevuto! A fra poco.”
Nishimura infilò il cellulare in tasca mentre riordinava le idee. Sembrava che finalmente fossero ad un passo dalla soluzione di quella indagine, ma si impose di non lasciare emergere la soddisfazione finchè non fosse stato davvero tutto a posto. Aprì l'auto, ma prima di poter salire fu gelato sul posto da un suono alle sue spalle. Era qualcosa che aveva già sentito, e che già una volta gli aveva fatto balzare il cuore in gola. Si voltò lentamente, mentre il ruggito si ripeteva, più sommesso ma prolungato.
Quasi gli cedettero le gambe, quando si trovò faccia a faccia con l'enorme tigre bianca.

 

Shin spense il motore. Incrociò le braccia sul volante e vi posò il viso, sospirando. Aveva trovato un parcheggio abbastanza isolato, sul retro di un supermercato chiuso, e aveva deciso di lasciare l'auto per non rischiare ulteriormente. Da quel punto in poi avrebbe proseguito a piedi: se non si era sbagliato, il capannone doveva essere poco distante.
Shino si era zittito nell'ultimo tratto di strada, ma appena aveva sentito l'auto rallentare fino a fermarsi, aveva ricominciato con la sua sequela di insulti e minacce. Shin si chiese cosa fare di lui. Inizialmente aveva pensato di liberare i suoi compagni e poi tornare all'auto per tirarlo fuori da lì, ma in quel momento si rese conto che non era così ovvio che sarebbe tornato indietro. Se le cose fossero andate male, nessuno avrebbe saputo che Shino era lì: in fondo aveva scelto quel parcheggio proprio perchè sembrava che non ci passasse nessuno. Nonostante tutto, non voleva che morisse, e soprattutto non a causa sua. Si fermò ancora un attimo a pensare, poi si mosse. Prese il portafoglio di Shino, si infilò in tasca due o tre banconote e lo buttò dentro il cruscotto. Sfilò la chiave dell'auto ma la buttò sotto il sedile, per evitare che qualcuno avesse la bella idea di rubare la macchina.
Infine si infilò in tasca il cellulare che aveva trovato nella tasca dell'uomo, e scese dall'auto.
Si allontanò dal parcheggio in fretta e guardandosi attorno con circospezione. Incontrò un paio di persone, ma per fortuna non fecero caso a lui. Percorse un paio di strade, poi tirò fuori il cellulare e compose il 110.
“Polizia. Qual'è la sua emergenza?”
“C'è un uomo chiuso nel bagagliaio di un auto. Ho visto degli uomini che lo mettevano lì.”
“Può indicarmi il posto ed il modello dell'auto, signore? Sa dirmi se l'uomo fosse vivo?”
“E' un'auto piccola, blu scuro. In un parcheggio dietro al supermercato.”
“Può dirmi l'indirizzo esatto, per favore?”
Shin era arrivato ad una strada più larga, così sollevò lo sguardo e lesse ad alta voce il nome della via.
“Verrà inviata al più presto una pattuglia. Potrebbe rimanere nelle vicinanze del parcheggio e fornirmi il suo nome, per cortesia?”
Shin buttò giù senza rispondere. Era rimasto sul vago e aveva fatto anche un po' il finto tonto. Sperò che fosse sufficiente perchè non risalissero a lui. Ripulì il cellulare dalle impronte digitali strofinandolo contro la felpa, poi lo buttò in un cassonetto.
Si sollevò il cappuccio della felpa per coprire il viso, e si incamminò a passo spedito: ormai era entrato nella zona in cui avevano aggredito Shu, e c'era il rischio che qualcuno lo riconoscesse.
Scacciò i brividi di freddo che continuavano a torrmentarlo, cercando di concentrarsi sui suoi nakama: Ryo, Seiji, Touma, Shu... sto arrivando.

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Capitolo 20
*** Venti - Nero polvere da sparo ***


Nishimura era arretrato di qualche passo. Se ne rese conto solo quando sentì la portiera della sua auto che gli sbarrava la strada. Il battito cardiaco gli era schizzato alle stelle appena aveva visto quell'animale enorme a pochi passi da lui, e anche se ora stava tornando lentamente ad un ritmo più normale, non riusciva a fare nient'altro che rimanere immobile a fissare la tigre negli occhi.
Forse erano proprio quegli occhi ad inquietarlo più di ogni altra cosa: la forma, il bianco della pupilla, il colore castano dell'iride, così insolito per un felino... e l'espressione stessa, come se stesse per parlargli da un momento all'altro.
Erano decisamente... umani. La tigre ruggì una terza volta, poi si accucciò ai suoi piedi. Mosse il capo all'indietro, come a volergli indicare qualcosa.
“Vuoi che... che ti salga in groppa?”
Un altro ringhio, sommesso e amichevole.
“Sarebbe un sì?”
Era così strano parlare con una tigre bianca ed aspettarsi una risposta, che l'ispettore alzò istintivamente la testa e si guardò attorno. Ma nel parcheggio non c'era nessuno che potesse assistere a quell'assurdo dialogo. Si chiese come facesse una tigre come quella ad andarsene in giro indisturbata per la città da almeno un paio di giorni, senza che nessuno l'avesse notata.
Gli unici ad averla vista erano lui e l'agente Sasaki, e anche se sembrava assurdo, Nishimura aveva la sensazione che fosse successo solo perchè la tigre aveva deciso di mostrarsi loro.
Il che confermava che ora fosse lì perchè voleva qualcosa da lui. Un nuovo ruggito, meno pacato del precedente, lo distolse dalle sue elucubrazioni.
“Va bene, va bene! Ho capito!”
Lentamente, facendo attenzione a non fare movimenti bruschi, si avvicinò alla schiena di Byakuen. Si appoggiò con le mani alla morbida pelliccia e la scavalcò con una gamba.
Si era a malapena poggiato, quando sentì la tigre balzare sulle quattro zampe e cominciare a correre. Si aggrappò con forza al suo collo, e quasi gli sembrò che l'animale stesse gorgogliando una risata, decisamente a sue spese...

 

L'uomo entrò nel capannone a testa bassa, imprecando a vuoto contro Omezo e le sue pretese. Accartocciò un pacchetto di sigarette vuoto e lo gettò a terra, poi cominciò a frugare nelle tasche per trovarne uno nuovo. Era ormai arrivato a metà del capannone, quando finalmente alzò lo sguardo e si rese conto che qualcosa non andava.
A terra, poco distante dai prigionieri, c'era Dayu. Era immobile, e dal naso usciva un rigagnolo di sangue che gli correva giù lungo il viso.
“Che cazzo succede, qui?! - Si avvicinò a lui e, senza spostare lo sguardo dagli altri tre, provò a smuoverlo con la punta del piede. Ma non dava segno di volersi svegliare. - Siete stati voi?”
Non ottenne altro che sguardi impassibili, e si guardò attorno. Come avevano fatto ad attaccare Dayu, in quelle condizioni? C'era qualcun altro? Omezo, Shino e Dayu erano andati per catturare gli altri due: erano tornati a mani vuote? Si erano separati? Maledì per l'ennesima volta Kimura: se invece di blaterare sul fatto che era fuori, gli avesse spiegato qualcosa di più! Almeno adesso avrebbe saputo da chi guardarsi le spalle.
Tenendosi a distanza di sicurezza dai suoi prigionieri, estrasse la pistola e gliela puntò contro.
“Siete stati voi? - Ripeté, continuando a guardarsi attorno. - C'è qualcun altro?”
“Non c'è nessun altro. - La voce di Seiji suonava quasi beffarda. - Non ce n'è bisogno.”
“Cosa vuoi dire, stronzetto?”
“Che siete un branco di coglioni, e tra poco ci saremo liberati di voi.”
Touma si voltò verso di lui, cercando di fulminarlo con lo sguardo. Non ci poteva credere: Seiji lo stava facendo di nuovo.
“Vuoi vedere chi è che morirà, tra poco? - L'uomo si stava agitando. - Vuoi che te lo mostri?!”
“Perché non vieni qui a farmelo vedere? O hai troppa paura, per avvicinarti?”
“Seiji, piantala!” Sibilò Touma. Ryo era immobile, pronto a scattare.
“E perché? - Si era rivolto per un istante verso il suo nakama, poi era tornato a fissare quell'uomo, che ora si era avvicinato e gli puntava la pistola a meno di un metro. - Cosa dovrei temere?”
Il colpo partì prima che potesse finire la frase: il rimbombo della detonazione coprì tutte le voci in un istante.

 

Fujita guardò per l'ennesima volta l'orologio. Nishimura aveva detto che entro poco sarebbe stato lì, ma ormai era passata più di una mezz'ora, e di lui non c'era traccia. Il cellulare suonava a vuoto, e nessuno sapeva nulla.
Se si fosse trattato di un banale ritardo l'avrebbe sicuramente avvertita – sapeva bene che erano momenti cruciali – e comunque avrebbe dovuto vedere tutte quelle chiamate perse.
Una voce alle sue spalle la distolse dai suoi pensieri.
“Vice ispettore, sono riusciti ad inserire la microtelecamera. Se vuole rientrare nel furgone, tra poco saremo in grado di vedere dentro alla lavanderia.”
“Grazie, agente. Sarò lì tra un istante.”
Maledizione. Ormai mancava poco, e Nishimura l'aveva lasciata sola nel mezzo del casino. Anche se ormai contava quasi dieci anni di esperienza, non aveva mai guidato un'azione come quella. Non si era nemmeno chiesta come fare, perchè fino a poco prima era stata convinta che sarebbe arrivato l'ispettore ed avrebbe preso il comando. E invece il tempo passava velocemente, e c'era il rischio che arrivasse qualcosa a complicare la situazione. Senza contare che era preoccupata per il suo superiore: non era da lui sparire in quel modo, doveva essere successo qualcosa.
Salì sul furgone e chiamò la centrale.
“Sono il vice ispettore Fujita. Per favore, faccia contattare gli agenti che erano di custodia a Mouri e Rei Fan all'ospedale. Verifichi se sono ancora lì o se sono rientrati in centrale.”
“Sì, signore.”
Rimase in attesa per qualche minuto, mentre sentiva in sottofondo il gracchiare delle radio.
“Vice ispettore?”
“Sono qui.”
“L'agente Harada sta uscendo adesso dall'ospedale.”
“Gli chieda di cercare l'auto dell'ispettore Nishimura. Fornitegli la posizione via GPS e fategli verificare se l'auto è ancora nel parcheggio e se l'ispettore è lì.”
“D'accordo. Le faremo sapere prima possibile.”
“Grazie.”

 

Quando Byakuen aveva lasciato la strada per balzare su una piccola tettoia e poi mettersi a correre verticalmente lungo la parete di un palazzo, Nishimura aveva pensato di essere nel mezzo di un sogno, decisamente uno dei più assurdi che avesse mai fatto.
Per un attimo gli sembrò di ricordare di aver davvero sognato quella tigre, molto tempo prima. Forse era successo dopo averla vista in televisione: la sua fantasia di bambino ne era stata colpita così tanto che spesso gli era tornata in mente, nei giorni successivi.
Ed ora stavano saltando da un tetto all'altro, ad altezze vertiginose, e gli sarebbe bastato allentare un po' la presa dal collo dell'animale per precipitare miseramente giù, schiantandosi decine di metri più sotto.
Eppure non aveva paura. E non era tipo da nascondere i propri sentimenti: di situazioni spiacevoli, in quindici anni di carriera, ne aveva vissute parecchie. Era anche andato vicino a lasciarci le penne, un paio di volte, soprattutto quando era soltanto un agente di pattuglia e gli assegnavano certi quartieri...
Non aveva mai avuto difficoltà ad ammettere con sé stesso di essere spaventato, in quei casi, eppure stavolta gli sembrava tutto talmente irreale da non riuscire nemmeno a sentirsi preoccupato.
Sollevò la testa quel tanto che bastava per riuscire a capire dove stessero andando, e gli sembrò che si stessero dirigendo verso il quartiere in cui avevano aggredito Rei fan.

 

Shu si era precipitato alla porta metallica appena aveva sentito le voci. L'aveva soltanto scostata e aveva buttato uno sguardo nel capannone: era entrato un altro uomo della banda, e stava puntando una pistola contro i suoi nakama.
Avrebbe voluto lanciarsi fuori da lì e disarmarlo, ma la porta dietro la quale era nascosto era alle spalle dei suoi nakama ed esattamente di fronte all'uomo, e se la avesse aperta sarebbe stato individuato in un istante. Era troppo visibile e troppo lontano per poter fare qualsiasi cosa senza farsi sparare, e non era per niente in vena di ripetere l'esperienza. Si passò una mano sulla ferita, mentre il volto disperato di Shin gli compariva di nuovo davanti agli occhi.
D'altronde il bastardo li teneva tutti sotto tiro senza avvicinarsi a nessuno, ed in quel modo nemmeno i ragazzi sarebbero riusciti ad attaccarlo.
La situazione sembrava senza via d'uscita, ma in quel momento Seiji cominciò a parlare. Shu non riusciva a distinguere chiaramente cosa stesse dicendo, ma dal tono era facile intuire che stesse deliberatamente provocando.
Poi successe tutto in un attimo.
Si mossero tutti contemporaneamente: nell'istante in cui la pistola sparò, Seiji si gettò di lato, per schivare il colpo, e Touma e Ryo si gettarono contro l'uomo. Touma era più vicino, così riuscì a farlo cadere con una spallata, e Ryo si buttò di peso sul suo braccio per impedirgli di sparare ancora. Shu uscì di corsa dalla stanza, li raggiunse in un attimo e sfogò tutta l'adrenalina del momento sferrandogli un pugno che lo mandò al tappeto.
Cadde in ginocchio e rimase così, di nuovo con il fiato grosso e le forze che andavano e venivano, minacciando di farlo collassare. Si buttò giù seduto, per poter almeno vedere come stessero gli altri.
Seiji era immobile a terra, gli occhi strizzati in una smorfia di dolore. Ryo era accanto a lui, e lo chiamava.
“Shu. - La voce di Touma vibrava di rabbia, si sentiva che stava facendo uno sforzo per rimanere calmo. - Shu, guarda se questo stronzo ha qualcosa per tagliare le corde.”
Shu annuì, e dopo poco gli trovò nella tasca dei pantaloni un corto coltello con la lama seghettata. Si chiese perché quella gente avesse sempre una predilezione per oggetti come quello, mentre rapidamente liberava i suoi nakama.
Appena fu in grado di muoversi, Touma si avvicinò a Seiji.
Per fortuna era riuscito a capire dal movimento del braccio che l'uomo stava per sparare, ed era riuscito a schivarlo almeno un po'. Il proiettile l'aveva colpito ad un braccio, poco sotto la spalla. Ryo stava esaminando la ferita: sanguinava abbastanza, ma sembrava che il proiettile fosse passato di striscio, lacerando il muscolo ed uscendo da dietro.
“Sto bene.” Mormorò Seiji.
“Stai bene?! No, tu non stai bene! - Touma era livido di rabbia. - E se pensi di essertela cavata con poco, sappi che devi ancora fare i conti con me!”
Ryo sospirò.
“Lascialo stare, Touma.”
“Dovevo farlo avvicinare. - La voce di Seiji era ferma, ma i suoi occhi non incrociarono quelli di nessuno dei suoi nakama. - Non c'era altro modo di liberarci, e lo sai.”
Touma non si accontentò di quella spiegazione, ma sapeva anche che non era il momento.
Si alzò in piedi, aiutando Shu a fare altrettanto. Ryo tese una mano a Seiji per farlo sollevare.
“Coraggio, usciamo da qui, prima che arrivi qualcun altro di questi bastardi o che si manifesti di nuovo quel demone. Dobbiamo ritrovare Shin e dobbiamo scoprire dove hanno portato le vostre famiglie.”
“Shin era all'ospedale, c'è un altro di questi uomini che lo aspettava fuori per catturarlo. Un momento. - La preoccupazione per Shin passò in secondo piano, quando Shu si rese conto che gli mancavano diverse informazioni. - Hai detto demone?”
“Sì. E' per questo che voglio uscire da qui: sono convinto che sia legato a questo luogo, e nelle condizioni in cui siamo non saremmo in grado di affrontarlo.”
“Dovremmo portare via anche uno di questi bastardi. - Ryo si era avvicinato a Dayu e lo guardava con disprezzo. - Potremmo costringerli a dirci dove hanno portato le nostre famiglie.”
“Sì, è una buona idea. Portiamo fuori Shu e Seiji, poi torno dentro a prelevarne uno.”
Si erano appena avviati verso l'uscita, quando il capannone prese a vibrare di un sordo boato. Il terreno si muoveva così tanto che per poco non persero l'equilibrio, e Shu ebbe un paio di risposte alle proprie domande, quando vide una enorme creatura emergere da terra ed arcuare verso di loro un corpo che sembrava fatto d'acqua.

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Capitolo 21
*** Ventuno - Trasparente come acqua ***


I monitor allineati all'interno del furgone della polizia cominciarono a trasmettere qualche immagine non appena la microtelecamera collegata ad un cavo fu fatta strisciare lentamente in una fessura della finestra che era stata allargata ad arte dai suoi uomini. Era una stanza piuttosto piccola, esattamente nel mezzo tra il negozio, sul fronte, ed il magazzino, sul retro.
C'erano un paio di lavatrici industriali sulla destra, accanto alla porta con la tenda di perline che dava sul negozio. Un tavolo con una sedia, proprio di fronte alla telecamera, oggetti sparsi un po' alla rinfusa e un paio di grossi scatoloni. Sulla sinistra, poggiato alla porta del magazzino, l'americano che probabilmente era di guardia ai prigionieri. Sfogliava una rivista di moto, evidentemente annoiato.
“Eccolo. Nel negozio non c'è nessuno, vero?”
“No, vice ispettore. Si vede bene dalla vetrina.”
“I prigionieri potrebbero essere nel magazzino. Non riusciamo ad inserire la telecamera anche lì?”
“Purtroppo no, non ci sono finestre.”
“D'accordo, ci accontenteremo.”
“Vuole aspettare l'ispettore?”
Fujita sospirò.
“Non lo so, ogni minuto che aspettiamo potrebbe essere importante. Appena mi faranno sapere qualcosa dalla centrale, decideremo cosa fare.”
“Sì, signore.”
Scese dal furgone, facendo attenzione a non dare nell'occhio. Gettò uno sguardo verso il fondo della strada, sperando per l'ennesima volta che Nishimura spuntasse fuori all'ultimo minuto per cavarla dagli impicci, ma non c'era nessuno.
Rimpianse di aver smesso di fumare diversi anni prima, perché in quel momento avrebbe davvero avuto bisogno di una sigaretta.
Doveva solo decidersi: aveva a disposizione uomini addestrati per quel genere di azione, ed un quadro abbastanza completo della situazione. Non aveva senso farsi frenare dall'indecisione, anche perché non voleva che tornassero a parlottare alle sue spalle solo perché era una donna. Aveva faticato parecchio a farsi rispettare, e non era in vena di rovinare tutto mostrandosi debole.
In quel momento il suo cellulare suonò:
“Vice ispettore Fujita?”
“Vi ascolto.”
“L'agente Harada ha trovato l'auto dell'ispettore Nishimura. E' ancora nel parcheggio dell'ospedale. L'ispettore non c'è, non è riuscito a trovarlo da nessuna parte.”
“Ho capito. Grazie.”
Fujita si morse nervosamente il labbro. Era successo qualcosa, ne era certa. Era preoccupata, ma in quel momento aveva altre priorità. Se non altro alla centrale sapevano che Nishimura era irrintracciabile, e così lei poteva dedicarsi alla questione più urgente.
Rientrò nel furgone a passo veloce.
“Aprite il contatto radio con tutti gli uomini e date l'ordine di mettersi in posizione. Che siano pronti a fare irruzione al mio segnale.”

 

Shin era quasi arrivato. Ne era sicuro, perché finalmente riusciva a percepire la presenza dei suoi nakama. E se da un lato questa era un'ottima notizia, dall'altra portava con sé anche un forte senso di allarme. E dopo tutti quegli anni, non gli era difficile capire cosa stesse succedendo: erano in pericolo, e non c'era un attimo da perdere.
Fece l'ultimo tratto di strada correndo. Arrivò alla porta del capannone e la spalancò, sicuro di trovarli lì dentro. Era quasi sera e il sole era già scomparso dietro agli edifici più alti, ma lì dentro la luce era diversa. Era azzurrata e cangiante, e proveniva dall'enorme demone che si estendeva per quasi tutto l'edificio.
Sembrava uscire direttamente dal terreno, a pochi passi dal punto in cui si trovava Shin. Si sollevava fino al soffitto con il suo corpo traslucido, e si protendeva in avanti ad incombere sulle figure che erano dalla parte opposta.
Shin corse verso di loro, e nel farlo attraversò il corpo del demone. Fu come passare sotto una cortina d'acqua, e la sensazione era familiare e strana allo stesso tempo.
Non appena si fu ricongiunto agli altri, sentì di poter finalmente richiamare l'armatura. Lesse negli occhi dei suoi compagni la stessa consapevolezza, così eseguirono la vestizione.
La voce gorgogliante del demone accompagnò quel gesto.
“Credevo che mi sarei dovuto accontentare di quattro samurai, e invece ecco l'ultimo di voi! Meglio così. Non ho più molto tempo, e devo impiegarlo meglio che posso.”
Shin e Shu incrociarono lo sguardo degli altri in cerca di una spiegazione, ed Touma riassunse loro quello che il demone aveva detto la volta precedente.
Poi si rivolse ad Izumi.
“Ti pongo la stessa domanda che ti feci: cosa vuoi da noi? Perchè ci hai fatto portare qui?”
“Ed io ti risponderò allo stesso modo: non c'è motivo perché io parli con voi.”
“Parla con me, allora. - Shin si era fatto avanti di un passo. - Parla con Suiko.”
Il demone si curvò in avanti, avvicinando il volto al suo. Shin sentiva tutto ciò che li rendeva simili, ma sentiva anche qualcosa di profondamente sbagliato. Qualcosa di avvelenato.
“Suiko. Forse... forse tu puoi capire. E io voglio che qualcuno capisca. Credi che questo mi renda debole?”
“No, non lo penso.”
“Allora ti racconterò, ma sarà l'ultima cosa che sentirai. - si sollevò di nuovo, ed il suo aspetto cambiò. Sembrava trasparente, fatto di acqua limpida. - Io voglio tornare ad occupare il luogo che mi spetta di diritto. Ma non potrò farlo, finchè tutti voi esseri umani continuerete a calpestarlo. Quindi raccoglierò tutto ciò che mi resta, e lo userò per distruggere ogni incrostazione che mi avete costruito addosso. Mi scrollerò gli uomini e le loro opere, e tornerò come ero. Tornerò ad essere così forte che non potranno più intrappolarmi, perché questa volta non glielo lascerò fare.”
"E noi? Perché siamo qui?”
“Perché io vi conosco. Vi ho visto combattere più di una volta... a quel tempo le mie ultimi propaggini arrivavano fino a quella parte della città in cui vi siete scontrati con Arago, ed ho osservato ogni cosa. So chi siete e qual'è il vostro potere, e so che non mi avreste mai lasciato portare a termine ciò che devo fare. Quindi devo uccidervi prima di ogni altro. Un tempo avrei potuto farlo in ogni luogo in cui arrivasse anche solo una goccia della mia acqua, ma oramai ne sono in grado solamente qui, dove nasce la mia sorgente.”
“E' per questo che non riuscivamo ad indossare le armature? - Touma era tornato a parlare. - E non riuscivano a sentire i nostri compagni?”
“E' così. Siete in casa mia, qui le regole sono quelle che io stabilisco.”
“Ma... Abbiamo combattuto con molte creature, di ogni genere, e non era mai successo. - Ryo continuava a non accettare quella assurda situazione. - Nemmeno Arago è mai riuscito ad agire sulle nostre armature e su loro legame con il nostro cuore!”
“Arago! - La voce di Izumi vibrò di disprezzo. - Arago non era nessuno. Un demone pieno di ambizione, nato da un essere umano*! Quando Arago ha cominciato a calpestare la terra, io ero già qui da migliaia e migliaia anni. Io sono uno spirito primordiale, e dall'acqua nasce la vita stessa! Le armature non sono che un piccolo aspetto di quello che voi chiamate mondo.”
“Eppure siamo qui da molti giorni, e solo adesso vuoi attaccarci. - Touma continuava ad intervenire, anche se Izumi si era rifiutato di parlare con lui. - E io so perché. Tu hai la forza per un solo attacco, e non puoi sprecarlo se non colpisci tutti insieme. Non è così?”
“Basta! - Il demone era tornato a curvarsi su di loro, e la sua ira sembrava dovesse distruggere tutto in pochi istanti. - Ti ho già detto che non devi parlarmi!”

 

“Cazzo!” Sibilò Nishimura, quando Byakuen compì l'ultimo balzo, per poi fermarsi nel parcheggio davanti ad un grande capannone dall'aspetto abbandonato. Scese dalla schiena della tigre, e i primi passi che mosse erano un po' incerti.
“E' qui che mi volevi portare?”
Un ruggito ed un cenno della grossa testa lo spinsero ad avvicinarsi al capannone.
Provò ad abbassare la maniglia, e vide che la porta era aperta. Estrasse la pistola, e si affacciò appena all'interno del capannone. Quello che vide lo pietrificò in quella posizione, una mano alzata ad impugnare l'arma, l'altra stretta sulla porta. Per un attimo smise persino di respirare.
Un mostro gigantesco era proprio lì davanti, e stava combattendo con altre creature, molto più piccole di lui. Dal punto in cui si trovava non riusciva a vederle chiaramente, ma sembrava indossassero armature da samurai.
Il demone aveva scaricato su di loro la propria forza, atterrandoli e schiacciandoli giù come se avesse posato su di loro una enorme mano, e loro combattevano per liberarsi e per abbatterlo a loro volta. L'ispettore entrò, e non sapeva nemmeno come facesse a farsi obbedire dalle gambe. Camminava rasente al muro, senza distogliere lo sguardo dal combattimento che stava infuriando davanti ai suoi occhi. Nonostante le armature, pian piano stava riconoscendo in ognuno di quei guerrieri uno dei ragazzi che erano scomparsi, ed era come addormentarsi leggendo un libro di favole, e risvegliarcisi dentro.
Lampi di luce, tagli di spada simili a fiamme, colpi che spaccavano il cemento fino a farlo sollevare... ed in risposta onde gigantesche che sembravano fatte d'acqua e di luce... Gli elementi stavano infuriando tra le quattro mura di cemento, e diverse finestre stavano esplodendo. Alcune grosse schegge di vetro caddero proprio accanto a dove si era fermato, facendolo riscuotere.
Il combattimento continuava, e pian piano il demone arretrava, sconfitto, finchè non lo vide cadere a terra.
“Finiamolo! - Gridò Ryo. - Non resisteremo ancora a lungo!”
Gli altri risposero, muovendosi in avanti.
“No! - La voce di Shin si era sollevata su tutte le altre, facendoli fermare. - Non uccidetelo. Non voglio.”
Si avvicinò a ciò che restava di lui. Il corpo aveva perso continuità: in alcuni punti sembrava solido, in altri sprofondava nel terreno. In altri ancora si era dissolto in acqua, e non era altro che una pozza sul cemento del capannone. La voce di Izumi era un gorgoglio continuo e strozzato, e per le orecchie di Shin era un lamento straziante.
Si accovacciò accanto al suo volto, che era grande quanto tutta la figura del samurai, ed allungò una mano per sfiorarlo.
In un attimo venne investito tutto ciò che era stato. Vide una vallata verde e ricca, e mille creature nate dalla sorgente. Sentì il cuore scaldarsi davanti all'armonia tra ogni cosa. Vide i primi insediamenti umani divenire sempre più grandi, sempre più grigi. Vide eserciti calcare quella terra, e sangue di uomini spargersi su di essa.
Sentì le forza dello spirito venir meno, man mano che la terra veniva coperta dal cemento, e che l'acqua veniva raccolta, sollevata, incanalata... Sentì la sua agonia, mentre veniva privato della sua stessa sostanza.
Poi vide cambiare di nuovo le cose: l'acqua tornava alla fonte. Shin sapeva che negli ultimi anni molte fabbriche avevano chiuso, spostandosi da quelli che erano diventati quartieri della città e smettendo di assorbire acqua dalla falda.
Ma l'acqua era stata restituita sporca ed inquinata. Aveva corso lungo condotte, raffreddato macchinari, attraversato terreni intrisi di oli e schiume... Era tornata ad Izumi e lo aveva avvelenato, trasformandolo da spirito morente a demone in cerca di vendetta.
“Mi dispiace... - Mormorò Shin. - Mi dispiace.”
“Io... volevo soltanto... un posto in cui stare...” Rantolò la sorgente.
“Te lo darò io. - Shin si alzò, e la sua armatura prese a brillare di una luce azzurra ed intensa, dentro la quale riverberavano riflessi simili a piccole onde. - Vieni da me. Lascia che Suiko ti assorba.”
Izumi esitò.
“Non avere paura.” Insistette il samurai.
“Non sai se puoi davvero contenermi. E ti avvelenerò.”
“Ha ragione, Shin. E' pericoloso. - La voce di Seiji risuonò alle sue spalle. - Non devi farlo.”
“Non succederà. - Shin si voltò verso i suoi nakama e sorrise, poi tornò a rivolgersi allo spirito. - Abbi fiducia.”
Izumi si sollevò con le ultime forze rimaste. Il suo corpo sembrava gocciolare come pioggia da una tettoia, e la sua luce prese a pulsare in sincrono con quella di Suiko.
Gli altri samurai osservavano immobili ogni suo movimento. Nishimura era riuscito ad avanzare ancora un po', ed ora era abbastanza vicino da vedere e sentire ogni cosa.
Era tutto talmente assurdo che non riusciva a fare nient'altro che guardare ed aspettare.
Poi Izumi raccolse tutto sé stesso in un ultimo balzo, e lo videro abbattersi su Shin.
Era come un'onda che non esauriva la propria spinta. Rallentava un po', per poi fluire di nuovo con forza. La sua acqua diveniva torbida a tratti, per poi tornare trasparente, e stava investendo Shin fino ad avvolgerlo e farlo scomparire. Sotto al suo boato di cascata si riusciva a sentire la voce del samurai che gridava, e i suoi nakama cercarono di gettarsi verso di lui e di interrompere il contatto con lo spirito, ma vennero respinti da una specie di onda d'urto che lo circondava e che li buttò a terra poco distante.
Provarono a scaricare ancora una volta il potere delle loro armature, ma non ottennero nulla.
Poi, all'improvviso come era iniziato, tutto si fermò.
Il silenzio calò in un istante, netto e tagliente come una lama. E altrettanto doloroso, tanto da lasciarli tutti senza fiato. Un attimo prima l'aria era satura delle grida di Shin e dello scroscio di agonia di Izumi, ed un attimo dopo era tutto muto.
Mute le voci, muto il demone, muta l'armatura.
Muto il loro legame, come non lo era mai stato da quando si era formato.
Tanti anni prima, quando Seiji aveva avuto quel terribile incidente, avevano avvertito il loro legame lacerarsi, sfilacciarsi come una corda di cui rimangono intatte soltanto due o tre fibre. Ma stavolta non sentivano nulla, nemmeno una eco sottile.
Suiko aveva ripreso la sua normale consistenza, tornando ad essere solida e simile a come era sempre stata. Ma non vibrava, non comunicava con le altre yoroi.
Era immobile e gelida, esattamente come Shin, come Shin che non respirava.
Si avvicinarono lentamente, quasi non sapessero cosa fare.
Nishimura era poco distante, alle loro spalle.
Li vide inginocchiarsi accanto a lui, scuoterlo e chiamarlo. Vide gli occhi di Shu e di Ryo riempirsi di lacrime, e rivide sé stesso in un vicolo, dodici anni prima, inginocchiato a vomitare dopo aver visto per la prima volta un collega morire in una sparatoria.
Il viso da bambino di Shin gli sembrava irriconoscibile, così seminascosto dall'elmo dell'armatura, non riusciva in nessun modo a farlo coincidere con la persona con cui aveva parlato in quei giorni.
Non conosceva quasi nulla di quelle persone, fino a pochi giorni prima non sapeva nemmeno che esistessero. Eppure l'ispettore Nishimura sentì il cuore pesante come non gli succedeva da molto tempo.




*L'idea che Arago possa essere nato umano mi è stata ispirata da Kourin, che è sempre documentatissima. ^___^

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Capitolo 22
*** Ventidue - Bianco come il latte ***


Shin stava sprofondando lentamente in un abisso di un blu talmente intenso che quasi sembrava dipinto.
All'improvviso tutto si era zittito: l'onda di Azumi lo aveva sopraffatto, avvolgendolo con talmente tanta forza da coprire tutto.
L'acqua può infiltrarsi ovunque.
L'acqua trova sempre una via, e stavolta era così tanta e così incontrollabile, che si era insinuata nei legami tra Shin e Suiko. Li aveva colmati fino a farli esplodere. Aveva coperto le voci dei suoi nakama, sino a renderle mute. Ed ora lo stava trascinando giù, silenziosamente.
Shin sapeva che quell'abisso non aveva fondale. Avrebbe continuato a cadere così, nel silenzio assoluto dell'acqua, fino a che non sarebbe scomparso in essa.
Alla fine sarebbe stato lui ad essere stato assorbito da Izumi, e non viceversa. Era stato accecato dal suo desiderio di salvarlo, dimenticando quanto il suo corpo ed il suo cuore fossero già indeboliti, e come ancora fosse instabile il contatto con la yoroi.
Si era gettato senza riflettere, ed ora... ora stava affogando.
Quasi gli venne da ridere, all'idea di poter morire in quel modo, senza riuscire ad opporsi. Pochi mesi prima era stato quasi ucciso dalla mancanza di acqua*, e stavolta era di nuovo ad un passo dalla fine perchè l'acqua era troppa.
Chissà cosa stava succedendo al di là di quel muro liquido.
Chissà cosa stavano passando i suoi nakama.
Aveva fatto promettere a Shu che non avrebbe più rischiato di abbandonarlo, e poi era stato lui ad infrangere quella stessa promessa. Altra acqua arrivò ad isolare il suo sguardo dal mondo, ma stavolta nasceva dai suoi occhi. Non era l'eco del veleno che bruciava ancora nella sua carne, nè la sensazione del lento soffocamento: era il dolore di sentirsi strappato via dall'abbraccio costante delle quattro persone che erano state la sua gioia ed il suo sostegno in tutto quel tempo.
Ognuno di loro aveva rischiato molto e molte volte, lui come tutti gli altri, ma mai era successo nel silenzio di quella solitudine che lo isolava da tutto...

 

Byakuen era entrato nel capannone con passi silenziosi che l'avevano portato fino ai cinque samurai. Era passato accanto a Ryo abbastanza vicino da poterlo sfiorare con tutta la lunghezza del corpo, ma aveva proseguito verso Shin. Lo aveva annusato, poi aveva battuto la fronte un paio di volte contro la sua spalla. Infine si era allontanato di nuovo, accucciandosi vicino a loro, in attesa.
Touma posò due dita a pochi millimetri dalle narici di Shin. Dopo qualche istante gli sembrò che il metallo dell'armatura si fosse impercettibilmente appannato. Anche se era immobile e gelido, sembrava che Shin respirasse ancora, anche se così flebilmente che ogni respiro sembrava l'ultimo.
Seiji posò una mano sul suo petto e chiuse gli occhi.
“Puoi fare qualcosa?” Chiese Touma.
Seiji si limitò a scuotere il capo, mestamente.
“Cosa significa?! - Chiese Shu - Perchè non puoi guarirlo?”
“Perchè non c'è niente da guarire. Nessuna ferita, nulla. Il corpo è intatto.”
“Quindi? Dobbiamo aspettare che si svegli? Cosa...”
“No. - Seiji interruppe Ryo. Afferrò la mano di Shin. - Non è così. Lui... sta scivolando via.”
“Ci sarà pure qualcosa che possiamo fare!” Shu era fuori di sé.
“Qualcosa c'è. - La voce di Ryo era grave. - Possiamo richiamare il i nostri poteri riuniti.”
Seiji sospirò: “Ryo, abbiamo fatto un giuramento. Abbiamo deciso che non l'avremmo più fatto, nemmeno se fossimo stati in pericolo di vita.”
“E sono pronto a morire, per rispettare il patto! - Ryo bruciava della fiamma di Rekka. - Ma non sono disposto a lasciar morire uno di voi!”
Quando le yoroi erano tornate, mostrando di essere anche più potenti delle precedenti che avevano indossato, avevano parlato a lungo dell'armatura bianca, del modo in cui si era manifestata e a cosa li aveva condotti. E avevano deciso che avrebbero evitato in ogni modo che una simile armatura potesse tornare a calcare il suolo del mondo. Era troppo pericolosa e difficile da governare, ed era molto probabile che sarebbe di nuovo toccata in sorte a Ryo, che aveva già sopportato tanto per colpa della prima. Così si erano giurati che non avrebbero mai più fatto ricorso all'unione dei loro cinque poteri, per non rischiare di richiamarla.
“In ogni caso, non siamo certi che funzionerebbe. - Touma cercò di ragionare a mente fredda. - Non sappiamo nemmeno cosa sia successo esattamente a Shin.”
“Che importanza ha, Touma?! Non c'è più tempo, ormai! - Shu abbassò la voce, cercando di controllarsi. - Qualsiasi cosa sia successa, ha rotto il legame. Se uniamo i nostri poteri, forse sarà abbastanza forte da raggiungere Shin!”
“D'accordo. - Touma seppe dagli sguardi dei suoi nakama che ormai ciascuno di loro aveva deciso. - Ma dovremo fare molta attenzione a non richiamare anche Suiko, o gli strapperemo anche le ultime energie vitali.”
Annuirono, poi cercarono un contatto più profondo con la yoroi. Ascoltarono il richiamo delle armature sorelle, e cercarono di ricongiungersi gli uni agli altri.
Erano così tanti anni che non ci provavano, eppure fu come se non avessero mai smesso di farlo.
Sembrava quasi che le yoroi non avessero aspettato altro per tutto quel tempo, ma preferirono non pensarci.
Da ognuno di loro si espanse una forte luce circolare, che fluì lungo il braccio che avevano teso in avanti ad incontrare quello dei compagni.
I quattro flussi si riunirono al centro, sulle quattro mani congiunte. Era una sensazione così strana, ritrovarsi riuniti in quel modo dopo tanto tempo... Ma era anche dolorosa, perchè non potevano fare a meno di avvertire come quel legame fosse incompleto, reso zoppo dal silenzio di Suiko.
La luce divenne bianca, e si resero conto che stava cominciando a rifluire verso Ryo, che spalancò gli occhi. Dentro di essi erano ben visibili le fiamme che danzavano in circolo.
“No!” Gridò qualcuno.
Diedero fondo alla propria forza di volontà per farla tornare al centro. L'energia si dibatteva quasi ingovernabile, e prima che potesse di nuovo sfuggire al loro controllo, abbassarono le mani sul petto Shin, e ce la liberarono.

 

Shin seppe che era finita quando l'acqua smise di essere blu e divenne nera. Era arrivato in un luogo in cui non permeava nemmeno più la luce. Ancora pochi respiri, e poi avrebbe perso coscienza di sé.
Era uno strano abbraccio, quello di Izumi. Così freddo da gelargli il sangue, ma così calmo da rendere dolce ogni rimpianto che stava portando giù con sé in quella lenta caduta.
Limpido e avvolgente, ma così forte che gli impediva di respirare.
Chiuse gli occhi, per non vedere come ormai fosse tutto completamente buio.
Ma li spalancò di scatto, quando la sua caduta fu fermata da qualcosa di duro che si apriva a coppa contro la sua schiena. Non riusciva a muoversi, ma poteva sentire il sostegno solido e rassicurante di questo muro spuntato fuori dal nulla per fargli da argine.
Era familiare e saldo come le braccia di Shu, che per tante volte lo avevano sorretto o consolato.
Poi una lama di luce tagliò l'acqua dall'alto, colpendo la sua fronte. Riaccese nel suo cuore la speranza come sapevano fare certi gesti di Seiji, così pieni di gentilezza.
L'acqua iniziò a ribollire e turbinare, e sembrò mescolarsi a mille bolle d'aria, piccole e grandi. Si avvolsero attorno a lui, correndo lungo la sua pelle e strappandogli un sorriso, come facevano a volte le parole sfrontate di Touma. La pressione sul petto calò, e gli sembrò di riuscire di nuovo a respirare.
Ma ancora non riusciva a muoversi: aveva smesso di precipitare, ma non era in grado di risalire.
Poi l'acqua cambiò colore di nuovo. Cominciò a riempirsi di riflessi rossi e dorati, pian piano smise di essere così gelida. Shin sentì le membra sciogliersi lentamente dal gelo che le attanagliava, man mano che l'acqua si scaldava, divenendo tutt'uno con il calore inestinguibile di Ryo.
Shin sollevò la schiena, raccolse le gambe verso il petto. Si sostenne con le braccia, mentre lentamente si metteva in piedi sull'appoggio che gli forniva lo sperone di pietra. Non era del tutto stabile, quando cercò di sollevarsi in un balzo, ma finalmente il suo corpo rispose al suo elemento, come aveva sempre fatto prima di quel giorno.
Tornò ad essere veloce e fluido mentre fendeva l'acqua e risaliva.
Tornò ad essere Suiko.
Per un attimo si fermò, quando incontrò una enorme sfera candida e lattiginosa che si spandeva nell'acqua e che gli sbarrava la strada. Ma sapeva di non avere scelta, così puntò con decisione verso di essa, e vi scomparve dentro.

 

Nishimura aveva assistito a tutta la scena senza muoversi di un millimetro. Non sapeva quando aveva smesso di chiedersi quanto fosse folle tutto ciò a cui stava assistendo: ormai tutto ciò che voleva era sapere se Shin si sarebbe risvegliato.
Vide i quattro samurai rimanere immobili e chini su di lui per un tempo che non seppe quantificare, poi all'improvviso vide il quinto di loro sussultare e poi sollevarsi in uno spasmo. Si rizzò quasi a sedere, scosso da una tosse violenta, poi ricadde a terra, ancora privo di sensi.
Ryo era stato sbalzato all'indietro con più violenza degli altri, ma si trascinò verso Shin, e fu su di lui nello stesso istante di tutti gli altri.
Scoppiò a piangere, quando vide che Shin era pallido e freddo come un cencio, ma finalmente respirava davvero.
Le armature si dissolsero, e loro le lasciarono andare. Le sentivano palpitare leggerissimamente in profondità, ma per il momento era sufficiente.
Ora che erano così spogliati, Nishimura li osservò. Shu era abbandonato a terra, una mano premuta sulla ferita che doveva essersi riaperta. Seiji era ferito ad un braccio, e perdeva parecchio sangue.
Ryo e Touma sembravano stare un po' meglio, ma uno portava i segni di diversi giorni di prigionia, e l'altro aveva il viso coperto di lividi e tagli.
L'ispettore decise che era il momento di palesare la propria presenza. Si avvicinò a quello di loro che sembrava essere in condizioni migliori.
“Hashiba? Lei è Hashiba Touma?”
Il samurai sollevò il capo con fatica, e vide un uomo chinato verso di lui. Non lo conosceva, ma non sembrava un altro della banda di Omezo.
“Lei chi è?”
“Sono l'ispettore Nishimura. Sono a capo dell'indagine sulla vostra scomparsa.”
Touma non potè fare a meno di rimanere alcuni istanti immobile, la bocca a formare una piccola O di stupore.
“Indagini?” Da quando la polizia era sulle loro tracce?
“Sì. Mouri e Rei Fan mi conoscono già.”
Touma si voltò verso Shu, che annuì.
“Io... Da quanto tempo è qui, ispettore?”
“Non si preoccupi di questo, adesso. Avremo tempo per chiarire ogni cosa. Ma ora dovete andare in ospedale, ne avete decisamente bisogno.”
Estrasse dalla tasca della giacca il cellulare, e quando vide che c'erano ventuno chiamate perse, improvvisamente si ricordò di Fujita e dell'irruzione alla lavanderia.
Era come se tutto quello che era successo gli avesse fatto dimenticare tutta quella parte di mondo che esisteva al di fuori del capannone. Velocemente richiamò il vice ispettore.
“Fujita?”
“Nishimura, finalmente! Ma dove cazzo eri finito, maledizione! - La donna appariva affannata, e attorno si sentivano diverse voci concitate. - Abbiamo un problema. Un grosso problema.”
“Cosa è successo?”
“Abbiamo trovato le famiglie di quei ragazzi, stavamo per fare irruzione. C'era soltanto l'americano, ma all'ultimo minuto è arrivato anche Kimura. Ho deciso di entrare lo stesso, non pensavo avrebbe reagito così! L'americano si è arreso subito, ma Kimura sembrava impazzito! Ha cominciato a gridare che non si sarebbe mai lasciato prendere...”
“Fujita, che cosa è successo?”
La donna esitò un attimo.
“Ha preso in ostaggio il bambino.”
L'ispettore imprecò sottovoce.
“Dov'è, ora?”
“Siamo riusciti a bloccarlo, ma non molla. Si è arroccato nel vicolo sul retro e lo tiene sotto tiro. Siamo in stallo, ispettore. Non riusciamo a stanarlo.”
“D'accordo. Cercate di tenere le cose sotto controllo, cercherò di essere lì prima possibile.”
Nishimura chiuse la comunicazione senza riuscire a trattenere un grosso sospiro.
Sollevò lo sguardo verso Ryo e Seiji, che si erano avvicinati e lo fissavano con ansia. Riassunse in poche parole quello che gli aveva detto Fujita.
“Mi porti là, per favore. - La voce di Seiji era angosciata. - Voglio venire con lei.”
“No. Lei è un civile, e ha bisogno di andare in ospedale. Non posso portarla nel mezzo di un'azione di polizia.”
“E' mio nipote! Ed è stato rapito per colpa mia. La prego, ispettore, mi dica dove si trovano.”
L'ispettore esitò ancora un attimo, poi si arrese.
“D'accordo. Ma non intralcerà in nessun modo gli agenti, mi ha capito? Però... - Abbassò lo sguardo un po' imbarazzato. - Non so con quale mezzo potremmo arrivare là. Non ho la mia auto, qui.”
Un ruggito profondo lo fece voltare verso Byakuen, che si era avvicinato e gli sfiorava la mano con il grosso naso umido.



*Si riferisce ad un episodio accaduto nel capitolo 10 della mia ff "Ancora una volta", quando Shin viene trasportato da un demone in un deserto di sale.

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Capitolo 23
*** Ventitre - Rosso come il sangue ***



“D'accordo, grazie. - Nishimura chiuse la chiamata ed infilò il cellulare in tasca. Poi si rivolse a Touma, che era piedi davanti a lui. - Tra poco saranno qui due ambulanze. Posso lasciarvi soli?”
“Sì. Non si preoccupi per noi. E grazie.”
Nishimura annuì, poi fece cenno di seguirlo a Seiji, che era accovacciato accanto a Shin e lo osservava preoccupato.
“Vai, Seiji. - Ryo era lì accanto. Aveva costretto Shu a stendersi di fianco a Shin, e li teneva d'occhio. - Ci siamo noi qui con loro.”
Seiji si alzò e raggiunse l'ispettore, ma un attimo prima che uscissero dal capannone Touma gli afferrò un polso, e lo fissò negli occhi.
“Seiji.”
“Cosa c'è?”
“Lo sai. Niente più cazzate, d'accordo?”
“Stai tranquillo.”
“Certo, come no.”
Touma sospirò pesantemente mentre li vedeva allontanarsi in groppa a Byakuen e scomparire in un attimo tra i capannoni.



Il bambino piangeva. Omezo non ne vedeva il viso, perchè lo teneva premuto con la schiena contro il proprio petto, ma poteva sentire i singhiozzi che cercava di trattenere, e lo sentiva tremare.
Ma non poteva permettersi di impietosirsi. In fondo, ricordava ancora bene tutte le volte in cui aveva pianto, da bambino, senza che nessuno facesse nulla per aiutarlo.
Come quando i creditori di suo padre venivano a casa a minacciare sua madre e poi portavano via qualcosa a titolo di pagamento.
O quando non c'era più niente da portar via, e suo padre non smetteva lo stesso di giocarsi tutto nelle bische.
Aveva continuato finchè non lo avevano pestato nel cortile di casa, e così aveva pensato bene di svignarsela definitivamente, lasciando lui e sua madre soli e senza uno Yen.
E anche allora, qualcuno aveva fatto qualcosa? Non gli erano rimaste nemmeno più le lacrime per piangere, ma non era cambiato niente.
Poi sua madre si era risposata ed aveva avuto una bambina, e aveva cominciato ad allontanarsi sempre più da lui, come se non fosse altro che uno strascico della sua precedente vita fallimentare.
E così Omezo aveva imparato ad aiutarsi da solo, ogni volta.
Proprio come ora, che si stava giocando il tutto per tutto pur di non finire in prigione.
C'era già stato, per brevi periodi, ma erano reati di poco conto, robetta. Invece stavolta l'aveva fatta troppo grossa, e sapeva già che sarebbe finita male. Lo avevano beccato con le mani nel sacco, ad un metro dai prigionieri. Che di sicuro avevano già spifferato tutto alla polizia, che entro poco sarebbe arrivata al capannone. E se quel maledetto demone aveva ammazzato gli altri prigionieri, avrebbero trovato quattro o cinque cadaveri, e chi sarebbero andati a cercare per quegli omicidi? Di sicuro non uno spirito o chissà cosa.
No, avrebbero accusato lui.
E se invece il demone non avesse ottenuto ciò che voleva, sarebbe andato a cercarlo? Lo avrebbe massacrato prima ancora che potesse accorgersene.
Omezo sapeva di essere nella merda fino al collo, e stavolta aveva a malapena una mezza possibilità, e cioè sparire alla svelta, ed andarsene più lontano possibile. Ma era nel fondo di un lurido vicoletto, circondato dalla polizia, e tutto ciò che aveva era una pistola puntata alla testa di un bambino.
Era caduto così in basso che si faceva pena da solo, e non vedeva molte possibilità di miglioramento.


Nishimura fece fermare Byakuen ad un isolato dalla lavanderia, senza riuscire a smettere di pensare che stava dando indicazioni ad una tigre, e che l'animale le seguiva alla perfezione. Ormai era scesa la sera, e l'aria cominciava ad essere fredda.
Fecero l'ultimo tratto di strada a piedi, e quando arrivarono furono travolti dal caos che si era creato nella piccola strada di quartiere.
C'era una squadra di poliziotti in assetto anti sommossa, appostata a semicerchio davanti al vicolo in cui stava arroccato Kimura. Auto e furgoni della polizia, due ambulanze, un paio di dottori, alcuni paramedici, ma nessun abitante della zona: erano tutti barricati in casa, ad osservare dalle finestre.
Nishimura sospinse Seiji verso una delle ambulanze, dove i medici stavano visitando i suoi genitori, poi si diresse velocemente verso Fujita, per farsi aggiornare.
La signora Date si alzò a sedere sulla lettiga appena vide Seiji. Impallidì ancora di più, quando vide in che condizioni era.
Lui la abbracciò per un istante, ma la lasciò subito per raggiungere Satsuki, che era in piedi immobile poco distante, un fazzoletto premuto contro la bocca nel tentativo di fermare i singhiozzi.
Era così tesa e concentrata su tutto ciò che accadeva dall'altra parte della strada, che si accorse di Seiji solo quando lui le posò una mano sulla spalla.
“Seiji! - Si lasciò abbracciare, ricominciando a piangere più forte. - Quell'uomo... ha preso Kuni-chan! Lo tiene in ostaggio!”
“Lo so. Stai tranquilla, d'accordo? Ora ci sono io.”
“Ma tu... - Lo osservò per un attimo. - Seiji, tu sei ferito. Sei pallidissimo, devi farti curare!”
E prima che lui potesse opporsi, Satsuki fece cenno ad una dei paramedici perchè si avvicinasse.
Era una ragazza piuttosto giovane, ma non aveva l'aria di farsi intimorire facilmente. Osservò con aria critica la ferita sul braccio.
“Prendo qualcosa per medicarla. Arrivo subito.”
“No. Adesso non posso.”
“Ma devo medicarla!”
“Lo farà dopo. Ora devo andare da mio nipote.”
“Non vede quanto sangue ha già perso? In queste condizioni sarà molto se riuscirà a fare altri dieci passi!”
Seiji strinse le labbra, ma dovette ammettere con sé stesso di essere allo stremo.
Un'ora prima, quando aveva indossato l'armatura, l'emorragia sia era fermata. Ma dopo poco che le yoroi erano svanite il sangue aveva ripreso ad uscire, e non era ancora in grado di richiamare l'undergear.
Era riuscito a non farlo notare ai suoi nakama perchè non aveva ancora intriso del tutto camicia e maglione, ma già mentre era in groppa a Byakuen aveva sentito le forze andare e venire, e gli occhi annebbiarsi senza che riuscisse ad opporvisi.
“D'accordo. Ma faccia più in fretta che può, per favore.”
La ragazza sbuffò, ma fece comunque come le era stato chiesto. Costrinse Seiji a sedersi, disinfettò la ferita e la chiuse con una fasciatura.
Per tutto il tempo che impiegò, il samurai non fece altro che guardare verso il vicolo, cercando di scorgere Kuniyaki attraverso la schiera di poliziotti appostati.



“No, purtroppo. - Fujita appariva piuttosto scoraggiata. - Ho già controllato: la parete alle sue spalle è cieca, e non ci sono altre aperture nel vicolo da cui lo si possa prendere di sorpresa.”
“E con un tiratore scelto?”
“Ci ho pensato. Ho mandato alcuni uomini a verificare nei palazzi qui attorno, ma la visuale è coperta un po' ovunque, per via di quella tettoia. C'è il rischio di colpire il bambino, e... - Si fermò. - Nishimura, ma quello non è Date? Che cazzo sta facendo?!”
L'ispettore si girò di scatto, mentre un pessimo presentimento lo attraversava.
Approfittando del fatto che l'attenzione di tutti era su Omezo e Kuniyaki, Seiji aveva superato in un attimo lo sbarramento della polizia, ed ora che si trovava tra gli uni e gli altri, non era più possibile fermarlo.
Omezo era sbiancato appena lo aveva visto, poi la rabbia gli aveva fatto riprendere colore.
“Che cazzo vuoi, bastardo?! Vattene via! Ammazzo il bambino, hai capito?!”
Seiji non rispose. Si avvicinava lentamente, ma senza esitare. Kuniyaki alzò lo sguardo su di lui, e ne ebbe paura.
Metà del viso era tumefatta, e l'altra metà era coperta in buona parte dai capelli, che ricadevano scomposti e sporchi del sangue che gli macchiava entrambe le mani ed un braccio. Lo sguardo era così freddo e minaccioso da sembrare quello di un demone.
Aveva tolto maglia e camicia per farsi medicare, ma benchè indossasse solo i pantaloni, non sembrava sentire il freddo.
“Lascialo andare.”
“No! E' la mia unica possibilità, e non lo mollo!”
“Ti sbagli. Lui non è una possibilità. Tu non hai possibilità. Devi solo lasciarlo.”
“Vaffanculo, biondino! Quel cazzo di demone non vi ha ammazzato, ma potrei ancora farlo io!”
“Il demone non ucciderà più nessuno, e nemmeno tu lo farai. Avevo detto che saresti morto, ma forse non ce ne sarà bisogno. Devi solo lasciarlo andare.”
Omezo esitò. Ormai Seiji era a pochi passi da lui, e lui non sapeva che fare. Aveva decine di armi puntate addosso. Se anche la polizia non sparava, aveva comunque altrettanti occhi su di sè: farla franca era impossibile.
Ma arrendersi a quello stronzo biondo... dargliela vinta, dopo avrelo minacciato, dopo che l'aveva provocato... L'orgoglio bruciava più della paura, e non riusciva ad andare né avanti né indietro.
Seiji non si lasciò sfuggire l'attimo di incertezza che aveva attraversato Kimura. Si lanciò in avanti con uno scatto, e in un istante gli fu addosso. Con un braccio allontanò Kuniyaki, mentre schiacciava Omezo contro il muro con tutto il proprio peso e gli strappava la pistola dalla mano. Premendogli un braccio contro la gola, lo fissò un'ultima volta negli occhi, ma non disse nulla.
Lo lasciò solo quando si accorse dei poliziotti che lo avevano circondato, e corse dal nipote. Si inginocchiò davanti a lui, consapevole di avere un aspetto spaventoso. Per un attimo non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, perchè temeva ciò che vi avrebbe visto.
Ma Kuniyaki lo abbracciò, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso contro la sua spalla, e Seiji sentì il sollievo e la debolezza risalire così velocemente che non riuscì nemmeno ad allontanarsi in tempo.
Kuni-chan sentì il corpo dello zio farsi improvvisamente pesante, e lo vide cadere a terra su un fianco, privo di sensi.


Takeshi Okada era sempre stato un tipo calmo e riflessivo. Forse un po' troppo pacato per i gusti del patriarca Date, che preferiva caratteri più agguerriti. Il marito di Yaioi era sicuramente più simile a questo, ma anche più impulsivo e irrazionale, ed il nonno di Satsuki aveva presto imparato ad apprezzare i pregi di ciascuno dei mariti delle sue nipoti.
Erano ormai più di sei mesi che era morto. La moglie lo aveva preceduto quando kuniyaki era molto piccolo, e solo ora che Satsuki e Kuni-chan erano scomparsi, insieme ai genitori e a Seiji, Takeshi si era reso conto di quanto fosse grande e silenziosa quella casa, e di quanto potesse sentirsi solo e fuori posto.
Per fortuna il giorno successivo al rapimento Yaioi si era trasferita nell'appartamento dei genitori con il marito ed i figli, e questo aiutava entrambi ad affrontare l'attesa.
Tutti loro cercavano di portare avanti il più possibile la loro vita di sempre, se non altro per evitare di correre alla centrale di polizia ogni mezz'ora solo per farsi dire per l'ennesima volta che non c'erano novità.
Ormai erano diversi giorni che erano scomparsi, e le indagini non erano progredite di un passo. La polizia di Sendai si era mossa piuttosto alacremente all'inizio, anche per via dell'importanza della famiglia Date, ma le piste che aveva seguito si erano esaurite quasi subito. Le descrizioni fornite dai vicini – piuttosto sommarie - di un furgone bianco e di alcune brutte facce che si erano aggirate nel quartiere, non avevano portato a nessun riconoscimento.
Erano state interrogate tutte le persone di Sendai e delle zone limitrofe che avessero precedenti per rapimento o estorsione, e la polizia aveva cercato ogni possibile collegamento della famiglia con situazioni pericolose o persone sospette, ma nulla.
E non era difficile capire che ormai non sapessero più che pesci prendere, e che le ricerche si fossero un po' fermate.
Se avesse saputo che la polizia di Tokyo aveva chiesto informazioni su Seiji e che stava portando avanti una indagine parallela collegata a Shin e Shu, Okada avrebbe fatto i bagagli in un attimo e si sarebbe precipitato là, ma l'ispettore di Sendai che stava seguendo il caso non gli aveva detto nulla, per non dare loro false speranze e per evitare proprio gesti come quello.
Visto l'ostruzionismo che aveva fatto il collega di Sendai, Nishimura aveva omesso parecchie informazioni, e così l'uomo si era convinto che la polizia della capitale non avesse niente di utile. Senza contare che era un tipo piuttosto orgoglioso, e non aveva apprezzato troppo quella intrusione.
Takeshi stava rimuginando proprio sui modi dell'ispettore, quando sentì squillare il telefono. Anche se in quei giorni si era imposto di non saltare come un grillo ad ogni rumore, non potè fare a meno di precipitarsi a rispondere.
“Pronto!”
“Takeshi!”
“Sa-Satsuki! Sei tu?!”
“Takeshi! Sì, takeshi, sono io, stiamo bene! Stiamo tutti bene, amore, è tutto a posto!”
“Ma dove siete? Cosa è successo?” L'uomo poteva sentire il cuore battere così forte che dovette sedersi.
“Siamo a Tokyo. La polizia è riuscita a trovarci. Kuni-chan è qui con me, stiamo bene. - Satsuki piangeva, mentre cercava di rassicurarlo. - Va tutto bene, anche i miei e Seiji stanno bene!”
“Ma cosa è successo? Chi vi aveva rapito?”
“Ti racconterò tutto quando arriveremo a casa. Questa notte resteremo all'ospedale per qualche accertamento, ma domattina partiamo!”
“Vengo a prendervi.”
“Ma...”
“Vengo a prendervi, Satsuki. Non voglio aspettare un minuto di più.”
“D'accordo. A presto, Takeshi.”
Rimase un istante imbambolato a fissare la cornetta ormai silenziosa, poi si precipitò ad avvertire Yaioi e gli altri. Mentre attraversava il giardino, pensò di non essere mai stato così felice in tutta la sua vita.

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Capitolo 24
*** Ventiquattro - Giallo luce al neon ***



Touma ringraziò il medico che lo aveva visitato, poi uscì nel corridoio per individuare la posizione dei suoi nakama. Per fortuna nessuno di loro era ancora stato trasferito dal pronto soccorso ad altri reparti, così li trovò tutti nel giro di pochi minuti. Dopo tutto quello che era successo, sentiva il bisogno di vedere con i propri occhi che erano lì, vicino a lui, e che stavano bene.
Una mezz'ora prima avevano portato Seiji, la sua famiglia ed il padre di Ryo. Touma era riuscito a malapena ad affacciarsi sulla porta prima che portassero via la barella su cui era steso il suo nakama, e vederlo immobile e coperto di sangue gli aveva fatto gelare il sangue.
Per fortuna era riuscito subito a parlare con Satsuki, che gli aveva raccontato cosa era successo. Aveva tirato un sospiro di sollievo alla notizia che Seiji non si era procurato altre ferite, ma non era stato contento di sapere di questo ennesimo colpo di testa.
Si affacciò alla stanza in cui lo  stavano medicando, ma era circondato da persone ed ancora privo di sensi, così decise di aspettare.
La porta di Shin era ancora chiusa, così entrò da Shu. La sua espressione insofferente lo fece sorridere: il medico che lo aveva operato era stato chiamato a visitarlo, e lo stava rimproverando con una certa durezza per aver fatto saltare metà dei punti e fatto riaprire la ferita.
Quando il medico uscì, Touma entrò nella camera e si sedette sul letto, di fianco all'amico.
“Sai, sono contento che per una volta non tocchi a noi darti una bella sgridata!”
Shu sbuffò una specie di commento.
“Come ti senti?”
“Tante storie, ma in realtà si son strappati solo i punti superficiali. Quelli a riassorbimento sono quasi a posto... Non c'era bisogno di farla tanto lunga!”
“Shu, il dottore ha ragione. Eri stato appena operato, e lui non può sapere cosa ci è successo.”
“Lo so. E' solo che... Mi hanno bloccato di nuovo a letto, e io invece voglio andare a vedere come stanno gli altri! E' vero che hanno portato Seiji e le famiglie? Come stanno?”
“Stanchi e provati, ma è andato tutto bene. Stanno ricucendo il braccio di Seiji.”
Shu annuì, cercando di rasserenarsi, ma non riuscì a trattenere un grosso sospiro.
“E... Shin come sta?”
Pochi minuti dopo che Seiji e Nishimura erano partiti, Ryo e Touma avevano sentito le sirene delle ambulanze. Quando li avevano caricati sulle lettighe Shu non era del tutto lucido, e non ricordava bene cosa fosse successo. Touma invece ricordava bene come gli infermieri avessero dovuto separare le sue dita, che aveva intrecciato con quelle di Shin e che continuava a stringere anche nello stato di semi-incoscienza in cui si trovava.
“I medici lo stanno ancora visitando.”
“Uff, quanto ci vuole per sapere qualcosa?!”
“Sta tranquillo, ci vado io. Prometto che appena li avrò visti tutti, tornerò qui. Ma tu devi rassegnarti a startene un po' fermo, almeno stavolta. D'accordo?”
“Va bene, va bene.”
Touma lo salutò con una pacca sul braccio, poi uscì di nuovo nel corridoio.


Le monetine tintinnarono sul fondo dello sportelletto che emetteva il resto, ed una bottiglietta di acqua cadde sul fondo, facendo vibrare appeno il grosso distributore automatico.
Touma infilò la mano e la estrasse, ma era così stanco e sovrappensiero, che finì col graffiarsela contro lo sportello.
Si passò le dita sugli occhi, lentamente. Erano ormai passate le undici di sera, e nel corridoio regnava un certo silenzio.
Aveva scambiato due parole con Ryo, ma lo aveva lasciato solo con suo padre quasi subito.
Poi aveva parlato con un'infermiera che era nella stanza di Seiji, ed aveva avuto la conferma che la ferita era superficiale, e che l'unico danno reale era il forte indebolimento dovuto alla perdita di sangue.
E finalmente era riuscito ad intercettare uno dei medici che avevano visitato Shin: non c'erano ferite, ma solo uno stato di grande deperimento fisico, per lo più inspiegabile. Non riuscendo a formulare una vera e propria diagnosi, non erano in grado di ipotizzare quando si sarebbe svegliato, né quando avrebbero potuto dimetterlo.
Così Touma era tornato da Shu, e aveva riferito il tutto. Entrambi sapevano molto di più di quanto i medici riuscissero a capire, e questo non era affatto rassicurante.
Poi Shu si era appisolato, così Touma aveva provato a riposare un po'. Anche se non era ferito, i medici avevano preferito trattenerlo una notte in osservazione, e gli era stato assegnato l'altro letto della stanza in cui era ricoverato Shu. Ma dopo poco l'irrequietezza l'aveva rimesso in piedi, ed ora gironzolava per i corridoi, con l'aria di chi non riesce a trovare un posto in cui stare.
Si buttò su una delle sedie della sala d'aspetto, svitò il tappo della bottiglietta e bevve un lungo sorso. Con la coda dell'occhio vide una figura avvicinarsi lungo il corridoio: era l'ispettore Nishimura.
“Salve. Come sta? - Si sedette accanto a lui. - E i suoi amici?”
“Io sto bene, grazie. Anche gli altri si riprenderanno presto. - Sospirò. - E Shin... beh, è ancora difficile sapere qualcosa di più.”
Nishimura annuì, ma non disse nulla, così Touma continuò.
“Avete arrestato quella gente?”
“Sì. Vengo ora dalla centrale, dove abbiamo verbalizzato l'arresto di Kimura e dell'americano. Gli altri due che erano al capannone sono in ospedale, e appena verranno dimessi li raggiungeranno. Ora rimane solo da trovare  Iwao Yamada, che è il ragazzo che ha sparato a Rei Fan.”
Touma annuì, cercando di non lasciar trapelare il moto di odio che gli era risalito dal petto direttamente alla gola. Osservò lo sguardo dell'ispettore, che sembrava assorto. Di certo stava ripensando a tutte le stranezze a cui aveva assistito.
“Immagino che lei abbia molte domande.”
“Sì. - Alcune non avrebbe saputo nemmeno come formularle. - E dovrò stilare un rapporto.”
“Lo so. Cercherò di risponderle meglio che posso, ma in cambio ho bisogno di chiederle una grossa cortesia.”
“Mi dica.”
“Vorrei portare via Shin il prima possibile. Ha bisogno di calma e non è in questo ospedale che potrà riprendersi da quello che è successo. - Nishimura si limitò ad annuire, e Touma continuò. - Ma finché non si stabilizza i medici non intendono dimetterlo, e noi non abbiamo diritto di decidere per lui. Non siamo altro che amici.”
L'ispettore piegò appena le labbra.
“Nemmeno io ho voce in capitolo.”
“No, ma la sorella potrebbe firmare la dimissione, credo. E' la sua parente più prossima, e nessuno sa quando Shin potrebbe riprendere conoscenza. Al momento Sayoko Mouri si trova poco distante da Tokyo, insieme alla sua famiglia e a quella di Shu. Non posso contattarli perché, quando li abbiamo nascosti lì, abbiamo raccomandato loro di staccare i cellulari e non riaccenderli finchè qualcuno di noi non fosse tornato. Potrei andare là, ma non me la sento di lasciare soli i ragazzi. Le chiedo solo di mandare qualcuno a prenderla e portarla qui. Le parlerò io.”
“D'accordo, non c'è problema. Manderò degli agenti prima possibile.”
“La ringrazio.”
Nishimura si alzò e gli strinse per un attimo la spalla.
“Non lo faccia, non ce n'è bisogno. Lo sa? Mi son fatto l'idea di essere io a doverla ringraziare.”
E prima che potesse rispondere, si allontanò. Touma rimase un attimo ad osservarlo, poi finalmente si decise a tornare a letto e provare a dormire almeno qualche ora.


“Ci vado io sull'ambulanza, voglio controllare che Shin stia bene!”
“Ti ho detto di no, Shu! Staresti troppo scomodo su quei minuscoli sedili, e il dottore ha detto che devi evitare di contrarre l'addome! - Ryo stava già inizando ad alzare la voce. - Tu andrai in auto con Touma e Seiji, così potrai distenderti sul sedile dietro.”
“Ma neanche per sogno! Ti ho già detto che sto bene, non ho nessuna intenzione di stare più steso, se non per dormire! Non ce la faccio più!”
“Adesso basta! - Dopo una mattinata di visite e controlli, una chiaccherata piuttosto triste con Sayoko e tutta la burocrazia per avere la dimissione, Touma era ai limiti della sopportazione. Ormai era metà del pomeriggio, e non vedeva l'ora di essere alla villa e potersi finalmente rilassare. - Sull'ambulanza andrà Sayoko. E se non la piantate di fare i bambini, vi lascio qui e vi faccio tornare a piedi!”
“L'auto è di Shin, non sta a te decidere chi ci sale!” Lo rimbeccò Shu, in preda ad un attacco di regressione infantile.
Touma lo ignorò. Si voltò invece ad osservare Seiji: in genere era quasi sempre lui a mettere fine agli assurdi battibecchi di quei due, spesso con un paio di parole o una semplice occhiata. Ma da quando si erano finalmente riuniti sembrava preferisse rimanere in disparte e non intervenire.
Anche in quel momento non era lì con loro, ma dall'altra parte del parcheggio. Stava salutando i genitori e la sorella, che ripartivano per Sendai, anche se era facile capire che stava seguendo ogni loro movimento a distanza, controllando che andasse tutto bene.
Touma strinse le labbra, preoccupato. Si ripetè per l'ennesima volta che, una volta rimasti soli e con un po' di calma, avrebbe dovuto parlargli, anche a costo di costringerlo con la forza ad ascoltarlo.
Controllò l'orologio: se non c'erano imprevisti, entro l'ora di cena sarebbero stati alla villa sul lago.
Aiutò Sayoko a salire sull'ambulanza.
“Allora ci rivediamo alla villa. Grazie per aver firmato le carte per la dimissione.”
“Spero di aver fatto la scelta giusta...”
“Ne sono sicuro. Vedrai che presto Shin starà bene.”
Lei annuì, e il barelliere chiuse il portello.
Ryo e Shu andarono a chiamare Seiji, e Touma raggiunse Nishimura, che osservava i movimenti tenendosi un po' in disparte.
“Allora... Arrivederci, Ispettore. E grazie di tutto.”
“Gliel'ho già detto, non deve ringraziarmi di nulla. Farà quello che le ho chiesto?”
“Certo. Spero di poterlo fare al più presto.”
“Lo spero anch'io. Arrivederci, Hashiba.”
“Arrivederci.”


Ryo aprì la porta della camera che aveva sempre occupato quando si trovava alla villa di Nasty. C'era qualcosa di rassicurante nel ritrovarla ogni volta sempre uguale, anche se stavolta il secondo letto era occupato da suo padre, e Byakuen dormiva al piano di sotto, in soggiorno.
Il signor Sanada era abituato da sempre ad avere la tigre in giro per casa, ma in genere i due occupavano spazi diversi, come se li avessero spartiti in un tacito accordo.
Lasciò cadere a terra il borsone col quale era partito da casa quando era diretto ad Hagi, e che la polizia aveva ritrovato e gli aveva restituito. Ripensò a quella mattina di pochi giorni prima, e si rese conto di come gli sembrasse lontanissima nel tempo.
Uscì nel terrazzo, e guardò verso il lago: la luce delle finestre arrivava a rischiarare solo gli alberi più vicini, mentre lo specchio d'acqua non era altro che una macchia scurissima, circondata da altri alberi ancora più scuri. Gli sfuggì un pesante sospiro, mentre rifletteva su quanto era successo, e su cosa sarebbe potuto accadere ora. Decise che – almeno per quella volta – avrebbe rinunciato a rimuginare in solitudine, e scese al piano di sotto, verso il vociare di tutte le persone che si erano riunite in quella casa.


Shu era in piedi alla finestra, e guardava i suoi fratelli che caricavano sulle auto i bagagli. Avevano cenato tutti assieme, sparpagliati il meglio possibile nella grande sala, poi avevano deciso partire: sarebbero stati a casa entro l'ora di andare a dormire.
La famiglia di Seiji era partita direttamente da Tokyo quel pomeriggio. Il padre di Ryo sarebbe tornato a casa la mattina dopo, mentre Sayoko, con il marito ed i bambini, sarebbe rimasta finchè Shin non fosse stato un po' meglio.
Shu si voltò verso la madre, che era seduta sul suo letto e lo osservava in silenzio.
“Ormai sono pronti, mamma. Hai preparato le tue cose?”
“Non so... forse dovrei rimanere un altro po' qui con te. Sei ancora così pallido...”
“Sto bene, te l'ho detto! E poi tra un paio di giorni al massimo sarò a casa, promesso.”
“Perchè non vieni con noi?”
“Non posso. Voglio controllare che i ragazzi stiano bene. Voglio essere qui quando Shin si sveglierà.”
“Come sta? Cosa hanno detto i dottori?”
“E' molto indebolito, ma non ha ferite. Deve solo riposare molto. - Shu sospirò, poi andò a sedersi sul letto, accanto alla madre. - E' un brutto momento per lui.”
“Povero ragazzo. Ho parlato con sua sorella, in questi giorni: non riesce ad accettare quello che ha scoperto, non aveva mai saputo nulla.”
“Lo so. Sai come è fatto Shin.”
“So come siete fatti tutti. Credi che non abbia capito che mi racconti solo una piccola parte di quello che fai?”
“Ma no, mamma! Cosa vai a pensare...”
“Shu... sono vecchia, ma non sono ancora del tutto rimbambita, sai?  - Lui ridacchiò, ma poi si fecero entrambi più seri. - Non sai cosa ho passato, quando stamattina sono arrivati quei poliziotti e hanno detto che eri all'ospedale. Se penso che ti hanno sparato...”
“Certa gente dovrebbe parlare meno!”
“Non è colpa loro. Sono stata io a tormentare quel povero agente perchè mi raccontasse qualcosa di più”
Shu sospirò. La sfortuna aveva voluto che Nishimura mandasse a contattare le famiglie proprio uno degli agenti che era stato di guardia all'ospedale dopo che era stato ferito, e così sua madre aveva saputo più di quanto lui avrebbe voluto.
“Non ci pensare. E' tutto a posto, adesso.”
La donna sospirò.
“Sai, Shu... Io sono sempre stata molto orgogliosa di te. Lo sono di tutti i miei cinque figli, ma tu... tu hai un cuore buono e coraggioso. Ognuno degli insegnamenti che ho cercato di darti, io lo riconosco in quello che fai. Eppure... eppure a volte avrei voluto essere un po' più egoista.”
“Non capisco...”
“Mi sono sempre sforzata di insegnarti il coraggio, la lealtà, la giustizia... Ma quando penso a tutti i rischi che corri, io... penso che forse avrei potuto spingerti verso una vita diversa. Più tranquilla...non so, meno pericolosa. Vorrei averti tenuto per me, invece di donarti al mondo.”
Shu le afferrò le mani. Era un po' a disagio, ma si sentiva anche felice.
“Mamma. Io ti sono grato di ognuno degli insegnamenti che tu e papà mi avete dato. - La abbracciò. - Non vorrei aver imparato nulla di diverso.”


Nota: Lo so cosa state pensando, lo so. -_____-
Siamo al capitolo 24, e ancora 'sta storia non si decide a finire!
Mi rendo conto che questa FF sta diventando un brodo infinito, non ne potrete più e vorrete sapere come diavolo va a finire!
E avete ragione, però... Il fatto è che ho messo tanta di quella carne sul fuoco, ho complicato talmente tanto le cose, che... Mi ci vorrà ancora un po' per sbrogliare tutta la faccenda. Abbiate ancora un po' di pazienza, vi prego. Non ce la facevo proprio a tagliar via, senza aver sciolto un po' di nodi...^///^

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Capitolo 25
*** Venticinque - Blu cobalto ***


Touma uscì dalla camera sbadigliando. Non era riuscito a riposare quanto avrebbe voluto, ma di sicuro aveva dormito di più e più profondamente delle notti precedenti.
La sera prima, quando la famiglia di Shu era partita per tornare a casa, aveva sperato di riuscire a parlare un po' con Seiji. Ma era risultato subito evidente che il suo nakama non gli avrebbe reso le cose facili: era sparito subito dopo cena, ed aveva aspettato che Touma crollasse addormentato per rientrare nella camera che condividevano.
Inutile dire che la mattina si era svegliato prima di lui, e si era dato nuovamente alla macchia. Touma sapeva che aveva dormito lì solo perchè il letto era stato chiaramente usato. Seiji doveva aver avuto uuna gran fretta di uscire dalla camera, visto che si era limitato a richiuderlo, senza sistemarlo con cura come invece era solito fare. Non ci voleva un genio a capire che li stava evitando tutti, ed in particolar modo stava evitando lui.
Passò davanti alla porta del bagno e vide che era chiusa. Stava per proseguire verso il secondo bagno a piano terra, quando un lamento, seguito da un paio di imprecazioni, lo fecero fermare.
“Shu? – Scostò la porta e sbirciò all'interno. - Va tutto bene?”
Il suo nakama si voltò di scatto, arrossendo leggermente.
“Sì, certo. Non ti preoccupare.” Indossava solo i pantaloni del pigiama, e stava armeggiando con il grosso cerotto che gli copriva la ferita nella schiena.
“Hai bisogno di una mano?”
“No. Uhm... forse sì. Ma solo perchè questo affare è dietro e non ci arrivo!”
“Che stupido. Che male c'era a chiedere aiuto?”
“Uff. Lo so, lo so... è solo che mi sono stufato di aver bisogno degli altri! Da quando quell'imbecille mi ha sparato, sembra che io non riesca più a combinare niente di buono!”
Touma sospirò, cercando di reprimere la fitta di dolore che gli era appena risalita dallo stomaco.
Tutta quella storia gli aveva lasciato due o tre segni dentro, sassolini pieni di spigoli che si erano formati nel suo cuore come calcoli e continuavano a pungere e graffiare.
E sapeva che avrebbero continuato a fargli male fino a che non fosse riuscito ad espellerli.
“Shu... - Forse era arrivato il momento di provare a buttarne fuori uno. - Io devo chiederti scusa.”
“E per cosa?”
Shu era piegato in avanti, le mani poggiate sul lavandino e la schiena arcuata. Sollevò lo sguardo cercando di incrociare quello di Touma nello specchio, ma il suo nakama teneva gli occhi bassi sul cerotto che gli stava delicatamente rimuovendo.
“Ho parlato con Nishimura, ieri pomeriggio. Gli ho spiegato alcune cose, e lui mi ha raccontato quello che è successo dopo che mi hanno preso.”
“E...?”
“Mi dispiace. Avrei dovuto aspettarvi dove avevamo detto, e invece non ho avuto pazienza. Mi son messo a gironzolare come uno stupido, e mi sono fatto catturare. - Touma aveva cominciato a parlare più velocemente, come se avesse paura di non riuscire a dire tutto quello che aveva in mente. - Se fossi stato più prudente, non vi sareste trovati da soli, senza una traccia, e non avreste inseguito quei due. Io... è colpa mia, se ti hanno sparato. Mi dispiace.”
Appallottolò il cerotto, lo buttò nel cestino accanto al lavabo, e rimase a fissare i punti nerastri che rischiudevano la ferita, e la pelle tesa e arrossata tutto attorno.
Shu si girò a guardarlo, sospirando.
“E' vero, non dovevi farti catturare. - Touma sobbalzò, ed alzò lo sguardo verso di lui. - E io non dovevo inseguirli in quel modo. Ma l'abbiamo fatto, perchè non ce la facevamo più ad aspettare senza sapere niente dei nostri nakama. Forse siamo stati imprudenti, o stupidi. Ma non è colpa nostra se mi hanno sparato, o se hanno ferito Seiji, o se Shin... se Shin è in quelle condizioni. E' colpa di quelle persone, è colpa di quello spirito, ed è colpa di chi lo ha reso un demone.”
Touma strinse le labbra, ma annuì leggermente.
“Quindi... - Shu si girò di nuovo verso il lavandino. - Smettila di dire idiozie e sistemami questa benedetta medicazione. Ho una fame da lupo, e voglio andare giù a vedere se Sayoko si è alzata e se ci sono novità.”
“D'accordo. - Touma riuscì a sorridere almeno un po'. - Grazie.”

 

Sayoko scese le scale che dalle camere portavano alla grande sala centrale. Aveva trascorso la mattinata e buona parte del pomeriggio nella camera di Shin. Tutti gli altri erano passati piuttosto spesso per sapere come andava, e ormai era di nuovo sera, e Shin non aveva dato segno di volersi svegliare.
Sentiva il cuore pesante, e cercò un po' di sollievo nella luce limpida che veniva dalla grande portafinestra. Fece un cenno di saluto a Ryo, che era sul divano e guardava la televisione.
Quando si affacciò nel balcone, vide che Touma era appoggiato al parapetto. Anche lui era assorto, e non si accorse di lei finchè non la ebbe accanto.
“Sayoko... Come va?”
“Non so... Sono preoccupata. Shin non si sveglia. Sei davvero sicuro che sia stato meglio portarlo qui?”
“Sì. Credimi, ci siamo passati tante volte: non c'è nulla che possano fare i medici per questo tipo di ferite. E' molto meglio se rimaniamo tutti assieme, in modo che il potere dell'armatura si rafforzi e possa trasmettere anche a Shin la sua forza.”
“Mi sembra ancora tutto così strano. E Shin... è così pallido, e così freddo. Sembra fatto di ghiaccio!”
“Di questo non ti devi preoccupare, è dovuto alle armature. - Le porse una mano, perchè lei la potesse toccare. - Senti? Anch'io sono molto freddo.”
“E' vero... Però lui mi sembra ancora più freddo.”
“E' per via dell'elemento a cui siamo legati. Il più caldo di noi è Ryo, che prende la sua forza dal fuoco.” Fece un cenno verso l'interno, ad indicare il suo nakama. Sayoko si rese conto che Ryo aveva le guance arrossate, ed indossava solamente una maglietta bianca di cotone, mentre loro avevano maglie e felpe grosse. Touma continuò.
“Poi c'è Seiji. La luce è una forma di energia, e la sua temperatura è un po' più alta del normale. Quello la cui temperatura è modificata di meno è Shu, perchè la terra incamera e rilascia calore molto lentamente, per via della sua massa.”
Sayoko annuì, sorridendo un po' al tono da professore di Touma.
“E arriviamo a me, che sono freddo come l'aria ad alta quota. Ma Shin è influenzato dalle temperature gelide delle acque polari e degli abissi oceanici, e quindi è ancora più freddo.”
“E questo non vi fa stare male?”
“No, la nostra simbiosi con le yoroi ormai è una cosa naturale. E poi devi considerare che le temperature si alterano così tanto solo quando le armature sono instabili. Normalmente sono quasi uguali a quelle di tutti.”
Lei annuì, un po' rincuorata, ma ancora non riusciva a sentirsi tranquilla.
“Shizuka vorrebbe tornare ad Hagi. Ha bisogno di rientrare al lavoro, e anche i bambini hanno perso diversi giorni di scuola. - Si poggiò alla balaustra, accanto a Touma. - Anch'io vorrei tornare a casa. Non riesco a smettere di pensare che abbiamo lasciato la casa e l'altare il giorno stesso del funerale. Mi sento come se avessimo abbandonato mia madre.”
“Sì, lo immagino.”
“Però non voglio lasciare Shin. Ma non so se sia prudente spostarlo, e se è vero che deve rimanere con voi...”
“Non devi preoccuparti. Tornate a casa, e cercate di recuperare un po' di serenità. A Shin penseremo noi, stai tranquilla.”
Lei sospirò. Era evidente che non riusciva a darsi pace.
“Però... Mi sento male ad andarmene e lasciarlo così. In tutti questi anni non ho mai saputo nulla, non gli sono stata di nessun aiuto.”
“Non è così. Sei stata sua sorella, ed era ciò di cui aveva bisogno da te. Ed è ciò di cui avrà bisogno quando tornerà a casa e finalmente potrà piangere vostra madre. Non c'è nessun altro, oltre a te, che possa condividere con lui questa cosa. - Lei annuì, e Touma continuò. - Ma quando si sveglierà, dovrà affrontare altre cose, e noi siamo qui per questo. Se tu fossi qui, probabilmente si tratterebbe, per non farti preoccupare.”
Sayoko annuì di nuovo.
“Sì, so bene come è fatto. Io... Forse hai ragione. Dirò a Shizuka che torniamo a casa. Però... promettimi che mi chiamerai, qualunque cosa succeda. Non nascondetemi le cose come fa Shin, per favore. Ora che so la verità, mi sembra di impazzire all'idea di tutto quello che non mi dice!”
“Lo farò, te lo prometto. E ti chiamerò appena si sveglia, anche se fosse notte fonda.”
“Grazie.”

 

Touma si buttò sul divano, dal lato opposto a quello in cui era stravaccato Ryo. Si passò una mano sugli occhi e sospirò rumorosamente. Ryo smise di saltare da un canale all'altro e lo osservò preoccupato.
“Va tutto bene?”
“Sì. Più o meno. Ho convinto Sayoko a tornare a casa. - Sbuffò un mezzo sorriso. - Non ci sono tagliato per queste cose.”
“Non sono d'accordo. Senza la tua calma, qui sarebbe tutto più complicato.”
“Non so se la mia presunta calma sia sufficiente. Con Shu che si fa sparare, Shin che arriva ad un passo dalla morte per salvare uno spirito primordiale e Seiji che sviluppa inspiegabili istinti suicidi, non mi definirei esattamente tranquillo. In confronto a quei tre, tu sembri prudente come una nonnina, ed è tutto dire! Per non parlare del modo brillante in cui mi sono fatto catturare.”
Ryo abbozzò una risata, poi tornò serio.
“Lo so. Stavolta è stato tutto più complicato. Vorrei essere riuscito a non farmi catturare: tutta questa storia forse non sarebbe nemmeno iniziata.”
“Ryo, ti prego. Non mettertici anche tu con sensi di colpa assurdi, o mi esploderà la testa. Tuo padre è partito?”
“Sì. Ho dovuto faticare un po' a convincerlo, ma lui è più abituato a lasciare che me la cavi da solo, e comunque è parecchio provato. Aveva bisogno di tornare alla sua vita.”
“Lo credo bene. Tutti ne abbiamo bisogno.” Purtroppo Touma sapeva che non sarebbe stato così semplice per lui: dopo essere inspiegabilmente sparito per giorni ed aver mandato a quel paese il suo diretto superiore, non era molto sicuro che al suo ritorno avrebbe trovato il suo posto di ricercatore ancora disponibile. Ma aveva deciso che ci avrebbe pensato lungo la via del ritorno: per il momento la sua priorità era stare con i suoi nakama e tamponare insieme i danni lasciati da quell'ennesima brutta esperienza.
Una mezza imprecazione sfuggì a Ryo, e Touma venne distolto dai suoi pensieri. Sullo schermo della tv c'era una foto della famiglia Date, alle spalle di una cronista del telegiornale. Ryo alzò il volume.
“Anche se le indagini erano state coperte da stretto riserbo, la polizia di Sendai ha oggi rivelato che a Tokyo sono stati ritrovati i membri della famiglia Date, scomparsi da alcuni giorni. I dettagli del ritrovamento non sono stati svelati, ma pare si sia trattato di rapimento, forse a scopo di estorsione. Anche altre persone sono state coinvolte nel sequestro, anche se rimane ignoto quale fosse il legame tra loro. La nostra rete è l'unica in grado di fornire in anteprima i nominativi di tutte le persone scomparse: ci colleghiamo ora con il nostro inviato a Tokyo.”
Ryo e Touma fissarono increduli lo schermo, mentre un giornalista snocciolava tutti i loro nomi, corredati da qualche dato sulla città di provenienza ed il lavoro.
Touma si passò una mano sulla fronte. A questo punto era costretto a telefonare a sua madre e raccontarle almeno una parte di verità, prima che qualche collega troppo zelante le telefonasse...
“Ma che cavolo... Come hanno fatto a saperlo?! Nishimura gli ha dato i nostri nomi??” Ryo era furioso.
“No, non credo. Mi ha promesso che avrebbe tenuto il silenzio quanto più possibile. Hai sentito cosa ha detto la giornalista? E' stato qualcuno della polizia di Sendai. Avrà avuto accesso al fascicolo dell'indagine e ha spifferato tutto a qualche giornalista. Di sicuro vorranno partecipare al merito del ritrovamento, e quindi si mettono in mostra prima che venga fuori che non stavano cavando un ragno da un buco.”
“Già. E così ora hanno messo in mezzo anche noi, e chissà quali assurdità saranno capaci di tirar fuori i giornalisti!”
“Giornalisti? - Shu era sbucato alle loro spalle, affacciandosi dallo schienale del divano. - Che giornalisti?”
Ryo riassunse in poche parole cosa avevano appena sentito, e Shu sbuffò. Considerato che avevano sempre cercato di rimanere nell'ombra, questa notizia non era particolarmente gradita.
“Accidenti. Non ho proprio voglia di vedere la mia faccia al telegiornale!”
“Per questo c'è una soluzione semplice e veloce. - Touma si alzò dal divano, sfilò dalle mano di Ryo il telecomando e spense la televisione. - Ecco fatto. Venite, abbiamo di meglio da fare.”
Ryo sorrise. Si alzò e gli passò un braccio attorno alla spalla. Con l'altro fece cenno a Shu di seguirli in cucina.
“Sai una cosa? - Shu si affiancò a Ryo e lo prese sottobraccio. Poi si sporse verso Touma. - Hai proprio ragione.”

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Capitolo 26
*** Ventisei - Arancione come il tramonto ***


Seiji si fermò a metà del sentiero che portava alla cima della collina che sovrastava il lago. In quel punto il bosco era più rado, e la sottile strada in terra battuta si allargava a formare un piccolo belvedere. Di recente era stata costruita una staccionata in legno per proteggere chi si fosse voluto sporgere per godere del panorama.
Si avvicinò al parapetto, gli occhi pieni del riflesso dorato del sole sul pelo dell'acqua. Era appena iniziato aprile, ma la primavera tardava ad arrivare. Il mattino e la sera l'aria era ancora troppo fredda per rimanere volentieri all'aperto, ma le giornate si stavano rapidamente allungando, e anche se ormai era l'ora di cena, Seiji poteva godere di un tramonto dai colori caldi.
Nonostante le temperature, aveva trascorso quasi tutta la giornata fuori casa, e non aveva difficoltà ad ammetere con sé stesso il perchè. Stava evitando i propri nakama, e le due volte in cui era rientrato per vedere come stesse Shin, si era fermato il meno possibile, sgattaiolando su per le scale come un ladro. Se non avesse temuto di spaventare Sayoko, probabilmente sarebbe passato direttamente dalla finestra.
Stavano cambiando molte cose, e sapeva di stare cambiando anche lui. Non sapeva in che modo, nè con quale esito, però sapeva di dover chiudere alcuni discorsi rimasti in sospeso.
Istintivamente portò una mano alla spalla, sfiorando la fasciatura che copriva la ferita. Ora che le yoroi si erano nuovamente stabilizzate, si stava rimarginando più velocemente.
Passi leggeri alle sue spalle lo distolsero dai propri pensieri: aveva scelto quel sentiero perchè era sulla riva opposta rispetto a quella in cui andava in genere a passeggiare, ma sapeva che comunque non sarebbe stato un nascondiglio. Non dai suoi nakama, almeno.
“Eccoti, finalmente! - Touma appariva leggermente affannato. - Cercavi un modo per farmi girare un po' a vuoto?”
“Non sapevo mi stessi cercando.”
“Sì, certo. Altrimenti avresti lasciato detto dove andavi, no? Mi chiedo perchè ogni volta tu debba far perdere tempo ad entrambi negando cose ovvie. Lo fai per il puro gusto di farmi innervosire, vero?”
Seiji lo guardò con sorpresa, ma il suo nakama non appariva arrabbiato. Touma gli si affiancò, posando le mani sul parapetto ed osservando il lago.
“Ci sono novità?”
“Sayoko e Shizuka stanno preparando i bagagli. Partiranno subito dopo cena.”
“Li avete convinti voi?”
“Sì. Spero che si riveli una precauzione superflua, ma mi sento comunque più tranquillo, se al risveglio di Shin saremo solo noi cinque.”
Seiji si limitò ad annuire. Non gli era difficile immaginare cosa preoccupasse Touma, e perchè non volesse coinvolgere altre persone. Si era chiesto anche lui se il contatto con Izumi potesse aver modificato in qualche modo Suiko, o addirittura Shin.
Aspettò che Touma riprendesse a parlare, ma il suo nakama si limitò a fissare il lago che pian piano si scuriva, mentre il sole cominciava a calare dietro gli alberi. Seiji lo osservò: i graffi sul viso erano quasi rimarginati, ma un lungo taglio spiccava rosso tra un punto adesivo e l'altro, ed un livido a mezzaluna, non più viola ma verde, persisteva sotto l'occhio sinistro. Sentì il senso di colpa tornare a pungerlo, appena sotto lo sterno.
“Io... non ti ho ancora chiesto scusa.”
“Per cosa?” Niente sarcasmo, né rassicurazione. Una domanda pura e semplice.
“Per averti attaccato. Ti ho ferito e ho fatto in modo che catturassero anche te, e mi dispiace.”
“Seiji, guarda che so benissimo perchè l'hai fatto. E comunque non mi hai fatto nulla.”
“Non è vero. Ho persino esercitato su di te il potere di Kourin perchè tu perdessi i sensi.”
Seiji non riusciva ad accettarlo.
Touma ricordava bene la sensazione di Kourin che, invece di infondere in lui la propria luce come aveva fatto mille volte, gliela strappava, sprofondandolo nelloscurità dell'incoscienza.
Era stato sgradevole ed innaturale, ma l'aveva ricacciato in un angolo della memoria, tamponandolo con la consapevolezza delle ragioni del suo nakama.
“Dovresti smetterla di scusarti per cose prive di importanza, ed cominciare invece ad avere il coraggio di affrontare il resto.”
“In che senso?”
Touma smise di guardare il lago, e fissò invece il suo viso.
“Sono arrabbiato con te, è vero. Ma non perchè mi hai attaccato o chissà quali altre idiozie. Io sono arrabbiato perchè stai cambiando, e non riesco a capire cosa stia succedendo. Non ci riesco perchè tu non me lo permetti. - Si fermò un attimo, come a raccogliere le idee. - Fai cose folli, corri rischi inutili, senza fermarti a pensare. Ryo o Shu a quindici anni avevano più buon senso di quanto tu ne abbia dimostrato ultimamente!”
Seiji si irrigidì, spostando lo sguardo e nascondendolo al suo.
“Ti ho già detto che era necessario. Dovevamo liberarci, e quell'uomo non si sarebbe mai avvicinato abbastanza da colpirlo, se io...”
“Smettila!” Touma aveva alzato la voce, e lo fissava con i pugni stretti e lo sguardo furibondo. In genere non attaccava mai frontalmente Seiji: abbatteva le sue difese provocandolo, o raggirandolo in qualche modo.
Ma stavolta era stanco e preoccupato. Aveva accumulato troppa tensione, e non aveva più un briciolo di pazienza da spendere con lui.
“Ti ho già detto che non devi prendermi in giro. Ti sei fatto sparare, hai provocato Omezo solo per il gusto di sbattergli in faccia tutto il tuo disprezzo...”
“Disprezzo che meritava!”
“E c'era bisogno di comunicarglielo? E proprio quando eri totalmente inerme di fronte a lui?! Per non parlare di come ti sei buttato tra lui e la polizia, credi che non sappia cosa hai fatto?”
“Aveva preso Kuniyaki!”
“C'era un sacco di altra gente che era lì per salvarlo, gente che non era ad un passo dal collasso e che non si stava dissanguando!”
Seiji cercò di controbattere, ma lui non glielo permise.
“Qual'è il punto, Seiji? Devi espiare qualcosa? Perchè la tua famiglia è stata coinvolta? O perchè mi hai attaccato? Perchè se è così... beh, non ha senso. Non c'è proprio niente da espiare!”
Seiji continuava a sfuggire i suoi occhi, sembrava quasi che non lo ascoltasse.
“E guardami, quando ti parlo! Sono stufo di inseguirti. Non puoi comportarti in questo modo, come se fossi solo al mondo. Non ti rendi conto di avere delle responsabilità?!”
Seiji si girò di scatto.
“Cosa fai, mi prendi in giro, forse? - Lo fissò con rabbia. Controllata e gelida, ma trattenuta a malapena. - Credi che non lo sappia?! E' da prima che nascessi che ho delle responsabilità. Verso il mio nome, verso la mia famiglia. Verso Kaosu, e le yoroi... e tutte le persone che abbiamo cercato di difendere. Tutta la mia vita non è stato altro che adempiere a responsabilità che non scelto!”
“Hai dimenticato la più importante. - Touma si avvicinò di un passo. - Tu hai delle responsabilità verso di noi.”
“Nemmeno quelle sono state una mia scelta!”
Touma sospirò, la rabbia di poco prima che si trasformava in amarezza. Quando arrivavano a scontrarsi in quel modo, Seiji finiva sempre col dire cose di cui si sarebbe poi pentito. Non gli piaceva spingerlo a quella rabbia, ma sapeva che era necessario.
“Non importa se le abbiamo scelte o meno. Ormai è così, e sappiamo tutti che possiamo andare avanti solo se rimaniamo uniti. Le yoroi funzionano a dovere solamente se sono tutte insieme, e lo sai. E' solo questo che ci ha permesso di farcela fino ad ora, insieme al nostro legame. Lo so che non sei sereno, ma lo abbiamo visto con i nostri occhi mille volte: dobbiamo confidare gli uni negli altri, e nella forza che raggiungono i nostri cinque poteri quando siamo riuniti.”
“Maledizione, Touma, piantala! Non sei Shin!”
Touma stava per ribattere qualcosa, ma si fermò. Rizzò la schiena e mise le mani sui fianchi.
“Che cosa c'entra adesso Shin?”
“Avanti, prova a pensarci. Perché credi che tu sia l'unico da cui mi lascio far la predica, eh? Non te lo sei mai chiesto?”
“Io non ti faccio la predica! - Figuriamoci. Come se Seiji fosse uno a cui si potessero davvero far ramanzine. - E comunque, sentiamo. Perché proprio io?”
“Perché tu non sei accecato dalla fiducia, o dall'ottimismo, come gli altri. Tu vedi le cose per quelle che sono. Vedi la realtà con lucidità, la analizzi con logica! - Seiji si fermò un attimo, abbassando lo sguardo. Quando riprese a parlare, la sua voce era più calma, ma più amara. - E sai quanto me che le yoroi non sono una garanzia. Che il nostro legame, la nostra unione, non è una garanzia. Ha funzionato molte volte, lo so. Ma non significa che funzionerà per sempre. Non farla passare per la soluzione di ogni problema, perché sai quanto me che prima o poi incontreremo qualcuno davvero più forte di noi. E a quel punto essere tutti insieme, rimanere uniti, semplicemente non basterà.”
“E credi che questo non lo sappiano anche gli altri? Credi che siano bambini che credono nel lieto fine garantito? - L'altro sospirò, ma non rispose. - Lo sanno benissimo, quanto me e te. Ma cosa credi che possa rimanerci, se non ci aggrappiamo alla speranza? Tanto varrebbe rinunciare fin da ora!”
Touma incrociò le braccia, cercando di mantenere la durezza senza farsi prendere dalla rabbia. Sapeva che Seiji non pensava quello che aveva detto, aveva notato tante volte come il suo sguardo si addolcisse di fronte ai moti di fiducia e speranza dei suoi nakama.
Ma sapeva anche che, quando era in quelle condizioni, aveva bisogno di trovare in qualche modo lo scontro. Ed era quello il vero motivo per cui lasciava che fosse lui a tirarlo fuori dal fango quando ci sprofondava: sapeva che era quello tra loro che ne sarebbe rimasto meno ferito.
Seiji fece qualche passo, dandogli le spalle. Guardava lontano, ma aspettava che Touma continuasse a parlare.
“Vuoi che ti dica come stanno davvero le cose, allora? Bene, ti farò una analisi scientifica della nostra situazione, visto che la trovi preferibile. E' vero: rimanere uniti non è una condizione sufficiente per garantirci la sopravvivenza. Ma è una condizione necessaria. Se ora cedi allo sconforto, o a questa inspiegabile irragionevolezza che hai dimostrato ultimamente... se continuerai a cercare di farti ammazzare e ci lascerai soli, sai già quale sarà il nemico più forte di noi al quale non sopravviveremo: sarà semplicemente il prossimo. Chiunque sarà, avremo perso in partenza.”
Seiji strinse con forza i pugni attorno al parapetto.
“Non farmi apparire come se non mi importasse di voi. Lo sai che non vorrei mai che vi accadesse qualcosa di male.” Seiji parlava con gli occhi chiusi ed il capo chino. Sembrava essersi arreso, ma Touma non sapeva dire se avesse ceduto al suo tentativo di rianimarlo, o a quel senso di abbandono che si portava dietro da mesi, ormai.
“Lo so. - Si arrischiò a passargli un braccio attorno alle spalle, e l'altro non si oppose. - Lo so che non vorresti mai abbandonarci. E so anche che non vuoi davvero sparire. Te lo dissi già qualche mese fa, quando non riuscivi a risvegliarti dall'oscurità di quegli incubi.” *
Touma si complimentò con sé stesso per essere riuscito a ricordare quei giorni senza venir assalito ancora dalla sensazione di soffocamento che gli aveva lasciato la prigionia nella grotta immaginaria.
Seiji, invece, aveva sollevato il capo di scatto e lo fissava, chiedendosi come avesse fatto a centrare proprio l'attimo in cui tutto era nato. Forse era un caso, o forse il suo nakama riusciva davvero a capirlo più di quanto lui stesso non riuscisse a fare. Poi abbassò ancora lo sguardo. Lasciò il parapetto con le mani, e vi appoggiò invece i gomiti, curvando la schiena. I capelli gli coprivano gli occhi.
Touma si chinò in avanti assieme a lui, perchè non sfuggisse dal suo abbraccio e per poter sentire cosa stesse dicendo, perchè ora Seiji sussurrava.
“Io non so spiegare cosa mi sia successo, davvero. Non credo di essere un codardo, e non devi pensare che io sia disposto ad abbandonarvi.”
“Però...”
“Però mi rendo conto di essere cambiato... Quel giorno, tu mi strappasti dall'oscurità in cui stavo sprofondando: io riuscivo a sentirti, ma non trovavo la forza di svegliarmi. Stavo scomparendo nel buio, e avrei dovuto provare angoscia, o terrore. Non so, almeno rabbia. E invece, provavo solo un'incredibile senso di liberazione. Era... sollievo. In quel momento credo di aver provato davvero il desiderio di scomparire lì dentro, ed essere finalmente liberato da tutto.”
Si mise di nuovo dritto, liberandosi dall'abbraccio di Touma. Si allontanò di un passo, come se stesse per rovesciare tra loro qualcosa di pericoloso. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato a confessare la cosa che lo tormentava da mesi, e che lo aveva spinto ad allontanarsi a poco a poco da loro, fin dal giorno in cui era partito da casa di Touma, ad ottobre.
Aveva cercato di trattenerla più possibile, ma ogni giorno che passava diventava sempre più difficile da sopportare, anche se sapeva che avrebbe deluso e ferito i suoi nakama.
Sospirò, sperando che l'altro parlasse, ma Touma aspettava in silenzio, così fu costretto a continuare.
“Anche se sono sfuggito a quel luogo, quella sensazione non mi abbandona più. Ho cercato di liberarmene, davvero. - Seiji stava arrivando a disprezzare sé stesso per questa debolezza che non riusciva ad arginare. - Ma non ci riesco. Ogni volta che le cose diventano troppo faticose, torna fuori a sussurrarmi che basterebbe che io cedessi appena un po', e finalmente avrei finito di lottare. E sono diventato debole, e privo di onore, perchè mi riesce sempre più difficile non ascoltarla.”



* Touma si riferisce ad un episodio avvenuto qualche mese prima e raccontato nella mia fic "Ancora una volta" (capitoli 10 e 11). Per opera di un demone, ognuno di loro è stato trasportato in un luogo immaginario. Touma è prigioniero all'interno di una grotta sotterranea ed infinita, Seiji è stato avvolto da un'oscurità...animata.

 

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Capitolo 27
*** Ventisette - Verde bosco ***


Seiji non riusciva a riaprire gli occhi. Li aveva chiusi, e non trovava il coraggio di tornare a guardare attorno a sé.
Ma in fondo non ne aveva bisogno: poteva sentire il respiro veloce di Touma, e il suo silenzio gli bastava per capire quanto lo avesse ferito e deluso. Una parte di sé voleva andarsene da quella collina, fuggire ancora una volta da lui e dalla sua capacità di metterlo a nudo e scardinare le sue difese con due parole. Ma le sue gambe non sembravano in grado di fare un passo, ed il suo cuore sapeva che era finito il tempo di fuggire. Chinò il capo, in attesa.

 

Sayoko si guardò attorno, un po' delusa.
“Gli altri non sono ancora tornati? Speravo di riuscire a salutarli.”
“Touma era andato a cercare Seiji, ma forse non l'ha trovato. - Ryo era chiaramente dispiaciuto. - Mi spiace, non so dove siano.”
“Ho finito, è tutto in macchina. - Shizuka si era avvicinato. - Faccio salire i bambini?”
“Non so. Forse dovremmo aspettare anche Seiji e Touma...”
“E' già tardi, Sayoko. Per arrivare ad Hagi dovrete viaggiare quasi tutta la notte, è meglio che partiate. - Ryo le strinse le mani in segno di saluto. - Non ti preoccupare per gli altri, li saluterò io da parte vostra.”
“D'accordo, grazie. Avremmo potuto aspettare la mattina, ma domani è domenica, e volevo essere a casa ed avere il tempo di sistemare un po' di cose, prima di riprendere il lavoro e la scuola...”
“Fate buon viaggio, e state attenti, ok?” Shu la abbracciò, prendendola alla sprovvista. Ma dopo poco lei ricambiò l'abbraccio: dopo tutti quegli anni, lo considerava quasi un fratello.
Sollevò ancora una volta lo sguardo verso la camera in cui dormiva Shin, poi si decise a salire in auto, dove la aspettava il resto della sua famiglia.
“A presto.” Sussurrò dal finestrino mentre l'auto si allontanava, illuminando con i fari la strada che costeggiava il lago.

 

Touma dovette aggrapparsi al parapetto. Strinse con forza la mano attorno al legno per contrastare la vertigine che lo aveva colpito.
Sollevò lo sguardo sulla schiena di Seiji, che aveva appena dato voce a tutti i pensieri che ognuno di loro aveva sfiorato almeno una volta, e che si era tenuto dentro per tutti quei mesi.
Seiji, che era così stanco da desiderare di scomparire per sempre.
Che gli aveva appena detto che il loro legame – tutto ciò che avevano – non era più abbastanza.
Che rimaneva immobile a pochi passi da lui, e non aveva nemmeno il coraggio di voltarsi e guardarlo.
Touma si accorse di star respirando troppo velocemente, e ne fu infastidito. Si impose di tirare un lungo respiro, consapevole di ogni centimetro che il suo petto percorreva per riuscire ad incamerare aria.
Doveva essere davvero agli sgoccioli, perchè gli sembrò di sentire un'ondata di panico risalirgli velocemente dallo stomaco. Inspirò di nuovo a fondo, e sollevò lo sguardo verso il cielo, in cerca di calma.
Quando la pressione era troppa, come in quel momento, e la sua razionalità cominciava a vacillare, Touma si aggrappava a qualche piccolo dettaglio. Qualcosa che lo distraesse ma contemporaneamente lo aiutasse a concentrarsi. Osservò la schiena di Seiji, coperta da una felpa troppo larga che gli aveva prestato Shu. La giacca che aveva indosso quando lo avevano catturato era stata rovinata dal sangue e dallo sparo, e non aveva altro da mettere. Ryo aveva già dato fondo alle due cose che aveva nel borsone, e nessuno di loro avrebbe mai messo le mani nella borsa che Shin si era portato da Hagi. Non senza chiederglielo, e non finchè era in quelle condizioni.
Così a Seiji era toccata quella, ed era davvero strano vederlo con addosso qualcosa di così colorato.
Spostò lo sguardo lungo il braccio, e vide l'anello d'argento. Lo aveva da molti anni, e lo portava all'anulare della mano sinistra, come una fede nuziale occidentale.
Touma si era chiesto molto volte che significato avesse per lui e da dove provenisse, ma non aveva mai trovato il coraggio di chiederglielo.
Fece un passo verso il suo nakama.
Ripensò a tutte le volte in cui si era accorto che Seiji si stava chiudendo, o allontanando, o stava soffrendo e non si lasciava aiutare da loro. Ogni volta era riuscito a scuoterlo: Come una biglia che correva a gran velocità lungo una pista, e rischiava di schizzare fuori dal percorso: con qualche colpo ben assestato, Touma era sempre riuscito a riportarlo in carreggiata.
Si era sentito felice, quasi lusingato dall'essere in grado di farlo.
Ora invece si sentiva uno stupido.
A cosa erano serviti i suoi blandi interventi, se poi alla fine lo aveva lasciato correre sempre più veloce, senza mai obbligarlo a fermarsi davvero?
“Quante volte te l'ho detto... - Mormorò. - Avrei dovuto farmi ascoltare davvero.”
“Che cosa? - La voce di Seiji era bassa e lenta. - Cosa mi hai detto?”
“Di non essere sempre così duro. Così chiuso, e controllato... Di non pretendere di affrontare sempre tutto da solo... - Anche Touma sembrava stanco. Stanco di ripetere sempre le stesse cose. Stanco di non ottenere nulla. - E guarda cosa è successo... Non saremmo arrivati a questo punto, se tu avessi dato un po' di tregua a te tesso!”
“Cambierà qualcosa, se ti dirò che avevi ragione?”
“No. Cambierà qualcosa se tu riuscirai a cambiare.”
Seiji si voltò verso di lui, ma non disse nulla. Non c'era nulla che si sentisse di promettergli.
Touma sentì la rabbia salire, davanti alla sua mancanza di reazioni.
“E quindi quale sarebbe la tua soluzione? Continuerai a comportarti da irresponsabile e rischiare di proposito finché non riuscirai a farti uccidere?! Dimmelo, Seiji, fammi sapere cosa dobbiamo aspettarci! Perchè se è questo che hai intenzione di fare, allora risparmiaci mesi di angoscia e trafiggiti direttamente con la tua spada! Puoi farlo anche ora, se vuoi. Ti prometto che non ti soccorrerò!”
Seiji sobbalzò a quelle parole, e Touma si portò una mano alla bocca.
Il suo essere così cerebrale finiva per sconfinare nel cinismo, e quando quella parte di sé veniva alimentata dalla rabbia, finiva col diventare cattivo.
Quando arrivava a quel punto, Touma provava vergogna di sé stesso.
Seiji si avvicinò.
“Scusami. Mi dispiace.”
Touma rizzò la testa di scatto.
“Seiji, perchè cazzo ti stai scusando, adesso?! Io... - Si passò una mano sugli occhi e l'altro vide che le dita stavano tremando. - Io ti ho appena detto una cosa orribile...”
“E' colpa mia. Ci sono così tante cose che sono andate storte, e io ho aggiunto altra preoccupazione. - Allungò le mani verso di lui, e lo avvicinò dentro al suo abbraccio. - Mi dispiace.”
Touma chiuse gli occhi e tirò un paio di corti respiri. Sì, era davvero agli sgoccioli.
“Seiji. - Gli posò una mano all'altezza del cuore, facendovi leva per allontanarsi e guardarlo negli occhi. - Stai davvero cercando di morire?”
Il suo nakama non rispose subito, come se si stesse facendo quella domanda per la prima volta.
“Te l'ho detto, non vi avrei mai abbandonato in un momento come quello. E non stavo davvero cercando di farmi sparare.”
“Però...”
“Però... Non lo so. E' come se improvvisamente non riuscissi più a considerare importante la prudenza, o la cautela. Tutti gli altri sentimenti le sovrastano, e me le fanno dimenticare. E non è mai stato così. - spostò lo sguardo verso il lago, che però non era altro che una macchia scura. - Io non sono mai stato così. Ma sono così stanco... Troppo stanco per... ”
Si fermò. Non aveva un'idea chiara di cosa voleva davvero dire.
“Troppo stanco per proccuparti delle conseguenze?”
“Forse.”
“Seiji.” Touma afferrò la felpa che indossava. Sapeva che era azzurra a larghe bande rosse, ma in quel momento gli appariva nera, come tutto quello che avevano attorno. Non c'era niente più che una sottile falce di luna.
“Mi dispiace.”
“Smettila. Smettila di scusarti, mi fai diventare pazzo! - Touma lo strattonò. - Adesso ascoltami bene! Non lo so come faremo, ma ti tireremo fuori da questa cosa. Troveremo un modo. Ma tu... tu aspettaci, d'accordo? Non ci lasciare Seiji. Non cedere proprio adesso...”
Strinse con forza gli occhi. Si era giocato tutte le sue carte, e non sapeva più cosa avrebbe potuto fare.
Sentì le braccia attorno a lui stringere più forte, poi l'aria fredda della sera lo avvolse di nuovo, e quando aprì gli occhi, vide che Seiji se ne era andato.

 

 

“Ma quando tornano?! - Shu sbuffò sonoramente, preoccupato. - E' buio già da un po', non sarà successo qualcosa?”
Ryo si affacciò alla finestra, allungandosi all'indietro lungo lo schienale del divano ed inarcando la schiena. Gli sembrò di vedere una figura avvicinarsi lungo il sentiero che portava alla casa.
“Sta arrivando qualcuno.”
“Sono loro?”
“Uno solo.”
“Allora è Touma. Forse non l'ha trovato, o forse non è riuscito a riportarlo qui.”
Ryo strinse gli occhi per distinguere nell'oscurità.
“No. E' Seiji.”
Prima che Shu potesse fare altre domande, lo videro entrare in casa. Si limitò a salutarli con un cenno della testa, e fece per salire le scale.
“Seiji. - Ryo si era alzato in piedi. - Dov'è Touma? Non vi siete incontrati?”
“Sì, era con me.”
“E perchè non è tornato? E' successo qualcosa?”
“No. - Seiji salì i primi gradini. - Tra poco sarà qui. Buonanotte.”
E scomparve in un istante.
“Uhm. Non mi pare che le cose stiano migliorado.” Borbottò Shu.
“No. Decisamente no.” Ryo tornò a guardare verso la televisione, ma non vedeva e non sentiva nulla di quello che usciva dallo schermo. Mezzo minuto dopo, era in piedi.

 

Touma si lasciò scivolare a terra, accucciandosi ai piedi di un albero. Il conforto datogli dall'abbraccio di Seiji si era dissolto nello stesso istante in cui si era separato da lui, spazzato via dalla consapevoleza che – nonostante tutto – non avevano risolto nulla.
Seiji scivolava via dalle sue mani, e stavolta non era capace di trattenerlo.
E Shin non si svegliava.
Cosa avrebbero fatto, se avessero perso uno di loro, o forse entrambi?
Si sarebbe dissolto anche tutto il resto? Oppure avrebbero vissuto quella vita senza di loro, continuando a percepire il dolore della loro mancanza ogni giorno?
Come chi perde un arto, e continua a sentire dolore al braccio o alla gamba, come se ci fosse ancora?
Nascose il viso nelle mani, preda dell'angoscia. Che cosa aveva lui, se perdeva i suoi nakama?
Si era sforzato di non pensarci, ma tutta questa storia gli aveva sbattuto in faccia una triste verità: lui non aveva nessuno. Nessun altro, oltre a loro.
Lo aveva sempre saputo, ma l'aveva percepito chiaramente solo quando quella gente aveva catturato Ryo e Seiji servendosi delle minacce contro i loro familiari.
Su cosa avrebbero fatto leva, nel suo caso? Su una madre lontana migliaia di chilometri, e che ormai era troppo vecchia per tornare in Giappone più spesso di uno o due anni?
Un paio di amicizie più o meno superficiali tra i colleghi?
L'unica persona con cui aveva legato davvero era il suo ex superiore, che però ormai era in pensione, e non si vedevano quasi mai.
Risultato finale: era solo come un cane.
Era così immerso dentro a queste considerazioni, che si accorse solo all'ultimo minuto che qualcuno si era avvicinato.
“Ryo! - Si tirò in piedi, allarmato. - E' successo qualcosa?”
“No, stai tranquillo. Volevo solo vedere se era tutto a posto.”
Dopo che Seiji era rientrato, non era riuscito a reprimere l'inquietudine che aleggiava tra loro e che gli si era infiltrata tra le ossa. Gli era bastato scambiare uno sguardo con Shu per sapere che avrebbe tenuto d'occhio lui gli altri due, ed era uscito alla ricerca di Touma.
“Scusami, non volevo farti preoccupare. Avevo solo bisogno di riordinare un attimo le idee.”

“Più che riordinarle, sembra che tu ci stia affogando dentro...”
Touma fece un passo all'indietro, poggiandosi all'albero. Abbassò lo sguardo.
“Mi dispiace, vorrei avere ancora un briciolo di sangue freddo, ma stavolta è stato tutto così...”
Non riuscì a terminare la frase, perchè Ryo lo soffocò in un abbraccio così forte che lo fece sbattere contro la corteccia. E il suo calore era così intenso ed improvviso, che Touma si sentì rilassato e confuso.
Era come se – dopo aver camminato ore nella neve - fosse entrato all'improvviso in una stanza in cui ardeva un grande camino.
Ryo gli posò una mano sulla testa, ed era grande e rovente... Touma si sentì come un bambino che si addormenta in braccio a suo padre.
Forse era la tensione che era crollata tutta all'improvviso, forse davvero Rekka lo aveva un po' stordito... Qualunque fosse il motivo, Touma si ritrovò nella sua camera, e non ricordava nemmeno bene come ci era arrivato. Gettò uno sguardo al letto di Seiji – prevedibilmente vuoto – poi si lasciò cadere sul suo.
Si addormentò in un istante.

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Capitolo 28
*** Ventotto - Rosa come l'alba ***


Pochi minuti dopo aver accompagnato Touma in camera, Ryo scostò appena la porta e vide che dormiva già. Sospirò, mentre raggiungeva Shu che lo aspettava poggiato alla balaustra del ballatoio, davanti alla stanza di Shin.
Quando li aveva visti rientrare – quando aveva visto che Ryo portava tra le braccia Touma, immobile ed abbandonato sulla sua spalla – aveva pensato che fosse accaduto qualcosa.
Ma Ryo gli aveva fatto cenno di fare silenzio e Shu aveva capito che, semplicemente, Touma era crollato.
“Dorme?”
“Sì. Ma Seiji non è nella loro camera... Dove è sparito, stavolta?”
Shu indicò con un movimento del capo la porta davanti a sé. Ryo si accigliò.
“Adesso dorme da Shin, pur di evitarci?”
“Non è proprio così.”
“In che senso?” Ryo scostò la porta e guardò dentro. La prima cosa che vide fu il letto in cui aveva drmito Sayoko, ma Seiji non era lì. Così aprì di più, ed una lama di luce si allargò fino al letto sul lato opposto della stanza.
Shin era disteso al centro del letto. Un braccio era sfuggito alle coperte, e rimaneva sospeso sul bordo del letto.
Accanto a lui, seduto a terra, c'era Seiji. Si era addormentato così, con le gambe piegate ed il viso poggiato alla mano di Shin, come se fosse andato a cercare una carezza.
I capelli gli coprivano gli occhi, ma non la piega sottile e stanca della bocca.
“Touma ti ha detto cosa è successo?”
“No. Ma di sicuro hanno parlato, perchè era parecchio scosso. - Ryo sospirò di nuovo, più profondamente. Indicò con un cenno Seiji. - Avanti, dammi una mano a spostarlo.”
“Si arrabbierà, quando si accorgerà che lo abbiamo messo a letto.”
“Se ne farà una ragione. E' ora che anche Seiji capisca che non può fare sempre tutto da solo.”
Shu ridacchiò.
“Senti chi parla...”

 

La luce della mattina inondava la cucina.
Touma trovò il frullatore al terzo tentativo, nello sportello accanto al lavandino. Tolse il coperchio e lo sciacquò velocemente.
Era quasi sicuro che fosse ancora quello di quando avevano abitato lì venticinque anni prima, ma veniva usato così raramente che aveva ancora l'odore di plastica tipico delle cose nuove.
Buttò uno sguardo all'orologio: Shu era via già da un paio d'ore per le commissioni su cui si erano accordati, e probabilmente stava per arrivare.
Touma non lo aveva accompagnato perchè voleva rimanere a casa per controllare un po' di cose che aveva in mente, e Seiji si era defilato al momento opportuno, per evitare di venire coinvolto. La tensione piuttosto evidente che regnava tra lui e Touma aveva convinto Ryo a rimanere a casa e tenerli d'occhio, e così Shu era dovuto andare da solo.
Il che significava che – probabilmente – sarebbe tornato con le scorte necessarie per sfamare un reggimento.
Touma sorrise al pensiero: per lui il cibo non era altro che un mezzo per rimanere in vita, non era mai riuscito a prestarvi più attenzione di quella necessaria a non avvelenarsi.
Ma Shu – un po' per carattere ed un po' per formazione familiare – era l'esatto opposto. Aveva una dote speciale nell'individuare il meglio che il mercato offriva ogni mattina, e quando si metteva ai fornelli produceva una meraviglia dietro l'altra. L'importante era essere abbastanza veloci da riuscire ad assaggiare i suoi piatti, prima che li facesse sparire lui stesso...
Il rumore di un'auto che si avvicinava preannunciò il suo arrivo.
Ryo gli andò incontro, e lo aiutò a scaricare la spesa.
“Eccomi qua! Ho preso un po' di cose buone e anche un po' di vestiti, così la finirete di usare i miei!”
Seiji sollevò appena lo sguardo dal libro che stava leggendo, ma - con dispiacere degli altri - decise di non cogliere la provocazione.
“Di certo mi verrà male agli occhi per i colori che hai scelto! - Ridacchiò Touma. - Almeno hai azzeccato le taglie?”
“Certo che no! Ho preso tutte Large, perchè tanto direte che vi fa tutto schifo, e finirà che mi dovrò tenere tutto io...”
“Ma...”
Shu scoppiò a ridere davanti alle espressioni perplesse dei suoi nakama.
“Avanti, sto scherzando!”
Aprì alcuni sacchetti, e cominciò a distribuire i suoi acquisti. Una felpa ed un paio di maglie a maniche lunghe per Ryo e Touma, e un maglioncino di cotone e due camice per Seiji.
Seiji si chiese come avesse fatto ad indovinare la taglia del colletto, e sentì qualcosa pungerlo al centro del petto. Ma si riprese all'istante dalla commozione che minacciava di colpirlo quando vide che una delle camice era bianca a sottilissime righe... rosa.
“Shu!”
“Sì?”
“Niente, lascia stare. - Si alzò e si diresse fuori in giardino. - Grazie per gli acquisti, ti restituirò la tua felpa appena l'avrò lavata.”
Shu sospirò, mentre rovesciava sul tavolo un altro sacchetto pieno di biancheria.
“Niente da fare. - Si rivolse a Touma, accigliandosi. - E tu? Intendi tenere il segreto ancora per molto?”
“Non c'è nessun segreto.”
“Certo. Seiji ci evita, non si arrabbia, non reagisce... E tu sai qualcosa, ma non ce lo vuoi dire. Pensi che siamo troppo stupidi per capire, o che non saremmo comunque in grado di aiutarvi?”
“Piantala.”
“La pianterò quando mi dirai cosa sta succedendo!”
Ma le sue ultime parole caddero nel vuoto, perchè Touma era tornato in cucina, chiudendosi la porta alle spalle.
“Accidenti!”
“Lascialo in pace, Shu. Lo so che sei preoccupato, ma se Touma non vuole parlare avrà i suoi motivi. Abbi fiducia in lui, d'accordo?”
“Ryo! - Shu sollevò i pugni con rabbia, ma poi abbassò il capo, mesto. - Non mi parlare di fiducia, ok?! Per favore...”
Abbi fiducia. Era quello che aveva detto Shin, e questo era il risultato.
Shu non voleva avere fiducia.
Non voleva aspettare.
Avrebbe voluto avere qualcosa contro cui poter combattere e risolvere tutto, ma non era così.
Si diresse verso la cucina. Ryo fu tentato di fermarlo, ma dal modo in cui camminava, con il capo chino e le mani affondate nelle tasche, capì che non ce n'era bisogno.

 

“Scusami. - Touma stava lavando un po' di frutta, e non alzò lo sguardo. - Io non penso che tu sia stupido... Ma non posso parlare. Non ancora.”
“Va bene.”
“Davvero?”
“No. Ma andrà bene lo stesso. - Poi si avvicinò, e si sporse oltre la sua spalla per vedere cosa stesse facendo. - Cosa avevi in mente, esattamente?”
Touma fu veloce a cogliere l'offerta di pace del suo nakama.
“Pensavo che potremmo provare con un frullato molto liquido, con molto latte e un po' di frutta. Questa che hai preso va benissimo.”
“Uhm. Se funziona, magari stasera potrei fare una zuppa.”
Ryo entrò mentre la voce del frullatore copriva ogni altro rumore. L'odore della frutta si mescolò a quello del latte e della plastica.
“Cosa fate?”
Shu aspettò che il rumore cessasse, poi si issò a sedere sul tavolo.
“Cerchiamo di preparare qualcosa per far mangiare Shin.”
“Pensate che ci riuscirà?”
Touma versò il frullato in un alto bicchiere di vetro, poi ne saggiò la consistenza con un cucchiaio.
“Ieri siamo riusciti a fargli bere un po' d'acqua. Non è abbastanza cosciente da masticare e inghiottire, ma sembra che abbia l'istinto di deglutire. Pensavamo che magari con qualcosa di abbastanza liquido...”
Ryo annuì.
“Proviamo...”

 

Touma entrò nella stanza di Shin con un vassoio in mano. Lo poggiò vicino al letto, poi si sedette accanto al suo nakama e gli passò una mano sulla fronte.
“Allora, Shin... Facciamo un altro tentativo?”
Il frullato della mattina era andato a buon fine per quasi metà, ma poi Shin aveva serrato le labbra e piegato la testa da un lato, e avevano dovuto rinunciare.
Lo sollevò a sedere, e si mise in modo da riuscire a sostenerlo con un braccio, e provare a farlo bere con l'altro.
“Questa l'ha cucinata Shu, vedrai che ti piacerà.”
Controllò – per la terza volta – che non scottasse, poi posò il lungo bicchiere sulle sue labbra, facendogli inclinare appena un po' il capo all'indietro.
Abbastanza da invitarlo a deglutire, ma non troppo per evitare che gli andasse di traverso.
Avevano sempre scherzato sul fatto che fosse impossibile che Shin avesse problemi con qualsasi cosa liquida, ma dopo quello che era successo non gli sembrava più un'idea così divertente.
Shu era di sotto a preparare la cena e Ryo era uscito ad avvertire Seiji che entro poco sarebbe stato in tavola, così stavolta Touma era andato da solo a cercare di far mangiare Shin.
Avrebbe potuto aspettare gli altri, ma la verità era che aveva bisogno di un attimo di calma, possibilmente da solo.
“Coraggio. - Shin scostò le labbra, e con sollievo di Touma, cominciò a mandar giù la zuppa tiepida. - Ecco, perfetto...”
Continuarono così fino a che Shin glielo permise, poi girò il capo verso di lui e lo abbandonò contro la sua spalla. Touma posò il bicchiere sul vassoio, poi si sistemò in modo da tenerlo ancora un po' seduto lì accanto a lui.
Shin respirava piano. Il capo tra spalla e collo, le labbra leggermente dischiuse, la frangia che ricadeva quasi sugli occhi.
Touma gliela spostò all'indietro.
“La tieni sempre così lunga... sarà meglio che ti sbrighi a svegliarti, o finirà che dovremo spuntartela, sai? - Dovette deglutire, per impedire alla propria voce di incrinarsi. - Davvero Shin, è ora che torni da noi. Siamo nella merda fino al collo se non torni, lo sai? Tua sorella è ad Hagi che non si dà pace, mi ha chiamato quattro volte anche oggi. E io le ho promesso delle cose, l'ho convinta a firmare per mandarti a casa... Si è esposta per colpa mia. E Seiji sta male, e io non so cosa fare per aiutarlo... E non posso parlarne a quei due, davvero. Riesci ad immaginare il casino che metterebbero su, se sapessero cosa mi ha detto? Nel giro di mezz'ora Seiji saprebbe che ho sbracato, e a quel punto... beh, lo sai da solo. Non ci sarebbe più modo di farlo aprire.”
Posò le labbra sulla sua fronte: era ancora gelido. Fin da quella mattina le loro temperature avevano cominciato a tornare normali, ma Shin era ancora così freddo, e non sembrava per niente un buon segno. Erano già passati tre giorni da quando Shin aveva assorbito Izumi, e non era cambiato niente.
“Ho bisogno che tu mi dia una mano a gestire quei tre, o mi faranno diventare pazzo. Davvero, non ci sono tagliato a far da paciere. Non ci tengo a soffiarti il posto, quindi...”
Gli accarezzò lo zigomo con il dorso della mano, poi si rassegnò a rimetterlo giù senza aver ottenuto una risposta. Tirò un paio di lunghi respiri, cercando di ricomporsi. Se tornava di sotto in quello stato avrebbe finito col farli agitare ancora di più.
Aveva appena raccolto il vassoio da terra, quando entrò Ryo.
“Allora? Come è andata?”
“Beh... l'ha quasi finita, quindi immagino che vada bene. Però è ancora molto freddo...”
“Perchè non proviamo di nuovo a riunire i poteri? Potremmo risvegliare Suiko...”
“Non lo so... E' un tentativo alla cieca, se fosse pericoloso?”
“L'abbiamo fatto anche tre giorni fa, e ha funzionato.”
“E' diverso. Non avevamo scelta, e abbiamo tentato il tutto per tutto. Ma non possiamo essere sicuri che abbia funzionato davvero... per quel che ne sappiamo, potremmo aver fatto anche del danno. Finchè Shin non si sveglia...”
“Ma non si sveglierà, se non facciamo qualcosa!”
“Non puoi saperlo.”
“Quindi? Aspettiamo e basta? Quanto credi che possa andare avanti in questo modo?!”
Touma si alzò. Sapeva benissimo da solo che il tempo a loro disposizione si stava rapidamente esaurendo. Si fermò un istante sulla porta.
“Ti aspetto di sotto.”
Ryo si avvicinò al letto e sospirò. Sembravano un ingranaggio che aveva perso un pezzo: ad ogni giro barcollavano e cozzavano gli uni contro gli altri.
Non esisteva equilibrio, se uno di loro mancava all'appello.

 

La porta della camera si aprì, ed un tenue spicchio di luce si allargò sul pavimento. Touma rimase immobile, fingendo di dormire. Non era in vena di ingaggiare un'altra discussione con Ryo o Shu, e non c'erano molte possibilità che fosse Seiji.
Un paio di passi leggeri, poi il materasso che sprofondava appena sotto il peso di una persona che si era seduta accanto a lui.
Sentì dita leggere sfiorargli appena una mano.
“E così dormi della grossa, come sempre.”
Contro ogni previsione, era Seiji.
Touma fece uno sforzo per non lasciar trapelare che era sveglio.
Ripensò alla frustrazione che aveva provato poco prima parlando a Shin senza ottenere risposta, mentre sembrava che Seiji fosse andato da lui proprio perchè pensava che dormisse.
“Non ti preoccupare, vado via subito. Volevo solo dirti che... che io non voglio andarmene. - Si chinò su di lui e gli sfiorò appena la fronte con le labbra. - Buonanotte, Touma.”
Stoffa che frusciava, poi la porta che velocemente veniva aperta e richiusa.
Touma spalancò gli occhi, mentre il cuore accelerava un po'.
Un pensiero lo aveva folgorato all'improvviso, non appena Seiji era uscito dalla stanza. Era andato altre volte a parlargli mentre dormiva? Era una specie di abitudine, figlia di quella terribile incapacità di Seiji di tirar fuori più di due parole, nemmeno sotto tortura?
E quante confessioni notturne si era dormito?
Si portò le mani al volto, chiedendosi perchè dovesse essere sempre tutto così complicato.
Non voglio andarmene.
Se non lo avesse conosciuto così bene, avrebbe potuto essere contento di quello che aveva sentito.
Ma Touma conosceva molto bene Seiji, e le parole che aveva scelto non gli piacquero per nulla.

 

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Capitolo 29
*** Ventinove - Bianco come il passato ***


Il bianco si mischiava al trasparente in lente volute. Si attorcigliava e disperdeva ai margini come latte versato nell'acqua.
Ma al centro, dove si trovava Shin, era compatto e candido. Non era in grado di stabilire da quanto si trovasse lì: era quel genere di luoghi - che purtroppo aveva già avuto modo di sperimentare - in cui il concetto del tempo era diverso da quello che regolava la sua vita sulla terra.
Ma sapeva che non era poco, e sapeva di aver consumato ormai quasi tutto quello a sua disposizione.
Aveva cercato da uscire da quella nube liquida più di una volta, nuotando con tutte forze, ma non era riuscito nemmeno ad avvicinarsi ai bordi.
Il bianco lo tratteneva al centro, e lo investiva con la sua cacofonia di voci. C'erano quelle di Tenku, di Kourin, di Kongo e di Rekka, che subito di erano riunite a Suiko, fondendosi.
Dietro ad ognuna di esse c'era la voce di uno dei suoi nakama, ma c'erano anche altre voci.
Suoni di odio e di battaglia, di sete di potere e di violenza e forza incontrollabili. Conosceva bene quelle voci, vi si era opposto con tutto sè stesso molti anni prima. Ed ora, non sapeva come, erano tornate a tormentarlo, e non lo lasciavano risalire in superficie.

 

 

Un ruggito sommesso ed una lingua umida e ruvida furono ciò di cui aveva bisogno per riuscire finalmente a svegliarsi. Ryo si sollevò a sedere sul letto, i muscoli della schiena indolenziti e la testa che ronzava, come sempre quando faceva uno di quei sogni che lo trascinavano in profondità e gli portavano messaggi.
Byakuen era chino su di lui e lo osservava con espressione preoccupata.
"Sto bene, sta' tranquillo." Si massaggiò la fronte, cercando di riacquistare lucidità.
Un altro ruggito, una sorta di protesta.
"Ti dico che va tutto bene. Adesso scendi da questo letto, prima che lo sfondiamo."
La tigre balzò giù, non prima di avergli assestato un'ultima lappata dal mento fino alla tempia. Ryo ridacchiò, ma gli occhi erano seri. Si mise in piedi.
"Andiamo, dobbiamo parlare con gli altri."

 

"Cosa significa che è intrappolato?" Shu si era innervosito subito, praticamente appena Ryo li aveva riuniti tutti in cucina per parlargli del suo strano sogno.
"Non lo so."
"E da cosa è intrappolato?"
"Non lo so."
"E allora cos'è che sai?!"
Seiji si passò una mano sugli occhi: man mano che la situazione peggiorava, quei due impiegavano sempre meno a scaldarsi. Ryo era come dinamite che faceva saltare in aria intere montagne, e Shu era una montagna di una certa mole. Figurativamente parlando, ovviamente.
"So che ho sognato Shin. Cercava di tornare da noi, ma non ci riusciva. E c'era qualcosa che non lo lasciava andare."
Touma si mise in piedi tra i due, che erano seduto ai lati opposti del tavolo.
"Sei sicuro che non fosse semplicemente un sogno? Magari sei preoccupato per lui, e..."
"No. So distinguere un sogno creato dalla mia mente da qualcosa che mi arriva da uno di voi."
"E' strano, però. In genere è più facile che il legame si manifesti quando siamo svegli."
"Cos'è, non mi credi?"
"Sto solo cercando di analizzare le cose con calma. Non possiamo agire alla cieca, senza aver capito esattamente cosa hai visto e perchè."
Seiji decise di intervenire.
"Può darsi che ciò che lo tiene in trappola impedisca al legame di funzionare a livello conscio. Abbiamo provato a raggiungere Shin diverse volte in questi giorni, e non ci siamo riusciti."
Touma annuì.
"Sì. pensavo fosse per via dell'indebolimento di Suiko, ma forse c'è davvero qualcosa che ci blocca."
"Izumi?"
"Forse."
"Quel maledetto demone continua a far danni! - Shu non riusciva ad accettarlo. - Ma perchè diamine Shin si è impuntato a salvarlo?!"
"Però non mi convince... - Touma passeggiava avanti e indietro per la stanza. - Ryo, nel sogno riuscivi a vedere cosa lo bloccava? Che aspetto aveva?"
"Era... beh, era piuttosto indefinito. Però era bianco, e mi dava la sensazione di qualcosa che in realtà conosco molto be..."
Si bloccò a bocca aperta, gli occhi che si sgranavano e la mano sollevata a mezz'aria che tremava impercettibilmente. Un brivido percorse anche gli altri tre.
Seiji, che fino a quel momento aveva preferito tenersi in disparte, poggiato alla finestra della cucina, si avvicinò al tavolo. Anche Touma smise di passeggiare, e si chinò in avanti, le mani premute sul piano di legno, nel tentativo di non farsi prendere dal panico.
"Ryo. Era... una kikoutei?"
Ryo si coprì il volto con le mani, cercando di ricordare con precisione la sensazione provata in sogno. La sovrappose a ciò che ricordava dell'armatura bianca, e di ciò che aveva sentito ogni volta che l'aveva indossata.
"Io... credo di sì."
Seiji chiuse gli occhi, stringendo le labbra.
"Un'altra armatura bianca..."
Shu saltò in piedi.
"Ma come è possibile?! L'abbiamo... l'abbiamo richiamata noi?"
Touma allontanò una sedia dal tavolo e ci si sedette.
"Può darsi. Quando abbiamo riunito i poteri per svegliare Shin, inizialmente avevano cercato di confluire verso Ryo. Non abbiamo avuto tempo di pensarci, ma anche l'altra volta la Kikoutei aveva scelto Rekka.”
“Però siamo riusciti a riportarla indietro. Non l'ho sentita formarsi.”
“Ma di fatto l'abbiamo costretta a rifluire dentro a Shin. Anche se, in questo caso, forse avrebbe dovuto indossarla.”
“Forse era troppo debole per riuscirci.”
“No, io credo che la Kikoutei non voglia essere indossata da uno di noi che non sia Ryo. - Seiji si allontanò di nuovo verso la finestra, ma continuò a parlare. - Credo che si opponga a Suiko, e che quindi rimanga sospesa a metà. E di conseguenza, tenga sospeso anche Shin.”
“Quindi non si sveglia perché l'armatura bianca non glielo permette?”
“Credo di sì.”
Touma si fermò a riflettere qualche istante.
“Sì, credo che Seiji abbia ragione.”
“Quindi abbiamo sbagliato a riunire i poteri?”
“Non avevamo scelta, ed in un certo senso ha funzionato. Solo che abbiamo creato anche qualcosa che non lo lascia ritornare.”
“E quindi come facciamo a liberarlo?”
“Dobbiamo richiamare la Kikoutei.”
“Ryo, lo sai cosa significa, vero? Già non sarà facile farla uscire da lì: ammesso che ci riusciamo, cosa credi che succederà? Quasi sicuramente si unirà a Rekka, e tu dovrai portarne di nuovo il peso.”
“Cercheremo un modo per disperderla. E se si riformerà dentro di me, dovremo solo fare molta attenzione a non richiamarla mai. In fondo, non sarà molto diverso da quello che abbiamo fatto in questi anni.”
Seiji lo guardò duramente.
“Sai bene che non è così. Sarà molto più difficile evitare di evocarla, ora che l'abbiamo lasciata riformare.”
“Hai un'altra soluzione? Credi che Shin possa aspettare ancora a lungo?”
Nessuno rispose. Come tre giorni prima, ognuno di loro aveva cercato di dissuadere l'altro dal fare qualcosa che sapeva inevitabile.
Il primo a riscuotersi fu Shu.
"E come facciamo a fare una cosa del genere?"
Touma sospirò: "Non ne ho idea."
"Cosa significa che non ne hai idea?!"
"Significa che non lo so! Ti ricordo che l'armatura bianca è apparsa la prima volta in condizioni estreme, e del tutto al di fuori della nostra volontà. All'inizio non capivamo nemmeno come evocarla, ed ogni volta ci costava uno sforzo enorme. E anche dopo non è mai stata davvero in nostro controllo, e sappiamo tutti come è finita! - Touma aveva alzato la voce, e si impose di ritornare ad un tono più pacato. - Perciò non so assolutamente come faremo ad estrarla da Shin. Non sono nemmeno sicuro che sia possibile farlo..."
“Forse... - Seiji sembrava incerto. - Forse dovremmo concentrarci sul nostro elemento. Ognuno di noi deve cercare di richiamare il proprio.”
“Come se cercassimo di scomporla?”
“Sì. Anche se dubito che sia possibile spezzarla. Però il legame che ognuno ha con il proprio potere dovrebbe rendere più facile il contatto. Non ha senso che cerchiamo di richiamarla così intera, anche perché non la sapremmo governare.”
“D'accordo, proviamoci. Non ha senso aspettare ancora.”

 

Touma mosse il collo nel tentativo di sciogliere i muscoli.
Di fronte a lui erano seduti Ryo e Seiji, mentre Shu era salito a prendere Shin.
Cercò di allentare la tensione concentrandosi suoi dettagli di ciò che vedeva. Stavolta si soffermò su Ryo, e sui bracciali che indossava sempre. Erano cinque o sei, e ormai erano consunti e scoloriti. Sembravano fondersi alla sua pelle scura, e non stonavano affatto con le sue mani grandi e piene di calli e cicatrici.
Ce n'era uno di cuoio intrecciato. Uno di cordino scuro, con alcune perline di pietra dura. Una fascetta, anche questa di cuoio, un braccialetto dell'amicizia azzurro che aveva annodato per lui la bambina dei suoi vicini, e una catena di argentone annerito.
Non sembravano oggetti adatti ad un guerriero, ma quando Ryo combatteva indossava l'armatura, e l'armatura li nascondeva, insieme a tutto ciò che lo rendeva umano.
Touma fu riscosso dai propri pensieri dai passi di Shu che scendeva le scale portando tra le braccia Shin, avvolto in una coperta.
Lo adagiò sulle sedute che avevano tolto dai divani e posato a terra in modo da formare un materasso improvvisato.
Avevano deciso che lo spazio della camera da letto era troppo angusto per qualsiasi cosa potesse scaturire da questo loro tentativo. La grande sala a doppia altezza sembrava più adatta, anche se non significava che non avrebbero comunque potuto distruggere tutto anche solo in un istante.
Si riunirono in cerchio attorno a lui. Raccolsero una sua mano inerte e gliela posarono sul petto, poi riunirono le loro su di essa.
Come avevano stabilito, ognuno di loro si concentrò sul proprio elemento. Inizialmente trovarono quello che albergava in loro, ma dopo poco riuscirono ad isolare quella parte che era stata invece estratta ed ora si trovava all'interno di Shin.
Era simile a come erano abituati a percepirlo, ma conteneva in sé anche note nuove, come se si sovrapponesse agli altri in alcuni punti, creando sfumature e colori nuovi.
Quando Seiji sentì che il contatto era ben saldo per ognuno di loro quattro, sollevò lo sguardo verso Ryo, che annuì appena.
“Adesso.”
Creando con la mente una sorta di flusso che penetrasse all'interno del petto di Shin, lo usarono come se fosse una corda, e tirarono.
Tirarono e tirarono, cercando di richiamare fuori quello che tre giorni prima avevano fatto entrare.
Erano immobili come statue, ma i loro volti tradivano lo sforzo che stavano compiendo.
Le yoroi comparvero attorno a loro come ombre, vibrando e rimanendo immateriali.
Rekka era quasi una fiamma.
Kourin brillava e pareva fatta di luce, e Tenku era come vento che si avvolgeva attorno al corpo.
Kongo sembrava fatta di cristallo durissimo ma trasparente, e dopo qualche istante apparve anche Suiko, che tremolava come acqua mossa dal vento in piccolissime onde.
Ma poi divenne tutta bianca, e cambiò forma. L'elmo divenne più squadrato, gli spallacci e la schiena più grossi e meno aggraziati.
Sembrava quasi che la Kikoutei si sarebbe lasciata indossare da Shin, ma poi fu Suiko a tornare ad avvolgerlo. Fu un istante di calma prima della tempesta: una luce densa e vibrante si espanse dal suo corpo, allargandosi in una sfera che li attraversò tutti, e che continuò a crescere fino a riempire tutta la stanza.
I vetri delle finestre presero a vibrare, alcuni esplosero. Le tende vennero risucchiate fuori come se all'esterno della casa ci fosse stato il vuoto, e tutto cominciò e scricchiolare e gemere.
Gli oggetti più piccoli si sollevarono dai mobili cominciando a vorticare per la stanza, schiantandosi a terra e contro i muri.
L'aria si riempì presto di schegge e frammenti di tutto ciò che stava andando i frantumi, e di tutto ciò che entrava da fuori – Foglie, terra, sassi – risucchiato all'interno dall'onda di energia che aveva smesso di espandersi, e che ora si stava addensando al centro, poco sopra di loro.
Era così forte che alcune grosse nubi si raccolsero sopra al tetto della casa, e il vento prese a scuotere gli alberi attorno in tante direzioni diverse, quasi come un vortice.
Cercarono di sollevare lo sguardo sulla kikoutei, che rapidamente stava prendendo forma, mentre i capelli frustavano loro il viso, e tutto ciò che vorticava nella sala li colpiva, riempiendo i loro visi e le loro mani di graffi e piccoli tagli.
“Si sta... si sta formando!”
“Dobbiamo distruggerla!”
Cercarono di eseguire la vestizione, ma non vi riuscirono.
Erano indeboliti dallo sforzo di aver mosso l'armatura bianca, ma soprattutto non riuscivano ad addensare il proprio elemento nella forma di armatura, perché non appena vi provavano, la Kikoutei lo strappava via da loro per nutrirsene. Stava rapidamente risucchiando da loro tutte le energie, e le stava richiamando allo stesso modo anche da Shin, che non poteva opporvisi.
“Non la teniamo, ci sta sfuggendo!”
Si stava liberando, e sarebbe tornata nel mondo, senza che potessero controllarla. E stava uccidendo Shin, e forse li avrebbe uccisi tutti.
“No!” Gridò Ryo. Si sollevò in piedi con uno sforzo, mentre tutto diveniva sempre più violento e incontrollabile. Gli altri seppero in un attimo cosa avrebbe fatto.
“Ryo, no! E' troppo forte, adesso!”
“E' troppo pericoloso, aspetta!”
Seiji e Touma si lanciarono in avanti, cercando di fermarlo, mentre Ryo gridava alla Kikoutei.
Eccomi.
Vestizione.

Shu si buttò in avanti a coprire il corpo di Shin, ma non distolse lo sguardo dal suo nakama che veniva investito dalla potenza dell'armatura bianca.
Lo videro scomparire nell'onda d'urto accecante e candida, mentre un boato terrificante invadeva la casa e faceva ribollire le acque del lago.

 

Seiji cercò di abituare gli occhi alla luce che tornava lentamente, dopo che era stato sprofondato in una oscurità sconosciuta.
Non sapeva se fosse davvero buio nella casa sul lago, o se la luce gli fosse stata strappata da dentro.
Dopo qualche istante tornò a vedere.
I suoi nakama erano tutti attorno a lui, tramortiti. Shu fu il secondo a riuscire a sollevarsi, e Touma lo seguì dopo poco. Si trascinarono verso Ryo, che era stato sbalzato diversi metri indietro, ed era andato a sbattere contro il muro opposto alle finestre.
L'aria attorno al suo corpo era calda e vibrante, come una sorta di aura febbricitante. Era l'eco della kikoutei, che l'aveva avvolto e poi si era dissolta.
Potevano percepire chiaramente come si fosse annidata dentro di lui.
Ma il suo corpo sembrava intatto, e il respiro era lento e regolare.
Si concessero un sospiro di sollievo, anche se sapevano di aver aperto una porta dalla quale sarebbero usciti parecchi problemi.
Un lamento roco alle loro spalle li fece sussultare. In un istante furono attorno a Shin, le cui palpebre tremavano nello sforzo di aprirsi. Riuscì a tenere gli occhi aperti solo pochi attimi prima di addormentarsi di nuovo, ma dal suo sguardo seppero che era tornato.

 

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Capitolo 30
*** Rosso, arancio, verde, azzurro e blu ***


Ryo aprì gli occhi, lentamente. Impiegò qualche secondo a mettere a fuoco la stanza che lo circondava, e qualche minuto perché le orecchie smettessero di essere attraversate da un fastidioso ronzio. Non riuscì a trattenere un gemito quando provò a muoversi e si rese conto di essere tutto indolenzito e ammaccato. E la testa gli scoppiava. Doveva averla sbattuta da qualche parte, perché qualcuno gli stava tenendo del ghiaccio premuto contro la nuca.
“Resta fermo. - La voce calda di Seiji aveva sempre qualcosa di rassicurante. - Hai fatto un bel volo.”
“Non me lo ricordo...” Borbottò, passandosi una mano sugli occhi.
“Non ricordi nemmeno cosa hai fatto?”
“Io... ho indossato la Kikoutei.”
Seiji si limitò ad annuire.
“Shin?”
“Si è svegliato già un paio di volte. Crolla dopo poco, ma è lui. Sta bene.”
Ryo chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dall'ondata di sollievo: non avrebbe sopportato che tutto quello che era successo si fosse rivelato inutile.
“Gli altri?”
“Shu sta cercando di ripulire un po' a piano terra. E Touma credo sia col vetraio. O col falegname.”
Ryo non poté non cogliere la nota divertita nella voce di Seiji: le scarse abilità manuali di Touma erano argomento noto, il massimo che poteva fare per aggiustare qualcosa era... chiamare un artigiano che lo facesse al posto suo.
“Puoi togliere il ghiaccio, adesso. Mi sembra che stia passando.”
“Mi spiace di non poter fare di meglio. Kourin è ancora molto instabile, e non riesco ad incanalarla.”
“Non ti preoccupare, sto bene.”
Byakuen si sollevò in piedi, dopo aver pazientemente aspettato ai piedi del letto che Ryo riprendesse conoscenza. Ormai era quasi ora di cena.
Ryo le accarezzò il pelo folto del collo, e sentì qualcosa vibrare tra loro. La tigre ruggì piano, comprensiva, e lo colpì un paio di volte con il muso.
Il legame tra loro prendeva molte forme di verse, e una di queste passava attraverso la yoroi.
Ryo aveva sempre pensato che non fosse un caso che Byakuen prendesse la forma di Kokuenoh quando lui indossava la Kikoutei. Era come se quella parte della tigre si adattasse meglio alla natura dell'armatura bianca.
“Lo so... - Mormorò. - Lo sento anch'io.”

 

Touma chiuse la comunicazione con la Francia, dopo aver avvertito Nasty che finalmente stavano tutti bene, e che... le avevano distrutto il salotto. Stava per rientrare in casa, quando il cellulare squillò di nuovo.
"Pronto?"
"Ragazzo mio, che cosa mi combini?!"
"Professor Hasegawa?"
"Proprio io! Allora, come stai?"
"Io sto bene, professore. - Touma era un po' spaesato, ma poi si ricordò che il suo nome era stato fatto ai notiziari. - Si è risolto tutto, grazie."
"Mi fa davvero piacere. Eh, all'inizio mi ero proprio preoccupato per te, ma sono contento che sia tutto a posto. - Ridacchiò. - Lo sai? A quanto pare questa storia ha avuto anche dei risvolti... beh, diciamo comici."
"In che senso?"
"Mi erano arrivate delle voci dai tuoi amici all'università. Pare che tu abbia mandato a quel paese il mio successore, eh?"
Touma annaspò, imbarazzato, e l'uomo rise.
"Beh, mi ha chiamato in un brutto momento, e..."
"Non voglio sapere, altro, non ti preoccupare... Comunque: lo sai che aveva cominciato a smuovere mari e monti per farti rimuovere dal tuo incarico?"
Touma sospirò.
"No, ma lo immaginavo."
"Beh, quel ragazzetto arrogante ha parecchie amicizie, e credo ci sarebbe anche riuscito, nonostante il tuo ottimo stato di servizio. Stavo per fare un paio di telefonate per difenderti, quando è uscita la notizia del tuo rapimento ai telegiornali. - L'uomo rise ancora, con evidente soddisfazione. - A quanto pare tutte le cattiverie che aveva detto su di te e sulle tue assenze ingiustificate gli si sono ritorte contro! Tutte quelle chiacchiere sul fatto che tu fossi inaffidabile, che non rispondevi al telefono da giorni... si è dovuto rimangiare tutto e chiudersi nel suo ufficio con la coda tra le gambe!”
“Beh, ma mica lui poteva sapere cosa mi è successo!”
“No, ma si è permesso di sollevare un polverone contro di te appena si è insediato, mentre avrebbe dovuto ascoltare chi ti conosce bene e gli diceva che di certo c'era un motivo se non eri reperibile. Inoltre... - La voce del professore divenne allusiva. - ...i giornalisti hanno fatto intendere che eri stato rapito perché cercavi di aiutare la famiglia Date, e di certo questo ha contribuito a mettere te in buona luce, e lui in ridicolo...”
Touma non rispose. Quella faccenda gli avrebbe procurato un bel po' di domande da mezza facoltà, e parecchie mezze verità da inventare.
“Va bene, ti lascio perché certamente avrai parecchio da fare. Sono contento che tu stia bene, e quando avrai tempo e voglia, mi racconterai cosa è successo...”
“Certo, professore. Grazie di avermi chiamato.”
“Ci mancherebbe! A presto, figliolo.”

 

Era quasi ora di andare a dormire, ma Shin non aveva sonno. Era rimasto a letto quasi tutto il giorno, riuscendo a rimanere sveglio ogni volta sempre più a lungo. Per cena si era sentito abbastanza in forze da scendere giù e mangiare con gli altri, ma poi aveva dovuto mettersi di nuovo steso, perché aveva esaurito subito le energie.
Ed ora aveva tutti i ritmi alterati, insieme ad una leggera inquietudine che non lo lasciava rilassare.
Per tutto il giorno i suoi nakama si erano alternati per tenerlo d'occhio e fargli un po' di compagnia, e adesso, acciambellato sul letto di fronte al suo, Touma leggeva un libro, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata.
Shin spostò lo sguardo dalla finestra all'amico, e si decise a chiedere.
“Touma?”
“Sì?”
“Che cos'ha Ryo?”
“In che senso?”
“Mi evita. Sono già tre volte che lo trovo qui quando mi sveglio, e che scappa con una scusa subito dopo. E' arrabbiato con me?”
“Ma no, cosa dici? Perché dovrebbe?”
“Non lo so... perché ho voluto assorbire Izumi?”
“Naaa, quello semmai è Shu. Era così preoccupato che non riusciva a perdonartela. Ma adesso che stai meglio, gli è già passata. Lo sai come è fatto: dimentica in un istante, esattamente alla stessa velocità con cui si arrabbia.”
“E allora qual'è il problema?”
“Perché deve esserci per forza un problema? Ryo non vorrà disturbarti, lo sai che è una persona riservata.”
Shin per un attimo sembrò rinunciare. Giocherellò con l'orlo del lenzuolo, guardando davanti a sé, e Touma riportò gli occhi sulla pagina che stava leggendo. Ma dopo poco venne distratto di nuovo.
“Avanti, puoi chiedermelo.”
“Che cosa?”
“Quello per cui continui a studiarmi da dietro al libro.”
“Ma no, cosa...”
“Touma, per favore. Quando leggi sul serio, cadi in isolamento dal mondo. Credo di conoscerti abbastanza da dire che stai pensando a tutt'altro, adesso.”
Touma sbuffò, imbarazzato.
“Beh, riflettevo su alcune cose. Ma ne parleremo quando ti sarai rimesso del tutto, ora devi solo riposare.”
Shin si sollevò a sedere un po' più dritto, e lo fissò negli occhi.
“Credimi, sono perfettamente in grado di affrontare sia le tue domande sia la cosa che Ryo mi sta nascondendo. Tanto ormai l'ho capito che c'è qualcosa che non va e, davvero, preferisco saperlo subito piuttosto che starmene qui a rodermi nel dubbio, mentre voi aspettate che io sia abbastanza in forze. Perciò, adesso fammi questa benedetta domanda, e io ti risponderò. Ma... - Alzò un dito in segno di minaccia. - ...in cambio tu mi dirai cosa sta succedendo.”
Non era facile spuntarla con Shin, e Touma pensò che in fondo - forse - non era una cattiva idea togliersi un altro di quei sassolini che lo pungevano da dentro da giorni.
“E va bene. - Touma sembrò riflettere un attimo. - Però... non devi assolutamente prenderla come una mancanza di fiducia nei tuoi confronti, d'accordo? E' solo... uno scrupolo mio, ecco.”
“Quindi?”
“Mi chiedevo... Lo so che sei sveglio da poche ore, ma... hai già ristabilito la connessione con Suiko? Riesci a sentirla?”
“Beh, sì. Non al cento per cento, ma in generale direi di sì. Perché?”
“Ti sembra che sia cambiato qualcosa? Nella yoroi, o nel tuo legame con l'elemento?”
Shin si fermò a pensarci. Chiuse gli occhi e cercò di ascoltare il suono sommesso dell'acqua dentro di sé. Forse c'era qualcosa di leggermente diverso, ma non avrebbe saputo dire cosa.
“Cosa dovrei cercare, esattamente?”
“Ti sembra di sentire Izumi? Credi che assorbirlo abbia cambiato qualcosa?”
Shin fece un sorriso triste, poi ascoltò di nuovo, con maggiore attenzione.
“Forse. Forse c'è una specie di voce che si mescola al rintocco dell'armatura, ma non è niente più di una eco. Non ti devi preoccupare, sento che è tutto a posto.”
Touma lo fissò negli occhi per qualche istante, cercando di capire se Shin fosse del tutto sincero, o se stesse cercando di tranquillizzarlo. Poi annuì.
“D'accordo. Ma se dovessi sentire che c'è qualcosa che...”
“Ve ne parlerò subito, promesso. - Sorrise, ma poi si fece di nuovo serio. - E adesso voglio sapere cos'ha Ryo. Per favore.”
Touma sospirò. Sperava che quella faccenda sarebbe rimasta segreta ancora per un po', ma Ryo era un libro aperto, e Shin fin troppo intuitivo.
Cominciò a raccontare di come fossero ricorsi all'unione dei poteri nel tentativo di salvarlo dall'onda di Izumi, e di come non riuscissero a svegliarlo. Gli parlò del sogno di Ryo, e della decisione di estrarre la Kikoutei. Accennò al disastro che si era scatenato, cercando di minimizzare.
Man mano che parlava, vide Shin divenire sempre più pallido e angosciato, e non poté fare a meno di sedersi sul letto e stringergli le mani.
“Quindi... Quindi la Kikoutei è tornata in vita?”
“Sì.”
“Ed è... Ryo è...”
“Purtroppo sì. Non riuscivamo in nessun modo a governarla, e lui l'ha dovuta vestire.”
Shin si portò una mano alla bocca, mentre serrava gli occhi nel tentativo di non lasciarli riempire di lacrime.
La sua decisione di assorbire Izumi stava avendo molte più conseguenze di quanto avrebbe voluto, e molto più gravi. Aveva agito di impulso: quando era entrato in contatto con quello spirito, era stato travolto dalla sua sofferenza: l'aveva sentita riverberare dentro di sé, e mischiarsi alla propria.
Tutto quello che aveva sofferto in quei giorni si era sommato e mischiato al dolore secolare di Izumi, e Shin sapeva che non avrebbe sopportato di lasciarlo morire. Se lo avesse permesso, avrebbe sentito il proprio cuore spezzarsi in due.
Ma aveva messo in pericolo sé stesso e i suoi nakama, ed ora avevano questo peso in più da portare.
“E' colpa mia.” Sussurrò.
“No! Noi l'abbiamo richiamata, e noi non siamo stati capaci di trattenerla.”
“Ma non avreste dovuto farlo, se io non mi fossi messo nei guai. E' per colpa mia che la Kikoutei è tornata. Ryo ha ragione ad essere arrabbiato con me.”
“Smettila! Ryo non è arrabbiato con te, nessuno di noi lo è!”
“E allora perché mi evita?!”
“Perché la Kikoutei si sta assestando, ed è facile percepirla. Ryo sapeva che avresti capito subito cosa era successo, e voleva risparmiartelo ancora per un po'!”
A Shin sfuggì un singhiozzo, e si coprì il viso con le mani.
“Mi dispiace...”
Touma lo abbracciò.
“Non è colpa di nessuno. Va tutto bene, Shin. - Mormorò vicino al suo orecchio. - Sistemeremo anche questo...”
Shin tirò un paio di corti respiri, poi si calmò.
“Scusami. Io credo... di non aver ancora digerito tutto quello che è successo.”
“Shin, credimi, mi preoccuperei se non fosse così. - Si allontanò per guardarlo negli occhi. - Ascolta, forse è un po' presto, ma... te la sentiresti di vedere qualcuno?”

 

Stando alle indicazioni che gli aveva dato Hashiba doveva essere praticamente arrivato, eppure l'ispettore Nishimura continuava a vedere solo alberi. Stava cominciando a chiedersi se per caso non avrebbe dovuto svoltare a destra al bivio precedente, quando Villa Yagyu comparve davanti a lui, alta e imponente.
Parcheggiò di fianco all'auto di Mouri, poi entrò nel portico.
Un ruggito ormai divenuto familiare risuonò alle sue spalle: la grossa tigre bianca era spuntata dagli alberi che separavano la villa dal lago, e lo fissava con sguardo indecifrabile.
“Byakuen... - Mormorò. - E' questo il tuo nome, vero?”
L'animale si avvicinò, e Nishimura gli accarezzò la testa. Sobbalzò, quando lo sentì avvolgerglisi attorno e poi accucciarsi ai suoi piedi.
“E' un gesto di rispetto. - La voce di Ryo risuonò alle loro spalle. - Non sono molte le persone dalle quali si lascia avvicinare in questo modo.”
“Ne sono felice.”
“Lei ha dimostrato di meritare la sua fiducia, e tutti noi le siamo grati per quello che ha fatto per aiutarci.”
“Come ho già detto al suo amico Hashiba, non ho fatto nient'altro che il mio lavoro.”
Ryo sorrise, ma sapeva bene che Nishimura si era esposto per loro. Aveva scelto di seguire Byakuen invece di raggiungere Fujita, e aveva modificato il rapporto che aveva stilato in modo da nascondere il più possibile di quello che aveva visto.
"E' qui per Shin?”
“Sì. Ci tenevo a parlare con lui, ed ho pregato Hashiba di farmi sapere quando si sarebbe svegliato.”
“E' di sopra, la accompagno.”
“Grazie.”

 

Shin era seduto sul davanzale della finestra, una spalla premuta contro il vetro e lo sguardo fisso sul lago. Sentì rumore di passi lungo il corridoio e si voltò appena in tempo per vedere entrare qualcuno nella stanza.
“Ispettore Nishimura!”
“Buongiorno signor Mouri. Come sta?”
Shin fece per alzarsi, ma l'altro gli andò incontro e lo prevenne.
"Non si sforzi, la prego. I suoi amici mi hanno detto che non si è ancora ripreso del tutto.”
“Non dia loro ascolto. Sono eccessivamente apprensivi.”
“Sì, credo di averlo notato. Ma immagino sia un po' inevitabile, no?”
Shin sorrise, ma poi si fece serio.
“Touma mi ha detto che aveva bisogno di parlarmi, Ispettore. Mi dica pure.”
“Non c'è nulla di particolare, in realtà. Volevo più che altro vedere come stavate.”
“Immagino che rimasto piuttosto... colpito da ciò che ha visto. C'è qualcosa che vuole chiedermi?”
“I suoi amici hanno già risposto a molte delle mie domande. Non posso dire di aver capito ogni cosa, ed immagino che ci sia anche molto altro che non potete dirmi, ma...”
“Mi spiace di averle mentito, all'inizio. So che fatica a capire le nostre ragioni, ma le assicuro che non potevo fare diversamente.”
“Non deve preoccuparsi. Se le dicessi che ho attraversato mezza Tokyo a cavallo di una tigre bianca e che ho visto con i miei occhi un demone prendere forma dall'acqua, cosa risponderebbe?”
“Beh, le direi: benvenuto nel mio mondo. Dunque ora comprende ciò che ho fatto?”
“Sì. E non deve preoccuparsi: ufficialmente voi siete stati rapiti da una banda di delinquenti che mirava ad ottenere un riscatto. Non ho nessuna intenzione di rivelare altro.”
“Grazie. - Arrossì leggermente. - In realtà devo confessarle una cosa: quelle persone hanno catturato Shu, ma io sono uscito dall'ospedale di mia volontà. Dovevo assolutamente trovare i miei compagni.”
Nishimura sorrise sornione.
“L'atrio dell'ospedale è dotato di telecamere, lo sa?”
Il rossore di Shin aumentò.
“Lo sapeva già...”
“Sì, ma temo di aver smarrito quella registrazione. Quindi, come le dicevo, a me risulta che anche lei sia stato portato via con la forza.”
“Lei è davvero una buona persona.”
Shin si fermò a pensare a quel giorno. Ricordò lo smarrimento e la rabbia provati quando si era reso conto che Shu non era più lì. All'improvviso fu attraversato da un ricordo che era stato totalmente sommerso da tutto ciò che era accaduto dopo. Impallidì, e scattò in piedi.
“Ispettore! Io... io ho fatto una cosa terribile!”
Nishimura fu accanto a lui in un attimo e lo fece sedere sul letto.
“Si calmi. Di cosa parla?”
“Ho aggredito uno di quegli uomini, l'ho chiuso nel bagagliaio di un auto. Io... l'ho abbandonato lì, ispettore! L'ho sicuramente ucciso!”
“No, no... stia tranquillo, non è successo nulla. E' stato ritrovato poco dopo, grazie ad una telefonata anonima.”
“E... sta bene?”
“Meglio di quanto meriterebbe. I colleghi che lo hanno liberato mi hanno informato di tutto, perché risulta collegato alla banda di Kimura e sapevano che indagavo su di lui. Ho anche ascoltato la registrazione della telefonata che hanno ricevuto: la voce non si distingue bene, ma sarei pronto a scommettere di averla già sentita...”
Shin cercò di ricomporsi.
“Ispettore, ma lei sa ogni cosa di ciò che accade in Giappone?”
Nishimura rise.
“No, purtroppo. Va meglio, ora?”
“Sì, grazie. Mi scusi per prima, temevo di aver commesso qualcosa di irreparabile.”
“Per quel poco che la conosco, non credo che sia possibile. E non si preoccupi per le conseguenze: ho fatto una breve chiacchierata con quel disgraziato. Gli ho fatto capire che non gli conviene nominare lei o uno dei suoi amici, o verrà coinvolto nella storia del rapimento e arrestato.”
“Ma così ha dovuto liberarlo.”
“Sì, ma non per molto. Un collega della sezione furti mi ha informato sulle sue attività all'interporto: lo aspettano al varco al primo passo falso. Ed ora che Kimura è fuori gioco, non tarderà a farne.”
Shin anuì, mentre cercava di riordinare le idee.
“Quindi si è risolto tutto.”
“Sembra di sì. Ora la lascio riposare. Mi fa piacere vedere che state tutti bene.”
Si alzò, e Shin lo accompagnò fino al corridoio.
“Grazie di tutto, ispettore. Sono contento di averla conosciuta.”
“Lo stesso vale per me. E se in futuro avrete bisogno di aiuto, non esitate a contattarmi.”
Si salutarono, poi Shin tornò a guardare fuori dalla finestra. Lo osservò mentre salutava i suoi nakama e ripartiva. Sospirò, cercando di convincersi che pian piano ogni cosa sarebbe tornata a posto.

 

Epilogo

 

Era di nuovo ora di cena. Le giornate trascorrevano sempre troppo velocemente quando avevano la fortuna di trovarsi tutti insieme sotto lo stesso tetto, e l'ultima sera che avrebbero trascorso assieme era arrivata a tradimento. Ryo era appollaiato su uno degli ultimi gradini della scala, ed osservava i suoi nakama.
Shu e Touma borbottavano sulla porta della cucina, cercando di far collimare le proprie opposte concezioni culinarie e trasformarle in una cena.
Shin era sul divano, e li ascoltava divertito. Dopo aver parlato con Nishimura, quella mattina, appariva più sereno, e ormai sembrava si sarebbe ripreso completamente.
Seiji era in piedi accanto al camino, apparentemente assorto.
Ryo aveva notato che – dopo il ritorno della kikoutei – sembrava meno sfuggente. Non era del tutto sereno, era evidente, ma comunque sembrava più tranquillo di prima.
Cucinarono e cenarono, poi si raccolsero sui due divani contrapposti. Nessuno ne aveva parlato, ma sapevano tutti che c'erano ancora un po' di argomenti da affrontare, prima di separarsi.
Touma lanciò un paio di sguardi insofferenti, poi si decise a parlare, visto che nessun altro sembrava intenzionato a farlo.
“D'accordo. Comincio io?”
“Non sono tanto sicuro di aver voglia di parlare della Kikoutei.” Borbottò Shu.
Ryo strinse le labbra, ma non aggiunse nulla.
“E allora parliamo d'altro. Shin, te la senti di raccontarci cosa è successo quando hanno sparato a Shu?”
“In che senso?”
“Le nostre yoroi si sono attivate a distanza, subito dopo che è successo. Tu eri lì: sai cosa le abbia richiamate?”
“Beh, anche Suiko ha risposto, ma non era sotto il mio controllo. So solo che Shu stava perdendo tutto quel sangue, e io non sapevo cosa fare... - Shu gli strinse la mano. - All'improvviso ho sentito un grande calore attraversarmi, e in qualche modo lo ho spinto dentro alla ferita. Non ricordo molto altro.”
“Pensi venisse dalle yoroi?”
“Sì, mi sembrava di sentirvi tutti vicini.”
Ryo si voltò verso Touma. “Credi che le armature abbiano cercato di curare Shu?”
“Sì. Anzi, io credo che ci siano riuscite. Shu, quando eravamo tutti in ospedale ho parlato con il dottore che ti ha operato. Mi ha spiegato che lo stomaco era intatto, nonostante la traiettoria del proiettile. Per lui era inspiegabile, ma a questo punto credo che in realtà fosse stato colpito, e che il sangue che hai perso venisse da lì. Il potere delle armature deve averlo sanato, anche se non è stato sufficiente per chiudere anche il resto della ferita.”
“Sì, credo anch'io che sia così. - Seiji si era deciso ad intervenire. - In fondo, non è la prima volta che dimostrano di avere questa capacità. Fu Suiko a guidare Shin fino in Africa e a guarirci dalle ferite della kikoutei nera.”
“E' vero. E ogni volta che l'armatura era nel pieno dell'armonia con il cuore e con l'elemento, ho sempre sentito che le mie ferite guarivano più velocemente.”
“Però... - Shu appariva dubbioso – Abbiamo sempre creduto che fosse Kourin ad avere il potere di guarirci. Solo Seiji riusciva a farlo in quel modo.”
“Non ho mai pensato che fosse qualcosa di separato dall'armatura. Di fatto, mi sono sempre sentito una sorta di tramite del suo potere.”
“Quindi questa capacità di guarire nasce soltanto da loro?”
“C'è differenza tra noi, le nostre armature, i nostri elementi? Riesci più a distinguere queste cose?”
“In realtà no. E' da moltissimo tempo che non riesco a vedere dove cominci una cosa e finisca l'altra.”
“Anche per me è così. Siamo una cosa unica, non riesco nemmeno a ricordare come potesse essere prima.”
“Non è solo questo. - Seiji appariva pensieroso. - In realtà ho sempre percepito ognuna delle nostre yoroi, quando ho provato a canalizzarne il potere per guarire una ferita.”
“Non ce ne avevi mai parlato...”
“Perchè non me ne ero mai reso conto fino a poco fa. E' stato solo riflettendoci adesso che mi è stato chiaro.”
“Però di solito l'unione dei nostri poteri si esprime attraverso Ryo. Perché in questa cosa è diverso?”
“Forse perché io sono votato a distruggere, mentre Seiji è nato per ricostruire.” La voce di Ryo suonava amara.
“Ryo! Piantala immediatamente!”
“Prova a negare che sia vero!”
“E tu prova a negare che il tuo cuore sia buono!”
“Smettetela! Rekka è un elemento forte e irrequieto, è normale che tenda a focalizzare su di sé grandi energie come quella della Kikoutei. - Seiji sembrava di nuovo capace di essere ago della bilancia tra tutti loro. - Quanto a me, forse è soltanto una questione di saper ascoltare.”
“In che senso?”
“Io sono stato abituato fin da piccolo a meditare. Forse questo mi permette di entrare in contatto con questo aspetto della yoroi in maniera diversa. Mi rende un canale più sgombro.”
“Ha senso. Inoltre tu sei capace di una grande concentrazione, e questo ti aiuta a governare questa energia.”
“Quindi anche noi potremmo imparare a guarire le ferite attraverso la yoroi?”
“Può darsi.”
“Shu, il giorno che ti vedrò meditare, spero di avere una macchina fotografica a portata di mano.”
“Sei cattivo, Shin! Anch'io ne sarei capace, se mi ci impegnassi!”
Shin si limitò a passargli un braccio attorno alle spalle, ridendo.
Touma sorrise guardandoli, ma poi riportò la sua attenzione su Seiji. Sembrava di nuovo cambiato, ma non avrebbe saputo dire il perché. Si ripromise di tenerlo d'occhio nei mesi successivi, cercando di convincersi che sarebbe bastato.
La conversazione prese un tono più scherzoso, e 'argomento “Kikoutei” fu rimandato a data da definirsi. In fondo non c'era poi molto di cui parlare: sarebbe stato il tempo a porre loro ogni domanda, e forse a portare qualche risposta.
Il cielo perse ogni tono rosso e arancione. Piano piano divenne blu, e infine nero.
Shin cominciò a mostrare segni di stanchezza, e decisero che era ora di dormire. Ryo sparì inspiegabilmente, e tornò con un paio di futon.
“Di sotto ce ne sono altri, chi mi aiuta?”
“Dove li hai trovati, quelli?”
“Touma non è l'unico a fare telefonate intercontinentali! Nasty li ha comprati una delle ultime volte che è tornata in Giappone. Ho pensato che stanotte potremmo dormire insieme tutti qui di sotto, che ne dite?”
“Dico che è un'ottima idea! Sempre che Shu abbia fatto un buon lavoro di pulizia: non voglio svegliarmi con una scheggia di vetro infilzata in qualche posto imbarazzante...”
“Potrei averne tenute un paio da parte apposta per te, Touma, che ne dici?”
Si sistemarono il meglio possibile, continuando a ridere e bisticciare.
Il giorno dopo sarebbero tornati ognuno a casa propria, ed avrebbero affrontato domande, dubbi, perdite e fantasmi.
Ma c'era ancora una intera notte per loro, e l'avrebbero passata assieme, riposando al suono del rintocco dolce e vibrante della armonia di Rekka, Kourin, Suiko, Kongo e Tenku.

 

FINE

 

E con questo capitolo-fiume, si conclude anche questa storia.
Mi sembra impossibile, ma ce l'ho fatta.
Ho scritto, scritto e scritto, intrecciato, complicato, risolto... Mi sono incasinata da sola numerose volte, e poi pian piano ho sciolto un po' tutto.
E' stata una faticaccia notevole, ma è stato divertente, stimolante e mi ha permesso di sognare un po' insieme a questi 5 ragazzi immaginari, ed insieme a voi, che invece siete reali e adorabili.
E' stato un vero spasso leggere le vostre recensioni, vedere cosa notavate, cosa vi convinceva e cosa no, cosa vi appassionava e cosa passava sotto silenzio.
Questa storia era nata con l'idea di fare qualcosa di snello e veloce.
Ridete?
Beh, fate bene.
Ero partita con l'idea di una storia più breve di “Ancora una volta”, che con i suoi 15 capitoli mi sembrava lunghissima.
Dovevano essere 5 o 6 capitoli dal ritmo veloce, e magari un po' più corti delle mie solite 2000-2200 parole.
E guardate com'è finita: 30 capitoli lunghissimi, il doppio esatto di quella precedente!
Se mi metto di nuovo a scrivere roba così lunga, davvero, mandatemi a quel paese.
E non ho nemmeno sciolto tutti i nodi che ho creato, e infatti sto meditando su una serie di Drabbles, ognuna dedicata ad un personaggio di questa storia. Ma prima di cominciare a postarle, voglio essere sicura di portarle a termine, perché questa lunghissima fic mi ha un po' esaurita, e non so quante energie mi siano rimaste.
Lungo questi 30 capitoli ho accumulato una gran quantità di crediti da attribuire e di ringraziamenti da fare, e temo che – facendoli tutti alla fine – ne dimenticherò diversi.
Innanzitutto voglio ringraziare Kourin, che è sempre una fonte di notizie precisissima e attenta, e che si è immersa in ricerche piuttosto complesse pur di correggere certe mie strafalcionerìe.
Ha sopportato stoicamente tutte le mie elucubrazioni più varie, dal lavoro di Ryo al matrimonio dei genitori di Seiji... XD
A lei va anche il merito dell'immagine di Seiji in abiti tradizionali al funerale, così come lo immagina Shu: è stata una sua battuta a suggerirmelo, e lei del biondino se ne intende... ;)
Grazie anche a PerseoeAndromeda, per le informazioni sulle famiglie dei Troopers, e per l'incoraggiamento che ha continuato a darmi su quello che considero il mio tallone d'Achille, ovvero le scene più sentimentali/emotive.
E poi: Melanto! Te l'ho già detto e lo ripeto anche qui: non sai come sono felice di aver fatto rinascere in te la passione sopita per questi 5 baldi giovanotti, è stato bello contagiarti!
Grazie per tutti i bellissimi commenti che mi hai lasciato, ogni volta che ne trovavo uno andavo in brodo di giuggiole! *___*
Arrivata sul finale, ma con un grande recupero in corsa: Urdi! Anche lei commentatrice adorabile, devo assolutamente attribuirle il merito di avermi spinto a dare più spazio al povero Ryo, che nelle mie storie finisce sempre un po' trascurato. Mi ero rassegnata a non avere un gran feeling con questo personaggio, ma lei mi ha fatto ritornare sulle mie posizioni, e ho trovato il modo di farlo allargare un po' almeno negli ultimi capitoli. ^___^
Ecco, è tutto. Un abbraccio a chi ha letto, a chi è passato di qua almeno una volta, a chi si è appassionato a questa storia.
(Oddio, chissà se c'è qualcun altro oltre a chi commenta: per quel che ne so, potrebbe essere un'unica persona che si legge qualche riga ogni sera! XDDDD)
Ok, la pianto. Grazie a tutti, ci vediamo presto - spero – ancora su questi lidi!

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